Il Bisbetico Domato

di Hoel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Laddove il Bisbetico si presenta ***
Capitolo 2: *** Laddove il Bisbetico riceve una proposta indecente ***
Capitolo 3: *** Laddove il Domatore fa la sua entrata ufficiale in scena. ***
Capitolo 4: *** Laddove il Domatore, nei panni di Calaf, incontra la sua Turandot, ovvero il Bisbetico ***
Capitolo 5: *** Laddove il Domatore pone sotto assedio il Bisbetico, rinnovandogli la sua proposta di matrimonio ***
Capitolo 6: *** Laddove un’allarmante notizia si sparge e tutti ne discutono assai perplessi tra di loro ***
Capitolo 7: *** Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia, Parte 1. ***
Capitolo 8: *** Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia. Parte 2. ***



Capitolo 1
*** Laddove il Bisbetico si presenta ***


Salve!

Sono Hoel ed è la prima volta che pubblico sulla sezione di Death Note. Ho riscoperto purtroppo tardi questo manga, giacché ai tempi della pubblicazione avevo altri generi che mi piacevano di più e l’ho letto svogliatamente, en passant! Ah, gli errori della gioventù! *si flagella per lavarsi dai suoi peccati*

Ma ora, rileggendolo, mi ha conquistata! E, prendendo coraggio, ho deciso di scrivere una storia! Mi raccomando, siate clementi! Soprattutto, perché questa è un’AU e quindi potrebbe ispirare istinti omicidi nei fan più accaniti! Quella delle AU e dello Yaoi sono i miei vizi maggiori: raramente scrivo le storie in canone, semplicemente perché mi piacciono le sfide, vedere quanto riesco a mantenere dei personaggi originali in un altro contesto. A volte ci riesco, a volte un po’ meno. *Siamo umani, siamo umani* Vediamo, quindi, il risultato di questa storia!

Come nell’introduzione, essa è liberamente ispirata a “La Bisbetica Domata” di W. Shakespeare. Dico liberamente, giacché la trama è complessa e i personaggi sono molti, senza contare che il pairing è uomo/donna. *Già, piccolo dettaglio trascurabile quest’ultimo* Di conseguenza, ho semplificato alcuni passaggi e mi sono presa alcune libertà, a.k.a licenze poetiche. Tuttavia, tenterò di essere il più verosimile possibile.  Mi scuso, quindi, in anticipo per delle ingenuità da parte mia.

Meno male che esiste la nota OOC!

Ammetto che ho una certa passione per lo Yaoi, specie se incomincia con una sana rivalship. E quali rivali migliori di L e Light? Per quanta riguarda quest’ultimo, beh, forse in questa storia apparirà meno, come dire?, composto del solito … Inoltre, essendo appunto un’AU, anche gli altri personaggi sono stati strappati dal loro contesto e riposti in altri ruoli. Tuttavia, sempre con la ferma intenzione di non stravolgerli più di tanto … *il dubbio, il dubbio che rode …*

Infine, spero vivamente che questo primo capitolo d’esordio possa piacere! Incrociamo le dita! ^^

Buona lettura,

 

 

H.

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Capitolo 1: Laddove il Bisbetico si presenta

 

 

 

 

 

Alle undici e tredici della mattina, non un minuto in più non un minuto in meno, scoppiò il finimondo.

I fattori annuncianti il bedlam che si stava per scatenare erano stati molteplici: chiunque avesse militato abbastanza tempo all’interno della Yagami Corporation sarebbe stato in grado di fiutare l’imminente arrivo dell’uragano Katrina e mettersi in salvo, pregando nel frattempo ogni divinità in cielo e in terra di non essere la vittima designata di Kira.

Kira, chi è costui?

Kira – o “Killer” -  era uno dei molteplici soprannomi che tutti i dipendenti della Yagami Corporation avevano affibbiato al figlio del loro presidente, Light Yagami, il quale era anche conosciuto nell’ambiente come “Il Tagliatore di Teste”, “La Belva”, “L’Infame” ed infine “Il Bisbetico”, quando si voleva essere gentili nei suoi confronti. In ogni modo, l’idea di fondo era molto semplice: meno si aveva a che fare con Light Yagami, più si era contenti. Entrato – anzi, reclutato a viva forza –  sei anni addietro sotto richiesta del padre Soichiro Yagami nell’azienda di famiglia quando quest’ultima versava in acque pessime, sin dal primo giorno si era creato un’inquietante fama. Volendo essere un tantino giusti nei suoi confronti, bisogna affermare che il padre – acuto come suo solito – l’aveva piazzato nel ruolo più imbarazzante di una qualsiasi ditta: nel dipartimento di Human Resources  in qualità di responsabile dei licenziamenti e qua il primo soprannome, “Il Tagliatore di Teste”. Infatti, il compito del giovane uomo consisteva nel ronzare in giro per l’azienda e controllare i suoi lavoratori, appuntando nel frattempo le vittime su di un quadernino nero che i dipendenti presero a chiamare “Death Note”, poiché chiunque vi fosse stato lì scritto poteva star certo che nel giro di ventiquattrore se non di meno sarebbe stato licenziato. Molti avevano sospirato di sollievo quando, nell’arco di neanche un anno, Light venne promosso ad un altro ruolo.

La quiete prima della tempesta.

Perché, in barba alle malignità riguardanti una certa pratica appellata nepotismo, il ragazzo nel giro dei sei anni che seguirono era avanzato imperterrito come un treno nella sua scalata della gerarchia della ditta fino ad arrivare a neanche ventiquattr’anni al comando – seppur dietro le quinte – della Yagami Corporation, salvandola e rimettendola in carreggiata sul mercato,  e il tutto sempre riuscendo a laurearsi a pieni voti in  economia e management e a frequentare i corsi di Master. Per questo motivo, alcuni lo chiamavano genio, altri mostro.

Tuttavia,  per i dipendenti dell’azienda, egli era e restava un serial killer giacché il vizietto – o l’imprinting – di occuparsi personalmente dei licenziamenti gli era rimasto e Light pareva anzi averci preso un particolar gusto. E qui si spiegava appunto i Kira e “L’Infame”.

“La Belva” e “Il Bisbetico”, invece, erano ricollegabili al suo carattere. Ora, per arrivare così in alto ad un’età così giovane, bisognava supporre che il soggetto in questione fosse un tipo un in gamba, no? Esatto, Light Yagami aveva tutte le carte in regola per essere definito così: grande capacità di ragionamento e di memorizzazione; freddo, calcolatore e manipolatore durante le contrattazioni per strappare affari vantaggiosi alla ditta; grande attore (o paraculo, come l’avevano bollato per ripicca i suoi avversari sconfitti) per le sue capacità innate di dissimulazione. Come era mai possibile, allora, associare un carattere all’apparenza così controllato e distaccato all’essere un bisbetico coi controfiocchi? Semplice.

Esplosioni di collera improvvisa e devastante, seguite da ingiurie ai limiti del collasso nervoso al loro destinatario e minacce non molto velate di finire sul “Death Note”, così poi da essere rispediti dalle rispettive madri a calci nel sedere, ecco cosa gli avvalorava il primo premio di bisbetico dell’anno.

All’udir questo sembrerebbe cosa da niente, se non proprio risibile, piccoli atti di bullismo risolvibili tramite una bella chiacchierata col proprio sindacato.

Niente di tutto ciò.

Light Yagami quand’era arrabbiato faceva davvero paura.

Molta paura.

Schifosamente paura.

E il lato comico dell’intera faccenda era che la sua non era una strategia per incutere timore nei dipendenti e i sindacati con loro, no, lui si atteggiava in codesta maniera perché gli riusciva naturale. Era innato, come la sua intelligenza. Accumulava, accumulava, accumulava e al minimo sgarro esterno scoppiava peggio di un vulcano islandese e allora si salvi chi può. Per quanto uno fosse dotato di abbastanza arguzia per difendersi dalle sue non frecciate, bensì bombarde alla lunga si arrendeva per sfinimento: se Light Yagami avesse deciso di studiare giurisprudenza al posto di economia e management sarebbe di certo stato l’incubo di ogni tribunale. Discutere con lui era una battaglia persa: tra rigiramenti di frittata, lavate di faccia a suon di sbraiti e insulti, lo sfortunato che aveva avuto la sventatezza di incominciare un alterco con lui si ritrovava costretto a supplicare la tregua.

Dunque, volendo riassumere, bastava semplicemente non far arrabbiare Light per salvarsi dalla sua furia?

No, sbagliato.

Bastava un nonnulla per scatenare la bile in lui. Una parolina di troppo, uno sguardo casuale, un’azione leggermente fuori contesto e ka-boom! il giudizio divino si abbatteva rapido e inesorabile e affatto indolore sul povero peccatore, che strisciando gli chiedeva pietà.

E come, insomma, era possibile trattare con codesto soggetto invasato?

Stargli forse alla larga? Possibile, ma in quel caso …

Una delle varie segretarie al desk all’entrata principale della sede della Yagami Corporation sussultò violentemente, quando le porte si spalancarono in un possente frastuono, come se qualcuno le avesse spinte con tutte le sue forze allo scopo di fracassarne i vetri contro i muri e di scardinarle. Mancava solo una musica di sottofondo tipo Dies Irae e il quadretto era perfetto.

Tastando freneticamente il suo materiale di lavoro nella speranza di far credere che fosse stata sorpresa nell’atto di lavorare, invece che di limarsi le unghie, la segretaria balbettò flebilmente al demone che stava avanzando a furiose falcate nella hall principale: “S-signor Light! È … è ritornato mo-molto pr-presto …! Co-come è an-andata la riu-riu-riunione …?”

Un paio di occhi rosso fuoco dalla collera più pura la fucilarono, zittendola. Tuttavia, il proprietario di dette iridi infernali non disse nulla, proseguendo infuriato verso i piani alti, la mascella contratta e le vene sul collo e sulle mani ben visibili.

La segretaria riprese a respirare, reggendosi il cuore.

“Hé, Kiyomi! È incazzato o mi sbaglio?”, le chiese una sua collega, portandole il caffè. Accettando con mani tremanti la mug, la giovane donna annuì, ancora scossa da quello sguardo infuocato.

“Secondo te, chi sarà la sua prossima vittima?”, s’informò un’altra, facendo un elenco mentale di tutti i dipendenti che potevano in qualche modo aver istigato per l’ennesima volta la belva che c’era nel figlio del presidente. Infatti, quando non potevano sparlare di lui, i dipendenti dell’azienda si divertivano a far scommesse sull’identità del capro espiatorio di turno.

“Mah, chiunque sia, non vorrei ritrovarmi nei suoi panni: quando Light ha quella faccia, significa che è pronto a strangolare!”, ribatté saggiamente una quarta, la veterana. “E solo un nuovo arrivato può essere stato così stupido da provocarlo in questa maniera!”

Kiyomi Takada sospirò, sorbendosi silenziosamente il suo caffè: se Naomi Misora la metteva così, allora l’unico candidato possibile era …

 

***

 

 

Tota Matsuda si era accorto che qualcosa non andava e grazie mille: l’ufficio del dipartimento di Benchmark, di solito così rumoroso e frenetico, si era chetato troppo all’improvviso per non sembrare sospetto. La proverbiale mosca pareva aver cessato di volare, così come le trachee dei vari impiegati si erano contratte dolorosamente, impedendo loro di respirare. Perfino i battiti del cuore di tutti presenti erano divenuti inudibili.

“Fuori tutti …”, aveva sibilato una voce, dalla quale traspariva a malapena un ringhio. Obbedienti, gli astanti se la filarono senza discutere. Tuttavia, quando Matsuda fece per imitarli, la medesima voce lo bloccò e questa volta il tono era aumentato di qualche hertz. “Tu … tu rimani qui …” e al nuovo impiegato non rimase altra scelta che ritornare al suo posto, seppur rimanendo in piedi.

Un silenzio assassino calò tra lui e Light Yagami, la cui espressione prometteva tutto tranne che cose piacevoli: il viso era chiazzato di macchie rosse, le labbra assottigliate in una linea violacea, gli occhi erano dilatati e iniettati di sangue; dalla gola gorgogliava un latrato non dissimile a quello di Cerbero.

Infine, l’esplosione.

“STRONZERRIMO!!!”, ruggì Light, gettandogli contro il voluminoso dossier che s’era portato appresso, ovviamente puntando con l’angolo della cartella. “IDIOTA!!! Da quale trogolo ti ha tirato fuori mio padre, schifosissimo incompetente?!”, berciò, lanciandogli ora i vari oggetti che si trovavano sulla scrivania.

Massaggiandosi il braccio dolorante e facendosi contemporaneamente scudo con l’altro da quella lapidazione di cancelleria, Matsuda replicò timidamente un logico: “La prego, la smetta di tirarmi le cose addosso!”

“Tu, razza di non-entità”, continuava imperterrito Light, sordo alle sue flebili proteste, “che cavolo di bordello hai combinato? Te ne rendi conto? No, un gibbone tarato di mente come te non può accorgersene, visto che è già tanto se sa di essere in vita o meno!” e lo pigliò per il colletto della camicia, avvicinandolo al suo viso contorto dalla rabbia. “Hai una vaga idea che figura ho fatto grazie alle tue informazioni totalmente erronee davanti alla Wammy’s House? Eh? Ce l’hai? Se non mi hanno riso in faccia è stato solo per compassione nei miei confronti!”

“Ma io …”

“Lo scopo dei tuoi report è quello di fornirmi una dettagliata analisi delle informazioni contenute nei vari siti di benchmark, nonché quello della Wammy’s House per meglio capirne la politica interna e il suo operato esterno, così da avvicinarla meglio!! Sono mesi che le sto tastando il polso per fondare una partnership contro la Yotsuba Group e ora che ero finalmente riuscito ad avere un colloquio con il vicepresidente della filiale qui in Giappone, cosa succede?! Succede che un figlio di donna di poca virtù mi consegna un report fatto alla … alla … cavolo, facendomi fare la peggior figura di merda di tutta la mia vita! Per colpa tua, razza di animale, mi sono giocato la possibilità di negoziare non solo con il presidente della filiale stessa, ma pure col presidente della sede centrale, L., il quale dovrebbe venire qui a Tokyo uno di questi giorni!!”, sbraitò un Light fuori di sé dalla rabbia, dimenticandosi perfino di respirare da quanto concitato era il suo soliloquio e divenendo doppiamente paonazzo, nel frattempo che agguantava una pingue agenda dal tavolo del povero Matsuda, che sbrodolò sotto i colpi della detta rubrica:

“Mi dispiace, signor Light, ahia! non … ahia! …  mi dispiace moltissimo … ahia! … non ne faccia una tragedia … ahia! … ”

 “Cretino!! Bestia!! Cane!! Assassino!!”

Sbam! sbam! sbam!

“Si controlli, la prego! Ahia!”

Sbam! sbam! sbam!

“Vigliacco!! Cialtrone!! Ruffiano!! Io ti subisso!!”, continuava Light a flagellarlo con l’agenda, finché, smaltita tutta l’adrenalina, la posò lentamente, ingollando pesanti bocconi d’aria onde tranquillizzarsi. “E comunque, sei licenziato!”, proseguì più calmo, sistemandosi la frangia impazzita via dagli occhi. “Non c’è da stupirsi che quest’azienda abbia sguazzato nella cacca per anni: basta guardare che sorta di molluschi ha per dipendenti!” e detto questo, si apprestò ad uscire dall’ufficio sul quale era di nuovo calato un pesante silenzio.

Con l’audacia di chi non aveva ormai più nulla da perdere, Matsuda osò replicare, sfidando la sorte: “Lei non può licenziarmi!”

La mano di Light si bloccò sulla maniglia della porta. “Ah no?”, lo sfidò gelido, girandosi piano e fissandolo dritto negli occhi.

Raddrizzandosi onde infondersi coraggio e apparire più imponente, l’impiegato continuò: “No, e per il suo trattamento ignominioso mi deve pure delle scuse, altrimenti …”, ma non ebbe forza sufficiente di proseguire, ché Light era avanzato di un pericoloso passo verso di lui, costringendolo ad indietreggiare.

“Altrimenti …?”, lo sfidò a terminare il suo discorso, allungando il collo per ascoltare meglio, sebbene lo rendesse non dissimile ad un famelico avvoltoio. “Cosa? Mi sguinzagli i sindacati dietro? Mi farai causa?” e portatosi di nuovo alla postazione di Matsuda, gli confessò in un sibilo velenoso: “Io me li mangio i tuoi sindacati e avvocati! E te con loro!” e l’espressione terribile che gli deformava i bei lineamenti non tradiva alcun bluff da parte sua: sul serio l’avrebbe fatto se l’occasione gli si fosse parata dinanzi.

“Lo … lo dirò a suo padre … redigerò una petizione a lui in persona …”, sussurrò il giovane impiegato ormai sull’orlo dello svenimento. “Così … lei imparerà a … a comportarsi da adulto …”, e la sua voce morì in un pietoso miagolio.

Arcuando scettico un sopracciglio, Light sogghignò sornione. “Voglio proprio vedere se una gallina da brodo come te ne avrà le palle!” e, puntandogli contro l’indice, gli elargì il suo ultimo saluto. “Ti terrò d’occhio, stronzerrimo! E se mi sgarri un’altra volta … zac!” e gli imitò il gesto di una lama che tagliava una testa, prima di sbattere la porta e rintanarsi nel suo ufficio personale a smaltire la frustrazione.

Silenzio.

Sfinito da quella terribile prova psicologica e i nervi a pezzi, Matsuda si lasciò cadere sulla sedia, slacciandosi un poco la cravatta che ora gli appariva troppo stretta. Nel frattempo, i suoi colleghi, che avevano ovviamente origliato tutto, rientravano nella stanza, cicalando a bassa voce tra di loro.

“Non ti preoccupare, Matsuda”, lo rincuorò Mogi, un suo collega. “Quando fa così, vuol dire che l’ha presa bene! Di certo, il suo cervello distorto stava già elaborando un’altra tattica per fregare la Yotsuba Group mentre ti rampognava! Ci farai presto l’abitudine!”

“Sì, ma perché aggredirmi così? Se sul serio ha un’altra strategia a che pro essere così … melodrammatico?”, disse il giovane impiegato, preferendo all’ultimo un altro aggettivo, al posto di violento.

“Evidentemente lo rilassa”, fece spallucce Mogi, riprendendo in mano il lavoro interrotto dall’uragano Kira.

Affranto, Matsuda esalò un profondo respiro, osservando infelice le carte sparse che si inginocchiò per raccogliere e ignorando quanto le parole del suo collega corrispondessero alla dannatissima verità.

 

 

***

 

 

In seguito ad una sfuriata di quel calibro, Light Yagami aveva l’abitudine di recarsi nel suo ufficio, prendere a calci il sacco antistress e poi divorare un pacchetto extra-large di patatine fritte alla faccia del suo colesterolo. Dopodiché, avrebbe controllato la corrispondenza; redatto i report dei manager in uno finale che avrebbe poi consegnato al padre; regolato e magari presenziato ai vari appuntamenti e riunioni ed infine avrebbe ripassato le lezioni dei corsi del Master. Era un bene che aveva un’ottima capacità di concentrazione e una memoria di ferro: essere sia uno studente assiduo e puntuale che un lavoratore a livello manageriale avrebbe spinto chiunque in una clinica psichiatrica senza possibilità di ritorno nell’arco di breve tempo. E il giovane Yagami sopportava da ben sei anni quel tram-tram infernale.   

Invece, quella mattina Light si ritrovava impossibilitato a ripetere il suo consolidato rituale: la figuraccia alla Wammy’s House ancora gli bruciava e, per un giovane dal cursus honorum brillante come il suo, perdere era la peggior umiliazione che gli sarebbe mai potuta capitare. E non solo per l’amor proprio: non si era roso il fegato per sei anni onde far risorgere la Yagami Corporation dal fango in cui era caduta, per poi ridicolizzarla per colpa della leggerezza dei suoi dipendenti. Non lo accettava. Così come non accettava di dover rinunciare ad un potente alleato come la Wammy’s House nella sua lotta contro la sua nemica storica, la Yotsuba Group.

Come un leone accerchiato dai cacciatori meditava disperato e aggressivo una via di fuga, similmente Light rimuginava frenetico una seconda strategia onde ottenere la partnership e affondare allo stesso tempo la rivale. Tuttavia, il suo cervello si era inceppato e l’avvicinarsi della pausa pranzo non aiutava di certo: forse per colpa della rabbia in corpo, dello stress o di una sincera fame, il suo stomaco gorgogliava reclamando cibo in barba alle direttive del cervello, che richiedevano al contrario disciplina.

“Light! Light!”, lo distolse una voce dalle sue cupe  elucubrazioni. Senza voltarsi e proseguendo la sua marcia, l’interpellato in questione berciò un secco:

“Che vuoi,  Aizawa?”

Ignorando l’evidente tono scocciato del giovane uomo, Shuichi Aizawa, senior manager del dipartimento di Marketing e membro del consiglio d’amministrazione, rispose partecipe: “Volevo dirti quanto mi dispiace per quel che ti è capitato stamane; ti sarai sentito umiliato, immagino …”

Le nocche di Light divennero bianche a causa della presa convulsa ad un fascicolo che aveva appena ritirato dalla sua segretaria personale. “Vieni al dunque, lecchino!”, lo spronò visibilmente irritato per la sarcastica compassione presente nelle parole di Aizawa.

“Suvvia, non arrabbiarti! Sono cose che capitano …”, lo ammansì l’uomo, il quale era avvezzo a quelle risposte al vetriolo, intanto che allungava il passo onde mantenere il ritmo dell’andatura indiavolata di Light.  

“Ovvio, quando si hanno scimmie ammaestrate per dipendenti!”

Appurando che il figlio del suo capo non era molto incline alla conversazione civile basata sui dettami del political correct, Aizawa ruppe gli indugi e gli parlò schiettamente: “A onor del vero, ti stavo cercando assieme a tuo padre, Light. Vorremmo discutere di un affare piuttosto delicato, se ce lo permetti!”

Una risatina sardonica sfuggì dalle labbra del castano: “Se ve lo permetto? Il Boss è mio padre, Aizawa! Da quando in qua voi due avete bisogno del mio permesso?”

“Non giocare al nesci, Light! Lo sanno tutti che ormai sei tu il vero capo qui e che tuo padre resta presidente solo di facciata! E appunto per questo motivo, in vista della successione, che ti volevamo parlare!”

Annoiato, Light replicò: “Mi sembrava di essere stato sufficientemente esauriente, quando dissi a mio padre che non avrei preso il suo posto fintanto che studiavo!”

“Vero ed infatti, ho detto in vista, ergo, in un prossimo futuro! Che poi, quest’anno è l’ultimo vero?”

“Sì, sto completando il mio Master. Per quanto riguarda il contenuto di questo colloquio, se non è importante non voglio essere coinvolto nelle seghe mentali di mio padre!” Già Light, infatti, aveva fiutato una sgradevole puzza di bruciato in quel richiamo paterno e ci giocava la mano destra che era per tarmarlo non con discorsi attinenti alla loro lotta contro la Yatsuba Group, bensì con cavolate relative alla sua vita privata.

Dal canto suo Aizawa sospirò, roteando gli occhi al cielo. Sarebbe stata più dura del previsto: come convincere quella belva a presentarsi al colloquio? E soprattutto, come salvarsi dalle sue grinfie, una volta che avrebbe appreso ciò che il padre aveva da riferirgli?

“Senti, Light, che ne dici di discuterne a pranzo? Magari …”

“Vuoi assassinarmi?”, lo interruppe brusco il castano, appoggiando pesantemente sul banco di Naomi il dossier, sfogliandolo e dandole i fogli da fotocopiare e graffettare. In silenzio assoluto, la segretaria veterana svolse il suo lavoro, cercando di dare nell’occhio il meno possibile: dagli spasmi delle pallide dita fusiformi di Light, era palese quanto quest’ultimo fosse altamente innervosito.

“Come prego?”, fece confuso Aizawa, preso di contropiede. “Assassinarti?”

“Già, visto che avete intenzione di mandarmi in veleno il cibo coi vostri discorsi, suppongo che sì, mi vogliate fare la festa!”

“Non essere ridicolo!”

“Non essere balordo!”, lo liquidò in fretta il castano, rileggendo alcuni passaggi del dossier prima di consegnare il foglio ad una solerte Naomi. “E comunque, è impossibile! Proprio oggi ho un pranzo di “lavoro” con l’oca giuliva: Mello, il suo manager,  mi ha contattato dicendomi che ne ha combinata un’altra delle sue; siccome la sua agenda è colma di impegni, ho solo quest’occasione per cresimarla di nuovo e non intendo farmela sfuggire! Perché figurarsi, se nostra madre la rimprovera d’alcunché! O nostro padre!”

Per chi non lo sapesse, l’oca giuliva cui Light faceva riferimento era sua sorella, al secolo Sayu Yagami, attrice piuttosto rinomata anche all’estero e grande spina nel fianco del fratello per il suo comportamento leggermente … libertino, ecco.

Mello, o Michael Keehl , era il suo manager al quale dovevano conferirgli il premio Nobel per l’autocontrollo, poiché la sua cliente si era incaponita di testarlo ad ogni costo, vedendo quanto l’uomo era capace di resistere prima di soffocarla nel sonno o nella vasca da bagno. Lui era l’unico col quale Light era in termini civili e non solo per la sua abile competenza nel suo lavoro - rendendosi così l’unico giusto di Sodoma e Gomorra - bensì perché dal suo curriculum era saltato fuori che aveva previamente lavorato in una filiale tedesca della Wammy’s House e il giovane Yagami aveva ogni intento di tenerselo buono e spillargli con nonchalance utili informazioni.

“Restando in tema, a proposito di oche!”, si voltò Light verso Aizawa, sventolandogli sotto il naso un foglio. “Vedi di rintracciare Misa: dovrei ricordarle che l’abbiamo assunta per …” e non riuscì a terminare la frase, che il diavolo sopracitato fece la sua comparsa, abbracciandolo stretto e incrinandogli un paio di costole.

“Light! Light! Mi devi cambiare manager, capito? Quello che ho io è un deficiente, un fannullone!”, strillava Misa Amane, una delle testimonial della Yagami Corporation, mentre scuoteva Light come un milk-shake bum bum con il probabile obiettivo ultimo di staccargli la testa. “Insomma, non è possibile che …”

“Allora, qual è la tua risposta? È importante questo colloquio!”, lo incalzò invece Aizawa.

Driiiiin, squillò il suo cellulare.

Facendo cenno ad entrambi di attendere un secondo, Light rispose, sebbene la testa avesse preso a dolergli e non poco: “Pronto?”

“Light, tesoro!”, cinguettò la voce di sua madre all’apparecchio. “Ho saputo che Sayu è tornata e che state per uscire a pranzo! Vi dispiace se mi unisco anch’io? Per un motivo o per l’altro passiamo sempre così poco tempo assieme!”

“Non saprei, mamma! Ho già prenotato per tre al ristorante e non credo che all’ultimo riescano a cambiarmi …”, strascicò il castano le parole, tappandosi l’orecchio libero preso d’assalto da una Misa assai infervorata nella sua lista di j’accuse contro il suo manager.

“E allora, quando sono arrivati i giornalisti, credi che lui …”, lo strattonò per un braccio, avida della sua completa attenzione. “Dopodiché, ha fatto …”

“Light, me la dai questa risposta sì o no?”, lo tirò invece Aizawa per l’altro. “Devo riferirlo a tuo padre e …”

“Ma come tesoro! Sono sicura che sarai bravissimo a convincerli! A proposito, hai sentito che tua sorella …”

“Scusa mamma, ho un’altra chiamata in linea. Pronto?”

“Buongiorno, volevamo sapere se è interessato ad una nostra offerta …”, fu la proposta mielosa di un call-center, provocando nel suo ascoltatore un fastidioso digrigno di denti. Era invero la ciliegina sulla proverbiale torta e la sua pazienza era ormai agli sgoccioli. Sempre che ne avesse mai avuta in quella giornata assolutamente storta.

Ora esplode, pensarono preoccupate sia Naomi che Kiyomi, le uniche due segretarie rimaste durante la pausa pranzo da poco inaugurata. E di fatti …

“Al diavolo! Non me ne frega un accidenti della tua offerta della malora! Vai a tampinare qualcun altro, stronzerrimo!” e, chiudendo furioso la chiamata, riprese quella con sua madre, rispondendo col medesimo tono, la quinta innescata: “Sì, mamma, vedrò di cambiare la prenotazione! E se il maitre si rifiuta gli faccio causa! Contenta? Ah, e mettiti su qualcosa di decente, visto che vengono anche papà e l’altro babbione!”, e ovviamente si riferiva ad Aizawa, il quale, ignorando quell’appellativo non esattamente lusinghiero, gli chiese conferma sottovoce:

“Dunque ne possiamo parlare lì? A che ora?”

Il secco gesto elargitogli da Light lasciò intendere, che se non taceva gli avrebbe cavato gli occhi. Tuttavia, gli comunicò tramite le dita che sarebbe stato fra una mezzora scarsa, il tempo di rinfrescarsi al bagno. Soddisfatto, Aizawa lo abbandonò al suo triste destino, ergo assediato da due donne particolarmente moleste. “No, non m’importa un accidenti che tu non capisci di cosa parliamo, hai voluto venire? E adesso ti sorbisci i nostri discorsi! Che poi, puoi sempre parlare con Misa e Sayu, visto che in due non formano un criceto sciancato di cervello … ahia!” e storse la bocca al pestone alquanto doloroso datogli da un’offesissima Misa. Borbottando tra i denti un Stai buona! , egli riprese la conversazione a singhiozzi e nella posizione della gru, congedandosi infine dalla madre, dopo averle ricordato di essere puntuale. Infine, riattaccò. E Misa pure col suo strazio sonoro.

“Allora, hai capito?”, si lagnò la modella imbronciata. “Il mio manager mi ha rimproverata, dicendomi di cambiare stile! E sai perché?”

Light grugnì, stufo marcio di quella vecchia storia.

“Puoi immaginarlo? Hey, ma mi ascolti?”

A onor del vero, più che ascoltare la modella, il giovane trovava più interessante riordinare il fascicolo e finalmente chiuderlo e firmarlo; tuttavia non lo poteva esternare ad alta voce … non subito, almeno … e quanto ad immaginare il motivo di quell’astio tra manager e cliente, sì, Light se lo immaginava anche fin troppo bene.

“Uff! Qualche moralista di giornalista ha osato scrivere in una rivista di gossip, che mi vesto come una baldracca! Visto che razza di bastardo?”

Ecco, appunto.

“La sai una cosa, Misa?”, disse Light serio in volto, voltandosi verso di lei. “Ha perfettamente ragione!”

All’udire queste parole, la modella sbiancò in viso, la bocca semi-spalancata. Aveva compreso bene? Evidentemente sì, poiché le gote le si imporporarono e un luccichio assassino guizzò nei suoi occhi, trovando sfogo nel martoriare a suon di pugni il braccio di un imperturbabile Light. Soddisfatta infine della libbra di carne ottenuta, Misa gli elargì un sentito dito medio prima di dileguarsi fuori dall’edificio.

“Ti aspetto fra mezzora al ristorante e mi raccomando, sii puntuale per una volta!”, gli ricordò perfidamente sollecito Light, massaggiandosi il braccio illividito. E rivolgendosi a Naomi: “L’ha presa bene, secondo te?”

 “Assolutamente sì!”, convenne Naomi Misora convinta fino al midollo.

Più che altro, perché aveva intenzione di arrivare alla pensione coi timpani ancora funzionanti.

 

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove il Bisbetico riceve una proposta indecente.

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Allora piaciuto?

Sia ben chiaro che non ho alcunissima intenzione di fare bashing su Misa: solo che trovo troppo divertente come rompa in continuazione le pigne a Light e ho deciso di sfruttare! XD Quanto al look, idem! Infatti, non so perché ma a volte ho la sensazione che Light stesso lo abbia pensato più volte! In ogni modo, nessun accanimento è voluto sul personaggio! XD

Quanto al sermo, beh, per quanto Light in questa storia non sia proprio una bocca di rosa, comunque ci tengo a tenere un certo decoro. Anche perché, più è antiquato e fantasioso l’insulto, più mi diverto! XD Infatti, “stronzerrimo” è una mia invenzione, ovvero “stronzo all’ennesima potenza”. Senza contare, che mette in evidenza magnificamente la erre e, quando si è arrabbiati, fa proprio un bell’effetto!

Infine, sì, siamo in un ambiente più “economico”!

Spero che sia stato di gradimento e se sì, beh, alla prossima!
ciao!

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Laddove il Bisbetico riceve una proposta indecente ***




Salve, rieccomi qua!

Allora, premetto ai lettori che ancora non mi hanno conosciuta nelle altre fiction che uno dei miei molti soprannomi è “la regina dei capitoli fiume”, vizietto che pian piano sto cercando di epurare, pena aggiornamenti troppo irregolari. Essì, sono molto prolissa e senza accorgermene arrivo a capitoli di quasi 50 pagine. Leggere per credere! Fortunatamente, questo capitolo si accontenta di 18 escluse l’introduzione e la postfazione! Tuttavia, prometto che mi tratterrò di non andare oltre le 20 pagine, tranne previa esplicita richiesta! XD

Allora, entriamo più a fondo nel ménage famigliare degli Yagami. Siccome questa storia si ispira alla “Bisbetica”, ho dovuto un po’ modificare il rapporto tra Light e Sayu, sua sorella. Nel manga il loro rapporto era piuttosto buono (dico piuttosto, più proseguivo e meno sapevo cosa pensare in tutta onestà di Light), mentre in questa storia ho voluto rendere la tensione e antipatia vigente tra Caterina e Bianca, le due sorelle della “Bisbetica”. Spero di non scioccare nessuno nel presentare una Sayu un po’ fuori dagli schemi!

Inoltre, per coloro che si sono chiesti che accidenti ci facesse Mello nella parte del manager di Sayu, beh, ho trovato divertente che proprio lui che l’aveva sequestrata ora si ritrovi a tutelarla, se non proprio farle da can da guardia 24/7! Un bel contrappasso dantesco, yup.

Colgo infine l’occasione per ringraziare tutti i miei lettori e in particolar modo i miei recensori: Angel_Dark_Light; Crazy_Dada e Lupa Nera! Grazie per i vostri incoraggiamenti, mi hanno dato l’energia per continuare col secondo capitolo!

Non mi resta che augurarvi a tutti una buona lettura,

 

 

 

H.

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Capitolo 2: Laddove il Bisbetico riceve una proposta indecente.

 

 

 

 

 

“Suvvia, Mello! Non essere così teso! È solo un pranzo di quasi-lavoro, mica devi entrare nella gabbia dei leoni!”

A pronunciare queste sentite seppur poco convincenti parole di incoraggiamento era stato Mail Jeevas – o Matt, come lo chiamavano tutti – il compagno di Michael Keehl (il manager di Sayu Yagami) il quale in quel momento si stava seriamente impegnando ad ingollare interi cioccolatini ripieni al rum senza masticare, forse con la speranza di finire in un improbabile coma etilico, nel frattempo che vagava irrequieto e frustrato in lungo e in largo dell’appartamento della sua cliente, la quale gli era inspiegabilmente sfuggita – di nuovo – da sotto il naso.

Due minuti. Due minuti che Mello si era assentato per andare al bagno e Sayu Yagami pareva essere sprofondata nelle viscere stesse della terra. A peggiorare la situazione già di suo delicata era che entrambi avrebbero dovuto essere al ristorante in centrissimo di Tokyo venti minuti fa! Come spiegare quel ritardo abnorme, si chiedeva febbrilmente tra sé e sé il manager, a quel Torquemada del fratello? E soprattutto, come giustificargli l’ennesima sparizione della sorella? Infatti, se Mello aveva deciso di sfidare la sorte e mettere a repentaglio il suo scalpo, era stato per una buonissima causa: trovare una soluzione allo scandalo che per il rotto della cuffia era riuscito ad evitare a Sayu e mica una cosetta da niente! Grazie al pronto intervento di Matt, erano stati capaci di sottrarre la ragazza da un dubbio festino in un club di travestiti sadomaso prima che arrivasse la puntuale soffiata della madama (la polizia, ndr.) a rompere le uova  nel paniere e la carriera di Sayu con esse. Ah, e le loro ossa, qualora Kira ne fosse venuto a conoscenza, non senza aver estratto il loro colon e cistifellea col cucchiaino da caffè. Per fortuna tutto bene quel che era finito bene, tranne forse per la multa che Matt si era beccato durante la loro fuga per eccesso di velocità.

Da allora, Mello si era autoimposto di vegliare 24/7 la fin troppo esuberante attrice, almeno quel tanto da riconsegnarla nelle grinfie del fratello il più integra possibile. Invece, erano stati sufficienti due minuti di giustificata distrazione e la delinquente si era dileguata nel nulla. O forse era più vicina di quanto lui credesse?

“Rilassarmi? Rilassarmi?”, ringhiò feroce Mello al compagno, facendogli per poco cadere la sigaretta dalle labbra. “E come credi che ci riesca,  visto che primo siamo in ritardo di venti minuti; secondo, la squinzia se l’è filata per l’ennesima volta e che terzo, dovrò elaborare una scusa convincente onde persuadere il Mostro della Laguna Blu a lasciare la mia testa sulle sue spalle! E tu mi dici di rilassarmi?! Ma sei un …! Levati un po’ di immondizia dal cervello e dammi una mano a cercarla, maledizione!” e non riuscì a proseguire oltre, tanto la saliva rischiava di strangolarlo. “Dov’è finita? Dov’è finita quella … quella tamarra?!”, ululò frustrato, devastando l’intero arredamento del salotto. “Venti minuti! Venti minuti di ritardo! Suo fratello mi strippa! Gli ho appena telefonato e aveva la voce di un drago a digiuno! Dov’è? Dov’è?” e correndo di qua e di là proseguiva ad ingurgitare cioccolatini, malgrado il coraggioso tentativo di Matt di sottrarglieli di mano: sarebbe stato più facile levare un osso ad un pitbull inferocito.

L’improvviso trillo del campanello gelò sul posto i due uomini, i quali immediatamente s’affrettarono a ricomporsi, ergo prima correre senza meta in preda al panico per cinque nanosecondi; in seguito distendere i muscoli facciali in espressioni più umane; riordinarsi i capelli e schiarirsi la voce, così da abbassarla di molti hertz e ottave. Infine, resisi più presentabili, Matt si stravaccò in una posa casuale sul divano, pigliando una rivista a casaccio, mentre Mello apriva la porta, dopo aver pregato la sua buona stella che il visitatore non fosse altro che Sayu, finalmente decisasi a ritornare all’ovile.

Tre … due … uno …

“Sayuoignora Yagami?”, si esibì in un sorriso forzato il manager, imprecando mentalmente alla vista della madre della screanzata, la quale era stata sorpresa, nel frattempo che attendeva che le venisse aperta la porta, a cicalare con un condomino più o meno a lei coetanea. “Non … cioè, che … che improvvisata!”, sbrodolò Mello, pensando tuttavia che non gli era poi andata così male: per un nanosecondo orripilante, aveva perfino temuto di ritrovarsi innanzi a un Kira tutto chele e pungiglione che gli riconsegnava la sorellina pestifera per il coppino.

“Michael carissimo! Vi ho disturbati? Stavate aspettando qualcuno?”

“Ma no, signora! Chi dovevamo aspettare?”, si schermì Mello, facendosi da parte in modo che la signora Sachiko entrasse all’interno dell’appartamento, dopo essersi congedata dalla sua interlocutrice, che proseguì per il piano superiore. “Stavamo aspettando qualcuno, Matt?”

“No, nessuno! Ci ha pizzicato in un momento di total relax!”, ribatté il ragazzo con studiata noncuranza, impugnando all’incontrario la rivista che fingeva di consultare. Accortosi all’ultimo di essersi impegnato in una strana e nuova frontiera della lettura, egli decise di abbandonare in fretta il magazine con la scusa di alzarsi e cedere il posto sul divano alla signora Yagami, la quale lo ringraziò affabile, accettando di buon grado la bevanda fresca che Matt si era proposto di portarle con la scusa di rintanarsi in cucina e lasciando a Mello l’onore di pelare quella patata bollente d’una gatta. (Giusto per rendere l’idea di quanto delicata fosse la situazione). Infatti, solo un infame avrebbe spezzato il cuore a quella povera donna, raccontandole la nuda e cruda verità, ovvero che quella tanghera di sua figlia si era volatilizzata proprio quando aveva un appuntamento importante con un fratello famoso per il suo carattere dolce come la cicuta di Socrate, ma soprattutto, che il motivo di quella che si presentava come una moralistica lavata di capo con tutti i crismi era dovuta alla vita disordinata e senza freni della giovane attrice, che l’aveva più volte portata a compromettere seriamente la sua carriera: per quanto lo slogan bello e dannato avesse sempre avuto un certo appeal nel mondo dello spettacolo, a quanti sarebbe sul serio piaciuto avere una Lindsay Lohan in famiglia? Mano destra al cuore e in alto la seconda! Specie,  se si aveva un bisbetico moralista puritano per fratello e piuttosto aggressivo!

Preso tra due, anzi, tre fuochi, Mello decise di giocare la carta della diplomazia più famosa: lo gnorri. Meno dava a sapere e più a lungo avrebbe vissuto. Punto.

“Forse ti starai domandando il perché di questa mia visita, vero?”, esordì sorridente Sachiko ed effettivamente anche il manager della figlia se lo stava chiedendo fin dall’istante in cui se l’era ritrovata davanti alla porta di casa. “Ebbene, ho saputo che voi eravate in ritardo e allora ho deciso di venire a controllare se era tutto a posto! Sai quanto il mio Light sia fissato con la puntualità e sarebbe capacissimo di commettere uno sproposito in caso dovessimo dargli buca: senza contare, delle coliche che gli verrebbero per il nervoso, povero caro …”, pianse la madre per la salute del figlio, ignara che Mello piangeva invece per la sua sorte: già Light sano come un pesce era difficile da digerire, figurarsi con le coliche! Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate! 

“Hé, in effetti diventerebbe una brutta bestia … cioè, sarebbe una brutta best- … insomma le coliche, sarebbero una seccatura per m-per tutt-per Light …  Bah! Come non detto!” e si ficcò giudiziosamente in bocca l’ennesimo cioccolatino ripieno al rum.

“A proposito, hai visto Sayu?”, tentò inconsciamente la signora Yagami di ucciderlo, facendogli andare di traverso il dolcetto tramite la domanda a lei più naturale, ma per il manager assolutamente tabù.

“Cough … Sa-Sayu … cough? Eh-ehm … Sayu?”, sgranò Mello gli occhi falsamente innocente, reclinando il capo come se stesse facendo mente locale su dove si potesse trovare la proprietaria dell’appartamento, quando in realtà stava escogitando furiosamente una panzana credibile da rifilare alla madre. “Sai, penso che sia andata …”

Clang!, scattò la maniglia della porta d’ingresso, aprendosi.

“Ciao mamma! Eccomi qui!”, fu il gioviale saluto di Sayu Yagami, la cui apparizione provocò una mezza sincope sia a Mello che a Matt, il quale stava rientrando in quel momento con la bibita fresca e cui si slogò per poco la mandibola. Onde evitare che Sachiko si voltasse e contemplasse lo scempio deambulante, Mello eseguì un abile sgambetto al compagno, il quale si sbilanciò in avanti, inzuppando completamente la povera signora Yagami che balzò di riflesso dal divano, emettendo un acuto gridolino di sorpresa.

“Cretino!”, lo rimproverò poi il manager, saltando giù dal divano e afferrando una scarmigliata Sayu che si stava intanto riallacciando la camicetta. Conscio della farsa, Matt finse di offendersi, applicandosi affinché mamma Yagami tenesse la sguardo rigorosamente lontano dalla figlia. “Piglia un tovagliolo e conducila poi al bagno, razza di bradipo!”, aggiunse Mello, spingendo nel frattempo in camera da letto l’interdetta ragazza, raccogliendo in fretta un oggetto cadutole.

Silenzio.

“E rivestiti almeno decentemente, quando hai finito di folleggiare come una vacca in calore!!”, ruggì a bassa voce il manager, chiudendo a chiave la porta e gettandole in faccia il reggiseno che la giovane attrice aveva avuto la fantastica idea di appoggiare sulla spalla, invece che indossarlo, cosicché le era scivolato per terra dopo la sua entrata in casa. “Dove sei stata fino adesso? Lo sai che ore sono? Tuo fratello mi farà un cul- …!”

“Uff, quanto sei noioso! Ero a bere un aperitivo con un mio amico, sai che cosa! Ho perso la cognizione del tempo!”, si giustificò Sayu con nonchalance, aprendo l’armadio e infilandosi un vestitino più adatto all’occasione.  Scettico, Mello distolse gli occhi, roteandoli: sicuro, tutti andavamo a prendere un bicchierino con i nostri amici e ritornavamo a casa spettinati, con la camicetta semiaperta, la gonna di abbondanti centimetri più alta, senza mutande e con il reggiseno sulle spalle. Ora più che mai egli condivideva l’idea di Light, quando affermava che sua sorella avrebbe dovuto essere fin dal principio rinchiusa in convento di clausura in uno sperduto eremo. “Umphf! Ti atteggi come se vivessimo ancora nel medioevo, mentre siamo nel XXI secolo, caro il mio ciccino! Sono giovane, ho il diritto di divertirmi! Eppoi, scusa, chi sei? Il mio manager o la mia babysitter?”, lo sfidò una volta terminata la sua toeletta, lanciandogli un’occhiatina maliziosa e un sorriso birbante pieno di fossette.

Tu sarai la mia morte, pensò invece sconsolato Mello, per nulla rinfrancato da quel discorso pseudo-femminista.

“E comunque, ho già mio fratello che mi subissa di predicozzi dalla mattina alla sera, non incominciare anche te, per favore!”

“Questo significa, che ci parli poi tu con lui?”, arcuò l’uomo il sopracciglio scettico, ridendosela alla sola idea. Messalina vs. Catone il Censore, primo round din-din! (Verissimo che sono vissuti in due periodi diversi, ma è per rendere meglio i due caratteri completamente opposti! ;-), ndr.)

Sayu sorrise indulgente. “Eddai, parlate tutti di mio fratello come se fosse chissà quale demone venuto dagli abissi stessi dell’inferno  e pronto a cucinarvi ai ferri! Quando in realtà, non è altro che un …” e cosa fosse esattamente Light, Mello non riuscì a scoprirlo, giacché un potente richiamo dal salotto interruppe con suo sommo disappunto la frivola confessione della ragazza: gli sarebbe tornato utile in futuro, chissà.

“Mello! Sayu! È ora di partire! Muovete quelle chiappe o qualcuno di nostra conoscenza ve le prenderà a calci!”

“Matt, linguaggio per favore!”

“Ops, scusi, signora Yagami …”, fece il ragazzo contrito.

Dopodiché, desideroso sia di riparare alla sua mancanza di ésprit de finesse sia di sgomberare il campo, Matt si offrì solerte di accompagnare Sachiko e gli altri due all’entrata dell’appartamento, congedandosi e augurando loro ogni bene (o di salvarsi la pellaccia). Infine, si appoggiò sfinito sulla porta, respirando a lungo e accendendosi in seguito una sigaretta. Uno dei vantaggi di essere il compagno di Mello, era di riuscire ad avere un quadro perfetto del menage famigliare degli Yagami senza tuttavia dover necessariamente entrare in diretto contatto con Kira. Ciononostante, era lo stesso stressante.

Quel che Matt purtroppo ignorava, era che presto le carte si sarebbero rimescolate in maniera vorticosamente atroce. Infatti, mentre osservava meditabondo dal balcone Mello, Sayu e la di lei madre salire in macchina ed immettersi successivamente nel traffico, il fax  si era intanto attivato, producendo oltre che al suo fastidioso ronzio un foglio recante un secco e conciso messaggio.

Un foglio, che scivolò sfortunatamente sotto il tavolino.

Un foglio sul quale era scritto un lapidario:  I’m back.

 

***

 

La regola chiave per affrontare al meglio la dura vita del cameriere era di mantenere sempre il sorriso, costasse quel che costasse. Mai incrinare quell’arco all’insù degli angoli della bocca, mai, neanche se si era costretti a servire al banchetto dello stesso belzebù: lo esigeva il codice di comportamento dell’ospitalità e soprattutto l’arcana speranza di un’abbondante mancia. Ridi, Pagliaccio, ridi sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t’avvelena il cor!  Peccato, che questo stressante fingere non sempre funzionasse, anzi, era quando il meccanismo si inceppava che i veri casini prendevano luogo, in particolare se il cameriere estenuato aveva a che fare con un cliente alquanto intrattabile: allora, entrava in scena rapido il maître d’hôtel, il quale tentava di calmare le acque, spedendo il suo sottoposto a pascolare altrove onde sbollire la rabbia e la frustrazione e intanto ammansendo accorato il cliente insoddisfatto o semplicemente in vena di polemizzare perfino sull’aria che respirava.

Una situazione analoga si stava pian piano delineando in un ristorante in stile occidentale nel cuore della Tokyo chic, situazione che il maître d’hôtel stava monitorando apprensivo da ben trequarti d’ora, attendendosi il peggio minuto dopo minuto, quando uno ad uno i suoi camerieri venivano rispediti seccamente via da un tavolo vicino alla finestra, dal quale si godeva un’ottima vista della metropoli. Infine, notando come il mancato turnover di quel tavolo incominciasse a pesare sul bilancio delle entrate di quel giorno, azzardò un’ultima mossa: costringere i suoi occupanti ad ordinare o pregarli di cedere il posto agli altri avventori che avevano riservato per l’ora successiva e i cui sbuffi scocciati e occhiate oblique non preannunciavano nulla di buono. Solo uno di loro se ne stava eccessivamente tranquillo; tuttavia ognuno era così immerso nel proprio personale spleen per notarlo e insospettirsi di conseguenza.

“I signori desiderano finalmente ordinare?”, mormorò in soffio la vittima designata dal maître, poiché nessun cameriere si era offerto volontario e non a torto: se uno sguardo avesse potuto bollire una persona, ebbene quel povero inserviente si sarebbe dovuto trasformare in un battibaleno in un bell’ovetto à la coque.

“Quanti coperti vedi?”, gli chiese seraficamente assassino Light Yagami, sorridendogli simile ad una tigre del Bengala che aveva scovato la sua succulenta e bipede merenda.

Il ragazzo deglutì penosamente.“Sette, signore.”

“Oh, e dimmi: ti pare che siamo in sette?”, lo incoraggiò soave il giovane a proseguire, indicando con un cenno del capo il padre, Aizawa e Misa, che fingevano di essere d’un colpo interessati al menù o per l’imbarazzo o per non dover assistere in diretta allo sbranamento del povero garçon.

“No, signore”, farfugliò il cameriere, la cui voce tremò visibilmente e il labbro inferiore con essa, sopraffatto da quegli occhiacci incolleriti, che parevano volerlo sfilettare come un carpaccio.

“E allora razza di beota, perché diavolo vieni a ronzarci attorno a chiederci se vogliamo ordinare, visto che il numero dei commensali è ancora incompleto?”, fu la logica conclusione del castano, il cui tono impietoso non ammetteva alcuna replica da parte del ragazzo, al quale si erano nel frattempo arrossati ed inumiditi gli occhi.

“Signore … la prego di comprendere … fosse per me … il tavolo … gli altri clienti … turnover … quasi un’ora … per favore …”, si sforzò il cameriere a non frignare, facendosi una sadica violenza su se stesso, giacché la tentazione di correre via in cucina e lì riempire le pignatte con le sue medesime lacrime era molto forte.

Passandosi irritato la lingua sotto il canino sinistro, Light gli scoccò l’ultima occhiata malevola per poi sospirare teatralmente e suggerire annoiato ai commensali lì presenti: “Direi di partire con gli antipasti e le insalate: mal che vada, aspetteremo un po’ di più per la portata principale!” e tentò di non gongolare perfido quando il cameriere, dopo aver annotato euforico le varie ordinazioni, se ne trotterellò via soddisfatto con il grosso sorriso ebete del sopravvissuto stampato in faccia.

“Credete che ci abbiano dato buca?”, chiese candidamente Misa a nessuno in particolare, sebbene lo sguardo terrorizzato di Yagami padre e Aizawa lasciarono intendere che avevano ogni intenzione di farla tacere, anche a costo di infilarle l’intero cono di grissini in bocca: ma che sorta di domande andava a porre, specie dinanzi a quella bestia del Bisbetico?

“Ma no, ma no!”, s’impose Soichiro a voce alta, soffocando sonoramente quella pericolosa curiosità affinché essa non giungesse alle orecchie suscettibili di Light. “Saranno rimasti bloccati nel traffico! Mia moglie non è tipo da fare queste cose …” Interessante notare, come l’uomo avesse citato la moglie, senza includere la figlia. “Piuttosto, potremmo sfruttare questo momento di relativa calma per discutere di un argomento assai pressante, vero Light?”, cambiò egli di punto in bianco il discorso, osservando il figlio, speranzoso di una collaborazione da parte sua: Light, in effetti, pareva più interessato a frammentare in piccolissimi pezzi il grissino, che aveva artigliato spinto da un raptus di pura noia, che conversare col padre e Aizawa.

“Sì, il tuo scimmione poco fa si è ben premurato di ricordarmelo”, commentò atono, elargendo un’occhiata obliqua ad Aizawa, che assunse un’espressione innocentina. “Allora, dov’è l’inghippo?”, lo incalzò il giovane a sbottonarsi, così da potersi finalmente godere in santa pace l’antipasto che nel frattempo era arrivato.

“Ecco”, esordì cauto Soichiro, intrecciando le dita sul tavolo “tu lo sai che da quando ci siamo rimessi in carreggiata sul mercato, siamo al centro dell’attenzione. Inoltre, ora che la carriera di tua sorella è decollata a livelli davvero sorprendenti per la sua giovane età, possiamo affermare che ormai sul serio tutti gli occhi sono puntati su di noi …”

“Un po’ melodrammatico, ma vero!”, convenne Misa, sorseggiando del vino dal bicchiere. “Pensa che una volta è successo che …”, ma venne prontamente interrotta da Yagami senior, che proseguì:

“Non ho vergogna nell’affermare che è grazie a te, se l’azienda è riemersa dall’abisso! E soprattutto, non mi pongo problemi a dirti che tu saresti il candidato più adatto a succedermi. Tuttavia …”

Ah-ha, la nota stonata in quella lisciata coi controfiocchi! “Tuttavia …?”, invitò Light lentamente il padre a proseguire, gli occhi stretti in una linea sottile.

“Vedi figliolo, il problema è che tua sorella si sta comportando in maniera piuttosto incosciente …”

“Indecorosa, volevi dire!”, lo corresse prontamente il figlio.

Soichiro portò in avanti le mani, tuttavia non cambiò aggettivo. “E questo potrebbe influenzare sia il consiglio d’amministrazione, che l’opinione pubblica e i nostri possibili partner, compromettendo di conseguenza la tua candidatura a presidente della Yagami Corporation!”

Perché quella volta non ho rinchiuso mia sorella in cantina, impedendole così di frequentare quei dannati corsi di recitazione?, imprecò mentalmente Light, sbuffando. E ti pareva che quella rompiscatole di sua sorella non doveva tormentarlo pure indirettamente con le sue emerite cavolate? Fino a prova contraria, lui conduceva una vita irreprensibile senza né vizi né eccessi. Era il ritratto del cittadino modello. Oh beh, forse aveva un caratterino un po’ difficile, ma erano solo piccole venalità … nulla di compromettente … frivolezze della gioventù …

E ora, invece, grazie a quella teppista, la sua candidatura come nuovo presidente poteva essere rimessa addirittura in discussione! Ma per cosa poi? Uhm, l’intera faccenda non stava prendendo una bellissima piega …

“Ma come mai, signor Yagami?”, protestò Misa al posto suo. Meno male, gli aveva risparmiato la scena del moccioso viziato cui venivano negate le caramelle. “Light si è sempre distinto per la sua bravura, dedizione e competenza!”

“E’ vero”, convenne Soichiro, “ma le eccentricità …”

“… porcate …”

“… di Sayu potrebbero mettere in risalto quelle di Light. E sai come sono i media, sempre pronti a gettare fango sulle stravaganze altrui all’interno della loro vita privata! Collegherebbero, ne sono certo, lo stile di vita di Sayu con quello di Light, come se quest’ultimo lo condividesse appieno!”

“Che assurdità!”, esclamò stupefatta Misa e per la prima volta in vita sua, il giovane Yagami si ritrovò perfettamente d’accordo con lei. Sarebbe forse lui riuscito ad arrivare dov’era giunto frequentando dubbie compagnie, partecipando ad osceni festini, sbronzandosi all’inverosimile e soprattutto facendo il puttaniere a destra e a manca? E inoltre, gli sfuggiva il motivo per il quale nessuno fermasse Sayu, invece che ripiegare come al solito su di lui per salvare le proverbiali capre e cavoli! Si appuntò, già che c’era, di riferire a Mello di comprarsi una museruola e il collare satellitare e di applicarli sulla sorella, non appena i due avessero deciso di mostrare il loro infame volto ritardatario.

“In ogni modo, per far tacere ogni rumore di vita bohemien …”

“… dissoluta …”

“… sarebbe opportuno che tu, Light, ponessi dei cambiamenti alla tua attuale situazione civile”, terminò infine il discorso Soichiro, svuotando il bicchiere d’acqua in un sol sorso e attendendo ansioso la reazione del figlio, la quale, per gli standard paranoici del giovane, tardava a venire.

Infatti, incredibile ma vero, Light non aveva afferrato dove il padre volesse andare a parare e la sua confusione, seppur in maniera velata, fece capolino sul suo viso tramite un leggero corrugare della fronte.

“Quali cambiamenti?”, s’informò infine sospettoso, puntando le iridi nocciola contro sia il genitore che Aizawa.

Fiutando una certa aura poco raccomandabile avviluppare il tavolo, Yagami padre ci tenne a precisare nella speranza di evitare l’apocalisse: “Ovviamente, non devi sentirti obbligato di niente …”

“Quali cambiamenti?”, ripeté Light gelido ed ostinato, così com’era sua abitudine quando metteva con le spalle al muro o i suoi avversari o i suoi dipendenti, costringendoli a parlare chiaro e tondo e non attraverso sciarade e indovinelli.

Fu il turno di Aizawa di venire in soccorso al suo capo. “Ecco, hai mai …”, ma s’interruppe, inumidendosi indeciso le labbra: sarebbe stata una buona idea? Beh, tentar non nuoce e poi erano in un luogo pubblico. Light non avrebbe avuto così poca creanza da esibirsi in uno dei suoi tantrums davanti a tutta quella gente; il suo orgoglio ne avrebbe risentito a mille! “Hai … hai mai contemplato il matrimonio?”

Silenzio.

Ancora silenzio.

Ancora più silenzio.

Tanto, ma tanto silenzio.

 “Come prego?”, parlò infine Light, reclinando in avanti il capo. “Me lo puoi ripetere all’orecchio sano? Sbaglio, o hai appena pronunciato la parola matrimonio?”

“Beh sì, matrim- …”

“Ho capito quel che hai detto, troglodita! Non sono sordo!!”, berciò il castano, interrompendolo tramite sia il tono di voce decisamente ringhiante e un sonoro pugno sul tavolo, che, oltre a far tremare i piatti, posate e i bicchieri, fece anche girare qualche testa alla ricerca della sorgente di quell’arrabbiato rumore. Ricomponendosi in fretta, il giovane scansò scocciato il piatto davanti sé, così da meglio avvicinarsi ai due furbacchioni le cui incaute parole gli erano equivalse ad un sonoro calcio sulla bocca dello stomaco.

Ow, ow, owie che male! Vendetta, vendetta!

“In poche parole, voi due mi state suggerendo di sposarmi, così da allontanare in via definitiva ogni sospetto circa un mio potenziale coinvolgimento nelle attività extralavorative di quella bagasc- briccona di mia sorella?”, riassunse Light alla perfezione l’intero giocondo quadretto, che poco in realtà di giocondo aveva ai suoi occhi. Anzi, era una catastrofe!

Lentamente, neanche temessero di firmare così la loro condanna a morte, Soichiro e Aizawa annuirono, stupendosi oltre ogni dire quando, al posto dell’ormai nota esplosione, assistettero all’incredibile spettacolo di Light che ridacchiava tranquillamente, malgrado senza un particolar gusto ad orecchi più attenti.

“Sposarmi? Ma che idea fantastica! Un piano eccellente!”, si congratulò sarcastico. “Peccato, che ci sia solo un piccolo, insignificante e trascurabile dettaglio ad impedirne la messa in atto! Secondo voi, c- …”

“… chi avrebbe mai il coraggio di andare a letto con un tale Mostro di Loch Ness?”, completò la legittima domanda una civettuola voce femminile alle sue spalle. Girandosi di scatto quasi fosse stato punto da uno scorpione, Light serrò le mascelle, sibilando velenoso:

“Toh, ecco Maria Maddalena che ci degna della sua presenza! Finalmente, stavamo per denunciare alla polizia la vostra scomparsa!” e scostò irritato il volto, quando Sayu, appoggiandogli le mani sulle spalle tentò di baciargli la guancia. Fu costretto, invece, a sorbire il medesimo trattamento da parte della madre, non essendo stato abbastanza veloce da impedirlo. Meno male che Mello si accontentò di una più neutra stretta di mano.

“Misa-Misa!”, cinguettò Sayu alla sua amica, nel frattempo che i nuovi arrivati scambiavano i convenevoli con Soichiro ed Aizawa, scusandosi dell’abominevole ritardo. “Da quanto tempo, tesoro!”

“Oh, troppo!”, ricambiò lei entusiasta. “Allora, come è andato il tuo soggiorno ad LA? Ti sei divertita?”, volle subito sapere, intrigata.

“Una meraviglia, la prossima volta devi venire anche te! Ti rapisco, in caso quel bruto di mio fratello dovesse impedirtelo!” ed entrambe ridacchiarono alla battuta e fu un bene che Light fosse impegnato in una fitta conversazione con Mello, il quale lo aggiornava tramite ardite metafore e giri di parole – la signora Yagami era pur sempre seduta alla sua destra – circa gli ultimi spostamenti della sorella. “Chissà, forse potremmo recarci lì tutti per una volta, sarebbe divertente! Specie te, fratello! LA è una location ottima per un matrimonio da favola!”, lo sfotté senza tanti complimenti, attirando l’attenzione del castano, di sua madre e di Mello.

“Matrimonio?”, ripeté incredula Sachiko quella parola che aveva sognato di sentir pronunciare dai suoi figli fin dal loro primo vagito. Quanto a Mello, egli temette di aver avuto per un istante le allucinazioni acustiche e tuttavia, un’ideuzza non male gli balenò contemporaneamente in testa.

“Non lo sapevi?”, le rivelò Sayu con fare complice, ignorando volutamente l’occhiataccia ammonitrice di padre e fratello. “Light si sposa!”

Gli occhi della signora Yagami luccicarono di gioia e  le sue mani corsero ratte alla bocca onde celare un’esclamazione di pura estasi: ecco che il suo sogno diveniva finalmente realtà! “Oh cielo! Oh cielo, Light, tesorino mio, stellina mia, luce dei miei occhi tu non sai quanto tu mi renda felice con questa notizia! Ma dimmi, chi è la fortunata? È forse Misa?”

“Mamma!”, la supplicò di tacere un Light scarlatto in volto sia per l’imbarazzo che per la voglia matta di pigliare sua sorella e di affogarla nelle toilette delle signore, bagno alla turca ovviamente. Rabbrividì inoltre al solo pensiero di maritarsi con Misa: piuttosto, si sarebbe auto-evirato come i seguaci di Cibele. Ohibò, forse quello era un tantino esagerato, ma comunque! No! No! E no! Non con lei! Zitello a vita, ma non con lei!

Mello dal canto suo, aveva innescato la sordità automatica.

“Era solo uno scherzo, tesoro!”, rassicurò Soichiro sua moglie, beccandosi una stilettata visiva da parte del figlio, al quale tanto burla non era parsa. “Niente su cui fare progetti troppo vincolanti!”

Razza di conigliesco paraculo: prima lanci la bomba e poi scappi via? Tzé! Figurarsi se non ci progetteranno sopra qualcosa! , meditava Light in mode paranoica, la guancia pesantemente appoggiata sul palmo della mano. Sposarsi? Lui? Ridicolo, semplicemente ridicolo!

“Allora, fratellone! Non avevi qualcosa da dirmi?”, lo richiamò Sayu alla realtà, sorridendogli ambigua e posando la mano sopra la sua.

Sempre sottovoce, Light ribatté acido, fuggendo quel tocco e ritirando al sicuro la sua mano sotto il tavolo: “Sei stata tu, vero, a telefonare a mamma e a suggerirle di unirsi a noi? Perché sapevi, vipera, che non ho cuore di sputtanarti davanti a lei! E comunque, se i due balordi mi hanno avanzato questa proposta indecente, la colpa è solo tua!”

Sayu non lo smentì, né lo degnò di una qualsivoglia replica, limitandosi a ridacchiare compiaciuta.

A Light presero a prudere le mani. Che qualcuno o qualcosa mi distragga o per la prima volta in vita mia picchio una donna! Sempre che questo essere sia una donna!

“In ogni modo”, giunse salvifica alle sue orecchie la voce della madre, distogliendolo dai suoi poco onorevoli propositi “dovresti sul serio sposarti, Light! Ecco, dai  in giro l’impressione di essere un po’ … come dire … bizzarro!”

Light strabuzzò gli occhi: da tutti si sarebbe aspettato un complimento simile, ma mai da sua madre! Bizzarro? Bizzarro lui? Benedetta donna, se dava del bizzarro a lui, a quella tanghera di sua figlia cosa avrebbe dato? Dell’extraterrestre?

“Mah, secondo me prima di Light si sposerà Sayu!”, si inserì Mello nella conversazione, colmando il silenzio interdetto creatosi tra madre e figlio e per evitare che quest’ultimo, alterandosi, rivelasse imbarazzanti dettagli a Sachiko sulla vita privata della sorella solo per ripicca.

“Ah sì?”, s’interessò blandamente Aizawa, seppur contento di quel cambio di discorso. Pericolo scampato.

“Certo!”, confermò Mello. “Visto che Sayu riceve in continuazione proposte di matrimonio dai suoi colleghi e ammiratori! Del resto, un matrimonio sarebbe un’ottima soluzione per mettere a tacere alcune infondate maldicenze, che ultimamente circolano su di lei. Senza contare, che mettere su famiglia sarebbe un toccasana sia per il suo carattere, sia per migliorare la sua immagine pubblica … Che ne diresti, Sayu?”

“Non saprei, sinceramente. Tuttavia è vero,  in effetti ricevo molte proposte di matrimonio: ad esempio, ne ho avute dieci questa settimana …”, ammise la giovane attrice senza troppa modestia.

“Solo dieci?”, partì Light subito all’attacco, sogghignando perfido. “La settimana scorsa erano quindici. Stiamo perdendo colpi, sorellina? O hai già battuto tutte le strade percorribili?”

Sayu ghignò verde, afferrando subito il velenoso doppio senso contenuto nell’ultima affermazione. Similmente a lei lo intuì anche Mello, al quale per poco non andò di traverso il boccone che stava mangiando: evidentemente, quel giorno era stato deciso che doveva morire per soffocamento. Si guardò intorno, sospettoso. Infine, sospirò di sollievo: dalle espressioni pacificamente beote degli altri, a quanto pareva solo chi aveva la coscienza sporca non era rimasto immune a quella frecciatina.

“Ma sì, Light! È solo giovedì! Le restano ancora tre giorni!”, venne in soccorso Misa all’amica, afferrandole la mano. “E racconta, c’è tra questi uno che ti ha colpito in particolare?”

Sciogliendosi ad un tratto in un sorriso stranamente sincero e luminoso, la ragazza rispose enigmatica: “Oh, effettivamente ho conosciuto un giovane interessante: è di San Francisco e studia giurisprudenza. La prima volta che ci siamo incontrati è stato ad una festa …”

“E già qui abbiamo capito molto sulle dinamiche dell’incontro e sulle condizioni in cui versavate entrambi!”, borbottò invece scettico Light, giocherellando con il cibo della portata principale: malgrado il suo stomaco gorgogliasse feroce, reclamando la pietanza dinanzi a lui, il giovane si sentiva impossibilitato ad addentare un solo boccone e neppure il pensiero del conto lo motivava sufficientemente. Ecco un eccellente modo per far passare l’appetito!

“Light, non interromperla! È maleducato da parte tua! Su cara, continua!”, lo rimproverò sua madre, credendo che il primogenito parlasse così solo per denigrare la sorella, la quale, sorvolando indulgente sull’uscita del castano, continuò sognante:

“Ammetto, che è stato amore a prima vista! Un vero colpo di fulmine!”

“Che romantico!”, sospirò estasiata Misa.

“Vomito …”

“Light, a tavola!”, lo rimbeccò nuovamente Sachiko e il figlio roteò visibilmente scocciato gli occhi. Ora non si poteva neppure manifestare la propria contrarietà a certi racconti diabetici? E perché gli altri se ne stavano così zitti e inermi ad ascoltare? Mello era in grado di capirlo: a forza di convivere con quell’assatanata, ogni suo comportamento gli risultava indifferente e non lo sorprendeva più di tanto, ma il padre? Aizawa? Perché non era mai contestata?

“Siamo rimasti in contatto e … e lui ha deciso di seguirmi qui a Tokyo! La scusa ufficiale è per imparare il giapponese!”, ridacchiò complice Sayu assieme alle altre due donne. Eppure, quell’inaspettata luce nei suoi occhi tradiva qualcosa di più di una banale cotta.

A Mello, invece, non venne affatto da ridere, anzi, non gli piacque proprio quella novità. Ora comprendeva chi fosse “l’amico” con il quale Sayu si era intrattenuta più del dovuto; ciononostante, non era quello che gli stava provocando un tic nervoso all’occhio, bensì il fatto che la ragazza si fosse portata un souvenir da LA senza che lui se ne fosse accorto: decisamente, le doveva mettere a sua insaputa un microchip dietro l’orecchio.  “Allora, vuoi dire che è già qui?”, le domandò casuale, benché la sua espressione terribile le stesse assicurando che poi a casa avrebbero fatto i conti.

Impunita e sfacciata come solo lei sapeva essere, Sayu replicò tranquillissima, quasi annoiata: “Certo, e ho intenzione di presentarvelo alla prossima occasione!”

Mello si trovò dinanzi a due soluzioni: o chiudere sottochiave la sua cliente anche  a costo di venir denunciato per sequestro di persona, o indagare sull’identità di questo cicisbeo e appurare se fosse o meno un possibile candidato per imbrigliare definitivamente l’eccessiva esuberanza di Sayu nel vincolo del matrimonio. Non gli era sfuggito quel sorriso a fior di labbra e il languore negli occhi: tale dolcezza non sfiorava il volto di chi non era seriamente affezionato ad un’altra persona.

Sachiko batté entusiasta all’idea. “Sarebbe magnifico! Vero, Soichiro? Light?”

I due esponenti maschi della famiglia Yagami non dissero nulla per due motivi differenti: da una parte, il padre si stava astenendo da ogni eventuale dichiarazione compromettente a causa della naturale paterna apprensione e un pizzico di gelosia nei confronti della sua bambina; dall’altra, Light pareva essersi disconnesso da molto tempo dalla conversazione, giacché concentrato su qualcos’altro.

Infatti, la sua vigile attenzione si era spostata dai cicalecci dei commensali ad un avventore che stava avanzando dritto verso il loro tavolo, il che era strano visto che erano gli ultimi prima del muro e gli altri tavoli erano occupati da gente che come lui ignorava chi fosse costui. Anche il suo abbigliamento anonimo cozzava con quello più formale e/o ricercato degli altri clienti del ristorante. Light non ebbe un buon presentimento e Mello, attirato dallo sguardo fisso del giovane e seguendone la traiettoria, se ne accorse pure lui,  giacché puntò a sua volta gli occhi contro l’individuo, spalancandoli subitaneamente e scattando in avanti all’improvviso non appena l’uomo infilò la mano nella tasca, estraendone una …

Click!

Il flash colpì il manager in pieno viso, costringendolo a coprirsi il volto con una mano, mentre con l’altra girava Sayu dalla parte opposta, così da proteggerla da quel paparazzo indiscreto, il quale tentò un secondo colpo, sennonché Light, scavalcando quasi il tavolo, lo afferrò per il colletto della camicia, strappandogli la fotocamera digitale e tenendolo infine alzato di peso di qualche abbondante centimetro da terra.

“Tu, schifosissimo stronzerrimo figlio di una lunga genealogia di bagasce sifilitiche!”, berciò egli in rapida sequenza contro il paparazzo, scuotendolo ferocemente. “Come ti permetti, otre piena di sterco, di violare la privacy altrui così sfacciatamente solo per soddisfare la curiosità morbosa di qualche casalinga o ragazzina?! Mia sorella anche se attrice ha comunque …” Sciaff! , risuonò il primo manrovescio, causando una serie di grotteschi gridolini di sorpresa sia femminili che maschili. “… il diritto …” Sciaff! di nuovo. “… di avere la sua privacy …” Sciaff! ora Yagami padre e Aizawa si erano alzati di scatto, uno per trattenere Light e l’altro per sottrargli lo sventato fotografo dalle sue cupide e vendicative grinfie. “… tutelata!” Sciaff! Sciaff! Sciaff! “Razza di cane fottuto d’un chupacabras morente di diarrea!” E Sciaff! Sciaff! Sciaff! Sciaff!

“Light, controllati maledizione!”, esclamò Aizawa, beccandosi suo malgrado un sonoro ceffone per la colpa di essersi messo in mezzo. In ogni senso.

Sciaff! Sciaff! Sciaff! Sciaff!

Ma questi coloriti insulti se li inventa di notte?, pensò divertito Mello, nel frattempo che allontanava la piccola folla di curiosi alzatasi dai rispettivi tavoli e lì radunatasi onde assistere a quel match di mortal combact in carne ed ossa.

Sciaff! Sciaff! Sciaff! Sciaff!

 “Per favore Light, lascialo andare!”, lo supplicarono in coro le tre grazie, alias mamma Yagami, Sayu e Misa, le cui voci si erano acutizzate di parecchie ottave, seriamente impaurite dall’espressione di demoniaca arrabbiatura presente sui lineamenti distorti del giovane Yagami, il quale mulinava le mani in rapida sequenza, colpendo incessantemente il paparazzo e chiunque avesse avuto l’ardire di intromettersi, ergo Aizawa e il maître d’hôtel.

Sciaff! Sciaff! Sciaff! Sciaff!

Riuscendo infine ad afferrare Light  per sotto le ascelle dopo molti tentativi andati a vuoto e ad indietreggiare di un passo, trascinandolo di conseguenza seco, Soichiro sbuffò per il notevole sforzo: “Smettila, figliolo! Smettila! Ci stanno guardando tutti!”

Avvenne il miracolo: seppur ansimando pesantemente, il castano si bloccò, permettendo che il maître d’hôtel aiutasse il fotografo piuttosto malconcio e incerto sulle sue gambe a rialzarsi. Sembrò, quindi, che ogni afflato vendicativo si fosse spento nelle iridi fiammeggianti del giovane e fu così che il padre allentò la sua presa su di lui, commettendo, invece, una terribile leggerezza. Ché infatti non appena Light percepì la pressione delle mani di Soichiro diminuire sulle sue braccia, egli si divincolò da lui abilmente, riacchiappando nuovamente la sua preda senza però accennare a schiaffeggiarla di nuovo.

Un pesante silenzio carico di aspettative impregnò l’intera sala, mentre tutti gli occhi erano puntati contro i due baruffanti.

“Ah sì?”, soffiò pericoloso Light, portando il paparazzo vicino al buffet dei dolci. “E allora, che si guardi pure cosa succede a chi ha la faccia tosta di fotografarci senza il nostro permesso!” e, afferrato l’uomo per i capelli, gli spinse con energica foga la faccia sulla Sant’Honoré sottostante tra l’orrore generale dei presenti. E tanta forza vi aveva impresso il giovane, che il fotografo, una volta liberato dalla presa ferrea di Light, si sbilanciò all’indietro e, nel disperato tentativo di non finire a gambe all’aria, si aggrappò alla tovaglia del tavolo dov’erano esposte le torte, ottenendo come risultato di trascinarsele addosso una dietro l’altra in un sonoro Splatt! pannoso. 

“E vedi di ripulirti prima di andarti via!”, fu l’ultima stilettata di Light, mentre gli sbatteva in faccia un tovagliolo sottratto a chissà quale avventore. Dopodiché, il castano fece dietrofront e uscì dal ristorante in rapide e furiose falcate, sbattendo veemente la porta quale ultima ciliegina sulla torta, giusto per rimanere in tema.

Silenzio.

“Può portarci il conto?”, chiese Soichiro meccanicamente stralunato al maître, il quale rispose in automatica, anch’egli fortemente sconvolto da quel vaudeville:

“Si figuri … offre la casa …”

Intanto, approfittandone dello stato di incredulità totale nella quale versavano gli altri commensali, Mello si era chinato a raccogliere la macchina fotografica perduta dal paparazzo, infilandosela in tasca. Fu durante quest’operazione, che notò un ulteriore oggetto fare capolino seminascosto nell’angolo: un registratore tascabile. Evidentemente, doveva essere scivolato dalla tasca del fotografo, quando Light lo aveva subissato di ceffoni e, a giudicare dalla spia rossa lampeggiante, stava continuando a registrare.

Mello pigiò il tasto Stop, terminando lì la registrazione. Una volta a casa, avrebbe controllato quanto quell’impiastro era riuscito a registrare della loro conversazione. Sperò poco.

Bah! Non aveva più importanza: grazie ai metodi poco ortodossi del giovane Yagami, la registrazione era finita nelle sue mani e Mello non si sarebbe di certo posto alcun problema a distruggerla quel pomeriggio stesso, dopo averla ascoltata per la prima e ultima volta.

Eppoi, affermavano che fare il manager delle star cinematografiche fosse uno spasso!

Ma chi l’aveva detta quell’enorme cavolata?

 

***

 

 

Erano circa le sette e mezza di sera, quando il telefono dell’ufficio di Benchmark squillò, equivalendo per Matsuda all’agognata pausa, la quale gli era stata negata per tutto il pomeriggio da un Light in versione vigile e tirannico can da guardia. Infatti, dopo aver fatto irruzione della sede della Yagami Corporation, il giovane si era rifiutato di rintanarsi nel suo ufficio; invece, aveva pigliato il suo laptop e si era sistemato esattamente di fronte a Matsuda, intimandogli di correggere entro la mezzanotte il suo report indecente, pena l’iscrizione del suo nome sul “Death Note” e conseguente spedizione da sua madre senza francobollo e per timbro la sagoma della sua scarpa sul deretano.

A parte il tono estremamente serio di Light, escludendo così in maniera categorica ogni eventualità di uno scherzo di pessimo gusto, Matsuda si era invero costretto a lottare contro il tempo e la sua inesperienza per presentare un elaborato che potesse soddisfare gli esigenti requisiti del giovane, il tutto dovendo sopportare il ferreo controllo dell’altro, il quale con un occhio seguiva quanto le sue agili dita stavano freneticamente scrivendo al computer e con l’altro sorvegliava instancabile l’affranto impiegato.

Meno male che ogni tanto comparivano o Naomi o Kiyomi, le quali distraevano il suo aguzzino con notizie dell’ultima ora, portandolo ad assentarsi per qualche istante. Tuttavia, Matsuda era troppo preoccupato di un repentino ritorno di Light per rischiare una piccola pausa. Non osò neppure domandargli se poteva ritornare a casa, essendo il suo turno di lavoro passato da un pezzo e l’intero dipartimento si era man mano svuotato, fino a rimanere solo loro due. L’uomo aveva notato ad un certo punto che il castano era totalmente assorbito dal suo lavoro e di fatti, la sorveglianza su di lui si era parecchio infiacchita, ma non ebbe comunque il coraggio di azzardare alcunché, in quanto temeva che, disturbandolo, lo avrebbe distratto, attirandosi di conseguenza addosso la sua ira funesta.

Ecco perché, volendo riassumere, Matsuda fu oltremodo contento di udire quel gargarismo angelico apportatore di libertà dalla tirannide del figlio del presidente.

“Pronto? Qui ufficio di Benchmark della Yagami Corporation! Posso esserle d’aiuto?”, rispose l’impiegato vivacemente, stiracchiandosi. Light arcuò un sopracciglio, attento. Tuttavia, i suoi occhi continuarono a rimanere incollati allo schermo. “Scusi, lei è …? Ah, comprendo …”, esclamò piano Matsuda. Poi, comprendo la cornetta con la mano, allungò il collo verso Light, riferendogli a sottovoce: “E’ sua sorella, la signorina Yagami!”

Il ritmico e costante ticchettio dei tasti si interruppe bruscamente. “Dille che non ci sono!”, lo istruì infine Light, dopo un secondo di accurata riflessione sui pro e contro di accettare o meno quella telefonata da parte di Sayu. Gli era occorso l’intero pomeriggio per smaltire la rabbia di quel pranzo assolutamente rovinato ed ora non voleva distruggere nell’arco di cinque secondi quella pace interiore da poco ricostruita a scapito del suo colesterolo (due pacchetti extra-large di patatine! Due!) e di Matsuda, che aveva utilizzato come antistress per l’intero pomeriggio.

Il giovane impiegato annuì, riportando la cornetta all’orecchio. “Mi dispiace, signorina Yagami, ma suo fratello mi ha appena detto di dirvi che …” e si accorse troppo tardi della corbelleria pronunciata a causa sia della sua palese stanchezza che della sua altrettanto palese ingenuità, volendo essere gentili.  “… non c’è!”, terminò in un pigolio sommesso, abbassando gli occhi colpevole dinanzi all’espressione incredula ed irritata di Light, il quale prese ad espirare rumorosamente, simile ad un toro nell’arena spagnola. “Sua sorella …”, gli annunciò sinceramente dispiaciuto, cedendogli la cornetta. “E ora, posso … posso andare?”, fu la sua patetica richiesta.

Sottraendogli di malagrazia la cornetta con una snervata zampata, Light berciò: “Sì, vai pure! A farti impiccare, lombrico!”, gli intimò scocciato tramite un nervoso e infastidito cenno del capo. “Pronto?”

“Heilà, fratellone! Allora, quand’è che devo venirti a trovare in tribunale per l’accusa di aggressione?”, scherzò Sayu dall’altra parte del filo, alquanto divertita dalla situazione creatasi a pranzo.

“Quanto sei carina quando ti preoccupi così per me!”, ribatté sardonico Light, approfittando di quella pausa  per massaggiarsi il collo indolenzito. “Stai tranquilla, ho fatto delle ricerche su questo tizio e a quanto pare gli pesano già sul capo numerose denunce per violazione della privacy da parte dei vip o di altri personaggi di spicco! Di conseguenza, non credo che oserà avanzare alcuna querela nei miei confronti!”

“Pensi proprio a tutto, fratellone!”, rise la ragazza ancora più divertita.

Dal canto suo, Light non si sentì tanto lusingato da quel commento. “Era questo il motivo della tua inopportuna telefonata?”

“Nah, non proprio. Volevo solo comunicarti che invece di domenica prossima, dovrò ripartire per LA già questo giovedì: un produttore mi ha contattata e devo essere lì per il colloquio con lui. Resterò via all’incirca una o due settimane al massimo e ci tenevo ad avvisarvi tutti!”

“Guarda, sto piangendo disperato!”, ribatté atono il castano, accingendosi a terminare là la chiamata: e che gliene importava degli impegni di sua sorella? Doveva anticipare la sua partenza? Meglio! Così se ne sarebbe sbarazzato prima!

“E appunto per questo”, lo bloccò all’ultimo Sayu, costringendolo a riportare la cornetta all’orecchio “che volevo invitarti ad una festa che darò questo sabato sera! Così possiamo parlare tranquillamente a tu per tu, visto che oggi non ne abbiamo avuto l’occasione!”

“Parlare? Pensavo che avessi intenzione di esibirmi come una foca ammaestrata ai tuoi amici cocainomani e alcolizzati!”

“Ah, non essere melodrammatico! Voglio solo trascorrere un po’ di tempo con mio fratello e magari presentarlo a qualche ragazza!”

Una nota stonata. “E perché? Che fretta c’è? Non avrai mica preso sul serio le baggianate di nostro padre e dell’orangutango che si porta appresso, spero?”, s’informò sospettoso il giovane Yagami, il quale percepiva a fior di pelle una congiura tramatagli alle spalle dall’intera famiglia. “Io non ho intenzione né di mettermi con nessuna, né tantomeno di sposarmi! E le avventure di una notte mi stanno indigeste!”

Un risolino inquietante risuonò alle sue orecchie. “Eddai, non fare il moralista ingessato! Tu trova il modo di venire! Al resto ci penso io! Ci sarà da divertirci, vedrai! Ho un sacco di amiche che muoiono dalla voglia di conoscerti …”

Mordendosi la lingua e trattenendosi dal ricordarle che lui era abbastanza grande, grosso e vaccinato per cercasi una ragazza da solo, Light replicò incolore: “Impossibile, non posso: il sabato vado sempre al club di tennis …”

“E ci resti pure la sera?”, inquisì scettica Sayu, odorando la scusa poco convincente.

“Perché non dovrei?”, si pose subito il fratello sulla difensiva. “Eppoi, è probabile che mi fermi lì a chiacchierare o a fare altro”, aggiunse in fretta, così da rimpolpare un po’ di più il suo alibi. Non c’era bisogno che gli si ricordasse che lo faceva apposta ad uscire per ultimo dal club, così da rientrare a casa il più tardi possibile.

“Beh, in caso dovessi liberarti o cambiare idea, sai qual è il mio indirizzo!”

“Certamente, ma non farti troppe illusioni!”

“Allora ciao!”

“Ciao …” e Light riattaccò la cornetta, sbuffando. Perfetto, gli mancava pure quella: sua sorella in piena crisi mistica di sensale di matrimoni! Ma che bello! Il giovane ci giocava la testa, che dietro quella telefonata ci fosse anche lo zampino di sua madre. Argh! Ma perché lo volevano tutti maritato, così, da un giorno all’altro? Ieri nessuno aveva accennato all’argomento e ora tutti lo pressavano per raccattare la prima squinzia che passava e di farne sua moglie! Erano forse tutti impazziti?

“Light, forse dovresti sul serio andare a quella festa e conoscere lì magari qualche ragazza …”, lo fece sobbalzare una voce alle sue spalle.

Un sordo ringhio riecheggiò nella stanza vuota. Razza di vecchiaccio petulante, ora pure il lenone ti metti a fare?

“Senti papà, fino a ieri non importava a nessuno che fossi single o sposato. Perché questa fretta? Insomma, Mello mi ha assicurato che nessun paparazzo è riuscito a fotografare Sayu e allora …”

“La riunione del consiglio d’ammirazione riguardante la tua candidatura a futuro presidente è fra tre mesi!”, fu la secca sentenza del padre, che incrociò le braccia al petto.

All’improvviso, Light si sentì male: dinanzi a lui presero a ballare la macumba delle palline gialle e nere e lui avvertì l’impellente desiderio di sedersi. Confuso, strabuzzò le palpebre, balbettando: “Come prego?”

“Hai ben compreso: fra tre mesi si discuterà sulla tua candidatura. Per allora, sarebbe consigliabile che tu fossi per lo meno fidanzato, se sposato ti pare un miraggio così irraggiungibile … figurarsi reduce dal viaggio di nozze … comunque, se ti sposassi sarebbe meglio! Daresti più l’impressione di affidabilità!”

“Ah, capisco …”, fu l’unica cosa che Light fu in grado di mormorare, letteralmente distrutto dalla novità.

Lo vedo calmo, pensò rincuorato Soichiro, osservando attentamente la figura silente del figlio. Forse ha già una candidata specifica in mente … meglio così, renderà le cose più semplici … “Sto tornando a casa. Vieni con me?”, gli domandò poi, dirigendosi verso la porta.

Riscuotendosi un poco dall’apatia nella quale era caduto, Light scosse il capo. “No, a dire il vero ho ancora del lavoro da completare. Rimarrò qui ancora per qualche oretta. A più tardi!”

“A più tardi”, si congedò il padre, uscendo e socchiudendo la porta.

Silenzio.

“FFFFFUUUUUUUUUCCCCKKKK!!!”, ruggì Light, scuotendo l’intero edificio dalle fondamenta. Reggendosi la testa tra le mani e tentando di raparsi a zero tramite estirpazione dei capelli, continuò a gridare invasato, il viso paonazzo: “Cacchio, cacchio, cacchio! Tre mesi! Tre mesi! Dove la tiro fuori in tre mesi una ragazza? Dal mio cilindro? Da sotto il letto? Dall’elenco del telefono? E non posso prenderne una così tanto per ammansire quei bavosi matusa dell’amministrazione, perché tanto lo so che sarò costretto a sposarla prima o poi! Figurati se non ricorreranno al ricatto psicologico e a scenate da sindrome del nonno abbandonato! Grrrrr!!! Brutti furfanti!!! Come uscirne? Come uscirne?”, ululò nascondendo il volto tra gli avambracci. “Calmati Light, calmati! Niente è perduto: ci sono molti modi per conoscere una ragazza e in tre mesi possono succedere tante cose …” e sorrise a mo’ di incoraggiamento.

Già, tutto sarebbe andato per il meglio!

Silenzio.

“FFFFFUUUUUUUUUCCCCKKKK!!! Ma chi voglio pigliare per i fondelli?? Non la troverò mai, mai, mai!!”, sbatteva la fronte contro il tavolo, ormai partito per la tangente. “Dopo tutto quello che ho fatto per quest’azienda … sì, se non fosse stato per me sarebbero a sguazzare nel letamaio … mi ripagano così … porci bastardi … matrimonio … tre mesi … ragazza … matrimonio … tre mesi … ragazza … candidatura … uccidere mia sorella … cioè, no … meglio la cintura di castità … matrimonio … matrimonio … matrimonio … matrimoniomatrimoniomatrimonio …”, si era inceppato il disco del suo cervello, portandolo a figurarsi orridi scenari di vita coniugale, quali ad esempio lui e Misa circondati da un esercito di bambini urlanti.

Brrrrrr …

Basta! C’era un’unica cosa da fare! Lui era un uomo e come tale avrebbe risolto la cosa!

Light volò quindi nel suo ufficio e lì si rinchiuse a chiave, frugando freneticamente dentro gli scomparti segreti dei suoi cassetti, là dove le mani indiscrete delle colf non arrivavano.

Prese il pacchetto lì nascosto e lo guardò sinistramente, valutando i pro e i contro. Forse sarebbe morto di overdose quella notte, ma a chi gliene sarebbe importato in tutta onestà? Ai suoi? A sua sorella? Alla Corporation?

Mal che gli andava, l’avrebbero ritrovato il mattino dopo in coma o agonizzante. Inoltre, c’era sempre il bagno per ripulirsi in caso avesse sentito i primi dolorosi crampi. Consolato da quest’ipotesi, Light allora lacerò il pacchetto, risoluto a sguazzare nel suo personale e unico vizio per tutta la notte.

Prese una patatina e se la mangiò.

 

 

***

 

 

La sveglia elettronica aveva appena segnalato le nove meno un quarto quando Mello - già reduce di una nottata infernale in seguito ad una portentosa litigata con Sayu - percepì un corpo estraneo sopra di lui. Subito, pensò trattarsi di Matt in vena di coccole mattutine, ma la sua mano schiaffata via quando fece per abbracciarlo scardinò brutalmente la sua teoria.

Allora, lottando contro le sue stesse palpebre pesanti ed assonate, il manager tentò di aprirle quel tanto da conoscere in via definitiva l’identità di quel mattutino scocciatore che si era divertito ad entrare in … casa … sua … senza … permes- …

Oh, diavolo! No, non era possibile!

Solo due categorie di essere umani potevano agire così: o i topi d’appartamento o …

Col cuore in gola, Mello osò schiudere una palpebra, spiando timidamente e apprensivo di sottecchi l’individuo che gli si presentò dinnanzi. A causa della fitta penombra, scorse solo un paio di occhi neri come l’onice e un sorriso non dissimile a quello del Cheshire Cat.

“Wakey, wakey! I’m back sweetheart …”, gli schiaffeggiò questi affettuosamente le guance.

Mello percepì il mondo crollargli addosso.

E tanto ne era sconvolto, da volerlo condividere ad alta voce.

“AAAAARRRRRRRGGGGGGHHHHHHH!!!!”

Appunto.

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove il Domatore fa la sua entrata ufficiale in scena.

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Eccoci qua!

Ebbene sì, dal prossimo capitolo L farà il suo ingresso trionfale! XD Siccome ho letto nel vol.13 di Death Note (How to read) che lui è anche inglese, ho messo le sue prime battute appunto in inglese. Piccoli sghiribizzi d’autrice … >_>

E se ci avete fatto caso, mi sono pure divertita a mettere la citazione della mitica frase delle patatine! XD Sono il male, sìsì! Specie quando hanno detto che creano effettivamente una seria dipendenza, come la droga! E il povero Light rischia sul serio grosso! XD Un tempo anche a me piacevano, ma poi ho dirottato verso i dolci. Grrrrrr … mai che ci si possa rilassare! XD

Spero che anche questo capitolo via sia piaciuto e vi aspetto al prossimo!

Ciao!

 

 

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Capitolo 3
*** Laddove il Domatore fa la sua entrata ufficiale in scena. ***




Salve a tutti, rieccomi qua!

Torno dopo i festeggiamenti del mio compleanno e reduce da degli oneri universitari assai pressanti. Ora che ho un briciolo di tempo, proseguo con questa storia!

Il 3° capitolo che state per leggere è l’ultimo della parte introduttiva: da adesso in poi incomincia la “vera” storia. Infatti, all’appello mancava il secondo protagonista e speriamo che non deluda le aspettative! XD

Per non fare pericolosi spoiler, a fine capitolo ho messo le mie giustificazioni circa alcune mie scelte sui personaggi, così da non far arrabbiare i duri e puri di DN!

Infine, un enorme ringraziamento ai miei lettori e recensori, in particolare a Crazy_Dada e Sagitta72; a Lupa Nera e a Sagitta72 che hanno messo questa storia tra le preferite e Candy14 che l’ha messa tra le seguite.

Vi lascio alla lettura del capitolo!

Buon divertimento (si spera),

 

 

 

H.

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Capitolo 3: Laddove il Domatore fa la sua entrata ufficiale in scena.

 

 

 

 

 

*flashback*

 

Nello stesso istante in cui Light Yagami chiudeva la chiamata, la di lui sorella, Sayu Yagami, era scoppiata in una sonora risata attirando l’attenzione di Mello, il quale la fissò a lungo interrogativamente per poi scrollare le spalle e riprendere il suo lavoro così da terminarlo abbastanza presto, in modo da poter ritornare a casa il prima possibile: la grottesca scenetta del pranzo e tutto il suo stress annesso e connesso, unita ai rimasugli dello choc post-volo, gli aveva fatto venire un portentoso mal di testa. L’unica cosa che il manager desiderava in quel momento era una bella pastiglia, un bicchierone d’acqua fresca, una barretta di cioccolato fondente all’arancia e le coccole di un Matt per una volta buono, tranquillo e possibilmente soggiogato.

 Infatti, mentre Sayu era stata impegnata a rompere le pigne, pardon, a discutere amabilmente col fratello, egli aveva controllato l’incisione nel registratore caduto al paparazzo malmenato dal giovane Yagami. Inutile dire quanto freddi fossero stati i sudori che gli erano venuti: il delinquente ficcanaso aveva in sostanza registrato tutto, ma proprio tutto, fino all’ultima parolina scambiatasi tra di loro. Del vero materiale bomba per le riviste perennemente avide di gossip e chissà quanto quel fotografo aveva intenzione di farsi pagare anche per trenta secondi di quella registrazione!

No, per fortuna che nella sua collerica intemperanza, nonché vista acutissima, Light gli si era gettato addosso appena in tempo!

Ciononostante, Mello non riusciva a felicitarsi troppo di quanto successo, né a respirare eccessivamente di sollievo. Certo, quel paparazzo era stato un po’ sventato (avvicinarsi a Kira senza le debite precauzioni, ergo sgabello e frusta), tuttavia rappresentava la prova tangibile che la stampa era alle calcagna di Sayu, in cerca dello scoop del secolo, altresì noto come dello sputtanamento pubblico con tutti i crismi, benedizione del Papa inclusa. L’atteggiamento adottato dalla giovane attrice faceva, in effetti, troppa gola ai  giornalisti e paparazzi, per scoraggiarsi perfino dinanzi alla furia del Bisbetico e ciò sottolineava il loro fermo e perverso proposito di trasformare Sayu nella Lindsay Lohan o Britney Spears nipponica.

E questo Mello non lo digeriva. E non per chissà quale scrupolo di coscienza o intimo affetto nei confronti di quella peste patentata della sua cliente, bensì perché non desiderava affatto vedere anni di coliche, mal di testa e vita nomade vanificati per colpa del primo scimmiotto che passava. Aveva il suo orgoglio, maledizione! Quando aveva lasciato il suo impiego alla filiale tedesca della Wammy’s House per mettersi in proprio – sebbene in un altro settore – aveva giurato a se stesso e ad un certo nanetto insopportabile che sarebbe divenuto il migliore nel suo campo e che avrebbe fatto prosperare a livelli stratosferici il/la suo/a cliente.

Il bello era che ci stava riuscendo alla grande: Sayu era perfetta. Non solo era indiscutibilmente carina, ma era un’attrice nata, una dissimulatrice paracula melodrammatica di finto agnellino dal cuore d’arpia! Meglio di così! A ventun anni era riuscita là dove molte delle sue connazionali si sognavano nella loro profonda fase rem: ingaggi all’estero. Fama internazionale. Parti sempre più rivelanti, fino all’ultimo cui doveva presentarsi fra l’incirca una settimana che era da protagonista. Meraviglioso!

Se non fosse stato per il suo vizietto! Quell’odiosa tendenza verso l’eccesso! Verso … verso … argh! Com’era possibile? Com’era possibile che Madre Natura fosse stata così sbilanciata nell’elargire i suoi doni? La colpa, rifletteva Mello, era però anche dei genitori della ragazza: si erano troppo focalizzati a reprimere il maschio – per non dire di peggio – da accorgersi che intanto la figlia scorazzava libera e selvaggia, in piena balla alta. Tentare di educarla, ora come ora, era effettivamente troppo tardi; rimaneva solo il tentare di contenerla, anche a costo di incorrere nei suoi tantrums e ricatti sentimentali. Infatti, per quanto Mello non le fosse di molto più vecchio, Sayu a causa delle sue continue prediche e infiniti ammonimenti lo trattava come se fosse stato suo padre. E a Mello, ch’era anch’egli un essere umano e grazie mille, questo ruolo risultava leggermente indigesto: piuttosto di avere una “figlia” del genere, si offriva volontario per un’operazione di vasectomia.

Vanità? Forse.

In ogni modo, doveva escogitare un sistema per porre un freno a Sayu, prima che lei distruggesse con le sue stesse mani l’intero operato del suo manager. In vista, dunque, di tale scopo ora il matrimonio si presentava doppiamente interessante e la lista dei cicisbei che morivano dietro all’attrice era inoltre assai lunghetta, quindi non mancavano di materia prima per scegliere quello più adatto.

Già, quello adatto.

Ma chi? Chi poteva irretire o far innamorare – a ciascuno la sua personale interpretazione- quell’assatanata di Sayu Yagami? Lì la faccenda si complicava di quel poco!

Eppure … eppure …

Il tizio di San Francisco!

A Mello non era sfuggita quell’espressione sognate, diabetica e totalmente sbarellata che Sayu aveva dipinta in volto quando lo aveva descritto seppur brevemente e con tante omissioni all’amica e alla madre. Che fosse il tanto agognato Mr. Right? Se così fosse, doveva conoscerlo, studiarlo e approvarlo, bien sûr! Dopodiché,  si sarebbe adoperato in ogni meschino trucco affinché i due si sposassero! Così, intanto per calmare le acque. Al divorzio ci si poteva sempre arrangiare in seguito e gli accordi prematrimoniali erano stati inventati per un qualche scopo. Non rimaneva altro da fare, quindi, che scoprire l’identità di questo moscone americano.

“Ne avrai ancora per molto?”, si lagnò ad un certo punto Sayu, fornendo a Mello l’occasione propizia per incominciare il suo discorso senza destare sospetti. “Sono quasi le otto di sera! Cosa dirà Matt nel vederti rincasare sempre più tardi? Penserà che abbiamo una tresca!”

“Scusa se sto lavorando anche per te”, replicò incolore il manager, digitando sul file word le ultime parole, per poi salvare il tutto e spegnere infine il suo portatile. “Eppoi, dubito che Matt sia così cretino da credere a tali fesserie …” e omise accuratamente che invece sì, a volte il suo compagno gli faceva scenate orribili per i suoi ritardi, accusandolo di essere non solo passato alla barricata opposta della (omo)sessualità, ma pure di intendersela allegramente con Sayu. E come non dargli torto? Con la scusa di vegliare sull’attrice, Mello era costretto a seguirla pressoché ovunque anche in luoghi di dubbia fama, alas! A tutti sarebbe sorto un certo dubbietto e a Matt più di chiunque altro, vista e considerata la sua natura gelosa (anche se a prima vista non si sarebbe mai detto).

“Piuttosto”, riprese il manager “come mai questa fretta di rispedirmi a casa? Stai aspettando forse qualcuno?”, inquisì con nonchalance, le orecchie al contrario ben tese.

Sayu fece spallucce. “No, nessuno!”, rispose, lasciandosi cadere sul divano e facendo pigramente zapping sui programmi televisivi. “Dovrei?”, aggiunse mielosa, riservandogli quei sorrisini da bimba innocente, che sotto sotto progettava cento e più modi per fregare il suo interlocutore.

Fortuna che Mello sapeva accorgersene in tempo: del resto, era stato addestrato dal re dei cacciaballe, quindi era abituato a fiutare a mille miglia una panzana. “No, così. Per parlare”, si schermì, prendendo posto davanti alla ragazza. “Sai, oggi avevi raccontato a pranzo di quel tizio di San Francisco, uno studente universitario giusto? Non avevi detto, che ti aveva seguito fin qui a Tokyo? Allora, pensavo che fosse lui, quello che stavi attendendo!” e, intanto che pronunciava queste parole, studiò attentamente le varie espressioni facciali dell’attrice: anche se Sayu recitava in continuazione anche coi parenti, al contrario con lui non ci riusciva.

“Oh, lui! Perché, lo vuoi conoscere?”

Perspicace la mocciosa.

“Non sarebbe una cattiva idea, visto che sono il tuo manager e devo curare – oltre alle tue finanze – anche la tua persona e immagine pubblica!”

Un risolino divertito sfuggì dalle labbra della ragazza, che stiracchiandosi birichina affermò: “Ma non mi avevi sempre ribadito quanto la mia vita sentimentale non ti concernesse e che potevo fare quel che volevo?”

Argh, touché!

“Questo discorso te lo feci quando ti comportavi ancora da persona normale, con normali standard di libido e una vita abbastanza regolare e sana. Ma ora, viste e considerate le nuove e pressanti circostanze, direi che ti converrebbe grandemente scegliere con più criterio chi ti sta intorno e giacché più volte ti sei dimostrata incapace di farlo, mi ritrovo costretto ad assumere io questo incarico! Senza contare , che se tu hai delle intenzioni serie, spero che almeno tu abbia il buon gusto di non farmi scoprire l’identità del tuo meco tramite le riviste di gossip!”

“Davvero? O perché hai progetti su questo mio spasimante?”, s’informò Sayu con falsa noncuranza, giocherellando col telecomando e guardandolo obliquo.

Uff, la piccola scimmietta aveva mangiato la foglia: beh, non era mai stata stupida. Viziata, birbante, dalla lingua lunga, ma mai stupida e di certo gli anni trascorsi nell’ambiente assai ambiguo dello spettacolo l’avevano smaliziata ulteriormente.

Tanto valeva a quel punto mettere le carte in tavola.

“Non sarebbe una cattiva idea quella del matrimonio, Sayu. Ho riflettuto a lungo su quanto è successo a pranzo e sono giunto alla conclusione che la stampa ci sta col fiato sul collo. Oggi siamo stati fortunati che quel paparazzo aveva deciso di colpire proprio quando tuo fratello era nei paraggi, ma domani? O fra una settimana quando ritorneremo ad LA? Ci hai pensato? Non sono la tua body-guard e non posso sorvegliare ogni tuo singolo movimento!”

Sayu annuì pensosa. Effettivamente, anche lei vi aveva meditato sopra in quei rari periodi di relativa calma. Per quanto la sua giovanissima età la scusasse di molti eccessi e malgrado i suoi fan semplicemente adorassero il suo atteggiamento di disinibita ribelle, alla ragazza a volte sorgevano dei profondi rimorsi, in particolare quando pensava alle facce della sua famiglia ogniqualvolta la stampa raccontava maliziose malignità (vere) sul suo conto. Doveva sentirsi invero imbarazzata.

“Sposarmi, hai detto?”, ripeté piano la giovane, pensosa.

“Sì, sposarti.”

“E con chi?”

Mello arcuò perplesso il sopracciglio: come con chi? Ma non aveva quel cavalier servente di San Francisco? Lo stava pigliando forse per cretino, oltre che per i fondelli? “Con chi vuoi, purché tu me lo faccia conoscere in anticipo! Deve essere un tizio dabbene, non c’è bisogno di alimentare ulteriormente il fuoco dei pettegolezzi!”

Risatina sarcastica. “Oh, Mello! Sei peggio di mio padre!”, rise di cuore Sayu, scuotendo divertita il capo alla vista del rossore tingere le gote del suo manager, che subito boccheggiava un’oltraggiata protesta.  “In ogni modo, è impossibile. Tradizione di famiglia.”

“Quale? E perché?”, le domandò l’uomo di bruciapelo, ficcandosi le mani per bene nelle tasche: il cuscino, infatti, appariva molto vicino ed allentante …

Silenzio carnivoro.

“Perché io, carissimo Mello, ho intenzione di sposarmi solo quando Light lo farà!”

Mello spalancò la bocca, devastato.

Una martellata sui gioielli di famiglia sarebbe stata meno dolorosa di quell’orripilante notizia.

 

*fine flashback*

 

 

***

 

 

E siccome il cane mordeva lo sciancato, destandosi un mattino  da sogni inquieti, il signor Michael Keehl si ritrovò non tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto, bensì scoprì sopra di sé un conoscente che da lungo tempo non vedeva e che ora gli sorrideva tranquillo, quasi si fossero congedati il giorno prima.

“AAAAARRRRRRRGGGGGGHHHHHHH!!!!”, ruggì giustamente  imbizzarrito Mello, scrollandosi di riflesso immediatamente di dosso la persona appollaiata su di lui, la quale cadde dal letto in un sonoro tonfo. Scattando poi seduto, il biondo gattonò in avanti così da meglio contemplare da sopra lo scocciatore mattutino riverso per terra, il quale si stava rimettendo in piedi, massaggiandosi nel frattempo il posteriore illividito dalla caduta fuori programma.

“Uhm”, fece quello con noncuranza, riprendendo impunito posto sul letto accanto a Mello “ora comprendo molte cose sulla vita di coppia tua e di Matt: diamine, se questo è il risveglio che gli riservi ogni mattina, anch’io ti costringerei ad abbuffarti di cioccolata …”

Ignorando volutamente la frecciatina sul suo esagerato consumo di cioccolata (cui nulla aveva a che fare con un certo appagamento carnale), il manager ribatté scocciato: “Vorrei ricordarti che Matt non ha la cattiva abitudine di introdursi di soppiatto nelle case altrui, in particolare nella camera da letto, quando i loro proprietari stanno dormendo, così da svegliarli di soprassalto!”

Il giovane moro scrollò le spalle, incurante. “Oh beh, il danno ormai è fatto. A proposito, è stato Matt ad aprirmi la porta: l’ho incrociato proprio mentre stava scendendo per comprare qualcosa da mangiare a colazione. Perché figurati se mi accontento solo della tua cioccolata!”, scherzò, mordicchiandosi sornione l’unghia del pollice. “Ad ogni modo, anche al tuo meco è quasi venuto un infarto nel vedermi!”

“E ci credo!”, esclamò Mello, stupefatto dall’aria interrogativa dell’altro. In un balzo scese dal letto e si recò in bagno per una rapida toeletta prima di riconcentrarsi sull’ospite. “Insomma”, continuò da dietro la porta a voce più alta per sovrastare lo scroscio dell’acqua del rubinetto “ti avevamo quasi dato per disperso, Mr. Lawliet Coil-Deneuve! Ti rendi conto che sono quasi sei anni che sei sparito dalla circolazione? Uno certe idee se le fa …”

“Sparito dalla tua circolazione, volevi dire!”, lo corresse semiserio L., puntandogli contro il dito onde rafforzare il concetto. “Se mi cercavi, mi trovavi.”

Mello sbuffò scettico: quando L. non voleva farsi trovare, era bravissimo ad eludere ogni tentativo di contatto, neanche fosse in latitanza criminale. “Piuttosto, dove sei stato in tutti questi anni?”, inquisì invece, uscendo dal bagno una volta resosi più presentabile.

“Ho fatto camping  a scrocco nel giardino di BB!”, gli rispose solenne il moro, tamburellando le dita magre sulle ginocchia portate al petto, una brutta postura che aveva inspiegabilmente acquisito da bambino e che si era trascinato appresso durante la sua crescita, con somma disperazione del suo fisioterapista.

“Di Beyond Birthday?”

“No, di Brigitte Bardot!” (Nel suo periodo d’oro e ancora adesso, la famosa attrice francese è anche conosciuta come BB, ndr.), lo corresse L. senza troppo entusiasmo, ritornando al martirio della sua unghia.  

“Ovvio, di quel pirla del mio fratellastro! All’inizio avevo in progetto di porgergli una visitina - sono secoli che non ci vedevamo - ma una volta raggiuntolo negli States, non lo trovai in casa: il mio patrigno mi riferì essersi trasferito nel campus universitario. Quale poi, non me lo volle rivelare! Chiamai dunque BB al cellulare e figurati se quel buzzurro mi rispose. Allora ho rinunciato al mio progetto familiare e da quel momento sono stato un po’ di qua, un po’ di là. Mi sono immerso nel lavoro! Sai, avere un’idra al posto di una ditta non è affatto un lavoretto rilassante! La Wammy’s House negli ultimi anni si è espansa in maniera troppo rapida e necessita di continui controlli, senza contare la ciliegina sulla torta, ergo che i manager competenti sui quali puoi fare affidamento si contano sulla punta delle dita … E a proposito di manager: se vuoi ritornare, sei sempre il benvenuto!”, gli propose il moro, malgrado già si aspettasse una risposta negativa da parte di Mello, il quale puntualmente dichiarò convinto:

“Solo quando mi presenterai su di un piatto d’argento la testa di Near con una mela caramellata in bocca!”

Near, o Nate Rivers, era il presidente della filiale americana della Wammy’s House: lui e Mello si volevano bene quanto un cobra è follemente innamorato di una mangusta. Entrambi abili e sfrontati nel loro lavoro, non si potevano vedere neppure dipinti e a nulla era servito spedirli in filiali diverse per l’antica legge del “occhio non vede, cuore non duole”: la rivalità tra i due era così accesa, che Mello, non sopportando più quel che lui chiamava “il nano bagondi albino”, aveva preso la decisione di abbandonare la Wammy’s House con sommo dispiacere di tutti i vertici, L. compreso.

Lo scatto della serratura della porta d’ingresso interruppe la conversazione tra i due uomini, attirando brevemente la loro attenzione verso l’entrata: doveva essere di certo Matt che rientrava dalla sua spedizione con qualche dolciume extra e molto caffè per preparare un’abbondante colazione.

“Toh, Willy Wonka è ritornato!”

Sporgendosi dalla stanza, Mello chiamò il compagno, aggiungendo poi: “Hey, hai bisogno di una mano?”

Dalla cucina, il suo compagno sbuffò sarcastico: “Non c’è bisogno di fare il carino solo per impressionare positivamente L.: tanto lui lo sa che in casa sei un bradipo sfaticato!”

“Senti che falso! Tutte balle, non credergli!”, sussurrò piccato Mello ad L., intanto che lasciavano la camera da letto per il salotto. Una volta lì, i due presero posto su di un divano, uno di fronte all’altro, scrutandosi in profondo silenzio.

Vi era in effetti qualcosa di strano nell’inaspettato ritorno di L. dopo anni di latitanza, in cui aveva praticamente tagliato i ponti coi suoi amici. Non che Mello se ne fosse stupito più di tanto: sul lato affettivo, il moro era sempre stato un po’ eccentrico, specie quando in lui sorgeva il bisogno di isolarsi dal mondo. E la stranezza era che allo stesso tempo riusciva a gestire efficientemente un’organizzazione in rapida espansione, eludendo tuttavia ogni contatto umano. Il merito doveva essere molto probabilmente del suo prozio ed ex-tutore Quillish Wammy (o Watari come lo aveva molto gentilmente soprannominato la sua consorte giapponese), il quale malgrado fosse da molti anni in pensione ancora si sottoponeva ai “capricci” del pronipote, seguendolo ovunque per il globo terrestre.

Ed era stata  questa, appunto, la prima nota stonata percepita da Mello.

Watari.

Dove cavolo era finito Watari? A memoria del biondo, L. non si privava mai della compagnia dell’arzillo vecchietto: non si era mai scorto l’uno senza l’altro. Cos’era successo? Ora che osservava meglio L.,  Mello appurò non senza una certa ansia che quest’ultimo portava un improbabile completo nero, giacca e cravatta inclusa, benché ormai ben avviato sul viale della sgualcitura e di un collage di macchie varie tra caffè, tea e dolciumi e i pantaloni neri già lordi di fango fin quasi al ginocchio.

 Che Watari fosse …?

“No, Mello. Watari è più vivo e pimpante di quanto tu possa immaginare”, gli lesse L. nella mente, ringraziando Matt della chicchera di caffè offertagli e riempiendogliela subitaneamente di ben cinque zollette di zucchero. “Anche fin troppo, a volte.”

“Allora, come mai non è qui con te?”, s’informò Matt, cedendo la tazzina ricolma di cioccolata calda al compagno, per poi sedersi sulla poltrona ed accendersi una sigaretta: non era sua abitudine colazionare alla mattina.

“L’ho scaricato in Italia. Aveva delle commissioni da sbrigare; mi raggiungerà a breve. Certi oneri preferisco lasciarli a lui che a Roger”, fu la concisa risposta di L., lo sguardo ben fisso sul piccolo maelstrom di caffè creatosi all’intero della tazza. Dopodiché sospirò, appoggiando il cucchiaino sul vassoio e arcuando il sopracciglio alla vista di una macchiolina di caffè imbrattargli il bordo della camicia. “Mia madre è morta un mese fa e il suo funerale è stato la settimana scorsa. Strano non l’abbiate sentito al telegiornale. In ogni modo, per questo motivo ho deciso di anticipare il viaggio qui in Giappone. Ricordavo di avervi organizzato a breve un giro di ispezione e allora ho colto questa chance per distrarmi un po’ …”

Un incomodo silenzio scese nell’appartamento in seguito alla triste notizia, soprattutto perché L. l’aveva pronunciata con estrema noncuranza, quasi stesse discorrendo amabilmente del tempo.

Umettandosi le labbra, Mello indagò lentamente, incerto sulla possibile reazione dell’amico: “Sei stato da tua … madre? E … c’erano anche BB e il tuo patrigno? Cioè … so che da tempo tua madre non abitava più neanche da loro … ” L’uomo era invero stupefatto da tale novità: di tutti i posti nei quali L. poteva mai rintanarsi, a casa della genitrice era l’ultimo cui il biondo avrebbe pensato, parola sua! Forse il non essere stato ricevuto da BB sei anni addietro doveva averlo sconvolto. Non che il rapporto trai due fratellastri fosse rose, coniglietti e cupcakes, ma era sempre meglio BB che la madre di L.! Almeno, il primo era appurato che fosse un poco di buono – se non di peggio  -  mentre l’altra …

“Sì, sono stato suo ospite a partire dall’anno scorso. No, i due gaglioffi non si sono presentati che tranne per il suo funerale, per poi ritornarsene al primo volo disponibile in America. Perché?”, annuì L. con un candore disarmante, quasi si fosse stupito di quella domanda.

“Ma ci sei andato di tua iniziativa?”, s’informò Matt, interdetto.

“Non proprio. Lei mi ha telefonato comunicandomi di essere malata terminale di cancro e che era suo desiderio vedermi prima di tirare le cuoia.”

“Pfui, baldracca …”

Pungolati da quell’esclamazione, L. e Matt puntarono i loro sguardi interrogativi su Mello, il quale, appoggiando la tazzina vuota sul tavolino, spiegò loro il motivo per il quale aveva utilizzato un aggettivo così poco onorevole: “Sì, baldracca! Ha avuto davvero una bella faccia tosta a volerti accanto quand’era in punto di morte, dopo essersi lavata le mani di te e di tuo padre per ben ventisei anni! Insomma L., non hai un po’ di amor proprio?”

Divertito dall’appassionata protesta dell’amico, il moro replicò serafico, abbozzando un mezzo sorrisetto obliquo: “Se ti può consolare, mi ha ripristinato come erede dei suoi beni assieme a BB …”

Silenzio.

“Oh beh, allora è comprensibile!”, riconsiderò Mello la sua affermazione. Se la metteva così, la faccenda assumeva di conseguenza tutto un altro significato. Tzé, come se in questo modo la donnaccia avesse potuto rimediare adeguatamente al torto compiuto ai danni del figlio di primo letto! A quanto pareva, il fatto di essere stata a sua volta abbandonata dal secondo marito e dal secondo figlio doveva esserle stato assai utile per un rigoroso esame di coscienza.

“Eri in pensiero per me, Michelino?”, lo guardò a lungo L. , una bizzarra espressione mista di sarcasmo e affetto dipintagli in volto. Arrossendo fino alla punta dei capelli, il manager borbottò offeso la sua infantile protesta:

“No e ti pregherei di non usare quel nomignolo davanti a Matt: rischierebbe di impararlo e usarlo contro di me!”

L. sospirò teatralmente, sorseggiando placido il suo caffè zuccherato fino allo stomachevole. “Peccato, lo trovavo molto carino. Quanto ad ogni mio eventuale stress emotivo, non ti preoccupare per me: stare con mia madre è equivalso né più né meno ad un viaggio di lavoro, solo più lungo e senza orari fissi. Senza contare che ora, grazie al suo ravvedimento finale, posso quasi considerarmi un ereditiere!”

“Come se avessi bisogno dei suoi luridi soldi!”, roteò gli occhi il biondo, dividendo a metà il suo croissant ripieno di cioccolata con un po’ troppa foga e sporcandosi di conseguenza le dita della densa crema.

“Uh? Certo che sei proprio acido stamattina, Mello! Per caso Matt fa i capricci a letto?”, inquisì falsamente scioccato il moro, sgranando gli occhi neri e cerchiati da occhiaie, che gli conferivano una certa aria pandesca. Immediatamente, uno dei diretti interessati scoppiò a ridere di gusto, scalciando divertito le gambe in aria e reggendosi la pancia. Resosi conto di aver offerto quel che si dice un quite a show, Matt cessò bruscamente il suo scatto di ilarità, approfittandone per spegnere la sigaretta e guardare in silenzio prima un L. in piena fase nesci, poi un Mello veleggiante per il Mondo delle Idee. E fu grazie all’espressione imbarazzata di quest’ultimo che Matt, in barba ad ogni eventualità di ritorsione, si esibì in una seconda e ponderosa sganasciata, guadagnandosi dal compagno una cascata di cuscinate, nel frattempo che tentava di replicare una scusa plausibile per quel suo commento assai alla Bisbetico:

“No, non … e tu non ridere razza di beduino!” e via altre cuscinate. “No, non è questo … è che … nah, lascia perdere! Sono solo molto stressato!”

“Stressato? Direi scoppiato!”, puntualizzò Matt tra una cuscinata e l’altra, difendendosi a malapena e sganasciandosi indecentemente dalle risate.

“Matt …”, l’ammonì Mello, sventolandogli all’occasione sotto il naso il cuscino o l’indice.

Appoggiando il mento sulle ginocchia, L. inquisì, le iridi scure luccicanti di infantile curiosità: “Dimmi, dimmi: quale entità extraterrestre è riuscita nell’ardua impresa di esasperare il tosto e impassibile Michael Keehl?”

“Una sola e molto malefica …”

“Matt …”

Bloccando il compagno in  una ferrea presa, ponendo così fine alla morbida lapidazione, Matt esclamò: “Eddai, Mello! A lui possiamo dirlo! L. è la discrezione fatta persona!”

“Quando non si ubriaca con le Red Bull!”, fece scettico il biondo, armeggiando per sciogliersi dalla prigione di carne della quale Matt lo aveva rinchiuso. In effetti, la famosa bevanda energetica era la morte di L., poiché racchiudeva due dei suoi peggiori vizi alimentari: la caffeina e lo zucchero. Di conseguenza, quando il moro eccedeva nel suo consumo, era forse uno dei pochi esseri umani presenti sulla terra a riuscire ad avvinazzarsi con essa.

“Peccati di gioventù. E comunque ti assicuro che al momento non sento il bisogno di sbronzarmi con esse! Avanti, biondino, spara!”, abbandonò L. la sua postazione per ri-appollaiarsi sul divano nel quale erano ingarbugliati il padrone di casa e il suo compagno.

“Uff e va bene!”, capitolò Mello sfinito, più che altro perché stare a testa ingiù di prima mattina dopo aver colazionato non era molto salutare per una rapida e serena digestione. Rimessosi quindi in una posizione che non prevedesse il flusso del sangue all’incontrario, il biondo confessò all’amico il suo intimo cruccio: “Si tratta della mia cliente, Sayu Yagami. Ieri sera abbiamo avuto un pesante alterco: a quanto pare, si era prefissata di castrarmi senza anestesia!”

“Ulà, sembra doloroso! Il motivo?”, s’informò subitaneamente L., la cui memoria all’udire quel nome si era all’improvviso messa a lampeggiare. Era sicuro al 45% di aver già sentito nominare “Yagami” da qualche parte, solamente in un contesto differente. Ma quale? Uff, gli svantaggi del fuso orario!

E tanto era la sua espressione concentrata, che Mello la scambiò per confusione e, onde non doversi sfogare per una mezzora per poi sorbirsi una faccia ebete e un’affermazione tipo: “Scusa, non ho capito niente!”, appunto per evitare questo volle prima testare quanto l’amico fosse preparato in materia:

“Sai almeno di chi stiamo parlando?”

L. abbandonò la cupcakes che aveva intenzione di ingerire intera, appoggiandola sul piattino. Dopodiché, si stiracchiò leggermente, si sciolse la cravatta nera ingombrante, tamburellò le dita sulle ginocchia e partì più indiavolato di un jukebox nella sua solenne professione di ignoranza: “Sayu Yagami è un’attrice talentuosa ma problematica nativa di Tokyo e anche piuttosto belloccia. Ha ventun’anni; segno zodiacale Gemelli; taglia 36; numero di scarpe oscillante tra il 36 e il 37 a seconda se porta il tacco o meno. Ha la terza di reggiseno e non usa il push-up. Indossa volentieri le gonne e porta i pantaloni solo quando è un po’ indietro con la ceretta. Predilige gli abiti chiari, così che si vedano in controluce le sue forme. Quando parla in inglese ha una lievissima zeppola. Le piacciono gli animali, sebbene sia troppo pigra per tenerne uno. Ah sì, dimenticavo che lei sarà la causa della tua morte per ulcera fulminante dopo averti indotto all’alcolismo. Se non creperai prima di diabete, ben inteso. No, non l’ho mai sentita nominare, chi è scusa?”

La capacità di sintesi di L. era certe volte perfino commovente e di questo sia Mello che Matt dovevano dargliene atto. In ogni modo, non era quello il “Yagami” che il cervello di L. si era incaponito di scovare, ma questo, i suoi due amici non potevano saperlo.

“Ebbene, ultimamente ci sono capitate tra capo e collo delle belle rogne, tutte riconducibili al pessimo comportamento adottato da Sayu …”

“Pessimo? Osceno! Per colpa di quella bagascia, trascorri più tempo con lei che con me!”, protestò vivacemente Matt, tutta la sua aria allegra ingollata in un sol boccone da una crescente gelosia. Lanciandogli l’ennesima occhiataccia ammonitrice che lo intimava di fumarsi in totale silenzio la sua sigaretta, Mello proseguì lievemente frustrato per tutte quelle interruzioni:

“Dicevo …   A causa della sua sconsideratezza, il numero di pettegolezzi non esattamente lusinghieri sul suo conto sta aumentando a dismisura. Per porvi rimedio, le avevo proposto … ehm … di sposarsi, ecco. O di trovarsi almeno un ragazzo fisso!”

“Ma lei ha rifiutato?”

“Ah, qui viene il bello L.!”, commentò spassionatamente Matt, spegnendo la sigaretta e accendendone subito un’altra. E fu un bene, giacché i muscoli facciali di Mello si erano tesi allo spasimo, neanche fosse in procinto di vomitare chissà quale orrida verità.

“No, non ha rifiutato. Ha fatto di peggio” Lungo sospiro affranto celato da un ringhio di pura frustrazione.  “Sayu mi ha detto che lei si sposerà quando Kira lo farà!” Ecco, l’aveva sputata e Mello si sentì d’un colpo più leggero, tanto da abbandonarsi sullo schienale del divano e affondare ogni amarezza nella cioccolata extrafondente.

“Kira?”, ripeté confuso L.

“Light Yagami, il fratello maggiore”, gli spiegò sottovoce Matt all’orecchio, tra una boccata e l’altra.

“Ah! E dov’è il problema?”

Mello scattò in avanti, ogni senso di benessere post-sfogo gettato alle ortiche. “E’ questo il punto! Non capisci? Finché quel … coso non si sposerà, Sayu persevererà nel suo sabba autodistruttivo!”

“Ma se te l’ha detto, vuol dire che Light o Kira o come diavolo si chiama ha intenzione di sposarsi, no?”

“No!!! Era una battuta! Una balla! Una presa per i fondelli! Dirmi quello equivaleva ad un: “Mi sposerò alle calende greche!” o “Al giorno del mai!” o “Quando i maiali voleranno in cielo!” o … Insomma, è più probabile che Matt diventi la madre dei miei figli piuttosto che Light Yagami si sposi!”, sbottò alla fine esasperato.

“E’ messo così male?”, inquisì giocosamente perplesso il moro, lanciando una rapida occhiata al ventre di Matt per degli eventuali accertamenti; piccato per l’improbabile maternità  erroneamente attribuitagli, il ragazzo gli elargì una sonora pernacchia minatoria.

“Nah, fisicamente è anche carino, solo che ...”

“… che ha un carattere da sparasi in bocca!”, fece finta Mello di non aver né visto né sentito niente, terminando al posto del compagno la frase onde evitare rivelazioni scottanti o insulti gratuiti a seconda dell’umore dell’altro.

“Ah sì?”

“Yup”, annuì Matt gravemente “è un gorgone spietato. Un gran tamarro bisbetico, cinico, paranoico, cafone, mitomane, esibizionista, esagitato, collerico, psicopatico, mestruato figlio di putt- ehm, papà …”

“Noto che gli volete molto bene!”, commentò semiserio L., scuotendo il capo corvino. Nel frattempo, la sua mente si chiedeva se fosse quello il “Yagami” che stava cercando. Insomma, era un cognome particolare, doveva essere lui! Bah …

“Sarà. In ogni caso, il suo caratteraccio insopportabile gli è equivalso il soprannome di Kira, cioè il Killer!”

“Solo perché fa un po’ il bullo con gli altri?”, sdrammatizzò il moro, scartando la quinta cupcakes ed ingoiandola in un sol boccone. “Certo che oggigiorno si frigna per niente! Saranno gli ormoni! Se non sbaglio dev’essere abbastanza giovane da come me lo descrivete!”, sbiascicò a bocca piena.

“In effetti, sta veleggiando verso i ventiquattr’anni …”, ammise a malincuore Mello, concedendogli la carta della giovinezza scapestrata e instabile sentimentalmente parlando.

“Tuttavia, non mi avete ancora spiegato perché lui non si dovrebbe sposare!”, ribadì testardo L., ripulendosi le dita zuccherine sui pantaloni. “Ha un caratterino un po’ difficile, ma chi non ha i suoi difettucci?”

“Chiamali difettucci!”, grugnì scettico Mello, le braccia incrociate al petto. “È un mostro ti dico! Nessuna donna sana di mente lo avvicinerebbe! Nessuna donna sana di mente e con certe brame da soddisfare, non so se mi spiego …”, abbassò poi la voce, roteando allusivamente gli occhi.

Peccato, che la schiettezza pagava sempre.

“No, non lo fai!”, scossero il capo sia L. che Matt con sincero entusiasmo, avvicinandosi complici al biondo per sentire quel succoso dettaglio sulla vita sentimentale del Bisbetico.

Guardandosi circospetto attorno, neanche temesse di essere sorvegliato da telecamere e una truppa di cimici, Mello, dopo aver fatto cenno ai due di accostare le orecchie a qualche centimetro dalla sua bocca, sussurrò flebilissimo: “Che rimanga tra di noi …  ho saputo che Light Yagami è …”, pausa d’effetto “… è frigido!”

 All’udire tale novità, i due uomini si ritrovarono costretti a soffocare un’esclamazione di falso stupore mista a delizia pura, allontanandosi nel frattempo un poco da Mello e fissandolo ancora più incuriositi negli occhi.

“Frigido?”

“Esatto”, confermò ieratico il biondo. “Ah, ed è anche vergine!”, aggiunse poi, sovvenendosi di quella logica conseguenza: se era sessualmente insensibile, allora era naturale che non avesse mai sentito il desiderio di iniziarsi alla danza più antica del mondo, no?

“Pure!”

“Secondo me ti stai inventando tutto di sana pianta!”

“Macché, me  l’ha confermato sua sorella, giuro!”, rivelò il manager le sue fonti molto accertate.  “Ventiquattr’anni e ancora vergine. Immagino sia per la sua frigidità. Infatti, stando ai racconti di Sayu, delle quattro ragazze che ha avuto non è mai riuscito a combinarci assieme alcunché! E per aggiungere ingiuria su ingiuria, mi ha anche detto che suo fratello non pratica il fai-da-te!”

“Ma come fa a saperlo, scusa? Gli ha messo una cimice tra le mutande?”, ribatté Matt incredulo da quanto fosse esaurientemente particolareggiato il report di Sayu sulla vita sessuale di Kira. Manco lo controllasse 24/7!

“Certe cose si notano, Matt, anche se non vuoi …”, lo rassicurò il compagno, tappettandogli partecipe la schiena.

Dal canto suo, L. aveva registrato con assoluta calma le ultime nozioni, rielaborandole a seconda del suo metodo di ragionamento leggermente anticonformista e affatto politically correct.  “Je vois … bisbetico, frigido e vergine …”, rielencò lentamente i vari aggettivi appioppati al Bisbetico. “Uhm, la sai una cosa, Mello?”

Subito il manager si irrigidì. “No, non la voglio sapere!”

“Tant pis, te la dico lo stesso!”, prese altamente L. in considerazione il suo parere, facendo spallucce. Dopodiché, puntandogli dritto gli occhi, dichiarò con convinzione disarmante: “E’ gay!”

Silenzio degli innocenti.

 “Uh?”

“Cosa?”

Osservando pieno di compassione i visi stravolti e sconcertati dei suoi interlocutori, L. li degnò di una risposta, onde preservare la loro sanità mentale: “Yes, il vostro Light Yagami è gay! E non per via del suo cognome letto all’incontrario! Suvvia, i segni sono evidenti, no? A lui piacciono gli uomini, solo che non vuole ammetterlo né agli altri né tantomeno a se stesso! Il fatto, quindi, che non possa vivere serenamente la sua sessualità accresce la sua aggressività verso gli altri, capite? È frustrato, il poveretto! Aggiungetevi poi lo stress lavorativo e vi mangia tutti vivi!”

Silenzio post-concussivo.

Aveva buon gioco lui a disquisire così tranquillamente su Kira, visto che non incorreva nel rischio di doverne subire l’ira funesta. E appunto per questa ragione, che i suoi amici si sentirono in dovere di chiedergli:

“L. ma sei sicuro di non aver bevuto qualche Red Bull prima di venire qui?”

“Nah, sono sobrio, sono sobrio …”, replicò incolore il moro, d’un tratto interessato al soffitto nel frattempo che si rigirava tra i denti parte del suo indice. Aveva bisogno di porre un certo ordine nelle sue idee, le quali versavano in uno stadio leggermente confusionario a causa dell’ingente mole di nuovi dati acquisiti nell’arco di neppure trenta minuti.  “Yagami, Yagami … uhm, perché ho come la sensazione di averlo già sentito nominare? Ha nulla a che fare con la Yagami Corporation?”

 Ta-dan! Scovato il déjà-vu! Anzi, déjà-écouté per essere più pignoli!

Leggermente sorpreso, ma non troppo in quanto fidente dell’eccellente memoria dell’amico, Mello convenne, spiegandogli intanto qualche particolare in più per completare il puzzle: “Azzeccatissimo. È il figlio del presidente e, nepotismo o meno, è grazie a lui se l’azienda si è risollevata. Ora che ci ripenso, mi pare che Yagami jr. avesse intenzione di chiedere una partnership con la filiale nipponica della Wammy’s House o similia, ma potrei sbagliarmi …”

Gli occhi neri di L. si spalancarono deliziati e un sorriso poco raccomandabile gli si formò impercettibilmente sulle labbra pallide. “Sul serio? E perché nessuno mi ha informato di ciò? E avranno accettato, spero!”

“Perché sei circondato da un branco di gibboni ubriachi? No, gliel’hanno rifiutata. Anzi, da quel che ho capito, gli hanno pure riso in faccia o ci sono andati molto vicino …”

“Come volevasi dimostrare”, schioccò il moro in disapprovazione la lingua, tamburellando le dita della mano sinistra sulla guancia, pensieroso. “Uhm, però! Giovane, accorto negli affari, intelligente dal pugno di ferro … uhm, c’è un modo per averlo tra i nostri?” L’uomo non seppe il motivo per il quale gli balzò in testa quell’idea: semplicemente, gli era parsa assai naturale, quasi logica. Le persone bizzarre lo avevano fin da giovanissimo attirato (bastava pensare a che sorta di gente lo aveva allevato). Forse, la sua era una giusta curiosità sortagli dopo aver ascoltato tutti quei pareri uniformemente negativi sul soggetto in questione, più che la stretta necessità di avere un manager competente per dirigere la sua filiale giapponese. O forse no, nessuna delle due. O entrambe. O ...

“Dubito. È attaccato visceralmente alla Yagami Corporation. Ne ha fatto temo una ragione di vita”, lo disilluse presto Mello, intuendo cosa stesse elaborando il cervello di L. sotto la sua coperta corvina. “Tuttavia, puoi sempre contattarlo e comunicargli che accetti la sua proposta di partnership …”

L. scosse il capo. “No, non è abbastanza vincolante. Eppoi, lui sarebbe capacissimo di sfruttarci per i suoi vantaggi economici, mica i nostri!” E si stupì lui per primo della lieve inflessione di possessività che aveva utilizzato nell’ultima affermazione. Forse, batteva ostinata il chiodo la sua mente, forse la sua era solo competitività, senso della sfida …  

“Beh, non credo che accetterebbe una fusione con la Wammy’s House! È troppo orgoglioso per essere messo in secondo piano!”

Meglio ancora!, diceva una vocina dentro L. Era segno che questo Light non era del partito banderuola: se ben incanalato, poteva rivelarsi un valido compagno e in qualsiasi settore … Subitaneamente il moro avvampò, bloccandosi nell’atto di sorseggiare il suo tris di caffè ultra-dolce. Se la partnership non era vincolante e la fusione ufficiale lo era troppo, ebbene l’unico patto economico-sociale che poteva imbrigliare quel cavallo pazzo era …

“A meno che …”, ragionò ad alta voce L., inclinando il capo birbante e ritornando a bere il suo caffè. “Che dici, Mello? Se gli chiedessi di sposarmi?” e dietro alla tazzina candida studiò sornione le pronte e scioccate reazioni dei suoi anfitrioni, i quali rischiarono: a) di cascare giù dal divano, illividendosi il fondoschiena come accadde per Mello; b) di bruciare l’intero appartamento, come accadde invece per Matt al quale dallo choc cadde per poco di bocca la sigaretta accesa.

“Gueh?”, si strangolò il giovane castano per poco con la sua medesima saliva.

“Soprattutto non chiedergli quello!!”, squittì Mello con una poco onorevole vocetta acuta, balzando in piedi e scuotendo terrorizzato L., così da ficcargli ben in testa il concetto. Subito il compagno gli fu accanto a dargli manforte e al povero moro parve di essere entrato in una centrifuga, tanto lo sconquassavano imbizzarriti.

“L., ma … ma sei impazzito definitivamente? Chiedere di sposarti a … a quel tanghero innominabile?”

“Che sarà mai! Tentar non nuoce!”

“Lawliet, ti vogliamo troppo bene per permettere che tu ti rovini la vita così! Tu non hai idea che razza di inferno ti sottoporrebbe Kira, semmai dovesse accettare di convolare a nozze con te!”

“Sempre che non ti abbia accettato prima! Con l’ascia, ovviamente!”

“Senza contare, che deve sposarsi seriamente per via della promozione a presidente della Yagami Corporation e dubito che ti prenda anche solo in considerazione!”

Ah davvero? Interessante questo dettaglio …, si appuntò a mente L. quell’ultima informazione, così da poterla utilizzare a suo vantaggio, quando avrebbe finalmente incontrato questo famoso Bisbetico o Kira o Light Yagami! Che poi, che buffo nome Light! Gli ricordava …

“Per favore, L.! Non commettere questa corbelleria!”, la sentita e veemente supplica in coro dei suoi due amici scosse L. dalle sue elucubrazioni, riportandolo alla realtà. E siccome lui non era un infame e le espressioni dei due uomini erano sinceramente tese e in ansia per la sua incolumità sia fisica che mentale, egli ebbe il buon cuore di rassicurarli, tappettando indulgente le loro spalle.

“Peace, Michael! Peace, Mail! Era solo uno scherzo! Figurarsi, cosa mi spingerebbe a sposarmi quel bisbetico, frigido, vergine (e gay) di Kira!”, minimizzò la loro apprensione. Ancora scossi da quella notizia, Matt e Mello sorrisero nervosamente, incerti.

 Pausa.

“Quand’è che me lo presentate, però?”

“Lawliet!!!”

Too late, pals!

 

 

***

 

 

Quella sera stessa, nell’ufficio privato del candidato successore della Yagami Corporation  aveva luogo un meeting d’emergenza indetto da un Light sul piede di guerra e il cui scopo era di elaborare un piano d’azione (o congiura) a danni di certi genitori scriteriati e amministratori vigliacchi.

Infatti, dopo essere sopravvissuto miracolosamente al tentativo di suicidio tramite overdose di patatine -  cavandosela con soltanto dei dolorosi crampi che l’avevano tormentato per l’arco intero della giornata e che  l’avevano  così costretto ad andare avanti a tisane digestive a tutt’allé, alternate da visite regolari al bagno per rigettare trippe e budella -  il giovane Yagami aveva preso la ferma decisione di non cedere a quel ricatto psicologico-ma-anche-no del padre e del suo dannato consiglio. Ripetendosi che lui aveva ogni sacrosanto diritto di succedere a Soichiro nel ruolo di presidente in virtù delle sue salvifiche capacità manageriali, Light era sicuro che vi fossero altre vie per facilitargli il processo, senza dover necessariamente incappare nel giogo del matrimonio. Anche perché, onestamente, chi avrebbe mai potuto sposare?

La sua mente si era quindi messa subito in moto per trovare quest’agognata scappatoia.

“Sakamoto e Okamura sono più che favorevoli di darle il loro appoggio per la sua candidatura a prossimo presidente della Corporation a fine corso del Master …”, gli leggeva intanto Naomi i risultati della piccola indagine intrapresa discretamente en cachette, circa la disponibilità o meno dei vari membri del consiglio d’amministrazione di supportare o meno il cambio di leadership da padre a figlio, senza tuttavia che quest’ultimo convolasse a nozze.

Passandosi pensoso la lingua sotto il canino sinistro e sorseggiando piuttosto disgustato la fetente tisana, Light annuì in silenzio, affatto compiaciuto di quel misero numero di alleati certi. “Nessun altro?”, chiese atono, celando accuratamente il fiele della delusione contenuto nelle sue parole.

In sincronia perfetta, sia Naomi che Kiyomi presero a sfogliare le carte che tenevano in mano, scorrendo avidamente i vari nomi.

“Euhm, ci sarebbe Sasaki … Anche lui si è detto disponibile a supportarla, ma a patto che lei la smetta di – cito testualmente – “invitarlo ad una più regolare attività defecatoria  quando si trova in umori non esattamente rilassati”, ovvero mandarlo a cagare quando non svolge il suo lavoro in maniera efficiente …”, finì in un debole mormorio Kiyomi, nascondendo diplomatica il viso dietro il dossier, difendendosi dall’occhiataccia obliqua elargitale da Light.

“Quanto ad Hidaka”, riprese invece Naomi, “voleva ricordarle che lui non è un “cornuto australopiteco onanista illetterato dal labbro leporino per i continui baci applicati alle chiap-ehm, piedi di suo padre” e che se lei s’azzarderà a chiamarlo ancora così sia in pubblico che in privato, non solo voterà contro di lei, ma la denuncerà pure!”

Silenzio.

“Miyano garantisce di sostenerla solo quando vedrà il suo certificato di internamento in una clinica psichiatrica!”, continuò la veterana, scuotendo il capo. “Infine, Aizawa e i tre bellimbusti della sua cricca ribadiscono che se ne riparlerà al suo ritorno dalla luna di miele!” e detto questo, entrambe le donne posarono il fascicolo sulla scrivania di un impassibile Light, attendendo ritte in piedi l’eventuale sua reazione.

“Grazie”, dichiarò al contrario calmissimo il giovane Yagami, appoggiando la mug e leggiucchiando a sua volta i contenuti del dossier. “Mi occuperò di questi cialtroni di persona …” e si passò carnivoro nuovamente la lingua sotto il canino, interrotto nella sua lettura da un piccolo colpetto di tosse di Kiyomi, tipica sua mossa di quando voleva attirare l’attenzione. “Non ti scorticare la gola, Takada, ti ascolto benissimo. Cosa c’è?”

“Sua madre la sta aspettando qui fuori … Le avevamo riferito che al momento era impegnato, ma lei ha insistito a …”, ma la segretaria non ebbe animo di continuare, sopraffatta dallo sguardo nocciola fisso e intenso del suo superiore.

“Mia madre?!”, appoggiò Light le carte sul tavolo un po’ troppo veementemente. “E che ci fa qui? Chi l’ha fatta passare?”

Le due segretarie si lanciarono un’occhiata nervosa, abbassando il capo colpevoli.

“Matsuda?”

Silenzio eloquente.

Massaggiandosi la tempia destra e chiedendosi quale destino dovesse riservare a quell’ameba danzante del suo dipendente, Light fu costretto ad arrendersi al corso degli eventi e di affrontare quella visita materna fuori programma. “E va bene, Takada. Falla entrare!”, capitolò, raggruppando ben bene i fogli e nascondendoli opportunamente dentro il cassetto della scrivania.

La segretaria più giovane fece appena in tempo ad aprire la porta, che già Sachiko Yagami irrompeva nella sancta sanctorum del figlio, parandoglisi dinanzi così da impedirgli ogni via di fuga, a meno che Light non avesse scavalcato la scrivania e messo al tappeto sia la madre che le segretarie. “Light, tesoro! Come stai?”

“Bene grazie, mamma. A cosa devo l’onore di questa tua visita?”, si scostò il giovane all’ispezione materna del suo viso ancora verdognolo e provato da un’intera giornata passata a rigettare.

“Tesoro, adesso non posso neanche più venirti a trovare? Ieri sera non sei tornato a casa e ho temuto ti fosse accaduto qualcosa …”

“Tzé, che vuoi che mi succeda”, replicò lentamente Light, trovando ad un tratto interessante i pesciolini sullo screensaver del suo computer. “Sono rimasto qui a … lavorare, ecco. Avevo degli arretrati urgenti da sbrigare”, mentì, evitando di guardare il cestino dentro i cui scarti vi erano ancora appollaiati i sacchetti vuoti delle patatine divorare la sera precedente.

“Avresti dovuto avvertirmi, caro”, lo rimproverò dolcemente Sachiko, tentando ancora di accarezzargli i capelli, sennonché di nuovo Light si sottrasse a quella carezza.

“L’ho fatto; ti ho inviato cinque messaggi!”, affermò incolore, riacchiappando la sua mug e bevendone avidamente il contenuto, giacché un’altra ondata di nausea l’aveva investito in pieno.

“Oh”, esclamò la madre, controllando solo ora il cellulare e convalidando le parole del figlio. Scrollando le spalle, ella lo ripose in borsetta, chiedendogli: “In ogni modo, Sayu voleva sapere se domani sera saresti andato o meno alla sua festa!”

“Ancora? Ma quante volte devo ripetere che non ci vado?”, sbottò spazientito Light, svuotando la tazza e apprestandosi a prepararsi l’ennesima tisana.

“Tesoro, Sayu lo fa per il tuo bene. È preoccupata per te! E anch’io lo sono: ultimamente, ti stai isolando troppo …”

“Pensi forse che rimbambirmi con musica techno e house e farmi viol-ehm, accalappiare da delle squinzie cocainomani arrapate possa risollevare il mio morale?”, ributtò in campo la palla il castano, imprecando mentalmente per essersi scottato i polpastrelli con l’acqua bollente della teiera.

Raddrizzandosi indispettita per l’evidente disprezzo di Light nei confronti delle amicizie della sorella, Sachiko gli domandò a bruciapelo, incrociando battagliera le braccia al petto: “Hai più ripensato a quanto detto ieri a pranzo? Insomma, riguardo al tuo matrimonio …” e sobbalzò, come Kiyomi e Naomi, all’udire la mug del giovane Yagami scivolargli dalle dita e frantumarsi per terra, spargendo il liquido ustionante sia sul pavimento che in parte sui suoi piedi, mettendo a dura prova il sistema nervoso del castano che solo perché in presenza di gentildonne non si esibì in una colorita sequela di imprecazioni da scaricatore di porto.

Respirando profondamente e ignorando il dolore pulsante attraverso le scarpe e il bordo dei pantaloni, Light borbottò roboticamente alle sue segretarie: “Grazie ancora per il vostro aiuto, signorina Misora e Takada. Da qui in poi provvederò io. Prendetevi la serata libera, su! Ci vediamo domani!”, le congedò sbrigativo, arrivando quasi a spingerle fuori dall’ufficio, ignorando sia le proteste – di Takada – che gli infiniti ringraziamenti – di Misora – per quell’inaspettata concessione.

Una volta liquidate le due donne, Light chiuse a chiave la porta dell’ufficio, rimanendovi appoggiato per qualche secondo, prima di girarsi di scatto e fulminare la madre con lo sguardo. “Anche se mio padre non l’ha recitata bene, quella era una barzelletta!”

“Ma la tua candidatura come prossimo presidente non lo è!”

“Questi due aspetti della mia vita pubblica e privata non sono forzatamente legati l’uno con l’altro”, ribatté scocciato il castano, inginocchiandosi a raccogliere i cocci della mug per terra e a passare un panno. “A onor del vero, l’unica che si dovrebbe sposare in questa casa sarebbe Sayu, non il sottoscritto! Senza contare, mamma, che al momento non ho nessuna fiamma, niente, nessuno, neppure un fottutissimo gatto!”, berciò, calmandosi subito dopo. “Quindi,  come pensi che mi possa sposare, se non ci sono candidate disponibili? Eppoi, non m’interessa, non ne ho voglia! Né ora né mai!”

All’udire quelle acide parole, Sachiko abbassò lo sguardo, fissando amareggiata le unghie. Infine, sospirò affranta e rassegnata all’eventuale risposta che il figlio le avrebbe dato: “Light, tesoro, sii sincero. Non è che tu …?”

“Che io?”

“Non è che tu sia … gay?”

E fu così che divenni eunuco dopo aver incassato l’ennesimo colpo basso nel giro di appena ventiquattrore!, fu l’unico pensiero coerente – se tale si poteva appellare – di Light, il quale fissò tramortito sua madre per un minuto buono, per poi rialzarsi in piedi e gettare meccanicamente i frammenti della tazza nel cestino. E sempre in mode zombie si sedette, intrecciando le mani sul ventre.

“Light, non devi sentir- …”

“Gay?”, ripeté lentamente il castano, girando il volto verso di lei  e interrompendola. “Gay? Beh, effettivamente non ci avevo ancora pensato. Ma forse, dovrei considerare quest’opzione quando mi ritroverò solo, quarantenne e alcolizzato nel mio appartamento incrostato di peli di gatto rigurgitati dalla mia pulciosa centuria felina!”

“Tesoro, non fare così! Lo sai quanto tu ferisca i miei sentimenti!”, lo supplicò sua madre con vivacità, afferrandogli le mani congiunte. Insensibile, Light affermò con una venuzza di perfidia assolutamente casuale:

“Perché darmi del gay non ha ferito i miei?”

“E’ quello che ormai la maggior parte dei nostri conoscenti sta pensando, caro. Sposandoti, nessuno lo sospetterebbe più! Potresti chiederlo a Misa, per esempio …”

“No, grazie. E rimanendo in tema, devo ricordarti che ho frequentato in passato delle ragazze?”

Sachiko lo guardò a lungo. “Chi? Yuri? Mayu? Shiho? Emi?”

Light assunse un’espressione tipo: Ah sì? Si chiamavano così?, ma annuì ugualmente per non fare brutta figura, o peggio, per non smentirsi.

Implacabile la donna proseguì: “Emi era la tua amichetta delle elementari, con la quale giocavi a prendere il tea con le sue Barbie e gli orsetti! Mayu era lesbica e usciva con te solo per nascondere le sue preferenze ai genitori; Shiho ti faceva il filo per far ingelosire il suo ex-fidanzato. Quanto a Yuri, sì, forse quella è stata l’unica con la quale tu abbia intrecciato una relazione più o meno “seria”. Peccato, che al momento clou, sei scappato via da lei come un ladro!”

Maledetta Sayu, ha spifferato tutto!, imprecò mentalmente il castano, digrignando i denti collerico e non solo a causa dell’indiscrezione massima di sua sorella circa la sua vita sentimentale, bensì anche per quel sadico rivangare di tutti i suoi fiaschi collezionati col gentil sesso. “Rispettavo solo i suoi sentimenti!”, si difese debolmente, adottando la postura dell’umiliato e offeso.

“Vieni alla festa, tesoro”, non ascoltò sua madre minimamente la sua protesta. “Rilassati un poco: hai quasi ventiquattr’anni, sei giovane, goditi un po’ la vita! Non devi per forza rimanere per tutta la durata del party, bastano anche solo cinque minuti! Insomma, non vorrai mica combinare disastri nel giro di soli cinque minuti?”

Pie speranze di un cuore puro troppo ottimista. “Non mi sfidare,  mamma  … ne sarei capacissimo …”, dichiarò Light infelice, gli occhi velati da una lieve patina di vergogna e rassegnazione dinanzi a quella oppressiva verità, la quale lo portò ad abbandonarsi sullo schienale, contemplando malinconico le sue fini dita tra di loro ancora fermamente intrecciate.

Sospirò.

Malgrado la fastidiosa nausea, decisamente adesso aveva più che mai un’immensa voglia di patatine fritte.

 

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove il Domatore, nei panni di Calaf, incontra la sua Turandot, ovvero il Bisbetico.

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Fiuh! E anche qui 18 pagine! Dai, che non dobbiamo sforare! XD Allora, che vi è parso dell’entrata in scena di L.? L’ho trattato bene?

Mi sono divertita troppo, in vista di questa AU, ad organizzargli la famiglia che nel manga non ha avuto! XD Ma quella di BB come suo fratellastro m’inquieta, non l’avevo considerato fino all’ultimo! Ovviamente, sono di parte materna! Il cognome della madre è facilmente intuibile: infatti, ho sfruttato tutti gli alias utilizzati da L. per creargli nome (che è quello vero) e cognome. Di conseguenza, il nome che manca è il cognome della madre. Quanto a “Ryuzaki”, farà la sua perfida comparsa fra due capitoli! ;-)

 Watari – o Quillish – non è un congiunto di sangue, è un prozio acquisito. Ma se ne riparlerà più avanti nella storia, promesso! XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Alla prossima! Ciao!

 


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Capitolo 4
*** Laddove il Domatore, nei panni di Calaf, incontra la sua Turandot, ovvero il Bisbetico ***




Salve a tutti! Rieccomi qui! Chiedo perdono per il mega ritardo! >.<

Dunque, finalmente ci addentriamo nel vivo della storia: come avrete capito dal titolo di questo capitolo, i due opposti si incontreranno! Cosa succederà? Si attrarranno o si respingeranno, contraddicendo le leggi della fisica?

Se vi siete domandati perché “Calaf” e “Turandot” nel titolo associati ad L. e Light, héhé, le spiegazioni sono alla fine del capitolo! XD State in campana, perché sarà uno dei leitmotiv di questa fic, assieme alla “Bisbetica”! ;-)

Nel frattempo, un sentito ringraziamento ai miei lettori e recensori, in particolare a: Angel_Dark_Light; Sagitta72, Cyborg22 e Titania76.

Ringrazio inoltre: Anime Addict; Beyond_Birthday; Cyborg22; Lupa Nera e Sagitta72 per aver messo questa storia tra le preferite.

Ringrazio poi: Emy_Chan; Fay86 e The Green Swallow per averla messa tra le ricordate.

Ed infine, ringrazio: Angel_Dark_Light; Anime Addict e Candy14 per averla messa tra le seguite.

Spero che questo capitolo vi diverta e buona lettura a tutti/e!

 

 

 

 

H.

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Dedicato a Angel_Dark_Light e a Sagitta72.

 

 

 

Capitolo 4:  Laddove il Domatore, nei panni di Calaf, incontra la sua Turandot, ovvero il Bisbetico

 

 

 

 

Fu all’incirca verso le nove e mezza di sera, nel pieno dei preparativi per il party dato da Sayu Yagami, che Mello percepì l’inspiegabile e impellente desiderio di telefonare a Matt: un po’ perché desiderava sentire il conforto di una voce amica prima di ritrovarsi sopraffatto dalla cerchia della sua cliente; un po’ per distrarsi dall’ansia per l’imminente incontro con il meco (o presunto tale) di Sayu ed infine un po’ perché il signor Mail Jeevas non era stato ritracciabile sul fisso quando il compagno l’aveva chiamato all’incirca una mezzoretta fa.

Ora, non che Mello fosse il tipo di fidanzato geloso e/o iper-apprensivo, no, si fidava ciecamente (okay, forse guerciamente) di Matt: sapeva che il ragazzo era giudizioso e che non avrebbe azzardato a chissà quali stranezze; in fin dei conti, egli possedeva sotto certi aspetti ancora l’animo semplice di un fanciullo. Bastava dagli un Gameboy Advance o un Nintendo o qualsiasi altro aggeggio elettronico assieme a qualche snack e bevanda gassata e il giovane se ne stava tranquillo a casuccia ad aspettarlo.

Semplice.

Invece, non solo non aveva trovato il proprio meco in un orario in cui lui era certamente in salotto a divertirsi coi suoi videogiochi, ma era il pensiero che Matt non gli avesse risposto con L. in casa che lo preoccupava maggiormente: conoscendo i livelli di eccentricità  borderline del moro, non era poi così insensato presagire il peggio.

“C’mon Matt! Rispondi! Rispondi …”, saltellava Mello da un piede all’altro, già preparando mentalmente numerose torture da sottoporre al compagno, una volta rientrato a festa terminata: così imparava a non rendersi raggiungibile, il gaglioffo!

Tuttavia, fortunatamente per l’incolumità del delinquente in questione, la chiamata venne accettata e la voce leggermente annoiata di Matt giunse alle orecchie del manager:

“Yo, che vuoi?”

Assumendo un tono puramente casuale, così da non lasciargli intendere che erano ben trenta minuti che si stava arrovellando i neuroni onde scoprire il motivo di quell’inconsueta assenza, Mello gli domandò un: “Dove sei?” di routine. “Ho provato al fisso, ma squillava a vuoto: per caso siete usciti?”

Dalla sua postazione, Matt corrugò la fronte piccato: alle sue orecchie non era sfuggita quella sottile vena di velato rimprovero. “Ovvio che sì, Mello!”, replicò un poco scocciato “cosa credi? Che ce ne stessimo tutta la sera soli soletti a guardarci intensamente negli occhi al lume di candela? È sabato anche per me, sai? Eppoi, abbiamo un ospite, dovrò pure intrattenerlo, altrimenti mi denuncia per sequestro di persona!”

“Sì, sì non lo metto in dubbio …”, ricorse subito il suo compagno ad un tono più conciliante, un poco impressionato dal fuoco contenuto nelle parole del ragazzo: di solito, Matt era di una flemma olimpica, non si smuoveva neanche a mettergli sette bombe sotto il divano (specie se sul detto divano stava giocando col gameboy)! Come mai quell’atteggiamento snervato? Non era che il morbo Kira avesse adesso contagiato a distanza pure lui?

“Piuttosto, come vanno i preparativi per il party?”, sviò Matt il discorso, calmando subito l’attimo di stizza per ritornare al suo imperturbabile io. In realtà, quella era tutta una strategia per costringere il biondo a parlare no stop per i prossimi cinque-dieci minuti, nel frattempo che lui ne approfittava per passare al prossimo livello del suo videogioco.

“Uh?”, cadde invece Mello dalle nuvole a causa di quell’inaspettato cambiamento, malgrado si trovasse nel bel mezzo del viavai degli addetti al catering, che si stava prodigando a sistemare le bevande per la serata e quindi in pieno contesto. “Ah sì, il party! Non male, fra qualche minuto dovrebbero arrivare i primi invitati!”, si ricordò in fretta, annuendo distratto e non particolarmente entusiasta: sapeva bene che prima delle cinque del mattino non sarebbe rincasato, giacché tra il party effettivo, la spedizione a casa degli ultimi ospiti rimasti e il riordinare tutto, sarebbe trascorso molto tempo prima che il manager fosse riuscito a rivedere il suo adorato letto.

“Cool, cool … E il meco di Sayu? L’hai già visto?”

“No, ancora no!” E meno male, perché al momento Mello non si sentiva nello spirito migliore: magari più tardi, dopo aver smaltito lo stress accumulato durante i preparativi.  “Voi invece che state combinando?”

“Boff, niente di che! L. voleva sgroppare un po’ al club di tennis; adesso è in spogliatoio a finire di lavarsi, io lo sto attendendo qui al bar. Dopodiché, visto che siamo in orario di chiusura, andiamo al cinema a vedere …” e l’entusiasmo del ragazzo per quel programma piuttosto tranquillo e tuttavia ai suoi occhi interessante fu, purtroppo per lui, troncato molto indelicatamente da un allarmassimo Mello, le cui orecchie avevano captato un pericoloso particolare, specie dopo il discorsetto di L. la mattina del giorno prima.

“Hey, hey frena i cavalli! Dov’è che siete in questo preciso istante?”, inquisì, la voce più alta di qualche ottava e leggermente incrinata dalla disperazione: pregò ogni forma divinità adorata dall’uomo, che i due non si trovassero nel luogo che lui temeva invece si trovassero in quel momento.

“Te l’ho detto: siamo al club di tennis di E ---!” e bastò solamente l’iniziale del nome del club, per zittire (o tramortire) il povero signor Keehl sul divano più vicino per il sollievo del suo fondoschiena, che non ebbe così modo di illividirsi a causa di una brusca caduta. Ultimamente, stava accadendo molto spesso da quando L. aveva deciso di deliziare il mondo col suo inaspettato ritorno. “Mello?”, lo chiamò apprensivo Matt, affatto rassicurato da quell’inquietante silenzio.  “Mello che succede? Perché ti sei chetato? Mello, mi sto preoccupando! Mello! Mello!”, e a ciascun appello la sua voce aumentava di parecchi hertz, tanto da disturbare i vicini seduti accanto a lui su di un tavolino poco distante, che gli elargirono un’occhiata tra lo scocciato e l’incuriosito.

Infine, dopo aver respirato a fondo ben bene, Mello si decise a parlare, la voce ridotta ad un flebile, snervato e sverzante sibilo: “Matt, non so se ucciderti o meno …”

Accantonando la preoccupazione, il ragazzo raddrizzò il collo, piccato. “Ma cosa ho fatto, scusa?!”, protestò vivacemente, battendo il pugno sul tavolo e rovesciando di conseguenza la Coca-Cola lì contenuta. Riponendolo in posizione eretta e asciugando nervosamente il liquido riverso sulla superficie liscia, Matt riprese in uno scocciato torrente: “L. mi ha chiesto di accompagnarlo al club di tennis e lì di giocare assieme un set, cosa vuoi che sia? Adesso Sua Maestà non mi concede neanche più di giocare di tanto in tanto un minimo di tennis?”, berciò, continuando ad asciugare freneticamente il tavolino, schizzando i vicini che, dopo avergli augurato un solenne mal di pancia, si alzarono scocciati, abbandonando la saletta del bar del club di tennis.

“No, non è quello. Sei libero di giocare a tennis fino allo sfinimento, Matt!”, lo frenò subito Mello, al quale incominciava a sorgere un gran mal di testa dal nervoso. “Solo, non in quel club! E soprattutto, non con L. appresso! Non con L. dopo quello che ci ha comunicato ieri mattina!”, sbraitò agitando le braccia come un mulino a vento, riuscendo perfino a colpire di striscio uno degli addetti al catering, che lo mandò giustamente in malora, massaggiandosi il naso lievemente offeso.

“E perché di grazia?”, replicò un Matt anche lui sul punto di ebollizione, stringendo convulsamente il bicchiere il cui vetro si incrinò leggermente.

Mello glielo disse.

Silenzio. 

“E ADESSO MI DICI CHE KIRA GIOCA A TENNIS NELLO STESSO CLUB, RAZZA DI … DI … ARGH! FARABUTTO!!”, ruggì Matt indemoniato, facendo sussultare gli ultimi avventori del bar, che scattarono subito nella sua direzione, osservandolo inebetiti. Accidenti, accidenti! Tra tutti i club di tennis in giro per il mondo proprio in quello dovevano capitare? Pura coincidenza o parte del piano? E in tal caso, come diavolo aveva fatto L. ad averlo azzeccato così a colpo sicuro?

Udendo un forte rumore di sedie che cadevano, Mello intuì che il suo meco doveva essersi alzato bruscamente, rovesciando qualunque fosse stata in stretto contatto con il suo furente corpo. “Dove stai correndo?”, volle sapere, specie quando gli risuonò alle orecchie l’eco degli stivali del ragazzo sulla superficie del pavimento.

“A salvare L. dalle grinfie di quel grifone psicolabile, prima che me lo squarti vivo con un coltello smussato!”, fu la logica replica di Matt, il quale stava evidentemente scendendo a quattro a quattro le scale, pur di arrivare in tempo e non essere costretto a raccogliere l’amico col cucchiaino da caffè. “Ci sentiamo più tardi! E non combinare altre cavolate nel frattempo!”, lo ammonì severo.

“Io?!”, ululò Mello, ora seriamente arrabbiato. “Ma se sei stato tu il furbastro che ha accompagnato L. al … oy, Matt? Matt?! Non osare a riagganciare, brutto …!”, lo minacciò neanche tanto velatamente, essendo il biondo ormai capace di tutto.

Matt osò, invece.

E Mello rischiò la denuncia da parte del condominio per rumori molesti, anzi, urla belluine moleste.

Sfogatosi brutalmente e rumorosamente, il manager si massaggiò infine la tempia, sfinito, intanto che riponeva il cellulare nella tasca dei pantaloni e non desiderando nient’altro che una barretta di cioccolato alle mandorle e un’aspirina per l’emicrania.

“Hey Mello! Cos’è quella brutta cera?”, gli chiese all’improvviso Sayu, troppo apprensiva per essere vero. “Stai bene?”

“Non molto”, ammise Mello sempre tenendo la testa bassa e domandandosi quando, come e perché la sua cliente fosse entrata senza che lui se ne fosse accorto e sperando che non avesse udito nulla della sua conversazione con Matt. “Ma passerà!”, la rassicurò incolore e volle credere pure lui alle sue parole.

Il sorriso dell’attrice si allargò. “Meno male!” esclamò scostandosi un poco e invitando il giovane uomo accanto a lei ad avanzare di un passo in direzione del manager. “A proposito, questo è …”

Il cervello del biondo fece appena in tempo a registrare le parole di Sayu, che già la sua testa si era alzata di scatto e le pupille gli si erano dilatate impazzite. Dopodiché, sentì un’orrida fitta al petto, molto probabilmente erano le sue coronarie che avevano infine dichiarato sciopero generale per sfruttamento indecente. Inoltre, realizzò che se non fosse stato Kira -per un suo eventuale sghiribizzo- a farlo fuori, ci avrebbe pensato allegramente L.

E Mello realizzò pure, che al primo giorno libero possibile si sarebbe recato in una qualsiasi chiesa a farsi dare una benedizione.

Anzi, un esorcismo.

 

 

***

 

 

Nel frattempo che il signor Michael Keehl scopriva di che morte doveva morire e che il signor Mail Jeevas correva all’eroico salvataggio del signor Lawliet Coil-Deneuve, il signor Light Yagami aveva terminato la sua doccia, si era rivestito e si stava apprestando ad uscire dagli spogliatoi, già pregustandosi la sua serata tranquilla la quale prevedeva uno stravaccarsi sul letto e leggere quel romanzo che doveva attendere una settimana per proseguirne la lettura – visti e considerati gli impegni sia lavorativi che universitari – con il suo immancabile  pacchetto di patatine accanto.

Romanzo, purtroppo, la cui lettura sarebbe stata bruscamente interrotta da un crollo improvviso di Light, il quale vi si sarebbe addormentato sopra per via della stanchezza: le pagine leggermente ondulate de Il Processo di Kafka dalla sua bavetta ne erano la prova lampante. 

E tanto era Light immerso e cullato all’idea da quel momento di imminente pace e tranquillità, che non si accorse dell’ostacolo postogli davanti, un ostacolo composto di carne, ossa e blu jeans. E appunto perché non scorse in tempo quella gamba malandrina, il castano vi inciampò senz’indugi, volando in avanti di qualche metro e atterrando sul duro pavimento prono a X, ergo la stessa posizione in cui i persecutori martirizzarono  Sant’Andrea sulla sua croce.

Sorvolando sui pochi e veloci minuti in cui Light rimase come un fesso a fissare intensamente le piastrelle a qualche centimetro dal suo naso e a riflettere su cosa gli fosse accaduto, ecco che già balzava in piedi incollerito, le guance rosse e il naso pure, ma per la caduta. Rapidi e furenti, i suoi occhi nocciola vivisezionarono lo spogliatoio alla ricerca del temerario che aveva osato fargli lo sgambetto, costringendolo a quell’indecoroso volo dell’angelo con conseguente sbucciamento di ginocchia e palmi delle mani a mo’ di pelle di leopardo. La vittima di tanto ardire fu individuata nell’unico essere vivente lì rimasto, il quale era ben nascosto da un giornale vecchio di tre giorni fa.

“Lei è per caso scappato dall’asilo nido?”, lo avvicinò Light sul piede di guerra, gli occhi fiammeggianti e desiderosi del suo scalpo, specie se il suo interlocutore lo ignorava alla grossa. “Dico, sto parlando con lei! Abbia almeno il coraggio di assumersi le sue responsabilità, mascalzone!”, e gli strappò il giornale di mano, cogliendo apparentemente alla sprovvista: infatti, il moro lì seduto – molto scompostamente – sussultò un poco per la sorpresa causatagli da quel gesto inconsulto, ma ben presto le sue labbra pallide si sciolsero in un sorrisetto soddisfatto quando si voltò verso Light, quasi l’avesse atteso fino a quel momento e che la lettura di quel giornale non fosse stata altro se non un diversivo onde ammazzare la noia.  A conferma di ciò erano gli auricolari di un Ipod alle orecchie che lo avevano reso sordo all’appello vivamente irato del castano.

“Allora, non si chiede scusa? O mammina non te l’ha ancora insegnato, specie di degenere controfigura di un idiota?”, gli domandò Light perfido, ponendo le mani sui fianchi e passando dal lei al tu onde sottolineare il crudele sfottò contenuto nelle sue parole. “E levati quegli auricolari, sordastro!”

Senza scomporsi, l’altro esaudì con estrema lentezza il suo ordine, gli occhi neri scintillanti di una strana malizia. “Hé, Lucy! Calmina, eh! Altrimenti a Lucy verrà un infarto ad arrabbiarsi così!”, lo ammonì tra il giocoso e l’apprensivo, sorridendogli ambiguo.

Quale esattamente di quelle parole avesse offeso ulteriormente Light fu difficile dire: tutte, nessuna o qualcuna. O forse, fu il modo in cui il suo “sgambettista” le aveva pronunciate ad imbestialirlo; infatti, vi era un che di incredibilmente serio dietro la giocosa maschera della beffa e il bizzarro modo di riferirsi a lui alla terza persona invece che direttamente alla seconda.

“E’ Light, imbecille!”, ringhiò il giovane, arrossendo fino al violaceo. Come si permetteva quel barbone che aveva sotto il naso a primo, storpiargli il nome e secondo, rivolgersi a lui come se fosse una femmina? “Come diavolo parli, poi? Eri assente quando ti hanno insegnato alle elementari i pronomi personali?”

Balzando giù dalla panca in finto legno, il moro stiracchiò un attimo la gamba colpevole, per poi infilarsi le mani in tasca e trascinarsi pigramente verso di lui.  “Va bene, Lucy! Ho capito, Lucy! Mi scuso con lei per lo sgambetto! Forse Lucy mi perdonerà? Come sta la mia Lucy?”, lo tempestò di premurose domande, la testa leggermente inclinata da un lato, intanto che i suoi occhi neri analizzavano attenti la figura di Light, il quale, percependo subito quello sgradito studio, si irrigidì in attacco, i muscoli delle mascelle contratti pericolosamente quanto quelli dei pugni. “Oh, Lucy …”, sospirò di nuovo l’uomo, osservandolo tra il tenero e il divertito.

Evidentemente, quel tizio doveva essere o un gran furbo o un gran babbeo: come poteva non solo restarsene tranquillo e beato dopo quell’occhiataccia infuocata elargitagli, ma anche perseverare a chiamarlo con un nome da donna? Non ci arrivava, il marrano, che gli dava fastidio? Forse, era uno straniero: a parte gli evidenti tratti somatici, il suo giapponese aveva una lievissima, quasi impercettibile, cadenza anglosassone.

In ogni caso, era sabato sera anche per Light e lui non aveva nessunissima intenzione di mettersi a litigare col primo vagabondo che gli faceva lo sgambetto e parlava strambo. Si sarebbe limitato ad una frecciatina acida, dopodiché lo avrebbe lasciato lì a crepare corroso da detto acido. Tutto qui. Aveva grandi progetti per quella serata da molto attesa e per nulla al mondo l’avrebbe rovinata. E tuttavia, malgrado i suoi buoni propositi, la sua lingua eseguì un buffo numero: al posto di sferzare il tizio con un commento molto poco politically correct, essa si limitò a chiedere: “Ma chi diavolo sei tu?”, seppur senza un’eccessiva dolcezza.

L’uomo dinanzi a lui si passò una mano tra i capelli corvini, arruffandoli ulteriormente e Light, notando l’energia impiegata durante l’intero processo, arretrò di un passo, temendo che l’altro avesse i pidocchi. “Io?”, ripeté il moro, notando di sottecchi la reazione di Light e sogghignando mentalmente per l’infantilismo ivi celato. “Io … sono il futuro marito di Light Yagami!”, gli annunciò schietto, conciso e facile da ricordare, visto che aveva usato nome e cognome della sua vittim-ehm, futuro consorte giusto per evitare qualsiasi malinteso.

Il fortunato in questione dovette raccogliere tutto il suo autocontrollo, onde non soccombere alla famosa sensazione di un manrovescio controvento procuratagli da quell’affermazione. Quello oltre che ad essere scemo era pure pazzo. Futuro marito? Chi? Lui? Stava forse cercando rogne? Voleva essere lapidato di ceffoni?

“Certo, certo come no!”, replicò Light malevolo, scrutandolo con schifata sufficienza da capo a piedi e apprestandosi a fare dietrofront e ad abbandonare quel matto: non si sapeva mai che, preso da un raptus matrimoniale, gli facesse qualche malagrazia.

“Uf, perché così scettico?”, protestò il moro falsamente dispiaciuto, liberando una mano dalla tasca e tornando a mangiucchiarne le unghie. Con  l’altra aveva pigliato Light per il bordo della giacca della sua tuta, trascinandolo indietro.

Mannaggia, quant’è insistente! Sarà del tipo “patella”! Devo congedarlo subito o me lo ritrovo appiccicato fino al Giorno del Giudizio! “Hé, non credo di essere molto disposto a passare il resto della mia vita con un lunatico accattone che sembra la copia malriuscita di Sweeney Todd!”, gli spiegò sardonico Light, scalpitando per uscire da quel dannato spogliatoio, ora divenuto d’un tratto a lui molto molesto come la mano dell’uomo a qualche centimetro dal suo fondoschiena, con la scusa che lo stava trattenendo per la felpa. “Il mondo di certo offre decisamente di meglio che degli zombie anoressici come te!”, infierì, schiaffeggiando frustrato la mano audace che non demordeva dalla sua presa.  Allo stesso tempo attendeva la famosa bocca spalancata che le sue vittime gli presentavano, ogniqualvolta le flagellava coi suoi bisbetici commenti.

E a onor del vero quella del moro si spalancò veramente e tuttavia non sdegnata, bensì piena d’ammirazione. “Wow, la mia Lucy ha mai pensato a scrivere romanzi? La sua fervida fantasia è talvolta così commovente! Senza contare, che non fa altro che confermare la mia teoria su come anche lei sia stata colpita e affondata dal fatidico coup de foudre!”

Questo qua è matto! Come parla? Mi dà della femmina? È uscito da Bedlam altroché! Ma chi è? Un maniaco? E proprio a me doveva capitare tra capo e collo? Dannata mano, non si scrosta! , protestava il cervello di Light sull’orlo del cortocircuito. “Non dire balle: non mi piaci, non sei il mio tipo! Sei solo un pidocchio che non ha niente di meglio da fare che importunare la gente!”, digrignò i denti, strattonando via la sua giacca prigioniera da quella tenaglia di ferro.  

“Infatti non sto importunando nessuno, sto solamente chiedendo alla mia Lucy di sposarmi! Anzi, a dire il vero era fuoriprogramma, ma quando l’ho vista entrare nello spogliatoio … BAM! Colpo di fulmine, secco secco, a lei non è mai capitato?”, proseguiva imperterrito il suo peculiare corteggiatore, il quale forse soffriva di lebbra, giacché pareva non sentire i pizzicotti che ora Light aveva preso ad elargirgli pur di liberarsi dalla sua presa.

“L’unico BAM! che hai ricevuto fu quello datoti da tua madre in testa quand’eri in fasce! Sei invero uno spiritato! E cieco! Per la miseria sono un maschio! E non mi chiamo Lucy, anche se c’è sempre la luce di mezzo!”, berciò il castano in apnea, i nervi a fior di pelle a causa della testardaggine del moro, che si premurò a correggerlo gentilmente, ticchettandogli buffamente la punta del naso e provocandogli di conseguenza un ulteriore spasmo di collera:

“Macché, sono il futuro marito di Lucy, perché lei si ostina a negarlo? Perché non si arrende invece alla sentenza del destino?” e l’uomo se la rise tra sé e sé per la cavolata melensa che aveva appena sparato allegramente: del resto, l’intera situazione era assurda, lui per primo lo riconosceva. Ma era troppo divertente. Peccato, che l’unico pubblico fosse solo la sua vittima.

“Un corno!”, ribadì con forza Light, il volto a chiazze e le vene delle tempie assai visibili.  “I tuoi scherzi non sono affatto divertenti, sai? Vai ad insultare qualcun altro!”, e, curiosamente, pose un significativo accento sul verbo insultare. Anche la scelta del sopracitato verbo era inoltre bizzarra, notò l’uomo ora più che mai intrigato da quel giovane sul punto d’ebollizione, al quale mancava solo mordergli la mano pur di scappare via da lui. Non per remora: era solo questione di tempo. 

“Io sono serissimo, Lucy: ci sposeremo, vedrai!”, rassicurò il moro il giovane Yagami, il quale sbuffò peggio di una teiera e come tale aveva preso a fumare, seppur sempre in maniera composta. Ciononostante, le nocche dei suoi pugni divennero più bianche quando lo strano corteggiatore lo tirò ulteriormente verso di sé, scrutandolo dritto negli occhi nocciola. “Perché Lucy è così arrabbiata? È la prima volta che uno le fa la corte? La cosa la spaventa? Perché mai? Ci siamo passati tutti … Non deve aver timore: non è affatto mia intenzione sedurla e poi abbandonarla …”, la voce del moro pareva dolce, sì, ma Light sentiva il fiele di uno che stava trovato l’intero vaudeville estremamente spassoso.  E ciò lo faceva imbestialire, giacché intuiva essere lui la novità del giorno.

Codesta consapevolezza gli conferì nuovo vigore di fatti, pigliando la felpa con ambedue le mani e facendo perno con le gambe, Light la strattonò forte anche a costo di strapparla, tutto pur di liberarsi da quell’impiastro che si divertiva a sue spese. “Chiudi quella fogna che hai al posto della bocca e lasciami passare, maledizioneeeeehhh!” Il motivo di quello strascicamento della e era riconducibile all’inaspettata capitolazione della presa da parte del moro; di conseguenza, tutta la forza impiegata da Light per liberarsi gli si era rivoltata contro ed egli, non riuscendo a gestirla in un sì brevissimo tempo, era barcollato all’indietro fortemente sbilanciato, inciampando sulle sue stesse gambe per poi atterrare dolorosamente in parte sul fianco, in parte sul sedere.

Sorpassato il primo attimo di disorientamento, il giovane si puntellò sul gomito meno sofferente, crocifiggendo l’uomo con lo sguardo e boccheggiando alla ricerca di una frase, una parola, una qualsiasi cosa per vendicare quell’affronto subito. Rien à faire, come avrebbe detto Beckett. Niente da fare. La sua bocca si apriva e si chiudeva tremante e solo il suono di un respiro sferzante di ira era da essa prodotto. Cosa vuole da me? Cosa gli dico? Lo stronzerrimo! Se potessi lo …! Ma non reagisce, è questo il punto! Più lo dileggio, più mi  fissa sorridente come un ebete!

“Se non mi fai passare ora, caro il mio signor mollusco, giuro che ti faccio ingoiare la racchetta!”, riuscì finalmente a sibilare, stranamente più calmo.

Meno male, poiché la risatina che fuoriuscì dalle labbra dell’altro avrebbe causato un blackout assassino perfino ad un pesciolino rosso. “Che strano! Di norma, un qualsiasi maschio etero maggiorenne e vaccinato avrebbe strillato in risposta alla mia domanda come una bertuccia in calore: Ma io non sono gay! Ma io non sono gay! E invece il giovane Yagami qui presente non solo non mi risponde, ma non mi smentisce per niente …”, gli espose quegli magnanimo la sua teoria – prova evidente che non aveva ascoltato affatto l’ultimatum di Light –portandosi nel frattempo davanti a lui e tendendogli la mano onde aiutarlo a rialzarsi.

“Lo stavo appunto per dire, ma la tua opprimente persona mi impedisce di formulare una qualsivoglia frase di senso compiuto!”, ringhiò il castano, rifiutando sdegnosamente l’aiuto offertogli e schiaffeggiandosi mentalmente per non aver replicato prima a quell’insinuazione. Cioè … insomma … Argh! Il bastardo! Con quel suo blaterare selvaggiamente alla Molly Bloom mi ha impedito di … insomma, perché non gli ho detto subito che io non …? Urgh! Prima mia madre, ora questo rincitrullito! Perché tutti pensano che io sia …? Non avrei dovuto arrabbiarmi … maledetto il mio caratteraccio … ma non mi frega, o nossignore! Non mi frega, quel panda antropomorfo!

“Uhm, solo le frasi non riesci a formulare? Non includiamo anche i pensieri?”, lo riportò il moro alla dura realtà, scrostandolo dalle sue confuse elucubrazioni.

Rialzatosi e spolveratosi i pantaloni, il giovane sospirò teatralmente, imponendosi di controllarsi. Lo aveva colto alla sprovvista: va bene, ma adesso doveva rispondere a modo. “Noto che la modestia è la tua più grande virtù!”, ribatté malefico, incrociando le braccia. Eh sì, quel pallone gonfiato doveva essere un tipo piuttosto arrogante e pieno di sé come un bignè al cioccolato.

Similis cum similibus, si soleva dire. Solo, che Light ancora non aveva scoperto appieno la gioia di tale affermazione.

Fu ora il turno del moro di sospirare, ritornando al martirio delle sue unghie. “Chi non ha mai peccato scagli la prima pietra, mia Lucy adorata!”

“Light!!”

“D’accordo, come la mia Lucy desidera!”

“Gibbone tarato, chiamami ancora così e ti mangio il cuore!”, sottolineò gelido il castano, cui quel Lucy incominciava a battere sul sistema nervoso. Stai calmo Light, stai calmo! È solo uno squinternato dal dubbio senso dell’umorismo, nulla più! Non vale la pena prendersela con lui, no no! Ma poi, perché sto continuando a parlare con lui?

Alas per i rinnovati buoni propositi del giovane Yagami, il suo corteggiatore non aveva finito. Anzi, si era solo riscaldato: il luccichio poco raccomandabile dei suoi occhi lo denunciava ai quattro venti. “A Lucy hanno mai detto che ha una bocca bellissima? Le sue labbra da fanciulla mi fanno impazzire, mi seducono, mi infoiano specie quando sbraita …”

Primo colpo sulle costole.

“Scusa?”, sbatté disorientato Light le ciglia, non sapendo che pesci, o meglio, parole afferrare sia nell’ascolto che nel senso. Sperò soltanto di non aver sentito quel che temeva di aver invece sentito assai bene. Il dramma dell’udito fine della gioventù.

“… sogghigna?”, cambiò verbo il moro con una vocina timida, quasi si fosse corretto per timore di non aver ben azzeccato il termine adeguato. Ovviamente, recitava.

Sennò, non si spiegava il secondo colpo sulle costole portato dall’ultima affermazione.

 “Gueh? Potresti ripetere per cortesia?”, avanzò il castano di qualche passo verso di lui, stringendo convulsamente le mani sui gomiti. Appariva calmo, calmissimo. Come il cobra che si apprestava a mordere la sua cena.

E inspiegabilmente, questo genere di reazioni di chiara natura mortifera elettrizzava ancora di più l’uomo. “Lucy ignora quanto mi piacerebbe farle una lavanda gastrica a furia di baci!”, sussurrò ingolato, stringendo significativamente gli occhi neri come la pece.

 “Oh, per favore!”, storse Light schifato il naso alla sola idea.

“Uhm già, come m’immaginavo la mia Lucy è davvero una brava ragazza: lavoratrice, onesta e tradizionalista. Tutta casa e famiglia.  Vorrà dire che per il momento, ci limiteremo ad un frequente controllo delle tonsille!”

Terzo colpo sulle costole, ma incassato con stile.

“Oh beh, sarebbe molto interessante. Magari un’altra volta! Ora sono un tantino impegnato e il club sta per chiudere. Arrivederci!”, reclinò Light altezzoso il capo, avviandosi verso la porta dello spogliatoio non molto dissimile alla principessa del Taitù. Appoggiò la mano sulla maniglia, abbassandola sollevato giacché simbolo della sua sofferta libertà. Di conseguenza, la sua mandibola si afflosciò peggio degli orologi di Dalì quando la maniglia ritornò su, senza tuttavia aprire la porta.

Riprovò una seconda volta: niente, il meccanismo non scattava.

Ritentò una terza e ancora nisba: la porta non si muoveva di un centimetro.

Una sgradevole sensazione di panico claustrofobico attorcigliò lo stomaco del giovane, il quale, in barba al molesto spettatore dietro le spalle, incominciò a strattonare violentemente la maniglia, ora dal basso verso l’alto, ora tirandola letteralmente verso di sé, facendo tremare nel frattempo il legno della porta.

Dal canto suo, Lawliet assisteva all’intero teatrino intrigato, quasi affascinato da esso: era inutile dire che lo sbuffante castano che stava tentando in quel momento di scardinare la porta lo aveva incuriosito fin da quando glielo avevano descritto per la prima volta e ora che l’aveva studiato attentamente – rendendosi apposta il tipo di persona che gli stava di più sulle scatole così da scatenarne in pieno la sua furia bisbetica – l’uomo era più che mai risoluto a portare avanti il suo progetto matrimoniale. Infatti, se la mattina scorsa l’aveva affermato così tanto per divertirsi a spese di Mello, adesso la beffa si era trasformata in un serio proposito. 

Volente o nolente Light Yagami sarebbe divenuto il suo partner in senso lavorativo e non, oh sissignore! Anche a costo di imbrogliare spudoratamente: del resto, L. mentiva e bluffava sempre e a tutti, quindi, chi era quel giovanotto per fare un’eccezione? Certo, ad un certo punto lui sarebbe stato costretto a mettere le carte in tavola, ma fino a quel momento tutto era lecito nel suo personale assedio a quell’ostinato bisbetico di Kira.

Eh sì, il suo più grande avversario sarebbe stato appunto il carattere testardo e intrattabile di quel ragazzino cresciuto troppo in fretta e di fatti, mentre il moro continuava a fissarlo in silenzio mangiandosi un cioccolatino che aveva reperito nella tasca dei jeans, egli non riuscì a trattenere un’onda di inusuale – per lui – affetto, sebbene l’espressione di un Light attualmente frustrato e pronto alla demolizione della porta non ispirasse esattamente alcun senso di fragilità o tenerezza. Nondimeno, quella smorfia carnivora non alterava per niente la sua bellezza.

Strano ma vero, L. lo trovava bello. Molto bello. Dannatamente bello, anche con quell’orribile tuta addosso che lo ingoffava in una maniera indecente. Anche con i capelli scomposti per l’umidità rimasta dalla doccia o per la foga di aprire quella maledetta porta. Reclinando il capo, cambiando così angolazione della luce, L. apprezzò molto le sfumature rossicce tra il castano della sua capigliatura: ah, ecco che si spiegava quel suo caratteraccio insopportabile! Non era un rosso completo, ma la “cattiveria” – secondo i pregiudizi occidentali – era pur sempre lì. E a proposito di occidentale, L. si appuntò mentalmente di indagare se l’oggetto della sua analisi fosse o meno un sangue misto: i capelli, gli occhi e altre caratteristiche somatiche – e il nome con esse - si presentavano assai differenti da quelle tipiche giapponese. Forse era solo un caso e non significava niente, ma alla dura lex del Dna difficilmente ci si sottraeva. Eppoi, gli avrebbe fornito un’ulteriore occasione per frugare più nel dettaglio negli affari privati di quel giovane impossibile.

Già, un vero peccato avrebbero affermato alcuni, che tale avvenenza fosse stata assegnata a quel toro scatenato di Light Yagami.

 Un vero spreco, sì.

Un viso ancora incerto tra efebo e uomo, malgrado l’età, e appena appena virilizzato da qualche zigomo non troppo prominente e la pelle leggermente olivastra. Sia il naso che la bocca erano di taglio delicato e il moro avrebbe scommesso la sua scorta segreta di muffins, che se Light avesse riso di cuore, l’intero suo volto si sarebbe illuminato di un’infantile freschezza e delle giocose fossette gli avrebbero adornato la bocca. Invece no, quest’ultima era sempre stretta in una linea dura o i suoi angoli erano talvolta piegati verso il basso; in questo modo, il suo viso assumeva un’espressione dura, tesa e stanca ingannando le persone, che gli conferivano più anni di quanti non ne possedesse in realtà.

Gli occhi nocciola screziati di qualche pagliuzza dorata e insolitamente “tondi” per essere un giapponese erano poi costantemente socchiusi, aggressivi e guardinghi e ben celati da una fitta frangia che gli fungeva da riparo strategico. Non come quella degli emo, ergo un pesante sipario da teatro: gli scendeva al contrario leggera e naturale, come se il giovane dinanzi a lui si fosse dimenticato di accorciarla dal barbiere. E malgrado ciò, gli donava assai e non si poteva immaginarlo con un’altra pettinatura, quasi fosse stato concepito per quella da lui scelta. Se il ragazzo fosse stato più sorridente e meno scontroso, ogni dettaglio del suo volto sarebbe stato di certo esaltato e con quella frangia sarebbe apparso ancora più giovane e sbarazzino. La grave serietà unita alla selvatichezza di fondo, che invece lo caratterizzavano, lo incupivano in una persona torva e affatto amichevole verso il prossimo.

Lawliet lo paragonò inconsciamente ad una tigre rinchiusa in gabbia: già i suoi occhi neri sovrapponevano le due immagini, quella di Light con quella morbida e flessuosa del felino. E poteva sentire su di sé quello sguardo fisso celato dietro un nervoso viavai dell’animale irrequieto e allo stesso tempo paziente, il quale attendeva carnivoro il momento in cui avrebbe sfoderato gli artigli per ripassare ben bene il domatore al di là delle sbarre di ferro. Ogni tanto, quell’impazienza sfociava in un inquietante ma inutile attacco prontamente bloccato dalle sbarre: frustrata, la tigre si sarebbe arresa ad esse, per poi ritornare al suo instancabile andirivieni.

Un sonoro sbuffo da parte di Light segnò la fine delle sue cogitazioni, così come il rumore della porta scossa in continuazione cessò immediatamente.

 “Qualcosa non va, Lucy?”, si informò L. con nonchalance, rificcandosi le mani nelle tasche dei jeans e avanzando di qualche passo verso l’irritato castano che, sbuffando sonoramente, si scostò scocciato la frangia dagli occhi, arretrando un poco e ponendosi le mani sui fianchi che, come notò L. in pieno apprezzamento, erano stretti e questo era cosa buona e giusta.

“No, va tutto bene, peccato per il piccolo dettaglio che ci hanno chiusi dentro!”, borbottò infastidito il giovane, battendo il piede per terra dal nervoso e pensando rapidamente ad una soluzione.

“Sul serio? Oh, che tragedia …”, la prese L. invece con olimpico stoicismo, anzi pura noia, appoggiando la schiena sul muro e sbadigliando a piene mascelle.

Da chi cavolo è stato allevato questo buzzurro? Da Babe il maialino parlante? “Sei eccessivamente tranquillo per uno posto dinanzi alla consapevolezza di trascorrere la notte qua dentro! Non è che per caso l’hai chiusa tu apposta?”, insinuò maligno il giovane, seppur il lieve tremito della sua voce tradì una certa agitazione: se quello svitato lo aveva rinchiuso dentro, sequestrandolo, il cielo solo sapeva di che altro potesse essere capace di combinargli a sue spese.

“Oh, Lucy non deve insultare così la sua intelligenza! Sentiamo, dove avrei sottratto le chiavi?”, gli rilanciò L. la palla, sogghignando mentalmente al rossore sulle guance dell’altro che, assumendo un tono contegnoso, ribatté fiero:

“Chi ha cattive intenzioni trova sempre il sistema per attuarle …”, disse, per poi dedicare la sua attenzione alla porta complice di quello spaventapasseri vivente. “Hey! Hey! Siamo chiusi dentro!”, gridò a pieni polmoni, battendo pesanti pugni contro il legno, che vibrò pericolosamente.

“Uhm, posso rivelare a Lucy una mia intima riflessione intanto che lei tenta  di sfondare la porta?”, gli propese il moro serafico, strisciando con la schiena sul muro finché non gli fu a qualche spanna di distanza.

Girando la testa e sobbalzando al vederlo così presso a lui, Light lo fulminò con lo sguardo. “Astieniti dal farlo e te ne sarò immensamente grato!”, gli berciò sardonico, applicando ora maggior forza ai suoi colpi.  “Hey, banda di cialtroni!” e via con la lapidazione, finché le mani non presero a dolergli.

Era adorabile, concluse L., dondolandosi da un piede all’altro. Gli ricordava un gatto selvatico che tentava di scappare via da un monello che lo inseguiva con la pompa dell’acqua. Stessa foga, stessi soffi acuti e stessi artigli ben in vista, pronti a cavargli gli occhi. Un bell’uke problematico, sì sì. Perlomeno, avrebbe avuto la garanzia di non annoiarsi, anche a costo di rimetterci qualche libbra di carne.

A quel pensiero un sorriso obliquo si dipinse sulle labbra pallide di L.: a proposito di uke …

“Lucy ha mai letto dello … Yaoi?”, gli rivelò infine quel che Light gli aveva proibito espressamente di delucidargli, ergo le sue elucubrazioni.

Cessando di prendere a pugni la porta, Light indietreggiò un poco, massaggiandosi le mani doloranti e aggrottando la fronte. “E che cos’è? Il figlio illegittimo dell’orso Yogi?”, gli chiese confuso e un poco irritato: da bravo signor perfettino qual era, detestava essere colto impreparato su un qualsivoglia argomento. Ignorava, l’anima candida, che quella sua ingenua replica aveva fatto sì che gli occhi già grandi del moro diventassero malsanamente liquidi di delizia.

“Nah, è solo qualcosa di altamente stimolante e diseducativo. Un po’ come l’orso Yogi, su questo Lucy ha perfettamente ragione!”, gli concesse magnanimo e gongolando alla vista di come Light aveva allungato il collo, evidentemente interessato. Almeno, pensò L., si dimostra una persona molto ricettiva e molto curiosa verso le novità! Héhé, e se gliene faccio io apprendere delle cose nuove! Uhm …

“E …?”, lo incalzò il castano a proseguire, osservando sospettoso quel fugace rossore apparso e scomparso rapido come una stella cadente sulla pelle lattea di L.

“E stavo pensando appunto a dello Yaoi. A tanto, tanto, ma tanto sano Yaoi!”, proseguì infine Lawliet, mangiucchiandosi le unghie e puntando gli occhi neri contro quelli nocciola di Light, che lo ascoltava attentamente. “Infatti, nella gran parte delle storie in cui c’è dello Yaoi, questa situazione - essere rinchiusi soli e soletti in un luogo appartato – è spesso utilizzata come pretesto dal seme per farsi avanti coll’uke della sua vita con metodi non esattamente ortodossi. I due litigheranno furiosamente, finché il seme, stufo delle acute proteste dell’uke, finirà frustrato per sbatterlo letteralmente con le spalle al muro, sul quale i due zuzzurelleranno amabilmente per ore e ore. Tutto questo dopo che il seme avrà ovviamente strappato di dosso gli abiti all’uke urlante! Ecco dunque cosa mi fa pensare questa situazione e la mia futura moglie di certo non mi aiuta visto che ho la consapevolezza che sotto alla sua tuta lei abbia i boxer del mio colore preferito!”, gli confessò seriamente sfacciato, annuendo pure convinto col capo.

Quanto a Light, egli ebbe il doppio impulso di appiattirsi di schiena contro il muro e di calarsi di riflesso la felpa fino a coprire in parte il suo posteriore.

“Ma di che cavolo stai blaterando?”, gorgogliò, strangolandosi per poco con la sua stessa saliva sia per l’imbarazzo che per la rabbia. “Non mi starai mica molestando, spero?”, lo accusò indignato, mentre un certo pallore si faceva strada sul suo viso, divorando il porpora. Infatti, un’immagine orribile gli riaffiorò alla mente, un’immagine di qualcosa di indecente ricollegabile allo Yaoi  e che lui aveva avuto la sfortuna di imbattersi quando era ancora un diciassettenne ignaro delle insidie del mondo: un fotogramma dell’anime Junjou Romantica che sua sorella aveva il sadico gusto di guardare quando sapeva che lui era nei paraggi, specie quando il seme importunava l’uke. Era dunque questo, cui lo screanzato arrapato lo voleva sottoporre? Light lo studiò apprensivo: il moro non appariva molto robusto, anzi, sembrava piuttosto gracilino. Tuttavia, se la sua forza era equiparabile alla ferrea presa attraverso la quale lo aveva tenuto fermo per la felpa, allora quel pervertito non avrebbe avuto poi chissà quante difficoltà a saltargli addosso. Sempre che io glielo permetta: il mio fondoschiena è proprietà privata! “Eh, allupato? Mi stai molestando?”

“No, affatto! Lucy mi ha chiesto a cosa stessi pensando e io le ho risposto a dello Yaoi, ovvero a del sesso tra maschi e in questo caso in uno spogliatoio deserto!”, si difese candidamente L. facendo spallucce e sembrando più incurvato del solito, tanto da emulare un avvoltoio che, giusto per onorare la sua specie, colmò la distanza che li separava e provocando un notevole appiattimento di Light sul muro.

“Stammi lontano, maniaco arrapato! E non ti ho mai chiesto di delucidarmi le tue sconcerie, specie se volte alla molestia della mia persona!”

“Uf, che testona! Non sto molestando la mia Lucy! Stavo solo cogitando ad alta voce!”

“Non cambiare versione ogni cinque secondi! E non dirle mai più!”

“Cosa?”

Umettandosi le labbra e approfittando per scivolargli via di qualche abbondante spanna, Light gli confessò sinceramente imbarazzato: “Queste oscenità! Mi mettono a disagio, soprattutto se dette in un posto come questo! Non mi lusingano di certo, hai capito? Non è molto educato riferire a qualcuno che si sta fantasticando eroticamente su di lui/lei!” e abbassò gli occhi, percependo le orecchie bruciargli dalla vergogna. Diavolo d’un cane! Non si era mai sentito così male in vita sua: neanche in quell’occasione in cui sua madre lo aveva pizzicato mentre si masturbava per la sua prima (e ultima) volta in vita sua! E appunto per questo, odiava quell’orrido essere cadaverico alla Tim Burton che gli si era parato dinanzi a qualche centimetro dal suo naso. Ma … ma …? Quando cappero si è spostato?!

Incurvandosi pericolosamente in avanti – giacché Light si era accucciato all’indietro in una dolorosa curva – L. gli sorrise in maniera poco raccomandabile, tutti e trentadue i denti candidi in bella vista: quello del Cheshire sarebbe stato più rassicurante a confronto. “Uh, Lucy! Quando lei arrossisce così, come una sposa all’altare, la bacerei finché non mi sviene tra le braccia …”, soffiò suadente, alzando appena il mento con due dita. Quand’ecco, la svolta: subitaneamente, gli occhi nocciola di Light si incupirono fino al bordeaux e tutti i suoi muscoli facciali si contrassero in una smorfia carnivora. Nel giro di pochi secondi, appena il tempo di contemplare quell’inquietante metamorfosi, la testa di L. girava di quasi 180 gradi accompagnata da un sordo e violento sciaff! . Però! Il bisbetico menava forte!, constatava Lawliet, sentendo il sapore ferroso del labbro spaccato e inumidito di sangue. Altro che libbra di carne! Come minimo erano due!

Ineffabile al potente – e meritato – manrovescio elargitogli, L. riacchiappò Light per il braccio e fu lui a riportarlo al muro. “Se Lucy ci riproverà di nuovo, sarò io a colpirla a mia volta. E le assicuro che sarà più forte!”, gli promise, tenendolo fermo e sfidandolo bellicoso. Sennonché, aggiunse subito più conciliante: “Anche se, lo ammetto, non è mio uso picchiare le fanciulle!”

Puntandogli ambedue le mani contro il petto e spingendolo via furioso, Light si pose poi sui suoi fianchi, drizzandosi in modo da sembrare più imponente e pronto alla rissa. “Oh, il macho manesco! Vedo che sei per il sadomaso!”, lo dileggiò beffardo, alludendo al fisico non esattamente scultoreo di L.  “E scommetto che ti piacciono pure i partner che tremano timidi e impauriti davanti a te, razza di bambinone arrogante!”, lo sfidò ulteriormente, fissandolo a suo turno battagliero. Ma oh, così vicino …

Non l’avesse mai detto! Quelle parole furono in grado di far ribollire il sangue ben nascosto (a causa dell’innaturale pallore) del moro.  “No, principessa altera! Io preferisco quelli ardenti d’amore!”, fu la sua dichiarazione piena di un arcano entusiasmo ereditato dalla madre e il castano si sentì in soggezione da quell’espressione subitaneamente esuberante, così diversa da quella indecifrabile da lui adottata fino a qualche istante fa.  “Lucy …”

“Light!!”

“Io … davvero tu mi piaci. E molto anche! Diavolo, ti voglio sul serio sposare, non sto scherzando!”, dichiarò convinto l’uomo, balzando in avanti verso di lui. 

 “Sul serio, chi accidenti sei tu …?” Ora Light era davvero preoccupato per la sua incolumità fisica e psichica: insomma, quel marrano sbucato il cielo solo sapeva dove gli aveva fatto primo lo sgambetto; poi gli aveva proposto di sposarlo senza consultarlo circa i suoi gusti sessuali e parlandogli alla terza persona singolare e appioppandogli un nome da femmina; dopodiché gli aveva confessato impunito di fantasticare eroticamente su di lui e, dulcis in fundo, aveva tentato pure di baciarlo. E ora, che diavolo s’era inventato? Di dichiararsi apertamente, anche fin troppo, dopo avergli delucidato come preferiva i suoi partner a letto! E non solo! Ricordatosi all’improvviso che esisteva anche la seconda persona singolare,  si stava esibendo nel seguente sproloquio ad un ritmo vertiginosamente serrato e in una babele di lingue, tra cui giapponese, inglese, francese e pure italiano:

“Su di te non ho sentito altro che malignità, come ad esempio che sei dolce e comprensivo quanto un pitbull cui hanno ficcato in gola un bastone pieno di schegge  e che sei più gonfiato di una mongolfiera obesa! Maledizione, non è niente vero! Sono loro i rimbambiti e l’ho realizzato dal primo momento in cui ti ho visto! Tu forse non mi conosci, ma io so tutto su di te!  So tutto quel che fai, cosa ti piace e cosa non ti piace e devo dire che ti ammiro! Sei intelligente, determinato e serio sia sul lavoro che a casa; insomma, sei il figlio che non ho mai avuto e che non vorrei mai avere se non con te! Mi stordisci come una Sacher tirata in faccia con sopra la panna tanto sei eccitante! Nel profondo del mio cuoricino so che tu sei quello giusto e che anche tu ricambi i miei sentimenti, solo che la tua testolina logorroica ancora non l’ha accettato (o realizzato), ma comunque! Cosa vuoi che me ne importi? Finirai per sposarmi prima o poi, te l’assicuro! Come fece … uhm … ah! Come fece Matilde con Guglielmo il Conquistatore!”

Chissà perché, quest’ultimo paragone non consolò molto Light, che, appunto, ci tenne a precisare scettico:

“Ovvero, gettando la “fidanzata” nel fango e tirandola per le trecce e tiranneggiandola finché quella non cede dalla disperazione?” (Vero: Guglielmo il Conquistatore fece sul serio così!, ndr.)

“Oh no, Lucy! Non lo farei mai!”, sbuffò L., annoiato da quell’insensata replica. Per lui. “Insomma, è materialmente impossibile, visto che Lucy non ha le trecce! Per quanto riguarda spingerla nel fango e maltrattarla finché non accetta di sposarmi, beh, si può sempre arrangiare, Lucy sa che io farei qualsiasi cosa per lei!”

“Impiccarti in una latrina pubblica no, eh?”

“Nah, Light! Non fare il difficile: io ti amo, tu mi ami, perché non mi vuoi sposare?”,fu la legittima (?) domanda cui Lawliet sottopose un Light piuttosto stordito da quel vorticoso ping-pong tra Lucy e il suo nome; tra la seconda e terza persona singolare e tra il giapponese e le altre lingue europee. Per non parlare dell’audace affermazione che lui fosse innamorato di quello squinternato e desideroso di impalmarlo. L’unico palmo che il castano gli avrebbe donato, per quel che lo concerneva, era uno possente sulle guance tanto da lasciargli l’impronta scarlatta della sua mano. E restando in tema di rosso, perché il giovane aveva quella sgradevole sensazione di essere niente di meno che un toro della corrida, che il toreador si divertiva a punzecchiare fino al coup de grâce?

“Allora? Mi vuoi sposare sì o no?” e prima che Light potesse rendersene conto, L. gli aveva afferrato ambedue le mani, portandolo allo stesso livello del suo viso e cercando nei suoi occhi la risposta, giacché la lingua del giovane sembrava legata, così come il suo cervello era in standby. Il castano avrebbe dovuto sentirsi offeso e urlargli in faccia un bel No!, eppure qualcosa nel suo meccanismo interiore si era inceppato. Perché quell’esitazione? Quel silenzio?

Light percepì la sua testa d’un tratto leggera e girargli leggermente. Era curiosa quell’indecisione da parte sua, lui che di solito era l’indiscusso decision-maker della situazione. Non sapeva cosa dire, punto. Si limitò a contemplare inebetito il viso pallido del moro.

Neppure lo schiocco della chiave che apriva la serratura li distolse da quella muta conversazione oculare, né tantomeno lo spalancarsi della porta e le voci delle due persone dietro di essa.

Mentre il custode aveva brigato col passepartout per aprire lo spogliatoio, Matt si era preparato mentalmente ogni sorta di scenario nel quale l’unica costante era un L. in qualche modo orizzontale: riempito di ceffoni; maciullato; annegato nel water; impiccato alle docce, etc. Invece, quando il vaso di Pandora venne finalmente aperto, ciò che vide risultò essere cento volte più sconcertante! Sicuro, il ceffone c’era e troneggiava bello, grosso e rosso sulla guancia sinistra del moro, tutte e cinque le dita ben visibili. Tuttavia a confondere Matt al punto di perdere la ciribiricoccola fu la visione di un Light relegato ad un profondo silenzio e che fissava un Lawliet sornione, il quale gli stava tenendo delicatamente le mani, neanche stesse maneggiando del cristallo di Boemia. E la cosa più inaudita era che il castano non accennava alla minima reazione, completamente ipnotizzato.

E i due nuovi arrivati con lui.

Fiutando la situazione pericolosa, il custode decise bene di battere in ritirata, finché la belva dormiva. “Bene, ora che la faccenda è sistemata, vi lascio. Buona serata a voi tutti!”, si congedò in fretta, abbandonando Matt al suo destino, che si girò verso di lui, maledicendolo tra i denti per la sua codardia. Dopodiché, indicando vagamente il vuoto, il ragazzo spiegò alla strana coppietta il perché di quell’inaspettato e sgradito sequestro:

“Euh, le addette alle pulizie non si erano accorte che c’era ancora della gente dentro agli spogliatoi e …”

“Heilà, Matt! Ti voglio presentare Lucy!”, lo interruppe bruscamente L., gli occhi incollati su di un Light ancora stordito. E buon per lui, poiché non appena Matt udì la quasi versione femminile del nome del Bisbetico, temette per le costole del suo amico.

“Ehm, sì … ci … euh, ci siamo già incontrati …”, sbrodolò il ragazzo poco convincente, guardando ovunque tranne i due davanti a sé.

“Perfetto, visto che a breve ci sposeremo!” e il tono di Lawliet divenne stranamente dolce, così quanto lo sguardo che abbracciò il castano, che, riempiendosi di chiazze rosse, ritirò rapido le mani in un violento strattone, riscuotendosi.

 “Aspetta e spera, sgorbio!”, digrignò i denti bellicoso, raccogliendo di malagrazia la sua sacca da ginnastica e la racchetta e tentando di passare sopra Matt, che aveva avuto la sfortuna di trovarsi davanti al suo cammino.

“Non starla a badare: le faccio sempre questo effetto!”, lo consolò L., trascinandosi accanto a lui e sorridendogli incoraggiante. “Oy, la mia Lucy si deve tenere libera uno di questi giorni: chissà che non riusciamo magari a prendere un tea assieme! O a giocare un set a tennis!” A sentirlo parlare così, Matt si domandò se L. fosse o estremamente coraggioso o incredibilmente sventato: oltre ad aver dato a Kira della femmina, gli gridava nel bel mezzo del corridoio – cioè alla portata di tutte le orecchie – un appuntamento? Forse l’eccessivo consumo di dolci da parte del moro incominciava a manifestare i primi effetti negativi.

“Al giorno del tuo funerale, Mr. Edward Scissorhands!”, gli rilanciò la palla uno snervato Light, girando la testa senza tuttavia fermarsi.

In teoria, a sentir uno gufare sulla propria morte, un qualsiasi essere umano attaccato alla vita e sano di mente sarebbe ricorso ad un conveniente scongiuro. Al contrario, L. si accontentò a battere le mani, entusiasta. “Magnifico! E appena mi collego al laptop, mando a Lucy una mail! O magari la cerco su FB e Twitter anche se so già che la stanerò su Skype! Perché la mia Lucy è una fanciulla onesta, che non ama confidarsi a degli sconosciuti sul web!”

In quel momento, Matt rimpiangeva di non aver portato presso una videocamera: quel botta a risposta a distanza era degno di un’opera teatrale del filone dell’Assurdo.

“Divertiti a fare la muffa davanti al tuo dannato PC!”

L. annuì convinto. “Perfetto! Allora ciao, eh? Alla prossima! A bientôt!”, e sventolò pure il braccio a mo’ di elica, costringendo Matt a scansarsi un poco per non riceverlo in testa.

“Ciao …”, fu il congedo meno entusiasta del castano, il quale tuttavia sospirò intimamente di sollievo, nel vedere l’ingresso principale del club di tennis e potersi finalmente immettere nella folla e svanire: mai come in quel momento aveva amato così tanto il gruppo.

Correndogli dietro e posizionandosi strategicamente dal punto di vista acustico, Lawliet gli elargì un bacio a distanza per poi ruggire acciocché tutti potessero udire:

“Dammi un bacio, Light!!” e sogghignò compiaciuto alla vista della schiena del giovane irrigidirsi.

“Vai a farti squartare, Quasimodo!!”, gridò l’altro, galoppando via dal club e sgomitando poco educatamente tra gli ultimi avventori, che lo mandarono giustamente al diavolo.

“Hé, Matt! Ci sono il 99.9% delle probabilità che Light sia follemente innamorato di me! Pensa, mi ha paragonato per ben due volte a Johnny Depp!”, gongolò soddisfatto L. , allungando il collo per spiare la foto che Matt, estraendo in tempo record il cellulare, era riuscito a scattare al Bisbetico urlante: come poi il vetro dell’obiettivo non si fosse incrinato dinanzi a quel Gorgone Medusa, mistero.

“Di certo non Johnny Depp nelle sue cere migliori …”, commentò spassionato il ragazzo, salvando l’immagine tra i preferiti.  “A proposito, quello schizzato dev’essere ormai arrivato al traguardo: insomma, insultare te che sei il capo dell’organizzazione cui vorrebbe chiedere la partnership! La sua mente sta vacillando …”

“Oh, quella vacilla a priori …”, fece spallucce il moro, infilandosi il pesante cappotto cedutogli dall’amico. “E comunque no, carissimo Mail! Non gli ho detto il mio nome! Non è romantico? È così perso dietro di me, che è disposto a sposarmi anche senza conoscere il mio nome!” dichiarò sornione, frugando nelle tasche dei jeans per il suo Ipod e in quelle del capotto per il suo pacchetto d’emergenza di Haribo.

“Tu cosa?”, boccheggiò Matt; tuttavia la sua bocca era piegata in un divertito sogghigno.

“Héhé …”, ridacchiò il moro, infilandosi gli auricolari e riprendendo ad ascoltare l’aria dell’opera lirica là dove l’incontro di Light l’aveva interrotta. E con voce piacevolmente tenorile canticchiò in perfetto italiano: “Ma il mio mistero è chiuso in me / Il nome mio nessun saprà! … Ovvio che non gliel’ho rivelato: sto corteggiando Turandot, la principessa di morte e di gelo, se scopro subito le mie carte in tavola finirei decollato prima dell’aurora!”, scherzò, chiudendo l’Ipod e rificcandoselo in tasca.

“Parla schietto e non a sciarade! Altrimenti, ti rispondo ad indovinelli! Sul serio tu vorresti sposare Light Yagami?”, volle Matt la conferma dal parte del moro, osservandolo attentamente di sottecchi, seppure già il suo istinto gli rispondesse di sì. Infatti, le parole non erano necessarie, giacché L. stesso emanava un’aura di folle entusiasmo, per quanto in netto contrasto con  la sua tipica postura rilassata e l’espressione indecifrabile dipinta in volto. Al ragazzo non era sfuggito quello sguardo d’infantile curiosità da parte dell’amico nei confronti di Kira, né quell’aria di birbante contemplazione, neanche L. fosse regredito ai primi stadi della sua fanciullezza.

“Yes!”, annuì energico Lawliet, gli occhi color della pece d’un tratto brucianti come tizzoni ardenti: erano anni che non si sentiva così pungolato, determinato, pieno d’adrenalina! E questo grazie a quell’enfant terrible di Kira! “Yes! E una volta sposati … I’m going to tame the shrew!”, (Domerò il Bisbetico!, ndr.), fu la sua infervorata e solenne promessa, così contagiosa che perfino Matt si rilassò in un timido ottimismo circa la riuscita del piano.

All’alba vincerò …

Non sarebbe stata una pugna facile, oh no!, il Bisbetico si era già rivelato un avversario ostinato e poco incline alla facile resa!

… vincerò …

 Quel giovane castano era indiscutibilmente cinto dal gelo dell’orgoglio e tuttavia bruciava col suo disprezzo chiunque osasse avvicinarlo, rendendosi di conseguenza inaccessibile ai comuni mortali. E ciononostante, Lawliet aveva l’assoluta certezza che, alla fine, sarebbe stato proprio il suo fuoco a sciogliere quella caparbia Turandot qual era Light!

… vincerò!

E le probabilità erano del 100%.

 

 

***

 

 

Che accidenti ci faccio qui?

Una semplice frase, che si trascinava seco enormi dubbi esistenziali sui quali innumerevoli filosofi per secoli e secoli si erano spaccati letteralmente il cranio onde trovare una risposta soddisfacente. Allo stesso modo, Light Yagami si chiedeva perché diavolo si trovava al party di sua sorella: a causa dell’intensa arrabbiatura, aveva i ricordi sfumati. Si sovveniva di aver visto rosso per un bel po’, sprizzando schiuma peggio di un sifone di seltz a causa di un individuo non meglio identificato dal pallore cadaverico.

Si ricordava, inoltre, di aver percepito il fiero contrasto tra il suo volto in fiamme contro l’aria gelida di gennaio  e di aver vagabondato come un’anima in pena per un lasso di tempo indeterminato. Dopodiché, il buio completo.

Blackout.

Quando finalmente era riuscito a riprendere possesso delle sue facoltà mentali, si era risvegliato nell’appartamento di sua sorella, dopo che gli astanti, scorgendolo all’uscio quando la padrona di casa aveva aperto la porta, lo avevano fissati increduli e tramortiti, manco si fosse presentato a loro il Convitato di Pietra del Don Giovanni di Mozart. Mancava solo che il castano avesse cantato col cupo tono di basso: “Donna Sayu, a cenar teco m’invitasti e son venuto! …” e l’intero quadretto sarebbe risultato ancora più pittoresco.

Light per primo era perplesso da quel suo atteggiamento: forse desiderava rintanarsi in un ambiente più famigliare? Ma perché da sua sorella? Non poteva ritornare a casa sua? O a quella dei genitori?

Il giovane si sentiva confuso e imbarazzato e la bile provocatagli da quel satanasso moro ancora gli bruciava l’esofago. Se lo avesse avuto sottomano, lo avrebbe strangolato volentieri, altroché! Eppure, eppure … Se ripensava a quelle iridi nere, il medesimo turbamento che lo aveva colto nello spogliatoio lo assaliva ed ecco che di nuovo si ritrovava indeciso sul da farsi.

E Light odiava quella sua inspiegabile titubanza.

Almeno, pensò un poco più sollevato, l’essere stato a contatto con un pubblico decisamente frivolo e amante del divertimento gli aveva risollevato il morale: ne aveva assorbito l’atmosfera rilassata, mitigando così la sua aura aggressiva e al terzo bicchiere di rum misto a Coca-Cola si credeva abbastanza tranquillo da affrontare serenamente il ritorno a casa.

Sennonché …

Una casuale e distratta occhiata.

Occhi nocciola dilatati e cangianti in vermiglio.

Lui …?!

Quel dannato! …

Accanto a mia sorella …?!

Lo ammazzo!! …

 

E fu così che quella sera (o mattina presto), quando il signor Michael Keehl poté fare ritorno al proprio focolare domestico, egli deliziò il suo compagno con un’aria mesta e un occhio pesto.

Appoggiando accanto a sé il gameboy, Matt (che era rimasto alzato ad aspettarlo fino a quel momento) scattò giù dal divano, correndo verso Mello e conducendolo rapido in cucina, dove lo costrinse a sedersi, nel frattempo che brigava nel frigorifero in cerca delle borse di ghiaccio da applicare sull’ematoma.

“Cos’è successo?”, inquisì infine il ragazzo, prendendo posto accanto al biondo, il quale era giunto a tali livelli di sconforto da arrivare a sottrarre la sigaretta di bocca a Matt, aspirandone afflitto tre forti boccate.

“L. è andato via?”

Matt annuì. “Sì, e anche da un bel po’! Insomma, sono quasi le sei del mattino! Meno male che oggi è domenica, altrimenti dormivo davanti ai …”

“Sono stato coinvolto in una rissa provocata da Kira. Avresti dovuto vederlo, era fuori di sé! Pareva posseduto dal demonio! Anzi, no: dall’intera armata infernale di belzebù!”, lo interruppe Mello, rivelandogli l’arcano.

Matt sospirò. “Perché la cosa non mi sorprende? Mello, se continui a frequentare quella famiglia di svitati, finiranno per essere davvero la tua morte e non sto scherzando!”

Il manager scosse il capo biondo. “Sono già morto. E’ questo lo scotto da pagare, quando si è presi di mezzo nelle faide fraterne contro la propria volontà … Kira o L., che differenza fa? Quei due se la prenderanno comunque con me!”

“E perché mai? Cos’ha L. da rimproverarti?”

Mello aprì la bocca per rispondere, ma poi tacque, mordicchiandosi incerto il labbro inferiore. “Dimmi Matt, per caso stasera L. e Kira si sono incontrati al club di tennis?”, gli chiese invece, attendendo la replica che avrebbe confermato la sua teoria.

“Sì, purtroppo.”

“Lo sospettavo. Altrimenti, sul serio non sarei stato in grado di spiegarmi quell’esplosione da parte di Kira. Lo voleva maciullare, Matt …”

“Ma chi?”, fece confuso il ragazzo.

“Allora, onde evitare che qualche cretino chiamasse la polizia, sono corso a separare quei due matti. Come se non bastasse, quando ero lì lì per staccare Kira dalla sua vittima, ecco che mi salta fuori Sayu, adducendo che la vittima in questione altro non era che il suo fidanzato. Non l’avesse mai detto, che Kira mi stende con un cazzotto e ritorna a prendere a ceffoni il tizio di San Francisco. Malgrado lo sbando sensoriale dovuto al colpo, sono riuscito a percepire spezzoni di frasi alternate a pesanti improperi tra cui Sweeney Todd; panda antropomorfo; Quasimodo ed infine molestatore arrapato seriale. Ora, Matt, chi mai avrebbe potuto corrispondere a questa descrizione? E soprattutto, ad aver scombussolato Kira  a tal punto da fargli perdere la ciribiricoccola?”

Un’orribile ipotesi si formò nella mente di Matt, i cui occhi si ingrandirono pieni di sconcerto e timore. “No, non dirmi che …”

“E chi a questo mondo gli assomiglia come una goccia d’acqua, seppur più giovane, più signorile e decisamente meglio vestito e pettinato?”

Il modo in cui Matt scosse il capo fu un chiaro segno che non desiderava saperlo.

Cingendolo per le spalle, Mello annuì solenne, cercandogli di infondergli un po’ di coraggio e pazienza. “Immagina un po’ la scena: Sayu e Kira sono ai ferri corti. In aggiunta, Kira parrebbe odiare L., ma questi dice di volerlo sposare. Dal canto suo, L. non sopporta il suo fratellastro B.B., il quale, guarda caso, se l’intende allegramente con Sayu. Ora, se questi quattro dovessero in qualche perverso modo divenire cognati, cosa ne uscirebbe fuori?”

“L’Apocalisse?”

“Chissà perché, Matt, ma non avrei saputo trovare un termine migliore …”, convenne Mello, aspirando la quarta boccata di fumo e ripensando dolorosamente all’orrida scena in cui Light Yagami prendeva a pugni Beyond Birthday, reo di assomigliare a suo fratellastro maggiore Lawliet e avendolo appunto scambiato per quest’ultimo.

Già, l’Apocalisse!

A questo mondo non c’era davvero più religione …

 

 

 

 

 

 




To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove il Domatore pone sotto assedio il Bisbetico, rinnovandogli la sua proposta di matrimonio.

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Fiuh, abbiamo sgamato solo di una pagina! 19 al posto di 18! Sono davvero un caso perso … U_U

Dunque, per tutti coloro che hanno resistito fino a fine capitolo per sapere il nesso tra la Turandot di Puccini, Death Note e questa fic, beh, elementare Watson. Associazione d’idee. Infatti, nella mente perversa di Hoel, la Turandot appare come la versione romantica e a lieto fine di Death Note.

E i punti in comuni sono tanti!

Riassumendo, narra la storia della crudele principessa Turandot, la quale disprezza gli uomini a causa di un oltraggio nei confronti di una sua antenata avvenuto secoli addietro. La fanciulla è risolta a non lasciarsi dominare da nessun uomo e a vendicarsi su di essi, mandandoli al patibolo nel caso si facciano avanti per chiederla in sposa, senza però essere stati in grado di risolvere tre complicati enigmi. Uno straniero che si fa appellare “Il Principe Ignoto”, che in seguito si scoprirà chiamarsi Calaf, riesce invece nell’impresa. Tuttavia, egli non desidera obbligare Turandot con la forza e decide di darle un’opportunità per sottrarsi alle nozze:

 Calaf: “Tre enigmi m’hai proposto, e tre ne sciolsi. Uno soltanto a te ne proporrò: il mio nome non sai. Dimmi il mio nome. Dimmi il mio nome, prima dell’alba e all’alba morirò!

Disperata e stizzita, la principessa ordina, sotto pena di morte, che nessuno a Pechino dorma finché ella non verrà a conoscenza del nome dello straniero.

Nel frattempo, Calaf attende che l’alba sostituisca le stelle, così da segnare la sua vittoria definitiva su Turandot.

Calaf: “Nessun dorma! … Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza, guardi le stelle che tremano d’amore e di speranza. Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! Solo quando la luce splenderà, sulla tua bocca lo dirò fremente! … Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia! …

Voci di donne: Il nome tuo nessun saprà … e noi dovremo, ahimè, morir! …

Calaf: “Dilegua, o notte! … Tramontate, stelle! … All’alba vincerò! …

Ovviamente, Turandot non esita a giocare sporco pur di ottenere il nome di Calaf, andandoci giù anche pesante. Per fare una lunga storia breve, alla fine la principessa di gelo e di morte, dopo che Calaf sfida la sorte rivelandole il suo nome, convoca l’intera corte e annuncia al padre:

Turandot: “Padre augusto! Conosco il nome dello straniero … Il suo nome è Amore!”

E vissero tutti felici e contenti!

Ora, non sarebbe stato meglio questo finale per L. e Light?! T^T  *batte i pugni disperata sul tavolo*

Comunque, spero che come me abbiate notato le somiglianze. Altrimenti, sono io quella che ha le allucinazioni acustiche! *__* e ora che le ho trovate, le userò per i miei turpi scopi! XD

Alla prossima, ciao!

 

 

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Capitolo 5
*** Laddove il Domatore pone sotto assedio il Bisbetico, rinnovandogli la sua proposta di matrimonio ***


B’soir!

Eccoci qua col 5°capitolo! Mi dispiace come sempre per il ritardo abnorme, ma Hoel fa quel che può! U__U

Inoltre, siccome la scorsa settimana mi è successo un piccolo incidente assai spiacevole - che mi ha scossa emotivamente - temo che la comicità del capitolo ne abbia risentito: ecco spiegati alcuni scivoloni “seri”, che si presenteranno verso fine capitolo, là dove il fattaccio ha colpito la sottoscritta. Mi difenderò dicendo che nella vita ci sono momenti seri e/o divertenti … >_>

Nel volume 13 di Death Note, How to read, gli autori affermavano che L. era un bel mix di tante nazionalità: inglese, giapponese, francese, italiano, etc. Quindi, siccome in questo capitolo verrà descritto fisicamente per la prima volta, ho tentato di immaginarlo a seconda delle caratteristiche  somatiche di ciascuna nazionalità.

E poiché ad Hoel piacciono molto gli alberi genealogici, si è divertita un sacco a creare la “famiglia” di L. Così da far combaciare tutto! ^^

Ringrazio profondamente i miei lettori e recensori, in particolare: Cyborg22; Sagitta72 e Titania76.

Ringrazio poi: Anime Addict; Beyond_Birthday; Cyborg22; Lupa Nera e Sagitta72 per aver messo questa storia tra le preferite.

Ringrazio anche: Emy_Chan; Fay86 ; The Green Swallow  e Zakurio per averla messa tra le ricordate.

Ed infine, ringrazio: Angel_Dark_Light; Anime Addict; Candy14; Erena; Red Raven e Sbrixi per averla messa tra le seguite.

Spero che questo capitolo vi diverta e buona lettura a tutti/e!

 

 

 

H.

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Capitolo 5:   Laddove il Domatore pone sotto assedio il Bisbetico, rinnovandogli la sua proposta di matrimonio.

 

 

 

 

Una giornata cominciata assai male poteva contemplare solo due soluzioni possibili: la prima, un degno tragico finale da cavarsi i bulbi oculari col cucchiaino da dessert da quanto si aveva pianto, senza dimenticarsi poi di tagliare le vene con un rasoio spuntato e l’acqua calda al punto giusto (ovviamente, l’ordine di tale pratica può essere anche invertito). La seconda, uhm … qualsiasi cosa purché non sporcasse il  parquet di casa. Altrimenti, la morte sarebbe arrivata ancora più dolorosa e gore del previsto.

In ogni modo, che quella mattina non si fosse rivelata molto propizia per Light era un dato di fatto: dopo aver trascorso un weekend orribile - in cui era stato lapidato a tutto spiano dai rimproveri materni e fraterni a causa di un piccolo alterco alla festa di Sayu – il giovane percepiva doppiamente addosso il peso della fatica sulle spalle e di fatti quando si presentò il lunedì all’ufficio del suo tutor per discutere sulla tesi finale del suo Master, all’uomo era venuto un colpo nello scorgerlo così sciupato e nervoso. Certo, il professore era abituato a quel ragazzo più teso della proverbiale corda di violino, tuttavia quel giorno il suo pupillo aveva superato se stesso: i suoi occhi castani erano rossi di sonno e strettissimi, tanto da assomigliare a quelli di un coniglio; di conseguenza, il viso sembrava ancora più lungo e magro, conferendogli un’aria particolarmente patita, benché in realtà Light sprizzasse di salute da (quasi) tutti i pori. Inoltre, lo vedeva distratto, il che era raro visto che quando parlavano il castano aveva l’abitudine di piantargli addosso gli occhi senza lasciarlo per un istante, fino a mettere il tutor a disagio. Invece, il suo sguardo si presentava ora assente, quasi il giovane avesse ben altro cui pensare che alla sua tesi e di fatti Light stava guardando dappertutto, tranne che la pesante cartella ripiena di documenti che il professore stava vagliando, la guancia stancamente appoggiata sulla mano. Si risvegliò dal suo torpore soltanto quando il tutor gli riferì che il lavoro apportato alla tesi era davvero buono.

Fu allora che quegli occhiacci si focalizzarono su di lui, crocifiggendolo. “Buono? Solo buono?”, sibilò pericoloso, il colore che prendeva a salirgli sulle guance e la lingua in mode biforcuta. Ovvio, assuefatto com’era al termine eccellente, un misero buono gli suonava piuttosto deprimente alle sue orecchie suscettibili.

“Sì è buono!”, confermò incauto il professore, richiudendo il raccoglitore. “Certo, non sarà il tuo solito A+, ma siamo sempre sulla fascia dell’A! Non va bene così?”

“No”, fu la lapidaria risposta del castano e un duro silenzio di tomba calò nell’ufficio, appesantendone l’aria già di suo lievemente viziata. Rendendosi conto di aver intimorito quel poveraccio del tutor, ponendolo in un’ingiustificata soggezione, Light si sforzò dunque di mutare tono in uno più dolce e conciliante, benché intralciato da un crescente mal di testa: “E’ che sono sorpreso di questo calo: mi sono impegnato nella preparazione di questa tesi con lo stesso zelo impiegato negli esami e dunque non mi spiego il motivo per il quale il risultato dovrebbe apparire così inferiore!”

“Vedi Light”, gli spiegò il professore, già più rassicurato dal calo di aggressività nel pupillo “il fatto è che non c’è niente che non vada in questa tesi: te l’ho detto, è validissima! Tuttavia, manca un po’ d’anima, di quel tocco personale che scandisce la linea tra la bravura e l’eccellenza!”

“Mi sta dando dell’automa?”, gli chiese di rimbalzo Light, già pungolato sulla vanità e affatto compiaciuto dell’insinuazione dell’uomo.

“No, no ti sto dicendo che con una strategia di studio diversa potresti mirare all’A+!”, corse subito ai ripari il tutor, percependo l’aura carnivora del castano aumentare d’intensità: e il bello era che lui ignorava quanto fosse privilegiato. Infatti, per l’arcana legge del maestro-allievo, il giovane Yagami si comportava con lui quasi civilmente. Altrimenti, nulla gli avrebbe impedito di mangiarsi il professore alla coque!

“Bene, e quale sentiamo?”, esclamò Light un po’ più vivacemente, sollevato che ci fosse una soluzione onde migliorare il suo rendimento universitario: scendere dall’A+ all’A sarebbe stato il disonore!

“So che studi e allo stesso tempo lavori! Forse è quest’ultimo che assorbe la maggior parte delle tue facoltà intellettive, costringendoti a diventare standardizzato come un libro di testo!”

All’udire ciò, il piccolo sorriso di fiduciosa aspettativa del castano si deformò in una smorfia alla Pierrot. “E dunque? Che dovrei fare secondo lei? Abbandonare il mio lavoro per concentrarmi sulla tesi?” Era ridicolo! Per anni Light era riuscito a far combaciare gli impegni lavorativi e universitari e non era mai sceso dal suo consolidato e sacrosanto A+! Cos’era, dunque, quella novità? E soprattutto, quel bradipo sapeva che non poteva affatto assentarsi troppo dal lavoro e specialmente in quel periodo, in cui il capo dei capi sarebbe venuto a fare una visitina all’azienda con la quale mirava alla partnership? Light avrebbe dovuto rinunciare a quell’unica e ghiotta occasione per una venalità come la tesi? Ma era forse impazzito?

“Non sarebbe una cattiva idea …”

Evidentemente sì, lo era.

A sentirsi così incompreso da uno che non solo aveva studiato per tutta la vita – e che quindi doveva in qualche modo essere acculturato sulla psiche umana – ma che aveva anche avuto a che fare per anni con disparati studenti, beh, Light ebbe il feroce impulso di protestare il suo disagio emotivo rivoltandogli l’ufficio. Tuttavia, siccome all’occasione perfino lui conosceva il significato del termine autocontrollo, si accontentò di sporgersi in avanti sulla scrivania dell’uomo, fissandolo astioso. “Stronzerrimo!”, gli elargì il castano all’improvviso un bel dito medio, alla faccia del rapporto basato sul rispetto nei confronti del mentore. Dopodiché, raccogliendo in fretta e di malagrazia le sue cose, si congedò dal tutor, il quale si limitò a contemplarlo inebetito, incapace di proferire alcunché, figurarsi contestare.

Raggiungendo a grosse falcate la biblioteca e prendendo posto nell’angolo più remoto e nascosto di essa, il castano si mise a rimuginare per quindici minuti buoni su quell’infelice episodio, nel frattempo che rileggeva furiosamente le bozze della sua tesi e che borbottava tra sé e sé delle frasi sconnesse, le quali variavano dall’ingiuriare quella mummia del suo tutor, che ancora non aveva ben afferrato la sua situazione extrauniversitaria, e promesse varie di ripicca sempre nei confronti di quel fossile, dimostrandogli che lui era capacissimo di conciliare la sua vita lavorativa e studentesca, sempre continuando ad essere l’indiscusso numero uno.

Il tutto sempre controllando snervato sia l’orologio che il telefonino, domandandosi dove accidenti si fosse nascosto quel furbastro di Teru Mikami, un laureando in giurisprudenza e depresso nato, il quale si era attaccato alle sottane di Light come un paperotto al momento dell’imprinting. Ovviamente, al castano lui stava parecchio indigesto appunto per il suo carattere appiccicoso ai limiti del morboso; tuttavia, era pur sempre vero che Mikami era il miglior studente di giurisprudenza della To-Oh University e che guarda caso le sue conoscenze gli ritornavano molto utili per la sua tesi; di conseguenza, Light doveva fare buon viso a cattivo gioco e sopportare stoicamente i primi trenta minuti di sfoghi e crisi esistenziali degne del bovarismo più turpe, per poi poter finalmente discutere seriamente su argomenti più pressanti, quali estorcere informazioni a Mikami in cambio appunto di una spalla su cui piangere. A volte il castano si sentiva un poco meschino nello sfruttare così quel pessimista impenitente, ma si sa, lui lo faceva per una buona causa: finire quanto prima la sua tesi - e il Master con lei - così da sparire in fretta dalla circolazione e far cadere Mikami in depressione cronica, portandolo infine al suicidio da lui tanto agognato, ma mai dichiarato apertamente.  

Ciononostante, in quel momento Light si sentiva molto in vena di porre lui stesso fine ai giorni di Mikami per via di quell’inspiegabile ritardo: l’Addolorato avrà sì avuto i suoi difetti, ma mai era stato tacciato di sgarbo nei confronti della puntualità. Prevedibile come uno stereotipo, lo studente menava una vita più scandita di un metronomo.

“Chissà …”, cogitò Light ad alta voce, tamburellando le dita fusiformi sul tavolo e fissando infelice la tesi colpevole di “mediocrità”. “Forse è la volta buona che l’ha fatta sul serio finita e non uno dei suoi soliti falsi allarmi … O forse ha fallito un esame (beh, sarebbe un incentivo) … O gli si è rotto l’orologio  … O non ha sentito la sveglia … O l’hanno investito … O forse come me si è accorto che questo mondo fa schifo …”

“Oy, Happiness! Oggi hai davvero l’allegria contagiosa!”, commentò vivacemente una voce sopra (?) di lui e così attesa da Light, che quest’ultimo cacciò un urletto di sorpresa, sobbalzando violentemente e cascando giù dalla sedia in un sonoro tonfo, trascinandosi seco infine la sedia che provocò ulteriore baccano per la gioia della bibliotecaria e del cartello: “Silenzio per cortesia!”.

Non ci furono bisogno di occhiate o similia per capire chi avesse così sconsideratamente messo alla prova le sue coronarie, senza consultarsi prima con lui. Non ce n’era bisogno, giacché quella voce dalla lieve inflessione anglosassone, anzi oxoniana, aveva tormentato il cervello di Light per tutto il weekend, rendendolo lo straccio per le pulizie quale si presentava in quel momento. E fu così che di riflesso, intanto che si rialzava massaggiandosi furtivamente il posteriore offeso, replicò velenoso:

“Ha parlato l’Emo!” e si risedette, il cuore che ancora batteva impazzito la chamade: dappertutto si sarebbe aspettato di rincontrarlo, tranne che nella biblioteca dell’università. Da dove era sbucato fuori, poi?

Balzando sulla scrivania e portando le ginocchia al petto, l’accusato scrollò incurante le spalle. “Non sono Emo, sono diversamente ottimista!”, gli spiegò sornione, mangiucchiandosi quella povera unghia che nulla gli aveva fatto di male. “E comunque, solo perché possiedo una capigliatura difficile, non significa che io sia per forza un parente di Bill Kaulitz!”, aggiunse L. convinto, passandosi pensieroso una mano tra le ciocche corvine.

“Una capigliatura difficile?”

“Il mio barbiere corre a piangere nel retrobottega ogni volta che mi vede!”, confermò semiserio il moro, tamburellando le dita sulle ginocchia e osservando compiaciuto, seppur di nascosto, quel timido accenno di risolino che sfuggì dalla gola di Light, che quest’ultimo tuttavia soffocò sul nascere con un sonoro e autoindotto colpetto di tosse, prima di riprendere posto sulla sedia. “Allora, come stai Lucy?”

Rabbrividendo a causa di quell’ignobile nomignolo al quale il moro pareva molto affezionato, il giovane Yagami replicò tramite un silenzio assoluto, concentrandosi con ogni fibra del suo essere sulle pagine del libro.

“Perché non hai risposto ai miei sms?”, continuò imperterrito L., allungando il collo, incuriosito dallo sguardo fisso del castano sul testo. “Non è stato molto carino da parte tua: hai perfino rifiutato le mie chiamate quando ti ho fatto qualche squillo! Tratti così male tutti i tuoi spasimanti?”

Di nuovo, Light lo ignorò alla grossa, sperando che il suo ostinato mutismo persuadesse lo scocciatore ad andarsene via, prima che il suo lato collerico avesse la meglio su di lui, portandolo ad appendere il moro su di uno scaffale dei libri.

“E così Lucy finge di non vedermi, eh?”, mormorò L. infantilmente crucciato, gli occhi neri luccicanti di perversa birbanteria. Se c’era una cosa che l’uomo odiava di più al mondo era di essere trascurato, spinoso retaggio della sua infanzia: allora Lawliet diveniva più dispettoso di una scimmia, retrocedendo allo stadio moccioso. Fedele, quindi, a questa sua legge morale dentro si sé (e ogni riferimento a Kant e al cielo stellato era puramente casuale) egli si sporse qualche centimetro dall’orecchio del giovane, sussurrandogli pericoloso e malevolo: “A suo danno …” e da una delle tasche esageratamente grandi dei suoi jeans tirò fuori una lattina di Coca-Cola, che scosse energico, posizionandola infine sulla traiettoria della tesi di Light, pronto a tirare la linguetta e a lavare carte e ragazzo.

Attirato dal cupo fischio di una bevanda gassata sul punto di esplodere, il castano alzò di scatto la testa e i suoi occhi s’ingrandirono nell’appurare a quale attentato quel terrorista d’un panda antropomorfo era in procinto di sottoporlo.

“Non. Osare. O. Ti. Uccido!”, fu il cortese invito di Light a L. di desistere dal suo piano per attirare la sua attenzione. E, incredibile ma vero, ci era riuscito perfettamente. Un successo indiscusso e champagne per tutti!

“Risponderai alle mie domande?”, ne approfittò prontamente il moro, un sorrisetto infantile dipinto sulle labbra pallide. Di tutta risposta, Light grugnì snervato, appoggiando pesantemente la testa su di una mano, gli occhi che gli giravano in senso orario e antiorario: cappero, se non era ostinato quel tizio!

 “Oltre a molestarmi, mi fai pure dello stalking ora?”, ribatté il giovane dopo qualche istante di dovuto silenzio, onde raccogliere i cocci della sua pazienza da tempo infranta.

“No, ma l’intenzione è quella!”, smentì subito L., contraddicendosi volontariamente, così da provocare un piccolo sobbalzo sconcertato nel suo interlocutore, che gli chiese scocciato:

“Uf, che cavolo vuoi, sacripante?”

Fu il turno di L. di sbuffare, come se Light avesse inquisito per l’ennesima volta di un argomento vecchio e scontato. “Io? Sposarti, Lucy! E magari fare sesso! A te scegliere l’ordine che più ti si confà!”, gli rivelò impunito, passando dall’unghia ad una pellicina.

“Non demordi mai, eh?”, sospirò a lungo il castano, i cui capelli incominciavano ad arricciarsi per il nervoso provocatogli da quell’incessante e fastidioso Lucy rivolto alla sua persona e dalle proposte indecenti presentategli in rapida sequenza in una sola affermazione.

“Di certo la testardaggine è una qualità che Lucy ed io condividiamo!”, dichiarò candidamente l’altro, ficcandosi in bocca quattro cioccolatini contemporaneamente e masticando a piene mascelle.

Storcendo in disapprovazione il naso dinanzi a quella palese mancanza di rispetto al galateo, il giovane Yagami sbuffò scettico: “Tzé! Tu non sai niente di me! E mi chiamo Light!”

“Al contrario, mi è bastato vederti per capire che il nostro sarebbe stato il matrimonio del secolo! Altrimenti a cosa mi servirebbero gli occhi?”, ribatté serafico L., accartocciando le cartine in una compatta pallina e tirandola in testa ad uno studente poco distante dalla loro postazione, colpendolo in pieno. Quando quest’ultimo si girò di scatto verso la strana coppia, il moro indicò con fare complice Light, suggerendolo come il fromboliere anonimo e quindi meritevole del dito medio che lo studente gli elargì senza tanti rimorsi. Resosi conto dello scherzetto di Lawliet a suo danno, Light gli colpì piccato il braccio, riallacciando il discorso interrotto.

“Sarà. In ogni caso, io non so niente di te. E non ne voglio sapere niente!”, ribadì con veemenza, arrossendo all’energico Sh! della bibliotecaria, che L. rincarò lavandogli a momenti la faccia.

“Neanche come mi chiamo?”, lo provocò il moro lentamente, osservandolo ambiguo di sottecchi.

“Soprattutto, come ti chiami!”, sottolineò in apparenza scocciato il castano, ma L. arricciò divertito la bocca nell’appurare quanto in realtà il ragazzo morisse dalla voglia di conoscere la sua identità: glielo poteva leggere in quelle iridi castane troppo nascoste per i suoi gusti dalla frangia. Sguardo che s’abbassò contrito –o presunto tale. “No, scusa. Sono stato sgarbato. Mi piacer- … mi potresti dire il tuo nome?”, gli domandò goffamente, strano invero per uno che aveva la parlantina facile come il giovane Yagami. Anche quell’inumidirsi le labbra era sospetto. Che la tigre si fosse accucciata per meglio saltare poi addosso alla sua preda?

Silenzio.

“Ryuzaki!”, gli rivelò infine Lawliet, la voce ridotta in un sussurro impercettibile, quasi avesse timore che delle orecchie indiscrete potessero captare il suo nominativo. Non fece neppure in tempo a finire di pronunciarlo, che già la testa di Light si era levata bruscamente, la fronte corrugata dall’incredulità: aveva compreso bene? Davvero quel tanghero si chiamava Ryuzaki?

Certo, come no! E lui era la grande Dea Mater!

Giacché l’uomo dinanzi al castano aveva in sé tanto del Ryuzaki quanto un maiale ne sapeva di bon ton a tavola. La sua pelle diafana corrispondeva al medesimo candore latteo degli occidentali del nord Europa e similmente a loro i lineamenti spigolosi erano ben pronunciati, donandogli un’aria severa - benché il suo comportamento infantile creasse un interessante contrasto – e bilanciando armoniosamente il naso forte, leggermente aquilino.

Forse l’unico elemento giapponese potevano essere la capigliatura corvina e gli occhi altrettanto nero inchiostro; tuttavia, i suoi capelli non scendevano dritti e lisci: al contrario, erano ingarbugliati in un folto gomitolo di ricci ribelli, i quali s’ondulavano naturalmente in ogni direzione, dalla nuca alle tempie, senza bisogno di lacche o bigodini o quant’altro, come facevano gli asiatici per creare l’effetto mosso. Erano, in sostanza, i capelli che avrebbe avuto un rappresentante del bacino mediterraneo. Un’ulteriore prova a suo carico erano i denti: malgrado la tendenza di mangiucchiare in continuazione dolciumi, essi si presentavano candidi, grandi e forti, i quali faceva capolino ogniqualvolta spalancava la bocca per ingozzarsi di dolcetti o per sorridere.

Sì, lo strambo personaggio appollaiato sulla scrivania di Light poteva essere un europeo, un americano, un chicano, un arabo, uno zulù, etc. ma di giapponese, in apparenza, aveva solo quell’improbabile nome. A meno che non fosse di seconda o terza generazione: la bellezza dell’ereditarietà consisteva nel far spuntare caratteri recessivi quando meno ce lo si aspettava. Per esempio, nel giovane Yagami si erano manifestati i caratteri somatici recessivi del nonno americano per parte materna.

 “E di cognome …?”, inquisì Light d’un tratto interessato, supponendo che quel nuovo pezzo d’informazione l’avrebbe di più aiutato a chiarire quel puzzle genetico vivente che aveva di fronte.

Un risolino gutturale sfuggì dalle labbra pallide di L. “Mi vuoi scrivere sulla tua lista nera o controllare se esisto?”, lo sfidò sornione, scartando cauto l’ennesimo cioccolatino e gettando la cartina dentro il cestino accanto al tavolo, seguendo le indicazioni visive di un accigliato castano.  “E comunque, è Coil-Deneuve il mio cognome …”, gli riferì con noncuranza, leccandosi i polpastrelli sporchi di cioccolato e facendo violenza a se stesso pur di non sogghignare dinanzi l’espressione scioccata di Light. “Allora? Lo vuoi sempre prendere questo tea? O cioccolata calda, se preferisci!”, lo invitò birbante, asciugandosi le dita umide sul bordo dei pantaloni e gongolando al malsano pallore tingere le gote del ragazzo, per poi cedere ad un pesante porpora: di certo, immaginò L., si stava mentalmente frustando per averlo trattato a pesci in faccia sabato sera, seppure, ad onor del vero, quello più in torto era proprio Lawliet per aver avvicinato Light con metodi non proprio moralmente accetti. Ciononostante, il moro non fece alcunché per sollevare il giovane da quell’imbarazzo: perché mai, poi? La fastidiosa sensazione di essere in difetto gli sarebbe ritornata molto utile, dunque era meglio approfittarne finché durava no?

Per quel che concerneva Light, egli era diviso in due metà: la prima, che si stava dando incessantemente del – pardon my French - coglione per il suo comportamento tipicamente bisbetico di sabato sera, insultando a tutt’allé una persona che poteva essere in qualche modo legata non solo alla Wammy’s House, bensì al capo dei capi stesso! Cosa gli era passato per la testa? Figurarsi se quel satanasso non si sarebbe trasformato in un merlo canterino, spifferando tutto al suo capo/amico/amante/parente/serpente!

La seconda metà, invece, urlava al bluff: insomma, il panda antropomorfo prima si presentava con un nome giapponese, quando di giapponese lui non aveva neanche il mignolo, e poi aggiungeva uno dei cognomi più in vista sul settore economico mondiale? Ma per chi lo pigliava? Per un fesso? Davvero sperava che se la bevesse così facilmente?

“Ah sì?”, si ricompose in fretta Light, intrecciando ambedue le mani sotto il mento. “Coil-Deneuve, mi dici? E chi mi assicura che non mi stai rifilando una portentosa balla colossale?”, puntualizzò il castano, fissandolo dritto negli occhi. “A meno che, ovviamente, tu non produca un documento qualsiasi che attesti la tua identità!”

E bravo il piccolo Kira! Non esageravano, allora, quando mi dicevano che eri un sospettoso paranoico! Poco male, vorrà dire che ti mostrerò … “Hai perfettamente ragione, Lucy! Con un cognome così famoso non si può di certo scherzare! Ecco, questo è il mio passaporto: spero che vedendolo, ti scompaia ogni perplessità!”, dichiarò mellifluo, estraendo un piccolo libretto bordeaux e cedendolo assai solerte al ragazzo, che lo agguantò anche fin troppo energico, sfogliandolo velocemente.

Gli occhi del giovane Yagami si ingrandirono nel constatare che il marrano affermava il vero: sul passaporto era scritto a chiare lettere “Ryuzaki Coil-Deneuve”. Disorientato, egli chiuse il documento, lo rigirò tra le dita fusiformi, lo riaprì, controllò in timbri, la nazionalità … Tutto sembrava nella norma. Si era dunque insospettito per niente?

“Allora, bambino impossibile, sei soddisfatto?”, lo canzonò velatamente L., intuendo quale dibattito interiore si stesse svolgendo nella testolina logorroica del castano, il quale annuì stralunato, cedendogli il passaporto con mani un poco tremanti. “Bene! Anche questa è fatta! Dunque, questo tea lo prendiamo sì o no? Ne ho proprio voglia, magari con due o tre fette di torta! O qualche cupcakes, se c’è! I pancakes! Tuttavia, se mi propongono dei croissant o dei krapfen, non mi tiro indietro!”, cambiò subito tono, entusiasta come un bambino. “O magari delle crêpes … o dei waffles … un baklava …”

Se invero quello spiritato era legato al trio malefico Wammy/Coil-Deneuve/Ruvie (i fondatori della Wammy’s House), ebbene necesse erat accontentarlo e cercare di capire quale ruolo coprisse esattamente nell’organizzazione. Peccato, che ci fosse un piccolo contrattempo ad impedire un immediato congedo dalla biblioteca alla volta della caffetteria.

“Stavo … stavo aspettando Mikami a dire il vero …”, si giustificò piano Light, al quale veramente servivano gli appunti che l’Addolorato gli aveva promesso e che con quel suo abnorme ritardo si stava rendendo piuttosto scomodo come individuo.

“Peace, Light! Mikami non verrà …”, l’assicurò L. e fu un bene che il castano fosse occupato a riordinare il tavolo, giacché fu esentato dalla vista degli occhi pece di Lawliet assottigliarsi in un’inusuale linea stretta poco raccomandabile. Tuttavia, al ragazzo non era sfuggita una sfumatura piuttosto marcata di possessività nel sentir pronunciare il suo nome da parte del moro e fu proprio quel piccolo particolare a costringerlo ad alzare il capo verso L.

“Come prego?”

“Uhm?”, fece il nesci Lawliet, sbattendo confuso le palpebre.

“Stavi dicendo su Mikami …?”

“Io non ho detto nulla!”

“Ma no, stavi dicendo che non sarebbe venuto …”

“Ho detto questo? Manco so chi sia questo tizio!”

“Lo hai nominato, però!”

“Oh, forse hai capito male! Infatti, la frase che intendevo pronunciare era: “Mica mi verrai a dire che è in ritardo, vero?”, ma poi tu mi hai interrotto e c’è stato il malinteso!”, gli spiegò pazientemente il moro, scendendo giù dal tavolo e ficcandosi le mani in tasca. Zoppicò per qualche passo; evidentemente stando accucciato in quell’innaturale posizione doveva avergli addormentato la gamba sinistra. “Andiamo?”, lo esortò, stendendo il braccio destro in chiara incitazione a precederlo.

Seppur non del tutto convinto, Light decise di concedere un’altra possibilità a quel sacripante. Era umano no? Quand’ecco che all’ultimo si bloccò, rischiando la collisione col moro. “A proposito”, si sovvenne all’improvviso il motivo di quel weekend trascorso col morale a tre metri sottoterra. “Tu per caso conosci mia sorella?”

L. aggrottò la fronte, sinceramente confuso: che accidenti c’entrava ora la devocka? “No, dovrei? Me la vuoi presentare in qualità di mia futura cognata?” e chissà perché, quell’ultima parolina lo inquietò parecchio.

“Certo che no: volevo solo sapere se sabato sera ti eri imbucato ad un party dato a casa sua, giacché ti ho, ehm, visto …”, o meglio pestato. Sperando di non avergli causato un’amnesia temporanea a causa dei pugni in testa, però …

Il moro mantenne un’espressione impassibile, sebbene i suoi muscoli facciali si fossero contratti. “E’ impossibile, ti stai sbagliando. Dopo che ci siamo congedati al club, Matt ed io ci siamo recati prima al cinema, poi a casa sua. Se non mi credi, puoi sempre telefonargli: vuoi che ti dia il suo numero per confermare il mio alibi?”

Light lo fissò a lungo negli occhi, meditabondo. Per quanto quell’inchiostro non fosse molto espressivo, comunque non v’era traccia di menzogna in essi. “Non fa niente, ti credo”, lo rassicurò il giovane, sospirando a lungo. “Avrò scambiato qualcun altro per te …”

Di nuovo, gli occhi di Lawliet di solito così grandi si strinsero piccati. Il suo cervello aveva già elaborato l’identikit di quel qualcun altro alla festa della sua futura cognata e c’era l’88% delle probabilità che si trattasse niente di meno del Brutto Bifolco, altresì noto col nome secolare di Beyond Birthday 

Appena torno a casa, Mello sentirà le sue!, si appuntò mentalmente il moro, nel frattempo che si chinava rapido a raccogliere i libri cascati dalla borsa a tracolla di Light, la quale aveva apparentemente ceduto al carico eccessivo cui veniva costantemente sottoposta o almeno questa fu l’imbarazzata spiegazione che Light gli elargì, per nulla contento di dover gattonare in mezzo al foyer della biblioteca davanti a tutti per riacchiappare i libri sparsi per disordinatamente per terra.

Ignorava, pover’anima ingenua, che era tutto un piano di L.: senza che lui se ne fosse accorto, quest’ultimo gli aveva allentato la cinghia della borsa, così da poterlo meglio osservare da diverse angolazioni ad futuram rei memoriam, quando sarebbe giunto il momento propizio per metterle in pratica!

Senza contare, che alla vista del fondoschiena di Light la rabbia gli stava già sbollendo …

 

***

 

 

“Sto ancora aspettando la tua risposta!”

Quasi si fosse trasformato in un gatto pizzicato a rubare l’arrosto, Light si irrigidì in un colpo solo, la patatina fritta – quella vera, non la chips – bloccata a mezza strada dal piatto e la sua bocca.

I due uomini si erano appostati in un angolino tranquillo della caffetteria, dietro una palma leggermente malinconica seppur abbastanza coprente e meno male, giacché quel che la coppietta bizzarra s’era presa da mangiare avrebbe schifato anche il più forte di stomaco. A onor del vero, Light si sarebbe accontentato di un semplice tea o caffè; tuttavia, notando come il suo compagno non indulgesse esattamente sul formale - anzi tutto il contrario a giudicare da come vestiva ultra-casual e sedeva scomposto peggio di un bambinetto – il castano aveva pensato che forse non c’era nulla di sconveniente da parte sua se ne avesse approfittato per concedersi quel piccolo lusso. Infatti, durante le rare occasioni in cui pranzava all’università assieme ai compagni, prediligeva un pasto più equilibrato, giusto per non divulgare agli altri quel suo vizio alimentare. Specie se poteva mangiare con le mani, intingolando la patatina nel ketchup e nella maionese, recuperando gli anni perduti dell’infanzia e adolescenza in cui gli era stato proibito di farlo.

Sì, non era il caso di essere formali con questo tizio. Una delle innumerevoli qualità del giovane Yagami era di abituarsi in fretta a qualsiasi situazione, di capire velocemente davanti a chi si trovava. E l’abbigliamento esageratamente casuale, se non proprio sciatto, del moro gli diceva che non doveva arrovellarsi nel galateo: non c’era nulla di cui preoccuparsi. Allora, come mai percepiva i muscoli del collo tendersi fino allo spasimo ad ogni minuto che passava? Perché non riusciva a rilassarsi?

Dal canto suo, Lawliet non pareva darsi gran pena di impressionare positivamente il castano dall’aria in apparenza calma e padrona di sé: la posizione leggermente tesa in avanti verso di lui  e l’estrema lentezza con la quale portava il cibo alla bocca e lo masticava denunciavano un forte interesse celato dietro una placida indifferenza. Di conseguenza, egli non aveva bisogno di attirare ulteriormente l’attenzione di Light, poiché di nascosto il ragazzo lo stava già analizzando, rivoltandolo come quei calzini dal moro tanto odiati. In ogni modo, L. aveva col tempo affilato altri metodi per celare ciò che veramente contava del suo passato e della sua personalità; il resto, lo lasciava fluire libero e felice. Ed era appunto il suo passato la vera spina: infatti, non aveva calcolato che quel tanghero di B.B. stesse ricorrendo la gonnella di Sayu e c’era il rischio che il suo alias saltasse prima dell’ora X, mandando in fumo il suo piano.

Tuttavia, se non erro, Light e Sayu non sono in grande confidenza e sospetto che non si frequentino neppure tanto. Basterà restare sul vago e comunque, posso sempre contare su di Mello affinché tenga fratello e sorella separati. Il problema, ora come ora, è il cognome. Se il bastardo dovesse sentirlo, di certo aprirebbe quella boccaccia d’inferno che si ritrova. A meno che …

“Come scusa?”, replicò cauto Light, studiandolo dietro la frangia strategica e per nulla tranquillizzato dall’espressione d’un tratto sorniona del moro.

Appoggiando la tazza di cioccolata calda e ripulendosi gli angoli della bocca con la manica della camicia bianca (L. si sforzò di non ridere davanti al sussulto del castano per tale poca finezza), il moro gli ripeté annoiato: “Alla mia proposta di matrimonio: mi vuoi sposare?” e ritornò a spiarlo con la scusa di bere un’altra sorsata del liquido bollente.

 Fu il turno di Light a trattenere un risolino, cosa che fece fisicamente nascondendo le labbra dietro l’indice e il medio.  E al cortese invito di L. di delucidargli il motivo di quel composto scatto d’ilarità, il giovane ebbe un attimo di esitazione a rispondere. “E’ … è buffo!”, disse semplicemente. Sarebbe stato controproducente osare di più e rivelargli che era la prima proposta di matrimonio che aveva ricevuto nella settimana, se non proprio in tutta la sua giovane vita? Certo, se si trattasse del “Ryuzaki” che ho incontrato sabato sera, potrei anche rifilargli una panzana, come ad esempio che ho l’harem in cantina. Tuttavia, oggi mi sembra una persona diversa, non completamente, ma più sveglia, arguta … Del resto, malgrado quell’atteggiarsi da buffone mantiene sempre un’unica espressione incolore … Sarebbe difficile valutare fino a che punto si berrebbe una mia bugia …  Ma sì, perché no? Raccontiamogli una mezza verità, non sarà quella a nuocermi!

“Trovo buffo, che mi si faccia una proposta di matrimonio proprio in questo periodo …” e Light tacque, non volendo sbottonarsi più del dovuto.  E se l’altro avrebbe inquisito oltre, avrebbe potuto tirare in ballo la carta del “farsi un tegamino di cavoli propri”.

“Capisco”, ribatté serafico L., aprendo una rivista messa a disposizione dalla caffetteria e strappandone alcune pagine, che mise in tasca. “Gli svantaggi della dura lex del kalos kai agathos …”, sospirò teatralmente, in quel che voleva essere un mormorio ben udibile.

Ed infatti …

“Cosa?”

“Niente!”

“No, hai parlato! Cos’hai detto? Cosa c’entra bello e buono adesso?”

Ah-ha, voilà uno dei tanti nervi scoperti! Rimanere isolato dagli altri appunto perché troppo perfetto! “Hai le allucinazioni acustiche? Io non ho detto niente! Ed è la seconda volta che mi fai questo tiro! Non è normale, Lucy! Sei sicura di sentirti bene?”

Light sbuffò visibilmente scocciato da quel giocare al nesci del moro ogniqualvolta lui mormorava frasi sibilline e affatto rassicuranti. Ciononostante, rendendosi conto del silenzio che stava per calare tra loro due (e ciò poteva solo significare che sotto quella zazzera corvina si stava preparando un’altra domanda indiscreta), il giovane decise di sviare altrove l’argomento così da tenerlo lontano da ogni eventuale indagine sulla sua vita privata. Casomai sarebbe stato l’incontrario. “Piuttosto, non ho potuto fare a meno di notare un tuo particolare interesse verso la recente scomparsa della cantante lirica Lucrèce Montecrief. Per caso eri un suo fan?”

Gli occhi pece divennero maggiormente fissi. “In un certo senso sì. Anzi, oserei dire che ero …”, ma si interruppe, scuotendo il capo e preferendo servirsi invece di un abbondante boccone di torta.

Incuriosito invece da quella frase lasciata a metà, Light lo incalzò: “La conoscevi?”

“Sì, la conoscevo”, convenne tranquillo L., tamburellando le dita sulle ginocchia. “Anche se non eravamo in grande confidenza, avevo comunque il privilegio di conoscerla non come Lucrèce Montecrief, bensì come Lucia Eraldo, la vera donna dietro quell’alias.”

“Immagino che molti ti avranno invidiato questo privilegio”, insinuò piano il castano, per nulla rassicurato da quel “Lucia” sospetto. Ultimamente, quel nome compariva troppo spesso per essere una banale coincidenza. E’ strano che conosca il soprano così intimamente: Lucrèce – o Lucia – era famosa per la sua estrema riservatezza, che rasentava l’agorafobia a volte. Che sia un parente? Un amico? Oppure …

“Non si sono persi nulla: la sua grandezza si circoscriveva alla sua voce e allo pseudonimo altisonante. Dietro, non v’era alcunché di rilevante. Il nome è una cosa così futile: indica una persona o un oggetto e allo stesso tempo crea malintesi sulla sua essenza. Ad esempio, il nome di quel soprano è francese, eppure lei era italiana”, gli spiegò incolore L., passandosi il polpastrello del pollice sulle labbra. Sta cercando il collegamento, lo vedo bene. È troppo giovane per ricordarsi dello “scandalo” che coinvolse mio padre e mia madre, ma sarebbe più prudente sviarlo prima che possa capire che io sono il loro figlio. Altrimenti, si nasconderebbe dietro un’adorabile maschera di santerellino ed io devo vedere fino a che punto è meritato il suo soprannome di Kira o Bisbetico. In questo modo, domarlo sarà più semplice: hé, almeno per una volta, quel fannullone di mio zio paterno mi sarà d’aiuto!

“Certamente”, annuì piano Light, leggermente perplesso da quello strano commento.

“Oppure, come ad esempio che la gente si rivolge a te chiamandoti o Bisbetico o Kira!”

La reazione di Light fu priceless, nel vero senso della parola, sia famigliare che non: impagabile nella sua ilarità.

A sentir udire i due nomignoli pronunciati a voce alta e davanti a lui, le gote ambrate del ragazzo divennero cremisi profondo, tanto che parevano sul punto di ebollizione e L., si chiese se toccandole, non si sarebbe addirittura scottato i polpastrelli. Gli occhi, dapprima stretti e guardinghi, si spalancarono a mo’ di lemure, mentre la bocca si arricciava in una smorfia capricciosamente disgustata, tipica del bambino che veniva costretto ad ingoiare un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. La vera ciliegina sulla torta fu innanzitutto il pesante pugno che Light elargì al tavolo, il quale fece tremare a tal punto piatti e posate che alcune caddero perfino per terra; in secondo luogo, fu lo scattare in piedi del giovane, rovesciando rumorosamente la sedia.

“Io sono Light Yagami, non Kira o Bisbetico e chi mi ha messo questi due soprannomi è stato una gran carogna!”, ringhiò feroce, afferrando in maniera poco raccomandabile il lungo cucchiaino del caffè che L. per un folle istante temette volesse ficcarglielo giù per l’esofago. “Capito?”, gli disse immediatamente più tranquillo, raccogliendo la sedia e riprendendovi posto.

Uhm, gli salta la mosca al naso troppo in fretta! “Sì, ho capito: sei lunatico perché il tuo nome si scrive con l’ideogramma di “Luna”!”

“Ma non è niente vero!”, borbottò subito imbronciato il castano, gonfiando le guanciotte indispettito. Lunatico sarà quel gran pirata di tuo nonno!

“Cosa? L’ideogramma? Possiamo sempre controllare nel dizionario …”, si propose L. volontario, apparendo falsamente confuso.

Annoiato da quella fase gnorri, Light liquidò la questione tramite un nervoso svolazzo della mano. “Non cambiare discorso: stavamo parlando di Lucrèce Montecrief, alias Lucia Eraldo, giusto?”

Ed è anche testardo! “Hai ragione. Non ti facevo così curioso: dunque, che vuoi sapere di lei?”

Ora mi fai passare pure per impiccione? “Io? Niente! Mi piace finire un discorso là dove era incominciato!”

“Ah sì? Beh, allora sei tu il primo a venir meno a questa legge morale dentro di te, visto che ancora non mi hai dato una risposta definitiva riguardo la mia proposta di matrimonio”, fece L. con nonchalance, gongolando dinanzi al quasi impercettibile stringersi dell’occhio sinistro di Light, segno che aveva incassato il colpo.

Touché, ma non darti tante arie. “Beh, quella non è un discorso, bensì una decisione. Non involve uno scambio di opinioni; necessita solo di una mia risposta, la quale dev’essere ben ponderata dal sottoscritto. Tutto qua”, replicò annoiato il castano, seppur intimamente molto soddisfatto. E ora prova a replicare, razza di spaventapasseri affumicato!

“Se lo desideri, posso sempre aiutarti in questa decisione, consigliandoti: non deve essere per forza un solitario monologo…”, alluse maligno l’uomo, ficcandosi in bocca un abnorme pezzo di torta.

“A cosa alludi, pervertito d’un panda arrapato?”, lo rimproverò Light in maniera neanche tanto velata, stringendo involontariamente le gambe sotto il tavolo.

Falsamente disorientato, L. assunse l’espressione più innocentina di questo mondo. “Honni soit qui mal y pense!” [1] (Vergogna a chi ne pensa male!, ndr.), si schermì, seguendo affascinato il nervoso tamburellare delle dita del giovane Yagami sul tavolino. Un movimento discreto, ma che comunque tradiva un certo suscettibilità nel suo interlocutore.

“Sicché ti piace la musica classica e l’opera”, saltò Light di palo in frasca, scombussolando ora veramente il moro, che rimase sul serio perplesso per qualche istante, domandandosi il motivo di quel brusco cambiamento di discorso.

“Questo è corretto”, ammise L., sorseggiando la sua cioccolata.

“E suoni uno strumento?”

“Anche questo è corretto. Il violino, per la cronaca. Come Sherlock Holmes”, rispose il moro.

“Ti piacciono i gialli?”

Di nuovo il castano stava dirottando il discorso in un’altra direzione. Ma a quale scopo? Forse, voleva coglierlo impreparato? “Di ogni genere ed autore. Anche se il mio preferito credo sia Ellery Queen: è il più cervellotico e complicato. Un vero rebus”, ribatté incolore di L., corrugando appena la fronte.

“Capisco …”, annuì distrattamente il giovane, ripigliando la sua guerra al massacro contro le patatine fritte.

Non ha senso, cogitava Lawliet, studiandolo attento. C’mon, so che muori dalla voglia di pormi domande sulla mia famiglia. Perché, invece, questa tua reticenza?

Se gli chiedo schiettamente dei suoi, crederà che io lo voglia solo sfruttare: mi si è presentato in veste di spasimante, non di possibile socio, non posso discorrere di affari con lui. Non subito, almeno. Ma come faccio, però, a sincerarmi che sia davvero un Coil-Deneuve? Come chiedergli di L., senza insospettirlo? “E dimmi”, riprese Light con noncuranza, “per caso questi tuoi hobby sono condivisi in casa?”

Ah, le voilà enfin! , pensò l’uomo dopo qualche istante di riflessione. E con una domandina davvero innocua, poi! “Sì”, confermò Lawliet, giocherellando col suo cucchiaino. “Mio cugino, specialmente.” E adesso aspettiamo …

Il viso di Light rimase sorprendentemente una maschera impassibile. “Tuo cugino?”, anche la sua voce era rimasta invariata.  Il suo cervello, invece, si trovava nello scompiglio più caotico. Cugino? Di chi? Di L.? Se questo zibibbo umano si sforzasse ad essere più preciso …

“Sì, mio cugino Lawliet”, fece innocentino L., sorridendogli accattivante. “Non lo conosci?”

 “Non ne ho mai avuto il piacere”, replicò neutro Light. Resta sul generico, non dargli l’impressione che le sue informazioni m’interessino. “Insomma, non a tutti è concesso di parlare a tu per tu con il capo dei capi, il signor L.!”

Sarei tentato quasi di dirtelo ora chi sono: tuttavia, ti preferisco ben vivo e vivace, piuttosto che morto d’infarto in questa caffetteria per la sorpresa. “Oh, e come sei giunto alla conclusione che L. e mio cugino siano la stessa persona?”

Ribadisco che questo o è un grande scemo o un gran furbo: quindi o mi sta pigliando per i fondelli o mi vuole fregare, mettendomi alla prova. Evidentemente, sta verificando quale sia il mio vero interesse nei suoi confronti … “Siccome entrambi incominciano per “l”, ho supposto che fosse così. Pluralitas non est ponenda sine necessitate, poiché a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire. Per quanto L. mantenga la sua vita privata un mistero con le unghie e con i denti, è risaputo che non abbia fratelli con il suo medesimo cognome. Ha solo un fratellastro, del quale però non se ne è mai curato  e di cui si sa poco o niente. Quindi, se tu davvero sei un Coil-Deneuve, puoi solo essere un suo cugino per via paterna.” [2]

“Sì, sono figlio del fratello minore del padre di L. e di una giapponese che ha conosciuto in un viaggio di lavoro. Sei ben informato a quanto vedo!”

“Nah, sono informazioni che chiunque può trovare su Wikipedia”, si difese Light prontamente, seppur la storia del moglie del fratello minore gli sfuggisse. Si appuntò mentalmente di controllare alla prima occasione. “Per il resto, ne so quanto i miei “colleghi” di business.”

“Mettiamo competitori”, lo corresse amabilmente L.

Il ragazzo non si scompose, limitandosi a scrollare le spalle. “In ogni modo, non siamo qui per discorrere di L., bensì di te!”, e gli sorrise affabile, lo stesso sorriso che Lawliet immaginava essere dipinto sulle labbra di Salomè, dopo che questa, ottenuta infine la testa del suo profeta sul piatto d’argento, affermava vittoriosa: “Ho baciato la tua bocca, Iokanaan!” E per un motivo oscuro, era un paragone perversamente azzeccato. [3]

“Giusto! Sennò potrei ingelosirmi del mio stesso cugino …” e la cosa ti riempirebbe di gusto, nevvero furbetto? Chissà che non riesca ad incuriosirti ulteriormente! “Che poi, è un tipo così bizzarro …”

Disse lo strambo, pensò sardonicamente Light, mantenendo lo sguardo concentrato sul piatto. Come! Adesso è in vena di confidenze? “Sarà un vizio di famiglia …”, gli suggerì vago, non volendosi compromettere troppo.

Lawliet convenne energicamente. “In effetti. Una volta lui ed io ci intrufolammo alla vigilia degli Ognissanti nel cimitero del nostro paese – sai, abbiamo trascorso l’infanzia nello Hampshire – per constatare se fosse o meno vera la leggenda di Jack O’Lantern!”, [4] gli raccontò il moro deliziato, gli occhi leggermente brillanti da quella reminescenza felice. E porto ancora i segni di quell’avventura … ma assistere allo spettacolo di Near che se l’era fatta addosso di certo ha ripagato tutte le busse datemi sia da Watari che da Roger.

“Tuo padre doveva essere stato molto … indulgente nei tuoi confronti, quando eri piccolo …”, ammise il giovane, un poco invidioso dell’enorme libertà d’azione che “Ryuzaki” doveva aver avuto durante sia l’infanzia che l’adolescenza.

“Non si è mai molto preoccupato di me”, scrollò le spalle L., giocherellando con la fragola del dolce. E ci mancherebbe altro: è morto! Quanto a mio zio, quel cialtrone non è capace di badare nemmeno a se stesso, figurarsi se si occupava di me! “Era troppo assorbito dal suo lavoro”, e la voce del moro s’indurì impercettibilmente.

“Ti capisco”, gli confessò Light, la sua invece più morbida. Oh, se comprendeva cosa significava avere un padre più votato al suo mestiere che alla famiglia! Forse quel tizio non poi era un caso così perso … forse, vi era una spiegazione dietro quel suo comportamento fuori dagli schemi …

“Già. Erano rare le occasioni in cui facevamo qualcosa insieme. Di solito, trascorrevo la maggior parte del tempo o coi miei prozii o nella biblioteca o a tormentare Nate, un nostro cugino di secondo grado” e se non era divertente! Specie fracassargli i robot o nascondergli  i pezzi dei suoi puzzle nella lettiera del gatto: allora, il suo cuginetto si gonfiava come un tacchino e si metteva a strillare peggio di una banshee irlandese. “Solo in un’occasione trascorsi un intero pomeriggio con mio padre, in cui ci mettemmo a ricorrere le pecore neanche fossimo la reincarnazione di Peter e Heidi!” Ed invero era stata un’esperienza magnifica - l’ultima prima del Giorno Orribile - seppur il proprietario del gregge non ne fosse stato poi così lusingato, specie quando un Lawliet di dieci anni si era messo a fare i capricci, pestando i piedi che voleva portarsi a casa un agnellino come animaletto da compagnia.

“Perché?”, trasalì il castano, visibilmente sorpreso: certo, tra tutti gli esempi di quality time passati coi rispettivi padri, quello era il più eccentrico in assoluto!

“Non me lo ricordo bene. So solo che c’entrava qualcosa col pranzo di Pasqua o similia. Fatto sta, che alla fine riuscimmo a ritornare a casa con l’agnello, che mangiammo la sera stessa”, traumatizzandolo à jamais, lui che credeva che fossero andati dal pecoraio per comprare l’agnello onde tenerlo come animale domestico e non per cucinarlo al forno alla menta con le patate.

“E tua madre?”, gli domandò di bruciapelo Light, l’immagine di “Ryuzaki” che correva dietro ad un agnello ancora ben stampata in mente. Non sapeva se trovarla piuttosto divertente o estremamente inquietante.

“No, lei non l’abbiamo mangiata. È morta quando avevo cinque anni”, rispose Lawliet con estrema lentezza, colto un poco alla sprovvista e intimamente infastidito di dover parlare di sua madre, malgrado l’avesse assistita per un anno intero durante gli ultimi stadi della sua malattia.

“Dev’essere stata dura.”

“Sono sopravvissuto”, fece noncurante L.

“Oh, non è difficile andare avanti … fisicamente, intendo”, si spiegò meglio Light, apprestandosi a sottrarre una patatina dal mucchio, ma rinunciandovi all’ultimo momento. Alzò per un istante lo sguardo, incrociando quello del moro; inspiegabilmente si sentì avvampare le orecchie e abbassò in fretta le lunghe ciglia, celandogli le sue iridi nocciola. Ho blaterato troppo! Ho blaterato troppo!, si rimproverò mentalmente.

Attirato invece da quella frase sibillina e soprattutto dal tono stranamente mesto per gli standard alteri del ragazzo, Lawliet si sporse più in avanti, reclinando il capo così da poter osservare meglio il viso dell’altro. Per un attimo era convinto di averlo scorto più insicuro del solito, più fragile, quasi … sincero? Light intanto gli teneva gli occhi ben nascosti sotto la frangia finché non si sentì del tutto convinto di poter sostenere lo sguardo di L. senza ulteriori complicazioni.

“Mi vuoi, dunque, sposare?”

“Eh, ma sei testardo!”, fischiò spazientito il castano, roteando gli occhi esausto. Voleva prenderlo per sfinimento?

“E tu sei evasivo: non rifiuti e non accetti!”, puntualizzò L. pronto alla carica: quell’espressione così vulnerabile gli aveva istigato ogni istinto perverso e/o protettivo nei confronti di quel giovanotto caparbio. “E questo è interessante: insomma, per la legge del maschio eter- …”

“HO CAPITO!!”, lo interruppe Light veementemente, saltando quasi dalla sedia e le guance paonazze. Uffa, ancora quel disquisire sul suo orientamento sessuale, minandolo allegramente di dubbi esistenziali! Ma insomma, se uno aveva un po’ di pudore a cicalare di certe cose, si doveva per forza sospettare della sua eterosessualità? Ohibò, il giovane non ci aveva mai cogitato sopra più di cinque minuti, tuttavia questo non significava che il primo briccone che passava di lì poteva additarlo come un abitante di Sodoma e Gomorra! Anche se, in tutta onestà, il panda antropomorfo non era stato il primo ad aver espresso le sue perplessità ad alta voce … “Non c’è bisogno che mi ripeti cento volte il medesimo concetto: non faccio Miskin di cognome, razza di gibbone!” [5]

“E dunque …?”, lo spronò il detto urside umano, gli occhi puntati contro di lui, implacabili.

“E dunque … che progetti hai per questa settimana?”

L. indietreggiò col capo, neanche avessero tentato di tirargli un pugno dritto al naso. “Io? Sono stato incaricato da L. di ispezionare l’andamento della filiale giapponese della Wammy’s House. Perché cambi discorso ogni volta che accenno alla tua sessualità?”, inquisì testardo, mischiando le due informazioni nella speranza che quella più scioccante potesse distogliere Light dall’altra più menzognera.

“Forse perché è indiscreto da parte tua?”, gli suggerì indulgente il giovane, intrecciando le dita dinanzi a sé. 

“Voglio essere sicuro prima d’impalmarti! Non è bello essere cornificato da una donna!”, protestò il moro vivacemente, la vocetta acuta non dissimile da quella di un bambino capriccioso.

Cavoli tuoi, sai quanto me ne importa! Senza contare, che io non sono così banderuola: le corna io non le faccio, nossignore! “In ogni modo, credevo fosse L. quello che doveva venire questa settimana!”, precisò il castano guardingo, stringendo sospettoso gli occhi: ohé, che razza di panzana sperava di rifilargli?

Un lungo e melodrammatico sospiro sfuggì dalle labbra pallide di Lawliet, mentre che questi gettava indietro il capo teatralmente, quasi stesse recitando la più drammatica delle tragedie greche. “Alas, L. purtroppo non è in ottime condizioni di salute e mi ha chiesto di fargli le veci!”, un altro sospiro, nel frattempo che il moro faceva non visto il segno dello scongiuro sotto il tavolo per non attirare sul serio la malattia. Poi, un’occhiata di bragia. “Sei troppo interessato a lui per i miei gusti! Guarda che sono geloso!” e il fuoco contenuto nella voce di quell’uomo dall’apparenza così ineffabile fece sussultare il giovane Yagami di sorpresa e – perché no? – di curiosità.

“E’ solo per motivi, ehm, lavorativi!”, ci tenne  il castano a precisare, mettendo in avanti le mani. Perfetto! Strambo, infantile e ora pure geloso! Ma da quale pantano è uscito questo rospo bitorzoluto?, borbottò tra i denti il ragazzo, ignaro che l’ultimo epiteto fosse stato captato dalle orecchie ipersensibili di “Ryuzaki”.  

“Ah sì? Ma tu non dovevi preparare una tesi?”, fece lo gnorri L. , rendendosi piacevolmente conto di come stesse passando da urside ad anfibio, da Ailuropoda Melanoleuca a Bufo Bufo. E non appena la sua agile mente collegò il nome specifico del sopracitato rospo comune all’aggettivo italiano “buffo”, fu costretto a nascondersi dietro la tazza gigante di cioccolata calda per non sputare il liquido caldo in faccia a Light a causa della risata, che gli stava scorticando l’esofago. Invero Kira aveva un dono particolare nel cercare – seppur inconsapevolmente – l’epiteto più ingiurioso e incredibilmente più adatto per ciascuno. Forse doveva sul serio cessare di lavorare come businessman e mettersi a scrivere romanzi.

“Anche!”, si guardò Light le dita colpevole, le orecchie che presero a bruciargli subitaneamente al ricordo del colloquio mattutino. Lo stomaco gli si strinse poi in una sgradevole morsa di disagio e gli parve che la borsa a tracolla medesima – là dove la sua tesi “mediocre” era riposta – stesse per esplodere da un momento all’altro.

“E lavori?”, s’informò L., sporgendosi in avanti. Questo spiegherebbe molte cose sul suo comportamento: del resto, se non erro temo che questo monello sia sul generis “perfettino”, ergo che mette anima e corpo in ogni cosa che fa, anche a costo di un esaurimento nervoso.

“Beh, la maggior parte degli studenti lavora!”, si schermì prontamente Light, malgrado lui per primo non suonasse molto convinto di quanto affermato.

“Ma non a tempo pieno come te!”, lo smentì appunto il moro. Peccato che quella che voleva essere una protesta in sua difesa, il castano la interpretò come scusa per non applicarsi maggiormente negli studi. E di fatti, replicò egli acido:

“Non ho mai mancato ad una sola lezione!” e si barricò in un imbronciato silenzio, le braccia conserte.

Uff, brutto segno: forse ho calcato troppo la mano con lui. Se voglio che non si chiuda ad ostrica con me, suppongo debba apparire più remissivo. Argh, dannato sia il suo orgoglio e la sua smania quasi patologica di avere il controllo su tutto e tutti!, imprecò mentalmente Lawliet, tamburellando scocciato le dita sulle ginocchia.

Silenzio del cospiratore.

“Perché lo fai?”, ruppe infine L. gli indugi, la voce conciliante e piena di comprensione. Chissà, forse non era del tutto impostata, forse una venuzza di sincero interesse c’era: chi e cosa spingevano quel pulcino (i suoi prossimo ventiquattr’anni erano dimostrati malissimo in termini di maturità virile) a spomparsi così?

“Perché! Perché!”, sbottò Light, per nulla contento di quell’interrogatorio a quale sospettava essere sottoposto. “Perché mi va!”, fu la sua esauriente e concisa risposta, la quale suscitò parecchio scetticismo presso Lawliet che si sentì in dovere di replicare un solenne:

“Bugiardo!”

“Pantegana!”

Silenzio rancoroso.

“Mi vuoi sposare?”

“Vai in malora!”

Ulteriore silenzio rancoroso.

Extremis malis, extrema remedia! “Peccato! E io che avevo intenzione di considerare quell’offerta di partnership … Sai, L. ha accennato ad un mio trasferimento, in caso mi trovassi bene qui in Giappone: in fondo, è la mia seconda patria, no?” e ammirò il doloroso e malcelato  autocontrollo di Light, il quale si stava trattenendo dal compiere due portentosi estremi: il primo, di scavalcare il tavolo e impiccarlo alla palma; il secondo, sempre di scavalcare il tavolo, ma questa volta per supplicarlo di concedergli la tanto agognata partnership. Siccome erano comunque due decisioni nelle quali il suo orgoglio ne avrebbe risentito parecchio, il giovane Yagami pensò bene di prendere tempo replicando un iroso e sdegnato:

“Mi ricatti?”

“Mi vuoi sposare?”

“NO!”

“Mi rifiuti perché è sconveniente o perché non ti piaccio?”

Silenzio post-concussivo.

E per la prima volta in tutta la durata di quella conversazione salterina, Light distolse seriamente lo sguardo, voltandosi da un’altra parte e fissando ostinato un punto indefinito davanti a sé, le labbra strette in una linea dura, come se volesse proferire qualcosa che il lato razionale della sua mente si stava adoperando alacremente onde impedirglielo.

Era davvero curioso quel gesto da parte sua, notò L. intrigato; quasi il ragazzo temesse che la risposta fosse leggibile sui suoi occhi nocciola. Sarebbe stato veramente possibile ciò? Le uniche emozioni che trasparivano da quelle iridi superbe erano finora state la collera o il sarcasmo; che fosse dunque possibile che un altro sentimento altrettanto dirompente vi si manifestasse in maniera sì evidente, da costringerlo a volgere gli occhi altrove?

“Posso vederti domani?”, gli chiese allora Lawliet, azzardando ad allungare la mano alabastrina per posarla lievemente su quella più olivastra del ragazzo. Un contatto breve, discreto, affatto oppressivo; eppure, si trattava di un cenno fisico necessario a ripigliare quella “principessa” altera e costringerla a sintonizzarsi con lui: il moro aveva la sgradevole sensazione, che quando il giovane desiderava isolarsi, lo attuava tramite la mente, recidendo ogni ponte col mondo esterno. E all’uomo ciò non andava a genio, poiché era sua ferma intenzione contemplare a fondo quelle iridi capricciose, fino ad arrivare agli abissi medesimi della loro anima più nascosta e profonda.

Silenzio più accomodante.

“Forse …”, gli concesse Light in un incerto mormorio, la pelle d’un colpo ipersensibile, neanche gli fossero stati applicati cento aghi contemporaneamente sopra e sotto l’epidermide: fu capace per un istante di percepire ogni piccolo dettaglio di ciò che circondava la sua mano, dal pulsare delle vene all’impercettibile sfregare dei polpastrelli callosi del moro – retaggio del suo hobby di violinista – sulla sua pelle più morbida. Si maledì irato per quella sua reazione da ragazzina al primo amore. Ignorava, invece, che il corpo umano, oltre ad essere una macchina perfetta, era anche un curioso agglomerato di reazioni chimiche e che poteva reagire tanto violentemente ad una sfrenata e sensuale capriola à deux, quanto ad un semplice e pudico tocco. Vero era anche, che non essendo Light molto abituato a un qualsiasi genere di contatto fisico (complice la sua natura un pochino schizzinosa), quelle rare volte che esso accadeva, era normale che lui provasse una strana sensazione di imbarazzo mista a disagio. “Forse …”, ripeté più convinto, tentando di sottrarsi a quelle dita ossute, le quali giacevano sul suo polso leggere eppure salde come delle manette.

“Dunque, non mi resterà altro che sperare in una tua risposta più precisa”, sospirò L., sogghignando tuttavia tra sé e sé per essere riuscito a riottenere l’attenzione dello sguardo nocciola: una piccola vittoria, indubbiamente.

“Non sarò io ad impedirtelo”, lo ammonì serio il castano. “La speranza è la più dolce delle illusioni …”

E non ebbero altro da dirsi, terminando in silenzio assoluto il loro pranzo/merenda.

Dopodiché, ognuno ritornò ai propri impegni, L. ad intercettare Watari, che ritornava dalla sua spedizione in Italia e Light a casa, giacché aveva compreso che ormai Mikami gli aveva dato una solenne buca, ripromettendosi nel frattempo di fargliela pagare in un futuro neanche troppo prossimo.

Al contrario,  non s’immaginava che in realtà  l’Addolorato si trovasse eccome alla To-Oh University, seppur relegato in una situazione a dir poco … costringente.

Non poteva figurarselo, giacché fu solo verso sera che le addette alle pulizie reperirono un Teru Mikami sull’orlo del collasso nei gabinetti maschili dell’università.

Qualcuno lo aveva misteriosamente chiuso lì a chiave, portandosi pure via quest’ultima e lasciandogli un messaggio in codice sulla porta che recitava un ieratico: “Fregato!”, scritto con una matita appartenente all’Addolorato stesso.

E il bello, era che gli aveva pure rotto la punta.

Ma almeno a Mikami, in seguito ad aver rischiato la morte tramite disidratazione rinchiuso in un gabinetto universitario, era passata la voglia di suicidarsi.

Nella vita, non tutto il male veniva per nuocere.

E manco male!

 

 

 

 

.

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove  un’allarmante notizia si sparge e tutti ne discutono assai perplessi tra di loro.

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Fiuh!, anche questa è fatta! Sono fiera di me, sì sì, seppur questo capitolo mi abbia lasciata un po’ perplessa: poche azioni, molti dialoghi. Ma del resto, a parte la partita di tennis, è attraverso il botta e risposta che vedo L. e Light più in “azione”. Essendo tutti e tue moooolto cervellotici, è così che si divertono. >_>

A ognuno le sue perversioni, il mondo è bello perché è vario! XD

Allora, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Il prossimo sarà più “tranquillo”, in sostanza ciascuno avrà da dire la sua e finalmente rivediamo gli altri personaggi, che in questo capitolo si sono presi una meritata pausa!

Ah, Mikami qua fa una particina. Non so se ricomparirà. Forse sì, forse no. Vedremo … (è proprio destino che quell’uomo sia sfruttato ….)

Bien, alla prossima! Ciao!

 

Un po’ di noticine:

 

[1] Honni soit qui mal y pense = Vergogna a chi pensa male, è il motto dell’Ordine della Giarrettiera, fondato in Inghilterra dal re Edoardo III Plantageneto nel quattordicesimo secolo e tutt’ora vigente.

[2] Pluralitas non est ponenda sine necessitate = Non considerare la pluralità se non è necessario. È una delle tre formule del “Rasoio di Occam”, ovvero che la soluzione ad un problema è sempre quella che si presenta più semplice e scontata.  

[3] “Ho baciato la tua bocca, Iokanaan!” = frase tratta dall’opera teatrale Salomè, di O. Wilde.

[4] Jack O’Lantern = narra la leggenda che Jack fu in vita un uomo così meschino e crudele, che quando morì perfino l’inferno lo rifiutò. Da allora, si dice che vaghi per il mondo la notte di Halloween, soprattutto per i cimiteri, con una grossa lanterna ad illuminargli la strada. “Jack O’Lantern” è anche il nome che gli inglesi e americani danno alle zucche-lanterne che mettono alle finestre ad Halloween.

[5] Miskin = il nome del protagonista de L’Idiota, di Dostoevskij. Nomen est omen, seppur in un differente contesto perché Miskin non è propriamente idiota in quel senso. E in quale allora? Beh, un motivo in più per leggere questo meraviglioso romanzo, no? ^^

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Capitolo 6
*** Laddove un’allarmante notizia si sparge e tutti ne discutono assai perplessi tra di loro ***


Hi there!

A quasi due settimane di distanza (e non l’ho fatto apposta coi tempi del capitolo! ;-)) rieccoci qua con il 6°capitolo! Ancora più dialoghi che mai, mi sa che qua i personaggi avranno la gola scorticata alla fine di questa fic dal tanto parlare! XD

E tanto si è cicalato in questo capitolo, che ho sgarrato di ben 4 pagine! XD 22 pagine, sono un caso perso. (Uh, le 4 pagine in più *si flagella* uh, non dovevo! *si flagella* uh, che orrore!)

Non oso immaginare a che quota raggiungeremo il prossimo capitolo, che è uno dei più importanti di questa storia! >_>

Una cosa last minute che volevo precisare su Mello, notando quanto sia amato in questo fandom: allora, so che gli autori hanno indicato il suo vero nome come “Mihael Keehl”. Tuttavia, in tedesco, Michele si dice appunto Michael, solo che il “ch” si pronuncia aspirato come la “h” di “Mihael”. Come Michael Schumacher, per fare un esempio. Forse gli autori hanno trascritto il nome in base alla fonetica invece che alla scrittura, avendo loro stessi affermato che Mello è tedesco. Questo è per giustificare il perché scrivo Michael Keehl, invece che Mihael.

Detto questo, un sentito ringraziamento ai miei lettori, a coloro che hanno messo questa storia tra le preferite, ricordate e seguite.

Uno speciale ringraziamento ai miei recensori: Cyborg22 e Sagitta72, pochi ma buoni! Yup!

Spero che questo capitolo vi piaccia! Buona lettura!

 

 

H.

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Capitolo 6: Laddove  un’allarmante notizia si sparge e tutti ne discutono assai perplessi tra di loro.

 

 

 

 

 

Due settimane dopo …

 

Forse, la vita non era esattamente così bastarda come certi ottimisti solevano descriverla sui blog, FB, Twitter o quant’altro: talora essa riservava degli inaspettati twist che la sconvolgevano piacevolmente e l’interessato in questione non poteva far a meno di ricredersi e proclamare ai quattro venti la sua contentezza di essere a questo mondo.

Mello si trovava proprio in un simile stato di grazia, il morale fluttuante tra i cerchi di anelli di Saturno in dolci piroette. Era quasi persuaso a gridare al miracolo, tanto gli eventi stavano prendendo una piega così favorevole e pacifica: non solo Sayu aveva impressionato positivamente il produttore di LA, ottenendo il ruolo di protagonista nel prossimo film, ma la ragazza si era comportata in maniera davvero esemplare durante l’intero soggiorno, ritornando al suo hotel puntuale e trascorrendovi tranquillamente la notte, magari al telefono o via Skype con B.B., a.k.a il famoso tizio di San Francisco, nonché spasimante “ufficiale” – per quanto la stampa non ne sapesse ancora nulla – di Sayu.

No, sul serio, a Mello era venuto un semi-infarto nell’istante in cui la giovane glielo aveva presentato, memore, infatti, del profondo affetto fraterno che Beyond Birthday Pierston e Lawliet Coil-Deneuve si portavano, il quale li invitava a mandarsi in malora a vicenda ogniqualvolta incrociavano i loro cammini. Il che era ad ogni morte di papa, sebbene lasciasse puntualmente il segno e che segno! Lividi dappertutto, vestiti a brandelli e qualche capello in meno, strappato dolorosamente alle rispettive capigliature corvine. Eppure, tra loro sussisteva un reciproco e ben rispettato patto di non aggressione della rispettiva privacy che era a dir poco commovente: i due non sembravano neanche compartire una goccia del medesimo sangue, tanto poco conoscevano l’uno dell’altro. E non davano neppure l’impressione di voler approfondire detta conoscenza.

Sinceramente, il manager si era spesso chiesto il motivo dietro a quell’inspiegabile antagonismo vigente tra i due fratellastri. O perlomeno poteva comprendere quello di L., ergo una sottile invidia nei confronti di B.B. che era stato privilegiato rispetto a lui dalla presenza della madre durante la sua crescita, nonostante il divorzio dei genitori di quest’ultimo a sedici anni. Magari B.B.  gli stava semplicemente sul gozzo: il problema con L. era che non si sapeva mai fino a che punto ciò che diceva e le emozioni che manifestava corrispondessero al vero. Ma Beyond Birthday, allora?  Quale ragione aveva lui di invidiare Lawliet? Non poteva essere per motivi pecuniari, giacché anche il fratellastro minore era benestante; non poteva trattarsi neppure del ruolo importante ricoperto dal maggiore – capo di una brand in continua crescita come la Wammy’s House – visto che B.B. pareva più interessato all’avvocatura. E decisamente era da escludersi una qualsivoglia contesa amorosa, in quanto il minore era schifosamente eterosessuale, mentre L. stava con chi gli piaceva e se il candidato in questione fosse uomo o donna, la cosa non gli creava alcun disagio.

Perché, dunque, si odiavano così appassionatamente? Forse, ognuno vedeva nell’altro quel che avrebbe voluto avere in passato? O quel che non avrebbe voluto diventare in futuro?

O semplicemente, quei due erano dei gran rompiscatole rintronati ed era meglio lasciarli annientarsi a vicenda per la propria pace?

Mello già da tempo aveva scelto quest’ultima opzione, anche perché la “faida” – che a confronto pareva una scaramuccia – tra Kira e Sayu lo occupava a sufficienza e lui al suo fegato ci teneva. Di conseguenza, il poveraccio aveva iniziato a sudare non freddo, bensì congelato, quando B.B. e Sayu avevano deciso di mettere le carte in tavola e venire – discretamente – allo scoperto. Il manager, infatti, sapeva quanto L. odiasse avere contatti col fratellastro più del dovuto e il fatto che quest’ultimo frequentasse la cliente di un suo caro amico lo avrebbe fatto arrabbiare più di Willy il Coyote sotto acidi pesanti. Sarebbe equivalso, secondo un suo ragionamento molto tortuoso, ad ammettere il ragazzo nel suo cerchio delle conoscenze intime, cosa che L. avrebbe preferito piuttosto farsi squartare pur di evitarlo.

E malgrado ciò, Michael Keehl si era sentito abbastanza sicuro: era il manager di Sayu, non suo padre, ergo se doveva porgere una visitina al moro, non sarebbe stato così stupido da portarsi seco B.B., no?

No.

La vera sudorazione-granatina aveva avuto luogo durante la rissa apocalittica, nella quale Kira aveva tentato di prendersi coi denti lo scalpo di B.B., avendolo appunto scambiato per una versione più mondana di L. Al biondo era bastato un semplice 2+2 per realizzare con suo sommo orrore, che il Bisbetico e L. si erano incontrati per una perversa volontà celeste e che il panda antropomorfo doveva in aggiunta essersi comportato assai indelicatamente con lui, così da scatenarne le brame omicida alla sola vista di uno che potesse anche vagamente assomigliargli.  Si parlava di sudore-granatina, poiché se Lawliet aveva messo gli occhi su Light (e il suo posteriore incluso nel pacchetto), di certo non si sarebbe esibito in salti di gioia alla notizia che non solo B.B. era il fidanzato della cliente di Mello, ma pure che sarebbe presto divenuto il suo futuro cognato! Fratellastro e cognato! E lo odiava fieramente? Insomma, cosa poteva esserci di peggio?

La voglia matta di L. di rifarsi su Mello, che nulla c’entrava se non aver deciso di vivere in questo mondo, al posto di chiudersi in un eremo sperduto nella tundra siberiana.

Voilà donc il secondo miracolo. Nessuna reazione da parte di L. No, nessuna. Vero, il biondo era stato deliziato da un sms inquietante da parte del moro (So tutto!, era stato più o meno il messaggio di fondo) due settimane prima; tuttavia, oltre all’sms non si era spinto. Almeno in apparenza.

Nelle due settimane che seguirono quel stressante lunedì sera, Mello era rimasto costantemente sul chi vive, sospettando una qualche vendetta da parte di L. a suo danno. Invece, niente. Sayu e B.B. si erano congedati qualche giorno dopo il loro arrivo ad LA – lui doveva ritornare ai suoi corsi universitari e lei doveva guadagnarsi la pagnotta -  la giovane attrice aveva frignato per qualche ora, per poi (ri)scoprire le gioie di Skype e del telefono; la parte era stata ottenuta con successo e la signorina Yagami pareva aver ritrovato infine la sua pace dei sensi in ogni modo.

Un viaggio perfetto, riassumendo, e Mello scalpitava di ritornare a casa per raccontarlo a Matt: infatti, le riprese sarebbero incominciate da lì a un mese e il manager aveva ogni sacrosanta intenzione di trascorrere in assoluto relax assieme al suo meco quei giorni a lui concessi.

Manager e cliente erano appena giunti dall’aeroporto alla casa del primo – in uno slancio di generosità Sayu aveva concesso a Mello di andare a salutare il suo compagno, prima di riaccompagnarla al suo appartamento – quand’ecco che il cellulare della giovane prese a squillare vivacemente.

“Ciao mamma! Come stai?”, cinguettò Sayu, intanto che saliva assieme al biondo le scale, giusto per aiutare la circolazione delle gambe a riattivarsi dopo ore di aereo. “Dove sono? A casa di Mello … sì, sì il viaggio non è stato affatto faticoso … prima classe … sì, siamo arrivati giusto qualche ora fa, il tempo di levarci i paparazzi di torno e di guidare fin qui …”, rispose l’attrice paziente alle domande di routine della madre, il cui tono della voce un po’ troppo su di giri la insospettiva parecchio. Non a caso, la paranoia doveva essere un attributo genetico degli Yagami.

“Ne sono contenta, tesoro. Allora, ti hanno presa?”

“Certo, mamma! Lo mettevi in dubbio?”, replicò sorniona Sayu, suonando tuttavia falsamente scandalizzata. La nobile arte della dissimulazione. “Ma te ne parlerò con più calma stasera, d’accordo?”

“Sicuro, tesoro, sicuro! E dimmi … tutto a posto con B.B.?”

Il sorriso della ragazza divenne preoccupatamente ebete, nel frattempo che Mello, dopo aver letto il messaggio contenuto in una busta appiccicata alla porta, si tirava i capelli biondi, gli occhi dilatati e un urlo ingolato trattenuto a viva forza. “Siamo molto innamorati, mamma …”, le rivelò stranamente timida, arrossendo pure in maniera graziosa, che la rese sul serio carina.

Dall’altra parte della linea, Sachiko ululò di acuto piacere. “Che bello, che bello!” e Sayu giurò di averla quasi udita battere perfino le mani. “Quante soddisfazioni in così poco tempo! Non vedo l’ora di vedere te e B.B. al matrimonio!” e un altro stridente risolino, che fece rabbrividire lungamente la giovane attrice, non meno tuttavia della vista dell’improvviso stato deplorevole in cui il suo manager stava versando in quel preciso istante: sguardo morto; testa appoggiata sconsolata al muro e le dita che scorrevano inquiete i grani del rosario che portava al collo, sotto la camicia.

“Matrimonio?”, ripeté Sayu tra lo scombussolata e il civettuolo. Se sua madre a volte non era un po’ troppo sognatrice e romantica! “Nah, è ancora presto, mamma! C’è tempo! Ci conosciamo da così poco e poi, dobbiamo essere entrambi sicuri prima di compiere questo passo importante” e si voltò verso Mello, sperando in una sua scocciata reazione. Ne rimase delusa: a quanto pareva, lo stato di choc del manager era tale da averlo isolato alle altre influenze esterne.

Buon per lui, poiché … “Come? Oh no, sciocchina! Non sto parlando di voi due! Mi riferivo a tuo fratello!”

Nell’arco di un nanosecondo, l’intero corpo della giovane si irrigidì in piena fase di rigor mortis e tanti saluti al becchino. Aveva ben udito? Non aveva avuto delle allucinazioni acustiche? E soprattutto, stava sognando o era dannatamente sveglia?

“C-cosa …? P-puoi … ri-ripetere scusa …? Hai de-detto … mi-mio fra-fratello …?”, farfugliò Sayu sull’orlo di una crisi isterica, della serie mal comune mezzo gaudio, visto che anche Mello si trovava nelle medesimi condizioni.

“Ovvio che sì, bambolina mia! Quanti fratelli maggiori hai?”

Chissà perché, in quel momento Sayu stava ardentemente desiderando di non averne alcuno.

Ignorando alla grossa l’eloquente silenzio della figlia minore, il quale denunciava una forte – e giustificata – incredulità, Sachiko proseguì imperterrita: “Sì, sì tesorino! Tuo fratello si sposa sabato prossimo! Ancora non ci posso credere! Mi raccomando! Non disfare la valigia ché questo lunedì partiamo per New York! A tuo padre è venuto quasi un infarto dalla notizia,  seppur per altri motivi … anzi, gli è venuto proprio … fra poco esco e vado a pigliarlo all’ospedale … Ma …”, s’interruppe poi bruscamente, intrigata dal pesante mutismo della figlia solitamente anche fin troppo ciarliera “… Light non … non t’ha detto … niente?”

Silenzio di conferma.

“Sayu?”

“Wow!”, esclamò infine Sayu debolmente, sforzandosi con ogni fibra del suo essere di uscire dallo stato catatonico nel quale la novità a dir poco sconvolgente la aveva scaraventata brutalmente. “Insomma, è … Light che si sposa non è una notizia che si sente ogni giorno …”

No, sul serio, no.

“Comunque, mamma, non vedo l’ora di discuterne stasera, specie con lo sposo!”, scherzò la ragazza, il suo autocontrollo che riguadagnava punti ad ogni parola pronunciata. “Dopodiché, lo riferirò a …”

“Ci scusi, signora Yagami, ma Sayu sta ritornando adesso a casa. Causa imprevisto domestico”, le strappò improvvisamente Mello il cellulare di mano, afferrando l’attrice per il braccio e trascinandola seco nell’ascensore. Infine, chiuse in maniera assai brusca la conversazione, intascandosi il telefonino, completamente sordo alle appassionate e colorite proteste di Sayu circa una pronta restituzione assieme a delle valide giustificazioni per il suo sgarbato comportamento.

Mello optò invece per il silenzio stampa.

Poiché le parole mica tanto innocue stampate sulla lettera trovata sulla porta sembravano bruciargli il cranio, tanto era stata angosciosa la sorpresa.

 

All’attenzione del gentilissimo Mr. Michael Keehl.

Sono spiacente di informarla, che il suo compagno, Mr. Mail Jeevas, è stato rapito dal sottoscritto a causa di un’incresciosa circostanza venutasi a creare sotto il di lei naso. Ritengo inoltre utile aggiungere, che ho gettato nelle immondizie l’intera sua scorta di cioccolata, fino all’ultima barretta. 

So che tutto questo può sembrare un po’ estremo e teatrale; tuttavia è anche vero che era suo compito attivarsi a troncare la relazione tra Miss Sayu Yagami e l’abominevole gobbo di Alcatraz, Mr. Beyond Birthday Pierston. Siccome ho notato nelle ultime settimane che i suoi sforzi non solo sono stati miserrimi, ma che lei se n’è addirittura lavato allegramente le mani, favorendo anzi quel connubio contro natura, ebbene temo che lei non mi abbia lasciato altra scelta, che ricorrere a tali drastici ripari.

Ho dunque come ostaggio il carissimo Mr. Jeevas e le tue numerose fidelity card delle cioccolaterie; se vuoi rivedere entrambi intatti sia nella forma che nella virtù (soprattutto Mr. Jeevas), le consiglio di seguire alla lettera questa mia indicazione: devi evitare che Miss Yagami si metta in contatto con Mr. Pierston fino a a sabato prossimo; recidi il collegamento internet, getta nel gabinetto il suo cellulare, rinchiudila nell’armadio; amputale le mani e le orecchie;  tutto affinché i due non si parlino fino alla cerimonia. È indispensabile che Miss Yagami e famiglia siano persuasi che il loro erede si accasa con il cugino del capo della Wammy’s House. Al resto ci abbiamo già pensato noi!

Fallisci e costringerò Mr. Jeevas ad un matrimonio combinato con Mr. Nate Rivers e lei non immagina quanto lui FREMI dalla voglia di impalmarlo!

La ringrazio del tempo accordatomi e della sua attenzione.

Le auguro un buon rientro a Tokyo e attendo con impazienza di rivederla questo lunedì a NY,

con affetto,

 

L.

 

A volte Mello si chiedeva perché appunto non si era fatto monaco eremita.

Almeno, le bestie del deserto si sarebbero dimostrate più clementi ed equilibrate nei suoi confronti.

 

 

***

 

 

“Questa non è una barzelletta, giusto? Non mi si sta prendendo per i fondelli, vero? Perché se mi si dice di sì, faccio uno sproposito come prendere l’autore di questo scherzo a calci nelle chiappe finché non gli si compattano in un tutt’uno!”

No, gentile lettore, a pronunciare queste cortesi e auliche parole non furono le labbra delicate di Light Yagami, bensì quelle più rudi di Shuichi Aizawa, senior manager del dipartimento di Marketing e membro del consiglio d’amministrazione della Yagami Corporation, nel frattempo che sventolava incredulo un foglio A4 nel quale era stata stampata la notizia scandalosa e fatta passare sottobanco come ai tempi del liceo. All’udire ciò, il gruppetto di dipendenti riunitosi alla macchinetta del caffè trasalì un poco colpevole, concentrandosi maggiormente nella loro contemplazione del liquido bollente.

“Ebbene? Matsuda, tu che sei il solito cretino al momento sbagliato nel posto sbagliato, ne sai qualcosa?”, e tanto di cappello al sesto senso del signor Aizawa, giacché aveva colpito ed affondato a colpo sicuro uno degli autori di quel messaggio.

L’imputato arrossì visibilmente, indietreggiando in posizione strategica dietro a Misa Amane e Kiyomi Takada, le cui espressioni miste tra il piccato e l’imbarazzato suggerivano spiacevoli ritorsioni in caso il senior manager si fosse intestardito ad inquisire oltre. L’unica, invece, che appariva relativamente rilassata era Naomi Misora, la quale si sorbiva serafica il suo caffè.

“No, non credo che si tratti di una burla ai danni del figlio del capo …”, mormorò il giovane impiegato in un sussurro fievolissimo. Kiyomi e Misa si accontentarono a sbuffare.

“Lo avete incontrato?”, lo incalzò Aizawa, d’un tratto ansioso: se la cosa corrispondeva a verità, aveva invero un che di miracoloso!

“Chi?”, ribatté confuso Matsuda, facendo capolino dalle spalle delle due giovani donne.

Aizawa ebbe l’impulso di strangolarlo, domandandosi nel frattempo come diavolo Kira riuscisse a trattenersi: se in futuro il senior manager avesse sentito ancora che il Bisbetico maltrattava quel criceto zoppo, gli avrebbe dato ciecamente ragione. Tota Matsuda se lo meritava, altroché!

“Chi! Chi! Chi! The Corpse Bride! La sposa, maledizione! Anzi, lo …”, e l’uomo si interruppe bruscamente, avvicinandosi ai quattro in atteggiamento circospetto, temendo che qualcuno potesse origliare una notizia ormai risaputa in tutta la Yagami Corporation, dal consiglio di amministrazione alle addette alle pulizie. “… lo sposO!”

Profonda inalazione d’aria da parte dei tre dipendenti più la modella.

“Beh, no …”, confessarono dispiaciuti, ma anche no. L’ultima cosa cui volevano assistere era la scena del Bisbetico in atteggiamento sdolcinato – sempre che ne fosse capace – col suo misterioso meco. Anche quei poveracci dei lavoratovi avevano una vita propria. Tuttavia, un pochino di curiosità sussisteva, poiché volevano sul serio vedere chi era quel kamikaze che stava per rovinarsi l’esistenza impalmando quella furia scatenata. Senza contare, che sarebbe stato carino presenziare alla cerimonia a New York, specie col rinfresco e il soggiorno all inclusive.

“Ma … ma esiste questo tizio?”, sorse ad Aizawa questo dubbio legittimo.

“Suppongo … suppongo di sì …”, rispose vaghissima Misa, seppur non molto felice. “E con chi diavolo si sposerebbe, sennò,? Con l’aria?”

“Insomma, non è uno scherzo di cattivo gusto per ridicolizzare Light e la Corporation? Perché già di suo ha del sospetto che quella bestiaccia si sposi e per di più fra quasi una settimana, ma addirittura con un … un …”

“… uomo? Sì, si sposa con un uomo e allora? Ché sei omofobo?”, replicò acida Kiyomi, per quanto lei per prima non fosse poi così tanto entusiasta dell’intera faccenda.

“E comunque, razza di gibbone intollerante, il tizio non solo esiste, ma è anche il cugino di L.! In questo modo, avremo la partnership assicurata!”, rincarò la dose Naomi, annuendo solenne col capo.

“Cosa?”

“Esatto, malfidato! Giusto per sincerarmi, ho telefonato al mio fidanzato Ray, che lavora alla filiale americana della Wammy’s House e lui mi ha confermato che tale Ryuzaki Coil-Deneuve esiste, che è il cugino di L. e che a breve sostituirà l’attuale presidente della filiale giapponese!”

Aizawa aprì la bocca, per poi richiuderla in pieno affanno: mai, mai si sarebbe aspettato un tale twist d’eventi! Un matrimonio impossibile, con un partner inaspettato ma oh! incredibilmente vantaggioso! Tra tutti (e tutte) quelli che poteva raccattare, quel Bisbetico aveva irretito il pesce più importante dell’oceano del business! “E … lui?”, balbettò poi, ancora incapace di assimilare quelle informazioni così sconvolgenti nella loro semplicità.

“Lui cosa?”

“Lui! Kira, cioè Light, cosa ha detto riguardo al suo futuro, ehm, marito? Come … come vi è sembrato ultimamente?”

Misa scrollò le spalle annoiata. “Come sempre; sai che non si sbottona mai troppo con noi. Riguardo allo sposo, non ha rivelato niente di rilevante, se non che l’avrebbe sposato sabato prossimo e che era un Coil-Deneuve. Tuttavia, ora che mi ci fai pensare …” e la giovane si pose un dito sotto il mento “mi pare di aver scorto Light stamattina, mentre entrava nel suo ufficio e sì, mi era parso piuttosto felice … ma forse ho avuto io le allucinazioni …”

Conoscendo la passione comune delle modelle nei confronti di una certa polverina bianca, Aizawa non escluse a priori anche quell’ipotesi. Ciononostante, v’era una logica dietro quel vaudeville. Infatti, alcuni punti oscuri avvenuti nelle ultime due settimane ora acquistavano senso, come ad esempio il fatto che Light avesse ridotto gli insulti del 50% (nel senso che l’ingiuria, di solito composta all’incirca da sei parole era stata dimezzata a tre epiteti) e che il capo, il signor Soichiro Yagami, si fosse recentemente assentato per malattia.

“Certo che no, Misa-Misa!”, la smentì giovale Matsuda. “Hai visto bene: effettivamente, Kira aveva negli ultimi tempi un’espressione da beota dipinta in volto! E gli stava molto bene, poi!”, disse e la battuta sarebbe pure apparsa divertente, se un’entità malefica non avesse impedito ai dipendenti e al senior manager di ridere.

“Ma-Matsuda …”

“Inoltre, era ovvio che finisse per sposarsi con un uomo. Basta vedere come si atteggia nei confronti del gentil sesso: evita le donne neanche fossero delle appestate!”

“Matsuda …”

“Senza contare le sue smanie da signorino perfettino!”

“Matsuda …”

“E come si veste! O come si pettina: non un capello fuoriposto! Scommetto, che quando abitava ancora in casa dei suoi era l’ultimo ad uscire dal bagno! Mammina, dov’è la tua lacca per i capelli?

“MATSUDA!”

“Che c’è?”, sbuffò imbronciato il giovane impiegato, incrociando le braccia al petto: ecco, ora non si poteva neanche più scherzare?

No, non si poteva, specie se gli astanti gli fecero cenno di controllare chi stava ascoltando dietro le sue ignare spalle. Una lieve brezza sulla nuca confermò i suoi sospetti che un certo toro antropomorfo da corrida stava sbuffando, sforzandosi con tutto il suo essere di non caricare, incornandolo senza rimorsi.

“S-signor … Ya-Yagami …?”, farfugliò Matsuda sull’orlo dello svenimento, realizzando che stavolta manco la caduta di un’astronave aliena sull’edificio lo saltava dallo squartamento baccanale da parte di Kira, che strascicò le parole in un sibilo velenosissimo, tanto che ci si chiese a quando le vibrazioni della lingua biforcuta:

“Fila al lavoro, Trota! Altrimenti ti farò sperimentare le immense gioie di pulire i gabinetti al posto delle addette! E con il tuo scalpo!”, furono le contenute parole di Light, che già stava riscaldando le mani per un po’ di sano esercizio fisico a metà mattina. Sennonché, le tre grazie – Misa, Naomi e Kiyomi – corsero in soccorso di Matsuda, una levandolo dalla traiettoria del castano e le altre due sciorinandosi in combo in inquietanti complimenti:

“Oh signor Yagami, si sta per sposare, si sta per sposare! Non l’avremmo mai detto!”, esclamò la segretaria più giovane.

 “Non pensavamo di vivere abbastanza per assistere a questo giorno!”, aggiunse la modella.

“E invece! Eccolo qua pronto a sposarsi! Lei è mitico, signore!”

“E chi è il fortunato?”

“Ci racconti tutto!”

“Dove vi siete incontrati?”

“Quando le ha chiesto di sposarla?”

“E l’anello di fidanzamento? Perché non lo porti al dito?”

“Dove andrete in luna di miele?”

“Come ti vestirai alla cerimonia?”

Ora a Light incominciarono a venire i sudori freddi: quando le “sue” donne si comportavano così, erano più spaventevoli di Samara Morgan in pieno delirio mistico-omicida, con o senza umidità nel pozzo. E non aveva ancora affrontato Sayu! Alas, lui che pensava di aver visto tutto con sua madre che piangeva dalla gioia e suo padre dal dolore mentre l’ambulanza lo portava via, sgommando verso l’ospedale.

“Insomma, Light! Stentiamo a crederlo perfino adesso!”, si senti Aizawa in dovere di rincarare la dose. Tuttavia, il giovane aveva una capacità di recupero fenomenale, specie se doveva rapportarsi col suo medesimo sesso. Aveva meno remore con esso.

 “Consolati, la cosa è reciproca!”, replicò appunto acido il castano, apprestandosi a battere in ritirata, peccato che Aizawa gli bloccò il passaggio.

“Prego?”

Decisamente, se l’intero universo doveva rimbecillirsi soltanto perché lui si sposava, Light pensò che forse avrebbe fatto meglio a proporre a Ryuzaki di convivere e basta. “E’ … è … eh-ehm, tutto è avvenuto piuttosto in fretta … è stato inaspettato, ecco”, sbrodolò velocemente, per nulla rassicurato dalle occhiate avide di dettagli da parte di Kiyomi e Misa. Naomi se ne stava tranquilla, poiché aveva il jolly del fidanzato per ulteriori gossip succosi.

“A New York, dunque?”, riprese il senior manager, pigliando Light per il braccio (e ignorandone la conseguente occhiataccia) e trascinandolo per il corridoio. Il quartetto malefico, che sul serio non sapeva farsi gli affaracci propri, li seguì prontamente, attirando l’attenzione degli altri dipendenti, che fecero capolino dai loro uffici.  “Ah, è in momenti come questi che si è contenti di essere un amico intimo di famiglia! Oltre che al viaggio, a mia moglie fa sempre piacere assistere ad un matrimonio, anche ad uno fuori dalla norma!”, esclamò soddisfatto, già pregustando quella piccola vacanza. “Ryuzaki Coil-Deneuve … lo abbiamo mai incontrato per affari in precedenza?”, gli domandò poi, suonandogli un po’ bizzarro quel nome.

“E come diavolo faccio a saperlo, io?”, ribatté infastidito Light, liberandosi con uno strattone dalla presa di Aizawa e incrociando piccato le braccia al petto. E chissà perché, il senior manager giurò di aver udito una lieve incrinatura gelosa nella voce del giovane.

“No, perché mi stavo domandando da quale cilindro lo avessi estratto: i Coil-Deneuve sono quasi proverbiali per la loro estrema riservatezza … Come lo hai conosciuto?”

“Ci siamo incontrati al club di tennis e lui mi ha chiesto di sposarlo, fine della storia!”, fu il conciso resoconto del castano, cui venne in quel momento una gran voglia di patatine fritte per il nervoso: lo volevano morto, altroché! Era una cospirazione ai danni del suo colesterolo!

“Beh, in ogni caso questa che mi dai è una notizia davvero eccellente!”

Il tasso di collera di Light scese rapidamente di molti livelli. “Lo è? Non ne sono del tutto sicuro … ecco, è pur sempre un matrimonio gay, non so se mi spiego” e si incupì un poco: in effetti, vi aveva rimuginato sopra da molto tempo a riguardo. Per quanto si giocasse al politically correct, certi pregiudizi ancora sussistevano sotterraneamente e per un motivo inspiegabile Light non se la sentiva di avere sulla coscienza il fallimento e il biasimo di una persona, solo perché quest’ultima gli aveva esternato con disarmante sincerità i suoi sentimenti. Quanta ipocrisia davvero!

“Ma no!”, lo rassicurò Aizawa, battendogli sulle spalle e risvegliandolo dalle sue cupe rêveries. “Vedrai che la partnership con la Wammy’s House, più l’unione civile tra te e un Coil-Deneuve farà passare ogni pregiudizio in secondo piano!”

“Lo spero. Non vorrei rovinare entrambi …”e la sua voce si affievolì in un tono più malinconico, che commosse un poco il collega più anziano.

“Via, via! Sorridi! Non è questo l’umore adatto per chi si sta per sposare fra poco più di una settimana!”, lo scosse nuovamente, facendogli a momenti girare i bulbi oculari in senso antiorario.

“Hai ragione, mi sono lasciato prendere dai dubbi last-minute. È stato così anche per te alla vigilia delle tue nozze?”, gli domandò Light, sorridendo forzatamente. Era una gran balla colossale, ma non c’era bisogno che Aizawa lo sapesse. Quanto all’esperienza matrimoniale – la cerimonia, veh! – delle informazioni extra sarebbero state più che benvenute.

“Più o meno. Ma poi, quando ho visto mia moglie camminare lungo la navata centrale, ho capito che il che stavo per pronunciare era ben misera cosa rispetto all’amore che le portavo!”

Light fu indeciso se ridere o piangere alla cosa. Infatti, l’unico che si sentiva molto prono a strillare era quello alla proposta di partnership con la Wammy’s House. Si sentì un grand’infame per manipolare così Ryuzaki, il quale si era fatto avanti con intenzioni molto oneste e disinteressate e si chiese se forse non gli stesse davvero rovinando la vita, come chiunque gli ricordava assai poco diplomaticamente. Tuttavia, decise di seppellire quei sensi di colpa nei meandri del suo cervello, riflettendo che, se anche non si era trattato di un colpo di fulmine, di certo col tempo avrebbe finito per affezionarsi a Ryuzaki, seppur gli dispiaceva ammettere che non sarebbe mai riuscito ad eguagliare l’amore che lui aveva proclamato portargli.

“Light, a proposito …”, si sovvenne ad un tratto Aizawa, “quand’è che dimettono tuo padre dall’ospedale?”

Fu una fortuna che passarono davanti alle toilette: più rapido della morte, il castano ne approfittò per infilarsi dentro, evitando così di rispondere.

Così, almeno lasciava una parvenza di dignità al padre.

Per quanto i fattori fossero tutti contro di lui, questo piccolo favore glielo doveva.

Forse …

 

 

***

 

A Light Yagami piaceva la lavanderia. No, non la lavandaia, la matrona dalle robuste braccia che può soffocare con un abbraccio, che ha le mani ruvide come la lingua di un gatto e le cui ginocchia sono divenute famose in tutto il mondo.

La lavanderia, quella stanza oscura – per gli uomini - dove le donne di casa hanno l’abitudine di rintanarsi in media quattro o cinque volte la settimana, lavando, stirando e all’occasione cucendo i vestiti che gli sconsiderati membri della famiglia insozzavano e ne perdevano i bottoni, seminandoli per il mondo.

A Light Yagami piaceva appunto questo locus amoenus  e per delle valide ragioni.

La prima risiedeva nell’olfatto: il giovane era infatti attirato dalla delicata e allo stesso tempo decisa fragranza di pulito e di fresco emanata dai panni appena usciti dalla lavatrice e messi a stendere. Forse, proustianamente parlando, quest’affetto sensorio derivava da una lontana reminescenza del castano, quand’era ancora piccino. L’odore di bucato gli ricordava quelle occasioni lontane in cui era relegato a letto dalla febbre e sua madre saliva nella sua camera a portargli da bere e qualcosina di leggero da mangiare, massaggiandogli la fronte e il collo indolenzito con le mani fresche contro la sua pelle bollente e percorsa da tremiti. Allora Light inalava a pieni polmoni quel profumo che avvolgeva la genitrice, i sensi acutizzati dalla malattia e dal buio e si sentiva rassicurato, protetto.

E questo portava al secondo motivo, il rifugio. Ora, il castano aveva sempre avuto un atteggiamento schivo, sotto false parvenze di estroversione e molto spesso aveva l’abitudine di chiudersi a chiave in camera sua. Tuttavia, quando sul serio qualcosa lo turbava, egli scendeva nella lavanderia e lì soggiornava finché non si giudicava pronto a riaffrontare il mondo. Tale quella stanza era diventata per lui indispensabile al di là della mera funzione di lavaggio e stiraggio degli indumenti, che quando si trasferì nella sua propria casa Light preferì sacrificare una stanza pur di avere una lavanderia degna del suo nome.

Infine, la lavanderia della sua casa paterna corrispondeva al luogo più isolato e in quel preciso istante, grazie alle crisi melodrammatiche e rumorose elargite dal signor Soichiro Yagami appena dimesso dall’ospedale, i suoi perplessi commenti a voce altissima giungevano opportunamente ovattati alle orecchie di Light, il quale era impegnato in una delle due sue maggiori attività anti-stress: trafficare nella lavanderia. Stufo marcio di sentirsi urlare i dubbi esistenziali di suo padre sul perché avesse deciso di sposarsi proprio con un uomo – che erano poi stati la causa del ricovero d’emergenza -  il castano, spinto da un impulso di rabbia a malapena trattenuto, aveva fatto razzia di tutte le camice di casa, sporche o pulite che fossero, le aveva ficcate dentro la lavatrice e per tutto il pomeriggio aveva lavato e stirato le medesime fino al rischio della loro consunzione. Dopodiché, aveva strappato tutti i bottoni per poi ricucirli.

Perché un uomo? Se ti atteggiassi meno da bestia avresti tutte le ragazze che vuoi ai tuoi piedi! Ma no! Lo fai per divertirti alle mie spalle, eh? Per renderci tutti ridicoli! Per rendere te ridicolo! Come se essere soprannominato Kira o Bisbetico non ti bastasse! Quando ti avevo suggerito di sposarti, era sottointeso con una ragazza! A volte sei più una disgrazia, che una soddisfazione! E tutti che mi invidiavano un figlio così! Ma chi? Ma dove? Avrei preferito saperti un beota totale, piuttosto che essere così perfetto – si fa per dire – e così stron- …!

Era più o meno questo il riassunto di un intero pomeriggio di gorgheggi e lavate di faccia di Soichiro al figlio, finché la signora Sachiko si risolse a dargli manforte, infliggendo una sonora botta in testa al marito col giornale arrotolato. Vabbè che pur di vedere Light accasato, lei avrebbe accettato le sue nozze perfino col diavolo in persona, ma non bisognava cavillare troppo.

La risposta del castano, stranamente composta e dignitosa, non era tardata a venire: Trovo meno sconveniente dichiarare apertamente le mie tendenze omosessuali, che vivere nell’ipocrisia di marito, padre  e lavoratore modello di giorno e frequentatore di club di trans di notte! Almeno sono coerente con me stesso e se non mi si accetta così come sono, allora tu e i tuoi cagnolini del consiglio di amministrazione non siete altro che dei gran vacconi omofobi del pippio celati sotto una bonaria melma di patetico politically correct! E su questo argomento, signore, ne abbiamo parlato per oggi e per sempre!

Detto questo, Kira si esiliò in lavanderia con tutte le solenni e sdegnate arie di Lesa Maestà.

Fu solo alla ricucitura del suo Xesimo bottone, che sua madre e Sayu decisero di porre fine al suo volontario confinamento.

“Non star a badare a tuo padre, tesoro: è contento per il tuo matrimonio, solo che lo esprime molto male!”, lo rassicurò Sachiko, accarezzandogli il capo ramato.

Manovrando l’ago con eccessivo vigore, tanto da rischiare di spezzare il filo ad esso legato, Light borbottò scettico: “Almeno poteva sprecarsi in una buona parola a riguardo!”

“Nah, ma tu lo sai com’è fatto tuo padre! È all’antica! E non gli va giù che tu non gli abbia presentato Ryuzaki: avrebbe tanto voluto conoscerlo prima della cerimonia!”

“Per prenderlo poi a calci nel sedere?”, sbuffò sardonico il giovane, terminando il suo lavoro e apprestandosi ora a ricucire il prossimo bottone. “L’ingrato! Mi avveleno il fegato per lui dalla mattina alla sera e neanche un Felicitazioni! da parte sua! Ve l’ho spiegato, no, che Ryuzaki doveva rientrare in Inghilterra sia per lavoro, che per dare la notizia alla sua famiglia!”

“In ogni modo”, si inserì Sayu nella conversazione “avresti potuto avvertirci in anticipo del vostro fidanzamento, così da poter organizzare una cena insieme! Chi se ne importava della sua famiglia di asociali, bastava solo lui!”

“E se non te l’avessi presentato giusto per vedere la tua faccia alla notizia che mi sposavo?”, ribatté Light con un sorrisetto, conoscendo quando la sorella minore adorasse sfotterlo su quel tasto dolente qual era la sua vita sentimentale.

“Allora ci hai giocato uno scherzo davvero divertente!”, concluse la madre, non volendo che si scatenasse un’ulteriore rissa in famiglia. Leggendo tra le righe il messaggio di cessare ogni ostilità, Sayu domandò al fratello più accondiscendente:

“Dunque, dunque … com’è lui?”

Disorientato, Light levò gli occhi dalla sua occupazione, sbattendo le ciglia seriche: “Cosa, scusa?”

“Lui! Ryuzaki! Fisicamente o di carattere … com’è insomma! Non ce l’hai presentato, ma vorrai ben descrivercelo, no? O ci vuoi lasciare col fiato sospeso fino all’altare?”, scherzo l’attrice, guadagnandosi un lungo sospiro frustrato da parte del castano, che replicò annoiato:

“Lui è un tipo eccentrico … invadente … ha i capelli che sembrano il rigurgito di un gatto … si siede come una scimmia … mangia troppi dolci … ha la mania di mangiarsi le unghie, ma … ma allo stesso tempo è molto colto, attento, un buon ascoltatore … sa parlare molte lingue sia europee che non e ha una memoria dannatamente di ferro … sì, ci siamo molto divertiti a parlare in questi giorni …”

“Sembrerebbe una persona deliziosa!”, esclamò ineffabile Sachiko, accecata dalla contentezza: come minimo, alla descrizione di tale soggetto da parte del figlio o della figlia, ad una madre sarebbero venuti i sudori freddi. Forse a tal punto era giunta la sua disperazione pur di vedere il pargolo sistemato prima di morire?

“A me farebbe sinceramente paura …”, fu la più onesta affermazione di Sayu, prontamente zittita sia un rimprovero della madre, che da un’occhiataccia di Light. “Ciononostante, non toglie la stranezza che tutto questo non sia, come dire, un po’ fulmineo? In fin dei conti, considerando il brillante cursus honorum di Light in fatto di conquiste e che fino ad inizio mese non lo filava manco il canarino, non è un po’ improvviso che nell’arco di neanche due settimane: a) riceva una proposta di matrimonio e che b) il futuro sposo in questione non sia niente di meno che un parente del capo dei capi, alla cui filiale voleva chiedere la partnership? Ah, certo e non dimentichiamo la c) che si riscopra gay! Tranquillo fratellone, non è nulla di cui non fossimo già a conoscenza!”

“Ah, ecco spiegato perché la madamina non si è mai degnata di presentarmi ad un suo cicisbeo!”, roteò gli occhi il giovane. “Temeva che glielo rubassi!”

“Oh suvvia, voi due! Io penso che sia tutto così romantico!”, dichiarò gioviale Sachiko, elargendo un buffetto al braccio del figlio, onde indurlo a tacere e non provocare la sorella.

Giocherellando distrattamente con la manica di una camicia, Sayu proseguì: “Tuttavia, ancora non ci hai spiegato il motivo per il quale vi sposate a New York!”

“Semplice: perché lì è riconosciuto il matrimonio gay, mentre qua in Giappone non lo è!”, fu la concisa e annoiata risposta del fratello.

“Ah!”, pausa di riflessione. “State prendendo la cosa veramente sul serio …”

“Siamo persone responsabili …”, bofonchiò piano Light, avvicinando troppo il viso alla camicia con la scusa di rompere il filo coi denti. La conversazione stava invero prendendo una piega molto disagevole e lui aveva la sensazione, che non si trattasse altro di una scusa per deriderlo dinanzi a sua madre. Ma sì! Rideva bene chi rideva ultimo! Che lo denigrasse quanto volesse, il prossimo sabato quella dannata non avrebbe avuto più nulla da ridire, altroché!

“E dimmi … ti fidi di lui?”

La mano del castano si bloccò a mezz’aria, mentre i suoi occhi volarono rapidi sul viso della sorella e l’ombra dell’indecisione li incupì da nocciola in un bel bordeaux. Già, ora comprendeva dove ella stesse andando a parare: siccome il fidanzamento era stato all’inverosimile lampo, il tanfo di truffa poteva benissimo fluttuare nell’aria. Forse, Sayu non lo stava sfottendo; forse voleva solo sincerarsi che lui non divenisse la vittima di uno scherzo di cattivo gusto … forse non avrebbe dovuto essere così precipitoso … forse avrebbe dovuto trascorrere una mezzora in più a controllare i vari siti … forse avrebbe dovuto fin dal principio scappare di casa e mettersi a lavorare in un circo itinerante, così da non ritrovarsi in quella situazione …

“Ovvio che ha fiducia in lui, Sayu! Altrimenti, perché lo sposerebbe?”, corse in sua difesa la madre, lanciandole uno sguardo obliquo di starsene al suo posto.

“Va bene …”, s’arrese la ragazza, alzando le mani  a mo’ di resta. “Racconta, invece: come ti ha chiesto di sposarti?”, gli sussurrò piano, lontano dal raggio d’azione della madre.

Stoico e risoluto, il fratello replicò seccamente, le orecchie cremisi: “Con la bocca.”

“Così? Su due piedi? Mi vuoi sposare? e basta!”

“Sì. In quale altro modo avrebbe dovuto domandarmelo, scusa?”

“E tu hai accettato?”

“Dopo un po’ ho detto … ho detto, che l’idea non era malvagia.”

“Ah”, altra pausa di riflessione e avvicinamento sospetto alle orecchie purpuree del fratello. “Prima o dopo che siete andati a letto?”

“Non abbiamo fatto nulla di ciò!”

“Vi siete baciati?”

“No!”

“Vi siete almeno tenuti la mano?”

“Neanche!”

“E che avete fatto?”

“Parlato, Sayu, abbiamo parlato!”

“Parlato?”

“Parlato! Devo farti lo spelling?”, si offrì volontario Light, che aveva involontariamente strappato tutti i bottoni della camicia che stringeva in mano e il brusco gesto riuscì nell’involuto intento di attirare l’attenzione di Sachiko che, pur non avendo udito nulla, rimproverò ugualmente il suo primogenito:

“Light …”

 “Ma da che pianeta vieni tu? Sei umano?”, esclamò beffardamente sbalordita l’attrice, scostandosi dal fratello e ridendosela alla grossa.

“Sayu …”

“Lo sai, sorellina? Una volta quelle come te venivano chiamate “sgualdrine”, mentre adesso purtroppo si dicono “sessualmente iper-attive”! Peccato, che il significato intrinseco sia sempre quello!”

“Light!”

“Oh beh, di certo l’ego di Ryuzaki si gonfierà a mille, come qualcos’altro del resto, nell’apprendere come tu ti sia conservato puro e vergine per lui!”

“Sayu!”

“Almeno io non mi svendo col primo che passa! E ho rispetto per il mio corpo!”

“Light, taci!”

“Oppure, tu ti credi così superiore da pensare che nessuno possa mai essere alla tua altezza! Sempre che non siano scappati prima a causa del tuo comportamento da Gorgone Medusa!”

“Sayu, piantala!”

 “La verità è che tu sei gelosa perché io, contrariamente a te, ho trovato qualcuno che mi sposa, non che mi scopa e basta!”

“Già, e magari che da te divorzia dopo che gli avrai fatto passare la peggior notte di nozze della sua vita!”

“Basta, insomma, dirvi certe cose! …”, farfugliò la signora Sachiko scarlatta, difficile dire se per il tema osé trattato o per il fatto che la sua progenie stesse litigando peggio di due lavandaie pettegole e rissose al lavatoio comune. Il che sarebbe stato appropriato, visto e considerata la location di tale alterco.

“Una stabile vita di coppia non si fonda soltanto sul sesso! Ma oh, perché ne parlo ad una scostumata come te?”

“Meglio della bestiaccia che sei! Ma ne riparleremo fra un mese, quando vi troverete dall’avvocato a firmare le carte per il divorzio! Allora sì, che ci sarà da ridere! Fossi in te, mi chiuderei in cas- …!”, ma Sayu non riuscì a terminare la sua frase e non a causa del solito ceffone cliché finalizzato a zittire. Light poteva pure essere Kira, il Bisbetico, il quinto Cavaliere dell’Apocalisse,  ma era abbastanza ben educato da non mettere mai le mani addosso ad una donna, neppure quando quest’ultima lo aveva sottoposto alle più infamanti torture. Era questione di principio.

Di conseguenza, si limitò ad uscire sbuffante, umiliato e offeso dall’ultimo caposaldo della casa, che aveva creduto neutro da ogni conflitto. E durante la sua ritirata strategica – o fuga vergognosa a seconda dei punti di vista – Light collise letteralmente contro il padre, il quale si era lì recato onde verificare che accidenti avessero i due figli da strillarsi vicendevolmente.

“Hé, matto! Che modi sono questi?”

 “Ma vai in malora!”, berciò il castano fuori di sé dalla rabbia e dal dispetto, cercando a tastoni il suo cappotto  e fallendo ad infilarsi le scarpe, tanto la collera lo ingoffava nei movimenti. Riuscito infine nell’ardua impresa, il giovane prese teatralmente congedo filando via rapido come il demonio e sbattendo appunto indemoniato la porta.

 “Signorino, bada a come parli!”, gridò Soichiro, apprestandosi a corrergli  dietro, sennonché la moglie bloccò ogni suo spirito di iniziativa elargendogli una seconda botta in testa col giornale.

“Silenzio te, o ti squarto!”

E siccome il cane mordeva lo sciancato, Sayu si sentì in dovere di infierire: “Già, taci! Chi ti ha chiesto niente?” e in seguito a tale solenne sentenza, le due donne si ritirarono al piano di sopra, abbandonando uno sconvolto Soichiro Yagami che, massaggiandosi lo scalpo offeso, chiese al vuoto, sperando che almeno lui lo ascoltasse:

“Con chi ce l’avete ora?”

Decisamente, neanche più in casa di poteva stare tranquilli.

 

 

***

 

 

Molti fusi orari indietro, partendo da sinistra fino al meridiano di Greenwich, una simile riunione familiare stava avendo luogo a Sombreford, uno sperduto paesino nella Valle dell’Itchen nello Hampshire, a metà strada tra Winchester- del cui distretto faceva anche parte -  e Avington.

Mentre una regolare nevicata imbiancava la vasta campagna circostante e il piccolo villaggio poco lontano, nella Drawing Room della D’Aureveilly Manor i suoi proprietari erano impegnati nella conversazione più spinosa e allo stesso tempo più silenziosa mai vista prima di allora dai loro antenati, i quali assistevano all’intera scena dalle loro cornici con uno statico sorriso ammuffito.

I D’Aureveilly, da cui la magione aveva preso il nome, si erano estinti all’incirca nel diciassettesimo secolo per la somma gioia dei loro cadetti, i Deneuve, che ereditarono casa e titolo. Non soddisfatto, il Fato aveva previsto che nel giro di dieci generazioni anche la famiglia Deneuve subisse una certa carenza di prole maschile e fu così che il cugino dell’ultima Deneuve – tale Henry Coil – escogitò la furbata di impalmarla, in modo da assicurarsi doppiamente l’eredità che per legge gli spettava e da accostare il cognome patrizio di lei a quello più borghese di lui.

Fu così che nacquero i Coil-Deneuve, i terzi inquilini della D’Aureveilly Manor, i quali se l’erano per poco vista soffiare da sotto al naso grazie alle nuove tasse di successione introdotte da Margaret “The Iron Lady” Thatcher, alla faccia del partito conservatore di cui faceva parte e del suo titolo nobiliare. Fortuna volle, che il sangue dei fondatori della magione si fosse nel corso dei secoli ben annacquato con del sano pragmatismo borghese, in particolare nelle ultime generazioni e che l’azzardo di Thomas Coil-Deneuve di fondare assieme ai suoi due migliori amici la Wammy’s House si fosse rivelato contro ogni scettico prognostico una mossa vincente. Compagni di studi all’università di Oxford, ognuno dei tre vi aveva messo del suo: Quillish Wammy le idee, Thomas Coil-Deneuve il capitale e Roger Ruvie la sua estrema meticolosità organizzativa. I profitti vennero debitamente intascati e spartiti e la Manor si salvò dalla National Trust o dall’essere smembrata e venduta a più facoltosi compratori. Tuttavia, Thomas era stato più che contento di condividere la spaziosa e spesso vuota magione con i suoi tre amici, specie ora che la vecchiaia era arrivata anche per loro e la malinconia per le sventure passate batteva più forte.

Vi erano al momento però solo due persone nella spaziosa Drawing Room arredata in stile settecentesco e nella quale troneggiava bianchissimo contro la parete più scura un caminetto di pietra di Painswick - con lo stemma dei D’Aureveilly in pompa magna - dentro il quale scoppiettava un vivace fuoco, insufficiente tuttavia per scacciare interamente il freddo dall’ampia stanza. Di conseguenza, volenti o nolenti a causa del tema trattato, i due esponenti della famiglia Coil-Deneuve erano tutti stati costretti a stringersi pur di accaparrarsi un soffio di calore.

L’orologio sul tavolo di malachite in fondo alla stanza, sotto due dipinti di due D’Aureveilly particolarmente annoiati, batté stizzito le cinque del pomeriggio, rompendo il silenzio che la impregnava e il crepitio delle fiamme che avide divoravano i ciocchi offertole in sacrificio di tanto in tanto e il tintinnio del servizio da tea che veniva cautamente maneggiato dal più giovane dei due uomini.

“Canaglia”, disse infine Thomas Coil-Deneuve all’unico suo nipote, Lawliet Coil-Deneuve, il quale, divenuto convenientemente sordo, gli sorrise amabile, continuando a versagli l’Earl Grey nella tazza di porcellana. “Mascalzone. Confessa, che l’hai fatto apposta! Tu vuoi la mia morte!”

“Certo, signor nonno. Prego per la vostra morte tutti i giorni della settimana e due volte la domenica. Latte?”, gli propose L. con assoluta nonchalance, servendolo deferente o presunto tale. Sapeva quanto a suo nonno pizzicassero i nervi, quando lui gli si indirizzava in toni eccessivamente formali. “Volevo soltanto avvertirvi, cosicché non vi sarebbe venuto un colpo nel vedermi trascorrere in questa Manor la mia luna di miele! Zucchero?”

L’anziano signore borbottò rancoroso qualche improperio, per poi replicare: “Una zolletta, per cortesia. Sì, in luna di miele! Con un uomo, briccone che non sei altro! Oh, ma appena Quillish rimetterà piede in questa casa, quant’è vero che posso ancora muovere questo braccio, lo riempio di bastonate fino a rimbecillirlo prima e farlo rinsavire poi! Ti lascia da solo per neanche una settimana e che succede? Che ti sposi! Con una donna? No, troppa grazia! Con un uomo! E dulcis in fundo, vieni a fornicare qua in luna di miele! Nell’onorata casa dei miei antenati, i quali in questo esatto momento si staranno rivoltando nella tomba!”

“Oh, signor nonno! Non si deve preoccupare: prometto che chiuderò la porta, quando vorrò “fornicare” con il mio consorte, così da non disturbare le vostre delicate orecchie né turbare i vostri occhi morigerati!”, giurò il moro beffardamente solenne. “Suvvia, signor nonno! Sono sicuro Light vi piacerà: è un pulcino educato, un po’ testardo, ma con una solida gerarchia di valori morali. Inoltre, è la discrezione fatta persona, non mi vi importunerà più del necessario”, lo rassicurò il nipote, accucciandosi accanto a lui e giocherellando con i raggi della ruota della carrozzella, sulla quale era seduto il nonno. “Eppoi, non è sdolcinato, ha la testa saldamente ancorata sulle spalle e questo mi va bene: gli amori troppo melodrammatici e passionali, sospesi e tragici, mi hanno sempre dato sui nervi sinceramente. Li reputo egoisti e malsani, nonché distruttori di ogni cosa che li circondi. Fanno più vittime loro del dovuto, oltre che all’infelice coppia di star-crossed lovers! Voi, signor nonno, dovreste saperlo più di qualunque altro!”, gli confessò con estrema serietà, guardando dritto negli occhi neri del nonno, il quale annuì grave. Certo che comprendeva e condivideva il pensiero del nipote: la tomba del primogenito nel piccolo cimitero di Sombreford ne era la prova lampante, che quanto proferito da L. corrispondesse al vero.

“In ogni caso”, riprese il moro con tono più giovale “l’affare è concluso: sabato prossimo ci sposeremo a New York e già ho spedito a casa di mio cugino Nate il resto della famiglia. Ergo, se sono qui era solo per avvertirvi e suggerirvi di sfruttare la settimana che vi resta onde rassegnarvi a queste nozze!”

L’uomo strinse gli occhi, visibilmente irritato dalla spassionata replica dell’ineffabile nipote. “Sei davvero un delinquente, Lawliet. E la cattiveria te l’ha messa in corpo tua madre, che bruci all’inferno!”, berciò, sorseggiando piano il tea caldo, il cui fumo veniva esacerbato dal freddo della stanza. “Fai come più ti aggrada, come sempre, ma sappi che io non approvo. Né ora né mai! A meno che, questo Light non si trasformi per intercessione divina in una donzella e mi presenti un pronipote!” e detto questo, His Lordship appoggiò la tazza vuota sul vassoio d’argento, incrociando indispettito le braccia al petto. In realtà le iridi nere come la pece, il medesimo colore che il nipote aveva ereditato, stavano studiando acutamente ogni reazione del moro, onde valutarne la sua risoluzione, dissimulando disapprovazione.

Era proprio vero che chi fustigava con vigore un certo vizio, era perché lo praticava anch’egli e magari con maggior energia del peccatore stesso.

Rialzandosi in piedi sbuffando e sistemandogli meglio la coperta di lana scozzese fino ai gomiti, Lawliet ribatté serafico: “Vi ripeto, che non ero venuto qui per chiedere la vostra benedizione!”, e si appollaiò sul bracciolo della poltrona, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’avus familias, che ancora non si capacitava dell’incredibile mancanza di rispetto che il nipote portava nei confronti del bon-ton: se la malattia non l’avesse costretto sulla sedia a rotelle, altro che affidare quello scanzonato testone ribelle a Quillish, che in fondo era un’anima buona e facilmente manipolata da quel piccolo genio del male di suo nipote. No, se fosse stato in salute, His Lordship avrebbe preso quel sacripante a calci nel sedere dalla mattina alla sera, come suo padre aveva fatto con lui e il padre di suo padre prima ancora. Dio ci salvi dal giorno in cui i genitori non potranno più sculacciare i loro pargoli per inculcare loro un minimo di buone maniere e senso civico.

“Cialtrone! Birbante! Mi sparisci per sei anni e ritorni nella casa dei tuoi avi solo per annunciarmi questo orrore: con che faccia potrò mai ripresentarmi al mio club, giù in paese?”, protestò severamente il nonno, flagellando il moro che giocava al nesci.

Anzi, non proprio nesci totale, giacché fischiando scettico, L. puntualizzò inclemente: “Ma se vivete come un recluso!” Ed infatti, ciò corrispondeva dannatamente al vero, ma non per mancanza di iniziativa da parte dell’uomo.

“Lawliet, contestami ancora e ti diseredo!”, lo minacciò His Lordship neanche tanto velatamente, ricorrendo ad una forma di ricatto meno blanda di quello sentimentale.

“Come se avessi bisogno di questa casa e dei vostri soldi!”, replicò sardonico l’altro, per nulla intimorito.

Silenzio.

Le labbra di entrambi gli uomini tremarono, incurvandosi verso l’alto.

“E’ bello, almeno?”, inquisì poi il nonno, sporgendosi in avanti, gli occhi neri illuminati di curiosità e malizia. Se bisognava peccare, allora che fosse con tutti i sacrosanti crismi annessi e connessi!

“Molto!”, annuì L. energico, le guance che gli tinsero per un breve istante di cremisi al solo pensiero del castano che aveva lasciato un paio di giorni fa a Tokyo. “Molto …”, ripeté più calmo, il timido rossore dell’entusiasmo riassorbito dal suo stoico e consueto pallore.

“E le sue performance nell’ars amatoria?”

 “E’ puro e gelido come la neve!”, affermò solenne Lawliet, pur di non ridere dinanzi allo spettacolo del nonno in via di confidenze intime. Arzillo, il vecchietto!

“E nonostante tutto … tu … con lui …?”

“Aye, His Lordship!”

“E ti vuole bene?”

“Spero di sì!”

“Come speri di sì?”

“Mi perdoni, signor nonno, mi sono espresso male: spero per lui di sì!”

“Ah, volevo ben dire!”

Silenzio.

“Bah! In ogni modo, sei e resti un pazzo scatenato!”

“Non siate così sbrigativo. Scommettiamo, che vi affezionerete a lui alla fine? Cinquanta sterline che vi diverrà caro come un secondo nipote!”

“Da morto, forse!”

“E’ pur sempre un buon inizio!”, dichiarò sarcastico il moro, balzando giù dal bracciolo e stiracchiando un poco la gamba intorpidita: forse, doveva aggiungere più potassio alla sua dieta, non erano normali quei crampi. Non era neppure normale quel modo di sedersi, a onor del vero. “Riverisco, signor nonno! Avrei voluto portarvi con me a New York, ma mi sembrate piuttosto … indisposto al momento!”, lo salutò L. affettato, neanche si fosse trovato dinanzi all’arcivescovo di Canterbury.

“Uhm!”, fu la pensierosa risposta dell’uomo, che si accoccolò ulteriormente sotto la coperta. Qualcosa gli diceva, che forse non doveva rammaricarsi più di tanto: conoscendo quel satanasso di suo nipote, aveva di sicuro escogitato un qualche perverso piano onde rendere indimenticabile quella già inconsueta cerimonia.

“Lo prendo come un sì! A presto nonno!”, si congedò Lawliet ora più spontaneo, baciando la testa canuta dell’avus, che gli strinse forte la mano alabastrina. Era il segno che accettava la tregua e che avrebbe atteso di studiare questo nuovo membro della famiglia, prima di giudicarlo un bon à rien  e appenderlo di conseguenza sull’albero più alto del parco della tenuta, come ai bei vecchi tempi.

 “Fai il bravo, te! Ché sennò ti spenno vivo! Ora fila via a sposarti, va’!”, lo spronò il nonno, che incominciava a commuoversi: certo, avrebbe preferito di gran lunga una fanciulla morigerata – più che altro per riempire le solitarie stanze di quella magione con un esercito di pronipotini - ma era contento che L. avesse finalmente trovato qualcuno che lo pigliasse così come si presentava (e a volte che ne voleva di buona volontà!). Non gli piaceva lo stile di vita che aveva scelto di condurre e chissà che la compagnia di una persona giovane non potesse aiutarlo a darsi una regolata, lui che aveva sempre vissuto o nella solitudine o circondato da vecchi.

 “E ricordati di portarmi una fetta di torta: non essere ingordo!”, gli ricordò His Lordship, bloccando il moro alla porta, il quale si voltò e annuì sorridendo.

Uscito infine dalla Drawing Room, Lawliet recuperò il suo cappotto e  fece cenno a Matt – il quale lo aveva atteso fino a quel momento accanto al caminetto nella sala d’ingresso – che aveva terminato e che potevano andare. Il ragazzo, accortosi della presenza di L., chiuse  il gameboy che l’aveva tenuto occupato per due ore, durante le quali il moro si era trattenuto col nonno.

Ora, ci si starà chiedendo il motivo per il quale uno che doveva essere in ostaggio onde punire fidanzati, che contravvenivano agli imperativi categorici Il mio fratellastro deve starmi mille miglia lontano godesse di tanta libertà, la quale avrebbe potuto essere sfruttata per una fuga strategica onde ritornare alle amorevoli braccia del meco. A onor del vero, la storia del rapimento era una gran panzana colossale – surprise, surprise – escogitata da L. affinché Mello cooperasse in maniera più soddisfacente ai suoi piani doma-bisbetici. Inoltre, era rimasto a corto di aiutanti, siccome aveva primo, rispedito quell’anima santa e completamente schiavizzata di Watari a prelevare B.B. da San Francisco e di trascinarlo volente o nolente a New York; secondo, incaricato  suo cugino di secondo grado Nate Rivers o Near o l’Ermellino (per distinguerlo da B.B. che era il Procione) dell’onere di occuparsi dei preparativi della cerimonia, degli ospiti e soprattutto di tenere rinchiusi i parenti fino a quel fatidico sabato 28 gennaio. Normale conseguenza, aveva bisogno di una spalla di sostegno per il suo viaggio nella natia Inghilterra, nonché di uno scudo umano nel caso His Lordship Thomas Coil-Deneuve avesse accolto la notizia non proprio cum gaudio magno et spe. Senza contare, che le competenze di Matt acquisite dalla sua attività ufficiale – tecnico di computer – e quella più informale – hacker professionista senza licenza – gli erano risultate utili onde provare in tutto e per tutto l’esistenza del suo alias, Ryuzaki Coil-Deneuve. Ché figurarsi se quel paranoico e malfidato del Bisbetico non era andato a controllare nel frattempo su siti più intimi come FB e Twitter! E quando i suoi “amici” – in realtà tutti falsi account creati ad hoc da Matt -  gli avevano chiesto il motivo per il quale non v’erano foto di lui, questi aveva risposto candido che era per motivi di grande introversione e che non si era il cugino del capo dei capi per ridicolizzarsi in situazioni compromettenti. E poiché la leggenda metropolitana narrava che L. soffrisse inspiegabilmente di agorafobia e che la sua famiglia amasse le foto quanto si amano le zanzare d’estate, l’ovvia conclusione arrivava anche da sola. Del resto, L. e Matt si erano premurati di aggiungere piccoli dettagli rivelatori, che solo uno che s’era fin troppo bene informato sulla Wammy’s House poteva riconoscere come veritieri.

Ecco dunque spiegata la ragione di tale sequestro. Quanto alla repulisti delle scorte di cioccolato, quello fu un atto di gratuita crudeltà di Lawliet nei confronti del signor Michael Keehl.

“Allora?”, inquisì Matt seguendo il moro dappresso e incuriosito dall’espressione sorniona che traspariva dal suo viso di solito così imperturbabile. “Dal silenzio che permea  in questa casa, non mi pare che l’abbia presa poi così male!”, disse il castano una volta usciti dalla magione e rabbrividendo lievemente a causa del gelo invernale.

“Oh, se mio nonno avesse voluto ammazzarmi, sarebbe stato più silenzioso di un sicario: odia ogni cosa che sia, come dire, teatrale!”, gli esplicò concisamente L., rialzando il bavero del cappotto e ficcandosi le mani nelle tasche. “In ogni caso, mi ha concesso la totale disponibilità della Manor, il che è un bene, dato che ho bisogno di un posto abbastanza isolato per domare in tutta tranquillità la mia dolce metà … A proposito, che ore sono ora a New York?”

“Dovrebbero essere all’incirca le dieci del mattino”, gli rispose prontamente il ragazzo, senza neppure controllare l’orologio.

“Perfetto: oserei affermare che questa è l’ora adatta per guastare la colazione ad una persona o tre …”, dichiarò convito L., estraendo il suo cellulare e componendo in fretta un numero a lui tristemente noto.

Tre … due … uno …

 “Olà, signor Procione!”, esclamò sardonico L. a voce altissima, appollaiandosi sul bordo di una fontana vicino al piccolo giardino botanico.

“Oh! Cos’è questo Procione?” , replicò subito irritato B.B. dall’altra parte dell’Atlantico, non avendo infatti riconosciuto il numero: ovvio, visto che i due non si parlavano se non il minimo indispensabile.

“Il viaggio da San Francisco a NY è stato di suo gradimento?”, infierì il moro servizievole.

“Ma che cavolo …? Chi è lei …? Argh! Lawliet, brutto figlio di - …!”

“Ah-ha! Non insultare la mamma! Non si fa!”

“Che cos’è questa storia? Sapevo che eri un tarato di mente, questa però le batte tutte: arrivare addirittura a farmi sequestrare! Aspetta che ti metta le grinfie addosso e vedrai come ti subisso, vecchio satrapo!”

“Hé, Procione! Viaggiare fino a Tokyo per una pornostar sì, ma venire a NY a trovare il tuo Panda preferito no, eh?”

“La smetterai mai di ficcare il naso negli affari degli altri e  paragonarci tutti ad un animale? E per tua informazione, Sayu è un’attrice, non una porn- …”

“Come stanno Regina dei Quarti di Campo; Credi alla Damigella e Affettachiappe nel Retro?” [1]

“Cosa?! Non insultare i miei amici, ora! Sono solo dei soprannomi! Facevano figo scritti in kanji ecco!”

“Ma che kanji e kanji, qua vi siete fumati il ganja! In ogni modo, Backup, lo sai che mi sposo?”

“E mi dovevi rapire per comunicarmelo?”

“In cartoleria avevano terminato i biglietti d’invito! C’era stato lo sciopero dei lavoratori nella foresta Amazzonica! Il carburante era scaduto! I piccioni viaggiatori erano tutti morti di malaria! Avevo finito la ricarica del telefono! E ovviamente, la compagnia telefonica aveva chiuso battenti per fallimento! Ergo, non ti potevo avvertire. Contento?”

Silenzio post-concussivo.

“E sentiamo, con chi diavolo ti sposi? Pensavo che l’unico amore della tua vita fosse la cheesecake alla fragola!”

“Se ne farà una ragione! In ogni modo, la fanciulla in questione si chiama Lucy!”

“Lucy …?”

“Lucy! Sei per caso divenuto sordo?”

“Ho capito, idiota! Che fa di cognome?!”

“Ah, il cognome! Lucy …”, pausa d’effetto “… che te ne frega, scusa? Tu sei la damigella, non porti domande troppo pericolose!”

“Ma …”

“Ci vediamo domani, Brigitte!”

“Lawliet! …”

“Stammi bene e non far arrabbiare né Watari né Near: ho loro dato licenza di flagellarti, semmai dovessi sgarrare!”

“Tu! Aspetta … un …”

Zip. Chiamata terminata.

Infilandosi in tasca il cellulare, L. guardò gnorri un Matt assai perplesso, che lo fissava come uno che aveva assistito al turpe spettacolo di due scimmie intente a scaccolarsi il naso. “Questa telefonata aveva uno scopo ultimo?”, s’azzardò infine il ragazzo a domandare all’amico.

“Lo vuoi proprio sapere, Matt?”, fece serio Lawliet, avvicinandosi a lui e guardandolo intensamente negli occhi. Ipnotizzato, il ragazzo annuì meccanicamente. “Ebbene … no! Avevo solo voglia di rompergli le pigne, nonché fargli perdere tempo, addebitandogli la chiamata! Ah sì, e sincerarmi che Watari lo avesse prelevato come indicatogli”, affermò il moro impunito, scendendo in un balzo e dirigendosi verso la macchina (guidava Matt, ovviamente).

Infatti, il suo era stato un piacevole diversivo per distogliere l’attenzione del signor Mail Jeevas da un messaggio di ben altra importanza: direttamente dal cellulare di Quillish “Watari” Wammy, gli era arrivata la tanto attesa conferma che il pacco era stato finalmente consegnato.

Ora, le nozze potevano davvero incominciare. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia.

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Certo che per un capitolo di transizione era bello lunghetto … uhm, sarà la stanchezza? O.o

In ogni modo, preparate lo spumante, siete tutti cordialmente invitati al matrimonio! *arrossisce come una scolaretta*

Allora, che dite? Alla prossima?

Ciao!

 

Un po’ di noticine:

 

[1] Rispettivamente: Quarter Queen = Regina dei Quarti di Campo; Believe Bridesmaid = Credi alla Damigella e Backyard Bottomslash = Affettachiappe nel Retro, le vittime di B.B. nello spin-off di “Death Note Another Note: The  Los Angeles B.B. Murder Cases” e dunque no, Hoel non si è inventata niente, ha semplicemente tradotto, riflesso ormai incondizionato. Vorrebbe essere arrivata a tali lampi di creatività. Vorrebbe. Ma il ganji ancora non lo mastica bene …

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia, Parte 1. ***


Salve a tutti, rieccomi qui dopo una lunga assenza da questo fandom!

Chiedo venia per il ritardo abnorme di questo aggiornamento: siccome, però, questo capitolo, anzi, questi capitoli sono il nocciolo della storia, ecco ci ho messo un bel po’ ad elaborarli. Complice il mio militare in altri fandom, problemi tecnici, esami e traslochi, la faccenda l’ho tirata un per le lunghe! Ringrazio di conseguenza tutti i lettori che mi hanno attesa con pazienza e costanza!

Ma ora a noi.

Dunque, come detto prima, siamo nel cuore della storia. Ergo, ho pensato di dividere in due il capitolo concernente il matrimonio tra L. e Light, in modo da a) non rendere troppo lungo e pesante il capitolo stesso; b) presentarvi un matrimonio fatto bene! Scrivere cose divertenti non è facile, di conseguenza molte battute le vedo e le rivedo, finché non mi convincono!

La seconda parte del capitolo è già avviata; non aggiornerò fra altri otto mesi, statene certi!

Ci scusiamo in anticipo per eventuali OOC, momenti di demenzialità pura e per la boccuccia di rosa di Light. Coi tempi che corrono è sempre bello farsi una risata! Ah, e soprattutto ci scusiamo per il cambio di font! Per motivi oscuri, malgrado le ore di tortura, l’HTML non vuole più ridarmi il mio calibri! In attesa di postare la seconda parte del capitolo, provvederò a cambiare il font di scrittura di quelli precedenti.

Un enorme ringraziamento ai miei lettori e recensori! In particolare a: Sagitta72; Cyborg22; Suiren; Loryiloveyou; Titania76 e Cuppy Cake.

Ringrazio poi coloro che hanno messo questa storia tra le preferite, le seguite e le da ricordare! Grazie, grazie, grazie!

Bien, altro da dire non ho, se non buona lettura!

 

 

 

 

Vostra,

H.

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 Capitolo 7: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia.

Parte 1.

 

 

 







New York, 28 gennaio, ore 10:38 am.

È incontestabilmente vero, verissimo, dogmatico che almeno una volta nella propria vita un uomo debba vestirsi in maniera adeguatamente elegante. Vuoi che sia per il battesimo del proprio adorato pupetto (“Smettila di imitare la controfigura di uno stoccafisso! Più rilassato! E tienilo più vicino!” “Ma sembra volermi vomitare addosso!” “Non me ne può fregare di meno! Tienilo e non frignare come una femminuccia!”); per un colloquio di lavoro (“Verga! Maledette salse del McDonalds! Lo sapevo che dovevo fissare il colloquio prima di mezzogiorno! E adesso come faccio? Spero che l’HRM non abbia notato la macchiolina di senape dolce sul bordo dei pantaloni!”); per un meeting di vitale importanza (“Tzé, rosa e celeste, il burino si veste!” “Taci, razza di stilista del pannolone di un incontinente disinibito: se non avessi bisogno dei tuoi cartoni per la sfilata, a quest’ora avrei usato il tuo outfit a losanghe ubriache per pulire la moquette!”); per il funerale dello zio milionario (“Fuck, yeah! Era ora che si decidesse!”); per la laurea (“Anche tuo zio era vestito così alla sua laurea … ed è rimasto disoccupato a vita!”); per un matrimonio, ecco che nell’armadio deve assolutamente troneggiare fiero e altero  l’orgoglio dell’abito maschile, altresì noto col nome secolare di giacca e cravatta.

Peccato, che per portarlo ci voglia il cuore e che soprattutto quest’ultimo sia possibilmente sobrio.

Ché infatti, il signor Lawliet Coil-Deneuve, in data 28 gennaio,  non pareva soddisfare nessuno di questi requisiti: fasciato peggio di una mummia nel suo impeccabile e costosissimo tuxedo, egli si rimirava assai perplesso dinanzi allo specchio, scompigliandosi la capigliatura corvina che un ineffabile Watari stava cercando di domare, mentre con l’altra mano giocherellava con la lattina di una Red Bull semivuota.

La quarta.

“Allora, my lucky man”, eruppe B.B. poco cerimoniosamente nella stanza, fermandosi all’uscio della porta. “Come ci si sente, big bro, a sposarsi, uh?”

“Perché non lo fai anche tu, così poi confrontiamo le nostre esperienze matrimoniali?”, ribatté flemmatico L., tentando invano di allungare il braccio verso il mini-bar così da acchiappare la sua quinta Red Bull, sennonché una zampata decisa di Watari glielo impedì, dirottandolo altrove. Piccato, l’uomo prese a mangiucchiarsi nervosamente l’unghia, pianificando nel frattempo un secondo subdolo piano d’attacco in modo da aggirare l’accorta e silenziosa sorveglianza del fondatore-prozio-maggiordomo-schiavosadomaso-tuttofare-geniodellalampada. La sua attenzione fu tuttavia distolta momentaneamente dai suoi perfidi propositi di conquista, quando le mani di Watari si levarono dalla sua persona, segno che aveva finito di vestirlo. Rimirandosi ancora più accigliato di prima, L. sospirò a lungo,  le bollicine dell’iper-zuccherosa bevanda che gli risalivano dispettose lungo il setto nasale.

“Tutto sbagliato, tutto sbagliato …”, asserì in un buffo miscuglio tra lo ieratico, sconsolato e scocciato.

“Cosa?”, gli chiese invece B.B., portandosi accanto a lui e osservando con occhio critico sì, ma al contempo soddisfatto per l’eccellente lavoro di Watari. “Stai benissimo!”

L., attraverso il riflesso dello specchio, gli lanciò un’occhiata assai scettica. “Fammi il piacere, Brigitte! Guarda qua! Io, in tuxedo? Ma è ridicolo!”, dichiarò convinto, eludendo quella barriera umana di Watari e aprendosi la sua agognata bevanda.

“No, non è ridicolo:  è il tuo matrimonio! Anche se, l’ammetto, la cosa si presenta alquanto grottesca visto e considerato il soggetto”, replicò secco il fratellastro minore, notando lievemente in ansia l’occhio sempre più lucido del maggiore, segno che la sbornia taurina stava pian pianino facendo il suo corso.  “Non vorrai mica andare con gli shorts e flip flop, spero?”, cercò di persuaderlo, conoscendo il rapporto conflittuale del fratello con la moda. Del resto, cosa ci si poteva aspettare da uno che aveva presenziato al funerale della madre con la tuta da vendemmia?

“Non esagerare, siamo a gennaio …”, liquidò Lawliet la faccenda annoiato, neanche a parlare fosse stata una mosca. “Tuttavia … No, non ce la faccio! È troppo anche per me!”, affermò con un tono disperato, coprendosi il viso con ambedue le mani e dondolandosi affranto in avanti e indietro. Preso da un inaspettato raptus d’amore fraterno, B.B. gli cinse le spalle, battendogli leggermente la schiena a mo’ di conforto.

“L., posso immaginare come ti senti, però … però sei tu che l’hai voluto e non … non puoi tirarti indietro all’ultimo!”, lo consolò, ignaro in realtà in quale situazione il suo fratellastro si fosse cacciato. Anzi, il signor Pierston ignorava perfino chi fosse esattamente la sposa, confermando così quanto i due fossero in stretta confidenza, raccontandosi ogni singolo dettaglio della loro vita, dalle multe non pagate alle rispettive coordinate bancarie. “So che sei un gran bello stronzo, big bro, ma abbandonare una fanciulla all’altare sarebbe una bastardata pazzesca persino per i tuoi standard!”, aggiunse, per una volta serio e pragmatico.

“Quale fanciulla?”, si voltò L. verso Beyond, corrugando disorientato la fronte: che il Brutto Bifolco si fosse dato ancora alle gioie della cannabis? Sospettoso, si mise ad annusarlo, per finire prontamente scaraventato sul divano da un B.B. altamente indignato. “Non è questo il punto, jam monster!”, proseguì senza badare allo sguardo semi-sconvolto del fratellastro minore, che stava iniziando a fiutare puzza di bruciato. “E’ che non posso … andare … conciato … così!”, sbrodolò il futuro sposo, la lingua impastata dall’ubriacatura di Red Bulls e le gote purpuree. “E’ questo quello che vuole … e deve imparare … che nella vita … non si può ottenere … tutto … perfetto …”

B.B. indietreggiò d’un colpo terrorizzato. “C-che intendi dire?”, balbettò, domandandosi se fosse o meno consigliabile chiamare Watari (sempre assente nei momenti di reale necessità) o gettare direttamente un secchio di acqua gelida ad un Lawliet in piena crisi mistica zuccherina. “Pensavo facessi sul serio con lei!”

Domandandosi intimamente a che cosa B.B. alludesse con quel pronome femminile, Lawliet lo fissò intensamente dritto negli occhi, affermando seriamente dolce: “Io sono serissimo: ma c’è qualcosa che deve sapere su di me …” e gli sorrise carnivoro, cosa strana per un panda antropomorfo come lui.

Unico problema, trovare un catino assai capiente …

 

 

New York, 28 gennaio, ore 11:26 am.

Nel frattempo che B.B. valutava come meglio annaffiare il suo adorato fratellastro maggiore, il signor Michael Keehl aveva buoni motivi di temere per la propria vita: dietro alla porta cui si era appoggiato per l’esasperazione – o per impedire a Toro Scatenato di uscire fuori e fare macelli -  si udivano distintamente le urla di un Light Yagami più inferocito di uno Shinigami in piena crisi di astinenza, perplessi ululati contenuti appena appena dalle dolci e comprensive spiegazioni della madre e quelle più sardoniche della sorella.

“Dove diavolo è finito quel … quel … coso?”, sbraitava e schiumava il giovane peggio di un sifone di Seltz, stritolando il cellulare bollente dalle innumerevoli chiamate senza risposta con cui aveva bombardato il desaparecido.

“Tesoro, non dobbiamo presagire il peggio!”, lo ricorreva la signora Sachiko per la stanza d’albergo dove risiedevano e dove si sarebbe dovuto – in teoria – celebrare anche il matrimonio (giusto per citare un atto civile a caso). Essendo i fondatori della Wammy’s House schifosamente ricchi e importanti, si potevano permettere di celebrare matrimoni a porte chiuse come i processi in hotel di lusso i quali - oh! ironia della sorte - li appartenevano pure. “Può essergli successo qualcosa durante il tragitto!”, tentò la povera donna di far ragionare il figlio, il quale era andato in oca sotto ogni senso, starnazzando ingiurie, minacce di morte e oscenità varie. Tutte giustificate: al suo posto o in circostanze comunque vagamente simili, chiunque avrebbe espresso i suoi dubbi spirituali tirando giù l’intera corte celeste.

“Meeeeeeeeerda!”, emise Light uno strano verso – un inquietante mix tra un guaito, un ruggito e il singhiozzo – sbattendo la fronte sul letto e pigliando il materasso a pugni. “Glielo avevo detto io di soggiornare qua! Perché è dovuto ritornare a casa sua, lo screanzato?”,si lagnava imbestialito, strappando le lenzuola di cotone d’Egitto con la sola forza dei denti. “Come ha potuto farmi questo? Come?!”

“Beh, io lo dicevo che quel Ryuzaki fosse parecchio strano …”, commentò Sayu sardonicamente fatalista, attirandosi un’occhiata velenosa da parte del castano che, peggio di una vipera cornuta (ma non dal marito), le sibilò contro una volta voltatosi di scatto e abbandonata la preparazione dei coriandoli:

“Osa ripetere, brutta mocciosa!”

Favore che Sayu concesse più che volentieri: non aspettava altro. “Insomma, Light: incontri questo tizio sbucato dal nulla, lo conosci appena, ti chiede di sposarlo e tu davvero non hai neanche per un secondo sospettato che si potesse trattare di un bluff? Suvvia, non fare quella faccia! Magari è meglio così: dovrai solamente rimanere confinato in casa dalla vergogna per i prossimi … uhm … dieci anni? Sedici?”

L’occhio sinistro di Light prese a contrarsi di isterici spasmi assassini. “Sayu … te lo dirò una sola volta … tu sei una grande, grossa, grassa, sulfurea, biliare, rancida forma di avanzo del rigurgito di una vacca in menopausa le cui cellulitiche cosce sono state servite col curry al pranzo di Natale alla mensa della prigione di Alcatraz ai suoi tempi di gloria!!!”, proferì egli tutto d’un fiato, le dita che si muovevano convulsamente dalla voglia matta di strangolare l’ineffabile sorella, che appunto replicò con olimpica indifferenza:

“Vabbé, tanto sei tu quello scaricato all’altare, mica io …”

Silenzio.

“CHE DIAVOLO NE SAI?! SEI SOLTANTO UNA DAMIGELLA!”

“Light! Metti giù quella piastra!”

“Osami rovinare l’acconciatura e ti uccido, mestruato!”

Udendo le sorde grida e inquietanti tonfi da dietro la porta che tremava, Mello ringraziò il cielo di esserne per una volta rimasto fuori, in tutti i sensi.

 

New York, 28 gennaio, ore 11:51 am.

Suonò il cellulare: Piripiripiripurupuuh!! E Mello vide finalmente le vie della salvezza, specie quando riconobbe il numero telefonico di Matt. Fu un po’ meno contento nel ritrovarsi accanto un Near sbucato dal nulla, in particolare non appena questi incominciò a fumare un sigaro cubano lungo quanto una siringa da anestesia totale, accendendoselo con uno zippo che assomigliava ad una micro-machine.

 “Finalmente, delinquenti!”, esclamò il manager tra il sollevato e l’esasperato.  “Ma vi paiono ore? Dove siete? Diavolo d’un bordello algerino, siete in ritardo di quasi un’ora! Ci sono gli ospiti che hanno incominciato a giocare a tombola pur di passare il tempo!”

“Cosa?!”, strillò il suo fidanzato, la voce acuta dalla sorpresa. Dopodiché, incominciò a farfugliare apprensivo, già figurandosi Light in versione inquisitore spagnolo che flagellava Mello sulla sedia di Giuda giusto per sfogare il suo malessere interiore. “Ma L. ci aveva detto che la cerimonia era a mezzogiorno e mezza!”

Strapparsi gli occhi col cucchiaino da caffè non avrebbe recato a Mello il medesimo carico di dolore, che invece gli procurò l’affermazione di Matt. “Cheee??!! No, era alle undici! E c’è qui Kira in pieno delirio omicida! Sua madre e Sayu sono state costrette a rinchiuderlo in camera sua o qui ci scappava il morto! Anzi, uccideva me per la sola colpa di essere amico di L.!”

“Beh, allora avete risolto!”, soffiò Matt si puro sollievo, provocando un’indignata sincope al biondo fidanzato.

“E suo padre è scomparso con Near!”, aggiunse poi Mello, lanciando un’occhiata obliqua ad un serafico signor Nate Rivers, il quale seguitava impassibile a fumarsi il sigaro nel frattempo che la sua mano sinistra vagabondava nell’emisfero sud dell’anatomia del biondo, cui si arricciarono i capelli.

“Ah, questa è tragica!”, commentò l’altro ragazzo, domandandosi a cosa corrispondesse quel bizzarro supersciaff-grugnito-ohpietàdimenonlofacciopiù-mettitiquellechelesullechiappesonogiàscazzatodimio dall’altra parte del telefono. E siccome il signor Mail Jeevas era un giovane molto curioso come un certo delfino, egli si apprestò ad inquisire sulla natura di quei suoni sospetti. Sennonché fu il signor Michael Keehl quello costretto ad esigere delucidazioni acustiche, quando udì l’urlo disperato di Beyond Birthday rimbombare peggio di un massiccio attacco aereo in pieno secondo conflitto mondiale. 

“Oddio, L. no!!! Non così!!! Ti sei ammattito?! Levati quello scempio di dosso!!! Insomma, ti sposi con una donna, non devi fare tu la … Che dirà Lucy?!”

“Ma che diavolo …?”, aggrottò la fronte Mello, spingendosi a momenti il cellulare su per l’orecchio come un cotton fioc pur di reperire maggior informazioni su quel grido di guerra alla Laurence d’Arabia. 

“Stai zitto, B.B.!!!”, berciò Matt anche lui riscopertosi improvvisamente beduino. “Quale donna e donna d’Egitto! L. si sposa con … OH MIO DIO!!!”, ruggì traumatizzato.

A Mello parvero aprirsi le porte del Paradiso. Per lui. “Cosa sta succedendo lì?!”, lavò egli lo schermo del cellulare con la sua saliva. “Matt! Matt!! Rispondi, maledizione! MATT!!!”

“Non puoi fare questo!! Tu non devi fare questo!! Soprattutto a lui! Quello là sarebbe capacissimo di ammazzarti, semmai dovessi presentarti così conciato!”, stava supplicando il ragazzo lo sposo, del tutto dimentico del fidanzato sull’orlo di un esaurimento nervoso.

“Matt!!! Dimmi che sta succedendo!!”

“Se mi ama, mi accetterà così come sono!”

“Neppure un santo lo farebbe! E quello là è il figlio illegittimo di belzebù, figurarsi!”

“Lui? Lui, chi?”, sentì Mello la voce confusa di B.B.  “Ma non si doveva sposare con tale Lucy?”

“Lucy?! Sei finalmente divenuto scemo, B.B.? L. oggi si sposa con Light Yagami!”

“Light … chi?!”

“Yagami!”

L’informazione sta attualmente raggiungendo il cervello, la preghiamo di restare in attesa.

“IO TI AMMAZZO, BRUTTO *censurato*!!!!!”

Pernacchia.

“AH!!! Provaci, you wanker! Na na nère!”

Doppia pernacchia, seguita da tonfi sospetti.

“MAAAAATTTTT!!!”

Ma la linea era già caduta.

 

 

***

 

 

Fu in quel momento, quando ogni speranza era svanita, che Isildur, figlio del re …

Ah-ehm!

… che il signor Lawliet Coil-Deneuve alias Ryuzaki arrivò all’hotel all’una meno un quarto. Ad avvistarlo era stata la signora Sachiko Yagami, la quale, dopo aver legato e imbavagliato il figlio sul letto, s’era appostata alla finestra col binocolo, scrutando avida l’orizzonte come il protagonista de Il deserto dei tartari. “E’ arrivato lo sposo! È arrivato lo sposo!”, prese ella a saltare istericamente gioiosa, battendo le mani. “Su, Sayu, libera tuo fratello e trascinalo giù alla sala delle carpe!”

Sayu esibì in una lunga occhiata scettica. “Io lì dentro non entro!”, fu la sua sentenza, non garbandole i sinistri grugniti provenienti dalla stanza di Light. Tuttavia, ella si vide costretta a venire a più miti consigli, quando sua madre si voltò di scatto, lavandole la faccia e rivelandole quanto biforcuta fosse la sua lingua:

“HO DETTO ORA, FRINGUELLA!!”

Mater semper certa est, pater numquam e finalmente si capì da chi Light Yagami avesse ereditato il suo carattere dolce e remissivo.

Ritornando a propos ai nostri tartari – di nome e di fatto – ritardatari, essi fecero la loro spettacolare entrata sotto gli occhi attoniti di quei coraggiosi – Mello in testa – che avevano osato uscire dall’albergo per dare loro il benvenuto-ramanzina: la macchina assolutamente sgangherata di Matt zigzagava impazzita tra la ghiaia del vialetto d’ingresso e il giardino sul fronte, fregandosene altamente  del cartello Per favore non camminare sull’erba, fatto che comportò la totale demolizione delle aiuole e delle statue. Una brusca frenata - che bruciò sicuramente il motore - segnò il definitivo arrivo del corteo dello sposo tra le varie urla degli astanti, specie quando videro la vettura a qualche centimetro dai loro nasi, avendo infatti il conducente pigiato i freni bollenti praticamente sui gradini dell’entrata principale dell’hotel.

Il primo ad uscire fu Watari, il quale si infilò flemmatico come suo solito il cappotto e mantello, bofonchiando: “Ulà, che freddo!” e procedendo incurante verso una piccola folla sull’orlo dello svenimento (tranne forse per lo staff dell’albergo, che pareva sospettosamente impassibile a quanto stava accadendo).

Dopodiché fu il turno di B.B. a scendere, o meglio, a catapultarsi fuori dall’auto e ad atterrare a carponi, vomitando perfino l’anima sul sentiero. Rimessosi infine in piedi, il giovane barcollò assai incerto sulle sue gambe, cercando un punto fisso in quel vortice mentale che lo portava a sbandare di qua e di là. Il suo appiglio lo trovò in una scioccata Sayu, la quale, dopo aver liberato la Belva, era venuta anch’ella a curiosare, intrigata dal silenzio cimiteriale presente tra gli invitati al matrimonio dopo l’urlo pressoché apocalittico di chi stava per essere investito.

“Beyond! Tu qui? Che ci fai?”, si strangolò per poco la ragazza con la sua medesima saliva, sorreggendo un verdognolo B.B., il quale si nascose le mani al volto, singhiozzando disperato:

“Perdonami, Sayu! Perdonami! Te lo supplico! Io non volevo! Io non sapevo!”

“Beyond … ma che diavolo …?”, si inserì Mello, i cui occhi si ingigantirono traumatizzati a vita non appena il suo fidanzato e lo sposo fuoriuscirono – forse tuffarsi fuori sarebbe il verbo più adeguato – dalla macchina, procedendo a braccetto simil granchi e cantando a squarciagola oscenità da osteria. “Oh mio Dio …”, farfugliò il manager, le ginocchia ridotte ad una pappetta di semolino.

“Matt! Che ti ha fatto? Che ti ha fatto quel … mostro!”, si strappò a momenti il manager i capelli – rinunciandovi però all’ultimo – alla vista del suo povero, innocente e completamente fumato fidanzato procedere caracollante sorretto da un L. altrettanto su di giri, leggasi ubriaco marcio.

“Tipico …”, scosse il capo Near, aspirando impassibile il suo sigaro e lanciando un’occhiata maligna ad una Sayu sull’orlo dello sconcerto. Capendo ormai di essere con le spalle al muro, B.B. era stato costretto a raccontargli brevemente la cruda verità in un angolino appartato, lontano da orecchie indiscrete.

“Gueh? Quel panda antropomorfo è il tuo fratellastro maggiore?”, squittì incredula l’attrice, la pressione a mille. “Quello squilibrato?”

“Ora capisci perché non te lo volevo presentare?”

“Ma non mi hai neanche detto di averne uno!”, obiettò lei.

“E ti pare che sia un soggetto di cui andare fiero?”

Il lungo silenzio di Sayu fu assai eloquente.

“A proposito di soggetti”, cogitò il manager albino ad alta voce, risvegliando Mello dal suo torpore post-trauma. “Qualcuno sa che fine abbia fatto …?”

“Sh! Zitto! Non nominarlo!”, lo chetarono gli invitati in coro, terrorizzati alla mera idea che, parlando del diavolo, gli spuntassero le corna. Siccome però questo matrimonio s’aveva da fare, ecco che Colui-che-non-doveva-essere-invocato fece il suo ingresso, chiedendo a gran voce (irritata):

“Dov’è? Dov’è lui?”

Tutti cessarono di respirare in perfetta sincronia. Perfino i grilli – sempre che ce ne fossero stati a gennaio – cessarono il loro stridulo frinire.

“Ebbene?”, inquisiva Light tra lo snervato e il perplesso, facendosi strada tra gli invitati, i quali si erano compattati in tacito accordo nel disperato tentativo di impedire al Bisbetico di assistere a siffatto spettacolo. Invano: sgomitando impaziente, il giovane si portò in prima fila domandandosi tra sé e sé il motivo per il quale se ne stavano tutti imbambolati con la bocca più spalancata di un frequentatore seriale di YouPorn.

Light Yagami venne, vide e vinse un semi-svenimento tra le braccia di Mello, che ebbe i riflessi abbastanza pronti da acchiapparlo in tempo.

Naomi Misora, cogliendo la balla al balzo, gli scattò una foto col cellulare. “Con questa ho la pensione assicurata”, pensò con perfida soddisfazione.

Stringendo gli occhi affatto contento di vedere il suo futuro consorte nelle braccia (a sua detta) polipose di Mello, Lawliet lo raggiunse in un nanosecondo, sempre trascinandosi seco un Matt in pieno trip psichedelico ma non troppo.

“Ah, ecco la mia donna!”, esclamò gioviale il moro, barcollandogli presso e abbracciandolo possessivamente. Gli astanti diedero nuovamente prova di essersi iscritti alle competizioni di apnea trattenendo il fiato, quando L. baciò in un ardito (per la sua colonna vertebrale) casché un Light dalla bocca piuttosto aperta per lo choc visivo causatogli dall’abbigliamento del suo futuro marito. A guardarlo da vicino, cogli occhi spalancati e che fissavano il vuoto, il Bisbetico sarebbe tranquillamente passato per un cadavere dell’obitorio in lista per il funerale.

Donna? Donna?! Quel panda antropomorfo zuccheroinamane aveva il coraggio di appellare il castano donna? Proprio lui che aveva avuto l’ardire, macché la follia di presentarsi con un abito in stile Via col Vento? E di certo, il signor Coil-Deneuve non si era ispirato a Rhett Butler!

Gonna di seta a campana bella vaporosa con nastri e chiffon e merletti e perline ricamate; strascico lungo due metri; scollatura rivelatrice; lunghi guanti bianchi; parure di diamanti e tiara kitsch da zarina di tutte le Russie e soprattutto – perfidia pura – scarpine con gli strass e tacchi a spillo: in quella mise L. poteva competere in quanto a grottesca opulenza ad una capo-maÎtresse di un bordello ispiratosi alle principesse disneyane.

“Scusa per il ritardo, Lucy”, fu il mea culpa del moro, che barcollava instabile da un piede all’altro.  “So che mi vuoi uccidere, però sul serio non è stata colpa mia!  … Te lo giuro sulla testa di mio fratello Brutto Bifolco! … Guarda, non ti racconto i casini che lui e Watari mi hanno piantato su per questo vestito … Io lo trovo così figo! … Lo visto da Kleinefeld e … mi è piaciuto un sacco … allora mi sono detto: Ma sì, lo compro, al massimo Lucy si farà una bella risata (o si metterà a piangere) …  Però non sono una checca, eh? Sia ben chiaro! … Okay, ogni tanto mi piace fare un po’ di cosplay – ma solo quando sono o particolarmente nervoso o ubriaco marcio ( adesso sono entrambi) - spero che per te non sia un problema … anche perché per me non lo è! … Perché mi fissi così, neanche ti avessero costretto ad ingoiare un manico di scopa rosolato al burro? … Giusto, ti stavo spiegando il mio ritardo …  Perché ero in ritardo? Ah, il traffico! Oh porca put-ops!”, si coprì L. spudoratamente vergognoso la bocca, sia per non imprecare sia per trattenere un sonoro rutto provocatogli dal suo tallone d’Achillo, a.k.a. la Red Bull. “Volevo dire … oh, porca paletta! … che traffico! Che traffico! Siamo rimasti bloccati per seeeecoli e questo cretino” e sollevò Matt, schiaffandolo quasi sotto il naso di un Light livido e tremante (ma non dal freddo), “non voleva accelerare! Si è messo a piangere istericamente, affermando che lo stavo conducendo al patibolo! … Meno male che gli avevo alterato le sue sigarette … dopodiché è diventato più docile e simpatico … abbiamo perfino fatto un po’ di karaoke, mentre tentavano di investire la vecchia col labrador …  Dai, Matt, digli quanto traffico c’era!”

“Moltissimo!”, fece il ragazzo pollice in su, staccandosi ad un tratto dalla stretta di L. e dichiarando solenne: “E adesso scusatemi, piccioncini miei, devo andare a vomitare sul tuxedo del mio crucco!” e cadde per terra in un pesante tonfo.

“Matt! Contegno! E non sul mio tuxedo, merda!”, berciò irato Mello – il crucco in questione - rimettendolo in piedi e scuotendolo energicamente, sordo alle proteste dell’altro che urlava alla violenza domestica.

Intanto, reprimendo il malsano desiderio di strangolare l’orrida visione paratagli innanzi e personificatasi nella figura di L. (non c’era bisogno di dar ulteriore spettacolo), Light gli si avvicinò, gli occhi nocciola più infuocati dell’inferno stesso. “Hai bevuto, stronzerrimo!”, constatò in un gelido sibilo, il labbro inferiore che gli tremava istericamente e l’occhio sinistro con esso. “Mi fai schifo, vacca bastarda!”

Aveva voglia di piangere, uccidere, mutilare, mordere, suicidarsi, abbuffarsi di patatine fritte, prendere a calci nel sedere L., urlare, strapparsi i capelli, etc. etc. Tutto pur di sfogare l’opprimente sensazione degli sguardi dei presenti, il cui peso lo schiacciava ad ogni istante che trascorreva, facendolo sentire simile al titano Atlante.

Mai in vita sua si era sentito così umiliato. Così ridicolizzato davanti a tutti, che di sicuro o lo stavano compatendo o stavano mettendo alla prova l’elasticità delle rispettive casse toraciche, trattenendosi dallo sganasciare allegramente. Con che faccia si sarebbe presentato di nuovo nell’azienda? Anzi, con che faccia avrebbe affrontato il mondo! Come aveva fatto ad essere stato così deficiente a lasciarsi irretire da quella scimmia fuggita dal circo di Moira Orfei?

Tzé! Ignorava, Kira, che quello era solo l’antipasto di quell’osceno vaudeville preparatogli e offertogli dal suo solerte sposo!

 Il quale, giusto per non smentirsi … “Solo una lattina di Red Bull, Lucy”, gli confessò serio. “Da tre litri.”

Light si vide costretto a trattenersi dal sputargli su ambedue gli occhi. Che diavolo di risposta era quella?

“Tuttavia”, riprese ieratico L., estraendo dal suo bouquet un inquietante oggetto metallico. “Basta parlare di me, Lucy!” e un sinistro clic! confermò i sospetti del castano riguardo la sanità mentale del moro.

“Che significa questo? Mi ammanetti, pervertito?!”, ringhiò egli la sua protesta, guadagnandosi una risata dolcemente malevola da parte di Lawliet, che, tirandolo a sé tramite la catena, gli sussurrò all’orecchio:

“E non hai visto ancora niente, Light!” Risata gutturale. “C’mon, baby! Andiamo a sposarci!”

Prima che il Bisbetico avesse modo di tempestarlo di pugni in faccia, L. si alzò le sottane e prese a correre indiavolato all’interno dell’hotel, trascinando seco un recalcitrante Light, che s’aggrappava a qualsiasi cosa e/o persona pur di non seguirlo, operazione pressoché impossibile visto che gli ospiti lo spingevano da dietro, neanche si fossero risvegliati in una squadra di rugby.

Si creò di conseguenza una certa congestione di gente all’entrata.

“Che bello! Che bello! Si sposano! Si sposano!”, esclamava in quella ressa una voce insospettabile. Quindi no, non si trattava della signora Sachiko.

“Hai drogato il padre di Kira?”, inquisì indignato Mello, intanto che cercava a) di salvare l’occhio da una gomitata e b) di evitare che Matt, preda a strani fumi, scalcasse gli astanti camminandogli in testa.

Impunito, Near annuì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia, Parte 2.

 

 

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Capitolo 8
*** Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia. Parte 2. ***


Allora, prima di iniziare, vorrei ringraziare dal profondo tutti i magnifici recensori che, malgrado i mesi di assenza, hanno lasciato un commento a questa mia storia. Davvero, sono commossa, mi avete stupita! Siete dei grandi! Mi avete dimostrato, che ancora questa piccola sciocchezza vi sta piacendo, che la seguite e che vi diverte un po’!

Un grandissimo ringraziamento, quindi, a : Scintilla19; Kira 16; Beyond_Birthday; Sagitta72; Crazy_Fun; Loryiloveyou e Nonamedgirl! Grazie anche a coloro che hanno semplicemente letto la storia, che l’hanno messa tra i preferiti, tra le ricordate e le seguite!

Chiedo venia per il ritardo: giostrarsi tra molti fandom non aiutata e per di più non sono molto in salute! Quindi, spero che il capitolo sia venuto bene, non è facile scrivere da ammalati! L

Bien, spero che questo capitolo vi possa piacere! Buona lettura e … alla prossima!

 

 

 

H.

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Capitolo 7: Laddove, tra aspri duoli e grasse risate, viene celebrato l’imeneo più scioccante della storia.

Parte 2.

 

 

 

 




New York, 28 gennaio, ore 1:00 pm.

Avete presente il gioco delle sedie? Quell’immortale passatempo vecchio come il nonno di Matusalemme e che da tempi immemori anima le feste di compleanno, dai quattro a diciotto anni? Che prevede una sconclusionata danza del tacchino intorno ad una barricata di sedie in pieno stile “Cinque giornate di Milano”, seguita da un assalto ai forni manzoniano (giusto per non cambiare città) delle sopracitate sedie, quando un sadico animatore con un sorriso diabolicamente compiaciuto chiude il registratore, fermando la musica, che si sostituisce ad un angelico coro di: Corri! Smamma! C’ero prima io! Piglia questo! Tuffe tuffe in testa! Screanzato! Ruffiano! Spostati! Cadi! Crepa! Ah, vuoi la guerra, marrano? E guerra sia, oh verme spulzellatore!

Sì? No?

Poco male, giacché simile sabba si stava ripetendo nella Sala delle Carpe (e non diem) dell’hotel appartenente all’illustre famiglia dei Coil-Deneuve.

In seguito all’arrivo trionfale del suo erede e massimo esponente - al secolo il signor Lawliet Coil-Deneuve – a bordo di una macchina pronta per la rottamazione e guidata da un chauffeur più fumato di un camino intasato, gli ospiti, avvertendo sinistri crampi allo stomaco per essere stoltamente usciti dall’albergo senza cappotto in pieno inverno, si tuffarono in sincronia perfetta all’interno dell’edificio, seguendo l’esempio dello sposo che, ammanettata la recalcitrante sposina, la stava trascinando come fecero i pagani a suo tempo con Santa Lucia (tanto i buoi centravano sempre). [1]

E siccome non sia mai che una povera e virginea sposa entri in una sala vuota, ecco che gli ospiti si spinsero, scavalcarono, sgomitarono, si tuffarono sulle sedie, planando ovviamente male e dolorosamente e incrinando qualche costola che avrebbe preferito rimanere sinceramente al suo posto.

I migliori velocisti si rivelarono tuttavia i testimoni, i quali, presi di contropiede da quell’arrivo in ultra-mega-XXL-ritardo, batterono il record del Guinness dei primati per il miglior sprint last minute dall’entrata dell’hotel fino all’altare, seguito da salto agli ostacoli umani e salto in avanti, finendo conseguentemente a gambe all’aria. In questo modo, gli invitati alle nozze scoprirono di che colore Sayu avesse le giarrettiere e a nulla valsero i tentativi di Beyond Birthday – testimone dello sposo contro la sua volontà -  di preservare il suo pudore: la malefica telecamera del filmino del matrimonio riprendeva imperterritamente gongolante.

Nel frattempo che ognuno si ricomponeva in una maldestra adunata mattutina, L. faceva la sua raffinata catwalk nuziale lungo il tappetino rosso – sgualcito - assieme alla sua dolcissima metà, la quale ringhiava e strattonava peggio di un mastino da combattimento.

“Eddai, Lucy! Smettila di tirare la corda, ehm, la catena!”, borbottava ridendo il moro, ormai completamente inebriato dalla zuccherosa taurina e dalla prospettiva del bedroom tango che da lì a qualche ora si sarebbe consumato tra lui e quel castano tutto pulzello …

Vergineo fanciullo che apparentemente aveva ancora molto su cui obiettare, come ad esempio l’ossessiva e stralunata ripetizione di un isterico: “Sei vestito da donna! Hai perfino il makeup coi brillantini!”

“E te ne sei accorto solamente ora?”, rise L. sgangherato, arrotolandosi la catena al polso e avanzando verso l’altere talmente appiccicato a Light da sembrare due gemelli siamesi.  “Mi pare che ormai tutti abbiano ammirato il mio bellissimo vestito!” a siccome era necessario sottolineare l’assoluta sobrietà del suo abito da sposa, Lawliet prese ad ancheggiare spudoratamente, neanche avesse ottenuto un Master di danza del ventre in un bordello di Casablanca.

Reprimendo un nascente conato di vomito misto a lacrime di sangue per quella traumatizzante visione, Light tentò di far perno su di una gamba e di scappare lontano da quel tanghero innominabile: “E si vanta pure!”, berciò indignato. “Sei proprio un pigmeo ritardato senza speranza!”

“Ma no, Lucy! Se sono più alto di te!”

“Ovvio, coi tacchi a spillo, razza di travestito!”

“Uffa, te lo detto che non sono un crossdresser! Sono un cosplayer, non mi insultare!”, guaì L. frustrato, levandosi via le scomode scarpe col tacco a spillo. Rimasto a piedi nudi si chinò e, dopo aver urlato Cento punti!, ne lanciò una contro Mello, che colpì in pieno tra le risate di Strafumato Matt e Papà Yagami e i  gasp! pieni d’orrore degli ospiti. L’altra indirizzata invece a B.B. mancò l’obiettivo (poiché il minore ebbe i riflessi abbastanza pronti da abbassarsi in tempo) colpendo al suo posto Ray Pember, il fidanzato di Naomi Misora, la quale gli domandò a bruciapelo: Ma tu hai l’assicurazione sulla vita, vero?

“Avresti preferito vedermi arrivare nudo all’altare?”, infierì non contento il panda antropomorfo, accingendosi ad imitare Caifa, ergo strapparsi le vesti.

“Non blaterare cacche di piccione!”, lo bloccò Light appena in tempo, afferrandogli i polsi e subendo suo malgrado una seconda sessione di lumaca dance, avendo infatti tale posa esacerbato gli istinti lubrici di L. Inutile aggiungere a che livelli di sconsolatezza stessero versando gli ospiti, sebbene qualcuno sospirasse commosso alla vista di tanto amore e passione vigente tra i due. In ogni modo, tornado a respirare con la sua bocca e pulendosi via la saliva dal mento, il castano si apprestò a formare un cappio con la catena e applicarlo al collo pallido del futuro consorte. “Abbiamo scelto ieri il tuo abito per il matrimonio!”, protestò inviperito e chiedendosi che fine avesse fatto quel bellissimo tuxedo, che lo aveva persuaso a comprare.

“Momento! Tu hai deciso l’abito!”

“E tu hai approvato!”

“Dopo sei ore di shopping ero incapace di intendere e di volere! Mi sarebbe andato bene anche un cappotto leopardato con un boa di penne di struzzo, uno strascico di penne di pavone e stivali di pelle in stile dominatrix! Uhm, ora che ci penso, quasi quasi avrei dovuto indossare quello …”

“Non m’importa a che cosa stessi pensando in quel momento o che diavolo avessi per la testa! L’unica certezza che ho è che sei arrivato in ritardo, ubriaco fradicio e vestito come una baldracca!”, scandì zelante Light tutti i capi di accusa dello sposo, che lo fissò rapito e eccitato da tanto entusiasmo: diavolo, sapeva lui in che modo avrebbe impiegato quella vulcanica energia … ihihi … “Il tuo posto è sul marciapiede, stronzerrimo! Tanto lo so che sei stato tu ad architettare questa patetica buffoneria da quattro soldi,  che l’avete  fatto apposta, tu e la tua masnada di fricchettoni da circo dell’orrore, col mero scopo di umiliarmi davanti al porco mondo!”

“Che accusa infondata, Lucy! Io non farei mai una cosa del genere! Non intenzionalmente, almeno. Avevo paura, te lo confesso, avevo una dannata paura di questo giorno e … insomma, è difficile da spiegare … paventavo che ti saresti tirato indietro all’ultimo momento …”

“Ryuzaki, mi auguro per la tua integrità fisica che tu ti stia sbagliando! Arrivi in ritardo di due ore e vieni a raccontarmi, che temevi in un bidone da parte mia? Ti hanno forse aperto al scatola cranica e fatto un milkshake bum bum col tuo cervello? E comunque, se stamattina ti sentivi tanto piscialetto, piuttosto di presentarti come la brutta copia di Lady Gaga sarebbe stato preferibile affogarti nel cesso!”

“Hey, non è carino augurarmi la morte! Ferisce i miei sentimenti!”

“E tu non hai ferito i miei sottoponendomi a questo vaudeville di pessimo gusto? Con che faccia continuerò a lavorare?”

“Uh? Lavorare? Ma Lucy, io sono abbastanza ricco da mantenere entrambi!”

“Gueh?”

“Il tuo posto è a casa coi bambini, a lavare, pulire, cucinare, stirare, rammendare, imparare a memoria il Kamasutra per la gioia mia e del mio amichetto little L. … Non hai bisogno di lavorare!”

Scacciando ogni pensiero riguardante il bignami induista dell’ars amatoria, L. che lo fissava in maniera poco pulita e soprattutto ogni eventuale forma e aspetto di little L., Light alzò il braccio, puntandogli contro l’indice, le labbra così strette che pareva volersele mangiare.

“Ryuzaki … Una parola: vaffanculo!”

Risata gutturale da parte del diretto interessato. “Nah, Lucy. Quella parte anatomica è di tua competenza …”, gongolò sornione, accorgendosi ad un tratto che la sua sposina era stranamente assente. “Hey, dove scappi?”, lo richiamò, elargendo un secco strattone alla catena e facendo planare un Light sull’orlo di un collasso nervoso esattamente sulla sedia davanti all’altare.

“Lasciami andare, stronzerrimo!”

“Ma torna qua, drama queen!”

“Apri questa fottuta manetta e lasciami andare, porco Troilo e Cressida!”

Gli occhi neri di L. si spalancarono falsamente scandalizzati. “Lucy, Lucy! Non si dicono le parolacce! Vuoi già che ti sculacci? Non che abbia nulla in contrario – adoro lo spanking – ma un po’ di contegno non guasterebbe! Non mettermi in imbarazzo davanti agli ospiti!”

“Cosa?! Io ti starei mettendo in imbarazzo? Ma ti sei visto allo specchio, macaco maculato?! Stai facendo da solo un ottimo lavoro!”, digrignò Light i denti, apprestandosi al tanto agognato strangolamento. Niente e nessuno glielo avrebbe impedito: sarebbe finito in galera, magari condannato a morte, ma la soddisfazione di accoppare Mr. Candyman se la sarebbe tolta, oh sissignore! Purtroppo per lui,  una qualche misteriosa entità malefica aveva arbitrariamente deciso di impedire questo giusto omicidio, spronando una terza inquietante figura a mettersi coraggiosamente in mezzo a vittime e carnefice.

“Ehm, tutto a posto …?”, azzardò quest’anima coraggiosa, avvicinandosi alle due belve.

Non l’avesse mai fatto! Voltandosi di scatto e mostrandogli i denti candidi, Lawliet ringhiò neanche avesse delle lontane parentele coi cani randagi e rabbiosi:  “E tu che diavolo vuoi? Che guardi? Chi ti ha chiamato? Ti cambio i connotati, sai?” e si apprestò sul serio a farlo, sennonché Light si sbrigò a tirarlo giù per le sottane, costringendolo a sedersi.

“Era solamente una domanda, che diamine!”, si nascose il magistrato dietro il libro, gli episodi salienti della sua vita che ancora gli stavano scorrendo davanti.

“Beh, vai a porre domande altrove, qua dobbiamo celebrare un matrimonio!”, sbraitò L., mostrandogli il pugno e ridacchiando intimamente alla vista dei continui facepalms del suo consorte, che, tali erano il livello di sconcerto, aveva rinunciato alla sua pettinatura impeccabile pur di passarsi le mani tra i capelli a mo’ di conforto.

 “Ehm, non per fare il puntiglioso, ma … ma sarei io quello che dovrebbe celebrare il matrimonio …”

Silenzio.

“Ah, si? Perché non l’hai detto prima, mollusco? Vuoi farmi perdere tempo? Ho un’agenda piena d’impegni, io! Primo fra tutti, mettere incinta la mia Lu- …”e una mano corsa improvvisamente alla sua bocca lo indulse al silenzio, mentre un Kira dagli occhi iniettati di sangue tentava di convincere il magistrato a non procedere oltre con quell’umiliante vaudeville. 

“Non stia a badare questa bertuccia! Io non lo conosco! Io non lo sposo! Io mi rifiuto di … oh mio Dio, dove tocchi, porco?!” A mali estremi, estremi rimedi: se Light aveva tentato di neutralizzare il moro tappandogli la bocca, ecco che L. si vendicò palpandogli maligno ciò che rendeva Light meno Lucy di quel che si credeva e più non domandate. “Sparisci, razza di scrofa in astinenza!” e levò il pugno per colpirlo, peccato che il panda lo intercettò, approfittandone per legare la catena alla gamba della sedia.

“Fanno tutte così!”, si giustificò seraficamente diabolico L. dinanzi l’espressione irrimediabilmente scioccata del magistrato, che per poco non gli cadde il libro di mano. “Isteria da sindrome pre-matrimoniale. Prosegua pure!”

Se avesse potuto spararsi un proiettile in gola, Light l’avrebbe sicuramente fatto. Era dai tempi della sua giustificazione di ginnastica, che non si sentiva così umiliato ed era tutto dire! Onestamente, con che faccia aveva potuto l’allora adolescente Light continuare a guardare il suo professore, dopo avergli fatto leggere: Gentilissimo professor Makyuzuy, la prego di esentare oggi mio figlio Yagami Light dalla lezione di educazione fisica, giacché il gatto ha urinato sulla sua sacca da ginnastica. Distinti saluti, Yagami Soichiro. Eh?

Ma questa la superava tutte e il castano avrebbe anche potuto sopportare, se non fosse stato per il piccolo e trascurabile dettaglio del pubblico alle sue spalle, che già la sua mente paranoica immaginava sghignazzare e scuotere il capo.

“Questo è un incubo … non sta succedendo per davvero … ora apro gli occhi e mi ritrovo nel mio letto …”, pigolava Light istericamente, coprendosi il viso con le mani e dondolandosi avanti e indietro.

Impietositosi dallo spleen del suo futuro consorte, L. gli cinse le spalle con un braccio, consolandolo. “Scusami sul serio, Lucy! Ho bevuto, lo ammetto, ma l’ho fatto perché ti amo a tal punto che avevo paura di fare una figuraccia davanti a tutti, in caso fossi stato sobrio! Non è la fine del mondo, siamo tutti un po’ nervosi e impacciati il giorno del nostro matrimonio, eh? Guarda tuo padre, che si è fumato un’intera coffee house di marijuana!”

Light non lo degnò di una risposta, limitandosi a pizzicargli dolorosamente la mano posta sulla sua inviperita persona.

Piccato da quella reazione molto bisbetica, il signor Coil-Deneuve pensò bene di sfogare le sue frustrazioni sulla prima persona a portata di mano.

Il magistrato.

“E allora, babbeo, quando hai intenzione di sposarci? Vuoi che ti deflori la mia fidanzata sotto il naso, per farti capire quanta voglia abbia di sposarla? Mi stanno venendo le ragnatele, gibbone albino!”

Esibendosi in un sorriso assolutamente forzato (Pensa alla parcella! Pensa alla parcella!), il magistrato si schiarì la voce e annunciò: “A tutti i presenti qui riunitisi per presenziare a questa cerimonia …”

Lawliet per poco non gli fece cadere il libro di mano. “E che palle! Salta la solfa e vieni al punto, o finiamo che Lucy mi partorisce qui il nostro primogenito!”

“Cosa?”

“Vai ai voti!”

“I … che?”

“Mi stai chiedendo consulenza sul tuo lavoro, pezzente? I voti nuziali!”, si esibì L. in una smorfia scimmiesca, agitando le braccia peggio di un clown affetto da epilessia compulsiva. “Siamo di fretta, sai? Il mio aereo privato sta per partire fra un’ora esatta! Diavolo, quante lagne per dieci minuti di ritardo …”

“… vestito come la versione kitsch di Liza Minnelli … Come? Cosa? Abbiamo l’aereo fra un’ora?”, si risvegliò Light bruscamente dal suo coma auto-indotto. “Quale aereo? Chi l’ha chiamato, ehm, prenotato? Dopo la cerimonia è previsto il rinfresco, durante il quale potrò finalmente fare sushi della tua orribile persona!”, sbraitò egli. “Non mi puoi negare il rinfresco!”, protestò, battendo il piede per terra. Non perché al giovane Yagami importasse un accidenti del rinfresco di per sé, no, si trattava dei deliziosi manicaretti preparati. E all’una del pomeriggio e tanta bile in corpo, una certa fame la si aveva.

“Silenzio, donna! Il viaggio per l’Inghilterra è lungo: senza contare, che entro stanotte ho ogni intenzione di averti gemente e piangente sul mio letto, pronta a farmi cogliere il fiore della tua verginità!”

Un pestone al piede nudo di L. funse da eloquente risposta circa il pensiero di Light sul suo progetto serale. “L’unico fiore che coglierai, porco depravato d’un betsabeo, saranno le margheritine sulla tua tomba! Per le radici!”

“Ha-ha!”, gorgogliò il moro, pigliando la testa castana del suo promesso e schiaffandosela sul petto. “Ti amo, Lucy! Tu sì che mi comprendi!”, rise demente, lanciando poi un’occhiata di fuoco al magistrato. “Prosegui, citrullo!”

“Ehm … se proprio lo desideri … allora … questo no … questo manco … ah! Trovata! Dunque”, si schiarì nuovamente la voce l’uomo, assumendo un tono formale e composto (o perlomeno ci provò). “Vuoi tu, Lawliet Coil-Deneuve, prendere il qui presente Yagami Light come tuo legittimo sposo, per amarlo e onorarlo finché morte non vi separi?”

Silenzio.

Molto, molto, ma molto silenzio.

Silenzio sconcertato, traumatizzato, vandalizzato, deturpato. Annichilito.

Il silenzio che farebbe un giocatore a Chi vuol essere milionario?, quando quel sornione d’un presentatore gli dice che ha sbagliato la risposta per un milione di dollari, per poi invece smentire tutto.

“LAWLIET COIL-DENEUVE???”, riecheggiò il possente ruggito di Light per tutto l’albergo, dalla cantina all’attico, facendolo violentemente tremare. “TU SEI … L. ??? E NON SUO CUGINO???”

Questo era un incubo! Doveva essere un incubo!

Beh, in ogni modo, anche gli altri invitati condivisero il medesimo sentimento di Light, come Naomi Misora, che prese a ceffoni il suo fidanzato Ray Pember, urlandogli: “Mi hai mentito, disgraziato!”,  e completamente sorda alle proteste di lui: “Mi ha costretto, pasticcino mio! O mentivo o mi licenziava, perdono!”

Ritornando ai due sposini.

“Quindi tu sei L.?”, ripeté Light fuori di sé dallo sconcerto e dalla vergogna per essersi comportato come un completo tarato mentale dinanzi al capo dei capi, senza essersene reso conto.

Grattandosi la zazzera corvina, uno sgamato Lawliet nicchiò timidamente. “Ehm … questa è una bella domanda, Lucy … Comunque sì, io sono L. … Avrei voluto dirtelo prima, ma temo mi sia sfuggito di mente … Però questo non cambia niente! Ti amo lo stesso!”

“Un corno!”, gli salivò in faccia il castano, alzandosi di scatto dalla sedia. “Non ho intenzione di essere preso in giro da te in eterno! Ne ho abbastanza! Di te, della partnership, della ditta, di … argh! Non ne posso più! Mi fate tutti schifo! Me ne vado! Non mi presterò a questa buffonata!”

“Oh, tu ti presterai eccome, Yagami Light!”, l’apostrofò Lawliet d’un colpo così serio, che Light sgranò gli occhi, sorpreso. Sogghignando sinistramente perfido, il moro lo afferrò per il braccio, sussurrandogli poi all’orecchio. “Perché se ti rifiuterai di sposarmi, se varcherai quella soglia, la faccenda finirà molto male. Non per me, oh no, stanne certo. Per te. Vedi, anch’io ho fatto i miei compiti per casa e ho scoperto che tu hai un fottuto bisogno di questa partnership, ma soprattutto di sposarti per avere la presidenza della Yagami Corporation. E credimi, i membri del consiglio di amministrazione semplicemente gongoleranno alla notizia del tuo mancato matrimonio. Ma come?, gracchieranno belli e contenti, questo Light ha la presunzione di voler divenire il nostro capo, di dirigere l’azienda, di dominare il mondo, quando in realtà non è neppure capace di organizzare la sua vita privata? Eppoi, ai paparazzi farà piacere scoprire, quanto tu sia più banderuola di tua sorella! Ed è tutto dire!”

Digrignando i denti e completamente zittito, Light lo ascoltava fremendo di collera forzatamente trattenuta. Lo avrebbe ammazzo, oh se l’avrebbe fatto!

“Ed è solo l’inizio, mon p’tit chat! Perché sai, io sono un amante molto geloso. E vendicativo. Non permetto a nessuno di scappare via dopo essere stato mio. Di conseguenza, mio caro, se oserai remarmi contro e ripetere davanti  al magistrato, che non mi vuoi sposare, allora sappi che mi adopererò con tutto me stesso ad affossarti. Yes, hai ben inteso, tesoro mio. Ti distruggerò. La tua ditta, la tua reputazione, tutto! Ti renderò la vita un inferno! A te e alla tua famiglia. E ne sono capace, sai? Quindi, tirando le somme, abbassa quella tua cervice orgogliosa e non mi costringere a fare il cattivo. Capish, mon amour?”, gli sorrise dolcemente, crocifiggendolo coi suoi occhi nero pece. “Oh, non piangere, passerotto! Volevi la partnership? L’hai ottenuta! Volevi incontrare L.? Lo stai sposando! Desideravi la presidenza? L’avrai? Non sei contento?”

Light era lungi dall’essere contento e le lacrime di stizza e di impotenza, che gli stavano inumidendo gli occhi ambrati, ne erano la prova eclatante. Nondimeno, serrando caparbio le labbra, si sottrasse dal tentativo di L. di asciugargliele.  Realizzando quindi di non aver più alcuna via di scampo, si voltò verso il magistrato, rifiutandosi di guardare L., il quale, ineffabile, fece cenno all’uomo di proseguire.

“Vuoi tu, Lawliet Coil-Deneuve, prendere il qui presente Yagami Light come tuo legittimo sposo, per amarlo e onorarlo finché morte non vi separi?”

Contemplando rapito lo spettacolo di un Kira stranamente ammansito, il moro scrollò le spalle, incurante. “Certo, certo … se lo dici tu … me lo piglio, eccome!”

“Ehm, dovresti dire: lo voglio!”

“CACCHIO SE LO VOGLIO!!!”, ululò L. entusiasta, assordando definitivamente gli invitati.

Light roteò indietro gli occhi, sfinito.

“Vuoi tu, Yagami Light, prendere il qui presente Lawliet Coil-Deneuve come tuo legittimo sposo, per amarlo e onorarlo finché morte non vi separi?”

Lo aveva fregato. Lo aveva fregato di brutto.

“… trovare per terra un Death Note, scriverci sopra il suo nome, così da farlo crepare tramite il più terribile degli infarti, finché non sputa a singhiozzi il suo cuore? Oh sì, se lo voglio …”, mormorò lentamente Light, come in trance. Lawliet, sporgendosi verso di lui, l’ascoltava divertito.

Il mostro pandaiforme poteva aver vinto la battaglia, ma non la guerra. Domestica.

Questo gli promise lo sguardo infuocato del giovane e Lawliet dovette per l’ennesima volta trattenersi dal stuprarlo lì davanti a tutti. Nondimeno, niente gli impedì una volta firmato l’atto di matrimonio – ti avverto, Lucy: ho una pistola nascosta nel bouquet e non ho paura di usarla! – al novello sposo di sollevare da terra un indignato Light e di baciarlo impudicamente davanti a tutti gli ospiti. Né tantomeno di lanciare il bouquet alle perplesse signore lì presenti.

Mazzolino di fiori che fu quasi preso da Near, sennonché un Matt riscopertosi giocatore di rugby e pugile gli impedì di appropriarsene, rifilandogli un dolorosissimo gancio e berciando: “Non avrai mai Mello, baldracca!” e raccogliendo il bouquet che gli spettava di diritto.  Biondo manager che assistette perplesso a tale scena, mentre il padre di Light batteva le mani come una foca pazzoide, gridando: “Encore! Encore!” (= ancora! ancora!, ndr.)

“Chi l’avrebbe mai detto …”, si asciugava intanto mamma Yagami una lacrimuccia col fazzoletto. “Il mio bambino si è finalmente sposato …”

Naomi Misora perdonò il suo fidanzato storico Ray, a patto che questi divenisse a vita natural durante il maso nella loro relazione.

“Confessa, Mello”, si intromise Sayu, osservando la macchina dei due sposini allontanarsi a tutta birra – dopo che L. aveva praticamente spintonato Light dentro la vettura -  nel frattempo che gli invitati, spesa mezza lacrimuccia per l’improvvisa partenza, si fiondavano voraci sul buffet. “Alla fine della fiera, il tanto famoso e osannato L. altro non è che un pazzo furioso, o mi sbaglio?”, gli chiese, sogghignando maligna.

“Borderline, Sayu carissima, anche se temo sia difficile classificarlo nello specifico”, la corresse il manager, strappando via il bouquet dalle mani di Matt. “Tuttavia, non preoccuparti per l’incolumità di tuo fratello: non so perché, ma ho come l’impressione che quei due siano fatti l’uno per l’altro”, disse, sorridendo a sua volta malizioso. “In ogni modo, Sayu, non ti ricorda niente?”

“Cosa?”, fece confusa l’attrice.

“Questo giorno … le nozze di tuo fratello … una promessa?”

“Gueh? Hai bevuto, Mello?”

“No, Sayuccia mia!”, il ghigno del biondo si allargò oscenamente, mentre con un braccio cingeva le spalle della sua cliente e con l’altro quella di B.B., che sussultò per la sorpresa. “Non mi avevi detto, giorni addietro, che ti saresti sposata solo quando Light l’avrebbe fatto?”, le ricordò perfidamente zelante, porgendole il bouquet di L.

La bocca di Yagami Sayu si spalancò a tal punto, che fu possibile avere un’ottima visuale delle sue tonsille.

Rache ist süß, dicono in Germania. [2]

Molto adeguato per un matrimonio, sì sì.

 

 

 

 

 






 

 

 

To be continued …

Nel prossimo capitolo: Laddove il Domatore e il Bisbetico, finalmente e irrimediabilmente marito e moglie, partono per la luna di miele,  la quale per delle ovvie ragioni molto zuccherosa non è.

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[1] Secondo la “Legenda Aurea”, Santa Lucia prima del martirio era stata condannata a perdere la sua virtù in un bordello. Sennonché la santa divenne così pesante, che bisognò trascinarla coi buoi. Invano. Così, scazzati, la decapitarono, senza però essersi cavato lo sfizio di strapparle gli occhi.

Quindi, il mio è un gioco di parole: i pagani usarono i buoi per trascinare la santa, L. ha bevuto la Red Bull che gli ha dato la “forza” di trascinare Light all’altare.

[2] Letteralmente = la vendetta è dolce. Corrisponde al nostro: “La vendetta è un piatto che va servito freddo.”

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