Twilight In The College di Yuna Shinoda (/viewuser.php?uid=30027)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intoppi d Harford ***
Capitolo 2: *** Sotto Al Lampione Rotto ***
Capitolo 3: *** La bocca dell verità ***
Capitolo 4: *** Gli strani casi della vita ***
Capitolo 5: *** Il gioco della bottiglia ***
Capitolo 6: *** La Grande Confusione Interiore ***
Capitolo 1 *** Intoppi d Harford ***
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Era tutto
pronto.
Avevo preparato tutta la roba da settimane, ormai, dopo il diploma, e
finalmente quel giorno era arrivato. Il giorno in cui sarei partita per andare
all'università.
Charlie mi aveva fatto mille raccomandazioni, ma io non ci badavo più di
tanto perchè sapevo che lo faceva solo per evitare di non restare in silenzio,
per farmi capire che in ogni caso lui tiene a me.
-C'è
il taxi che ti aspetta, qui sotto – disse Charlie, proprio due secondi prima che
mi avviassi verso il piano terra.
La
cosa davvero triste era dover lasciare quella casa per del tempo. Non che ci
tenessi molto, a dire il vero, ma mi dispiaceva lasciare Charlie da solo in
balia della sua cucina penosa.
Guardai per l'ultima volta tutto. La mobilia, le foto appese alle pareti,
la finestra. Poi presi un profondo respiro e scesi nell'ingresso.
Charlie, davanti alla porta con il resto delle valigie, mi guardava con
aria triste.
Forse non l'avrebbe mai ammesso, ma di sicuro questa situazione lo faceva
di sicuro piangere.
Non
perchè non voleva che me ne andassi, ma perchè gli dispiaceva stare lontano da
sua figlia.
Quando gli arrivai vicino, lo abbracciai.
Aveva gli occhi lucidi, ed anche io, ma tuttavia nessuno dei due pianse.
-Allora ci vediamo il giorno del ringraziamento, - disse, con un tono di
voce un po' più basso e grave del solito.
-Sì,
papà. Ed anche a Natale, naturalmente. Verrò da te ad ogni festività, - gli
dissi sorridendo.
L'autista del taxi suonò il clacson. Era ora.
-Vai, Bella, altrimenti perderai il volo, - disse Charlie guardandomi
negli occhi.
Annuii col capo, e mi avviai alla porta.
Mi
girai per un'ultima volta, guardando anche le camere del piano terra, così come
avevo fatto con la mia stanza.
Guardai nuovamente mio padre, e notai che era girato. Non riusciva a
salutarmi.
-Ti
voglio bene, papà – dissi, prima di uscire fuori e di salire nel taxi.
Lui
non rispose, ma sentii dei piccoli singhiozzi. Piangeva.
Prima di dare la destinazione all'autista, guardai di nuovo la mia casa.
Sarebbero passati due mesi prima di poterci tornare. Sospirai nuovamente e dissi
– All'aeroporto di Seattle – e sfrecciammo in via diretta verso l'inizio della
mia nuova esistenza.
Il
volo per Hartford, nel Connecticut, durò cinque ore piene, ma, tutto sommato,
alla fine l'importante è che arrivai sana e salva, senza complicazioni, tranne
per un ragazzo che mi aveva importunata parecchio sull'aereo.
Era
alto, immaginai, anche se era stato tutto il tempo seduto, ed aveva una folta
chioma bruna. Era anche molto muscoloso, intravedevo la forma dei muscoli delle
braccia sotto alla sua maglietta attillata. Sembrava quasi un body
builder.
Assieme a lui c'era un altro ragazzo, non molto muscoloso come lui
all'apparenza, che restò per tutto il viaggio molto sulle sue.
Il
ragazzo muscoloso, che si chiamava Emmett, come involontariamente mi aveva detto
lui stesso, mi aveva intrattenuta per tutto il viaggio, facendo battute una
dietro l'altra.
Io
facevo la vaga, dato che non l'avevo mai visto, e sinceramente non avevo voglia
di conoscere nessuno dopo la fine della mia storia con Jacob, un ragazzo che
viveva in una piccola località accanto a Forks, la mia città. Non eravamo stati
molto insieme, direi circa due o tre mesi, ma visto che lo conoscevo da tempo,
la sua amicizia e poi il suo amore mi avevano davvero presa, che adesso avevo
davvero bisogno di voltare pagina.
Questo era uno dei motivi che mi aveva portato ad allontanarmi il più
possibile da Forks, e dalla voglia di tornare indietro da lui, anche se si era
comportato davvero male con me; ma questa è un'altra storia.
Il
ragazzo di nome Emmett mi aveva detto che a New Heaven – la sede della mia
università – si stava bene, e che anche lui e l'altro ragazzo erano diretti lì
per motivi di studio.
Tuttavia, pensavo che il ragazzo che lo accompagnava non aveva molta
voglia di andare lì, dato che faceva delle facce tristi o scocciate che facevano
presumere che quel Emmett lo avesse convinto a venire con lui quasi con la
forza.
Quando poi eravamo arrivati a destinazione, e l'aereo era atterrato,
Emmett mi aveva salutato dicendomi – Ciao, bellezza, penso che ci rivedremo, -
accompagnato da una risata fragorosa. Il suo amico era sempre rimasto serio. Che
tipo. Io feci appena un cenno col capo per annuire. Chi sa se aveva
ragione.
Stavo ormai aspettando da quindici minuti che mi venisse a prendere la
mia amica, Angela.
Angela aveva frequentato il liceo di Forks con me per un anno, ma poi, al
quarto, i suoi genitori le avevano imposto di trasferirsi con loro qui, ad
Hartford, dato che ormai da tempo avevano problemi di denaro, e Forks non aveva
più risorse.
Non
so quanto tempo ci voleva da casa sua, fin qui, ma era molto probabile che non
era certa dell'ora d'arrivo del mio volo, e che quindi forse non si era ancora
avviata.
Decisi intanto di andare al bar, per prendermi uno spuntino da mangiare,
mentre l'aspetto.
Mentre sceglievo cosa volevo mangiare, sentii una voce che mi chiamava. -
Hey, scusa, bellezza? - Era di nuovo il tipo dell'aereo.
Mi
girai un po' arrabbiata, perchè odiavo essere importunata. Pensavo davvero che
quel ragazzo era petulante.
-Sei
ancora qui? - chiese, ed il suo amico gli diede una gomitata.
-Ehm, sì. Aspetto un'amica. - risposi freddamente per scrollarmelo di
dosso.
-E'
carina come te? - chiese di nuovo, ed il suo amico gli diede di nuovo una
gomitata.
-Non
spetta a me dirlo, - dissi, di nuovo con tono freddo. Ma perchè voleva sapere
tutte quelle informazioni? Perchè non si faceva i fatti suoi?
Mi
voltai di nuovo verso il bancone, e dissi al commesso che volevo un caffè da
portare ed un cornetto caldo. Emmett, intanto, lo sentivo sogghignare dietro di
me.
Mi
allontanai ed andai a sedermi ad uno dei tavoli vuoti per mangiare in santa
pace, ma lui mi seguii di nuovo. Che frustrazione!
Lui
si sedette sulla sedia di fronte a me, mentre il suo amico – ancora senza nome –
restò in piedi, con lo stesso sguardo indifferente che aveva avuto per tutto il
viaggio. Anche lui si stava stancando.
-Posso? - disse, ma era inutile rispondergli, visto che aveva fatto tutto
da solo. Mi limitai a fare cenno col capo.
Mentre mangiavo, attenta a non guardarlo direttamente in faccia dato che
mi faceva un po' ridere, squillò il mio cellulare. Poggiai il mio misero
cornetto sul tavolino, e risposi a bassa voce.
-
Pronto? -
-Bella, sono Angela -
-Ciao, dove sei? -
-Ecco, era proprio questo che volevo dirti. Sono imbottigliata nel
traffico, ed in più mia madre mi ha detto che prima devo andare a prendere mio
fratello all'asilo. -
-Oh,
non fa nulla, aspetterò. Ci vuole molto? -
Angela sospirò dall'altra parte del ricevitore. - Un po'. L'asilo è
dall'altra parte della città... Bella, scusami davvero... -
-C'è
un bus che porta a casa tua? - le chiesi, anche se pensavo a come avrei fatto a
trovare casa sua. Non mi sapevo orientare benissimo, nelle città che non
conoscevo.
-Dovrebbe, ma non ho idea se ci sia la stazione lì accanto... -
-Mi
informerò. Se non ci riuscissi, ti richiamo, okay? - dissi, un po' scocciata
anche io.
-Va
bene. E scusami di nuovo, davvero non volevo – mi rispose, il tono solennemente
dispiaciuto.
Chiusi la telefonata e sospirai. La centesima volta in quella giornata.
Non pensavo davvero che potesse cominciare tutto in modo così deludente, anche
se, tuttavia, non era affatto colpa di Angela.
Guardai per terra. Adesso come avrei fatto? Sarei riuscita a trovare il
famoso autobus? E chi lo poteva sapere.
Alzai la testa, e guardai davanti a me. Non ricordavo di Emmett e il suo
amico. Mi prese un colpo.
-Cattive notizie? - mi chiese, più curioso ed invadente che mai.
-No,
tutto bene – mentii. Non volevo dirgli di certo i fatti miei. Ripresi il
cornetto ed iniziai a mangiare, come se niente fosse.
Emmett, però, non demordeva. - Sicura? - disse, avvicinandosi.
-Sicurissima – dissi, con finta sicurezza.
-Va
bene, allora. Altrimenti potevamo darti noi un passaggio – l'amico gli diede di
nuovo una gomitata, ma ancora più forte della precedente, e sussurrò il suo nome
per apostrofarlo.
-Grazie, ma ti ho già detto che non mi serve. - gli risposi a tono. Era
cocciuto!
Sorrise, e poi si alzò. - In tal caso, allora noi ce ne andiamo, -
cominciò – ma se dovessi cambiare idea... Basta farmi un fischio prima che sia
uscito dalla porta principale – ammiccò.
Sì,
come no. Come se io ti conoscessi. Stava facendo tutto lui, sciocco ragazzo.
Si
girò e fece per andarsene, ma per alcuni secondi rimase a fissarmi mentre si
avviava con l'amico alla porta a vetri dell'uscita. Finalmente.
Anche se in quel momento mi serviva molto un passaggio, di certo non
potevo fidarmi di un ragazzo conosciuto da poche ore. Poteva essere un maniaco,
un ladro, un gangster; poteva essere qualunque personaggio poco raccomandabile
che aveva trovato la ragazza da disturbare e che non avrebbe finito di romperle
finchè non avrebbe ottenuto ciò che voleva.
Ma
potevo anche sbagliarmi, sia chiaro, però purtroppo la vita ci da l'opportunità
di vedere solo l'esterno delle persone, non l'interno. Non potevo sapere che
cosa gli frullava nel cervello.
Quando Emmett e il suo amico furono usciti dalla porta principale, mi
alzai ed andai al bagno.
Sarei andata a vedermi allo specchio, come una routine, e poi sarei
uscita e sarei tornata nella sala d'attesa, magari sperando che Angela si
sbrigasse in fretta.
Quando mi sbrigai, la sala era quasi vuota.
Guardai l'orologio; erano quasi le sei di sera e si stava facendo buio.
Sospirai. Davvero carino il primo giorno nella nuova città.
Mi
andai a sedere in sala d'attesa; avrei chiesto lì informazioni per l'autobus.
Non avevo voglia di aspettare Angela perchè avevo fame. E sarei voluta andare a
riposarmi su un letto caldo... anche un divano andava bene... ma bastava che mi
riposassi.
C'era un signore a pochi passi da me, e decisi di chiedergli questa
informazione.
-Scusi? - chiesi, attirando l'attenzione – Sa per caso se passa qui
accanto l'autobus per la periferia di Hartford? -
L'uomo mi guardò pensieroso, forse nemmeno lui lo
sapeva.
-Non
ne ho idea, signorina. Mi vengono a prendere, quindi non ho chiesto prima –
rispose con un sorriso, - potrebbe chiedere a qualche addetto all'uscita. Di
sicuro sapranno aiutarla meglio di me – disse, sempre cordiale.
Mi
limitai a dire un semplice grazie, e mi avviai all'uscita. L'avrei trovato da
sola, sempre se esisteva questo autobus. Altrimenti avrei chiamato di nuovo
Angela.
C'era un uomo alto e magro fuori, almeno questo era ciò che dedussi da
lontano.
-Scusi? - chiesi, per la seconda volta in pochi minuti.
L'uomo si girò, ma per mia sorpresa, non era affatto una guardia della
security. Eppure...
Lo
riconobbi. Pelle chiara, capelli bronzei, ed occhi verdi. Non rispose.
-Scusami, ti ho scambiato per un altra persona, - dissi, imbarazzata.
Sentii le guance tingersi di rosso, anche se, effettivamente, non potevo vedermi
allo specchio per appurarlo.
Lui
continuò a fissarmi, senza rispondere. Eppure, sul suo volto c'erano i segni del
dolore, o della tristezza. Non sapevo decifrarli bene.
Presi ad avviarmi, evidentemente era tanto timido da non riuscire a dire
nemmeno un “Non fa nulla”, oppure “Mi dispiace”, qualcosa, insomma. Qualunque
cosa. Che tipo.
Presi ad avviarmi, quando una voce nuova mi bloccò.
-Serve una mano? - Era lui. Aveva una voce tanto melodiosa che mi fermai
sul posto, incapace di voltarmi per guardarlo in viso.
-Ehm... In teoria, sì – risposi sincera. Potevo chiedergli semplicemente
ciò che volevo sapere, e poi andar via, per la mia strada. Non vedevo nemmeno il
suo amico Emmett nei paraggi.
Aggrottò le sopracciglia. - In teoria? Beh, vediamo se posso esserti
utile -
-Mi
servirebbe sapere quale autobus devo prendere per arrivare alla periferia della
città -
Guardò per terra, come alla ricerca di qualcosa, e poi fissò qualche
oggetto dietro di me. Sta di fatto che cercò di non incontrare mai i miei occhi.
- Dovrebbe essere il numero diciannove -
Sospirai. - E sai dove posso andare a prenderlo? -
-Guarda, lì in fondo c'è la fermata. Dovrebbe passare ogni cinque
minuti... E' una navetta -
Guardai dove mi aveva indicato. In effetti c'era la fermata, e c'era
anche un bel po' di gente che aspettava. Adesso era fatta. Ed avevo chiesto le
informazioni anche ad una persona a cui non avrei mai pensato di chiedere prima.
Se ci fosse stato Emmett accanto a lui.
Vidi
che stava arrivando proprio il numero 19 da lontano, così, cercai di avviarmi
alla fermata.
Prima di correre via gli dissi – Grazie mille, sei stato molto gentile! -
ed entrai nell'autobus proprio prima che l'autista chiudesse le porte.
Mentre ero accanto al finestrino, guardai di nuovo nella direzione
dell'uscita, e lui era ancora lì, sotto la luce che lo illuminava da capo a
piedi.
Sembrava stesse guardando nella mia direzione, ma non me ne curai
abbastanza. Chi sa se lo avrei rivisto. La cosa non m'importava molto, dato che
ormai ero diretta dove dovevo andare. Poco contava.
Il
pullman si svuotò presto, e restai sola con tre persone.
Man
mano che ci avvicinavamo alla periferia, vedevo come cambiavano le case attorno
a me. Prima erano tutte belle, sfarzose, con grandi giardini, poi, poco dopo,
divennero più modeste e piccole. Non avevo mai visto la casa di Angela, ma
immaginai che fosse simile a quelle.
Nell'autobus assieme a me adesso restavano due donne – di sicuro due
amiche – ed un ragazzo. Immaginai che anch'essi erano diretti in periferia, e un
po' lo sperai, per non essere sola, all'arrivo.
Mentre ero intenta a guardare fuori, il ragazzo cambiò posto, sedendosi
davanti a me.
Non
avevo paura, poiché aveva un viso normale. Non da cattivo, insomma.
-Tutta sola? - disse, con voce che cercava vagamente di essere dolce. Non
risposi, ed anche lui restò in silenzio.
Vidi
sull'elenco delle fermata che la mia era la prossima. Non mi alzai subito,
perchè non mi fidavo del tipo, ma mi avviai alle porte quando vidi il cartello
dello stop da lontano.
Scesi dall'autobus senza guardare indietro, e camminai a testa alta verso
la mia meta. Rosemary Park Numero 13. Mancava solo qualche numero e sarei
arrivata.
Sentii dei passi dietro di me, e non riuscii a pensare a niente di
coerente tranne che accelerare il passo, come se avessi fretta. Ed in effetti ne
avevo. Ed anche tanta.
La
strada era deserta.
Le
ruote dell'unica valigia che mi ero portata per andare da Angela – l'unica
perchè le altre sarebbero state consegnate direttamente nella stanza del mio
dormitorio – rombavano sull'asfalto non esattamente liscio come degli schiocchi
delle dita.
I
passi dietro di me non demordevano, così cercai di accelerare il più possibile.
Improvvisamente i passi divennero più forti. Stava correndo. Stava
correndo per venire a prendermi. Per derubarmi. Non sapevo cosa pensare.
Mi
prese per un braccio, e mi bloccò accanto al muro che c'era alla mia destra.
Adesso mi guardava negli occhi. Erano famelici e assetati. Volevano me... Il mio
corpo.
Rabbrividì, cercando di pensare coerentemente, ma non riuscii a muovermi
di un centimetro. Ero paralizzata, anche se la stretta del ragazzo non era
forte.
-Hai
fatto davvero male a non venire con un'amica – disse, e sul volto aveva
un'espressione come se divertita, compiaciuta. - O meglio con un amico, così
avrebbe potuto difenderti. -
Cominciò a ridere. Non una risata normale, ma una risata da schizzato, da
malato. Da pazzo. Restai in silenzio e lo continuai a fissare, sempre incapace
di fare un movimento.
Avvicinò il volto al mio, sospirando, ed io cercai di spostare la faccia.
-Dai, su, sarà bellissimo e non ti farai nulla, - disse con la voce rotta
dalle risate.
Continuò ad avvicinarsi, e questa volta chiusi gli occhi, aspettandomi il
peggio.
All'improvviso, sentii la stretta al braccio, allentarsi. Riaprii gli
occhi, chiedendomi perchè avesse mollato la presa, con la paura che con quella
mano potesse stringere da qualche altra parte... Trasalii. C'era qualcun altro.
La
luce era fioca e non riuscivo a capire chi fosse. Capii solo che era un altro
uomo, o forse un ragazzo. Stava picchiando il malvivente. Ma... ci vedevo bene,
oppure era un sogno?
Qualcuno, qualcuno di buono era venuto a salvarmi. Pregai di non star
sognando.
Il
molestatore cadde a terra, una scia di sangue si fece sotto di lui, mentre lui
continuava da ansimare e a urlare dal dolore.
Il
ragazzo, era davanti a me e mi fissava. Non riuscii ancora a decifrare bene i
suoi lineamenti.
Prese la mia valigia, aprì lo sportello posteriore dell'auto, e anche
quello davanti.
-Entra! - mi intimò, e non riuscii a non declinare l'offerta.
Nella macchina c'era un forte calore.
Mi
rannicchiai sul sediolino come una bambina, e guardai alla mia destra, vedendo
tutte le case che sfrecciavano e diventavano solo una sfocatura incomprensibile.
Forse ero io che ero scossa e le vedevo così. Trasalii pensando a quello che
sarebbe potuto accadere.
Sospirai, di nuovo, e chiusi gli occhi.
Una
voce attirò la mia attenzione. - Stai bene? - disse la voce, dolce più che mai.
L'avevo già sentita da qualche parte.
-S-
sì – risposi, con i brividi.
-Sicura? Sicura che non ti ha fatto nulla? Se vuoi posso portarti da un
medico... - cominciò.
Mi
raddrizzai sul sediolino e guardai davanti a me, cercando di ricompormi. - No,
no, sto b-bene. Non mi ha neanche... - cercai di non ricordarlo. Volevo dire
“non mi ha neanche provata a baciare”, e rabbrividii di nuovo al solo pensiero
della morsa del molestatore.
Mi
scese una lacrima da entrambe gli occhi, e dopo poco iniziai a non vederci più
tanto bene. Le lacrime mi offuscavano la vista.
-Dai, calmati. E' stato meglio... - disse, colpendo il clacson con un
pugno, tanto che risuonò nell'abitacolo. Sapevo il continuo della frase, ma non
volevo pensarci su. Era meglio così.
Mi
voltai verso il ragazzo, per guardarlo negli occhi e ringraziarlo.
Quando mi girai, mi venne un colpo. Anche nell'oscurità, riconobbi i
capelli bronzei e gli occhi chiari. L'amico ancora senza nome di Emmett. Da
solo.
-Oh,
tu... - cercai di dire, senza parole e imbarazzata come poco prima, quando gli
avevo chiesto le informazioni sull'autobus.
-Io
- disse, sorridendo. Forse lo faceva solo per calmarmi.
-Ma... Come hai fatto a trovarmi? Non c'era nessuno... -
Lo
vidi un po' in difficoltà. - Vedi, io abito qui vicino... Non nella periferia,
ma quasi. Avevo appena accompagnato mio fratello a casa, e stavo tornando
indietro, perchè avevo dimenticato una cosa... E poi. Poi sai cosa è successo -
Abbassai gli occhi. Beh, almeno era stato carino a non lasciarmi lì...
Gli
chiesi, come mio solito, i particolari stupidi della questione. - Tuo fratello,
hai detto? -
Mi
guardò incuriosito, sempre sorridente. - Sì, Emmett... E' mio fratello. -
Restai sbalordita. Sembravano così diversi... Sia d'aspetto, sia di
carattere. Lui sembrava più... Riservato, timido. Ma anche indifferente. Almeno
all'aeroporto era così. Se fosse stato totalmente indifferente, a
quest'ora...
-Ah.
-
-Stupido, vero? - mi chiese.
-Già, molto stupido... Non... Mi sembravate fratelli... -
-Niente è ciò che sembra. - Rispose, e ad un tratto si fece più serio.
Sospirai, e poi risposi – Hai ragione. Anche i ragazzi dalla faccia
d'angelo nascondono brutti segreti – dissi, rabbrividendo nel ricordare il
ragazzo di poco prima.
Il
ragazzo si voltò, e guardò dritto davanti a sé. Notai che corrugò le
sopracciglia. Forse lo preoccupava qualcosa, o forse stava solo pensando a
quello che stava per succedere poco fa.
Poi
sospirò anche lui – Allora, dove devi andare? -
-A
Rosemary Park... Al numero 13 - dissi a bassa voce.
-Allora non manca molto... Ti accompagno -
Mise
subito in moto, e partì, senza aggiungere altro.
Fu
davvero un breve tragitto, aveva già guidato più o meno fin lì quando eravamo
andati via dal malvivente. La casa non era distante.
-Beh, eccoci qui... Penso che sia questa la casa giusta – disse, con tono
indifferente.
Guardai fuori. Era il numero 13. - Sì, esatto. -
-Addio, allora – rispose, sempre con tono distaccato, noncurante.
Lo
guardai negli occhi. Era davvero un addio? Forse sì. Nessuno poteva sapere se ci
fossimo rivisti, quando sarei andata a New Heaven. Però era davvero triste
sentire quella parola...
-Ciao... - gli risposi, facendogli capire che se ci fossimo rivisti mi
avrebbe fatto piacere – e grazie. Non so cosa dire. -
-Non
devi dire nulla -
-Grazie... ? - non era un'affermazione, ma con questa domanda intendevo
dire non esplicitamente “il tuo nome?”.
-Non
credo che sia un particolare saliente – rispose, nuovamente gelido.
Perchè non voleva dirmi il suo nome? Ci conoscevamo da troppo poco per
presentarci? Non riuscivo proprio a capirlo. Era un libro chiuso con il
lucchetto. Ma era stata buttata via la chiave.
-Per
me lo è... E' un segno di riconoscimento – dissi, per provocarlo.
Non
rispose, ma continuò a fissare la strada davanti a se, con volto inespressivo.
Passarono due o tre minuti, ma restò in silenzio. Non so perchè ancora
aspettassi lì, quando potevo semplicemente salutarlo ed uscire dall'auto.
Non
ero stanca, e per di più, affamata? Non volevo rivedere la mia amica? Allora
perchè restavo lì? Cosa mi tratteneva?
-Beh, allora grazie. E buona fortuna per ciò che devi fare qui... -
-Grazie – rispose semplicemente, voltandosi e guardandomi negli occhi.
Aprii lo sportello dell'auto, ed uscii. Lo aprii anche lui, e fu in
fretta al mio fianco per aprire anche lo sportello della porta di dietro per
prendere la mia valigia.
Gli
sorrisi quando me la porse, ma lui resto impassibile, privo di emozioni.
Tornò in macchina, e quando radunai tutte le valigie attorno a me, mise
in moto, senza nemmeno salutare. Troppo, troppo riservato.
Possibile che non riuscisse nemmeno a dire un “ciao”? Che
strano.
Mi
voltai verso la casa, e notai che c'era qualcuno alla finestra. Quel qualcuno
venne ad aprirmi e mi corse incontro.
-Oh,
Bella, da quanto tempo! - disse Angela, tutta eccitata.
Stavo quasi soffocando perchè mi stringeva stretta, ma dopotutto ero
felice di vederla.
-Ciao, Angie... -
Si
allontanò per vedermi, e mi squadrò dalla testa ai piedi con aria stupita. -
Come sei cambiata! Sei molto, molto più carina! -
Arrossii, e di certo non fui d'accordo con lei. Io ero passabile, ma non
assolutamente carina. Ero normale, e non ero niente di speciale. - Ehm, grazie,
- risposi, per non offenderla. Altrimenti avrebbe ricominciato a dire che non
era vero e roba varia.
Mi
prese per un braccio e mi trascinò all'interno, dove rividi i suoi genitori e
anche il suo piccolo fratellino, Mikey. Com'era carino, anche se era una
peste!
Angela mi portò di sopra, dove mi mostrò il mio letto.
Avevamo in pratica la sua stanza da dividere, per quella notte prima di
andare a New Heaven, ma poteva bastare. Era già tanto che fossi arrivata lì
senza troppi intoppi.
Poggiai le valigie ai piedi del letto, e mi spinsi subito all'indietro,
stanca del viaggio.
Angela si sedette sul letto di fronte al mio. - Beh, allora tutto bene il
viaggio? Mi dispiace tanto di non essere potuta venire... - si scusò.
-Benissimo, grazie – mentii. Non volevo farla sentire in colpa per la
faccenda del pervertito.
-Ci
credo! -
Ero
confusa. A cosa si riferiva? - Scusa? Non ti seguo. -
-Bella, ma come? Ti ha accompagnata qui quel bel ragazzo! -
Ah.
Si riferiva al fratello di Emmett – purtroppo il signorino si stancava di dirmi
il suo nome e allora posso solo chiamarlo così – il pallido e freddo ragazzo.
Chi sa poi come aveva fatto a vederlo nell'oscurità.
-Sì,
lui – risposi fredda, noncurante.
Angela fece una faccia sbalordita. - Bella? Cos'è quella faccia? Sembra
che non ti abbia fatto piacere stare con lui -
-Guarda, non so nemmeno chi sia. Suo fratello ha iniziato a parlarmi sul
volo e non la smetteva più. Poi lui... Vabbè, mi ha aiutata a trovare la tua
casa perchè non sapevo dov'era -
Non
dovevo dirle del maniaco. - Oh, capisco. Vabbè, sarà per un'altra volta – disse,
sorridendo.
“Sì,
come no. Non penso davvero che ci sarà, da come mi ha salutata. Non vedeva l'ora
di andar via.” Dissi nella mia mente. Sbadigliai.
-Bella, sarai stanca... Penso tu debba dormire – mi disse Angela, ed in
effetti, quella era la cosa che mi premeva di più fare quella sera. Dormire e
dimenticare.
Mi
cambiai in fretta e mi misi sotto le coperte, cercando di dormire. Non ci
riuscii molto, perchè, molto stranamente, mi chiedevo ancora quale fosse il nome
del ragazzo. Perchè? Non ne avevo idea. Chissà se l'avrei mai scoperto. Chi sa
se l'avrei rivisto di nuovo.
Nella mia testa, sperai di sì.
Salve, come va? Son sempre io... Mi è venuta l'ispirazione per una nuova
storia, ed eccomi qui. L'ho quasi finita di scrivere e sono contenta del
risultato.
Beh, penso che abbiate capito chi sia il ragazzo dell'aeroporto, assieme ad
Emmett... no?
Nei prossimo capitoli, comunque, verrà rivelata la sua identità.
Spero che commenterete, vi voglio bene ^^
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Capitolo 2 *** Sotto Al Lampione Rotto ***
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Premessa: Ciao a tutti!
prima di farvi leggere il capitolo volevo ringraziarvi tutti, in particolare
coloro che hanno commentato e hanno aggiunto questa storia ai preferiti.
^^ Speravo che piacesse a qualcuno, dato che l'ho pensata per molto tempo
XD Beh, come vedo avete capito bene chi è il tipo che conosce Bella... In
questo capitolo lo "vedrete" di nuovo... Per la vostra felicità XD Il
capitolo 3 è già pronto, lo posterò tra due o tre giorni. Per adesso,
beccatevi questo, sperando che vi piaccia e vi incuriosisca come il
primo! Grazie in anticipo a chi commenterà ^^
Il giorno seguente, mi svegliai
di colpo, molto assonnata. La sveglia continuava a suonare, ma non sapevo
dove fosse, per poterla spegnere. -Dannazione! - urlò Angela, che diede una
botta sul comodino. Era semplicemente lì, ma non l'avevo vista. Ero troppo
confusa. Mi voltai verso di lei, che iniziò a ridere. - Hei... - disse.
-Hei – le risposi, con uno sbadiglio, - cosa c'è da ridere? - Non la
smetteva. - I tuoi... capelli... Dovresti guardarti allo specchio! - Oh.
pensavo al peggio, e invece? Avevo semplicemente i capelli fuori posto. E,
inoltre, pensavo davvero di essere in ritardo. Mha. Sbuffai e mi gettai
indietro sul cuscino. Iniziai a pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo...
Avremmo preso il treno e saremmo andate insieme a New Heaven. Eravamo state
prese entrambe nella Università di Yale. Chi ci avrebbe mai creduto. Io non ci
credo nemmeno adesso. Avevo fatto domanda per caso, e per curiosità, dato
che i miei professori mi avevano spinta a provarci perchè dicevano che poteva
essere un'università per me. Fui scettica quando inviai la mia domanda, ma
poi, stranamente, quando ricevetti una grossa busta di risposta, fui ancora più
felice. E in più, quando sentii Angela poco dopo, anche lei mi aveva detto
che era stata ammessa lì, con una borsa di studio, in modo da non pesare ai
genitori. Angela fissava la sveglia su comodino con aria stanca. - Manca
poco... - -Già... Meno di due ore alla partenza – Sospirai. -Sarà meglio
che ci prepariamo, altrimenti perderemo il treno delle dieci – disse, alzandosi
dal suo letto e prendendo i vestiti puliti. - Vai in questo bagno, io andrò in
quello del piano di sotto – mi disse. Feci come aveva detto, e fui più veloce
del solito nel prepararmi. Tuttavia, quando avevo domato anche l'ultimo
capello ribelle, non riuscii a staccarmi dalla specchio. Fissavo il mio
volto pallido riflesso, chiedendomi come mai avessi un colorito così chiaro,
anche se i miei genitori non erano così. So che era una domanda piuttosto
sciocca, dato che in cuor mio sapevo che era a causa del brutto tempo permanente
di Forks, ma pensai lo stesso che era quasi senza colore perchè mi sentivo priva
di affetto da parte di qualcuno. No, non intendo da amici o parenti. Intendo
proprio qualcuno nel senso amoroso. Non sto più pensando a Jacob da tempo,
ormai, e sento nel cuore la voglia di fidanzarmi di nuovo. Questa volta con una
persona seria. Però, pensandoci bene, sto anche mentendo a me stessa... Come
mai, fino a ieri sera, avevo pensato di non voler conoscere nessuno quando
Emmett si era presentato? Com'era possibile che improvvisamente era tutto
cambiato? Perchè il mio cuore stava cercando di riaprirsi? Non lo sapevo. O
forse non volevo ancora accettarlo. -Bella! - mi chiamò Angela, ed io uscii
dalla porta del bagno in fretta e furia. Angela mi aspettava a piano terra,
con tutte le sue valigie radunate ai suoi piedi. I suoi genitori, Sara e
John, erano ai suoi lati e le sorridevano allegramente. C'era anche Mikey, che
Angela teneva in braccio e baciava ogni tanto sulle guance. -Finalmente –
disse Angela, sorridendomi. -Scusatemi, ma ho avuto dei problemi con i
capelli – cercai di giustificarmi. -Lo so bene – disse ridendo, ed i suoi
genitori risero assieme a lei, capendo il mio problema. -Adesso andiamo,
però. Non voglio di certo arrivare tardi alla consegna delle chiavi! - dissi, ed
aprii la porta per dirigermi all'esterno. Il viaggio verso la
stazione fu davvero breve. I genitori di Angela la salutarono fin sotto al
treno, e vidi da lontano che aspettarono finchè il treno non prese la curva e
sparì nel nulla, tra le colline del Connecticut. Arrivammo in poco più di
un'ora, e la stazione era piana di studenti come noi. “Tu sai dove andare?”
chiesi ad Angela. “Sì, dovrebbe esserci un autobus proprio per gli studenti,
qui accanto. Seguimi” Andammo prima a destra, poi a sinistra, e ci ritrovammo
in un grosso spiazzo. Oltre alle decine di macchine parcheggiate, cerano anche
dei pullman blu e altri rossi. Su alcuni c'era anche lo stemma della nostra
università. “Andiamo, penso che il nostro sia quello,” disse Angela,
indicando un autobus blu. Entrammo, e ci sedemmo in uno dei posti più
lontani dal conducente, dove sei sicuro di non essere molto disturbato. O
meglio, pensi di esserne sicuro. Cercai di farmi strada tra lo stretto dei
sediolini, finchè non riuscii a riporre il mio bagaglio nell'apposito
contenitore sopra la mia testa. Stava andando tutto bene, finchè l'autista
non mise in moto e il bus partì. Io ero ancora intenta a mettere a posto il
bagaglio, ma persi la presa, e... Oh mamma. Stava quasi per cadermi in testa.
Stava. Qualcuno l'aveva bloccato in tempo. Mi girai per poter ringraziare la
persona che era stata così gentile da salvarmi da un bernoccolo in testa.
Trasalii. “Oh, ma sei tu,” disse Emmett. Emmett, proprio lui, no. Forse
suo fratello, ma lui... Non volevo nemmeno chiedergli perchè era su quel
pullman. “Ciao,” dissi, con voce roca, e presi posto accanto ad Angela.
Emmett iniziò a ridere. “Ti avevo detto che ci saremmo rivisti.” “Già,
non hai tutti i torti,” gli risposi, fredda. Angela mi diede una gomitata,
ed io mi voltai verso di lei. “Beh, non mi presenti alla tua amica? Vedo che
lei al tuo contrario vorrebbe conoscermi” “Angela, questo è Emmett. Emmett,
lei è Angela” Emmett fece ciao ciao con la mano, ed Angela gli sorrise. Cosa
ci trovava di carino, in lui? Per essere carino, lo era. Ma il resto? Per me
era troppo petulante. “E tu? Tu non mi dici il tuo nome?” chiese, rivolto a
me. Sbuffai, chiedendomi perchè mai avrei dovuto dirglielo. Forse gli avrei
potuto ripetere le stesse parole che mi aveva detto suo fratello, la scorsa
sera. “Prova ad indovinarlo” lo provocai. Semmai era un modo per passare il
tempo. “Uhm... Vediamo... Ti chiami Anne? Jessica? Michelle?
Mary?” Scossi il capo. “Sei molto lontano dalla verità” “Ashley? Katy?
Scarlett?” fece, con sguardo interrogativo. Feci sempre di no con la testa.
Vediamo fino a dove arrivava. “Bella... Si chiama Bella” fece Angela
sottovoce, ma io la sentii. Era a due centimetri da me. Mi voltai verso di
lei, arrabbiata. “Angela! Non si suggerisce!” “Troppo tardi”, fece Emmett,
“ora lo so” disse, con il sorriso sulle labbra. Misi il muso. Maledetta
Angela. “Bella... Isabella... Davvero un bel nome. Ti si addice” Non mi
voltai, e restai in silenzio. Non mi stava molto simpatico. E non mi aiutava a
farmisi piacere se continuava ad essere così impertinente e petulante.
Emmett cominciò a parlare con Angela, dato che io non rispondevo più, ormai,
che chiusi gli occhi e misi le cuffie nelle orecchie per ascoltare un po' di
musica. Angela mi tirò il braccio per farmi aprire gli occhi. Eravamo
arrivate. “La Bella Addormentata sul pullman,” disse Emmett, sorridendo per
la milionesima volta quel giorno. Gli risposi con una smorfia, e presi il
mio bagaglio, per avviarmi. Angela mi seguii in fretta, ma Emmett era veloce
quanto lei. Stavano ancora parlando, e lei rideva come una matta. Entrammo
nel grande portone, sotto all'arco di pietra, nel grande giardino
dell'università. “Ma è bellissimo,” disse Angela. “Sì, aspetta di vedere
dentro,” le rispose Emmett. Ormai io ero davanti a loro di due o tre passi. Mi
stancai di camminare veloce, così mi adattai al loro passo. “Dove dobbiamo
andare noi matricole?” “Guarda, c'è l'ufficio accettazione lì in fondo” le
indicò Emmett “però temo che dovrò salutarvi qui” “Come mai? Se non sono
troppo indiscreta” gli chiese Angela, e si bloccarono entrambi. “Beh, devo
aspettare qualcuno” “La tua ragazza?” insisté Angela. Emmett arrossì un
po'. “Sì, la mia ragazza.” “Va bene, vorrà dire che ci rivedremo in giro,
allora” Emmett sorrise. “Certo, ci si rivede” disse, sorridendo verso di me
“Bella, ops Isabella... Spero che la prossima volta sarai più amichevole” Gli
feci una linguaccia. “Ciao, Emmett” lo salutò Angela. Lui si fermò sotto ad
un albero, e si sedette su una panchina, mentre io e Angela ci avviammo in sala
accettazione, dove ci avrebbero consegnato le chiavi della nostra camera. Chi sa
con chi l'avremmo condivisa. Chi sa se Emmett intendeva tra quel 'qualcuno'
anche suo fratello... Il suo fratello senza nome... Ma come mai ci pensavo
ancora? 'Basta Bella, silenzio.' quando fummo distanti a sufficienza dal
ragazzo, Angela attirò la mia attenzione. “Come mai ti da tanto
fastidio?” “Lo vedo infantile. E petulante” Angela sospirò. “Per me è
simpatico” “Pensala come vuoi, ma non so se le cose cambieranno” “Sembra
tu sia prevenuta” Non le risposi. Perchè dovevo farlo? Quando arrivammo in
sala accettazione c'era una folla pazzesca. Sopra ad ogni sportello, una
lista di lettere diverse che indicavano a quale sportello dovevi dirigerti per
prendere la tua chiava. “Mi sa che noi faremo la stessa fila, Angie” le
dissi. “Già, spero solo non ci vorrà molto” Le ultime parole famose. Eravamo
quasi le ultime della fila e il dolore allo stomaco si faceva sentire forte,
finchè non arrivo anche il nostro turno. “Lei è?” chiese il segretario.
“Isabella Swan e Angela Weber” Guardò su un registro, e ci diede delle
carte da firmare. Ci chiese anche i documenti, e poi ci consegnò un mazzo di
chiavi. “Il vostro è l'appartamento 113, dell'edificio C” “Grazie,” gli
dissi, e con Angela mi diressi verso la mia nuova 'casa'. Il palazzo C
sembrava molto bello dall'esterno, in uno stile davvero molto raffinato. Che
fortuna essere proprio in quella università. Il nostro appartamento, il
numero 113, era a piano terra. Lo trovammo subito. “Eccolo...” disse Angela.
Io la guardai e sorrisi, e girai la chiave nella toppa. Era già aperto.
Feci un'espressione stranita, ed anche Angela fece lo stesso. Evidentemente
dividevamo quell'appartamento con altre ragazze. Sentivo delle voci
provenire dall'interno. “Senti, o mi porti quel letto che ti ho detto,
oppure non resto a dormire qui. Me ne torno a casa!” La ragazza aveva una voce
davvero stridula ma armoniosa. Insieme ad una ragazza bassina, coi capelli
corvini, girava avanti e indietro con un cellulare in mano. “Ehm...” feci,
per attirare l'attenzione. La ragazza bassina si voltò, mentre l'altra era
ancora persa nella sua conversazione telefonica. “Voi dovete essere le
nostre coinquiline,” iniziò, “io sono Alice. Alice Cullen” “Ciao, noi siamo
Bella e Angela” dissi, cordiale. “E lei?” chiesi, indicando la ragazza dietro di
lei. Una biondona alta e snella, con dei tacchi da far paura. “Beh, lei è
Rosalie. Non fateci caso. E' sempre così dappertutto. Non le va bene il letto
della sua stanza...” La gente è davvero strana. Coma fa a dire che non le va
bene se non ci ha nemmeno dormito una volta? Mah. Io ed Angela ridemmo,
mentre la bionda – Rosalie – chiuse la telefonata con un'espressione arrabbiata
sul volto. Si girò verso di noi, e ci analizzò dalla testa ai piedi.
“Salve,” disse Angela. Rosalie continuò a fissarci, poi prese la sua
valigia ed entrò in una stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Io
scrollai le spalle ed alzai un sopracciglio. “Ma cos'ha?” “Niente, è solo
arrabbiata. Vedrete che le passerà e si presenterà da sé” disse Alice.
“Contenta lei. Qual'è la nostra stanza?” chiese Angela. Alice si guardò
intorno. “Dovrebbe essere quella” disse, indicando una porta dietro di sé
“Rosalie ha scelto quella che le piaceva di più, quindi vi tocca l'altra...
scusatemi” “Non fa nulla, credimi. Una vale l'altra” le risposi, sempre
sorridente. Prendemmo le nostre valigie e le portammo nella nostra nuova
stanza. Mi gettai all'indietro sul letto, gustandomi il relax. Angela
andò alla finestra, e mi disse che la vista da quella stanza era davvero
grandiosa. Meglio così. Io mi tolsi le scarpe e mi misi sotto alle coperte,
sapendo che per quella giornata, non avremmo dovuto fare proprio nulla. Per
quella giornata, però. Sprofondai nel sonno in pochi minuti, facendomi
cullare dalla pace beata. Era davvero un posto tranquillo. Per quel poco che
dormii, feci un sogno. Ero per strada. La stessa strada di ieri sera, quella
che portava da Angela. Ma questa volta non ero sola. Questa volta, c'era
qualcuno che mi teneva la mano. Mi voltai, e vidi il ragazzo che mi aveva
salvata. Mi sorrideva. “Vuoi davvero saperlo?” mi chiese, “vuoi davvero
sapere come mi chiamo?” Io annuii, e non so perchè ero incapace di parlare.
Mi sentivo tutta un fremito. “Beh, allora dovrai scoprirlo. Posso dirti solo
l'iniziale... Ma già ti dico che sarà difficile...” Annuii di nuovo, sempre
muta. “Okey. Il mio nome inizia con...” Di nuovo la luce. Saltai a
sedermi in pochi secondi, e mi girò subito la testa. “Oh, cazzo. Cazzo,
cazzo!” dissi, dandomi dei pugni in testa. Forse, se non mi fossi svegliata, me
l'avrebbe anche detto. Bella, ma a cosa pensi? Pensi davvero che in un sogno tu
possa scoprire qualcosa che puoi sapere solo se ci parli, con quel tipo?
Sciocchezze. Angela, seduta davanti alla scrivania, si voltò verso di me.
“Hei, Bella, tutto bene?” “Sì, va benissimo. Stavo solo sognando di
baciare Johnny Deep e improvvisamente il sogno è finito...” Mentii. “Che
spreco. Mi dispiace...” “Bah, ci riproverò stanotte...” dissi, tradendo le
mie stesse parole. Provare. Provare, sì. Davvero credi che ci riuscirai? Non
penso proprio. Sono rarissime le situazioni in cui un sogno interrotto viene
ripreso dalla sua fine... Anzi, sono quasi nulle. Perdi le tue speranze, fin da
adesso. E' inutile riporle in qualcosa, tanto non succederà. Mi alzai, ed
uscii dalla stanza. Alice era seduta sul divano, assieme ad un ragazzo. Lui
le teneva il braccio sulla spalla, ed insieme ridevano vedendo uno show di
comici alla televisione. Rosalie invece non c'era, e non m'importava dov'era
andata. Passai davanti ai due ragazzi ed andai accanto alla finestra per
vedere la vista. Non mi andava di vedere le coppiette di innamorati quando io,
al contrario, ero sola come un chiodo. Forse non ero fatta per amare nessuno.
Vedendoli mi tornava in mente Jake. 'Non piangere, lo farai dopo.' Mi dissi,
cercando di contenermi. Era sempre così. Per questo motivo cercavo di vedere
altro. Non volevo pensarci. “Bella?” mi chiamò Alice, mentre ero girata. Mi
voltai verso di lei, un po' triste. “Bella, volevo presentarti Jasper” Mi
avvicinai al ragazzo, che mi tese la mano facendomi un sorriso. “Molto piacere”
mi disse. “Piacere mio. Cosa guardate di bello?” “Nulla, i soliti show
stupidi che danno la sera” “Ehm... Scusami, ma che ore sono?” “Le nove e
mezza” Forse loro mi presero per una stupida, sta di fatto che sgranai gli
occhi. Già le nove e mezza... E non avevo messo nulla sotto i denti. Non
mangiavo da ieri sera. Il mio stomaco brontolò, ed Alice capì subito
perchè. “Se vai adesso in mensa, penso che puoi trovare qualcosa. Io e Jazz
siamo arrivati da poco, e c'era ancora molta gente a mangiare” “Grazie, ci
vado subito” dissi, e senza salutare, uscii dalla stanza. Non sarei potuta di
certo restare lì, in quell'alcova dell'amore, per tanto tempo. Non resistevo.
Trovai subito la mensa, si trovava a pochi passi dall'edificio principale.
Dal mio edificio distava quindici minuti. Uffa. Avevo fame ed ero triste. Che
mix letale. Speravo almeno che fosse rimasto qualcosa da sgranocchiare, in
mensa. Anche un pezzetto di pane, mi dissi. Aprii la porta trasparente con
un po' di forza. Almeno era aperta. Entrai nella mensa, e mi guardai
attorno. Era vuota, tranne per degli impiegati che stavano pulendo per terra e
mettendo a posto. “Fatto tardi?” mi disse una voce di donna da dietro le
spalle, e mi fece sussultare. Mi voltai all'istante, con i brividi. Era la
cuoca, o la cassiera. La riconobbi dalla divisa. “Ehm, ho preso
sonno” “Ce n'è sempre qualcuno, ogni anno” disse, “Vieni con me, prendi il
piatto e le posate” Feci ciò che mi disse, e mi sedetti ad un tavolo vuoto.
La donna mi portò un po' di pasta, e una fetta di carne. “Penso bastino.
Dopo metti tutto a posto” Annuii. Per un po' di cibo farei qualsiasi cosa!
Mangiai in fretta, e misi tutto negli appositi contenitori. Vidi l'ora.
Erano quasi le dieci e un quarto. Dovevo sbrigarmi, se non volevo essere sola
per le strade del campus. Uscii fuori, nel buio. Solo qualche lampione
illuminava il grande giardino pieno di panchine sotto agli alberi. Mi
guardai attorno, pensando di essere sola. Ed invece... Invece c'era proprio
quello che non volevo vedere. Le coppiette. Non ce n'era una o due, ma tante.
Troppe, per i miei gusti. Cercai di non guardarne nessuna, ma mi passavano a
destra e a sinistra, come fosse un niente... Perchè proprio quell'università era
piena d'amore? Strani casi della vita. Gli occhi mi bruciavano. 'No, adesso
non piangere. Mi sembri quasi una bambina.' Al diavolo. Cambiai direzione,
ed invece dell'edificio C, mi addentrai nel giardino enorme del campus.
Trovai proprio una panchina vuota sotto ad un lampione non illuminato.
Ecco, lì potevo piangere quanto volevo. Nessuno mi avrebbe vista. Mi
fiondai sulla panchina e strinsi le gambe al petto, poggiandogli la testa sopra.
Poi, dagli occhi, iniziarono a scendere delle lacrime. Tante. Cercai di non
singhiozzare. Già mi vergognavo di quello che stavo facendo. Non lo dovevo
pensare. Non dovevo pensare a ciò che mi aveva fatto. No, basta. Dovevo curare
questa mia cosa delle coppiette. Era da troppo che andava avanti... Dovevo
voltare pagina. Non era per questo che sono venuta così lontano? 'Sì, Bella.
Proprio per questo.' E allora perchè...? “Stai bene?” fece una voce
nell'oscurità, mentre io sobbalzai, senza rispondere. Sentii dei passi
sull'erba. Si stava avvicinando. “Ehi?” Disse, di nuovo. Adesso era dietro
di me. Lo sentivo dalla distanza della voce. “S-sì, sto b-bene,” dissi,
mangiando le lettere perchè non riuscivo a parlare coerentemente. “A me non
sembra.” “N-no, va t-tutto b-bene” “Se andasse tutto bene non piangeresti”
disse, tagliente. Aveva ragione. Chi volevo prendere in giro? Ero una cattiva
attrice, dopotutto. “Ho ragione?” Tirai su col naso. “S-sì” “Bene. Vuoi
una mano?” Offrì. “No.” Iniziò a ridere. Non so perchè, ma la risata non
mi era nuova. Era ancora dietro di me, pian piano si avvicinò alla panchina e si
sedette a pochi centimetri da me. Non mi voltai per vedere se era qualcuno che
conoscevo. Avevo ancora la testa sulle gambe. “Va bene. Se non mi vuoi dire
nulla è okey. Ti lascio sola, allora” disse, alzandosi. Sentivo i passi
sull'erba che si allontanavano. Dopo tutto, perchè non dirgli qualcosa? Era uno
sconosciuto ed era buio. Non mi aveva nemmeno vista in faccia. Non penso mi
riconoscerebbe di giorno, quindi. Lo chiamai. “Non andare...” I passi si
fermarono, e la risata cominciò di nuovo. Stava tornando indietro. Si
sedette di nuovo accanto a me, ma io non alzai la testa di un centimetro.
“Vedo che hai cambiato idea... E allora?” “Allora... E' difficile da
spiegare.” “Mi piacciono le cose difficili” “Beh... Mi è morto il gatto e
mia madre mi ha chiamata appena adesso per dirmelo. E' stato un duro colpo”
Mentii. Che scusa stupida avevo trovato. “Mmh... Il gatto, eh... Mica sono
scemo, io?” disse, ridendo a crepapelle “Ho studiato un po' di psicologia al
liceo... Non c'è bisogno che menti. Le tue parole ti tradiscono” Colpito e
affondato. Perchè era così perspicace? Tutto merito di questa
'psicologia'? Sospirai. “Okay, okay. Hai ragione. Non ho mai avuto un gatto
in vita mia” “Lo sapevo” “Il fatto è che, però, al contrario ho avuto...
Un fidanzato. Anzi, no. Un migliore amico” Il sostantivo 'fidanzato', per
Jake non andava bene. Dato che io ero innamorata di lui, ma lui forse lo era
solo all'inizio... Era più amore fraterno quello che
provava. “Allora?” “Vedi, lui... Lui si è comportato male. Io, lo amavo.
Però... ci siamo lasciati due mesi fa, quando ha saputo che venivo a New Heaven.
Avevo già però intenzione di lasciarlo... Perchè... Avevo scoperto che mi
tradiva” dissi, cercando di non piangere. “Uhm... Quindi sei in pena per
questo tizio?” “Sì” “Beh, allora ti direi che stai sprecando il tuo
tempo. Penso che il motivo per cui tu sia qui sia ovvio. Il destino ti ha dato
la possibilità di cambiare vita, di rinnovarla. Non sprecare questi giorni per
disperarti per qualcuno che... Detto con sincerità, forse adesso non ti sta
nemmeno pensando. Cerca di tenere la mente occupata con altro... O anche con
'qualcun altro'. Ricorda che sei in un campus. Un campus con migliaia di
studenti maschi. Chi sa se tra di loro ci sarà il tuo Romeo... Chi può
dirlo” Oh. Aveva perfettamente ragione. Aveva detto in poche parole quello
che io ero restia ad accettare. Era vero. Era vero che sprecavo tempo, era vero
che forse adesso lui non mi stava nemmeno pensando minimamente... Era vero che
forse il mio Romeo era qui, tra tutti questi ragazzi del campus. Poteva essere.
“Non hai tutti i torti,” ammisi. “Bene. E sentiamo, sei d'accordo su
tutto? Anche sulla parte del Romeo?” “Su quella un po' meno.” “Perchè?”
chiese, curioso. “Non pensi ci possa essere nessuno meglio di quel ragazzo? Io
penso di sì. Non tutti gli uomini sulla Terra sono spinti al tradimento” “No,
infatti. Però... Dopo una batosta simile... E' difficile rialzarsi” “Anche
l'infante si rialza, quando cade. Non è poi così difficile... Non
credi?” “Già,” risposi, un po' fredda. “Uff” Guardai l'orologio. Era tardi.
“Cosa c'è?” Mi chiese, con tono dolce. “Nulla, devo tornare in camera.
Sono fuori da troppo tempo” “Ah. Beh, se vuoi, possiamo continuare il
discorso domani... Sempre allo stesso posto e alla stessa ora, se ti
va...” “Credo... Credo che vada bene, grazie” “Non devi ringraziarmi”
Quella risposta mi ricordava ancora il fratello di Emmett... Uffa... Mi alzai
di colpo e non mi girai verso il ragazzo. Peccato, avrei voluto tanto vedere
com'era, ma non ci pensai. “A domani, allora” “Già, domani” rispose, e sentii
che si alzò anche lui, ma prese una direzione diversa dalla mia. Quando
tornai in stanza, Angela era preoccupata. Alice e il suo ragazzo non c'erano.
Forse erano usciti. Meglio così. “Dove sei stata?” mi chiese. “Oh, in
mensa. Avevo fame.” “Potevi avvertire.” “Scusami, andavo di fretta” “E
scommetto che hai mangiato tanto piano da impiegarci un'ora...” “No. Ho
fatto un incontro nel parco...” “Cosa?” “Non pensare a male. Mi sono
seduta due minuti su una panchina, e questo ragazzo si è avvicinato. Era solo.
Ci siamo solo messi a parlare per un po'” “Ah. Beh, com'è? E'
carino?” “Non lo so. Eravamo seduti sotto un lampione rotto.” “Che sfiga.
Chi sa se lo incontrerai di nuovo...” “Domani. Alla stessa ora” “Vedo che
ti dai da fare!” “Stupida. Ci incontriamo così, per parlare... Abbiamo corsi
simili...” Mentii. Angela terminò lì la conversazione. Sperai solo non
avesse capito che non le avevo detto proprio tutta la verità. Alla fine cos'era?
Un incontro con un ragazzo che aveva delle belle idee. Forse quello è stato il
motore che mi ha fatto accettare il suo invito anche per domani. Andai a
dormire, sperando di prendere sonno. Quella notte, feci un altro sogno.
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Capitolo 3 *** La bocca dell verità ***
Premessa: Ciao!! Questa
sera sarò molto veloce, perchè ho un sonno
tremendo! Mi scuso di aver postato in ritardo =___=
Spero che la storia vi stia piacendo *-* Voglio
ringraziare tutti coloro che hanno commentato e aggiunto ai
preferiti... Grazie!
Spero che questo capitolo vi piaccia... Il meglio si
avvicina... hihi XD
Ero nuovamente nella periferia di Hartford,
diretta verso la casa di Angela. Mi guardai alla mia sinistra, e
stringevo ancora la mano di quel tipo, che adesso mi sorrideva.
“Beh, non tutti gli uomini sono spinti al
tradimento,” aveva detto, e la sua frase mi
ricordò quella del ragazzo nel parco.
“Sì, ma è difficile rialzarsi dopo una
batosta simile,” gli risposi. Le stesse parole.
“Allora perchè mi tieni la mano?” mi
chiese.
A quella domanda non seppi rispondere. Restai in silenzio. Nemmeno io
sapevo il perchè.
“Lo vedi, sei stata nuovamente tradita dalle tue stesse
parole”
“Voglio sapere una cosa”
“Ogni cosa a tempo debito” disse, molto
indifferente.
“Dimmi il tuo nome”
“Se proprio ci tieni...”
“Tanto”
“Va bene. Però devi indovinarlo. Altrimenti non
c'è gusto”
“Inizia con la lettera S?”
“No”
Sul 'no', voltammo l'angolo. Vedevo la casa di Angela in lontananza.
Stavo ancora pensando, nel mio sogno, ma non mi decidevo a parlare.
Poi, come al solito, riaprii gli occhi e mi ritrovai nella mia stanza
del campus.
Mi strofinai gli occhi, e mi guardai attorno.
Vidi la sveglia sul comodino. Le sei e trenta. Mi dissi che era un
orario decente per iniziare a prepararsi per i corsi del mattino,
quindi andai in bagno e mi feci una doccia calda.
Per tutta la durata, quando ero sotto l'acqua, pensai al sogno. Era
continuato, in un certo senso. Sempre la stessa scena, sempre la stessa
persona. Ancora senza nome.
Non mi spiegavo il motivo per cui mi sognavo sempre quel ragazzo, dato
che a stento ci avevo parlato una volta. Visto che nel sogno cercavo di
indovinare il suo nome, pensai che mi crucciava perchè
ancora non lo sapevo. Ma poi perchè volevo saperlo?
Uscii dalla doccia dopo qualche minuto, e mi vestii in fretta.
Andai nel soggiorno della stanza, la televisione era accesa. Sul
divano, c'era Alice che vedeva un programma per bambini.
“Buongiorno, Alice” la salutai, e lei si
voltò verso di me e mi sorrise.
“Che lezione hai alla prima ora?” Mi chiese.
“Dovrebbe essere letteratura inglese... Oppure mi
sbaglio”
“Ah. Io ho economia politica”
“Beh, allora sarà per la prossima volta,
spero”
“Forse la seconda ora”
“Certo” le dissi, mentre cercavo nell'armadio
dell'ingresso il mio giubbino. Presi la borsa con i libri, e uscii
dalla stanza. “Ci vediamo a pranzo” dissi,
chiudendomi la porta alle spalle.
Presi l'orario dalla tasca, e lo controllai. Effettivamente, avevo
proprio letteratura inglese come prima lezione da seguire.
Dovevo andare nell'edificio B 4, piano terra.
Vidi la mappa, e cercai di orientarmi al meglio per raggiungere
l'edificio in fretta, perchè non volevo che la lezione
cominciasse ed io ero ancora in giro.
Mi fermai da uno dei bagarini e presi un cornetto caldo ed un bicchiere
di latte, e mi diressi verso l'edificio segnato.
C'erano già molti studenti, in giro a quell'ora, e pensai
che erano tutti del primo anno come me, che non conoscevo bene tutti i
luoghi del campus, e quindi avevo bisogno di uscire più
presto per trovarli.
“Hei, bellezza” chiamò una voce dietro
di me. Mi bloccai all'istante.
“No, anche qui, no. Per favore” dissi tra me e me.
Mi voltai. Era Emmett.
“Ciao, Emmett” dissi, sottolineando il suo nome con
un filo di acidità.
“Che lezione hai?” Mi chiese.
“Letteratura inglese” dissi seccata.
“Che caso. E' la mia stessa lezione”
“Già, è proprio un caso”
dissi con tono freddo.
“E so anche dov'è l'edificio B4”
“Grandioso,” gli risposi aspra.
Camminammo insieme per qualche metro, poi arrivammo nell'edificio.
Non ci volle molto per trovare l'aula. Era proprio all'entrata.
Era ancora mezza vuota. Mi avviai ad un posto vuoto, nel centro della
sala, e mi sedetti. Emmett mi seguì.
Non aprii bocca per niente, per evitare che iniziasse a fare i suoi
monologhi stupidi.
L'aula iniziava a riempirsi. I ragazzi e le ragazze che entravano
sembravano quasi tutti scossi. Evidentemente non tutti si erano
svegliati presto per trovare prima l'aula.
Erano quasi le otto meno dieci, e la lezione stava per iniziare.
Guardai il mio libro, cercando di ingannare il tempo nel frattempo che
aspettavo. Di certo non mi sarei messa a parlare con Emmett.
“Ti avevo detto di aspettarmi,” fece una voce,
improvvisamente vicina a noi.
“Scusami, ma dovevo fare in fretta, e sai anche
perchè...”
“Sì sì, lo so perchè... O
per chi” Pensai che stessero parlando di me. Nah. Penso
stiano parlando di qualcun altro. La ragazza di Emmett, per esempio.
Può darsi che lui la sia andata a salutare la mattina presto
prima della lezione e non abbia aspettato il suo amico.
Alzai gli occhi, giusto per vedere chi era.
Era seduto alla sinistra di Emmett, ma riuscii a vedere solo i suoi
capelli ribelli. Erano color bronzo... Oh no. Era lui. Oppure non era
lui? Forse era lui.
Il cuore iniziò a battermi forte, ma non seppi
perchè.
A limite, se Emmett mi avesse rivolto di nuovo la parola, avrebbe anche
potuto farlo per presentarmelo ufficialmente. Così avrei
scoperto il suo nome.
Troppo tardi. Entrò il professore ed iniziò
subito a spiegare.
La lezione durò un'ora, circa, al termine della quale mi
alzai e dissi “Ciao Emmett,” solo per non essere
scortese, anche se mi era un po' antipatico. Lui non rispose,
perchè stava cercando di dire a suo fratello di aspettarlo,
visto che da come intuii, era fuggito appena il professore si era
congedato. No, non l'aveva chiamato affatto con il suo nome. Gli aveva
detto semplicemente “Aspettami, vengo con te!” Fa
niente.
Le lezioni successive furono molto pesanti.
In Storia Medioevale avevo incontrato Rosalie, che non si era nemmeno
degnata di uno sguardo, anche se l'avevo salutata. Dopo tutto, io ero
cordiale.
Nella lezione della terza ora, invece, Filosofia della comunicazione,
avevo incontrato Alice, che era in compagnia del suo Jasper. Mi ero
seduta vicino a loro, e parlai per un po' di tempo con i due ragazzi
che mi sembravano davvero molto simpatici.
Arrivò, infine, l'ora di pranzo. Aspettai Angela davanti
all'edificio della mensa. Per quella prima giornata, aveva progettato
di prendere qualche panino con qualcosa, e di mangiare sull'erba, per
darci le prime opinioni sull'università.
Quando mi vide mi salutò con la mano, ed io mi avvicinai a
lei.
“Tutto bene?” mi chiese.
“Sì, è andata bene”
“Andiamo a rifornirci?” chiese, scherzosamente.
Entrammo nella mensa, che era quasi piena. Non volli vedere se in giro
ci fosse qualche faccia conosciuta, ma mi limitai a prendere qualcosa e
ad uscire con la mia amica.
Angela aveva portato un piccolo plaid a quadri per sederci sopra.
Trovammo un posticino tranquillo nel grande giardino, ed iniziammo a
mangiare.
“Lo sai, ho incontrato Emmett in due lezioni,”
disse, ridendo “ha fatto battute una dopo l'altra”
“Ah, Emmett. Era alla prima lezione con me.” Dissi,
molto seccata.
“Divertente, vero?”
“Moltissimo” risposi, con tono noncurante.
Continuai a guardare il panino col tonno che stavo mangiando, per farle
capire quanto mi stesse simpatico Emmett.
“C'era anche suo fratello”
Alzai gli occhi per vederla in faccia. Perchè? Non ne avevo
idea. Quando disse che c'era anche suo fratello, il cuore
accelerò. Non me lo sapevo spiegare. Feci finta di niente.
“E no, non mi ha detto il suo nome se è questo che
vuoi sapere. E' stato sempre in silenzio”
“Ormai non me ne importa più nulla”
Mentii.
“A me non sembra”
Non osai risponderle. Se le avessi chiesto perchè, di sicuro
mi avrebbe detto quello che ero restia ad ammettere. Che mi
interessava. Eppure tanto. Troppo. Volevo sapere il suo nome.
Continuai a mangiare impassibile il mio panino, senza rimettere in
mezzo l'argomento.
Angela continuava intanto a parlare della sua giornata e di cosa aveva
fatto. Tanto meglio per distrarmi un po'.
Quando tornammo in camera, Alice era con Jasper sul divano.
Si facevano le moine da fidanzati, e la cosa mi dava un po' fastidio.
Più che altro, devo dire che li invidiavo. Li invidiavo
perchè si amavano. Io invece... Lasciai perdere.
“Ciao Bella, ciao Angela” ci disse Alice, e Jasper
fece un semplice cenno col capo.
“Anche voi avete il pomeriggio libero?” gli chiesi.
“Sì. Il primo giorno dell'anno accademico
è sempre libero per tutti” rispose Jasper.
“Però per quelli del secondo anno i corsi
cominciano domani” disse Alice.
“Secondo anno?” chiese Angela.
“Io sono del secondo” disse Jasper.
E chi l'avrebbe mai detto. Sembrava più grande, ma non ci
avevo pensato fino ad allora.
“Oggi era con me per farmi compagnia,”
cominciò Alice, “per farmi vedere dov'erano le
varie aule” disse, con un sorriso, guardando spesso il suo
Jasper.
Tanto amore mi uccideva. Decisi di congedarmi ed andare nella mia
stanza.
“Beh, ora vado. Devo mettere a posto la roba negli
armadi...” Dissi, inventando una scusa.
“A dopo” disse Alice. Angela restò a
parlare con loro.
Io mi diressi in camera, ed iniziai a mettere davvero i vestiti nei
vari cassetti ed armadi. Fino al giorno del ringraziamento sarei
rimasta lì, e non potevo pensare di mettere a posto la roba
più in là. Avrei di sicuro avuto molto da
studiare, e non avrei avuto tempo per farlo.
Ci misi troppo poco tempo, però. Mi stesi sul letto, ed
iniziai a fissare il soffitto sopra di me. Era bianco. E vuoto. Pensai
alla mia vita.
A parte questa nuova avventura, anche quella era vuota. Certo, avevo
l'amicizia di Angela, ma non mi bastava. Non volevo essere ingorda, ma
pensavo che mi sarebbe piaciuto provare qualcosa per qualcuno. Il
ragazzo del parco aveva ragione. Potevo trovare qui il mio Romeo, e
dimenticare Jake, così come lui aveva fatto con me. Forse,
non ne ero sicura.
Poi pensai proprio a quel ragazzo. Stasera l'avrei 'rivisto' di nuovo,
alle dieci. Chissà di cosa avremmo parlato.
Chissà se sarebbe venuto.
Perchè, poi, doveva venire? Non sapevo nemmeno chi fosse, ma
ero stata stesso io a restare per tutto il tempo con la testa sulle
gambe per non farmi vedere. Non lo sapevo.
Quella sera, cenai in camera. Avevo portato del cibo dalla mensa,
perchè non mi andava di stare tra la gente. C'erano anche
lì molte coppiette, e non avevo voglia di vederle.
Verso le nove e trenta, salutai tutti ed uscii. Angela sapeva dov'ero
diretta, ma non ne fece parola con Alice. Rosalie era ancora assente,
forse da qualche parte fuori dal campus. Dopo tutto, cosa me ne
importava di lei?
Uscii a testa alta, ed, arrivata nel giardino, trovai quasi subito la
panchina con il lampione spento. Mi sedetti.
Avevo messo il cappuccio della tuta in testa, perchè avevo
freddo. Però, a dire il vero, anche perchè non
volevo essere riconosciuta. Che cretina.
“Già qui?” Fece una voce, che trasalii.
Mi aveva messo paura.
“Ho cenato prima, e non avevo nulla da fare”
“Anche io. Sono uscito per digerire la cena”
Risi, e lui rise assieme a me. Tutto sommato, mi sembrava simpatico.
Sentii i suoi passi vicini. Si sedette sulla panchina e
sospirò.
“Beh, allora? Cosa hai fatto quest'oggi?”
Non volevo dirgli la verità. “Storia, Filosofia,
Letteratura... Le solite materie”
“Già, le solite. Anche io ho fatto
letteratura”
“Bene.”
Ci fu un momento di silenzio. Per un attimo, il cuore
accelerò. Pensai che forse anche lui era tra tutti quegli
studenti, questa mattina, alla prima ora, ma non sapevo chi fosse.
“Tu fai letteratura inglese, il
martedì?” Sì, allora lui c'era questa
mattina.
“Sì”
“Ed anche stamattina immagino che l'hai fatta”
“Esattamente”
“C'ero anche io. Ma, naturalmente, non ti ho vista. Nemmeno
ora riesco a vederti” disse, sogghignando. “Non
conosco nemmeno il tuo viso”
'E meno male', pensai. Meglio restare sconosciuti.
“Nemmeno io se è per questo” dissi,
cercando di restare sul vago. Volevo che non si credesse molto
importante.
“Vorresti vederlo?”
“Cavoli, no! Non pensare male, ma... preferisco un rapporto
al buio. Hai accettato di ascoltare le mie 'confidenze', ma preferirei
restare ignota...”
“Non ho pensato a nulla. Tutto sommato, hai ragione. Meglio
restare come due sconosciuti”
“Vedo che capisci”
“Capisco che hai solo paura di ammettere ad una persona delle
cose su te stessa, sapendo che questa persona può
riconoscerti e giudicarti, se conosce il tuo viso”
“Tu non capisci nulla” Mentii, e sapevo che aveva
ragione. Aveva sempre avuto ragione fin dall'inizio. Eppure... Lo
'conoscevo' solo dalla sera prima. Com'era possibile che mi capisse
anche senza guardarmi in faccia, ma solo ascoltando le mie parole?
“Un giorno cambierai idea,” cominciò,
“e mi darai ragione”
“Può darsi. Ma quel giorno non è
oggi”
“Continua a mentire a te stessa... Sarà la prima
persona che ne risentirà di queste bugie”
Non risposi, ma pensai. Dannazione, se aveva ragione. Troppa. Ma da
testarda e orgogliosa com'ero, non volevo ammetterlo affatto. Forse,
non l'avrei mai ammesso.
Ci fu qualche altro minuto di silenzio. Il ragazzo si
appoggiò alla panchina e iniziò a fischiettare.
“Dimmi... Hai più sentito il tuo ex ragazzo, da
quando vi siete lasciati?”
“No, mai più. Non è venuto nemmeno a
salutarmi, quando sono partita. Perchè?”
“E' la prova che ho ragione” disse di nuovo.
Io sbuffai. Sentii nel mio cuore che era vero, e ricordai quello che ci
eravamo detti ieri. Sentii una lacrima rigarmi il viso, e mi passai una
mano sotto gli occhi per asciugarla. Ne scese subito un'altra.
“Non prenderla come un'offesa, questa. Sto solo cercando di
aiutarti”
“Mi fa... Mi fa male” dissi, tra i singhiozzi.
Adesso piangevo sul serio, anche se cercavo di parlare bene per non
farglielo capire.
“Lo so. Ma non disperarti per una persona così, te
l'ho detto. Guarda che anche se è buio ho visto che hai
passato una mano sul viso... Però... Promettimi una
cosa”
“Ovvero?” dissi, subito curiosa.
“Di non piangere più. Almeno quando ci vediamo
qui, nel buio. Credimi, sarà meglio”
Dopo tutto, non mi stava chiedendo la luna. Voleva solo aiutarmi.
Voleva aiutarmi a dimenticare il mio passato. O almeno, quello che mi
faceva male. Non era una proposta brutta.
“O-okay. Lo prometto”
“Guarda che devi mantenere la promessa, eh! Se piangerai, me
ne andrò”
Non dissi nulla. Cercai di asciugarmi le lacrime. Tutto sommato, stava
diventando quasi come un sostegno questo ragazzo. Molto più
di Angela. A volte è difficile parlare con qualcuno che si
conosce da tempo. E' più facile dire i fatti tuoi ad uno
sconosciuto.
“Vedo che sei d'accordo,” disse, con un tono che
sembrava felice, “allora si vede che stai già
cambiando”
“Perchè?” chiesi, confusa. Non capii
dove voleva arrivare.
“Perchè ascolti quello che ti dice uno
sconosciuto” disse serio “anche se sei molto
cocciuta”
“Che ne sai che io sono cocciuta? Non mi conosci”
“Forse non ti conoscerò, ma le tue risposte dicono
tutto di te... O quasi”
“Io non credo nella psicologia”
“Non è psicologia... E' solo il modo di porsi, di
dire delle cose... Il tono varia da parola a parola... E da stato
d'animo a stato d'animo... Se dici una cosa in un tono, è
presumibile il tuo umore”
Dai, Bella, ha ragione. Ma io non gliela darò mai!
Sarò anche troppo testarda, ma non m'importa. Lui deve solo
ascoltare. Guardai l'ora.
“Mamma mia, sono quasi le undici! Devo andare”
“Devi andare perchè è tardi, oppure
perchè fuggi dalla verità?”
“Non fuggo da nessuna verità. E' solo
tardi”
“Ah, bene. Allora sarà meglio dirci 'a
domani'”
“A domani” dissi, e corsi in fretta verso il
dormitorio.
Le altre già dormivano quando arrivai. Feci piano per non
svegliare nessuno, quando entrai.
Sentii dei rumori strani, e dei letti muoversi un po' velocemente. No,
anche questo, no...
Provenivano dalla stanza di Rosalie, e infatti, sulla porta, c'era
scritto 'Non disturbare'.
Fuggii nella mia camera e subito mi infilai il pigiama. Mi misi sotto
le coperte e cercai dormire.
Quella notte, a differenza delle precedenti, non sognai nulla.
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Capitolo 4 *** Gli strani casi della vita ***
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Premessa: Hey!!
Ciao a tutte! Visto che tra un po' devo andare a fare un po' di cinese, voglio
fare un ringraziamento generale ^^
E poi volevo rispondere a Tokiotwilighters, dato che la
volta scorsa ero un po' assonnata e mi sono dimenticata. Sì, Edward, Emmett e
Jasper sono nella stessa stanza ^^ ed in questo capitolo viene detto questo
dettaglio.
Beh, cosa dirvi! Vi ringrazio per tutte le
recensioni ed il resto, siete sempre così cari *____*
Al prossimo capitolo!
Yuna
La mattina seguente, mi svegliai di buon umore.
Pensai che forse non avevo sognato nulla perchè non pensavo a nulla. Ed', in
effetti, sentivo la mente libera e leggera. Era forse merito della
chiacchierata di ieri sera? Forse, ma chi lo può dire. Quella mattina mi
vestii in fretta e andai a fare colazione al bar del campus, visto che avevo
guadagnato tempo. Ero un po' contenta, e camminavo col sorriso sulle labbra.
Se avessi incontrato Emmett, quest'oggi, forse lo avrei trattato bene. Però,
ciò non avvenne. Forse aveva delle lezioni totalmente diverse dalle mie...
ma cosa me ne importava? Al contrario, nelle lezioni di oggi, incontrai
spesso Rosalie. Aveva sempre la solita aria superba e altezzosa. Eravamo due
mondi perfettamente differenti. La salutai di nuovo, ma lei girò la faccia
con un'espressione che sembrava quasi disgustata. Okay, o mi odiava. Oppure
non mi riteneva alla sua altezza. Non sapevo cosa pensare, ma alla fine
decretai, che qualsiasi era la sua opinione su di me, non ne avrei tenuto conto.
Non vuoi salutarmi? Bene, farò a meno di te. Ci sono miliardi di persone
sulla Terra, non vedo perchè devo dare conto solo a te. La settimana passò
più o meno così. In qualche lezione vidi Alice, in qualche altra Angela, in
altre, vidi il fratello di Emmett, da solo. Pensai che anche Emmett allora
era del secondo anno, perchè non venne nemmeno più alla lezione di letteratura
inglese del lunedì. Forse aveva fatto come Jasper con Alice, lo aveva solo
accompagnato, visto che era il suo primo giorno. Intanto, non l'avevo più
sognato da quella prima volta che arrivai qui. I miei sogni, sia quelli
notturni che quelli pomeridiani – quando avevo l'occasione di dormire il
pomeriggio – erano confusionari. Oltre a me, solitamente, c'era il ragazzo del
parco che mi ripeteva sempre le stesse cose 'devi aprire il tuo cuore a
qualcuno, devi farlo'. Io annuivo sempre nel sogno, ma finiva troppo presto
per vedere cosa succedeva. E intanto, la sera lo vedevo sempre. Anche se
a lui non volevo ammetterlo, mi faceva bene parlargli, dato che aveva centrato
perfettamente il mio carattere, anche senza conoscermi in volto. Da quella
prima volta che me lo chiese, non ripeté di nuovo la stessa domanda. Non mi
disse di nuovo se volevo vedere il suo volto, e non mi disse mai nemmeno il suo
nome, né mi chiese se volevo saperlo. Mi ascoltò, ed io ascoltai lui, quelle
poche volte che parlava di sé, ed ogni giorno, aspettavo con ansia che venisse
sera per incontrarlo. Stavo diventando paranoica, per una persona che
nemmeno conoscevo. Stavo conoscendo solo la sua anima, e mi piaceva
moltissimo. Ricordo una conversazione, due settimane dopo il nostro primo
incontro. Pioveva, ma io mi feci trovare lo stesso sotto quel lampione.
Notai, con felicità, che anche lui era lì, nonostante la pioggia. “C'è stato
brutto tempo, oggi” disse, con tono triste. “Già. Spero solo che finirà
presto” “Infatti. Ma la pioggia da atmosfera” “Hai
ragione.” “Sono contento che finalmente tu me la dia” “Beh, non posso
discutere su questo, dato che lo penso anch'io” “Almeno stai facendo
progressi” “Penso... Penso proprio di sì. Ma tu?” “Io... Cosa?” fece, un
po' interdetto. “Da quando abbiamo iniziato a parlarci... Non mi ha detto
quasi nulla di te...” dissi, un po' timida. “Dimmi cosa vuoi sapere” “Io
ti ho parlato della mia 'storia' con Jake... ma tu? Tu sei mai stato...
innamorato... di qualcuna?” Sentii il cuore perdere qualche battito a quella
domanda. Sperai in una risposta non troppo deludente, per me. Non so perchè, ma
stavo iniziando ad essere gelosa di lui. Un giorno forse avrei ceduto, e mi
sarei fatta vedere. E se fosse lui il mio Romeo? “No, mai” “Sicuro?” “A
meno che non sia un ritardato e non me lo ricordo, sì, sono sicuro” “Come
mai?” chiesi, forse un po' troppo impertinente. “Come tu dei trovare il tuo
Romeo, io forse devo trovare la mia Giulietta” “Forse?” “Non è detto che
ci riesca... Il mondo è troppo grande” “Ma come? Parli proprio tu che mi
inciti continuamente a voltare pagina, a cercare di amare di
nuovo...” “Quello che io ti dico, è anche come vorrei che io fosse. Ma non è
detto che lo sia per tutti” “Se lo dici vuol dire che ci credi. Quindi cerca
di pensarci anche tu” Quella conversazione, in quella sera di fine ottobre,
mi lasciò stranita. Era incredibile quanto un ragazzo continui a darti forza,
mentre per sé non ne ha nemmeno un briciolo. Per un attimo sperai di poter
essere io la sua Giulietta, anche se era una cosa strana. Era strano provare
attrazione per qualcuno di cui sentivo solo la voce. Però, in fondo, lui si
apriva, ed anche io. Il fatto di stare al buio aveva quasi messo a nudo le
nostre anime. Ci aveva scoperti per quelli che siamo. Due persone in cerca di
qualcosa che ci faccia sentire di nuovo vivi. Di qualcosa che si chiama amore.
Forse, pensai, il fatto di riuscire a parlare così bene con una persona,
poteva anche essere un'affinità. Forse, ma non potevo saperlo. Lui provava
lo stesso per me? Non credo che l'avrebbe mai esternato, a meno che non fosse
stato qualcosa da vivere nel buio. Forse avrebbe avuto il coraggio solo se io
non l'avessi mai visto in faccia. Dopo quella giornata, parlai ad Angela di
tutte le mie preoccupazioni, e di quanto fossi attratta da questa persona, anche
se non ne sapevo il nome. “Penso che... Dopo tutto... Lui ti
piaccia” “Già” dissi, sbuffando “e forse anche troppo” “Penso anche... Che
se ti piace... Tu debba diglielo... O al limite evitare di vederlo per farti
passare questa cotta” “Forse sarebbe meglio dirglielo” dissi, e sentii una
fitta al cuore. E se mi avesse respinta? Non osavo immaginarlo. Sperai che se
mai mi fossi dichiarata, lui mi avrebbe accettata. Non m'importava che lui
fosse brutto, o avesse qualche malformazione. La sua anima a mio parere era
meravigliosa, e avevo sete di lei. Mi comprendeva sempre. “Sì, lo penso
anch'io... Oppure ti direi di aspettare. Può darsi anche che sia una cosa
passeggera...” “Già...” Mentre parlavamo, nell'altra stanza sentivo
qualcuno che parlava ad alta voce. Era la voce di un ragazzo. Forse era Jasper,
ma non ne avevo idea. Feci segno ad Angela, e lei annuì. Ci alzammo dal
letto ed uscimmo in soggiorno. Non era Jasper, chi parlava a voce alta. In
soggiorno non c'era nessuno, ma la porta era aperta. “Basta fare baccano,”
disse Alice, che improvvisamente uscii dalla sua stanza, “Rosalie sta
arrivando” Forse il ragazzo di Rosalie? Alice si accorse di noi, e ci
disse “Scusatelo. Rose non si decide ad uscire e così scherza lì
fuori...” “Non fa nulla, Alice, non facevamo nulla di interessante” dissi, e
mi andai a sedere sul divano. Accesi la tv, per vedere qualcosa, mentre
Angela aiutava Alice a mettere un nastro tra i capelli. Qualcuno entrò in
soggiorno, ma non ci feci caso finchè non sentii la voce. “Perchè non
entrate?” disse Alice “potete guardare la televisione, nel frattempo... So che
sta giocando la tua squadra di baseball preferita...” “Già! Me ne ero
completamente dimenticato!” Emmett?! Girai il viso verso la porta, Emmett
era tutto sorridente, con una tuta blu scuro addosso. Appena mi vide, il suo
sorriso si allargò. “Bella, Angela, lui è Emmett” disse. Sul mio viso
comparve un ghigno. Alice guardò prima lui, poi me. “Ma... Vi
conoscete?” “Sì. Ci siamo conosciuti sull'aereo per Hartford...” disse
Emmett. “A volte le coincidenze della vita...” “Oh, ma dov'è? Vieni
anche tu, devo presentarti delle persone” disse, a qualcuno che aspettava fuori
la porta. Io mi alzai, pronta ad offrire la mano all'altro amico di Alice.
Quando entrò nel soggiorno, il mio cuore perse un battito. Non capii perchè.
Forse... Perchè stavo per scoprire il suo nome? Eppure, adesso non
m'interessava più di tanto saperlo. Mi aveva sempre ignorata in tutte le
lezioni. Forse non voleva affatto conoscermi. “Eccoti, finalmente.” disse
Alice, ed il mio cuore accelerò “Bella, Angela, lui è Edward” Edward. Allora
questo era il suo nome... Edward. Mi avvicinai per stringergli la mano, ed
Angela fece lo stesso. Non smetteva di guardarmi che mi fece arrossire di
brutto. Di sicuro si ricordava di me. Mi aveva visto tante volte. Emmett
rideva. “Che caso, sorellina, sei in camera con la mia migliore amica,” disse,
rivolto a me. Sorellina? Cercai di ricompormi. “Davvero? Bella non mi avevi
detto di essere la sua migliore amica...” “Infatti, non è così.” Dissi,
mettendo il muso. “Siamo come cane e gatto” iniziò Emmett “non sembra
piacerle affatto il mio umorismo,” disse, ridendo a crepapelle. “Ah, bene,”
fece Alice “davvero una bella cosa... E tu, Edward, già conoscevi Bella?” disse,
rivolta al ragazzo che finalmente aveva un nome. Dopo ben due settimane. Lui
scrollò le spalle, poi rispose “In un certo senso...” “In un certo senso?”
chiese Alice. “E' una lunga storia” disse lui, con tono freddo, fissandomi di
tanto in tanto. Abbassai lo sguardo, e fissai le mie mani. “E tu, Bella?”
chiese Alice, rivolta a me. Alzai di botto la testa che mi fece male il collo.
“Io...” dissi, cercando le parole adatte, “Beh, lo vedo ogni tanto a qualche
lezione, ma nulla di più” Sì, era vero. Però Alice e gli altri mica sapevano che
mi aveva salvata da un molestatore, proprio due settimane prima... Forse lui non
voleva rendere pubblica quella cosa, perchè vedevo che tentava di essere vago.
“Ma come? Vi vedete quasi sempre e non vi siete mai parlati?” “No” dissi,
e nello stesso tempo lo disse anche lui. Arrossii fino alla punta dei piedi. Lo
fissai per qualche secondo, e vidi un po' di rosa anche sulle sue guance.
Perchè? Poi fissai Emmett, e vidi che stava ridendo. Anche Angela ed Alice
ridevano. Forse si erano accorte del nostro imbarazzo e dei nostri giochi di
sguardi? Sperai di no. La stanza cadde nel silenzio. Perchè nessuno parlava?
“Allora, Rose, ti vuoi muovere?” disse Emmett. Ora capivo tutto. Rosalie
era la ragazza di Emmett. Emmett era fratello di Alice, ed Edward, a sua volta,
di entrambi. Chiaramente... Che affermazioni stupide. Allora l'altro
giorno... I rumori che sentii erano di Emmett e Rose... Oh mamma. Rosalie
uscì dalla stanza con aria superba come al solito, ed i suoi tacchi altissimi
rimbombavano sul linoleum del soggiorno. Si avvicinò con fare felino ad
Emmett, e lo baciò sulle labbra con passione veemente tanto da far disgusto.
Guardai a terra, per evitare di vedere un'altra coppia felice, che forse avrei
invidiato. Si sentivano anche i rumori... Mamma mia. Quando rialzai lo
sguardo, vidi Edward che mi fissava con un'espressione interrogativa. Aveva
forse capito perchè avevo abbassato la testa? “Allora noi andiamo...” iniziò
Emmett “Edward, tu che fai?” “Penso che aspetterò Jasper nel suo dormitorio”
disse. “Contento tu... Ci sono queste ragazze così carine, in questa stanza,
e tu pensi ad un uomo... Un uomo dopotutto, fidanzato con tua
sorella...” Edward non rispose, ma al contrario fece una faccia irata, e
sembrava quasi fosse arrossito di più; Alice si limitò a dire “Emmett!”, e diede
una pacca sulla spalla ad Edward. I due ragazzi, assieme a Rosalie, uscirono
dalla nostra stanza. Alice chiuse la porta, e ci guardò, con il sorriso sulle
labbra. “Strani i casi della vita, non trovate?” “Già, non avrei mai pensato
che...” disse Angela. “Nessuno lo pensa mai. Loro due sono dei bestioni...
Ed io sono così bassina...” “Dai, però si vede un po' la somiglianza... Con
Emmett... Avete entrambi gli occhi scuri e i capelli scuri...” continuò
Angela. “Sì, è vero...” “Edward, invece... E' così diverso...” “Ha
preso da nostro padre” “Ah” Poi guardò l'orologio. Adesso mi aveva fatto
venir voglia di sapere dell'altro. Per ora, però, era già qualcosa che sapessi
il suo nome. In che circostanze strane l'avevo scoperto... “Devo andare,
ragazze... Resterei ancora un po' ma devo raggiungere Jasper ed
Edward...” “Non ti preoccupare, dopo usciamo un po' anche noi,” disse Angela
ridendo, mentre Alice si avviava alla porta e con un sorriso se la chiuse alle
spalle. Io mi andai a sedere sul divano, e feci un po' di zapping, giusto
per ingannare il tempo. Cercavo di non pensare al fratello di Emmett,
Edward, e perchè mi batteva forte il cuore quando l'avevo rivisto. Non avevo
detto, due settimane fa circa, che non mi interessava più sapere il suo nome?
Non avevo detto che mi piaceva il ragazzo del parco? Cosa c'era in Edward
che mi attirava, senza accorgermene? 'Pensaci bene, Bella. Cosa?' Fissavo lo
schermo cercando di pensare a qualcosa di concreto, qualcosa che mi facesse
capire il perchè di questa cosa. Poi arrivai al fine. “La voce... La sua
voce...” dissi, tra me e me, sola davanti alla tv. Ecco. La sua voce. Aveva
qualcosa di conosciuto, qualcosa che avevo già sentito. Anzi, qualcosa che
sentivo tutte le sere. Mi ricordava tanto la voce del ragazzo del parco. No,
non penso sia lui. Alla fine, non ho mai avuto nemmeno l'opportunità di vedere
la sua figura nell'oscurità, anche se ero molto tentata a farlo. No, non poteva
essere lui. Nel campus ci sono decine di studenti, pensai. E' impossibile.
Oppure no. Decisi di non pensarci e di guardare un po' di televisione, anche se
quella sera i programmi facevano pena. Erano le otto e trenta. Tra poco
meno di un'ora, sarei andata nel parco ad incontrare di nuovo quel ragazzo.
Forse, quello era il momento più bello delle mie giornate universitarie. Parlare
con lui era davvero salutare. Iniziai a pensare che allora mi piaceva davvero.
Dovevo fare qualcosa. Stare in silenzio, oppure dichiararmi, rischiando di
prendere un due di picche? Optai per lo stare in silenzio. Almeno per
adesso, finchè non avrei capito davvero ciò che provavo. Mi appoggiai allo
schienale del divano, e chiusi gli occhi. Immaginai di stare con lui, di
baciarlo, di toccarlo... Di poter vedere il suo viso... Tutto questo non mi fece
stare più nella pelle. Decisi di uscire prima della solita ora, e mi diressi in
fretta sotto al lampione. “Io vado” dissi ad Angela, quando erano quasi le
nove, di quella sera di inizio novembre. Il cielo era nero, con delle
striature rosse, e pensai che tra un po' sarebbe venuto di nuovo a piovere.
Ormai pioveva da quattro giorni senza sosta. Percorsi il viale che conduceva
al mio edificio, e quello verso la panchina, canticchiando allegramente. Ero
contenta, quella sera. Non solo per aver finalmente scoperto il nome di quel
tipo, ma anche perchè, soprattutto, stavo raggiungendo quello che si potrebbe
definire quasi 'il mio psichiatra'. Risi internamente alla parola. Vidi
subito la panchina. Era ancora vuota. Guardai per la terza volta in pochi
minuti l'orologio, e notai che si erano fatte le nove quasi e mezza. 'Vabbè,
stasera sono in anticipo', mi dissi, cercando di stare calma. Continuai a
muovere ansiosa le gambe, perchè non riuscivo ad essere paziente. Come le
altre sere, quella stessa voce ruppe il silenzio. “Vedo che sei in anticipo
anche oggi,” disse. “Sì, le mie amiche sono uscite, allora ero sola...”
Stupida. Perchè gli hai detto 'ero sola'? Chissà adesso cosa si andrà a pensare.
“Ah, capisco. Beh, anche io sono solo questa sera” Uhm. Allora non penso
che l'abbia presa con malizia, quell'affermazione. “Eppure, è una sera
davvero bella per uscire...” dissi, cercando di vedere come avrebbe risposto.
“Bella?” disse, è per un attimo pensai che mi stesse chiamando per nome, con
il tono in cui l'aveva detto. No, si stava solo riferendo al tempo, alla
serata... “No, infatti... Tutto sommato è passabile” risposi, cercando di
dire qualcosa di concreto. “Nemmeno. Ci sono dei nuvoloni enormi” Guardai
in alto. Nonostante gli alberi fitti, riuscii a vedere il cielo ancora più rosso
di pioggia, e dei nuvoloni minacciosi che si muovevano sulle nostre teste.
Restammo in silenzio, e sospirai tante volte. Quella sera era davvero
strana. Che stesse pensando a qualcosa o qualcuno anche lui? “A cosa pensi?”
gli chiesi. “A niente...” “Non si può pensare al niente” “Dove vuoi
arrivare?” “Voglio arrivare a conoscere te” “Allora ti sei decisa a farti
vedere?” Non mi aveva fatto quella domanda dalla seconda sera del nostro
incontro. “No. Intendevo che vorrei conoscere di più il tuo
carattere” “Ah” disse, poi sospirò profondamente. “Vuoi davvero sapere a cosa
pensavo?” “Se vuoi dirmelo, sì” “Pensavo ad una persona” Questa mi era
nuova. Forse mi sarei fatta male, ma volevo osargli chiedere se fosse un uomo o
una donna. Provavo una grossa invidia per quella persona... Aveva la possibilità
di stare nella sua testa, di ricevere delle attenzioni. Sì, perchè essere
pensati di qualcuno equivale a ricevere attenzioni anche se materialmente non lo
sai. “Una ragazza?” Non rispose. Passarono dei minuti in cui nemmeno io
sapevo cosa dire. “Può darsi” disse, poi, con tono incerto. Non me lo voleva
far sapere. Restammo di nuovo in silenzio. Poi sentii delle gocce sul viso. No,
non erano lacrime. Le gocce divennero più fitte, e in pochi secondi
aumentarono. Stava piovendo. “Questa non ci voleva,” dissi, con un tono
molto più alto. Improvvisamente, fui tutta inzuppata d'acqua. Poi, non
sentii più nemmeno una goccia bagnarmi i capelli. Alzai lo sguardo, e notai che
lui, a differenza mia, aveva portato un ombrello. “Grazie,” gli dissi.
“Meglio non prendersi un malanno nel periodo degli esami” mi rispose. “Però
adesso forse è meglio andare” “Sì, forse è meglio” “Tieni, prendi
l'ombrello” disse, toccandomi la mano e porgendomi l'ombrello “me lo restituirai
un'altra volta” “Ma tu?” “Non fa nulla, ci sono abituato” disse, e sentii
che si alzò dalla panchina. “Grazie” dissi, arrossendo, anche se nel buio non
si notava. “A domani...” mi rispose, correndo via. Era stato davvero
gentile. Ma lui? Mi dispiaceva se avesse preso un malanno per colpa mia.
Tornai in camera in fretta. Le luci erano già tutte spente, e, senza far
rumore, mi svestii e andai sotto le calde coperte. Il freddo si stava facendo
sentire... Quella notte, dopo due settimane piene, sognai di nuovo il ragazzo
senza nome, Edward.
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Capitolo 5 *** Il gioco della bottiglia ***
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Inanzitutto, scusate per il ritardo. Ho avuto problemi
di connessione e non riuscivo a postare nulla sul sito, ma adesso ho
risolto!
Enjoy ^^
Ero di nuovo con quel ragazzo. Il ragazzo che adesso aveva un nome. Edward.
Non eravamo più nella stessa strada dei due sogni precedenti, adesso eravamo
assieme per le vie del campus. Eravamo sempre mano nella mano. “Allora? Hai
cambiato idea?” mi disse. “Forse... Forse l'ho cambiata” risposi,
incerta. “Ah, bene... E cosa pensi ora?” “Penso che... Insomma... Adesso
mi piace qualcuno” Lo guardai in volto, e vidi che rise. “Mi sembra una
buona risposta. E com'è? Carino?” Nel sogno mi venne subito in mente il
ragazzo della panchina. Forse mi riferivo a lui. Non forse. Mi riferivo proprio
a lui. Ma perchè allora tenevo la mano ad Edward? Che cosa centrava? Il sogno
finì prima che potessi rispondere. Mi svegliai con i brividi. Quella mattina
faceva davvero freddo. Come ormai tutte le mattine, da più di due settimane
a quella parte, mi andai a vestire in fretta, ed in fretta uscii dalla stanza
per andare a lezione. Era giovedì. Questo significa che avrei incontrato Edward
in tre lezioni. Non sapevo perchè quella mattina avrei voluto proprio
evitarlo, ma pensai che era a causa del sogno che avevo fatto. Mi chiedevo
ancora perchè mi tenesse la mano. Era forse un sogno premonitore? Oppure nella
mia mente era proprio quello che desideravo? Scossi la testa a quel pensiero.
No, non volevo lui. Volevo il ragazzo del parco. O almeno era quello che
credevo. Dovevo pensarci bene. Entrai nell'aula di Storia dell'America con
passo lento, quasi come se avessi paura che ci fosse qualche mostro che potesse
mangiarmi. Presi posto da qualche parte, ed iniziai a sfogliare il mio libro
per ingannare il tempo, ma era troppo difficile. Con lo sguardo aspettavo che
entrasse anche Edward nell'aula, ma non mi capacitavo ancora del perchè. Pensavo
che, dopo aver scoperto il suo nome, ormai la sua curiosità verso di lui era
finita. Quando poi alla fine entrò, il cuore iniziò a battermi ancora più
forte. Lo seguii con lo sguardo, e vidi che anche lui sembrava cercare
qualcuno... Forse. Poi, per un istante, incontrò i miei occhi. Fu un momento
breve, ma in quei pochi secondi, ci fissavamo in modo strano. Non riuscivamo ad
abbassare lo sguardo per guardare altrove. Fece un cenno con il capo ed io lo
feci con la mano, come per salutarlo. Poi, si sedette al suo posto.
Probabilmente, ero proprio io quella che cercava nella stanza. Il mio cuore
intento continuava a battere velocemente, senza riuscire a rallentare. Per
tutta la lezione, ed in quelle seguenti con lui, lo fissai molto spesso.
Lui, a volte, vagava con lo sguardo in varie direzioni, e pensai che faceva
così per non far capire che cercava me. Okay, forse mi sentivo troppo
importante, e questo non andava bene. Però, sono sempre delle ipotesi.
Quando arrivò l'ora di pranzo, la mensa era già piena. Cercai con gli occhi
Angela, e vidi che era seduta ad un tavolo con Alice... Ed Emmett. C'era anche
Jasper. Li raggiunsi. “Ciao, ragazzi” “Bella, aspettavamo proprio te”
disse Alice, entusiasta. “Perchè?” dissi, confusa. “Stasera vorremmo
fare una festa intima in stanza... Ci sei?” “Cosa intendi per intima?” Non ci
stavo capendo nulla. “Beh, solo noi quattro ragazze con Jasper, Emmett ed
Edward. Sempre se sei d'accordo” Edward... Ci sarebbe stato anche Edward...
“Sì, io... Per me va bene” Alice si illuminò. “Oh ma allora è perfetto! Sarà
meglio che vada a preparare fin da ora” disse, alzandosi improvvisamente,
portandosi Jasper dietro. Restammo sole con Emmett. “Allora? Tutto bene
la giornata di oggi?” “Bene bene” disse Angela. Io intanto stavo mangiando.
Mentre trangugiavo il mio piatto di pasta calda, arrivò la solita voce che
mi faceva andare in tilt. “Ciao” disse. Era lui. Mi stava per andare il cibo
di traverso, così iniziai a tossire forte e a bere acqua. Notai che sia lui che
Emmett mi stavano fissando. “Tutto bene?” chiese Emmett. “Sì... Emmett...
Stavo solo mangiando... troppo in fretta” dissi, tra una tosse e l'altra. Edward
mi guardava preoccupato. Continuai a mangiare, ed anche gli altri fecero lo
stesso. Dopo qualche minuto in cui si sentivano solo le nostre forchette che
si muovevano, Emmett iniziò a parlare con suo fratello. “Stasera sei
libero?” “Sì” rispose semplicemente. “Bene. Allora facciamo una
festa” “Una festa? E perchè?” Sembrava non gli piacesse l'idea. A dire il
vero, nemmeno a me. Io odiavo le feste. “Così... Idea di Alice, sai com'è
lei” “Già” “Allora, verrai?” “Penso di sì” rispose secco. “Dai,
Edward, vieni” lo pregò Angela “ti divertirai” Edward fissò prima Emmett, e
poi me. Per troppo tempo. “Va bene” “Fantastico!” disse Angela.
Continuammo a mangiare in silenzio. Si sentivano solo i rumori delle
forchette nei piatti. Emmett ed Angela ogni tanto scambiavano qualche
parola, così, giusto per passare il tempo, mentre io, quasi tutta l'ora, restai
a fissare il mio piatto senza alzare gli occhi. Non volevo di certo incontrare
quelli di Edward. Mi mettevano in soggezione, e non sapevo perchè. Dopo
qualche minuto, sentii una sedia spostarsi ed alzai gli occhi. Era la sua.
“Ci vediamo stasera,” disse, senza rivolgerci nemmeno uno sguardo. E meno
male. Se avesse continuato a fissarmi senza motivo, forse gli avrei chiesto di
sicuro il perchè. E non volevo di certo saperlo. I miei compagni di tavolo,
non risposero. Erano troppo occupati a ridere per qualcosa che non avevo capito
bene, ma che dopo tutto, non mi interessava affatto. Stavo ancora pensando
ad Edward, ed ai suoi sguardi. Mentre pensavo a lui, era come se l'immagine
del ragazzo del parco si offuscasse all'improvviso, quasi come se i sentimenti
che avevo detto a me stessa di provare, adesso fossero diretti unicamente verso
Edward, quasi come se tra i due ci fosse una stretta relazione. 'Ti sbagli,
è sicuro. Ci sono così tanti studenti nel campus...' Eppure, com'era
possibile che ogni volta che lo sentivo parlare mi batteva così forte il
cuore? Tornai in stanza, da sola, e lasciai Angela ed Emmett alle loro
risate. Non si accorsero quasi che me n'ero andata. Appena entrai nel
soggiorno, vidi che tutto era pulito e lucido. Alice era ancora con lo
spazzolone e il secchio, e Jasper spolverava qua e là. Quando mi videro, mi
sorrisero. “Dovevamo pur pulire, prima o poi” fece Alice. “Hai ragione,
ma penso che si sporcherà di nuovo” le risposi ridendo. “Pazienza. Puliremo
di nuovo” Passai davanti ai due ragazzi e raggiunsi la mia stanza. Mi
tolsi le scarpe e mi stesi sul letto. Fissavo il soffitto senza desiderarlo,
giusto perchè non avevo tanta voglia di chiudere gli occhi per farmi un riposino
pomeridiano prima dell'incontro di questa sera. Già, questa sera. Sperai che non
ci fossero troppi giochi di sguardi, tra me e Edward, perchè altrimenti avrebbe
potuto chiedere spiegazioni. Non solo lui, ma anche gli altri. Non erano di
certo stupidi... O no? Stasera, pensai. Oh. Dovevo anche incontrarmi con il
ragazzo del parco! Tirai un sospiro di sollievo. Avrei fatto finta di dover
uscire, come facevo ogni sera, ormai, e mi sarei dileguata. Ecco fatto. Niente
più Edward e niente più coppiette per il resto della serata. Almeno finchè non
sarei tornata. Stando stesa sul letto, mi addormentai, e mi svegliai solo
quando il telefono suonò. Angela rispose. “Pronto?” Mi sedetti sul
materasso e mi strofinai gli occhi, mentre lei sorrideva, con il cellulare in
mano. “Non ci credo! Stasera? Sì, va bene. Ti vengo a prendere io” Spero
solo che non aveva deciso di allargare la festa anche ad altri studenti...
già era troppo difficile stare solo con poca gente... Mi alzai, noncurante, e
andai a lavarmi in bagno. Mi gettai sotto la doccia fredda, per lavare via le
tracce di sonno. Dovevo anche prepararmi per la 'festa' di questa sera, e non
volevo apparire sporca e trasandata. Uscii qualche minuto dopo con degli
abiti puliti. Avevo deciso di indossare un jeans scuro ed una maglia con lo
scollo a V blu. Abiti normali, dopo tutto. Non era mica un gala. Quando
rientrai in stanza, Angela sorrideva felice. Immaginai che era a causa della
telefonata di poco prima. Non appena mi vide, mi raccontò tutto. “Bella...
Ben mi ha chiamato poco fa... Sta venendo qui! Capisci? Sta venendo! Che
bello!” Ben. Andiamo bene... Ben era il ragazzo di Angela, ormai dai
tempi in cui andavamo alla Forks High School. Ha due anni in più a noi, e quindi
quando Angela si è trasferita ad Hartford, lui l'ha seguita. Non l'ho mai
conosciuto molto bene, ma le poche volte che ci ho parlato, mi è sembrato molto
simpatico. “Sono contenta per te” dissi, sorridendole a mia volta. Ed era
vero. Meritava di essere felice. “Dopo devo andarlo a prendere” “Beh,
così verrà anche alla festa” “Esatto. E stanotte andiamo a dormire in un
albero qui accanto. Non ti dispiace, no?” “No, certo che no” le risposi,
anche se un po' la invidiavo. Va bè. Bussarono alla porta. Vidi l'orologio,
e mi accorsi che erano già le otto. La festa sarebbe iniziata a momenti.
Probabilmente quelli erano gli invitati... Io ed Angela andammo nel
soggiorno, e notammo con piacere che Alice aveva aggiustato tutto con classe, ed
aveva anche preparato qualcosa da mangiare nel cucinino – che usavamo di rado -.
Stavano entrando proprio in quel momento. “Prego, accomodatevi” disse Alice,
mentre Edward ed Emmett entravano in stanza. Jasper era rimasto qui tutto il
pomeriggio. Quando di ci vide, Emmett alzò la mano per salutarci, mentre
Edward si limitò, come sempre, a fare solo un semplice cenno col capo. Sempre
sprecato. Alice mise un po' di musica da discoteca. Ballare non mi piaceva,
e non osai nemmeno provarci. Lei, Jasper, Emmett e Rosalie, invece,
ballarono come matti da quando Alice abbassò le luci per rendere l'atmosfera più
intima. Sotto la musica assordante, riuscii a sentire Angela dirmi “Torno
tra un po', vado a prendere Ben”, e mi lasciò sola con Edward. Sola
teoricamente, dato che c'erano anche gli altri quattro. Ma visto che nemmeno
lui ballava, diciamo che ci facevamo compagnia. Ero seduta sul divano
bianco, mentre lui era su quello nero, proprio davanti a me. Non riuscii a
voltarmi nella sua direzione per vedere cosa faceva, o se mi stava guardando.
Preferii ignorarlo per evitare che mi mettesse in soggezione. Mi ripetei che
dovevo pensare all'incontro con il ragazzo del parco, che avrei dovuto vedere
tra un'oretta. Alice ed Emmett, mentre ballavano, urlavano di divertimento,
e capii che gli piaceva davvero molto ballare. Rose e Jasper erano più passivi,
ma sembrava comunque che gli piacesse. “Dai, Bella, vieni!” gridò Alice,
cercando di farsi sentire. Scossi la testa, e sorrisi. Non avrei mai
ballato. Passarono a fare questo per una mezz'ora, che tornò anche Angela
con Ben. Quando li vide, Alice decise di fare qualcosa tutti insieme, dato
che né io, né Edward, avevamo ballato. Abbassò il volume dello stereo.
“Allora! Adesso si gioca!” disse, a voce alta. “Giochiamo? E a cosa?”
chiese Emmett, sempre propenso al gioco. “Ad un classico. Il gioco della
bottiglia!” “Va bene, ci sto!” gridò Emmett, seguito da Angela e da Jasper,
che però lo disse con tono molto più basso. A parte la bottiglia da far
girare, Alice aveva portato con sé quando era venuta qui una specie di rotellina
con una freccetta che girava, su cui c'erano scritti i pegni. Schiaffo,
bacio, carezza. Che roba. Non osai pensare se mi fosse capitata una delle ultime
due a me. Trasalii, quando vidi l'orologio. Avevo ancora una mezz'ora. Ci
sedemmo tutti sui divani, e stranamente c'entrammo tutti e otto. “Bene,
allora inizio io. Tanto sapete tutti come si fa. Non ammetto scuse. Nemmeno per
i baci. Dovranno essere come volete, ma solo sulle labbra” disse. “Ma...
Alice... E se capitano due uomini?” chiese Jasper. “Non fa niente. Si fa e
basta. E' un gioco” gli rispose ridendo. Alice diede un colpetto alla
freccetta, che si fermò su 'carezza'. Adesso le toccava girare di nuovo la
bottiglia, per vedere a chi doveva farla. Mise tutta la forza che aveva, e
alla fine uscii Rosalie. Alice si alzò e andò a dare una carezza all'amica.
Rose le sorrise. La prima volta che la vidi sorridere in trenta giorni.
“vai, Rose, ora tocca a te” le disse Alice. Rosalie imitò quello che
poco prima aveva fatto Alice, e questa volta capitò su 'bacio'. “Ohh, voglio
proprio vedere chi le capita!” disse Jasper. La bottiglia si fermò davanti a
Ben. Cioè, uno sconosciuto per lei. Emmett rideva, mentre Rose si alzava con
una brutta faccia imbronciata e veloce dava il bacio a Ben. Anche gli altri
risero. Ben fece uscire di nuovo 'bacio', e gli toccò baciare Emmett, poi
Emmett fece uscire 'schiaffo', e Jasper fu il malcapitato; poi Jasper fece
uscire di nuovo 'carezza' e toccò ad Angela, che fece uscire 'schiaffo', che
toccò a me. Infine, dopo tanti giri, fu il mio turno. Non amavo molto
questo gioco, a causa degli esiti e delle cose che imponeva di fare. 'Tutto,
tranne bacio. E tutti, tranne Edward', ripetevo nella mia mente. Diedi un
colpetto alla freccetta, e feci tutti gli scongiuri possibili per fare in modo
che non uscisse bacio. Invece, per mia sfortuna, uscì proprio bacio. Oh
merda. A questo punto pregai sempre che non fosse lui ad uscire, finchè il
fato non mi diede di nuovo una batosta. La bottiglia si era fermata proprio
davanti ad Edward. “vai, Bella, su!” mi incitava Alice. Mi alzai in
piedi, pronta a fare in fretta questo martirio. Tutti gli altri gridavano
“Bacio! Bacio! Bacio!”, ed io sentivo che piano piano le mie guance divenivano
sempre più calde, e sempre, e impercettibilmente più rosse. Fui grata ad
Alice per aver abbassato le luci, sperando che nessuno dei ragazzi avesse occhi
speciali per intravedere il rossore delle mie gote. Mentre andavo verso
Edward, lo fissavo negli occhi. Anche lui faceva lo stesso, ma al contrario
sembrava calmo. Pensai che fosse solo apparenza. Mi sudavano le mani, e
quando arrivai accanto a lui, si alzò. Era alto più o meno come Emmett. Ma in
ogni caso molto più alto di me. Tutti all'improvviso si zittirono, quando mi
alzai sulle punte per baciarlo. Chiusi gli occhi, e cercai di pensare ad
altro. Sapevo che forse mi sarebbe molto piaciuto baciarlo, ma non pensavo di
certo che potesse capitare così presto, dopo poco tempo da quando avevo
conosciuto il suo nome, e davanti a tutti, soprattutto. Ma perchè adesso pensavo
a questo? Non avevo detto che ormai la curiosità verso di lui era finita e mi
piaceva solo il ragazzo del parco? Sperai di fare in fretta per raggiungerlo.
Le mie labbra toccarono quelle di Edward. Erano bollenti. Stranamente, non
si staccò subito dopo il timbro. Anzi, mi poggiò una mano sulla schiena e mi
strinse ancora di più a sé, ed io, impercettibilmente, feci lo stesso. Non seppi
da cosa fui guidata. Passò qualche secondo, ed infilò la lingua nella mia
bocca. La trovai in fretta con la mia. Iniziarono a toccarsi come se già si
conoscessero da tempo, e sembrava non finire mai. Il resto, attorno a me, era
buio. Poi, improvvisamente, si staccò da me. Aprii gli occhi. Mi stava
fissando stranito. Gli altri attorno a noi battevano le mani e fischiavano.
“Bravi!” diceva Angela, mentre Emmett rideva assieme a Jasper. Che infantile...
Oh Dio. Ma cosa avevo fatto? Adesso cercavo di rielaborare. Avevo baciato
Edward. Ripetei ogni parola nella mia testa come se non credessi che fosse vero.
Io l'avevo baciato. Su sua iniziativa. Arrossii di nuovo, ed Edward non aveva
ancora allentato la presa. Cercai di allontanarmi dalle sue braccia, che lui
stesso mi lasciò. Tornai al mio posto a testa bassa. Ero troppo imbarazzata,
ed il cuore mi batteva all'impazzata. Angela, che era accanto a me, mi diede
una pacca sulla spalla. Ma che avranno capito? “Bene, bene” cominciò Alice
“Dopo questo bacio passionale, direi di mangiare un po'. Ci state?” Tutti
fecero in coro 'sì', e ci avviammo verso il grande tavolo del soggiorno dove
Alice aveva messo i piatti con varie pietanze preparate da lei. Guardai
l'ora. Le dieci. Era tardi. Decisi di sgattaiolare fuori in quel momento, così
che non si sarebbero accorti della mia 'sparizione', per andare dal ragazzo del
parco. La musica era stata di nuovo accesa, così non si sentì per niente il
rumore della porta che sbatteva. Avevo una strana sensazione, però. Non
avevo fatto caso ad Edward. Lui sembrava sempre vedere più in là degli altri. E
se mi avesse vista uscire e mi stesse seguendo? Cercai di non pensarci. Già era
troppo dare conto al suo bacio. Ero ancora sotto shock, e non sapevo perchè.
Mi sentii sollevata solo quando raggiunsi il lampione dove mi incontravo di
solito con il ragazzo del parco. Non c'era ancora. Mi sedetti sulla panchina
e aspettai. Starà facendo qualcosa... Pensai. Erano già le dieci e non si faceva
vedere. Che cosa strana, non lo faceva mai. Sbuffai per un po' di tempo, ma
lui non si faceva vedere. Mi domandai se stesse male o cose del genere. Intanto
era passato un quarto d'ora. Decisi di aspettare per altri dieci minuti, poi
sarei tornata alla 'festa'. Era già tardi. Niente. Niente di niente. Forse
avrà qualche impegno, immaginai. Passati i dieci minuti mi alzai dalla panchina,
e senza voltarmi indietro, tornai nella mia stanza. Quando aprii piano la
porta, la musica era molto alta. Bene, forse non si erano accorti della mia
uscita. O forse no... “Dove sei stata?” mi chiese Edward, fermo vicino al
muro dell'ingresso. Tra tutti... Mha. Era la prima volta che mi chiedeva
qualcosa. A parte ad Hartford. Abbassai lo sguardo, cercando di mentire. Non
erano di certo fatti suoi. “Nulla, sono andata a fare una passeggiata” “A
quest'ora?” mi chiese, alzando la voce per farsi sentire. “Volevo
digerire” “Ma se non hai mangiato nulla?” fece di nuovo, e minò alle mie
bugie. Avevo ragione a dire che ci vedeva troppo bene. Arrossii, presa in
contropiede, e mi allontanai da lui. Mi andai a sedere sul divano, a vedere i
soliti che ballavano. Notai che Angela non c'era. Pensai che lei e Ben erano
andati via per passare un po' di tempo da soli. Meglio per loro. Ma peggio,
molto peggio, per me. Ero di nuovo sola con Edward. Sempre in teoria. E lui
si era seduto sul divano proprio di fronte a me, che, con un bicchiere di Coca –
Cola in mano, mi fissava. Cercai di non fissarlo di mia volta, perchè... Perchè
Bella? Perchè non dovresti fissarlo? Perchè sei confusa? Sì, sono confusa.
Dannato gioco della bottiglia... Dallo stereo cominciò una musica romantica,
stile 'Il tempo delle mele', e le due coppiette si strinsero ancora di più per
ballare il lento. Alice, nella sua piccolezza, si appoggiò a Jasper, e
chiuse gli occhi. Emmett strinse ancora di più Rosalie, che si adagiò sul
suo petto, beata. Anche se teoricamente pensavo di aver trovato il mio
Romeo, e probabilmente sarei dovuta essere felice perchè potevo dichiararmi in
qualsiasi momento, e stare con lui, li invidiavo molto. Quando, due o tre
minuti, nel culmine della canzone iniziarono a baciarsi in modo appassionato,
non potei fare a meno di piangere. Una lacrima mi scese da entrambe gli
occhi, e sperai tanto che la luce fioca della stanza non illuminasse proprio le
mie guance, e svelasse il mio piccolo segreto. Non riuscii a fermarmi, e
cercai di asciugare le lacrime nel modo migliore possibile. Ma ne scendevano
sempre di più. Poi, mi ricordai di Edward. Sperai che non avesse visto
tutto. Mi voltai verso di lui, e notai con rabbia che mi stava guardando.
Aveva un'espressione triste. Non capii se era perchè vedeva me piangere e gli
dispiaceva in qualche modo, oppure perchè era triste per qualcosa di suo. Non
capivo più nulla, nemmeno i miei sentimenti. Mi alzai dal divano e corsi
quasi nella mia stanza. Adesso le lacrime aumentavano ad ogni minuto, e la
voglia di vivere un amore come il loro, ancora di più. Mi gettai con la testa
sul cuscino, singhiozzando sempre di più. Tanto non mi avrebbero potuto sentire.
Però, con mia sorpresa, sentii che la musica terminò. “Ragazzi, sarà meglio
spegnere. Altrimenti qui chiamano la polizia” Edward. “Uffa! Ma se ci
stavamo divertendo! Sei sempre il solito!” disse Emmett. “Dai, Emm, tuo
fratello ha ragione. E sarà anche il caso che torniate al vostro dormitorio...”
gli rispose Alice con tono serio.
“Okay... Ma dobbiamo fare un'altra festa a breve. Questa mi è davvero
piaciuta!” “Sì, Emmett, ma Alice ha ragione. Sarà meglio andare” lo apostrofò
Edward. “Va bene, Rose, cara, vieni con me?” disse Emmett a Rose. “Certo,
tesoro. So io dove continua la festa...” gli rispose la ragazza con tono troppo
melenso. Rincominciai a singhiozzare. Sentii dei passi che si allontanavano.
Forse stavano uscendo. “Jasper, tu che fai?” sentii dire ad
Edward. “Penso che resterò qui. Domani non c'è nessun corso...” “Ho
capito, ho capito. A domani, allora...” Sospirai, e sentii la porta
chiudersi. Se n'era andato via. Sospirai, cercando di asciugarmi le lacrime.
Perchè mi dispiaceva così tanto? Ero confusa fin troppo. Pensavo ancora al suo
bacio. 'Sarà un esibizionista, di sicuro. Vedrai che l'ha fatto solo per
farsi vedere dagli altri... Non conta nulla'. Sempre la solita lagna interiore.
Ed intanto, non riuscivo a capire perchè mi sentivo così euforica. E il ragazzo
del parco, allora? Già. Il ragazzo del parco. Quella sera non era venuto, e mi
chiesi perchè. Iniziai a pensare che si fosse stancato, e che tutti i miei
incitamenti per farlo cercare di conoscere ragazze e uscire con loro, anche se
questo mi feriva molto. Mi venne una fitta al petto. Eppure, ieri sera è
venuto... Non me lo spiego. “Bella! Non pensarci più!” dissi a voce bassa,
dandomi dei piccoli colpetti sulla testa. Mi gettai di nuovo sul cuscino, e
in poco tempo mi addormentai nella mia confusione.
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Capitolo 6 *** La Grande Confusione Interiore ***
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Uhm, beh... cosa dire? E' dal 2009 che non aggiorno questa fan fiction. Quattro anni... WOW. Sono successe tante cose in questi quattro anni. Non ho tempo per raccontarvi tutto, voglio solo dirvi che cercherò di continuare questa storia da dove l'avevo lasciata. Un libro letto di recente e varie cose lasciate in sospeso, mi hanno fatto pensare che dovevo finire ciò che avevo iniziato. Spero vivamente che vi piaccia!
...
La mattina dopo mi sentii già un po' meglio.
A differenza del giorno precedente, non avevo sognato nulla.
Nella mie mente non c'era né Edward, né il ragazzo del parco, e di questo fui grata alla mia psiche. Non avevo voglia di risolvere l'intreccio labirintico dei miei dilemmi quella mattina. Ci avrei pensato nel fine settimana, ovvero domani e domenica. Avrei avuto del tempo.
Avrei avuto anche del tempo per pensare ai sogni che invadevano la mia mente da qualche settimana, ormai... Ad esempio i sogni in cui ero con Edward. Non riuscivo a decifrarli.
Decisi di non pensarci, nemmeno quando, nella lezione della seconda ora di quella mattina, lo vidi entrare nell'aula con la sua solita espressione quasi indifferente, ma anche e forse, molto triste, o scocciata.
Quella mattina, vidi che non si girò attorno per cercare qualcuno. Preferivo restare sul vago, perchè non ero certa dei miei sentimenti. Non potevo perdere la testa per lui, se non ero sicura nemmeno di ciò che frullava nel mio cervello.
Edward continuò a fissare il professore che spiegava la lezione, e non si girò nemmeno una volta per prendere qualcosa dalla sua borsa. La cosa non mi disturbò affatto. O forse sì?
Anche alla fine della lezione, prese in fretta i suoi libri, e corse via, mentre io ero ancora intenta a raccogliere le mie cose con calma.
Anche a mensa, trovai un tavolo lontano dove mi sedetti da sola a mangiare – visto che Angela era con Ben da qualche parte - , e notai che poco dopo Alice si sedette con Jasper ad un tavolo più lontano, ma non mi notò. Ero ben nascosta.
In seguito arrivò anche Emmett, assieme a Rosalie, ma di Edward nessun traccia. Niente di niente. Perchè poi mi preoccupavo, adesso?
'Bella, domani. Pensaci domani. Oppure quando finirà la giornata e non avrai nessuna lezione.' La stessa frase mi rimbombava nella testa più e più volte, ma non riuscivo mai ad applicarla bene. Era più forte di me.
La cosa si fece difficile quando, in una lezione del pomeriggio che seguiva anche lui, non c'era. Iniziai a chiedermi il perchè, senza sapere bene il motivo per cui ne fossi interessata.
Non comprendevo perchè mi applicavo a pensarci così assiduamente. Cercai di pensare ad altro, ma la cosa si fece difficile. A cosa potevo pensare, poi? Mi veniva in mente solo il ragazzo del parco, e quella era un'altra questione spinosa. Occupò i miei pensieri per tutta l'ora, che non seguii quasi nulla della lezione. Il mio intento di liberare la mente fu definitivamente sconfitto.
Per tutto il tragitto che ci volle per raggiungere il mio dormitorio, nella testa continuavano ad esserci sempre gli stessi pensieri, che mi facevano diventare più triste e delusa, dato che non arrivavo a capo di una soluzione.
E' da dire che stavo anche leggendo un libro, per la strada, per pensare a cose diverse. Ma nulla, nulla di che.
Camminavo lenta per evitare di cadere, quando, quasi sotto alla porta della mia stanza, senti qualcuno salutarmi.
“Ciao” disse. Il mio battito cardiaco accelerò di molto. Forse troppo. Ed arrossii, quando incontrai i suoi occhi verdi.
“C – ciao” risposi, visibilmente timida. Non sapevo nemmeno io come definire il modo imbarazzante in cui l'avevo risposto. Mi aveva colta alla sprovvista, cazzo! Non ero davvero pronta per questo. Mi aspettavo di vederlo a lezione, di salutarlo con un cenno del capo, e finirla lì. Trovarlo adesso, qui, a pochi metri dalla porta della mia stanza, e nel bel mezzo del mio essere o non essere, era confusionario più di tutto questo messo insieme.
Mi sorrise. “Stai tornando in camera?”
“Ehm” Cosa dovevo dirgli? “Sì”, risposi alla fine. Avevo paura di aver siglato il contratto con il diavolo. E se non ci fosse stato nessuno, in stanza? Non riuscii a vedermi da sola con lui.
“Sto proprio venendo da lì. Avevo bisogno di dire una cosa a mia sorella”
“Ah” dissi, cercando di sembrare indifferente.
“Beh, ci vediamo” mi rispose, iniziando ad allontanarsi senza degnarmi di uno sguardo. Non risposi.
Andai alla porta, e la aprii.
Alice era in giro per la stanza ad aggiustare i libri sugli scaffali. Appena mi vide, si voltò e mi sorrise. “Ciao, Bella”
“Hey, Alice”
“Hai incontrato Edward?” mi chiese, cogliendomi di nuovo alla sprovvista.
“Sì” risposi semplicemente. Avrei aggiunto anche 'E mi ha fatto salire i nervi. Mi impedisce di pensare coerentemente'.
Si illuminò e non capii perchè. Che ci fosse qualcosa sotto?
“Bene” fu l'unica parola che disse. Ecco, adesso ero ancora più confusa.
Attraversai la stanza e mi diressi in camera mia. Decisi che quel pomeriggio mi sarei messa a studiare un po'. Fu un metodo a cui pensai tardi, ma che in effetti poteva aiutarmi a tenere lontane le mie preoccupazioni di quei giorni.
Avevo da fare un po' di storia contemporanea e di letteratura inglese, che erano, tra l'altro, delle materie che mi piacevano molto.
Iniziai dalla storia. Il professore aveva spiegato all'incirca una ottantina di pagine, dato che il corso era ancora all'inizio, ed io avevo cercato di apprendere tutto con assiduità e regolarità, così che in occasioni come questa mi sarei ricordata la maggior parte delle informazioni.
Cominciai a ripetere dalle prime pagine, per vedere se effettivamente, era così.
Ricordai con esattezza ogni cosa, ed impiegai pochissimo tempo per ripetere tutto. Guardai l'orologio. Ci misi una mezz'oretta, ed erano ancora le sei e trenta. Sospirai.
Posai il libro e decisi di ripetere anche letteratura inglese.
Per quella ci impiegai un po' di più, ed ogni tanto feci qualche break per sgranchirmi le gambe o roba simile. Sta di fatto che questo metodo funzionò. Non ci pensai quasi.
Quando terminai, andai a cena.
Alice si era fatta dare una specie di permesso per cucinare in stanza - tanto avevamo la cucina – e aveva preparato le lasagne al forno per tutti. Già. C'erano anche Jasper ed Emmett. No, lui non c'era. Per fortuna. Mi dava il tempo di pensare.
Nemmeno Angela c'era. Aveva telefonato poco prima per dire che sarebbe stata con Ben fino a domenica, ovvero quando lui sarebbe partito di nuovo per Hartford.
C'ero solo io. E le coppiette, naturalmente.
Emmett non fece altro che parlare per tutta la cena, parlando e ridendo su determinate persone dell'università, da professori a studenti. Questo, per me, equivaleva al modo più stupido per occupare la mente. C'erano cose più importanti.
“Embè? Qualcosa di nuovo?”
Ero assorta nei miei pensieri quando Emmett mi pose quella domanda. Stavo fissando il mio piatto senza battere ciglio.
“Cosa?” gli risposi, svegliandomi dal mio sonno.
“Novità?”
“Nessuna”
“Nessuna, nessuna? Sei sicura?” disse, facendo un sorriso scaltro che mi fece sorridere, ma anche arrabbiare. I fatti tuoi mai, eh!
“Nessuna”
“Ah, beh, dicevo così per chiedere... Dopo ieri...”
Non risposi. Sapevo a cosa si riferiva, e pensarci per la milionesima volta senza trovare una soluzione di certo non mi aiutava. Per niente.
“Emmett, dai. Non ti intromettere, sono fatti suoi” intervenne Jasper, sorridendo. Forse anche lui voleva sapere... Gli uomini. A volte molto più pettegoli delle donne. Alice gli diede una gomitata forte.
“Bella, lasciali stare...”
“Non fa nulla” risposi, alzandomi “E comunque adesso devo andare”
Presi il cappotto e mi avviai alla porta. “A dopo” mi disse Alice, mentre mi chiudevo la porta alle spalle. Sentii qualcuno dire 'Ma dove va?', ma non m'importò di sapere chi l'avesse detto. Erano solo fatti miei.
Quella sera c'era vento. Mi portai la sciarpa più sulla bocca, per cercare di non sentire freddo.
Raggiunsi, come al solito, il lampione del parco che ogni sera era testimone delle mie conversazioni insieme al ragazzo sconosciuto.
Era abbastanza buio, data l'ora, ma riuscii a scorgere solo la forma del lampione e della panchina, nell'oscurità. Non c'era ancora. Non era detto che sarebbe venuto.
Mi sedetti sulla panchina, e mi venne un colpo quando sentii la sua voce. Si sedette proprio accanto a me, ma non mi girai nemmeno per vedere la sua sagoma scura.
“Oggi sei in ritardo” disse. La sua voce era calda e vellutata.
Il mio cuore iniziò a battere di nuovo fortissimo. Mi ricordò il mio incontro pomeridiano con Edward. Era accaduta la stessa cosa.
“Tu lo eri ieri. Anzi, no. Tu ieri hai deciso direttamente di disertare” gli risposi, con tono provocativo. Volevo fargli credere di essere arrabbiata perchè ieri sera non si era presentato.
Rise. “Mi devi scusare. Ho avuto un impegno improrogabile”
“Un appuntamento?” chiesi, cercando di dosare la mia curiosità. Non erano fatti miei.
“Quasi”
“Capisco” dissi, sospirando e cercando di essere più casuale possibile “E com'è, carina?”
“Non ho detto che ero con una sola persona”
Per un momento fui internamente felice. Allora, forse... C'era una possibilità.
“Ah”
“Non pensare a male... Ero con degli amici”
“Quindi ti divertivi?”
“Diciamo”
La sua risposta mi colpì. “Perchè diciamo?”
“Vedi, spesso non è detto che con una determinata compagnia ci si possa sempre divertire. Anche se quella compagnia, in effetti, è molto divertente”
Sempre i soliti pensieri filosofici. Perchè girare così intorno alla verità?
Restai in silenzio, incerta se dirgli o no quello che pensavo. Forse feci passare troppi secondi, o minuti, perchè mi chiese proprio ciò che pensavo. “Sei pensierosa?”
“Un po'” Fui sincera.
“So a cosa pensi...” cominciò “pensi che finalmente vuoi darmi ragione”
Ribatteva su questa cosa dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti. “Per niente” dissi, pur sapendo che era una tremenda bugia. Gli stavo dando ragione da giorni, ormai. Da troppi giorni...
“Va bene. Non voglio più ripeterti le stesse cose”
“Grazie”
“Ma... Almeno... Ci hai pensato un po' su?” disse. Se ci ho pensato un po' su?
Cavoli, ci penso anche di notte! Maledetti sogni...
“Qualche volta” dissi, seria.
“Uhm. Direi allora che fai progressi”
“Se lo dici tu...”
“Non sai mentire. Scommetto che ci stai pensando anche adesso ma non vuoi dirmi nulla. Sei troppo orgogliosa per ammetterlo”
E aveva di nuovo ragione. Sarei mai riuscita a dirglielo in faccia?
“E tu troppo superbo. Pensi di sapere tutto”
“Non sono io. Sei tu. Il modo in cui parli, in cui ti muovi...”
“Cosa?” Fui sorpresa dall'ultima affermazione. Lui mi osservava?
“Ti vedo, sai. Non in volto, ma vedo il tuo corpo muoversi. Da un po' di incontri a questa parte...”
Adesso la curiosa ero io. Sperai che in ogni caso potesse solo vedere un corpo che si muoveva, e non una bocca che parlava. Non volevo vedesse il mio viso. O almeno non ancora.
“Io no”
“Vorresti vedermi?” chiese, di nuovo serio.
La sua proposta mi allettava parecchio, ma poi pensai di nuovo a me stessa. Fui di nuovo egoista.
“Non lo so”
Iniziò a ridere di gusto. Non capii il perchè.
“Cosa c'è da ridere?” gli chiesi.
“Nulla... E che... Sei davvero strana” disse, tra le risate.
“Strana?” chiesi, riflettendo sul perchè.
“Hai capito bene, strana. E sai perchè? Perchè è da quasi un mese che mi incontri al buio, in questo parco. Ogni sera mi racconti le cose che ti sono accadute, ma... Non mi vuoi vedere. Potrei essere un maniaco, sai!” disse, scherzosamente.
Mi toccò le spalle con le mani. Trasalii per il contatto improvviso. Non mi aveva nemmeno toccato una mano. Quella era davvero la prima volta.
“Non... credo...” dissi, cercando di ricompormi. Quel contatto aveva mosso in me qualcosa. Il cuore accelerò di nuovo, e mi sudarono le mani.
“Contenta tu... Restiamo pure così, ignoti.”
Sbuffai, e lui lasciò la presa. Ero ancora un po' scossa.
Ora volevo togliermi un'altra curiosità. “E tu? Tu vorresti... Insomma... Ti piacerebbe vedermi?”
Esitò prima di rispondere. “In effetti... Mi piacerebbe molto. Non fraintendermi, sono una persona curiosa per natura, ma sono anche attratto dal mistero. Quindi... Qualunque cosa deciderai di fare, per me andrà benissimo”
Restammo in silenzio per una buona manciata di tempo.
Nessuno parlò, e non capii perchè. Erano forse terminati gli argomenti su cui discutere?
Poi, il ragazzo parlò di nuovo. “Sai, riguardo ai cambiamenti... Ci sto pensando anche io...”
“Fai bene, al contrario di me... E funziona?”
“Per adesso, non ne sono certo. Sto cercando di essere il più aperto possibile, e di non stare sempre sulle mie...” disse, sospirando. “E tutto questo, per una persona particolare”
Ebbi una fitta al cuore. Questa volta era lieve. Era debole perchè questa persona potevo essere io, come non potevo esserlo. Pensai di più alla seconda opzione, e avevo già gli occhi pieni di lacrime. Avevo perso, o forse mi sentivo sconfitta prima del tempo?
“Sono contenta” dissi, anche se in fondo stavo male. Gli volevo già bene, anche solo parlandoci... E intanto le lacrime mi rigavano il viso. Dalla mia bocca uscirono piccoli singhiozzi.
Lui se ne accorse, e mi poggiò una mano sulla spalla.
“Cosa c'è? Qualcosa che non va?” Era sempre troppo premuroso.
“No – no, va tutto bene”
“Non va nulla bene. Dimmi perchè piangi” disse, accarezzandomi la spalla.
“Niente, sono felice per te” mentii, altro non potevo fare.
“No, non è così, e tu lo sai”
“E' la verità, devi credermi!” dissi, tra le lacrime.
Si allontanò, sospirando. “Va bene, tu credo. Scusami. E' vero che sono superbo. Però, spero davvero che non sia sempre per quel tipo... Ricordi la nostra promessa, no?”
“Non è... assolutamente per lui... Te l'ho detto, sono felice per te...” Bugiarda! Bugiarda! Ecco le voci della mia coscienza che mi gridavano contro. Mi rodeva il fegato. Non sarei stata mai nulla per lui. Nulla. Niente di niente. Cercai di fermare le lacrime.
Guardai l'ora. Le undici. Era tardi, ma non volevo andar via.
“Oh. E' davvero tardi” disse lui, improvvisamente. “Vuoi che ti accompagni?”
“Cos'è, uno stratagemma per vedermi? No, grazie” risposi, improvvisamente irata.
“Ma no! Lo vedi che ora non piangi più?”
Ora avevo capito. Era un modo per non farmi piangere più. Il fatto che era stato così premuroso mi fece davvero piangere ancora di più, dentro.
Mi alzai dalla panchina, pronta a sfrecciare in direzione del mio dormitorio.
“Ci vediamo domani” dissi, correndo letteralmente via che non sentii nemmeno se mi rispose o no. Al contrario di andare nella mia stanza, mi diressi sotto il primo portico dell'edificio D.
Mi sedetti su una delle panchine, ed iniziai di nuovo a piangere.
Sentii delle voci di qualcuno, e cercai di asciugarmi le lacrime. Avevo paura, ma mi dissi che non poteva essere nessuno di male. Dopotutto c'erano solo studenti, nel campus.
Le voci si avvicinavano, e le sentivo bene, adesso.
“Beh, credo solo che abbia bisogno di tempo. Non tutti reagiscono in fretta” Emmett. Qui?
Era quasi vicino a me, potevo vederlo bene da dov'ero.
“A me continua a non piacere. C'è di meglio” Rosalie? Avevo sentito così poche volte la sua voce che era davvero strano.
“Rose, dai non partire sconfitta”
Li fissai, e poi Emmett si accorse di me. “Bella?” domandò.
“Emmett, Rosalie”
“Non è tardi per fare una passeggiata? Ci hai lasciati nel bel mezzo della cena...”
“Volevo digerire” Mentii. Ad Emmett era necessario mentire. Lui però abboccava.
Mi guardò con sguardo perplesso per qualche secondo.
“Uh, hai tutti gli occhi rossi... Penso proprio che dovresti tornare in stanza” Però Emmett ci vedeva bene. Sperai non avesse intuito perchè avevo gli occhi rossi.
Mi alzai, e feci per andarmene, ma la voce di Emmett mi bloccò di nuovo.
“Ah, Bella... Volevo salutarti... Vedi, io e gli altri partiamo domani mattina presto per la montagna... Giusto per far un week-end carino... Quindi ci vediamo lunedì”
“Beh, buon divertimento” dissi, accennando un sorriso, ed avviandomi all'edificio C.
Emmett e Rosalie proseguirono nella direzione opposta.
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