Ekleipsis

di Ailis_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Siete voi il mio demonio o il mio angelo? ***
Capitolo 2: *** Here I am ***
Capitolo 3: *** It's such a shame for us to par ***
Capitolo 4: *** Eyes on the prize ***
Capitolo 5: *** I'll hold you 'til hurt is gone ***
Capitolo 6: *** I'm looking back on yesterday ***
Capitolo 7: *** Le difficoltà aumentano quando ci si avvicina alla meta ***
Capitolo 8: *** Knowing that the faith is all I hold ***
Capitolo 9: *** I can't stand the pain, how could this happen to me? ***
Capitolo 10: *** Every breath, every hour has come to this, one step closer ***
Capitolo 11: *** And all I want is the taste that your lips allow ***
Capitolo 12: *** It was gone with the wind, but it's all coming back to me now ***
Capitolo 13: *** The tears I cry behind this hazel eyes ***
Capitolo 14: *** Tomorrow finds the best way out is through ***



Capitolo 1
*** Siete voi il mio demonio o il mio angelo? ***


Ekleipsis- Prologo

Buongiorno!
Eccomi con la mia prima storia in questo fandom. In realtà l'ho sempre seguito a fasi alterne ed ero rimasta indietro nella terza stagione, ma quando ho scoperto la famiglia degli Originali... be', non mi sono più persa una puntata.
Probabilmente loro, Stefan e Caroline sono il motivo per cui continui a seguirla, benché se continua così prima o poi la Plec li farà fuori tutti.

Importante!

Comunque, la storia ha bisogno qualche piccola precisazione.
Qui, Stefan è partito con Klaus dopo aver salvato Damon, sì, ma non c'è mai stato nessuna compulsione né è mai diventato il vampiro freddo e scostante che abbiamo visto per metà della terza stagione.
Lui è tornato da Elena e qui sono felici e contenti. Be', più o meno.
Klaus è rimasto a sua volta a Mystic Falls, ma quello che farà lì non sarà d'interesse per noi in questa fic. La mia storia si riallaccia alla terza stagione solo dall'episodio 13, quando gli Originali si risvegliano.


Ora vi lascio al prologo.
La frase è di Oscar Wilde e farà da apertura per l'intera storia mentre il titolo del capitolo è di Victor Hugo.

Per chi fosse interessato, lei è Julya.

Ekleipsis

 
"Tutti dicono che l’amore fa male, ma non è vero.
La solitudine fa male. Il rifiuto fa male.
Perdere qualcuno fa male.
Tutti confondono queste cose con l’amore,
ma in realtà, l’amore è l’unica cosa in questo mondo
che copre tutto il dolore
e ci fa sentire ancora meravigliosi”
Oscar Wilde



Siete voi il mio demonio o il mio angelo?


Ansimò nel caldo asfissiante del Cairo e qualcuno le deterse il sudore dalla fronte.
La sua stanza aveva un'ottima vista, affacciata direttamente sulle piramidi appena fuori città. Con un po' di immaginazione poteva anche vedere con la mente la zona degli scavi dove aveva lavorato fino alla settimana precedente.
Prima che la febbre colpisse anche lei.
Julya Peskov era una ragazza curiosa, aiutante dell'archeologo, disposta a sfidare qualunque cosa per amor di conoscenza.
Il suo più grande sogno, fin da che avesse memoria, era risolvere uno dei grandi misteri della storia.
Riuscire in un simile intento era quanto aveva mosso i suoi studi in diciotto anni di vita e quando il suo mentore, l'uomo che le aveva insegnato tutto senza chiedere niente in cambio, aveva acconsentito a portarla con sé al Cairo aveva pensato che fosse un sogno.
Un vero scavo, la possibilità concreta di mettere a frutto tanti anni di studi e di trovare davvero qualcosa... non ci aveva creduto fino a quando non si era trovata sotto la cappa di calore della capitale egiziana.
Allora era diventata l'ombra di Gregory Lewitt e lo aveva accompagnato dovunque, certa che solo così avrebbe potuto trarre il massimo beneficio.
Non avrebbe saputo dire quando si fosse ammalata: sapeva solo che, a un certo punto, alcuni membri della spedizione avevano contratto la malattia e che questa si era diffusa a macchia d'olio.
Gregory non era ancora stato colpito, per quanto ne sapeva Julya.
Aveva visto il corso della malattia e, a giudicare dal proprio stato, dedusse che mancasse poco alla fine.
Con straordinaria freddezza calcolò quanto tempo le restasse da vivere e rivolse lo sguardo verso le piramidi.
Il suo più grande rimpianto sarebbe stato aver concluso la sua vita senza aver mai risolto nessun mistero, senza aver mai scoperto qualcosa di davvero grandioso.
Avrebbe voluto parlare, ma dalle labbra le uscì solo un mormorio indistinto e dagli occhi le sfuggì una lacrima.
Non avrebbe mai più rivisto San Pietroburgo, sua madre e tutta la sua famiglia, ma piangere per quello sarebbe stato nobile, giusto. E Julya non era certa che le sue lacrime fossero solo per quello.
Avrebbe voluto vivere per sempre per poter raggiungere tutti i traguardi che si era prefissa e avere ancora la possibilità di rivedere la sua famiglia. Avrebbe fatto di tutto per una seconda possibilità.
All'improvviso sentì un tramestio intorno a sé, ma era troppo debole per capire cosa stesse accadendo; a un certo punto, si accorse che non c'era più nessuno accanto al suo letto a parte una persona.
Non ne mise a fuoco i lineamenti, ma si accorse confusamente che aveva magnetici occhi scuri che calamitarono la sua attenzione.
Altre mani le asciugarono il sudore dalla fronte e poi le labbra dell'uomo si aprirono.

Avete l'aria di una che ha bisogno una mano”
Si accorse che nel suo sguardo qualcosa era cambiato, ma era troppo stanca per capire cosa. Il suo cuore accelerò i battiti, come se corresse verso il momento in cui avrebbe cessato di battere.

Sarebbe davvero uno spreco lasciar morire una così bella giovane donna” osservò quasi soprappensiero lo sconosciuto, come se lei non fosse lì a sentire le sue parole.
Ansimò alla ricerca di aria e seppe che il suo ultimo respiro si stava avvicinando. Allora accadde qualcosa che non poteva ancora capire e che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Qualcosa premette sulle sua labbra e per riflesso bevve ciò che lo sconosciuto le aveva porto. Aveva un sapore strano, diverso da qualunque cosa avesse mai assaggiato prima e altrettanto afrodisiaco.
Poi, il suo cuore smise di battere e Julya morì in un assolato giorno di Aprile.



Continua


**


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Capitolo 2
*** Here I am ***


Here am I- TVD

Buongiorno!
Il programma era di aggiornare il venerdì, il giorno dopo l'uscita della nuova puntata, ma adesso il telefilm è in pausa e io ho pensato di portarmi avanti, pubblicando più di un capitolo alla settimana.
Anche se la storia non ha ricevuto molte recensioni, ringrazio chi ha letto e spero sia piaciuto.
Da qui in avanti, conoscerete meglio Julya.

Buona lettura!


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 Here I am


“Words like violence 
Break the silence 
Come crashing in 
Into my little world 
Painful to me 
Pierce right through me 
Can't you understand 
Oh my little girl”

Enjoy the silence- Depeche Mode



Quando il taxi la lasciò di fronte a casa Salvatore, Julya alzò una mano per ripararsi dal sole e al dito brillò un anello di zaffiri e diamanti.
Sorrise appena mentre trascinava i propri bagagli fin sulla porta di casa e suonò. Contò cinquanta respiri prima che la porta si aprisse e si parasse di fronte a lei la figura di un ragazzo.
Era alto, moro e con un sorriso sfacciato che le piacque subito. D'istinto riconobbe in lui uno spirito per certi versi affine e seppe che sarebbero diventati amici e le sue sensazioni non sbagliavano quasi mai.

Buongiorno, cerco Stefan Salvatore”
Il ragazzo di fronte a lei alzò un sopracciglio, poi si voltò verso l'interno e chiamò.

Certo, sarà qui tra un attimo”
Si spostò e Julya interpretò quel gesto come un invito a entrare, ma doveva averlo frainteso perché rimase bloccata sulla porta e il suo sorriso venne sostituito da una smorfia infastidita.

Ah, una cosa prima di decidere se farti entrare o piantarti un paletto nel cuore: chi ti manda?”
Non mi manda nessuno. Sono qui per vedere un vecchio amico”
La soppesò per svariati secondi e poi le fece cenno di entrare. L'ingresso della casa era ampio, ma non proprio arioso o allegro con tutti quei colori così scuri.

Niente di personale” le disse il ragazzo – di cui peraltro non sapeva ancora il nome- “ma di questi tempi non si sa mai. Spero che tu non te la sia presa” continuò con un sorriso allegro che a Julya sapeva tanto di presa in giro.
E dimmi, come mai vuoi vedere mio fratello?”
Ora tutto era chiaro. Be', dire che si assomigliassero sarebbe stato mentire spudoratamente perché non avrebbero potuto essere più diversi. Pure, c'era in loro qualcosa che li accomunava: doveva essere la bellezza disarmante e il fatto che avessero entrambi un sorriso da farfalle allo stomaco, anche se per motivi diversi.
Tuttavia, non avrebbe risposto alla domanda perciò gli rivolse un sorriso enigmatico e si guardò intorno, ignorando l'espressione contrariata sul bel viso del suo interlocutore.

Comunque, io sono Julya”
Damon”
Attesero; vedeva che Damon spasimava dalla voglia di chiedere ancora e la cosa la divertiva. Sapeva che il suo modo di fare – sempre così misterioso ed enigmatico- non era sempre piacevole, ma quel piccolo e innocente gioco non avrebbe ucciso nessuno e la divertiva sempre.
Aveva incontrato tanti vampiri nella sua vita da immortale e molti avevano convenuto con lei che fosse praticamente un miracolo che fosse riuscita a conservare il proprio carattere e la propria essenza anche dopo la trasformazione.
Julya non era del tutto certa di essere sempre la stessa, ma era decisa a non piangersi addosso per quel che era successo.
Dopotutto, anche se non aveva chiesto espressamente di essere trasformata in vampiro, era stata lei a pregare per una seconda possibilità.
Perciò si era impegnata per rendere la propria vita unica ed elettrizzante in ogni momento, cercando di mettere a frutto l'incredibile dono che le era stato fatto: una seconda possibilità.
Se non le fosse stata concessa, non avrebbe mai conosciuto Stefan. Lo ricordava come se fosse accaduto il giorno prima.
Lei faceva la cantante in un night club di Philadelphia e lo aveva adocchiato subito, dall'alto del palco e nonostante la luce soffusa e pregna di fumo.
Ci era voluto un mese perché lui le rivolgesse la parola, ma Julya era divertita da quei giochi di sguardi, sorrisi e occhiate fugaci e non avrebbe fatto il primo passo per niente al mondo.
A quel tempo Stefan era “lo squartatore” e Julya già sapeva che un giorno il peso delle sue azioni sarebbe ricaduto su di lui.

Chi era alla porta?”
La voce di Stefan la riportò alla realtà e quando scese l'ultimo gradino fece un passo avanti, come se ci fosse bisogno di quello perché lui la vedesse.
Si sarebbe accorto della presenza di Julya anche in una stanza piena di gente. Guardando in quegli occhi, scuri e ridenti come li ricordava, tutte le emozioni e i sentimenti che lei gli suscitava si riversarono su di lui come una doccia ghiacciata e fu come se non fossero passati decenni dal loro ultimo incontro.

Ciao, Stefan”
Avrebbero potuto passare secoli – anche millenni, probabilmente- ma Julya gli avrebbe fatto sempre lo stesso effetto: come il canto di una sirena, una droga pericolosa almeno quanto il sangue.
Provò un milione di sensazioni diverse nel risentire la sua voce: amarezza, felicità, rancore, desiderio, abbandono.
Era tutto talmente confuso che ci mise più di qualche secondo a mettere abbastanza ordine tra i suoi pensieri da poter parlare.

Che ci fai qui?”
Ho bisogno di aiuto” ammise sinceramente e con un sorriso talmente candido e spensierato che Stefan non riuscì a non provare rabbia.
Preferì lasciarsi sommergere da questa, piuttosto che ammettere con se stesso che lo feriva sapere che Julya non sarebbe mai andata a cercarlo se non avesse avuto bisogno di lui per qualcosa. Avrebbe voluto chiederle se avesse mai sentito la sua mancanza, ma non era sicuro di essere pronto ad ascoltare la risposta.

Abbiamo abbastanza problemi, non ho certo il tempo di farmi carico anche dei tuoi. Ora devo andare”
Julya gli si piazzò davanti, mani sui fianchi e sguardo deciso: aveva dimenticato che, per essere così piccola, sapeva essere un fastidio enorme.

So che non sei contento di vedermi” iniziò e a Stefan parve che la sua voce si incrinasse un po' “ma ho davvero bisogno di te. Ho bisogno un aiuto”
Per un attimo si chiese se aiutarla non fosse la cosa giusta da fare e i suoi occhi, grandi e supplicanti, gli fecero salire le parole alle labbra.
Forse, dopotutto, poteva perdonarle di essersene andata e averlo lasciato proprio quando aveva più bisogno di un'amica.
Non avrebbe dovuto biasimarla per averlo fatto e si chiese se avrebbe mai potuto perdonarla.
Vedendolo tentennare, Julya fece un passo avanti e il calore del suo corpo e il suo profumo colpirono Stefan con la forza di uno schiaffo, deliziosi come la più inebriante delle essenze.
In un attimo, desiderò davvero di essere in grado di perdonarla, ma per quanto lo volesse, non era sicuro di poterlo fare con il cuore così lasciò la domanda in sospeso.
Però Julya era ancora lì e lei non sarebbe stata contenta fino a quando non avesse avuto una risposta.

Devo andare”
Stefan!” lo richiamò, ma lui l'aveva già aggirata così gli si parò di nuovo di fronte, proprio a metà strada tra lui e la porta.
Non puoi andartene senza avermi dato una risposta”
Non ora. Devo andare a scuola, ne parleremo quando torno”
Ma...”
Avrebbe dovuto ricordare che era dannatamente testarda. La afferrò per le spalle e la scosse appena perché il suo messaggio risultasse più incisivo.

Dopo” scandì e, quando vide la sua espressione farsi ancora più ostinata, aggiunse “Resta qui. Damon ti cercherà un posto dove stare e quando tornerò a casa ne parleremo”
Si fiondò fuori di casa prima che la sua protesta lo raggiungesse e in un attimo partì con la sua Jaguar.
In casa, Julya lo guardò andarsene con gli occhi socchiusi e le labbra atteggiate a un'espressione di stupore.
Si voltò verso Damon.

Sbaglio” domandò “o sta cercando di evitarmi?”
Damon fece spallucce “Questo teen-drama ve lo dovete risolvere da soli. Per ora, il mio compito è mostrarti la tua stanza”



*


E non ti ha detto perché è qui?”
Elena non era particolarmente contenta che un altro vampiro fosse giunto in città. Un vampiro che per di più era una donna, probabilmente bellissima, e che sembrava scombussolare l'equilibrio di Stefan.

Non gliene ho dato il tempo” ammise.
Sapeva che Julya non si sarebbe arresa troppo presto perché lei era fatta così, testarda ai limiti dell'incoscienza.
A volte aveva pensato che lei assomigliasse un po' agli ibis sacri nell'Egitto in cui era morta, tanti decenni prima: elegante e bella, il suo sguardo intelligente era sempre fisso sul premio.
Essere un vampiro non cambiava la natura della persona e Julya doveva essere sempre stata così, incapace di staccare gli occhi dal suo obiettivo.
A volte la invidiava per questo perché sembrava attingere dalla propria missione una forza di volontà enorme.

Non hai neanche un'idea?”
Non è facile entrare nella mente di Julya. E' un'intellettuale, nella sua testa sono stipati così tanti argomenti che sarebbe difficile capire quale sia il tarlo del momento” ammise sinceramente.
Quindi oltre che bella, mi stai dicendo che è anche intelligente? Perfetto” borbottò Elena e Stefan scoppiò a ridere di gusto, attirandola a sé e scoccandole un bacio sulla tempia.
Quel genere di atmosfera, quell'insolita pace... ecco, era esattamente ciò che non avrebbe permesso all'arrivo di Julya di rovinare.
Non le avrebbe permesso di scombussolare la sua vita ancora una volta: aveva imparato la lezione. Julya era come un ciclone: non avvisava del suo passaggio, si faceva strada a forza e portava via qualunque cosa, sempre per quella maledetta abitudine di guardare solo alla metà senza curarsi di ciò che calpestava nel percorso.
Ma non voleva pensarci, non voleva rimuginare su quel pensiero che era un po' la storia della loro amicizia.
Ma non era mai stata solo un'amicizia e dopo che lei se n'era andata per inseguire un altro di quei misteri storici che tanto amava, il loro rapporto si era ridotto a essere ancor meno.

Stefan?”
La voce di Elena, ancora stretta tra le sue braccia, lo riportò con i piedi per terra.

Che aspetto ha questa Julya?”
Non devi preoccuparti di lei, Elena. Per quanto sia bella, tu sei...”
No, no, non è per quello. E' che credo che sia proprio là” e indicò un punto alle spalle di Stefan.
Julya era proprio di fronte all'ingresso della scuola e leggeva un foglio, apparentemente ignara delle occhiate incuriosite degli studenti che le passavano accanto.

Che diavolo ci fa qui?”
Stefan si alzò e si diresse verso Julya con lunghe falcate, Elena alle calcagna che si sistemava la tracolla sulla spalla e cercava di stargli dietro senza correre.

Non ti avevo detto di stare a casa?”
Julya gli rivolse un sorriso radioso che riuscì solo a irritarlo: gli sembrava che si stesse facendo beffa di lui, ma Stefan sapeva che Julya era davvero felice di vederlo e forse quella era la parte peggiore.

Mi annoiavo e così ho pensato di fare un giro”
Bene, ora puoi tornare lì e aspettarmi”
Allora assunse un'espressione contrariata “Non ci penso neanche. Tra le tante cose che ho fatto nella mia vita, non ho mai frequentato un liceo americano e così mi sono iscritta”
La afferrò per un braccio “Non ci pensare neanche, Julya”

Andiamo, Stef” lo prese in giro avvicinandosi di un passo “cosa c'è di male? Devo forse pensare che tu non mi voglia qui?”
Non devi pensarlo. E' esattamente così”
Seppe di averla ferita nel momento in cui strinse le labbra e sbatté le ciglia. Era sempre stata come un libro aperto per lui, capace di leggere qualunque sentimento le divampasse nell'animo. Poi aveva pensato di essersi sbagliato e che in realtà non era mai stato davvero in grado di capirla, ma non era così.
Sapeva leggere ciò che passava nei suoi occhi e, ancora di più, aveva il potere di scatenarle dentro grandi sentimenti, qualunque essi fossero.

Cosa ti ho fatto per meritare questo?” sussurrò e scese tra di loro un velo di rancore e incapacità di comprendersi che sfociò in un silenzio teso in cui i loro occhi non si lasciarono mai.
A spezzare quell'atmosfera pesante fu Elena che si frappose fra i due.

Ok, direi che non è proprio il momento né il posto adatto per sostenere questa conversazione. Andate a casa, entrambi” li esortò, anche se avrebbe di gran lunga preferito tenere Stefan lontano da quella specie di silfide dagli occhi da cerbiatta.
Si guardarono per un momento. Lo sguardo di Stefan si aprì un poco, al contrario quello di Julya divenne duro come acciaio e scosse il capo.

No. Io resterò qui e compilerò i moduli per l'iscrizione. Poi paleremo”
Detto questo, se ne andò lasciandosi alle spalle solo il suo profumo -vaniglia nera per i capelli, rosa e mirra per la pelle- e Stefan sospirò.
Avrebbe dovuto saperlo: la convivenza con Julya sarebbe stata difficile. Poteva tentare di evitarla a scuola, provare a non rivolgerla la parola se si fossero incontrati, ma Julya sarebbe stata sempre un passo avanti lui e prima o poi lo avrebbe fatto capitolare.
Alla fine, probabilmente, avrebbe ottenuto che la ascoltasse e, altrettanto probabilmente, sarebbe anche riuscita a persuaderlo ad aiutarla in qualunque folle impresa si fosse imbarcata quella volta.
Non avrebbe avuto bisogno di alcun potere: gli sarebbe bastato implorarlo sinceramente, guardandolo negli occhi e avrebbe capitolato perché Julya aveva su di lui un potere strano, uno che neanche Katherine ed Elena avevano mai avuto.
Ed era questo – più delle sue richieste e di tutto il resto- a spaventarlo: il fatto che probabilmente avrebbe rivoltato il mondo per lei.


*


Mentre tornava alla villa dei Salvatore, Julya rimuginava.
Canticchiava una vecchia canzone russa che intonava sempre sua madre per far addormentare suo fratello Aleskeij, quando faceva i capricci o semplicemente non voleva dormire.
Non avrebbe dovuto andare a cercare Stefan, solo con il senno di poi se ne rendeva conto.
Ancora una volta aveva permesso al proprio egoismo di farle fare la cosa sbagliata. Forse, se non se ne fosse resa conto sarebbe stata perdonabile: avrebbero detta di essere fatta così, che non poteva farci nulla.
Però lei non era fatta così e aveva scelto di andare da lui, pur sapendo che rivederla non sarebbe stato facile per Stefan.
Sapendo che non avrebbe potuto perdonarla. Si era chiesta se poteva accettare il suo disprezzo per raggiungere il traguardo e si era detta che lo poteva fare, ma solo ora che era lì si rendeva conto di non aver mai davvero creduto che Stefan potesse odiarla.
Aveva considerato la possibilità, ma non l'aveva mai presa sul serio. In fondo al cuore aveva sperato di ritrovare Stefan che le sorrideva, Stefan che le prendeva la mano tra le sue, Stefan che le accarezzava i capelli e la guardava con un'intensità tale da farle venire le farfalle allo stomaco.
Aveva sperato di ritrovare Stefan come lo aveva lasciato, come se il tempo non fosse passato. Ma era stata stupida, ottenebrata da un desiderio irrealizzabile anche per loro, congelati in un istante eterno.
Forse, si disse mentre attraversava il lungo viale, avrebbe solo voluto l'occasione di recuperare il tempo perso e rimediare all'errore che aveva commesso tanti anni prima.
Forse la scelta giusta sarebbe stata andarsene anche stavolta, lasciare che fosse felice senza che lei gli piombasse tra capo e collo a rovinargli l'esistenza.
Sorrise con nostalgia pensando a quanto potesse essere beffardo il destino: anche decenni prima aveva fatto la stessa scelta per la stessa ragione.
Lo ricordava come fosse stato solo il giorno prima.
Lavorava come cantante in un night club di Philadelphia ed erano gli anni dei proibizionismo, uno dei periodi d'oro per la malavita e i baristi più intraprendenti, quando si erano conosciuti. Ricordava il suo smoking e che le aveva detto qualcosa sulla sua voce, un complimento a cui lei aveva ribattuto con un sorriso saccente che era il peggior abbordaggio della storia.
Ricordava anche che erano stati mesi meravigliosi, ma neanche in quel periodo aveva dimenticato la sua ossessione.
Poi, un giorno, era arrivata una lettera da uno dei suoi contatti in Medio Oriente, un uomo di cui si fidava poco ma che sembrava aver rintracciato una traccia per ciò che stava cercando con tanto impegno da decenni.
Aveva dovuto scegliere: restare con Stefan, aiutarlo a non cadere nel baratro, oppure andare. Aveva scelto di partire, ma non lo aveva detto a Stefan.
Gli aveva sorriso e gli aveva chiesto di restare con lei quella notte e lui lo aveva fatto. Avevano bevuto whisky -di gran lunga il loro liquore preferito- avevano giocato a carte e poi Stefan era crollato mentre lei aveva fatto i bagagli e se n'era andata senza guardarsi indietro.
Capiva perché Stefan fosse arrabbiato, come avrebbe potuto non esserlo?
Ma lei non poteva andarsene, aveva bisogno di aiuto per raggiungere il suo scopo. Erano decenni che ci provava e ora era talmente vicina al premio che non avrebbe permesso a niente di impedirle il passaggio.
Se doveva convincere Stefan, lo avrebbe fatto, in un modo o nell'altro.
Aveva quasi raggiunto casa Salvatore quando le venne in mente che forse sarebbe stato meglio trovarsi una casa propria, anche solo un piccolo appartamento da affittare per il tempo necessario.
Poi, con un sorriso malizioso, pensò che fosse più giusto restare a casa Salvatore. Stefan non avrebbe acconsentito ad aiutarla, ma lei poteva fargli cambiare idea: aveva molte frecce al suo arco e non avrebbe esitato a usarle tutte per farlo capitolare.



Continua



**


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Capitolo 3
*** It's such a shame for us to par ***


It's such a shame for us to part- TVD

Buongiorno!
Come promesso, mi porto avanti con gli aggiornamenti questa settimane e pubblico il nuovo capitolo. Sì, dovrei essere a studiare, lo so.
Vedo i libri che mi guardano – sì, i miei libri mi guardano- con disapprovazione, ma che volete farci?
Domani me ne pentirò amaramente, ma non potevo resistere alla tentazione.
Vi lascio al capitolo: vi aspetta la rivelazione, il motivo per cui Julya è tornata.

Buona lettura^^


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It's such a shame for us to par


Nobody said it was easy
It’s such a shame for us to par
Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard
Oh take me back to the start

The scientist- Coldplay



Stava sistemando alcuni vestiti in cassetto quando Stefan era entrato in camera.
L'aveva guardata per un po' mentre, intenta nel suo lavoro, continuava a canticchiare una canzone russa che la ossessionava.
Sapeva che era giunto il momento di sedersi e parlare, ma avrebbe voluto poter rimanere ancora qualche minuto così, provando a illudersi che tra loro niente si fosse mai incrinato.
Sarebbe stato bello.
Julya sapeva che Stefan la stava guardando, appoggiato alla stipite della porta, ma aveva paura che voltarsi avrebbe voluto dare il via alla distruzione di quello pseudo-legame che ancora li univa.
Alla fine, fu lui a sedersi sul letto accanto al borsone che Julya stava svuotando.

Presumo che fosse più o meno questo che facevi l'ultima volta che ci siamo visti, mentre io dormivo”
Julya incassò il colpo mordendosi le labbra.

Sì, più o meno” ammise sinceramente.
Immagino che per te sia stata molto dura”
Non prendermi in giro, Stefan”
Le sue sofferenze non potevano essere paragonate a quelle di Stefan. Il suo rimorso, la tristezza, la solitudine non reggevano il confronto con la repulsione, l'odio verso di sé e il desiderio di autodistruzione, questo Julya lo sapeva, ma non era disposta ad accettare che la decisione più difficile della sua vita venisse criticata a cuor leggero.

Perché sei tornata, Julya?”
All'improvviso, sembrò che Stefan fosse molto stanco e Julya si lasciò cadere accanto a lui abbandonando ciò che stava facendo con un sospiro. Lo capiva: anche a lei sembrava di avere improvvisamente le spalle oppresse da un peso enorme.
Occhi fissi sul premio, Juls.

Te l'ho detto, ho bisogno di aiuto”
Per cosa?”
A quel punto Julya avrebbe dovuto raccontargli tutta la storia, quella vera, spiegargli cosa la spingesse alla disperata ricerca del reperto, farlo non perché dovesse, ma perché era la cosa giusta da fare. E anche se non era sempre stata brava a farla, voleva almeno provarci.
Per Stefan, si era detta.
Eppure, non era sicura. Oh, voleva disperatamente dire tutto a Stefan e lasciare che secoli di tentativi, fallimenti e delusioni trovassero finalmente una consolazione tra le sue braccia, ma vedeva i suoi occhi e non vi leggeva nessuna possibilità di perdono.
Allungò una mano per cercare la sua, ma Stefan la allontanò. Allora capì: non ci sarebbe stata nessuna comprensione per lei, per le sue azioni e per il motivo che l'aveva spinta ad agire, nessun affetto, nessun amore.
Quello era il vecchio Stefan, una persona che era andata e che non sarebbe tornata, che lei -stupida e sciocca, così ingenua da credere che bastasse tornare per riavere indietro ciò che aveva lasciato- aveva lasciato andare.
The show must go on, pensò con un groppo alla gola e così si preparò a raccontargli una parte della storia.
Non le importava più di raccontare una bugia che l'avrebbe fatta sembrare una creatura spregevole: perché avrebbe dovuto preoccuparsene? Stefan la odiava già e lei sentiva di non potergli raccontare
quella parte della verità.

Sto cercando il santo Graal” confessò alla fine, reprimendo il groppo di lacrime che le opprimeva la gola.
Stefan socchiuse le palpebre, poi scoppiò a ridere di gusto, come se avesse appena raccontato una bella barzelletta.

Tu devi essere impazzita. Il Graal è un'invenzione, Julya”
Non è così” si ostinò lei “Ho dedicato la mia vita a questo, pensi che lo farei se non avessi la certezza che esiste, da qualche parte nel mondo?”
All'improvviso lo sguardo di Stefan si fece affilato “Ed è per questo che te ne sei andata? Per una
favola della buonanotte?”
Il sorriso che si aprì sul volto di Julya era amaro “Se me ne fossi andata per un altro motivo sarebbe stato accettabile, Stefan?”
Aveva colpito il punto, si disse il ragazzo: per qualunque motivo se ne fosse andata, non sarebbe mai stato abbastanza agli occhi di Stefan.

Ascoltami” lo incalzò “so che cosa pensano tutti. La gente crede che sia una leggenda, una cosa tipo Mantello dell'Invisibilità, ma non è così. Dopotutto, tu più di tutti dovresti credere che io non sia pazza. Siamo vampiri, Stefan: creature leggendarie per definizione, non dovremmo neanche esistere. Ma siamo qui e se esistiamo noi, perché non può farlo anche il Graal?”
Ammettiamo che esista. Come pensi di trovarlo?”
Per tanti anni ho cercato una traccia e ho trovato qualcosa. Capisci, Stefan? Dopo tanti anni, potrei essere vicina a trovare ciò che cercavo. Aiutami” lo implorò, guardandolo negli occhi e cercando di trasmettergli tutta la sincerità e il bisogno che sentiva dentro.
Perché lo stai cercando?”
Sperava che non le facesse quella domanda perché era esattamente a quella che non avrebbe potuto rispondere sinceramente.
Non ora che tra loro si era creata quella distanza abissale.

Ambizione, suppongo”
Si sentì una creatura spregevole quando vide lo sguardo del vampiro, ma si costrinse a non abbassare il proprio.
Stefan aveva pensato di non essere in grado di negarle il proprio aiuto, aveva creduto che fino a quando lei lo avesse guardato in quel modo, lui avrebbe capitolato. E invece si era sbagliato.
Non poteva tenderle una mano, non ora che aveva capito di trovarsi di fronte a una copia di suo fratello, forse addirittura peggiore.
Damon poteva essere egoista e spietato, ma almeno si era sforzato di cambiare per Elena e – voleva vederla così, anche se forse si sbagliava- anche per lui, suo fratello.
Lei no. Julya pensava solo a se stessa e non gli importava di ferire gli altri. Lei era peggio di Damon: lui almeno non si era mai finto migliore di quanto non fosse in realtà.

No”
Si alzò e si diresse a lunghe falcate verso la porta. Julya lo imitò e si aggrappò al suo braccio.

Per favore, Stefan” lo supplicò.
Aveva creduto che, qualunque cosa lei gli avesse chiesto, lui l'avrebbe fatta solo per vederla felice; fu strano accorgersi che neanche i suoi occhi supplicanti e il suo sorriso -seppur stiracchiato e tremante- avevano più potere su di lui.
Era il simbolo del fatto che non era più lo Stefan di una volta.

No. Per quel che mi riguarda” sibilò “puoi anche andare al diavolo”
Detto questo, attraversò l'uscio e Julya si ritrovò letteralmente a mani vuote, senza nessuno che la raccogliesse quando si lasciava scivolare a terra.


*


Julya non era mai stata il tipo da piangersi addosso per troppo tempo e, per quanto si sentisse abbandonata, non avrebbe lasciato che quel senso di scoramento la sopraffacesse.
C'erano troppo cose da fare, indizi da trovare e lei aveva sempre meno pazienza. Erano secoli che attendeva un segno concreto e ora che lo aveva trovato, che era così vicina al Graal, non voleva più perdere tempo.
Quella sera, però, avrebbe fatto un giro in città: la sua mente era troppo obnubilata dalla discussione con Stefan per potersi rivelare produttiva.
Avrebbe chiesto a Damon se c'era qualche posto in cui potesse andare, ma prima volta fare quattro passi.
Sotto la doccia, le parole di Stefan non facevano che accalcarsi nella sua mente e ripetersi come una litania.
Avrebbe potuto fermarle e chiuderle in un cantuccio, un posto dove non avrebbe mai più potuto trovarle, ma aveva ancora bisogno di assaporare e comprendere le emozioni che le avevano fatto provare.
Non le avrebbe dimenticate, anche se forse avrebbe potuto: capiva cosa avesse provato Stefan, il senso di abbandono che doveva averlo annichilito quando si era svegliato e aveva capito che se n'era andata senza rimpianti.
Ma quello era ciò che credeva lui: il più grande rimpianto che avesse era proprio quello di non avergli chiesto di andare con lei.
Ma allora pensava che fosse la scelta migliore, anche se a distanza di anni non era facile ricordarne il motivo.
Uscì dalla doccia in fretta, prima che troppi pensieri le procurassero un mal di testa con i fiocchi e si infilò nel primo vestito che pescò dall'armadio.
Fu una fortuna che Damon fosse a casa perché non le andava proprio di vagare per la città senza meta, magari elemosinando informazioni dai passanti.

C'è un posto dove possa andare per non passare la serata a compatirmi?” gli chiese con un sorriso che voleva dissimulare la verità nelle sue parole.
Il Grill. Non aspettarti chissà che, ma è sempre meno del tuo allettante programmino. Stavo andando lì, vuoi un passaggio?”
Julya scosse il capo “No, grazie. Farò una passeggiata”

Certo” la prese in giro “e come pensi di arrivarci se non sai dove si trova? Forza di volontà?”
No, teletrasporto. Sei il primo a cui confesso il mio segreto” ammise con uno sguardo così serio che Damon si stupì: pensava che chiunque frequentasse il suo fratellino fosse incapace di un po' di sana ironia e sarcasmo, ma evidentemente Julya era l'eccezione che confermava la regola.
Si era aspettato una nuova Lexie e invece... lei gli piaceva decisamente di più.
Intanto la vampira aveva indossato il cappotto e aveva varcato la soglia.

Sono contento che ne abbiamo parlato!” le urlò dietro e lei alzò una mano in segno di saluto, senza voltarsi.



Dopo una passeggiata di venti minuti, Julya non aveva ancora deciso se Mystic Falls le piacesse o meno.
Non aveva niente che le ricordasse la sua San Pietroburgo, ma non era sicura che potesse esistere un posto -al di là di San Pietroburgo stessa- che potesse reggere il paragone nella sua mente.
Era stata a Londra, Berlino, Vienna e tutte le capitali d'Europa e Parigi era la sua patria d'elezione; nonostante tutto, San Pietroburgo aveva nel suo cuore un posto speciale, dal quale nessuna altra città avrebbe potuto spodestarla.
Non era la più bella o la più ricca, ma era la sua casa e questo niente lo avrebbe mai cambiato.
Per le vie di Mystic Falls si respirava già l'atmosfera del Natale -anche a un mese di distanza- con le luci bianche e colorate sulle facciate delle case e sugli alberi e le canzoni di Natale che le casse posizionate in punti strategici propinavano continuamente.
Forse quella era la parte migliore di tutte quelle decorazioni.
A Julya la musica piaceva, proprio come le piaceva cantare. Era da tanto che non lo faceva più.
A dire il vero, erano decenni che non faceva più niente a parte cercare e cercare ancora. Era diventato più che lo scopo di una vita: era letteralmente la sua vita.
Doveva solo sperare che ne valesse la pena.
Ma quella era -avrebbe dovuto essere, si corresse- una serata di relax e perciò si concentrò su un altro argomento.
Intanto aveva raggiunto il Grill, a giudicare dall'enorme insegna che faceva bella mostra di sé in alto sulla facciata.
Rimase piacevolmente colpita dall'interno; era esattamente come se lo immaginava: un locale un po' vecchio stile dai colori scuri e con un angolo bar da far invidia a qualunque locale alla moda di una città ben più grande.
Nell'aria c'era odore di fritto, di cibo e di alcool, ma le piacque: dava l'impressione di un ambiente allegro, privo di complicazioni e di pretese.
Si avvicinò al bar e si lasciò scivolare su uno sgabello, poi ordinò una tequila. Non le piaceva bere, ma diminuiva la sete e quella sera aveva bisogno di un deterrente ai pensieri scomodi.

Tequila? Davvero?”
Riconobbe la voce beffarda di Damon Salvatore e non ebbe bisogno di voltarsi: si accomodò accanto a lei senza bisogno di essere invitato e si fece portare un bicchiere di bourbon.

Bourbon? Sul serio?” lo scimmiottò.
Sai, di solito chi ordina tequila è una persona tranquilla e serena”
Ti svelerò un segreto” si avvicinò appena voltando lo sgabello in modo da poterlo fronteggiare “Chiunque lo abbia detto, di sicuro non beve tequila”
Damon rise della sua smorfia e ammise che quella ragazza era divertente. Come diavolo faceva ad essere amica di Stefan?

In ogni caso” aggiunse “di solito non bevo tequila. Preferisco di gran lunga uno scotch di ottima annata, possibilmente al malto e molto invecchiato”
Il fascino delle cose vecchie” la prese in giro e Julya rise ancora.
Poi Damon cambiò argomento “Stefan ti ha presentato qualcuno dei suoi amici?”
Julya rise abbandonando la testa indietro “Sì, certo, magari tra un litigio e l'altro. Oppure, ancora meglio, dopo aver cercato di evitarmi e prima delle sue recriminazioni”
Damon ghignò, poi sorseggiò ancora un po' del suo bourbon e alla fine si alzò, portando con sé il bicchiere e Julya.

Bene, allora farò io gli onori di casa. Certo, mi rendo conto che non sono fighi come noi, ma questo è ciò che passa il convento”
Julya rise e per un attimo si chiese quanto sarebbe stata più facile la sua vita se l'avesse guardata con gli occhi di Damon.
Poi si accorse che lui la stava trascinando verso il piccolo palco rialzato dove c'era il tavolo da biliardo. Intorno, un gruppo di ragazzi rideva a crepapelle guardando la ragazza impegnata a spaccare il triangolo perfetto per iniziare la partita.
Avrebbe voluto protestare e magari andarsene, ma erano troppo vicini e il gruppo si era già fermato e li guardava con curiosità.

Signori, signore” salutò Damon accennando un saluto con la mano in cui teneva il drink mentre con l'altra indicava Julya “Lei è Julya...” e allora Damon si accorse di non conoscere il suo cognome, perciò lasciò perdere “Un'amica di Stefan” concluse.
Buffo, pensò Julya, che proprio lui fosse il meno contento di vederla. Probabilmente Stefan credeva che quella sorta di faccia da poker che aveva indossato servisse a ingannarla, ma doveva aver dimenticato che lei sapeva leggere benissimo anche dietro le sue maschere.
Decise di non fare nulla e si impresse un bel sorriso sul volto mentre stringeva una mano dopo l'altra, fino ad arrivare a una ragazza bionda, un vero vulcano che la travolse con un milione di domande.

Di dove sei?”
Se intendi dove sono nata, allora la risposta è San Pietroburgo”
Sei russa?”
I suoi occhi brillavano di eccitazione e Julya si sentì un po' una star sotto i riflettori con tutte quelle attenzioni. Annuì con un sorriso radioso.

Allora, ti va di unirti per la partita?”
Era stato Matt a parlare, il classico bravo ragazzo della porta accanto: le ricordava un po' suo fratello Aleskeij, anche se non avrebbero potuto essere di due bellezze più diverse.

Certo, perché no”
A quel punto Stefan sbottò. Si era detto che andava bene che Julya si infilasse in casa sua, nella sua città e nella sua scuola, ma non poteva accettare che entrasse anche lì, tra i suoi amici.

Non hai niente di meglio da fare? Nessun mitico reperto da cercare?”
Tutti tacquero, imbarazzati e Julya incassò ancora una volta la stoccata perché sapeva di meritarsela.
Si voltò con un sorriso, ma un osservatore attento avrebbe notato che era stiracchiato e teso.

Allora, chi inizia?”
Cercava a tutti i costi di evitare lo scoppiò dell'ennesima lite, ma sembrava che stavolta Stefan non fosse disposto a mollare.
Si sistemò con le braccia sulla stecca e con il mento appoggiato su di esse, simulando una tranquillità che non provava.

Davvero, Juls, non hai nulla di meglio da fare?”
Ok, Stefan” lo fronteggiò con lo sguardo lampeggiante “abbiamo capito l'antifona: sei arrabbiato. Io ho fatto un errore -nel 1928, Cristo santo!- e tu non vedi l'ora di farmelo pesare per l'eternità. Ma puoi, per questa sera, non dico dimenticarlo, ma fare finta che non sia così importante?”
Stefan scoppiò a ridere e la tensione e l'imbarazzo crebbero intorno a loro. Julya scosse il capo e si chinò sul tavolo per aprire la partita.
Sperava che quello servisse ad alleggerire l'atmosfera e a evitare ulteriori discussioni, ma si sbagliava.

Potrei, ma lo faccio per loro. Non vorrei vederti entrare nel gruppo, diventare loro amica, per poi andartene nel momento in cui troverai qualcosa di più importante”
Oh, quindi è questo che pensi” lo prese in giro mentre sceglieva quale palla imbucare. Le piene o quelle con la fascetta?
Sì, è esattamente ciò che penso. Credo che tu sia viziata ed egoista, senza un minimo di altruismo o di spirito di sacrificio. A volte mi chiedo come ho potuto pensare di...”
Di cosa? Di volermi bene?” lo sfidò a continuare, certa che l'avrebbe ferita, ma non le importava. Che lo facesse, se così poteva sentirsi meglio.
Dal canto suo, Stefan era contenta che avesse continuato la frase a modo suo. Lui l'avrebbe fatto in modo diverso, ma ora tra loro non c'era più niente, solo una distanza enorme fatta di rancore e incomprensione.
Erano come le rive opposte di un fiume: vicini, ma incapaci di colmare quella breve distanza che li avrebbe riuniti.

Te ne sei andata” le ricordò ancora una volta.
Oddio! Sì, me ne sono andata” sbottò lei “E tu non riuscirai mai a perdonarmi. Come potresti, non ci riesco nemmeno io”
Sai, avrei anche preso in considerazione l'idea di passare oltre se tu fossi riuscita a darmi una buona motivazione. Ma tu lo hai fatto per ambizione personale!”
Scoppiò a ridere, come se lo divertisse e Julya si chiese come avesse fatto a crederci così in fretta. Aveva mentito con lo scopo di essere creduta, ma non pensava che Stefan la credesse così meschina da fidarsi ciecamente della sua bugia.
Con un sorriso amaro ricordò che le persone vedono esattamente ciò che vogliono vedere: dunque Stefan voleva che fosse così e forse, se gli avesse raccontato la verità, avrebbe potuto crederle.
Ma lui l'avrebbe perdonata sapendo l'altra parte della storia?
Guardando nei suoi occhi verdi, capì che non ci sarebbe stata nessuna comprensione né perdono per lei.
E allora perché raccontarglielo? Perché esporre la parte più remota del proprio cuore e la propria anima agli occhi di un giudice?

Hai ragione” ammise posando la stecca “ho di meglio da fare”
No, dai, Julya, resta. Avrai così tante cose da raccontare” la incitò Caroline e Julya le fu grata per il suo tentativo, ma preferì rifiutare.
Voleva solo andarsene a casa, stendersi sul letto e rileggersi le storie sul Graal. Non voleva lavorare, ma sperava che leggendo quelle vecchie leggende e quei racconti le tornasse alla mente il motivo per cui agiva, lo scopo di un'intera esistenza.
Occhi fissi sul premio.


Continua


**

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Capitolo 4
*** Eyes on the prize ***


Eyes on the prize- Ekleipsis 4

Bonjour a tout le monde!
Sono tornata, contenti?
Be', spero davvero di sì.
In ogni caso, due piccole note prima di iniziare il capitolo. Per quello che concerne il sacro Graal, mi sono ispirata al film “Indiana Jones e l'ultima crociata”.
Tutto ciò che è scritto sulla coppa da qui in avanti è tratto dal film e da Wikipedia, con giusto qualche variazione da parte della mia fantasia.
Chi ha visto il film sa di cosa parlo, ma era giusto che tutti sapessero che mi sono ispirata a fonti esterne.
Detto questo, vi lascio alla storia


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Eyes on the prize



Quasi tutto il segreto delle anime grandi si
racchiude in questa parola:
perseverando.
Victor Hugo



Una settimana, cioè sette giorni, centosessantotto ore, diecimilaottanta minuti e seicentoquattro mila ottocento secondi – che poi, lei non li aveva certo contati a uno a uno!- dopo la litigata al Grill, lei e Stefan ancora non si parlavano e Julya sapeva che non era una di quelle volte in cui tutto si risolveva con un bel bicchiere di whisky e tanti cari saluti.
A dire la verità, neanche lei voleva che fosse così facile. Le andava bene essere accusata, disprezzata e ancora accusata, ma c'era un limite a tutto e la sua pazienza non era infinita, anche se qualcuno avrebbe potuto dire che lo fosse, visto che inseguiva lo stesso obiettivo da quasi cento secoli.
Il fatto era che con i reperti storici era più facile; le persone, invece, creavano un sacco di problemi: soffrivano, provavano sentimenti e reagivano di conseguenza, spesso fraintendevano le azioni altrui e non era sempre facile rimediare.
Insomma, c'erano una serie di variabili che rendevano più difficile perseverare.
E Julya... be', lei non era brava a correggere i propri errori, troppo orgogliosa per accettare di averne fatti. Anche ora che Stefan la odiava, non riusciva a non provare rancore verso di lui che, insomma!, era così cieco da non vedere la sua bugia per ciò che era.
E non aveva nessun diritto di essere in collera con lui perché razionalmente lei aveva torto, ma era un vampiro e, anche se oramai non era più una novellina, le sue emozioni erano comunque molto più intense di quanto un essere umano potesse immaginare e gestire.
Comunque, ciò che provava per Stefan non aveva alcuna importanza, non in quel momento. Così decise di dedicarsi al proprio lavoro.
Tirò fuori un fascicolo pieno di documenti, appunti e fotografie e ne estrasse alcune che ritraevano una tavola di arenaria che aveva stimato risalire al XII secolo.
La tavoletta aveva una storia travagliata e per trovarla Julya ci aveva messo secoli. Aveva spremuto tutto il suo ingegno e tutta la sua non trascurabile conoscenza della storia per trovare un manufatto, qualcosa da cui partire.
Alla fine, l'aveva scovata per caso in uno scavo in Turchia mentre fingeva di essere una studentessa in vacanze e curiosava tra i reperti di notte, quando nessuno poteva vederla.
Lei era lì, semi-distrutta e incompleta, ma non era stato possibilità per Julya fraintendere ciò che c'era scritto.
Era latino, non ci era voluto nulla per tradurlo: “dove la coppa che contiene il Sangue di Gesù Cristo risiede per sempre” erano le esatte parole che l'avevano fatta sobbalzare.
Se fosse stata ancora viva, il suo cuore sarebbe partito al galoppo per la scoperta. Avrebbe potuto rubarla, ma aveva preferito scattare foto su foto e lasciare Ankara il giorno successivo.
Era talmente elettrizzata!
Non aveva ancora letto tutta l'iscrizione perciò si apprestò a farlo in quel momento.
Le bastò leggere per intero ciò che aveva trovato per capire di essere a un punto morto. La tavoletta le confermava l'esistenza di un Graal da cercare, ma a parte questo non diceva nulla.
Gole, deserti, montagne, vallate... le venivano in mente migliaia, se non milioni, di posti che potevano corrispondere a quella descrizione e mancava più di metà della tavoletta.
Era a un punto morto e trovare la tavoletta non era servito a niente. Aveva sperato che fosse un gioco facile e dopo tanti anni non si sarebbe arrabbiata se avesse trovato un'indicazione più esplicita, una cosa come “per il sacro Graal da quella parte” o “seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”.
Invece no: si trovava ancora a giocare alla caccia al tesoro e il colmo era che lei non aveva neanche una cartina del posto in cui scavare.
Ebbe un momento di abbattimento.
Se davvero non aveva in mano altra che aria fritta, allora anche il suo viaggio fino a Mystic Falls era stato una perdita di tempo.
Tutta la tristezza, la rabbia e il dolore non erano serviti a nulla più che riaprire vecchie ferite.
Dovette sopprimere il ringhio che le era salito alle labbra e la tentazione di rompere qualcosa, come se mandare in frantumi un vaso o un mobile potesse permettere a lei di tenere insieme tutti i pezzi.
Alla fine chiuse gli occhi e strinse i pugni così forte da ferirsi. Poi si alzò e uscì dalla stanza a passo di marcia, incurante del sangue che le macchiava le unghie e i polpastrelli: sarebbe guarita da sola, cosa le importava di cosa avrebbe pensato la gente vedendo il sangue?
Incrociò Stefan. Lui stava salendo le scale proprio mentre lei aveva messo il piede sul primo gradino e le scoccò un'occhiata di scherno quando vide i pugni serrati e sentì l'odore del sangue.

Come procedono i tuoi studi?”
Julya assottigliò lo sguardo, indecisa se accettare anche quella stoccata o reagire. Francamente, credeva di aver sopportato fin troppo e non era da lei subire passivamente, qualunque errore dovesse scontare.
Insomma, aveva fatto cose ben peggiori che lasciare Stefan e mai aveva permesso a qualcuno di trattarla in quel modo.
Ma lui era Stefan e, per quanto si impegnasse, non riusciva a vedere in lui che l'amico di un tempo.
Alla fine, optò per la via diplomatica.

Procedono” proclamò con voce stentorea.
Immagino che sia per questo che sei così arrabbiata
Attento” sibilò facendo un passo avanti e avvicinandosi “non sono esattamente dell'umore adatto a farmi prendere in giro”
Stefan rise e si chinò su di lei per sussurrarle all'orecchio. Sembrava un momento così intimo, così dolce che Julya sperò che potesse perdonarla ed essere di nuovo suo amico, proprio quando aveva più bisogno di conforto.
Niente nella sua vita stava andando come lo aveva programmato e, sotto l'aria da dura, sentiva di andare alla deriva.

Sei patetica. Sono contento che le tue ricerche non procedano come speravi”
Julya sentì una marea di sensazioni contrastanti. Il cuore le balzò in gola e poi sprofondò sotto i piedi con un sussulto, boccheggiò e impallidì.
Poi ringhiò, ma Stefan non sembrò per niente impressionato. Sembrava piuttosto divertito e Julya si chiese dove diavolo fosse finito il suo amico. Perché, poco ma sicuro, lui non lo era.
Tremò da capo a piedi per la rabbia, la delusione, la frustrazione e tutte quelle sensazioni che la facevano soffocare, annaspando alla ricerca di aria come se stesse annegando.
Fu sul punto di dire qualcosa, ma la voce la tradì e non le restò altro da fare che schiaffeggiarlo con tutta la forza che aveva.

Nonostante tutti i tuoi tentativi” annunciò con voce tremula “non riuscirai a tenermi lontana e io non mi arrenderò”
Stefan non si aspettava le sue parole né lo schiaffo; barcollò, ma Julya non vide quale fu la reazione successiva perché era già scivolata giù dalle scale ed era uscita di casa sbattendo la porta.


*

E poi se n'è andata”
Stefan finì di raccontare e si accasciò sullo schienale del letto di Elena. Non avrebbe voluto parlarne, ma lei aveva visto che era turbato da qualcosa e lo aveva sommerso di domande fino a quando, stremato, non aveva iniziato a raccontare.
Julya si stava rivelando più problematica di quel che avesse pensato. In quella settimana era rimasta per lo più nella sua stanza e non aveva disturbato, questo era vero, ma Stefan sentiva la sua presenza in ogni momento della giornata.
Sentiva il suo respiro al piano di sopra, il fruscio delle pagine che sfogliava con tanta ostinazione di continuo e gli veniva spontaneo immaginare la sua espressione in quel momento.
Immaginava fosse un mix di disappunto e rabbia silenziosa, con le labbra serrate e un sopracciglio inarcato a riprova della sua insoddisfazione.

E tu non pensi di esserti un po' meritato quello schiaffo?” gli domandò Elena esitante.
Si era detta che sarebbe stata dalla parte di Stefan in quella questione, perché lui era il suo ragazzo e lei una perfetta estranea, ma provava dispiacere per Julya, immaginando il muro di silenzio e rancore con cui doveva trovarsi a combattere ogni giorni a casa Salvatore.
Certo, aveva sbagliato, ma non meritava per questo di essere perdonata?
Segretamente, era stupita dal comportamento di Stefan. Lui non era un santo, aveva commesso molti errori e ne aveva visti commettere agli altri.
Nonostante ciò, aveva trovato la forza di perdonarli o, comunque, di iniziare a farlo. Damon era un ottimo esempio.
Loro si erano uccisi a vicenda, la questione era molto delicata, ma vedeva i passi avanti che facevano l'uno in direzione dell'altro sulla via del perdono.
Ci sarebbe voluto ancora del tempo per riuscire a passare oltre a un gesto così grave, ma era sicura che il tempo avrebbe sanato del tutto le ferite del passato.
Dunque, perché Stefan non riusciva a perdonare un gesto così blando al confronto come quello di Julya?
A volte si chiedeva se non ci fosse di più di quel che Stefan le aveva raccontato.
Rimasero un po' in silenzio, fino a quando Stefan non le fece cenno di andare a sistemarsi tra le sue braccia ed Elena lo fece.
Quando Stefan la strinse a sé, si accorse che nonostante tutto le preoccupazioni non erano scomparse.
Continuava a pensare a Julya, allo schiaffo, a ciò che aveva visto nei suoi occhi e a chiedersi cosa fare con lei.
Ma non era il momento, non ora che Elena era tra le sue braccia e lui avrebbe dovuto pensare solo a lei.
Eppure l'immagine di Julya lo tormentava e forse, dopotutto, lo schiaffo se lo era meritato davvero.
La voce di Elena interruppe i suoi pensieri.

Come vi siete conosciuti?”
E' una lunga storia” ammise con un sorriso nostalgico “c'era un locale a Philadelphia e lei cantava mentre io ero in pista e...”
Tu ballavi?”
Più o meno”
Stefan rise ed Elena si tirò su, guardandolo con gli occhi scuri ridenti “Voglio sapere tutto. Tu che balli senza essere obbligato... questa sì che è una scoperta!”
Rise anche lei e Stefan le fu grato per aver alleggerito l'atmosfera. Passarono il pomeriggio così, Elena a ridere e Stefan raccontando il proprio passato.


*


Non sapeva neanche lei come avesse fatto a trovare quel locale così carino, ma era contenta di averlo fatto.
Era piuttosto isolato, in una via secondaria, e lei ci era entrata per caso mentre vagava senza una meta.
Aveva sperato di trovare una libreria: i libri la calmavano sempre quando sentiva di essere un groviglio indistinto di sensazioni e non riusciva a capire da dove iniziare per mettere ordine.
Invece aveva scovato quella piccola caffetteria che si era rivelata una cioccolateria e una pasticceria.
E be', lei aveva un debole per il cioccolato e per i dolci, così si era accomodata a un tavolino di legno chiaro in un angolo e aveva ordinato.
Anche se come vampira non aveva bisogno di cibo, lei si era aggrappato con forza al suo lato umano. Non aveva mai pensato di spegnere i sentimenti, anche se forse sarebbe stato molto più semplice, né aveva mai abbandonato le abitudini che aveva quando era ancora viva e il cuore le pulsava nel petto.
Forse sarebbe stato tutto più facile se avesse dimenticato ciò che era stata un tempo, glielo avevano detto in molti, ma lei non li aveva ascoltati.
Smettere di aggrapparsi a ciò che le restava della propria umanità avrebbe voluto dire privarsi anche di momenti come quello, rari sprazzi di serenità che le ricordavano che lei non era solo un abominio della natura.
Aprì un libro e si portò la tazza di cioccolata alla bocca, sospirando poi di piacere. Era tutto ovattato, anche la canzone che usciva dalla radio vintage sulla mensola dall'altro lato della stanza. Persino la musica era vintage in quel posto.
Si immerse nella lettura e Hemingway la cullò con le sue parole. Aveva un modo di scrivere travolgente, asciutto, conciso, ironico, ma non avrebbe potuto essere altrimenti visto che Hemingway era stato un uomo spavaldo e malinconico, a volte un po' spaccone.

Addio alle armi? Davvero?”
La voce di Caroline Forbes la riportò con i piedi per terra e riemerse da quel mix di lettura e ricordo mentre la vampira si sedeva di fronte a lei.

Già. E' un bel libro e Hemingway era un uomo affascinante”
Lo hai conosciuto?”
Caroline era così genuinamente sorpresa che Julya rise. Poi si chiese se fosse mai stata così piena di luce: la invidiava per quello.
Sembrava accettare la realtà così com'era, buttandosela alle spalle con un sorriso ottimista... era mai stata così lei?
Non credeva.
"Sì, prima che cominciasse a scrivere tutti quei meravigliosi libri”

Devi aver avuto una vita davvero eccitante”
Non è stata male” le concesse chiudendo il libro e sorridendole. Caroline le piaceva, non solo per quell'ottimismo innato che sembrava renderla impermeabile a ogni tentativo di distruggerla. Lei era luce pura, bianca, accecante.
E Julya, che non era mai stata luce ma neanche tenebra, ne era affascinata e non capiva come l'altra potesse trovare qualcosa di ammaliante in lei.

A dire la verità” continuò “è stata più di questo. E' stata bella. Sono nata nel 1872, a San Pietroburgo, ma quando sono stata trasformata ero al Cairo e avevo diciotto anni”
E cosa ci facevi in Egitto?”
Julya sorrise della curiosità di Caroline e continuò con la propria storia. Era così tanto tempo che non la raccontava e le faceva uno strano effetto risentirla.

Ero l'assistente di un intellettuale, una sorta di archeologo. Vedi, dopo la traduzione della stele di Rosetta, l'egittologia era diventata materia di enorme interesse e non sai quanti studiosi di storia antica scelsero di unirsi agli scavi.
L'Europa era in fermento: Bismark con la sua Germania era l'ago della bilancia, ma era la belle époque e la vita nelle capitali europee era brillante, c'era speranza ovunque, fiducia nel progresso e l'arte conobbe un periodo di enorme splendore in molti campi.
C'erano scavi in tantissimi luoghi del Egitto. Il mio maestro, Gregory Lewitt, era appassionato di antichità e un esperto di civiltà egizia: una rarità in un impero arretrato come la Russia” si interruppe un momento, ricordando il volto grassoccio di Gregory e il suo sorriso allegro, il naso arrossato per qualche bicchierino di vodka di troppo e lo sguardo penetrante, ma bonario.
Quando era piccola pensava che lui fosse Babbo Natale e non solo perché arrivava puntuale la mattina del sette gennaio (*) per portare qualche piccolo dono a tutti i contadini del suo latifondo.

D'altronde, lui era un inglese. Aveva ereditato la proprietà da sua madre o qualcosa del genere: alcuni dettagli della mia vita passata sono un po' sfuocati. Comunque, aveva un modo di trattare coloro che lavoravano alle sue dipendenze che lasciava intendere che non fosse russo. Era gentile, soprattutto con noi bambini e aveva aperto per noi una scuola dove potessimo ricevere un'educazione rudimentale. Non so bene perché scelse di essere il mio istruttore privato, non so cosa vide in me, ma mi prese sotto la sua ala e mi insegnò tutto ciò che sapeva. Poi, a diciotto anni, mi chiese di seguirlo in Egitto. Sono morta lì, per una febbre”
E poi cosa hai fatto?”
Ho viaggiato. Mi ci è voluto un po' prima di riuscire a controllarmi del tutto, ma alla fine ce l'ho fatta. Nel frattempo, ho visitato l'Europa e ho conosciuto personaggi di cui tu hai letto solo nei libri di storia. Ho conosciuto Lev Tolstoj e ho letto il manoscritto di Guerra e Pace quando era ancora solo una bozza, ho visto la costruzione della Torre Eiffel, ho ascoltato Emily Dickinson leggere le sue poesie e ho assistito alla prima esposizione di un sacco di quadri di Monet, Degas e quanti altri”
Hai conosciuto Emily Dickinson?”
La voce di Caroline e il sussulto con cui si era avvicinata le fecero capire che doveva essere una fan della grande poetessa che anche lei aveva tanto apprezzato. Annuì e sorrise.

E quando hai conosciuto Stefan?”
Quella era una nota dolente.
Julya non era sicura di volerne parlare, ma ricordava quella notte e la faceva sempre sorridere, a volte con nostalgia.
Caroline se ne rese conto.

Scusa, non dovevo chiedertelo”
No, non preoccuparti. E' solo che dopo gli avvenimenti recenti mi chiedo se torneremo mai a essere le due persone che eravamo una volta”
Caroline si fece seria in volto e avvicinò la sedia a lei.

Sai, forse dovresti parlarne con qualcuno. Quando è stata l'ultima volta che ti sei confidata con qualcuno?
Uhm, era il 1910 e me n'ero andata da poco da New Orleans. Ero ubriaca e credo di aver parlato con un venditore di tappeti, a Nairobi”
Caroline scoppiò a ridere e alla fine Julya la imitò “In effetti” ammise tra una risata e l'altra “ho questo vago ricordo e credo che alla fine mi abbia anche convinta a comprarlo, uno dei suoi tappeti”
Allora risero di più e fino ad avere le lacrime agli occhi, poi ripresero a parlare e lentamente il discorso si fece sempre più personale.
Julya aveva avuto delle amiche, ma non aveva mai approfondito nessun legame, un po' perché troppo impegnata a studiare -quando era umana, per avere un futuro migliore di quello che le sarebbe spettato se fosse rimasta a San Pietroburgo- un po' perché troppo presa dalla propria ricerca – dopo, quando era stata trasformata.
Perciò era una sensazione insolita quella che provava in quel momento, con Caroline. Si sentiva libera, compresa e accettata per quello che era, importante.

Che cosa stai cercando così disperatamente, Julya?” le chiese a tradimento. Non si aspettava una domanda così diretta, ma avrebbe risposto.
Probabilmente le sue ricerche si sarebbero bloccate a quel punto morto, perciò cosa aveva da nascondere? Foto di una tavoletta e fogli pieni di favole della buonanotte?

Sai cos'è il sacro Graal, Caroline?”
La ragazza scosse la testa e Julya continuò la sua spiegazione “E', secondo la leggenda, la coppa in cui venne versato il sangue di Cristo. Ha poteri enormi, tra cui anche quello di riportare in vita i morti. E questo che cerco”

Ma se è una leggenda cosa ti fa credere che esista?”
Anche i vampiri sono leggende, in teoria, ma io non mi sento molto leggendaria, non so tu”
Ma perché ha tanto valore per te?”
Le sorrise appena, misteriosa ed enigmatica “Questo è un segreto, Care. Ma oramai sono a un punto morto e, detto sinceramente, non so più dove andare a sbattere la testa”

Qual è il problema? Posso aiutarti?”
Be', a meno che tu non abbia a disposizione qualcuno che sia su questa terra da almeno un migliaio di anni e possa darmi alcune informazioni, non credo che tu possa fare molto”
Poi accadde qualcosa che non si era aspettata. L'espressione di Caroline fu attraversata da un lampo di comprensione e mutò fino a diventare radiosa.

Oggi è la tua giornata fortunata”


*


Mezz'ora e tante chiacchiere dopo erano davanti alla porta di una bella villa che, a occhio e croce, risaliva ai primi anni dell'ottocento.
Una bella casa in stile coloniale che rivelò un arredo sapiente ed elegante all'interno: fu una bella sorpresa perché i colori si sposavano alla perfezione l'uno con l'altro e decorazioni e ambiente erano chiaramente frutto di un occhio esperto.

Ora mi puoi spiegare dove siamo e cosa stiamo facendo qui?”
Julya era, come lei, una vera e propria maniaca del controllo e non sopportava di non sapere di non avere in mano la situazione, anche se a guidarla era Caroline e di lei si fidava.

Sappi solo che sto facendo un enorme sacrificio a portarti qui: non sono contenta neanche io, ma Klaus è un originale e potrebbe avere le risposte che cerchi”
Aspetta, Klaus Mikaelson?”
Caroline annuì e suonò il campanello senza far caso al volto di Julya. Una mezza dozzina di sensazioni diverse fecero capolino per poi scomparire nell'arco di un millesimo di secondo, tanto che mezzo minuto dopo il suo volto era di nuovo una maschera indecifrabile.
Venne ad aprire proprio Klaus e Julya si chiese se l'avrebbe riconosciuta: dopotutto, erano passati tanti anni.
Lo sguardo di Klaus si concentrò solo su Caroline e sembrò escludere tutto il resto anche quando le fece entrare.
Con sollievo si accorse che Caroline gli piaceva: Klaus non faceva mai favori a qualcuno per nulla, ma forse se glielo avesse chiesto lei, Julya avrebbe ottenuto ciò che voleva.
A dire il vero, si sentiva un'approfittatrice a pensare di agire il quel modo, tuttavia non vedeva altre vie d'uscita dalla situazione ingarbugliata in cui si era ritrovata.
Prese il coraggio a due mani – per un attimo si sentì come una bambina che ha combinato una marachella e teme di essere sgridata- poi si disse che non aveva affrontato una rivoluzione e due guerre mondiali per indietreggiare di fronte a Klaus.

Ciao Klaus, ti ricordi di me?”
Si impresse sul viso un sorriso pieno di supponenza; lui le sorrise e Julya seppe che sì, non l'aveva dimenticata.

Certo. Julya, una delle vampire create da Kol”
Già, quella che era presente la volta in cui gli hai infilato un pugnale nel cuore” gli fece presente con voce pacata, come se il ricordo di quella violenza non le facesse venire i brividi ogni volta che ci pensava.
Ricordava con nostalgia Kol: lui l'aveva trasformata e si era preso cura di lei quando si era risvegliata.
La guardava sempre con un sorriso e gli occhi languidi di passione e sentimento. Non aveva dimenticato come la stringeva a sé e i suoi baci... oh, i suoi baci erano afrodisiaci almeno tanto quanto il suo sangue.
Avevano vissuto insieme per quasi vent'anni prima che Klaus lo pugnalasse.
O meglio, avrebbe voluto ricordarlo, ma la verità era che non aveva mai osato pensare a lui da quando Klaus glielo aveva portato via perché ogni volta che ci provava si sentiva straziata e con un enorme buco nel petto.
Per un po' aveva preferito credere di aver scambiato la gratitudine per amore, ma sapeva che aveva solo tentato di ingannare se stessa per non ammettere che Kol era stato davvero il suo primo amore e che le mancava da morire ogni giorno, anche quando non pensava a lui. Una perdita non può essere cancellata dal cuore e lei non era andata oltre.
In fondo, poteva anche essere diventata una vampira, ma restava sempre quella ragazza piena di speranza che non riusciva a dire addio e, in profondità, che mai si era rassegnata, che lo aspettava ancora.
Comunque non doveva permettere a quel ricordo, per quanto doloroso, di influenzarla in quella delicata conversazione.

A cosa devo questa piacevolissima visita?” domandò mentre faceva loro cenno di accomodarsi.
Ho bisogno un favore”
Dritta al punto: mi piace. Sentiamo, di cosa si tratta?”
In realtà, di niente di più che una spiegazione. O notizie, chiamale come vuoi”
Su cosa?”
Ecco, questa è la parte strana. Sono alla ricerca del sacro Graal. E sì, lo so che si pensa che sia un oggetto leggendario, ma possiamo saltare tutta quella parte e passare alle domande?”
Klaus non fece domande, si sistemò meglio sul divano e le fece cenno di continuare.

La settimana scorsa, ad Ankara, ho trovato una tavoletta in cui viene descritto con dovizia di particolari il luogo dove riposa il santo Graal. Purtroppo, la tavola è incompleta e ne manca più di metà, il che la rende praticamente inutile per il mio scopo. Si parla di gole, vallate, deserti, ma è tutto molto vago”
Klaus annuì e si sporse verso di lei “Capisco il punto. Forse posso aiutarti. Lascia che ti racconti una favola della buonanotte”
Si alzò e andò verso una grande cassaforte. Quando tornò a sedersi, aveva con sé un libro dall'aria molto antica che posò con cura sul tavolo.
L'occhio esperto di Julya stimò che doveva essere più o meno coevo alla tavoletta. Lo aprì e ne lesse le scritte in francese antico mentre Klaus continuava la sua storia.

Ho sentito questa storia durante uno dei miei viaggi in Oriente: negli anni delle crociate giravano molti racconti di cavalieri che avrebbero trovato il vero calice di Cristo. Erano tutte fandonie, chiaramente, ma una di queste mi colpì. Il Graal, dopo essere stato affidato a Giuseppe di Arimatea, scomparve e non se ne seppe più nulla per un migliaio di anni, fino a quando non venne ritrovato da tre cavalieri della prima crociata, tre fratelli”
Julya annuì “La conosco” ammise “la leggenda dice che due di questi tre fratelli attraversarono il deserto diretti in Francia, ma solo uno di questi la raggiunse. E si suppone che abbia raccontato la sua storia a un frate francescano prima di morire di vecchiaia”
La voce le tremò nel pronunciare le ultime parole e abbassò di scatto lo sguardo sul libro. Poi guardò di nuovo Klaus con tanto d'occhi e un'espressione di genuina sorpresa sul viso.

Non si suppone” la corresse l'ibrido “quello è il racconto che il frate francescano trascrisse in cui narra la vita del cavaliere”
E rivela il luogo in cui si trova il Graal?”
Accarezzò le pagine con dolcezza, guardandole con desiderio e speranze, come se all'improvviso dovessero prendere vita e raccontarle tutto ciò che custodivano da tanti secoli. Non credeva che un giorno avrebbe mai potuto toccare con mano quel libro -che per lei era sempre stato inarrivabile- ma poterne sfiorare le pagine la faceva sentire un passo più vicina al Graal, allo scopo di una vita intera.
Le tremavano le dita per l'emozione e se avesse avuto ancora un cuore vivo probabilmente avrebbe iniziato a battere furiosamente nel petto, poteva quasi sentirlo.

Non lo so” ammise Klaus “Non l'ho mai letto con attenzione. Suppongo che possa farlo tu”
Dov'è la fregatura?”
Se c'era una cosa che aveva imparato era proprio che nessuno faceva mai niente per niente, figuriamoci Klaus: doveva solo sperare che non fosse un prezzo troppo alto da pagare.
Si sporse verso di lei, un mezzo sorriso a incurvargli le labbra piene.

Consideralo un pagamento anticipato”
Per cosa?”
Se prenderai quel libro, sarai in debito con me” la avvisò, ma Julya non lo ascoltava più. Non le importava il prezzo che avrebbe pagato: dannazione, avrebbe venduto la sua anima se fosse servito a portarla al Graal perciò qualunque cosa le chiedesse non avrebbe fatto alcune differenza.
Prese il libro con delicatezza e strinse al petto poi, sotto lo sguardo preoccupato di Caroline, strinse la mano a Klaus.
Per lei non valevano contratti scritti o firme: era una donna d'altri tempi e una stretta di mano valeva più di qualunque altra cosa.
Si alzarono e Klaus le accompagnò alla porta. Con la coda dell'occhio, Julya vide che lo sguardo di Klaus era solo per Caroline e accennò a un mezzo sorriso.
Era quasi certa che se era riuscita a farsi ascoltare e a ottenere un favore da Klaus lo doveva alla presenza di Caroline perciò si appuntò di ringraziarla in qualche modo.

Grazie, Care” esalò quando furono fuori “Non hai idea di quanto sia importante per me”
Su questo hai ragione. Un giorno forse capirò perché conta così tanto”
Un giorno lo vedrai con i tuoi occhi” le promise e con il libro in mano le sembrò di potercela fare davvero.
Si fermarono in piazza: da lì ognuna avrebbe preso la propria strada verso casa.

Stai cullando il libro” la prese in giro Caroline nel notare lo sguardo quasi adorante con cui Julya guardava il volume.
Rise e Caroline notò come sembrasse diversa da prima. A volte Julya sembrava cupa e rigida, fredda come una stalattite di ghiaccio, ma aveva un sorriso magico, così luminoso da sembrare fatto di luce pura.
E capiva cosa avesse visto Stefan in lei perché Julya aveva un fascino sofisticato e indefinito che si propagava nell'aria insieme al suo profumo e a quel sorriso, a volte sfacciato, a volte supponente, altre radioso come le stelle, la luna e il sole.
Julya le piaceva, anche se non capiva la sua ossessione per la ricerca di qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi una favola. Per il resto, aveva avuto una vita eccitante e splendida, proprio come la sognava Caroline e la invidiava per questo.

Credo che andrò dritta a casa a studiare questo tesoro” annunciò Julya.
Aspetta, aspetta, aspetta! Hai davvero intenzione di chiuderti per chissà quanto tempo in una stanza, da sola, a studiare?”
Non sarò sola” tentò Julya con un sorriso “ci sarà il libro”
Caroline le lanciò un'occhiataccia che Julya interpretò come “cambia risposta, o te lo brucio” o qualcosa del genere.

Non puoi farlo!”
No?”
No! Senti, stasera fai pure quel che vuoi, ma domani ci sarà una festa a casa di Tyler e sarebbe una splendida occasione per rilassarti un po'. Andiamo” aggiunse quando la vide tentennare “il libro non scapperà mica. Dopo potrai studiare tutto il tempo che vorrai”
A quel punto Julya non poté che abbassare la testa e le spalle in segno di resa mentre Caroline le sorrideva entusiasta.
Se non altro, una delle due era felice.

Bene, sono contenta che tu venga”
Ho scelta?”
No”
Chiaramente”
Va bene. Dovrò solo trovare qualcosa da mettere; dopotutto, credo che mi farà bene partecipare a questa festa...”
... alla quale parteciperà anche Stefan” aggiunse Caroline, pronta a ricordarle che oramai aveva detto sì e non poteva rimangiarsi la parola data.
Ci fu minuto di silenzio, poi Julya scrollò le spalle.

Anche una bevuta al Grill però sembra davvero allettante” constatò salvo ricevere una spinta poco delicata da parte di Caroline.
Scherzavo!” si affrettò allora ad aggiungere “Dai, accompagnami a casa”
Ehi, sei tu la più vecchia: non dovresti essere tu ad accompagnare me?” si indignò la bionda e Julya rise con sprezzo.
Mi hai appena costretto a venire alla festa. Accompagnarmi a casa, Care, è il minimo” e si incamminò.
Allora Caroline rise più forte e la seguì.


Continua


**


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Capitolo 5
*** I'll hold you 'til hurt is gone ***


Capitolo 5 Ekleipsis

Buondì!
Cercherò di pubblicare il venerdì ora che The vampire diaries è ripreso regolarmente , ma se la settimana si rivelasse più leggera del solito magari passerò a due aggiornamenti, chissà.
Comunque, nello scorso capitolo avete avuto modo di conoscere meglio il passato di Julya. Ora, il suo presente sarà l'oggetto del capitolo, in particolare il rapporto Julya/Stefan.
Ma non vi anticipo nulla, se no che sopresa è?
Vi avverto, il capitolo non è lungo, ma è di passaggio e mi serviva per “sistemare” alcune cose.
Buona lettura.

 

Lo dedico alle splendide persone che leggono e commentano.
Ma anche a quelle che leggono e basta.


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I'll hold you 'til hurt is gone



Never gonna be alone!
From this moment on, if you ever feel like letting go,
I won't let you fall.
Never gonna be alone!
I'll hold you 'til the hurt is gone.
Nickelback- Never gonna be alone



L'ultima volta che ho partecipato a una festa era il 1945, gli abiti erano decisamente diversi e i cocktail... no, quelli sono rimasti uguali” ammise sorseggiando il liquore direttamente dalla bottiglia che un ragazzo, abbastanza ubriaco da non aver bisogno di essere soggiogato perché mollasse la sua preda, le aveva gentilmente lasciato.
Caroline rise e lanciò un'occhiata all'amica, quella sera più bella che mai nel suo abito nero e viola che faceva risaltare ancora di più il contrasto tra la pelle chiara e i capelli color cioccolato.

Davvero è stata l'ultima volta?”
“Da quel momento non ho fatto che studiare e cercare”

Allora mi sa che hai molte cose da recuperare”
Credo che inizierò da quella bottiglia di vodka laggiù”
Julya si diresse verso il tavolo dove erano state appoggiate bevande e cibarie varie ma si voltò quando Caroline la chiamò.

Non pensi di aver già bevuto abbastanza?”
La guardò con un sopracciglio inarcato e l'espressione divertita.

Care, sono russa” e se ne andò con passo sicuro, facendosi largo tra la folla come se non esistesse.
Si versò un bicchiere di vodka e la sorseggiò piano. Aveva un buon sapore e le ricordava la sua vita da umana, quando beveva la vodka rubata a loro padre durante le feste di paese con i suoi fratelli.
Stefan comparve al suo fianco con un bicchiere vuoto da riempire e l'espressione neutra. Non si parlavano ancora e non le piaceva quella situazione.
Qualcosa doveva cambiare perché se avessero continuato ad asserragliarsi sulle loro posizioni, Julya non avrebbe mai potuto convincerlo ad aiutarla.
Dentro di sé sapeva che era una scusa, un modo per non ammettere con se stessa che voleva solo essere perdonata e avere di nuovo qualcuno al proprio fianco.
Forse sarebbe bastato chiedere scusa, supplicarlo di perdonarla fino a quando non lo avesse fatto... forse sarebbe bastato inghiottire l'orgoglio e parlare con il cuore in mano.
Lo fermò prima ancora di aver deciso cosa fare.

Non ce la faccio a essere arrabbiata con te” ammise “e vorrei che tu mi aiutassi in ciò che sto facendo”
Stefan la guardò come se pensasse che fosse impazzita “Non hai capito? La risposta è sempre no”

Sei tu che non capisci”
Forse era ubriaca, probabilmente se ne sarebbe pentita entro poche ore, ma lui era Stefan e questo sembrava bastarle in quel momento.

Come hai potuto credere davvero che io agisca solo per ambizione?” mormorò amareggiata “Se tu sei arrabbiato, io sono delusa. Credevo mi conoscessi abbastanza da capire che c'è molto di più”
Gli scoccò un'occhiata piena di rimpianto e se ne andò, non prima di aver rubato dalla tavolo una bottiglia di ottimo whisky.



Con suo enorme rammarico, Julya aveva scoperto di essere il tipo da sbornia triste.
Aveva sperato che il whisky e la vodka e il bourbon -che era davvero buono e Damon aveva ragione, ma lei non glielo avrebbe mai detto- potessero cancellare il suo lato più cupo e triste... e invece no.
Se non altro, quella sera non avrebbe avuto problemi di sete: aveva abbastanza liquore in corpo da poter gestire la fame per tutta la notte.
Si appoggiò con i gomiti sulla balaustra del terrazzo su cui aveva trovato rifugio. Fuori, la band cambiò canzone e attaccò con un lento.
La ragazza aveva una bella voce, roca, intensa, da brividi sotto la pelle e c'era un bel vento freddo che le ricordava la sua Russia e che portava il profumo della prima neve.
In un attimo di follia, si issò sulla balaustra con un mezzo sorriso e gli occhi socchiusi. Le sfuggì una risata e si ricordò che a lei piaceva davvero l'inverno.
Le piaceva il ghiaccio su cui pattinare perché le ricordava la Neva a Dicembre, la neve, le luci, gli alberi spogli.
La gente odiava l'inverno, ma lei no. Le portava un pezzo di casa a ogni ventata, in qualunque parte del mondo fosse.

Dovresti scendere”
Aveva sentito arrivare Stefan, ma perché scendere quando stava così bene lì?

Io non credo. Qui si sta bene”
Preferirei che scendessi”
Non fare finta che ti importi. E comunque” gli ricordò con un sorriso “io non posso morire. Sono già morta, ricordi?”
Va bene”
Lo sentì avvicinarsi, ma non se ne curò fino a quando non la prese in braccio e la trascinò giù di peso. La portò tra le braccia come se fosse una principessa fino all'interno dello studio di casa Lockwood mentre la musica cambiava.
La mise a terra e lei si allontanò, stizzita e contrariata, senza dire una parola. Era alticcia e cominciava a sentire la stanchezza -anche se era piuttosto certa che fosse una reazione psicologica- gravarle addosso come un peso. Non aveva la forza di preoccuparsi del disprezzo di Stefan o di ciò che stava pensando.

Ti sei mai pentita di essertene andata?”
Julya si chiese se fosse il caso di dirgli la verità. Lo guardò negli occhi e vide che finalmente qualcosa era cambiato.
Brillavano di una luce che non c'era mai stata e Stefan sembrava di nuovo come lo ricordava. Forse, chissà, era l'alcool che le faceva vedere ciò che voleva, ma non le importava. Aveva così tanto bisogno di lui.

Ogni giorno ho rimpianto di non averti chiesto di venire con me”
E perché non sei tornata?”
Perché, per quanto volessi disperatamente averti accanto, non potevo dimenticare il motivo per cui me n'ero andata”
La tua ambizione...”
Non si aspettava che Julya si voltasse di scatto, sferzando l'aria con i lunghi capelli bruni.

Non è mai stata quella! Ti prego, credimi: ho mille motivi per volere quel calice, ma l'ambizione non è mai stato tra quelli”
E Stefan non dubitò neanche per un momento delle sue parole e sì, poteva fidarsi perché conosceva Julya e, anche se aveva scelto di vedere in lei solo un'ambiziosa egoista, sapeva che non lo era mai stata.
Era ferito e aveva voluto credere che fosse una creatura spregevole: così sarebbe stato più facile odiarla.
Ma lei gli stava chiedendo di perdonarla e vedeva la muta richieste nei suoi occhi lucidi e ardenti.

Mi sono sentito così solo” soffiò mentre Julya si avvicinava a lui.
Ho ucciso migliaia di persone e tu te n'eri andata, lasciandomi senza nessuno a cui appoggiarmi quando ne avevo più bisogno”
Julya guardò nei suoi occhi e vide il rimpianto, il dolore straziante dettato dalla consapevolezza delle proprie azioni, il senso di abbandono.
Di slancio lo strinse a sé e Stefan la avvolse con le proprie braccia, premendosela contro per sentirla più vicina, stringendo tanto da farle male.

Non ti lascerò più cadere, non sarai di nuovo solo”
Le sembrò che all'improvviso tutta la sofferenza di quegli anni, le morti, le devastazioni e gli inganni fossero tornati alla mente di Stefan e tornò a galla anche il proprio senso di solitudine.
In quel momento, sembravano entrambi due naufraghi alla disperata ricerca di un modo per sopravvivere.
All'improvviso non fu più Julya la roccia nella tempesta mentre Stefan affondava il capo tra i suoi capelli. Lasciò che sfogasse tutto il suo dolore contro il suo collo mentre lo stringeva più forte, come a dirgli che non lo avrebbe lasciato andare una seconda volta.

Andrà tutto bene” si ritrovò a mormorare accarezzandogli i capelli. Non lo avrebbe lasciato andare, non più.
E sapeva che Stefan non l'aveva ancora perdonata del tutto, l'aveva letto nei suoi occhi prima che la stringesse a sé, ma non le importava. Era un primo passo sulla via giusta, sulla strada per tornare al punto in cui erano lasciati, un nuovo inizio.

*


Ehi”
Julya alzò lo sguardo dal libro e lo posò su Stefan. Era appoggiato allo stipite della porta e le rivolgeva un sorriso un po' tirato, ma Julya apprezzò il tentativo.

Ciao”
Come procede?”
Julya si stupì per la domanda, ma la sua sorpresa raggiunse l'apice quando Stefan si fece avanti e si appoggiò con le mani allo schienale della sedia.

Bene” ammise ed era vero, per una volta.
Per ora il libro non mi ha detto nulla che non presumessi già, ma se non altro ora posso dire di essere certa di averci sempre visto giusto”
Stefan pensò che si stesse contenendo e che doveva essere davvero difficile per lei non gongolare spudoratamente.
Gli venne da ridere: Julya non era cambiata dagli anni '20.
La discussione di due sere prima, alla festa di Tyler, li aveva riavvicinati e aveva permesso a Stefan di imboccare la via del perdono.
Certo, erano ben lungi da riavere il loro vecchio rapporto, ma se non altro ci stavano provando.
Un passo alla volta, si era detto e sembrava che Julya accettasse il suo modo di procedere.

Davvero? E quali erano queste supposizioni?”
Stefan, vuoi davvero saperlo? Insomma, so che non è così, ma se ti raccontassi tutto avrei l'impressione che tu mi stia aiutando”
Stefan soppesò un momento il problema poi prese la sua decisione “E se volessi aiutarti?”
Julya lo guardò con dolcezza e gratitudine, ma scosse la testa.

Non acceleriamo i tempi, Stef. So che non sei ancora pronto per questo”
Ma io voglio esserlo! Senti, noi due abbiamo tanti anni da recuperare e quale miglior modo per perdonarti che capire perché mi hai abbandonato?”
Uno a zero per te, pensò Julya che a quell'obiezione non sapeva proprio come ribattere. Forse perché era perfettamente ragionevole e inappuntabile.
Si morse il labbro, meditando. Perché no? Perché non cedergli la possibilità di perdonarla davvero?
Perché se lo facessi, gli darei libero accesso alla mia anima, a ogni mia più piccola debolezza. E non so se sono pronta a farlo.
Ma Stefan stava facendo uno sforzo e la sua proposta era una mano tesa. In un rapporto, non sarebbe bastato che uno dei due facesse un passo avanti. Accettare il suo aiuto, ora, sarebbe stato il suo modo di prendere quella mano e stringerla forte.

Va bene, va bene. Vieni qui e ascoltarmi, ti servirà”
Gli indicò il libro “Quello è un antico manoscritto redatto dalla mano di un frate francescano in cui questi narra la vita e le gesta di un cavaliere. Ora, la leggenda vuole che questo cavaliere fosse uno dei tre fratelli che trovarono il Graal durante la prima crociata”

Come sai tutte queste cose?” le domandò alzando appena lo sguardo dal manoscritto.
Sono decenni che lavoro a questo. Ti stupiresti della quantità di cose che conosco in materia storica, Stefan”
Gli sorrise, enigmatica e un po' presuntuosa, come aveva fatto nel 1928, nel night club di Philadelphia.

Comunque” lo ammonì “il libro non rivela dove si trova il Graal, ma il cavaliere è sicuro di aver lasciato due indizi lungo il cammino che possano rivelarlo”
Sotto lo sguardo attento di Stefan, trafficò con i fogli sparsi sulla scrivania alla ricerca di chissà cosa fino a estrarre un paio di foto.

Uno è questa, una tavoletta di arenaria”
Ma è incompleta”
Giusto. L'altro indizio, è sepolto con l'altro fratello”
E immagino che non dica dove sia la tomba, vero?”
Julya rise. Se l'archeologia – o in qualunque modo si volesse chiamare ciò che stavano facendo- fosse stata davvero piena di risposte immediate, allora non avrebbe impiegato più di un secolo a raggiungere quel traguardo.
Stefan avrebbe dovuto imparare a pazientare perché ora stavano avendo molta fortuna -più di quanta ne avesse mai avuta, a dire il vero- ma le cose avrebbero potuto cambiare il loro corso molto presto.
Era una continua sfida, un incessante allenamento per il suo cervello. La ricerca e la scoperta costante erano per lei l'unica fonte di vero divertimento.

No” ammise “ma io credo che si trovi a Venezia”
E vide che Stefan stava per farle una domanda, magari su come facesse a sapere che era lì, ma Julya alzò una mano per fermarlo.

Non chiedermi come faccio. Diciamo solo che è una supposizione”
E come pensi di avvalorarla?”
Il sorriso che Julya li rivolse fu così radioso che ne rimase abbacinato per un momento.

Semplice. Andando in Italia”
E io verrò con te”
Subito dopo averlo detto, si chiese perché lo avesse fatto. In realtà, voleva andare con lei. Non perché avesse bisogno di essere protetta – era sicuro che sapesse farlo benissimo da sola- ma quale miglior modo per passare del tempo insieme di un viaggio a Venezia?
Julya lo guardò mordendosi il labbro e con uno sguardo così preoccupato che Stefan si chiese cosa avesse detto di male.

Stefan” iniziò tentennando e prendendogli una mano tra le sue “non è un viaggio di piacere, lo sai? Insomma, potremmo dover attraversare passaggi sotterranei, gallerie, cunicoli. Poi, è Venezia: vuol dire che ci sarà tanta acqua... Credi di essere pronto a rischiare che si rovinino i tuoi capelli pieni di gel?”
Stefan ci mise un momento per realizzare la battuta di Julya che aveva perciò avuto tutto il tempo di alzarsi in piedi e allontanarsi con un sorriso malandrino.
Alla fine, alzò gli occhi al cielo “Anche tu!”
Poi le lanciò un cuscino e il resto della giornata passò così, con due vecchi amici che imparavano a poco a poco a fidarsi di nuovo l'uno dell'altro.


Continua



**


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Capitolo 6
*** I'm looking back on yesterday ***


Capitolo 6 Ekleipsis


I'm looking back on yesterday


I thought our days would last forever,
but it wasnt our destiny,
'cause in my mind we had so much time,
but i was so wrong,
no i can believe me i can still find the strengh in the moments we
made
I’m lookin back on yesterday.
Leona Lewis- Yesterday



Uhm, Venezia non è cambiata di una virgola dall'ultima volta che sono stata qui. E neanche allora mi piaceva più di tanto”
Julya si sistemò la giacca mentre Stefan afferrava i bagagli e li trascinava giù dal battello che li aveva portati nella zona del loro hotel.
Lo aveva scelto Stefan e Julya lo aveva lasciato fare, troppo occupata a organizzare il proprio materiale per pensare a cose più pratiche come la sistemazione e il viaggio.
Erano una bella squadra, insieme, e il loro affiatamento aumentava ogni giorno che passava.

Non capisco perché tu ce l'abbia tanto con questa città”
Ehi, io non ce l'ho con nessuno. Dico solo che non è la città in cui sceglierei di vivere” ammise mentre si infilavano in una vietta secondaria nella zona del ponte dei sospiri.
No, neanche io ti vedo a vivere qui” concesso dopo averla soppesata per un attimo che le fece palpitare il cuore.
Troppo romanticismo nell'aria” spiegò Stefan e Julya si chiese se non dovesse sentirsi un po' offesa. Poi fece spallucce.
Arrivarono di fronte all'albergo, un piccolo hotel a conduzione famigliare, discreto ma carino e con una splendida vista sul cuore di Venezia.

Io devo fare una commissione” annunciò prima che entrassero prima di aggiungere in fretta, prima che Stefan potesse replicare “Tu fai il check in e vai a farti un giro per Venezia. A quanto ho capito, tutto questo romanticismo è perfetto per te” lo prese in giro, vendicandosi per la stoccata di poco prima.
Stefan alzò gli occhi al cielo, ma non disse niente perciò Julya pensò che non dovesse dispiacergli più di tanto la possibilità di godersi un po' l'atmosfera vivace e brulicante di vita di Venezia.
Con passi rapidi, si infilò nelle vie secondarie della città fino a raggiungere un vecchio edificio, un po' fatiscente.
Prima di entrare, indossò la sua miglior maschera di impassibilità e freddezza, ben sapendo che solo mostrando il lato peggiore dell'essere vampiro avrebbe ottenuto ciò che voleva.
Un gruppo di ragazzi seduto sul muretto lì vicino la stava fissando e quella non era una bella cosa: per ciò che era andata a fare lì avrebbe preferito passare inosservata.
Forse, rifletté con il senno di poi, non avrebbe dovuto indossare una giacca così bianca e stivali così palesemente costosi.
Pazienza, si disse.
Salì le scale per quattro piani, appartamento numero tredici.
Bussò alla porta e si premurò di stamparsi in faccia il sorriso più gelido e predatore del suo repertorio, non esattamente il genere di espressione che avrebbe invogliato qualcuno a invitarla nella propria dimora.
Quando la serratura scattò, si trovò di fronte a un uomo sui trent'anni che strabuzzò gli occhi quando la riconobbe e tentò di sbatterle la porta in faccia.
Tentativo patetico visto che Julya lo fermò appoggiandosi all'uscio con noncuranza, come se lui non stesse facendo leva con tutta la sua forza e lei non stesse tentando di bloccarlo.

Ciao, Noah”
Che diavolo vuoi ancora da me? Ti ho detto tutto quello che sapevo sul Graal l'ultima volta che ci siamo visti”
Julya roteò una mano e alzò gli occhi al cielo “Lo so, lo so. Ma ho una specie di patto da proporti”
Noah sembrava disgustato “Non stringerei mai un accordo con una della tua specie” sputò con disgusto.
Fu allora che Julya decise che aveva bisogno di un motivo per ricordarsi chi era lei e cosa poteva fare.
In un attimo, Noah si trovò dentro casa, inchiodato al muro mentre la vampira lo teneva sollevato da terra con una mano attorno al suo collo.
L'espressione sul suo viso era di freddo cinismo, quella del vampiro di fronte alla preda.

Senti, Noah. Io non voglio farti del male: ne verrebbe fuori una bella questione, tra ambasciate ed estradizione. Però è stato un viaggio molto lungo e non sono di ottimo umore perciò, davvero, tu non vuoi contrariarmi più di quanto non già sia, giusto?”
Noah annuì, a corto di parole e di aria, e quando Julya lo lasciò andare, cadde a terra ansimando e respirando forte.

Sono qui per la tomba del cavaliere” chiarì quando si sedettero, lei sul divano, lui sulla poltrona più distante.
L'avevo intuito”
Già. Tu mi hai detto che credevi che la tomba fosse qui e che le tue ricerche ti stavano confermando questa teoria. La mia domanda è: a che punto sei?”
Perché dovrei dirtelo?”
Perché ti prenderai il merito della scoperta, ovviamente. Io troverò la tomba, prenderò ciò di cui ho bisogno e tu diventerai famoso per aver trovato un importante reperto storico. Ora, riformulo la domanda: a che punto sei?”
Il silenzio di Noah ebbe il potere di contrariarla più di quanto non fosse, ma si impose di attendere. Contò un centinaio di respiri prima che Noah si alzasse e iniziasse a trafficare tra la moltitudine di scartoffie ammassate sulla scrivania ed estrarne un libricino.
Glielo porse e Julya lo aprì. Dentro c'erano disegni di quelli che potevano essere affreschi, mappe senza nome e migliaia di appunti.

C'è un foglietto con dei numeri romani, lì dentro. Non so cosa vogliano dire: li ha scritti il capo del progetto di recupero per il quale ho lavorato negli ultimi tempi. Ora, lui è morto e...”
E tu ti sei preso il suo libretto di appunti e hai trovato questo, ma non sai che cosa voglia dire” completò Julya senza smettere di sfogliare le pagine.
No, non ho bisogno una risposta” lo bloccò prima che potesse protestare mentre si alzava. Aveva esattamente ciò di cui necessitava ed era in quel libretto. Forse Noah non aveva compreso a pieno di avere tra le mani una vera e propria guida per la ricerca del Graal, ma lei non era così ottusa.
Questo” aggiunse mentre si dirigeva verso la porta “viene con me. Come promesso, quando troverò la tomba ti manderò un messaggio; ti basterà andare lì e annunciare al mondo il prodigioso ritrovamento”
Noah annuì e non ebbe il coraggio di protestare o chiedere come lo avrebbe contattato. Sapeva fin troppo bene che Julya lo avrebbe trovato anche quando lui avrebbe preferito rimanere nascosto.
Intanto, la vampira si chiuse la porta alle spalle e si abbandonò a un mezzo sospiro sollevato.
Durante il tutto il percorso per tornare all'hotel rimuginò sui numeri scritti sul foglietto. Tre, sette e dieci, scritti in numeri romani. Potevano rappresentare qualunque cosa perciò avrebbe dovuto analizzarli con attenzione per capire il loro significato.
Ma lo avrebbe fatto la mattina dopo perché in quel momento, tra le strade strette e i ponti di Venezia, voleva prendersi un momento per assaporare la sensazione di essere di un passo più vicina a raggiungere lo scopo di una vita.
La sua mente si fece piacevolmente leggera mentre annegava nella consapevolezza di essere sempre più prossima alla meta. Certo, non avrebbe cantato vittoria fino a quando non avesse stretto tra le dita il calice, ma almeno poteva concedersi di osservare le cose da una prospettiva più ottimista.
Guardando il cielo – pieno di nuvole, prossimo al calare della sera- raggiunse l'hotel.
Alla piacevole consapevolezza di aver vinto una battaglia era velocemente sopraggiunta un'ondata di stanchezza che la sopraffece.
Partì dalla testa e raggiunse ogni remoto angolo del suo corpo, così intensa da farle venire voglia di sedersi su una panchina e dormire fino al giorno dopo.
Voleva cadere in uno si quei sonni senza sogni e potersi svegliare la mattina dopo con la mente sgombra e silenziosa come non era mai durante le ultime giornate.
Quando entrò nella stanza, Stefan non c'era.
La stanza era calda e luminosa, molto ariosa con quei colori chiari e le finestre ampie sul balcone bianco. L'aria profumata e accogliente raggiunse il suo viso come uno schiaffo e la sonnolenza che l'aveva colta divenne insopportabile: le si chiudevano gli occhi e uno sbadiglio poco elegante le deformò il viso.
Si lasciò scivolare sul grande letto e si sfilò gli stivali con un unico gesto fluido prima di accoccolarsi su se stessa.
La sua espressione si fece all'istante più rilassata: non c'era niente di più delizioso che la sensazione del tepore di una stanza accogliente -anche se lei non poteva sentire freddo- che lentamente risaliva dai piedi lungo le gambe, si fermava nel ventre e da lì si irradiava in tutto il resto del corpo.
Si sentiva languida come un gattino al sole.
Si disse che avrebbe chiuso gli occhi solo un momento, giusto il tempo di riposarsi un po' dopo le dodici ore di viaggio, ma nel momento in cui chiuse le palpebre cadde tra le braccia di Morfeo.
Stefan la trovò così, con le gambe raccolte al petto e i capelli sparsi sul materasso come una macchia di cioccolato caldo.
Si chiese se fosse o meno il caso di svegliarla: aveva prenotato in una piccola pizzeria proprio dietro il palazzo ducale, ma Julya sembrava così tranquilla e pacifica...
Alla fine, Julya si svegliò da sola quando sentì Stefan sedersi accanto a lei. Mugugnò qualcosa e si stropicciò gli occhi con le mani.

Che ore sono?” biascicò con la voce ancora impastata dal sonno.
"Le otto”
Uhm, ho fame. Andiamo da qualche parte a mangiare?”
Ho prenotato in una pizzeria. Ho sentito che è la migliore della città”
Julya annuì con più convinzione, in sincrono con il suo stomaco brontolante e schizzò sotto la doccia.
Sentiva il getto d'acqua e poteva immaginare intenta a massaggiarsi delicatamente la braccia, le gambe e le spalle.
Si lasciò scivolare sul letto, pensando a lei e al suo volto prima, proprio mentre dormiva.
Quando era sveglia non aveva mai un'espressione così pacifica, quasi angelica. C'erano momenti in cui gli sembrava di trovarsi di fronte a una specie di terremoto o uragano, sempre in movimento, e allo stesso tempo gli ricordava una bottiglia di ottimo champagne: sofisticata, frizzante e affascinante.
Sapeva essere rumorosa anche quando sedeva in silenzio nella stanza: c'era qualcosa in lei, nella sua stessa essenza, che sembrava riempire l'aria in qualunque momento.
Julya, proprio come lo champagne, gli piaceva e gli andava alla testa; lo faceva sentire leggero, come se vivesse in un universo in cui tutte le cose erano facili e belle.
Sospirò con la certezza che, qualunque cosa fosse il sentimento che provava per Julya, gli avrebbe provocato solo guai.
E quella vacanza, dopotutto, non avrebbe semplificato proprio niente.


*


Julya rideva da una notevole quantità di tempo e così di cuore che Stefan non si lasciò pregare e raccontò gli aneddoti più divertenti della sua vita solo per continuare ad ascoltare quel suono così musicale.
Non ti ci vedo proprio a un concerto di Bon Jovi, a cantare a squarciagola sotto un palco, ballando” ammise con il fiato corto per il troppo riso.
Si sporse un po' sul tavolo e sorseggiò l'acqua nel suo bicchiere. Avevano oramai finito la cena e si stavano godendo un po' l'atmosfera che si era creata tra loro, intima e allegra come lo era stata negli anni venti.
Julya guardò fuori dalla finestra e notò il cielo limpido, le acque calme e provò il desiderio di godersi la città.

Andiamo a fare una passeggiata?”
Pensavo che Venezia non ti piacesse”
Diciamo che ho voglia di concederle una chance” ammise e, quando Stefan annuì e si alzò, lei lo seguì.
Pagarono e in un attimo si ritrovarono a passeggiare lungo il Canal Grande a braccetto, come due amici qualunque in una serata come tante.
Fu Stefan a rompere il silenzio che si era creato; Julya si stava godendo l'atmosfera placida di una notte veneziana.

Sai, a volte mi chiedo perché tu sia davvero alla ricerca del Graal”
E' molto complicato, Stef. E io non voglio davvero appesantire una bella serata con certi discorsi”
Lo capisco. Ma forse parlarne...”
Lo faremo” gli promise “Un giorno ti dirò tutto, ma ora non credo di essere ancora pronta a parlarne con qualcuno. Credo di non essere più abituata ad avere qualcuno con cui aprirmi”
A dire la verità, io ricordo che neanche nel 1928 eri particolarmente brava a farlo”
Non ho mai avuto problemi a parlare con te” gli ricordò, piccata.
Vero, ma direi che sono l'eccezione che conferma la regola. Credo che sia per il mio fascino” ammise con aria pensierosa e Julya rise.
La serietà del momento precedente svanì come fumo nell'aria e Julya gli fu grata di aver cambiato argomento.

O per i tuoi capelli”
Stefan la guardò con un'espressione profondamente ferita che fece ridere ancora di più Julya. Si alzò in punta di piedi e gli passò una mano tra i capelli.
Solo un vampiro avrebbe potuto sentire l'odore che emanavano, un mix di shampoo e profumo di gel che si unì al dopobarba di Stefan.
Era virile e le piacque. Lo ispirò a fondo, sempre in punta di piedi e appoggiandosi alle sue spalle.

Mi stai... annusando?
La guardò con entrambe le sopracciglia inarcate e Julya scoppiò a ridere.

Credo di sì” ammise.
Ripresero a camminare con un sorriso, chiacchierando come facevano negli anni venti, quando Stefan la riaccompagnava a casa dopo aver passato la notte nel night club dove lavorava.
Stefan continuava a raccontare e a un certo punto Julya cominciò a guardarlo in modo diverso, con uno sguardo concentrato e riflessivo.
C'era qualcosa di strano nel modo in cui Stefan la faceva sentire, ma era sempre stato così. Se il suo cuore non fosse già stato fermo da secoli, avrebbe detto che era lui, con il suo sorriso e il modo di essere, a bloccarlo.
La faceva sentire come una ragazza come tante e le sembrava di avere uno stuolo di farfalle che si agitava nello stomaco.
Non avrebbe saputo dire cosa fosse: era la prima volta che si sentiva così vulnerabile, così umana. Eppure era la parte che le piaceva di più, quel sentirsi così normale.
Non aveva mai provato nulla di simile prima d'allora e anche quando c'era Kol le cose erano completamente diverse, impossibili da paragonare.
Con un sussulto, cercò di riportare alla memoria il suo primo amore e si rese conto con tristezza di non avere ricordi.
Se n'erano andati con lui ed era stata lei a lasciarli andare: era stato più facile, piuttosto che trovare la forza di aggrapparsi ad essi.
Non ne andava fiera e dopo tanti anni avrebbe voluto avere qualcosa da ricordare. Invece non le restava che un anello al dito e la blanda rimembranza di un sorriso che a poco a poco sarebbe scomparso insieme a tutto il resto.
Ogni giorno sarebbe stato sempre più difficile ricordare i dettagli del viso di Kol, il suo sorriso e i suoi occhi e si odiava per aver permesso che accadesse.
Stefan si accorse che Julya non lo ascoltava più e che il suo sguardo si era fatto cupo.

Tutto bene?”
Cercavo solo di ricordare una cosa”
Stefan l'attirò a sé, cingendola con le braccia. Non chiese spiegazioni; lasciò che Julya sentisse solo che era lì per lei e che avrebbe ascoltato qualunque cosa, le sue parole o i suoi silenzi.
Si strinse a lui socchiudendo gli occhi, dando la colpa alla stanchezza di quella debolezza e dicendosi che il giorno dopo sarebbe andato tornato tutto a posto.
Però la notte era ancora giovane e il giorno lontano dall'arrivare perciò poteva concedersi ancora per un po' di viaggiare sulle ali della memoria.
Fu grata a Stefan di quell'abbraccio e del calore che vi infuse: per una volta, non avrebbe dovuto fingere di non essere sola e un insolito sfarfallio all'altezza del petto le fece notare che qualcosa stava cambiando nel suo modo di vedere il ragazzo.
Era stato un ammiratore, poi un amico fino a diventare il migliore amico -anche se Stefan rideva quando lo definiva così- e ora il loro rapporto stava lentamente approdando a una nuova definizione, qualcosa che Julya non comprendeva a pieno.
Di una cosa però era sicura.
Provo qualcosa per Stefan, ammise con se stessa. Cosa... be', quella era tutta un'altra storia.



Continua



**

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Capitolo 7
*** Le difficoltà aumentano quando ci si avvicina alla meta ***


Ekleipsis 7

Buondì!
Eccomi tornata da voi!
Ho deciso che gli aggiornamenti regolari non mi piacciono proprio per niente, che avere una data fissata rovina ogni sorpresa e io adoro le soprese – non è vero, le odio, ma una scusa dovevo pur trovarla, vi pare?
Comunque, ecco il nuovo aggiornamento.
La frase che fa da titolo non è tratta da una canzone -come al solito- ma è del buon vecchio Goethe.
Buon'anima.
Ultima cosa: l'immagine è stata eseguita da Graphic Emotions, una pagina su FB che crea timeline e annessi e connessi meravigliosi, come potete vedere.
Bo', vi lascio alla storia.
Buona lettura ^^


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Le difficoltà aumentano più ci si avvicina alla meta


La nostra meta non è mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose.
Henry MillerBig Sur e le arance di Hyeronymus Bosch




Era davvero indispensabile svegliarsi così presto? E dove stiamo andando?”
Julya alzò gli occhi al cielo e lo fulminò con l'ennesima occhiataccia. Erano svegli da nemmeno un'ora e quella non era certo la prima con cui lo aveva raggelato, ma Stefan sembrava non aver ancora recepito il messaggio.

Stiamo andando in biblioteca”
A fare cosa?”
Te lo dirò quando arriveremo”
Scese gli ultimi gradini con un salto e si ritrovarono davanti a una piazza e un grande edificio bianco. Era chiaramente una costruzione antica che sembrava tutto meno che una biblioteca.

Non sembra una biblioteca” confessò Stefan mentre lo conduceva dentro “Era una chiesa, per caso?”
In realtà sì”
Lo condusse tra gli scaffali, in fondo alla costruzione dove faceva bella mostra di sé un enorme vetrata colorata, prima di continuare a parlare.

Poggia su un suolo sacro. Molte delle colonne e dei tesori che un tempo erano contenuti in questa chiesa sono stati portati dall'Oriente, dopo la prima crociata. Trofei di guerra” aggiunse con un sorriso che Stefan non riuscì a decifrare.
Conoscendola, poteva immaginare che più che per la guerra in sé, le dispiacesse immaginare quanti tesori inestimabili e chiese e templi e meravigliosi edifici fossero stati abbattuti nel corso dei secoli.
A volte lo stupiva la capacità di Julya si essere così indifferente alla vita umana ed essere allo stesso tempo così umana.

E noi cosa stiamo cercando?” le domandò mentre si sedevano a un tavolo in disparte, dove nessuno poteva sentirli parlare e avrebbero avuto la loro privacy.
Ieri sono andata da un amico che mi ha dato questo quadernino. Dentro c'era un foglio con dei numeri romani e voglio capire cosa significhino”
E come pensi di fare? Nel corso della storia i numeri hanno avuto migliaia di significati diversi. Pensa ai pitagorici, ai riti esoterici, alla sequenza di Fibonacci...”
Grazie per la lezione di numerologia, Stefan. E' per questo che siamo in biblioteca”
Aspetta, aspetta: tu vuoi che io e te, due vampiri, due!, ci mettiamo a spulciare ogni libro contenuto qui che riguardi questo argomento”
Non ogni libro” si imbronciò lei “solo quelli che parlano della numerologia all'epoca dei crociati”
Stefan aprì la bocca per dire qualcosa e farle notare che questo non cambiava niente, ma quando vide il sorriso di Julya e la sua espressione caparbia capì che non sarebbe cambiato niente perciò si rassegnò a una lunga giornata di letture.



Otto ore, una ventina di libri e chissà quante pagine dopo, Stefan e Julya non avevano ancora trovato niente.
Be'” tentò la vampira abbandonandosi contro lo schienale della poltroncina “il tre è facile. Potrebbe rappresenta la Trinità, la perfezione divina. Il sette... be', è il numero dei cicli lunari, connesso con l'idea di equilibrio e il dieci... il dieci...” tentennò un po' e Stefan la guardò inarcando le sopracciglia, seriamente affascinato da come Julya stesse cercando di dare una dignità a quella teoria campata per aria.
Alla fine, anche lei si arrese “Va bene, non so neanche io cosa sto dicendo”

Dovremo continuare ancora per molto?” domandò allora Stefan appoggiando le braccia sul tavolo e il mento su di esse nella perfetta imitazione di uno sguardo da cucciolo che fece sussultare il cuore -metaforicamente, si intende- di Julya.
Fino a quando non troveremo qualcosa. E non provare a fare quella faccia, non mi impietosisco. Occhi fissi sul premio, Salvatore” lo richiamò, ma la verità era che stava incoraggiando se stessa.
L'idea di fallire ora che era così vicina la annichiliva più di qualunque altra cosa.

Stanno per chiudere. Sistemiamo i libri e nascondiamoci da qualche parte. Ci troviamo quando sarà tutto chiuso proprio qui”
Raccolsero i volumi e li infilarono di nuovo nei loro scaffali, poi si dileguarono e rimasero nascosti fino a quando il ragazzo del bancone non ebbe spento ogni luce ed ebbe serrato la porta.
Anche allora rimase per un veloce inventario e a Julya non restò che sistemarsi meglio sulla trave su cui si era appollaiata e attendere con pazienza.
In realtà fu grata all'uomo per quella pausa. Al buio, nel silenzio della biblioteca scandito solo dalle pagine sfogliate, ebbe modo di riorganizzare i propri pensieri e di controllare di nuovo il libretto.
Con la coda dell'occhio, notò che la luce era impercettibilmente mutata e pensò che fuori dovesse essere sorta la luna perché la vetrata, con i suoi colori e il disegno, era più luminosa.
Solo allora la osservò con più attenzione, mettendo da parte l'occhio dell'esteta per lasciare spazio a quello dell'archeologa.
Le ricordava qualcosa che aveva già visto da qualche parte, ma non in un'altra chiesa o in un posto che avesse visitato.
Era qualcosa di più recente e meno vivido, come se in realtà lo avesse scorto appena mentre scartabellava alcune pagine.
La comprensione la colse proprio quando il bibliotecario spense tutte le luci e la vetrata fu l'unico strumento di illuminazione.
Non aveva potuto vederli dal tavolo dove erano seduti perché erano esattamente sotto la finestra, ma da quella posizione non ebbe problemi a scorgere tre numeri romani, uno per ognuna delle tra parti in cui era scandita la vetrata: un tre a sinistra, un sette al centro e un dieci a destra.
Troppo eccitata per rimanere ferma, abbassò lo sguardo alla ricerca di Stefan, ma di lui neanche l'ombra.
Come aveva fatto a non pensarci? Quei numeri erano coordinate, niente di più semplice. Nessun significato allegorico, nessuna simbologia: a volte la soluzione più scontata era anche quella vera.
Scrutò nell'ombra alla ricerca di Stefan, ma il suo sguardo si posò solo sul pavimento, una distesa di marmo bianco, verde e rosso posto in modo da formare un quadrato con un'enorme X nel mezzo.
E allora si chiese come diavolo avesse fatto a non accorgersene perché la tomba era lì, esattamente sotto i suoi piedi e lo era sempre stata.
Così vicina che davvero le sarebbe bastato allungare una mano per toccarla.
Scese con un balzò e Stefan le fu accanto in un battito di ciglia. Lo guardò con gli occhi brillanti di emozione e la voce tremante, quasi stesse per scoppiare a piangere.

E' qui. La tomba è sempre stata qui e questa X non è che un dieci... il dieci che cercavano, Stefan!”
Lui ci mise un attimo a capire, ma Julya era già piegata sul pavimento e lo toccava con la devozione di un fedele, quasi gli stesse chiedendo scusa per quello che stava per fare.
Con uno scatto e un rumore assordante, tirò su una lastra e la posò di lato con tutta la delicatezza che riuscì a mettere insieme.

Come hai fatto?”
Ho guardato le cose da un'altra prospettiva, letteralmente. Dai, aiutami a scendere”
Stefan afferrò le mani che lei gli porse e la fece scivolare giù. La sua vista da vampiro ci mise un secondo ad abituarsi al buio, il tempo che Stefan impiegò a lasciarsi scivolare accanto a lei.
Stefan si guardò intorno dubbioso, ma il volto di Julya era radioso e gli diede la forza di fidarsi di lei e di fare ciò che diceva.
Dopotutto, aveva cercato il Graal per duecento anni, studiato e fatto ricerche: se c'era qualcuno che sapeva cosa stava facendo, quella era lei.
Julya trafficò nelle tasche e ne estrasse un accendino. Ne portava sempre uno con sé, per ogni evenienza e anche se non aveva bisogno di luce per illuminare i luoghi più bui grazie alla sua super vista.
Si avviò con una mano posata sul muro, guardando i pittogrammi dipinti sulla nuda pietra e sfiorando le incisioni.
Julya sapeva che quello era solo un passo avanti e che per trovare il Graal ne avrebbe dovuti fare ancora molti altri, ma non riuscì a impedirsi di sospirare e non poté impedire al proprio cuore di gonfiarsi di commozione e orgoglio.
Non era solo una scoperta. Aveva combattuto, faticato, sacrificato un discreto numero di cose per quella ricerca e ora si stava avvicinando sempre di più.
Spazzò la polvere con la mano libera e comparve un'altra X.

A quanto pare” mormorò con la voce rotta dall'emozione “la X indica proprio il punto dove scavare”
Spostati, la butto giù”
Julya annuì e lasciò che Stefan si facesse largo tra le pietre e i detriti prima di seguirlo. Non le servì annusare l'aria per accorgersi che era petrolio quello in cui avevano immerso i piedi. I cadaveri erano ammucchiati in nicchie lungo le pareti e di loro non restavano che ossa e qualche brandello di vestito lambito dal combustibile.
Afferrò malamente un perone – o una tibia, non era sicura di che parte della gamba fosse- e lo avvolse con un pezzo di stoffa prima di dargli fuoco con l'accendino.
Stefan la guardò con un'espressione a metà tra il sorpreso e il divertito alla quale lei rispose solo facendosi largo tra i resti dei cadaveri con un'alzata di spalle.
Attraversò il lungo corridoio incurante dell'acqua che si alzava sempre di più e lentamente le lambiva i polpacci, sempre più in alto.
Non si sarebbe fermata e sentiva che Stefan era dietro di lei, silenzioso e pronto a scattare in caso di pericolo.
Si bloccò con un gemito di sorpresa solo quando il corridoio svoltò in una specie di anticamera in cui montagne di topi squittivano impauriti, consci della presenza di due predatori come Julya e Stefan.

Disgustosi” sibilò.
Eppure non sarebbero certo bastati due topini di troppo a fermarla. Lei era nata in una casupola nella campagna intorno a San Pietroburgo e i topi erano all'ordine del giorno nelle case piene di spifferi e malandate.
Se forse stata umana avrebbe tentennato, ma era un vampiro – la razza di predatori per eccellenza- e sapeva che i topi sarebbero scappati lontano non appena avessero sentito la sua presenza incombere.
E così fu: la strada si liberava man mano che lei procedeva.

Ma come” le domandò Stefan con l'espressione scontenta di un bambino a cui è stato negato un pezzo di dolce “niente grida stridule o convulsi tentativi di saltarmi in braccio?”
Julya ridacchiò e gli dedicò un mezzo sorriso senza smettere di camminare e guardare avanti.
Occhi fissi sul premio.
Camminarono per qualche metro fino a quando non si aprì di fronte a loro una specie di stanza dove era custodita una tomba.
Era impossibile sbagliarsi: era l'unica che avessero incontrato nel loro viaggio e non poteva che essere lei, la tomba del cavaliere.
Con poche falcate, la vampira attraversò lo spazio che la divideva dal sepolcro e lo carezzò con dita esitanti, come se fosse stato il volto di un amante disperso e finalmente ritrovato.
Poi gettò di lato il coperchio e rivelò le ossa, ancora perfettamente composte nella posa in cui erano state sistemate alla sepoltura, del cavaliere che stringeva tra le mani una spada e lo scudo.
Con un gemito di sorpresa, Stefan riconobbe in quello scudo lo stesso simbolo che aveva visto nelle foto che Julya gli aveva mostrato.

Ce l'abbiamo fatta” sospirò, ma Julya non lo ascoltava più: aveva già tirato fuori il proprio cellulare e scattato le foto che le servivano.
Quando rimise in tasca il cellulare, si prese un minuto per contemplare lo scudo. Anche nell'oscurità, Stefan si accorse che aveva gli occhi lucidi di orgoglio e commozione nel leggere le parole incise nel metallo.
Dal canto suo, Julya sentiva di avere gli occhi gonfi di lacrime e il cuore pieno di gioia. Era lì, scritto sullo scudo: il nome della città da cui partire.
Alessandretta.
Alla fine, ce l'aveva fatta. E sì, non aveva ancora il Graal tra le mani, ma adesso era davvero a un passo da lui, così vicino che quasi poteva stringerlo tra le dita.
Stefan la sentì singhiozzare, ma sul suo viso non c'erano lacrime. La passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.

Dovremmo andare” le sussurrò all'orecchio, ma Julya si ricompose e scosse il capo.
Ancora un momento. Ho atteso così tanto di sapere dove fosse il Graal... lasciami assaporare l'attimo, prima che se ne vada”
Stefan annuì, ma non la lasciò andare come se temesse che se l'avesse fatto sarebbe andata in frantumi.

Per secoli ho cercato questo nome... e ora ce l'ho fatta” sussurrò alzando lo sguardo su di lui e fissandolo con gli occhi lucidi.
Le sue parole scemarono e all'improvviso tutto si fece silenzio. Non ci fu più rumore che riuscisse a penetrare la bolla che si erano creati intorno.
Le iridi scure di Julya si spostarono dagli occhi di Stefan alle sue labbra, come attratte da una calamita, incapace di pensare ad altro che non fosse la loro consistenza e la loro bellezza.
Avrebbe voluto poterla assaggiare in quel momento, dimenticando il posto e la situazione non esattamente adatti. Era certa che un bacio di Stefan potesse cancellare ogni sensazioni e trasportarla in un'altra realtà.
E lei lo desiderava così tanto!
Si alzò in punta di piedi e si avvicinò alle sue labbra, ma il ragazzo voltò appena la testa e si trovò a sfiorare la guancia.

Mi dispiace Julya, non posso”
Non puoi o non vuoi?” gli domandò con una punta di amarezza nella voce.
Entrambe, credo. Amo Elena, la amo davvero, ma non voglio negare di sentire qualcosa per te che va oltre all'amicizia. Nonostante questo” si affrettò ad aggiungere quando la vide pronta a ribattere “voglio Elena perché la amo come non ho mai amato nessun altro. E per te farei di tutto, ma...”
Tentennò prima di concludere la frase perché sapeva cosa si provava a essere allontanati per qualcun altro.
Per lei era più semplice, si disse: l'altra non era sua sorella né un'amica. Eppure, nei suoi occhi c'era la stessa sofferenza che aveva visto sul proprio viso quando aveva capito che Elena provava qualcosa anche per Damon.
Fu Julya a completare la frase “Ma questo sentimento non è altrettanto intenso”
Stefan fece per parlare, ma Julya alzò una mano per zittirlo “Fa come se niente di tutto questo fosse mai accaduto, ok? Restiamo amici”
Gli rivolse un sorriso radioso e Stefan avrebbe quasi creduto che andasse davvero tutto bene se non fosse stato per ciò che vedeva nei suoi occhi.

Julya...”
Si fermò quando sentì un rumore e anche Julya si voltò in quella direzione scrutando nell'ombra con gli occhi socchiusi.
Quando capirono che c'era davvero qualcuno, era troppo tardi per nascondersi e li trovarono lì, in piedi di fronte alla tomba scoperchiata, tesi come corde di violino e pronti ad attaccare.
La velocità con cui si mossero per accerchiarli fece subito capire che non erano umani, non tutti almeno.
Su sei persone, tre erano vampiri, ma guardandoli Julya non avrebbe saputo dire se fossero o meno più forti di loro.

Uhm, qualcosa mi dice che non siete qui per una visita di piacere” scherzò Julya mentre cercava di capire come cavarsi d'impiccio.
Infatti. Il mio nome è Werner e vorrei ringraziarvi per averci condotto fino a qui. Probabilmente non ce l'avremmo fatta se voi non aveste trovato l'ingresso”
Il vampiro che aveva parlato aveva un forte accento tedesco e sull'avambraccio, dove la camicia era stata arrotolata, faceva bella mostra di sé una svastica.
Julya alzò gli occhi al cielo “Perfetto. Ci mancava proprio il vampiro filonazista con la mania per i tatuaggi da Mangiamorte”
Stefan la guardò come se fosse impazzita e lei spalancò la bocca in un'espressione di sentita sorpresa.

Ti sembra il momento?”
Be', potrebbe non esserci un dopo perciò perché tenersi le cose per sé?”
Certo, meglio fare dell'ironia piuttosto che cercare una via di fuga” la prese in giro, ma cogliendo le occhiate di Julya che gli faceva cenno indicando il varco nella parete alle loro spalle.
Dovevano solo trovare il momento per saltarvi dentro: a quel punto, avrebbero corso fin in superficie e si sarebbero nascosti fino all'arrivo del sole.
A quel punto, i vampiri avrebbero dovuto nascondersi e loro avrebbero avuto tutto il tempo di fuggire via.

La ragazza è saggia” si intromise il tedesco apparentemente divertito “tra poco sarete morti perciò dite pure ciò che volete”
Uhm, un veloce chiarimento. E' il classico piano da cattivo per la dominazione del mondo?”
Già. I classici funzionano sempre”
Julya gli restituì il sorriso e ringraziò il cielo del sangue freddo che erano riusciti a mantenere. Andare nel panico avrebbe segnato la loro fine.
Ma per fuggire dovevano prima assicurarsi un minimo vantaggio perciò Julya si preparò a buttarsi alle spalle tutto l'istinto di autoconservazione e ad avvicinarsi al tedesco.
Ad ogni passo in avanti sentiva tutto il suo corpo cercare di ritrarsi e urlarle di scappare; fu uno strazio dover sopprimere ogni ragionevole voce che le dicesse di tenersi alla larga, una delle quali aveva anche la voce di Stefan.

Sono d'accordo” confermò oramai a pochi passi “ma mi chiedevo: voi avete la certezza che non tenteremo la fuga? Insomma, guardiamo le statistiche: abbiamo discrete possibilità di mettervi al tappeto e quell'apertura nel muro sembra fare proprio al caso nostro”
Indicò con l'indice lo squarcio che poco prima lei e Stefan avevano osservato con attenzione. Quasi riusciva a immaginare la faccia stupita di Stefan e, se faceva un po' di attenzione, quasi riusciva a sentire il suo cervello lavorare a pieno regime per capire che cosa diavolo stesse progettando di fare.
Ma stavolta avrebbe potuto solo affidarsi a lei e all'innato senso senso di Julya che le diceva che non era la direzione giusta, che se volevano salvarsi dovevano gettarsi in acqua.
Come previsto, il resto del gruppo fece fronte comune di fronte all'apertura e lasciò scoperto tutto il resto della cripta.
Continuò a camminare e guardò Stefan, sperando che capisse cosa doveva fare. Per fortuna, sembrava che la loro antica empatia non fosse scomparsa, anche a dispetto degli anni e di tutte le vicissitudini che avevano affrontato.

Bene, direi che è meglio muoversi prima che sorga il sole. Qualche ultima parola?”
Julya ammiccò e si aprì in un sorriso luminoso, poi sussurrò a pochi passi da lui in russo “Do svidaniya”
Con uno scatto, tentò di colpire il vampiro, ma lui la bloccò. Doveva essere più giovane di lei perché la sua forza era notevolmente minore, ma non era importante.
Con la stessa velocità, Stefan gli afferrò il collo di sorpresa e glielo ruppe con un suono secco che fece venire i brividi a Julya. Poi, mentre gli altri due vampiri scattavano per fermare la loro fuga, Julya si tuffò e Stefan la seguì.



Quando finalmente poterono uscire dal loro nascondiglio erano le nove di mattina e il sole era pallido in cielo, ma almeno c'era.
Dobbiamo fare i bagagli e andarcene il più in fretta possibile”
Julya anuì. La fortuna di essere un vampiro si vedeva proprio in momenti come quelli, quando si trovava ad aspettare al freddo e al buio, completamente fradicia.

Andiamo in albergo. Intanto io prenoto l'aereo”
Dove stiamo andando?”
Alessandretta corrisponde all'attuale Iskenderun, in Turchia. Se pensò che due settimane fa ero a un passo dal Graal e non lo sapevo...”
Stefan non fece domande, troppo spossato -nonostante la sua natura di vampiro- per chiedere spiegazioni.
Julya se ne accorse e il suo sguardo si addolcì “Poco più avanti c'è una banca del sangue. Va a nutrirti, Stefan, ne hai bisogno”

E tu no?”
Julya fece spallucce. Lei era abituata a stare senza nutrimento per periodi di tempo più lunghi e non aveva alle spalle i rapporti burrascosi con il sangue di Stefan perciò poteva resistere ancora un po', il tempo di arrivare a Iskenderun.
Inoltre, aveva imparato da umana a sopportare la fame, quando i lunghi e rigidi inverni russi rendevano difficile la vita di chi si sostentava solo con il lavoro delle proprie braccia.
C'erano volte in cui non mangiavano per giorni, quando suo padre non riusciva a trovare cibo nei campi o un lavoro per guadagnare abbastanza da permettersi una pagnotta di pane.

Dobbiamo muoverci”
Stefan mugugnò qualcosa poi la bloccò. La gente li guardava, ma Julya non se ne curò. Nel momento in cui gli occhi di Stefan cercarono i suoi perse la cognizione dello spazio e ci furono solo più loro due.
Ma doveva ricordare che lui l'aveva rifiutata, che aveva scelto Elena -e il suo orgoglio ferito e il suo cuore spezzato questo non l'avrebbero scordato tanto in fretta- e che sarebbero sempre stati solo amici.

Sicura che tra noi vada tutto bene?”
“Certo, certo. E poi non abbiamo tempo di preoccuparci di questo. Non so quanto vantaggio abbiamo e se sono tornati indietro sapranno anche loro dove andare, perciò dobbiamo sbrigarci”

Ehi, se tu puoi fare battute su Harry Potter in procinto di morte, io potrò...” si fermò quando notò l'occhiataccia che Julya gli lanciò da dietro una ciocca di capelli.
No, eh?”
No”
Va bene, va bene. Muoviamoci e via dalle scatole questa Venezia”



Continua


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Capitolo 8
*** Knowing that the faith is all I hold ***


Ekleipsis 8

Buon inizio di settimana, gente!
Be', in realtà il lunedì non è mai buono per nessuno, ma sorvoliamo, va.
Bo', vi posto con un po' di ritardo un altro capitolo, ma per farmi perdonare l'assenza della scorsa settimana, questa penso pubblicherò due capitoli.
O forse no. Chissà.
E' un capitolo molto importante, questo, e vi farà scoprire un bel po' di cose nuove. Tra le tante, il motivo per cui Julya cerca il calice.
Ah, ultima nota poi giuro che mi dileguo: le "prove" di cui Julya parlerà sono spudoratamente tratte da "Indiana Jones e l'ultima crociata". 
Comunque, il banner è opera di un'altra pagina su FB, Katerina Graphic, e trovo che sia adorabile.
Buona lettura a tutti^^




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Knowing that the faith is all I hold




Questa è l'ora di piombo e chi le sopravvive
la ricorda come gli assiderati
rammentano la neve:
prima il freddo, poi lo stupore, infine
l'inerzia.

Emily Dickens


Ricordami ancora una volta perché abbiamo preso i cammelli”
Julya era, a voler usare una definizione piuttosto blanda, molto contrariata. Mentre il suo cammello incedeva nel deserto turco con la sua andatura ondeggiante si chiedeva sinceramente perché avessero dovuto affittare quelle due cavalcature quando entrambi sapevano che correndo avrebbero impiegato molto meno tempo.

Sarebbe stato strano avventurarsi nel deserto a piedi, non credi? Non dovevamo tenere un basso profilo?”
Già” lo prese in giro lei “Perché qui è pieno di gente che può vederci”
Stefan le scoccò un'occhiata indecifrabile e poi tornò a guardare di fronte a sé con un cenno del capo.

Tu hai decisamente passato troppo tempo con Damon”
Interessante. Nel 1928 dicevi che assomigliavo a tuo fratello. E allora non lo avevo ancora conosciuto”
Touché”
Julya tornò a fissare la distesa di sabbia di fronte a sé con un sorriso soddisfatto e non protestò per i successivi dieci minuti, cosa per cui Stefan fu infinitamente grato.
Per carità, lui adorava Julya, ma a volte la sua lingua tagliente e i suoi commenti sarcastici gli ricordavano un po' troppo Damon.
Non che fosse colpa sua e delle sua pessima influenza: Julya non aveva mai avuto bisogno che nessuno le insegnasse l'arte di essere ironica.
Lei aveva il dono, come lo definiva con un sorriso malandrino, di solito accompagnato da un'occhiata furba e un po' presuntuosa.
Aveva visto il volto di Julya attraversato da tante espressioni e avrebbe saputo dire cosa provasse in qualunque occasione, ma in quel momento la sua espressione era impassibile e Stefan capì che aveva lo sguardo fisso sul premio.
Era la sua frase preferita, probabilmente il motto che avrebbe fatto ricamare su uno stemma se ne avesse avuto uno.
Stefan la ammirava per questo: non aveva mai visto nessuno con una volontà tanto forte, tanto salda e inespugnabile.
Chissà, forse molte persone avrebbero abbandonato un progetto come quello di Julya da un pezzo, tanto tempo e tanti fallimenti prima.
Ma lei no e Stefan era curioso di sapere quale obiettivo potesse darle tanta forza. Ma lei glielo avrebbe detto?

Hai una determinazione ammirevole” le confessò, indeciso su come farle la domanda che tanto lo incuriosiva.
Sono sempre stata così, la trasformazione ha solo acuito questo lato di me”
Ed è solo per questo?”
Allora Julya capì dove voleva andare a parare e non poté dargli torto. Lo aveva trascinato in un viaggio che si stava rivelando più difficoltoso del previsto, dall'altra parte del mondo e senza dirgli esattamente perché lo stava facendo: Stefan aveva tutto il diritto di sapere perché.
Dopotutto, le mancava avere qualcuno con cui parlare di quel genere di cose. E se non poteva farlo con Stefan, con chi avrebbe dovuto?

Credo che tu non stessi mentendo quando hai detto che lo facevi per ambizione. Non fraintendermi” aggiunse quando la vide inarcare un sopracciglio e guardarlo perplessa “penso che non sia il vero motivo, ma ti conosco e tu sei attratta da questo genere di cose in un modo che io non riesco a capire”
E' vero” ammise con un pallido sorriso. Era sempre stato così: la storia e gli antichi manufatti avevano su di lei un fascino strano, diverso da quello che esercitavano sulla maggior parte delle persone.
Non le importava quali vantaggi avrebbe ottenuto da questo o quell'oggetto: era lui, la storia che racchiudeva, a irretirla. Non aveva mai capito come questo potesse accadere: sapeva solo che così era e che le stava bene perché quello aveva dato uno scopo alla sua vita quando Kol se n'era andato, quando era rimasta sola, tanto tempo prima che Stefan entrasse nella sua vita.
E anche allora il richiamo delle antichità era stato più forte della loro amicizia. E nonostante questo, non era stato facile lasciare Stefan e continuare la sua ricerca, ma aveva scelto e quello si era rivelato più importante.

Credo che tu abbia il diritto di sapere tutta la storia. Chissà, forse capirai anche perché ti ho lasciato solo tanto tempo fa. O forse non riuscirai a perdonarmi lo stesso”
Io ti ho perdonata”
Julya ridacchiò e lo guardò con uno sguardo strano, divertito e paziente “Tu vuoi perdonarmi e l'aver preso questa decisione è la parte più importante, ma ci vorrà del tempo. Ed è giusto che sia così, Stefan: non è sbagliato dare al tempo la possibilità di farci guarire per poter passare oltre”
Julya credeva davvero che fosse così.
Un perdono rapido, immediato a volte non era che il risultato di una rabbia fasulla o, in alternativa, una sorta di umiliazione o vendetta.
Per perdonare qualcuno ci voleva tempo, pazienza e comprensione. Era un po' come curare una ferita: a prescindere dalla sua gravità, bisognava darle il tempo di spurgare, di cicatrizzarsi e lentamente sparire. Quella era, a suo dire, l'unica forma possibile di perdono e avrebbe comunque lasciato dietro di sé un marchio, un indelebile ricordo di ciò che era stato.

Comunque” riprese in fretta “non è questo di cui vuoi parlare. Vuoi sapere perché voglio il Graal, ma per spiegartelo dovrò raccontarti una storia”
Stefan annuì e Julya continuò. I cammelli camminavano lenti e la valle era ancora lontana mentre intorno a loro l'atmosfera cambiava.

Era il 1911 e io ero tornata in Russia per vedere la mia famiglia. Non potevo avvicinarli: a loro era stato detto che ero morta al Cairo e così dovevano continuare a credere. Volevo vedere come stavano, quale vita vivevano dopo la mia morte e volevo vedere Aleskeij. Lui era ancora un bambino quando io me ne sono andata e volevo sapere se si fosse sposato, avesse avuto dei figli... queste cose qui, insomma. Ma quando arrivai scoprii che la mia famiglia era stata spazzata via dal colera. Mia madre, mio padre, Vladirmir... di loro non restavano che ossa, sepolte in stupide fosse anonime senza che io potessi fare nulla per dare loro la sepoltura che meritavano”
Si fermò un momento, stringendo le redini con forza a quel ricordo. Ricordò l'odore di cipolle nella piccola baracca nella campagna intorno a San Pietroburgo, il silenzio assordante nelle stanze quando non veniva rotto dallo sferragliare dei treni e il volto sofferente di Aleskeij mentre respirava a malapena.

Solo Aleskeij era ancora in vita, ma era chiaro che stava per andarsene anche lui. Accecata dalla disperazione, non ho pensato. Sono corsa a casa di una donna che tutti credevano essere una strega e l'ho scongiurata di aiutare mio fratello. Io sentivo la sua aura, sapevo che i pettegolezzi erano veri.
Alla fine, ho dovuto minacciare di ucciderla perché si decidesse a seguirmi. Quando arrivammo, era troppo tardi. Ma io non potevo accettarlo, non in quel momento e feci una cosa folle, l'azione che condizionò la mia vita da quel momento in poi: chiesi alla strega più tempo, un modo per conservare il corpo di mio fratello fino a che non avessi trovato come riportarlo in vita”
Stefan la guardò con gli occhi spalancati, incredulo. Nonostante ciò, riusciva a capire cosa avesse spinto Julya a comportarsi così.
Come poteva non capire, quando lui avrebbe fatto l'impossibile per salvare suo fratello?

E la strega mi esaudì. Fece un incantesimo e ora mio fratello giace in una bara, morto, ma intatto, in attesa che io trovi il Graal che è l'unica cosa che può riportarlo alla vita”
Io ti capisco, davvero. Ma perché non lo hai vampirizzato? Perché non lo hai lasciato andare?”
Era un anno difficile per me. Mi sentivo sola, disperata, abbandonata e credo di essere andata dalla mia famiglia per ricordare a me stessa che c'era ancora al mondo qualcuno che mi amava, anche se per loro ero morta. Quando ho scoperto che anche l'ultima di quelle persone stava per andarsene... non lo so, non sono riuscita a dirgli addio”
Ma non sei sempre stata sola, nei secoli a venire. C'ero io”
Fu più forte di lui ricordarglielo, anche se si era ripromesso di capirla e passare oltre. Eppure non comprendeva.
Era stata sola, ma poi era arrivato lui e nonostante questo lei se n'era andata per inseguire il suo grande scopo.
Che senso aveva, dunque?

So cosa stai pensando. Anche tu ti sei sentito solo e non capisci perché, anche quando ho trovato un amico che mi stesse accanto, ti ho abbandonato. Ma andiamo, Stef, non è la stessa cosa. Tu non sei mai stato davvero solo: anche quando pensavi di esserlo, avevi sempre tuo fratello. Disperso in chissà quale angolo del mondo, a compiere chissà quali azioni spregevoli, ma sapevi comunque che c'era qualcuno che ti avrebbe amato qualunque cosa tu fossi diventato. Volevo solo la stessa possibilità, un amore altrettanto grande e irriducibile”
Confessare la sua più grande debolezza fu per Julya come togliersi un masso dal petto, come tornare a respirare dopo una lunga apnea.
All'improvviso, si sentì più leggera e liberarsi di quel segreto – il più intimo e nascosto che avesse- con Stefan la fece sentire diversa.
Se lui fosse stato un'altra persona, forse aprirsi così tanto e svelargli la parte più vulnerabile di sé l'avrebbe terrorizzata a morte, ma lui era Stefan e sapeva che sarebbe andato tutto bene perché, per quante azioni spregevoli e morti avesse sulla coscienza, ai suoi occhi restava una persona molto migliore di quanto lui stesso non credesse.
E lo amava anche per quello, anche se non sapeva che tipo di amore fosse.
Ma quelle considerazioni e quello sguardo dolce e intenso non facevano che metterla ancora di più in crisi.
Intanto avevano raggiunto la valle, una gola circondata da alture a forma di mezzaluna in cui non sarebbero mai riuscita a entrare se non avessero trovato un sentiero o avessero abbandonato lì i cammelli.
Julya smontò e si sedette sulla sabbia calda del deserto.

Che fai? Non cerchiamo un modo per accedere?”
Prima devi vedere una cosa”
Aprì il libretto e lo sfogliò fino a fermarsi a un certo punto, porgendoglielo.

Quando arriveremo nella grotta, dovremo affrontare tre prove: il respiro di dio, la parola di dio e il sentiero di dio”
Non ti seguo”
Sono prove tratte da sant'Anselmo. La prima dice che solo l'uomo penitente potrà passare; la seconda, solo sulla parola di dio si potrà procedere; la terza e ultima dice che solo saltando con un balzo dalla testa del leone l'uomo potrà dimostrarsi degno del sacro Graal”
E cosa vuol dire?”
Julya fece spallucce “Non ne ho idea”
Non era esattamente ciò che Stefan sperava di sentire perché sapeva che neanche l'ignoto avrebbe fermato Julya.
Non le aveva mai fatto paura il non sapere cosa la aspettava: al contrario, sembrava che fosse piuttosto uno stimolo ad andare avanti.
A Stefan faceva un po' paura la tendenza di Julya a rischiare tutto con il pericolo di rimanere con niente in mano.
Ma ora aveva capito perché e in qualche modo poteva quasi condividere il suo bisogno; sperava solo che, una volta raggiunto il suo scopo, avrebbe abbandonato quel gioco pericoloso.
Conoscendola, non era così fiducioso.

Andiamo?”
E come intendi...”
Non finì la frase. Con un ultimo sorriso, Julya si era già lanciata giù nella gola, fendendo l'aria a una velocità impossibile ma con una grazia ammirevole, assorbendo l'impatto con il suolo con la punta dei piedi.

Già, come ho fatto a non pensarci” borbottò prima di imitarla.

*


Mezz'ora e parecchia sabbia nei vestiti dopo, Julya e Stefan trovarono finalmente l'ingresso al luogo dove era custodito il Graal.
Non so come sia passato inosservato per tanto tempo” constatò il ragazzo riferendosi alla parete di roccia modellata per sembrare la faccia di una modesta chiesa.
Julya dovette ammettere che, in effetti, non avrebbe mai potuto passare inosservato. Insomma, non capitava esattamente tutti i giorni di trovare un tempio in un deserto.
L'interno tuttavia non aveva subito la stessa lavorazione della facciata: dopo l'ingresso, si apriva una lunga galleria di terra rossiccia, alta e stretta, piena di ostacoli, probabilmente massi caduti nel corso del tempo dalla volta.
Stefan aprì la bocca per parlare, ma una voce li raggiunse e ammutolì. Anche Julya l'aveva sentita e si era irrigidita all'improvviso, nascondendosi di scatto dietro un masso.
Stefan la imitò e lei gli fece cenno di tacere, anche se non ce n'era davvero bisogno. La vampira si sporse un po' per vedere e il suo volto si trasformò in una maschera di angoscia e rabbia quando riconobbe il vampiro delle catacombe, Werner.
Con lui c'erano gli altri due vampiri – entrambi dai capelli scuri, uno nerboruto e l'altro smilzo-, ma gli umani erano diversi: c'erano due donne stavolta, una ragazza giovane e dai capelli rossi e l'altra più adulta, con una crocchia di capelli neri a incorniciarle il viso.
Julya immaginò che non dovesse essere troppo difficile trovare collaboratori con la promessa della vita eterna, anche se non aveva certo bisogno del Graal per concedere certe cose.
Comunque, non era importante.
Dovevano trovare il modo di entrare e trovare il Graal prima di quella ridicola banda di cattivi da strapazzo, a meno di non volersi trovare a fare i conti con un fan di Hitler al quale, disgraziatamente, era stata donata l'immortalità.
Spremette ogni parte della sua non trascurabile intelligenza alla ricerca di un modo per aggirare l'ostacolo, ma loro occupavano tutto l'ingresso e non c'era possibilità di entrare senza essere visti.
All'improvviso ci fu un grido e poi qualcosa rotolò giù dalle scale, proprio fino ai loro piedi. Allora Julya si accorse che era una testa e deglutì a stento, ricordando le tre prove di cui aveva parlato a Stefan.
Neanche essere un vampiro le avrebbe permesso di sopravvivere se le fosse stata tagliata la testa.
O forse sì, ma non aveva proprio voglia di sondare i limiti della propria natura quel giorno.

Julya...”
Non è proprio il momento, Stef. Dobbiamo trovare il modo per entrare senza farci vedere”
Uhm, ho come l'impressione che sia superfluo”
Cosa stai...”
Alle sue spalle c'era Noah, l'amico al quale si era rivolta per avere il libretto, e teneva tra le mani una balestra con tanta forza da far sbiancare le nocche.
Incoccato al posto della classica freccia, c'era un paletto di legno e Noah puntava dritto al cuore di Stefan.
Julya calcolò le possibilità e capì che non avrebbe avuto modo di saltare alla gola dello studioso e ucciderlo prima che sparasse o gridasse perciò alzò le mani e ringhiò appena, cosa che fece fremere Noah e sorridere Stefan.
Nel momento in cui si alzarono altre balestre spuntarono fuori e vennero puntate su di loro, con enorme fastidio di Stefan e rabbia di Julya.
Il vampiro biondo si fece avanti con un mezzo sorriso divertito “Speravo di rivedervi ancora. Abbiamo giusto bisogno di un volontario per affrontare qualunque cosa ci sia da quella parte”

Mi dispiace, ma nessuno di noi due è molto propenso ad aiutare un idiota filonazista”
Quindi sei disposta a lasciare che il Graal rimanga lì piuttosto che lasciarmelo toccare?”
Aveva toccato un nervo scoperto, Stefan lo capì dall'espressione negli occhi di Julya. La risposta più giusta sarebbe stata sì, ma se avesse lasciato perdere Julya non avrebbe mai più riavuto indietro suo fratello e ogni cosa si sarebbe rivelata vana.
Due secoli sprecati a causa di uno idiota con manie di grandezza. Oh, Stefan vedeva la rabbia lampeggiare negli occhi di Julya e sapeva che non era mai un buon segno.
In un attimo, seppe che non avrebbe lasciato il Graal dove si trovava né lo avrebbe ceduto al tedesco, ma che piuttosto lo avrebbe ucciso con le proprie mani insieme a tutta la sua combriccola.

No” ammise Julya a labbra strette “ma senti cosa accadrà: io entrerò lì dentro e prenderò il Graal. Lo porterò via con me, ma prima ucciderò tutti voi a uno a uno e sarà un piacere per me strapparti personalmente il cuore dal petto”
Werner rise, come se non credesse che lei lo avrebbe fatto e Stefan pensò che fosse sciocco sottovalutare Julya quando parlava con un tono così serio e pericoloso. Faceva paura persino a lui che pure sapeva che non gli avrebbe mai fatto del male.
Julya non vi badò e si fece avanti.
Gradino dopo gradino, Stefan la guardò infilarsi nell'altro corridoio, diretta verso chissà quale destino.
Avrebbe voluto fermarla o andare con lei, ma non glielo avrebbero permesso.
Sperò solo che Julya sapesse cosa stava facendo e che tornasse da lui. Non voleva lasciare andare un'amica ora che l'aveva appena ritrovata.



Solo l'uomo penitente potrà passare”
Julya procedeva con circospezione, ripetendo le parole di Sant'Anselmo come se fossero un mantra.
Aveva paura, ma era anche emozionata come una scolaretta, a dispetto del fatto che rischiava la vita a ogni passo.
Nella sua testa si alternavano tutti i significati possibili di quelle parole. I suoi sensi erano tesi al massimo nello sforzo di captare qualunque movimento, ma l'unico rumore era quello dei suoi stivali sulla terra rossa.
L'uomo penitente... l'uomo penitente è umile al cospetto di dio.
Umile... lei non lo era mai stata, non sapeva cosa volesse dire quella parole e con che coraggio dunque pretendeva di seguire quel cammino?
Non c'era nessuna umiltà nella sua ricerca, solo arroganza.
Era lì per cercare di ingannare la morte; lei stessa era un tiro mancino alla volontà divina che aveva sancito un ciclo inamovibile per l'uomo: vita, crescita, morte.
Non ci poteva essere presunzione peggiore della sua che voleva sovvertire quell'ordine naturale.
Cosa fa l'uomo umile? Chiede perdono, si umilia, si inginocchia.
Le ragnatele di fronte a lei si mossero come agitate da una brezza leggera e ci fu uno strano rumore, come se qualcosa si fosse azionato all'improvviso e i suoi riflessi da vampira agirono prima che lei potesse pensare razionalmente.
Si gettò a terra e scivolò in avanti prima che le due lame potessero tagliarla a metà e si ritrovò a fissare il soffitto con un gemito.

Sono passata!” urlò a Stefan e il ragazzo respirò di sollievo, anche se sapeva che quello era solo l'inizio.
Intanto Julya si ripulì dalle ragnatele e dalla polvere e continuò il suo cammino.

La seconda sfida è la parola di dio” ricapitolò gettando di lato la sacca in cui teneva il libretto.
Guardando di fronte a sé, non fu difficile immaginare cosa volesse dire “parola di dio”.

Perfetto” borbottò tra sé e sé “E' il nome di dio” mormorò sconsolata.
Teologi, studiosi e letterati si interrogavano su quel quesito da migliaia di anni ed era il più grande mistero della storia.
Come potevano pretendere che lei lo risolvesse in qualche minuto?
Osservò le lettere che componevano il mosaico sul pavimento. Si sentiva vibrare di adrenalina e di emozione, anche se sapeva che quell'ostacolo avrebbe potuto interrompere la sua ricerca.
No, non lo avrebbe permesso, non ora che era letteralmente a pochi metri dalla meta.
Poi le venne un'idea, il colpo di genio.
Con un balzo, fu sulla lettera e, poi sulla g e infine sulla o.
Ego, io.

Io. Dio è in tutti noi”
Provò un moto di orgoglio, ma si disse che avrebbe avuto tempo per insuperbirsi e farsi i complimenti da sola.
Trepidante, si infilò in un cunicolo sempre più piccolo, le cui pareti le si stringevano sempre di più intorno fino a modellarsi quasi intorno al suo corpo.
Affrettò il passo e si ritrovò a correre senza neanche capire quando avesse iniziato. Si bloccò di scatto arpionando la roccia intorno a lei per non cadere nel precipizio.

La terza prova: il sentiero di dio”
Julya calcolò che avrebbe potuto saltare fin là, ma sarebbe poi riuscita ad atterrare nella nicchia dall'altra parte della roccia?
Sembrava piccola anche per lei che pure era minuta.

Abbi fiducia in te stessa, Juls”
La parola fiducia fu un campanello nella sua testa. Fiducia voleva dire anche fede e che cos'era quello di fronte a lei se non un balzo della fede?
Quello sì che era un vero problema.
Lei non aveva mai creduto in dio come ci credeva la maggior parte delle persone. Da piccola, sua madre aveva tentato di inculcarle i principi della chiesa in qualunque modo, a volte anche con la forza, ma Julya era sempre stata più testarda.
Forse c'era qualcosa lassù, ma qualunque cosa fosse sicuramente non era interessato a intromettersi nelle faccende dei mortali.
Non aveva cambiato prospettiva quando era diventata un vampiro; al contrario, la sua convinzione si era solo rafforzata e quando guardava in uno specchio vedeva solo la dimostrazione delle proprie teorie.
Se ci fosse stato un dio come lo volevano i cristiani, non avrebbe permesso a predatori spietati come i vampiri di vivere tra i suoi figli.
Perciò, quel balzo si rivelava più problematico del previsto.
Saltare o non saltare?
Non sarebbe riuscita a risalire da quel baratro se fosse caduta, non quando non beveva da giorni ed era più debole del solito.
Con il senno di poi, non era stata un'idea geniale correre nella gola senza essersi prima nutrita.
Con una mano sul petto e chiudendo gli occhi, saltò.
Si aspettava di cadere per miglia, invece la suola degli stivali toccò subito terra e lei barcollò aprendo gli occhi di scatto.
Con un sorriso tirato e un gemito procedette con passi esitanti, sperando di avere fortuna ad ogni passo e arrivare dall'altra parte.
Anche se il suo cuore era immobile, le sembrava di sentirlo pulsare insieme al rombo del sangue nelle vene.
Sentiva la vicinanza del calice, l'energia magica che emanava arrivava fino a lei e quasi le vennero le lacrime agli occhi nel pensare che era quasi arrivata.
Le ricacciò indietro dicendosi che si sarebbe concessa di piangere – una volta, una sola volta e poi mai più- solo quando avrebbe stretto a sé Aleskeij.
Prima, c'erano ancora troppe cose che potevano andare storte.
Si accucciò e scivolò a gattoni lungo il cunicolo. Quello sì che era da penitente, ma non le importava di sbucciarsi le ginocchia e rovinare il pantalone.
L'uomo che la accolse alla fine del tunnel avrebbe potuto sembrare un fantasma visto il suo pallore, ma non lo era.
Era uno dei tre fratelli della leggenda, colui che era rimasto a vegliare sul calice probabilmente.
Le rivolse un sorriso gentile, da nonno e le fece cenno di avvicinarsi.

Sono passati così tanti anni da quando ho visto qualcuno... nessuno è mai giunto fino a qui, sino a oggi”
Tu sei uno dei tre fratelli?”
Il più valoroso e nobile dei tre, scelto per proteggere il calice”
Sono passati settecento anni”
L'uomo annuì “Un'attesa molto lunga”

Attesa?”
Il cavaliere annuì ancora “Sapevo che un giorno qualcuno sarebbe giunto per prendere il mio posto, un altro cavaliere. Non mi aspettavo che fosse una donzella a fare la sua comparsa, ma suppongo che la nobiltà alberghi in qualunque animo”
Alzò la spada e gliela porse con dignità. Julya sentì un groppo alla gola di fronte alla solennità di quel momento, ma non poteva accettare.
Non era nata per quello, lei lo sapeva.
Non era per nobiltà d'animo che era giunta fin lì, ma per abilità e conoscenze. Non aveva i sacri valori dei cavalieri né la loro dirittura morale: qualcun altro sarebbe giunto un giorno e sarebbe stato lui il giusto protettore del Graal.

Aspetta. E' complicato da spiegare ma...”
Venne interrotta dall'arrivo di Werner e della sua aiutante dai capelli rossi. Ringhiò, ma l'altro non se ne curò, come se lei non fosse lì a sbarrargli la strada.

Che meraviglia... quale di questi è il Graal? Non sono uno storico, non saprei scegliere” ammise guardando con occhi colmi di cupidigia ogni calice d'oro come se non desiderasse altro che prenderli tutti e portarli via con sé.
Scegli con attenzione” lo esorta il cavaliere con voce stanca, come se avesse all'improvviso perso ogni forza “il vero Graal ti darà vita eterna e potere. Allo stesso modo, il falso ti toglierà tutto”
Scelgo per te” si offrì la ragazza dai capelli rossi e iniziò ad analizzare ogni calice, scrutandoli con uno sguardo così intelligente e attento che Julya sentì un brivido di paura solcarle la schiena e farla fremere.
Alla fine afferrò un calice d'oro meravigliosamente intarsiato di pietre preziose, una coppa il cui valore sarebbe stato inestimabile per qualunque gioielliere.

E' degna di un re” convenne Werner guardandola con venerazione prima di immergerla in una conca d'acqua limpida.
Julya non tentava di rivolgersi al cielo da tanti secoli e non era neanche sicura che ci fosse qualcuno ad ascoltarla.
Dopotutto, non avrebbe potuto dare torto a chiunque fosse lassù -sempre che ci fosse qualcuno- se avesse scelto di ignorare le sue richiesta.
Comunque, era disposta a correre il rischio: quel giorno sentiva di poter provare a credere, almeno per qualche ora.
Così chiese che avesse sbagliato e che l'acqua lo uccidesse per poter tentare a sua volta di trovare il Graal.
Forse era contrario a tutti gli ideali che il Graal rappresentava, ma lei era sicura di meritare di trovarlo. I suoi scopi non erano malvagi e lo avrebbe riportato indietro presto, giusto il tempo di riportare in vita Aleskeij.
Con il cuore in gola guardò il vampiro suggere l'acqua, poi ci fu un momento di attesa. Un attimo che nella mente di Julya fu un'eternità prima che quello cominciasse a gemere e a invocare aiuto mentre si disidratava lentamente.
Non fu un bello spettacolo guardare mentre la pelle diventava come carta velina e si accartocciava su se stessa, ma Julya non volle perdersene nemmeno un secondo, godendo di quell'angoscia in ogni secondo fino a quando non divenne polvere ai suoi piedi.

Ha scelto... molto male” ammise con uno sguardo annoiato il cavaliere e Julya provò la tentazione di scoppiare a ridere mentre la ragazza tentava la fuga.
Ma Julya ricordava il sorriso sfacciato e derisorio che le aveva rivolto quando li avevano catturati e si era ripromessa di ucciderli tutti così in un attimo i suoi denti le squarciarono la carotide mentre si saziava.
Se non altro, il suo sangue aveva un ottimo sapore.
Il cavaliere non si scompose e, quando ebbe finito, le fece segno di scegliere. Non la avvertì, ma Julya immaginava che pensasse che ciò che era appena successo fosse un monito sufficiente.
Soppesò con attenzione ogni calice, cercando di riportare alla mente tutte le letture che aveva fatto sull'ultima cena e sul santo Graal.
Era facile immaginare una coppa tanto potente come un oggetto sontuoso, pieno d'oro e pietre preziose, un calice degno del re dei re.
Eppure era troppo facile e un minuto prima si era rivelata la scelta più sbagliata che potesse essere fatta.
Se davvero il Graal era la coppa da cui Gesù Cristo aveva bevuto all'ultima cena, avrebbe davvero potuto essere un oggetto prezioso? Un semplice falegname avrebbe potuto bere da una coppa d'oro?
In tutta quella massa di delizie luccicanti, solo una poteva essere il calice di un falegname.
Era piccola e sgraziata, invisibile se paragonata alle altre, ma proprio per questo poteva essere solo lei.
Non le restava che un modo per scoprirlo.
Si fece coraggio e la immerse nell'acqua poi si prese un momento per pensare alla propria vita. Faceva tanto cliché, ma ripercorse con la mente le tappe saliente della propria vita e si disse che dopotutto era stata una bella vita.
Aveva partecipato a molte delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi due secoli, aveva preso parte ai primi movimenti femministi, si era schierata contro la fucilazione dello zar e della sua famiglia nel 1918 e poi era stata una flapper dell'età del jazz.
Aveva avuto la fortuna di essere amata, anche se chi l'aveva fatto se n'era andato e l'aveva lasciata a fare i conti con la solitudine.
Era molto più di quanto molte persone potessero dire.
Con un sospiro, prese un bel sorso d'acqua e fu come provare di nuovo per la prima volta la sensazione di bere sangue umano.
Si sentiva ebbra; la sensazione di potere era indescrivibile, quasi lo sentiva scorrerle nelle vene. Era afrodisiaco e perfetto come neanche il sangue più buono che avesse mai assaggiato avrebbe saputo essere.
Si voltò verso il cavaliere che le sorrise con soddisfazione e condiscendenza, come un nonno di fronte alle prodezze della propria nipote.

Hai scelto con saggezza. Ma il Graal non dovrà mai oltrepassare il grande sigillo: questo è il limite e prezzo dell'immortalità”
Il sorriso di Julya scemò e si sentì come se le avessero dato un calcio alla testa. Per un attimo le idee le si mischiarono nella testa confusamente e non seppe più nulla di ciò che la circondava.
Avrebbe voluto chiedere di ripetere, ma sapeva di aver sentito e compreso bene ciò che le era stato detto.
Solo che non riusciva ad accettarlo perché avrebbe voluto dire che Aleskeij non sarebbe più tornato in vita e che ogni cosa era stata inutile.
Boccheggiò quando comprese a pieno quel pensiero e perse la cognizione di tutto ciò che la circondava.
Non provò a chiedere un'eccezione perché sapeva che non potevano essercene.
Doveva essere quella la punizione per la sua arroganza: aveva tentato di sfidare la morte, pensato addirittura di poterla vincere ancora una volta e le era stato permesso per due secoli di crederlo per poi far crollare ogni sua convinzione come un castello di carte proprio alla fine.
Era stato molto peggio così.
Aveva accarezzato l'idea di riabbracciare suo fratello, per un attimo – un solo secondo mentre portava il calice verso il bacile- si era concessa di progettare una vita con lui.
Aveva immaginato la sua espressione quando lo avrebbe portato a Parigi e Londra o dovunque volesse andare, aveva sognato di vederlo innamorato e felice, aveva vagheggiato l'idea di essere una famiglia.
Invece tutto le era scivolato dalla dita come sabbia trasportata dal vento ed era lì, accasciata sulla terra rossa senza sapere cosa fare.
Era persa e aveva tanto bisogno di qualcuno che rimettesse insieme i pezzi che stavano andando alla deriva.
Riemerse dalla nebbia quando sentì due braccia cingerla e sollevarla con delicatezza. Trovò lo spazio per sperare che fosse Stefan – perché se così non fosse stato avrebbe voluto dire che era morto-, ma quella fu l'ultima cosa che riuscì a provare.

Non può essere portato via da questa grotta” mormorò e non riconobbe la propria voce.
Poi, come se qualcuno avesse battuto le mani e fatto scomparire tutto, ci fu solo un vuoto impossibile da riempire.


E questa d'ogni mia speranza
e' la silenzio fine.
Sorse tra bei colori il mio mattino
precoce ed arida la fine”

Emily Dickens



Continua


**


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Capitolo 9
*** I can't stand the pain, how could this happen to me? ***


Capitolo 9 Ekleipsis

Ma buondì, bella gente!
Ebbene sì, ecco il nuovo capitolo, uscito fresco fresco dalla cartella e pubblicato subito per voi.
Spero che il capitolo piaccia e, piccolo spoiler, aspettatevi tristezza.
Tristezza a palata, davvero.
Per il resto, vi lascio alla storia.
Buona lettura^^

 
Una piccola, ma indispensabile correzione e aggiunta.
Questo capitolo è ispirato dalla bellissima storia di Sissi Bennet

Ashes&Wine

nel fandom "Il diario del vampiro", nella sezione libri.
Vi lascio il link e vi consiglio di leggerla perché credo che sia fantastica.
Grazie.


Image and video hosting by TinyPic 


I can't stand the pain, how could this happen to me?




And I can't stand the pain 
And I can't make it go away 
No I can't stand the pain 
How could this happen to me 
I made my mistakes 
I've got no where to run 
Untitled- Simple Plan



Erano tornati a Mystic Falls da una settimana e Julya non aveva ancora accennato a uscire dalla sua stanza.
Ogni mattina sentiva suonare la sveglia e lasciava che continuasse a farlo fino a quando non si spegneva o veniva spenta. Non lo sapeva. Aveva solo una certezza: non avrebbe abbandonato il suo nascondiglio neanche con la forza.
Non aveva dormito per giorni fino a quando la stanchezza non aveva avuto il sopravvento, facendola piombare in un sonno dal quale si era svegliata ancora più provata. Non aveva nemmeno pianto perché avrebbe richiesto troppe forze.
Era solo rimasta immobile avvolta nel piumone che aveva trascinato con sé, con la gambe strette al petto con tanta forza da arrivare a pensare che non sarebbe mai più riuscita a stenderle.
Aveva provato a pensare a cosa fare, ma si era accorta di essere senza prospettive.
Solo in quel momento, dovendo fare i conti con il proprio fallimento, si rese conto di non aver mai davvero contemplato la possibilità che qualcosa andasse storto.
Certo, aveva pensato che ci potessero essere intoppi nella sua ricerca, ritardi, problemi, ma il risultato... quello, dall'alto della sua presunzione, non lo aveva mai messo in dubbio.
E non aveva pensato neanche per un attimo che, se avesse fallito, si sarebbe improvvisamente trovata a fare i conti con il lutto che non aveva affrontato quasi un secolo prima.
Le piombò tutto sulle spalle e fu come una doccia fredda, ma non ebbe la forza di fare altro che sussultare e fremere per un attimo, prima di tornare immobile, fissando il pavimento con aria assente.
Il primo a provare a farla uscire era stato Stefan, ma Julya non era riuscita nemmeno a guardarlo in faccia.
Aveva scoperto di essere terrorizzata da lui quando aveva sentito la sua voce: ogni cosa di lui le ricordava ciò che era appena successo e la ferita che le squarciava il petto pulsava più forte, come se qualcuno vi avesse versato sopra del sale. L'aveva chiamata per un po', poi se n'era andato senza aver ottenuto nulla.
Poi era stato il turno di Caroline e persino Damon si era scomodato.
Le aveva rifilato una frase del tipo “Smetti di fare l'adolescente sociopatica e vieni fuori” alla quale lei non aveva risposto e alla fine anche lui, il più testardo di tutti, aveva capitolato con un'imprecazione.
Non pensava che potessero mandare qualcun altro perciò quando vide la porta aprirsi ebbe un guizzò di sorpresa.
Si appiattì contro il pavimento e seguì con circospezione gli stivali che muovevano passi incerti per la stanza.

Julya?”
Era Elena.
Ovvio che fosse Elena: chi altri avrebbero potuto mandare?

Non staresti più comoda sul letto? Vorrei parlarti”
Julya non rispose, ma se non altro alzò gli occhi dal pavimento per fissarli in quelli di Elena.

Va bene, allora vengo io”
L'espressione nelle iridi di Julya la spinse a desistere e alzare le mani in segno di resa, stendendosi poi sul pavimento, abbastanza lontano da Julya da concederle il suo spazio.

Parleremo da qui. Sai, mi sono accorta che da quando sei arrivata io e te non abbiamo mai parlato. Ed è strano perché Stefan ti vuole molto bene, davvero molto”
Attese, sperando che Julya rispondesse, ma la ragazza si limitò a continuare a fissarla.

Sono contenta che tu non sia partita”
Rimango solo perché non ho nessun altro, ora” ammise.
Perciò non pensi di andartene tanto presto?”
Dove dovrei andare, Elena? Mio fratello è morto, non ho trovato il Graal e non tornerà mai da me. Non ho più nulla” le spiegò con calma, la voce così piatta che Elena sentì un brivido lungo la schiena e le sembrò di provare un po' della tristezza che sentiva Julya.
Sai, io ti capisco. Mio padre e mia madre sono morti e io mi sono sentita esattamente come ti senti tu ora”
Perciò immagino che sarai venuta qui a dirmi che dovrei rialzarmi e farmi forza, che le cose brutte accadono e non si può fare niente per evitarle”
In realtà, ero venuta a dirti il contrario”
Quello la sorprese e Elena riuscì addirittura a leggere la perplessità sul suo viso, nonostante la poca luce, e si voltò di lato per guardarla meglio.

Quando sono morti i miei genitori, la gente non faceva che dirmi quelle cose e io li odiavo per questo. Certo, non mi sono mai infilata sotto un letto per una settimana, ma cavolo!, se hai voglia di startene lì, fallo”
Dici davvero?”
Sì. Hai diritto ad avere il tempo di guarire e non è giusto pretendere da te che tu reagisca subito. Con il tempo, troverai un modo di venire a patti con tutto quel dolore” le promise e c'era una tale sincerità nel suo sguardo che Julya non ne dubitò.
Ora devo andare. Suppongo che ci vedremo, prima o poi”
Detto questo, si sollevò e uscì dalla stanza, non prima di averle regalato un sorriso motivante.
Julya le fu grata per quelle parole. Le pareva strano che fosse stata proprio Elena a darle la spinta che le serviva per fare il passo successivo, ma si trovò a desiderare di provare qualcosa che non fosse più solo un vuoto devastante.
Non era ancora un vero sentimento, ma era un passo avanti rispetto al nulla e all'apatia.
Ora, la cosa più sensata sarebbe stato alzarsi e cercare di mettere insieme qualcosa per tirare avanti ogni giorno.
Lo avrebbe fatto, ma non in quel momento. Aveva ancora bisogno di restare sola perché, nonostante tutto, non era ancora sicura di aver superato la fase di negazione della realtà.
Lo capiva dal fatto che ogni volta che si risvegliava dal suo sonno agitato sperava ancora che fosse tutto frutto della sua fantasia.
Un giorno avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita. Con cura e attenzione si sarebbe costruita una quotidianità e avrebbe trovato un nuovo sogno, qualcosa a cui dedicarsi, ma fino a quando non si fosse sentita pronta avrebbe tirato dritto per la propria strada senza curarsi di tutto.
A ben pensarci, sarebbe stato facile smettere di provare qualunque cosa. Sarebbe bastato premere l'interruttore e non avrebbe più sentito nulla, come per magia.
Eppure non voleva farlo.
Julya si conosceva: se avesse spento la propria umanità in quel momento, l'avrebbe riaccesa prima o poi e allora riaffrontare quell'inferno sarebbe stato mille volte più doloroso, come essere bruciata viva con lentezza esasperante.
Non sarebbe stata così codarda da tirarsi indietro di fronte al dolore. Per un essere umano soffrire era una sorta di garanzia sulla vita, una conferma di esserci ancora, ma la maggior parte dei vampiri credeva che la stessa regola non valesse per loro.
Stupidamente, pensavano che essere morti fisicamente li rendesse anche morti
dentro, incapaci di provare emozioni intense che non fossero l'odio, la brama di sangue, la vendetta.
Julya non era dello stesso parere. Al contrario, vedeva nei vampiri creature in grado di provare sentimenti di un'intensità disarmante, mille volte più potenti di quelli degli esseri umani.
Per loro, rabbia, dolore, frustrazione, desiderio, amore... tutto veniva amplificato.
Era per quel motivo che i vampiri si rifugiavano dietro l'interruttore e spegnevano la loro umanità, a volte per sempre: perché era più facile non sentire.
Dopotutto, si riduceva tutto a quello: codardia e coraggio, facce speculari della stessa medaglia.
Con quel pensiero, socchiuse gli occhi e si addormentò senza accorgersene.



*



Non sapeva quando fosse successo, ma lentamente Julya aveva ripreso a provare emozioni.
Non sapeva se considerarlo un miglioramento, però.
Passava dalla tristezza alla rabbia così in fretta che i suoi sbalzi d'umore non avrebbero avuto nulla da invidiare a una donna incinta.
Era come una bomba a orologeria, pronta a esplodere in qualsiasi momento e un po' le faceva paura perché non sapeva cosa aspettarsi dalla detonazione.
Poteva andare meglio, ma sicuramente la situazione sarebbe solo peggiorata perché sapeva cosa voleva dire toccare il fondo e sapeva di non esserci neanche vicina.
Non poteva fare altro che attendere l'esplosione.
Alla fine, arrivò a notte fonda, paradossalmente nell'unica sera in cui fosse riuscita a trovare un po' di quiete nell'alcool.
Era appena tornata a casa e ondeggiava pericolosamente mentre saliva le scale. Ad un certo punto, si tolse le scarpe e continuò la salita, ma non sembrò andare molto meglio perché alla fine capitolò sul pianerottolo ridacchiando.
Rimase lì fino a quando non sentì una porta aprirsi e all'improvviso apparve Stefan. Anche da sbronza, Julya avrebbe saputo riconoscere le sue espressioni senza problemi e lui aveva addosso proprio quella da “cavaliere in scintillante armatura”, quella che odiava di più in situazioni come quelle.

Hai bevuto” constatò, il volto così impassibile da farle credere che quella fosse più che altro l'espressione da “è il momento della ramanzina, spero che tu non abbia fretta”.
Io l'ho sempre detto che tu sei così perspicace” biascicò lei, concludendo la frase con qualche difficoltà di pronuncia.
Il suo accento russo, di solito sapientemente occultato, contaminò la pronuncia e rese più difficile per Stefan capirla.

Cosa hai bevuto?” le domandò scendendo un paio di gradini, giusto per essere a portato di mano nel caso fosse scivolata di nuovo mentre tentava con scarso successo di rimettersi in piedi.
Rilassati, Stef. Ho...” e ci mise un po' a ricordare quanti anni avesse, contando velocemente un paio di volte “140 anni. Sto bene e posso cavarmela da sola”
Indubbiamente non hai bisogno di essere difesa e non mi preoccupo della tua salute fisica. Ma tu non stai bene”
Ah no?” gli domandò con un ghigno seducente e uno sguardo lascivo, quasi osceno “Potresti farmi stare bene tu”
Si alzò in punta di piedi e gli posò una mano intorno alla nuca, stringendo con l'altra i capelli. Stefan si voltò appena in tempo perché le labbra di lei sfiorassero la sua guancia, poi la afferrò e la scostò da sé.

Sei ubriaca” la freddò, ma Julya era davvero troppo brilla per prendere qualcosa sul serio.
Ridacchiò ancora.

E' così importante?”
So cosa stai cercando di fare” la ammonì. Le voleva bene, la amava davvero -anche se non nel modo in cui amava Elena- e l'idea di essere duro con lei lo feriva, ma sapeva che doveva farlo.
Julya non sarebbe tornata a essere se stessa senza una terapia d'urto. Una volta guarita gli avrebbe tenuto il broncio per mesi o, più probabilmente, gli avrebbe conficcato un pugnale nello stomaco per vendetta, ma poi sarebbe passata oltre, di nuovo normale.

Stai fuori da casa per giorni interi, torni a orari improponibile puzzando di alcool e sangue, fai la sgualdrina con me: stai cercando di attirare l'attenzione, Julya?” la prese in giro tenendole il viso tra le mani perché non potesse evitare il suo sguardo.
A sorpresa, Julya lo inchiodò con occhi lampeggianti di furia e indignazione “Non me ne importa niente della tua attenzione! Perché dovrebbe importarmi se ho una vita sregolata quando non mi sembra neanche di viverne una? Non ho più niente, Stefan!”
Per un attimo provò la sua stessa tristezza e gli venne voglia di stringerla a sé quando si rese conto di non poter cedere ora che aveva iniziato.
Aveva scelto la linea dura e doveva essere coerente fino alla fine se voleva che funzionasse.

Hai deciso di fare la vittima? Io ho provato a starti accanto: sono rimasto steso sul tuo pavimento per quasi due giorni e tu non mi hai neanche guardato in faccia!”
Non te l'ho chiesto”
No, l'ho fatto perché ti voglio bene e vedere che sei l'ombra di te stessa mi spezza il cuore. Dimmi cosa devo fare, dimmi cosa vuoi” la pregò guardandola negli occhi con uno sguardo così intenso e appassionato che probabilmente avrebbe fatto sospirare di desiderio anche la ragazza più frigida.
Ma Julya rimase impassibile; forse Stefan aveva ragione e lei era davvero diventava un fantasma.

Non voglio niente” rivelò “non faccio i capricci, non cerco attenzioni. Non mi importa di nulla, neanche di me stessa”
A quel punto Stefan capì e si sentì quasi sommergere dal peso di quella dichiarazione.
Julya andava in giro a bere sangue umano, ubriaca, senza controllo, con il pericolo di essere scoperta esattamente per quello: perché per lei vivere o morire erano diventati la stessa cosa.

Vorrei che tu non fossi seria”
Perché non dovrei? Ho così tante cose per cui continuare a sopportare questa eternità...”
Va' a dormire, Julya. Ne parleremo un'altra volta”
Stefan aveva bisogno di un po' di tempo per metabolizzare tutte quelle informazioni e per decidere come comportarsi.
La verità era che lo stato emotivo di Julya lo aveva sconvolto e turbato più che se l'avesse vista spegnere per sempre le sue emozioni per cercare di placare un po' la sofferenza.
Doveva dormirci su e anche Julya, ma prima aveva bisogno una conferma.

Promettimi che non farai nulla di avventato”
Ma Julya tacque e lo guardò con sprezzo, come a sfidarlo a proibirle di fare qualunque cosa volesse.

Julya...”
Nelle sue parole c'era un avvertimento a non andare troppo oltre perché avrebbe fatto ciò che doveva fare per proteggere Mystic Falls e farla ritornare la Julya di un tempo.

Che c'è Stefan?” sbottò allora “Se non mi comporterò da bambina obbediente cosa farai? Mi rinchiuderai? Mi ucciderai? Fallo” lo incitò facendo un passo avanti “strappami il cuore!” gli gridò in faccia Strappalo ora! Credi mi importerebbe? Fallo!” lo incitò ancora, nella disperata speranza che la esaudisse, che mettesse davvero fine a quell'inferno.
Furono le parole che fecero traboccare il vaso. Stefan se la caricò in spalle e si catapultò giù dalle scale e poi ancora più giù, in cantina.
La lasciò cadere quando furono nella stanza accanto a quella dove un tempo Zach coltivava la verbena e si richiuse la porta alle spalle, appena in tempo per evitare che lei fuggisse.

Fammi uscire di qui, Stefan! Fammi uscire!” strillò con tutta l'aria che aveva nei polmoni e la sua voce raggiunse in effetti toni piuttosto notevoli, ma avrebbero dovuto farci l'abitudine.
Julya era stata una cantante, le sue corde vocali erano più che allenate e ci sarebbe voluto un po' perché si stancasse di urlare, cocciuta com'era.
Ma lui non aveva fretta.
Mentre se ne andava si disse che l'avrebbe guarita, in un modo o nell'altro.


*


Falle i complimenti per i polmoni: per urlare così da due giorni devono essere allentatissimi” gli ricordò Damon mentre scendeva con una sacca di sangue per Julya.
Era rinchiusa nella cella da quarantotto ore e aveva fatto il possibile per non far passare inosservata la sua presenza almeno fino a un paio di ore prima.
Aveva urlato chiamando il nome di Stefan, poi era passata alle minacce, poi alle suppliche per poi tornare alle intimidazioni.
All'inizio Damon lo aveva trovato divertente, ma alla seconda notte in bianco aveva smesso di ridere.
Nessuno avrebbe potuto dire che non fosse una vampira perseverante.
Raggiunse la cella e la trovò rannicchiata in un angolo che lo guardava da sotto le ciglia, attraverso una ciocca di capelli scivolatale davanti al viso.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere Stefan sarebbe morto all'istante, trafitto da migliaia di coltelli.

Oggi il carrello della mensa passa prima?” gli domandò facendo schioccare la lingua contro il palato e aprendosi in un sorriso beffardo, mentre nei suoi occhi brillava ancora la rabbia.
Io e Damon andiamo a casa di Klaus per trattare” la informò con disinvoltura.
Ma Julya non poteva sapere cosa era accaduto negli ultimi giorni. Non sapeva che Stefan aveva sottratto a Klaus le bare che si trascinava dietro dovunque andasse e le aveva nascoste dove lui non poteva trovarle.
O almeno, così aveva pensato fino a quando Damon non era stato costretto a nascondere quella sigillata per evitare che Klaus se le riprendesse tutti.
A ben pensarci, era solo grazie a lui se avevano ancora qualcosa da scambiare.

Ti aggiornerò quando torno” le promise.
A una parte di lui piangeva nel cuore nel doverla trattare così, come se fosse una prigioniera, ma lo faceva per lei: aveva già dimostrato di aver preso una pessima china e non sembrava intenzionata a rimettersi in carreggiata troppo presto.
Fino a quando non fosse rinsavita, sarebbe rimasta lì, anche se avesse supplicato e pregato fino alle lacrime.
Julya aveva avuto due giorni per pentirsi di essere esplosa in quel modo.
Si era ripromessa di tenersi tutto dentro per non dover più vedere quegli sguardi di compassione che la mandavano su tutte le furie, ma l'altra sera era scoppiata definitivamente e ora si trovava in quella schifosissima cella a bere sangue e mangiare toast che, peraltro, neanche le piacevano.
Era arrabbiata con se stessa e con Stefan e lo era stata anche la notte scorsa, quando gli aveva mostrato la parte peggiore del suo dolore solo per togliergli dalla faccia quell'espressione severa.
Era tanto chiedere di essere semplicemente ignorata? Julya non credeva.
Dopotutto, aveva tante cose a cui pensare perciò perché non poteva lasciare che lei sprofondasse lentamente nel proprio baratro?
Nessuno pensava che fosse giusto lasciare che sentisse ciò che voleva e provavano tutti a guarirla, ma lei non lo voleva.

Non sprecarti. Il mio udito è piuttosto buono e da qui si sente tutto perfettamente” replicò con asprezza guardando con desiderio il sangue.
Aveva sete e Stefan gliene dava abbastanza per farla stare bene, ma non per renderla forte. Il che era una seccatura perché se avesse bevuto abbastanza sangue avrebbe potuto scappare, anche con la verbena che lui si era premurato di cospargere sulla porta, per tenerla lontana.
Evidentemente non aveva ancora capito quanto lei fosse testarda.

Ho qualche minuto e io e te dobbiamo parlare” la informò sedendosi a su una sedia che si era probabilmente portato dalla cucina.
Mi dispiace, ma la mia gola è piuttosto provata”
Fino a due ore fa sembrava in perfetta forma”
Punti di vista, immagino”
Stefan le porse l'intera sacca di sangue e Julya ne fu sorpresa. Ovviamente non si sarebbe mai sognata di protestare e cominciò a suggere con calma il delizioso nettare.
AB positivo, il suo preferito.
Ma sapeva che Stefan non si sarebbe levato dai piedi troppo in fretta e perciò lo accontentò sbuffando.

Va bene, parliamo”
Potremmo iniziare dal tuo show delirante di due sere fa. Saltando il fatto che mi sei saltata addosso...”
Andiamo, mi sarei fermata prima. Non ero così ubriaca”
No, lo immagino...”
Bene, allora è tutto chiarito. Sono contenta che ne abbiamo parlato” lo prese in giro inarcando le sopracciglia con disappunto quando Stefan scosse la testa.
Bel tentativo, ma non funziona. Comunque, non è di questo che voglio parlare. Vorrei capire cosa ti passa per l'anticamera di quel cervello che ho sempre considerato più che brillante”
Julya fu ben lungi dal sentirsi lusingata e aggrottò le sopracciglia in un'espressione perplessa.

Allora prova a leggermi nel pensiero” lo incitò “Oh, non puoi” si finse dispiaciuta portandosi una mano alla bocca in un gesto di finta sorpresa.
Con uno scatto repentino Stefan si chinò su di lei e la inchiodò con i propri occhi verdi. Julya si aspettava di sentire qualcosa -un rimescolio nello stomaco o uno sfarfallio- ma non provò nulla che non fosse rabbia.
A dire il vero non vedeva oltre il velo di rancore che le offuscava lo sguardo.

Sono sicuro che la vera Julya sia ancora lì dentro”
Non c'è una vera e una falsa Julya. Io sono sempre io, ma le persone cambiano”
Lo dici solo perché stai male e non vedi oltre tutto questo, ma passerà. Tu sei migliore di così”
Non mi conosci, non mi vedi da ottant'anni. Non sai chi sono” ringhiò scuotendo i capelli, frustrata.
Tu non sei così e questo mi basta. Vedi di tornare in te, ragazza interrotta, perché la tua rabbia non ti porterà da nessuna parte: non dovresti mai permettere alle ferite di farti diventare qualcuno che non sei” le ricordò alzandosi.
Il loro tempo era finito e lui non aveva ottenuto nulla: solo più frustrazione e sconforto, ma nessun passo avanti.
Non sapeva cosa fare con lei perciò l'avrebbe lasciata ancora un po' lì ad aspettare che le tornasse un po' di buonsenso.
Julya guardò Stefan richiudersi la porta alle spalle senza l'ombra di un espressione sul volto. Lo sentì salire le scale e solo quando fu certa che fosse lontano si permise di sospirare piano.
Poi si accorse di avere ancora in mano la sacca di sangue: evidentemente Stefan era stato troppo distratto dalla loro lite per ricordarsi che gliene aveva data una intera.
Le si illuminarono gli occhi e guardò la porta come se non la vedesse, come se riuscisse già a vedere oltre.
Bevve dalla sacca fino all'ultima goccia e l'assaporò tutto con calma, proprio come avrebbe fatto se avesse avuto tra le mani una tazza di buon caffè o di whisky.
Voleva essere sicura che Stefan e Damon fossero andati via di casa e poi avrebbe avuto tutto il tempo di uscire perché era abbastanza certa che la cena sarebbe andata per le lunghe.
Lanciò di lato la sacca di sangue e si avvicinò con circospezione alla porta. Si sentiva rinata, certo, ma una bella bevuta non avrebbe reso meno doloroso il contatto con la verbena.
Aveva pensato che Stefan ne avesse messa appena un poco, giusto perché ne avesse sentore. Di certo non si era aspettata che l'avesse letteralmente ricoperta.
Non fu facile aprirla: a ogni spallata le sembrava che qualcuno le avesse versato dell'acido sulla pelle e poi sulla carne viva.
Bruciava come il fuoco, forse anche di più, e non era per niente piacevole. L'odore poi le dava alla testa e le provocava una sgradita sensazione di debolezza e capogiri.
Alla fine riuscì a scardinarla e a strisciare fuori.
Purtroppo, aveva sottovalutato Stefan, ma lui non aveva fatto altrettanto con lei. Nel momento esatto in cui cercò di risalire le scale, trascinando un po' la gamba ammaccata in via di guarigione, sentì uno scatto e prima di poter fare qualcosa si trovò a terra con un paletto intriso di verbena conficcato nello stomaco e uno tra le mani.
Stefan doveva aver previsto che sarebbe riuscita a bloccarne uno e per questo aveva sistemato una seconda trappola.
Quella l'avrebbe pagata cara: gli avrebbe cosparso ogni cosa -letto, abiti, diari, Elena- con così tanta verbena che avrebbe dovuto dare fuoco a tutto.
Ansimò e le mancò il fiato per un secondo mentre strappava il paletto dalla propria carne. Ma la verbena bruciava -dannazione se bruciava!- e lei si sentiva più debole che mai.
Un ringhio le distolse i lineamenti, ma era troppo spossata per fare qualcosa di concreto. Si appiattì ancora di più contro il pavimento e lasciò cadere la testa di lato, scivolando nel sonno senza accorgersene.




Continua



**


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Capitolo 10
*** Every breath, every hour has come to this, one step closer ***


Capitolo 10

Buonsalve.
No, non ho scusanti per il ritardo, ma stavolta penso che in queste note mi dilungherò un poco.
Scherzavo, sarò breve perché, davvero, mi basta una parola.

Il fatto è... be', grazie.

Grazie a chi recensisce perché mi regala un bel momento, a chi ha  storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche a chi ha letto e pensato “Ehi, mica male questa storia” o “Mi piace proprio”, anche se non ha recensito.

In questo momento, poter scrivere è una delle poche cose che mi aiuta.

Vi giuro che risponderò a tutte le recensioni, il prima possibile. Purtroppo ora non mi è possibile, ma ce la farò.



Dedicato a tutti voi.


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Every breath, every hour has come to this, one step closer


Il vuoto di lunghi anni di distanza
può un attimo colmare,
poiché l'assenza del mago non rompe l'incantesimo
Emily Dickinson




La cena era andata esattamente come i fratelli Salvatore volevano, anche se ora si trovavano con cinque Originali e senza la minima idea di cosa ci fosse in quella che Bonnie e sua madre stavano cercando di aprire.
Apparentemente la situazione non era delle migliori, se non fosse stato per il fatto che Klaus non sembrava in un ottima posizione, così costretto dalle braccia del fratello, e neanche gli altri apparivano esattamente di ottimo umore.
Inutile dire che Stefan non vedeva l'ora di andarsene e concludere quella battaglia una volta per tutte.
A casa ne aveva un'altra ad attenderlo e non era sicuro che il livello di difficoltà fosse di molto inferiore.
Julya sapeva rivelarsi un osso duro, quando voleva, e se si fosse messa in testa di fargli passare le pene dell'inferno allora lo avrebbe fatto e non sarebbe stato per niente divertente.
Non capiva come lei non comprendesse che lo faceva solo perché le voleva bene e voleva vederla di nuovo sorridere come faceva prima che si addentrassero di propria volontà in quella ricerca del Graal.
Con il senno di poi, non era stata una grande idea iniziare quell'impresa, ma lui pensava che Julya avesse calcolato tutti i rischi.
Ora però non era il momento di piangere sul latte versato e doveva mettersi al lavoro per farla tornare in sé.

Siete liberi di andare” li congedò Elijah con un cenno del capo, accennando un sorriso ironico “E' una questione di famiglia”
Damon e Stefan erano quasi alla porta quando questa si spalancò e Stefan venne travolto da Julya che lo trascinò a terra senza curarsi del posto, del momento e di qualunque altra cosa.
Il suo vestito era sporco di sangue e gli occhi scuri spiccavano sulla pelle più pallida che mai, chiaro segno che per liberarsi aveva dovuto superare tutte le trappole.
Per quanto seccato, Stefan non poté non provare un briciolo di ammirazione per la forza d'animo e la testardaggine che Julya aveva avuto.
Molti si sarebbero fermati alla porta tinteggiata con la verbena.

Tu! Lurido bastardo” inveì contro di lui e probabilmente se avesse avuto un pugnale glielo avrebbe ficcato nello stomaco, esattamente come lui aveva fatto con lei.
Mi hai pugnalata e avvelenata con la verbena!”
La spinse via e si rimise in piedi. Julya aveva gli occhi luccicanti di furia, i capelli spettinati e le labbra aperte in una specie di ringhio roco.

Andiamo a parlarne fuori”
Parlarne?” ringhiò lei “io non voglio parlarne. Voglio solo farti provare le stesse cose che ho provato io”
A quel punto intervenne Damon.
O meglio, si sarebbe sicuramente intromesso con qualche commento sarcastico -e Stefan già lo vedeva balenare nei suoi occhi e raggiungere le labbra incurvate nel solito sorriso beffardo- ma qualcun altro intervenne.

Julya”
Si voltò e a quel punto Stefan assistette al rapido susseguirsi di diverse espressioni sul volto della vampira. Dapprima vi fu in disappunto, come se pensasse che qualcuno la stesse prendendo in giro, poi sorpresa, incredulità, disorientamento e infine i suoi occhi si accesero in un modo che Stefan non aveva mai visto.
Gli era sembrato impossibile calmare Julya, ma ora, dopo la tensione iniziale, sembrava essere improvvisamente in pace e pareva quasi che la sua persona emanasse luce.

Kol”



La sua voce ebbe un inaspettato potere su di lei, probabilmente perché non si aspettava di sentirla.
Per prima cosa provò frustrazione perché pensò che quella fosse un'allucinazione da verbena invece che la realtà.
Sarebbe stato troppo bello se così non fosse stato e Julya non credeva che quel periodo potesse portarle qualcosa di buono.
Poi però Kol sorrise nel suo solito modo, con quel irresistibile mix di irriverenza e fascino, e Julya capì che era la realtà.
Tuttavia le ci volle un attimo per connettere le idee e realizzare davvero che Kol era lì, non più in una bara con un pugnale nel petto.
Sbatté le palpebre con una buffa espressione di incredulità e sorpresa sul volto fino a quando la consapevolezza non la colpì in pieno petto come un luminoso lampo di luce bianca, tanto intenso da far sciogliere come neve al sole la rabbia e il rancore.
D'un tratto le sembrò di essersi illuminata, come se avesse visto il sole dopo tanto tempo e invece era solo Kol.
Ma il punto era esattamente quello: lui era Kol e non c'era nessun solo quando si trattava di lui e di lei.
Pensava di aver smesso di provare qualcosa per lui, ma ora che era lì, di fronte a lei con quel suo solito sguardo, sentì che non era mai stato vero.
Qualunque cosa avesse provato per Stefan – e qualcosa c'era stato, anche se era stato fuggevole come un temporale estivo- non era nulla paragonato a quello che provava in quel momento e solo perché lui la stava guardando.
Avrebbe voluto toccarlo, ma temeva che se si fosse avvicinata e avesse provato a stringerlo a sé si sarebbe accorta che era tutta un'illusione del suo stupido subconscio.
Come se avesse bisogno che lui le dicesse cosa desiderasse e non lo sapesse già da sola.
Titubò nella speranza di trovare il coraggio di avvicinarsi.
Lui la aspettava con un sorriso, guardandola con occhi così intensi da farle venire la lacrime agli occhi. E non seppe come o quando fosse passata dal groppo alla gola al pianto, ma si trovò con le guance bagnate di lacrime in un battito di ciglia.
Non ricordava neanche l'ultima volta che aveva pianto come una bambina.
Doveva essere uno spettacolo orrendo, con i capelli fuori posto, gli occhi cerchiati dal mascara che si scioglieva e l'abito sporco di sangue e terra.

Ti sono mancato, tesoro?”
Lo chiedeva anche?
Certo che le era mancato: ogni minuto di ogni giorno, anche se aveva fatto di tutto per dimenticarlo.
Aveva seppellito se stessa e il proprio cuore tra i libri di storia, filosofia e teologia per trovare il Graal e non aveva chiuso gli occhi di fronte ai grandi drammi della sua vita perchè se avesse trovato il Graal sarebbe andato tutto bene.
Ma non era vero, era solo una bugia che aveva inventato per riparare se stessa dalla sofferenza che altrimenti l'avrebbe travolta come un'onda.
Ma aveva solo ottenuto di rimandare la resa dei conti e l'unico risultato che aveva ottenuto era stato di rendere le cose più difficili e più dolorose.

Il gatto ti ha mangiato la lingua?” le domandò ancora, ma stavolta sembrava più incerto, titubante.
Fece un passo avanti e posò il bicchiere di vino sul mobile accanto all'ingresso.
Julya moriva dalla voglia di abbracciarlo, davvero.
Ogni parte del suo corpo le diceva di stringerlo a sé e non mollare la presa fino a quando non fosse stata sicura di non cadere più, ma all'ultimo momento si bloccò.
Il suo corpo diceva una cosa, il suo cuore un'altra e la sua testa ne diceva un'altra ancora.
Tra loro c'era la distanza di un passo: le sarebbe bastato un piccolo movimento per essere tra le sue braccia.
Ma non poteva, ecco il punto.
Non poteva stringerlo a sé e rendere tutto reale perché se se ne fosse andato un'altra volta... oh, se lui fosse andato via ancora di lei avrebbero raccolto solo cocci e non ci sarebbe stato nulla da fare per rimetterla insieme.
Lei era già a pezzi ed era fragile. Permettere a Kol – ed era lui il punto- di avvicinarsi di nuovo a lei in quel momento avrebbe potuto essere la sua fine.
Julya era diversa dalle altre persone.

La gente normale – non i vampiri folli come lei- cercava il conforto degli amici, dei parenti, di un compagno. Lei invece lo rifuggiva come la morte ed era un eccellente paragone perché pur di non morire lei era diventata una vampira.
Il punto era che le faceva paura – una paura insensata e irrazionale- l'idea di permettere a qualcuno di avvicinarsi a lei così tanto proprio quando era così vulnerabile, così terribilmente esposta.
Non poteva farlo.
Si sottrasse a quella vicinanza asciugandosi gli occhi.

Io... devo andare” balbettò e senza attendere oltre scomparve oltre la porta.
Kol fissò il punto oltre il quale era sparita apparentemente imperturbabile, ma nei suoi occhi c'era ancora lo stesso sguardo con cui l'aveva guardata l'ultima volta perché per lui non era cambiato nulla.
Julya sarebbe sempre stata sua, anche se fossero passati più di cento anni e il mondo avesse iniziato a ruotare su un nuovo asse.


*


Non si era accorta di aver camminato sino a casa di Caroline sino a quando lei non era uscita e si era seduta accanto a lei, proprio sotto il portico.
All'inizio non parlarono, stringendosi nei propri vestiti e guardando l'una davanti a sé, l'altra un punto sul selciato di fronte alla casa.
Dentro casa, l'orologio stava scoccando la mezzanotte, ma sembrava che nessuna delle due avesse troppa fretta di rientrare e rimanere da sola.
Entrambe, quella sera, avrebbero preferito non dover restare da sole.
Fu Caroline a spezzare il silenzio.

Hai un aspetto terribile”
Anche tu non sembri proprio in forma”
Mio padre sta morendo”
Mio fratello è morto”
Che schifo”
Puoi scommetterci”
Ci volle un attimo perché i loro cervelli prendessero atto dell'intera conversazione e poi scoppiarono a ridere.
Probabilmente la loro era solo una reazione allo stress degli ultimi giorni, una sorta di valvola di sfogo, un po' come la rabbia per Julya e il pianto per Caroline.
Risero fino alle lacrime e alla fine Caroline non smise di piangere, appoggiandosi alla spalla di Julya che la sostenne come poté.

Caroline pianse e lei la invidiò per questo, perché la sua era una reazione normale di fronte a un lutto; la invidiò perché sembrava così facile per Caroline manifestare il proprio dolore mentre lei, che provava la stessa emozione, probabilmente con la stessa intensità, non sapeva fare altro che tenersele dentro fino a implodere e poi afflosciarsi su se stessa.

Grazie” le sussurrò mentre si asciugava con una mano le guance e gli occhi bagnati di lacrime “Questo non è un periodo facile neanche per te”
Per questo non mi devi ringraziare. Non c'è nessuno che ti capisca come me”
Caroline accennò a un mezzo sorriso per poi tornare seria e triste, anche se questo non offuscò minimamente la luce che sembrava emanare.
Chissà se c'era stato un tempo in cui anche lei sembrava risplendere di luce propria, un po' come una stella.

E' stata una pessima giornata”
Puoi dirlo forte. Sto cercando di decidere quale sia stato il momento più traumatico”
Pensavo che avresti detto il momento in cui hai scoperto le trappole piazzate perché tu non fuggissi”
Quello” ammise con un sospiro, appoggiando le braccia sulle ginocchia e sistemandoci la testa sopranon è stato divertente. Ma credo che rivedere l'uomo che mi ha creata e che ho amato e amo ancora dopo cento anni... uhm, credo sia appena schizzato in cima alla mia lista dei momenti più destabilizzanti”
Aspetta, quando è successo? E lui chi è? Come è successo?”
Trenta minuti fa, più o meno. E lui è Kol, il fratello minore di Klaus. Il resto non lo so”

Caroline non indagò oltre.
Si sistemò meglio affianco a quella che aveva imparato a considerare un'amica e rimasero in silenzio.
All'improvviso non furono più due amiche sedute sotto un porticato, ma due spiriti affini, accomunati dalle azioni beffarde di un destino ingiusto.
Nessuna delle due meritava ciò che le era capitato, di questo Caroline era fermamente convinta.
Eppure non sembrava importante a nessuno.
La ragazza le prese una mano tra le sue e la strinse appena.
Julya sentì una fitta al petto e le fu grata di quello. Non credeva di aver trovato in lei un'amica così meravigliosa, ma era più che chiaro che aveva valutato male il tesoro che aveva scoperto.

Caroline non era solo piena di luce, ma anche leale e generosa e Julya lo sentiva, percepiva l'affetto e la sua presenza lì accanto a lei, anche nella difficoltà.
Fu strano pensare di avere accanto qualcuno del genere: non era abituata, ma era innegabilmente bello.
Era sicura che tra loro ci fosse un legame speciale, anche se si conoscevano da così poco.
Non c'era bisogno di alcune etichetta per questo legame: era lì e tanto bastava.


Lo ami ancora?” le chiese la bionda senza voltarsi, giusto per rompere il silenzio. Se non aveva qualcosa a cui pensare avrebbe continuato a vagare con la mente verso la stanza in cui suo madre stava morendo e non lo voleva fare, non fino a quando non fosse tornata dentro ad affrontare la schifosa realtà e avrebbe potuto dare libertà al proprio dolore.
Non lo so” confessò con un sospiro tremulo “credevo di aver dimenticato ogni cosa di lui e mi odiavo per questo, ma è bastato che mi guardasse... oh, ogni cosa è tornata alla mente. Ma non posso, ora, permettere a qualcuno di avvicinarsi a me”

Stai lasciando che io ti sia vicina” le fece notare, ma la sua voce era dolce e carezzevole, senza alcuna nota di biasimo.
E' diverso per il semplice fatto che lui è Kol e questo fa tutta la differenza del mondo”
Poi si accigliò e sembrò ricordarsi all'improvviso qualcosa di fastidioso perché sbuffò e poi si morse il labbro.

Ma qui non dobbiamo parlare di me. Io posso aspettare”
Non ne voglio parlare”
No” concesse Julya attirandola a sé in un abbraccio “non dobbiamo per forza parlare. Ma volevo che sapessi che sei la cosa più vicina a un'amica che abbia mai avuto e che se hai bisogno... be', seconda stanza a destra a casa Salvatore”
E se decidessi di rintanarmi sotto un letto?”
Ti chiederei di tenermi un posto. O di venire sotto il mio: è grande e c'è un sacco di spazio anche per te”
Caroline le sorrise e la strinse, attirandola un po' di più a sé per ringraziarla di essere lì per lei, nonostante tutto.
Si separarono quando comparve sulla soglia Liz Forbes ed entrambe capirono che era quasi giunto il momento.

Va'” la incitò Julya “ci vediamo domani, Caroline”
La ragazza annuì e caracollò oltre la porta di ingresso, sostenendo sulle spalle un peso davvero enorme per un corpo così minuto, ma Julya la capiva.
Rimase sola sotto il portico fino a quando non trovò la forza di dirigersi verso casa. Voleva solo nascondersi sotto le coperte e dormire.



Continua


**

**

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Capitolo 11
*** And all I want is the taste that your lips allow ***


And all I want is the taste that your lips allow

And all I want is the taste that your lips allow



Give a little time to me
We’ll burn this out
We’ll play hide and seek
To turn this around
And all I want is the taste
That your lips allow

Give me love- Ed Sheeredan





Julya non credeva che sarebbe riuscita a riposare quella notte, invece si era addormentata appena aveva posato la testa sul cuscino.

Forse era stata la doccia calda ad allentare un po' di tensione e a sgombrarle un poco la mente, abbastanza da permetterle di scivolare in un sonno senza incubi.

Si risvegliò solo quando un raggio di sole si intrufolò tra le tende tirate malamente e le colpì il viso.

Mugugnò indispettita e si infilò sotto le coperte, laddove neanche la luce avrebbe potuto disturbarla.

Il suo letto era talmente caldo e accogliente, così protettivo, che per un momento dimenticò tutto e scivolò in una sorta di dormiveglia rilassato.

Poi però le ritornò tutto alla mente: il Graal, il fallimento, suo fratello, Kol.

Provò ancora a nascondersi sotto le coperte come quando era ancora umana e cercava di proteggersi dai mostri cattivi, ma stavolta loro erano dentro di lei e una coperta non li avrebbe fermati.

Con un sospiro tremulo ripensò a lui e allo sguardo che gli aveva visto negli occhi.

Chissà cosa aveva pensato quando era schizzata fuori di casa come se avesse la morte alle calcagna.

Probabilmente credeva che lei non lo amasse più, che non le importasse nulla di lui ora.

Ma non era così e forse un giorno sarebbe riuscita a farglielo capire di nuovo.

Prima doveva prendersi cura di se stessa.

Sentì suonare il campanello, ma lo ignorò. Dopotutto, c'erano Stefan e Damon da qualche parte, svegli e pimpanti, che potevano benissimo andare ad aprire.

Ma il campanello suonò ancora dopo pochi minuti e Julya si mise a sedere analizzando bene la casa intorno a lei.

Era silenziosa, pacifica. Questo poteva voler dire solo una cosa: Stefan e Damon non erano in casa.

Peccato, non vedeva l'ora di far scontare a Stefan il suo pernottamento nella cella.

Per un attimo vagheggiò sui mille modi in cui avrebbe potuto fargliela pagare. Stava giusto immaginando una piccola e innocua tortura che aveva imparato in Giappone tanti anni prima quando il campanello suonò ancora e allora si decise a scendere.

Scivolò fuori dal letto con suo enorme rammarico, ripromettendosi di tornarci al più presto e di godersi la mattinata tra le coperte, magari con un bel libro.

Il suo disappunto fu enorme quando vide che alla porta non c'era nessuno.

Stava quasi per richiudersela alle spalle con un colpo secco quando vide che, posato sullo zerbino, c'era una busta con il suo nome scritto in splendida grafia.

Mentre chiudeva la porta la soppesò tenendola tra due dita, guardando la fattura elegante e sentendo ancora un vago sentore di inchiostro fresco e carta nuova, unito a un appena accennato profumo di ceralacca.

Unì gli indizi e non fu difficile capire chi potesse mandare un biglietto così raffinato, ma solo quando ruppe il sigillo – stando attenta perché era davvero un bel sigillo, come non se ne vedevano più- ebbe la conferma delle proprie supposizioni.

Vi preghiamo di unirvi alla famiglia Mikaelson per balli e festeggiamenti stasera alle 7 p.m.

Scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi e si disse che quello era esattamente il genere di cosa che si aspettava facessero.

Lo girò e si trovò a fissare una nota scritta a mano da una calligrafia che le fece improvvisamente venire le farfalle allo stomaco.

Sarò davvero felice solo quando ti avrò stretta a me per il primo ballo- Kol.

Sorrise, anche a dispetto del fatto che avrebbe dovuto rimanere impassibile. Accarezzò le parole e immaginò che dovesse aver fatto un gesto simile anche lui.

Fu un po' come se potesse avere un po' del contatto che si era negata la sera prima e che non si sarebbe concessa neanche quella sera.

Non sarebbe andata al ballo.

La sua forza di volontà poteva essere lodata da tutti e considerata invincibile, ma nessuno sapeva il fascino che avessero su di lei le tentazioni e Kol era decisamente la più attraente.

Immaginò il suo sorriso sfacciato, i suoi occhi ardenti e il suo modo di fare affascinante e sexy. Il desiderio e – inevitabile e innegabile- l'amore si accesero in lei, ma cercò di negarlo a se stessa con una determinazione quasi ammirevole.

Doveva uscire e occupare la giornata o sarebbe impazzita.

A velocità vampiresca si versò una tazza di caffè – il migliore che casa Salvatore potesse fornire- e salì le scale altrettanto in fretta.

L'intenzione era quella di farsi una bella doccia tonificante, vestirsi e andare fuori. Il Grill, decise, quando vide il messaggio di Caroline con cui la avvisava che lei ed Elena erano lì e la aspettavano.


Le trovò entrambe sedute al tavolo intente a parlottare fitto fitto e a guardare chissà cosa.

Si lasciò scivolare tra le due.

Che cosa stiamo fissando?” domandò con lo stesso tono da cospiratrice con cui parlavano Elena e Caroline.

La prima sobbalzò, mentre l'altra le dedicò appena un'occhiata e un cenno del capo.

Rebekah ha appena invitato Matt al ballo di stasera. Sarà a casa Mikaelson”

Lo so”

Due paia di occhi schizzarono verso di lei e la fissarono, una con sorpresa, l'altra con curiosità.

Come fai a saperlo?”le domandò Elena.

Julya si prese tutto il tempo per ordinare da bere prima di decidere se fosse il caso di rivelare anche a lei la verità.

Dopotutto, Elena aveva già dimostrato di essere dalla sua parte e lei non vedeva l'ora di sfogarsi e trovare sollievo da ciò che la angustiava.

Ho ricevuto anche io l'invito” ammise sorseggiando il suo bicchiere di spremuta fresca.

Non ti offendere, ma perché? Non sapevo che tu avessi qualche collegamento con gli Originali”

Più di quanti tu non immagini” ridacchiò Caroline voltandosi verso Julya con un'espressione e un sorriso luminosissimi, ma decisamente poco rassicuranti.

Elena e Caroline la guardarono e Julya si chiese se non dovesse iniziare ad avere paura. Non era un'esperta, ma da quegli sguardi capiva che stava arrivando uno di quei momenti di confidenze tra ragazze che ricordava appena di aver mai vissuto.

Forse nella sua vita da umana, ma era un ricordo vago e sfuocato, impossibile da collocare.

Decise di fingere di non capire, anche se doveva immaginare che non avrebbe funzionato. Elena e Caroline volevano sapere e non si sarebbero accontentate fino a quando non avessero raggiunto il loro scopo.

Che c'è?”

Ieri sera te la sei cavata con due parole, ma oggi è un altro giorno e voglio i dettagli” intimò Caroline e Julya fu costretta a posare il bicchiere con l'aria del condannato a morte.

E non c'è nessuna possibilità di evitare questa conversazione, vero?”

Neanche mezza” confermò la bionda.

E va bene” si arrese Julya.

Tu, Elena, non lo sai, ma è stato Kol a crearmi. Avevo diciotto anni e stavo morendo di febbre gialla in Egitto, ma saltiamo la parte strappalacrime e veniamo al punto. Come da copione di ogni pessima commedia romantica, mi sono innamorata di lui e quando Klaus gli ha conficcato il pugnale nel cuore...” lasciò un attimo la frase in sospeso e il suo sguardo si fermò su un punto a caso del tavolo “non è stato per niente facile. Ho lasciato che ogni ricordo che avevo di lui se ne andasse perché, forse, così sarei stata bene. E poi ho iniziato a cercare il Graal, forse nella speranza che avere un obiettivo così grande potesse non farmi pensare. E ha funzionato, per cento anni”

Stai dicendo che hai cercato il Graal solo per questo?”

No. Mi sono espressa male” si corresse “ho iniziato la mia ricerca quando mio fratello è morto, sapendo che era l'unica cosa che potesse ridarmelo. Ma forse se non fossi stata sola, avrei trovato il coraggio di lasciare andare mio fratello nel 1911. In realtà, è tutto molto complicato e melodrammatico” notò con un sopracciglio sollevato e un'espressione di vago disappunto.

Benvenuta nel club. Parli con la presidentesse delle situazioni complicate” scherzò Elena e Julya dovette ammettere che, tra tutte e tre, nessuna aveva alle spalle un periodo facile né davanti a loro se ne prospettava uno.

Che ne era stato del periodo in cui era felice e contenta e vagava per l'Europa senza un pensiero al mondo che non fosse arte, bellezza e cose felici e facili? Aveva la sensazione che non sarebbe tornato tanto presto.

Vorresti rivedere Kol?”

Non vedo l'ora” ammise “ma non lo farò. E' un momento delicato per me e sto iniziando adesso a sentirmi diversa. Non so se va meglio o meno, ma qualcosa sta cambiando e voglio capire in che modo prima di avvicinarmi di nuovo a una persona che ha sempre avuto il potere di sconvolgermi, in bene o male che sia” confessò con sguardo risoluto.

Questo potrebbe essere un problema” constatò Caroline, ma prima che Julya potesse protestate intervenne Elena.

Stasera c'è il ballo”

A quel punto la ragazza capì e scosse il capo con energia “Non ci pensate neanche! Io non verrò”

Se saremo insieme, saremo più forti. Abbiamo bisogno di essere unite” la incitò Caroline “Ci sarà Matt e noi possiamo difenderci, ma lui no”

Andiamo, Julya” la spronò ancora Elena dando man forte all'amica “dimmi che non vedi l'ora di indossare un bel abito e fare la tua comparsa abbagliando i presenti, per poi ballare con Kol”

Julya le dedicò l'occhiata più truce del suo repertorio, ma non riuscì a impedirsi di immaginare la scena che, con tanta maestria, Elena le aveva suggerito.

Le parve quasi di riuscire a vedere i capelli che danzavano a ogni passo, le dita che sfioravano bicchieri di pregiato champagne e l'abito che ondeggiava durante le danze; sentiva le dita di Kol sulla schiena nuda e lo vedeva sorridere come a dirle che sapeva che non avrebbe resistito e lui aveva ragione, dannazione!, lei non poteva.

Dannazione” imprecò puntando un dito contro Elena e mulinando la chioma castana “io ti odio, lo sai?”

Lei sorrise “Stasera alle sette”



*


Kol si era appena lasciato alle spalle Damon Salvatore e il sindaco Lockwood.

La festa si sarebbe rivelata un vero successo e, se tutto fosse andato bene, avrebbe anche rimediato il sangue di qualche bella ragazza. Ne aveva già adocchiate alcune con un profumo delizioso.

Si chiedeva se Julya avrebbe accettato il suo invito.

La conosceva e avrebbe giurato che non sarebbe venuta, non dopo aver visto la sua reazione la sera prima.

Ciò nonostante, era sicuro che lei lo avrebbe sorpreso: lo faceva sempre.

Era la parte più bella di lei, la capacità di stupirlo proprio quando pensava di sapere come avrebbe agito.

Ma lei era così, imprevedibile perché faceva ciò che le diceva il cuore, affascinante e con uno sguardo così intenso da fargli venire i brividi.

Non si aspettava la reazione della sera prima, ma sapeva che lei era felice di vederlo, anche se era fuggita via.

Aveva visto nei suoi occhi la felicità attraverso il velo di lacrime, non poteva sbagliarsi: forse non sapeva prevedere quale decisione avrebbe preso, ma conosceva le sue espressioni.

Vagò un po' tra gli ospiti, stringendo e baciando mani, sfoderando il suo sorriso affascinante.

Una ragazza che aveva salutato poco prima gli sorrise dall'altra parte della stanza e Kol ricambiò senza farsi pregare, ammiccando appena.

Vedo che certe abitudini sono dure a morire” lo prese in giro bonariamente Rebekah comparendo come per magia al suo fianco.

Era bellissima nel suo abito verde ed era sicuro che più di un ragazzo in sala avrebbe fatto carte false per essere il suo cavaliere, quella sera.

Che vuoi che ti dica. Sono in astinenza da più di cento anni”

Rebekah sorrise appena e sorseggiò il suo fluté di champagne prima di parlare “A proposito, chi era la ragazza di ieri sera?”

Julya”

Una delle vampire che hai creato? Un altro passatempo?” gli domandò con una punta di divertimento, come se la facesse ridere la prospettiva di un essere umano trasformato per essere un giocattolo.

Kol stava per rispondere quando il suo sguardo cadde per caso sull'ingresso e ammutolì.

C'era solo la musica – una canzone lenta e sensuale, perfetta per l'ingresso di una silfide come Julya- e lei.

Lei, bellissima con quel vestito rosa, con quei boccoli bruni negligentemente appoggiati di lato, con quel sorriso tentatore, con i suoi meravigliosi occhi scuri contornati da ciglia lunghe e altrettanto scure.

Quella sera non c'era niente di tenue in lei, forse solo il colore del vestito.

Perse per un attimo il suo solito sorriso e la sua mente fu riempita solo dall'immagine di lei, dalla sua bellezza bruna e dal profumo che lo raggiungeva anche da lì.

Era sempre lo stesso: rose e mirra, vaniglia nera e un vago alone del profumo delle orchidee. Deliziosa.

Lasciò Rebekah di punto in bianco e attraversò la folla senza badare ad altro che a Julya, seguendo con lo sguardo i suoi movimenti per non perderla di vista.

La raggiunse proprio mentre si sporgeva appena oltre il piano bar per chiedere un martini.

Sempre anticonformista, a quanto pare”

Julya sobbalzò e lo guardò con una strana espressione, un mix di timore e desiderio, come se stesse facendo violenza su se stessa per non fare qualcosa che bramava ardentemente.

Le prese una mano e la baciò, indugiando con le labbra un po' più del necessario e sentendola fremere per quel contatto.

Le vecchie abitudini sono dure a morire” ammise lasciandosi andare a un mezzo sorriso.

Julya si chiese se avrebbe tirato in ballo quello che era successo la sera prima.

Non era sicura di volerne parlare. Visto che Caroline ed Elena l'avevano praticamente costretta a presentarsi al ballo, sperava almeno di potersi divertire senza troppi pensieri.

Ci fu un momento di silenzio in cui Kol si avvicinò appena. Tra loro c'era una distanza di poco inferiore a quella che ci sarebbe stata tra due amici, ma Julya sentì il suo spazio vitale violato.

Le parve che la presenza di Kol la sovrastasse e, con disappunto, si accorse che andava bene così e che sarebbe rimasta tutta la sera in quella sorta di mondo privato.

Sei bellissima stasera”

Anche tu non sei male”

Kol ammiccò “Faccio quel che posso con i doni che madre natura mi ha dato, sweetie

Julya lo guardò un momento, poi rise.

Non la risata stiracchiata che aveva sfoderato in quei giorno o il pallido sorriso che aveva rifilato a chiunque, ma la prima vera risata da settimane.

Sono passati tanti anni e ancora mi chiami così?” lo prese in giro e il ghiaccio che aveva sentito tra loro fino a poco prima scomparve.

Lui la chiamava sempre così, con una dolcezza e una tenerezza capaci di farla sciogliere.

Come dovrei chiamarti?”

In nessun altro modo, credo. Mi piace” ammise sinceramente sorseggiando l'ultimo goccio di martini e posando il bicchiere.

Si avvicinò ancora di un passo e l'atmosfera intorno a loro si fece elettrica. Erano ancora nel loro mondo perfetto, uno in cui non c'era dolore e le cose era facili e belle, ma un fuoco sottile si intromise e serpeggiò lungo la schiena di Julya.

La sua vicinanza aveva lo stesso effetto di una scarica di adrenalina e la capacità di farla tendere all'inverosimile.

Ma sapeva anche per esperienza che a una sua carezza si sarebbe sciolta come neve al sole e se l'avesse baciata in quel momento non avrebbe saputo impedirglielo.

Non avrei smesso di farlo comunque” sussurrò spingendosi un po' in avanti con il viso “riservami il primo ballo”

Le accarezzò appena la guancia e il collo. Un tintinnio giunse ovattato alle sue orecchie, ma era così presa da Kol che non capì subito cosa fosse.

A tra poco” le sussurrò ancora e poi raggiunse i suoi fratelli.

Julya non riuscì ad ascoltare le parole di Elijah. Sentiva che diceva qualcosa, ma il suo discorso attraverso la sua mente come un'onda e se ne andò senza lasciare traccia, lasciandola a chiedersi cosa diavolo avesse detto.

Ma era ancora nel suo mondo felice e non le importava di non riuscire a capire cosa la gente dicesse.

Per una sera poteva permettersi di essere felice, contenta e possibilmente poco sobria.

La comparsa di Stefan intaccò la bolla perfetta che si era creata con l'arrivo di Kol e la riportò alla realtà.

Il fatto che tu sia qui ha per caso qualcosa a che fare con la cosa, qualunque essa sia, che ti lega a un Originale?” le domandò con un mezzo sorriso e sorseggiando champagne.

Potrebbe. E il fatto che tu sia qui ha per caso a che fare con l'incontro di Elena ed Esther?”

Mi spieghi come fai a sapere sempre tutto?”

Chiamalo intuito o udito vampiresco” lo prese in giro con una sana dose di sarcasmo rubandogli il bicchiere di champagne dalle dita e sorseggiandolo lentamente.

Giusto. Quindi cosa pensi di fare? Tornare dal tuo amante originale?”

Sinceramente, per ora i miei piani non si spingono oltre il presente. Detto questo, ti suggerisco di non preoccuparti per me e pensare a Elena. E con questo, vado. Ho promesso il primo ballo al mio amante originale” lo scimmiottò lasciandogli il bicchiere di champagne oramai vuoto ed entrando nella splendida sala da ballo.

Trovò Kol e lui l'accolse con un sorriso meraviglioso, come se non avessero smesso un momento di stare insieme.

Per un attimo si chiese se per lui fosse cambiato qualcosa, se l'amasse ancora.

Presero posizione insieme agli altri ballerini e Kol le strinse le mani. Con il senno di poi, forse avrebbe fatto meglio a indossare un paio di guanti perché sentire il contatto con la pelle calda di Kol la faceva rabbrividire di aspettativa, cosa che non avrebbe assolutamente dovuto fare.

Il valzer era stato il ballo preferito di Julya da quando Kol l'aveva presentata alla corte dello zar Nicola. All'epoca non credeva di essere davvero tra tutti quei nobili, non lei, la figlia di un povero contadino.

Con il tempo aveva imparato a non sottovalutare le vie del destino perché a volte potevano portare a risultati inaspettati.

La musica scendeva sulle loro teste e contribuiva a creare una sorta di universo parallelo in cui contavano solo la danza e se stessi, con i propri sentimenti e la volontà del proprio cuore.

Con una piroetta, Kol la strinse a sé e Julya prese la sua mano.

Alzò lo sguardo su di lui e lo guardò dritto negli occhi senza alcune esitazione. Non finse una timidezza che non provava, ma cercò deliberatamente il suo sguardo e gli sorrise.

Sei diventata una ballerina ancora più brava” le confessò in un sussurro.

Ho avuto tanto tempo per allenarmi”

Sai, ieri non mi hai risposto” le ricordò mentre continuavano a volteggiare per la sala. Julya lo guardò con un'espressione confusa che Kol trovò adorabile.

Ti sono mancato, Julya?”

Era la domanda che temeva di dover affrontare e che non avrebbe voluto sentirsi fare.

Certo che le era mancato, ma non era pronta a esprimere ad alta voce come si era sentita quando lui l'aveva lasciata sola.

Per più di un secolo il dolore per la perdita di Kol era stato parte di lei, un sorta di modo per tenerlo legato al proprio cuore e per non dimenticarsi del tutto di lui.

E anche se ora lui era lì e la stringeva, non era del tutto pronta a un cambiamento che le avrebbe portato via una parte di sé che era stata tale per tanti anni.

La sofferenza per l'assenza di Kol era legata a doppio filo a quella per la morte di suo fratello: lasciare andare l'una voleva dire perdere anche l'altro.

E non era preparata a lasciarsi alle spalle l'unica cosa che le dimostrava che suo fratello era esistito.

Non voleva che il tempo le facesse dimenticare anche Aleskeij, l'ultimo fragile legame con la propria famiglia perché i secoli stavano stavano portando via dalla sua mente i volti di sua madre, di suo padre e di Vladimir.

Forse era un modo contorto di vedere la realtà, più complicato di un cubo di Rubik, ma era così che la vedeva e avrebbe avuto bisogno di tempo per lasciare andare tutto.

Ti prego, non mi va di parlarne”

Perché?”

Non seppe cosa rispondere: dirgli la verità avrebbe voluto rendere nulla la sua richiesta e non dirgliela avrebbe voluto ferirlo.

Con sorpresa si rese conto che nulla era cambiato da tanti decenni prima, quando avrebbe fatto qualunque cosa per non fargli del male.

Non farmi quella domanda perché non posso risponderti. E non farlo vuol dire ferirti”

E tu non lo hai mai voluto fare”

Lo sai che è così”

E Kol sapeva che era vero. Anche a un secolo di distanza, Julya restava protettiva nei suoi confronti. Quando lei gli aveva confessato di non volerlo ferire, mai e in nessun modo, a qualunque costo, aveva riso.

Non era abituato a essere trattato con tanta dolcezza e dedizione, ma Julya aveva la capacità -innata e insolita per un vampiro, creature capricciose per definizione- di provare una lealtà e una fedeltà fuori dal comune nei suo confronti.

Si era persino chiesto se non fosse asservita, ma il suo libero arbitrio era palese in ogni azione e ogni volta che lo contraddiceva, lo prendeva in giro e lo sfidava: tutte cose che gli piacevano moltissimo.

Niente a che vedere però con dolcezza con cui gli carezzava i capelli prima di andare a letto o con la tenerezza dei suoi sorrisi.

Era ciò di cui aveva sempre avuto bisogno: una donna sincera, appassionata, che amasse lui e nessun altro e gli donasse tutta se stessa, senza riserve.

A quel punto la danza prevedeva un cambio di cavaliere e così Kol non poté continuare a fare domande e dovette lasciarla scivolare tra le braccia di un altro uomo.

Tuttavia Julya sapeva che quella conversazione era solo all'inizio e lui non si sarebbe arreso fino a quando non avesse avuto una risposta.



I'm reaching out 
to let you know that you're not alone 
and you can't tell, I'm scared as hell 
'cause I can't get you on the telephone 
so just close your eyes 
well honey, here comes a lullaby 
your very own lullaby
Lullaby- Nickelback




Aveva visto Matt e Rebekah uscire e, memore delle parole di Caroline su quanto lui fosse indifeso contro un vampiro, si accomiatò e scivolò fuori dalla sala con discrezione.

Fece attenzione a non farsi notare mentre seguiva i due ragazzi e alla fine riuscì ad attraversare la casa e raggiungere lo spiazzo dove erano state parcheggiate le auto.

Maledisse i tacchi alti che la rallentavano sul pietrisco e sull'erba, oltre al fastidioso scricchiolio che temeva raggiungesse le orecchie di Rebekah.

Forse volevano solo stare un po' soli, ma il suo sesto senso aveva iniziato a suonare come una sirena quando li aveva visti uscire e lei aveva imparato a fidarsi nel corso degli anni.

Si sistemò dietro un albero, abbastanza vicina per sentire cosa stessero dicendo ma non da essere vista dai deboli occhi umani di Matt.

Apparentemente non sembrava che stesse per accadere nulla e Rebekah e Matt sembravano due ragazzi come tanti, intenti a concedersi un minuto di pace nel trambusto della festa.

Ma Julya era troppo acuta per lasciarsi ingannare dalla apparenze e aveva capito che tipo di persona fosse Rebekah perciò quando sentì che la sua voce cambiava nel dire a Matt di rientrare e vide Kol alle spalle del ragazza, capì.

Dopotutto, conosceva ogni espressione di Kol e lui aveva l'espressione da “vampiro affamato che ha appena perso la cena”.

Furente di rabbia, marciò a passi frettolosi verso l'Originale e gli si piantò di fronte, le mani sui fianchi e l'espressione battagliera.

Cosa pensavi di fare?”

Vuoi davvero saperlo?”

Come ti è venuto in mente di pensare di uccidere Matt?” lo rimproverò alzando la voce. Era troppo arrabbiata per ricordare la conversazione di prima e provare imbarazzo e a Kol sembrò di essere tornato a quando stavano insieme.

Me lo hai chiesto Rebekah. E poi siamo vampiri, facciamo esattamente queste cose”

Oh, allora questo si che è un validissimo motivo” lo prese in giro, salvo poi rincarare la dose “A volte sei un proprio un bambino capriccioso”

Allora insegnami a non esserlo” la provocò avvicinandosi e lasciando scivolare provocatoriamente la mani sui fianchi di lei, accarezzando appena la schiena e attirandola un poco a sé.

Sfoderò anche il suo sorriso più affascinante.

Smettila di fare la faccia da Kol” lo rimproverò, tutt'altro che rabbonita, ma distratta dalle meravigliose sensazioni che le donavano le sue mani su di lei.

Fare cosa?” scoppiò a ridere e Julya si indispettì al punto tale da dimenarsi e marciare verso la casa, intenzionata a tornare dentro e godersi la festa senza dar peso all'atteggiamento da pallone gonfiato di Kol.

Ferma, sweetie. Tu potrai anche tergiversare quanto vuoi, ma prima ti ho fatto una domanda e voglio una risposta”

Ti ho già detto che non l'avrai”

Allora resteremo qui fino a quando non ti deciderai a cambiare idea”

E per dare maggior valore alle proprie parola la bloccò contro un lucido fuoristrada, appoggiando le braccia intorno a lei e schiacciandola con il peso del proprio corpo.

Perché devi essere sempre così maledettamente insistente?”

Perché è importante per me”

Si guardarono per quella che sembrava un'eternità e alla fine Julya sospirò pesantemente.

Certo che mi sei mancato, Kol”

E allora perché ieri sei scappata via come se avessi visto la morte?”

I suoi occhi bruciavano come fuochi e Julya si sentì sciogliere sotto quello sguardo così intenso, come se il suo cuore avesse ripreso a battere.

Il fatto è che il dolore per la tua scomparsa è, nella mia mente contorta, legato a quello per la perdita della mia famiglia. Ho paura che lasciare andare uno voglia dire perdere anche l'altro. E il dolore è tutto ciò che mi resta di loro” ammise con il cuore a pezzi e gli occhi lucidi di rabbia e lacrime represse.

Odiava piangere: si sentiva debole e vulnerabile, con quel fastidioso desiderio di mettere a tacere tutto e la vocina che le suggeriva che poteva farlo.

Ma la tua famiglia è morta, Julya. Da tanti decenni ed è il momento di lasciarla andare”

Fu allora che qualcosa si incrinò.

Dentro di sé, Julya continuava a provare rabbia, ma non si era accorta che era un meccanismo di difesa per non sentire altro.

L'aveva fomentata, canalizzata e indirizzata verso qualcosa o qualcuno, pensando che fosse il suo modo di accettare la morte della persone che aveva amato.

Si era sbagliata.

Fino ad allora aveva sempre negato a se stessa la verità, trincerandosi dietro muri di silenzio, rancore e rabbia, non permettendosi di pensare mai ad Aleskeij, a Vladimir e ai suoi genitori come morti.

Persi, irrigiditi, andati.

La mia famiglia è morta” farfugliò disorientata, guardando Kol come se si aspettasse che le spiegasse qualcosa che non capiva.

Già. Non ci sono più, ma tu devi passare oltre e lasciarli andare”

Il dolore fu come un paletto conficcato nel cuore, anzi, probabilmente ancora più intenso e disarmante.

La colpì come una frustata sulla carne viva e boccheggiò, anche se non aveva davvero bisogno di aria.

Tuttavia si sentì soffocare e la consapevolezza le piombò tra capo e collo in quel momento: era così grande e pesante che la fece barcollare e sarebbe scivolata a terra se Kol non l'avesse afferrata.

Aprì le braccia per accoglierla e Julya vi si lasciò scivolare.

Gli afferrò la giacca e lo strinse a sé, chiudendo gli occhi per un momento.

Kol aveva ragione: era il momento di lasciarli andare e di imparare a tenerli con sé in modo più sano, come era giusto che fosse.

Capì che, segretamente, aveva provato odio verso se stessa e si era imposta di non andare oltre, come se farlo fosse un insulto alla loro memoria. Ma si era sbagliata e il passato doveva solo essere lasciato andare.

YA lyublyu tebya, vi voglio bene” mormorò contro la camicia di Kol, come se i loro fantasmi fossero davvero lì e potessero sentirla. Ci sperava, in un certo senso, e volle credere che fosse così “Ma ora dovete andare”

Kol la strinse ancora un po' e rimasero abbracciati per un tempo che parve loro troppo breve, fino a quando Julya non si districò dolcemente e raddrizzò le spalle in un gesto di sfida.

Ora dobbiamo rientrare”

Non vuoi andare a casa?” le domandò

No. Se devo riprendere in mano le redini della mia vita, tanto vale che inizi da stasera. Mi sono pianta addosso per troppo tempo” ammise con un gesto spavaldo, scuotendo i capelli e alzando il mento.

Un ultima cosa, allora” la afferrò per una mano e la strinse a sé di nuovo, costringendola a guardalo e posando una mano sul collo.

Julya pensava che l'avrebbe baciata, ma lui si limitò a guardarla con occhi intensi e il solito sorriso affascinante, sfiorando appena la sua fronte con le labbra “Ora puoi stringermi a te senza paure” gongolò.

Julya rise e gli sferrò un amichevole pugno sulla spalla prima di incamminarsi verso la casa con Kol alle calcagna.

Non sapeva cosa fossero in quel momento, ma di una cosa era assolutamente certa: potevano sembrare amici, ma lei e Kol sarebbero sempre stati un passo oltre.

Non erano mai stati semplici amici e quella terra di nessuno in cui si trovavano non piaceva a nessuno dei due.


*


E' stato un ballo... costruttivo” ammise Elena indossando la stola dorata.

Te lo concedo, ma questo non toglie che mi abbiate costretto”

Non sembravi così scontenta mentre ballavi con Kol” la prese in giro con un sorriso sornione.

Oh, sta' zitta!” la rimbrottò Julya scoccandole un'occhiataccia.

A Elena parve di vederla arrossire appena, ma forse era solo un'allucinazione. In ogni caso, non ebbe modo di verificare – e di proseguire con la sua tortura- perché vide il volto di Julya voltarsi verso l'esterno a velocità vampiresca e la sua espressione cambiò.

Da distesa divenne perplessa e infine preoccupata.

La vide marciare fuori, i tacchi alti contro il pavimento di marmo e i capelli che ondeggiavano sulla spalla destra.

La seguì di corsa, sollevando il vestito per non inciampare.

Capì che c'era un problema, e uno serio, quando vide che si muovevano nella stessa direzione i fratelli Mikaelson e Stefan.

Julya arrivò per prima e sussultò quando vide Kol steso a terra privo di sensi e Damon che lo sovrastava.

Il primo istinto fu ringhiare e sbatterlo lontano da Kol, magari conficcandogli un pugnale nello stomaco come avvertimento.

Il secondo fu sopprimere il primo e ragionare.

Sopraggiunse Stefan insieme a Elena e a tutti i fratelli di Kol. Quello poteva rivelarsi un vero problema, se non che Damon si allontanò lasciando l'Originale steso a terra.

Guardando le facce degli altri, Julya capì di essere l'unica vagamente preoccupata. D'altronde, loro non potevano morire così facilmente perciò era stata una reazione sciocca, la sua, dettata puramente da un residuo di riflesso umano.

Stefan borbottò qualcosa alle sue spalle, ma lei non vi badò.

Si piegò su Kol e gli carezzò la guancia con dolcezza, abbozzando un mezzo sorriso, per poi affondare la mano tra i suoi capelli.

Dovremmo portarlo dentro”

Dovevano averci già pensato perché in un attimo Finn si caricò il fratello minore in spalle e un minuto dopo furono in una piccola sala dove la musica giungeva ovattata.

Voi andate pure” li invitò Julya. La festa era ancora in pieno svolgimento e l'assenza dei padroni di casa si sarebbe notata “Resto io qui”

Se ne andarono tutti tranne Rebekah.

Ha tentato di fare del male a Matt anche dopo che gli ho detto di non farlo. Dovrei arrabbiarmi”

Non preoccuparti, Rebekah. Quando si sveglierà dovrà fare i conti con me e, senza offesa, credo di essere di gran lunga peggiore di qualunque sorella arrabbiata”

Lo lascio nelle tue mani, allora”

Ottima scelta”

Allora rimasero soli, lei e Kol. Si lasciò scivolare per terra, sul tappeto che il suo occhio esperto giudicò di fattura persiana, e si sfilò discretamente le scarpe con il tacco.

Avrebbe potuto alzarsi e prendere un libro dalla libreria, ma stava davvero bene seduta lì e non ci pensò due volte a cercare un'altra occupazione.

Alla fine sciolse i capelli, posò la testa sul divano e guardò Kol che dormiva.

Quando era sveglio non aveva mai un'espressione così pacifica, quasi angelica. Era il risvolto positivo del guardare qualcuno addormentato: lo si poteva vedere sotto una luce diversa e sentirlo ancora più vicino, almeno per un po'.

Non che lei ne avesse bisogno: sentiva che lui era già fin troppo vicino e, per quanto le facesse paura, era altrettanto emozionante, come il brivido di fronte a uno strapiombo, una sorta di miscela di paura istintiva e attrazione.

Non le passò neanche per l'anticamera del cervello di spostarsi o smettere di fissarlo. Al contrario, cominciò ad accarezzargli distrattamente una mano.

Si addormentò all'improvviso, con la testa appoggiata sulle proprie braccia e una mano in quella di Kol.

Fu così che, sei ore dopo e quando il sole era già alto nel cielo, il vampiro si svegliò e sorrise.

Sorriso che scomparve quando Julya si svegliò poco dopo. Furono venti minuti brutti per tutti.



Continua

Lo so, neanche voi ci credete.
Però sì, ho aggiornato e per farmi perdonare, pubblico ben due capitoli. Non riuscirò a rispondere alle recensioni, però due parole generiche per le ragazze che hanno recensito vorrei spenderle.
Innanzitutto, grazie: è sempre bello vedere qualcuno che recensisce, perciò vi ringrazio di cuore per le belle parole.
Sono contenta che vi piaccia Julya e che apprezziate che in questa storia Damon ed Elena siamo una comparsa, mentre Stefan domina la scena come co-protagonista insieme a Julya e Kol.
Ma tranquilli, non ci saranno triangolo in stile “The vampire diaries”, qui. Julya è per il vero amore, per quanto questo sia complicato da raggiungere.
E non dico altro, se no vi spoilero tutto u.u
Be', direi che ora potete godervi il capitolo numero due di oggi.


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Capitolo 12
*** It was gone with the wind, but it's all coming back to me now ***


Ekleipsis

It was gone with the wind, but it's all coming back to me now

“All I have, all I need, he's the air
I would kill to breathe 
Holds my love in his hands,
still I'm searching for something 
Out of breath, I am left hoping someday
I'll breathe again” 
Breathe again- Sara Bareilles

 

 

 

Julya entrò in casa sperando che non ci fosse nessuno, ma le sue speranza andarono in frantumi appena aprì la porta e venne superata da un' Elena con un diavolo per capello.
“Ciao anche a te, Elena!” le urlò dietro senza ottenere risposta.
"Che cosa mi sono persa?” domandò entrando in casa e dirigendosi verso la cucina alla disperata ricerca di una tazza di caffè.
Lo trovò proprio sul fornello, ancora caldo: una vera rarità in una casa di vampiri che consumavano per lo più alcolici.
Se ne versò una tazza generosa, ispirando forte il profumo forte della bevanda e lo corresse con latte e un poco di caramello, giusto per renderlo più dolce.
Di solito il caffè non le piaceva molto: era più il tipo da tè caldo o latte con il miele, ma quel giorno si sentiva insolitamente grintosa, come se si fosse svegliata da un lungo sonno con un'altra personalità.
Per guarire davvero ci sarebbe voluto del tempo, ma adesso era sulla strada giusta e lei ci credeva: sarebbe stata bene.
“Elena ha una crisi di coscienza” le spiegò sbrigativamente Damon.
“E si presume che io sappia per che cosa?” domandò portandosi la tazza alle labbra senza smettere di guardare i due fratelli.
“Ieri sera Esther ha voluto vedere Elena e le ha confidato il suo piano: con il sangue della doppelganger ha legato tutti i suoi figli così da poterli uccidere. Morto uno, moriranno anche tutti gli altri” le spiegò Damon, ignorando le occhiate di ammonimento di Stefan.
Per quanto amasse Julya, non era sicuro che fosse un bene confidarsi con lei. Lei non avrebbe avuto gli scrupoli di Elena, ma erano altre le motivazioni per cui avrebbe potuto cercare di ostacolarli.
Aveva visto come guardava Kol e Stefan temeva che per un sentimento del genere non avrebbe esitato a mandarli tutti al diavolo per schierarsi dalla parte di Klaus.
Avrebbe anche potuto capirla, ma c'era in ballo troppo per lasciare che le emozioni mandassero tutto in fumo, così cercò nell'espressione di Julya qualcosa che gli facesse capire da che parte si sarebbe schierata.
Il suo volto rimase impassibile, una maschera granitica il cui unico movimento era quello di sorbire il caffè con calma.
“E perché lo avrebbe fatto?” domandò la ragazza con lo stesso tono con cui avrebbe accolto un pettegolezzo poco ghiotto.
“Per rimediare al male che ha creato, ha detto”
“Capisco”
Finì il caffè e lasciò la tazza su un mobile a caso, poi imboccò la via della scale sempre con la solita espressione di inalterata calma, come se non le avessero confessato che la dinastia degli Originali stava per estinguersi e lei stava per perdere di nuovo una persona palesemente importante.
Stefan non credeva che potesse accettare tutto con così tanta serenità.
“Tutto qui? Non cerchi di convincerci a salvare almeno uno di loro? Nessuna espressione da cucciolo nella speranza di persuaderci?” le domandò Stefan appoggiandosi alla balaustra e guardandola con circospezione.
“Servirebbe?”
“Come abbiamo detto a Elena, no. Democrazia in atto”
Salì alcuni gradini prima che Stefan le rivolgesse una domanda. L'unico modo per vincolare Julya era farla promettere: sapeva quanto importante fosse per lei la parola data e se c'era una cosa che poteva fermarla era quella.
Infranta quella, avrebbe potuto solo rinchiuderla di nuovo.
“Mi prometti che non interferirai?”
“Ti prometto che farò ciò che è giusto” promise con un sorriso. Damon si ritenne soddisfatto, ma Stefan conosceva Julya e sapeva che quelle parole potevano ritorcersi contro di loro.
Ma Stefan scelse di darle fiducia: dopotutto, aveva detto “la cosa giusta” e la morale di Julya non poteva essere così distorta da credere che fosse giusto salvare gli Originale.
Non doveva.

 

*

 

Quando si chiuse la porta alle spalle, il sorriso leggero che Julya si era costretta a indossare scomparve come se lo avessero lavato via con un colpo di spugna.
Si sfilò velocemente il vestito e lo infilò in una gruccia, pronto per la lavanderia, poi si infilò sotto il getto caldo della doccia, il posto migliore in cui pensare.
Mentre si insaponava i capelli, pensò alla promessa fatta a Stefan.
Farò ciò che è giusto”
Be', lo avrebbe fatto: ciò che era giusto per lei. In quelle ultime due piccola parole c'era tutta la differenza del mondo.
Quando Damon le aveva spiegato il piano di Esther aveva dovuto far ricorso a tutta la sua non trascurabile esperienza per non lasciar trasparire la rabbia e non correre a casa Mikaelson e avvertirli.
Si era detto che doveva agire con più attenzione perciò aveva indossato la proprio migliore faccia da poker e aveva ascoltato.
Non le importava nulla di cosa volesse fare Esther, del perché o di quando lo avrebbe fatto: sapeva già che non glielo avrebbe permesso.
Aveva appena ritrovato Kol: non avrebbe lasciato che nessuno glielo portasse via.
Non le importava che fossero amici, amanti o qualunque altra definizione intermedia: lei lo amava, questa era una certezza e a prescindere da tutto.
Non ci fu nessuna sfuriata o melodramma: prese la sua decisione e seppe che l'avrebbe seguita fino allo estreme conseguenze.
Non si sarebbe fermata a una via di mezzo: o avrebbe salvato Kol o sarebbe morta per farlo.
In realtà era più facile a dirsi che a farsi.
Julya era terrorizzata all'idea di morire e sperava di non arrivare al punto di doversi sacrificare. Ma se fosse successo, l'avrebbe fatto con tutto il coraggio e la dignità che avrebbe potuto mettere insieme.
Dopotutto, morire per lui sarebbe stato un buon modo per andarsene.
Non avrebbe potuto trovare qualcosa che meritasse di più la sua vita: in fondo, gli aveva promesso che lo avrebbe amato per sempre, che gli avrebbe dato la sua vita... quello era solo un modo più macabro di rispettare la propria parola.
Presa la propria decisione, fu il momento di ideare un piano e seguirlo.
Lasciò la propria mente libera di vagare sulle proprie possibilità mentre si infilava un paio di calze scure e pesanti, lasciando scivolare sopra un maglioncino oro pallido che faceva risaltare i suoi boccoli castani.
Andare da Elena non avrebbe avuto senso: aveva bisogno di un alleato forte e lei era solo un'umana.
I pensieri associati di alleato e potente le accesero una lampadina sulla testa e si chiese come diavolo avesse fatto a non pensarci prima.
C'era una persona a cui potesse rivolgersi e che avrebbe potuto guadagnare da quella vicenda perciò si infilò una gonna nera a vita alta e un paio di stivaletti, il primo paio che pescò dalla scarpiera e che le sembrasse potesse abbinarsi.
Si fiondò fuori di casa a rotta di collo, con le punte dei capelli ancora umide, contenta solo che né Damon né Stefan fossero lì per vedere la sua fuga.
Quando ingranò la marcia della macchina aveva una sola destinazione: casa Mikaelson.

 

*

 

Era stato con enorme disappunto che aveva scoperto che Elijah non era a casa. Perciò aveva vagato per la città e per sua fortuna lo aveva trovato mentre scendeva dalla macchina diretto a casa Gilbert.
“Elijah” si fermò di fronte a lui e gli fece cenno di entrare nell'auto “Devo parlarti” aggiunse quando lo vide perplesso.
Allora annuì e si accomodò sul sedile del passeggero.
“Sentiamo” la incitò mentre premeva sull'acceleratore e si allontanava da quella via, diretta verso la foresta.
“Ho delle brutte notizie”
“Hanno a che fare con l'incontro di Elena e mia madre?”
Julya annuì, non sorpresa dall'acume di Elijah. Era sempre stato il fratello più razionale e acuto, ai suoi occhi persino il più intellettualmente brillante.
“Elena mi ha mentito ieri sera, me ne sono accorto subito. Cosa mi ha tenuto nascosto?”
“Le vere intenzioni di Esther. Non vuole uccidere Klaus, Elijah”
Julya non staccò gli occhi dalla strada, ma la sua voce tremò impercettibilmente al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere quel giorno.
“Vuole ucciderci tutti, vero?”
Annuì e si ricompose, decisa a impedire alla propria voce di tremare ancora. Raggiunsero il bosco e Julya fermò la macchina dietro un muro di alberi, in un punto in cui non sarebbe passato nessuno.
“Perché sei venuta a dirmelo?”
“Non è questo il punto” gli fece notare “sappi che non ti sto ingannando, non sono qui per farti perdere tempo o qualunque altro sotterfugio di venga in mente. Sono dalla vostra parte”
“Sei molto legata a Kol e credo che questo ti renda un'alleata fedele” constatò e Julya annuì.
Elijah aveva centrato il punto: Kol. Era per lui che era lì e forse aveva anche capito che se non ci fosse stato lui li avrebbe lasciati morire senza troppe remore.
“Comunque, non possiamo agire senza un piano” constatò Julya
“E io credo di avere una mezza idea” la informò.
Julya tirò un sospiro di sollievo.
“Ti ascolto”
“Per il rituale, mia madre avrà bisogno di incanalare di nuovo l'energia delle streghe Bennet e lo farà nel plenilunio. L'unico modo è spezzare la linea di sangue” ammise con rammarico.
Elijah poteva anche essere un vampiro, ma Julya sapeva della sua nobiltà d'animo e della sua etica.
Non doveva piacergli molto l'idea di fare del male a Bonnie o a sua madre, ma era questione di priorità: o loro o le Bennet.
Nella mente di Julya, era un ultimatum leggermente modificato: o loro, o Kol.
E lei non aveva dubbi su chi avrebbe scelto.
“Ma io non so dove trovarle” le ricordò e Julya si disse che aveva ragione. Ma c'era chi poteva cercarle e fare quel che doveva essere fatto.
“Hai bisogno di Elena. Rinchiudila da qualche parte e vai da Salvatore minacciando di ucciderla se non fermeranno Esther e il suo rituale”
Elijah soppesò il piano e, quando decise che era l'unica alternativa che gli restasse, lo analizzò a fondo e lo modificò abbastanza da renderlo più efficace.
“Controllerai tu Elena?” le domandò a un certo punto. Non era sicuro che Julya si sarebbe spinta fino al limite perciò titubava nell'assegnarle quel ruolo.
Sembrava determinata a fare ciò che doveva essere fatto, ma si sarebbe spinta davvero fino al punto di uccidere un'amica?
“No. Se Stefan e Damon sapessero che Elena è con me, non penserebbero mai che sia in pericolo. Deve essere qualcun altro, qualcuno che li spaventi davvero”
“Per fortuna, ho la persona che fa al caso nostro” la informò dopo averci pensato per un momento.
“Rebekah”
L'Originale annuì “Ho un altro compito per te: va' al Grill e tieni d'occhio Kol e Niklaus”
“Va bene”
Detto questo, accese la macchina e riportò Elijah di fronte a casa di Elena. Il piano avrebbe preso il via subito: non c'era un momento da perdere.
Le sembrava di avere in testa un enorme orologio a pendolo che scandiva rumorosamente le ore, i minuti e i secondi, come a ricordarle che, per quel giorno, il tempo contava eccome.
Lasciato Elijah, fece inversione e si diresse verso il Grill.

 

*

 

Appena entrata nel locale, non fu difficile individuare Kol e Klaus.
Erano seduti al bancone e sembrava che stessero discutendo con due ragazzi. Solo avvicinandosi si accorse che erano Alaric e Meredith.
“Buongiorno” salutò con un pigro gesto della mano, sporgendosi sul bancone accanto a Meredith e guardandosi intorno alla ricerca del barista.
Aveva decisamente bisogno di un altro caffè, nonostante le sei ore di sonno ai piedi di un divano di casa Mikaelson.
In realtà, non ne aveva tratto grande giovamento perché si sentiva ancora un po' indolenzita sulle spalle.
“All'improvviso questo posto si è riempito di vampiri” constatò Meredith e Julya le rivolse un sorriso glaciale, una specie di smorfia fintamente cordiale.
Capiva che non fosse contenta di avere tutta quella gente intorno: dopotutto, era un appuntamento tra lei e Alaric, ma non per questo Julya riuscì a racimolare abbastanza simpatia da ignorare la frecciata o essere gentile.
“Suppongo succeda in una città piena di vampiri annoiati” 
Ordinò un cappuccino con tanta schiuma e poi aggiunse con noncuranza “In ogni caso, io sono qui solo per non stare a casa e leggere in tranquillità” sventolò con grazia una copia un po' consunta de “Jane Eyre” di Charlotte Bronte.
Klaus colse la palla al balzo e specificò con un sorriso.
“Anche noi siamo usciti solo per distrarci un po'. Vero, Kol?”
Allora Julya notò qualcosa a cui no aveva prestato attenzione prima. Era così impegnata a fingere di essere lì per caso che non si era accorta dello sguardo intenso e chiaramente interessato con cui Kol guardava Meredith.
Dapprima inarcò elegantemente un sopracciglio mentre si diceva che no, sicuramente si era sbagliata e che doveva proprio andare a fare una visita oculistica perché i suoi occhi cominciavano a fare cilecca.
Riguardò meglio e non vide nessun cambiamento.
Provò un insolito fastidio diffuso che le fece fremere le dita, unito a una certa possessività che le fece venire voglia di rivendicare ciò che considerava suo.
Quando mise bene a fuoco quel pensiero si diede della stupida: Kol non era suo, anche se qualcuno avrebbe potuto dire che lo era stato per tanto tempo.
Anche alla luce di quel pensiero razionale, il fremito non si calmò e non smise di provare fastidio e per un attimo balenò nei suoi occhi una scintilla di rabbia che cercò di nascondere.
Si accorse che Kol stava parlando con lei solo quando si voltarono tutti dalla sua parte. Allora non si dette la pena di nascondere il proprio fastidio.
“Come?”
“Chiedevo se volessi bere qualcosa con noi, sweetie”
“Grazie” gli rivolse un sorriso, quello che Kol aveva imparato a catalogare come falso “ma preferisco dedicarmi al mio libro”
Poi si congedò, lasciandosi scivolare su un tavolo vicino alla zona dei tavoli da bigliardo e aprendo il libro con un gesto secco.
All'improvviso, la prospettiva di passare la giornata a fare il cane da guardia di Pancopinco e Pincopanco non sembrava più così allettante.

 

 
Klaus gli stava raccontando qualcosa a proposito di un qualche avvenimento dell'ultimo decennio, qualcosa che si era perso e che probabilmente neanche gli interessava.
A lui la storia non piaceva particolarmente, al contrario di Julya che sembrava spasimare per cose come i libri, i manufatti e gli antichi reperti.
La stessa Julya che se ne stava appoggiata alla sedia, sorseggiando il terzo cappuccino della giornata, senza neanche alzare lo sguardo dal libro.
All'inizio sembrava che lo leggesse più che altro per fare qualcosa, ma in quel momento sembrava davvero avvinta dal racconto.
Così concentrata, così assorta: Kol ne scrutò i lineamenti, ammirando il modo in cui si mordeva le labbra o si arricciava una ciocca di capelli tra le dita.
Si chiese all'improvviso come avesse passato quei decenni senza di lui e gli venne voglia di andare lì e chiederle di raccontagli tutto.
Voleva sapere ogni cosa: chi aveva conosciuto, dove era stata, cosa aveva visto e fatto. Era cambiata, anche se fisicamente aveva sempre lo stesso aspetto da diciottenne Per lui era bellissima, anche se si rendeva conto che ci fossero donne ben più belle di lei al mondo.
Eppure non ce n'era nessuna che lo attraesse come lei: bellezza e cervello... una combinazione a cui era impossibile resistere.
Purtroppo non era l'unico a non riuscire a resistere al fascino di Julya e assistette senza fare nulla all'arrivo di un ragazzo che si sedette di fronte a lei.
Ad un certo punto lei scoppiò a ridere e Kol decise che non poteva non ascoltare.
“E' un libro stupendo” stava dicendo il ragazzo.
Kol doveva ammettere che sapeva quale carta giocare: Julya adorava i libri e parlarne voleva dire guadagnare parecchi punti.
“Già, lo credo anche io. Anche se il mio preferito resta Cime Tempestose” ribatté lei accarezzando il dorso del libro con gentilezza.
Il resto della conversazione continuò sull'onda delle chiacchiere letterarie, ma Kol si concentrò sui gesti: Julya scuoteva la testa, rideva, si spostava i capelli di lato e gesticolava animatamente, si divertiva.
Si divertiva con qualcuno che non era lui.
“Attento, fratellino. Se li fissi ancora un po' qualcuno potrebbe pensare che tu sia geloso” lo prese in giro Klaus portandosi alla bocca il bicchiere e sorseggiando piano il liquore.
“Non diciamo sciocchezze. Io non sono geloso”
“Strano, perché lo sembri”
“Andiamo, perché dovrei? Tra me e lui non c'è competizione”
Rise e cercò di scacciare la fastidiosa vocina che gli diceva di andare lì, prendere Julya e portarla lontano, dove sarebbe stata solo sua.

No, infatti. Julya però sta parlando con lui” gli fece notare e Kol socchiuse gli occhi infastidito.
Però Klaus aveva ragione: per quanto potesse pensare di essere al di sopra di quel bamboccio, era lui al tavolo di Julya.
Provò l'infantile desiderio di ricambiarla con la stessa moneta e farla sentire come si lui in quel momento.
A volte non la capiva proprio. La sera prima sembrava che avessero finalmente trovato la strada da percorrere per tornare a essere Kol e Julya, insieme, e invece lei sembrava ancora più distante.
Non si sarebbe mai accontentato di essere suo amico. L'aveva trasformata guidato dall'istinto, con la vaga consapevolezza che lei sarebbe stata speciale. E lo era.
Non poteva accettare solo la sua amicizia perché sapeva che non gli sarebbe mai bastata. L'avrebbe sempre guardata come la propria compagna.
La amava, dannazione! Voleva solo stringerla a sé, baciarla fino a farle diventare le labbra gonfie di baci, fare l'amore con lei.
Bruciava di desiderio per lei e sapeva che lo stesso valeva per Julya: era sempre stato così tra loro.
Capiva di essere tornato in un periodo difficile per Julya e che, probabilmente, voleva rimettere insieme i pezzi prima di pensare a loro, ma lui non poteva aspettare.
Doveva trovare il modo di accelerare i tempi.
Ebbe un'idea quando vide il guizzo di fastidio nei suoi occhi nel momento in cui il ragazzo prese il libro e se lo rigirò tra le mani.
Julya, così possessiva, lo considerava ancora suo? Perché se la risposta fosse sta sì, allora avrebbe avuto la chiave per raggiungere i suoi scopi. Non avrebbe mai sopportato che flirtasse con un'altra.
Guardò verso il bigliardo dove la ragazza che aveva adocchiato poco prima giocava.
Poi sorrise.
Avrebbero scoperto molto presto quanto grande fosse la pazienza di Julya Peskov.

 

 

 

 

“But if I touch you like this
And if you kiss me like that
It was so long ago
But it's all coming back to me
If you touch me like this
And if I kiss you like that
It was gone with the wind
But it's all coming back to me”

It's all coming back to me now- Celine Dion

 

 

 

Julya si era sempre considerata una persona paziente.
Non poteva non esserlo: aveva cercato per più di cento anni il Graal... questo avrebbe dovuto significare pur qualcosa.
Perciò pensava di potersi fregiare a buon diritto di quella nomea, anche se qualcuno l'avrebbe definita più cocciuta che paziente.
Comunque, quel giorno si trovò a dover necessariamente riconsiderare la propria definizione di pazienza.
Il commento su Caroline - “sembra così appetitosa”- fu il primo dettaglio a infastidirla, ma dopotutto aveva ragione: Care era bellissima e anche lei l'avrebbe trovata desiderabile se fosse stata un uomo.
Fu il suo sorriso a provocarle un vago senso di rabbia che le fece battere appena le dita sul tavolo, segno che cominciava a irritarsi.
Le occhiate maliziose a Meredith inflissero un duro colpo alla sua capacità di sopportazione e la sua pazienza vacillò al punto che pensava si sarebbe rotta come un vaso lasciato cadere a terra.
Vaso che si frantumò nel momento in cui Kol iniziò a flirtare con Meredith.
Dalla sua, la ragazza aveva almeno il pregio di star facendo di tutto per mandarlo via e questa fu l'unica cosa che la salvò dall'ira di Julya.
Ira che si riversò tutta su Kol.
Cosa pensava di fare? Lo conosceva abbastanza da sapere che stava giocando, ma non poteva accettarlo.
Lo capiva, ma non poteva ammettere quel comportamento.
Forse era egocentrico e tremendamente narcisistico pensare che Kol stesse flirtando con Meredith per farla pagare a lei, ma come poteva non pensarlo quando lui le scoccava ogni tanto quelle occhiate così compiaciute e divertite?
Ma non era un gioco e Kol avrebbe dovuto saperlo.
Lo conosceva abbastanza da capire le sue motivazioni: non riusciva a comprendere cosa ci fosse tra loro e probabilmente non accettava l'idea che si fossero arenati in una monotona terra di nessuno.
Lo sapeva perché era più o meno quello che provava anche Julya.
O meglio, una parte di lei che doveva combattere tutti i giorni con l'altra, quella che le ricordava che era  presto per pensare a loro e che era invece il momento di occuparsi di se stessa per un po'.
E quella parte era furibonda con Kol perché non riusciva a darle un po' di spazio, solo un poco, quel tanto che bastava per prendersi cura di se stessa.
Voltò la testa dall'altra parte, arrabbiata con se stessa per non riuscire a decidere cosa provare e perché era stufa di provare rabbia.
Dopo l'accettazione non avrebbe dovuto andare meglio? Ma ci sarebbe voluto tempo.
Il ragazzo di fronte a lei disse qualcosa sull'andare a prendere un altro drink e lei annuì solo, abbastanza sicura che fosse il momento di passare dal caffè a qualcosa di più forte.
Era stata talmente concentrata su se stessa e su ciò che sentiva dentro che si accorse solo in quel momento che qualcosa era cambiato intorno a lei.
Aggrottò le sopracciglia e socchiuse gli occhi alla ricerca del dettaglio, aguzzando i sensi fino a quando non si accorse di non sentire più la voce di Kol in sottofondo.
Si voltò di scattò verso la zona del bigliardo e trasalì nel notare che non c'era più e che con lui era scomparso anche Alaric.
Non era decisamente un buon segno.
Proklyatʹya” imprecò e si alzò di scatto. Qualcosa non stava andando bene, ma lei avrebbe fatto in modo che le cose tornassero a girare nel giusto ordine.

Lasciò i soldi sul tavolino e corse fuori.
La piazza era semi vuota, a esclusione di una coppia che camminava mano nella mano e un paio di ragazzi che la stavano attraversando, probabilmente diretti al Grill.
Tutti i suoi sensi extra di vampira si misero in allerta alla ricerca di un odore, un oggetto o un rumore fuori posto, qualcosa che le dicesse dove andare.

Fu fortunata: una folata di vento portò con sé il profumo di Kol, un naturale profumo di cannella unito al suo nuovo dopobarba – che lei aveva già sentito, in uno dei suoi viaggi nelle profumerie parigine-: proveniva dall'ingresso sul retro del locale.
Le bastò pensare di muoversi e in un attimo fu di fronte alle scale; ancora più facile fu saltare i gradini con un balzo e atterrare elegantemente accanto a Stefan.
Il pugnale che, visto lo squarcio sulla maglia di Kol -ancora steso per terra, cosa che le provocò una fitta acuta di rabbia-, doveva essere appena stato estratto dal suo petto, giaceva a terra; lo raccolse e lo porse a Elijah.
Stefan la guardò come se lo avesse appena tradito nel peggiore dei modi.
Ai suoi occhi, era lui ad averla tradita: sapeva cosa provava per Kol, eppure aveva fatto quello che doveva.
Avrebbe fatto del male a lei, pur di salvare Elena. Se la ragazza fosse stata salva, a Stefan e Damon non sarebbe importato nulla di ferire proprio lei.
Ma era esattamente quello che stava facendo lei: per salvare Kol – e la sua famiglia, ma quello era un effetto collaterale- era disposta a fare qualunque cosa, anche infliggere dolore a chi si metteva sulla sua strada.
Non erano poi tanto diverse: tutti e tre volevano qualcosa così disperatamente da non curarsi del prossimo.
“Avevi detto che avresti fatto la cosa giusta” la accusò.
Julya gli rivolse lo sguardo più freddo che avesse a disposizione “La cosa giusta per me”

La verità era che, dietro la rabbia e le labbra serrata in una linea severa, era solo stanca. Si era ritrovata spesso in quei giorni a chiedersi cosa sarebbe successo se avesse semplicemente smesso di sentire, ma non poteva cedere a quella prospettiva deliziosa.
Non poteva cessare di provare emozioni: erano quelle che le ricordavano che era ancora viva, anche dopo tanti decenni, ed erano parte di lei.
Certo che non poteva lasciarle andare: come si poteva staccarsi da una parte di se?
Non si curò delle chiacchiere di Elijah e Damon mentre si accucciava di fianco alla figura ancora priva di sensi di Kol.
Gli carezzò delicatamente una guancia e gli scostò i capelli dalla fronte, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso.
La faceva rabbrividire il pensiero che quelli potevano essere i loro ultimi momenti insieme. Ma stavolta non sarebbe stato per un po' -magari altri duecento anni o cose del genere-, quella volta sarebbe stato per sempre.
Non poteva accettarlo, era il suo limite.
Quando Klaus lo aveva pugnalato, per quanto doloroso, terribile e insopportabile fosse stato, non aveva mai perso del tutto la speranza di poterlo rivedere, prima o poi.
Ma stavolta era diverso e lei non riusciva a contemplare un mondo in cui non ci fosse Kol.

Non sarebbe scomparso se Kol fosse morto, razionalmente lo sapeva, ma Julya era certa che il suo universo sarebbe collassato su se stesso se non fosse riuscita a salvarlo.
Era un concetto così tanto più grande di lei da non riuscire a neanche a concepirlo nella sua interezza.

Kol aprì gli occhi e lei tornò con i piedi per terra, abbandonando i propri pensieri. Ci mise un momento a capire cosa fosse successo, come se si stesse semplicemente svegliando da un sonnellino.
Dal modo in cui si spinse verso la sua mano e sorrise soddisfatto, Julya sospettò che quell'aria disorientata fosse solo una finzione, ma non si ritrasse.
Gli sfiorò piano la guancia e gli zigomi con la punta delle dita, dandogli un colpetto dispettoso al naso con l'indice.
“Che è successo?” le chiese mentre si rimetteva in piedi e si spolverava i pantaloni.
“E' una lunga storia, te la spiego strada facendo”
“Nostra madre ci ha uniti con un incantesimo e sta cercando di ucciderci” riassunse Elijah facendo loro cenno di muoversi.
“Oppure te lo dirà adesso tuo fratello” mormorò con sarcasmo e Kol le sorrise mentre camminavano a passo spedito.
Julya non pensava che l'avrebbero portata con loro -non di propria volontà, almeno- ma fu ben felice di tacere e li seguì fino alla macchina di Elijah.
Salirono tutti i tre mentre, poco più in là, Damon e Stefan saltavano sulla Mustang e partivano diretti verso lo stesso luogo, probabilmente attraverso un'altra strada.
Non voleva sapere quale fosse il loro piano: non vedeva nulla di buono da quella vicenda e, anche se fino a quel momento nessuno si era ancora fatto male, non credeva che avrebbe potuto dire la stessa cosa a fine giornata.
In macchina nessuno fiatava. Julya si chiese che cosa stessero pensando: loro madre, la donna che avevano creduto m0rta da secoli, stava cercando di ucciderli.
Loro madre, dannazione! Non potevano essere indifferenti o unicamente animati dall'istinto di autoconservazione: per lei era impensabile.
Se fosse stata al loro posto, avrebbe provato un dolore atroce alla consapevolezza di essere considerata un abominio dalla propria madre.
Le si sarebbe spezzato il cuore in mille pezzi. Tuttavia, non poteva davvero capire cosa stessero provando perché sua madre era morta e, se anche fosse stata viva, non credeva che avrebbe mai tentato di farle una cosa del genere.
Magda Peskov poteva avere tanti difetti -e dio solo sapeva quanti ne avesse-, ma amava i suoi figli e li avrebbe protetti con la stessa forza di una leonessa che difenda i propri cuccioli.
Sua madre l'avrebbe sempre amata e ai suoi occhi sarebbe sempre stato la piccola Julya, la sua unica figlia femmina.
Ci era voluto un po' perché se ne rendesse conto: quando era piccola sua madre le faceva un po' paura, così severa e brusca, troppo orgogliosa persino per abbandonarsi a un gesto di affetto con i propri figli.
Era morta da un pezzo quando aveva capito che in realtà li aveva amati anche più di loro padre, che era sempre tutto sorrisi e abbracci.
Nel segreto del proprio animo, allevandoli come persone forti, indipendenti, coraggiose e capaci di scegliere la propria strada, lei aveva dato loro tutto quello che aveva e nel modo migliore.
Se l'avesse vista trasformata in vampira, Julya non dubitava che l'avrebbe amata comunque. Senza carezze, senza smancerie, ma nel modo più autentico e sincero.
E di questo lei era grata.
Allungò una mano e trovò quella di Kol, seduto accanto a lei sul sedile posteriore; gliela strinse forte, come a ricordargli che era lì con lui, per lui.
Non se lo aspettava, lo capì dall'espressione sorpresa sul suo volto e ne fu intenerita.
Forse pensava che lei non lo amasse più e dopotutto aveva ragione di crederlo: da quando era tornato non aveva fatto che tentare di allontanarlo.
Ma quella giornata le aveva fatto capire di essere stanca. Non poteva continuare a tenere le persone alla larga per paura che la ferissero ancora.
E soprattutto era spossata dal continuo tentativo di allontanare Kol. Con lui era più difficile perché sembrava avere l'insolito talento di infilarsi sotto la pelle e arrivarle al cuore in modi che non pensava fossero possibili.
Ma non avrebbe più dovuto combattere, non dopo quella giornata così assurda che aveva dimostrato chiaramente che anche loro -che erano vampiri e avevano l'eternità a disposizione- non dovevano lasciarsi sfuggire nessuna occasione.
Nel momento in cui decise di arrendersi, si sentì come liberata da un peso e leggera come una farfalla.
Quando scese dalla macchina, le parve quasi di poter saltare così in alto da toccare le stelle.
Lasciò che Elijah e Klaus li precedessero lungo la salita della collina e trattenne Kol.
Si disse che avrebbe dovuto fare in fretta, ma che non poteva tacere ancora: Kol poteva morire di lì a breve e quelli potevano essere i loro minuti insieme.
Ma non c'erano parole che potessero spiegare davvero cosa provasse, perciò, per una volta, agì senza pensare.
Si alzò sulle punta e lo baciò, aggrappandosi alla sua nuca con la disperazione del naufrago nella tempesta.
I suoi baci non erano cambiato ed erano più afrodisiaci del suo stesso sangue. Quando le sue labbra si mossero delicatamente sulle sue e le circondò la vita con le braccia per stringerla a sé fu come se un flusso di ricordi si fosse riversato nella sua mente e tutto quello che pensava di aver perso tempo prima fu di nuovo lì.
Ora niente glielo avrebbe mai più portato via.
Kol sapeva cosa fare per farla sospirare e quando le morse delicatamente il labbro, accarezzandolo poi con la lingua, Julya si aggrappò con più forza al suo collo, languida e appagata come una gatta al sole.
“Dobbiamo andare” gli fece presente con il fiato corto quando abbandonò le sue labbra, posando la fronte su quella di lui mentre la stringendola ancora a sé.
Elijah e Klaus avevano fatto pochi metri in quel lasso di tempo, segno che non doveva esserne passato molto, anche se a Julya era sembrata un'eternità bellissima.
Kol sembrava contrariato, ma non si oppose quando lei sciolse la sua presa e la seguì lungo la salita.
Raggiunsero gli altri due giusto in tempo per arrivare insieme alla cima e trovarsi proprio di fronte al grande cerchio magico allestito per l'incantesimo.
Se avesse avuto ancora un cuore pulsante, quello di Julya avrebbe iniziato a galoppare all'impazzata.
“Figli miei, venire avanti” li invitò ignorando la sua presenza.
Meglio così, si disse: avrebbe potuto studiare la situazione senza nessuna interferenza.
Quello al centro della stella a cinque punte doveva essere Finn, il fratello con cui non aveva mai parlato.
Si chiese perché fosse disposto a sacrificarsi.
Per lei, che aveva ancora paura della morte come quando era umana, era una scelta incomprensibile. Il vampirismo ai suoi occhi non era una maledizione, ma forse dipendeva da ciò che era e dalle sue esperienze.
Aveva visto esseri umani compiere azioni più atroci ed efferate di quelle compiute da molti vampiri perciò non riusciva a credere che fosse l'essere vampiri a renderli abomini.
Tra vampiri e mostri c'era una differenza abissale, un oceano di scelte, decisioni e modi di vedere.
“Che bello” sentì dire a Kol con il tono ironico che usava quando era arrabbiato “Siamo bloccati qui con il figlio preferito che fa l'agnello sacrificale. Mi fai pena, Finn” sputò guardando il fratello con disprezzo.
Julya non ascoltò la risposta di Esther.
Lei non riusciva a capire: loro avevano quello che avrebbe tanto desiderato, una famiglia, eppure la gettavano via come se non fosse niente.
Se lei avesse avuto i suoi fratelli, non avrebbe mai potuto disprezzarli, tradirli, umiliarli.
Perché non poteva semplicemente passare oltre ai torti fatti e subiti e volersi bene come una famiglia?
E pensare che lei avrebbe dato tutto solo per riavere uno dei suoi parenti.
Le parole di Esther superarono la barriera che si era creata intorno mentre meditava e inorridì.
Come poteva una madre dire ai propri figli che non erano altro che maledizioni durate generazioni?
I tre fratelli non sembravano turbati da quelle parole, ma Julya vide il volto di Kol contrarsi appena e socchiudere un poco gli occhi.
Gli prese una mano e intrecciò le dita con le sue, come a dirgli che qualunque cosa fosse successa a lui, lei lo avrebbe seguito.
Ma non avrebbe permesso che morisse senza combattere. Non avrebbe chiesto pietà, non a una donna pronta a uccidere la propria famiglia per risistemare i conti con gli spiriti, ma avrebbe lottato.
“Vedo lo sguardo battagliero nei tuoi occhi, giovane fanciulla, ma qui non puoi entrare” le ricordò la strega con un mezzo sorriso di vittoria.
“Mi auguro che lei riesca nel suo piano” annunciò guardandola con disprezzo “perché se va a monte sarò la prima a saltarle alla gola” continuò.
La donna le sorrise accondiscendente, come se stesse parlando con una bambina che vagheggia su qualcosa di impossibile.
“Mi chiedo cosa ti porti qui. Dopotutto, tu non sei coinvolta in tutto questo”
“Non è vero. Riguarda anche me”
Esther abbassò appena lo sguardo sulle mani intrecciate del figlio e della ragazza e sorrise. Mancavano pochi minuti alla luna piena e Julya sperava che, qualunque cosa avessero in mente Stefan e Damon, la facessero in fretta.
Non le piaceva affidarsi a qualcun altro, forse anche per via del suo patologico bisogno di controllare tutto, ma quella sera non aveva scelta e sperava di non doverne uscire a pezzi.
“Il tuo coraggio ti fa onore” ammise Esther, con una punta di compiacimento. Se suo figlio fosse stato ancora umano e avesse portato a casa una ragazza come lei, ne sarebbe stata fiera.
Era il genere di donna di cui aveva bisogno Kol: determinata a difendere chi amava a tutti i costi, appassionata e leale, testarda e probabilmente con una sana dose di buoni principi.
“Non si tratta di coraggio” le confessò inchiodandola con uno sguardo limpido e sicuro “E' solo che io non posso perdere un'altra persona che amo” ammise e senza accorgersene fece un passo avanti, come se pensasse che il suo corpo minuto potesse fare da scudo a quello di Kol.
Esther rimase sorpresa.
Era chiaro che avrebbe preferito che non ci fossero scontri e che l'idea di morire la terrorizzava; ciò nonostante, era disposta a farlo per suo figlio, un abominio che lei aveva creato.
E solo perché lo amava, in un modo che non comprendeva.

“Non mi aspetto che lei capisca”
E aveva ragione: Esther non capiva come una vampira avesse conservato una capacità di amare così umana.

“Invece posso. Amo i miei figli” le spiegò con calma, senza scomporsi minimamente. Non si aspettava certo che lei le rivolgesse quello sguardo così sprezzante e quel sorriso arrogante.
“E' difficile crederlo quando le sue azioni fanno pensare al contrario. Ma sa una cosa? Va bene che lei faccia quel che vuole. Solo, non venga a cercare di rifilarmi delle assurde bugie, per favore”
Ma quella conversazione era inutile, Julya lo sapeva.
Esther non avrebbe cambiato idea neanche guardando in faccia qualcuno che amava suo figlio con tanta  intensità perché considerava il suo dovere verso gli spiriti più importante, al di sopra dei suoi stessi figli e dei propri sentimenti, qualunque essi fossero.
E questo Julya non poteva né capirlo né condividerlo.
Esther capì che lei non avrebbe mai compreso, non fino a quando fosse stata un'anima così votata all'amore.
Guardò la luna: era arrivato il momento.
Ma qualcosa non andò come doveva e all'improvviso si alzò il vento e le fiaccole cominciarono a muoversi mentre Esther supplicava le streghe della dinastia Bennet di non abbandonarla.
Allora Julya capì che qualunque cosa avessero fatto Damon e Stefan aveva funzionato e si sentì invadere da un moto di speranza.
Le fiamme si alzarono ancora e ancora, fino a diventare così intense da far male alla vista. Si sentì afferrare per la vita e si scontrò con il petto di Kol mentre la riparava con il proprio cappotto dalla luce e dal calore.
La strinse a sé con forza, appoggiando il capo tra i suoi capelli e riparandosi a suo volta fino a quando le fiamme non si spensero del tutto.
“Stai bene?” le domandò carezzandole i capelli.
“Sì, grazie. Tu?”
Lui annuì e la abbracciò stretta, baciandole i capelli e sospirando di sollievo. Aveva sempre avuto un forte istinto di autoconservazione, ma quando erano arrivati alla casa delle streghe e lui aveva realizzato che Julya era lì, a rischiare la vita con loro, aveva capito che c'era qualcosa di cui gli importava di più di se stesso.

Le sue parole gli avevano scaldato il petto ed era felice: se quelli dovevano essere i suoi ultimi istanti, almeno lei aveva ammesso di amarlo.
Ma quando si era messa di fronte a lui per proteggerlo gli era venuta voglia di strangolarla per la sua imprudenza: poteva essere una vampira così incurante della propria vita? Dove aveva lasciato l'istinto di sopravvivenza?
Ora stavano bene, ma lo turbava e spaventava il modo in cui non aveva esitato a frapporre se stessa per salvare lui.
Non poteva garantire che la propria vita non sarebbe stata costellata di altri rischi o che sua madre non avrebbe ritentato di ucciderli.
Davanti ai suoi occhi non si prospettava nessun futuro felice e luminoso, non in tempi brevi.
E sapeva che Julya si sarebbe sempre schierata di fronte a lui per proteggerlo.
Era esattamente ciò che non doveva permettere che accadesse.
Avrebbe dovuto proteggerla, non far sì gettasse in pasto alla morte, incurante di ogni ragionevole istinto!
Ma c'era dell'altro.
Quando l'aveva trasformata, l'aveva fatto per egoismo. C'era in lei una purezza e un'innocenza che lo avevano conquistato e ai suoi occhi lei avrebbe sempre conservato un po' di quel candore.
Con il senno di poi, si chiese se non avesse già intuito allora -almeno a livello inconscio- che lei avrebbe potuto essere la compagna perfetta.
Una nemesi, perché Julya lo era, ma proprio per questo capace di dargli ciò di cui aveva bisogno: amore incondizionato, cieca lealtà e un po' di sana moralità.
La parte più egoista e impulsiva di lui avrebbe voluto tenerla con sé, ma per una volta, una sola, doveva pensare a cosa fosse meglio per lei.
La decisione migliore per Julya era uscire per sempre dalla sua vita. Era una scelta importante e ci sarebbero stati momenti in cui la forza di attuarla sarebbero venuti meno, ma non poteva restare con lei.
Sarebbe stata al sicuro, possibilmente lontana dalla sua famiglia e da Mystic Falls.
Lui era una mina vagante. Lo divertiva, prima di conoscere lei. E anche allora non aveva smesso del tutto di esserlo, anche se Julya sembrava aver gettato una luce nuova sulla sua intera esistenza.
Aveva giurato di proteggerla, ma ora rischiava di ferirla.
Non poteva lasciare che accadesse.
“Andiamo” la incitò tenendola per mano. Era la loro ultima sera, Kol aveva deciso. Era la decisione più difficile che avesse mai preso.

 

Continua

 

**

 

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Capitolo 13
*** The tears I cry behind this hazel eyes ***


The tears I cry behind this hazel eyes- Ekleipsis13

The tears I cry behind this hazel eyes

 

 

 

Here I am, once again 
I'm torn into pieces 
Can't deny it, can't pretend 
Just thought you were the one 
Broken up, deep inside 
But you won't get to see the tears I cry 
Behind these hazel eyes 
Behind this hazel eyes- Kelly Clarckson

 

 

 

Camminarono mano nella mano diretti alla casa dei Salvatore.
Julya non era sicura di trovare le proprie cose ancora nella sua stanza: pensava piuttosto che Stefan le avrebbe lasciato tutto sul prato con il monito di non tornare.
Avrebbe fatto bene a farlo e a Julya non sarebbe importato. Aveva fatto la cosa giusta, ecco tutto.
Passeggiavano in silenzio da un pezzo, ma non le dispiaceva: la strada era deserta e buia e si vedeva uno splendido cielo stellato invernale.
Provò un moto di nostalgia: per quanto bello, niente avrebbe eguagliato lo stesso spettacolo tra le montagne russe.
O meglio, le montagne com'erano un tempo: disabitate, fredde e selvagge, proprio come piacevano a lei.
Lo spettacolo era mozzafiato, con il cielo nero steso come un mantello trapunto di diamanti sulle montagne e sulle vallate.
L'aria fredda, l'altezza, il profumo degli alberi e della notte: tutto trasmetteva una meravigliosa sensazione di libertà.
Era l'emozione più simile a ciò che dovevano provare gli uccelli a ogni volo, l'opprimente sconforto di fronte all'infinito e il sussulto del cuore nel trovarsi di fronte a qualcosa di tanto grande e tanto bello.

Alzò appena il capo, scostando una ciocca di capelli che minacciava di finirle sugli occhi.
Si alzò una folata di vento freddo e Kol la tirò a sé, cingendole le spalle con un braccio, come se volesse proteggerla dal gelo.
Quella notte sarebbe partito, ma poteva almeno godersi quelle ultime ore con lei: quando Julya avrebbe scoperto che se n'era andato, probabilmente non lo avrebbe perdonato.
E forse voleva che non lo facesse perché così sarebbe stata al sicuro.
“A cosa stai pensando?” le domandò.
“Alla mia Russia” ammise con una sguardo affettuoso, come se stesse parlando di un'amica che non vedeva da tanto tempo.
“Ti manca molto?”
“A volte. Più che altro mi manca avere una vera casa”
“Non ne hai trovata una in tutti questi anni?” le domandò con un sorriso sghembo che le avrebbe fatto battere il cuore se avesse potuto.
“Ho viaggiato molto, sai?  E' stato bello scoprire il mondo” ammise con un sorriso al ricordo di tutte le avventure che aveva vissuto, le grandi personalità che aveva incontrato e i momenti storici di cui era stata testimone: i grandi moti rivoluzionari, la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa, la seconda guerra mondiale e molto altro.
“Hai avuto una bella vita senza di me, Julya?” le chiese senza mezzi termini, rivolgendole però un sorriso affascinante che avrebbe dovuto rappresentare quanto fosse spensierato, ma Julya non si lasciò ingannare.
“Ho attraversato due secoli di storia, ho visto il mondo cambiare sotto i miei occhi e non sempre in meglio. E' stata una bella vita, a suo modo, ma non c'è stato momento in cui non ti avrei voluto con me, Kol, anche quando cercavo disperatamente di non pensarti” lo rassicurò, fermandosi e carezzandogli il volto con un accenno di sorriso.
Gli posò il capo sulla spalla per un momento, alzandosi in punta di piedi per arrivare a sfiorargli il collo con la punta del naso.
“Un giorno ti racconterò tutto” gli promise.
Per un attimo il sorriso di Kol vacillò, ma lei non lo vide e quando alzò lo sguardo era di nuovo al suo posto, intatto.
Kol annuì: non poteva certo dirle che quel giorno non sarebbe mai arrivato e che, probabilmente, l'indomani mattina si sarebbe rimangiata qualunque cosa avrebbe detto quella sera.
Decise di non pensarci: erano le loro ultime ore insieme e voleva assaporarle a fondo.
“Sì, anche io ti racconterò di come sia stare in una bara per più di cento anni” ridacchiò.
Julya si separò da lui e gli carezzò distrattamente una guancia prima di riprendere a camminare, mano nella mano.
Le piaceva: sembrava quasi di essere una coppia di ragazzi normali che passeggiavano insieme.
“Mi è mancato tutto questo” ammise  Julya con un sorriso
“Che cosa?”
Avrebbe voluto dire che le erano mancate le passeggiate, le risate, le chiacchierate, i baci, le carezze, gli sguardi, le mani intrecciate, il suo profumo e avrebbe potuto continuare ancora.
Alla fine, preferì sintetizzare.
“Tu”
“Davvero mi ami ancora?”
La domanda di Kol arrivò inaspettata. Julya si voltò con calma; non doveva ponderare una risposta perché ce n'era solo una vera.
“Ne hai mai dubitato?”
“Non è la risposta alla mia domanda”
Si fermò un momento: dirlo avrebbe reso la cosa irreversibile e non avrebbe più potuto rimangiarsela.
“Posso aver avuto dei dubbi” ammise, aprendogli il proprio cuore “ma alla fine so di averti sempre amato” affermò.
Lo fece sorridere il suo tono di voce, così sicuro, e i suoi occhi, così sinceri e privi di ombre. Julya era per lui un libro aperto e tante volte le aveva detto che aveva il cuore sulle labbra e che sarebbe bastato un bacio per portarglielo via.
Per fortuna, quel bacio era stato suo.
Erano arrivati davanti a casa Salvatore, ma Kol le impedì di andare. La baciò ancora e ancora, indugiando sulle sue labbra e lasciandola libera solo per riprenderla e baciarla ancora.
Non riusciva a separarsi da lei, non ora che sapeva che sarebbe stato un addio. La baciò un'altra volta e decise che quella sarebbe stata l'ultima.
La lasciò andare con un vuoto nel petto, costretto però a sorridere mentre le diceva addio.
“Julya?” la chiamò prima che entrasse con una stretta al cuore.
“Sei l'unica che abbia mai amato” le confessò sfoderando il migliore dei suoi sorrisi da seduttore e lei si illuminò. Sapeva che Kol poteva essere ironico, strafottente, seducente, affascinante o arrogante a seconda dell'umore del giorno, ma non era mai romantico a quei livelli.
Per un attimo si chiese se non dovesse preoccuparsi, ma poi si disse che era solo suggestione.
Kol era lì e sarebbe andato tutto bene.
“Buona notte, Kol”
Si chiuse la porta alle spalle e lui se ne andò. Se si fosse fermato ancora un secondo di fronte a quella porta avrebbe perso ogni coraggio.

 

*

 

Entrò in casa con un sorriso così spensierato che un'espressione che, in un altro momento e sul viso di qualcun altro, avrebbe definito “sdolcinata” e non si sarebbe risparmiata l'ironia.
Ma era felice e avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, il giorno dopo e quello dopo ancora, per ridere della propria espressione: ora voleva solo godersi quella sensazione che non provava da molto tempo.
Si sfilò le scarpe con il tacco per non fare rumore sul parquet, ma quando passò davanti alla sala si accorse che Stefan era seduto sul divano e sorseggiava un bicchiere di whiskey.
“Bentornata” la salutò sollevando il bicchiere e alzandosi per avvicinarsi.
La sua espressione non avrebbe potuto essere più chiara: stava per arrivare una litigata con i fiocchi e i controfiocchi.
Sospirò sconsolata e una smorfia le deformò il viso per un attimo. Dopotutto, capiva perché fosse arrabbiato.
Lo era stata anche lei, fino a poche ore prima, ma poi aveva compreso.
Julya aveva capito che non poteva prendersela con Stefan – né con nessun altro- per aver cercato di uccidere Klaus, anche se questo avrebbe voluto dire spazzare via tutta la famiglia degli Originali.
Se non fosse stato coinvolto anche Kol, a Julya non sarebbe importato e probabilmente si sarebbe anche schierata dalla sua parte e lo avrebbe aiutato, ma con i se e i ma non si poteva fare e cambiare nulla.

Kol era finito in mezzo a tutta quella storia e quello sì che faceva tutta la differenza del mondo.
Solo che Stefan sembrava non capire e la guardava come se lei avesse commesso l'azione più riprovevole del mondo.
Ma lui aveva agito esattamente come lei per salvare Elena!
“Vuoi davvero litigare ora, Stefan? E' tardi ed è stata una giornata davvero lunga, per entrambi. Andiamo a dormire” sospirò tentando di blandirlo sfoderando la migliore delle sue espressioni provate.
“Non voglio litigare”
Julya si trattene dal fargli notare che allora avrebbe dovuto lavorare sulla sua espressione perché sembrava proprio dire tutto il contrario.
“Voglio capire perché sembri patologicamente incapace di mantenere le promesse. O almeno, le promesse che fai a me”

“Questo non è corretto” gli fece notare con pacatezza, troppo stanca anche per alterarsi “io ho rispettato la mia promessa e ho fatto ciò che era giusto”
“Dimmi che ti sei solo adattata al piano di Elijah e che tu non centri niente con il rapimento di Elena” la pregò trattenendo a stento la rabbia.
In realtà, voleva solo qualcuno con cui sfogarsi e Julya sembrava la vittima perfetta. Stefan capiva benissimo perché avesse agito in quel modo: lui aveva fatto la stessa cosa e sapeva che lo aveva fatto perché, per quanto sembrasse impossibile, lei amava Kol almeno tanto quanto lui amava Elena.

“No, io ed Elijah abbiamo ideato il piano. Non ti chiederò scusa per aver fatto ciò che andava fatto”
“Elena poteva morire!”
“Come è successo alla madre di Bonnie, intendi? Andiamo” lo esortò con una punta di cattiveria “non essere ipocrita”
Avrebbe voluto dirle che non era vero, che era completamente diverso, ma Julya aveva ragione, maledettamente ragione e lui non aveva nessun diritto di arrabbiarsi con lei per aver giocato bene le sue carte.
“Devo dirtelo: non pensavo fossi così brava a mentire, ingannare e usare le persone”
“Non mi piace farlo, ma qui sembra che funzioni così e sai una cosa? Devi imparare le regole del gioco e poi giocare meglio di tutti gli altri se vuoi sopravvivere” gli ricordò.
Era stata la sua politica in tempo di guerra, quando in Germania persino affermare che la campagna in Russia non stava andando bene era considerato alto tradimento e lei aveva dovuto imparare a sopravvivere.
Non che i nazisti potessero farle qualcosa, ma non poteva rischiare che il suo segreto venisse scoperto e fare la spia per gli inglesi non rendeva le cose facili.
“A quanto pare sei diventata una delle giocatrici più brave”
Julya alzò le spalle e non si diede la pena di ribattere.
“Mi dispiace, Stefan. Sai che non volevo deluderti, ma dovresti anche capire che non potevo fare altrimenti”
“Una scelta c'è sempre”
“E io l'ho fatta, solo che stavolta ho scelto ciò che andava bene a me: tu più di tutti dovresti capire che non potevo scegliere diversamente”

Stefan lo capiva, ma non era ancora pronto ad ammetterlo ad alta voce. Forse aveva solo bisogno di dormirci un po' sopra.
Il giorno dopo avrebbero avuto la mente abbastanza sgombra da poter discutere con calma e ragionevolmente di qualunque cosa.
“Andiamo a dormire” sospirò, imboccando la via delle scale per raggiungere la propria stanza.
Si stupì nel sentirsi trattenere dalla mano di Julya appoggiata sul suo braccio.
“Un'ultima cosa, Stefan. So che cerchi di proteggere Elena, ma ora gli Originali sono ancora uniti. Te lo chiedo per favore: aspetta a fare qualunque cosa tu voglia fare contro Klaus. Ti prego, aspetta” lo pregò.
Non era sua intenzione scivolare in un tono così supplichevole ma la voce si era incrinata senza che potesse fare impedirlo.
Julya immaginò di non avere un aspetto molto temibile in quel momento, con gli occhi probabilmente un po' lucidi per la stanchezza e la voce tremula.
No, non doveva sembrava per nulla la vampira forte e disposta a tutto pur di proteggere chi amava che voleva apparire.
Eppure Stefan capì lo stesso che, dietro l'apparenza, lei era disposta a fare tutto il necessario per Kol.
In fondo, non la biasimava: stavano facendo entrambi la stessa cosa, solo su due fronti diversi.
“Ne parleremo domani” sospirò e stavolta non si lasciò fermare mentre saliva le scale.
Quella non era una vittoria, Julya lo sapeva, ma se non altro non era neanche una sconfitta. Si poteva dire che c'era da lavorare, ma era sicura che il giorno dopo sarebbero riusciti a incontrarsi a metà strada.
Intanto, il suo letto la aspettava.

 

*

 

Fu l'odore di qualcosa di dolce e caldo a svegliarla.
Non realizzò subito di cosa si trattasse e rimase un po' a rigirarsi nel letto, crogiolandosi nel calore delle coperte e annusando l'aria profumata.
Sarebbe rimasta così anche tutta la mattina, ma aveva mille ragioni per alzarsi.
Voleva vedere Kol: ora che l'aveva ritrovato avrebbe passato con lui tutto il tempo che aveva a disposizione.
Si infilò la vestaglia, poi scese le scale a piedi nudi e con un bel sorriso.
Il delizioso aroma proveniva dal salotto e quando si fermò all'ingresso trovò il tavolino di fronte al divano pieno dei suoi dolci preferiti e di delizioso tè.
C'era tutto quello che una donna avrebbe potuto desiderare, dalle brioche fumanti e profumate ai macarons dei colori più strampalati, passando per cupcakes dall'aspetto delizioso.
Solo un vampiro avrebbe potuto mangiare quella quantità di cibo senza ingrassare e Julya era davvero felice di far parte della categoria.
“Buongiorno” salutò con un sorriso, lasciandosi scivolare sul divano accanto a Damon e servendosi il tè.
Afferrò un macarons viola e lo morse: un delizioso sapore di viola le invase la bocca.
“Questo è un vero banchetto. Cosa stiamo festeggiando?” domandò sorseggiando il tè.
“Niente di particolare” borbotta Damon alzando le spalle e scoccando un'occhiata significativa a Stefan.
Julya la colse con la coda dell'occhio e si chiese cosa diavolo stessero tramando.
Stefan non sembrava di ottimo umore.
Più che altro pareva esitare, come se non sapesse bene cosa fare e si rigirava tra le dita una busta.
“Cos'è quella?” gli domandò sporgendosi per osservare meglio la carta color crema.
Stefan sembrò combattuto da un dilemma interiore, Julya glielo leggeva negli occhi. Alla fine, forse capì che comunque Julya si sarebbe impadronita di quella lettera che sembrava la fonte di ogni angoscia e gliela porse, non senza qualche esitazione.
Quando vide la grafia e la riconobbe, ebbe un tuffo al cuore.
Senza neanche aprirla seppe che il contenuto non le sarebbe piaciuto, ma cercò di farsi forza: forse si sbagliava, forse andava ancora tutto bene.
Le cose non potevano cambiare nell'arco di poche ore, si disse. Neanche il fato poteva essere tanto beffardo nei suoi confronti.
Racimolò tutto il coraggio che riuscì a trovare e aprì la busta. Le sembrò di aver compiuto uno sforzo immane perciò si prese un momento, anche se neanche lei sapeva bene perché.
Alla fine abbassò lo sguardo sulla pagina vergata di fresco e fittamente coperta dalla scrittura allungata di Kol.
Lesse tutto d'un fiato e quando ebbe finito non trovò la forza di muoversi.
Dentro di sé, la sera prima aveva capito che c'era qualcosa di strano, ma non aveva voluto ammetterlo con se stessa.
Lei non riusciva a capire perché. Sembrava così felice di averla di nuovo accanto, le era parso così innamorato.

Forse aveva visto ciò che voleva vedere: dopotutto, la gente lo faceva spesso.
Non importava che si fosse sbagliata.
L'unica cosa che contava davvero era la sensazione di abbandono che le squarciò il petto. La conosceva bene, solo che stavolta non aveva nessuno scopo più grande a cui aggrapparsi, nessun sogno da inseguire in cui annegare le pene.

Ecco, si disse con rabbia, accartocciando la lettera tra le dita, questa è esattamente la ragione per cui non avrei dovuto lasciarmi andare.
Si accorse di avere gli occhi lucidi un momento prima di sentire le lacrime bagnarle le guance. Se le asciugò in fretta e con un gesto furioso.
“Mi dispiace, Julya”
Stefan sembrava davvero dispiaciuto, ma Julya aveva bisogno di qualcuno su cui sfogare la rabbia perciò non esitò ad aggredirlo.
“No, non è vero. Sei contento che mi abbia lasciata perché speri che questo mi faccia arrabbiare abbastanza da smettere di preoccuparmi”
“Mi reputi così meschino?”
“Già” intervenne Damon “Santo Stefan non sarebbe mai così crudele da essere felice per le tue sofferenze”
Sembrava che la stesse prendendo in giro, ma Julya percepiva una certa sincerità sotto le apparenze.
Inspirò a fondo, ma quando espirò le uscì solo un sospiro tremulo.
La verità era che le sembrava che avessero preso il suo mondo e lo avessero ribaltato un paio di volto, neanche fosse stato una bella palla di neve. Ora aveva l'impressione che le girasse la testa.
Non voleva piangere ancora, ma sentiva il groppo in gola e sapeva che le lacrime sarebbero arrivate.
Lo sapeva lei e lo aveva capito anche Stefan.
Le si sedette accanto e le passò un braccio intorno alle spalle mentre Damon si alzava e li lasciava soli.
Non era il tipo da consolare una ragazza e Julya aveva bisogno di un amico, qualcuno che le stesse accanto e non le permettesse di sprofondare in un altro baratro ora che ne era uscita.
“Piangi” la incitò.
Sapeva quanto potesse essere liberatorio: lui non ci era riuscito quando aveva pensato che Katherine fosse morta e il dolore lo aveva accompagnato per decenni.
“Non voglio piangere ancora. Mi sembra di non fare altro” singhiozzò.
“Non posso lasciarlo andare” ammise tra le lacrime “non voglio”

“Andrà tutto bene” le giurò.
Le carezzò i capelli con dolcezza, mentre Julya guardava con gli occhi lucidi il cibo abbandonato.
Per qualche ragione, quel pensiero la spezzò.
Kol se n'era andato e si sentiva di nuovo sola, ma il pensiero dei dolci dimenticati sul tavolo e del tè oramai freddo furono il punto di rottura.
Per qualche ragione, quel pensiero fu quasi peggio di tutto il resto. Allora il coraggio la abbandonò e scoppiò a piangere.

 

 

 

 

 

“Hai intenzione di essere arrabbiata con me ancora per molto?”
Julya non degnò Stefan neanche di un'occhiata e continuò imperterrita la lettura del suo libro. Il fuoco nel caminetto del salotto scoppiettava allegramente e sul tavolino c'erano una bottiglia di vino rosso italiano e un calice.
Dato che sembrava più che decisa a ignorarlo, Stefan decise che l'avrebbe costretta a prendere atto della propria presenza.

Le spostò le gambe dal divano e si lasciò cadere accanto a lei con un sorriso. Non funzionò.
Julya si limitò a ripiegarsi su se stessa e ad accoccolarsi contro l'altro lato del divano, girando pagina come se niente fosse successo.
“Cosa leggi?” le domandò allora.
Niente.
Fu costretto a scoprirlo da solo leggendo il titolo: “Le anime morte”, in lingua originale.

“E' un bel libro?” le domandò
Sapeva che niente poteva darle più fastidio che essere continuamente interrotta mentre leggeva così si versò un bicchiere di liquore e si preparò a farle altre domande.
“Sai, Alaric di là si è portato da leggere Moby Dick,  ma non credo che leggerà molto ora che Klaus gli ha spezzato il collo” rifletté.

Il suo piano funzionò.
Julya alzò gli occhi dal libro e lo fulminò con lo sguardo “Non hai altro da fare? Estorcere ad Alaric dov'è il paletto, ad esempio”
“Fino a quando non si sveglierà ho ben poco da fare”
“Ed è una buona ragione per seccare me?”
“E' un'ottima ragione per tentare di placare la tua rabbia”
“Analizziamo i fatti, Stefan” lo invitò chiudendo il libro. Il suo tono lasciava presagire che sarebbe sicuramente stata una conversazione all'insegna del sarcasmo, ma almeno gli rivolgeva la parola.
“Mi sono presa qualche giorno di vacanza, sperando di tornare e non trovare l'apocalisse. Invece torno e cosa scopro? Che tu e l'allegra combriccola di ammazzavampiri non solo avete provato a uccidere gli Originali, ma che ne avete addirittura impalato uno”
“Ma Kol sta bene, quindi non c'è motivo di essere arrabbiata” provò a blandirla, ma Julya non si lasciò raggirare.
“Per puro tempismo! Poteva morire, lo sai? A essere onesti, potevamo morire tutti” gli fece notare e un brivido di paura le attraversò la schiena.

Quando aveva saputo cosa era successo mentre era a rilassarsi in un centro benessere tra le montagne di Aspen, in Colorado, tutta la calma che aveva faticosamente raggiunto durante il soggiorno rilassante era andata a farsi benedire e aveva iniziato a inveire contro Stefan, Damon, Elena, persino Caroline e Matt.
Quando poi le avevano raccontato di ciò che era successo a Sage e alla discendenza di Finn... be', poco era mancato che le venisse un attacco isterico.
Dopo di che, gli aveva parlato solo per mostrargli la sua rabbia.
“Per questo dovresti aiutarmi. Se recuperiamo il paletto, saremo tutti salvi”
Julya avrebbe voluto fargli notare che darle un paletto tra le mani in quel momento poteva non essere una scelta molto brillante, ma preferì tacere.
Il silenzio tra loro si protrasse per un po', fino a quando Stefan prese il proprio cellulare e compose un numero.
Rispose Damon.
Stefan gli raccontò la situazione sorseggiando di quando in quando il suo brandy e guardando un punto fisso sul moro di fronte.
Anche se aveva riaperto il libro, Julya era attenta e non si perdeva un secondo della conversazione di Damon e Stefan.
Dopotutto, da quella situazione dipendeva anche la sua vita.
“E' arrivato Klaus” lo informò Stefan “non è molto paziente” constatò con un cenno del capo.
“Kol deve avergli detto che siamo a Denver”
Julya scattò a sedere, sbattendo le palpebre con un'espressione confusa. Il suo cervello, per quanto brillante, ci mise un momento a realizzare ciò che aveva appena sentito.
Kol, Denver...
Quando riuscì a dare un senso a quelle parole, trasalì.
Sapeva dov'era Kol ed era decisa a raggiungere Damon. Il loro intento era trovare questa Mary Porter e se Kol voleva ostacolarsi allora era certa che il modo migliore per trovarlo fosse seguire Elena e Damon.
Non le importava che lui le avesse detto di non cercarlo e che sarebbe stata meglio senza di lui: erano cazzate.

Se voleva lasciarla, doveva dirglielo guardandola negli occhi. E forse neanche allora Julya avrebbe accettato di perderlo ancora.
Nell'ottica di Julya, non c'era un'altra possibilità diversa da loro due insieme: era giusto che fosse così, non poteva essere altrimenti.

Si alzò di scatto e raggiunse la proprio camera a velocità vampiresca. Non si era accorta di avere Stefan alle spalle fino a quando non era entrato nella sua stanza un secondo dopo.
“Dove vai?”
“Raggiungo Damon a Denver”
“Julya...”
“No. Non provare a fermarmi, non cercare di convincermi: io vado a Denver” ringhiò infilando vestiti e scarpe in una borsa di pelle il più velocemente possibile.
Badava appena a ciò che stava prendendo, pescando quasi a caso dai cassetti e dagli armadi.
Le venne in mente che non avrebbe potuto andare in macchia: ci sarebbe voluto poco meno di un giorno intero e lei non aveva così tanto tempo.
“E se non volesse vederti?” le domandò.
Julya non si diede la pena di fermarsi e iniziò a cercare il proprio cellulare: doveva chiamare l'aeroporto più vicino.
“Dovrà farlo” ringhiò “se n'è andato e mi ha lasciato una lettera. Capisci? Lui mi ha lasciato una lettera. A me! Se vuole dirmi addio, lo farà guardandomi negli occhi”
Sapeva cosa stava pensando Stefan.
Probabilmente credeva che fosse la classica ragazza innamorata incapace di rassegnarsi e a lei non importava che la pensasse così.
Lui non aveva visto come Kol la guardava la sera prima che se ne andasse, non aveva sentito i suoi baci sulle proprie labbra e non avrebbe potuto capire.
“Non c'è niente che possa fare per farti cambiare idea”
Non era una domanda e Julya non si diede la pena di rispondere.
“Allora” gli domandò mentre prendeva il cellulare “hai intenzione di stare lì o pensi di darmi una mano a trovare il numero dell'aeroporto?”
 

 

“Che cosa vuol dire <siamo in viaggio per il Kansas, raggiungici>?” strillò Julya facendo voltare tutti coloro che si muovevano intorno a lei.
C'era gente che cercava il proprio gate di imbarco, altra che ne usciva eppure tutti si girarono ad osservare quella giovane ragazza intenta a urlare al telefono così Julya abbassò la voce.
“Vuol dire che siamo in viaggio per il Kansas e che se vuoi puoi raggiungerci” chiarì Damon dall'altro capo del telefono.
Era abbastanza sicura che se lo avesse avuto a portata di mano lo avrebbe strangolato, ma dovette accontentarsi di ringhiare attraverso il telefono.
“E come dovrei fare?”
“Noleggia un auto, vola, teletrasportati, fai l'autostop... stupiscimi”

Prendi un bel respiro, Juls, e non ringhiare: la gente ti guarda.
“Damon, passami Elena”
“Non vuoi più parlare con me, splendore?”
“E' per il tuo bene” lo rassicurò con un sorriso che non prometteva nulla di buono “o mi passi Elena o so che dirai qualcosa che mi farà imbestialire e quando ci incontreremo Kol sarà l'ultimo dei tuoi problemi”
“Come siamo suscettibili” la prese in giro, ma il momento di silenzio che seguì le fece capire che aveva seguito il suo suggerimento e infatti la voce che sentì subito dopo era quella di Elena.
“Ciao, Julya”
“Ehi. Senti, da quanto siete in viaggio?”
“Poco più di un'ora”
“Bene. Io noleggerò un auto e vi raggiungerò. Dimmi dove devo andare”
Ci mise un po' a spiegarle la strada, ma nel frattempo Julya era giù riuscita a prendere un auto -una lucida Mercedes nera- e a imboccare l'autostrada per il Kansas.
Quando posò il telefono sul sedile accanto a lei, aveva già recuperato un terzo del tragitto compiuto da Damon ed Elena.
Era stata fortuna: loro avevano preso la strada normale, quella più lunga.
L'autostrada e la velocità sostenuta le avrebbero fatto recuperare terreno in breve tempo.
Forse non sarebbe riuscita ad arrivare prima di loro, ma avrebbe ritardato di poco.

Mentre guidava, l'attenzione alla strada non le impedì di pensare ad altro. Avrebbe dovuto prestare maggiore cura, lo sapeva, ma la velocità e il movimento le conciliavano la riflessioni e si ritrovava a pensare a cose che non c'entravano niente con quello che stava facendo senza sapere perché.
Era più forte di lei.
Forse Stefan aveva ragione: non avrebbe dovuto andare. Ma se voleva trovare il modo di chiudere anche quella storia, doveva essere Kol a dirle addio e doveva farlo guardandola negli occhi.

Ma era una bugia e non ci credeva nemmeno lei.
Non sarebbe mai riuscita a chiudere per sempre con lui, neanche se l'avesse trattata nel peggiore dei modi e l'avesse tradita.
In realtà, dubitava che Kol potesse fare l'una o l'altra cosa.
Sapeva che le persone lo vedevano come un vampiro irresponsabile, a volte infantile, egoista, sconsiderato, capriccioso, forse anche un po' gigolò, dedito per lo più al sarcasmo e incapace di comportarsi con cognizione di causa.
Kol era pieno di difetti, Julya li vedeva senza bisogno che qualcuno glieli elencasse.
Ma sapeva anche che c'era anche molto altro in lui.
Aveva passato vent'anni con lui, trascorrendo ogni secondo della proprio giornata al suo fianco e aveva imparato a conoscerlo.
Ad esempio, Julya sapeva che dava sfoggio del proprio sarcasmo solo quando temeva che qualcosa potesse ferirlo; era protettivo, a volte ai limiti del possessivo, e non aveva mai visto nessuno capace di amare – una volta superate tutte le sue paure, ovviamente- con tanta passione.
Forse l'aver visto il lato migliore di lui non l'avrebbe aiutata a dimenticare.
Se avesse potuto considerarlo una creatura spregevole magari sarebbe riuscita a dimenticarsi di lui, ma il fatto era che lei lo conosceva come nessun altro e lo amava.
Incondizionatamente e al di là di ogni possibile spiegazione.
Sospirò e accese la radio. La radio trasmetteva una vecchia canzone che conosceva e canticchiò piano.
Non c'era alcuna logica, ma quella canzone le fece venire in mente i suoi giorni da umana.
Erano un po' confusi, ma c'erano cose che non avrebbe mai dimenticato e le tornarono alla mente in quel momento, sulle note di quella canzone un po' triste che sembrava rivangare la storia tormentata della sua famiglia.

 

 

 

“Please don't leave me here.
Life, for now, I've come to fear
You've dropped me of and left me here,
whit nothing here to fin my way”

 

 

 

Non c'erano dubbi che quella fosse la casa giusta: vedeva la macchina di Damon poco più avanti e scorgeva quello che probabilmente doveva essere Jeremy intento a battere il piede per terra, impaziente.
Spense l'auto e si fermò un momento.
Quella poteva essere l'ultima volta in cui si sarebbe sentita così, innamorata.

Poteva entrare in quella casa e vedere il proprio mondo sconvolto un'altra volta. Sentiva che stavolta poteva affrontarlo: dopo aver affrontato tanti sconvolgimenti credeva di poter sopportare tutto.
Il punto era che sopportare era ben diverso da accettare.

Non sarebbe finita in mille pezzi, ma sapeva che non avrebbe mai potuto rassegnarsi.
D'un tratto capì che quella sarebbe stata la sua croce per l'eternità.
Non la morte, il vampirismo o il disprezzo per se stessa, ma l'amore.
La sua umanità e l'incapacità di spegnerla erano lo scotto da pagare per la sua vita. Fato, Fortuna, Destino le erano sempre sembrati cose troppo effimere e intangibili per affidarvisi seriamente.

“Ciò che l'uomo pensa di se stesso – ecco ciò che regola o piuttosto indica il suo destino” aveva sempre detto, citando Henry David Thoreau.
Ora però si chiedeva se non fosse stato proprio il Fato, quella Tyche che i greci tanto temevano e rispettavano, a far sì che lei restasse così umana.
La sua punizione e il suo più grande pregio, probabilmente.
Le tremavano le labbra sotto il peso del pensiero di ciò che sarebbe successo. Eppure scese dall'auto a testa alta, ostinatamente orgogliosa e determinata ad arrivare fino in fondo.
Quel rapporto troncato a metà era peggio di qualunque abbandono.
Superò Jeremy senza farsi vedere e sgattaiolò fino all'ingresso.
La tipica casa americana, dipinta di un bianco e un azzurro così infantili che le ricordarono il vestito di Alice nel paese delle meraviglie.
Aprì la porta con circospezione, pur sapendo che se ci fosse stato un vampiro lì dentro l'avrebbe sentita comunque.
Entrò in punta di piedi, maledicendosi per non aver scelto un paio di scarpe più basse e che facessero meno rumore sul pavimento.
All'improvviso il ticchettio dei tacchi sembrava più uno sparo in una notte silenziosa.
La casa era strapiena, ingombra di ogni tipo di cianfrusaglia. Il suo occhio di antiquaria esperta valutò che dovevano esserci anche alcuni tesori lì dentro, come la scacchiera in legno e alabastro che aveva tutta l'aria di risalire al primo '700 o uno scrittoio addossato alla parete in stile Luigi XIV.
Probabilmente insieme a quelli vi era molto d'altro: libri, mobili, suppellettili e chissà quali altri preziosi  manufatti.
Conoscendo Mary, immaginava che non sapesse il valore del piccolo tesoro che si trovava in casa.
Era il 1895 e Julya e Kol erano a Londra quando le aveva presentato Mary. Quell'incontro fuggevole le era bastato per capire che non le piaceva per niente e non l'aveva più rivista.
Il pavimento scricchiolava a ogni passo, i tacchi si incastravano tra le fughe delle assi di legno del parquet, ma non importava: avrebbe potuto mettersi a saltare su quel pavimento malandato e rumoroso e comunque non l'avrebbe sentita nessuno.
Ogni rumore sarebbe stato coperto da quello che proveniva dalla stanza accanto alle scale, esattamente di fronte a lei.
Con il cuore in gola, si avvicinò in punta di piedi e gettò uno sguardo alla stanza
Damon era steso a terra e Kol lo guardava con il sorriso di un bambino al luna park, ma non quello sincero e felice, ma quello che Julya aveva imparato ad associare ai guai, grossi e dolorosi guai.
E la mazza che roteava con serena disinvoltura non migliorava l'impressione generale.
Non si accorsero della sua presenza subito.
La mazza d'alluminio calò ancora un paio di volte su Damon sotto lo sguardo sbigottito di Elena e Julya.
“Elena, scappa” le intimò Damon, ma Kol la spinse lontano e allora Julya decise che era il momento di intervenire prima che qualcuno si facesse davvero male.
“Kol!”
Lo afferrò per un braccio per trattenerlo, come se ce ne fosse bisogno: la sua voce aveva avuto il potere di fermarlo con la mazza a mezz'aria.

Spostò la mano sul suo petto e lo spinse indietro, lontano da Damon. Guardando il suo volto, Julya non avrebbe saputo dire se sembrasse infastidito di vederla o fosse solo sorpreso.
Di certo non si aspettava di vederla lì.
“Che diavolo ci fai tu qui?”
Si frappose fra lui e Damon e afferrò il manico della mazza per toglierglielo di mano, ma Kol non mollò la presa.
“Puoi lasciarla, per favore? Possiamo parlare anche come persone civili” lo rimbrottò e a Kol parve di essere tornato indietro nel tempo, quando lo sgridava per le sua maniere.
Gli piaceva che cercasse di impartirgli qualche lezione, di quando in quando, soprattutto perché quelle lavate di capo finivano sempre in un letto, dove facevano l'amore fino a quando non erano sazi l'uno dell'altro.
Una fitta acuta di desiderio gli fece quasi dimenticare il motivo per cui se n'era andato da Mystic Falls lasciandole una lettera.
In effetti, con il senno di poi si chiese come avesse fatto a pensare che Julya si sarebbe rassegnata.
Non avrebbe dovuto essere così felice di vederla e provò a reprimere quel sentimento.

Alla fine scoppiò in lui come un fuoco d'artificio e raggiunse ogni parte del suo corpo, anche se si costrinse a nasconderlo dietro un'espressione arrabbiata.
“Di cosa dovremmo parlare, sweetie?” la derise “Voglio solo pareggiare i conti”
La superò prima che potesse fermarlo e tornò a colpire Damon. Il braccio, la schiena e ancora la schiena... le sembrò di essere tornata a quando era umana e i nobili russi non esitavano a usare la violenza con i loro servi.
Potevano non ricordare i volti dei suoi concittadini o come si chiamassero le sue amiche, ma non avrebbe mai dimenticato le frustate, gli schiaffi e le violenze gratuite dei nobili e della polizia.
La brutalità e l'ignoranza erano la parte peggiore di quella Russia ed erano stati una ferita aperta per tanto tempo, abbastanza da impedirle di fermarsi a lungo a San Pietroburgo nei secoli successivi alla sua trasformazione.
Provò la stessa sensazione di rabbia e impotenza, lo stesso prurito alle mani e sembrò che niente fosse cambiato.
Ma non era così: lei era un vampiro e di certo non era inerme.
“Kol, fermati!” lo supplicò facendosi avanti e poggiandogli una mano sul braccio. Non sembrò darle ascolto e si preparò a infierire ancora.
“Per favore, basta” riprovò e stavolta sembrò sentirla.
Kol incontrò gli occhi scuri e intensi di Julya. Si placò e si lasciò sfilare docilmente la mazza dalle dita.
Aveva un potere enorme su di lui e Kol non se n'era mai reso conto.
Si sentiva suo nel senso più profondo del termine, come se lui fosse stato una bambola e lei la sua proprietaria.

Non c'era nulla che non avrebbe fatto per compiacerla, anche smettere di picchiare Damon Salvatore.
Lasciò che lui ed Elena se ne andassero mentre loro rimasero lì.
Forse avrebbe dovuto andarsene: ogni minuto che indugiava accanto a lei la decisione di abbandonarla si fiaccava sempre di più, sfibrandosi lentamente.
Rimasero in silenzio per un po'. Kol la guardava apertamente mentre Julya camminava per la stanza, toccando e valutando ciò che vi trovava con attenzione.
“Quindi non hai smesso di interessarti di storia” notò mentre scrutava con uno sguardo meravigliato ed estasiato un cofanetto di legno intarsiato dall'aria piuttosto antica.
“Non avrei mai potuto” ammise.
“E' sempre stata la tua più grande passione” constatò Kol.
Julya stava solo aspettando il momento giusto per parlare e quando sentì che Elena e Damon se ne andavano si voltò con uno sguardo deciso che fece capire a Kol che era arrivato il momento di chiarire.
“Perché te ne sei andato?”
Fece spallucce. Non le avrebbe detto la verità: non sarebbe servito. Anzi, avrebbe solo vanificato il suo tentativo di tenerla al sicuro.
“Mystic Falls non fa per me”
“Te ne sei andato senza una parola, un saluto”
“Ti ho lasciato una lettera”
Non aveva avuto nessuna reazione fino a quel momento: lo aveva guardato con freddezza, le labbra strette in una posa severa e il volto impenetrabile.
Quello faceva ancora più paura.
La calma mortale con cui Julya stava parlando lo spaventava cento volte di più delle sue epiche lavate di capo.
Forse perché sembrava distante, come se non le importasse: questo lo feriva più di ogni altra cosa.
Lo terrorizzava l'idea che, un giorno, lo avrebbe semplicemente trattato con indifferenza. Perciò sentirla urlare e accalorarsi era rassicurante: fino a quando fosse stato in grado di scatenare tutta la sua passionalità -fosse in un letto o mentre la baciava o gli urlava contro- avrebbe avuto la certezza di occupare un posto speciale nel suo cuore.
Era tutto quello che chiedeva per l'eternità, dato che non poteva più avere lei.
Fu un sollievo vedere i suoi occhi lampeggiare d'ira e rabbia.
“Una lettera!” si indignò “Dopo tanti anni, tu mi lasci una misera lettera” sputò la parola come se fosse un insulto.

Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata: la sua non era stata per niente una nobile mossa. Non poteva permettersi però di mostrarle i propri veri sentimenti perciò si stampò in faccia il miglior sorriso affascinante e sperò che funzionasse.
“Mi dispiace” ammise “Vent'anni sono tanti per stare con una persona e ora mi sono reso conto che l'impegno non è per me”
L'espressione di Julya subì varie trasformazioni. Dapprima sul suo viso vi fu sorpresa, poi indignazione, rabbia e infine qualcosa che Kol non riuscì a decifrare.
“So che non sarà facile rinunciare a me” la derise sempre con il solito sorriso seducente e sarcastico “sono bello e affascinante, ma credo che l'eternità non sia per noi” ammise senza ombra di dispiacere.
“Una volta eri più abile a mentire” lo freddò “Non so se arrabbiarmi per ciò che stai dicendo o sentirmi insultata perché per uscirtene con frasi del genere devi credermi davvero stupida”

Si avvicinò abbastanza da sfoderare la sua arma vincente, quegli occhi così intensi e grandi ai quali nessuno avrebbe potuto resistere.
Probabilmente non lo faceva intenzionalmente, solo che i suoi occhi avevano su Kol un effetto strano, un po' come la sua presenza e la sua vicinanza.
“Sai una cosa? Io so perché te ne sei andato, il vero motivo” iniziò con calma, guardandolo negli occhi con uno sguardo limpido e sicuro “Hai paura di mettermi in pericolo, di farmi male. Ma me ne farai di più andandotene via”

“Un giorno ti passerà e smetterai di pensare a me” sussurrò.
Tutta la sua baldanza era scomparsa nel momento in cui si era sollevata sulle punte e aveva appoggiato la sua fronte su quella di lui, le loro labbra a un soffio le une dalle altre.
“Ho passato cento anni senza di te e posso assicurarti che non smetterò mai di amarti” gli fece notare guardandolo negli occhi.
Avrebbe voluto che Julya lo cacciasse via invece che supplicarlo di restare: sarebbe stato molto più semplice.
Invece lei intrecciò una mano con la sua e gliela strinse.
Non desiderava altro che abbracciarla, baciarla e non lasciarla più andare, ma si impose di non abbandonare il suo piano.

Per lei, si disse, lo faceva solo per lei.
Gli ci volle tutta la forza di volontà di cui disponeva per allontanarsi e superarla.
“Hai promesso che non mi avresti mai lasciata” gemette.
La sua voce era un sussurro spezzato e Kol resistette alla tentazione di voltarsi. Sapeva cosa avrebbe visto: occhi lucidi, appannati di lacrime e labbra tremanti, l'unica espressione capace di mandarlo nel panico.
Aveva visto piangere tante ragazze prima che le uccidesse, ma non avrebbe sopportato di vedere le lacrime sul suo volto.
Se si fosse voltato, non se ne sarebbe mai più andato.
“Mi stai ferendo”  continuò in un mormorio.
Kol si ostinava a non guardala negli occhi e Julya non riusciva a capire perché. Aveva compreso che non sarebbe rimasto con lei, ma non riusciva accettarlo.
Non era pronta al dolore che la invase quando realizzò che lo avrebbe perso per sempre. Non pensava avrebbe fatto tanto male.
“Starai meglio senza di me” la consolò.
“Non è vero!” esplose Julya slanciandosi verso di lui e stringendogli le braccia intorno alla vita. Affondò il viso nella sua schiena e non trattenne più le lacrime.
Non le importava di sembrare un'eroina da romanzo di terza categoria o la protagonista di qualche soap opera: non poteva perdere Kol.
Era tutto ciò che le restava e l'idea di essere separata da lui la faceva sentire come un marinaio di fronte alla tempesta perfetta.
Annichilita, le sembrava di boccheggiare alla ricerca del sollievo dal dolore.
La verità era che non le importava di non essere il tipo che piange per amore; non le importava di nulla.
Voleva disperatamente essere felice con Kol.
“Non abbandonarmi” lo pregò, ma dato che lui continuava a restare immobile tra le sue braccia decise di giocarsi il tutto per tutto.
“Tutti se ne vanno dalla mia vita, per un motivo o per l'altro. Tutti mi lasciano sola; non andartene anche tu”
Era un colpo basso, lo sapevano entrambi, ma sembrò funzionare perché Kol dovette stringere i denti e chiamare a raccolta tutta la propria determinazione per liberarsi dalla presa di Julya e allontanarsi.
Il suo cuore era a pezzi: chiunque avesse visto in lui solo un vampiro egoista e privo di sentimento, psicopatico, avrebbe cambiato idea nel vedere l'espressione sul suo viso.
Sembrava un uomo divorato da un fuoco interiore.
Julya lo seguì fino al portico. Avrebbe dovuto lasciarla così, andarsene senza aggiungere una parola, ma non riuscì a trattenersi.
“Se puoi, tienimi in un angolo del tuo cuore”
Si sarebbe accontentato di un piccolo spazio, un misero angolo nella sua memoria e nei suoi ricordi.
“Non farlo!” gli urlò dietro mentre si inoltrava nel bosco.
“Kol! Torna indietro, dannazione! Dico sul serio: vattene ora e mi perderai per sempre!” lo minacciò.
Julya non credeva che se ne sarebbe andato davvero. Si sarebbe voltato e avrebbe fatto dietro-front per tornare da lei.
Era nell'ordine naturale della cose e loro erano destinati l'uno all'altra.

Quando lo vide inoltrarsi nella boscaglia anche quella certezza vacillò per poi sfumare del tutto quando lo vide scomparire tra gli alberi.
Forse era finita davvero.

 

“It's a tear in the dark
all alone in the car.
In pieces, in pieces”

When a heart breaks- Dave Barnes

 

 

 

 

 

 

Bumbunì’s note

 

-Buonsera! Ecco, ho deciso di allungare i capitoli, un po’ per poter concludere prima dato che davvero un sacco di storie ancora aperte, un po’ perché volevo dargli più “sostanza”.

 

- Poi, volevo ringraziare chi segue/legge/ha inserito tra i preferito la storia. Casomai un giorno vi andasse di farmi sapere cosa ne pensate, accetterò con piacere la vostra opinione.

 

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Capitolo 14
*** Tomorrow finds the best way out is through ***


Tomorrow finds the best way out is through

Ebbene, siamo alla fine.
Questo è l’epilogo definitivo della storia. Non ci saranno seguiti, solo gli spin-off collegati a questa long.
Colgo perciò l’occasione di ringraziare chi ha letto, recensito e inserito la storia tra i preferiti/seguiti.
E’ stato un vero piacere poterla scrivere e spero che l’abbiate apprezzata.
Detto  questo, buona lettura.

 

Tomorrow finds the best way out is through

 

 

“I know you're leaving now
Cause I held on to my way tightly
Stay still until you know
Tomorrow finds the best way out is through”
Ungodly hour-The Fray

 

 

 

 

La seconda volta era stato più facile raggiungere il Graal.
Si era inginocchiata per passare oltre le lame, aveva composto il nome di dio e si era lasciata scivolare sulla sottile lastra di roccia che attraversava il precipizio per giungere di nuovo laddove riposava il calice e il cavaliere che lo custodiva.
“E' una sorpresa per me rivedervi qui, giovane fanciulla” ammise il templare abbassando subito la spada.
“E' una sorpresa anche per me” confermò Julya.
In realtà non avrebbe voluto tornare lì, ma non le era venuta in mente idea migliore.
A Mystic Falls la situazione era sempre più tesa e Julya sentiva che sarebbe accaduto qualcosa di terribile a breve.
Aveva pensato che fosse solo la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi e che doveva essere l'atmosfera.
Aveva provato a ignorare quella sorta di sirena che suonava nella sua testa, ma aveva scoperto presto di non riuscire a metterla a tacere.
In realtà, la paura la attanagliava da quando Stefan le aveva raccontato cosa era successo alla discendenza di Finn quando lui era morto.
Il pensiero di morire in quel modo la terrorizzava, ma quando pensava che sarebbe successo solo dopo la morte di Kol si sentiva ancora peggio.

Era un pensiero troppo grande da realizzare e Julya non lo comprendeva a pieno.
Quando poi era venuto alla luce il casino di Alaric aveva capito che non c'era più tempo. Così aveva fatto i bagagli in fretta ed era partita, sostenendo che forse avrebbe potuto trovare una persone che potesse aiutarli.
Era una bugia.
Aveva bisogno di qualcosa che la proteggesse e la aiutasse a sopravvivere a quella città. Forse avrebbe dovuto solo andarsene: se avesse lasciato Mystic Falls sarebbe stata al sicuro, lontana da ibridi, licantropi, streghe e Originali.
Ci aveva pensato più di una volta, ma la conclusione era sempre stata la stessa: non poteva partire.
Si era detta che lo faceva per Stefan, ma sapeva di mentire a se stessa: restava solo perché tutto in quella città le ricordava Kol e lei aveva un disperato bisogno di tenersi stretto tutto ciò che era legato a lui.
Fosse la stupida strada che avevano percorso insieme la notte in cui se n'era andato o la lettera che le aveva scritto.
Per quello era tornata ad Alessandretta.
La leggenda voleva che, al di là dei poteri curativi, il Graal potesse molto altro: tra i vampiri che credevano all'esistenza di quel cimelio serpeggiava la diceria che bere sangue dal calice rendesse più forti, più veloci, più potenti, quasi come un Originale.

Julya era lì per scoprire se era tutto vero.
“Cosa vi porta qui, mademoiselle?”

“Voglio fare un piccolo esperimento” mormorò abbassandosi per cercare il Graal. Era un po' nascosto, proprio dietro un grande calice tempestato di rubini e diamanti, un vero tesoro che qualunque collezionista avrebbe voluto possedere.
La coppia di Cristo appariva ancora più insignificante al confronto. Chissà, forse anche quello avrebbe potuto essere uno spunto di riflessione sulle apparenze e il messaggio cristiano, ma a lei non importava.
Afferrò il calice e vi versò dentro il sangue che aveva conservato dentro una boccetta.
Non sapeva cosa sarebbe successo: poteva diventare inarrestabile, poteva trasformarsi in un mostro oppure restare se stessa.
La gamma di opzioni era piuttosto vasta, ma Julya era disposta a correre il rischio per il vero motivo per cui era lì e teneva il calice tra le mani.
Contro ogni logica e ragionevole pensiero, una parte di lei credeva che se fosse stata più forte e avesse saputo difendersi, Kol non avrebbe più avuto motivi per andarsene.
Allora avrebbero potuto essere felici insieme, come era giusto che fosse, com'era destino.
Inspirò ed espirò a fondo, poi bevve il sangue tutto d'un sorso, come se fosse stato un bicchierino di tequila.
Come la prima volta, la sensazione di potere fu inebriante. Era ebbra, sentiva che nuova linfa le scorreva nelle vene.
Qualunque cosa fosse, era come un'onda calda e afrodisiaca. Le sembrava di avere tra le mani tutto il potere del mondo, la possibilità di disporre di qualunque cosa volesse.
Assaporò la nuova sensazione: tutto il mondo intorno a lei sembrava amplificato, come se all'improvviso tutti i suoi nervi si fossero tesi e fosse in allerta.
Ma non c'era nessun pericolo e con stupore realizzò che erano solo i suoi nuovi sensi, più nitidi di quanto non fossero mai stati.
Ma il vero potere lo sentiva nella propria mente, come se avesse sviluppato una sorta di spazio extra.
“E' meraviglioso” esalò leccandosi le labbra per ripulirle dal sangue.
Il cavaliere non disse niente, ma se anche lo avesse fatto Julya dubitava che vi avrebbe prestato davvero attenzione.
Era concentrata solo su se stessa e sulle proprie sensazioni. Sentiva che niente avrebbe potuto farle del male, non fino a quando avesse continuato a sentirsi così incredibilmente invincibile.

In quel momento suonò il cellulare.
Lesse il nome sul display: Stefan.
Qualcosa le diceva che non doveva avere buone notizie. In effetti, si sarebbe stupita del contrario.
“Esther è tornata e ha trasformato Alaric. Ora c'è solo il suo alter ego cacciatore di vampiri”

 

 

*

“Her bag is now much heavier 
I wish that I could carry her 
But this is our ungodly hour”
Ungodly hour- The fray

 

 

 

 

Non era tornata a Mystic Falls.
I voli dalla Turchia non erano particolarmente affidabili e così aveva dovuto fare scalo ad Atene e poi a Vienna.
Il teoria, l'itinerario prevedeva ancora una fermata a Londra e Buenos Aires prima di arrivare finalmente a Richmond, da cui avrebbe viaggiato in macchina fino a Mystic Falls.
In pratica, le cose erano andate in maniera molto diversa.
La sosta a Vienna sarebbe stata piuttosto lunga, così si era accampata fuori dal gate e aveva iniziato a passeggiare per i negozi.
Poi si era ritrovata davanti al tabellone delle partenze e aveva visto il nome della sua città, San Pietroburgo.
Le erano tornate in mente il centro storico, la prospettiva Nevskij e la Neva e aveva ripensato al profumo dei dolci russi, al freddo pungente e al bianco dei marmi delle cattedrali che svettavano contro il cielo azzurro.
Due ore dopo era atterrata a San Pietroburgo.
Non sapeva neanche lei cosa fare così aveva solo passeggiato lungo la prospettiva Nevskij e si era fermata ad aspettare la sera davanti all'Hermitage per poterlo guardare una volta illuminato.
Non ricordava che fosse tutto così bello.

Aveva ripreso la sua passeggiata: la città era affollata di turisti di ogni nazionalità, coppie che passeggiavano mano nella mano e gruppi di amici che passavano da una vetrina all'altra ridendo.
Il suo sguardo si oscurò e il sorriso scomparve quando vide una ragazza e un ragazzo mentre giocavano nel parco intorno a una grande fontana.
Avevano ingaggiato una battaglia di palle di neve e sembravano così spensierati. Julya li invidiava.
Lei, un vampiro, che poteva avere dal mondo qualunque cosa desiderasse, invidiava due mortali.
Loro avrebbero vissuto ancora qualche decennio, poi si sarebbero spenti.
Lei invece avrebbe avuto l'eternità per godere di tutto ciò che era bello, eppure non avrebbe chiesto altro che stare in quel parco di San Pietroburgo a fare a palle di neve con Kol.
Affondò il viso nella sciarpa per nascondere la piega triste delle labbra e attraversò il parco. Non sapeva doveva stava andando, erano le sue gambe a guidarla.
Capì dove stava andando solo quando superò un pesante cancello dipinto di nero e si accorse di aver raggiunto il cimitero dove era sepolta la sua famiglia.
Guardò il lungo corridoio di ghiaia che si stendeva tra le lapidi. Non era sicura di essere pronta a entrare.
I suoi genitori e i suoi fratelli le mancavano ogni giorno, un vuoto nel petto che però stava lentamente cominciando a guarire.
Era grata a Kol e a Stefan per averla aiutata, anche se in modi diversi. Era grazie a loro se cominciava a vedere le cose in modo diverso, da una prospettiva più sana.
Alla fine raccolse il coraggio a due mani e percorse a passo spedito la stradina, fino a raggiungere un grande abete.
Doveva avere parecchi decenni e sotto la sua ombra riposavano più di una decina di tombe, le più maestose di quella zona del cimitero.
Una volta un servo della gleba non avrebbe mai potuto permettersi una sepoltura di quel genere, ma quando Julya era diventata vampira aveva fatto in modo che venissero spostati in tombe più degne.
Era un po' sbiadite – ma d'altronde erano lì dal 1911-, senza l'ombra di un fiore o di una candela.
Aveva accettato il fatto che fossero andati e non sarebbero tornati la sera del ballo a casa Mikaelson, ma c'era ancora qualcosa che doveva fare.
Doveva dire loro addio: solo così avrebbe potuto iniziare davvero a chiudere la voragine che aveva nel petto.

Non avrebbe tentato di recuperare ciò che era svanito, non più almeno. Avrebbe sfruttato il vuoto di quelle perdite per riempirlo con qualcosa di nuovo.
Ci sarebbe voluto del tempo, ma si sarebbe presa cura di se stessa e sarebbe rinata come una fenice delle sue ceneri.
Tornò all'ingresso e vi trovò un armadietto pieno di candele. Ne prese quattro, lasciò la sua offerta e tornò alle tombe.

Era arrivato il momento.
Julya accese le candele, le sistemò sulle lapidi e le guardò una ad una. Era passato tanto tempo da quando la sua famiglia se n'era andata, ma lei non li aveva mai lasciati andare.
Li aveva sempre tenuti stretti al petto, nascosti laddove nessuno avrebbe potuto vederli. Ma anche loro meritavano di riposare.
Forse accendere una candela non avrebbe chiuso quel conto di sospeso ma Julya sapeva che non lo faceva per la sua famiglia.
Lo faceva per se stessa perché un gesto simbolico era quello di cui aveva bisogno lei per dire addio. Forse non avrebbe ottenuto nulla da quel gesto, ma era tutto ciò che poteva fare.

Le candele brillavano. Non c'erano date sulle lapidi, solo pezzi di pietra sotto i quali Julya non è nemmeno certa che si trovassero le ossa dei suoi fratelli e dei suoi genitori.
Non importava: l'unica cosa che contava era che, nel momento in cui quella candela si sarebbe spenta, lei si sarebbe lasciata definitivamente alle spalle il proprio passato.
“Fino ad ora mi sono aggrappata al mio dolore per non lasciarvi andare, ma non può continuare. E' ora che impari a tenervi con me in modo più sano, più giusto. Sarete sempre nel mio cuore, ma dovete passare oltre” ammise.

Smise di parlare, come se fosse in attesa di qualcosa e si accorse con un mezzo sorriso che, chissà quanto a fondo, una parte di lei aveva sperato di vedere i fantasmi della propria famiglia lì, accanto a lei per salutarla un'ultima volta.
Quella era la prova definitiva che non sarebbero tornati. Aveva fatto tutto ciò che poteva, ora doveva solo fare l'ultimo passo e lasciare che se ne andassero.
“Sarete sempre una parte di me, di ciò che sono. Sarà come doveva essere tanto tempo fa”

La sua famiglia era ciò che l'aveva fatta diventare la donna che era prima di essere trasformata in vampiro: ci sarebbero stati momenti in cui avrebbe rivisto loro nei propri gesti, ma ora poteva sopportarlo.
“Vi ho voluto bene, ve ne voglio ora ve ne vorrò per il resto della mia vita, per sempre” la voce le tremò e si ritrovò con le guance bagnate di lacrime in un battito di ciglia.

Quella era la fine, l'ultimo saluto e lasciò che fosse accompagnato dalle proprie lacrime: era quanto di più vero potesse trovare in quel momento.
Si diceva che nessuno si accorgesse di quando un fantasma se ne andasse e Julya non sentì nulla, ma nella sua mente fu come se un'onda si fosse placata piano, come se il vento avesse smesso di soffiare.
Allora si sentì libera e svuotata, come se si fosse tolta dalle spalle tutto ciò che vi era posato fino a quel momento.
Non ci fu più nulla e fu strano guardare le cose da una nuova prospettiva.
Ora sapeva che sarebbe andato tutto bene e che qualunque cosa si sarebbe risolta.
Rimase in silenzio a commemorare quel momento: oltre ai fantasmi dei suoi genitori e dei suoi fratelli, vide andarsene una parte di sé.
Il suono del telefono giunse inaspettato a turbare la solennità di quel momento. Si accigliò nel vedere che era Stefan.
“Klaus è morto” esordì.
La sua voce era incolore e Julya non seppe come interpretarla. Doveva essere felice? Non era una buona notizia? Era ciò che Stefan voleva, che tutti volevano ora che il legame con i suoi fratelli era stato spezzato.

“Era il nostro capostipite, mio, di Damon e di Caroline” le spiegò e allora un lampo di comprensione squarciò il buio nella mente di Julya.
Trattenne rumorosamente il fiato. Avrebbe perso Stefan. E Caroline.
La consapevolezza che se ne sarebbero andati anche loro la travolse e le tremarono le mani.
Aveva finalmente trovato due amici sinceri, a cui era davvero affezionata e non poteva perderli, non in quel momento.

Si sentì impotente e frustrata, lontana da loro migliaia di chilometri e fu di nuovo come essere umana e dover affrontare la morte senza poterla combattere e allontanare.
A cosa serviva essere vampiri se si doveva continuare a vivere nella paura di morire a causa di creature come Klaus? Non era giusto.
“Perciò, ora morirai”
“Così pare. Ho pensato che non mi avresti mai perdonato se non ti avessi chiamato prima di andare”
“Hai perfettamente ragione. Non ti avrei mai perdonato”
Dall'altro lato del telefono, Stefan accennò un sorriso e poi rimase un momento in silenzio.
“Dove sei?”
“A San Pietroburgo. Sai, avevo bisogno di prendermi un momento per salutare i miei genitori. Già che sono qui potrei prendermi un momento per salutare anche te” scherzò, ma il tremolio nella sua voce mandò a monte qualsiasi tentativo di sdrammatizzare.
“Julya...”
“No, aspetta, lasciami parlare. Io... io non sono brava a esprimere a parole i miei sentimenti, ma tu stai per morire e non voglio che tu te ne vada senza sapere che ti amo. Non nel modo in cui amo Kol o quello in cui tu ami Elena, ma ti amo. C'è stato un tempo in cui pensavo che fosse proprio quel tipo di amore, ma mi sbagliavo. Eppure non riesco a immaginare la mia vita senza di te”

“Siamo stati separati per tanto tempo. Sarà come tornare a quel periodo” la consolò.
“No, non sarà uguale. Allora, anche se non eri con me, sapevo che da qualche parte nel mondo c'era un vampiro di nome Stefan che mi voleva bene e che ci sarebbe sempre stato per me, per quanto arrabbiato o deluso. Ora non avrò neanche più quello”
Respirò a fondo per calmare il tremito della voce e alzò gli occhi al cielo, in silenzio. Sentiva che le bruciavano e le lacrime si accalcavano già agli angoli.
Sarebbe rimasta al telefono con Stefan fino a quando non sarebbe morto: forse non poteva trascorrere fisicamente con lui i suoi ultimi momenti, ma poteva essergli accanto comunque.
“Quello che è successo a Venezia...” iniziò Stefan.
“E' tutto a posto, Stefan. Credo di aver avuto un momento di confusione. Ed è vero, ti amo, un po' come ho amato i miei fratelli”

“Anche io ti amo come la sorella che non ho mai avuto. Per quel che vale, ti ho perdonato per essertene andata nel 1928, perdonata davvero”
“Grazie” sussurrò aprendosi in un sorriso lacrimoso.
Rimasero in silenzio. L'unica cosa che Julya riusciva a sentire era il rumore del respiro di Stefan, calmo e regolare, come se non stesse per morire.
Non era sicura che se le fosse capitata la stessa sorte sarebbe riuscita a mantenersi altrettanto salda e impassibile.
“Resterò al telefono con te fino a quando non arriverà la fine” proclamò a un certo punto la vampira per rompere il silenzio.
Dall'altro lato, Stefan scosse la testa “No, Julya. Io andrò da Elena e quel che deve succedere, succederà. Non essere triste” la ammonì bonariamente, con un sorriso malinconico.
Gli sarebbe mancata, ma più di tutto sapeva che lui sarebbe mancato a lei e quello era il pensiero peggiore.

“Quindi questa è davvero la fine” mormorò, ma quelle parole non riuscirono a fare altro che far sorridere Julya.
“Ci sono tante cose che devo ancora imparare, Stefan, ma c'è una cosa che ho capito: non c'è fine che non porti un nuovo inizio perciò, io credo che ci rivedremo. Non so come, non so quando, ma ti rincontrerò”
“Per essere una che non crede nel destino o in dio, ha una fede incrollabile in questo”
“E' perché me lo dice il mio istinto”

“Addio, Julya”
La candela morì lentamente e Julya lasciò che ciò che era stato scivolasse dalle dita e si alzasse verso il cielo come il fumo della candela.
“Da svidaniya, Stefan”

 

 


**

 

 

 

 

 

 

Je profitte de cette robe là-bas, merci”
La commessa, una signora un po' anziana, le sorrise dall'altro lato della bancherella e Julya afferrò l'abito che aveva scelto, un po' vintage ma troppo bello per essere lasciato nelle mani di qualcun altro.
Passez vous une bonne journée”

Julya continuò la sua passeggiata lungo il quartiere latino, fermandosi di quando in quanto davanti a qualche bancherella di vecchi dischi in vinile o gioielli.
Le piaceva un sacco quella piccola tradizione che si era creata da quando si era sistemata a Parigi.
Alla fine non era tornata a Mystic Falls.
Aveva lasciato San Pietroburgo il giorno dopo aver detto addio alla propria famiglia, subito dopo la chiamata di Stefan che le diceva che stavano bene, anche se sembrava impossibile.
Le aveva raccontato di Elena e le aveva chiesto di tornare, ma quando aveva preso in seria considerazione l'idea si era accorta di non poterlo fare.
Non era tornata e Stefan aveva capito, accettato, la sua decisione: forse aveva compreso che era ciò di cui Julya aveva bisogno per guarire davvero.

Aveva scelto di sistemarsi a Parigi.
Aveva affittato un piccolo appartamento a Montmatre, in un edificio vecchio stile. Era all'ultimo piano, con un terrazzo che aveva sistemato con baldacchini, tavolini, poltrone e tendaggi.
Si era anche iscritta alla Sorbone, corso di laurea in Antichità classiche e orientali.
Lentamente, aveva iniziato a stare meglio.
Non era guarita dalla sera alla mattina e a volte si sentiva ancora fragile come il cristallo, ma Parigi le stava facendo davvero bene.

Con sorpresa, aveva scoperto che la cosa più difficile da dimenticare e da accettare era l'assenza di Kol.
Gli aveva promesso che non lo avrebbe mai perdonato e che se se ne fosse andato l'avrebbe persa per sempre, ma era una bugia.
Era suonata una menzogna alle sue stesse orecchie già allora; con il tempo era diventata ancora più una falsità.
Non era neanche riuscita ad arginare i ricordi, a seppellirli da qualche parte dove non potesse trovarli.
Per un secolo aveva cercato di dimenticare qualunque cosa riguardasse loro per non soffrire; forse non era più disposta a farlo.
In cuor suo, avrebbe amato Kol fino a quando non le avessero infilato un pugnale nel petto. E forse anche allora il suo amore sarebbe sopravvissuto, aleggiando come un fantasma sulla terra.
Il fatto era che Kol le mancava da morire.
Nonostante il dolore, il senso di abbandono e la tristezza, non riusciva a smettere di amarlo con ogni fibra di sé.
Era il loro tipo di amore: potevano farsi male e ferirsi, ma avrebbero comunque continuato ad amarsi.
Per Julya era facile amare qualcuno di cui si fidava ciecamente; il difficile era provare lo stesso verso qualcuno che si era dimostrato più volte inaffidabile e pieno di difetti.
Forse si sarebbe ripresa più in fretta se avesse tentato di mettere da parte i ricordi, ma la verità era che non ci aveva neanche provato.
In fondo al cuore, continuava a sperare che lui tornasse da lei.
Sospirò e si infilò in una delle vie secondarie del quartiere. Anche lì era pieno di bancherelle e su una di quelle era posato un vecchio giradischi. Nell'aria vibravano le note di una canzone di Cole Porter.
L'intera atmosfera ricordava tanto “Midnight in Paris”: aveva adorato quel film, forse perché le aveva restituito l'immagine di Parigi come la vedeva lei.
Non solo Notre Dame, Versailles, l'Operà o il Sacro Cuore, ma una città magica in ogni sua parte.
Si sistemò la paglietta sul capo e si fermò a prendere un gelato: poteva anche essere diventata una vampira, ma niente l'avrebbe fatta rinunciare a una coppetta di semifreddo alla meringa e gelato all'anguria.
Lo assaporò mentre si fermava ad ascoltare la musica su una panchina, guardando la gente che camminava con gli occhi socchiusi.
“Sapevo che ti avrei trovata qui: amavi questo posto già nel 1900”
Balzò dalla panchina e il gelato cadde a terra. Aveva desiderato così tanto che Kol tornasse eppure in quel momento non riuscì a fare altro che strabuzzare gli occhi e stupirsi.
Si ricompose in fretta, mascherando il turbamento e la gioia di vederlo dietro una maschera di freddezza.
Cosa diavolo ci faceva lì?

 

 

Kol si era aspettato esattamente quella reazione.
A dire il vero, quando aveva visto che teneva un mano un gelato aveva avuto paura che glielo lanciasse contro. Per sua fortuna, era finito a terra.
Quando l'aveva lasciata in Kansas, aveva vagato un po' per gli States. Era stato in Florida per un po', poi a Los Angeles.
Aveva pensato che ragazze in bikini e alcolici potessero lenire la sensazione di vuoto che non lo abbandonava mai, ma si era reso conto fin troppo presto di non essere più fatto per quella vita.
Julya gli mancava e più di una volta aveva pensato di tornare a Mystic Falls e implorarla di perdonarlo, ma ogni volta si era detto che sarebbe stato peggio per lei.
Lì era al sicuro.
Grande errore: quando Rebekah lo aveva chiamato per informarlo di ciò che stava succedendo in città, aveva subito pensato a lei e aveva capito.
Julya non era per niente al sicuro senza di lui. In realtà, la sua famiglia era una delle cose che potevano farle del male e certo vivere in una città abitata da lupi mannari non era esattamente ciò che un vampiro avrebbe definito “vita sicura”.
Senza contare che la combriccola di vampiri e umani con cui si intratteneva sembrava fin troppo propensa a cacciarsi nei guai o ad attirarli.
Stando lontano da lei poteva proteggerla da se stesso, ma chi l'avrebbe protetta dal resto del mondo?
Non avrebbe mai dovuto lasciarla, farla sentire così sola e abbandonata: Julya non lo meritava.
Lei gli era sempre stata accanto, lo aveva sgridato, sfidato, spronato, gli aveva dato tutto di sé: amore, lealtà, passione. Lei ci aveva creduto davvero e meritava qualcuno che avesse il coraggio di starle accanto.
E voleva essere lui, Kol, quel qualcuno.
Così aveva deciso di tornare da lei, ma Rebekah gli aveva detto che era partita. Non era stato facile trovarla, ma alla fine era riuscito a sapere dove si trovasse: avrebbe dovuto aspettarselo.
Rintracciarla a Parigi era stato facile: era bastato andare nei luoghi che sapeva esserle cari, quelle che più l'avevano emozionata quando l'aveva portata a Parigi per la prima volta, nel 1900.
Si era aspettato la sua reazione, ma di certo non aveva previsto che poi avrebbe messo insieme quell'espressione fredda e distaccata, esattamente ciò che più temeva.
Avrebbe preferito che urlasse e gli riversasse addosso tutta la sua rabbia, piuttosto che vederle addosso ancora per un minuto quello sguardo distante e impassibile.
Tra loro si frappose un silenzio spesso come lastra di cemento e Kol sentiva l'improvvisa lontananza di Julya come un dolore fisico.
Kol aprì la bocca per parlare, ma Julya fu più rapida.
“Cosa diavolo vuoi?”
“Te?” tentò, ma ottenne solo un sopracciglio inarcato e nessun sorriso.
Non si era aspettato che gli saltasse addosso, ma di certo pensava che gli avrebbe riservato un benvenuto meno gelido e distaccato.
“Non ti avvicinare” lo avvertì quando fece un passo avanti verso di lei.
Ovviamente non le diede ascolto e superò velocemente la panchina: ora non c'erano più barriere fisiche che potessero separarli.
“Davvero, hai fatto un corso per ignorare così spudoratamente le mie richieste?” si lagnò Julya, le labbra serrate in una linea dura e gli occhi ardenti di rabbia.
Ecco, ora andava decisamente meglio: se non altro, il suo volto aveva perso la sua impassibilità.
“Julya...”
La sorprese l'uso del suo nome: di solito Kol la chiamava in mille modi – ad esempio sweetie o darling, di gran lunga i suoi preferiti- e usava il suo nome solo quando voleva dirle qualcosa di importante oppure farle capire che era un momento emotivamente intenso.

“Non provarci, Kol. Ti avevo detto che non ti avrei perdonato, che mi avresti perso se te ne fossi andato e tu lo hai fatto lo stesso. Non puoi tornare ora e pretendere che faccia come non fosse successo niente” sibilò.
Kol le rivolse il suo migliori sorriso affascinante “Io non ho mai detto di essere tornato per restare. Potrei anche essere solo di passaggio”
Julya si irrigidì. Non aveva detto nulla di compromettente, di questo era sicura, ma Kol aveva letto tra le sue parole chissà quale messaggio.
In realtà, sapeva che aveva ragione: lui non aveva mai detto di voler restare e nella sua mente il fatto che fosse tornato voleva dire proprio quello.
Una parte di lei voleva solo gridargli di restare, di non lasciarla mai più andare, ma l'orgoglio le serrava le bocca e le impediva di parlare con il cuore in mano.
“Allora vai” lo invitò sfoderando lo sguardo più freddo del proprio repertorio “vai e non tornare, Kol”
Il sorriso scomparve dal volto di Kol, spazzato via dalle sue parole e fece ancora un passo avanti.
“Prima devi ascoltarmi”
“Non devo fare nulla”
“Julya...”
“Va' via, Kol”
“Ho sbagliato, va bene?” sbottò alla fine, stringendole un polso tra le dita con delicatezza “Sono stato un vero bastardo. Tu mi hai supplicato di restare e io ti ho lasciata senza guardarmi indietro. Ma è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto”
“Ti aspetti una medaglia d'oro al coraggio?”
“No. Mi aspetto che tu mi dia almeno un minuto per spiegare, per cercare di farti cambiare idea, anche se con tutta la tua testardaggine non sarà facile”
“Non stai migliorando la tua situazione” lo informò incrociando le braccia.
“Mi dispiace. Ho sbagliato, va bene? E' quello che faccio sempre. Io sono capriccioso, ma tu sei sempre stata lì a farmi notare i miei errori, a prendermi a calci se necessario. Noi siamo così”

Julya rimase in silenzio.
“Non volevo ferirti”
“Ma davvero? Non lo avrei mai detto” lo prese in giro.
“Volevo solo proteggerti”
“E non hai pensato che potessi proteggermi da sola? Che volessi solo te e del resto non mi sarebbe importato?” sibilò a denti stretti.

“No, perché ai miei occhi tu resti l'umana che ho salvato in Egitto, la bella studiosa di storia che si è dimostrata l'unica donna che abbia mai amato. E' questo il punto” ammise, oramai pronto a parlare con il cuore in mano “io ti amo e questo mi rende irrazionale e pronto a tutto per farti stare bene”
Julya non voleva provare quella fastidiosa sensazione di felicità, non voleva ammorbidirsi né desiderava sentire quello sciocco calore nel ventre che si diffondeva lungo tutto il corpo.
Voleva la rabbia, la disillusione, l'amarezza. Ma come poteva restare impassibile di fronte a quelle parole?
Suo malgrado, sentì i muscoli sciogliersi, la espressione farsi più dolce e probabilmente le brillavano anche gli occhi. Dannazione, quando si era trasformata nella brutta copia di un'eroina da romanzo?
“Non posso vivere senza di te. Non posso vivere senza la mia vita, come non posso vivere senza la mia anima. E ti amo. Questo non conta più nulla?”
Julya non riuscì a parlare, sopraffatta da quelle parole. Aveva persino citato Heartcliff e sapeva quando lui odiasse quel genere di libri.
“So che domani sera alcuni tuoi amici organizzeranno una festa” annunciò e Julya si chiese da quanto tempo la stesse osservando per saperlo “lascia che sia il tuo cavaliere. Dammi solo quest'occasione”
Julya tentennò: non era sicura che dalla sua riposta dipendesse solo la festa del giorno dopo.
 

 

**

 

 

 

“It isn't that hard boy, to like you or even love you
I will follow you down down down,
Why? Cuz you're unbelievable
So if you're going crazy just grab me and take me
I would follow you down, down, down,
like anywhere, anywhere “

Million dollar man- Lana del Rey

 

 

 

“Ho appena incontrato il ragazzo più sexy del pianeta” annunciò Ada quando raggiunse il bar.
“Davvero?” si informò Julya mordendo un dolcetto appena preso dal ricco buffet che l'ospite aveva predisposto.
Non c'era che dire: Eugenè Dupont sapeva come organizzare una festa e i contatti del padre nell'ufficio del sindaco dovevano aver sicuramente aiutato per procurarsi quella location.
Julya immaginava che non fosse facile ottenere di poter organizzare una festa – per quanto a scopo di beneficenza, il cui ricavato sarebbe stato devoluto a un orfanotrofio- in uno dei saloni del palazzo delle Tuilleries.
“Già. Peccato che non fosse interessato a me” sbuffò sistemando i gomiti sul bancone e ordinando un cocktail.
“Cercava te” ammise.
“Me?”
“Già. Fino a prova contraria sei tu Julya Peskov, giusto?”
“Descrivimelo”
“Alto, capelli castani, decisamente affascinante, sorriso da capogiro”
Non le servì altro per capire di chi stesse parlando. Abbandonò il piano bar e attraversò la sala a passo spedito, il vestito che ondeggiava alle sue spalle e i capelli che sobbalzavano a ogni passo.
Non aveva bisogno che Ada le dicesse dove trovarlo: le sarebbe bastato usare il proprio nuovo super olfatto.
Da quando aveva bevuto il sangue dal Graal tutti i suoi sensi si erano acuiti e nella sua mente c'era molto più spazio di prima, come se le servisse un posto più spazioso dove catalogare le centinaia di informazioni in più che il suo cervello riceveva rispetto a prima.
Era ancora una strana sensazione, non del tutto spiacevole.
Seguì il famigliare profumo e lo trovò di fianco a una statua di marmo della dea Afrodite, intento a guardarla sorseggiando un bicchiere di champagne.
Quando la vide, Kol si aprì in un sorriso.
“Buonasera” la salutò, inchinandosi appena e afferrandole la mano per un baciamano più lungo del necessario.
“Dall'espressione sul tuo bel viso direi che non ti aspettavi che venissi davvero”
“In effetti hai ragione” ammise “Non pensavo che fosse il tuo genere di festa”
“Infatti non lo è, ma non mi sarei mai perso la possibilità di passare una serata con te né di vederti con quel vestito”
Suo malgrado, Julya abbassò lo sguardo sul proprio abbigliamento. Sapeva che quel vestito le stava bene, lo aveva scelto apposta. Era di un bel blu reale, lungo fino al pavimento, tutto chiffon e seta lucida, con un delizioso ricamo floreale che le lambiva la vita e saliva fino alla scollatura.
Metteva in risalto la propria carnagione chiara e i capelli e gli occhi scuri.
Avrebbe voluto dire di averlo indossato solo perché la faceva sentire bella, ma una parte di sé sapeva di averlo scelto perché lo pensasse anche Kol.
“Sei sempre così romantico” si lagnò con una smorfia.
“Faccio del mio meglio” ammise afferrando un paio di bicchiere di champagne da un cameriere di passaggio.
Julya prese il calice che le porgeva e brindò con lui prima di sorseggiare la bevanda. In realtà, il giorno prima Kol era stato molto romantico con quella super dichiarazione d'amore, ma a essere veramente sincera, non poteva negare che non l'aveva fatta sentire come aveva pensato.

Insomma, una dichiarazione del genere era il sogno di ogni donna normale, ma forse quello era il punto: lei non era normale, non in quel genere di cose.
Le piacevano le cose dolci, ma fino a un certo punto: era più che altro per la passione, il fuoco, gli sguardi intensi e burrascosi e i baci come se non dovessero esserci un domani.
E sapeva che anche Kol era quel genere di uomo perciò, forse, nella sua testa, non riusciva a vedere la completa sincerità in quelle parole.
Non era il suo Kol.

Fu proprio lui a interrompere il silenzio in cui avevano sorseggiato lo champagne e si erano guardati di quando in quando, l'uno di fronte all'altro e fin troppo vicini.
“Sai, ho saputo che sei tornata a San Pietroburgo”
“Hai saputo?” gli domandò guardandolo con un'occhiata che lasciava intendere quando poco ci credesse “Comunque, sì, sono tornata a casa per un po'”

“E come mai hai scelto proprio ora di tornare a casa?”
Fece spallucce e sorseggiò ancora un po' del suo drink “Volevo salutare la mia famiglia come si deve”
“E come è stato?”
Julya lo soppesò per un attimo prima di rispondere. Sembrava noncurante, ma sapeva vedere oltre l'apparenza e sapeva che era preoccupato per lei.
Probabilmente immaginava che ci fossero state lacrime, rabbia, dolore e di nuovo l'incapacità di dire addio, ma si sbagliava.
Poteva avere ancora tante cose da imparare, ma se aveva appreso una cosa in questi ultimi mesi era proprio dire addio.
“Liberatorio” ammise “Ma non è il momento di parlarne” gli fece notare indicando la sala e il centro della pista “Questa è una festa e io voglio ballare”
Kol non se lo fece ripetere due volte.
Lasciarono i calici sul vassoio di un cameriere e si infilarono in pista proprio mentre la musica cambiava e il ritmo allegro di una canzone jazz passò a quello più lento e sensuale di una canzone pop che aveva anche qualcosa di esotico.
Kol le passò un braccio intorno alla vita e lei si aggrappò al suo collo, ma una delle sue mani venne afferrata da lui che la tenne stretta nella sua.
Non erano vicini quanto Kol avrebbe voluto, ma immaginava di doversi accontentare di tenerla tra le braccia.
Il suo profumo -rosa e mirra in armonia con una fragranza che non conosceva- era inebriante, forse l'essenza più deliziosa che avesse mai sentito.
“Allora” le chiese a un certo punto, avvicinandosi al suo orecchio. Le sfiorò i capelli con il proprio respiro e Julya rabbrividì “come sto andando? Sei ancora arrabbiata con me?”
“Pensi che bastino due complimenti, un bicchiere di champagne, un ballo e la tua bella faccia per farti perdonare?”
“Bella faccia?”
“Oh, andiamo! Comunque, sono ancora arrabbiata con te. Non riesco a dimenticare come mi sono sentita quando te ne sei andato”
“Juls...”
“Sapevi che l'ultima cosa di cui avevo bisogno era essere abbandonata dalla persone che ho amato di più al mondo, eppure te ne sei andato comunque. Non so tu, ma io credo di avere il diritto di arrabbiarmi”
“Non ha senso dirti di nuovo quello che ti ho detto ieri. A questo punto, posso fare solo un ultima cosa”
Julya fece per chiedergli cosa, ma Kol la mise a tacere con le proprie labbra.
La baciò con tanta intensità da costringerla a sollevarsi sulle punte dei piedi, stringendola a sé e affondando una mano nei capelli.

Quello era da Kol: un bacio così travolgente e intenso da sconvolgere il suo mondo, da lasciarla scarmigliata, con le labbra umide e gonfie, le guance arrossate e gli occhi brillanti. Era la passione che mancava nella dichiarazione del giorno prima, quella che la faceva struggere di desiderio e amore.
Il giorno prima era stato l'uomo che ogni donna avrebbe voluto, romantico, dolce, pronto a fare di tutto per lei; in quel momento, era chi voleva Julya.
La musica finì insieme al loro bacio e Kol le rivolse un ultimo sorriso seducente prima di allontanarsi tra le folla.
Julya rimase in pista per un attimo, incapace di capire cosa stesse facendo, poi realizzò che doveva aver pensato che lei non lo voleva più nella sua vita o che, almeno per il momento, voleva essere lasciata sola.
Si sbagliava.
Uscì dalla sala a passo svelto, attraversando una galleria dopo l'altra seguendo la scia del profumo di Kol.
Non era mai stata così contenta di avere sensi super sviluppati.
Arrivata nei giardini fu più difficile seguire la scia, contaminata dalle essenze dei fiori e dagli odori che provenivano dalla città circostante.
Vagò per un po' alla ricerca, arrivando al jardin du carrousel e fermandosi un attimo a guardarlo. Le tornò alla memoria la prima volta che Kol l'aveva portata a Parigi.
Era primavera, allora, e avevano passeggiato a lungo tra quei giardini. Avevano camminato per i giardini sottobraccio, così vicini che lei poteva sentire il calore del suo corpo forte accanto al proprio mentre si guardavano e si sorridevano.
Era uno dei ricordi che conservava più gelosamente.
Camminò un po' per quella parte del giardini, fino a quando non agganciò di nuovo la scia olfattiva di Kol e la seguì fino a quando non lo trovò di fronte a una fontana di marmo bianco.
“Adesso potrei pensare che tu sia diventato un tipo nostalgico” lo prese in giro con dolcezza, affiancandolo.
“Be', ho appena ricevuto un rifiuto dall'unica donna che amo”
“Oh, non essere così romantico, Kol, o mi si carieranno tutti i denti”
“Perché sei qui?”
“Perché tu sei un idiota e io sono qui per fare quello che mi viene meglio”
Kol alzò elegantemente un sopracciglio, ma non ebbe il tempo di chiedere delucidazioni perché Julya mise a tacere tutto con un bacio.
Sulla bocca di Kol, le labbra di Julya gli dissero che lo amava, che era la sua ultima possibilità e, quando gli morse la lingua, sembrò anche promettergli che lo avrebbe fatto soffrire se l'avesse lasciata.
Come se ce ne fosse bisogno: non se ne sarebbe mai andato.
Lo baciò come se non dovesse esserci un domani, ma davanti a loro ne avevano un'infinità, insieme.

 

Fine

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