Poe Syndrome Project

di SadieJT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Charles Bonnet ***
Capitolo 2: *** Sindrome da ricchezza improvvisa ***



Capitolo 1
*** Charles Bonnet ***


 

Violini.

Violini e voci indistinte.

Non smettevano praticamente mai.

Era un nubifragio battente ed incessante di note fredde e pesanti portate dal vento stridente degli archetti sulle corde sottili. In alcuni momenti le voci sembravano seguire quel meraviglioso sottofondo, altre volte sembravano disinteressarsene completamente, mentre altre volte ancora erano le voci stesse a fare da sottofondo all'armonia.

La notte, poi, quell'orgia di suoni e rumori degenerava. Il volume cresceva e, nel buio, apparivano spettri danzanti.

L'impulso era quello di aprire gli occhi, ma tutte le volte ogni sforzo risultava vano, poiché gli occhi erano già spalancati. Non sembrava che l'incubo potesse giungere a una fine. Osservare quel mare di spiriti nivei ondeggiare e sobbalzare era una dolce condanna. Ognuno illuminava una piccola parte di spazio, creando un'aureola lattiginosa attorno a sé. Di tanto in tanto da quei fuochi fatui si allungava una fiammella candida; un braccio che si tendeva verso i compagni di ballo, li sfiorava delicatamente, facendoli avvampare per un secondo appena, per poi ritirarsi e tornare a far parte dello spettro che l'aveva generato. Alle prime luci dell'alba le figure danzanti sparivano, ma la musica continuava, inesorabile. 

 

Le voci divenivano sempre più chiare ed argentine, e con fervore crescente abbordavano i pensieri ancora integri, facendone focolai di follia e corruzione pronti a tendere malsane propaggini verso quel poco che di umano era sopravvissuto.

Tra le melodie che echeggiavano nell'aria si udiva di tanto in tanto una voce vera, viva, vitale.

Un urlo fatto di carne e di sangue.

L'oggettività sconcertante di quel suono squarciava l'etere, rimbalzava sulle pareti, che parevano dissolversi al suo semplice tocco, e si propagava nella foresta intricata della mente ormai marcia e decaduta.

Quando non cantavano, le voci sussurravano maliziosi inviti ad intimi giri di valzer con la Morte. A quell'attraente possibilità non si poteva resistere, non quando le figure notturne con gesti ipnotici mimavano infinite danze su infiniti ritornelli; infiniti amplessi tra braccia fatte di acuminate spine nere, per poi dissolversi alle prime luci dell'alba, rendendo straziante la solitudine appena conquistata dopo una notte insonne ed indorando l'ideale già allettante di un silenzio eterno ed assoluto.

 

Una sensazione dolce amara, come un fiore sbocciato in un deserto, bellissimo ed effimero, destinato a perire e marcire sotto l'impietoso e soffocante caldo, affiorava mentre il sibilo fievole del gas che fuoriusciva dalla bombola del metano riempiva l'aria.

Quel fischio fastidioso danzava, intrecciandosi con le note dei violini e sottolineandone l'amabile stridore, amplificando il suono ed arricchendolo con virtuosismi di voci inesistenti. Mai musica fu più dolce di quella proveniente dal violino divinamente accordato del Mietitore e che accompagna gli ultimi attimi della vita di un uomo folle.

Mai morte fu più dolce di quella consapevolmente voluta e programmata, di quell'ultimo crescendo che sfocia nel boato di una magnifica deflagrazione e che, alla fine, concede il silenzio supremo.

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Capitolo 2
*** Sindrome da ricchezza improvvisa ***


Un insignificante foglio di carta, il raschiare distratto di una moneta ramata di infimo valore.

Una sorpresa moderata, il vociare della folla; complimenti, acclamazioni.

La cauta felicità esplosa in un tumulto di autentico delirio.


 

Le cascate d'oro l'avvolgevano e la trasportavano in luoghi mai sognate, donandole cose mai desiderate. Ad ogni viaggio e ad ogni dono l'oro le si incrostava sulla pelle, sugli occhi, sulla lingua, sull'anima. Una corazza di scaglie lucenti la trasformava in un oggetto bellissimo e pressoché inutile, indesiderabile. Attorno a lei si ergeva giorno dopo giorno una parete invisibile, una magnifica teca di sogni e speranze artificiali da cui poteva essere osservata, considerata e lasciata lì, sola, reclusa. Ovunque le sue mani cercavano di arrivare trovavano l'impedimento di un'aria densa di fulgidi frammenti che lei cercava di afferrare affinché nessuno di quegli impietosi ed apatici spettatori potesse rubarne anche una sola briciola. Se doveva finire sola, si sarebbe costruita un sublime mausoleo d'oro.


 

Mentre l'auto lussuosa e carica di ogni genere di ricchezza stridendo abbandonava la strada le dita scivolavano via da quell'ultimo appiglio alla vita. Lo schianto ed il capovolgimento parevano l'amplificazione dei tuffi di un cuore sporco d'oro i cui battiti rimasti si potevano ormai contare sulle punta delle dita. Nell'istante in cui l'incontrollabile caduta cessava la situazione appariva cristallina: troppe le ossa rotte, troppi i danni arrecati a polmoni già eccessivamente fiaccati da innumerevoli respiri non voluti, troppa la stanchezza dei muscoli lesi perché un qualsiasi medico, anche il più pagato, potesse fare alcunché per prolungare quella vita malvissuta.

E, finalmente, l'oro non contava più nulla.


 

Angolo dell'autrice:

Eccomi di ritorno, scusate per l'attesa, ma gli esami hanno esaurito ogni briciola di ispirazione... Stavolta la storia è più breve, spero vi sia piaciuta comunque!

A presto,

Sadie

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