I misteri di Kanodian

di Lys40
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Da quella notte in cui la sua mente aveva percepito con terribile certezza che lui stava morendo, Ary sapeva che non avrebbe più dimenticato quelle sensazioni: sgomento, incredulità e infine la consapevolezza.
Sola, avvolta dal silenzio sicuro della foresta, lei era morta con lui. Ed era rinata: egli le aveva insegnato a riconoscere la paura, l’ira, l’odio, ma non aveva potuto negare le sue facoltà. Le aveva insegnato come sopportare la solitudine e la consapevolezza di quello che era, come usarle per non farsene dominare. Il dolore, l’ostacolo più duro, costituiva l’ultima prova: ne avrebbe fatto il suo alleato e l’avrebbe domato.
Il suo Maestro era con la Forza adesso e stava aspettando. Ary guardava le stelle e, come le era stato detto, sapeva che presto sarebbe venuto qualcuno a cercarla. Era fuggita per tanto tempo, ma il Destino le veniva incontro e lei non poteva più nascondersi.
 
1)
Su Tatooine le lame gemelle dei due soli si insinuavano a fatica tra le finestre polverose delle case di sabbia e bruciavano crudelmente fin dalle sette del mattino. Anakin aveva sognato un posto dove il caldo non lo tormentasse e le mattine fossero fresche e piacevoli.
Ormai erano passati sei mesi e ancora non si era adattato alle camerette dagli alti tetti del Tempio dei Jedi e non si era abituato all’aria di Coruscant. Appena alzato il bambino eseguì con zelo i propri esercizi: respiro, rilassamento e concentrazione, poi fece quello che faceva tutte le mattine. Corse alla grande finestra, la sola della sua stanza, si arrampicò su una sedia e guardò in su, verso la Torre Centrale, sede del Consiglio, che troneggiava su quel piccolo microcosmo.
Non si stancava mai di contemplare la vetta scintillante e le lucide vetrate su cui il primo sole scherzava con i suoi raggi multicolori. A Tatooine il paesaggio era sempre uguale e il giorno non aveva mai fine; qui Anakin non vedeva mai l’ora di iniziare.
 “Anakin! Sei pronto?” lo chiamò Obi-Wan da dietro la porta chiusa.
“Arrivo subito... Maestro.” si ricordò in tempo di aggiungere. Con un balzo fu giù dalla sedia. Si preparò in fretta e si rivestì del suo abito di apprendista. I pantaloni e la casacca bianca erano facili da indossare, ma solo da un mese aveva imparato come annodare la complicata fascia che chiudeva la giacca. Ricordava ancora, con un po’ di rossore, i brevi sorrisi divertiti di Obi-Wan, quando lo aiutava a vestirsi. E Obi-Wan non rideva più tanto facilmente, da sei mesi a questa parte.
Si affrettò lungo il corridoio, dove affacciavano la sua e le stanza degli altri Padawans, fino alla spoglia camera del suo Maestro, il Cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi, che lo aspettava come sempre per gli esercizi.
Ogni giorno sedevano e meditavano insieme, in silenzio, per almeno un’ora. Anakin imparava a riconoscere e a controllare il flusso vivente delle cose che lo circondavano e a dominare la Forza e i suoi istinti più ribelli grazie all’addestramento costante e tenace di Obi-Wan. Talvolta il giovane Jedi gli faceva provare a muovere le cose, ma era una pratica lenta e faticosa e il piccolo ex-schiavo di Tatooine si stancava in fretta.
La mente del ragazzo cresceva e maturava lentamente, ma i pensieri, i troppi sentimenti che si agitavano forti in lui erano fonte continua di distrazione e i rimproveri del Maestro erano frequenti. “Impara il controllo, Anakin. Non lasciare che la tua mente ti conduca dove vuole, devi essere tu a dominarla, non il contrario.”
Anche quella mattina il piccolo apprendista era riuscito nella meditazione per mezz’ora solamente, prima che le consuete immagini del suo mondo e del suo passato venissero a togliergli la concentrazione. Alla fine, come sempre, imperava il ricordo e la cocente nostalgia della madre e questo lo avviliva profondamente.
Il Cavaliere Jedi allora lo guardava e diceva con la sua voce tranquilla e persuasiva, “Nessuno ti chiede di dimenticare, piccolo Padawan. Sappiamo tutti quanto ti manchi, non è riprovevole questo. Ma devi imparare a dominarti. La Paura, Anakin, è la Paura che devi controllare, non dimenticare quanto ti ha detto il Maestro Yoda. La Paura è la via per il Lato Oscuro.”
Il volto del Maestro a quel punto si faceva sempre serio e Anakin non osava dire altro, ma si riprometteva di non farsi più cogliere dalle distrazioni e soprattutto prometteva a se stesso che mai avrebbe avuto paura.
Quel giorno tuttavia Obi-Wan pareva un po’ preoccupato e lo congedò prima del solito.
“Sei libero per un paio d’ore, Anakin, proseguiremo i nostri esercizi più tardi. Sono stato convocato alla Torre e non posso continuare il tuo addestramento oggi. Puoi stare con gli altri Padawans, se vuoi.”
“Yipee!” esclamò d’impulso il ragazzo, felice. Poi arrossì e aggiunge umilmente, “Chiedo scusa... sì, Maestro.”
Il Cavaliere Jedi ebbe un rapido sorriso e lo guardò uscire con passo solerte. Si alzò da terra e raccolse la lunga cappa marrone appoggiata a una sedia. Yoda gli voleva parlare non appena terminati gli esercizi mattutini e Obi-Wan sapeva che al vecchio Maestro non piacevano i ritardatari.
Si avviò verso la Torre Centrale, mentre intorno a lui uomini e donne andavano e venivano in quella tranquilla atmosfera di concentrazione e di impegno che caratterizzava il Quartiere. Erano appena le nove, ma la Torre risuonava già delle varie attività: l’edificio era costruito in modo che i vari piani permettessero un’affinità e un rispetto totale di chiunque vivesse e lavorasse lì. L’addestramento fisico si svolgeva al pianterreno mentre i piani superiori erano dedicati allo studio delle varie discipline che costituivano l’immenso sapere dei detentori della Forza. Solo all’ultimo piano si trovavano le sale di meditazione e soprattutto la Sala del Consiglio.
Sull’ultima rampa di sale Obi-Wan incrociò la lunga figura di Mace Windu. Il giovane si piegò in un saluto rispettoso. “Il buon giorno sia con te, Onorevole Windu.”
“E con te pure, giovane Kenobi.” L’imponente Jedi di colore lo guardò serio e accennò alla porta dietro di sé. “Il Maestro Yoda ti aspetta. È importante, Obi-Wan. Fai attenzione.” aggiunse.
Obi-Wan ebbe un rapido sguardo sorpreso, ma Mace Windu lo aveva già superato e scendeva rapidamente le scale. Così non ebbe altra alternativa che bussare alla porta della Sala del Consiglio ed entrare.
Yoda gli dava le spalle come al solito, lo sguardo rivolto al di là delle finestre. Il giovane piegò un ginocchio a terra e attese.
“Dov’è Skywalker?” chiese il vecchio Jedi, senza preamboli.
“Con gli altri Padawans, Maestro...... gli ho concesso libertà per due ore.”
“Tanto tempo non servirà per quello che dire ti devo. Ma è bene che non sia qui, segreta questa conversazione restare dovrà.”
Solo allora Yoda si voltò e guardò Obi-Wan dritto negli occhi. “Portare il ragazzo su Tatooine tu ancora vuoi?” chiese.
“Sì, Maestro,” rispose il giovane, un po’ perplesso. Era un argomento che era stato già affrontato; il Consiglio aveva acconsentito alla richiesta del giovane di prendere Anakin come Padawan, ma non voleva che fosse addestrato su Coruscant, così Obi-Wan aveva pensato di riportare il bambino a casa e di continuare lì l’addestramento.
“Partire tu potrai, ma non per Tatooine, non ancora, no.” disse Yoda. “Qualcosa di importante... un’altra missione devo affidarti.”
Tacque e il tempo si dilatò tra di loro. Obi-Wan scrutò quel volto alieno e realizzò che Yoda era profondamente turbato. Questo lo mise a disagio. La sua mente sensibile avvertì un tremito in quella del vecchio, quasi una nota di commozione.
Allora comprese. Chinò il capo e disse quietamente, “Ha a che vedere... con il Maestro Qui-Gon, è così?”
Il Maestro Jedi lo guardò attentamente e disse, “Sì, su Kanodian, il suo pianeta, è necessario che tu vada. Sarai ospite presso la famiglia Jinn. Già provveduto a questo io ho.”
“Kanodian... è lì che è nato il Maestro?” chiese Obi-Wan, poi aggiunse, tra sé e sé, “Non lo sapevo...”
“Nessuno lo sapeva.” replicò il vecchio, “Qui-Gon un Jedi molto riservato era. E non voleva domande. Ma ora è necessario che tu sappia. Con una persona parlare dovrai: essenziale essa è per il Consiglio.” Fece una pausa e si accostò al giovane. Il suo metro scarso di altezza gli consentiva appena di stare al livello del suo viso, quando Obi-Wan era in ginocchio come ora, ma i suoi occhi avevano una sfumatura di intensità così forte da intimidire chiunque. E Obi-Wan più che intimidito ora era spaventato dall’emozione che leggeva in essi e dalla risolutezza del tono che Yoda assunse, “Obi-Wan, la battaglia con i Sith finita non è. Altri ce ne sono, lo sento. La Forza è troppo grande, troppo varie e misteriose le sue vie, troppo mutevoli e imprevedibili i suoi agenti: aiutare e dire cosa ci aspetta la persona su Kanodian può. La Forza è potente in lei, ma anche pericolosa e imprevedibile. Qui-Gon questo sapeva e mai a nessuno detto ha... solo al vecchio Yoda.”
“Questa persona... è un uomo? Una donna? E’ parente del mio Maestro?” chiese sconcertato il Jedi.
“Anche questo nessuno sa. Dirti con chi parlerai non posso. Dirti cosa troverai nemmeno, ma andare devi, per il bene di tutti.”
Obi-Wan soffocò un sospiro e distolse lo sguardo, per non tradirsi. “Sì, Maestro.” mormorò.
Yoda avvertì il turbamento nella mente del giovane e d’impulso gli pose una mano sulla spalla. “E’ bene che tu vada anche per questo. Laggiù il tuo dolore affrontare dovrai e sconfiggere. Pericoloso esso è per te e per il ragazzo. Non ignorare questo devi, giovane Padawan.”
Obi-Wan lo guardò. Nessuno lo chiamava più così ormai, da quando aveva ricevuto la qualifica di Cavaliere Jedi, solo una persona l’aveva fatto finora. E Yoda questo lo sapeva. Lo fissò di nuovo e per un attimo scorse nel suo sguardo un affetto profondo e doloroso che minacciò di fargli perdere il controllo così faticosamente raggiunto.
“Ora puoi andare.” disse bruscamente il vecchio, allontanandosi.
“E di Anakin che ne sarà?” chiese ancora Obi-Wan.
“Il tuo apprendista esso è. Su Kanodian con te verrà, responsabile per lui tu sei.”
 
2)
I preparativi furono rapidi, una nave messa a disposizione dalla stessa regina Amidala li aspettava. La regina non sapeva, come chiunque altro, dove fossero diretti, ma aveva acconsentito immediatamente a fornire il mezzo di trasporto.
Anakin aveva avuto il tempo di andarla a salutare: non c’erano state molte parole, ma sguardi carichi di affetto e di incoraggiamento.
Presto furono sistemati a bordo e la nave partì, abilmente guidata da Zara, la pilota di bordo. Coruscant scomparve come un puntino luminoso nelle immensità nere dello spazio e ad Anakin non rimase che incollare il naso al vetro e contemplare lo scintillio delle stelle.
“Maestro, è lontano dove andiamo?” chiese al Cavaliere Jedi, occupato con le trasmissioni di bordo.
“Quanto basta, Anakin. Tra poco faremo il balzo nell’iperspazio.” rispose questi.
Il bambino gli si venne a sedere accanto e per un po’ lo stette a guardare mentre comunicava con la pilota e poi con le navi di passaggio in quel settore.
Una di queste, una nave del Senato, li precedeva, diretta a Naboo. Il nuovo Cancelliere Supremo, Palpatine, era stato molto solerte con gli aiuti alla popolazione devastata dalla guerra mercantile, ma Obi-Wan sospettava da tempo che dietro vi fossero motivi tutt’altro che umanitari. Il suo periodo di Cancelleria era appena cominciato e certamente una buona pubblicità doveva aiutarlo; il trattato di sostegno economico con la regina Amidala era stato firmato appena una settimana dopo l’elezione di Palpatine.
Obi-Wan ascoltò distrattamente gli ultimi aggiornamenti sulla situazione al Senato e poi chiuse le comunicazioni. Anakin avvertì la sua preoccupazione, e per la missione che li aspettava e per qualcosa di indefinibile che si agitava ai margini dei suoi pensieri.
Rabbrividì e il Maestro lo guardò con una punta di sollecitudine. “Hai freddo?”
Il ragazzo si agitò in sconforto. “Sì... pensavo di essermi abituato, ma lo spazio è sempre così freddo...”
Obi-Wan sorrise. “Hai ragione, è freddo... ma non è lo spazio a farci rabbrividire.” Prese una coperta e gliela avvolse intorno, come un tempo aveva fatto Padmé, l’ancella della regina. Tornò a sedersi e i suoi occhi chiari scrutarono quelli azzurri del ragazzo. “Ti capiterà spesso di provare freddo, Anakin. Fa parte di quello che siamo: la paura, i timori e le preoccupazioni fanno parte della Forza, ma non sono nostri alleati. Riconoscile e affrontale. Controlla la mente e controllerai il corpo.”
Il bambino lo guardò, improvvisamente serio e Obi-Wan avvertì che la sua mente si era avvicinata inconsapevolmente alla sua. “Maestro... anche tu hai freddo?”
Per un attimo il giovane non rispose, perché la sua mente era tornata alla conversazione con Yoda, a quello strano sguardo che gli aveva lanciato e alla sua mano posata sulla spalla. “Sì, Anakin, ho freddo.” Tacque e distolse lo sguardo. ‘E ho anche paura.’ pensò.
La nave sfrecciava tranquilla nello spazio senza stelle dell’iperguida. Anakin non aveva avuto difficoltà a farsi amica Zara, la donna pilota. Ora era accanto a lei e Obi-Wan li ascoltava scambiarsi informazioni su comandi e rotte interstellari; non era raro trovare donne pilote a Coruscant, provenivano dalla zona mineraria e facevano servizio di trasporto e rifornimento tra i vari sistemi. Ma certamente questa era la prima volta che Zara trasportava passeggeri e Jedi per di più; ogni tanto lanciava uno sguardo curioso al giovane che sedeva nell’area di soggiorno, immerso nella meditazione: scrutava il suo abito severo, il viso giovanile, un po’ più posato e stanco da qualche tempo, gli occhi chiari leggermente segnati, la figura snella e vigorosa.
Obi-Wan sentì su di sé i suoi occhi e ricambiò lo sguardo. “Saremo fuori dall’iperspazio tra cinque minuti. Poi sarà questione di poco.” annunciò la donna, tornando a studiare la propria consolle di comando.
“Grazie, Zara. Ti prego, dirigi la rotta nell’emisfero nord. Mi è stato detto che il pianeta è interamente montagnoso e che solo in quella zona sono state costruite piattaforme di atterraggio per le astronavi.”
“Davvero? Strano posto, davvero. Fra l’altro è al di fuori di qualunque rotta commerciale. Conoscevo a mala pena il sistema. È un pianeta vostro vero? Voglio dire, è abitato da Jedi?” chiese Zara, con una punta di imbarazzo.
Obi-Wan ebbe una breve scrollata di spalle. “A dire il vero, non ne so più di te; so che siamo attesi ed è quanto mi serve di sapere per il momento.”
La donna fece una smorfia di perplessità, ma non aggiunse altro. Lo spazio riprese le proprie leggi e davanti a loro si delineò la limitata massa di Kanodian, quinto pianeta di un sistema a sole doppio, da quanto potevano dire gli strumenti di bordo. Un pianeta piccolo, nessuna tecnologia, ma sicuramente un pianeta ‘vivo’.
Obi-Wan prese posto accanto a Zara e contattò quella che pareva essere una stazione di servizio.
“Incrociatore in servizio diplomatico chiede il permesso di atterrare. Rispondete prego.”
Dopo qualche momento giunse la risposta. “Fornite le vostre credenziali.” Zara regolò alcuni comandi e comunicò la nave, la provenienza e il carico.
“Il Cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi è a bordo?” chiese ancora il tecnico di Kanodian.
“Affermativo.”
“Permesso accordato. Direzione nord, piattaforma 1. Benvenuti.”
“Anakin, vai di là e allacciati le cinture. Siamo arrivati.” ordinò il giovane Jedi.
Il ragazzo corse a sedersi e guardò fuori dal vetro. L’atmosfera di Kanodian era composta di strati sottili e attraversarla fu questione di pochi secondi, ma sotto di loro il paesaggio era quanto di più strano Anakin avesse mai veduto. Obi-Wan gli aveva detto che il pianeta era prevalentemente composto di montagne e infatti, per quanto gli riusciva di vedere, non vi era una sola terra pianeggiante. Ovunque creste montagnose e profondi pendii innevati; tuttavia, parevano esserci differenti zone di temperatura e umidità, perché a montagne verdi e lussureggianti si alternavano senza posa e senza ordine vette rocciose e aspre: la neve cedeva il posto alla roccia e poi di nuovo alla vegetazione. Dalle discipline geografiche che il piccolo Padawan andava apprendendo, sapeva che questo doveva costituire un caso pressoché eccezionale; si chiese che genere di clima e di aria vi fossero laggiù.
Nella cabina di pilotaggio Zara e Obi-Wan erano chini sugli strumenti. Anche per loro quell’affastellamento di montagne era stato una sorpresa, avendo scoperto che nell’emisfero sud erano presenti zone pianeggianti, dove un’astronave avrebbe avuto certo più facilità ad atterrare.
“Mi chiedo dove sia questa piattaforma di cui parlava il tizio alla radio.” borbottò la donna, “Qui si vedono solo montagne e non si può fare atterrare un’astronave su un albero!”
“Aspetta un attimo...” Obi-Wan scrutò con attenzione le vaste terre che andavano sorvolando ormai a bassa quota. “Non ti sembra di vedere delle costruzioni laggiù?”
Effettivamente presso una delle creste più larghe cominciava a notarsi un complesso di edifici, circondato da cinque piste per astronavi, che sembravano costruite sul nulla.
“Speriamo che ci regga.” concluse Zara, iniziando le manovre di atterraggio.
Ma chiunque aveva eretto quell’incredibile piattaforma di atterraggio doveva sapere il fatto suo, perché l’incrociatore si ritrovò in un attimo su una pista solida e sicura.
“D’accordo,” disse Obi-Wan, con un leggero sospiro di sollievo, “Anakin ed io scendiamo. Parlerò con il controllo a terra per farti avere il rifornimento di carburante, in modo che tu possa partire appena pronta.”
“Sì, signore, grazie. Buon soggiorno.” La donna si voltò e abbracciò Anakin con lo sguardo, “Fai attenzione eh, piccolo Skywalker?”
“Lo farò. E ricordati di non andare troppo vicino a un asteroide quando farai il salto di ritorno!” aggiunse di rimando il ragazzo.
La pilota ridacchiò e tornò alla sua consolle.
“Allora, Padawan, sei pronto?” domandò il Maestro Jedi, allacciando la spada alla cintura.
Anakin assentì, eccitato dalle novità e guardò con aspettativa il portello che iniziava ad aprirsi.
La costruzione centrale del complesso si trovava proprio di fronte a loro, sormontata da una torretta di osservazione. Un uomo era fermo in attesa. D’istinto Obi-Wan si pose davanti ad Anakin, ma non ve n’era bisogno. Erano ancora lontani e già l’uomo si era piegato in un profondo inchino.
“Onorevole Kenobi, io sono Rurek, aiutante personale di Mastro Jinn. Ho avuto l’ordine di ricevervi e di condurvi alla dimora.” La parlata era secca e le consonanti aspre, ma sicuramente il linguaggio apparteneva alla Repubblica, così come gli abiti e la razza stessa dell’attendente, probabilmente un importato da pianeti più vicini a Coruscant.
Obi-Wan ricambiò il saluto e segnalò ad Anakin di fare altrettanto e si guardò intorno. “E’ lontano da qui, Rurek? Non vedo alcun mezzo di trasporto...”
“Uno sprinter aspetta fuori dal Centro di Controllo. Ma devo attendere la mia signora, che sta provvedendo a fare avere il rifornimento alla vostra nave.”
“Comprendo.”
L’umanoide li invitò a seguirlo e si incamminò verso l’edificio. Anakin osservava tutto con grande interesse, specialmente le grandi macchie di vegetazione che sembravano sovrastare l’intera zona e il colore pallido del cielo. Obi-Wan invece era più interessato alla costruzione, massiccia e circondata da campi di forza.
“Vi sono creature ostili qui?” chiese
“Solo alcuni tipi di forme di vita minori, che i campi di forza bastano a tenere lontani. Gli indigeni sono stati da lungo tempo organizzati sotto la famiglia del mio padrone e sotto quelle degli altre famiglie che risiedono qui.” rispose tranquillo l’uomo.
Era la tipica strategia dei pianeti di frontiera: l’ordine e la sicurezza erano necessari, ma sicuramente il codice Jedi non avrebbe mai permesso di tenere schiavi; Obi-Wan si domandò come avessero fatto le famiglie Jedi del pianeta (perché non vi erano solo i Jinn dunque) a ottenere questa sorta di pacifica convivenza.
Entrarono nella vasta e unica sala che costituiva il Centro di Controllo, dove molti tecnici, appartenenti a svariate razze erano al lavoro. Rurek confabulò per qualche minuto e più volte gli venne indicata la nave di Obi-Wan.
“Gli addetti al Controllo domandano quanto ci vorrà alla vostra nave per poter partire,” chiese poi, con un gesto di scusa, “Sta causando qualche difficoltà alle piccole navi da rifornimento che devono atterrare.”
“Hai sentito, Zara?” chiese Obi-Wan al trasmettitore, che aveva acceso.
“Sì, signore. Sto già iniziando le fasi di partenza. Se mi danno il via, leverò subito il disturbo.”
Seguì un’altra rapida discussione che si concluse apparentemente con la soddisfazione di entrambe le parti.
Qualcuno si avvicinò alle spalle di Obi-Wan. “Ho il piacere di incontrare Obi-Wan Kenobi?” chiese una gentile voce di donna.
Nel voltarsi il giovane comprese subito che a parlare era Liann Jinn, la madre del maestro Qui-Gon. A dirglielo non fu tanto la fisionomia familiare della donna, gli occhi azzurri, la bocca energica e sensibile, così simili a quelli del figlio, quanto l’aura di nobiltà e fermezza che la circondava, la tranquilla grazia con cui portava la sua età e soprattutto l’intenso flusso di Forza che proveniva dalla sua figura.
“E’ un onore per me, Signora.” rispose, con un profondo inchino. Poi, con qualche esitazione aggiunse, “Non ho potuto vederti al funerale su Coruscant... “
“Non ero su Coruscant.” disse Liann con un fuggevole sorriso che non raggiunse gli occhi. Ma il suo sguardo era morbido, quasi tenero.
Obi-Wan si guardò bene dal manifestare stupore e si limitò ad inchinarsi ancora.
“Questo giovane Padawan è forse Anakin Skywalker?” chiese ancora la donna, inginocchiandosi al livello del ragazzo, che era rimasto rispettosamente indietro.
“Sì, Signora.” rispose questi e abbassò gli occhi, intimidito.
“E’ un piacere averti qui, Anakin.” La mano di Liann indugiò per qualche secondo sulla testa del ragazzo.
“Signora, lo sprinter è pronto, possiamo andare.” li interruppe Rurek.
Con un sorriso la donna si rialzò, dicendo, “Vi è un tratto di foresta che va percorso da qui alla nostra casa. Usiamo gli sprinter perché gli alberi sono fitti... e non sicuri.” Il tono con cui pronunciò quelle parole suonò strano e Obi-Wan prese un appunto mentale su quell’informazione.
Lo sprinter in effetti non assomigliava a quelli che il giovane Jedi e il bambino di Tatooine conoscevano. Aveva una forma ancora più affusolata, simile a uno spillo e l’abitacolo di guida era coperto interamente; sorprendentemente però l’interno si rivelò vasto abbastanza per contenere comodamente tre persone più vario materiale di rifornimento.
Liann si mise personalmente alla guida del mezzo: in pochi secondi si lasciarono indietro lo spiazzo squadrato in cui sorgeva il Centro di Controllo e si addentrarono nella foresta. La luce, ormai prossima al tramonto, dei due soli che li aveva accolti su Kanodian improvvisamente scomparve, soffocata dall’intricatissimo complesso di alberi, fronde e arbusti di ogni genere che si innalzavano sulla loro via. Spesso piccoli animali, simili a lucertole del deserto, forme variabili e mutanti, si paravano davanti al mezzo, sostavano un istante e poi riprendevano la loro corsa sopra gli alberi, o sparendo dentro qualche tronco.
Obi-Wan si rese conto che lo sprinter aggirava abilmente tutti gli ostacoli, senza reciderne neppure uno; sarebbe stato logicamente più facile tracciare una rotta in linea retta, dal momento che un sottobosco non costituiva certo un problema per gli scudi e l’intelaiatura di uno sprinter. Diede un’occhiata a Liann Jinn, che guidava silenziosa e concentrata sulla guida. Anche troppo concentrata, realizzò il giovane.
Già da qualche minuto la sua mente vibrava di profonde risonanze che egli pensava fossero dovute semplicemente alla naturale vicinanza della Forza presente in Liann; ora però cominciava ad avere la sensazione che il flusso aumentasse fino a dividersi in più correnti di Forza che circondavano l’intero mezzo e la via davanti a loro. A Coruscant, nella Torre Centrale, meditando talvolta in gruppo in una delle sale predisposte aveva avuto un’esperienza simile, ma questa volta i flussi erano più disordinati, talvolta vacillanti e deboli, talvolta vibranti di energia.
Nonostante il suo addestramento Obi-Wan iniziò a provare un leggero disagio e improvvisamente guardò Anakin preoccupato; la Forza era potente in lui, ma privo ancora delle necessarie tecniche di controllo, avrebbe potuto sopportare quell’incredibile campo di energia?
Incontrò gli occhi del ragazzo con un sussulto: Anakin era impallidito per il dolore con cui la sua testa aveva cominciato a pulsare. “Maestro...” cominciò a dire il bambino.
Ma prima ancora di poter terminare la frase, la sua testa fu improvvisamente libera e lucida, come se nulla fosse mai accaduto; lo stesso Obi-Wan non avvertì più alcuna pressione intorno a loro.
Si voltò e vide Liann riaprire gli occhi. “Sono veramente dispiaciuta,” disse questa, “Sono stata una sciocca: noi non ci facciamo più caso, ma è stato imperdonabile da parte mia esporvi così ai campi di Kanodian senza prendere delle precauzioni. Va tutto bene, Anakin?”
“Ora sì, signora, grazie.” disse il ragazzo, con un sorriso di sollievo.
Tornando a guardare il sentiero davanti a loro Obi-Wan sussurrò piano alla donna, “Hai usato uno scudo mentale, Signora, non è così?”
Liann assentì brevemente. “Come avrai capito, onorevole Obi-Wan, tutti i Jedi di Kanodian hanno sviluppato naturalmente uno scudo mentale con cui riparare la propria mente dai campi di energia che su questo pianeta sono fortissimi.”
“Ogni creatura qui presenta dunque un alto conteggio di midichlorians nella sua composizione... è per questo che lo sprinter non calpesta gli arbusti?” chiese ancora il Jedi, lo sguardo fisso alla foresta che serpeggiava intorno a loro, sottile e vibrante come un serpente.
Liann distolse per un attimo gli occhi dai comandi e lo guardò, con uno sguardo attento e grave che gli ricordò bruscamente tutte le volte che Qui-Gon lo aveva fissato nello stesso modo. Distolse in fretta gli occhi, imbarazzato. “Hai capito una parte di Kanodian, Obi-Wan. È una parte importante, ma questo è un pianeta difficile: la Forza è assai più imprevedibile qui che non in altri luoghi.”
 
3)
Il viaggio durò solo mezz’ora, anche se attraversarono quasi mezzo pianeta, sempre immersi nelle fitte giungle che dominavano quelle terre. Obi-Wan aveva notato che Liann sembrava seguire un percorso ben tracciato, anche quando il precario sentiero davanti a loro, segnato da guide volanti, scompariva divorato da arbusti talvolta alti quanto un grattacielo.
Lo sprinter svoltò bruscamente, abbandonando il tracciato praticabile e si inoltrò destreggiandosi tra gli enormi tronchi che formavano come un muro solidissimo di fronte a loro. Incredibilmente però, dietro quelle prima fila intricate, il sottobosco non c’era più, come estirpato o semplicemente mancante. In quella parte del costone il bosco cedeva alle costruzioni rocciose e davanti a una di queste Obi-Wan riconobbe nel tremolio dell’aria un campo di forza.
La donna aveva acceso un trasmettitore. “Gordie, apri il campo. Siamo arrivati.”
“Ricevuto.” rispose una voce maschile.
L’aria vibrò ulteriormente e improvvisamente la roccia parve dividersi. Anakin si sporse interessato quando vide apparire la costruzione, intagliata nella roccia. Lo sprinter si fermò davanti a una porta, da cui uscì una creatura dalla pelle rossiccia e dalla testa allungata, ‘Gordie’ pensò Obi-Wan, quando lo udì parlare.
“Posso far riattivare il campo, mia signora?” chiese questi.
“Sì, non aspettiamo altri rifornimenti per oggi.”
A un invito di Liann Obi-Wan saltò giù dal mezzo, seguito immediatamente da Anakin. Poi offrì il braccio alla padrona di casa per appoggiarsi nella discesa.
Davanti a loro, come comparsa dal nulla, si ergeva una costruzione imponente che pareva forgiata dalla stessa roccia che l’ospitava. Almeno quattro piani, che con il color ocra e arancio della pietra e degli alberi circostanti si confondevano a regola d’arte e parevano un unico pezzo della montagna che si innalzava dietro la casa. A fianco della costruzione però spiccava una torre più alta di almeno cinque metri, costruita invece secondo i materiali più resistenti e moderni della Repubblica; non era troppo diversa da una delle Torri del Tempio dei Jedi su Coruscant, ma Obi-Wan dubitava che fosse un semplice tempio di meditazione come queste.
Stava per raggiungere il gruppo costituito da Liann, Rurek e Anakin che aiutavano i droidi da lavoro a trasportare il rifornimento in casa, quando avvertì una profonda vibrazione nella Forza. Lasciò che i suoi sensi lo guidassero e istintivamente alzò gli occhi sulla terrazza del terzo piano: un uomo era affacciato e il suo sguardo era rivolto in basso, verso Obi-Wan. Questi indovinò, prima ancora di vederli, l’alta statura, i lunghi capelli raccolti dietro la nuca, la cappa scura svolazzante per l’aria della sera che si avvicinava. Per un attimo, solo un attimo, il cuore del giovane Jedi si fermò e il tempo scivolò all’indietro; Obi-Wan scrollò la testa e controllò il proprio respiro, dominando quei pensieri irrazionali.
Poi una mano si appoggiò leggera sulla sua spalla. “Quello è mio marito.” disse Liann, “Il cavaliere Jedi Tran Jinn. Credo ci stesse aspettando.”
La figura sulla terrazza era scomparsa, ma un attimo dopo una porta laterale, seminascosta, si aprì e l’uomo comparve. Visto da vicino ovviamente le differenze erano evidenti: i capelli erano striati di bianco, la barba era più lunga e soprattutto i lineamenti erano più duri, gli occhi neri. Tuttavia Obi-Wan dovette piegare il capo per non tradire il suo sguardo: come Liann lo aveva colpito per la grazia e la gentilezza della sua figura, alla stessa maniera Tran Jinn emanava autorità, indiscusso potere e prestigio mentale, forgiato da una volontà ferrea che si indovinava nei suoi movimenti e nella piega severa del capo, prima ancora che dal viso.
Sfiorò con un gesto leggero il braccio della moglie, poi posò gli occhi sul giovane Jedi e sul piccolo Padawan, che si teneva come sempre alle spalle del Maestro. Entrambi si inchinarono, salutando.
“Onorevole Jinn, io sono Obi-Wan Kenobi e....”
“Conosco il tuo nome, onorevole Kenobi, e le tue coraggiose imprese.” lo interruppe senza scortesia, ma con fermezza l’anziano Jedi. “Sono lieto che tu abbia risposto al nostro invito.” Indicò la casa dietro di loro, “E’ bene che siate arrivati prima della notte. Sarete nostri graditi ospiti per il pasto serale e intanto potremo rialzare gli scudi. La foresta di notte non è sicura.”
‘Non lo è neanche di giorno.’ Il pensiero proveniva dalla mente meravigliata del piccolo Anakin e fu fermato con uno sguardo di rimprovero da Obi-Wan.
Nel frattempo un’altra donna, di razza umanoide, che indossava un grembiule da lavoro, si era accostata a Liann e le aveva mormorato qualcosa. “La cena è pronta,” annunciò quest’ultima, “I nostri ospiti potranno finalmente rifocillarsi e riposare, dopo questo lungo viaggio.”
Obi-Wan colse uno sguardo tra i due coniugi e una breve scrollata di spalle di quest’ultimo.
Quando passarono all’interno della dimora il giovane si rese conto che il colore caldo e l’aspetto levigato della facciata esteriore si fermava lì. Davanti a loro si diramava un vasta sala di ingresso con larghe vetrate e pareti quasi prive di ornamenti; un’ampia arcata conduceva in un’ulteriore sala di soggiorno con una grande libreria piena di telenastri e soprattutto un lungo tavolo basso apparecchiato. Il secondo salone era curiosamente circondato da piccole colonne che delimitavano un perimetro ben preciso intorno alla tavola. Fu probabilmente anche per questo che i due ospiti non si accorsero subito delle altre tre persone che aspettavano.
Tran si fece avanti e segnalò al gruppo di avvicinarsi.
“Shawn e Kolya Jinn, i miei due fratelli maggiori. E questi è Kelal, il fratello di mia moglie.” disse.
Shawn e Kolya erano due venerandi Jedi, con i capelli completamente bianchi, la pelle appassita, ma gli occhi vivi quasi quanto quelli di Tran. Kelal aveva la stessa figura senza tempo di Liann, forse un paio di anni più vecchio, ma appariva infinitamente più stanco.
Non vi furono ulteriori convenevoli e tutti presero posto, i due padroni di casa a capotavola, Anakin vicino a Liann, il suo maestro dall’altra parte vicino a Tran.
Il pasto, molto semplice e praticamente privo di piatti di carne, fu servito e consumato in assoluto silenzio. Obi-Wan non faticò a riconoscere l’usanza del lutto: l’assenza di parola e di comunicazione era un’antica consuetudine delle grandi famiglie Jedi; era considerato sconveniente disturbare la mente già turbata dei parenti di un morto con inutili discorsi e con pensieri inopportuni.
Anakin lanciava frequenti occhiate a destra e a sinistra, ma era stato influenzato anche lui dall’atmosfera malinconica e silenziosa. Obi-Wan fu grato a Liann, che con i suoi piccoli gesti affettuosi e la sua sollecitudine comunicava tranquillità al piccolo Padawan in quell’ambiente così strano.
“Giovane Kenobi, gradirei vederti nelle mie stanze, subito dopo la fine della cena.” La voce era bassissima per non disturbare gli altri, ma il tono e gli occhi di Tran Jinn non ammettevano replica. Obi-Wan annuì in silenzio.
La cena terminò senza altre interruzioni e gli altri commensali si ritirarono con un inchino nelle proprie stanze.
Intercettando uno sguardo di Liann Obi-Wan disse ad Anakin. “La signora ti accompagnerà nella tua camera, Padawan. È stata una giornata faticosa, hai bisogno di riposo.” Il ragazzo, con gli occhi semichiusi, non si fece pregare e i due scomparvero su per le scale.
 
4)
Intorno a Obi-Wan la casa parve farsi anche più vuota. Lanciando un rapido sguardo fuori dalla finestra, si rese conto che la notte era ormai scesa, non si vedeva più nulla, nemmeno il pallido baluginio del campo di forza che li aveva accolti all’arrivo. La foresta con le sue molteplici e misteriose forme di vita si era zittita come di colpo, con l’incombente oscurità.
Obi-Wan si appressò ulteriormente alle vetrate, senza però aprirle. C’era qualcosa, non proveniva dalla casa, ma da fuori. La sua mente vibrò per l’improvvisa consapevolezza di un’altra mente vicina: uno spirito potente, non ostile, ma nemmeno da sottovalutare. Ondate di curiosità, di una strana aspettativa e di una sottile angoscia sfiorarono per un attimo la mente del giovane. No, non si era ingannato, doveva esserci qualcuno là fuori. Qualcuno che lo conosceva bene e soprattutto che conosceva bene la casa.
Obi-Wan fece per spalancare i vetri, ma dietro di lui vi fu un impaziente colpo di tosse. “Da questa parte.” disse Tran, avviandosi su per le scale.
Il giovane si fermò a metà del gesto, ma mentre si incamminava dietro l’alta figura del vecchio, non poté fare a meno di lanciare un’occhiata dietro di sé. Chiunque ci fosse là fuori non aveva fretta, lo stava aspettando. Avvertì una grande capacità di pazienza e di sopportazione e poi, con una breve fitta al cuore, avvertì anche il dolore, pure se molto bene nascosto.
 
“Nessuno può uccidere un Jedi!” aveva detto il bambino, convinto.
“Vorrei che fosse così...”la voce del Maestro Jedi era sommessa e molto triste.
 
Non aveva mai dimenticato il racconto di Anakin a riguardo né quella frase. Possibile che Qui-Gon avesse saputo, avesse potuto prevedere? E perché ricordarlo proprio ora? Era forse la casa? Quella famiglia così raccolta e quieta nel suo lutto a influenzare la sua mente?
 
La stanza di Tran Jinn si trovava al secondo piano, e non al terzo, come aveva creduto, ricordando la prima apparizione del vecchio.
Obi-Wan si fermò sulla soglia, aspettando l’invito dell’ospite prima di entrare nella camera nuda, priva di mobili se non per una bassa stuoia e un piccolo scrittoio. Un paio di sedie e molti libri alle pareti completavano l’arredamento.
“Cosa ti interessava così tanto fuori dalla finestra?” chiese improvvisamente Tran.
“Io... ho percepito qualcosa. Posso essermi sbagliato; i campi magnetici di questo pianeta sono così forti, ma mi sembrava ci fosse qualcuno.”
Il vecchio gli lanciò uno sguardo penetrante. “Siediti, Obi-Wan.”
 
*****
 
“Perché dalla finestra?” chiese incuriosito il piccolo Anakin, seduto sul letto.
“Mi spiace di averti spaventato, ma la tua stanza è il punto più accessibile per entrare in casa. Mi capita spesso di stare fuori la notte... a guardare le stelle. E quando torno, cerco di non svegliare la gente di casa. Capito?” gli sorrise e scavalcò il balcone.
“Hanno qualcosa di speciale le stelle di qui?” domandò ancora il ragazzo alla figura ammantata di nero.
Due occhi scuri lo fissarono un po’ interdetti, poi un sorriso piegò i lineamenti sottili “Vieni a vedere.”
Il bambino non se lo fece dire due volte. Scivolò giù dal letto e si affacciò alla finestra. La figura gli indicò il cielo e Anakin sgranò gli occhi. “E’ vero! Come mai non me ne sono accorto prima?”
“E’ visibile solo di notte e poi... che ti succede, hai freddo?” chiese improvvisamente, vedendo il ragazzo rabbrividire.
“Non so, è come se avessi sentito qualcosa... il mio Maestro dice che devo concentrarmi sul momento presente, però a volte mi capita lo stesso.”
Il misterioso visitatore richiuse la finestra e accompagnò Anakin a letto. Si sedette sul bordo e lo guardò, serio. “Tu sei il Padawan di Obi-Wan Kenobi, vero?”
“Sì, sono Anakin.”
Un sorriso e una carezza accolsero la sua risposta franca, ma il bambino avvertì una grande preoccupazione in quella strana figura davanti a lui. “La Forza è potente in te, Anakin. Lo sento chiaramente.” disse questi.
“Sei uno Jedi anche tu?”
“No... temo di no. Mi sarebbe piaciuto...” la voce tremò un poco e la frase non fu terminata.
Il cappuccio del mantello scuro ricadde indietro rivelando un viso pallido e fine e corti capelli color del rame. “Non volevo disturbarti, Anakin, ma ti ringrazio di avermi aperto la finestra stanotte. Io sono Ary.”
Si strinsero in silenzio la mano.
 
*****
 
“Ary è una... lontana parente. Il grado non è definibile, io la considero mia nipote. Non l’hai incontrata stasera, qui in casa, perché ha richiesto la forma più stretta di lutto per la morte di Qui-Gon e sta terminando un periodo di solitudine nella foresta. C’è una casa, non lontano di qui, approntata a questo scopo. È probabile che fosse la sua presenza quella che hai avvertito fuori poco fa. Qualche volta è passata a trovare Liann. La Forza è con lei, giovane Kenobi, ma non le è mai stato insegnato come controllarla”
“Capisco...” il giovane aggrottò la fronte, domandandosi se poteva osare chiedere di più, ma Tran lo prevenne.
“Io non so perché Yoda ti abbia indirizzato qui. Non posso dirti se sia lei la persona cui si riferiva e quale utilità abbia questo per la tua missione.” Tacque per un momento e fissò il giovane con la fronte corrugata. Infine si decise. “Obi-Wan, la famiglia Jinn in questo momento è riunita per rendere onore alla memoria di Qui-Gon. Non ho il diritto di rivelarti le nostre usanze più profonde e devo chiederti di non fare domande: nei prossimi giorni sono previsti... alcuni riti e dovrai perdonarci se talvolta mia moglie ed io saremo assenti. Vi sono delle cose cui dobbiamo presiedere.”
“Onorevole Jinn, sono consapevole di questo. Non mi permetterei mai...”
Il vecchio lo fermò con uno strano sorriso. “No, vi sono cose che non puoi sapere” Una espressione ansiosa gli attraversò per qualche secondo il viso, ma così veloce che Obi-Wan non poté essere sicuro di aver visto bene. “Spero che tu possa riferire con successo a Yoda, ma devo chiederti rispetto e discrezione.... So che mio figlio ti stimava molto,” aggiunse poi in tono quieto, “E sono convinto che il suo affetto fosse pienamente contraccambiato.”
Il viso del giovane aveva acquistato un’espressione cortese ma chiusa e Tran decise di non proseguire. “Hai il mio permesso di parlare con Ary,” concluse con un breve sospiro, “Che la Forza ti accompagni, giovane Kenobi.” concluse poi.
“Ti ringrazio, Maestro Tran. Farò quanto in mio potere per non disturbare il lutto di questa casa; le mie facoltà sono al tuo servizio se dovessi ritenerlo necessario.”
Tran annuì con un gesto distratto e a Obi-Wan non rimase che salutare e uscire.
 
5)
Lo sentì di nuovo mentre scendeva le scale diretto al suo alloggio. Stavolta però si trattava di altro; c’era del rumore nella camera di Anakin. Con una certa inquietudine Obi-Wan aprì piano la porta: non pensava che il suo Padawan stesse dormendo, ma certo non si era aspettato di vederlo intento alla conversazione con qualcuno dalla finestra.
“Anakin!”
L’esclamazione in parte sorpresa in parte preoccupata sconcertò leggermente il bambino che si volse indietro. Ma il suo sguardo non rivelò alcun turbamento, forse un leggero imbarazzo. “Obi-Wan, Maestro...” disse in fretta.
Il giovane Jedi si accostò rapidamente alla finestra, ma chiunque vi fosse lì di fuori doveva essere passato dai balconi superiori poiché poté solamente distinguere un’esile figura avvolta in un mantello scuro che si infilava in una delle stanze buie al piano di sopra.
“E’ una cugina del Maestro Qui-Gon. Non è un’estranea, Maestro.” aggiunse ancora Anakin, forse timoroso di un rimprovero.
Obi-Wan richiuse i vetri e squadrò il ragazzo. “E’ stata lei a dirti questo?”
“Sì, certo.”
“Come è entrata qui?”
“Dalla finestra. Ha bussato prima.” Il tono ora era meno sicuro, ma la verità era evidente in quello sguardo innocente e Obi-Wan si sorprese a sorridere lievemente.
“Beh, pare che la tua amica sia una persona molto educata, anche se sarebbe meglio usasse le porte. Non hai freddo qui?” La stanza si era considerevolmente raffreddata.
“Oh, no, Maestro.” Anakin pareva essere stato molto contento di quell’incontro notturno e Obi-Wan decise che valeva la pena approfondire un po’ di più quell’inaspettata fonte di informazioni.
“Anakin, che impressione ti ha fatto questa signora. Voglio dire, hai sentito qualcosa?” Insistette particolarmente su quell’ultimo verbo, per far comprendere al suo giovane allievo che si stava riferendo a una delle consapevolezze che ogni Jedi ha del mondo vivente che lo circonda. Fin dal primo giorno di addestramento un Padawan veniva messo in grado di non sentirsi mai ‘solo’ nel mondo controllato dalla Forza.
La domanda sortì l’effetto sperato perché il ragazzo si concentrò leggermente e guardò ancora la finestra. “Io non sono sicuro. Mi è sembrata un’amica, voglio dire... non c’era niente di cattivo o sgradevole in lei, solo...”
‘Dolore’ completò nella sua mente il suo Maestro. “Hai notato qualcosa di particolare, qualcosa che ti faccia pensare a lei come a una persona diciamo un po’ speciale?”
“Mi ha fatto vedere le stelle.” Obi-Wan lo fissò incuriosito e il ragazzo proseguì, un po’ più animato. “Dopo che mi ha chiesto di farla entrare mi ha detto che qui di notte le stelle sono speciali. Ho guardato dalla finestra e ho capito che aveva ragione.”
Gli occhi azzurri di Anakin erano ancora fissi ai vetri, Obi-Wan non poté fare a meno di guardare dietro di sé la volta stellata ed ebbe un piccolo movimento di stupore. Le stelle che si vedevano da Kanodian erano come le altre certo, ma molto più luminose e soprattutto sembravano muoversi in un continuo gioco di attrazione e repulsione. Non ci volle molto al giovane per comprendere che era un altro degli effetti dovuti ai campi magnetici del pianeta, tuttavia lo spettacolo era impressionante: un continuo rifrangersi di colori scintillanti che andavano dal blu all’arancio al violaceo cambiava di quando in quando la naturale oscurità del cielo. Le stelle andavano e venivano in un debole baluginio di lampi azzurri, verdi e blu, come un’enorme aurora boreale che coprisse tutto il firmamento e parevano animarsi di vita propria.
Obi-Wan si rese improvvisamente conto che Anakin era diventato molto serio e lo guardò preoccupato. “Tu li vedi, Maestro?” chiese il ragazzo, la voce leggermente tesa.
“A cosa ti stai riferendo? Ai giochi dei campi magnetici?”
“No, no. Parlo di quei lampi neri in fondo alla valle.” Il giovane guardò di nuovo, ma non riuscì a distinguere nulla. Dietro di lui la voce del bambino proseguì, “Anche Ary li ha visti.”
“Cos’hanno di speciale quei lampi, sono solo giochi di luce più scuri...”
Gli occhi di Anakin erano diventati più grandi mentre lui diceva con una piccola voce spaventata, “Non sono un buon segno, io... mi è venuto mal di testa quando li ho visti e anche Ary è diventata pallida.”
“Vuoi dire che hai avvertito come un tremito, una perturbazione nella Forza che ti circondava, non è così?” riassunse il Maestro.
Anakin annuì in silenzio e gli occhi seri tornarono alla finestra. D’impulso Obi-Wan si alzò e tirò le tende: lo fece con gesto tranquillo e misurato per non tradire la propria agitazione; ad Anakin non era stato ancora insegnato come riconoscere il lato Oscuro della Forza. Su Coruscant era stato al sicuro da ogni possibile incontro e qui, sul pianeta natale di Qui-Gon, Obi-Wan credeva non sarebbe stato diverso. Ma il ragazzo aveva indubbiamente sentito qualcosa... perché lui non sentiva niente allora?
“Padawan, è ora che tu dorma davvero. Sei stanco e forse le tue sensazioni ti tradiscono. Domani, con la luce del giorno riesamineremo le tue impressioni.”
Il ragazzo si infilò docilmente sotto le coperte, ma era ancora turbato. “Maestro, tu non li hai proprio visti?”
“No, io no. Ma la Forza è differente in ognuno di noi; ad ogni modo non disperdere la tua concentrazione altrove. Ora dormi. Buona notte.”
Anakin mormorò un saluto e Obi-Wan richiuse la porta dietro di sé.
Non si diresse alla sua camera però, decise di provare di nuovo. Uscì sul balcone del primo piano e fissò meditabondo il cielo prima di posare lo sguardo sulla torretta di fianco alla casa. Era sicuramente un posto di osservazione, ne era certo. In quel primo giorno era ormai parso evidente che Kanodian era un pianeta tutt’altro che tranquillo e sicuramente i Jinn dovevano avere predisposto delle difese conto i pericoli che venivano tanto da terra, quanto... dal cielo?
Scese nel piazzale davanti alla casa, davanti a lui il tremolio del campo di forza era rassicurante nell’assoluta oscurità che proveniva dal bosco. Trovò senza difficoltà la porta di accesso alla torre e salì in fretta le varie rampe di scale, fino a trovarsi su un vasto punto sopraelevato, da cui si poteva abbracciare con gli occhi tutta la fetta di valle di quella parte del pianeta.
Ma prima ancora che potesse gettare uno sguardo intorno, i suoi sensi si acuirono per l’improvvisa consapevolezza. Con un istinto più naturale dell’aria che respirava, Obi-Wan si era già voltato di scatto, la spada laser accesa in mano.
Davanti a lui stava la donna, avvolta nel suo mantello scuro. Le mani intrecciate nei risvolti del mantello, il portamento fiero ed eretto e il viso, seminascosto nel cappuccio, avevano tutto di un Cavaliere Jedi. Ma Obi-Wan sapeva che non poteva essere così, perché era convinto che lei fosse... “Ary?” domandò, ancora sospettoso.
Lei fece un piccolo inchino e i suoi occhi neri lo fissarono lievemente ironici. “Mi spiace non essere potuta venire prima a salutarti, onorevole Obi-Wan. Avevo visto lo sprinter di Liann arrivare, ma è stato più opportuno per me aspettare la notte.”
Lui finalmente abbassò la spada. “So che hai già fatto la conoscenza di Anakin.”
“E’ un bambino interessante e sicuramente molto speciale. Spero non l’avrai sgridato troppo: era un po’ preoccupato per questo.” L’ombra di un sorriso stirò le labbra sottili. Ma gli occhi erano ancora fissi sulla spada.
Con un rapido gesto tirò indietro il cappuccio: nella luce cangiante della notte di Kanodian il suo viso appariva ancora più pallido, segnato dalla bocca troppo sottile, gli anni già trascorsi traditi da piccoli segni agli angoli della bocca. Obi-Wan calcolò che dovesse avere circa dieci anni più di lui. Gli occhi erano scuri, ma con delle pagliuzze dorate; immensi, pieni di dolore e di nobile fierezza. Straordinari, pensò inconsapevolmente il giovane.
Lei pareva ipnotizzata dalla spada e Obi-Wan sapeva il perché. La sua mano si mosse da sola e gliela porse. “La vuoi vedere meglio?” Il suo tono era gentile, conosceva quell’espressione riservata che aveva assunto: l’aveva vista troppe volte sul proprio volto.
“Ti ringrazio, Obi-Wan.” mormorò Ary. La prese con rispetto, l’accarezzò lievemente con un gesto dolcissimo che chiuse la gola del giovane, ma non la tenne e gliela restituì quasi subito. “Sapevo che era la sua spada, volevo solo esserne certa. Sono contenta che l’abbia tu: nessuno più di te ha il diritto di tenerla.”
L’intensità del suo sguardo lo colpì nel profondo, ma se ne sentì avvolto come un abbraccio; si rese conto del significato di quelle parole e provò smarrimento, ma anche sollievo. Sapeva che quella donna si trovava a migliaia di anni luce di distanza in quel giorno fatale, ma con altrettanta certezza, non poteva spiegarlo, era ugualmente convinto che lei avesse percepito ogni pensiero, ogni bruciante sensazione che era passata nella mente e nel cuore del maestro e del discepolo in quegli istanti. Chiuse brevemente gli occhi per ritrovare la propria concentrazione.
“Mi spiace, Obi-Wan.” disse improvvisamente lei, “Per i ricordi che ho provocato, per il dolore che ho causato. È stato terribile e non sarebbe mai dovuto accadere.” Il tono si fece più sommesso e sofferto e Obi-Wan si chiese se si riferisse al suo comportamento o a quanto era successo a Qui-Gon. Si volse nuovamente, ma lei aveva chinato il capo e lui non poté leggere i suoi occhi.
“Cosa ti ha portato qui?” la udì chiedere, sottovoce.
“Io... sono stato inviato dal maestro Yoda. Mi ha incaricato di incontrare qualcuno...” Lei lo stava guardando, attentamente. “... E credo di averlo fatto, ora.” terminò, ricambiando lo sguardo.
Per un attimo Ary parve sul punto di dire qualcosa, ma improvvisamente impallidì, mentre i suoi occhi si sgranavano, oltre le spalle di Obi-Wan. Allarmato, il giovane Cavaliere seguì la direzione del suo sguardo, ma non vide altro che i giochi di luce del cielo. Sapeva però che lei stava vedendo altro.
“Sono di nuovo quei lampi neri, vero?” domandò.
“Tu non li vedi?”
“No, io no.”
“Come fai a dirlo allora?”
“E’ stato Anakin a dirmelo. Anche lui li ha visti e ha avvertito una perturbazione nella Forza. L’ho trovato sorprendente, dal momento che il suo addestramento è iniziato da troppo poco tempo perché possa già riconoscere i segnali del lato Oscuro della Forza.”
“Anch’io sono rimasta sorpresa di quanto scorra potente la Forza nel tuo Padawan...” mormorò la donna. Obi-Wan avvertì però che c’era dell’altro.
“Ary, perché io non vedo quello che vedete tu e Anakin?”
“Perché tu sei...” si interruppe, poi riprese più lentamente, “Sei un Cavaliere Jedi e conosci il controllo dei lati più primitivi e impulsivi della Forza. Anakin invece è ancora troppo giovane e io...” scrollò leggermente le spalle, “Beh, io sono nata qui.”
“Li vedeva anche il Maestro Qui-Gon, quando era qui?” chiese inaspettatamente il giovane.
“No, non c’erano a quel tempo.” La voce era distante, gli occhi neri fissi sulle ultime alture visibili.
Obi-Wan guardò anche lui e pur non vedendo nulla, la sua mente vibrò di una nuova consapevolezza: c’era qualcosa che non andava laggiù, qualcosa di ostile e minaccioso.
“Cosa c’è oltre quelle alture?” chiese.
“Ancora valli e montagne, e poi... il Kaidagan.” disse lei e per la prima volta la sua voce tradì una punta di timore, quasi di panico.
“Cos’è il Kaidagan? Cosa c’è lì?”
“E’ l’unica zona pianeggiante di Kanodian, ha un diametro di diverse migliaia di chilometri. La nostra famiglia e le famiglie Jedi già vissute qui si sono avventurate laggiù solo poche volte: i campi magnetici sono ancora più forti, le forme di vita più nascoste e più pericolose...” Tacque, mentre il suo sguardo si perdeva nuovamente dietro ai lampi di luce, “Poi, non so, ma credo che da diversi mesi stia accadendo qualcosa là, lo sento.”
Obi-Wan rimase perplesso. “L’hai detto alla famiglia?”
“I Jinn sono in lutto, Obi-Wan, dimentichi?” Distolse lo sguardo dal suo viso mortificato. “Come potrei spiegare a Tran qualcosa di così irrazionale come questo?” mormorò, “No, io... devo essere sicura, prima.”
C’era una strana espressione sul suo volto ora, gli occhi incupiti, le labbra serrate; per un attimo al giovane Jedi parve di avere accanto un’altra persona. ‘Pericolosa e imprevedibile’, questo gli aveva detto Yoda.
Si riscosse e scoprì che lei lo stava fissando, con cautela. “Obi-Wan,” cominciò, “Non conosco le ragioni del maestro Yoda per la tua venuta qui, ma la tua presenza ora mi induce a chiederti un favore. Io voglio andare laggiù a vedere, ma non posso calcolare quante probabilità avrei da sola, perché avverto anch’io una minaccia grave, quindi...” si interruppe un momento, ma lui aveva già capito.
“Vuoi che venga con te.”
“Sarebbe auspicabile, sì.”
“Cosa pensi che troveremmo laggiù?”
“La risposta a entrambe le nostre domande.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Parte Seconda
 
Il deserto aveva mille facce, mille suoni, mille nascondigli. Qui aveva conosciuto la sua prima forza, il primo anelito alla passione, le ferite e la paura, sua eterna sposa.
Seduto con le spalle al muro di sabbia, Shion fissava intento i volti mutevoli delle dune scavate dal vento, costante, onnipresente. Le sue lunghe dita accarezzavano indifferenti un agila’l, un piccolo e spennacchiato uccello notturno, attirato dalla luce e dal calore del fuoco solitario.
Uno dei tanti turni di guardia, una notte dopo l’altra, un mese dopo l’altro, un intero anno. In attesa.
“Accadrà presto, mio apprendista. I tempi si approssimano. Rimani vigile perché sta per arrivare per te il tempo della prova.” Questo gli aveva detto poche ore prima Darth Nantris, il suo maestro.
E Shion aspettava. Soffocando l’impazienza, nutrendo la propria rabbia. Abbassò lo sguardo sull’uccello che si puliva le piume tra le sue mani con un lieve senso di sorpresa: aveva dimenticato che era lì. La cupa oscurità che avvolgeva il suo essere si animò all’improvviso, le sue dita si mossero da sole e tirarono il collo all’agila’l. Con rapidità, facilmente; soddisfatto l’uomo stirò il corpo ossuto, ricoperto dalla nera tunica e si alzò, esponendo il viso al soffio del vento notturno. Non aveva l’aspetto di un ragazzo: aveva vissuto già più di trent’anni al limitare della piana di Kaidagan e il vento gli aveva pian piano asciugato la giovinezza dal viso e la lucentezza dallo sguardo.
Chiuse gli occhi, inebriandosi del gemito che proveniva dagli esseri viventi che piangevano la fine del loro compagno alato. ‘Non c’è rispetto, c’è il potere’, l’antico grido ancestrale risuonava forte e vitale dentro di lui, mentre tutto il suo corpo e il suo spirito vibravano delle potenti dissonanze del lato Oscuro.
Aveva pregato, aveva sacrificato agli dei per avere un nome e una nuova vita. Per sconfiggere l’ignoranza e la confusione. Ora apparteneva alla Forza: gli occhi blu si fissarono sulle lontane montagne di Kanodian.
La prova era lì, ogni giorno più vicina. Gli volse le spalle e con un rapido gesto gettò il corpo dell’agila’l nel fuoco. Il lungo gemito si quietò.
 
1)
“In altri tempi le foreste non erano intricate così come le vedi ora. Gli esseri che abitano questo bosco vivevano e respiravano alla luce del sole: lo facevano apertamente, senza paura, o aggressività. Kanodian non si nascondeva agli occhi dei visitatori e questi giunsero in buon numero: dapprima forme di vita elementari, portate da quegli sporadici esploratori che, per primi, erano atterrati in mezzo alle radure, allora molto più numerose di oggi. Il pianeta divenne via via sempre più noto nelle rotte segnate sulle mappe di navigazione, tuttavia aveva qualcosa... una sua natura selvatica che non incoraggiava troppo il commercio o qualunque forma di urbanizzazione. Chiunque aveva pensato di costruirvi città e stazioni di rifornimento per navi, dovette ricredersi ben presto. I visitatori troppo invadenti erano tollerati a malapena. Alla fine Kanodian trovò il suo equilibrio naturale sotto le silenziose famiglie Jedi venute quietamente a ritirarsi quaggiù, e per molto tempo il pianeta mantenne la sua facciata tranquilla e fiduciosa.”
Obi-Wan meditava attento su quelle parole mentre lo sprinter divorava miglia su miglia volando sopra liane enormi, all’ombra di incombenti formazioni arboree. Ovunque lo stesso scenario dominato da alberi e arbusti altissimi, che rare volte permettevano di scorgere il colore pallido del cielo. ‘Una facciata tranquilla, non c’è che dire’ commentò ironico tra sé e sé.
“Chi ha costruito questo sentiero?” domandò poi, studiando la lieve traccia e le guide magnetiche ai lati.
“Qualcuno dei primi Jedi venuti qui, credo.” rispose evasiva Ary.
“È così antico?”
“Non è passato tanto tempo dai primi insediamenti, non credere. La cosiddetta ‘civiltà’ qui non ha avuto facile e non è mai stata la benvenuta.”
Parole pronunciate con una leggere punta di compiacimento, notò Obi-Wan, che scrutò con attenzione il viso della giovane, intento alla strada davanti a loro. Sorrise silenziosamente. “Sembri quasi contenta di questo.” osservò.
La risposta giunse tranquilla, ma ancora con quel tono elusivo. “Conosco bene il mio pianeta, tutto qui.” Gli occhi della giovane seguivano l’intricato arabesco dei rami e degli arbusti sopra e sotto lo sprinter senza perderne di vista nemmeno una fronda. “Non è mai da sottovalutare la forma di vita, sia essa animale o meno, che incontriamo sul nostro cammino.”
Quasi a sottolineare quelle parole, lo sprinter fece un brusco scarto, per evitare un ramo gigantesco, pieno di foglie ad aculeo, che si era improvvisamente sollevato sul loro sentiero. Un po’ troppo improvvisamente, pensò Obi Wan. “È questo che intendevi?” chiese, gettando uno sguardo nervoso ai loro lati.
“Pressappoco.”
Il silenzio si richiuse sui due giovani mentre quell’universo verde pareva non avere mai fine. Davanti agli occhi chiusi di Obi-Wan, scivolato in una meditazione vigile, scorrevano immagini vecchie di appena qualche ora. Il saluto muto e attonito di Anakin (‘Non ti abbandono, Padawan, non pensarlo mai, ma avevi ragione, ora sento anch’io distintamente qualcosa e non ti voglio laggiù, qualunque cosa incontreremo’); l’occhiata quasi disperata del vecchio Tran quando Ary gli aveva comunicato la sua decisione mentre Liann aveva lanciato uno sguardo lontano, quasi assente verso la piana di Kaidagan (‘cosa nascondete tutti? Dove vuoi portarmi Ary e perché qui dietro c’è un arsenale che farebbe invidia a un’armata di droidi?’).
Obi-Wan aprì gli occhi di colpo. “Dimmi la verità - chiese a bruciapelo - tu ci sei già venuta da queste parti, vero?”
“Cosa te lo fa credere? Nessuno sano di mente scende fino a qui dalle foreste.” Ma non era stata abbastanza rapida da nascondere il suo trasalimento.
“Non hai risposto.”
“Lo farò dopo, ora non mi sembra il momento più appropriato.” Il tono era cambiato ancora e riportando gli occhi sul sentiero, Obi-Wan non poté che darle ragione.
I rami, gli ostacoli diventavano di momento in momento più numerosi e più pericolosi. Continuamente piante distorcevano la loro visuale del sentiero, piccole bestie volanti passavano sopra di loro a volo radente; una volta lo sprinter dovette gettarsi in mezzo alla macchia per evitare un curioso animale, di grandezza non indifferente, con un robusto corno in mezzo alla schiena e pieno di squame, che si era fermato in mezzo al sentiero. Ary però non si lasciò sviare e ritrovò in fretta il centro della via.
“Lo stanno facendo apposta, secondo te?” gli chiese allegramente lei, ma non era una domanda.
Intanto la foresta veniva meno pian piano e il terreno cominciava a presentare qua e là rocce e larghi tratti sabbiosi. Il vento, non più fermato dal complesso di alberi, si faceva sempre più forte e così la luce del sole.
La corsa dello sprinter si era considerevolmente ridotta, ma prima che giungessero all’estremo limitare della foresta e dell’ultimo tratto di valle, Ary spense i motori e il mezzo accostò dolcemente a un masso di roccia scura.
“Perché ti sei fermata?” domandò il suo accompagnatore, allarmato.
Con movimenti rapidi e precisi Ary gli passò uno dei fulminatori che aveva caricato sullo sprinter, si caricò in fretta alcune provviste sulle spalle, poi sollevò il portello e saltò a terra, coprendosi le spalle dietro al masso. “Vieni,” gli gridò, per farsi sentire oltre il rumore incessante del vento, “Non è prudente proseguire con lo sprinter, dobbiamo andare a piedi. Sbrigati!” Il volto era teso, i sensi all’erta.
Mentre il giovane cavaliere le obbediva in fretta, la sua mente si agitava frenetica insieme alla natura impazzita. ‘Lei sa. Conosce questi luoghi come... sì, come se ci avesse sempre vissuto.’
Ma la sua concentrazione fu improvvisamente deviata e lui si voltò di scatto, la spada alzata. Il vento portava con sé sabbia e pulviscolo, impedendo una vista corretta dei dintorni, nonostante questo lui avvertì che qualcuno, qualcosa era in osservazione sugli alberi vicini. E non era amichevole.
Poi distinse un lampo, un’ombra metallica che puntava verso di loro e in quel momento il raggio partì.
La spada volò letteralmente nella mano del Cavaliere Jedi che deviò fulmineamente il colpo. Il giovane spiccò la corsa e raggiunse la sfera di metallo nero che si stava allontanando, dividendola netta in due parti: complicati meccanismi interni vennero portati alla luce.
“Una sonda.” disse ad Ary, che si era avvicinata.”
Sì, ma di un tipo che non conosco.” Il tono tuttavia non era particolarmente sorpreso.
“Tu te ne eri già accorta che eravamo osservati, vero?”
“Sì, ma non potevo esserne sicura.” Si guardò intorno, “Non sono mai sicura delle mie percezioni in questo posto.”
Era una riposta onesta e Obi Wan annuì. “Da quanto tempo ci stava dietro secondo te?”
“Difficile da dirsi, ma per me sanno da un pezzo che stavamo arrivando.”
“Chi lo sa?”
Ary indicò con un gesto la pista davanti a loro. “Loro... quelli della piana, chiunque essi siano.”
Diede un’ultima occhiata alla sonda, senza guardare il giovane. Entrambi sapevano che il raggio laser era stato diretto soprattutto contro Ary.
Percorsero quasi correndo un paio di chilometri, poi Obi Wan si fermò bruscamente. La valle era terminata e davanti a lui si offriva uno spettacolo straordinario e sconvolgente.
Il deserto di Kaidagan era una lunghissima, sconfinata distesa di sabbia rossa a perdita d’occhio, sabbia che veniva continuamente agitata da un vento freddo e fortissimo fino ad assumere delle forme fantastiche e gigantesche, in perpetuo movimento. Talora in mezzo a quei colossali muraglioni che si alzavano e si abbassavano a seconda dell’intensità, si scorgevano degli ammassi di roccia che dopo poco venivano ricoperti nuovamente. Il sole splendeva senza ostacoli, ma non riusciva a riscaldare l’aria tagliente del deserto e soprattutto non forava l’incredibile foschia data dalle ingenti quantità di sabbia che l’aria trasportava. Queste a loro volta, aiutate dai formidabili venti siderali e magnetici estremamente potenti in quella regione, creavano degli incredibili giochi di luce, ammantando di volta in volta l’orizzonte di luci purpuree, azzurrine e madreperlacee.
Obi Wan tentava di ripararsi gli occhi e intanto rifletteva rapidamente. Forse Ary aveva ragione: quel posto sarebbe stato un eccellente nascondiglio. Tra l’altro i campi di energia erano forti laggiù ed il giovane Jedi aveva difficoltà a concentrarsi sulla Forza.
Fu riscosso dalla voce di Ary. “Tieni, questi ti aiuteranno a vedere meglio.” Gli porse un paio di visori e gli indicò qualcosa nella cresta di sabbia più vicina. “Rocce, le vedi? Dovrebbe esserci anche qualche caverna naturale. Per lo meno avremo un riparo.”
Obi Wan assentì, mise i visori, si coprì la faccia con il mantello e lasciò che Ary passasse in testa. L’avanzata era lenta e faticosa, a causa delle enormi quantità di sabbia e di detriti che il vento sospingeva avanti, né più né meno di una continua tormenta. I due procedevano con il capo chino, mettendo con precauzione un passo dopo l’altro.
C’era troppa sicurezza in quella donna, pensò il giovane. Obi Wan si sentiva limitato nel proprio contatto con la Forza a causa delle barriere naturali di Kaidagan, ma Ary, che era l’unica insieme ad Anakin (il pensiero non gli piacque affatto) a percepire il lato Oscuro di questa zona, pareva non soffrire alcun disagio e avanzava lentamente, ma senza fermarsi.
Il malessere cresceva nella mente di Obi Wan, fece per chiamare la sua compagna per chiederle quanto mancasse ancora, ma la vide accucciarsi improvvisamente al suolo. D’impulso la imitò.
“Non senti nulla?” gli chiese lei.
Obi Wan tese leggermente il collo, ma il rumore del vento copriva qualunque altro suono. Lei lo fissò, lievemente esasperata.
“Nella Forza, intendo. Percepisci nulla? C’è qualcosa di strano...”
Obi Wan stava per rispondere negativamente, quando un colpo di fulminatore gli sfiorò il braccio, gettandolo a terra con la violenza dell’impatto. Brancolò, tentando di estrarre la spada laser dalle pieghe del mantello, ma il braccio rispondeva male ed era lento.
Altri due colpi vennero sparati in mezzo alla foschia. Con una rapidità fulminea, Obi Wan vide Ary accendere una spada laser che non aveva mai visto prima: il fascio di luce che ne scaturì aveva una tonalità azzurrina, più debole e incerta di quella tipica dei Cavalieri Jedi del lato Luminoso, ma era perfettamente funzionante e i colpi vennero respinti prontamente. Chiunque fosse nascosto nella sabbia, non voleva che raggiungessero un riparo, ragionò il giovane; probabilmente li aveva seguiti e aveva lanciato quella sonda. Si rimise rapidamente in piedi ed accese la spada, proteggendo le spalle di Ary.
La cortina di sabbia era pressoché impenetrabile, non potevano vedere niente, ma ormai non ne avevano bisogno. Le vibrazioni del lato Oscuro echeggiavano potenti intorno a loro, bersagliandoli da ogni parte. Passato il primo momento di sconcerto, Obi Wan aveva subito riacquistato il controllo, sgombrando la mente da ogni emozione e concentrandosi sulla Forza vivente.
C’era un Cavaliere Sith potente del lato Oscuro davanti a loro, questo era sicuro... no, erano due. Obi Wan corrugò la fronte, perplesso: le vibrazioni del secondo Sith erano confuse, la loro natura irregolare e stranamente familiare. Gettò un’occhiata ad Ary e la vide fremere.
“Non lasciarti vincere dalla confusione che avverti!” le ordinò in fretta, “Lo hai percepito, vero?”
“Sì.” mormorò lei, con uno sforzo. “Sono due, ma il secondo...”
“Già, le sue vibrazioni sono strane, non riesco a inquadrarle.”
“Io sì.” fece lei, cupa.
Mancò il tempo di aggiungere altro. Una serie massiccia di colpi ripetuti si abbatté su di loro. I due Sith, sicuri della propria invisibilità, tentavano di approfittare del momento favorevole.
Obi Wan si mosse con ritmo e potenza, concentrandosi su ogni singolo colpo e cercando di rimandarlo all’aggressore. Un paio di volte stese la mano davanti a sé, tentando di controllare le vibrazioni della Forza e di usarle a proprio vantaggio, ma erano troppo sfuggenti e non riusciva a dominarle. Al suo fianco Ary si batteva con uguale rapidità e agilità, anche se il Cavaliere Jedi percepiva l’eccesso di tensione e di ansia che le impediva di focalizzare con successo l’energia dei due assalitori.
Non c’era più alcuna possibilità d’errore: qualcuno aveva iniziato Ary alle discipline Jedi, la sua tecnica, anche se grezza e incompleta e l’impugnatura della spada che portava e che ogni Jedi costruiva con l’aiuto del proprio maestro, gli ricondussero alla mente l’unico uomo che avesse mai osato sfidare il Consiglio degli Jedi.
‘Maestro Qui-Gon! Non è possibile...’ pensò Obi Wan. “Questa situazione è senza uscita!” le gridò, tra un colpo e l’altro. “Corri!”
Continuando a tenere testa ai raggi dei fulminatori che piovevano da ogni direzione, la coppia si gettò a rotta di collo in mezzo alle scariche, nel folto della duna di sabbia.
“Da questa parte!” gridò Ary, mentre Obi Wan sussultava per un nuovo colpo di fulminatore che gli aveva quasi raggiunto il braccio, già malandato. La vide scivolare dentro la sabbia e la seguì. La discesa fu breve e si ritrovò dentro una grotta di roccia scura, dove la luce del sole e il vento giungevano attutiti.
“Il materiale di queste rocce è isolante. Neppure i campi di energia penetrano qui.” disse Ary dietro di lui.
A riprova di quanto detto, i due udirono un breve sibilo sopra le loro teste, simile a quello di un mezzo leggero da corsa. Attesero, anelanti, per qualche secondo, poi il silenzio tornò totale.
 
2)
Le ricerche, continuate per più di un’ora, non dettero alcun esito e Shion guardò con preoccupazione la figura corrucciata del suo maestro mentre tornavano in silenzio alla base. Superarono il muro, lasciando fuori sabbia e vento e si calarono all’interno del pozzo che costituiva il loro nascondiglio. In ere passate qualcuno aveva sperato che nel sottosuolo della piana di Kaidagan scorresse l’acqua e aveva costruito una complicata attrezzatura di estrazione più un paio di edifici bassi e stretti, ricavati dalla roccia. L’attrezzatura era rimasta abbandonata, non così le costruzioni.
Con un gesto che non ammetteva replica, Lord Nantris ordinò al suo allievo di aspettare fuori e sbatté la porta dietro di sé. Ma ormai non era un mistero per Shion il fatto che andava a mettersi in contatto con il suo superiore per comunicare che la donna e lo Jedi erano arrivati nella piana, con successo.
Shion si lasciò scivolare per terra e riprese fiato dopo la lunga mattina. L’aria intorno a lui era calma, la luce di Micra lo colpiva sul volto con il suo delicato chiarore azzurrino, ma la mente e il cuore del Sith erano ancora in subbuglio.
Non aveva potuto vederla lì in mezzo alla tormenta di sabbia, ma l’aveva percepita almeno quanto era sicuro che lei avesse percepito lui: questo il suo Maestro non gliel’aveva detto.
Avrebbe voluto entrare da quella porta e chiedergli il perché, ma sapeva che non sarebbe stato saggio; una volta che Lord Nantris l’aveva sorpreso troppo vicino alla stanza di trasmissione, aveva colpito la sua mente con violenza molte volte fino a lasciarlo tramortito per più di un’ora. Se poi fosse morto, beh, allora avrebbe voluto dire che non aveva la stoffa necessaria a diventare un Sith a tutti gli effetti; quella era una verità che Shion si era scolpita nell’animo e non aveva intenzione di ripetere lo stesso errore.
Però c’erano altri modi. Negli ultimi mesi di addestramento la sua capacità di concentrazione sull’energia vivente si era acuita e perfezionata: di quando in quando il suo Maestro lo faceva entrare nella mente di qualche forma di vita inferiore per il gusto di vederla impazzire. Nello sviluppare questa capacità Shion aveva anche imparato a sintonizzarsi sulle onde cerebrali di tutte le cose viventi che lo circondavano, a dissolversi nella loro identità e nella loro consapevolezza e servendosi di loro aveva ottenuto spie silenziose ed efficacissime. Perfino Lord Nantris ignorava questo lato del suo discepolo. Come parecchie altre cose del resto.
Shion chiuse gli occhi e lasciò che la luce del sole con tutti i minuscoli microrganismi che trascinava con sé lo portasse fin dentro la finestra dell’abitazione. Non aveva sensazioni chiare e non poteva tentare di focalizzarle meglio, a rischio di essere scoperto; tuttavia percepì chiaramente il suono della voce del suo Maestro, una tonalità acuta e discorde che forava la sua coscienza con la sua irritazione e la potenza del sentimento malvagio che recava in sé. L’allievo del Sith desiderava spesso diventare malvagio e forte come il suo signore, ma c’era sempre qualcosa a rendere incostante la sua volontà. ‘Colpa di questo maledetto pianeta!’ si disse in silenzio Shion, mentre con cautela tentava di scoprire cosa stava dicendo l’apparecchio di trasmissione.
Riuscì a distinguere chiaramente le parole ‘fallimento’ e ‘nuova destinazione’, ma la corrente del lato Oscuro, mossa dalle menti potenti dei due all’apparecchio, non gli consentì di concentrarsi ulteriormente. Pian piano si ritirò dall’energia vivente che gli era intorno fino a ritrovare la propria identità e a sentire le proprie spalle contratte contro il muro dell’edificio. Non immaginava che le cose si sarebbero evolute così in fretta, ma l’arrivo dei due dalle foreste doveva aver innescato un meccanismo già predisposto da tempo. Si domandò se Lord Nantris avesse previsto anche questo.
Non ebbe bisogno di chiederselo più a lungo. La porta si spalancò bruscamente e rimase aperta: un chiaro invito ad entrare.
Lord Nantris attendeva, con le spalle voltate, il mantello scuro che celava completamente i suoi lineamenti: da quando Shion aveva iniziato il suo addestramento, non l’aveva mai visto in viso e sapeva che sarebbe stato sempre così, almeno finché fosse rimasto vivo. Ma la frustrazione e l’ira erano evidenti in tutta la sua figura.
“Ci sono stati degli sviluppi... inattesi.” esordì senza preamboli. “E’ spiacevole non aver ucciso subito quei due; questo mi obbliga a fare altri piani.”
“Siamo stati scoperti?” domandò l’allievo, con una punta di panico.
Lord Nantris fece udire un risolino pieno di scherno. “Non temere, mio giovane apprendista. Questo luogo è più inviolabile dello stesso Tempio degli Jedi; non hanno possibilità di sapere che siamo qui, non finché non lo decideremo noi. Ed è quello che faremo, prima di lasciare il pianeta.”
Gli occhi di Shion si illuminarono di gioia. “Dunque ce ne andiamo? E’ arrivato il momento?”
Lord Nantris rimase in silenzio a lungo, troppo a lungo. Shion cominciò a temere di aver parlato avventatamente. Ma poi la testa avvolta nel mantello si piegò in un piccolo gesto di assenso
“Mi è stato comunicato che prima i due Jedi vanno eliminati.” disse brevemente.
Shion represse a stento un moto di sorpresa, non tanto per la notizia, che in cuor suo già conosceva, quanto per l’affermazione. “Maestro... dunque è un Jedi pure la donna?” chiese, con il fiato sospeso (‘Come poteva... lei come poteva avere imparato? Chi le aveva insegnato?’).
Lord Nantris si voltò e considerò per un attimo la perplessità e lo stupore che trasparivano dal volto del suo discepolo. Sicuramente stava mentendo, non poteva non essersene accorto. Distolse lo sguardo e parlò lentamente, la voce secca come carta vetrata. “Non comportarti stupidamente, Shion. Tu conosci meglio di chiunque altro la situazione.” Alzò leggermente il volto e per un attimo l’allievo scorse lo sguardo di fuoco dei suoi occhi vermigli. “Non è così?” incalzò.
Shion non poté fare a meno di abbassare la testa, non fosse che per tentare di nascondere il mare di emozioni che lo stavano sopraffacendo. Si costrinse a parlare con tono naturale. “Io... sì, ho percepito distintamente le sue vibrazioni. Quella donna... è come me, voglio dire...”
“Il lato Oscuro è potente anche in lei, questo volevi dire.” L’altro annuì in silenzio, grato di quella spiegazione di comodo. “Già, sarebbe stata un’eccellente alleata. Ma la vostra razza non è adatta a seguire le vie della Forza: siete abili e capaci come servitori ed è per questo che ho ritenuto opportuno addestrarti, Shion. Non dimenticarlo mai e non farmi pentire di quanto ho fatto per te.”
L’allievo stirò le labbra in una smorfia amara. No, non l’avrebbe dimenticato: sarebbe morto senza l’arrivo provvidenziale del Sith. Lo aveva salvato dai pericoli della foresta e dalle insidie di Kaidagan, dopo che era stato cacciato dal suo gruppo; non si poteva vivere isolati su Kanodian, era convinto di avercela fatta solo lui. Nemmeno Lord Nantris poteva intuire la verità che lui aveva scoperto solo da pochi istanti. Questo purtroppo non faceva alcuna differenza: senza l’addestramento e la protezione del suo maestro non gli sarebbe rimasta altra risorsa se non tornare nella foresta e morire.
I suoi occhi arsero di una fiamma oscura mentre sollevava il viso. “La ucciderò, Maestro. Li ucciderò entrambi, se questi sono i tuoi ordini.”
Il Sith ebbe un rapido sorriso soddisfatto. “Molto bene. Sì, sono questi i miei ordini, tuttavia non c’è fretta. Verranno loro qui: sarà la donna a guidare il Cavaliere Jedi fino a noi. Riconoscerà le tue vibrazioni, se già non l’ha fatto, saprà a quale razza appartieni e verrà a cercarti. A quel punto dovrai confrontarti con lei, mentre io mi occuperò dello Jedi. Non è addestrata e sarà una prova facile per te.” Agitò brevemente la mano nell’aria. “Questo luogo è perfetto per loro: non potranno servirsi dei loro poteri qui.”
Considerò ancora un istante il proprio piano, con soddisfazione, poi congedò con un gesto Shion che si inchinò e uscì, chiudendo la porta con cura dietro di sé. ‘Lord Nantris ha previsto tutto, non ho motivo di preoccuparmi. Sarebbe stato meglio per lei se fosse morta laggiù.’
 
3)
Gli occhi scuri di Ary fissavano distratti la debole fiamma che spandeva luce e calore all’interno della grotta. Fuori scendeva la sera e in sottofondo si udiva costante il debole sibilo del vento.
La donna aveva fasciato il braccio contuso del giovane Jedi e ora sedeva di fronte a lui, lo sguardo assorto nelle fiamme palpitanti. La sua voce si levava alta e sottile, mentre Obi Wan ascoltava attento, il cuore e la mente agitate da un tumulto di emozioni che non giungevano al viso impassibile.
“Sapeva perfettamente di andare contro il codice: un Maestro Jedi può addestrare un solo Padawan per volta per non portare squilibrio nella Forza. Ma lui vide in me delle doti, gli dei solo sanno quali...” Un breve sorriso ironico le attraversò il volto stanco. “Ogni giorno dei suoi periodi di riposo, quando veniva qui, dai suoi. Scivolavamo fuori di casa di notte, ci inoltravamo nella foresta, sfidando gli ostacoli e le creature della notte. Ne trovi a migliaia su Kanodian, solo di notte... ci allenavamo con la spada e con altre discipline e io imparavo, egli mi guidava e affinava le mie capacità.”
Prese la spada e la espose alla luce. “Ho visto che l’avevi notata e ho immaginato che avessi riconosciuto l’impugnatura. Hai ragione: è stato lui ad aiutarmi a costruirla, è praticamente identica a un’arma Jedi, ma la sua luce... non è quella giusta.” Tacque e spense bruscamente il laser.
‘La luce giusta’, era forse quella la chiave di volta di tutta la faccenda? Il motivo per cui Ary vedeva e sapeva cose che gli altri non intuivano? La percezione di lei era nitida e limpida come su un pezzo di vetro ora e non era più possibile ingannarsi. Nel silenzio della grotta Obi-Wan scoprì una realtà che aveva solo immaginato, ma non pensava potesse esistere in maniera così definita e definitiva in un essere vivente: le vibrazioni di Ary non erano ‘giuste’ come aveva detto lei. Era come se vi fossero due lati perfettamente distinti e opposti, come facce speculari di uno specchio, la cui interezza costituiva la figura seduta davanti a lui. Un lato conduceva alla luminosità della conoscenza, della disciplina e della verità insegnatale da Qui-Gon, ma l’altro era ammantato di ombre oscure, fatto di rabbia e solitudine e conduceva inevitabilmente, irrevocabilmente al lato Oscuro. Qualcosa di totalmente estraneo alla famiglia Jinn.
Il giovane Cavaliere riaprì gli occhi, per scoprire che lei lo stava guardando.
“Già, è proprio così.” disse lei, con voce quasi troppo tranquilla. “Si presero cura di me con affetto e dedizione, con Tran e Liann ho scoperto cosa volesse dire fare parte di una famiglia vera, Obi-Wan. In effetti l’unica cosa che la mia ‘vera’ famiglia è stata capace di fare è stata quella di abbandonarmi a morire da sola - aggiunse con un antico rancore nella voce - Non gli piaceva quello che ero, i miei poteri.”
“Credevo che gli ‘indigeni’ fossero tutti integrati.” disse Obi-Wan, con sorpresa.
“Non tutti, ma quelli che non l’hanno fatto, non sono sopravvissuti a lungo.” Ary chiuse gli occhi mentre una smorfia di insofferenza le piegava le labbra. “Guerre fratricide, genocidio, solo nomi per nascondere quello che succedeva ai confini della piana di Kaidagan. Ormai sono morti tutti.” concluse, secca.
“Così Qui-Gon ti ha trovato e ti ha addestrato. Per quanto tempo?”
“Avevo dieci anni quando sono entrata in casa Jinn. Sono passati più di vent’anni da allora e tanto tempo mi è servito per imparare quello che tu hai appena percepito. Solo alla fine ho compreso che l’addestramento di Qui-Gon, tutti gli esercizi, la rigida disciplina di autocontrollo, le lunghe punizioni e le tecniche cui mi obbligava non erano volte a farmi diventare un Cavaliere Jedi, ma a difendermi... da me stessa.”
Lui annuì. “Qui-Gon aveva capito che eri una persona speciale, Ary.”
Lei fece un gesto vago con le spalle e piegò leggermente il capo. “Non ho mai voluto essere speciale. Avrei voluto solo...” Il sussurro della sua voce era appena udibile. “Sì, avrei voluto terminare il mio addestramento e diventare un Cavaliere Jedi. Ma Qui-Gon conosceva meglio di me la verità.”
 
“Io farò ciò che devo, Obi Wan...” I lunghi capelli del Maestro erano agitati dal vento della sera, gli occhi azzurri lo fissavano indulgenti, ma seri.
 
Sì, il Maestro Qui-Gon conosceva certamente la verità. Obi Wan sospirò leggermente. Venti anni di silenzio, non una parola. Fino alla fine.
 
Ary guardò il giovane perduto nei propri pensieri e non seppe resistere, chiuse gli occhi per vedere quello che lui vedeva, per conoscere quello che la propria mente e il proprio cuore chiedevano da tempo.
 
Baluginio di lampi, verde contro rosso. I due corpi che fendevano lo spazio ristretto intorno al pozzo senza sosta, senza tregua, senza possibilità di scampo. E lui era bloccato dietro quella barriera laser. Lasciato lì a guardare, la spada inutilmente accesa tra le mani.
Non aveva corso abbastanza in fretta. Non abbastanza veloce. Non abbastanza... e ora il suo Maestro era solo contro un avversario che era più forte. Lo sapeva, lo sapevano entrambi.
 
“Questo non ti appartiene, ti sbagli, non hai bisogno di saperlo, non ti sarebbe utile saperlo.” Gli occhi freddi, il tono distaccato spezzarono con un gesto brusco quel breve contatto mentale. Ary non disse nulla, non ce n’era bisogno: il dolore, la sofferenza e il senso di colpa erano una voce fin troppo forte.
 
 
4)
 
I due Sith sedevano uno di fronte all’altro al centro del pozzo, gli occhi chiusi, i corpi rilassati, ma vigili. Le loro menti erano unite nella potente onda di energia oscura che andavano richiamando, più forte di minuto in minuto.
Era pericoloso dividere con Shion quella segreta disciplina, ma Lord Nantris aveva deciso che non potevano permettersi il lusso di aspettare ancora. Presto sarebbe giunto il mattino e sarebbero dovuti irrevocabilmente partire, non potevano rischiare di essere scoperti lì, su Kanodian. I Sith non erano ancora pronti a rivelarsi apertamente ai Jedi; la morte di Darth Maul ne era stata una prova evidente.
Quella donna, quella divisa a metà come il suo apprendista, sarebbe stata un’arma potente, se condotta al lato Oscuro, ma il tempo passava e il Maestro Sith non aveva ancora avvertito alcuna presenza in arrivo. Forse il Jedi che era con lei le impediva di usare le facoltà che l’avrebbero portata da lui.
Ecco perché aveva iniziato la fusione con Shion: erano necessarie almeno due menti potenti del lato Oscuro per canalizzare un flusso di energia sufficientemente forte da attirare le creature sensibili a quel richiamo. Il suo apprendista non aveva ancora terminato il tirocinio e presentava ancora molte debolezze per diventare un Sith degno del nome, ma all’occorrenza poteva comunque fare la sua parte. Se non fosse stato convinto della sua utilità, Lord Nantris avrebbe lasciato che i coguari Trulis se lo divorassero, laggiù, alle pendici dell’immensa foresta di Kanodian.
Intorno a loro le pareti del pozzo e l’aria immobile parvero ispessirsi mentre l’energia del lato Oscuro cresceva e iniziava a spandersi al di fuori del nascondiglio dei Sith, coinvolgendo ogni essere vivente che incontrava sul cammino e indirizzando per ogni dove la sua energia. Con gli occhi della sua mente il Signore Sith poteva vedere il flusso negativo che lentamente dominava il vento della piana di Kaidagan, scavando un vero e proprio cono di calma minacciosa e aprendosi il varco fino alla roccia dov’era convinto i due Jedi si nascondessero.
La donna non avrebbe resistito al suo richiamo, sarebbe corsa a confrontarsi con lui o con Shion e qui avrebbe incontrato il suo destino. Si augurava solo che il Jedi la seguisse, avrebbe goduto parecchio di un duello con il giovane apprendista che era stato in grado di abbattere Darth Maul, uno dei guerrieri più forti che il suo Ordine avesse prodotto.
Perso in queste piacevoli considerazioni, soddisfatto della riuscita della seduta, il Lord non si accorse che Shion aveva riaperto gli occhi e lo guardava, mentre una fugace ombra di dubbio e di confusione passava sul suo volto.
 
*****
 
Sulla terrazza che dominava la sua casa, avvolta dal silenzio della notte, Liann Jinn contemplava i cieli fluorescenti di Kanodian. Si augurava che nessun altro oltre a lei avesse avvertito quello che l’aveva fatta balzare fuori dal letto e correre fin lassù.
Come aveva immaginato, niente di minaccioso incombeva all’orizzonte, nessun attacco minacciava la casa e le sue immediate vicinanze, ma laggiù, molto lontano, dall’altra parte del pianeta, stava per accadere qualcosa di terribile, ne era certa.
Purché non fosse successo qualcosa ad Ary o al giovane Jedi. Il cuore le si serrò in una morsa di ghiaccio... Qui-Gon non gliel’avrebbe mai perdonato. Se chiudeva i propri occhi e la propria mente al mondo esterno poteva sentire la propria coscienza vibrare dell’energia sprigionata dalla concentrazione di Tran, suo marito, e dei suoi fratelli, che celebravano i riti notturni per lo spirito di Qui-Gon. Ma non era quello il tempo giusto: suo figlio era ancora provato dal lungo viaggio nell’oscurità e non poteva raggiungerli, non per il momento.
Liann sospirò di stanchezza, avvilita per la propria impotenza e per quella di Tran, che si ostinava, notte dopo notte, a toccare la Forza, sperando che prima o poi Qui-Gon li avrebbe raggiunti; a volte non era certa di dove finisse l’effettivo potere della Forza e di dove iniziasse la sua leggenda.
Si sporse leggermente. In basso, la porta laterale si era aperta e una piccola figura era scivolata fuori, fermandosi a fissare il cielo. La donna corrugò la fronte, scorgendo il Padawan di Obi-Wan, Anakin, immobile davanti alla casa, come perduto in una personale trance.
Scese rapidamente le scale e in pochi passi fu dietro di lui. Anakin non stava camminando nel sonno, come aveva supposto: i suoi occhi erano spalancati, fissi su qualche spettacolo noto a lui solo, era talmente assorto che non sentiva i brividi di freddo del suo corpo, avvolto in una semplice tunica da notte ed esposto al vento notturno.
Con gentilezza, per non spaventarlo, Liann posò lievemente una mano sulla sua spalla. Il ragazzo trasalì bruscamente, ma non si voltò. “Che succede, piccolo Skywalker?” domandò lei. “Non riesci a dormire?”
Allora Anakin si girò e Liann fu spaventata dall’espressione di terrore e di confusione dipinta sul suo viso. “Io... io lo sento dentro di me, non riesco a fermarlo. Mi dice di andare... là.” E indicò le lontane valli che segnavano la fine dell’immensa foresta del pianeta.
“Cosa senti, Anakin?”
“E’ come un richiamo, fortissimo... la testa mi fa male e non riesco a pensare ad altro...” Improvvisamente gli occhi del bambino si riempirono di lacrime.
Liann chiuse gli occhi, ricorrendo a un’antica tecnica di rilassamento Jedi, lasciando che la coscienza della propria calma interiore si comunicasse a quella incerta e piena di dolore del ragazzo ora accasciato contro di lei. Un istinto ancora più urgente però la spinse a toccare ella stessa la Forza. Doveva sapere cosa stava accadendo. Ed eccolo là, un mare oscuro di passione e di ira, nero come il più profondo degli abissi, freddo e spietato come la lama di un Sith... Riaprì gli occhi, sgomenta, e incontrò quelli chiari e lucenti di paura del bambino.
“Signora, cosa sta accadendo... cosa mi sta succedendo?” chiese terrorizzato Anakin.
“Shh” lo confortò Liann, accarezzandolo febbrilmente, mentre la sua razionalità cercava di far fronte a quello che aveva appena percepito. Cercò di non cedere al panico, di non farsi dominare dalla paura del bambino e dalla consapevolezza di quanto stava avvenendo laggiù, nella piana di Kaidagan, dove si trovavano Obi-Wan e Ary.
“Dobbiamo andare da Tran, Anakin. Dobbiamo contattare la Forza. In fretta.” Lo prese per mano e corsero in casa.
‘Qui-Gon, figlio, lo so che non sei ancora pronto, ma non possiamo più aspettare. Ci serve il tuo aiuto, subito.’
 
5)
Obi-Wan si svegliò di soprassalto. Non ricordava neppure di essersi addormentato, ma il fuoco doveva essersi spento e lui aveva ceduto alla stanchezza. Il suo corpo vibrava profondamente della strana sensazione che l’aveva destato. C’era qualcosa che vibrava intorno alla grotta, un’emanazione del Lato Oscuro di una potenza che non aveva mai sperimentato prima. Il giovane Jedi non riusciva a stabilire quanto accurata potesse essere la sua percezione, confuso dai campi di energia del Kaidagan.
Poi realizzò di essere solo. Il giaciglio improvvisato con un mantello e una coperta all’altra estremità della grotta era vuoto.
Freneticamente Obi-Wan sondò la Forza per trovare quello che cercava. Corrugò la fronte: Ary era subito fuori dalla grotta, in mezzo alla piana e la sua mente... poteva percepire una grande lotta interiore e un irresistibile richiamo verso il lato Oscuro.
Il giovane balzò in piedi e fuori dalla grotta in un secondo. Ed eccola là, immobile nella piana. Intorno a lei il vento era cessato, ma lontano Obi-Wan vedeva ancora le dune di sabbia alzarsi e abbassarsi sotto il potente soffio. Perché intorno a loro due invece c’era quell’inquietante isola di calma?
La sua mente fu investita di nuovo da quelle vibrazioni: rabbia, sete di vendetta, desiderio di lotta e di morte. Tutto questo stava gridando il lontano richiamo... o forse era Ary? Spaventato da quel pensiero si avvicinò con cautela alle spalle della donna fino a quando non poté udire le sue parole. Non parlava con lui.
“Lasciami in pace. Lo so che sei tu, ora lo so. Fino a stamattina speravo di no. Speravo fosse quell’altro, il tuo ...Maestro, colui che ti manipola così bene. Siete in due, vi sento. C’è lui a guidarti; da solo non ce la faresti mai. Da solo non avresti mai potuto farcela. Sei vivo grazie a lui, vero? E’ questo che ti ha chiesto in cambio? Un’anima in cambio di un’anima... la mia anima. Non credevo saresti arrivato a questo, Shion.”
(Obi-Wan può avvertire un mutamento nell’aria intorno a lui; ora non è più così calma. Qualcosa nelle parole della ragazza ha spezzato l’equilibrio oscuro di quella cappa. Correnti burrascose di collera, di rabbia impotente, di antichi rimpianti prendono il sopravvento sul controllo ferreo finora mantenuto. E ora sente distintamente anche l’altra voce.)
“No! Tu non puoi capire. Cosa ne sai di quello che ho passato? È vero, sarei morto e questo nessuno lo sa meglio di te. Il giorno che fummo prima separati e poi abbandonati, io non potevo che crederti morta e pensavo di morire anch’io. È una colpa essere ancora vivi, su questo maledetto pianeta? Soli, liberi, fuori dal Gruppo che ha firmato la nostra condanna perché eravamo un pericolo per l’unità. Non senti mai odio, Ary? Non provi mai desiderio di vendetta, di rivincita? Ci hanno temuti per i nostri poteri, allora che sperimentino tutto quello di cui siamo capaci! Siamo forti, Ary e possiamo esserlo ancora di più. Tu non sai che possibilità può regalarti il Lato Oscuro, è così facile, naturale, la sua via. Non sarai mai più sola qui con me, con noi.’
Lei fremette per l’improvviso intensificarsi del richiamo, e così Obi-Wan, che percepì la mente della sua compagna perdersi, suo malgrado attirata irresistibilmente da quelle parole di promessa, da quel seducente inganno che riempiva il vuoto durato tutta una vita con un vuoto più abissale.
Non poteva permetterlo. Si rese conto con amara ironia del fatto che ancora una volta Yoda, il più anziano e saggio Jedi del Consiglio, aveva avuto ragione. Era arrivato il momento di affrontare il suo dolore, e quello di Ary.
Le si mise davanti, frapponendosi tra lei e la voce impaziente che ancora risuonava nella sua mente. Ary non diede segno di riconoscerlo, i suoi occhi scuri erano spalancati e fissi su un punto lontano. Parlarle in quel momento non sarebbe servito, realizzò Obi-Wan, c’era una sola cosa che egli poteva fare per lei: la sua mano si posò saldamente sulla spalla della donna, mentre la sua parola e i suoi pensieri scivolarono quietamente nella mente di lei.
‘Prima, nella grotta, non ho voluto rispondere alla tua domanda, ma hai sofferto già abbastanza senza sapere...’ Obi-Wan chiuse gli occhi, addentrandosi dentro se stesso, dentro i propri ricordi. Erano ancora lì, brucianti, dove li aveva lasciati; lasciò che si unissero ai pensieri di Ary, lasciò che anche lei ricordasse attraverso i suoi occhi.
 
Lei sentì la propria mente perdere consistenza, scivolare a ritroso nel tempo. Era sola quella notte, in ginocchio nel bosco, schiantata da una sensazione, da una sofferenza così soffocante da credere che non sarebbe più sopravvissuta.
E poi c’era Obi-Wan, ma il posto era cambiato. Intorno a lui non c’erano più gli alti alberi di Kanodian, ma altrettanto alte barriere elettriche, dalla lucentezza mortale. Al di là delle barriere... Ary aveva paura di guardare. Nonostante questo però sentì i propri occhi muoversi all’unisono con quelli di Obi-Wan.
C’era malvagità, odio e frenesia di morte nello sguardo dilatato di quegli occhi rossi. La calma, la sicurezza di Qui-Gon, la lunga esperienza e disciplina che avevano animato tutta la sua vita furono violentemente investite da quella carica primordiale, ma potente. Ary sentì chiaramente la lotta interiore, più forte e più spietata dei colpi di spada laser che vibravano senza posa.
La barriera di raggi laser si frapponeva inaccessibile fra loro, le stesse figure dei due duellanti risultavano distorte, ma a lei ormai non servivano più gli occhi per vedere, per sentire il suo Maestro, la sua stanchezza e una nuova, lacerante consapevolezza che lentamente lo stava sopraffacendo. Avrebbe perso.
Ciò nonostante non si fermò e continuò a combattere con la stessa serenità che aveva caratterizzato tutti i suoi duelli. E poi la lama rossa partì, con diabolica velocità e precisione, accompagnata dal grido disperato di Obi-Wan (o forse era stata lei stessa a gridare, chi poteva dirlo).
 
Ary si accasciò lentamente sulla sabbia rossa. Sentiva presso di sé il respiro breve e ansante di Obi-Wan, scivolato in ginocchio insieme a lei, i suoi occhi ora aperti la guardavano con un’immobilità tanto più terribile perché ora lei finalmente sapeva cosa c’era dietro quello sguardo, cos’è che Obi-Wan non smetteva di fissare da sei mesi da quella parte.
 
Aveva distolto lo sguardo incredulo, sconvolto, dalla visione di Qui-Gon che giaceva a terra, con le braccia aperte, per riportarlo sulla maschera infernale che si era fermata davanti a lui, subito al di là della barriera. E aveva assistito con rabbia impotente al suo sogghigno trionfante, alla gioia con cui aveva prontamente recuperato la guardia con la sua doppia spada. Il Sith stava godendo immensamente della costernazione del giovane Padawan, della facilità con cui aveva abbattuto il Maestro Jedi, ed era pronto a rifarlo. Il suo corpo quasi danzava dall’impazienza, non vedeva l’ora di rifarlo.
 
Darth Maul... il Sith, quello che ogni seguace del Lato Oscuro sogna di diventare, quello che Shion sognava di diventare. Quello che sarebbe potuta diventare anche lei. L’assassino di Qui-Gon.
Ary guardò Obi-Wan e i suoi occhi diventarono limpidi e freddi come il ghiaccio. Si rialzò e lo aiutò ad alzarsi insieme a lei, dicendogli semplicemente: “Ho capito. Non devi più ricordare per me.”
“NON CREDO SIA COSI’ FACILE, SCIOCCA.” gridò qualcuno dietro di loro.
 
7)
La voce si era improvvisamente intromessa tra di loro e non era quella di Shion. Ary vide Obi-Wan, che era rimasto scoperto dopo la dura prova appena sostenuta, crollare a terra, abbattuto da una scarica elettrica.
Smarrita, alzò lo sguardo e solo allora si rese conto che il vento era ripreso intorno a loro, tornando a disegnare arabeschi di sabbia e detriti nella luce scarsa dell’alba. Ma la cosa più grave era che questo aveva consentito a Lord Nantris e al suo discepolo un’avanzata silenziosa, di cui né lei né il cavaliere Jedi si erano accorti, se non quando ormai era troppo tardi.
Il Sith avvolto nel suo cappuccio nero aveva ancora le mani protese nell’atto di colpire Obi-Wan che, steso a terra, tentava di riprendere fiato. Lord Nantris contemplò dall’alto della duna su cui si trovava le sue prede, soddisfatto. Poi fece un semplice cenno e Shion si levò dal suo nascondiglio attaccando all’improvviso Ary con ferocia inaudita.
La donna ebbe appena il tempo di sfoderare la sua spada laser e parare a stento il primo colpo di quella di Shion, che vibrava di una bizzarra luce purpurea.
 
6)
Obi-Wan faticava a riprendersi, il colpo era stato molto forte, come doveva esserlo il suo avversario, era stato un grosso errore la loro distrazione. I colpi delle spade di Ary e di Shion si confondevano con quelli del ruggito costante del vento. Erano senza riparo in una terra che invece i loro nemici conoscevano alla perfezione; erano stati loro a forgiare la piana di Kaidagan, a mascherarla con vibrazioni così potenti da sconvolgere quasi l’assetto naturale del luogo. Il giovane Jedi si domandò come dovesse essere una volta quel luogo, se assomigliasse al resto del pianeta, se era lì che Ary e l’amico di un tempo avevano vissuto la loro infanzia.
Difficile credere ora che un posto del genere fosse stato abitato da bambini e famiglie.
Non poté riflettere oltre, Ary lo stava chiamando, lo avvertiva distintamente nella sua mente, era in difficoltà: chiunque fosse la persona che aveva lasciato indietro tanto tempo prima, l’uomo vestito di nero che l’aggrediva senza posa con colpi precisi e sferzanti, aveva fatto molta strada sulla via del Lato Oscuro, diventando forte e pericoloso.
Prima tuttavia che Obi-Wan potesse correre in suo aiuto, l’Altro, il maestro di Shion gli si parò davanti, senza fretta, quasi con noncuranza, ma il suo primo colpo fece quasi saltare la spada dalle mani ancora incerte del cavaliere Jedi.
‘Sempre due ce ne sono’ la frase del maestro Yoda risuonava assurdamente nella testa di Obi-Wan mentre si sforzava di tenere a debita distanza la figura incappucciata. Doveva continuare a tenere duro e sperare che Ary facesse altrettanto, ma i colpi che vibravano incalzanti alla sua sinistra non facevano presagire nulla di buono.
Ritrovando la propria concentrazione Obi-Wan tentò di comunicare ad Ary la propria calma, il profondo equilibrio interiore che ogni Jedi acquista nel momento supremo del pericolo. Era come se una corrente di energia e concentrazione si facesse strada pian piano nel vorticoso groviglio dei pensieri della donna, probabilmente al suo primo scontro diretto: il respiro di Ary divenne più regolare, i suoi colpi meno caotici e più efficaci. Qualcosa stava cambiando, realizzò Shion con disagio.
“Chi ti ha addestrata così?” domandò, incerto, tra un colpo e un altro.
“Ho avuto anch’io il mio maestro, che a differenza del tuo si è sempre preoccupato che non mi potesse capitare nulla e mi aveva preparata a questo giorno.” replicò tranquilla lei, senza perdere di vista il malefico laser color porpora.
“Davvero? Allora spero che ti abbia preparato anche a morire.” Una selva di colpi più potenti di prima avvolse la donna in un crepitio elettrico, ma per quanto si sforzasse, Shion di Kaidagan non riusciva a venire a capo della sua compagna di un tempo.
“Credo che dovresti essere tu quello a preoccuparti.” sorrise senza gioia Ary, che cominciava a vedere l’inesorabile fine di quel duello.
Pur ritrovandosi impegnato con tutte le sue forze, Shion fu comunque in grado di dare un’occhiata alla sua destra e sogghignò con espressione trionfante. “E tu? Che razza di Jedi saresti se non sei nemmeno in grado di aiutare un amico?” disse sarcastico, sottolineando con soddisfazione ogni parola.
In quel momento Ary lo sentì chiaramente: l’unione che Obi-Wan aveva stabilito con lei stava svanendo, lo sforzo che aveva aver fatto per comunicarle la propria calma ed energia doveva averlo indebolito e distratto dal suo contendente. La donna non poteva voltarsi a guardare, ma avvertì distintamente le ondate di odio e soddisfazione emanate dal Sith incappucciato che incalzava senza tregua il giovane Jedi.
Con uno sforzo supremo tentò di voltarsi per aiutarlo, ma Shion non aspettò altro e la sua spada laser risuonò con un crepitio secco mentre tornava alla carica. ‘Distogli la loro attenzione e separali’ questo gli aveva comunicato silenziosamente il suo maestro fin dall’inizio, ‘L’uomo che resta da solo è un facile bersaglio e nessuno lo sa meglio di te, Shion’. Bene, vuol dire che se non voleva morire, Ary avrebbe assistito alla fine del suo maestro; dopo, Shion non ne dubitava, non sarebbe stato difficile avere ragione di lei.
Per un attimo, solo per un attimo, un antico sentimento di rimorso e di rimpianto si affacciò nella mente ormai offuscata dall’oscurità dell’uomo, un curioso sguardo smarrito balenò come un lampo sul suo viso contratto dalla lotta, come se un vecchio amico vissuto tanto tempo prima lo stesse guardando da fuori, con sgomento e incredulità per quello che vedeva.
Ary se ne accorse, ma il pensiero di Obi-Wan occupava interamente la sua mente e la sua spada non si fermò, ansiosa di concludere.
 
*****
 
Attacco, difesa, contrattacco, nuova difesa, ogni volta con più difficoltà, ogni volta con un nuovo sussulto nelle braccia ormai stanche, nella mente aggredita come il corpo da quella rabbia cieca, che non lascia via di scampo.
Obi-Wan aveva già sperimentato tutto questo in passato, l’ultima volta sei mesi prima, attraverso la lotta di qualcun altro. Incredibile come la sensazione di sconfitta, la stanchezza bruciante, in definitiva fossero uguali: il pensiero della propria fine lo colse all’improvviso, ma senza eccessiva preoccupazione, tra un colpo e l’altro della lama dell’avversario. Non sapeva se era a causa della sabbia, o dei raggi del primo sole che stentavano a trovare una via in mezzo ai mortali giochi di luce di Kaidagan, ma la luce di quel laser diabolico sembrava cambiare costantemente colore, confondendo ulteriormente i suoi sensi sempre più intorbiditi.
Aveva lottato per se stesso e per quella strana donna che Qui-Gon aveva salvato dalle tenebre di Kanodian, e mai per un solo istante aveva pensato di ingannare entrambi. Gettò un’occhiata a sinistra, Ary stava poco a poco prendendo il sopravvento sull’avversario, la cui mente si era dimostrata così poco sicura del proprio destino: lo avrebbe sconfitto, ne era certo, ma non sapeva a quale prezzo e soprattutto non era sicuro che sarebbe vissuto abbastanza per vederla.
Un colpo più infido degli altri gli fece perdere contatto con la propria arma, riuscì a recuperarla solo all’ultimo minuto, trasformando l’errore in un fendente menato alla cieca, che gli ottenne solo qualche secondo in più di vantaggio.
La sua mente, ormai stanca, cominciò ad andare alla deriva, i colpi vibrati in risposta a quelli di Lord Nantris persero suono e significato, mentre un angolo distaccato della sua percezione sentiva distintamente l’ondata di trionfo del suo avversario, che poco a poco lo stringeva in una morsa sempre più serrata. Perfino i pensieri di Ary, sempre più allarmati per la sua sorte, gli giungevano sempre più distanti: ormai Obi-Wan aveva a malapena la forza di continuare a muoversi, con sempre più impaccio, la luce verde della sua spada balenava erratica e incerta in mezzo ai fasci potenti di quella del Sith.
Aveva combattuto abbastanza, aveva perduto amici e maestri, era stanco e tutto quello che voleva era solo lasciarsi andare; era giusto, era possibile...
 
‘Ne sei davvero convinto, mio Padawan? Sei così poco sicuro di te stesso da preferire un facile oblio alla sfida costante della vita?’
 
Quella voce... quel timbro profondo e rassicurante, l’aura inconfondibile di calma e di serenità: la mente di Obi-Wan vacillò in quella che non osava neanche chiamare speranza.
‘Maestro?’ sussurrò, supplicò con tutta l’energia che ancora gli rimaneva.
 
‘Sono qui, Obi-Wan, sono sempre stato qui, ma tu non eri ancora pronto per sentirmi e la mia voce non era ancora abbastanza forte per giungere fino a te. Qualcuno mi ha indicato la via’
 
Nella mente di Obi-Wan balenarono improvvise le visioni di Liann e Tran Jinn, dei tre anziani Jedi incontrati quella sera e quella del visetto fiducioso di Anakin, tutti raccolti in una stanza senza finestre, ma piena di luce.
‘Ti prego, lascia che ti veda anch’io... lascia che venga da te!’ gridò nella sua mente il giovane, combattendo non più contro la figura minacciosa e senza contorni di Lord Nantris, ma contro il vento di Kaidagan che sembrava voler soffocare la sua voce.
La percezione, la sensazione che aveva del suo maestro parve indebolirsi e offuscarsi leggermente.
 
‘Non è ancora tempo, Obi-Wan. Non lasciarti ingannare dalla tua confusione, non dimenticare che sei un cavaliere Jedi ora - la voce che era appartenuta a Qui-Gon Jinn si fece più seria, quasi severa- e non è una vita facile, non c’è ricompensa per i nostri sacrifici e la nostra solitudine. È la Forza a guidarci e grazie ad essa noi guidiamo chi ha bisogno di noi: guardati intorno, non sei solo come credi, Obi-Wan. Loro combattono e soffrono per te, sei sicuro di volerli abbandonare, ti ho mai abbandonato, mio Padawan?’
 
Fu la dolcezza e un antico rimpianto in quella voce a far voltare Obi-Wan in direzione di Ary, che non riusciva a correre in suo aiuto come avrebbe voluto, come un tempo lui non aveva potuto, mentre nella sua mente ancora una volta si stagliava vivido il ricordo dello sguardo smarrito di Anakin il giorno della partenza per Kaidagan.
Obi-Wan piegò la testa e le spalle in un impercettibile inchino, mentre alcune lacrime inconsapevoli gli scendevano lungo il volto. ‘Sì maestro. Farò ciò che devo.’
 
8)
Per la prima volta nella sua vita Lord Nantris era indeciso. Non riusciva sinceramente a capacitarsi di cosa potesse essere successo: un minuto prima li aveva avuti in pugno entrambi, Shion svolgeva egregiamente la sua parte e la ragazza sarebbe caduta rapidamente nelle loro mani. E poi, quelle strane parole, la rabbia imprevista del suo apprendista, il suo tentennamento nel concludere uno scontro che avrebbe dovuto vincere già da un pezzo. Aveva pensato di annientare facilmente un Jedi meno forte ed esperto di lui, ma ora, guardando l’improvvisa calma e sicurezza che aveva invaso la mente e il corpo del giovane davanti a lui, non ne fu più tanto sicuro.
C’era una nuova forza spropositata che muoveva la spada laser del suo avversario, realizzò incredulo il Sith, che all’improvviso vedeva molto ridimensionate le sue previsioni di vittoria.
Non sembrava che Shion fosse ormai in grado di vincere e d’altro canto lui non aveva il tempo di sperare che il Jedi davanti a lui si stancasse di nuovo per poterlo sconfiggere; il tempo giocava a loro sfavore. Gli ordini erano stati chiari e i Sith erano ferrei nei loro principi: i singoli sono sacrificabili, ma l’Ordine non morirà mai. Non c’era più tempo per le soddisfazioni personali. E tanto peggio per chi rimaneva indietro: solo i più forti sopravvivono.
Con un ringhio di frustrazione Nantris si sottrasse con un rapido balzo all’ultimo e più violento attacco di Obi-Wan, letteralmente svanendo alla sua vista, proprio mentre Shion scopriva una volta di troppo la sua guardia: fu questione di un attimo e la spada purpurea dell’apprendista Sith volò lontano, irraggiungibile.
Obi-Wan e Ary si guardarono stupiti quando, nella luce che il sole del mattino era riuscito finalmente ad insinuare nella piana, realizzarono che i loro avversari si erano improvvisamente ridotti ad uno, il cui sguardo ferito e tradito fu inequivocabile.
Ary lo guardò e a un tratto sentì tutto il suo odio e livore trasformarsi in profonda pietà. “Ecco la ricompensa per la tua lealtà, Shion. Ti ha abbandonato, non gli servi più.” Con un gesto stanco spense la propria spada, lasciandola cadere a terra. “Era questo che stavo tentando di dirti prima.”
Shion la guardò mentre una luce selvaggia gli illuminava gli occhi di uno sguardo indecifrabile. “No...” esclamò con una strana voce quieta, “Sei tu che non hai capito nulla, come potresti? Un Sith non conosce sconfitta, conosce solo odio, l’odio che conduce al potere. Lord Nantris non mi ha abbandonato, non esiste abbandono, solo disprezzo per i deboli. Non c’è posto per loro, da nessuna parte... non c’è posto per me.”
E smentendo la tranquillità con cui aveva pronunciato quelle parole, si impadronì di scatto della spada di Ary, troppo rapidamente perché lei o Obi-Wan potessero reagire in tempo. Il grido di angoscia di Ary suonò alle sue orecchie come l’ultima ricompensa mentre rivolgeva il laser verde contro di sé.
“Non esiste... la morte, esiste solo... l’immortalità” lo udirono ancora mormorare prima che il suo corpo si abbattesse a terra, senza vita. Il credo dei Sith, la sua unica fede.
Fu Obi-Wan ad estrarre con delicatezza la spada dal corpo esanime del Sith, quando si voltò verso Ary scoprì che si era allontanata, i suoi passi risuonavano stranamente nella piana di Kaidagan, dove anche il vento si era improvvisamente zittito.
Il cavaliere Jedi non tentò di seguirla, mentre guardava la sua figura solitaria allontanarsi. Dentro di sé, sì lo sentiva chiaramente, c’era chi poteva consolarla meglio di lui.
 
*****
 
Si inginocchiò lentamente nella sabbia rossa e chiuse gli occhi, recuperando le forze e ristabilendo il contatto con la Forza vivente, che aveva escluso da mesi.
Ci sarebbe stato tempo più tardi per le parole, il cordoglio e la quieta esperienza di una nuova vittoria, di un ostacolo in più superato. In lui finalmente tutto era in pace, il dolore come la gioia trovavano un nome e un posto nuovo nel suo cuore e nella sua anima. Non meditava più per sé, meditava per Ary, per l’infelice kanodiano che aveva preferito un’illusione di vita alla vita stessa, un errore che si poteva commettere con così terribile facilità.
Per un momento Obi-Wan ebbe paura, temette che Ary potesse prendere la stessa via, ma quando finalmente riaprì gli occhi, sondando con attenzione la Forza, la voce, le voci che udì lo rassicurarono.
 
‘Non temere, Ary, non tutto è perduto per Shion. Nessuno può sapere a cosa abbia veramente creduto in quegli ultimi istanti della sua vita.’
 
‘Vorrei che fosse così, Qui-Gon.’
 
Un mezzo sorriso, una tonalità quasi divertita nella sua voce. ‘Se non credi a me, credi almeno nella Forza, mia Padawan.’
 
Impossibile resistere, Ary si ritrovò a sorridere, prima piano, poi con maggiore convinzione. ‘È una strada lunga, vero Qui-Gon?’
 
‘Senza rimpianti, senza rimorsi. Ma ci sarò io a percorrerla con te, Ary. Per sempre.’

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