Rivelami un segreto

di Faffina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Non hai mai paura? ***
Capitolo 3: *** Cambiamenti ***
Capitolo 4: *** Nostalgia di casa ***
Capitolo 5: *** Dimmi la verità ***
Capitolo 6: *** Lasciarsi andare ***
Capitolo 7: *** Paura ***
Capitolo 8: *** Una lunga notte ***
Capitolo 9: *** Di nuovo insieme ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***


Capitolo 1

Un nuovo inizio

 


I'm a puzzle, I must figure out where all my pieces fit
Like a poor wayfaring stranger that they speak about in song
I'm just a weary pilgrim trying to find what feels like home

Travelin' Thru di Dolly Parton

 

 

Non riusciva ancora a capacitarsi di averlo fatto veramente. La mano di Daniel tremò leggermente quando caricò la valigia nella reticella sopra la sua testa. Lui e Scott avevano lasciato Pittsburgh da ore, ma l'incredulità e l'euforia non si erano ancora attenuate del tutto.

Dan sbatté la porta dello scompartimento, chiudendo fuori la confusione e l'odore di caffè del carrello delle vivande. Si abbandonò contro lo schienale e chiuse gli occhi, erano solo le undici del mattino ma era già esausto.

Sentì il peso di Scott depositarsi con poca grazia nel sedile accanto, sollevando l'odore di polvere e sudore tipico dei treni.

«Quando scenderemo da qui saremo dei cittadini di New York» lo sentì dire. Pur con gli occhi chiusi poteva percepire nella sua voce la stessa felicità incredula che lo animava da quella mattina. Lui e Scott erano migliori amici da quando andavano all'asilo, era a casa sua che l'amico veniva a rifugiarsi quando il padre perdeva le staffe e sfogava la rabbia su suo figlio. Dan non ricordava nemmeno tutte le volte che aveva srotolato il sacco a pelo e gonfiato il materassino da campeggio ai piedi del suo letto. Tutte le volte che aveva fatto finta di dormire mentre Scott piangeva. Sapeva che si sarebbe sentito umiliato, se gli avesse rivelato di averlo sentito.

Entrambi non avevano mai lasciato lo stato. Ai genitori di Dan, fin troppo iperprotettivi nei confronti del figlio, era venuto un colpo quando gli aveva rivelato il progetto di trasferirsi a New York. Aveva deciso di metterli di fronte al fatto compiuto: una volta trovato un appartamento e pagato i primi mesi di affitto non avrebbero più potuto impedirglielo. E così era stato.

Avevano temuto che non avrebbero mai potuto permettersi una casa a New York, finché non avevano trovato l'annuncio su internet. Un ragazzo che si era presentato come Gabriel cercava due coinquilini con cui dividere le spese. Una somma ridicola, in confronto a quella richiesta dagli altri annunci. Non c'erano foto della casa, che dalla descrizione prometteva di essere “grande abbastanza per non pestarsi i piedi” e “vicina a tutto ciò che potresti desiderare a New York”, ma avevano accettato al volo, era la loro unica possibilità di andarsene, se avesse avuto un tetto e un bagno sarebbe stato più che sufficiente.

La porta scorrevole dello scompartimento si aprì di nuovo sotto la spinta di una ragazza dai capelli scuri che si trascinava dietro un enorme zaino da campeggio.

Aveva lineamenti delicati ed una bocca piccola e carnosa, completata da due occhi azzurri e brillanti seminascosti tra i ciuffi di un disordinato taglio corto che le dava un'aria da ragazzo.

Dan si sentì arrossire, quando la ragazza lo sfiorò per issare il suo zaino accanto ai loro. Si precipitò a darle una mano, unendo le sue braccia a quelle di lei e riuscendo a far stare lo zaino al suo posto.

Portava una informe felpa blu e dei jeans stretti fasciavano il suo corpo snello quasi privo di forme. Avrebbe potuto passare per un elfo, o un folletto, con quelle movenze eleganti e il naso all'insù.

Quando sorrise il cuore di Dan sussultò. «Grazie, io sono Ely.»

«Piacere, Daniel.» Si presentò a sua volta e tirò una gomitata a Scott perché facesse lo stesso. L'amico era rimasto a fissarli senza fiatare.

Dopo due ore Dan aveva scoperto che la ragazza era originaria di Philadelphia, che aveva due gatti, una famiglia incasinata e che ascoltavano la stessa musica. Gli piaceva starla a sentire, aveva una voce piacevole, musicale ed un po' roca, che le conferiva un certo fascino.

Scott si era addormentato, con la testa contro il finestrino e i capelli scuri sugli occhi.

«E' taciturno, il tuo amico.» Rise Ely, accennando con il mento al ragazzo.

«E' solo timido.» Lo giustificò Dan. Le cose tra loro erano sempre andate in quel modo. Dan lo aveva sempre protetto. Scott sarebbe stato in grado di cavarsela da solo, probabilmente, ma con la sua timidezza stimolava in lui un istinto di protezione che non provava nei confronti di nessun altro. Dan sapeva di essere il suo unico amico.

Quello era il loro viaggio verso il futuro, il loro sogno. Lo progettavano da anni all'insaputa dei genitori. Per Dan significava libertà, mentre Scott non sarebbe più stato costretto a portare le maniche lunghe per nascondere i lividi.

Le raccontò la loro idea di diventare indipendenti, guardandola negli occhi che si accendevano di entusiasmo ad ogni sua battuta e provando il desiderio di toccarla.

«E tu dove vivrai?» chiese, un po' per distrarsi, un po' per scoprire se avrebbe avuto la possibilità di rivederla.

Ely scosse la testa, pensierosa. «In un Bed and Breakfast, almeno per il momento. Quando troverò lavoro mi trasferirò in un monolocale. Il mio sogno è iscrivermi all'accademia d'arte.»

Un nodo strinse lo stomaco di Dan quando vide i binari oltre il finestrino moltiplicarsi, chiaro segno che si stavano avvicinando alla stazione ed alla fine del viaggio.

Svegliò Scott che mormorò alcune parole sconnesse e si raddrizzò massaggiandosi il collo. Recuperarono le valigie in un silenzio teso e si affrettarono a scendere dal treno.

Fu solo quando si ritrovarono sulla strada, e Scott aveva già fermato un taxi, che trovò il coraggio di chiederle «Ti va di venire a stare da noi per qualche giorno? Il nostro coinquilino arriverà solo fra qualche giorno.»

Incrociò per un attimo lo sguardo di Scott, prima che questi lo fissasse con ostinazione a terra. Fu solo un istante, ma sufficiente a leggervi un dolore più grande di quanto si sarebbe aspettato.

Ely accettò sorridendo, senza lasciargli il tempo di chiedersi se avesse fatto un errore.

 

* * *

 

Il viaggio in macchina fino all'appartamento fu silenzioso, il contrario di quanto Dan si sarebbe augurato. La loro prima sera a New York doveva essere speciale, doveva trovare il modo per far passare il malumore a Scott e fargli accettare la presenza di Ely. In fondo sarebbero stati solo pochi giorni, tra meno di una settimana Gabriel sarebbe arrivato e avrebbero dovuto far sparire ogni traccia del passaggio di Ely.

L'edificio corrispondente al numero che si erano segnati era vecchio ma non brutto, aveva uno stile particolare, con grandi finestre e un totale di tre piani. Salirono fino al terzo e recuperarono la chiave sotto lo serbino, esattamente dove avrebbe dovuto essere. Scott sembrò riscuotersi dall'apatia nel momento in cui sentì il rumore della chiave girare nella serratura, in fondo quella sarebbe stata la sua casa per un tempo che, sperava, fosse il più lungo possibile. Afferrò inconsciamente il braccio di Dan e varcarono la soglia insieme.

Nella luce proveniente dalle scale distinsero un grande salotto dal lucido pavimento di granito, con un divano ad angolo e due poltrone. Una porta ad arco conduceva in quella che sembrava una cucina, mentre sul lato opposto partiva un corridoio con quattro porte chiuse.

Dan si sentì girare la testa. Casa. E che casa, per la miseria! Non si spiegavano come mai Gabriel l'avesse affittata ad un prezzo così basso, ma questo gli aveva permesso di vivere a New York, ed era più che sufficiente. Accesero le luci e abbandonarono i bagagli sul tappeto del salotto, curiosi di vedere il resto. Le quattro porte del corridoio portavano rispettivamente a tre stanze da letto e ad uno spazioso bagno. Ad una delle porte era appeso con lo scotch un foglio. Una grafia disordinata diceva "Questa è la MIA stanza. Qui NON potete entrare. Per il resto BENVENUTI!"

Dan ignorò l'avvertimento e spinse la maniglia; la stanza era completamente diversa dal resto della casa, era disordinata e ingombra di oggetti, con le pareti dipinte di azzurro coperte di fotografie. Paesaggi: tramonti e montagne soprattutto, in alcune compariva un bel ragazzo abbronzato e sorridente impegnato in diverse attività. Gabriel probabilmente. Gabriel a cavallo, sugli sci, su una moto d'acqua, perfino seduto sulla schiena di un elefante. Sicuramente quel ragazzo aveva viaggiato, dall'espressione euforica che si intravedeva nei suoi occhi verdi, attraverso la maschera da paracadutismo, sembrava non avesse paura di niente.

«Wow.» sentì esclamare alle sue spalle, Ely li aveva seguiti e stava osservando le fotografie a bocca aperta. «Ma non ha amici? Una ragazza?»

Effettivamente in quel centinaio di foto Gabriel era sempre solo, non si vedevano altri volti «Una famiglia?» le fece eco Scott.

«Forse è un tipo solitario.» li interruppe Dan, spingendoli fuori dalla stanza e spegnendo la luce. Qualunque fosse stato il motivo, non li riguardava.

Le altre due camere erano praticamente identiche, un letto, una moderna scrivania ed un armadio. Sembravano le stanze di un dormitorio, o di un albergo. Essenziali. Ma la mancanza di lusso era ampiamente compensata dal resto della casa e dal bagno, dotato sia di vasca che di doccia.

Nel frattempo si era fatta sera, ordinarono la cena chiamando il numero segnato su un post-it attaccato al frigo, che riportava la scritta PIZZA e non rimasero delusi: Gabriel aveva buon gusto, almeno in fatto di cibo. E di musica, o almeno così scoprirono dopo che Ely fece partire per sbaglio la riproduzione casuale del grande impianto stereo in un angolo.

Nell'aria si levò la voce limpida di una donna e le note di una chitarra. Era una canzone che sapeva di timore, di speranze e della scoperta di sé stessi.

Straordinariamente adatta al loro viaggio, alla loro serata, e probabilmente anche a Gabriel, se fosse stato lì con loro.

 

Well I can't tell you where I'm going, I'm not sure of where I've been
But I know I must keep travelin' till my road comes to an end
I'm out here on my journey, trying to make the most of it
I'm a puzzle, I must figure out where all my pieces fit
Like a poor wayfaring stranger that they speak about in song
I'm just a weary pilgrim trying to find what feels like home...

 

Quando Dan alzò lo sguardo, Scott aveva le lacrime agli occhi. Abbassò il viso sulla sua pizza per nasconderle, avrebbe potuto ingannare Ely, ma Dan lo conosceva troppo bene. Un posto in cui sentirsi a casa. Non era ciò che cercavano tutti?

 

* * *

Più tardi, quella sera, Dan ed Ely si ritrovarono in cucina per la prima volta soli. Soli e con la scorta di alcolici di Gabriel a disposizione, a cui era evidentemente riservato un intero scomparto del mobile. La birra gli faceva sentire la testa leggera e anche la stanchezza del giorno di viaggio si era dileguata, tanto da portarlo a ridere per ogni sciocchezza. Chi aveva detto che la risata era la distanza più breve tra due persone? Beh, in ogni caso aveva ragione, Ely era lì ad un passo da lui, con una mano premuta sulla bocca per soffocare le risate, era così vicina. Le prese la mano, scoprendo un sorriso, e si avvicinò ancora un po', bastò quello a cancellare ogni traccia di felicità dal suo volto.
Ely indietreggiò, scostandosi. «Dan, non... Tu pensi davvero che?» Ely farfugliò poche parole sconnesse e si appoggiò al bancone «Speravo così tanto di sbagliarmi.» Mormorò nascondendo il viso tra le mani, mentre i ciuffi di capelli neri e lisci scendevano a coprirle gli occhi. Quando rialzò la testa la sua espressione era più calma, ma tutta l'allegria era sparita. Afferrò un pezzo di carta e vi scrisse qualcosa in fretta, Dan la rincorse quando tornò in salotto e afferrò il suo zaino. «Aspetta, Ely! Dove vai?» la seguì fino alla porta d'ingresso, già spalancata.
Ely si fermò e lo fissò negli occhi, era solo leggermente più bassa di lui. «Mi dispiace di non corrispondere alle tue aspettative.» la sentì sussurrare. Cosa aveva fatto? Perché tutto ad un tratto aveva reagito così? Dan la prese per un polso, confuso.
Ely si alzò sulle punte dei piedi e posò dolcemente le labbra sulle sue, mentre afferrava la mano di Dan e se la premeva contro l'inguine.
Dan rimase un attimo senza fiato. Non poteva essere, non poteva aver commesso un simile errore. Ely gli spinse un foglietto in mano e corse giù per le scale senza voltarsi indietro.
Gettò uno sguardo stralunato al foglietto. Un numero di cellulare. Ed un nome, Elijah.

 

 

 

 

______________________________

* Angolo dell'Autrice *
 

Ehilà! Per chi non mi conoscesse (molti) sono Faf, è la mia prima long originale. Chi mi conosce (pochi) sa che fino ad ora ho scritto quasi solo fanfiction.
Era ora di volare con le mie ali (?). Iniziare e finire questa storia sarà un impegno anche con me stessa, oltre che con voi. Ma passiamo alla storia.
Diciamo che questo capitolo è una specie di prologo, che ancora non avete conosciuto nè Gabriel, nè Kyle. Poi il nostro cast sarà al completo (forse :) Questa storia si scrive praticamente da sola (è da tanto che non mi cimentavo in una long, avevo dimenticato la sensazione dei personaggi che ti sfuggono di mano e prendono il comando ^^). In ogni caso non sarà una fanfiction porno/slash e nemmeno porno/het. Non sarà porno e basta, infatti il rating è arancione. Ci sarà del sesso, ma ci sarà anche una trama... Soprattutto ci sarà una trama! E dei personaggi che spero conquisteranno la vostra simpatia (ed anche la mia), non mi andava di puntare tutto sul rating rosso per attirare l'attenzione. :)
Se capita di sentirne la necessità posso sempre scrivere delle OS a parte con il rating rosso e i pg in questione :)
Vi chiedo solo di dare una possibilità a questa storia. :)
Una recensione mi farebbe tanto piacere, come a tutti del resto ^^. Se avete delle critiche costruttive sono ben accette! ^^

La canzone di cui vi cito alcune strofe sia all'inizio che a metà è la bellissima "Travelin' Thru" di Dolly Parton, dal film Transamerica, splendido film, se non l'avete visto ve lo consiglio!

Come sempre per qualsiasi cosa mi trovate su facebook: Faffina Efp.

Grazie a tutti per aver letto!

Faf

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Capitolo 2
*** Non hai mai paura? ***


Capitolo 2

Non hai mai paura?

 

 

I'm not frightened of dying, anytime will do, I don't mind.
Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it, you gotta go sometime.

The Great Gig in the Sky - Pink Floyd

 

 

Dan restò per un attimo sulle scale, perso nel suo stordimento. Era notte fonda e aveva mandato Ely, o Elijah, o come cavolo si chiamava, in giro per una città che non conosceva. Ripensò alla sua espressione gentile, a quei lineamenti delicati e venne assalito di nuovo dal senso di nausea. Come aveva potuto essere così cieco? Il rumore del portone che si chiudeva lo riportò alla realtà. Merda.
Mettendo da parte l'orgoglio e l'imbarazzo, e contemporaneamente maledicendosi, corse per le scale fino a raggiungere la strada buia. Afferrò il braccio di Ely un attimo prima che svoltasse l'angolo.
«A... Aspetta!» ansimò. «E' tardi per cercare un Bed and Breakfast, puoi restare, per stanotte.»
La tensione nel volto di Ely si allentò un po’, dopo un attimo di esitazione accettò l'offerta per la seconda volta quel giorno. «Va bene. Se va bene anche per te.»
Dan non lo sapeva se per lui andava bene, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Finalmente ruppe il silenzio imbarazzato che si era creato e si decise a chiedere «Quindi, riguardo al nostro equivoco. Ehm… tu sei... un ragazzo?» si sentì arrossire nel pronunciare quelle parole, lui che non arrossiva mai e che si divertiva a prendere in giro Scott quando gli succedeva.
Ely annuì mesto. «Già. Non ho mai cercato di sembrare qualcos'altro. Questo è ciò che sono. Mi dispiace che tu abbia frainteso.» Per la prima volta si fissarono e Dan rimase sorpreso di leggere nei suoi occhi uno sconforto ed una delusione pari almeno alla sua. Con una stretta al petto pensò che forse anche Ely si era illuso per qualche ora. Anche lui aveva percepito l'intesa immediata che c'era stata tra loro e si era concesso di sperare.
«Lo so, mi dispiace, ricominciamo da capo, ok?» mormorò Dan cercando di ignorare i sentimenti contrastanti di delusione ed ammirazione che ancora lo prendevano quando posava gli occhi sul suo viso.
Dopo un attimo di esitazione Ely gli prese la mano e la strinse.

 

* * *


Erano circa le sette del mattino quando un suono acuto interruppe il sonno di Scott. Telefono. Avrebbe sicuramente risposto sua madre, si girò sulla pancia senza darsi la pena di aprire gli occhi. Probabilmente fu la suoneria diversa da quella a cui era abituato o l'odore di pulito delle lenzuola nuove a fargli riprendere contatto con la realtà. Non era a casa, non c'era nessuna madre. E quel telefono non era il loro. Il trillo continuò con insistenza e Scott si diresse in corridoio lanciando un'occhiata alla porta chiusa di Dan da cui non proveniva nessun suono, aveva sempre avuto il sonno pesante.
Il telefono era dove lo ricordava: un apparecchio di foggia antiquata che si intravedeva appeso alla parete della cucina.
Attraversò il soggiorno scorgendo la sagoma immobile di Ely sul divano, tra mucchi di coperte. A quanto pare Dan non era l'unico ad avere il sonno pesante. Quel volto addormentato, con le labbra infantili socchiuse, le ciglia lunghe e i lineamenti ingentiliti dal sonno emanava un’aura di dolcezza quasi angelica. Con una punta di tristezza capì cosa ci trovasse Dan di così speciale. Si chiuse delicatamente la porta della cucina alle spalle e sollevò la cornetta.
«Pronto?» Mormorò esitante schiarendosi la gola. Sperò che il suo tono non sembrasse quello di qualcuno che era stato svegliato bruscamente dallo squillo del telefono.
Dall'altra parte del filo una voce femminile chiese «Abita lì signor Cooper? Gabriel Cooper.»
Scott si appoggiò alla parete «Sì, ma al momento non c'è. Tornerà tra qualche giorno.» E così si era trascinato giù dal letto solo per dire a un'ammiratrice di Gabriel che lui non c'era? La donna dall'altra parte sospirò e disse «Non credo proprio, Gabriel è in ospedale, è ricoverato al Presbyterian. Sono un'infermiera.»
Per un attimo a Scott si ghiacciò il sangue nelle vene ed il senso di déjà-vu sembro soffocarlo, respira, si disse, non conosceva neanche quel ragazzo, non l'aveva nemmeno mai visto, non poteva farsi prendere dal panico. «Che cosa gli è successo?» chiese in un sussurro.
«Ha avuto un incidente, ma preferirei parlargliene di persona. E' da ieri che provo a chiamare, ma non risponde nessuno e non aveva con sé nessun numero della sua famiglia. A proposito, lei chi è?» chiese l'infermiera.
«Io sono... sono un amico. Viviamo insieme. Cioè, siamo coinquilini.» Balbettò arrossendo, ma la donna sembrò non far caso al suo imbarazzo, gli diede l'indirizzo dell'ospedale e si raccomandò di portare qualche cambio di vestiti per il ricoverato.
Quando riappese, Scott si accorse di avere il respiro un po' accelerato, non gli aveva voluto dire nulla sulle sue condizioni, ma almeno era vivo. Ancora incredulo andò a svegliare Dan che si agitò nel letto per due minuti buoni prima di aprire gli occhi. Non aveva perso la sua abitudine di scalciare nel sonno. Quando erano a Pittsburgh gli era capitato di addormentarsi nello stesso letto, guardando la tv, ed ogni volta era stato svegliato dai calci di Dan. Un senso familiare di calore gli invase lo stomaco al pensiero di quelle serate; nonostante non riuscissero mai a scegliere un film che piacesse a entrambi non si erano mai annoiati. Bastava la vicinanza di Dan a scacciare i suoi incubi. Per un attimo ebbe voglia di rifugiarsi di nuovo sotto le coperte come un tempo, dimenticando l'angosciante telefonata. Ma poi gli tornarono in mente le parole dell'infermiera: non avevano trovato nessun numero da chiamare oltre a quello. Niente genitori, niente amici, niente ragazza. Proprio come nelle foto.
«Dan, sveglia amico, abbiamo un problema. Anzi, Gabriel ha un problema.»

Mentre facevano colazione con l'unica cosa commestibile presente in casa, le fette di pizza avanzata scaldata al microonde, Scott raccontò l'intera telefonata a Dan ed Ely. Decisero che loro due sarebbero andati all'ospedale, mentre Ely avrebbe iniziato a cercare un lavoro.
Prima di uscire rientrarono nella zona off limits, la camera di Gabriel, e scovarono un borsone da viaggio in un angolo. Vestiti in quantità erano ammucchiati sul letto, sulle sedie e persino sul pavimento, ma anche l'armadio era altrettanto pieno ed incasinato tanto da non sapere dove mettere le mani. Scott afferrò una manciata di magliette e le ficcò nella sacca cercando di non guardare il ragazzo che gli sorrideva dalle foto. Cosa gli era successo? Si sarebbe ripreso? Due paia di jeans e un pigiama in stile orientale raggiunsero le magliette.
Sul muro, seminascosto dalle foto, c’era un cartoncino azzurro scritto a mano in una calligrafia fluida ed ordinata.
 

Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it, you gotta go sometime.

 

Perché avere paura della morte? Prima o poi te ne devi andare. Era un modo coraggioso di vedere la vita, pensò Scott, anche se un po’ inquietante. Ed ironicamente azzeccato rispetto al contesto. 

«Scott, hai fatto? Ho già chiamato il taxi.» Gli chiese Dan dalla porta scuotendolo dalle sue fantasticherie.
«Serve qualcosa di pesante.» Rispose. L'autunno a New York poteva essere freddo. Si accorse che nell'armadio mancavano completamente i vestiti pesanti. «Niente felpe, niente maglioni, niente cappotti. Sembra il guardaroba di qualcuno che vive ai tropici. Non ha mai passato un inverno in città?» mormorò.

Dan sparì in camera sua e ritornò dopo un attimo con un maglione blu che Scott conosceva, lo avevano comprato insieme dopo una mattinata passata a mangiare pop corn innaffiati di cioccolato fuso. Era incredibile come anche solo i vestiti di Dan gli riportassero alla mente immagini e ricordi. Si chiese se ci fosse qualcosa di lui, di loro che avesse dimenticato. Qualche dettaglio insignificante che era stato cancellato dalla memoria. Probabilmente no. Non c’erano mai stati dettagli insignificanti.
Aggiunse il maglione, che ancora sapeva di Dan, e lo spazzolino verde che aveva trovato nel bicchiere in bagno. Diedero appuntamento ad Ely per pranzo in un caffè che avevano visto il giorno prima e presero il taxi per l'ospedale.
Dan era taciturno e pensieroso, assorto dal panorama che sfilava oltre il finestrino, che fosse preoccupato per la sorte di Gabriel? Era sempre stato un tipo sensibile e altruista, ma lo conosceva abbastanza per immaginare che ci fosse dell'altro. Forse era già stato rifiutato da Ely. Aveva notato che i loro rapporti si erano un po' raffreddati rispetto al giorno prima.
Quasi in risposta ai suoi pensieri Dan si sfregò gli occhi stanchi e si voltò verso di lui. «Hai presente Ely?» Indovinato. Scott lo fissò in silenzio ed alzò le sopracciglia in attesa che continuasse.
«Ieri abbiamo avuto, come dire, un incontro ravvicinato.» proseguì. Sembrava in imbarazzo. Adesso era veramente curioso.
Dan abbassò la voce per non farsi sentire dal tassista «Lei... Cioè lui... Scommetto che sarà una sorpresa anche per te... Oh, cazzo, Ely è un ragazzo.» Balbettò, arrossì e poi lo buttò fuori tutto d'un fiato, come per togliersi un peso. Scott sgranò gli occhi incredulo. Aveva sentito bene? Effettivamente non aveva nulla di tipicamente femminile nell’aspetto. Erano stati i modi di fare aggraziati e la dolcezza che lo caratterizzava ad ingannarli. Bastava guardare la faccia di Dan per capire che non scherzava e che non trovava la cosa affatto divertente. Scott iniziò a ridacchiare senza riuscire a trattenersi, guadagnandosi un'occhiataccia.
«Si chiama Elijah.» borbottò Dan risentito. Questo scatenò altre risate da parte di Scott che ormai aveva le lacrime agli occhi. Adesso capiva perché l'amico non aveva mai avuto una ragazza. Non era in grado di distinguerle dai ragazzi. Si trattenne dal dirglielo sapendo che era un tasto delicato, ma avrebbe sfidato chiunque a non trovare comica la situazione.
La loro nuova vita a New York era iniziata in maniera tutt'altro che prevedibile, impossibile credere che fossero lì da meno di ventiquattro ore. Il pensiero di Gabriel raffreddò un po' la sua allegria, ma ormai erano in vista dell'ospedale e a breve l'avrebbero incontrato. L'infermiera aveva detto che aveva avuto un incidente senza specificare di che tipo. Si sarebbe aspettato un incidente di paracadutismo o qualcosa di simile, anche se in centro a New York era un po' improbabile.

L'interno del Presbyterian era simile a mille altri ospedali. Pali delle flebo trascinati in giro da uomini in vestaglia e pantofole e carrozzine cigolanti che si muovevano lentamente per i corridoi. Lo sguardo di Scott si soffermò sui volti emaciati, sulle braccia costellate dai lividi degli aghi. Scott non odiava gli ospedali, gli facevano solo paura, paura che un giorno avrebbe potuto ritrovarsi a fissare il soffitto di una di quelle stanze, con le stesse pantofole e gli stessi aghi. Sentì la mano di Dan stringergli una spalla e si accorse di avere il respiro affannato, incrociò il suo sguardo preoccupato e si sforzò di sorridere.
Erano giunti al reparto e Dan individuò un'infermiera giovane dall'aria gentile. La ragazza li accolse sorridendo, sul petto aveva appuntato un cartellino con il nome: Gill Smith. Era l'infermiera che Scott aveva sentito al telefono. «Sono felice che ci sia qualcuno con quel ragazzo, mi dispiaceva vederlo solo.» mormorò. «Ormai è fuori pericolo, ma se l'è vista brutta. Un automobilista l'ha investito e ha continuato senza nemmeno fermarsi. Credo stesse tornando dalle vacanze, perché quando l'hanno trovato aveva in spalla uno zaino da campeggio.»
Erano arrivati davanti alla stanza di Gabriel ed ancora non sapevano cosa aspettarsi, attraverso la porta aperta si intravedeva una stanza singola, un letto dalle lenzuola bianche tenute sollevate da un archetto. «Ha una gamba rotta, un bel po' di lividi e una commozione cerebrale. L'abbiamo dovuto operare alla gamba, è ancora sotto sedativi, ma credo che tra poco si sveglierà.» Li informò la ragazza. La mano appoggiata sul copriletto si mosse leggermente, quasi a voler confermare le sue parole e poi ricadde immobile.
L'infermiera li accompagnò nella stanza, probabilmente non c'era nient'altro che potesse dire per prepararli. Sul letto con le sponde, vicino alla finestra, una figura giaceva immobile. Scott si avvicinò per vederlo meglio, cercando di riconoscere in lui il ragazzo delle foto. Se si concentrava sulla parte sana del suo volto riusciva quasi ad immaginarlo. Sotto l'abbronzatura e i lividi appariva terribilmente pallido, aveva la fronte fasciata, uno zigomo gonfio e tumefatto e una ferita suturata sul sopracciglio. Sotto le coperte si indovinava la forma di un gesso. Almeno aveva ancora tutte e due le gambe.
«Si rimetterà completamente?» chiese Scott, mentre Gill sostituiva la flebo.
«Il dottore è ottimista. L'operazione alla gamba è andata bene e le cicatrici spariranno quasi del tutto. Vi lascio un po' soli con lui.» Gli indicò il campanello da suonare in caso di bisogno e se ne andò facendo dondolare la lunga coda di capelli biondi.
Rimasti soli Dan e Scott si guardarono incerti, erano venuti solo a portargli le sue cose e a sentire come stava, ma l'espressione sollevata dell'infermiera quando li aveva visti arrivare gli impediva di andarsene. Scott si voltò di nuovo verso il ragazzo disteso sul letto. «Ehi, Gabriel, se puoi sentirci, siamo i tuoi nuovi coinquilini, piacere di conoscerti.» si schiarì la voce, cercando il sostegno di Dan.
«Esatto, e farai bene a riprenderti in fretta se non vuoi che ti distruggiamo l'appartamento.» aggiunse l'amico.
Il viso di Gabriel era sempre immobile, ma l'infermiera aveva detto che era solo questione di tempo prima che si risvegliasse. Tempo che però sembrava non trascorrere mai. Scott prese ad aggirarsi nervosamente per la stanza, i suoni provenienti dal corridoio lo mettevano a disagio. Impallidì quando sentì un verso soffocato provenire dalla camera accanto. Dolore. Anche senza parole riuscivi sempre a riconoscerlo.
Guardò l'inconfondibile scenario di New York fuori dalla finestra, quella città sembrava sempre frenetica, anche a quell'ora del mattino. C'era quasi da sentirsi in colpa a starsene con le mani in mano.
Il cielo, prima azzurro, si stava lentamente coprendo, Dan seguì il suo sguardo e disse «Forse faremmo meglio ad andare, prima che piova.»
Scott tirò un sospiro di sollievo ed annuì, voltandosi per l'ultima volta verso Gabriel, che ora aveva un'espressione come di chi stesse facendo un brutto sogno.

Gill li raggiunse quasi correndo, mentre lasciavano il reparto, con gli zoccoli di gomma che risuonavano sul linoleum. «Ha aperto gli occhi!» Esclamò sorridendo sollevata. Scott la seguì nella stanza, nonostante si sentisse a disagio all'idea di conoscere qualcuno in quel modo. Forse avrebbero dovuto lasciargli il tempo di riprendersi.
Gabriel era nella stessa posizione in cui l'avevano lasciato e fissava il soffitto con occhi annebbiati. Mosse le labbra ma non ne uscì alcun suono, al secondo tentativo emise un gemito e la fronte si contrasse. Probabilmente stava soffrendo. Gill gli prese la mano e con parole rassicuranti gli spiegò dov'era. «Hai una gamba rotta, tesoro. Sei stato operato, se senti dolore stringimi la mano.» Le dita di Gabriel si chiusero intorno a quelle dell'infermiera. «Ok, non così forte! Ho capito, ti porto subito qualcosa.» e sparì nel corridoio.
Lo sguardo di Gabriel si posò su di loro, muti e immobili di fianco al letto, ed aggrottò le sopracciglia. «Chi siete?» mormorò con voce roca.
«Siamo i tuoi coinquilini, io sono Scott e lui è Daniel. L'infermiera ha chiamato a casa tua questa mattina, ti abbiamo portato una borsa con dei vestiti.» Rispose Scott, facendosi avanti con il borsone che gli pendeva da una spalla. Gli occhi verdi di Gabriel si soffermarono su di lui e Scott rivide la foto del ragazzo che si lanciava con il paracadute. Quello che non aveva paura di niente.
Nonostante il dolore, nello sguardo di Gabriel c'era una sorta di fierezza che lo colpì, qualcosa che gli diceva che si sarebbe ripreso e sarebbe tornato a lanciarsi con il paracadute e a fare bungee jumping.
«Grazie. Sono Gabriel. Di solito non ho questa voce e questo aspetto.» mormorò portandosi una mano alla gola. Gill, che nel frattempo era tornata, rise e spiegò che la gola era irritata a causa del tubo che gli avevano messo durante l'operazione.
«Sarà la prima cosa a tornare normale.» Lo rassicurò. «Per la gamba invece ci vorrà almeno un mese. Ti manderemo a casa appena starai un po' meglio, ma dovrai stare immobile per un po'. I tuoi amici si prenderanno cura di te. Adesso ti do un calmante per il dolore, è probabile che ti verrà sonno.» Aggiunse con una siringa un antidolorifico alla flebo e se ne andò di nuovo. Nella stanza era sceso un silenzio teso, se Gabriel era veramente solitario come sembrava, non avrebbe accettato l'aiuto da parte loro.
«Ti ricordi qualcosa dell'incidente? Abbiamo saputo che quel pazzo non si è nemmeno fermato.» Volle sapere Dan.
Gabriel sembrò riflettere, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza «No, nulla. So solo che venivo dall'aeroporto, stavo tornando dal Vietnam.»
Dan emise un fischio. «Ti piace proprio viaggiare, eh? Abbiamo visto le foto in camera tua.»
Gabriel aggrottò le sopracciglia per un istante, poi si rilassò. «Ah, già, i vestiti. Ho sempre viaggiato, non potrei farne a meno.» disse con semplicità, poi sorrise. «Ho girato il mondo, fatto rafting nel Gran Canyon, volato in deltaplano e rischio di morire sotto una macchina a due passi da casa.» Gabriel rise e si portò una mano al petto con una smorfia. «L'infermiera ha parlato di costole rotte?» Scott scosse la testa incredulo, era quasi morto e riusciva a riderci sopra? Doveva essere l'effetto della morfina. Dopo poco le pause tra le parole di Gabriel si fecero sempre più lunghe, finché le sue palpebre non si chiusero definitivamente. Lasciarono il borsone con i vestiti di fianco al letto, salutarono Gill promettendole di tornare e uscirono dall'ospedale.

 

Una volta raggiunto il caffè, Scott scorse immediatamente Ely seduto ad uno dei tavolini all'esterno. Nonostante fosse a conoscenza della verità, ai suoi occhi manteneva un aspetto vagamente androgino. Muoveva le mani sottili in un'accesa discussione con un ragazzo seduto di fronte a lui e quando li riconobbe gli fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo si voltò incuriosito verso di loro, studiandoli con due penetranti occhi scuri. «Lui è Kyle, suona la chitarra.» disse Ely sorridendo in direzione del ragazzo seduto di fronte a lui. Kyle annuì e strinse loro le mani, indicando una custodia rigida appoggiata alla sua sedia. «Elijah ha detto bene. Io vivo di questo.» Sorrise ed il sorriso gli illuminò tutto volto. Doveva essere veramente bravo per riuscire a mantenersi solo suonando, ma non sembrava vivesse per strada. La maglietta a maniche corte era pulita e stirata e i lunghi capelli castani erano legati in una coda sulla nuca. Dimostrava diciannove anni circa. Nonostante la corporatura, l'accenno di barba sulle guance e la sigaretta che teneva tra le dita, sembrava un ragazzino costretto a crescere troppo in fretta.

 

 

 


 __________________________

 

* Angolo dell'Autrice *

Ehilà, lasciatemi dire grazie, prima di tutto. Grazie alle splendide ragazze che mi hanno lasciato una recensione, alle 12 persone che hanno la storia tra le seguite, a chi ha letto il primo capitolo e a voi che siete qui dopo aver letto anche il secondo. Siete fantastici!

Vi avevo chiesto di dare una possibilità alla storia e voi gliel'avete data. ♥ Sono commossa!

Come vedete sono passata al POV di Scott per questo capitolo. Si alterneranno all'interno della storia, ma se notate delle stonature fatemelo notare, x favore :)

Siamo ancora agli inizi, la trama non ha ancora preso del tutto il via, mi dispiace tirarla tanto per le lunghe, ma non mi piacciono le cose fatte di fretta e volevo che aveste la possibilità di conoscere i personaggi. Vi presento Gabriel :) Povero tesoro, mi fa un po' pena per ora, ma è forte, si rimetterà. Avete intravisto anche Kyle, ma di lui ci occuperemo nel prossimo capitolo.
Credo che dal prossimo la trama prenderà il via. Come sempre non sono io a decidere cosa fargli fare, ma sono i personaggi che mi fanno scrivere ciò che vogliono. 

PS In questo capitolo ci sono anche io (non ho resistito dal fare una comparsata)... Ebbene sì, per Gill ho preso ispirazione da... me, quando sono in reparto! ^^

PPS la citazione stavolta è una canzone dei Pink Floyd :)

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Capitolo 3
*** Cambiamenti ***


Capitolo 3

Cambiamenti

 


Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?

       Blowin' in the Wind - Bob Dylan

 

Ely volle sapere subito delle condizioni di Gabriel e tirò un sospiro di sollievo quando seppe che si sarebbe ripreso, poi si voltò a spiegare in due parole la storia a Kyle.
Dan lo studiò con curiosità ed un pizzico di fastidio che non riuscì a spiegarsi, chi era quel ragazzo che sembrava aver monopolizzato l'attenzione di Ely? «Come vi siete conosciuti?» Chiese.
Ely rise e indicò la chitarra «E' stato merito della sua musica, stava suonando una canzone ed mi sono seduto ad ascoltarlo.»
«Ed è rimasto lì tutta la mattina.» Aggiunse Kyle tirando fuori la chitarra ed arpeggiando alcune note.
«How many roads must a man walk down, before you call him a man?» cantò con una voce calda e profonda, che mal si accordava al suo viso da ragazzo. Ely si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi sorridendo, mentre le prime gocce di pioggia cadevano a bagnargli i capelli neri. Sembrava più che mai un angelo, un angelo senza sesso e senza età. Dan non era ancora riuscito ad abituarsi all'idea del suo errore ed il suo stomaco neppure, visto che continuava a sobbalzare tutte le volte che si ritrovava i suoi occhi azzurri addosso. La cosa che l'aveva colpito di più di Ely era come apparisse a suo agio con sé stesso e in ogni cosa facesse, aveva una sorta di delicatezza che ricordava le movenze di un gatto. Ricordò il suo progetto di iscriversi alla scuola d'arte e non faticò ad immaginarselo come un artista. Del resto «Tra artisti ci si intende.» disse con un tono più brusco di quanto volesse che sorprese lui per primo. Gli altri si interruppero per voltarsi a guardarlo e Kyle si protese incuriosito verso Ely «Sei un artista anche tu?»
Ely arrossì leggermente ed annuì «Ci provo, io però disegno. Posso farti vedere. Mi piacerebbe ritrarti con uno schizzo veloce, se per te va bene.» Chiese, mentre già tirava fuori dalla tracolla un blocco a spirale ed una matita. Dan osservò con ammirazione la sua mano tracciare segni eleganti e decisi sul foglio, delineando il volto, la forma degli occhi, la chitarra. In pochi tratti riuscì a catturare la luce nello sguardo di Kyle, la tensione nervosa delle sue dita, i capelli che gli ombreggiavano la fronte. Era davvero bravo, pensò Dan fissando ipnotizzato la matita che scorreva sul foglio aggiungendo tratti e sfumature per dare profondità al disegno. Ely lo studiò per un attimo con aria critica e voltò il blocco verso Kyle che si illuminò nel riconoscersi. «Wow! E' proprio somigliante. Anzi no, è molto più bello di me.» Poi ripose la chitarra e si alzò, proprio mentre arrivavano le ordinazioni di Dan e Scott.
«E' stato bello parlare con voi, ma devo rimettermi a suonare se voglio mangiare qualcosa per cena.» Disse in tono leggero. Ely sembrò rabbuiarsi, poi si frugò in tasca e gli allungò una banconota, dispiaciuto del tempo che gli aveva fatto perdere. Kyle la prese dopo un attimo di esitazione, ci scrisse sopra qualcosa con la matita di Ely ed appoggiò tutto sul tavolino.
Dan sbirciò, ben sapendo cosa avrebbe visto. Sul bordo della banconota c'era il suo numero di telefono. «Non conosco quasi nessuno in città, se una sera volete uscire a prendere una birra chiamatemi.» Disse Kyle congedandosi. Ely gli sorrise e lo salutò con la mano, un gesto che sarebbe stato carino, se non fosse stato rivolto a Kyle. Dan non sapeva nemmeno da cosa derivasse l'immediata antipatia che aveva provato nei confronti di quel ragazzo, ma non gli piaceva. I tipi come quello nascondevano sempre qualcosa.

Scott alzò lo sguardo dal suo toast per fissarlo su Dan, aveva assistito in silenzio all’incontro, ancora scosso per la visita in ospedale, intuiva il cambiamento d'umore dell’amico, ma non riusciva a spiegarselo. Anche lui del resto non si sentiva in vena di conversazione, il peso sul petto non l'aveva ancora abbandonato. Se chiudeva gli occhi rivedeva le mani di Gabriel segnate dall'incidente e strette sul lenzuolo fino a farsi sbiancare le nocche. Nonostante il tono leggero che aveva usato con loro, il suo corpo non mentiva ed era chiaro che stesse soffrendo. La tensione nel suo corpo e il velo di sudore sulla fronte non gli erano sfuggiti, Scott era sempre stato bravo a riconoscere il dolore. Quando ci convivi per tanto tempo impari a capirlo, non puoi lasciare che prenda il sopravvento. Ci sono molti modi per renderlo sopportabile, per evitare che traspaia da ogni gesto. Conosceva i momenti in cui bisognava mostrarsi forti, anche quando l'unica cosa che vorresti fare sarebbe piangere o gridare.
Era contento che Gabriel avesse a disposizione le flebo di morfina. Gli piaceva quel ragazzo che non aveva paura di niente. Non voleva che soffrisse.

 

* * *

 

Erano passati solo sei giorni dal loro arrivo a New York, ma già si era instaurata una piccola routine: Ely usciva al mattino presto per andare a fare il primo turno in un bar e non ritornava fino al pomeriggio inoltrato. Dan sospettava che si vedesse con Kyle tutti i giorni, ma per un tacito accordo non era più stato nominato. Scott e Daniel andavano a trovare Gabriel in ospedale ogni pomeriggio, o meglio, Scott ci andava volentieri, Dan ci andava perché si sarebbe sentito insensibile e meschino a non farlo. Gabriel si riprendeva rapidamente e Gill annunciò che in due o tre giorni sarebbe stato dimesso, con la promessa di restare immobile per una settimana.
«Non si preoccupi, per questa settimana rimanderò tutti i viaggi intercontinentali che avevo intenzione di fare.» disse sorridendo. Il suo volto stava tornando normale, lo zigomo si era sgonfiato e i lividi stavano sbiadendo, somigliava sempre di più al ragazzo delle foto. Dan avvertì una stretta allo stomaco, il ritorno di Gabriel avrebbe significato dover cacciare Ely. Sapeva che sarebbe successo, tuttavia si era talmente abituato alla sua presenza che gli dispiaceva doverlo salutare. Era bello tornare dall'ospedale e trovarlo accoccolato sul divano sotto la finestra con un blocco in grembo, intento a disegnare mondi che nessun altro vedeva, mentre la cena che aveva preparato cuoceva piano sui fornelli. Si era rivelato anche un ottimo cuoco, oltre che un artista.
Mentre uscivano dall'ospedale, Scott si voltò verso di lui «Non mi sembra asociale come pensavamo, credo sia un tipo in gamba.» Non aggiunse altro, ma dalla sua espressione era chiaro che aspettava la conferma di Dan.
«Ah, sì, penso di sì, vedremo.» rispose evasivo. Avrebbero dovuto fargli da infermieri per un mese, era il minimo che mostrasse un po' di collaborazione.

Quella sera sarebbe stato compito di Dan avvisare Ely che doveva cercarsi un'altra sistemazione. Dopo cena Scott si chiuse come sempre nella sua stanza, mentre Dan ed Ely si sedettero sul letto di quest'ultimo. «Ely, mi dispiace davvero, ma tra un paio di giorni Gabriel tornerà a casa.» lo disse senza girarci troppo intorno, in fondo sapevano entrambi che era una cosa provvisoria. Non capiva perché gli dispiacesse così tanto. Avrebbero potuto uscire lo stesso tutti insieme, qualche volta. La gola gli si chiuse impercettibilmente e quando alzò lo sguardo su Ely si stupì di vederlo sorridere. «E' tutto a posto, ho già trovato un posto in cui andare, devo solo dare la conferma. Siete stati davvero gentili ad ospitarmi.» Disse. Era un sorriso dolce, che svelava una fossetta sulla guancia sinistra di cui non si era mai accorto.
Ely si alzò e tornò poco dopo con l'album da disegno. «Vorrei farti un ritratto.» Mormorò sfogliando le pagine in cerca di un foglio pulito. Dan intravide paesaggi e visi, bocche, occhi e mani, soprattutto mani. Virili e forti, segnate da cicatrici, strette a pugno, mani nervose.

Dan sorrise guardandolo, lusingato dalla richiesta e leggermente in imbarazzo. «Come mi devo mettere? Non sono mai stato ritratto.»
Ely fece un passo avanti, alzando leggermente la testa per guardarlo negli occhi. «Spogliati» gli ordinò. Non c'era malizia nel suo sguardo, ma un'emozione che non seppe riconoscere. Dan si bloccò, mentre il cuore batteva un po' più forte ed una strana timidezza lo privò di ogni possibile risposta brillante. Lentamente, sostenendo lo sguardo di Ely, slacciò i jeans ed abbassò la cerniera della felpa. Non poteva credere che lo stesse facendo davvero. Gli occhi del ragazzo fissi su di lui non erano per niente imbarazzati, curiosi anzi, e lo seguivano in ogni suo movimento. Quando fu completamente nudo si sentì sopraffare dall'imbarazzo. Cosa stava facendo? Il sorriso di Ely si fece più ampio, mentre prendeva il blocco e la matita e si accomodava sulla scrivania. «Sdraiati.» Gli disse con la sua voce morbida, accennando al letto. Obbedì, spinto da chissà quale impulso, percependo il calore dei suoi occhi addosso, e si sentì autorizzato ad osservarlo come stava facendo con lui, riuscendo per la prima volta a cogliere dei dettagli che gli erano sfuggiti. Mentre Ely disegnava, con tratti veloci ma leggeri, i capelli scuri continuavano a finirgli davanti agli occhi. Dan ebbe una fugace visione di sé stesso che passava una mano tra quei capelli fini per allontanarli dal viso, ma scacciò quell'immagine scioccato e imbarazzato, pregando che Ely non si fosse accorto di nulla. Fortunatamente era ancora preso dal suo disegno, con il labbro inferiore stretto tra i denti e gli occhi socchiusi per la concentrazione. Quando rivolse di nuovo la sua attenzione su di lui, Dan si sentì arrossire, poteva percepire il suo sguardo percorrerlo lentamente come una carezza, indugiando sul suo corpo nudo prima di passare al viso. Era una situazione talmente intima che sembrava quasi lo stesse sfiorando. Si passò la lingua sulle labbra secche e si accorse che anche Ely era arrossito: non disegnava più, sorrideva e basta, spostando gli occhi dal foglio al corpo che gli stava di fronte. Dan si appoggiò su un gomito e sorrise, fingendo una sicurezza che non aveva, e chiese «Se hai finito posso vederlo?»
Ely annuì, scendendo dalla scrivania per mostrargli lo schizzo finito. Era lui, nonostante il disegno fosse appena accennato, forse un po' più muscoloso e scolpito, ma somigliante. Ormai si accorse di saper riconoscere il suo tratto e sperò che quel disegno non finisse mai sotto gli occhi di Scott o avrebbe avuto molte spiegazioni da dare.
Quando si alzò in piedi, ancora completamente nudo, venne colpito dall'odore di pulito di Ely e si stupì di come tutto in quel ragazzo gli fosse familiare dopo appena una settimana di convivenza. Se avesse saputo dipingere avrebbe potuto ritrarlo senza bisogno di vederlo, persino scegliere la giusta tonalità di azzurro per i suoi occhi, più scuri ai lati e più chiari al centro. Occhi che lo fissavano spalancati, da molto vicino. Dan arretrò, sorpreso e confuso da quella vicinanza improvvisa. Abbassò lo sguardo e Merda. Il suo corpo traditore mostrava di gradire quella situazione. Si affrettò a coprirsi, voltandosi verso il muro, troppo in imbarazzo per riuscire ad incrociare lo sguardo malizioso di Ely. Come aveva potuto eccitarsi per una cosa simile? Recuperò i vestiti in silenzio, pregando che il calore che sentiva sulle guance non fosse visibile all'esterno e che Ely se ne andasse in fretta, con le sue strane idee e il suo blocco da disegno. Ma quando rialzò gli occhi, con i jeans e la felpa stretti tra le mani, era ancora lì. Sembrava aspettasse qualcosa. Quando gli sfiorò la pelle nuda della schiena con le dita, Daniel sussultò. Avrebbe voluto dirgli di andarsene, avrebbe dovuto dirgli di andarsene, ma sembrava non trovare le parole giuste ed un attimo dopo le sue labbra furono troppo impegnate per riuscire a parlare.
Si stavano baciando e questa volta fu diverso. Daniel spalancò gli occhi ed i vestiti caddero di nuovo sul pavimento.
Le labbra morbide e delicate erano le stesse che aveva desiderato dal primo giorno, ma avevano un significato differente. Durò troppo poco perché potesse farsi un'idea di ciò che stava succedendo o pensare a ribellarsi, in un attimo Ely si staccò e recuperò il blocco dalla scrivania. «Buonanotte» gli sussurrò dalla porta, con un'ultima occhiata di trionfo al suo corpo nudo che non mentiva.

 

Il mattino seguente Ely fece i bagagli, aveva lasciato il suo numero di cellulare scritto su un foglietto attaccato al frigo, si sarebbero visti spesso, non c'era motivo per rattristarsi. E allora che cos’era quel senso di vuoto che lo accompagnava da ore?
Il bacio della notte precedente lo aveva lasciato scosso e confuso, nonostante cercasse di non darlo a vedere. Quando pensava di non aver più possibilità con Daniel, era successo. Aveva significato qualcosa? In qualche modo credeva di sì, o forse lo sperava solo così intensamente che ormai gli sembrava vero.
Mise al sicuro in tasca il foglietto con l’indirizzo di Kyle e si avviò verso le camere per salutare Dan e Scott. Kyle si era offerto di ospitarlo finché non avesse guadagnato abbastanza per permettersi un monolocale. Era stato fortunato a conoscere ragazzi come loro appena arrivato a New York. Se doveva dire la verità aveva passato parecchie notti in bianco per la tensione, prima di trasferirsi in città. La possibilità di iscriversi alla scuola di arte era stato l'unico pensiero rassicurante di quel viaggio, disegnare era sempre stato il suo salvagente, un modo per esorcizzare la paura.
«Dan, Scott, io sto andando, non venite a salutarmi?» li chiamò dal corridoio. Non sapevano che sarebbe partito quella mattina, in effetti lo aveva deciso quella notte stessa, ma Kyle gli aveva detto che poteva andare quando voleva e la risposta al suo sms era arrivata nel giro di pochi secondi nonostante fossero le quattro del mattino. Il divano letto era a sua disposizione anche da subito, se voleva.
Si conoscevano solo da una settimana, ma avevano passato molte ore insieme e sentiva un'affinità con Kyle che non avrebbe saputo spiegare. Era scappato da casa all'età di quindici anni e da allora viveva della sua musica. Era bello sedersi poco lontano da dove lui suonava e disegnare cullato dalle note arpeggiate e dalla sua voce profonda. Non c'era nulla di sessuale in questo. Non come nei confronti di Daniel, l'elettricità tra loro gli aveva fatto formicolare le dita dal primo momento in cu si erano incontrati.
«Sveglia!» Bussò contemporaneamente ad entrambe le stanze, da cui ancora non provenivano cenni di vita. Il primo ad aprire fu Scott, con i capelli neri arruffati e una maglietta sbiadita che non si abbinava ai pantaloni. «Che succede?» Chiese socchiudendo gli occhi per la luce.
«Sto partendo, ho trovato un altro posto in cui stare. Volevo salutarvi e ringraziarvi.» Rispose Ely. In quel momento fece la sua comparsa anche Dan, ancora a piedi nudi dalla sera prima e con addosso solo i pantaloni del pigiama. Quando vide Ely balbettò, arrossì e sembrò ricordarsi solo in quel momento degli avvenimenti della notte appena trascorsa. «Co-cosa? Te ne vai?»
«Sì, te l’avevo detto ieri sera che avevo trovato un posto. Non ti ricordi?» Chiese Ely sollevando le sopracciglia.
«Uh, no. Cioè sì. E dov’è che vai?» Rispose Dan evitando di incrociare il suo sguardo.
Ely sorrise. «Kyle è stato gentilissimo, mi ha offerto un posto in casa sua.»
L’espressione che gli rivolse Dan fu più chiara di mille parole.

 

 


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* Angolo dell'Autrice *

Ehilàààà! Nonostante la settimana movimentata sono riuscita a postare anche questa volta, l’ispirazione non manca. Ho iniziato anche altri progetti, ma per ora appunto sono solo progetti!
Che ne pensate di questo bacio tra Dan ed Ely? Io trovo che siano dolci, ma che prima che Dan apra gli occhi ci vuole ancora un po’. Nel prossimo capitolo tornerà finalmente Gabriel (ho grandi progetti per lui, già mi ci sono affezionata ^^ Tra l’altro è diventato il mio personaggio ufficiale quando gioco a The Sims 3… Sono una patita di The Sims ^^) e probabilmente si conosceranno tutti e cinque. Non vedo l’ora, non so ancora come reagiranno, ma voglio scoprirlo!
Ancora grazie 1000 a chi mi segue e a chi legge, siete sempre più numerose e questo mi dà la carica per continuare.
Un GRAZIE particolare va ovviamente alle dolcissime ragazze che mi hanno lasciato una recensione. Lo sapete che senza di voi avrei fatto molta più fatica a pubblicare? Le recensioni sono qualcosa di meraviglioso *.* Continuate così, vi prego ^^ Ho bisogno che qualcuno creda in me quando non lo faccio io!
Come sempre se volete mi trovate su Facebook: Faffina Efp 

Angolo delle news: Se volete cimentarvi in un contest, ne ho indetto uno da pochissimo, lo trovate sul forum di EFP a questo link: --> Contest Il miglior personaggio maschile.

Visto che in questo periodo l’ispirazione non manca, è probabile che avrete il capitolo tra una settima o anche prima, è già in fase di scrittura.

Baci

Faf

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Capitolo 4
*** Nostalgia di casa ***


Capitolo 4

Nostalgia di casa

 

Everybody's got a hungry heart 
Everybody needs a place to rest 
Everybody wants to have a home

Hungry Heart - Bruce Springsteen 

 

 

Ely si sentì immediatamente a suo agio nel piccolo appartamento di Kyle, non era elegante come quello di Gabriel, ma era caldo e accogliente e rispecchiava la sua personalità. «Tu puoi dormire qui» disse Kyle liberando il divano letto dalla chitarra che vi era appoggiata sopra. Quel giorno aveva i capelli sciolti, castani e leggermente ondulati che gli arrivavano sotto le spalle. Indossava una maglietta bianca, un paio di infradito e dei pantaloncini corti nonostante fosse ormai autunno; probabilmente quando passi tanto tempo all'aperto ti abitui a non temere più il freddo. «Lì invece c'è il bagno, la mia camera e la cucina. E' piccolo ma posso permettermelo senza dover rischiare di saltare i pasti.»
Approfittando della pioggia che impediva a Kyle di suonare e del fatto che Ely avesse il week end libero dal lavoro, si misero a riadattare l'appartamento per due. Presto i vestiti trovarono posto nell'armadio, lo spazzolino si sistemò in bagno e lo zaino venne infilato sotto il letto di Kyle in attesa di una partenza non troppo prossima. 
«Che bella stanza.» Disse Ely girando su se stesso nella piccola camera di Kyle. Un'altra chitarra classica ed una acustica erano appoggiate ad una parete, il cui intonaco bianco era ricoperto interamente di parole e frasi. Sembravano testi di canzoni. «Wow, l'hai fatto tu? Cioè, sono canzoni tue?»
Kyle annuì «La risposta è sì ad entrambe le domande. Quando mi viene l'ispirazione vengo qui e scrivo. E' un modo per non perderle e per averle sempre vicino. E poi fino ad ora non le aveva mai viste nessuno.» Lo disse con naturalezza, senza imbarazzo.
Ely lo fissò sorpreso senza dire nulla, era il primo che entrava in quella stanza? «Potresti insegnarmi a suonare la chitarra, mi piacerebbe provare.» Propose rompendo il silenzio. Da quando aveva conosciuto Kyle e l'aveva visto suonare, aveva desiderato intensamente poter muovere le dita sulle corde con la sua stessa grazia e la stessa sicurezza, dava l'impressione di creare dipinti di note. 
«Ma certo, è ancora presto per pranzare, possiamo iniziare subito.» Rispose Kyle con l'entusiasmo che riservava solo alla musica, afferrando una chitarra ed invitandolo a sedersi sul letto. 
Kyle gli dispose le dita sui tasti, insegnandogli la posizione migliore delle dita e del polso per premere con più forza sulle corde. Ely intravide dei calli sui polpastrelli, aveva delle mani forti e abbronzate che facevano uno strano contrasto con le sue dita bianche e sottili abituate a tenere in mano solo un pennello o una matita. Per un attimo sentì il bisogno di dipingerle, l’impulso che spingeva Ely a disegnare probabilmente era lo stesso che animava lo scrittore e il fotografo nel pieno della loro ispirazione. La necessità di fermare emozioni che solo così potevano essere condivise. Era un formicolio alle dita, un bisogno che a volte sentiva forte quanto la fame e il sonno. Quando era bambino disegnava su tutto ciò che riusciva a trovare, ricordava ancora le urla della madre alla scoperta di nuovi capolavori sui muri del salotto, ma poi anche lei si era accorta che c’era qualcosa di speciale in quel bambino troppo fragile per giocare a calcio, i cui occhi limpidi e azzurri vedevano cose sconosciute al resto del mondo. Il bambino col tempo era cresciuto, ma aveva mantenuto lo stesso sguardo di allora.
Mentre Ely si esercitava nel passaggio tra il Re e il Mi, il telefono squillò. 
«Pronto?» rispose Kyle, lasciando la stanza per non disturbare. Era Dan che borbottò qualcosa a proposito di un blocco per gli schizzi dimenticato. Kyle lo interruppe «Adesso te lo passo. Gli sto insegnando a suonare la chitarra, si è ambientato perfettamente. El, è per te!»


* * *

Che razza di soprannome è El? Sbuffò Daniel premendosi più forte il telefono sull’orecchio per cercare di captare i suoni in sottofondo. Percepiva gli accordi esitanti di una chitarra che si interruppero quando Ely prese il cordless.
«Ciao Daniel, che succede?» 
Improvvisamente a Dan mancarono le parole e l’immagine del bacio tornò ad affacciarsi alla sua mente mandandolo in confusione. 
«Hai dimenticato l’album da disegno. Potrei… ehm, potremmo vederci per…» Dan picchiò il pugno contro il muro della cucina. Perché si impappinava in quel modo? Non era da lui. Dava quasi l’impressione sbagliata.
Dalla voce con cui Ely rispose era chiaro che stesse sorridendo «Ma certo che possiamo. Oggi e domani non lavoro, quindi sono libero.» Ma c’era anche tanta dolcezza nel suo tono.
Dan gli avrebbe dato appuntamento anche subito, per togliersi quel pensiero una volta per tutte, ma sfortunatamente dovevano andare a prendere Gabriel all’ospedale. «Facciamo domani pomeriggio, al bar dell’altra volta.»

Quando riagganciò si accorse di aver stretto l’album così forte tra le dita da averne spiegazzato i fogli. Lo aprì ancora una volta, nonostante conoscesse ormai a memoria tutti i disegni che vi erano contenuti, finché una voce alle sue spalle non lo fece sobbalzare. «Con chi parlavi?» chiese Scott entrando in cucina per preparare il pranzo. Dan richiuse di scatto il blocco appoggiandolo sulla mensola più alta, come se lì non potesse essere raggiunto. «Uh, niente, ho chiamato Ely per dirgli che ha dimenticato qui il suo blocco da disegno, glielo riporterò domani.»
Scott ridacchiò, rompendo delle uova in un tegamino «Sono passate solo poche ore e già muori dalla voglia di vederlo?» scherzò. Il silenzio imbarazzato proveniente da Dan lo costrinse ad alzare lo sguardo.
«Oh cavolo, aspetta! Ho indovinato?» Scott rimase a fissarlo sbigottito, Dan era la persona più etero che conoscesse. Era uscito con più di una ragazza, non poteva essere gay. 
Non era come lui.

«Ma che dici? Non è vero. Non mi manca assolutamente.» Negò con forza Dan.
«Hai detto di no tre volte di fila, questo significa che stai mentendo.» Rispose convinto Scott. Da dove le tirava fuori certe perle di saggezza? Dan scrollò il capo, mesto. Poteva pensare ciò che voleva, non gli importava. «Almeno io qualche ragazza l'ho baciata, anche se non ci sono stato insieme.» La frecciata di Dan rivolta all'amico sembrò avere il suo effetto, Scott arrossì e chinò il capo, ferito, tornando a concentrarsi sulle uova. Era vero, Dan aveva baciato più di una ragazza, o meglio, erano state loro a baciare lui. Non era stato neanche tanto male, se non si calcolava il primo all'età di quindici anni, in cui era rimasto così sorpreso che aveva morso la lingua della ragazza talmente forte da farla sanguinare. E l'ultimo, che sapeva così tanto di fumo da fargli venire la nausea. Quello di mezzo probabilmente era il meno peggio, anche se non se lo ricordava molto bene, doveva essere troppo ubriaco. Si pentì di aver reagito in quel modo, Scott non se lo meritava e quello era sempre stato un tasto delicato, tra loro. Il suo migliore amico aveva mostrato da subito un interesse esagerato per i suoi appuntamenti. Dopo ogni uscita voleva sapere com’era andata. Sospettava che fosse invidioso, anche se non l'aveva mai ammesso. Scott era sempre stato troppo timido per piacere alle ragazze o per aver il coraggio di chiedere a qualcuna di uscire. Era un bel ragazzo, ma non se ne rendeva conto. Nascondeva gli occhi sotto la frangia di capelli tagliati a casaccio, occhi che da soli sarebbero bastati ad incantare una donna: Daniel ricordava che da piccolo ne era sempre rimasto affascinato, avevano un colore a metà strada tra l'azzurro e il grigio, sembravano sempre diversi ogni volta che li guardava, anche se erano sempre velati da un ombra di tristezza. 
Mise da parte l’orgoglio e fece quello che avrebbe dovuto fare da anni: prese Scott per le spalle e lo abbracciò. «Mi dispiace, andrà tutto meglio adesso che siamo lontani da casa.» Mormorò con il viso contro i suoi capelli scuri. Lo sentì irrigidirsi per la sorpresa e poi rilassarsi tra le sue braccia, annuendo e stringendolo a sua volta, impacciato.

 

* * *


Casa dolce casa. Gabriel era abituato a viaggiare, a volte passava mesi senza mettere piede a New York, ma non aveva mai sentito la mancanza di casa sua quanto in quell'ultima settimana passata in ospedale. 
Varcò la soglia bilanciandosi cautamente su un paio di stampelle e sorrise nel vedere che tutto era come l'aveva lasciato, persino l’odore non era cambiato. Si lasciò cadere sul divano un po' affaticato, muoversi su quelle cose era più faticoso di quanto sembrasse e la gamba gli faceva ancora male. «Grazie ragazzi, sono felice di essere a casa.» disse a Scott e a Daniel che erano venuti a prenderlo all'ospedale e che continuavano a fissarlo con aria preoccupata. 
«Sei sicuro di stare bene? Sei molto pallido.» Chiese Scott. Gabriel rese più convincente il suo sorriso e annuì. Non sfuggiva nulla a quel ragazzo. «Credo che mi serva un'altra di quelle pastiglie.» Tre piani di scale senza ascensore e con una gamba ingessata erano un pochino oltre ciò che l'infermiera Gill gli aveva concesso di fare e ora ne capiva il motivo. 
Afferrò al volo lo zaino che gli lanciò Dan e ci infilò una mano in cerca dell'antidolorifico, non aveva più aperto quella sacca dal ritorno dal Vietnam «Per fortuna è uscita illesa dall'incidente, al contrario di me» disse, disponendo sul tavolino una grossa conchiglia, un piccolo Buddha di giada e un braccialetto di cuoio intrecciato.
Scott gli si sedette accanto, porgendogli una bottiglietta d'acqua per prendere le pillole e chiese «Viaggi sempre da solo?» la domanda aveva un tono titubante, quasi temesse di toccare un tasto delicato. Gabriel sorrise, più per la sensibilità di Scott che per vero divertimento e rispose «Non conosco altri modi.» Nonostante il sorriso, nei suoi occhi c'era un'ombra di malinconia che non era riuscito a nascondere.
Lo squillo del telefono interruppe il silenzio teso che si era creato, Gabriel fece per alzarsi, dimenticandosi per un attimo della gamba ingessata e ricadde sul divano con un gemito. «C'è un telefono di fianco al televisore, potete rispondere? Ormai è anche casa vostra.» disse indicando l'apparecchio. Fu Dan a prendere la chiamata, rimase in silenzio per un minuto e mormorò «Sì, è qui, glielo passo.» Poi si rivolse a Gabriel porgendogli il cordless «E' per te, è tua madre.»
Il ragazzo si irrigidì, troppo stupito per parlare, era ovvio che non si aspettava quel genere di telefonata. Prese il cordless dalla mano di Dan quasi con rabbia e premette il tasto per interrompere la chiamata. «Se telefona qualcun altro che dice di essere un mio parente, io non abito più qui.» disse a denti stretti.
Si alzò a fatica dal divano, rifiutando la mano di Scott ed ignorando le stampelle, e zoppicò fino alla sua stanza con una smorfia. «Il cartello vale ancora.» Aggiunse con un cenno della testa rivolto alla scritta “Qui NON potete entrare” appesa all’ingresso, si sbatté la porta alle spalle e nel salotto scese di nuovo il silenzio.


* * *


Solo alcune ore più tardi Scott si decise ad andare a bussare alla porta di Gabriel, voleva essere sicuro che stesse bene, gli era sembrato parecchio turbato dopo quella telefonata. Dall'interno della stanza non giunse alcun suono, così aprì uno spiraglio e sbirciò dentro. Gabriel era sul letto, il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, sprofondato nel sonno pesante dato dagli antidolorifici. Scott entrò cautamente, ignorando il cartello, fece attenzione ad evitare i vestiti di cui era disseminato il pavimento, a cui si erano aggiunti quelli che indossava al ritorno dell'ospedale: il maglione blu di Daniel e un paio di pantaloni della tuta. Appoggiò lo zaino di Gabriel e le stampelle ai piedi del letto, in modo che li trovasse al suo risveglio, e si prese un attimo per guardarlo. Dormiva a pancia in su, sopra il lenzuolo, indossando solo un paio di boxer, il bianco del gesso contrastava violentemente con la coscia abbronzata. Aveva un bel corpo, snello ma forte ed evidentemente abituato ad ogni tipo di sport; nonostante la penombra intravide un grosso livido in via di guarigione in corrispondenza delle costole e una vecchia cicatrice sul fianco destro che spariva sotto l'elastico dei boxer, probabilmente il risultato di un vecchio trauma.
Stava per uscire quando si accorse di un foglio che spuntava da sotto il suo cuscino. Combattuto tra il desiderio di fare la cosa giusta e la curiosità di saperne di più su quel ragazzo misterioso, restò immobile mordicchiandosi il labbro inferiore. 
Non ci volle molto prima che la curiosità avesse la meglio e, quasi senza averlo pensato, si ritrovò a sfilare il foglio da sotto il cuscino. Era una pagina strappata da un quaderno a quadretti su cui erano state scritte decine di nomi di città e di bellezze naturali di tutto il mondo, in una calligrafia fluida ed ordinata che non gli era del tutto sconosciuta, ma che non apparteneva sicuramente a Gabriel. 
Una quindicina di destinazioni erano state cancellate con un tratto di penna, tra cui il Vietnam, il cui segno era così violento da aver bucato il foglio. Lo rimise a posto e si guardò intorno per l'ultima volta. Fu allora che capì dove aveva già visto quella calligrafia.


* * *

Dan tamburellò nervosamente sulla copertina dell'album che aveva in grembo, controllando ancora una volta l'orologio. Era in ritardo. Si erano dati appuntamento alle tre ed erano già le tre e cinque.
Poi lo vide. Dal lato opposto della piazza due ragazzi si fecero strada verso di lui, uno era inconfondibilmente Ely, lo riconobbe dall'andatura. Si può riconoscere qualcuno dal modo di camminare? Ely sì, i jeans che gli fasciavano il corpo snello e la tracolla che gli dondolava dalla spalla assecondavano i suoi movimenti aggraziati e sinuosi. Il vento gli spinse indietro i capelli dal volto e fece svolazzare la camicia aperta. Daniel si asciugò le mani sudate sulle ginocchia dei jeans maledicendosi per essere tanto nervoso. 
L'altro ragazzo, Kyle, salutò Ely con una pacca sulla spalla e agitò la chitarra in direzione di Dan, prima di sparire diretto a qualche marciapiede o galleria della metropolitana, probabilmente.
«Daniel, ciao. Grazie per avermi portato l'album.» Lo ringraziò Ely scivolando a sedere e chiamando il cameriere con un cenno distratto della mano. Ordinò un caffè e fissò di nuovo i suoi occhi azzurri su Dan «Non mi devi dire nient'altro?» chiese a bruciapelo. 
Dan annaspò, passandosi la mano tra i capelli castani, come aveva fatto molte altre volte quel giorno. Fece scivolare lo sguardo per la piazza in cerca di qualsiasi cosa potesse venire in suo aiuto, ma a quell'ora c'erano solo un paio di mamme con i passeggini e un senzatetto che chiedeva l'elemosina. Trovato. 
«Allora, quel Kyle ce l'ha una casa? Una casa vera.» Chiese Dan senza riuscire a trattenersi. Le labbra di Ely si contrassero in un broncio adorabile «Certo che ha una casa, e non chiamarlo "quel Kyle". E' stato gentile ed è solo una soluzione provvisoria.» Il viso di Ely si aprì in un sorriso che gli illuminò gli occhi «Sei geloso?»
Dan rischiò di soffocarsi con la Coca-Cola «No. Certo che no, non sono geloso.» L'aveva fatto di nuovo: tre negazioni in una sola frase. Se ci fosse stato Scott avrebbe detto di nuovo che era una bugia. Anche Ely però sembrò pensarla allo stesso modo, perché ridacchiò da dietro la tazza di caffè e la sua espressione apparve d'un tratto molto compiaciuta.
Dan fece un bel respiro, la discussione stava prendendo una piega pericolosa. «Ti piacerebbe che fossi geloso?» disse sperando di metterlo a disagio.
«In tutta onestà... Sì.» Ely annuì e sostenne il suo sguardo, mentre Dan si sentì arrossire senza sapere il perché.

 

 

 

 


________________________

* Angolo dell'Autrice *

Oh oh oh! *grassa risata da Babbo Natale* Sono particolarmente compiaciuta di questo finale... e di ciò che verrà dopo ^^ Ma per vostra sfortuna tra poche ore partirò per una piccola vacanza e quindi il seguito arriverà tra una settimana. Mi porterò il pc e scriverò sicuramente, ma non avrò internet ç_ç quindi pubblicherò al mio ritorno. Ed ora, ragazze (meravigliose ragazze che mi fate sempre commuovere!), cosa ne pensate? La trama sta prendendo forma, ci sono molte cose che ancora non vi ho detto sui nostri personaggi.. Diciamo che sto seminando in giro indizi ^^ 
Ed ora una domanda, alcune di voi me l'hanno già detto, in ogni caso alla luce degli ultimi sviluppi, qual è il personaggio che vi ispira di più? (sono curiosissima ^^)
Io forse non dovrei fare delle preferenze, (shhh, non diteglielo!) ma ho preso particolarmente a cuore Scott (è il tipo di personaggio che piace a me: timido, gentile, che non è ancora riuscito a trovare il suo posto nel mondo.) Di lui sapete dall'inizio che è gay (non ditemi che non lo sapevate, è scritto nell'introduzione XD), ma non se ne è ancora parlato, lui stesso cerca di dimenticarsene, spera quasi di essersi sbagliato... Arriverà anche il suo momento, forse prima del previsto. Da parte mia non vedo l'ora di scriverlo!
Ed ora una cosa importante. Non trovo le parole giuste per ringraziarvi, se questa storia continua è solo merito vostro, che mi date fiducia e mi fate capire che vale la pena continuarla! Non sono i soliti ringraziamenti di rito. E' un grazie alle dolcissime ragazze che recensiscono, a chi su facebook mi sprona a pubblicare, a chi mi scrive per dirmi che si è affezionata ad un personaggio. E' per questo che io scrivo. Per far emozionare la gente. E sapere che sto muovendo piccoli passi in quella direzione mi riempie il cuore di gioia (e gli occhi di lacrime, ma non lo deve sapere nessuno!! ^^) Se continuo così rischio che le note diventino più lunghe del capitolo! Spero di sentirvi presto tutte ^^ Grazie anche alle 21 persone che mi seguono, a chi preferisce, a chi ricorda e a chi legge soltanto!

Baci

Faf

PS mi è appena arrivata una splendida notizia, avevo partecipato con una mia storiellina, una OS originale, ad un paio di contest, ha conquistato un primo ed un secondo posto *.* Queste sono soddisfazioni *.* Se vi va di leggerla la trovate qui: Legami.

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Capitolo 5
*** Dimmi la verità ***


Capitolo 5

Dimmi la verità

 

But if you look for truthfulness
You might just as well be blind
It always seems to be so hard to give

Honesty - Billy Joel

 

 

L'aveva ammesso: Ely aveva ammesso di provare dell'interesse nei suoi confronti. Dan era rimasto spiazzato dalla sua affermazione, non si aspettava una candida ammissione. Questo cosa significava? Come doveva reagire?
Se Ely era stato sincero con lui, allora anche Dan lo sarebbe stato «Quando ti ho visto mi sei piaciuto subito, perché pensavo tu fossi una ragazza.» disse. Avrebbe voluto vedere l'effetto delle sue parole in quegli occhi azzurri, ma non riuscì ad alzare gli occhi dal tavolo. Aveva troppa paura di averlo ferito.
«A me i ragazzi non piacciono, non sono mai piaciuti. Non mi piaceranno mai. Tu sei il primo e l'ultimo che...» si interruppe, per un attimo consapevole di ciò che stava per dire.
Ely però non se l'era lasciato sfuggire «Mi stai dicendo che non ti è mai passato per la testa di innamorarti di un ragazzo e che probabilmente non te ne piacerà mai più nessuno. Ma ti piaccio io. E' così?» chiese, suo malgrado c'era una vena di speranza nella sua voce.
«Sì, credo di sì.» Dan chinò il capo, schiacciato da ciò che si erano detti. Non aveva capito il peso di quella verità finché non l'avevano pronunciata a voce alta. Avrebbe potuto semplicemente smettere di vedere Ely e tutto si sarebbe risolto, ma al solo pensiero lo stomaco gli si era chiuso dalla nausea, improvvisamente l'idea di lasciarlo andare non sembrava affatto una soluzione.
Ely gli prese una mano, disegnandovi dei cerchi concentrici con il pollice. Le loro mani erano lì, unite sotto gli occhi di tutti, e Dan resistette alla tentazione di girare lo sguardo intorno per controllare che nessuno li stesse osservando. Il contatto era piacevole, quasi familiare, nonostante fosse la prima volta che si sfioravano e le dita fresche di Ely gli trasmisero un senso di calore che si diffuse a tutto il corpo.
Il fatto che si fosse esposto così tanto davanti ad Ely non cambiava le cose. Aveva fatto un errore ad ammetterlo, dal momento che non potevano essere nient'altro che amici. Avrebbe dovuto mettere subito in chiaro le cose, non voleva che si illudesse di nuovo.
Ely gli lasciò la mano e si rimise in piedi «Sarà meglio che vada, chiamami quando avrai voglia di vedermi.»
Dan si alzò a sua volta, colto di sorpresa, e porse l'album a Ely «Non dimenticartelo, sei venuto fin qui per questo.» Ely lo prese e lo infilò nella borsa a tracolla, poi si rivolse a Dan con uno scintillio nuovo negli occhi «Grazie, io invece penso che tu sia venuto qui per questo...»
Si alzò sulle punte dei piedi, appoggiandogli le mani sulle spalle e premendo di nuovo le labbra sulle sue. Il cuore di Dan prese a battere più veloce per la sorpresa e lui restò immobile, ancora una volta incapace di tirarsi indietro o di approfondire il bacio. Sentiva il profumo di quel ragazzo così familiare e così piacevole, nonostante fosse tutto il risultato di uno sbaglio, e il leggero aroma di caffè che sulle sue labbra acquistava un sapore particolare.
Ely si staccò e sorrise, andandosene in silenzio con la borsa dondolante dalla spalla e i capelli neri e lisci che brillavano sotto il sole, lasciandolo solo a chiedersi cosa gli stesse succedendo. Se avesse capito da subito la sua identità non sarebbe successo nulla di tutto ciò. O no?

 

Ely si avviò verso casa con il cuore che ancora batteva veloce. Non era certo di aver fatto la cosa giusta, ma era quello che si sentiva di fare e Dan non si era tirato indietro nemmeno questa volta. D'ora in poi non l'avrebbe più cercato, non voleva forzarlo, quando fosse stato pronto avrebbe saputo dove trovarlo.
Paradossalmente Ely faceva fatica a capire cosa volesse dire sentirsi confuso. Non aveva mai avuto dubbi, la sua omosessualità era sempre stata evidente a sé stesso e agli altri. La cosa gli aveva creato non pochi problemi, non tanto nell'accettarsi: era stato naturale come respirare, come scoprire di essere bravo a disegnare. Il problema erano gli altri, quando da piccolo lo avevano soprannominato checca e femminuccia si era ritrovato a piangere chiuso in bagno, umiliato e confuso. Non c'era niente di strano o diverso in lui, non aveva mai cercato di sembrare qualcuno che non era, era Elijah, cosa c'era di male?
Non aveva detto niente alla madre, così fiera del suo piccolo artista dagli occhi azzurri da non vedere come lo guardavano gli altri. Probabilmente era convinta che tutti lo amassero come lo amava lei, indipendentemente dal fatto che fosse gay.
Quando aveva lasciato Philadelphia per trasferirsi a New York aveva sperato di ricominciare da capo, in una città dove nessuno gli facesse una colpa per essere semplicemente sé stesso.
Camminò a testa alta per la via in cui abitava Kyle, ignorando gli sguardi della gente, regalò un sorriso alle persone sedute fuori dal bar sotto casa e si richiuse il portone alle spalle con un sospiro.
Sulla porta trovò un uomo ad attenderlo, uno sconosciuto che gli afferrò il braccio bruscamente costringendolo a voltarsi. «Sei Kyle Morgan?» ringhiò ad un centimetro dal suo viso. Colse un tanfo di alcool e marijuana nel suo alito, prima di allontanarlo bruscamente con uno spintone. Era un uomo sui trent'anni, dall'aria anonima e poco lucida. Che cosa poteva avere a che fare Kyle con un tizio del genere? «No, viviamo insieme ma ora non c'è. Se lo cerchi ripassa più tardi.» Rispose Ely liberando il braccio dalla stretta.
L'uomo si voltò per andarsene, barcollando leggermente, poi si voltò a fissarlo negli occhi «Riferiscigli che se tiene alle sue dita deve darsi una mossa. Questo è stato l'ultimo avviso» biascicò con voce leggermente impastata.


 * * *

 

Gabriel si svegliò con un mal di testa feroce, gli succedeva spesso dall'incidente, anche se il medico gli aveva rassicurato che non aveva riportato danni permanenti. A giudicare dal chiarore che intravedeva dalle imposte socchiuse doveva essere pomeriggio. Che giorno era maledizione? Possibile che fosse rimasto a letto per più di ventiquattro ore? Doveva smetterla con quelle pillole: gli toglievano il dolore, ma lo facevano dormire per ore.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e la casa era silenziosa. Accanto al letto qualcuno aveva appoggiato le stampelle mentre dormiva, Scott molto probabilmente. Le prese, dopo essersi infilato dei vestiti presi a caso dal mucchio sul pavimento e raggiunse lentamente la cucina. Stava letteralmente morendo di fame, non ricordava nemmeno più quando fosse stata l'ultima volta che aveva mangiato. Per fortuna qualcuno aveva pensato a lui: sul tavolo della cucina c'era un piatto di pasta con un biglietto con il suo nome. Era pronto a scommettere che fosse di nuovo opera di Scott.
Probabilmente attirato dal rumore dei suoi passi, il ragazzo in questione lo raggiunse in cucina. «Ben svegliato, come stai? Hai dormito così tanto che pensavamo fossi morto.» Disse Scott.
Gabriel si voltò verso di lui con aria di rimprovero «Ma tu sapevi che non ero morto perché sei entrato a controllare, ignorando il cartello, non è così?» Poi si aprì in un sorriso quando vide Scott arrossire. «Scherzo. Grazie per le stampelle, ricordami di evitare uscite di scena come quelle di ieri finché non mi è guarita la gamba» continuò. Anche Scott sorrise, prendendo quelle parole per ciò che erano: ciò che più si avvicinava a delle scuse da parte dell'orgoglioso Gabriel. Prese il piatto di pasta e lo infilò nel microonde, osservando il proprio riflesso nel vetro si chiese cosa potesse pensare Gabriel di lui, un anonimo ragazzo di Pittsburgh che aveva disperatamente bisogno di un parrucchiere e di  un po' di sicurezza in sè stesso. Raddrizzò le spalle, si allontanò i capelli scuri dagli occhi con un gesto brusco e si voltò a guardare l'amico. Era seduto sul bancone della cucina, con il gesso alla gamba che dondolava piano e batteva ritmicamente al tempo di una musica che era solo nella sua testa. Prese il piatto di pasta dalle sue mani con un sorriso che scacciò l'aria pensierosa «Grazie, sei persino meglio dell'infermiera Gill. E molto meno chiacchierone» gli disse, facendolo arrossire di nuovo, poi si avventò sul piatto di pasta, che era decisamente tutta un'altra cosa rispetto al cibo dell'ospedale.
«Quale sarà la tua prossima destinazione?» lo interrogò Scott  incrociando il suo sguardo per la prima volta. Gabriel restò a fissarlo per un attimo: aveva degli occhi di un colore eccezionale, aveva visto quel colore solo in certi laghi sotterranei, si stupì di non essersene accorto prima, probabilmente perché li teneva nascosti sotto ai capelli spettinati. «Scozia, devo andare in Scozia» mormorò tra un boccone e l'altro. «Partirò non appena mi sarò ripreso del tutto.»
Scott annuì senza insistere, era la risposta che prevedeva: la Scozia era la destinazione successiva nell'elenco che Gabriel teneva sotto il cuscino. Quel foglio misterioso gli ronzava in testa senza sosta, aveva notato subito la calligrafia elegante e vagamente familiare, ma ci aveva messo qualche minuto prima di riconoscerla. Poi aveva capito: era sicuro che fosse la stessa del biglietto appeso nella bacheca sopra il letto. Il cartoncino azzurro che aveva notato la prima volta che era entrato in camera sua. Doveva essere una frase di una canzone dei Pink Floyd, anche se non ne ricordava il nome.
Avrebbe potuto semplicemente chiedergli a chi apparteneva, ma in qualche modo capiva che dietro al suo viaggiare da solo ci fosse qualcosa di cui non voleva parlare, qualcosa di più di semplice voglia di solitudine.


 * * *

 

Quando Kyle rientrò trovò Ely in cucina, intento a tagliare del salmone in piccoli pezzi, mentre in una padella soffriggevano delle verdure. «Che fame. Quello è salmone, vero?» chiese annusando il profumo di soffritto. Ely sollevò lo sguardo, scostandosi i capelli neri dal viso con un cenno nervoso della testa e non rispose. Kyle si accorse subito che qualcosa non andava, non l'aveva mai visto così serio, gli era piaciuto subito proprio perché aveva sempre un sorriso per tutti. «E' successo qualcosa?» indagò.
Ely annuì e rispose «In realtà sì, forse è una sciocchezza, ma mi sono preoccupato.» Gli raccontò l'incontro con l'uomo, descrivendolo brevemente e concludendo con «Ha detto che se ci tieni alle tue dita devi darti una mossa. Di cosa stava parlando?» Ely aveva lasciato perdere il pesce che stava tagliando e i suoi occhi azzurri erano fissi su Kyle, scuriti dalla preoccupazione.
Il ragazzo si tolse la chitarra dalla spalla e si lasciò cadere su una sedia «Che stronzi bastardi, stanno cercando di spaventarmi con quello a cui tengo di più, sanno che se mi spezzassero le dita non potrei più suonare.» Era impallidito visibilmente, ma si rivolse a Ely con un sorriso che, sperò, fosse il più convincente possibile. «Non preoccuparti per me, non corro alcun pericolo, sono solo gli strascichi di una vecchia discussione. Vieni, ti do una mano con la cena.»
Ely annuì, ma non gli sfuggì il tremore delle sue mani mentre apparecchiava la tavola e per tutta la cena fu molto più silenzioso del solito.


* * *


Quando Daniel salì le scale diretto all'appartamento si era fatto buio da un pezzo, non aveva un orologio con sé, ma era uscito dall'ultimo bar quando ormai era vuoto e metà delle sedie erano già capovolte sui tavoli.
La scena che gli si parò davanti agli occhi una volta varcata la soglia era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato. Scott gli sorrise dal divano ad angolo, invitandolo ad avvicinarsi, mentre Gabriel, sdraiato sull'altro lato, teneva il gesso appoggiato al bracciolo e la testa di ricci capelli castani a pochi centimetri dalle gambe di Scott. In mano aveva una bottiglia di birra che agitò in segno di saluto, spargendone il contenuto sul pavimento di granito. «Ops! Daniel, unisciti a noi» lo invitò Gabriel con voce leggermente impastata e gli allungò una bottiglia ancora piena raccolta dal pavimento. Dopo un attimo di esitazione Dan accettò e prese posto su una delle poltrone. Se all'inizio aveva pensato che fossero un po' ubriachi, dopo pochi minuti di conversazione dovette ricredersi: erano completamente ubriachi. Scott aveva il viso arrossato ed era più se stesso di quanto non fosse mai stato. Faceva battute e sorrideva, cercando Gabriel con lo sguardo.
Dan si lasciò contagiare dalla loro esuberanza e in poco tempo si ritrovò con la testa leggera per la birra e il pensiero di Ely divenne più facile da gestire.
Scott si alzò in piedi per raggiungere l'ultima bottiglia che avevano tenuto in serbo per il gran finale. «Propongo il gioco della verità. Ciò che diremo non uscirà da qui, giurate di dire solo la verità?»
«Lo giuro» risposero in coro Gabriel e Dan, bevendo a turno dalla bottiglia di vodka. Scott tornò barcollando al proprio posto e scelse la prima domanda. «Daniel: hai mai baciato un ragazzo?»
Dan arrossì e prese la bottiglia dalle mani di Scott per dare un'altra bella sorsata. Se quella era solo la prima domanda, ne avrebbe avuto bisogno. Sostenne lo sguardo dell'amico e ammise «E' stato lui a baciare me.»
Gabriel si mise a ridere, attirando l'interesse di Dan, che si voltò verso di lui e gli passò la bottiglia «Gabriel, vediamo... Sei vergine?»
Il ragazzo smise di ridere e lo fissò «No» rispose tranquillamente per poi voltarsi verso Scott. «Qual è il tuo ricordo peggiore?»
Scott si prese un minuto per pensarci, dando un piccolo sorso dal collo della bottiglia. Doveva essere veramente ubriaco, perché non ne sentiva più il sapore. In condizioni normali non sarebbe mai riuscito a parlare con così tanta tranquillità. Poi disse «Il giorno in cui ha chiamato l'ospedale per avvisarci che mia madre era svenuta al supermercato. Ho risposto io, mi dissero che l'avevano operata e le avevano tolto la milza. Sapevo che era colpa di mio padre, lo avevo sentito mentre la picchiava, sono andato a dirgli che avrei chiamato la polizia. Quando mi sono risvegliato ero sul mio letto con un occhio nero e la faccia sporca di sangue.»
Sulla stanza scese il silenzio, ma nello sguardo di Scott non c'era tristezza, Dan ricordava bene il giorno in cui era venuto a scuola con il viso quasi irriconoscibile per i lividi e un taglio sulla fronte, aveva detto a tutti di essere caduto dalle scale. «Ecco perché me ne sono andato. Gabriel, questa domanda è per te. Chi ha scritto il cartoncino azzurro che hai appeso sulla parete di camera tua?» Disse Scott, deciso a distogliere l'attenzione da sé stesso.
La testa di Gabriel si sollevò di scatto dalle ginocchia di Scott, dove stava appoggiato. Per un attimo sembrò non voler rispondere, ma poi disse «La mia ragazza. La mia ex ragazza.»

 

 

 

________________________

* Angolo dell'Autrice *

Sono tornata! Per chi non lo sapesse sono stata una settimana al mare con il mio ragazzo, pur non avendo internet ho scritto tantissimo, ho visto dei posti bellissimi, ho passeggiato sulla spiaggia e fatto lunghe gite in bicicletta.

Ma torniamo alla storia, sono felice di annunciarvi che ho buttato giù tutta la bozza della trama, ora che so come andrà a finire sono molto più tranquilla! Ci saranno un po’ di colpi di scena ed anche un po’ di azione, ci sono un po' di scene che non vedo l'ora di scrivere *.*… Finora la storia ha navigato in acque tranquille, ma le cose stanno per cambiare. Ma…basta spoiler :)
Le vostre recensioni poi mi motivano tantissimo a continuare e mi si illuminano gli occhi ogni volta che le leggo! Grazie ragazze, siete meravigliose. Grazie anche a chi mi ha inserito tra preferite/ricordate/seguite, siete molti più di quanto mi aspettassi *.*

Vi ricordate il sondaggino della scorsa settimana su chi fosse il personaggio che preferite? Il primo posto a pari merito se lo contendono quei due piccioncini di Ely e Dan (io tra i due preferisco Ely, più di una volta mi avete chiesto se non è un po’ autobiografico…forse un po’ è così ^^). Al secondo posto invece c’è il chitarrista, il nostro bel Kyle, che si sta cacciando nei guai!

Domanda della settimana: secondo voi cosa ha combinato quel simpatico musicista per attirare le minacce dei brutti ceffi?

Nel prossimo capitolo avrete la possibilità di conoscere un po’ di più anche Scott (dolce, bellissimo Scott). Si è capito che ho una vera e propria passione per i personaggi dolci e gentili che se ne stanno un po’ in disparte? Perché non esistono ragazzi così? ç.ç

Appuntamento alla prossima settimana per il capitolo 6 (OMG sono già al sei??? O.o)

Un grandissimo abbraccio collettivo da parte mia, di Dan, Ely, Kyle, Scott e Gabriel! ^^

Faf

PS se volete parlare con me, come sempre mi trovate su Facebook!

PPS il testo della canzone citata all'inizio secondo me merita davvero, se volete vi lascio qui il link della traduzione in italiano: Link.

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Capitolo 6
*** Lasciarsi andare ***


Capitolo 6

Lasciarsi andare

 

 

Live your life with arms wide open
today is where your book begins
the rest is still unwritten

Natasha Bedingfield - Unwritten

 

 

Il foglio misterioso ed il biglietto erano stati scritti dalla sua ex, ma questo non spiegava nulla. Scott non ebbe tempo per rifletterci che Gabriel si sporse oltre il bordo del divano e vomitò sul pavimento, mancando di un soffio le sue scarpe. «Oh, merda» lo sentì mormorare prima di appoggiare la testa sulle sue ginocchia con un lamento. Scott lo osservò preoccupato, che il miscuglio di antidolorifici e alcool gli avesse fatto male? Anche lui si sentiva ubriaco, ma non così ubriaco.
«Ehi Gabe, ti senti male? Andiamo a dormire» mormorò picchiettandogli la guancia con un dito per fargli riaprire gli occhi. Daniel alzò lo sguardo al cielo. «Lascia che dorma sul divano, scommetto che non riesce nemmeno a reggersi in piedi» disse e si diresse verso la propria stanza, schivando abilmente le bottiglie di birra vuote che costellavano il pavimento. A quanto pare i giochi erano finiti, avrebbe avuto un'altra domanda da fare a Scott, era una cosa che gli era balenata in testa in quel momento, forse dovuta al troppo bere, ma l'avrebbe tenuta per un momento migliore.
Raggiunse il suo letto e vi si buttò sopra ancora completamente vestito, magari sarebbe riuscito a farsi una notte di sonno decente, senza strani pensieri a tormentarlo. Fu allora che tornò, familiare e non richiesta, l'immagine delle labbra morbide di Ely, il loro sapore, lo scintillio malizioso nei suoi occhi, la voce bassa e un po' roca che gli sussurrava di chiamarlo quando avrebbe voluto rivederlo.
No dannazione, non voleva vederlo. Anche se il suo corpo diceva il contrario. Strofinò nervoso il gonfiore che riempiva i suoi jeans, un'eccitazione che nemmeno due bottiglie di birra e vodka erano riuscite a placare.

 

Scott aggiustò il braccio di Gabriel intorno alle proprie spalle e lo rimise in piedi a fatica, erano alti uguali, ma Gabriel era più grosso e più pesante, allenato da anni di sport, non sarebbe riuscito a trascinarlo fino al letto. Per fortuna il ragazzo si dimostrò più lucido di quanto sembrasse e riuscì a barcollare fino alla propria stanza aggrappandosi alla spalla di Scott e appoggiando cautamente il gesso in terra con una serie di smorfie. Zoppicò fino al letto e vi si lasciò cadere con un sospiro «Non mi sento per niente bene » disse con la faccia sprofondata nel cuscino. C'era qualcosa nel suo tono che fece esitare Scott, in qualche modo capì che non si riferiva solamente all'alcol. Probabilmente era stato lui, che con le sue domande aveva riportato a galla un dolore che avrebbe voluto dimenticare. Si inginocchiò accanto al letto in modo da essere alla stessa altezza di Gabriel «Vuoi che ti porti qualcosa, cosa posso fare?»
Finalmente il ragazzo alzò il viso dal cuscino e lo squadrò socchiudendo gli occhi verdi «Adesso sì che mi sembri l'infermiera Gill» sorrise, nascondendo ogni traccia di dolore dallo sguardo. Poi tornò serio «Resta ancora un po'» gli disse, facendosi più in là nel letto. Per un attimo quel ragazzo bellissimo e misterioso gli apparve fragile e provò di nuovo il senso di protezione che aveva sentito vedendolo all'ospedale.
Come poteva pensare di proteggere qualcuno? Lui, che non riusciva nemmeno a guardarsi negli occhi allo specchio, che non era riuscito ad ammettere chi era nemmeno con il suo migliore amico. Tuttavia si sdraiò accanto a Gabriel, sfiorando il suo petto con la spalla e rimanendo a pancia in su a guardare il soffitto in attesa che l'altro si addormentasse. Poteva sentire il suo sguardo su di sé e il respiro che gli faceva sfiorare il suo braccio.
«Dovresti tagliarti i capelli» mormorò Gabriel a pochi centimetri dal suo orecchio, allungando una mano e sollevandogli una ciocca scura che arrivava a solleticargli il collo. «Ti porterò da un tizio che conosco, è bravo ed è un amico.» Gabriel alzò lo sguardo su di lui e sorrise. «Ed ora qualcosa per conciliare il sonno» disse allungando una mano sotto il letto ed estraendo un posacenere con una sigaretta rollata a mano ed un accendino.
Prima che Scott potesse obiettare se ne era infilato un'estremità in bocca e l'aveva accesa con gesti automatici e precisi. Il caratteristico aroma di marijuana si diffuse per la stanza, intenso ma non fastidioso; Gabriel chiuse gli occhi inspirando profondamente e soffiando fuori il fumo con grande concentrazione.
«Hai mai fumato?» chiese Gabriel senza riaprire gli occhi.
«No» rispose Scott a bassa voce, si sentì in imbarazzo ad ammetterlo e si maledisse per questo.
L'amico gli passò la canna senza parlare e lui la prese con le dita che tremavano leggermente, era così leggera e fragile che ebbe paura di rovinarla o farla cadere. Non aveva mai voluto fumare prima, suo padre era contrario e non l'avrebbe perdonato se lo avesse sorpreso a farlo. Aspirò cautamente sentendo il fumo rovente bruciargli la gola e piccoli fastidiosi grumi fermarsi in bocca dopo aver oltrepassato il filtro arrotolato grossolanamente. Aspirò un paio di volte in maniera superficiale, fermandosi appena prima di iniziare a tossire e la restituì al proprietario. La testa gli girava leggermente ma era probabilmente colpa dell'alcol «Non sento niente».
Gabriel non rispose, era immobile ad occhi chiusi e fumava con movimenti lenti e regolari, quasi ipnotici. Chissà cosa gli passava per la testa?
Spense la canna terminata nel posacenere e si mise più comodo, ripiegando un braccio sotto la testa. Stranamente Scott non era a disagio, forse era l'effetto dell'alcol, o del fumo, ma la presenza di un altro corpo contro al suo aveva qualcosa di rassicurante. Probabilmente era lo stesso anche per Gabriel, che dopo un attimo chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino. Forse sarebbe stato il momento giusto per andarsene, ma cullato dai respiri regolari di Gabriel anche Scott si addormentò.

 

Il mattino successivo Ely si alzò di buon ora e si preparò in silenzio, era di turno al bar in cui aveva trovato lavoro part time ed iniziava alle sette. Era un lavoro piacevole, un bar piccolo ma affollato di turisti e uomini d'affari. Le persone erano sempre troppo di fretta o troppo distratte per fermarsi a far caso a lui, e quello era il pregio più grande. Gli piaceva osservare senza essere osservato, era attento a tutto ciò che lo circondava come solo un animo artistico sa essere. Aveva imparato a riconoscere l'uomo che si sedeva sempre nell'angolo e faceva lunghe telefonate ad una fidanzata lontana, la donna di mezza età che veniva sempre alle dieci in punto e si metteva a scrivere su un portatile sorseggiando almeno due cappuccini di fila. Era impossibile non notarla, con i capelli rossi cotonati e le dita cicciotte coperte da anelli vistosi. Chissà se sarebbe mai diventata famosa. Un po' sarebbe stato anche merito suo e del suo cappuccino. Quel mattino erano già le dieci e cinque e ancora non si era presentata, lanciò un'occhiata alla porta e ciò che vide lo lasciò di stucco. Daniel?

Dan si era alzato con i postumi di una sbronza, ma con una luce risoluta negli occhi, era deciso a chiudere quella questione in sospeso una volta per tutte, poi finalmente sarebbe riuscito di nuovo a dormire bene. I sogni degli ultimi giorni lo avevano tormentato anche da sveglio.
Un'ora dopo varcava la soglia del piccolo bar in cui era sicuro che Ely lavorasse. Era dietro il bancone, infatti, e stava passando una spugna umida sulla macchinetta per il caffè, approfittando di un attimo di calma. Si accorse subito di lui e per qualche secondo rimase a fissarlo con gli occhi azzurri sgranati, prima di riscuotersi e raggiungerlo. «Daniel, che sorpresa, cosa ti porto?» gli chiese facendolo accomodare ad un tavolino. Indossava una camicia nera con le maniche arrotolate, un grembiule rosso scuro legato attorno ai fianchi sottili e una targhetta argentata con scritto "Elijah" gli brillava sul petto. Era molto professionale, sempre aggraziato e... bello.
«Io voglio... voglio un caffè. Per favore.» Dan incespicò nelle parole, vittima di nuovo della strana timidezza che gli incuteva quel ragazzo. In realtà voleva solo parlargli, ma ormai che era lì poteva anche bere un caffè. Dopo pochi minuti Ely ritornò, con una tazzina in equilibrio su un vassoio. Scivolava nel poco spazio tra i tavoli con grazia e leggerezza, quasi come se stesse ballando. Chissà se ne era capace.
«Sai ballare?» chiese senza pensarci.
Ely ridacchiò perplesso «Sì, direi di sì. Perché? Vuoi portarmi a ballare?» ondeggiò scherzosamente i fianchi proprio all'altezza degli occhi di Dan, che distolse lo sguardo arrossendo. «No! Era solo curiosità» borbottò abbassando la testa sulla tazzina. Dicevano che chi era bravo a ballare lo era anche a letto. Allora lui doveva fare schifo in entrambe le cose. Non aveva la leggerezza e la sensualità inconsapevole di Ely. Solo il pensiero di Ely a letto gli provocò un miscuglio si sensazioni contrastanti.
Lo afferrò per un braccio un attimo prima che tornasse al bancone e finalmente riuscì a fissare quegli occhi azzurri e limpidi. «Dobbiamo parlare» sussurrò Dan.
Ely annuì «Tra dieci minuti vado in pausa. Aspettami» la sua voce era tranquilla, ma quegli occhi sempre troppo sinceri non riuscirono a nascondere un barlume di apprensione.
Dan attese in silenzio per cinque minuti che sembrarono eterni, cercando di farsi venire in mente il motivo per cui si era precipitato nel bar. Dovevano parlare, ok, ma come fare a tradurre in parole tutto ciò che stava passando? Si maledisse per essersi lasciato prendere dall'impulsività, avrebbe dovuto capirlo che non era una buona idea. Improvvisamente il caffè ormai freddo gli diede un senso di nausea, e i minuti presero a scorrere troppo rapidamente. Senza riflettere lasciò qualche moneta sul tavolino e si precipitò fuori dal bar, scontrandosi con una donna grassa dai capelli rossi che entrava proprio in quel momento.

«Buongiorno, il solito cappuccino per favore.»
«Arriva subito, si accomodi pure.» Ely sorrise affabile alla donna che era appena entrata, mentre un altro barista gli batteva sulla spalla «Vai pure in pausa, non ti sei ancora fermato un attimo.»
Fu solo in quel momento che alzò lo sguardo sul tavolino all'angolo. Daniel se ne era andato.
Ely passò le successive quattro ore a chiedersi cosa lo avesse spinto ad arrivare fin lì per poi sparire nel nulla, ma era un lato di Dan che non gli dispiaceva, quel suo essere sempre vittima dei suoi sentimenti. Tutte le volte che lo guardava negli occhi vedeva agitarsi in lui decine di emozioni contrastanti. Sperava solo che riuscisse a trovare un ordine in quel caos prima o poi. Per quanto lo riguardava Dan gli piaceva, gli piaceva un po' troppo, forse. Era rischioso innamorarsi di un ragazzo etero, ma non era stata una scelta.
Ci stava ancora pensando quando lasciò il bar alla fine del turno, era indeciso se andare a casa e chiamarlo o raggiungere Kyle nel posto in cui sapeva di trovarlo a suonare. Si incamminò pensieroso sfiorando il muro con le dita nello stretto passaggio tra due palazzi, prendendo la strada più breve per la metropolitana quando un braccio lo afferrò con violenza e lo costrinse a voltarsi.
Il cuore di Ely prese a battere più forte, preparandosi alla fuga, ma non si trattava di uno sconosciuto.
«Merda, Daniel! Mi hai spaventato.» Smise di strattonare il braccio ancora stretto nella presa ed alzò gli occhi su di lui. «Cosa ci fai qui? Prima sei fuggito.»
«Lo so, mi dispiace, io...» la voce di Dan si spense, era così vicino che nei suoi occhi poté leggere paura e confusione. Poi prese Ely per le spalle, spingendolo bruscamente conto il muro, e lo baciò.
Ely sgranò gli occhi e Dan premette con più forza le labbra sulle sue, fu un contatto inaspettato e un po' rude. Le sue mani risalirono fino ad infilarsi tra i suoi capelli, stranamente delicate, e lo sentì sospirare approfondendo il bacio. Ely rispose, scuotendosi dalla sorpresa e socchiudendo le labbra, era diverso dalle volte precedenti, finalmente Dan si lasciava andare. Finalmente sentiva che lo voleva. Gli circondò il collo con le braccia, attirandolo più vicino e facendo aderire il petto al suo, entrambi avevano il respiro affannato e le mani leggermente tremanti mentre si esploravano e si accarezzavano.
Fu Dan a staccarsi per primo, ancora sotto shock per ciò che aveva fatto. Tolse lentamente le mani dai capelli di Ely e si allontanò di un passo. Nel silenzio si potevano udire chiaramente i rumori del traffico sulla strada principale e quello dei loro respiri affannati.
Ely si decise a parlare per primo. «Era questo che mi volevi dire?» chiese con il suo immancabile sorriso che mise di nuovo in evidenza la piccola fossetta sulla guancia sinistra.
«A dir la verità sono uscito di casa e sono venuto qui senza sapere cosa volessi di preciso» ammise Dan.
«Forse tu no, ma mi sembra che il tuo corpo lo sappia.» Sorrise e Dan arrossì, una leggera spruzzata di colore che gli inondò il viso rendendolo ancora più carino. O almeno così pensò Ely, che guardandolo si sentì per un attimo incredibilmente felice. Gli passò una mano sul volto, tracciandone i contorni per imprimerselo bene nella memoria, già pensando a come l'avrebbe disegnato.

 

Il rumore dei clacson e il vociare indistinto delle persone segnalarono un probabile ingorgo sulla strada. Fu questo a svegliare Scott, o il borbottio di Gabriel al suo orecchio. Ritornò alla realtà emergendo da un sogno nebuloso in cui suo padre imprecava contro tutti i froci del mondo e gli sbatteva la porta di casa davanti.
Dopo un attimo di smarrimento il suo cuore si calmò e i brandelli dell'incubo iniziarono impercettibilmente a svanire dalla memoria; la testa gli faceva male e aveva la gola secca ed amara. Ci mise un minuto a realizzare la presenza di Gabriel di fianco a lui, con i capelli castani incollati alla fronte dal sudore ed un'espressione corrucciata era ancora perfettamente addormentato. Scott avrebbe voluto alzarsi senza svegliarlo e sgattaiolare nella propria stanza, ma nel sonno la gamba sana di Gabriel si era intrecciata alle sue rendendogli impossibile la fuga.
A giudicare dalla luce che inondava la stanza attraverso le imposte rimaste aperte, doveva essere almeno mezzogiorno. L'alcol li aveva storditi tanto da fargli perdere la cognizione del tempo che passava. Sfilò la spalla da sotto la testa di Gabriel, e spostò delicatamente la gamba che lo teneva bloccato, ma il ragazzo probabilmente aveva dormito abbastanza, perché si stiracchiò ed aprì gli occhi.
«Ma che...» Si voltò verso di lui con un'espressione interrogativa negli occhi verdi.
«Scusa, mi sono addormentato.» Scott arrossì in preda all'imbarazzo, sperando che Gabriel ricordasse di essere stato lui a chiedergli di rimanere.
«Non c'è problema, non mi ricordo cosa fai qui, ma presumo che ci debba essere un'ottima spiegazione.» Disse Gabriel con l'intento di rassicurarlo, passandosi le mani tra i capelli arruffati. Scott arrossì ancora di più e prese a balbettare, scatenando le risate di Gabriel.
«Certo che c’è un’ottima spiegazione. Mi hai chiesto tu di rimanere!» disse Scott distogliendo lo sguardo.
Questo sembrò mettere a tacere Gabriel, che si fissò le mani «E perché?» chiese in tono neutro.
«Non lo so.» Scott scosse la testa, più tempo passava insieme a quel ragazzo e meno gli sembrava di conoscerlo. C’era qualcosa di imprevedibile in tutto ciò che diceva e faceva. Il fatto che fosse così misterioso, però, riusciva solo ad accrescere la sua curiosità nei suoi confronti.

 

 

 

______________________

* Angolo dell’Autrice *

Ciao bellissime ragazze che mi seguite! Scusate il filino di ritardo. E’ vero che non do mai una data per l’aggiornamento, ma sono andata un po’ oltre la settimana che mi prefisso sempre. A mia discolpa c’è che tra Pasqua, Pasquetta e compagnia bella sono stata un bel po’ fuori casa.

Un’altra cosa che mi sa che non mi perdonerete è il fatto che Kyle in questo capitolo non compaia. E’ triste anche lui, lo so! Ma inserirlo sarebbe stata una forzatura. Consolatevi, la settimana prossima scoprirete cosa facevano i brutti ceffi sulle sue tracce :) E come lo scoprirete… eheh!

Vi ringrazio come sempre per non avermi fatto mai mancare il vostro appoggio! Poi ringrazio le 25 persone che mi seguono, tutti coloro che mi ricordano/preferiscono e anche chi legge.

Un abbraccio speciale va alle ragazze che perdono qualche minuto per farmi sapere cosa ne pensano. Non mi stancherò mai di ribadire l’importanza delle recensioni. Non tanto numericamente, ma la carica e il buon umore che mi danno è fondamentale (e in questo periodo ne ho davvero bisogno…)

Domanda della settimana: Gabriel vi piace o lo prendereste a schiaffi? :) Io sotto sotto credo di adorarlo ^^ 

A presto belle fanciulle!

Un bacio

Faf

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Capitolo 7
*** Paura ***


Capitolo 7

Paura

 
 

Handle me with care
I'm so tired of being lonely
I still have some love to give

Traveling Wilburys - Handle With Care

 


Kyle sobbalzò per l'ennesima volta quando sentì un rumore sul pianerottolo. Non poteva andare avanti così, doveva darsi una calmata o sarebbe impazzito. Da quando Ely gli aveva riferito dell'incontro con quell'uomo e delle sue minacce non riusciva più a stare tranquillo. Aveva detto ad Ely che non c'era di che preoccuparsi, ma lui stesso era il primo a trasalire al minimo rumore. Sapeva con chi aveva a che fare: non giravano belle voci sul suo conto, ma non poteva permettersi di cedere al ricatto.
Da quando a quindici anni era scappato da casa se l'era sempre cavata, in un modo o nell'altro.
La porta di casa sbatté e il cuore di Kyle accelerò di nuovo. Merda.
«Chi è?» chiese, maledicendosi per il tono incerto che gli era uscito. Sapeva benissimo chi era. Che domanda del cazzo, stava diventando paranoico. Chi mai poteva aprire con le chiavi? «Ely, sei tu?»
«Sì, sono io, come mai sei in casa?» La sagoma snella del suo coinquilino si affacciò alla porta, con un sorriso che gli illuminava il viso e gli occhi.
Kyle scosse la testa. «Mi sono addormentato di nuovo e quando mi sono svegliato erano già le due del pomeriggio, stanotte non ho dormito. Stavo per uscire.»
Ely lo guardò dubbioso, chissà se sospettava qualcosa. Era difficile prendere sonno quando sapevi che c'era qualcuno che ti voleva pestare a sangue. Ma non era la minaccia di un semplice pestaggio a tenerlo sveglio la notte. Era il modo. Le dita. Gli avrebbero spezzato le dita.
Non avrebbe più potuto suonare, e lui viveva di quello. E per quello.
Sentì l'acqua scorrere nella doccia e la voce musicale ed un po' roca di Ely intonare una delle sue canzoni; era rassicurante avere un coinquilino. Nonostante sapesse che era una soluzione provvisoria, sperò che rimanesse il più a lungo possibile. Lo aveva accolto in casa perché non aveva altro posto dove andare e lui era il primo a sapere cosa significasse. Era stato per anni da solo in una città che non conosceva, senza poter contare su nessuno; non voleva che qualcun altro si trovasse a provare gli stessi sentimenti di solitudine e di incertezza che aveva provato quel primo anno lontano da casa. Quella notte di quattro anni fa era scappato senza pensare a dove andare, era rientrato in casa solo il tempo necessario per prendere una sacca con qualche vestito, cinquecento dollari in contanti che i suoi tenevano nel cassetto e la chitarra. Aveva attraversato tutta l'America in treno, mosso dal senso di colpa e dall'incoscienza dei quindici anni. Aveva suonato nelle stazioni della metropolitana, dormito sui treni e parlato con più persone di quante avrebbe mai pensato di conoscerne in vita sua. Ogni volta si era inventato un nome ed una storia diversa, fino ad arrivare a chiedersi se ciò che l'aveva costretto a scappare fosse successo davvero.
Pian piano il senso di colpa si era attenuato, insieme alla nostalgia di casa e alla paura di essere trovato.

Ely si pettinò rapidamente i capelli umidi, da giorni viveva in uno stato di eccitata euforia - da quando Dan lo aveva baciato, per la precisione - ma non aveva potuto fare a meno di notare l'aria esausta di Kyle. Si augurò che non fosse a causa della minaccia. Gli aveva detto che non era nulla di grave, ma da quella sera era diventato sempre più nervoso e taciturno. Aveva provato a chiedergli chi fosse quell'uomo, ma aveva sempre ricevuto risposte evasive.
Ely si guardò allo specchio distrattamente, non prestava mai molta attenzione al proprio aspetto, gli bastava che corrispondesse all'immagine di sé che aveva in testa.
Più di una volta aveva ricevuto avances sia da uomini che da donne, ma non riteneva di essere bello. La bocca piena e le ciglia lunghe gli davano un'aria quasi infantile, accentuata dal fatto che non aveva ancora bisogno di farsi la barba, nonostante i suoi diciannove anni. Capiva perfettamente come avesse fatto Daniel a sbagliarsi.
Provò ad atteggiare la bocca in una linea severa, ma il suo viso non sembrava concepito per essere arrabbiato. Anche a distanza di giorni poteva ancora vedere una luce nuova brillare nel proprio sguardo quando sorrideva. Il suoi occhi erano troppo azzurri e troppo trasparenti: non riuscivano mai a nascondere alcuna emozione.
L'immagine del volto di Daniel gli ronzava ancora in testa, rivedeva perfettamente il suo volto sconvolto per essersi lasciato andare. Quel bacio aveva colto di sorpresa Ely, ma soprattutto lo stesso Dan. E tuttavia era una delle cose più belle che gli fosse successa: Dan l'aveva baciato, e l'aveva fatto anche bene.
Si era messo al lavoro quella sera stessa, spinto dalla necessità di ripercorrere il suo volto, anche se solo sulla carta, e di rivedere quella luce brillare nei suoi occhi. Il ritratto stava venendo meglio di quanto si aspettasse, persino Kyle si era incantato a fissarlo. Era un semplice disegno a carboncino, ma le delicate ombreggiature e il chiaroscuro lo facevano apparire quasi reale. Quella sera lo avrebbe finito e il giorno dopo lo avrebbe infilato nella buchetta della posta di Dan. Non voleva obbligarlo a vederlo, se non voleva. Ma così avrebbe saputo che l'aveva pensato.

* * *


«Te l'avevo detto che non sarebbe stata una buona idea» borbottò Scott afferrando Gabriel per un braccio mentre la stampella perdeva la presa sul gradino lucido. Stavano scendendo per i tre piani di scale che li avrebbero condotti all'aperto dopo dieci giorni di reclusione in casa.
«Se fossi rimasto in quella stanza ancora un po' sarei morto di noia» disse Gabriel fermandosi a riprendere fiato. Era faticoso, ma sapeva che ne sarebbe valsa la pena. «Sbrighiamoci, Kenny ci sta aspettando» gli mise fretta, picchiettandogli la stampella sulle gambe.
L'affermazione ebbe solo il potere di far rallentare ulteriormente Scott. «Chi è Kenny?» chiese dubbioso.
Gabriel non rispose, concentrandosi sull'ultima rampa di scale, ed atterrò sul pavimento dell'ingresso con un piccolo saltello. Nonostante l'aria fredda stava già sudando, e gli rimanevano ancora due isolati da fare prima di arrivare al negozio di Kenny.
Scott lo seguì rassegnato, Gabriel sembrava uno di quei ragazzi abituati ad ottenere sempre ciò che desiderano. Non un ragazzo viziato ed abituato a vivere nella bambagia, più il tipo di persona disposta a lottare con tutto sé stesso per raggiungere i propri obiettivi. In un modo o nell'altro dava l'impressione di cavarsela sempre.
Gabriel nel frattempo aveva raggiunto un negozio con l'insegna "Da Kenny". Un poster raffigurante elaborate acconciature campeggiava in vetrina. Un parrucchiere? Inarcò le sopracciglia perplesso, mentre entravano.
«Ti avevo promesso che ti avrei accompagnato a sistemare i capelli, no?»
«Pensavo non ti ricordassi nulla dell'altra sera» borbottò Scott in preda allo sconforto.
«Gabe, mio caro! Quanto tempo.» Un uomo alto e magro sbucò da dietro un paravento in stile orientale e si avvicinò per abbracciare Gabriel. Aveva un leggero accento non ben identificabile, che dava alle sue parole una musicalità particolare. Portava i capelli scolpiti con il gel e dei pantaloni di velluto infilati in un paio di anfibi. Anche Gabriel sembrò felice di rivederlo ed iniziarono subito a parlare fitto del Vietnam e dell'incidente, dimenticandosi della presenza di Scott. Non che gli dispiacesse.
Dopo poco Gabriel si lasciò cadere con un sospiro su una poltroncina girevole e si decise a presentarli, affidando Scott alle cure di Kenny. Doveva ammettere che quell’uomo sapeva come far parlare la gente, persino Scott si ritrovò a partecipare alla conversazione, mentre i suoi capelli venivano lavati e strofinati. «Allora, Gabriel ti fa impazzire?» gli chiese curioso l'uomo.
. «No.» Il sorriso d'intesa che gli rivolse Kenny attraverso lo specchio gli fece pensare che il rapporto tra lui e Gabriel dovesse essere qualcosa di più del semplice parrucchiere-cliente. Sembrava conoscerlo davvero, chissà se sapeva qualcosa dei segreti che lo riguardavano.
Kenny pettinò i capelli scuri di Scott, ormai così lunghi da coprirgli completamente gli occhi, e iniziò a tagliare senza chiedere il parere di nessuno. Gabriel rise della sua espressione sorpresa e lo rassicurò «Ken sembra un po' strano, ma sa fare il suo lavoro.»
«Ben detto, ragazzo!» esclamò l'uomo facendo scattare le forbici in modo minaccioso. Guardandolo meglio Scott si accorse che non era molto più grande di loro - venticinque, ventisei anni al massimo - ma aveva un modo di fare sicuro ed estroverso che gli incuteva soggezione.
Lentamente il nuovo taglio prese forma sotto le sue mani e la diffidenza di Scott nei suoi confronti si attenuò. Era riuscito a dargli l'aspetto che non aveva mai avuto, di qualcuno che si sente a suo agio nel proprio corpo. I suoi occhi sembravano più grandi e più chiari, finalmente visibili, perfino la bocca appariva diversa.
«Stai sorridendo» lo pungolò Kenny, «questo vuol dire che ho fatto centro di nuovo.»
«Non sembro nemmeno io» confermò guardandosi ancora una volta ad occhi spalancati ed incrociando lo sguardo compiaciuto di Kenny e quello meravigliato di Gabriel, che aveva alzato la testa dalla rivista che stava leggendo. «Wow, ho fatto bene a portarti!» esclamò «Fanno venire voglia di passarci le mani in mezzo.»
Al momento di andarsene Kenny non volle niente per il taglio, ma Gabriel gli allungò una banconota in cambio di un pacchettino che fece sparire nella tasca della giacca. Il parrucchiere li salutò con la mano e fece l'occhiolino a Scott dicendo «Tienilo d'occhio e non farti ingannare dal suo bel faccino.»
Scott arrossì, pur senza capire cosa volesse dire di preciso, e si affrettò a seguire Gabriel fuori dalla porta.

Ci volle più di mezz'ora a rifare all'indietro la strada che avevano percorso all'andata e a risalire i tre piani di scale fino all'appartamento, quando varcarono la soglia Gabriel aveva il fiatone e un velo di sudore gli copriva la fronte abbronzata incollandogli i capelli alla pelle. «Meno male che tra dieci giorni mi liberano da questo coso» brontolò tirando un calcio al tavolino con la gamba ingessata e sussultando con una smorfia. Si lasciò cadere di peso sul divano e lanciò sul tavolino il pacchettino che aveva in tasca. Era una bustina di plastica contenente qualcosa di scuro «L'altra sera ci siamo fumati l'ultima della mia scorta» rispose Gabriel in risposta allo sguardo curioso di Scott.
Sul televisore c'era un post-it di Dan scritto con un pennarello rosso, li informava che era uscito a cercare lavoro. Una cosa che avrebbe dovuto fare anche Scott, ma negli ultimi giorni era come se si fosse assunto il compito di assistere Gabriel e di fare in modo che non si annoiasse. Al contrario, invece, Dan passava tutto il suo tempo libero fuori, quasi li stesse evitando. Ma perché? Per la faccenda di Ely?
«Mi dispiace per tuo padre.» La voce sommessa di Gabriel gli fece rialzare di scatto la testa. «Per ciò che ci hai raccontato l'altra sera» continuò.
Scott avrebbe preferito non tornare sull'argomento, ma l'insolita gentilezza nel tono dell'altro lo convinse a rispondere.
«Ci ho fatto l'abitudine, non è stata l'unica volta, ma ora appartiene al passato» disse torturandosi con l'unghia una pellicina mangiucchiata. Sussultò per la leggera fitta di dolore al dito, che era niente in confronto al peso sul petto. Era facile mentire a Gabriel, purché non lo guardasse negli occhi, ma non lo era altrettanto mentire a sé stesso. La realtà era che il dolore che ogni tanto provava ancora era sufficiente a togliergli il fiato.
«Ti ho sentito urlare l'altra notte, quando hai dormito nel mio letto. E anche le notti dopo.» Disse Gabriel, il suo tono era basso, dolce, e Scott chiuse gli occhi.
«E tu come mai non parli più con la tua famiglia?» indagò, sperando di distogliere l'attenzione da sé stesso. Poté sentire Gabriel muoversi sul divano, nervoso, e pensò che non avrebbe risposto. Invece la sua voce gli giunse di nuovo, attraverso la folla di immagini che si susseguivano dietro le palpebre chiuse.
«Divergenze di opinioni.» Il suo tono era secco e tagliente adesso, non c'era malinconia o nostalgia nel suo lasciarsi alle spalle la famiglia, o almeno era molto bravo a non mostrarlo. C'era qualcosa, in quel ragazzo, che gli faceva venir voglia di conoscerlo a fondo, di attraversare le barriere che si era costruito intorno e di raggiungerlo ovunque fosse.
«Come mai tuo padre ti picchiava?» contrattaccò Gabriel. Sembrava stessero giocando di nuovo al gioco della verità, e a mente lucida era molto più difficile.
A Scott girò la testa per un attimo, consapevole che avrebbe potuto dire a Gabriel ciò che non aveva mai detto nemmeno a Dan, sarebbe stato come liberarsi di un peso, ma qualcosa gli bloccava le parole in gola, facendogli affluire il sangue alle guance e seccandogli la bocca.
Scott riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo di Gabriel. «Perché sono gay.»


* * *


Ely si incamminò verso casa facendo dondolare la tracolla con una mano, aveva deciso di tornare a piedi: era una serata insolitamente tiepida e si sentiva felice. Troppo felice per stare incastrato in un vagone pieno della metropolitana. Aveva appena lasciato il disegno nella buchetta di Daniel e sperava davvero che lo apprezzasse. Si rendeva conto di averci messo tutte le sue speranze, l'affetto che provava per lui era filtrato dalla matita al foglio, nei tratti delicati con cui aveva delineato il suo volto, aveva sfumato il carboncino sulle guance e nell'incavo della gola quasi accarezzandolo. Modellando con i polpastrelli la luce e le ombre del viso. Un po' gli dispiaceva separarsi da quel disegno, ma l'aveva fatto per lui e poi poteva sempre dipingerne un altro.
Un po' gli dispiaceva non averlo visto, ma si era ripromesso che non gli avrebbe più messo pressione e aveva trattenuto l'impulso di suonare il campanello. Sperava in una sua telefonata, forse era troppo ottimista, tuttavia era sicuro che prima o poi sarebbe arrivata. Sorrise fra sé, e stava ancora sorridendo quando il cellulare vibrò nella sua tasca. Con le mani che tremavano leggermente lo aprì, ma era solo un messaggio di Kyle: "Sto tornando, se vuoi puoi ordinare due pizze!"
Certo, era passata solo mezz'ora, non poteva già essere lui. Non poteva sussultare tutte le volte che il telefono squillava.
Per fortuna era quasi arrivato sotto casa, avrebbe fatto in tempo ad ordinare la cena prima che arrivasse Kyle. Cercò le chiavi nella tracolla, fermo sotto al portone, con il cellulare ancora stretto in mano. Sfilò l'album dalla borsa, pensando che prima o poi avrebbe dovuto cercarne uno più piccolo, ma per il momento doveva accontentarsi; non usciva mai di casa senza un paio di matite e qualcosa su cui disegnare. Finalmente si ricordò di aver messo le chiavi nella tasca davanti, per non dover svuotare la borsa ogni volta che le cercava. Sorrise da solo per l'inutilità di quell'idea.
Una spinta violenta lo mandò a sbattere contro il vetro del portone, strappandogli un gemito di dolore e sorpresa. Il cellulare gli scivolò di mano e cadde sull'asfalto con un rumore di plastica che si rompeva che riecheggiò in tutta la via. Era buio, ma non abbastanza da non riuscire a distinguere la figura che gli stava ad un passo. Era l'uomo dell'altro giorno, quello che aveva minacciato Kyle, e non era solo. Un altro individuo, così simile al primo da poter essere suo fratello, lo fissava con le braccia incrociate sul petto.
«A quanto pare quel frocetto del tuo ragazzo non capisce i nostri avvertimenti» sussurrò lo sconosciuto facendo un passo in avanti. Pensavano che lui e Kyle stessero insieme?
Ely indietreggiò, fino a urtare con le spalle il vetro freddo del portone. Doveva scappare. Forse con uno spintone sarebbe riuscito a passargli in mezzo. Il cuore gli batteva così forte da fargli male al petto. «Kyle non c'è. Lasciateci in pace» disse con una voce che suonò molto più sicura di quanto non fosse in realtà. La seconda spinta fu molto più violenta della prima, le mani dell'uomo lo colpirono in pieno petto, togliendogli il respiro e facendogli sbattere la testa contro il muro con un suono secco, mentre i fogli dell'album si sparpagliavano ai suoi piedi.
Il dolore alla testa gli schiarì le idee, o forse fu la vista dei suoi schizzi rovinati dalle suole degli scarponi, ma Ely reagì, spingendo l'uomo da una parte e scattando di lato. Il fratello probabilmente si aspettava un'azione simile perché allungò una mano in tempo per afferrargli una manica. Con un ringhio bloccò la sua fuga, lo strinse per un polso torcendogli il braccio dietro la schiena. Ely aprì la bocca per urlare, ma una ginocchiata dell'altro uomo lo raggiunse allo stomaco. Gli uscì un suono soffocato e probabilmente sarebbe caduto a terra, se la presa ferrea sul suo braccio non l'avesse trattenuto. Un pugno sul viso lo fece barcollare all'indietro, sentiva il sapore del sangue in bocca, dove si era morso il labbro, e un dolore sordo e pulsante su tutto il lato del viso. All'improvviso la stretta svanì ed Ely atterrò sull'asfalto, sulle mani e sulle ginocchia, pregando che se ne andassero.
«Vediamo se così lo capisce che con noi non si scherza» disse uno dei due uomini, avvicinandosi verso di lui. Un calcio lo raggiunse al fianco e il dolore fu così intenso che per un attimo la sua vista si annebbiò. Pregò di svenire, ma non successe, e i colpi si susseguirono come fuochi d'artificio nella sua testa, piccoli scoppi e lampi di luce dietro le palpebre chiuse. Ancora e ancora. Poi finalmente il silenzio, rotto solo dai respiri affannati dei due uomini. Ely si portò una mano al viso, bagnato di sangue, o forse di lacrime, non si era nemmeno accorto di stare piangendo. La mano gli venne bruscamente strappata via dal volto e tenuta sollevata, la voce dell'uomo gli giunse ovattata mentre gli apriva il pugno con la forza. «Ancora una cosa» lo sentì dire.
Un attimo prima che succedesse capì; il suono delle sue dita che si rompevano gli giunse subito prima del dolore.
Ely urlò, coprendo il rumore dei passi dei due uomini che si allontanavano di corsa.
E poi, finalmente, la coscienza e il dolore lo abbandonarono.



 


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* Angolo dell'Autrice *

Che dire? Vi lascio così, sono cattiva, lo so. ç.ç Mi sono sentita davvero male a massacrare così il povero Ely, che davvero non c'entra nulla con i casini di Kyle.
Speriamo solo che se la cavi. Spero che la scena non sia stata troppo violenta o troppo forte :(
Altra novità: Scott ha ammesso di essere gay, credo sia la prima volta in vita sua che lo dice a qualcuno. Perché proprio a Gabriel? Non lo so, chiedetelo a lui ^^
Ultima cosa importante: mi dispiace che non ci sia Dan in questo capitolo, ma doveva andare così. E niente, nel prossimo avrà un ruolo da protagonista: ci sono un paio di scene che non vedo l'ora di scrivere!

 Una nota particolare va alla citazione e alla canzone ad inizio pagina. Amo quella canzone e la bellissima frase: Handle me with care, I'm so tired of being lonely, I still have some love to give. Mi sembra perfetta per Ely. Povero cucciolo *.*

Domanda della settimana: Cosa vorreste fare a quei pezzi di ***** che hanno pestato a sangue il nostro Ely? XD Ok, forse questa domanda inneggia un po' troppo alla violenza ^^

Grazie ragazze come sempre per le recensioni, per chi mi segue e preferisce e a chi mi fa sapere che gli piace con qualsiasi mezzo :D You make me so happy! ç____ç

Vi do appuntamento come sempre tra una settimana circa per il prossimo capitolo :) Ultimamente ho preso l'abitudine di andare a scrivere all'aperto, c'è un fantastico prato sulle colline dietro casa mia, potete sentire il profumo dell'erba e il cinguettio degli uccellini? E' bellissimo!

A presto, baci!

Faf

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Capitolo 8
*** Una lunga notte ***


Capitolo 8

Una lunga notte

 

Your will changes every day
It's a choice you got to make
I can't help you if you want to

Seven day mile - The Frames

 

 

Daniel aprì la porta dell'appartamento con un rapido giro di chiave ed una spallata, un gesto che era già diventato un'abitudine. Sul divano Scott e Gabriel sussultarono quasi contemporaneamente; possibile che quei due avessero sempre l'aria di chi nasconde qualcosa?
«Ehi, ma ti sei tagliato i capelli?» chiese accennando al nuovo taglio di Scott. Il ragazzo arrossì e non disse nulla, momentaneamente ammutolito, limitandosi a passare una mano tra i folti ciuffi scuri.
«Si può sapere cosa vi stavate dicendo di così importante da non poter continuare in mia presenza?» Non che gli importasse, ma da quando era entrato in casa si erano azzittiti entrambi, e il rossore del viso di Scott non accennava a diminuire.
«Ehm... Gabriel mi ha portato da un suo amico parrucchiere» si decise finalmente a rispondere Scott, prima di deviare l'attenzione sulla busta che Dan teneva stretta. «Cos'hai in mano?»
«Non lo so, l'ho trovata nella posta.» Dan si sedette sul divano, esaminando la busta. Era grande, di spessa carta marrone, con solo il nome del destinatario scritto su un lato.
Per Daniel.
La aprì delicatamente, sentendo su di sé lo sguardo curioso degli altri due, e per un attimo si pentì di non essere nella propria stanza. Era un disegno, un bellissimo disegno a carboncino. Sentì Scott trattenere il respiro, mentre lui appoggiava il ritratto sul tavolino. Non era firmato, non che fosse necessario, ma una frase era scritta lungo il bordo del foglio in una sottile calligrafia obliqua che riconobbe all'istante.
It's a choice you got to make, I can't help you if you want to.
Quello era il modo di Ely di fargli sapere che gli era vicino, ma che la scelta spettava a lui. Da quel pomeriggio nel vicolo dietro al bar non si era più fatto vivo; Dan si sentiva ancora imbarazzato e frustrato per essersi lasciato andare così. C'era solo una parte di lui, una parte non troppo piccola, che gli ripeteva che era stato lui stesso a baciarlo e che non gli aveva fatto per niente schifo. Anzi, all'improvviso gli sembrava l'unico vero bacio che avesse mai dato in vita sua.
«È bellissimo, chi è l'artista?» chiese Gabriel rompendo il silenzio.
«Un nostro amico. Più un amico di Daniel, in realtà» gli spiegò Scott osservando la sua reazione con la coda dell'occhio. Quel nuovo taglio sembrava gli avesse dato più sicurezza in sé stesso, era pronto a scommettere che nell'ultima frase ci fosse una velata allusione. Decisamente non-da-Scott.
Dan riprese il disegno e lo ripose al sicuro nella busta, per un attimo incrociò lo sguardo di sé stesso. Era come guardarsi allo specchio, ma l'immagine che gli rimandava era diversa dal solito: era il modo in cui lo vedevano gli altri. Non aveva mai notato quella luce illuminargli lo sguardo, né quel lieve sorriso addolcirgli i tratti, ma era pronto a scommettere che Ely li avesse visti.
«Qualcuno di voi due ha pensato a preparare qualcosa per cena o siete stati troppo impegnati a chiacchierare?» li interrogò Daniel, deciso a cambiare discorso.
Si avviò verso la cucina con lo stomaco che brontolava per la fame, ma come sospettava non c'era nulla sui fornelli. Aveva appena aperto il frigo in cerca di avanzi quando il telefono squillò. Senza voltare la testa afferrò la cornetta appesa al muro e rispose.
«Pronto?»
«Daniel, sei tu?» La voce dall'altra parte aveva qualcosa di familiare, ma non riuscì ad identificarla. Era bassa e venata di panico.
«Sì, sono io. Chi parla?» chiese mentre una sottile apprensione gli faceva dimenticare completamente la ricerca di cibo.
«Sono Kyle. Sono in ospedale, Ely è... Oh, merda. L'hanno picchiato... È solo colpa mia.»
Le nocche di Dan sbiancarono, strette sulla cornetta con tanta forza da rischiare di romperla. «Dimmi dov'è.» Non era una domanda, suonava più come un ordine, ma non gli importava. Avrebbe voluto chiedergli mille altre cose: cos'è successo? come sta ora? perché qualcuno può voler fare del male ad Ely? Ma la sua gola si era stretta a tal punto da rendergli difficile persino respirare.
«L'ha portato via l'ambulanza, l'ho trovato svenuto davanti al portone. Siamo al Presbyterian. Daniel, io...» La voce di Kyle si ruppe, ma era riuscito a comunicargli il nome dell'ospedale. Era lo stesso dove era stato ricoverato Gabriel.
«Sto arrivando.»
Dan riattaccò, con la testa che girava. Le mani gli tremavano così tanto che dovette fare diversi tentativi per riagganciare il telefono al muro; una rabbia sorda ed incontrollabile lo scuoteva da dentro. Perché proprio Ely?
Kyle aveva detto che era colpa sua. Chi mai poteva averlo picchiato fino a lasciarlo svenuto sul marciapiede?
Scott e Gabriel lo raggiunsero in cucina e gli raccontò brevemente la telefonata, cercando di controllare la paura che minacciava di farlo crollare. Sperava solo che stesse bene, pensò mentre le sue mani pigiavano con violenza i numeri per chiamare un taxi. Doveva andare all'ospedale e accertarsene di persona.
Scott non tentò nemmeno di fermarlo, non importava che ormai fosse notte, che non avesse mangiato niente da ore, che il giorno dopo avrebbe dovuto iniziare a lavorare.
Ah, già. Non gli aveva ancora detto di aver trovato lavoro. Improvvisamente non sembrava più così importante. Niente era più importante che salire su quel taxi e raggiungere l'ospedale. Quasi non sentì Scott che gli urlava di chiamarlo per dargli notizie; si precipitò giù per le scale con l'immagine del volto di Ely che gli lampeggiava nella testa e il senso di colpa che iniziava lentamente a roderlo da dentro. Aveva lasciato passare quasi una settimana senza più cercarlo, ed Ely gli aveva persino fatto un ritratto. Doveva aver pensato che non gli importasse più niente di lui.
Non era vero. Dan pensava a lui più di quanto avrebbe voluto, più di quanto avrebbe creduto possibile. Il volto di quel ragazzo si era impresso a fuoco nella sua mente e non voleva saperne di andare via; non avrebbe saputo dire cosa avesse di speciale, ma avrebbe fatto bene ad ammettere che lo era. Provava un'attrazione nei suoi confronti che si vergognava ad ammettere persino con sé stesso, era inutile negarlo.
Si appoggiò al bancone dell'accettazione, cercando con lo sguardo l'attenzione di un'infermiera.
«Chi cerca?» gli chiese una donna dall'aria stanca.
«Elijah Adam Mills.» Il nome di Ely aveva un suono amaro nella sua bocca, strano ed insolito, unito al fatto che non avrebbe mai voluto pronunciarlo in quella situazione.
«Lo stanno operando, puoi aspettare in quella sala d'attesa laggiù.» Gli indicò un lungo corridoio e tornò a concentrarsi sul mucchio di cartelle cliniche che aveva davanti. Dan si incamminò lentamente, sentendo l'adrenalina abbandonarlo lentamente; non sapeva se era una notizia buona o cattiva che fosse in sala operatoria. Era vivo, ma in che condizioni?
La sala d'attesa era vuota, eccetto per una figura accasciata su una delle sedie di plastica.
Kyle. Il ragazzo si nascondeva il volto tra le mani ed i capelli di solito ordinati erano sciolti sulle spalle, arruffati e spettinati come se ci avesse passato le mani in mezzo per ore.
«Kyle?» Al suono della voce di Dan alzò la testa di scatto, rivelando un volto pallido e stravolto, privo della solita sicurezza. Le parole che si erano scambiati prima al telefono gli tornarono in mente: "È solo colpa mia". Un insolito senso di calore dovuto alla rabbia gli annebbiò la vista per un attimo.
«Come hai potuto lasciare che gli facessero del male?»
Kyle saltò in piedi come scottato e cominciò a camminare per la piccola sala, incapace di stare fermo. «Già da giorni c'erano degli uomini che mi minacciavano. Dicevano che mi avrebbero spezzato le dita per impedirmi di suonare». Kyle si bloccò, sembrava facesse fatica a parlare «Quando sono arrivato ho trovato Ely svenuto davanti al portone, aveva una mano stretta al petto... e le dita rotte.»
Un senso di nausea si fece strada in Dan, impedendogli di pensare lucidamente.
«Se erano venuti per te, perché hanno picchiato Ely?» chiese, come se la risposta potesse cambiare le cose.
«Probabilmente per spaventarmi. Non lo so. So solo che a causa mia potrebbe morire. Mi dispiace!» La voce di Kyle che tentava di giustificarsi gli giunse ovattata ed il battito del cuore nelle orecchie divenne più forte.
Non fu una decisione presa razionalmente, ma uno di quei momenti in cui il corpo agisce di propria iniziativa e le emozioni esplodono verso l'esterno, incontrollabili.
Il pugno di Dan risuonò nella sala vuota, insieme al gemito di dolore e sorpresa di Kyle, che barcollò all'indietro contro le sedie di plastica, premendosi una mano contro la guancia colpita. Dan si rese conto di ciò che aveva fatto solo quando il sangue iniziò a filtrare tra le dita di Kyle e a gocciolare sul pavimento.
Daniel si guardò la mano, che ora pulsava di dolore. Non aveva mai colpito nessuno, prima. Non sapeva nemmeno come aveva fatto. Adesso gli tremavano le mani, in preda al nervosismo e al calo di adrenalina. Kyle era ancora in piedi di fronte a lui, appariva sotto shock e si tamponava il labbro spaccato con la manica della felpa, ormai zuppa di sangue. Sembrava non avesse il coraggio o la voglia di guardarlo negli occhi o reagire, probabilmente era divorato dal senso di colpa, e quel pugno era nulla in confronto a ciò che Ely aveva dovuto subire per causa sua.
Dan lo guardò allontanarsi barcollando e si lasciò cadere a sua volta su una sedia, mentre la paura tornava a tormentarlo. Mezz'ora dopo irruppe nella sala l'unica cosa in grado di risvegliarlo dal suo torpore: un medico e due infermieri uscirono dalla sala operatoria alle sue spalle spingendo una barella. Fece in tempo a scorgere una testa bruna e una mano fasciata, prima che varcassero la soglia del reparto e sparissero di nuovo. Dan si alzò di scatto, infilandosi dietro di loro un attimo prima che la porta automatica si richiudesse, e li vide entrare in una stanza in fondo al corridoio.
Si prese un attimo di tempo per guardarsi intorno e, nonostante le basse luci notturne, riconobbe l'ambiente familiare; sarebbe stato quasi divertente, se non fosse stato così spaventato: era lo stesso reparto in cui era stato ricoverato Gabriel. Non se ne era accorto prima, dal momento che non aveva usato l'ingresso dei visitatori, ma ora non aveva dubbi.
«Cosa fa qui? Non è orario di visita!» La voce concitata dell'infermiera lo fece sussultare, era sbucata alle sue spalle all'improvviso e brandiva un paio di pinze metalliche dall'aria inquietante.
«Gill?» chiese Dan riconoscendola.
«Oh, sei l'amico di Gabriel, cosa fai qui.» Il volto della donna si ammorbidì nel riconoscerlo ed anche il suo tono non sembrò più così minaccioso.
«Hanno appena portato un ragazzo dalla sala operatoria. È il mio... Sono qui per lui» concluse dopo un attimo di esitazione.
«In teoria dovresti entrare domattina, ma dal momento che sei qui...» Gill scrollò la testa comprensiva e gli fece strada nella stanza in cui aveva visto entrare Ely, da cui uscivano in quel momento il medico e i due infermieri ancora in divisa da sala operatoria.
«Il ragazzo è stabile, abbiamo fatto il possibile per sistemargli quelle dita. Ha tre costole fratturate e un leggero trauma cranico, ma si risveglierà presto» riferì il medico a Gill, che annuì e fece entrare Dan nella stanza.
«Come mai i tuoi amici ogni tanto si cacciano nei guai? Ha tutta l'aria di essere uscito da un pestaggio» disse squadrando il viso di Ely nella penombra.
Rimasto solo, Dan si avvicinò al letto, non riusciva a distinguerlo bene alla fioca luce proveniente dal corridoio, ma aveva tracce di sangue secco sul mento e un grosso livido scuro che gli occupava metà del viso. Nonostante tutto, anche nel sonno manteneva la sua espressione mite, chiunque l'avesse picchiato non era riuscito a portargli via il suo viso d'angelo.

 * * *

Scott e Gabriel, di nuovo soli, si fissarono in silenzio. L'arrivo improvviso di Dan, e la sua ancor più improvvisa partenza, avevano rovinato l'atmosfera di complicità che si era creata; Scott sentiva le sue ultime parole pesargli addosso come un macigno. Si sarebbe aspettato un senso di liberazione nel poter essere finalmente sé stesso, invece era solo spaventato: Gabriel non aveva fatto in tempo a rispondere alla sua rivelazione e ancora non gli aveva detto come la pensava. Forse era stato un errore aprirsi così con lui: aveva già i propri segreti di cui occuparsi.
Stava per dirigersi in camera con un pacco di biscotti come cena, incapace di sopportare ancora quell'atmosfera, quando la mano di Gabriel gli afferrò il braccio impedendogli di allontanarsi.
«Aspetta» lo sentì dire e per un attimo, irrazionalmente, credette che l'avrebbe colpito.
Gabriel lo prese per le spalle e lo voltò bruscamente, in tempo per vedere Scott portarsi istintivamente un braccio a ripararsi il viso e chiudere gli occhi.
Passarono pochi secondi in cui entrambi rimasero perfettamente immobili, Gabriel sbalordito ed incredulo e Scott profondamente imbarazzato per aver permesso alle sue vecchie paure di prendere il sopravvento e farlo sentire di nuovo vulnerabile.
«Scusami, non volevo reagire così» tentò di giustificarsi, ben sapendo che era inutile.
«Io non ti colpirei mai! Odio l'idea che qualcuno...» rispose Gabriel, interrompendosi a metà frase. Le sue mani, ancora sulle spalle di Scott, scivolarono lentamente lungo le braccia, ma senza lasciarlo andare. Aveva il respiro leggermente affannoso e sembrava furioso.
Gli strinse i polsi con forza e lo avvicinò a sé dicendo «Non so con che coraggio tuo padre ha osato picchiarti, ma ti assicuro che in casa mia non ti succederà niente.»
Scott non l’aveva mai visto così serio, i suoi occhi verdi avevano perso l’abituale scintillio ironico ed erano fermi e risoluti. C'era qualcosa nel suo sguardo che non aveva mai visto. Il cuore di Scott inspiegabilmente si mise a battere un po' più forte, era strano essere guardati in quel modo e non avere più la frangia di capelli dietro cui nascondersi.
Lo squillo di un cellulare fece sussultare Gabriel, che lo lasciò andare come scottato, permettendogli di rispondere.
«Pronto, Dan sei tu?»
«Oh, cavolo! Spero che vada tutto bene. Tienimi informato.»
«Sì, grazie per aver chiamato.»

Più tardi, quella notte, Scott si rigirò nel letto ancora una volta, incapace di dormire. Immaginò Dan, seduto da solo accanto al letto di Ely, in attesa del suo risveglio. Ed Ely, di cui sapeva poco o nulla, se non che aveva sempre una parola ed un sorriso per tutti, che amava disegnare e cucinare e che era stato picchiato a sangue senza motivo.
Quando era venuto a New York aveva pensato di essersi lasciato il male alle spalle, solo ora si accorgeva di quanto fosse infantile la sua convinzione. Pensava che avrebbe vissuto sempre con Dan, al riparo da qualsiasi cosa, ma la vita aveva preso un corso che non era in grado di controllare. Si passò la mano tra i capelli scuri, sorprendendosi di trovarli corti e morbidi, si era quasi dimenticato della mattinata da Kenny.
Un lieve bussare alla porta lo riscosse dai suoi pensieri. «Avanti» rispose, mentre la figura di Gabriel scivolava dentro. Era senza stampelle e il tonfo della gamba ingessata risuonava ritmicamente sul parquet mentre avanzava. Aveva qualcosa in mano, ma la penombra non gli permise di distinguere cosa fosse.
Sentì solo che si sdraiava sul letto e si spostò per fargli posto, rabbrividendo quando i capelli di Gabriel, ancora umidi per la doccia, gli sfioravano la spalla nuda. Un attimo dopo l'accendino illuminò il volto impenetrabile di Gabriel, il suo petto nudo e la cicatrice irregolare sul fianco destro. Il fumo salì lentamente al soffitto, appena visibile nella stanza buia, e l'odore si mischiò a quello del bagnoschiuma e a quello più lieve del corpo di Gabriel.
Scott si appoggiò sul fianco in attesa, non era venuto lì solo per dividere una canna, sentiva che c'era qualcosa che voleva dirgli. Quando Gabriel parlò la sua voce suonò distante. No, sembrò che volesse tenere le distanze da ciò che stava per raccontare.
«Cinque anni fa, quando ero ancora al liceo, ho conosciuto una ragazza di nome Cynthia. Lei viveva per viaggiare; lavorava tutto l'inverno, dopo la scuola, per poter avere i soldi da spendere in viaggi per il mondo. Siamo stati assieme, è stata lei a farmi scoprire la bellezza dell'Europa, della Nuova Zelanda, del Cile...»
Gabriel si interruppe, riprendendo la canna dalle dita di Scott e dando un tiro profondo che fece ardere la brace fino ad illuminargli il viso.
«Cynthia aveva fatto una lista di tutti i posti che voleva vedere prima di morire. La aggiornava in continuazione, mentre io le dicevo che avrebbe dovuto essere immortale per riuscire a vederli tutti, oppure non avere altro obiettivo nella vita. Ogni volta che tornavamo da un viaggio incollava le foto più belle sulla parete della sua stanza e cancellava la destinazione dall'elenco.»
«Adesso la lista ce l'hai tu. L'ho vista sotto il tuo cuscino» confessò Scott.
«Sì, ce l'ho io. Sono passati più di tre anni dal nostro ultimo viaggio insieme. Le isole della Polinesia francese sono perfette per le immersioni…» Gabriel si era interrotto di nuovo, sembrava incapace di andare avanti.
«Cosa è successo a Cynthia?» Chiese dolcemente Scott.
Sentì i muscoli delle braccia di Gabriel irrigidirsi, ma la sua voce suonò stranamente pacata. «Hanno cercato di derubarci, avevano un coltello.» Si passo le dita sulla cicatrice che gli segnava il fianco destro, quasi in un gesto automatico. «Hanno colpito me e poi Cynthia. Non ha nemmeno fatto in tempo ad arrivare all'ospedale.»
Sulla stanza scese nuovamente il silenzio, Scott non si sarebbe mai aspettato una rivelazione del genere. Il dolore di Gabriel era ancora evidente quando ne parlava, nonostante fossero passati anni.
«Mi dispiace. Dovevi amarla davvero tanto se hai deciso di portare ugualmente a termine la lista» sussurrò Scott, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Non doveva morire. Ero con lei» mormorò Gabriel, come se questo bastasse a spiegare tutto.
«Non puoi controllare la vita e la morte delle persone, per quanto ci sforziamo non possiamo proteggere tutti. Mio padre ha picchiato mia madre perché aveva messo al mondo un figlio gay e io non ho potuto fare niente per fermarlo. Non è stata colpa tua.»
Gabriel si girò verso di lui, alla debole luce dei lampioni Scott poteva vedere i suoi occhi, lucidi per l’emozione, sbattere ripetutamente le palpebre come a trattenere le lacrime. Senza nemmeno pensare a ciò che stesse facendo, gli fece scivolare un braccio sul fianco nudo, abbracciandolo. Sentì sotto le dita la linea frastagliata della cicatrice, e Gabriel rabbrividire al suo tocco prima di ricambiare l’abbraccio. La sua mano percorse delicatamente la schiena di Scott; era un contatto insolito ed intimo a cui non era abituato, ma stranamente piacevole.
Avrebbe dovuto essere imbarazzato e a disagio nel trovarsi tanto vicino ad un’altra persona, invece la sensazione che riceveva era di calore e sicurezza.
Alzò la testa fino ad incrociare lo sguardo di Gabriel e vide solo disperata solitudine nei suoi occhi. Le barriere che aveva innalzato per tenerli fuori dal suo segreto erano crollate.
Scott non seppe mai chi dei due avesse cominciato, ma un attimo dopo le loro labbra si incontrarono. Un tocco esitante, sorprendentemente delicato, con un gusto amaro che non aveva niente a che fare con il sapore di fumo. Dopo un attimo di esitazione le mani di Gabriel si infilarono fra i suoi capelli, lo sentì sospirare attirandolo più vicino. Fu incredibilmente naturale rispondere al bacio, chiudere gli occhi e sentire il lenzuolo scivolare via, permettendo alla pelle nuda di entrambi di venire in contatto.
Passarono silenziosi minuti in cui non si staccarono mai, neppure per riprendere fiato, assorti in un lungo dialogo senza parole. Le mani che prendevano via via sicurezza, scoprendo sempre nuove zone di pelle da toccare ed accarezzare, suscitando sensazioni sconosciute sia per Scott che per Gabriel.
Probabilmente i minuti diventarono un’ora, o forse due, ma quel letto non sembrava più fatto per dormire, non con l’emozione che aumentava invece di diminuire.
Scott si staccò, accorgendosi di avere il respiro affannato, le labbra irritate dal contatto con la barba e il suo corpo che voleva di più. Anche Gabriel sembrava essere nelle sue stesse condizioni, lo sentiva eccitato, contro di sé. Appoggiò la testa sul cuscino, ancora frastornato da ciò che era successo, nessuno dei due aveva ancora detto una parola, ma non sembravano necessarie.
Tracciò con un dito il contorno delle labbra di Gabriel e le sentì tendersi in un lieve sorriso, l’oscurità gli impediva di vederlo bene in faccia, ma intuiva la sua espressione. Era lo stesso meravigliato stupore che sentiva anche sul suo viso.
Sentì Gabriel adagiarsi sul cuscino al suo fianco così vicino che il suo respiro gli smuoveva i capelli sulla fronte.
Seguendo l’istinto appoggiò la mano sul petto di Gabriel, il calore della sua pelle e il battito ritmico del suo cuore erano confortanti; forse non ne erano coscienti, ma la solitudine di entrambi veniva lenita da quel contatto.

 

 

________________________

* Angolo dell’Autrice *

Ciao a tutte, ragazze ♥ Intanto mi scuso, questo capitolo arriva leggermente più tardi degli altri, ma c’è un motivo (ho finito i giudizi di un contest, ma non è questo il motivo).
Il fatto è che sono arrivata a scrivere di Scott e Gabriel, circa a metà del capitolo… e mi sono bloccata! O.o Ho temuto un calo dell’ispirazione! In realtà ho capito, dopo una settimana in cui scrivevo solo mezze frasi smozzicate, che la colpa era di Gabriel. Moriva dalla voglia di baciare Scott, ma non sapeva come fare.
Alla fine bastava solo aspettare il momento giusto ^^ Però accidenti a lui, mi ha fatto perdere un sacco di tempo! Mi avete chiesto in “tante” se Gabriel è etero o gay. È bisessuale; ha avuto una ragazza importante, e poi più nessuno fino a Scott.
Questo capitolo è stato un parto, alla fine mi veniva da piangere, Gabriel dietro alla facciata di indipendenza e divertimento ha un vuoto che non riesce a colmare, una devastante solitudine. ç__ç Povero Gabe, mi fa una tristezza!
So che volete sapere cosa è successo ad Ely, per ora mantengo la prognosi riservata, ma il prossimo capitolo si svelerà tutto.

Domanda della settimana: Cosa ne pensate del pugno di Dan a Kyle? Ha fatto bene?

Ma passiamo alle cose piacevoli: volevo ringraziare le 38 persone che seguono questa storia, tutti quelli che l’hanno messa tra seguite e preferite e vi annuncio che siamo ad un totale di 69 recensioni XD È un bel numero (in tutti i sensi), anche se sono lenta a rispondervi alla fine lo faccio, spero che continuerete a spendere qualche minuto per farmi felice!

A presto e baci a tutte ♥

Faf

PS Toglietemi una curiosità, cosa aveva l’ultimo capitolo in più di tutti gli altri? XD Ha il doppio delle visite di quelli precedenti ^^ Non che non mi faccia piacere, ero solo curiosa :) 

PPs Un mio nuovo giochino, se volete farmi delle domande, anche anonime, trovate qui il mio profilo di Ask: Faffina!

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Capitolo 9
*** Di nuovo insieme ***


Capitolo 9

Di nuovo insieme

 

The most magical thing that I’ve known
One look in your eyes, I’m sinking
And it feels like coming home

  Marit Larsen - Coming Home

 

 

 

Un tocco delicato svegliò Daniel e l’odore di disinfettante e lenzuola pulite lo riportò bruscamente alla realtà. Si era addormentato sulla sedia accanto al letto, con la testa e le braccia appoggiate sul copriletto. Ely lo guardava sorridendo, nonostante i lividi e il taglio sul labbro. La sua mano sana era ancora posata sulla guancia di Dan.
«Ciao Daniel, ben svegliato» lo salutò. Appariva ancora frastornato per l’effetto dell’anestesia, ma felice di vederlo. Le emozioni della notte prima montarono, e per un attimo Daniel temette di non riuscire a trattenersi dal mettersi a piangere.
Era vivo. Era vivo e gli parlava. Oh, Dio, grazie.
Non disse nulla, ma il modo in cui gli prese la mano sana e la strinse, per Ely, valeva più di mille parole.
«Su, su, va tutto bene» lo consolò passandogli un dito sullo zigomo improvvisamente umido. Era assurdo che fosse Ely a consolare lui. Il senso di felicità che lo travolse gli fece battere il cuore più forte.
«Come stai?» gli chiese, cercando di darsi un contegno. «Ti fa male la mano?»
«Sto bene; mentre dormivi è passata un'infermiera a darmi un antidolorifico. Ha detto che l'operazione è andata a buon fine e che dovrei recuperare l'uso delle dita. Quasi sicuramente.» Sorrise, ma un ombra di paura balenò per un attimo nei suoi occhi chiari. «Sai per caso dov'è Kyle? Penso che mi abbia portato qui lui, ma non ricordo niente.»
Daniel arrossì abbassando lo sguardo sul pavimento «Credo che... Ehm, credo che non si farà vedere per un po'. Si sente in colpa.» Si interruppe esitante, giocherellando con il lenzuolo, poi concluse «E io gli ho dato un pugno.»
«Cos'hai fatto?» L'espressione di Ely era sbalordita.
«Mi dispiace, ma non ci ho visto più. Tu eri in sala operatoria e nessuno ci diceva nulla.»
Ely lo fissava ancora ad occhi sgranati, coprendosi la bocca con la mano, ma quando la riabbassò Dan si accorse che tratteneva un sorriso.
«Non sapevo fossi capace di fare a pugni. Povero Kyle. Si sarà preoccupato da morire. In fondo quegli uomini cercavano lui» disse Ely a bassa voce.
Questa volta era il turno di Dan di guardarlo sbalordito: era stupefacente come quel ragazzo sembrasse incapace di portare rancore. Anche dopo essere stato picchiato ingiustamente, e con il volto segnato dai lividi, riusciva ad essere bellissimo e a risplendere di quella luce che Daniel aveva da sempre ammirato.
«Grazie per essere qui» Gli sussurrò Ely. Quando gli fece scorrere delicatamente la mano sul viso e sul collo, accarezzandolo con le sue dita sottili, il desiderio di baciarlo tornò forte ed innegabile. Con una delicatezza che non credeva di possedere liberò il viso di Ely dai ciuffi di capelli scuri e si chinò sulle sue labbra.
 

* * *

Ci sono sogni da cui ti svegli con la delusione di chi si rende conto che non c'è nulla di vero, per Scott, quel mattino, fu il contrario. La realtà in quel momento era molto più interessante di qualunque sogno stesse facendo. Avvertiva già un principio di mal di schiena, dovuto alla posizione scomoda in quel letto troppo piccolo per due, e gli occhi gonfi per la mancanza di sonno, tuttavia la presenza del petto di Gabriel contro la sua schiena era tutt'altro che fastidiosa. Il suo braccio gli circondava il corpo e la mano era posata sul lenzuolo a pochi centimetri dal suo viso. Aveva delle belle mani, abbronzate e forti, con ancora i segni più chiari dove le ferite dell'incidente si stavano rimarginando. Prudentemente, per non svegliarlo, infilò la mano sotto la sua, con il palmo verso l'alto ed intrecciò le dita.
Probabilmente era la prima volta in vita sua che teneva qualcuno per mano, sicuramente l'unica che ricordasse. Era strano come il palmo sembrasse tutto ad un tratto ricco di terminazioni nervose, il calore di Gabriel gli giungeva simile ad un'aura di energia e poteva sentire le brevi contrazioni delle sue dita nel sonno.
Gabriel lo aveva baciato. O lui aveva baciato Gabriel. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma era successo. Ancora una volta era riuscito a coglierlo di sorpresa con il suo comportamento; anzi, tuttora non riusciva a capire cosa ci trovasse di bello in lui. Quella Cynthia doveva essere davvero speciale e lui non lo era.
Quel bacio aveva avuto il potere di farlo sentire un ragazzino alle prese con la sua prima cotta, anche se solo per poche ore. L'eccitazione e l'entusiasmo erano durati solo finché la luce del sole non aveva mostrato la situazione per ciò che in realtà era. Ora si sentiva stupido; uno stupido e un illuso.
Fece per sfilare la mano dalla presa di Gabriel, ma le sue dita si chiusero, tenendolo più stretto.
«Buongiorno» sentì mormorare da qualche parte vicino al suo orecchio, mentre il soffio del suo respiro sul collo lo faceva rabbrividire. Gabriel si mosse, liberandogli - con suo sommo sollievo - la mano dalla presa e ritirando il braccio. Scott si sarebbe aspettato un silenzio imbarazzato, invece l'atmosfera sembrava stranamente intima e rilassata. Gabriel si tirò a sedere appoggiandosi alla testiera del letto e prese a passargli delicatamente le dita tra i capelli arruffati per sistemarli.
«Se Kenny vedesse in che stato è il suo taglio!» ridacchiò, poi si fece più serio «Sei uno di quei gay non dichiarati innamorati da sempre del loro migliore amico?»
La domanda così diretta e decisa, come tutto in Gabriel, lo colpì al petto con la forza di una mazzata. Rimuginarci su quando era solo era un conto, ma sentirselo chiedere da qualcuno che aveva passato tutta la notte a baciarti faceva un altro effetto.
Cosa provava per Dan? Se lo era chiesto decine di volte. Quando erano insieme i suoi sentimenti erano contrastanti, affetto, ammirazione, gelosia; il fatto di sapere che non avrebbe mai potuto esserci nulla tra loro aveva fatto sì che evitasse di dargli un nome, come se in quel modo potesse proteggersi dai propri sentimenti.
«Non c'è nulla tra noi» rispose. Era l'unica cosa di cui fosse sicuro.
«Oh, questo non lo metto in dubbio.» La voce di Gabriel appariva neutra, senza accenno di emozioni, Scott si meravigliò ancora una volta di quanto fosse bravo a nasconderle.

 

* * *

 

Quando Dan rientrò in casa, alcune ore più tardi, trovò solo Gabriel che guardava la tv semisdraiato sul divano. Gli si sedette accanto, sfinito e preoccupato, e la ciotola di patatine al formaggio gli ricordò immediatamente che non mangiava da ventiquattro ore. 
«Come sta il vostro amico?» gli chiese Gabriel togliendo il volume del televisore.
«Si sta riprendendo, ma gli hanno rotto due dita, non è detto che potrà tornare a disegnare.» Le patatine gli diedero un improvviso senso di nausea. Se ripensava anche solo per un attimo alla camera di ospedale e al volto pallido di Ely, gli si chiudeva lo stomaco. Aveva deciso di andarsene quando era tornato Kyle, sempre sconvolto, ma con un cerotto sullo zigomo. Non era ancora pronto a chiedergli scusa, nonostante i cenni del capo di Ely nella sua direzione.
«Come mai l'hanno pestato?» chiese Gabriel curioso.
«Il ragazzo che lo ospita – Kyle - ha dei conti in sospeso con alcuni tizi, che se la sono presa con Ely. Pensavano stessero insieme, solo perché Kyle gli ha offerto un posto sul divano.» Dan strinse inconsciamente i pugni, un gesto che non sfuggì a Gabriel, come la ruga di preoccupazione sulla sua fronte, il modo in cui si era precipitato fuori dalla porta per andare all'ospedale e l'espressione che aveva fatto vedendo il disegno. 
Gabriel fissò il ragazzo che aveva di fronte con un misto di compassione e comprensione. Nonostante i sentimenti confusi di Scott nei suoi confronti, non riusciva ad odiarlo o ad esserne geloso. Sembrava un ragazzo a posto, forse un po' troppo inconsapevole dei propri sentimenti. 
«Quindi adesso questo ragazzo, Elijah, non ha più un posto dove dormire?» chiese Gabriel. 
Non sapeva se stesse facendo la cosa migliore, ma di una cosa era sicuro: da quando aveva aperto il suo appartamento a dei coinquilini, aveva iniziato a sentire di poterlo chiamare "casa". Non era più il punto di appoggio tra un viaggio e l'altro, ma un luogo in cui riusciva a dimenticare per un po' il dolore e la solitudine. Non sapeva se fosse merito di Scott e del suo affetto incondizionato, o del fatto che stesse lentamente abbassando le barriere che lo avevano tenuto per anni isolato dal mondo esterno.
«Quando uscirà dall'ospedale può venire a stare qui per un po', se si accontenta di dormire sul divano. Avrà bisogno di qualcuno che lo assista, durante i primi giorni» propose Gabriel, con sommo stupore di Dan. 
«Davvero? Non ti scoccia? Pensavo fossi una di quelle persone che sta bene da sola.»
Gabriel sorrise appena, un'espressione insolitamente dolce, con un pizzico di malinconia «Forse sto cambiando.»

 

* * *

Nella settimana che seguì, le cose andarono avanti come al solito, almeno apparentemente. Scott tentò di essere il più naturale possibile nei confronti di Gabriel, ottenendo ovviamente l'effetto opposto ed arrossendo ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Fortunatamente per lui, Daniel aveva la testa altrove, troppo preso da Ely per accorgersi di qualcosa. Le condizioni di Ely migliorarono rapidamente e venne fissato il giorno della dimissione, che coincise con la data in cui Gabriel doveva andare a togliersi il gesso.
Quel lunedì mattina di buon ora Gabriel scese faticosamente le scale con le stampelle per l'ultima volta, seguito da Scott e Daniel, e tutti e tre si infilarono nel taxi diretti all'ospedale.
Il Presbyterian era affollato e rumoroso, quel mattino. Infermieri e medici in divisa si rincorrevano nei corridoi, gruppetti di tirocinanti parlottavano tra di loro e pazienti dall'aria annoiata riempivano le sale d'attesa.
Gabriel si infilò nell'ambulatorio ortopedico, seguito dallo sguardo preoccupato di Scott; presto la traballante andatura con le stampelle sarebbe stata solo un ricordo.
Dieci lunghissimi minuti dopo, in cui Scott si morse le pellicine del pollice quasi a sangue, il dottore riaprì la porta. «Il vostro amico è come nuovo, in pochi giorni sarà tutto a posto.» Alle sue spalle apparve Gabriel, sorridente e solo leggermente zoppicante, con le stampelle sottobraccio.
Per un istante Scott desiderò abbracciarlo, ma si trattenne ad un passo di distanza, impacciato. Stranamente Gabriel sembrava persino più alto, ora che non camminava più appoggiato ai sostegni, Scott si stupì di dover alzare leggermente lo sguardo per guardarlo negli occhi.
Si incamminarono nel corridoio, diretti alla stanza di Ely, e Gabriel li precedette, facendogli strada nel reparto ormai familiare. Aveva un'andatura fluida, sicura di sé, nonostante zoppicasse quasi impercettibilmente, e l'attenzione di Scott venne catturata dal leggero movimento dei fianchi; sapeva esattamente la sensazione che dava la sua pelle sotto le dita. La schiena liscia e calda, il guizzare nervoso dei muscoli, e il sedere...
Quando Gabriel si fermò voltandosi, per poco Scott non gli andò a sbattere contro, assorto com'era tra i propri pensieri, ed arrossì violentemente temendo che gli si potessero leggere in faccia.
Ely li aspettava accanto al letto, aveva addosso un maglione a righe troppo grande, le cui maniche arrivavano a coprirgli le dita fasciate. A parte i lividi sul lato del volto e il pallore, sembrava quasi normale.
«Per fortuna siete venuti a prendermi, il cibo dell'ospedale è pessimo. Senza offesa» disse, rivolgendosi poi a Gill con un sorriso. L'infermiera, che li aveva seguiti nella stanza, rise di rimando. 
«Non preoccuparti, hai ragione» si avvicinò ad Ely e lo abbracciò. «In bocca al lupo, Elijah, vedrai che si sistemerà tutto.» Era sinceramente commossa; ancora una volta, con le sue dolci maniere e i suoi modi di fare, Ely era riuscito a conquistare la simpatia di tutto il reparto. Persino Gabriel rimase affascinato, quando lo vide avvicinarsi tendendogli la mano sinistra per presentarsi e ringraziarlo.
«Io sono Elijah, ma chiamami Ely. Grazie davvero per l'ospitalità, spero di potermi sdebitare in qualche modo.»

 

* * *

 

In effetti il modo lo trovò già dal giorno successivo. Quando Daniel entrò in cucina trovò Ely intento a cucinare, nonostante fossero solo le cinque del pomeriggio. Seduto al tavolo c'era anche Scott, che alzò la testa di scatto dalle verdure che stava tagliando in cubetti irregolari. Era strano ritrovarsi di nuovo tutti e tre in quella casa, sembrava di essere tornati ai primi giorni di permanenza a New York.
«Stavo dicendo ad Ely che ci sono mancati i pasti cucinati da lui; non è vero, Dan?» chiese Scott tornando a concentrarsi sul suo lavoro.
Ely sorrise e soffiò verso l'alto per allontanare i capelli dal viso; nonostante la mano fasciata, stava usando la sinistra per mescolare una ciotola di crema che teneva ferma tra il fianco e il gomito.
«Non lo metto in dubbio, bastava guardare la pila di contenitori take away che c'era sul bancone. Per fortuna che Gabriel uscendo li ha portati via. L'odore di fritto copriva quello del pane nel forno.»
Dan si stupì di non essersene accorto prima, nell'aria c'era un aroma invitante di pane appena fatto. «Hai fatto il pane?» chiese.
«Certo, altrimenti come faccio a fare le bruschette?» rispose Ely stringendosi nelle spalle. «Finché non potrò disegnare di nuovo la cucina rimane la mia unica forma d'arte!»
«Chi ti ha insegnato a cucinare? Tua madre?» si informò Scott, curioso.
Ely rise scuotendo la testa e facendosi cadere di nuovo i capelli sugli occhi «No, mia madre è un disastro in cucina. Ho imparato da solo, altrimenti avrei rischiato di morire di fame. Lei ha già abbastanza da fare tra il lavoro e i miei fratelli.»
«Hai dei fratelli? E sono come te?» chiese Scott.
«Come me?» Ely apparve confuso per un attimo, poi recuperò il portafoglio dal tavolino del salotto; quando rientrò in cucina stringeva fra le dita una piccola foto scattata in una macchinetta automatica. Era un po' sbiadita, ma si distingueva chiaramente un Elijah un po' più giovane e con i capelli più lunghi con due bambini identici sulle ginocchia. Biondi e paffuti, non potevano avere più di quattro anni. Dal lato della foto spuntava il viso di una donna, stanco ma sorridente, con una lunga chioma di capelli biondi dalla ricrescita scura e gli stessi occhi azzurri di Elijah.
«Loro sono i gemelli e lei è mia madre» disse con voce ancor più bassa del solito. Per un attimo sembrò perdere la sua tipica vitalità, sostituita da un'improvvisa nostalgia e Dan sentì la sua mano scivolare nella propria, dietro le spalle di Scott. La strinse silenziosamente, senza pensare, con l'unico desiderio di vederlo di nuovo sereno.
«Scott, lascia pure le verdure, posso ehm... continuare io» balbettò Dan mentre Ely riponeva la foto e scacciava la malinconia con un battito di ciglia.
«Va bene, allora vado a farmi una doccia» disse Scott evidentemente sollevato, allontanando il tagliere cosparso di pezzi di verdure malamente sminuzzate.
Senza Scott il silenzio tornò a riempire la cucina, rotto solo dal rigirare del cucchiaio nella ciotola di crema e dal coltello di Dan. Era un lavoro semplice e ripetitivo, che lasciava molto spazio per pensare, esattamente ciò di cui Dan non aveva bisogno. Quasi leggendogli nel pensiero Ely accese la radio, canticchiando piano e muovendo il cucchiaio a tempo. Una strofa della canzone e un assaggio di crema, un'altra strofa e un altro assaggio. Dan seguiva quasi ipnotizzato il percorso del dito di Ely, che dalla ciotola si infilava tra le sue labbra. Aveva una bocca piccola ma carnosa, e uno sbaffo di crema sul labbro inferiore. Quando tirò fuori la lingua per leccarlo via, Dan non ce la fece più, spinse indietro la sedia e gli si parò davanti, bloccandolo contro il tavolo della cucina. Ebbe una rapida visione degli occhi spalancati di Ely, di nuovo brillanti, prima di prendergli il viso tra le mani ed arrendersi a baciarlo.
Si stupì di come in un momento del genere la sua mente quasi rallentasse, soffermandosi sul gusto dolce della crema, sulla pelle sorprendentemente liscia delle guance, il contatto delle mani di Ely - quella sana e quella fasciata - sulla pelle nuda sotto la sua maglietta. Poi tutto riprese a scorrere a velocità normale, facendolo tornare improvvisamente consapevole del battito furioso che gli risuonava nel petto e gli faceva pulsare il cavallo dei pantaloni. Si premette con più forza contro Ely e lo sentì sospirare rafforzando la presa. Guidato dall'istinto trovò l'orlo del maglione e il calore della sua pelle. Percorse lentamente la schiena con le mani, meravigliandosi di quanto quel contatto potesse essere incredibilmente eccitante.
Ely si stacco il tempo necessario per issarsi a sedere sul tavolo ed attirarlo di nuovo a sé, circondandogli la vita con le gambe fino a farlo premere contro il suo bacino. Daniel si strofinò piano, sospirando contro le labbra di Ely, e si ritrovò a ripercorrere la sua schiena all'indietro, fino alla vita, lungo il tessuto ruvido dei jeans. Gli accarezzò le cosce, esitando leggermente prima di appoggiargli le mani sul sedere ed attirarlo più vicino. In quel momento il fatto che non fosse una ragazza non gli importava più, anzi, era la cosa migliore che gli fosse mai successa. Il corpo che gli si stringeva contro, e le mani che lo accarezzavano, sottili ma forti ed innegabilmente maschili, erano l'unica cosa di cui avesse bisogno.
Una risatina lo fece ripiombare con i piedi per terra. «Io non ho visto niente» disse Gabriel in piedi sulla porta e con un'espressione ironica sul volto. «Ecco i pomodori che mi avevi chiesto.»
Dan si ritrovò improvvisamente con la bocca secca. L'espressione sul volto di Gabriel non lasciava trasparire né disgusto, né imbarazzo, quanto, piuttosto, una lieve e divertita sorpresa. Anche Ely, che aveva ancora le braccia intorno al suo collo, era arrossito ma sorrideva. Era l'unico che sentiva un improvviso senso di nausea all'idea di essere in una situazione del genere?

 

* * *

 

Daniel si rigirava nel letto da ore, senza riuscire a prendere sonno; la serata era passata tranquillamente, e la cena che alla fine avevano preparato era stata deliziosa. Nessuno aveva mai fatto cenno all'episodio del pomeriggio, ma lui continuava a rivedere l'espressione ironica di Gabriel e a risentire la sua risata. Non sapeva perché, ma si sentiva morire all'idea che Scott potesse scoprire qualcosa. Era il suo migliore amico, avevano sempre condiviso tutto, ma da quando vivevano insieme si erano paradossalmente allontanati. Stava ancora riflettendo su questo, quando un suono proveniente dall'appartamento lo fece sussultare. Sembrava qualcuno che piangesse.
Il pianto sommesso si trasformò in un mormorio, prima piano, poi sempre più forte.
«No, no, no, no...»
Dan si alzò dal letto, seguendo il suono. Alla debole luce del corridoio vide Ely sul divano del salotto, aveva buttato via le coperte e si copriva il viso con le mani in un disperato tentativo di proteggersi. Era profondamente addormentato, ma sembrava terrorizzato. «Ely?» lo chiamò piano.
Ebbe in risposta solo singhiozzi e mormorii confusi.
«No, no, ti prego.» mormorò Ely a bassa voce, voltò il viso verso la luce e Dan riuscì a vederlo. Stava piangendo, aveva le guance lucide di lacrime e la mano sinistra stretta a pugno, tanto forte da conficcarsi le unghie nel palmo. Daniel si inginocchiò di fianco a lui, circondandolo con le braccia, sentendo il suo corpo scosso da un tremito convulso. Gli faceva male vederlo così vulnerabile, gli ricordava che l'avevano lasciato solo nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di loro.
«Per favore, basta!» Ely si contorse sul divano in preda agli incubi per un tempo che a Dan sembrò infinito, finché il respiro non si regolarizzò lentamente e smise di tremare. Aveva ancora gli occhi serrati e i lividi erano una pallida ombra a malapena visibile, ma nell'inconscio di Ely il trauma era tutt'altro che superato.

 

 

 

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* Angolo dell'Autrice *

Ciao adorabili ragazze! Spero che non mi abbiate dimenticata! Non mi sono persa, e tantomeno si è persa l'ispirazione, ma sono stata via da casa per due settimane (mareee!) in cui ho scritto poco o nulla. E mercoledì ho avuto un esame, ma rieccomi con un capitolo nuovo. Credo sia un po' lunghetto, ma non potevo interromperlo a metà. Sembra incredibile che Ely sia il mio personaggio preferito, vero? XD Lo sto torturando, povero! Ma c'è Dan con lui ^^
Spero che non mi prenderete a bastonate per rivendicare il piccolo Elijah! O.o Intanto vi ringrazio per le recensioni, che come al solito non sono mancate <3 vi adoro ogni capitolo di più! Se volete vedere i dolci faccini dei protagonisti, ho creato dei piccoli avatar *-* Sono una meraviglia, secondo me! E sono esattamente come li immaginavo! (se non volete aprire il link e continuare ad immaginarvi i personaggi, avete tutto il mio appoggio :) Adoro Ely ç_ç perché non esistono veramente ragazzi così?

Dan http://i889.photobucket.com/albums/ac96/Faffina_photos/daniel_zpsbe909de8.jpg

Scott http://i889.photobucket.com/albums/ac96/Faffina_photos/scott_zps5a52d7cb.jpg

Ely http://i889.photobucket.com/albums/ac96/Faffina_photos/elijah_zps4805e67f.jpg

Gabriel http://i889.photobucket.com/albums/ac96/Faffina_photos/gabriel_zps0ddd1b35.jpg

Kyle http://i889.photobucket.com/albums/ac96/Faffina_photos/kyle_zpsf18d194f.jpg

 

Grazie a tutti quelli che hanno letto e a chi mi lascerà un commentino, nonostante il ritardo! ♥

Baci

 

Faf

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