69 motivi per amare

di smile_book
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitlo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitlo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Amare. 5 lettere, verbo di 1 coniugazione transitivo, vuol dire sentire e/o dimostrare profondo affetto per qualcuno.
O almeno, questo è quello che dice il dizionario.
Purtroppo, però, dubito che un dizionario si sia mai innamorato... Ma poverino, non è colpa sua. La colpa è di quelle 5 lettere. A-M-A-R-E. Sembrano così innocue da sole, ma se messe insieme formano la parola più importante, quella più presente, quella fondamentale di una persona, che abbia 10 anni o 50. Perché tutti noi, che lo ammettiamo o meno, amiamo almeno una persona. Che sia la mamma, il papà, il gatto o l'ornitorinco non conta, tutti noi amiamo. E non sarebbe nemmeno troppo complicato se non ci fosse di mezzo un'altro fattore fondamentale, alias: la chimica.
La chimica non è solo quella scienza che può sembrare incomprensibile e noiosa, no, è anche quella che ci fa battere il cuore per qualcuno, che ci fa diventare la faccia rossa e che ci manda in brodo di giuggiole il cervello.
Ebbene sì, cari miei: i nostri problemi sono, ancora una volta, causati da una formula matematica, ovvero: ragazzo + ragazza = ?
Il risultato dovrebbe essere facile da ottenere.. ma è quello che dicono tutte le prof agli alunni quando assegnano le equazioni. "Vaffanculo" è la parola che ci viene in mente in quelle situazioni, e ci viene in mente anche in questa. Non so voi, ma il mio vocabolario si restringe un pochino quando sono arrabbiata, le parole che si salvano sono all'incirca 3 o 4, che non ripeterò.
Ma passiamo al dunque adesso, dopo questa breve e deprimente introduzione sul significato della parola "amare", passiamo alle conclusioni.
Io sono una ragazza, esattamente come te che stai leggendo, sì tu. Non sono molto alta, detesto sentirmelo dire, ma devo ammetterlo: sono una nanetta, isterica tra l'altro. Ho due braccia e due gambe, che tra parentesi detesto, due occhi verdi, un naso all'insù, una massa informe di capelli ricci e scuri, e una pelle più bianca del latte scremato. Ma, soprattutto, ho un organo funzionante, in alto a sinistra sul petto, il cuore. Questo già da solo crea problemi su problemi, poi se ci si mette anche l'adolescenza si ottiene la radice quadrata del prodotto della parola "ragazzo" per "ragazza", sommato alle parole "amici", "troie", "secchioni" e "professori", dividendo il tutto per "famiglia". Un bel quadretto, vero?
Il mio corpo vive in una cittadina sconosciuta della Toscana, ma la mia mente si divide tra due città: "Ormonolandia" e "Fantasiatown". Entrambe molto carine ed interessanti da visitare, l'unico problema è che, una volta che le hai visitate, ne diventi dipendente, e ci torni ogni giorno, per sempre (o quasi).
Adesso credo di poterti anche confidare il mio nome, sempre che tu sia stata così coraggiosa da arrivare fin qui. Ok, basta ora te lo dico: mi chiamo Andrea, ma tutti mi chiamano Drea, quindi puoi farlo anche tu. Mia nonna voleva chiamarmi "Apollonia", non chiedetemi di che droghe si era fatta in quel momento, mia madre "Maria Teresa", e mio nonno "Claudia". A quel punto era intervenuto mio padre, gli sarò sempre debitrice per questo. Che altro dire? Ho 16 anni... Ah, e ho un fratellino sfracassa ovaie di 9 anni, che probabilmente sa più parolacce di me, e me le insegna tutte dicendomele. Non credete anche voi che sia adorabile?
Be', ricapitolando: sono Drea, 16 anni, odiavo l'amore e i ragazzi, finché uno di loro non mi ha insegnato tanti motivi per amare la vita, per amare l'amore. Mi ha insegnato 69 motivi per amare.



*SI SBRACCIA PER FARSI VEDERE LOL*
Ok, se mi avevte vista mentre mi sbracciavo per farmi notare, vorrei farvi i complimenti:
vuol dire che avete letto TUTTO il prologo. Davvero, wow.
No, ok, seriamente: l'idea che avevo di questa storia era buona(credo) ovviamente scrivendola l'ho resa peggiore lol
Spero che vi sia piaciuto almeno un pochino.. solo quel tanto che basta per lasciarmi una recensioncina anche di una parola.. mi accontento anche se leggete i prossimi capitoli, eh.. lol c:
davvero, ci tengo, e anche se non è perfetta spero che vi abbia incuriositi.. lo so il titolo è leggermente ambiguo ;) me l'ha ispirato il numero della pagina degli esercizi di greco(?) lol ditemi che non  sono l'unica pervertita che pensa sempre male! AHAHAHAHAAH
Vabbè adesso basta davvero, adios amigos, spero alla prossima c:
sciauuu livia

 

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Capitolo 2
*** 1 Capitolo ***


1 CAPITOLO




 
"―Drea... ti devo dire una cosa...― mi dice Marco, torturandosi le mani e con la testa bassa.
Deglutisco. Quanto può essere provocante quel ragazzo? Insomma, io non faccio venire in mente a nessuno di saltarmi addosso, mentre quando guardi lui riesci a pensare solo ad una cosa: il numero 69.
Forse sono un po' perversa, forse è perché questo ragazzo mi piace da tre anni, ma proprio non riesco a trovare la purezza che una ragazza dovrebbe avere. Sarà in vacanza a Ormonolandia. Tzé, ti pareva che mi abbandonava proprio adesso, quando mi serve per non stuprare un ragazzo davanti a tutta la scuola. ―D-dimmi― dico incera, balbettando come un'emerita cogliona. Sono davvero patetica in queste situazioni.
―Be'.. ecco... mi piace una persona..
―Chi?― chiedo senza nemmeno lasciarlo finire. Spero di essere io, ovviamente, ma sono già gelosa della ragazza che potrebbe nominare.
―Credo.. credo che mi piaccia...― sto per picchiarlo. Non può metterci così tanto! ―La prof di educazione fisica!
Questa è una delle volte che mi viene da dire vaffanculo. Non può piacerle quella zoccola rifatta, figlia  di..."

 
―DREAA!― sentii gridare da mia madre il mio nome, e mi svegliai di soprassalto, con una strana voglia di far schiattare con un ago le chiappe rifatte della professoressa di educazione fisica.
―ARRIVO!― risposi a mia madre, mi costrinsi ad uscire dal letto e mi avviai giù in cucina. Avevo fatto un'altro dei miei sogni assurdi, così assurdi che anche il miglior psicologo avrebbe avuto bisogno di aiuto per curare la mia mente malata. Dovevo smetterla di mangiare zuccheri prima di andare a dormire, facevano un brutto effetto.
Cereali, latte, cucchiaio, di nuovo cereali, e ancora cereali. Finita la colazione riprendo a fare la solita routine, ovvero corsa al bagno, contro mio fratello. Avendone uno solo litigavamo di continuo su chi dovesse andarci per primo. Quella volta vinsi io.
―Sei una vecchia befana!
―E tu un orco con il cervello di un troll!― gli gridai in risposta da dentro il bagno, ghignando vittoriosa. Mi lavai e vestii con calma, avendo tutto il tempo per prepararmi. I primi giorni di scuola erano sempre i più traumatici. Riprendere tutto da capo, svegliarsi presto, studiare fino a sera, regolarsi per le uscite, lo stress. Era come ritornare all'inferno dopo aver toccato il Paradiso per tre mesi. Nonostante io preferisca l'inverno, l'estate è qualcosa di magico.
Mi ritrovai fin troppo in fretta a camminare sul marciapiede, nella direzione che portava al mio amato liceo classico. Le cuffiette nelle orecchie sparavano la musica a massimo volume nella mia testa, distraendomi dalla scuola. Nemmeno mi accorsi che, poco più dietro di me, c'era un ragazzo che stava percorrendo la mia stessa strada. Lo notai solo all'arrivo a scuola, e potei vederlo solo da dietro. Era alto, con un bel fisico, un culo niente male e dei morbidi, almeno alla vista, capelli castano chiaro. Non male.
Non gli diedi molto peso e mi diressi spedita verso il nostro angolo, ovvero il punto di ritrovo mio e dei miei amici. Quello era ormai il terzo anno che ci sistemavamo in quell'angolo, poco fuori i cancelli della scuola e il cortile, appoggiati a dei muretti.
Come ogni anno, riconobbi subito Maria Luisa, ovvero la mia migliore amica dall'alba dei tempi. Tra di noi eravamo(e siamo tutt'ora) disinvolte allo stesso modo di quando siamo sole. Infatti non mi feci problemi a correrle incontro e a saltarle addosso.
―Marilù!― gridai facendo voltare verso di me circa la metà della scuola, non ci feci caso e mi buttai addosso a lei. Purtroppo non ero una grande tuffatrice, e il carpiato con giravolta che volevo fare per non investire nessuno lungo la strada mi riuscì un po' maluccio. Fortunatamente quelle a finire a terra fummo solo io e lei. Non facemmo nulla ovviamente, e anziché alzarci cominciammo a ridere convulsamente, sempre a terra.
―Tzé... sempre le solite!― disse una voce maschile venendoci incontro, seguita da un'altra. ―Per stare con loro finiamo sempre a fare figure di merda, è provato.
I due non migliorarono la situazione, infatti io e Mari ridemmo ancora di più. Le due voci sopracitate appartenevano a due dei nostri migliori amici: Daniele e Giorgio, rispettivamente soprannominati Danny e Giò. Dopo aver finito di fare battutine sul nostro conto vinse la pietà e ci aiutarono ad alzarci, come i gentiluomini che non erano. Un abbraccio di gruppo non ce lo tolse nessuno. "Che teneri!" starete pensando, e vi sbagliate.
―Dio, Drea quanto puzzi!― fu il fine commento di uno dei due gentiluomini.
―Non è vero!― sbottai con la voce più alta di un'ottava, come sempre quando mi facevano incazzare.
―Io non puzzo!
―Nemmeno io!
―Finitela voi due!― ci ripresero Giò e Marilù, i "saggi", ovvero coloro che interrompevano i battibecchi tra me e Danny.
 Finimmo con il chiacchierare delle vacanze, delle persone che abbiamo incontrato, della scuola, delle figure di merda fatte e che faremo. Niente di speciale insomma, le solite conversazioni che si fanno con gli amici dopo che non li si vede per un po' di tempo. Suonò la campanella e, guardandoci affitti, ci avviammo verso l'entrata.
Io e Giò eravamo in classe insieme, che però era diversa da quella di Mari e Danny, che facevano parte di un'altra sezione. Questo ovviamente non ci aveva mai impedito di frequentarci.
Mi trascinai svogliatamente in classe e occupai un posto all'ultimo banco, affiancata da Giò. Continuammo a parlare tra noi e con qualche altro compagno, finché non entrò la professoressa Faccelli. Quando pensiamo alle professoresse spesso ce le immaginiamo vecchie, rugose, noiose, con vestiti risalenti al dopo-guerra. Be', le mie erano tutto il contrario. O meglio: erano vecchie, ma rifatte da capo a piedi. Pelle tirata, zigomi rifatti, tette e culi che si reggevano da soli me che non si sarebbero mossi nemmeno facendo bungee jumping. Per non parlare dei vestiti a troia del paesello in cui si infilavano. Sembravano poter scoppiare da un momento all'altro. In un'unica parola? Disgustoso. Mi veniva il voltastomaco solo a pensarci.
―Ragazzi, per cortesia, tacete! Manco siete tornati e già fate casino― ah, già, ho dimenticato la voce: acuta, squillante, da gallina in cerca di un gallo. Bleah.
―Ma prof, se no che sfizio c'è?― rispose uno degli idioti della classe. In fondo ne avevamo tutti almeno uno. Scatenò risatine un po' ovunque, che vennero subito zittite dalla regina del pollaio.
Iniziammo, a malincuore, la lezione.
Qualcuno bussò alla porta. Sentii di poter baciare chiunque fosse il santo o la santa mandataci da Dio per interrompere quella tortura. ―Avanti!
Alla risposta della prof, vedemmo spuntare una testa castana, quasi bionda, seguita da un fisico che mi era familiare. Quando si girò leggermente più di spalle lo riconobbi. Era il tizio che aveva fatto la strada con me! E avevo anche ragione, quello sì, che era degno di essere chiamato "culo". Prendetemi pure in giro, ma certi apprezzamenti vanno fatti. Quando si girò nella mia direzione, poitei ammirarne anche il volto. Aveva degli occhi azzurrissimi, quasi blu, sembravano il mare in tempesta. Anche il taglio era adeguato al resto del viso, leggermente squadrato e con un naso pronunciato. Le labbra erano sottili e rosee, carnose il giusto.
Eh, sì, dovevo proprio ammetterlo, era proprio un figo. Mi costava riconoscerglielo, è vero, perché io, come molte, ero dell'opinione che i ragazzi fossero tutti uguali, nessuno escluso.
Le ragazze gli sbavano già tutte dietro, non che la cosa mi sorprendesse, e i ragazzi, be'... sembravano diffidenti. Tutti tranne Giò. Lui infatti non solo era di bell'aspetto, un bel moro con gli occhi scuri e un fisico perfetto, era anche gentile. Certo, come tutti i maschi era perverso, e aveva tutti i suoi difetti, ma cazzo, uno così non lo si trova fuori dalla finestra che ti aspetta. Giò era un santo, nel vero senso della parola, potevi presentargli chiunque, potevi dirgli tutto, potevi fare qualsiasi cosa davanti a lui, e non ti avrebbe giudicato. Così come era uno dei pochi a non badare solo all'aspetto fisico, che comunque contava, eh.
―Ah! Tu devi essere Chietti...― disse la prof esaltata. Sembrava quasi sbavare anche lei, non potei fare a meno di provare pena per quel povero ragazzo mal capitato.
―Sì, signora, sono Riccardo Chietti.―  si presentò il ragazzo. Anche il nome era bello... ma che andavo a pensare! Bha..
―Sì, mi avevano avvertita che avremmo avuto un nuovo studente. ― disse la prof, gli fece un breve discorsetto sulla classe ce lo presentò, si fece dire da che scuola veniva e cose varie, a cui non prestai attenzione. Arrivò il momento tanto atteso da quelle oche della mia classe: la scelta del posto. Se vi eravate illusi che come primo giorno la prof gli avrebbe lasciato scegliere da solo il posto vi siete sbagliati. Non mi preoccupai più di tanto. Voglio dire, nonostante una minuscola parte di me sperava che Chietti si sedesse accanto a me, sapevo fosse impossibile. In realtà mi sarebbe piaciuto vedere le facce delle mie compagne, ma non avrei mai rinunciato a Giò. Chi altri mi avrebbe fatto copiare tutti i compiti?
―Lì!― disse infine la prof. Come avevo detto certe cose accadono solo nelle fan... un attimo, perché quel dito era puntato verso il nostro banco, perché la gallina per eccellenza guardava il mio posto?
―Ti siederai al posto di D'angelis.
Scattai in piedi in men che non si dica. ―Sta scherzando?!― sbraitai con la mia voce acuta. ―Questo è il mio posto, non può prenderselo quello!
―"Quello" ha un nome― s'intromise il new entry. ―E comunque, c'è scritto il tuo nome su sedia e banco? Se non è così, per favore alza i tacchi.
Quel sorrisetto falsamente cortese lo conoscevo fin troppo bene. ―Bene― dissi tra i denti, presi la mia roba e mi diressi verso l'unico banco disponibile, ovvero accanto al coglione per eccellenza, in seconda fila. Passando accanto al nuovo gli sussurrai un minaccioso: ―Non finisce qui.
A cui rispose con un divertito: ―Non vedo l'ora di continuare.
Ghigno divertito, occhiolino, egocentrismo all'ennesima potenza ed un pizzico di malizia. Gli ingredienti perfetti per formare un perfetto esemplare di idiota maschile.
«Vaffanculo!» 




*FA SEGNALI DI FUMO PER FARSI VEDERE*
Buonsalve ciente!(?)
oggi è lunedì, alias l'inizio di un'altra fottutissima settimana..
sì, lo so sono molto fine, grazie :D loool
ho pensato di farvi una sorpresa e postare! sempre che possa considerarsi una sorpresa bella.. lol
Tornando al capitolo.. be', lo ammetto: è una sottospecie di cacca di piccione -.-"
a mia discolpa dico che nella mia mente era moooooltoo più bello.. quindi spero che anche voi abbiate una bella fantasia ;)
prima di sloggiare voglio solo dire GRAZIE a tutte quelle che hanno recensito, o messo tra le preferite/seguite/ricordate. *lacrimuccia*
davveri siete FANTASTICHE. uu
ok, immaginatevi un pubblico che vi applaude e vi lancia rose e fiori! AHAHAHAHAHAHAH
no, seriamente, ve lo meritate lol
ok, adesso mi congedo, adiosss amigosss(?)
livia c:

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Capitolo 3
*** Capitlo 2 ***



Capitolo 1





Con la partecipazione di Louis Tomlinson e Brad Pitt. 


Finalmente arrivò il momento della mia materia preferita: l'intervallo.
Mi fiondai  fuori dall'aula ad una velocità supersonica, battendo tutti i miei record precedenti. Avevo solo una cosa in testa, solo un bisogno, un solo nome: Marilù.
In men che non si dica arrivai al terzo piano, ovvero dove si trovava la sua classe. Di solito io e Giò salivamo insieme e ci mettevamo ore a fare tutti quei gradini. Doveva essere appena successo un miracolo. Anche se proprio miracolo non lo chiamerei...
―Marilù!― gridai interrompendo il filo infinito dei miei pensieri, che avrebbe di sicuro portato alla premeditazione di un omicidio. Sì, le mie riflessioni portano sempre a quella conclusione.
Spintonai un po' di gente di qua, pestai qualche piede a destra e a manca, ma alla fine la raggiunsi.
―Nemmeno è iniziata la scuola e tu già sei esaurita?― fu il suo commento premuroso e dolce, degno di una migliore amica.
―Quel brutto bastardo ruba posti! Ma chi si crede di essere? Eh? Quello scassa palle di un coglione ...― non capendo una beata minchia di quello che stavo blaterando, Mari mi interruppe e mi fece raccontare la storia d'accapo. Forse, e dico forse, avevo leggermente esagerato nel prendermela con questo tipo, ma andiamo, non poteva mica presentarsi come se niente fosse e fottermi il posto che era stato mio per 3 anni.
―Ma almeno è carino?
Avete presente quelle facce che fanno i cartoni quando rimangono "delusi", quelle con gli occhi come due lineette, la bocca curvata all'ingiù e una gocciolina di disperazione sulla fronte? Ecco, io potevo benissimo essere scambiata per un manga in quel momento.
Era troppo pretendere aiuto, comprensione o anche una frase che mi tirasse su di morale, vero?
Oh, be', tanto vale insultarlo come si deve, no? ―No! Assolutamente no! E' orribile sia dentro che fuori.
Vi ho mai detto che non so mentire? Be', si da il caso che io sia la peggiore mentitrice del pianeta e che fin da piccola non sono mai riuscita a tenere qualcosa nascosto a qualcuno. Penserete che sia una cosa tenera.. e vi sbagliereste di grosso. Non so se avete capito. Mai riuscire a mentire alla propria mammina o al proprio papino, mai riuscire a mantenere il segreto della migliore amichetta. Questo da piccola, naturalmente, ma anche adesso non posso lamentarmi. E infatti Marilù capì subito che non lo pensavo veramente.
―Traduzione: è un figo.
―Sì, concordo!
No. No, no, no, no, no, no. Non poteva essere. Non poteva essere davvero lui, no. Era tutto un brutto sogno, sì sì. Sarebbe comparso Brad Pitt da giovane con solo dei boxer addosso e mi avrebbe svegliata dolcemente. Sì, era facile, dovevo solo auto-convincermene. In fondo, volere è potere, giusto?
«Vieni, Brad. Coraggio, non avere paura, io sono qui! Forza, muoviti! Vieni a svegliarmi porca carota! Braaadd.. dove sei?»
―Allora? Sono un figo anche di persona, oltre che nella descrizione, molto dettagliata, di Drea?― «Oh, ma vaffanculo Brad!»
Non poteva essere andata così.. non poteva aver ascoltato tutta la conversazione! E va bene lo ammetto: avevo anche citato il suo culo da stupro! Che potevi farci? Non potevo non nominarlo. E poi non credevo che quello stronzo ci stesse ascoltando.
Paese delle figure di merda aspettami!
Ciò non toglie che ero incazzata nera. La mia faccia diventò rossa come quella di un pomodoro appena preso, me lo sentivo ―Tu.― dissi voltandomi verso di lui e puntandogli un dito contro. Dovevo, a malincuore, ammettere che togliendo il carattere, era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Insomma, quei capelli castano chiaro, che su alcune punte tendevano verso il biondo, quegli occhi blu, il fisico, il sorriso, la forma del viso... no, ok, mi stavo distraendo. Io ero arrabbiata. ―Hai una vaga idea di che cosa sia la privacy tu?!
―Hum..― mugugnò sfregandosi il mento liscio fingendosi pensieroso. ―Sì, ma non mi sembra che tu abbia messo un cartello intorno a te e alla tua amica con scritto: "divieto di sosta".
―Ma che c'entra?! Non si ascoltano le conversazioni altrui.
Lo vedo mettersi una mano sull'orecchio, la mia voce era diventata di nuovo troppo acuta. Mi schiarii la voce e lo lasciai parlare. ―Siamo in un luogo pubblico o sbaglio?
―Vaffanculo.
―Signori e signore, un applauso alla finezza!
Marilù, quella bastarda traditrice della mia migliore amica rise come un'idiota a quella stupida battuta, che però a pensarci bene non era così male. Tzè.. che idioti tutti e due. Misi il broncio.
―Be', io adesso vado, fai attenzione, mi si è slacciato il laccio.― mi disse. Io ovviamente non capii il perché mi stesse avvisando delle sue prossime mosse. Capii solo quando lo osservai chinarsi ad allacciarsi un laccio della scarpa, mostrandomi il suo sedere in tutta la sua.. rotondità. Diventai più rossa dei pantaloni che usava indossare quel cantante con il culo tondo tondo... ah, sì Louis Tomlinson!
Dovevo solo accettarlo: ero una calamita umana per le figure di merda. Dura la vita in certi casi..
 
Finito il primo giorno di scuola. Ok, me ne mancavano solo altri 115 giorni prima di arrivare a Natale. Potevo farcela.
Tutte le mie convinzioni andarono in fumo, quando dopo aver salutato Giò, Danny e Marilù fuori scuola mi accorsi che c'era un ragazzo alto, castano, con un fisico da stupro e una faccia di cazzo che si sbracciava per farsi vedere. «No, no, no, no.» mi dissi. Mi voltai e cominciai a camminare sempre più veloce nella speranza di seminarlo. Alla fine finii per correre, e mi sembrò quasi di aver guadagnato terreno, quando mi sentii afferrare il polso da una mano calda e ruvida.
Mi voltai e incrociai un paio d'occhi azzurro ghiaccio, con delle sfumature marroni, i più belli che avessi mai visto ―Sei una frana a correre.
―Ma grazie!
La mia risposta sarcastica lo divertì parecchio, facendolo ridacchiare. Scossi la testa rassegnata e tirai fuori dallo zaino le mie cuffiette, le attaccai al cellulare e ne infilai una, come ero solita fare. Ma il mio compagno di strada, interpretò diversamente quel gesto.
―Oh, ma che gentile!― esclamò, guadagnandosi una mia occhiata stranita. Non feci in tempo a chiedergli che cazzo voleva che prese la cuffietta e giaceva abbandonata sulla mia spalla e se la infilò. Iniziò a tamburellare con le dita sulla coscia, seguendo il ritmo.
―No, ma fai pure eh!
―L'ho fatto.― se non fosse stato che ero incazzata nera con lui avrei potuto anche trovare attraente quel sorriso rilassato, sicuro di sé e ammiccante. Ma ero arrabbiata io, quindi mi limitai a sbuffare e lasciarlo stare.
Mi ritrovai ad osservarlo con la coda dell'occhio mentre mimava con la bocca le parole del testo di "She will be loved" dei Maroon 5. Poteva essere definito quasi.. carino. Quando non parlava, ovviamente.
Scossi la testa e cambiai canzone, essendomi stufata di quella.
―Ehi! Perché hai cambiato?― mi chiese arrabbiato e dispiaciuto Riccardo. Era davvero buffo in quel momento, aveva quella faccia shockata e sul punto di diventare incazzata che fa ridere. La fronte corrucciata, la bocca mezza aperta, gli occhi che non capivano.. non potei non scoppiargli a ridere in faccia.
―Ma che cazzo te ridi?
―Scusa...― ansimai tra una risata e l'altra, mi asciugai una lacrima tanto per fare scena e  continuai la mia risposta ―E' che sei buffo..
―Bha..― iniziò pensieroso ―Le ragazze mi hanno affibbiato tanti aggettivi, ma mai buffo. Mi aspettavo più sexy, bono, figo.. scopabile.
Calcò sull'ultima parola, proprio perché sapeva che mi avrebbe dato fastidio. Non avrebbe mai dovuto sentire quella conversazione sul suo culo. Dannazione!
Mi sentii il volto andare a fuoco e la rabbia montare. La mia voce raggiunse livelli di altezza mai visti quando sbottai: ―Tu sei uno stronzo!
Strattonai la mia cuffietta via dal suo orecchio e gli diedi un cazzotto. Lui per tutta risposta scoppiò a ridere, e io che credevo di fargli male.
―Tu sei un idiota! Non ti ha mai detto nessuno che è maleducazione ascoltare le conversazioni altrui? Si chiama violazione della privacy!
Restò per qualche secondo a guardarmi serio, prima di scoppiare a ridere. Si teneva la pancia, era piegato in due dalle risate. Piangeva, addirittura.
―Ok, adesso questa me la spieghi.― dissi sconcertata ―Io vengo a farti un discorso del genere e tu che fai?! Ridi!
―Sei buffa.
Sbuffai. ―Non è vero. E non vale come giustificazione.
―Me l'hai detto anche tu, e non era vero. ― disse, avendo pienamente ragione, o quasi. ―Sì vale, e per lo più tu sei davvero buffa!
―Zitto, idiota.― fu il mio commento intelligente.
Scosse la testa, ancora ridendo.
Si riprese la cuffietta, ed io glielo lasciai fare.
Continuammo a camminare, sincronizzati, senza dire una parola. Ci limitavamo a ridacchiare ogni tanto pensando all'accaduto di pochi minuti prima. Sì, ok, mi ero "divertita", ma non potevo mica passare tutti i santi giorni, andata e ritorno, in quel modo! Mi sarei suicidata prima o poi.
Al contrario, quel troglodita patentato accanto a me sembrava divertirsi parecchio, erano minuti che ridacchiava da solo come un mentecatto.
Decisi di indagare. ―Ehm.. Riccardo? La gente ci guarda, smettila di ridere come un mongoloide, che pensano che hai problemi.. non che tu non ne abbia, eh!
―Non è colpa mia!― si difese, poi indicò le mie scarpe con fare accusatorio ―Sono loro!
―Le mie converse?― chiesi senza capire.
―No! I piedi, cammini come una paperella impedita sulla sabbia!
All'inizio lo guardai con una faccia assolutamente confusa, poi shockata, poi spostai lo sguardo sui miei piedi a papera, ed infine lo puntai di nuovo su Riccardo, questa volta arrabbiata.
―Non è vero!― mi bloccai e iniziai a dare di matto, con la solita vocina stridula di quando sono arrabbiata e mento. In quel caso stavo facendo entrambe le cose, quindi potete immaginare da soli come fosse la mia voce.
Ancora una volta la conclusione della vicenda fu un ragazzo accasciato al suolo che rideva, con accanto una tipa imbronciata che gli voltava le spalle con le braccia incrociate sotto il seno.
Normalità portami via!
―Oh, e basta!― sbottai infine, ero stufa, affamata e desiderosa di tornare a casa. ―Alzati per l'amor del cielo, o ti lascio qui.
L'idea che potessi lasciarlo solo soletto lo spaventò a tal punto che si alzò e smise di ridere in 30 secondi scarsi. ―Perfetto, andiamo.
Quella volta fui io a ridacchiare.
―Paura di rimanere senza di me?
―Piuttosto di rimanere senza qualcuno che mi dica dove andare.
Lo fissai senza capire, spronandolo a parlare. ―Sono nuovo qui e oggi è solo grazie a te che ho trovato la scuola― disse ghignando.
Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo. Non mi meravigliavo neanche più di tanto, una volta Danny si era perso e aveva pedinato una vecchietta con la spesa fino a casa, la poveretta si era spaventata così tanto che aveva chiamato la polizia! Lo raccontai anche a Rick e questo scoppiò a ridere, per l'ennesima volta. Si stava per fermare, come prima, ma lo precedetti prendendolo per un braccio e trascinandomelo dietro.
Alla fine, grazie a non so quale miracolo arrivai davanti al portone di casa mia. Ringraziai tutti i santi che conoscevo per avermici fatta arrivare senza ammattire.
―Eccoci qui. Questa è casa mia, quindi ti devo abbandonare.― dissi fingendomi addolorata, con tanto di mano sul cuore.
―Oh, be', vorrà dire che ci vedremo domani mattina.
Spalancai gli occhi verdi ―Ah, sì?― iniziai a ridacchiare nervosamente ―E come mai?
―Per andare a scuola, no?
―Ah, già, che tu non ci sai arrivare.. ma mica è difficile!
Si trattava solo di seguire quella strada per un po', curvare ogni tanto a destra e poi a sinistra ed era arrivato.
Scrollò le spalle e mi fece l'occhiolino ―Preferisco non rischiare.― mi guardò malizioso e aggiunse: ―E poi, se non trovassi la scuola dovrei vivere con la consapevolezza di esserti mancato terribilmente.
Annuii, assecondandolo ―Come l'acqua ai pesci, guarda.
―Ecco appunto!
―Sì, sì, come ti pare,― lo liquidai ― ma adesso come trovi casa tua?
―Ah, è facile! E' solo qualche palazzo più avanti.― disse indicando la strada. ―Siamo vicini vicini!
―Evviva!― dissi fingendomi contenta.
Si avvicinò pericolosamente al mio viso, e pensai volesse baciarmi sulla guancia. Ero troppo sconvolta per muovere un muscolo, ma non ce ne fu bisogno, perché le mie previsioni erano sbagliate, tanto per cambiare. Si era avvicinato per prendere una ciglia che giaceva sulla mia guancia ed esprimere il desiderio al mio posto. Vi ricordate la faccia "manga disperato"? Ecco, ero di nuovo in quello stato.
Lasciai stare, consapevole che quella fosse una battaglia persa. Se mi mettevo pure a rinfacciargli di non avermi fatto esprimere il desiderio saremmo rimasti in quella posizione tutta la notte.
―Espresso il desiderio, piccolina?― gli chiesi sarcastica, con un sorriso a trentadue denti.
―Sì, mammina, e credo tu debba usare una mentina.― inutile dire che iniziò a ridere per la sua stessa battuta, e che io mi allontanai indignata.
―E tu dovresti imparare l'educazione!― gli mollai uno schiaffo sul braccio e mi voltai arrabbiata. Non mi voltai nemmeno quando mi chiamò, citofonai e mi richiusi il portone alle spalle senza far caso al coglione in strada.
Era iniziata bene la scuola, insomma.

 




*GUARDAMI! SONO  IL CUO DI TOMMO*

Salve bella gentee!
Come va la vita? eh? eh? lol iuvbdlsxnzas 
Raccontatemi come vi va! (?) lol spero bene.. 
Allora, direi di passare subito al sodo..
1 primo punto all'ordine del giorno: scusate se vi ho fatto aspettare qualche giorno, lo so che morivate dalla voglia di leggere (seeehh come no.. lol)
2 non avevo grandi idee e questo è il massimo che ne è uscito fuori, spero che vi abbia divertito lo stesso(?) AHAHAHAHAH c:
3 VOI. SIETE. FANTASTICHE. no, dico davvero. Mi avete lasciato tipo 6 recensioni, l'avete messa tre le seguite/preferite/ricordate sgfiijs.. c'è IO VI AMO. ugbvdwhsa uu 
dico davvero..  A MASSIVE THANK YOU GIRLS (piaciuto marta? eh? eh? looool)
Ok, batsa vi ho annoiate abbastanza.. non vi dico nulla sui capitoli successivi, anche perché devo ancora deciderli lol
le critiche sono ben accette così come i consigli.. e bho, che altro dire? di nuovo un GRAZIE  a tutte.. :3
e ora adioosss(?) lol
alla prossima
Livia c:

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***




CAPITOLO 3







―Com'è andata la prima settimana di scuola?― povera mamma, sperava sempre di ottenere una risposta positiva, o quantomeno allegra da parte mia o di mio fratello, ma erano grugniti le uniche cose che riceveva in risposta. E quella volta non fu da meno.
Io già normalmente non parlavo molto a tavola, figuriamoci dopo una settimana del genere.
Quell'idiota mi aveva proprio stancata. Difficile dire che fosse passata già una settimana, a me era sembrato un secolo. Non era stato per nulla facile. Quell'idiota di Riccardo si era accattivato il mio Giò, il mio compagno di banco. Ogni tanto durante l'ora di lezione di sentivo ridacchiare e mi voltavo, sperando di vedere altri due ragazzi intenti a ridere e scherzare tra loro, ma invece erano sempre loro due. Loro due che facevano comunella, loro due che parlavano di calcio, loro due che legavano sempre di più. Non era giusto. Non vedevano che mi facevano stare male. Che cos'ero una specie di porcospino a cui uno degli aculei aveva sostituito il cuore?!
Non pretendevo certo che quell'idiota di Riccardo Chietti se ne accorgesse, non potevo mica pretendere troppo. Però almeno Giò! Lui era il mio migliore amico da.. da una vita! Lui se ne sarebbe dovuto accorgere, porca miseria.
L'avevo detto a Marilù, naturalmente. Come sempre passavamo i pomeriggi a telefono facendo i compiti insieme, anche se per lo più parlavamo d'altro. La sera poi era dedicata ai miei social network. Avevo Facebook, come tutti ormai, e lo usavo per parlare con i miei amici, mentre Twitter, come per molti ragazzi, era un po' il mio diario segreto.
Riccardo mi aveva pure chiesto l'amicizia su Facebook, e io, da persona matura qual'ero, avevo rifiutato. L'orgoglio era uno dei miei tanti difetti, sì.
Come sempre, quel pomeriggio mi misi a studiare per provare a finire tutto in fretta. La mia aspirazione era finire i compiti in poche ore così da avere il resto del pomeriggio libero, inutile dire che erano tutte speranze vane. Finiva sempre che perdevo tempo su Internet o parlando con Mari.
Quella volta, però, quando, finito di mangiare, andai in camera mia, a distrarmi fu il pensiero del ritorno a casa "movimentato" che avevo fatto con Riccardo.  
Avevamo litigato, tanto per cambiare, su cose completamente prive di senso. Se ci ripensavo mi rendevo conto dell'assurdità delle nostre discussioni, ma che ci potevo fare se il mio orgoglio e la testardaggine vincevano sempre..
Be', tanto per la cronaca, quella volta l'argomento della discussione erano gli scherzi telefonici. Lui li adorava, e li faceva sempre. Io, al contrario li detestavo, per due ragioni, che non avevo di certo spiegato a Rick. In realtà, una gliel'avevo detta. Da piccola mi avevano fatto uno scherzo telefonico, ero alle elementari circa, i primi anni, e mi avevano detto che Babbo Natale non esisteva. Ci ero rimasta di merda, davvero. Io ci credevo ancora, fortemente, e quegli idioti dei miei compagni di classe mi avevano ucciso un mito. Ero scoppiata a piangere ed ero corsa da mia madre sperando che mi dicesse che erano tutte bugie. Non avevo calcolato che ci doveva pur essere un motivo se io non sapevo mentire. Tutta colpa dei geni della mamma. Capii subito che mi stava raccontando palle, e ci rimasi malissimo. Da quel giorno ero rimasta traumatizzata.
E che poteva mai fare quel bifolco di Riccardo? Ridere! Sapeva fare solo quello.
Io gli avevo confidato una parte del mio passato e lui era scoppiato a ridere. Insomma, un po' di dignità e comprensione. Ammetto che forse, e dico forse, la cosa era leggermente ridicola, ma non era comunque autorizzato a ridere!
Vi starete chiedendo il secondo motivo del mio odio verso gli scherzi telefonici. Be', se è così sappiate che non sono affari vostri, ma farò uno sforzo. Il mio ex ragazzo ed io avevamo condiviso momenti importanti aventi a che fare con gli scherzi telefonici. Ma dato che la nostra storia non era finita bene, pensare a qualcosa che me lo ricordasse non mi faceva esattamente piacere. E Riccardo, stupidamente, aveva voluto indagare, facendomi incazzare sempre di più.
Passando oltre, tutto ciò mi era venuto in mente perché, tanto per aggiungere un altro difetto alla lista dei difetti di Riccardo Chietti, lui faceva sempre come se fossimo amici intimi da chissà quanto tempo. Mi dava sui nervi ogni volta che toccava la mia cartella come se fosse tutto normale, ogni volta che l'apriva e vi frugava dentro, ogni volta che prendeva le mie cuffiette senza permesso e se ne portava una all'orecchio. Questo era praticamente quello che era successo anche quella mattina. E anche quella mattina avevamo finito per gridarci contro e per litigare malamente. Ogni mattina poi, facevamo finta che gli insulti del giorno prima non fossero mai esisti.
―Sei un immaturo!
―E tu una bambinetta viziata che non è capace di scherzare!― era stata la sua risposta al mio insulto ―Smettila di prendertela per tutto e cresci!
Dopo questo affettuoso scambio di insulti mi ero voltata furente verso il mio palazzo e me n'ero tornata a casa. Di solito in questi momenti lui tentava almeno di fermarmi, ma quel giorno no.
Ero talmente furiosa che non mi ero ricordata di avergli lasciato le cuffiette con tutto l'iPod in mano.
Mi sbattei una mano in faccia, dandomi mentalmente della deficiente. Sì, perché c'erano solo due possibilità: o io ero davvero ritardata come diceva mio padre, o quel cretino era riuscito a farmi incazzare così tanto da dimenticarmi del mio amato iPod.
Di sicuro la seconda.
Che avevo da fare di compiti? Matematica? Poteva aspettare.
Mi misi le scarpe, infilai di fretta un giubbotto di jeans, presi il cellulare ed uscii, gridando un "ciao" generale per avvisare che stavo uscendo. In quel preciso istante, sentii un tuono ed iniziò a piovere. Più sfigata di me non esisteva nessuno. Ero tentata di tornare indietro, ma ci ripensai. Non avevo nemmeno un cappuccio, ma pazienza, rivolevo indietro il mio iPod, e lo volevo subito. Così presi un bel respiro, ignorai la voglia di tornare a casa e mettermi sotto le coperte e mi addentrai in quella pioggia talmente fitta da rendere difficile la vista.
Non ero mai stata a casa sua, sapevo solo quello che mi aveva detto il primo giorno, ovvero che abitava a pochi palazzi di distanza.
Dopo aver controllato i cinque palazzi successivi mi depressi un po', e cominciai a perdere le speranze, che andarono del tutto a puttane all'ottavo edificio. Ero seriamente tentata di fare capa e muro con quella superficie sporca e bagnata, di un colore verdastrolo, tendente al grigio. Mi accovacciai a terra, le ginocchia strette al petto, la testa riparata dal tetto del palazzo. Guardavo le mie converse lilla completamente fradice, più grigie che viola, e pensavo. Nella mia testa vagarono tanti di quei pensieri, perlopiù pertinenti a Riccardo e alla situazione in cui mi trovavo, che nemmeno mi accorsi della voce maschile che chiamava il mio nome.
Alzai piano la testa e mi ritrovai davanti un Riccardo, in tuta blu, con una sacca dello stesso colore in spalla, sotto un ombrello. Era perfettamente asciutto, mentre io sentivo l'acqua in posti in cui l'acqua non dovrebbe esserci.
―Drea?― ripeté il mio nome, incredulo. ―Che ci fai lì per terra?
E adesso che raccontavo? ―Ehm.. hai il mio iPod.
Mi guardò sempre più shockato, forse non riteneva possibile che io potessi arrivare ad uscire di casa senza ombrello con il diluvio universale solo per un iPod. Peccato che per me non era solo un iPod.
―Tu.. ti sei ridotta in questo stato, a cercare il mio palazzo, solo perché ho il tuo iPod?!
Tossicchiai nervosa e assunsi la mia migliore espressione sicura e "normale" che avessi nel repertorio. ―Sì, certo.
Si limitò a scuotere la testa rassegnato e ad ospitarmi sotto l'ombrello. Camminammo per altri pochi metri e arrivammo, finalmente aggiungerei, al suo benedetto palazzo. Salimmo dentro casa in silenzio, non c'era nessuno. Sulla soglia della porta però, mi bloccai. Non potevo entrare in quello stato. Avrei combinato un casino.
―Che c'è?― mi chiese Rick, guardandomi ferma sulla porta.
Mi indicai generalmente ―Sono tutta bagnata.
Il cervello dei ragazzi, al contrario di noi ragazze che siamo molto più indietro in questo campo, lavora il doppio quando si tratta di capire un'allusione sessuale. Me ne accorsi solo quando si mise a ridacchiare. Scossi la testa alzando gli occhi al cielo. ―Possibile mai che siate così idioti?
―Sei tu che provochi!
Dopo questa conversazione illuminante mi diede un asciugamano e dei vestiti asciutti di sua sorella maggiore.
Finimmo per sederci sul divano, mi aveva dato l'iPod, e stavamo aspettando che spiovesse così avrei potuto tornare a casa.
―Scusa.
―Eh?
―Scusa per averti dato della bambina viziata― ripeté, lasciandomi senza parole. Era il secondo ragazzo che conoscevo che si scusava per un suo insulto, dettato dalla rabbia del momento.
―Wow, grazie. E scusa anche tu, per averti dato dell'immaturo. ― dissi allora.
Finimmo per parlare come persone civili, del più e del meno. Finché non arrivammo all'argomento tabù. Sapevo che prima o poi avremmo dovuto riaffrontarlo.
―Quindi.. perché ti sei arrabbiata tanto per quel fatto degli scherzi telefonici?
Si vedeva che moriva dalla voglia di saperlo. Decisi di dirglielo perché anche se non l'avessi fatto, ci avrebbe pensato Giò. ―Perché mi ricorda il mio ex ragazzo.
―Ah.. ― disse pensieroso, poi mi guardò negli occhi ed esclamò: ―Ma allora non è vera la storia di Babbo Natale?
Scoppiai a ridere ―No, no, è vera tranquillo.
―Menomale..
Ridemmo per altri due minuti buoni, prima che ricominciasse a chiedermi del mio ex. Non c'era molto da dire, era la classica storiella da quattro soldi, dove lui ti molla per un'altra, solo che nel mio caso non c'era un principe azzurro pronto a consolarmi.
―Hum.. capisco― disse, sempre pensando. Abbandonò la testa sullo schienale del divano, e fissò il soffitto. Poi, d'improvviso il suo sguardo s'illuminò e mi guardò entusiasta. ―Che ne dici di fare una scommessa?
―Che genere di scommessa?
―Scommetto che riuscirò a farti innamorare di me!― disse lasciandomi del tutto a bocca aperta. Ma non era tutto ―Ti darò 69 motivi per amare!
Non sapevo se scoppiare a ridere o dargli del malato mentale.
Nel dubbio, feci entrambi. ―Ma qual è il tuo problema?― gli chiesi ridacchiando nervosamente. Ero davvero ridicola, senza contare la mia voce acuta.
―Che c'è? Non ti fidi? O hai paura di perdere ed innamorarti davvero di me?― il ragazzo era astuto, aveva capito che il mio punto debole era l'orgoglio, e che non avrei mai accettato di tirarmi indietro. Mi guardò con sguardo ammiccante e mi porse la mano. ―Ho tre mesi per darti 69 motivi per amare, e per farti, quindi, innamorare di me.
―Tre mesi? Così poco? Non si ama in tre mesi.―dissi sicura.
―Tu fidati di me, che hai da perdere?
In effetti nulla poteva andare storto. Innamorarmi di lui era escluso in partenza, quindi... ―Accetto!
―Grande!― esclamò eccitato stringendomi la mano. Aveva tre mesi dal giorno dopo per farmi innamorare di lui. Non ci sarebbe mai riuscito, ne ero certa. Fu la mia stupida sicurezza a farmi parlare ―Però così non è divertente.. aggiungiamo della posta!
―Vuoi scommettere soldi?
―Nah,― dissi pensando a qualcosa che mi sarebbe piaciuto fargli fare ―facciamo che se vinco io, tu dovrai ridarmi il mio banco vicino a Giò.
Sì, era decisamente quello che volevo. Rivolevo la mia vita. Non ce la facevo più a stare accanto a quelle oche delle mie compagne di classe.
―D'accordo, ma se vinco io...― pensò attentamente per svariati minuti, facendomi perdere l'interesse. Ma la sua richiesta mi lasciò a bocca aperta. ―Se vinco io tu dovrai fare tutto quello che vorrò per un giorno!
―Cosa?!
―Hai sentito bene.
Deglutii. Non era un patto leale, io avevo chiesto solo di riavere uno stupido banco. Ma tanto non avrebbe mai potuto vincere. Giusto? Sì, giusto, mi ripose il mio orgoglio. Presi un bel respiro e dissi: ―Okay.
―Ma toglimi una curiosità..― dissi poi, aspettai il suo cenno d'assenso e proseguii ―Perché proprio 69 motivi?
Sorrise malizioso e fissò i suoi occhi azzurri nei miei ―L'hai detto anche tu: noi ragazzi pensiamo solo ad una cosa.






*1, 2, 3,... BHOOO!*
Vi ho fatto paura, vero? lol datemi soddisfazione e ditemi di si uu
per cominciare, HAPPY HALLOWEEN A TUTTI c: lol che possano i dolcetti essere sempre con voi(?)
ok, non c'entrava nulla, ma mi andava di scriverlo trolol
pooiii.. oggi sono stata interrogata in italiano e ho avuto 6! "I'm a fucking genius" cit. Marta Styles
eqgdsnwc fatemi i complimenti(?) che altro dire? Oggi mi sono complimentata con la prof. per il suo costume da strega! Però non era un costume.. :') AHAHAHAHAHAHAHAHAH
Vi ho raccontato la mia figura di merda del giorno, adesso raccontatemi voi qualcosa e ditemi come la va vita,
e, ovviamente, che ne pensate di questa caramella annacquata(?) del capitolo.
ok, passiamo ai ringraziamenti. Avevo pensato di ringraziarvi una per una ma... lo ammetto mi scoccio lol
quindi mi limito ad un GRAZIE a tutte quelle che hanno messo la storia tra le preferite/ seguite/ ricordate e che hanno recensito..
I'M IN LOVE WITH YOU AND ALL THESE LITTLE THINS. FUCK YEAAHH AHAHAHAHAHAH
no, c'è, ma l'avete sentita quella canzone? uvdcbhwnqbucwldnwudijk :3 
ok, sclero time finito lol
Adioss amigos(?) 
Alla prossima, 
Livia <3



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



CAPITOLO 4.





Back to home. Finalmente aggiungerei. Quel pomeriggio ero restata tutto il tempo a casa di Rick, aspettando che spiovesse. Alla fine, quando ci accorgemmo che erano già le sei e non avevamo ancora studiato nulla, pensò bene di accompagnarmi fino a casa con l'ombrello.
Era stato gentile, lo ammetto.
Non posso dire altrettanto di mia madre, che quando mi vide entrare in casa, con i vestiti umidi, i capelli ancora mezzi bagnati, tenendo conto dell'orario mi trapanò i timpani con tutte le sue grida stridule. Mi resi conto che dovevo essere davvero pessima quando mi incazzavo, se avevo anche solo un decimo della sua asprezza. Dopo essermi sorbita la predica sui miei doveri, il rispetto, l'importanza di fare tesoro della sua fiducia e bla bla bla, mentre mio fratello ridacchiava soddisfatto, riuscii ad arrivare in camera mia. Ma nemmeno il tempo di chiudere la porta ed iniziare a studiare che squillò il mio cellulare. Era Giò.
Sorrisi. Forse si era ricordato della sua migliore amica. ―Ciao, Giò! Come va? Perché...
Mi interruppe due secondi dopo. ―Come ti è saltato in mente?! Ti rendi conto di quello che hai fatto! Sei un'incosciente!
Continuò così per circa due minuti, senza prendere fiato né provando ad ascoltarmi. Dopo aver sentito le sue prediche, aver provato a parlare senza successo, la rabbia ebbe il sopravvento e gli chiusi in faccia. Tanto probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto, considerando che parlava più veloce di una lepre in calore in un giorno d'agosto.
Poi arrivò il senso di dispiacere, tristezza, delusione, le solite cose insomma. Le lacrime premevano per uscire, ma non glielo permisi.
Me l'ero presa. Sì, perché non poteva ignorarmi per una settimana buona, trattarmi come se non ci fossi, e poi di punto in bianco chiamarmi e farmi la predica stile mammina sessualmente frustrata che non ha un cazzo di meglio da fare. No, non poteva. Era frustrante. Forse non se n'era accorto ma io ci ero rimasta di merda. Ormai quei due erano così amici che quell'idiota aveva anche gli già parlato della scommessa. Dovevo mettere dei limiti a riguardo. Ma ci avrei pensato il giorno dopo.
Cazzo, no. Non poteva ignorarmi così, farmi sentire come se non fossi mai stata importante, e di punto in bianco chiamarmi per ricordarmi dell'altro coglione con cui aveva legato. Avevo letto in un libro che per ricacciare indietro le lacrime bisognava guardare la luce. Accesi la lampada sulla scrivania, la luce principale della stanza e il piccolo lume che avevo sul comodino. Fortunatamente servì, e un po' con la luce, un po' con il pc e un po' studiando chimica riuscii a distrarmi abbastanza. Rifiutai le chiamate di Giò. Ci stavo male sì, eppure immaginandomi di guardare la scena "dall'esterno" mi sembrava un motivo stupido per stare male. Non lo ritenevo degno di nota. Però faceva male lo stesso ed era quello il problema: che mi faceva male, nonostante tentassi di sminuirne l'importanza.
 
―Buongiorno principessa!― mi gridò Rick vedendomi uscire dal portone. Era in anticipo, di solito dovevo aspettarlo. Era di sicuro tutto parte della scommessa. Nonostante fossi un po' restia ad aprirmi con lui a causa del "problema Giò" risi comunque.
Alzai gli occhi al cielo. ―Lezione numero uno: non chiamarmi mai principessa.
Sembrò rimanerci quasi male, ma si riprese in fretta. ―Recupererò. Ero convinto che alle ragazze piacesse sentirsi chiamare così.
Scossi la testa ridacchiando. Aveva molto da imparare il ragazzo. ―Non piace a tutte, come vedi.― intanto armeggiavo con  le cuffiette dell'iPod per cercare di sbrogliare quel nodo doppio e contorto in cui riuscivo a ridurre le cuffiette.
Fu il suo turno di ridacchiare e scuotere la testa sconsolato. ―Da' qua.
―Faccio io― protestai, troppo orgogliosa per ammettere che non ce l'avrei mai fatta. Dopo svariati tentativi vani mi arresi e con il musone gli consegnai le cuffie. Le sbrogliò in pochi secondi e mi porse una cuffietta mentre sceglieva dalla playlist una canzone che piacesse ad entrambi. ―Dobbiamo parlare.
La sua bocca si contorse in una smorfia, sapeva già di che si trattava. ―Giò, vero?
Annuii. ―Ascolta, per me va bene la scommessa, ma a patto che rimanga segreta.
―Perché?
―Perché se si spargesse la voce né io né tu avremmo più una vita sentimentale.― spiegai calma. ―Il ragazzo che mi piace già non mi considera, se sapesse della scommessa sarebbe la fine.
Annuì pensieroso. Le sopracciglia corrucciate, i denti che mordicchiavano il labbro, le mani che battevano il tempo a ritmo. ―Hai ragione. ― disse infine. ―Non sapevo che ti piacesse un ragazzo! Adesso la scommessa sarà più difficile!
Risi.―Non me l'avevi mica chiesto. E poi è solo una cotta, nulla di serio. ― con Marco non avevo mai parlato molto, anzi quasi mai. Era un bel ragazzo ma non si era mai accorto di me, ed io provavo a non pensarci.
Scrollò le spalle ―E' sempre un concorrente in più.
Risi di nuovo. ―Perché tu sei sempre convinto di riuscire a farmi innamorare di te..
Si fermò di colpo e mi guardò serissimo. ―Io lo so, chiaro?― annuii poco convinta soffocando una risatina. Quel ragazzo mi avrebbe fatta morire dalle risate prima o poi. ―E già che ci siamo, iniziamo con il primo dei 69 motivi.
―E quale sarebbe, sentiamo.― dissi aspettandomi una delle ragioni più banali, tipo: amare ti rende migliore.
―Ti sorprenderò.― sembrò leggere i miei pensieri Rick. ―Il primo buon motivo per amare è scherzare.
―Eh?― sì, suca Drea. Ammetto che mi aveva sorpresa, ma non in meglio. Questa doveva proprio spiegarmela. "Scherzare" tra tutte le cose che mi avevano detto questo mai. «Vedi tu chi mi è capitato..»
―Sì, pensa quello che vuoi, ma scherzare è il primo passo per amare.
―Come no! E scopare è il primo passo per diventare suora!
Cominciò con un sorriso, che tirò l'altro, finché non ci ritrovammo entrambi piegati in due dalle risate, con le lacrime agli occhi.
―Dio, quanto sei idiota.
―Parla lui...― ribattei con il sorriso sulla bocca.
―Visto?― chiese poi, lasciandomi per la seconda volta in due minuti interdetta. ―Noi scherziamo. Quando ci insultiamo, non lo pensiamo veramente.
―Questo è quello che fanno due amici!―replicai con aria di sfida. Mi stava solo confondendo le idee in quanto ad amore, ma su una cosa mi aveva illuminata del tutto. Prima era solo una supposizione, ma adesso ne ero proprio sicura: era un'idiota.
―E infatti dalle amicizie nascono gli amori migliori e più duraturi.
Lo guardai sospettosa. ―Ma tu passi le domeniche sere a guardare Beautiful e leggere giornalini di quando tua sorella era una dodicenne, per caso?
―Cazzo, mi hai scoperto!
Le risate vennero spontanee anche in quel momento. ―Be', che ti aspettavi, stai parlando con Sherlock Holmes versione femminile!
―Ah, sì? Ma visto che sei la versione femminile non dovresti avere una gonnellina scozzese, con un top abbinato, magari entrambi molto corti...
Il pugno se lo beccò senza ripensamenti. Ma mi scappò lo stesso un sorriso.
 
 
11.50
Intervallo.
Corsi al terzo piano come una pazza squinternata, senza degnarmi di aspettare Giò. Riccardo mi aveva promesso che gli avrebbe parlato lui e che avrebbe risolto tutto. Nessuno avrebbe saputo nulla, nemmeno Marilù, per quanto mi dispiacesse.
Arrivata a destinazione avevo il fiatone e non vedevo la mia amica da nessuna parte. Andiamo, era una bella bionda con due occhi color caramello e una statura nettamente superiore alla mia, non poteva essere così difficile trovarla. Provai al bar. Pessima idea. Nella mia scuola, forse anche nelle vostre, il bar era sempre, e dico sempre, stracolmo di gente. Si poteva quasi sentire come sottofondo musicale: QUESTA. E'. SPARTAAAA.
Carino, vero?
Cambiai rotta e, tra spintoni e gomitate, riuscii ad uscire. Fortunatamente la vidi poco distante che chiacchierava con Danny e dei loro compagni di classe. Li conoscevo, erano simpatici. Corsi spedita verso di loro e mi addossai su Mari, che sussultò spaventata.
―Mi hai fatto prendere un colpo, troia!
Io e lei, come tutte le persone normali, invece che usare nomignoli carini e dolci, ci insultavamo pesantemente.
―E' sempre un piacere, stronza!
Io e Danny ci salutammo con un sorriso. Per quanto litigassimo ci volevamo bene, a modo nostro, ma ce ne volevamo.
―Ciao, ragazzi!
―Ciao, Drea!― mi risposero in coro. Erano due ragazze, Sara e Daniela, e un ragazzo amico di Danny, Roberto.
―Di che parlavate?― chiesi allegra.
―Queste tre qui parlavano di Marco Notaro,― il cuore perse un battito. Dannazione! ―mentre io e lui della partita che ci sarà a Milano.
Era Roberto ad aver risposto, senza sapere della mia cotta per Marco. Mari mi si avvicinò e Danny mi guardò preoccupato. Erano fin troppo dolci quando volevano. Erano consapevoli dei miei sentimenti e che un po' ci restavo male quando Marco mi sfilava accanto senza nemmeno guardarmi.
Sorrisi per rassicurarli. ―Ottimo! Mio padre guarderà quella partita insieme a mio fratello ed io cerco asilo politico.
―Perché?― chiese Sara, dando voce ai pensieri di Daniela e Roberto.
Gli altri due, invece, sapevano già il motivo. ―Perché mio padre si trasforma in una specie di cannibale affamato pronto a tutto se la Fiorentina perde.
Risate generali.
―Avete sentito del ragazzo nuovo?― chiese poi Daniela.
―Oh, sì, Riccardo, è così carino.. in che classe è?
―Nella mia.― alzai la mano.
Si scatenò ovviamente l'inferno, tutte e due le ochette mi strisciarono ai piedi pregandomi di farglielo conoscere. Poco disperate insomma, e si aggiunsero anche altre due di passaggio che avevano ascoltato la conversazione. Marilù intanto se la rideva insieme a Danny e Roberto, anche se questi due erano anche un po' incazzati per essere stati messi da parte dalle ragazze.
Non fui mai così felice di sentire il suono della campanella.
Quando tornai in classe, sulla soglia della porta vidi Giò e Rick che parlottavano. Ingoiai la saliva amara e mi diressi verso il mio banco. Inizialmente ero tentata di girare a sinistra, per dirigermi in fondo, ma poi la mia mente mi riportò bruscamente alla realtà, ricordandomi che il mio posto era davanti a me.
―Hola!― mi salutò allegro Rick. Sorrisi istintivamente ―Tutto fatto, Sherlock, non c'è nulla di cui preoccuparsi.
Mi fece l'occhiolino ed io risi. ―Ben fatto Watson.
Mi si avvicinò all'orecchio e mi sussurrò: ―Ma se tu sei la versione femminile di Sherlock...
―Non ricominciare!
―E lasciami finire!― disse esasperato, poi ricominciò a parlare, tutto applicato. ―Dicevo, i veri Sherlock e Watson, sono migliori amici, io e te non dovremmo essere un po' di più...? Insomma quella gonnellina è mia di diritto!
―Rick! Finiscila, cretino che non sei altro!― scoppiai a ridere mollandogli un pugno sul braccio.
―Sei violenta.
―E tu un idiota.
―Che bella coppia!





*LOOK AT ME GIRLS*

Hooolaaaa c:
come va la vita? ybcednx
farò finta che qualcuno me l'abbia chiesto e che vi  interessi. Non so se li conoscete tutti, ma.. io vorrei quei fottutissimi biglietti per il concerto di Verona dei oned.
Perdonate il mio piccolo momento di sfogo. c:
A MASSIVE THANK YOU a tutte quelle che hanno letto il capitolo, anche se forse non saprete che vi ringrazio perché non leggere il mio angolino autrice(?). 
quindi io forse sto parlando da sola... evvabbé, dettagli, e un'altro GRAZIE a tuttte quelle che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
ah, e ovviamente, GRAZIE a voi che recensite. lol 
ok, basta, mi dileguoo(?)
sciaauu
Livia <3

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 Capitolo 5



Finita la scuola io, Rick e Giò uscimmo insieme dalla classe, nonostante la mia presenza fosse quasi nulla. Io e Giorgio non ci rivolgevamo la parola. Era una settimana che non facevamo una conversazione. E be', ci stavo male. Anche vedere lui e Rick che, al contrario di me e lui, parlavano e scherzavano come se niente fosse mi faceva male. Minchia, mi ignorava dalla mattina alla sera, di sicuro non mi faceva piacere.
Fortunatamente raggiungemmo in fretta il muretto fuori scuola dove trovammo Mari e Danny ad aspettarci. Era venerdì e, come tradizione, andavamo a mangiare una pizza tutti insieme. Rick era ancora dietro di me con Giò, non mi dava nemmeno troppo fastidio il fatto che ci fosse. Almeno lui avrebbe tenuto occupato Giò, e io non avrei dovuto parlargli. Avevo la brutta sensazione che se l'avessi fatto sarei scoppiata in lacrime e l'avrei insultato. Ero fottutamente emotiva per mia sfortuna, e ciò comportava che piangevo per ogni singola cazzata. Di positivo c'era che sorridevo per ogni piccola cosa.
Il mio fiume di pensieri fu interrotto dalla voce diretta e infastidita di Danny ―E lui chi è?― quel ragazzo avrebbe potuto benissimo vincere il premio per il miglior stronzo dell'anno. Quando voleva sapeva essere fin troppo acido, persino più di me.
―Lui è Riccardo, Riccardo loro sono Mari, che già.. conosci,― dissi alludendo a quella mattina del primo giorno di scuola, scatenando risatine sommesse. ―e lui è Danny.
―Piacere― salutò cortese Mari.
Danny borbottò qualcosa di incomprensibile e gli strinse la mano abbozzando un sorriso.
Si beccò tre occhiatacce rimproveranti. Io, Mari e Giò sapevamo com'era fatto, e sapevamo anche come risultava antipatico alle persone che non lo conoscevano veramente.
―Ah, non ti preoccupare Rick,― intervenne Mari ―normalmente è più simpatico, è che oggi ha preso un brutto voto in matematica...
―Non è stata colpa mia! E' quella stronza della Farese che ce l'ha con me.― si difese lui, stringendo i denti.
Era proprio un bambino in certe situazioni. Non era capace di fare la persona matura, non quando era incazzato, al contrario di Giò. Ancora mi chiedo come facessero ad essere migliori amici nonostante i caratteri opposti.
―Hai la Farese?― chiese Rick, intromettendosi. Non prevedevo nulla di buono. Sia io, che Mari e Giò lo guardammo come a dire: "chiudi quella bocca". Inutile dire che non servì a nulla. Non aspettò il cenno d'assenso di Danny, che lo guardava con la mascella contratta, e proseguì. ―Un mio amico ce l'ha e dice che è una stronza,― davvero non capivo dove volesse arrivare con il suo discorso deprimente, e non ero l'unica. ―magari tu avevi studiato ma lei stava incazzata e allora ti ha messo un brutto voto... ma tanto poi li cancella tutti, tranquillo.
Eravamo tutti a bocca aperta. Danny sorrise quasi questa volta, e non fingeva nemmeno. Il "grazie" lo sentimmo tutti benissimo. Mi spuntò istintivamente un sorriso sulle labbra mentre guardavo Rick, peccato però che io facessi tutto senza mai pensare prima. La mia bocca si mosse prima ancora che potessi fermarla. ―Io non ci giurerei...
Inutile dire che tutti mi guardarono con sguardo assassino e si sentì un coro di: ―Drea!
Scoppiammo tutti a ridere dopo pochi secondi. Io però lo pensavo veramente, e anche tutti gli altri: non era colpa della Farese, era Danny che non studiava mai un cazzo.
―Ho fame. Andiamo a mangiare?― chiesi dopo un po'.
Acconsentirono tutti. Prima ancora che potesse chiederlo Giò e Danny si erano incamminati trascinando nel discorso anche Rick, obbligandolo quindi a camminare e venire con noi. Sorrisi. Ero felice che non lo escludessero. Peccato che così escludevano me. Sbuffai, forse un po' troppo ad alta voce, infatti sia Marilù che Rick si voltarono verso di me. Rick mi guardò chiedendomi in una muta domanda se andava tutto bene. Lo rassicurai con un sorriso, ma non so quanto ci credette. Mari non la potevo ingannare, non con un sorriso falso almeno. Mi misi a piagnucolare che morivo di fame. Sapevamo entrambe che era una cazzata, ma finse di credermi e mi resse il gioco, intuendo che non fossi ancora pronta a dirglielo.
 
Io mangiavo, rigorosamente, ogni santo venerdì, una fetta di pizza margherita. E così fu anche quel giorno. Parlammo del più e del meno, seduti su delle panchine nel parco dove andavamo di solito.
Ad un certo punto, però, essendo la conversazione troppo tranquilla, io e Danny ci scambiammo uno sguardo d'intesa. Io e lui eravamo gli "animatori" della festa, se si può dire così. Quando noi, o gli altri, finivano per annoiarsi, eravamo capaci di tutto per riportare i sorrisi.
Ci assentammo un attimo, dicendo che volevamo dei gelati. Per esperienza sapevamo che lì vicino c'era una fontanella con due secchielli accanto, per cani e altri animali che volevano bere. Riempimmo in fretta i secchi, ne prendemmo uno a testa e ridacchiando malefici ci avvicinammo di soppiatto agli altri tre. Erano tutti e tre di spalle, e stavano sentendo la musica ad un volume così alto che nemmeno si accorsero dei nostri passi dietro di loro. Danny si diresse verso Marilù. Quei due avevano un'intesa unica. Si conoscevano dalle elementari, ed erano ancora amici come allora, forse di più. Per quanto mi riguardava ero dell'opinione che si sarebbero messi anche insieme, prima o poi. Non l'avevo mai detto a nessuno dei due, sapendo che si sarebbero incazzati. Con Giò, invece, facevamo sempre piani diabolici sui nostri amici. A proposito di Giò, io avrei dovuto bagnare lui e Rick appena Danny mi avesse dato il via. Mi voltai verso di lui e lo vidi contare con le labbra fino a tre. Poi gridò "via!" e lanciammo contemporaneamente un po' dell'acqua nei secchi sui nostri rispettivi bersagli. Mentre Danny prese in pieno Mari, dalla testa ai piedi, io mi limitai alla schiena e ad un po' della testa di Rick e Giò. Le loro urla, le loro espressioni, erano impagabili. Io e Danny scoppiammo a ridere così forte e con così divertimento che finimmo per piangere. Ridevo talmente tanto che non usciva nemmeno più la voce dalla mia bocca. Marilù fu la prima a reagire, scaraventandosi contro Danny, il quale era già a terra a rotolarsi per le risate. Lei si limitò a dargli pugni dappertutto urlando e ridendo contemporaneamente. Poi fu il mio turno. Guardai negli occhi Rick, con espressione idiota, lui mi guardava, sembrava troppo rilassato per essere uno a cui hanno appena buttato un secchio d'acqua gelida in testa. Non so spiegarlo, mi guardava, ma sembrava non vedermi davvero. Era in un mondo tutto suo, ed era anche felice a vedere la sua espressione ebete. Bha, chi li capiva i ragazzi..
Ad un certo punto sembrò svegliarsi da quello stato di trance. Si riscosse ed acquistò un'espressione alquanto sadica. Iniziò ad avvicinarsi, prima lentamente, poi sempre più veloce. Provai invano ad indietreggiare, ma ero troppo rincoglionita dalle risate per riuscirci. Mi corse letteralmente addosso e mi bloccò a terra. Io ridevo ancora, troppo stordita per fare altro. Mi aspettavo di tutto, davvero. Pensavo mi avrebbe buttato addosso dell'acqua anche lui, o che mi avrebbe "picchiato" scherzosamente, invece iniziò a farmi il solletico. Quello era uno dei miei punti deboli. Inoltre, calcolando che già non respiravo a causa delle risate di prima stavo davvero per andare in coma. Dalla mia bocca non uscivano suoni, i miei occhi lacrimavano e i polmoni cercavano disperatamente ossigeno. Quando lo vidi che rideva soddisfatto mi resi conto di essere davvero ridicola, iniziai a provare a pregarlo di smettere. Provare perché parlare era un'impresa.
―R... ick.. ti... p.. prego... basta... non... res... piro...― ascoltando la mia penosa preghiera si lasciò prendere dalla pietà e mi lasciò andare. Si accasciò al suolo accanto a me e cominciammo a ridere come i due idioti che eravamo. Però poi arrivò il turno di Giorgio. Lui non mi fece il solletico anche se intuii che Rick gli aveva rubato l'idea. Si limitò a buttarmi il resto dell'acqua gelata in testa, bagnandomi molto più di quando non avessi fatto io. Mi alzai in piedi, ancora shockata per quello che aveva fatto.
―Non è così divertente adesso, vero?― mi prese per il culo quello che dovrebbe essere uno dei miei migliori amici.
―Brutto coglione rimbecillito!― strillai cominciando a rincorrerlo per tutto il prato. Mentre ridevo come una cretina potevo vedere Danny e Mari che si sbellicavano dalle risate stesi sul prato, e Rick che ci guardava sorridendo. Non seppi interpretare quel sorriso, era uno dei più belli che avessi mai visto, ma proprio non capivo che cosa c'entrasse in quella situazione. Lasciai perdere e provai a concentrarmi su Giò. Era davanti a me, mancava poco e l'avrei preso. Sapendo che sarebbe riuscito a sfuggire dalle mie grinfie se l'avessi preso per un braccio pensai bene di saltargli addosso, rischiando di spaccargli la schiena. Rotolammo per tutto il prato, fino ad arrivare accanto agli altri tre.
Ridemmo come due idioti, finché Giò non si tastò le tasche in cerca del cellulare, che si trovava nella tasca posteriore, leggermente bagnata dalla mia secchiata d'acqua. Quando si accorse che forse gli avevo bagnato il cellulare scattò in piedi e cominciò a inscenare una specie di dramma teatrale in cui cercava disperatamente di far resuscitare il cellulare. Ecco, per quanto Giò possa essere santo, buono, giusto eccetera, quando si tratta del cellulare diventa un ossesso. Mentre altri suoi difetti erano i problemi di vista che gli impedivano di vedere come si sentiva la sua migliore amica, e tante altre cose.
In questi momenti diventava particolarmente irritabile. ―Drea, giuro che se il mio cellulare è morto ti uccido!
Sbuffai. ―Ma se va in coma un giorno sì e l'altro pure!
Mi guadagnai uno sguardo assassino. ―Non. Dire. Una. Parola.
Io, Mari, Danny e Rick non  potemmo evitare di ridere, nonostante provassimo a nasconderlo. Io e Danny ci scambiammo uno sguardo complice, eravamo stati grandi.
―Dai, Giò rilassati, lo sai che tanto poi si riaccende sempre..― provò a tranquillizzarlo Marilù.
Lo vedemmo contrarre la mascella. ―Se solo Drea ci avesse pensato prima di fare quello che ha fatto, ma lei non pensa mai...
Mi guardò furioso, con aria di rimprovero. Era arrabbiato sì. E sapevo anche perché. Non c'entrava nulla il cellulare. Era la scommessa. Non avevo ancora capito perché ma non gli andava giù questa storia. Da che si era dimenticato di me dopo che aveva saputo della scommessa mi aveva fatto una predica e ce l'aveva pure con me.
―Non pensavo che ti avrei bagnato il cellulare,― replicai io, sempre alludendo alla scommessa. Io e lui ci capivamo, e anche Rick, sfortunatamente. ―e tu dovresti provare a rilassarti.
Sbuffò ―Drea, non capisci che hai fatto una cazzata enorme? Prova a crescere, non ti farebbe male!
Mi arrabbiai. Perché non poteva semplicemente farsi i cavoli suoi e lasciare stare me? Mi voleva ignorare? D'accordo, ma poi non poteva venire a farmi una predica su ogni cosa che facevo. ―Era tanto per divertirsi, tu prova a farti gli affari tuoi per una volta, crei solo problemi così!
―Sono affari miei visto che mi hai bagnato tutto e forse il mio cellulare ci rimette la vita!― protestò ricordandomi che stavamo parlando della secchiata d'acqua. Dovevo stare attenta a quello che dicevo, altrimenti gli altri avrebbero nutrito dei sospetti.
―Tzè.. Quel cellulare è immortale! E poi non capisco perché ti arrabbi tanto, non è la prima volta che ti facciamo uno scherzo!― alzai la voce anch'io, mi veniva spontaneo farlo quando litigavo. Strinsi i pugni, le braccia strette attorno al corpo, la faccia rossa e il naso e le orecchie fumanti. Dovevo essere proprio uno spettacolo ridicolo.
―Se provassi a capire, invece che essere sempre così immatura...
Capire? Lui che chiedeva a me di capirlo? Ma scherziamo?! ―Capire cosa?! Sei tu che cambi umore più in fretta di una donna mestruata!― presi fiato e continuai imperterrita ―Non puoi farmi una predica dopo che non ti interessi a me per una settimana! Sei solo un'idiota!
Solo dopo mi resi conto di quello che avevo detto. Il rosso della mia faccia divenne un rosso imbarazzato, invece che arrabbiato. Vidi Giò confuso all'inizio, poi piano piano cominciò a capire il senso di quello che avevo appena detto. Dio, come mi vergognavo. Presi la mia borsa e me ne andai via, cercando di sembrare il più decisa, incazzata e dignitosa possibile. Dubitavo che mi riuscirono tutte e tre le cose, ma potevo sempre sperare.
Vedendomi scappare via intervenne Rick ―Drea! Drea fermati!― Mari e Danny erano troppo confusi e shockati per fare qualcosa. Li potevo capire. Mai, e dico mai, io e Giò ci eravamo urlati contro così. Litigavamo, ovviamente, ma di solito le nostre liti erano un tenerci il broncio a vicenda finché uno dei due non cedeva e si scusava, portando l'altro a fare lo stesso. Non ci eravamo mai insultati in quel modo.
Non diedi peso alla voce di Rick che mi chiamava, o a lui che prendeva le sue cose salutava gli altri e mi correva dietro. Ammetto che mi spuntò un piccolo sorrisino sapendo che stava correndo da me. Non sapevo perché ne ero felice, anzi mi sorpresi ad accorgermi di esserne contenta. Probabilmente era la soddisfazione di vedere che aveva preferito me a Giorgio, che almeno lui non mi ignorava. Sì, era di sicuro per quello, mi dissi.
Mi sentii afferrare per un braccio, proprio come il primo giorno di scuola, quando stavo scappando via da lui. Mi sembrava così lontano quel giorno, non poteva essere passata solo una settimana e mezzo.
―Sei ancora una frana a correre.―mi disse bloccandomi. Nemmeno mi ero resa conto di stare correndo. Le lacrime rigavano ancora le mie guancie. Tentai frettolosamente di asciugarmele, non volevo far vedere a Rick che stavo piangendo, anche se ero quasi certa che lo sapesse già.
―Grazie tante.― mugugnai con la voce rotta dal pianto, in risposta al commento sarcastico del castano.
Lo sentii trattenermi, quando io invece volevo solo che mi lasciasse stare. Una parte di me pensava che sarebbe stato molto più semplice lasciarsi abbracciare, ma non potevo. Non ero una di quelle ragazzine piagnone che facevano una tragedia per ogni piccola cosa.
―Smettila, lo so che stai piangendo.
Le sue dichiarazioni aperte e un schiette erano davvero irritanti in situazioni come quella. Gli diedi un pugno sul braccio. Per sfogo, per rabbia, non faceva mai male picchiarlo.
―So anche che ti da fastidio che lo so. ― affermò quasi soddisfatto.
Voleva l'applauso?
―Ti senti potente?
―Abbastanza.― rispose sincero. Sbuffai e scossi la testa rassegnata, gli occhi al cielo. ―Mi sento soddisfatto quando capisco che cos'hai.
Lo guardai confusa. ―Direi che non ci vuole una scienza in questo momento per capire che cos'ho.
Sorrise appena. ―No, infatti. ―lo spronai a continuare con lo sguardo. Era davvero strano a volte. ―Però è soddisfacente vedere che ti capisco.
―Chi ti dice che mi capisci?
Sbuffò, gonfiando il suo ego esagerato. ―E' evidente.
Lasciai perdere. Discutere anche con lui era l'ultima cosa di cui avevo bisogno. Continuammo a camminare, finché ad un certo punto Rick si fermò di scatto, facendomi venire un colpo.
―Che c'è?― sbottai con la mano sul cuore.
Sghignazzò vedendomi impaurita. ―Oggi non ti ho ancora detto nessun buon motivo per amare, anzi, devo recuperare un po'...
Scossi la testa ridacchiando. ―Chissà che mi aspetta oggi..
―Rimarrai contenta.
―Speriamo.
Rick riprese a camminare piano, ed io feci lo stesso guardandolo in attesa di uno dei suoi fantastici motivi. ―Sai, spesso capita che si litighi con gli amici,― disse con calma, riflettendo con la testa persa nel cielo blu, macchiato del bianco di qualche nuvola. ― prima o poi succede, è matematico.
―Hum.. non mi piace la matematica.― brontolai facendolo ridacchiare.
Mi sorrise e continuò il suo discorso. Sembrava così felice che mi contagiò, facendomi abbozzare un sorriso. ―Be', l'importante è che quando si litiga con un amico, si abbia qualcuno a cui aggrapparsi.
―E questo che c'entra con l'amore, scusa?
Sbuffò per l'ennesima volta ―E lasciami finire, mora!― alzai le mani in segno di resa ridacchiando e lo lasciai continuare. ―Dicevo, tutto ciò c'entra, perché sfogarsi con una persona, è il primo passo per fidarsi, e ti lega a questa persona, che tu lo voglia o no. Te la fa apprezzare, in qualche modo.
Lo guardai in silenzio per un po'. Non era così brutto come motivo. ―E tu saresti qui per farmi sfogare?
―Esatto.
―Non lo faccio. Mi vergogno.
―E di che?
Sospirai. ―I miei motivi per cui piango sono stupidi.― dissi guardando il marciapiede sotto di me, studiandone attentamente la forma ed il colore.
―Nulla è stupido se ti fa soffrire. ― disse sicuro Rick, facendomi sentire un po' meglio. ―E poi non ti preoccupare, non devi dirmi nulla. So tutto, e credo che Giò non intendeva affatto trascurarti. Adesso ha capito che ti ha ferita e si risolverà tutto.― la faceva così facile lui, che mi rilassai un pochino. Mormorai un tenue "grazie", così flebile che dubitai che mi avesse sentita, ma mi sbagliavo. Mi sorrise e ci avviammo verso casa.
 








*I'M WATCHING YOU*
Allooraaa, salve ciente c:

Come va la vita? dcubhxnjk ho 14 e me ne vanto(?) lol
no, okay non ve ne frega un cazzo lo so AHAHAHAHAHAHAHAHA 
che dire? stasera ci sono gli EMA non so se li guarderete.. io sì. lol
come sempre mi farebbe piacere se recensiste.. *fa gli occhioni dolci*
GRAZIE a tutte quelle che recensiscono e che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. siete troppo gcdhubsxvcudwkhx
vi amo tutte. uu :3
ok, basta, mi dileguo(?)
adiosss
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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
 

Il weekend non successe nulla di particolare.
Io e Marilù passammo il sabato sera insieme, a guardare un film strappalacrime, ed avevamo studiato insieme. Mentre la domenica mattina eravamo andate al parco con Danny. Non avevamo avuto nessuna notizia di Giò e Rick.
Quel martedì pioveva, sembrava averlo fatto apposta per me.
Non avevo parlato molto con Rick, in classe come al solito non prestavo attenzione e durante l'intervallo non ero nemmeno salita al terzo piano da Marilù e Danny. Non mi andava di parlare con loro, mi avrebbero di sicuro fatto domande sul mio comportamento e su Giò. Ed era l'ultima cosa di cui avevo bisogno.
Rick e Giò sparirono per l'intervallo, come ogni giorno, ed io me ne restai in classe, a fingere di studiare per tenere occupata la mente.
La ciliegina sulla torta ce la mise la professoressa di chimica che mi interrogò sulla ripetizione degli argomenti dell'anno precedente. Inutile dire che non sapevo un cazzo, e mi sono beccata un bel 2.
Quando venivo interrogata la paura mi faceva avere freddo e considerando che anche il tempo non era dei migliori potevo dire di star congelando.
Ficcai il naso nella sciarpa rossa che indossavo e strinsi i pugni conficcandovi le unghie dentro.
Era un modo per sfogarmi. Quella giornata non era certo andata bene, e prometteva di continuare a peggiorare. Sentivo odore di punizione nell'aria.
I miei genitori non erano fissati con i bei voti, ma non gradivano nemmeno che portassi a casa un bel 2. Fortunatamente era solo l'inizio dell'anno e avevo ancora tempo per recuperare.
Il suono acuto e squillante della campanella alle mie orecchie arrivò come canto di angeli. Aspettavo da troppe ore quel momento.
Ficcai disordinatamente libri e quaderni nello zaino e mi fiondai fuori. Non volevo vedere Giò, non ero ancora pronta per affrontarlo.
Sfortunatamente la mia corsa già penosa era svantaggiata dalla presenza della pioggia. Infatti, quando vidi Rick rincorrermi mi venne automatico scappare via. Ormai non lo facevo nemmeno più perché non lo volevo intorno, era per divertirsi. Anche se tutte le volte finivamo con il parlare di come fossi negata nello sport.
Quel giorno non fu da meno, tranne per un piccolo particolare. Come ho detto, pioveva, e immaginatevi me, alias la goffaggine personificata, che correvo sotto la pioggia con un ombrello tra le mani ad intralciarmi e l'acqua sul marciapiede a farmi lo sgambetto.
Inutile dire che nel mezzo della mia corsa scivolai e se non fosse stato per Rick, molto più abile e veloce di me, sarei finita per terra.
Una mano si strinse intorno alla mia vita, mentre l'altra mi afferrava per il braccio.
Oltre al sollievo che provai non finendo per terra, c'era dell'altro. Non sapevo bene come definire quella sensazione, era simile alle farfalle nello stomaco che provavo quando incontravo Marco, ma era diverso. Era come se avessi avuto un piccolo tuffo al cuore quando le sue mani mi avevano afferrata. Diedi la colpa al fatto che stavo per cadere.
―Grazie.― dissi sottraendomi alla sua presa, e provando a darmi un contegno.
Scosse la testa divertito dallo spettacolo che ero. ―Sei davvero goffa.
Decisi di buttarla sul ridere, era inutile prendersela. ―Complimenti, hai scoperto l'acqua calda!
Non era una novità sentirmi dire che ero goffa, impedita e chi ne ha più ne metta, quindi perché prendersela?
Rise ancora.
Cominciammo a camminare, senza il bisogno di dire nulla. Dopo un po' iniziai ad avere seriamente bisogno di tornare a casa. Mi ero vestita decisamente troppo leggera quel giorno, ma non era mica colpa mia se qui il clima cambiava da un giorno all'altro.
Rabbrividii.
―Hai freddo?― mi chiese Rick, non mi diede il tempo di rispondere che continuò: ―Tieni.
Mi stava porgendo la sua giacca, quella scura e calda che indossava dall'inizio della scuola.
―Ma tu non avrai freddo poi?― chiesi con una smorfia. Mi stava tentando parecchio. L'idea di indossare la giacca e riscaldarmi era molto allettante, ma non volevo essere la causa di un suo malore.
Scosse la testa rassicurandomi ―Nah, starò bene.
Ci pensai su, poi mormorai un "grazie" e mi immersi nel calore del cappotto nero di Rick. Essendo lui più alto di me di vari centimetri, e decisamente più massiccio, la giacca mi stava più larga delle magliette di mio padre.
Sorrisi per la beatitudine e continuammo a camminare.
Dopo un po' però, mentre parlavamo, mi accorsi che stava tremando leggermente.
Gli posai una mano sul braccio infreddolito. ―Ma tu stai congelando. Tieni la giacca.
Feci per levarmela, ma mi bloccò.
―Tienitela, sempre uno di noi due resterà al freddo.― disse impedendomi di controbattere e protestare. ―E poi un abbraccio mi farebbe stare molto più al calduccio...
Scossi la testa sorridendo divertita, ma anche un po' intenerita. Era quasi dolce quando faceva così.
Ci riflettei per un istante, ma vedendolo infreddolito come dovevo esserlo io prima di avere la sua giacca, lo avvolsi in un abbraccio da orso.
Infilò un braccio sotto la giacca per stare più vicino a me e quindi al caldo. Nonostante i vari strati di vestiti che avevo addosso percepii un brivido percorrermi la schiena. Ma non era spiacevole, anzi.
Mi strinsi forte al suo corpo e presi la sua mano tra la mia cercando di riscaldarla. Fortunatamente eravamo quasi arrivati, così avrei potuto dargli la giacca.
―Ti va di pranzare da me?― mi chiese all'improvviso lasciandomi di stucco per un attimo.
Non mi sarebbe affatto dispiaciuto se solo... ―Vorrei ma non credo che mia madre mi lasci grazie al mio bel voto in chimica.
Rick annuì un po' sconsolato. Poi però gli venne un'idea. ―E se glielo dicessi io? Del brutto voto intendo... così magari si arrabbia di meno.
Dubitavo della riuscita del suo piano, ma acconsentii. ―D'accordo proviamoci.
 
Quando bussammo ci aprì il mio dolce fratellino, che mi salutò con gioia: ―Ciao Drea, mamma lo sa che hai portato un ragazzo a casa? E papà? Adesso glielo dico così non te lo fanno scopare!
Mi buttai una mano sulla fronte, mentre Matteo scompariva in casa e chiamava mamma a squarciagola.
Il povero Rick era sotto shock. Dopo pochi secondi scoppiò a ridere, seguito con riluttanza da me.
―Tutto ciò alla tenera età di nove anni― dissi sconfortata.
Rick non ebbe il tempo di ribattere perché arrivò mia madre, che ci accolse sorridente come sempre.
Era una bellissima donna. Aveva dei capelli biondi che le arrivavano fino alle spalle, due occhi verdi uguali ai miei, pelle più scura della mia ed un fisico invidiabile.
―Ciao tesoro, chi è il tuo amico?
Rick si presentò da solo. ―Salve signora, sono Riccardo Chietti.
Mia madre gli sorrise come sempre. ―Molto piacere, dammi del tu caro e chiamami Cristina.
Si scambiarono un'altra serie di sorrisi, poi mia madre si fece da parte per farci entrare, ed arrivò il momento della brutta notizia.
―Ehm... mamma...― iniziai titubante, preparandomi all'esplosione della sua rabbia. La prima impressione che faceva mia madre era quella di una donna calma e gentile, mentre dopo anni che la conoscevi sapevi che era tutta mera illusione.
―Ehm, Cristina, io sarei qui perché...― intervenne Rick in mio aiuto ―perché Drea non è andata molto bene in chimica, e volevo aiutarla con la materia.
Il sorriso le morì sul volto, e venne soppiantato da un'espressione furiosa. ―Adrea D'Angelis come ti sei permessa di non studiare?!
Le urla acute di mia madre fecero quasi prendere un colpo a Rick, il quale non si aspettava certo una tale furia.
―Mamma, ti posso spiegare, e poi come vedi ho già chi mi aiuterà, recupererò la prossima volta promesso.― iniziai così, per poi continuare con l'adularla e farle tanti complimenti, sapevo che avrebbero funzionato. Mi offrii persino di preparare la cena.
―Stasera cucini tu― decretò infine, più calma. ―E ritieniti fortunata ad avere compagni di classe come Riccardo.
Annuii.
―Allora, Cristina,― azzardò Rick cauto ―Drea può venire a pranzo da me oggi, per studiare?
―Non se ne parla!― disse mia madre, mi preparai al peggio, ma dovetti ricredermi, mia madre forse non era così pazza. ―Per tutto quello che fai per Drea il minimo che possiamo fare è ospitarti a pranzo, e poi ormai siete già qui.
Rick sorrise contento e pimpante. Io un po' meno. ―Grazie mille.
―Figurati caro,― disse mia madre, l'aveva già preso in simpatia. ―ah, oggi pranza anche papà con noi, chiaro Drea?
Annuii e condussi Rick su per le scale, in camera mia.
Quando fummo dentro chiusi la porta e posai lo zaino per terra.
―Adesso ho capito da dove hai preso quella tua vocina acuta che cacci quando ti arrabbi...― disse Rick cominciando a sghignazzare.
Quella volta invece che lasciarmi condizionare gli tirai un leggero pugno sul braccio. ―Zitto, idiota.
Non iniziammo a studiare prima di pranzo, piuttosto parlammo del più e del meno.
―E' dispiaciuto, sai?― disse ad un tratto Rick.
Contrassi la mascella. ―Chi?
Sbuffò ―Giò... non voleva ignorarti.
―Ma l'ha fatto.― dissi secca, chiudendo il discordo.
Fummo interrotti da mia madre, che ci urlò che era pronto da mangiare. Feci per aprire la porta, ma Rick mi precedette e mi strinse in un abbraccio, il primo che mi ci davamo da quando ci conoscevamo, e che avremmo dovuto darci quel venerdì dopo la mia lite con Giò.
 
―Allora Rick, come mai ti sei trasferito qui?― chiese mia madre tentando disperatamente di intavolare un discorso.
Mio padre da quando aveva messo piede in casa non staccava gli occhi da Rick, guardandolo come solo un padre geloso sa fare.
―Prima vivevo in un paesino qui vicino, ma poi ci siamo dovuti trasferire a causa del lavoro di mia madre.―rispose a disagio. Alla successiva domanda di mia madre, rispose che la madre lavorava per CNR, e che si erano dovuti spostare in un posto più vicino alla sede, che si trovava poco fuori Firenze, ovvero qui vicino.
―Tanto è troppo bello per te, Drea― continuava a ripetere il mio fratellino, facendo arrossire sempre di più Rick.
Ed ecco spiegato perché avrei preferito di gran lunga mangiare a casa di Rick.
―Ti piace il calcio, figliolo?― gli rivolse la parola mio padre per la prima volta da quando era entrato. Un miracolo.
Rick fu felice di annuire. ―Sì, signore.
―Che squadra tifi?― quella domanda era fondamentale. Gliela pose come una questione di vita o di morte.
Rick deglutì, non sapendo se essere sincero o tirare a caso. ―Fiorentina, signore.
Tutta la casa tacque per un attimo, poi mio padre sorrise. ―Bravo ragazzo, così si fa.
Rick tirò un sospiro di sollievo. Sorrise sentendosi più leggero, non aveva più il peso degli occhi di mio padre addosso.
― Ma che bella notizia!― esclamò mia madre ―Riccardo, allora perché tu e la tua famiglia non venite a vedere la partita di Sabato sera qui con noi?― continuò entusiasta la mamma. Forse aveva avuto un vuoto di memoria e aveva scordato com'era mio padre durante le partite di calcio. ―Drea, potresti invitare anche Giò, Danny e Marilù.
Annuii sorridendo falsamente. Mio padre era ancora sotto shock, ma un calcio da sotto il tavolo di mia madre lo fece riprendere.
―Ehm, sì, certo è un'ottima idea.
Tutti tacemmo per un paio di minuti. Il silenzio fu rotto presto purtroppo.
―Tanto non riesci comunque a portartelo a letto Drea!― borbottò il mio dolce fratellino.
―Matteo!― gridammo in coro io e mia madre.
Mi scambiai un'occhiata con Rick, seduto accanto a me. Lui sembrava divertirsi parecchio, io, invece, non vedevo l'ora di andare a studiare chimica in camera.
―Non preoccuparti, sono simpatici.― mi sussurrò all'orecchio mentre i miei erano impegnati a sgridare Matteo per le pessime figure che ci faceva fare.
Sorrisi, contando i secondi mancanti alla fine del pranzo.
 
 
Il pomeriggio lo passammo chiusi in camera mia, un po' buttati sul letto, un po' a terra, studiando chimica e facendo i compiti per il giorno dopo. Stranamente studiare con lui fu molto più piacevole di quanto pensassi, e riuscii anche a capire il capitolo di chimica sul quale mi aveva interrogata la professoressa.
―Non mi avevi detto di essere bravo in chimica.― dissi con un sorriso quando riuscii ad imparare tutte le regole.
―Cosa non so fare?
Ridacchiai ―Tante cose, davvero tante.
Sbuffò. ―Per adesso non ti ho mai deluso.
«Già, per adesso non mi hai ancora delusa. Perché no? Non possiamo fare in fretta così non ci rimango troppo male?» pensai. Ma tanto ormai non cambiava nulla. Mi ero già affezionata a Rick, mi ferirebbe in ogni caso.
Notando il mio silenzio continuò. ―E proverò a non farlo mai.
Mi nacque spontaneo il sorriso sulle labbra.
―Ah! Adesso che mi ci fai pensare ti devo ancora dare un motivo per amare...
―Oh, no ci risiamo― dissi ridendo.
Mi mise a tacere e continuò. ―Le persone deludono, che lo vogliano o no, ma se riescono a farsi perdonare, bisogna andare avanti.
―Mi stai dicendo che devo dimenticare se qualcuno mi ferisce?
―No,― scosse la testa ―ti sto dicendo, che devi perdonarlo, ma non dimenticare né la ferita né il modo in cui si è fatto perdonare.
Annuii. ―E queste perle di saggezza da dove ti escono fuori?
Scosse la testa sorridendo, contagiando anche me. ―Che vuoi che ti dica... le copio dai romanzi d'amore di mia sorella!
Scoppiammo a ridere, ovviamente.
Anche se una parte di me non era convinta che stesse scherzando...




*FA RICHIAMI PER UCCELLI PER FARSI SENTIRE*

Buonsalve ragazze (e ragazzi?) lol
prima di tutto mi scuso per il ritardo, anche se seguo storie in cui le autrici pubblicano una volta al mese, quindi non so se il mio possa definirsi ritardo. Inoltre per scusarmi dovrei dare per scontato che voi seguite la mia storia e che vi dispiaccia non ricevere aggiornamenti(?).
Non dando per scontato tutto ciò, cancelliamo la parte dove mi scuso per il ritardo.
Oggi sono stata a casa con il mal di pancia, quindi ho scritto tanto lol
è anche brutto tempo qui quindi sono stata a letto con la borsa d'acqua calda sulla pancia e i felponi larghi di mio padre. yecdbhwvdbhs bello, vero? vhbjn
passando al capitolo, so che fa un po' pena, come gli altro d'altronde spero vi piaccia lo stesso.. c:
GRAZIE ancora a tutte quelle che seguono la storia e che mi rendono felice con una recensione.. 
non vi uccido se me ne lasicate una anche qui, eh.. lol
ok, basta, adioosss amigosss c:
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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
 
 
―D'accordo, ragazzi, può bastare― disse ad un tratto la professoressa di inglese interrompendo l'interrogazione di due ragazzi. Tornarono a posto felici che la tortura fosse finita. La verità era che la nostra prof, durante le interrogazioni, sfiorava l'impossibile. Una semplice domanda si trasformava nell'occasione di studiare la tua vita, i tuoi interessi e di metterti in ridicolo davanti a tutti.
―Avete preso entrambi sei meno, studiate un po' di più, che l'inglese è importante―non perdeva occasione di ripetercelo ―abbiamo ancora dieci minuti, interroghiamo altri due, va'...
Calò il silenzio. Chi pregava, chi si nascondeva, chi sfogliava il libro a velocità record sperando di imparare qualcosa in pochi secondi. Fortunatamente non avevo di questi problemi, ero brava in quella materia. Ciò non significa che volessi essere interrogata, ma di solito, sapendo che ero brava, la prof mi interrogava alla fine del quadrimestre, quindi ero fuori pericolo... o, almeno così credevo.
―D'Angelis!― tutte le ragazze tirarono un sospiro di sollievo, sì, perché interrogava sempre a coppie, un maschio ed una femmina.
―Ma.. ma..
―Niente ma, venga qui, forza― mi incoraggiò la prof, mentre con gli occhi ridotti a due fessure studiava il resto della classe, in cerca della sua seconda vittima. Vidi Rick ridacchiare guardandomi e mimare con la bocca un: 'sfigata'.
Si divertiva, eh?
Speravo tanto che interrogasse lui.
―Chietti! Tu che sei nuovo, coraggio, voglio vedere come te la cavi― quell'affermazione lo lasciò basito per un attimo. Non scherzava più adesso? Ghignai vittoriosa.
Non potevo credere che per una volta avevo avuto una botta di culo.
E infatti, tutto si rivelò tranne che una botta di culo.
Quella malata di mente, sessualmente frustrata della prof ci fece improvvisare un dialogo in una situazione poco.. coerente all'ambito scolastico, mettiamola così.
Rick doveva provare a 'rimorchiarmi', come aveva detto la prof.
―Ehm.. Hi, I'm Rick, what's your name?― risposi più imbarazzata di lui, e continuammo così finché la prof non disse a Rick di chiedermi se poteva baciarmi. Avreste dovuto vedere la sua faccia, volevo fargli un video. Era rosso come non mai, gli occhi spalancati. Non mancarono di certo le risatine di sottofondo dei nostri adorabili compagni, che tra l'altro, non erano nemmeno tanto 'ine'. Lasciai vagare lo sguardo e scorsi un Giò intento a cercare di non ridere. Era talmente rosso in faccia che sembrava stesse per esplodere.
Ma nessuno poteva battere la sottoscritta.
―What?!― domandai con voce stridula.
Rick si schiarì la voce. ―Can.. can I kiss y-you?― oh, merda. E adesso che avrei dovuto rispondere? Non potevo dire di sì, la prof sarebbe stata capace di farci pure baciare. Se dicevo 'no' rischiavo di offenderlo forse... oh, al diavolo!
―No.
Ecco, secco, chiaro ed indolore. Perfetto.
―Why?― chiese allora lui, leggermente più sfrontato, giusto per avere il gusto di mettermi in imbarazzo. Continuò chiedendomi cose del tipo: 'non ti piaccio?', 'avanti, lo so che lo vuoi' e 'molte persone vorrebbero essere al tuo posto'. Io mi limitavo a rispondere a monosillabi, più specificatamente con un monosillabo: no.
Nel frattempo le gradazioni di rosso del mio viso si facevano sempre più intense.
Alla fine la prof ebbe pietà di me e ci rimandò a posto, dando a me un sette e mezzo e a Rick un otto, 'per la padronanza di linguaggio'. Ceh, fatemi capire, io venivo messa in ridicolo dalla mia stessa professoressa, e lui, complice dell'arpia, prendeva un voto più alto per avermi fatta imbarazzare in un'altra lingua? Ma era una presa per il culo?!
 
Ovviamente Rick non perse occasione per rinfacciarmelo.
Avevo la brutta sensazione che ci avrebbe scherzato su a vita.
―Oh, andiamo, lo so che lo vuoi un bacino...― erano dieci minuti che mi rompeva le palle con le stesse battutine. Lui e Giò non si erano fatti problemi nel raccontarlo a Mary e Danny, che davano man forte a Rick con un coretto di: 'bacio, bacio, bacio!'
Quando restammo solo io e lui, mi concesse una piccola tregua.
―Oggi mi sento allegro.
―E ci credo! Hai preso pure un voto più alto del mio e hai dovuto solo imbarazzarmi per averlo!― sbottai incazzata, con la mia solita vocina acuta.
Sghignazzò come un quando Tom crede di essere riuscito a fregare Jerry. Misi il broncio, che equivaleva all'incrociare le braccia sotto il seno e al silenzio più totale.
―Che, fai l'offesa?― chiese stupidamente. Provò persino a farmi ridere e parlare, ma nulla. Tentò con il solletico. Lì cedetti subito, naturalmente, ma ritornai subito seria. ―Va bene, va bene― si arrese infine ―che ne dici se per farmi perdonare facciamo qualcosa oggi?
Lo degnai di uno sguardo di sottecchi, leggermente più interessata ―Che intendi?
―Non mi va di tornare a casa, mangiamo fuori, è una bella giornata.― disse sorridente. Mi contagiò, spingendomi a sorridere, nonostante l'incazzatura.
―E' un appuntamento?― chiesi divertita.
―L'hai detto tu!
―Accetto.
Appuntamento, sì, certo. Non poteva chiamarsi così un'uscita tra amici?
Nemmeno io avevo molta voglia di tornare a casa, così dopo aver avvisato le nostre famiglie, ci avviammo dal lato opposto della solita strada di casa.
Dopo meno di due minuti iniziai con le lamentele ―Riccardoo.. lo zaino è troppo pesante, dove vuoi andare?
Sbuffò ―Resisti dai, prendiamo una pizza e andiamo al parco.
All'idea di andare al parco mi si illuminarono gli occhi e tutto il peso dello zaino apparve secondario.
Dopo qualche minuto trovammo un bar che vendeva fette di pizza. Prendemmo due margherite ed una bottiglietta d'acqua. Pagò tutto lui, sorprendendomi.
―Be', non puoi mica innamorarti di uno che ti fa pagare tutto!
Di solito mi sarei quasi infastidita, ma presi la cosa alla leggera, dandogli corda ―In effetti... Che razza di gentiluomo saresti?
Annuì convinto ―A questo proposito, bella donzella, lasci che le porti il pesante fardello che appesantisce le sue esili spalle.
―Oh, be', se proprio insiste, tenga, mio prode cavaliere― gli porsi con tutta la poca grazia che possedevo lo zaino, e vidi la sua faccia sorpresa nel trovarlo davvero pesante ―cosa vi turba, mio eroe? E' forse troppo pesante per voi?
―Sta forse insinuando che io sia debole?
―Non mi permetterei mai...― dissi con una mano su cuore e la pizza nell'altra.
―Ma damigella―continuò lui, con tono più malizioso ―non mi starà forse... prendendo per i fondelli?
―Temo di non capire― mi finsi confusa. Davvero non capivo da dove ci fosse uscito di parlare così.
―Ah, non comprende?― chiese lui, mentre una scia di maliziosità gli illuminava gli occhi azzurrissimi ―Parlo dei fondelli, comunemente intesi come natiche, credo che lei le conosca bene, è quella parte del corpo che lei trova così attraente del mio essere...
―Ma come ti permetti?― esatto, come si permetteva? Che strano, non mi ero nemmeno accorta di aver aperto bocca. Poi mi resi conto che non ero stata io a parlare, ma una vecchietta che aveva ascoltato la conversazione e che, scandalizzata, stava picchiando Rick con la busta della spesa.
Mi piegai in due dalle risate.
―No, signora, non capisce, io stavo solo scherzando!― povero Rick, proprio non riusciva a spiegare alla signora che non era un ninfomane ―La prego, adesso basta, non stavo molestando questa ragazza!
―A voi giovani d'oggi manca il rispetto per le fanciulle!― lo sgridò per l'ennesima volta, prima di andarsene.
―Non. Dire. Una. Parola― fu la sua gentile uscita.
Ma io non avevo abbastanza aria per respirare, figuriamoci per parlare.
Avete presente quando ridete così tanto che non esce più nemmeno la voce? Ecco, io ero in quello stato. Sembravo una iena in preda ad una crisi epilettica spalmata sul marciapiede.
―Okay, okay, ridi pure!― mi disse Rick, e a malapena lo sentii ―Vorrà dire che la mangerò io la tua pizza!
Detto ciò mi sfilò facilmente la pizza dalle mani e corse via verso il pacco, con entrambi i nostri zaini in spalla.
Quando ebbi la forza di riprendermi iniziai a rincorrerlo, e riuscii persino a raggiungerlo, buttandolo a terra e riprendendomi la pizza che mi spettava.
―Adesso siamo pari― affermai mentre mangiavamo, più calmi ormai ―oggi abbiamo fatto una figuraccia a testa.
―Mi sembra un buon compromesso, Alice.
Lo guardai stranita. I colpi della nonnetta gli avevano causato problemi al cervello per caso? ―Alice? Io fino a prova contraria mi chiamo Andrea.
―Lo so sciocchina, ma ti ho chiamata Alice perché hai sempre la testa tra le nuvole, come Alice nel paese delle meraviglie― disse dandomi un buffetto sulla guancia. Questo ragazzo mi preoccupava, seriamente. Non poteva fare uscite del genere e pretendere che io lo prendessi sul serio.
―La nonnetta ha picchiato forte, mio principe sulla patata?
―Troppo Regina Rossa, troppo...
―Ma scusa, perché non la Bianca? La Rossa mi sta sulle palle, oh― mi lamentai.
―Be', sei donna, il rosso lo affronti ogni mese!
―Era squallida.
―Parla quella del principe sulla patata.
―Touché, Pancopinco.
―Brava, Pincopanco.
 
Tornammo a casa qualche ora dopo. Studiammo per la maggior parte al parco, così una volta tornati a casa non avremmo avuto troppo da fare.
Stavamo camminando con calma, con una cuffietta nell'orecchio di ciascuno, quando Rick, si bloccò, facendo perdere ad entrambi la cuffia.
―Ma che ti prende?― domandai senza capire.
―Come che mi prende?― replicò come se fosse ovvio.
Eh, certo, perché io leggo nel pensiero e so esattamente le sue intenzioni.
―Mi hai presa per Edward Cullen, per caso?― chiesi appunto.
Si lasciò sfuggire una risata, ma poi riprese ―Nah, figurati, al massimo potresti essere Alice Cullen!
―Ah, be', non ci sono problemi se mi scopo Jasper― sparai una delle mie solite perle di saggezza, che fecero sghignazzare sia me che il castano.
―Ti facevo più una tipa da Jacob...
―Che coincidenza, anch'io lo pensavo di te...
―Doveva essere una battuta?
―Una delle migliori― risposi gonfiando il petto, e facendolo ridacchiare.
―Non voglio immaginare le peggiori, allora― disse ridacchiando.
Scossi la testa ―Ecco bravo.
Ridacchiammo per altri cinque minuti, sparando le battute più rivoltanti.
―Altro che Fiorello, noi potremmo vincere un premio per il nostro senso dell'umorismo!― esclamò convinto.
―Sì, certo, ce lo darebbero solo a patto che stessimo zitti― dissi io, consapevole della pessima qualità delle nostre battute.
―Per zittire te, forse, qui le persone pendono dalle mie labbra― affermò scherzando Rick, gonfiando il suo ego.
―Abbello, abbassa la cresta― dissi mollandogli un pugno.
―Mmm.. sexy, mi immagino te che durante un orgasmo gridi 'abbello', invece del...
Lo interruppi bruscamente.
―Rick!― gridai con la mia solita vocina acuta ―Sei un porco!
―E tu chi dovresti essere? Una scrofa? O preferisci una vacca?― chiese ridendo come un deficiente.
―Ma scusa― si preparò subito ad una delle mie pillole di vita ―se fossi una vacca e tu un porco i nostri figli che sarebbero, dei varci?
―O porce.
―Varci è più figo.
―Vada per varci.
Credo sia inutile dire che scoppiammo a ridere e che continuammo per tutto il tragitto.
Una volta arrivati davanti al portone di casa mia mi ricordai di una cosa.
Eravamo stati così presi a fare battute che manco mi aveva detto il motivo per cui si era fermato di botto in mezzo alla strada. Che rincoglioniti...
―Rincoglionita sarai tu, che mi fai distrarre appresso a te e alle tue battute indegne di me― sbottò Rick, quando gli ricordai della nostra stupidità. Dopo avergli dato dell'idiota, che ci sta sempre bene, lo spronai a parlare, prima che ci distraessimo di nuovo.
―Ah, sì, sì― disse lui iniziando a fare ordine in mente. Mi chiesi per due minuti buoni cosa volesse dirmi mentre lui si riordinava le idee e cercava di articolare una frase decente ―Non trovi che manchi qualcosa?
A quella domanda mi sentii spaesata. Non mancava nulla. Non mi ero dimenticata nulla da nessuna parte, la testa ce l'avevo, la figura di merda del giorno l'avevo fatta, che mancava più? ―No, perché?
―Ah, Drea, Drea, devo spiegarti tutto io...― lo guardai corrucciando le sopracciglia ―Non ti ho ancora dato un valido insegnamento sull'amore, la tua materia preferita.
Sbuffai ―Illuminami tu, genio della lampada.
―Fammi la domandina...
Sospirai, ma gliela feci lo stesso ―Allora, genio, perché dovrei amare?
Soddisfatto della domanda sorrise e rispose gongolante ―Perché amare non vuol dire solo baciarsi e farsi regali a San Valentino, ma ci si innamora con calma, a furia di conoscersi, imparando ad amare ogni piccola cosa dell'altro.
Annuii. In fondo mi piacevano i suoi monologhi ―Telenovela o Giornalino?
Scosse la testa ―Ma mi ascolti quando parlo?
―Certo!
―E allora perché non mi dici mai: 'hai ragione, Rick, ti ringrazio'?
―Perché se no ti monteresti la testa!
―Sei una vacca.
―Tu un porco.
―Andiamo a fare tanti varci?
―Rick!




*SONO UN VARCIO*

 
Hola ciente! c: hudbas
come va la vita? 
scusate non ho molto tempo per scrivere quest'angolino, sto morendo di sonno.. lol
spero che vi sia piaciuto il capitolo, magari come regalino mi fate una recensioncina.. piccina piccina.. *occhioni dolci*
be', spero che abbiate gradito il pessimo umorismo. che dire? alle dieci di sera è il massimo che ho trovato. c':
pardon!
e ora i ringraziamenti: GRAZIE a tutte quelle che seguono la storia e recensiscono. vi amo e vi sposerei tutte. yudchskja <3
direi che ci vediamo la prossima domenica, è diventato un appuntamento regolare(?)
se volete parlare, di qualsiasi cosa, sono sempre disponibile, quindi magari ci sentiamo prima di domenica..
vabbè, io vado a nanna, adiosss
livia c:

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***






Capitolo 8
 



Ebbene sì, il famoso sabato che tanto avevo maledetto era arrivato.
Come mi aveva consigliato mia madre avevo invitato anche gli altri, e le rispettive famiglie.
Alle sei spaccate suonarono il campanello Giò e la sua famiglia. Con il castano io non avevo ancora chiarito, a dire la verità ci evitavamo a vicenda, da persone mature quali eravamo. Forse la partita era un buon pretesto per riappacificarci, in fondo tifavamo tutti per la stessa quadra.
Presi un bel respiro ed aprii la porta, trovandomi di fronte la madre di Giò e il resto della famiglia. La madre, Dorotea, era una donna molto bella, identica al figlio. Anche lei alta e castana, con un fisico invidiabile. A seguito aveva il marito, che teneva per mano la figlia minore, dell'età del mio fratellino. Adesso starete pensando 'oh, che teneri, migliori amici sia i fratelli maggiori che i minori...' e vi sbagliate. Quei due si odiavano. Era odio al primo.. lecca lecca.
Sembrerà strano, ma quando da piccoli le nostre mamme li facevano giocare insieme, capitò che una volta quel genietto di Matteo, mio fratello, le spiaccicò a terra il lecca lecca multicolore e da quel giorno si prendevano in giro ogni volta. Non si parlavano se non era strettamente necessario.
Potete quindi immaginare le facce dei due bambini.
Il padre di Giorgio, Davide, andava molto d'accordo con il mio, e da quando le loro mogli li avevano fatti incontrare andavano d'amore e d'accordo. Il primo passo l'avevano fatto guardando, o meglio insultando, insieme i giocatori della Fiorentina. Eh, sì, bei momenti, davvero unici. E memorabili aggiungerei, considerando che i vicini quasi ci denunciarono.
Fu la voce di Dorotea a riportarmi al presente ―Drea! Oh, tesoro come ti sei fatta bella!
Sorrisi di rimando, amavo quella donna ―Ciao Dorotea, che bello rivederti!
―Eccola la nostra piccola peste!― mi salutò Davide, scompigliandomi i capelli, non si era ancora accorto che non avevo più sei anni, ma sedici.
Sorrisi e abbracciai la piccolina, Ginevra, una bella bambina con due occhioni color miele e i capelli biondo scuro, tendenti al castano, tale e quale al padre ―Ehi, Ginny! Come stai, piccola?
―Ciao, Drea!― mi salutò buttandomi le braccia al collo.
Arrivarono poi i miei genitori e Matteo, assumendo il ruolo di padroni di casa, almeno i primi due. Non potei nascondere una risatina notando le occhiate di fuoco che si lanciavano i due bambini. Notai con piacere che non ero l'unica a trarre divertimento dalla situazione.
Anche Giò li guardava ghignando sotto i baffi.
Come se si fosse accorto di essere osservato alzò lo sguardo su di me, che ovviamente lo abbassai. Tipico. Il classico scambio di sguardi tra un ragazzo e una ragazza imbarazzati.
Quando entrarono in casa, si formarono tre gruppi: quello dei genitori, che avevano occupato il salotto e parlavano del più e del meno; quello dei figli minori, che pur detestandosi avevano capito che se non avessero giocato insieme non avrebbero fatto nulla per tutta la serata; ed, infine, quello mio e di Giò, che ce ne stavamo in piedi come due coglioni a spostare il peso da una gamba all'altra.
Alla fine mi feci coraggio e parlai, ma nello stesso momento parlò anche lui ―Andiamo su?
―Possiamo parlare?
Ecco, ti pareva. L'imbarazzo era a livello dieci su dieci. Ma volevo a tutti i costi chiarire con Giò, non potevamo continuare in quel modo. Tralasciando l'imbarazzo, che ci teneva ostaggi entrambi, c'era il fatto che eravamo passati dall'essere migliori amici, al conoscenti.
Come, poi? Tutto per colpa di.. di.. un ragazzo!
Sapevo che questi erano capaci di mettersi in mezzo a due migliori amiche, ma anche in mezzo a due amici, uno maschio ed una femmina? Devo dire che i ragazzi hanno raggiunto livelli di fastidio impressionanti.
Arrivammo in camera, e chiusi la porta, per mantenere quel minimo di privacy che ci spettava.
―Allora...
―Allora...― ripeté lui, con la mia stessa intonazione.
Sospirai. Figurati se poteva essere un ragazzo a fare il primo passo ―Mi dici perché te la sei presa tanto per la scommessa?
Scrollò le spalle ―Non voglio che ti innamori per davvero, voglio dire― tentò di spiegarsi meglio, dato che non lo capivo ―e se accadesse veramente? Se ti innamorassi di Rick, ma lui non ricambiasse? Non voglio ripetere la stessa avventura di Mick Jagger.
Lasciate che vi spieghi: un paio d'anni fa, quand'eravamo in quinto ginnasio, mi piaceva un ragazzo, tale Michele, che tutti dicevano assomigliasse a Mick Jagger, da qui il soprannome. Lo vedevo spesso a scuola, e per levarmi dalla testa Marco, che già mi piaceva, me lo feci piacere. Per un periodo limitato di tempo lo "frequentai". Andava tutto bene finché non mi confessò che a lui piaceva un'altra e che non gli piacevo davvero, ma solo come amica. Non potei nemmeno odiarlo a morte, dato che fu molto gentile nel dirmelo, anzi, quasi fui io a compatire lui. Sta di fatto, che i miei amici se la presero più di me e non gradirono affatto il comportamento di Mick. Me l'ero presa anch'io, naturalmente, ma dopo appena una settimana mi resi conto che non mi ci ero affezionata troppo, e che anche io lo vedevo più come un amico. Avevo scambiato il sentimento di 'amore' con quello di 'amicizia'.
Annuii, e un sorriso intenerito mi si dipinse sul volto ―Capisco. Ti ringrazio, ma non devi preoccuparti...
Non mi lasciò nemmeno finire ―Come non devo preoccuparmi?!
―Intendevo― iniziai con più calma ―che apprezzo molto la tua preoccupazione, ma a volte esageri nell'esternarla, come l'altro giorno. Non mi avevi mia gridato in quel modo prima.
―Lo so, e mi dispiace― disse avvicinandosi ―ma ero un po' arrabbiato, anche per il fatto che tu non mi pensavi più. Ero un po' risentito, scusa.
Avevo sentito bene? ―Frena, frena, frena, che hai detto?― chiesi con la mia vocina acuta ―Io non pensavo più a te? Ma se sei tu che non mi caghi più di striscio!
Mi fissò sconvolto, e demmo luogo all'ennesima discussione, che si concluse con una specie di seduta psichiatrica. Alla fine riuscii a fargli capire il mio punto di vista.
―Io non volevo smettere di stare con te, eri tu che ti allontanavi quando vedevi me e Rick insieme, così pensavo che eri incazzata per qualcosa...― era stata davvero colpa mia? Davvero ero stata io ad allontanarlo? Ops... Forse, e dico forse, avevo un po' esagerato. Lo ammetto, ero un po' gelosa del mio migliore amico,  ma solo perché credevo mi avesse rimpiazzata.
―Io pensavo che tu preferissi stare con Rick piuttosto che con me!― risposi di getto.
―Oh, ma allora eri gelosa?― insinuò con tutta calma, come suo solito. Anche quando se ne usciva con certe cosa era tranquillo, al contrario di me.
―No!― sbottai infatti, rossa in viso. Dovetti ripensarci un pochino ―Be', forse appena appena.
―Pace?― mi chiese aprendo le braccia, invitandomi ad abbracciarlo.
Finsi di pensarci su per un po', poi sorrisi e lo spupazzai come ero solita fare. Giò era morbidoso.
―Povera, sciocchina, gelosa di me, tzè...
M'imbronciai di nuovo ―Ti ho detto che non ero gelosa di te.
Sorrise malizioso ―Allora di Rick?
Scossi la testa ridacchiando ―Ci hai preso gusto, eh, con questa cosa della scommessa?
Rafforzò la presa e mi trascinò giù sul letto, come facevamo da piccoli ―Che posso dire? Sareste una bella coppia...
Sbam. Pugno. Risate.
 
Dopo circa mezz'ora suonò il campanello, e fecero il loro ingresso le famiglie di Danny e Marilù.
I miei genitori e quelli di Marilù si conoscevano da molto, da poco, invece, avevano stretto amicizia con quelli di Danny, o meglio la madre di Danny. I suoi genitori erano separati. Non perché non fossimo amici, ma perché non avevo mai avuto modo di fare delle presentazioni decenti. Da quando li avevo fatti incontrare, l'estate passata, avevano legato molto. E ne ero felice.
Marilù era figlia unica, così ci ritrovammo ad accogliere una donna con due occhi azzurri identici alla figlia e una cascata di capelli ramati, accompagnata da un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e gli occhi grigio-azzurri.
Danny aveva un fratello maggiore che studiava all'estero e viveva con la madre, una donna minuta, con capelli ed occhi scuri, molto bella, come il figlio. In quanto a lineamenti però, Danny era molto diverso dalla donna. Questa infatti aveva un viso dolce, senza fattezze troppo evidenti, mentre il mio amico aveva una mascella molto più pronunciata.
Ultimi ad arrivare furono Rick e la sua famiglia, che conobbi per la prima volta.
―Oh, Drea, tesoro apri, dev'essere Rick― mi disse mia madre facendomi l'occhiolino quando suonò il campanello.
Imbarazzata e con sottofondo le risatine dei miei amici, andai ad aprire.
Mi ritrovai di fronte due donne identiche, che riuscii a distinguere solo dall'evidente differenza d'età, con a seguito Rick e colui che doveva essere il padre.
Le due donne le identificai come la madre e la sorella maggiore, entrambe molto simili a Riccardo. Gli occhi erano gli stessi, solo il padre li aveva scuri, sul marrone.
Le donne erano abbastanza alte. La sorella aveva un viso giovane e solare, incorniciato da una chioma di capelli castano chiaro, lo stesso valeva per la bellissima donna che doveva essere la madre, fatta eccezione per i segni della senilità che cominciavano ad intravedersi.
―Ciao!― mi salutò entusiasta la sorella di Rick, rivolgendomi un sorriso a trentadue denti ―Tu devi essere Andrea, che piacere. Sei ancora più bella di come ti aveva descritta Riccardo.
Non potei che sorridere imbarazzata, ma anche grata per tutti quei complimenti. «Non pensavo che Rick mi reputasse bella...» pensai, mentre uno stupido sorrisino mi si dipingeva sulle labbra.
―Oh, ti prego Alessia, non cominciare, se no, poi Rick ci rimprovera perché lo mettiamo in imbarazzo davanti agli amici..― s'intromise la madre, facendoci ridacchiare tutti, mentre il volto di Rick si colorava di un rosso sempre più intenso ―Comunque sono Paola, molto piacere tesoro.
―Piacere mio― dissi stringendo la mano sia alla donna, che ad Alessia. Fu poi il turno dell'uomo di casa ―Piacere.
Mi sorrise e si presentò con la sua voce profonda ―Ciao, cara, sono Marco.
Entrammo dentro e li presentai a tutti gli altri. Inutile dire che per tutta la serata i miei cosiddetti amici mi rinfacciarono le parole della sorella di Rick, Alessia
 
La cena passò in fretta, senza troppe figuracce. Arrivò quindi il momento della partita.
Gli uomini si sistemarono rigorosamente davanti alla televisione. Le donne sparecchiavano la tavola, e noi ragazze, ovvero io, Marilù, Alessia e Ginny, ci rintanammo in un angolino a parlare.
Era molto simpatica la sorella di Rick, e sia io che Mari ci aprimmo subito con lei. Sembrava molto estroversa, era quel tipo di persona che ti fa sciogliere al primo incontro. Aveva un sorriso che ti invitava a parlarle e a trattarla come una vecchia amica.
―Allora, ragazze, raccontatemi un po' come va il mio fratellino a scuola?― chiese d'un tratto.
Dovetti rispondere io, essendo l'unica sua compagna di classe ―E' bravo. Per adesso prende buoni voti in quasi tutte le materie, e mi sta anche aiutando in chimica..
A quel punto Mari e Alessia si scambiarono uno sguardo complice ed iniziarono a lanciarmi occhiate maliziose.
―Ah, sì?― chiese Alessia con tono lascivo ―E avete già iniziato con le ripetizioni?
―Oh, sì― rispose Mari ―però temo che una sola volta non basti, non sei d'accordo Drea?
Sbuffai ―Che tramate voi due? Non c'è nulla tra me e Rick.
―L'hai detto tu, non noi― mi attaccò subito Alessia. Era più sveglia di quel che pensavo, la ragazza. Non era esattamente un angioletto, a dispetto dei tratti.
―Non capisco― disse improvvisamente Ginny, non capendo i nostri discorsi "da grandi" ―mi spiegate cosa dite? Parlate del fidanzato di Drea?
Naturalmente le due suocere sorrisero maliziose e vittoriose, come se volessero farmi capire che se l'aveva capito anche una bambina di nove anni non potevo negare. Io mi limitai a correggere Ginny, tentando di mantenere la calma ―Piccolina, guarda che io non ho un fidanzato.
―Certo, che ce l'hai― affermò convinta ―è quel ragazzo lì, quello che guardavi sempre a tavola.
―Io non lo guardavo!― sbottai sulla difensiva con la mia vocina acuta.
Risero tutte e tre. Bastarde.
Cambiai argomento, troppo imbarazzata per continuare ―Ho fatto pace con Giorgio.
Mari mi guardò contenta per me, sapeva che ci stavo male. Alessia e Ginny non capivano.
―Non sapevo che avessi litigato con mio fratello― disse la piccolina.
Le spiegai brevemente che avevamo avuto solo un brutto periodo, ma che fortunatamente era tutto passato. Proprio in quel momento Giò, Danny e Rick si voltarono verso di noi, e li salutammo con un sorriso.
Mi scambiai un'occhiata con tutti e tre: con Danny ci lanciammo il tipo di sguardo che voleva intendere che andava tutto bene, sia in quel momento, che in generale. Con Giò era uno scambio di sguardi che prometteva l'inizio di una pace duratura. Entrambi eravamo stanchi di litigare. Infine, guardai Rick, che mi sorrise gioioso. Era euforico, forse perché stava vincendo la Fiorentina, forse perché era semplicemente allegro. Sta di fatto, che mi fece piacere quel sorriso, e lo ricambiai con enfasi.
Ovviamente mi beccai uno sguardo malizioso di sottecchi da parte della sorella del destinatario dei miei sorrisi. Scossi la testa, sapendo che era una battaglia persa.
Guardai piuttosto Mari, che sorrideva come un'ebete in direzione di Danny.
―Qualcuno qui ha una cotta...― dissi tirandole una gomitata leggera.
Arrossì di botto ―Non è vero.
Fu il mio turno di scambiarmi uno sguardo d'intesa con Alessia e Ginny, prima di iniziare la nostra lagna ―No, come no, convinta. Lo vedo quello sguardo da pesce lesso che sbava.
―Ha ragione Drea. Sei innamorata di Danny!― strillò Ginny, quasi troppo forte, tanto che Mari le tappò la bocca, spaventata all'idea che qualcuno la potesse sentire.
―Se non fosse vero non ti saresti preoccupata tanto di non far sentire a nessuno― le fece notare Alessia, con uno sguardo indagatore.
Quella ragazza mi piaceva sempre di più.
―Forse mi piace un pochino...
―Forse?!
―Ti piace?!
―Un pochino?!
Scoppiammo tutte in una fragorosa risata. Bisognava ammetterlo: Mari era completamente cotta.
Com'era tenera, però. Così dolce. Lo guardava come se fosse la cosa migliore del mondo, la ragione per cui svegliarsi la mattina.
Era il tipo di sguardo che sognavo di ricevere e lanciare nei miei sogni romantici ad occhi aperti. Era il tipo di sguardo in cui io avevo smesso di credere. Avevo smesso da un po', senza una ragione precisa, semplicemente perché non mi sembrava reale un amore del genere, come quello delle fiabe, nonostante lo sognassi.
―Be', almeno tu lo ammetti― disse infine Alessia, svegliandomi dalle mie riflessioni, e facendomi imbronciare.
 
A fine serata, coloro che erano arrivati per primi furono anche i primi ad andarsene, così come i secondi furono i secondi a levare le tende.
Restarono, infine, solo i Chietti, che se ne andarono dopo poco.
Prima di andare però, mentre tutti si salutavano, Rick mi venne vicino e mi tirò un po' in disparte.
―Ehi― dissi soltanto, sorridendogli. Mi piaceva sorridergli. Non sorridere in generale, ma a lui, perché ricambiava sempre, con uno dei suoi sorrisi che ti toglievano il fiato per la loro bellezza, proprio come la sorella.
―Ehi― rispose ―indovina che cos'ho per te?
All'inizio mi ritrovai un po' spaesata. Scossi la testa, in una muta domanda.
―Sveglia, Drea, ti devo una lezione d'amore io― disse sorridendo, scatenando in me la stessa reazione.
―Sentiamo.
―Hai visto come si guardavano Danny e Mari?― annuii sognante, ripensando a quello sguardo pieno di dolcezza e romanticismo ―So che probabilmente tu non credi a questo tipo di amore, così dolce e perfetto, quasi fantastico, di quelli di cui si legge nei libri― incatenai i nostri occhi, pendendo dalle sue labbra, come mi capitava sempre durante i suoi monologhi filosofici, che in fondo amavo ―be', sono sicuro che anche tu, nel profondo, sogni un amore così, tutti lo vorrebbero, ma nessuno ci crede. Ma il primo passo è crederci. Perché come puoi pretendere di averlo, se nemmeno tu ci credi?
Non seppi cosa dire. Rimanemmo per un lungo periodo in silenzio, l'uno con lo guardo perso negli occhi dell'altro. Dovevo ammetterlo, alla fine di quei tre mesi mi sarebbero mancati molto i suoi "consigli", i suoi buoni motivi per amare. Erano in qualche modo... stimolanti. Mi piaceva ascoltarlo. Era illuminante e rilassante al tempo stesso.
Non ebbi modo di dire qualcosa, perché Alessia ci interruppe.
―Perdonami Drea, te lo lascerei volentieri, ma dobbiamo andare― disse, e fu come se ci avesse passato una pennellata di vernice rossa in viso ―la prossima volta velocizzate il bacio magico, okay Romeo e Giulietta?
―Alessia!― la riprendemmo io e Rick, imbarazzati come non mai.
Alla fine se ne andarono, e quando credevo che lo strazio fosse finito, iniziò mia madre, con le sue battutine ed insinuazioni maliziose su me e Rick.
Basta, dovevo andarmene. La mattina seguente avrei fatto una plastica facciale, avrei preso i soldi a mio padre e sarei scappata in Perù a vendere collanine per strada come i marocchini, era deciso.













*GOAAAL*

no, okay, seriamente. ve l'avevo promesso, no?
be', in realtà no, però fa lo stesso. era una 'tradizione' che voglio mantenere.
la domenica si aggiorna, è un dato storico. uu
e così, nonostante debba ancora finire di studiare latino e greco, sono qui, tutta per voi, con un nuovo capitolo.
che ne pensate?
io non tifo nemmeno fiorentina, è che essendo loro in toscana era l'unica squadra del luogo che conoscevo. lol
sì, sono porprio un'appassionata.
GRAZIE a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate. gdycbh vi amo tutte, ragazze. gydbhskja
e, ultimo ma non per importanza, un GRAZIE  a tutte quelle che recensiscono. davvero vi amo. ghbsj adoro leggere le vostre recensioni, che siano belle brutte, o anche di una sola parola. lol
quindi grazie. c:
alla prossima domenica. gvdbhsnj se volete ho postato una nuova os, si chiama 'If you only knew' mi farebbe piacere se le deste un'occhiata. cgbhjsù
grazie ancora.
livia
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 



La settimana seguente iniziò decisamente male. Come prima cosa la domenica sera litigai con mio fratello Matteo e, ovviamente, finii io in punizione.
Quella peste mi aveva rovinato tutti i "compiti" di matematica. Non che fossi questo grande genio, ma per una volta che li avevo fatti, e pure bene, ci tenevo. Lui ci aveva scritto sopra con grande nonchalance con un pennarello indelebile nero, da bravo fratellino che si rispetti.
E, be', io non ne ero stata affatto felice, così l'avevo picchiato. Anche lui aveva tirato i suoi colpi, ma in quanto sorella maggiore, avevo vinto io l'incontro. La tanto amata vittoria però, mi aveva causato un castigo di cinque giorni e una cazziata di mia madre.
In secondo luogo quel lunedì mattina la sveglia non era suonata. E di solito le sveglie suonano. Quindi le possibilità erano due: o la mia sveglia era stata rapita dagli alieni che le avevano fatto un lavaggio del cervello spingendola a ribellarsi contro di me, oppure, un qualche mocciosetto dai capelli scuri e gli occhi verdi, alias Matteo, me l'aveva disattivata.
Grazie a questa sua bravata avevo fatto una corsa per riuscire ad essere pronta in tempo. Nella mia maratona, poi, ero scivolata in bagno, battendo la testa. Già ero rincoglionita così, figuriamoci dopo una botta in testa. In tutto ciò mi ero dimenticata di accendere il cellulare, non sentendo quindi, le cinque chiamate di Rick. Alla fine il ragazzo doveva essersi avviato verso scuola da solo, non volendo ritardare troppo.
Quindi ero anche andata a scuola sola come un cane, arrivano con mezz'ora di ritardo e dei capelli alla Bellatrix di Harry Potter, a causa del vento. La mia gentilissima professoressa di Latino non aveva gradito il ritardo, nonostante mi fossi scusata un centinaio di volte, e aveva segnato il ritardo sul registro.
Per concludere in bellezza, avevo preso un impreparato in matematica grazie alle doti pittoriche di mio fratello che, guarda caso, si manifestavano sempre nella mia camera, sulle mie cose, per fare un "regalo" a me. Visto com'ero importante per lui?
Il primo sollievo della giornata lo ebbi all'intervallo, quando salii al terzo piano con Rick e Giò, che non si fecero problemi a ricordarmi che quando una giornata inizia male, è destinata a finire come tale.
―Ma andatevene a 'fanculo― fu la mia dolce risposta.
I due sghignazzarono.
―Be', devi ammettere che di solito, secondo le statistiche, una giornata "no", è solita restare brutta per tutte e ventiquattro le ore― questo era ovviamente Giorgio, che ci informava su statistiche inesistenti, create a posta per innervosirmi.
―Giorgio, non sai che ti farei...
―Ehi, un attimo― s'intromise allora Rick, interrompendomi prima che potessi terminare la frase o tirargli un pungo ―tu a lui non fai proprio nulla, al massimo a me.
Mi schiaffai una mano in fronte. Ma dove li avevo trovati due idioti così? Perché li beccavo tutte io 'ste teste di cazzo? ―Ma non riesci a pensare ad altro?
―Suvvia, Drea, non lo aggredire― lo difese Giò con un sorrisetto sadico che lottava per venire a galla. Qualcosa mi diceva che stava per sparare una gran cazzata ―è solo geloso..
Appunto.
―Geloso un corno!― protestò il castano.
Certo, che non era geloso. Perché avrebbe dovuto? Non aveva motivi di essere geloso di me, perché una persona è gelosa di un'altra quando prova sentimenti per quest'ultima, e lui non provava nulla per me. Insomma, lui? Lui che sente qualcosa per me? Nah.
―Chi è geloso?― ecco, ci mancava solo Danny.
Fulminai Giò con un'occhiataccia che diceva: "se dici un'altra parola ti uccido".
Mi ascoltò, facendosi da parte deglutendo.
Arrivò anche Mary, e il gruppo fu riunito.
―Allora? Mi rispondete?― si lamentò Danny, che non aveva ancora avuto una risposta.
Lo accontentai io, sapendo del pericolo che avrei corso lasciando parlare gli altri due ―Nessuno, Danny, nessuno, lascia perdere.
―Per me parlavano di Rick― s'intromise allora Mary.
―Quale parte di: "lascia perdere" non hai capito?― le chiesi, mentre Rick si faceva rosso. Non era nemmeno tanto male quando si imporporava, anzi era così tenero... Scossi la testa per liberarmi da quei pensieri assurdi, e spostai lo sguardo verso il basso.
Ma poi, lui che cazzo aveva da arrossire? Non lo stavano mica accusando di avermi portata a letto!
Ahia. Passo falso. Grazie alla mia mente contorta che elaborava pensieri del genere mi ritrovai ad arrossire anch'io, pensando all'ultima frase uscita fuori dalla mia mente. Ero da ricovero, senza alcun dubbio.
Dandomi della cretina mentalmente e cercando di limitare il rossore delle guance, mi persi l'ultima risposta di Mary, o forse era Danny. Sta di fatto, che mi ritrovai tutti gli occhi puntati addosso.
―Ah! E' arrossita anche lei!― mi accusò Danny, puntandomi un dito contro ―Tramano qualcosa!
―Macchè!― esclamai tentando di tirar fuori la migliore voce controllata che mi riuscisse in quel momento.
Fui tradita dal continuo rossore che andava ad affluire alle mie guance. Non sapevo nemmeno perché stavo arrossendo. Forse era perché avevo quattro paia d'occhi puntati contro, forse perché tentavo orgogliosamente di restare fedele alle mie idee e non rivelare il segreto della scommessa.
Fui riscossa dalle mie riflessioni da una mano calda che si posava sul mio braccio. Un brivido mi percosse e trattenni istintivamente il respiro.
«E' solo Rick» tentai invano di convincermene, ma nulla, continuavo a sentire il corpo tremare.
Alzai lo sguardo su di lui, in attesa che mi parlasse ―Ti posso parlare un secondo?― quando tutti annuirono come se nulla fosse si sentì in dovere di aggiungere: ―in privato, ragazzi.
Ci rimasero quasi male.
Quanto a me, deglutii ed annuii meccanicamente ―Certo.
Ci allontanammo quel tanto che bastava per non farci sentire ed avere un minimo di privacy, per quanto si potesse chiamare "privato" un luogo stracolmo di gente dai quattordici anni in su, che ti urtava ogni due secondi cercando di trovare uno spiraglio per passare.
―Allora?― chiesi ansiosa di sapere perché voleva parlarmi faccia a faccia. Non che mi dispiacesse, noi parlavamo spesso, era il disagio che provavo a creare scompiglio nella mia mente. Non mi piaceva sentirmi a disagio con le persone, tantomeno con gli amici.
Cercai di non farci caso e fissai il mio sguardo nel suo.
―Be', so che non sarai d'accordo― iniziò lui, gesticolando con le mani e passando gli occhi ovunque pur di non incontrarli con i miei, una ruga si formò in mezzo alle sopracciglia ―ma credo che dovremmo parlarne anche agli altri.
Mi ritrovai confusa per un attimo. Ero stata così attenta ai suoi gesti che non avevo afferrato il punto ―Di cosa?
Sorrise divertito, e di rimando sorrisi anch'io ―Sveglia, Drea, la scommessa― mi schioccò le dita davanti agli occhi un paio di volte, come per svegliarmi ―dovremmo parlarne agli altri, non possiamo andare avanti così.
Sospirai, forse aveva ragione. No, leviamo quel forse, aveva decisamente ragione ―D'accordo, però glielo dici tu.
Sbuffò ―E ti pareva..
Incrociai le braccia sul petto ―Be', scusa, ma sei tu l'uomo.
―Ma sei tu ad aver avuto quest'idea di non dirlo a nessuno.
―Secondo te le ragazze ti penserebbero se lo dicessimo a qualcuno?!
Rimase un secondo interdetto. Sembrò riflettere per un attimo sulle mie parole, come se le ascoltasse per la prima volta. Si accentuò sempre di più la ruga sulla sua fronte, ed appoggiò un braccio al muro, a pochi centimetri dal mio viso, come se fosse stanco. Non potei ignorare il mancato battito dovuto alla vicinanza con la sua pelle. Non capivo nemmeno perché mi succedeva. Forse era normale, non potevo paragonare la situazione a quella con Giò e Danny, li conoscevo da troppo tempo.
Notai che Rick aprì appena la bocca, per poi richiuderla subito, come se avesse voluto dire qualcosa, ma poi ci avesse ripensato.
Lo guardai inarcando un sopracciglio, in attesa.
―E' impossibile non adorarmi.
Ma era uno scherzo? Non si era scervellato tutto quel tempo solo per giungere a quella conclusione, vero? Giusto?
Sbuffai ―Grazie della conclusione illuminante, maestro.
Sorrise ―E' stato un piacere.
Gli tirai un pungo.
―Ahi! Ma perché l'hai fatto?― chiese sconvolto, mettendosi una mano sulla parte del braccio colpita dal mio pugno.
Scrollai le spalle ―Non aiuti con le tue stupidaggini. Non dovevamo arrivare ad un accordo noi?
―Ah, sì, giusto, giusto― si riprese in fretta, ignorando il mio gancio destro. L'espressione dolorante si sostituì subito ad un'altra rilassata. Ed io che speravo di avergli fatto male... ―be', direi che non c'è molto da dire. Lo diremo solo a loro, così avrai la tua amata vita sentimentale.
Lo disse quasi scocciato. Possibile che se la fosse presa per il pugno? No, non era da lui. E allora che gli era preso tutto a un tratto?
Bha, chi li capiva i ragazzi era bravo.
Annuii d'accordo con lui ―Va bene, andiamo a dirglielo?
Mi sorrise, leggermente meno incazzato, e io ricambiai, tentando di non fare passi falsi.
―Sì, dai, andiamo.
Purtroppo appena arrivammo sentimmo la campanella suonare, così fummo costretti ad accordarci per vederci fuori scuola per "la rivelazione", come l'aveva chiamata Giò.
―E che cazzo, 'sta campanella sempre sul più bello deve suonare?― si lamentò Danny, mentre Mary lo trascinava in classe. Se non fosse stato per lei probabilmente nemmeno sarebbe in quella scuola.
―Resisti!― gli gridò Rick in risposta.
Ci dirigemmo quindi, con studiata calma, al nostro piano, pronti all'ennesima lezione noiosa.
 
Il suono della campanella di fine giornata, per quanto potessi maledirlo, mi rallegrò anche quella volta.
L'ultima parte della giornata, in fin dei conti, non era andata tanto male, almeno per quel momento.
Io, Rick e Giò ci avviammo verso l'uscita, parlando del  più e del meno. L'argomento principale fu una ragazza della classe di fronte alla nostra, ovvero Tea, con cui spesso io e Mary parlavamo.
Faceva il nostro stesso anno, era alta, magra, capelli biondo-miele e occhi verde pistacchio. Molto carina. Ed era anche simpatica. La ragazza perfetta. Non potei fare a meno di essere gelosa ed invidiosa di lei quando Giò e Rick iniziarono ad elogiarla. Non ci feci caso e provai a partecipare alla conversazione come se nulla fosse.
Quando vidi Mary e Danny appoggiati ai soliti muretti, poco fuori la scuola sorrisi raggiante e gli corsi incontro. In quel momento avevo bisogno di allontanarmi da Rick per qualche istante.
Mary mi accolse tra le sue braccia, mentre Danny mi scompigliò i capelli, com'era solito fare. Sapeva che lo detestavo, e per ripicca lo faceva.
Ci raggiunsero anche Rick e Giò ―Allora? Che aspettate a dirglielo?
A Danny brillarono gli occhi. Non sapeva proprio cosa voleva dire la parola pazienza ―Sì, dai, non ce la faccio più.
Al contrario, Mary era calmissima. Era tipico. Lei sapeva che io le avrei detto tutto, ma a tempo debito. Quando sarei stata pronta a parlare di me, lei sarebbe stata la prima a sapere qualcosa. Perciò non si arrabbiava mai se veniva a sapere che per un po' le avevo tenuto nascosto qualcosa. Lei era la mia migliore amica per una ragione: mi capiva. Capiva che per me non era affatto facile esprimermi o parlare di me stessa e di ciò che provavo, lo capiva e non me lo faceva pesare anzi, mi dava tutto il tempo di cui avevo bisogno.
Io e Rick ci scambiammo uno sguardo. Gli "ripetei" quello che gli avevo detto all'intervallo. Lui era l'uomo e lui avrebbe parlato.
Sbuffò ―E va bene, parlo io― dopo esserci beccati una serie di occhiate confuse dagli altri tre continuò ―circa... due settimane fa?― mi chiese conferma con lo sguardo ed annuii ―ecco, più o meno dopo la prima settimana di scuola, Drea venne a casa mia a recuperare l'iPod che aveva dimenticato nella mia mano...― raccontò ogni singolo dettaglio, nonostante le domande di Danny e Mary, che volevano sapere tutto, anche quanti secondi erano passati tra una conversazione ed un'altra.
Rispose a tutte le domande, anche con il mio aiuto, ed arrivammo finalmente alla parte cruciale della "rivelazione".
―...E lei ha accettato― concluse Rick, facendo spostare l'attenzione su di me. Tutti pendevano dalle sue labbra durante il racconto, ma adesso sembrava quasi che si aspettassero una mia aggiunta.
Dissi la prima cosa che mi venne in mente ―Anche per questo io e Giò avevamo litigato... io non volevo farlo sapere a nessuno.
―Perché no?―mi chiese Mary incuriosita dall'intera vicenda. Probabilmente aveva fatto anche più domande di Danny, cosa non da poco, ma era anche stata attenta ad ogni singola parola, all'intonazione, alla voce di Rick, alle nostre reazioni. A tutto. Sembrava una scienziata, era quasi inquietante. Lei studiava tutto.
―Perché se lo sapessero tutti sarebbe impossibile avere una relazione con qualcun'altro― sbottai per l'ennesima volta. Ero stanca di quella domanda. Più ripetevo la risposta, più mi sembrava falsa. Tentai di continuare in qualche modo, per renderla più vera, completa ―insomma, ci avrebbero subito indicati come coppia e... e...
―E nessuno dei due avrebbe più avuto la libertà di interessarsi a qualcun'altro― mi venne incontro Mary. Sapeva sempre cosa dire, e quando dirlo.
―Esatto― esalai con un sospiro di sollievo, felice di non dover dare altre spiegazioni.
―Quindi― disse risoluto Danny, come per ricapitolare ―adesso il nostro Romeo ha meno di tre mesi per far innamorare la strega dei ghiacci qui presente, mentre in tutto ciò inventa capsule di sapienza sull'amore?
―Già― confermò Romeo, cioè Rick.
―Ma ti sei bevuto il cervello?― chiese scioccato Danny, scatenando delle risatine tra tutti ―Davvero vuoi che lei si innamori di te? Sei così disperato?
―Oh, ma vaffanculo Danny― sbottai mollandogli un gancio destro sul braccio.
Ridemmo un'altro po', finché non decidemmo che era ora di tornare ognuno a casa propria.
Avrei dovuto fare la strada con Rick, ma in quel momento non mi andava proprio di stare con lui. Mi sentivo a disagio. Non facevo che ripensare a quando quella mattina mi aveva messo il braccio a pochi centimetri dal volto... manco fosse fatto di cioccolato.
Decisi che avrei fatto la strada più lunga, accompagnando Mary a casa, la quale dopo la sua ultima domanda era restata quasi sempre in silenzio, preoccupandomi un po'.
―Mi abbandoni?― disse teatralmente Rick, scatenando risatine e battutine.
Ignorai Danny ―Riuscirai ad arrivare sano e salvo a casa anche da solo.
Salutammo tutti e ci avviammo. Quando fummo abbastanza lontane, ed ognuna delle due ebbe avuto abbastanza tempo per riordinarsi le idee, mi decisi a chiedere: ―Mi dici che hai?
―Nah, nulla...― non ci credetti nemmeno per un istante, e la guardai con fare inquisitorio, spingendola a continuare ―è solo che...
―Che... cosa?
Sbuffo per la frustrazione ―Stavo pensando all'amore.
La guardai con espressione confusa ―E...?
―E ne vorrei uno come il tuo.
―Il mio?― chiesi stranita. Avevo vissuto una storia d'amore di cui non ricordavo nulla?
―Andiamo, lo vedo che tu e Rick vi piacete, dovete solo accorgervene anche voi.
―Sì, certo, Mary, e poi Danny si dichiarerà a Giò dicendo che è sempre stato il suo unico grande amore― dissi facendo scoppiare la mia amica in una risata fragorosa. Sapevamo tutti che Danny poteva essere tutto tranne che gay. Non era assolutamente il tipo, tantomeno da dichiarazioni romantiche.
―Lui non si dichiarerebbe mai...― disse quindi triste Mary.
Adesso capivo qual'era il problema. Era lui, e lei, loro ―Ah, potevi dirlo subito, ti avrei risposto velocemente e a quest'ora saremmo già a fine discussione, cioè la parte in cui ti arrendi e mi lasci perdere perché non mi credi.
―Eh?― chiese palesemente confusa. Anche io mi ero persa nel mio discorso.
―Lascia perdere. Gli piaci, fine del discorso.
 
Quel "fine del discorso" lo interpretò in un modo tutto suo, che prevedeva il continuo della discussione. Quando finalmente arrivammo sotto casa sua si dovette arrendere, o meglio non le detti tempo per replicare e corsi via, interpretando la mancata risposta come un'arresa. Era l'unico modo. Lei non avrebbe mai ammesso nulla.
Corsi quindi a casa, affamata come non mai. Avevo fatto ben mezz'ora di ritardo, e considerando che ero anche in punizione non mi conveniva farne dell'altro. Feci una corsa e arrivai dieci minuti dopo sotto casa mia, con il fiatone certo, ma ero arrivata.
Non feci in tempo a riprendermi che mi piombò davanti un ragazzo castano, con gli occhi azzurri più belli che avessi mai visto e un sorriso che la diceva lunga. Era Rom.. cioè Rick.
Sorrisi d'istinto ―Che ci fai tu qui?
―Oggi mi hai abbandonato e mi sono dimenticato della perla di saggezza giornaliera.
Scossi la testa ridendo. Possibile mai che aveva aspettato venti minuti sotto un portone per me, per dirmi quattro cazzate sull'amore? No, non era normale ―Hai aspettato qui solo per questo?
―Solo?― chiese offeso.
―Lascia perdere e rispondi. Non avevi fame? Potevi almeno aspettare dentro casa― dissi con tono intenerito. Se ne accorse.
―Preoccupata tesoruccio?
―Come non detto, resta pure qui a marcire. Vai con la filosofia.
Prese un bel respiro, fece silenzio per i suoi cinque secondi che gli servivano per raccogliere i pensieri e poi parlò ―L'amore è prima di tutto confusione. Quando non si riesce a capire cosa si prova per una persona si è confusi, e solo dopo tempo ci si accorge che quel sentimento è amore― prese fiato e continuò, senza smettere di guardarmi. Io pendevo dalle sue labbra, come sempre ―e quando lo si capisce, ci si da degli idioti per non averlo capito prima.
―E quindi?
―Quindi per quando può sembrare strano, confuso, complicato e spaventoso, amare è la cosa più semplice del mondo.
Lo guardai ammirata, come sempre. Perché cazzo io non ero come lui? Saggia, intelligente, sveglia, divertente al punto giusto...? Bah, probabilmente quando Dio distribuiva queste qualità io ero a seguire un corso di battute squallide nascosta chissà dove.
―Mi piacciono sempre di più questi tuoi momenti da filosofo.
―Ma non li odiavi?
―Nah, ma ancora mi chiedo come sia possibile che escano fuori da una mente maschile...
―Tu hai troppa poca fede in noi uomini.
―Non ve la meritate.
―Vedrò di meritarla.
Sorrisi ―Per adesso vieni a meritarti un pasto a casa mia.
―Sì, si può fare. Si procede a piccoli passi...― disse sorridendo. E sorridendo entrammo a casa.
Mamma quasi si scordò della punizione vedendo Rick. Dovevo portarlo più spesso a casa mia.
La giornata dal pranzo fino a sera passò veloce e anche piacevolmente.
Rick mi aiutò con i compiti di Chimica, ed io aiutai lui con quelli di Latino e Greco. Ero più brava io nelle lingue, mentre lui lo era nelle materie matematiche. Ci "compensavamo" in un certo senso, ed era anche utile, infatti nessuno dei due si lamentava.
Non ci applicammo troppo nell'anticiparci i compiti, anzi, preferimmo guardare la tv, parlare, e giocare ai video game. Mio fratello Matteo aveva sviluppato una sorta di passione per Rick, tanto che lo costrinse a giocare ai videogiochi con lui. Non che al castano dispiacesse così tanto, era pur sempre un ragazzo.
Quando infine se ne andò, mi lasciò un sorriso stampato sulla faccia. E fui felice di chiamare Giò e sbattergli in faccia che quella giornata, a dispetto delle sue statistiche, era iniziata male, ma era finita bene.







*VI MANCAVO VERO?*


buonsalve gente. gvchbxn
che dire? come prima cosa mi scuso per non aver rispettato la data di scadenza(?). lol intendo la domenica.. c:
poi, vi vorrei parlare del capitolo una volta tanto.. lol 
allora, che ne pensate di questi due? e Mary e Danny? e che mi dite del nostro piccolo Giò?
l'avrà mai una ragazza anche lui?
ditemi che ne pensate, se avete suggerimenti.. quello che volete.
sappiate che non voglio anticiparvi nulla, ma ricordatevi di questa Tea. adesso sembrerà scontata, ma ho in programma di farle
assumere un ruolo un po' più centrale.. mlmlmlml 
okay, adesso vado che ho sonno. :c 
GRAZIE  a tutte le sante ragazze che seguono la storia e recensiscono. siete tutte sesci(?) lol
davvero, vi amo. vbhuxkjs
recensite e ditemi quello che volete. 
notte a tutte, 
Livia c:

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 
Capitolo 10
 
 




Passarono altri cinque giorni. Giornate piuttosto monotone, in cui non successe nulla di particolare importanza, tranne forse una cosa. Continuavo ad andare a scuola, la mia punizione era finita, anche grazie anche alla presenza di Rick, che addolciva mia madre senza nemmeno sforzarsi. Questo poi, continuava determinato con i suoi motivi per amare. Davvero non capivo perché ne fosse così ossessionato. Ma avevo smesso di farmi domande da un po', precisamente da quando avevo realizzato che mi piaceva starlo ad ascoltare. In più, quella scommessa ci stava avvicinando sempre di più, come amici naturalmente, e non potevo esserne più felice. Mi piaceva trascorrere le giornate con lui e gli altri, era facile stare con lui. Sembrava capirmi al volo.
Anche Giò se n'era accorto, e non si era preoccupato di risparmiarmi le sue teorie secondo le quali saremmo fatti l'uno per l'altra. Anche Mary continuava ad insistere, dando man forte all'altra suocera, non che mi sorprendesse. L'unico a lasciarmi in pace era Danny.
Forse l'unica cosa davvero positiva e interessante che successe in quei giorni fu che si rendemmo tutti conto dell'avvicinarsi di una data importante. Ormai settembre era quasi finito, e il primo di ottobre Marilù avrebbe compiuto sedici anni. Un evento importante, sia per lei, che per noi. Era la più piccola, e stava per raggiungerci anche lei.
Conoscendola sapevamo che non si sarebbe disturbata ad organizzare una mega festa o altro. Non le piacevano queste cose. Non era il tipo da feste in discoteca, o con cinquecento dei tuoi amici più intimi, e nemmeno io. Probabilmente, però, la ragazza avrebbe organizzato un serata con noi, nulla di speciale. Una pizza insieme ed un film al cinema. Noi, al contrario, volevamo rendere speciale quel giorno, così decidemmo di farle una festa a sorpresa.
Si sarebbe svolta il sabato successivo, la sera, a casa di Danny, che possedeva un giardino. Io mi sarei occupata di tenere la mia amica impegnata tutto il giorno, con l'aiuto della nostra amica Tea, portandola a fare shopping, o invitandola a casa mia, non lo sapevamo ancora con precisione. Dovevo pianificare ancora il tutto. Di sicuro non avrei lasciato nulla al caso. Doveva essere tutto perfetto.
Inoltre, avevamo deciso che, mentre io e Tea la tenevamo occupata, Giò, Rick, Danny, Roberto, Daniela, Sara e un'altra ventina di altri nostri amici avrebbero allestito la casa, portato le decorazioni, si sarebbero occupati del cibo, della musica e di tutto ciò che è necessario ad una festa.
Danny si era offerto di utilizzare casa sua, e si era mostrato disponibile in tutto. Nonostante ciò non sembrava affatto tranquillo e spensierato, o quantomeno entusiasta per la festa imminente.
Anzi, tutt'altro, in questo periodo il ragazzo sembrava sempre più pensieroso. Ce n'eravamo accorti tutti, e nessuno poteva nascondere un velo di preoccupazione. Sapevamo tutti che Danny era un tipo riservato e non parlava molto. Le rare volte che succedeva lo faceva con Mary, non perché non si fidasse di noi altri, ma perché erano amici da sempre e si sentiva più a suo agio con lei.
Purtroppo però, quella volta nemmeno Mary era in grado di dirci cosa tormentava il ragazzo. Per quanto ne sapevamo poteva stare affrontando un brutto periodo in casa, così come poteva essere in dubbio sulla sua sessualità.
Ovviamente, nessuno credeva alla seconda ipotesi, ma nemmeno la prima mi convinceva. Così un giorno lo invitai ad uscire, per provare a capire cos'aveva. Gli inviai un messaggio e lui accettò la mia proposta.
Ci incontrammo la domenica pomeriggio, al parco.
―Ehi― lo salutai non appena lo vidi.
Ricambiò il saluto un po' teso. Di solito non capitava che uscissimo da soli io e lui, ma visto che era palese che avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno e che non fosse disposto a fare il primo passo, decisi di provarci io.
Proposi di andarci a prendere un gelato, non obbiettò.
―Un cono alla crema e un alla nocciola, grazie― ordinai per entrambi, sicura dei gusti del mio amico. Il mio gusto preferito in assoluto era la crema, mentre Danny prendeva sempre la nocciola. Da quando avevamo appurato le nostre preferenze tutti, per ragioni a me incomprensibili, dubitavano della veridicità delle mie parole. Per loro la crema era un gusto troppo dolce per un'acidella come me. Onestamente, non ricordavo nemmeno più da cos'era nato quel gioco, ridevamo e basta ogni volta. Non ci badavamo più di tanto, era la classica intesa che si crea tra un gruppo di amici, che si porta avanti negli anni come una tradizione, finendo per dimenticare da dov'era nata. Lo sguardo divertito che ci scambiammo io e Danny ne era la prova. Uno sguardo carico di intese e ricordi tipico di due amici di vecchia data.
Dopo aver pagato iniziammo a passeggiare per il parco.
―Allora― iniziò lui, decisamente più rilassato di prima ―hai intenzione di dirmi cosa trama la tua mente malefica, o devo arrivarci da solo?
Ridacchiai ―Che c'è di male nel voler passare un po' di tempo con un amico?
Ci guardammo per un lungo istante, lui per nulla fiducioso nelle mie parole, io fingendo di esserlo. Cedetti per prima, senza saper trattenere un sorrisetto.
―Coraggio parla, nanetta.
Sbuffai infastidita per quel nomignolo che non avevo mai gradito, ma preferii ignorarlo e andare dritto al sodo ―D'accordo, lo confesso. Non ti ho invitato solo perché volevo passare del tempo con te― pensai velocemente a come porgli la domanda, sapendo che rischiavo di stuzzicare i suoi nervi suscettibili, ma poi mi resi conto che non c'era un modo migliore di un altro, così mi buttai ―volevo chiederti come stavi.
Mi guardò sorpreso. Scrollò le spalle ―Bene.
Non ci credetti nemmeno per un secondo. Lo vedevamo tutti il suo comportamento insolito degli ultimi giorni.
―Danny, mi stanno chiamando dall'Etiopia, in tuo naso è arrivato fin lì e sta dando fastidio alle persone, provvedi.
Mi guardò scuotendo la testa, nonostante un piccolo sorrisetto fossi riuscita a strapparglielo, per mia grande soddisfazione ―Sei proprio idiota...
―Be', tante grazie. Io mi preoccupo per te e tu mi dici che sono idiota― sbottai fintamente infastidita, incrociando le braccia sotto al seno.
Mi sorrise e mi abbracciò per scusarsi, non dimenticandosi di scompigliarmi i capelli ―Stai eludendo la mia domanda.
Sbuffò, a metà tra il divertito e l'indeciso sul rispondere o meno ―D'accordo, d'accordo, hai vinto― disse alzando le mani in segno di resa. Esultai mentalmente ―E' che sono un po' confuso...
Annuii pensierosa, facendomi più seria ―Capitano a tutti momenti di confusione, e dobbiamo sfogarci. Di solito è Marilù che ti sopporta, perché questa volta non le hai detto nulla?
Sospirò. Forse non lo sapeva nemmeno lui, o forse lo sapeva ma aveva paura di ammetterlo.
Ci sedemmo sul prato, all'ombra di un pino, e lo esortai a parlare. Avevo tutto il tempo, e non volevo forzarlo a fare nulla che non fosse pronto a fare.
Dopo una manciata di minuti, si decise a parlare ―Vedi, è proprio questo il punto: di solito è lei la persona che mi sopporta, che mi aiuta di più, che non si stanca mai di me... perché? Perché è sempre lei?
Mi faceva una domanda complicata. Per l'ennesima volta desiderai di possedere anche solo un briciolo della capacità argomentativa di Rick, o della sua affinità di pensiero, della sua capacità di rasserenare le persone con una sola frase. Lui mi dava sempre le risposte, e adesso un mio amico le voleva da me, e avevo paura di non essere in grado di aiutarlo. Provai a fare come Rick. Presi un bel respiro, ponderai attentamente le sue parole e poi diedi vita ai pensieri che avevo elaborato.
Non volevo dirgli chiaro e tondo che si era preso una cotta, se non di più, per Mary, doveva arrivarci da solo ―E' da sempre la tua migliore amica, non c'è un perché lei lo sia. Tu ti fidi di lei e lei si fida di te. Perché te lo chiedi proprio ora?
Si passò una mano tra i capelli, mentre si abbandonava contro il tronco alle sue spalle. Era assorto nelle sue riflessioni, e ci restò per un po'. In quei minuti che mi parvero interminabili pensai a come doveva sentirsi Riccardo ogni volta che mi dava uno dei suoi preziosi consigli. Non era certo facile, o forse non lo era per me. Guardando lui sembrava tutto così naturale e semplice, ma farlo era tutta un'altra cosa. Non era affatto spontaneo come credevo. Non era il mio forte dare consigli, né parlare in generale, ma in quel momento dovevo provarci, dovevo dare il meglio di me. Per Danny e per Marilù.
―Non lo so― disse sincero ad un tratto ―non so perché queste domande mi vengano adesso, così come tutti i dubbi che ho su di lei ultimamente..
―Che tipo di dubbi?
Altro sospiro, altra mano tra i capelli. Era un tic nervoso il suo ―Di tutti i tipi. Mi chiedo se lei sia felice di... di essere mia amica, se mi reputa un amico, il migliore amico, se sono la prima persona a cui pensa quando deve sfogarsi, o anche solo confidare qualcosa di bello..
Lo guardai intenerita, istintivamente un sorriso mi si formò sulle labbra. Era quello l'amore che sognavo, un amore normale, non pretendevo battaglie, eroi o damigelle in pericolo, a me risultava perfetto anche quell'amore. Quello semplice e puro, nato tra i banchi scolastici, e portato avanti a furia di sguardi fugaci e uscite con amici imbarazzanti. Quell'amore che durava, che resisteva agli sgambetti del destino, e che si rafforzava ad ogni litigio.
Mi riscossi da quello stato di trance. Erano tutte fantasie le mie, causate dalle storie d'amore e passione che leggevo nei libri. La realtà erano litigi, discussioni, sesso e divorzio. Niente di più, niente di meno.
Mi accorsi di essere stata in silenzio troppo tempo, così mi affrettai a parlare ―Come prima cosa, sappi che mi sentirei offesa se Mary pensasse prima a te che a me― lo dissi principalmente per alleggerire l'atmosfera, e ci riuscii, ottenendo una piccola risatina, poi tornai seria ―Non posso garantirti nulla io, ma non provo tutti questi dubbi verso Giò, o verso te, perché tu hai così paura di non essere importante per lei?
―Perché... perché... perché non so cosa farei senza di lei― confessò infine, abbassando il capo come se avesse detto qualcosa di cui bisognasse vergognarsi.
―Io credo che tu abbia già capito perché lei è così importante per te, devi solo ammetterlo con te stesso, non c'è nulla di male.
Il ragazzo annuì, un po' titubante, aveva paura, ed era normale ―E se... e se a lei io non... non piaccio? Insomma, se lei non provasse quello che provo io?
Come lo capivo. Dio, se sapevo che intendeva. Per me era sempre stato così. Io non ero mai stata in grado di rischiare. Le poche volte che avevo avuto un "ragazzo", era stato solo perché lui aveva avuto il coraggio di "dichiararsi". Il mio grande errore era di vivere nel timore di un rifiuto, di non mettermi in gioco per paura di perdere. Ed era sbagliato.
―Non avere paura dei tuoi sentimenti― gli dissi, tentando di risultare il più credibile possibile ―lo so che tutte le domande che cominciano con "e se...?" fanno paura. Tu, io, tutti ne siamo spaventati, ma non per questo dobbiamo lasciarle vincere. Vedila come una partita di calcio contro una squadra fortissima, anche se hai paura di perdere, giochi comunque e dai il meglio, perché nulla è certo.
Restò a fissare il verde davanti a sé, i bambini che giocavano, le mamme che li guardavano e allo stesso tempo chiacchieravano o leggevano un giornale, e quei pochi ragazzi che si tenevano per mano. Ritornò, quindi, a guardare me. Sembrava quasi incredulo che io potessi aver tirato fuori un discorso tanto avvincente. Io lo ero anche più di lui, ma non gliel'avrei detto nemmeno per tutto l'oro del mondo.
―Sorpreso?
―Un po'.. nemmeno tanto, a dire il vero― fu il mio turno di rimanere stupita. Ero convinta che lui non si aspettasse nulla di tutto ciò da me, che mi reputasse non stupida, ma quasi ―Lo sappiamo tutti che sei sveglia, e anche intelligente, non mi meraviglia che tu mi abbia saputo aiutare così tanto.
Mi spuntò un sorriso felice sulle labbra, e solare come non mai mi fiondai tra le sue braccia. Allora ce l'avevo fatta. L'avevo aiutato. Forse un pochino assomigliavo a Rick.
Danny mi strinse forte, scompigliandomi i capelli con una mano, come suo solito ―Davvero non capisco di cosa avevo paura.
―Dell'amore. Fa sempre paura.
―Anche tu hai paura?
―Sempre― risposi sincera. Avevo paura di innamorarmi, di non ottenere l'amore dei miei sogni, di non essere ricambiata, di non trovare mai nessuno, di essere inferiore alla persona di cui mi innamorerò. Avevo paura dell'amore in sé, ma tutti ne avevamo in fondo ―Ti aiuterò ad affrontare la tua paura.
Passarono altri minuti, in cui ce ne restammo stesi lì, a fissare tutto e niente, finché ad un tratto Danny parlò di nuovo ―Ti fa bene la presenza di Rick, allora... guarda dove sei arrivata.
Non me la sarei nemmeno presa tanto, se solo non ci fosse stata quella malizia a manovrare i suoi movimenti. Mi guardava strizzandomi l'occhio di tanto in tanto, e sorridendomi diabolico. Gli tirai un leggero pugno sul braccio, misi il broncio e mi colorai di un rosso intenso. Nulla di nuovo insomma.
―Devo dirgli di venire da te più spesso― continuò, incurante delle mie occhiate assassine ―sempre che non vi vediate già senza dircelo, eh porcellini?
―Danny! Smettila!― vocina acuta mode: on.
Non li sopportavo quando iniziavano con queste occhiate maliziose, con le loro insinuazioni. Non potevo trovarmi un amico maschio, che subito partivano con i loro film mentali su me e questo ragazzo. Almeno ero stata fortunata con Rick. Era simpatico a tutti e ormai era uno di noi. A maggior ragione non capivo perché dovessero fare tutte queste storie su noi due.
―Oh, andiamo, Drea― iniziò mettendosi a sedere meglio ―non dirmi che non provi nulla per lui, o che lui non prova nulla per te!
Sbuffai scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, invocando un qualche aiuto divino ―Nessuno dei due prova nulla, anzi― mi corressi ―proviamo entrambi un forte sentimento chiamato amicizia.
Danny mi guardò per nulla convinto della mia affermazione. Mi lanciò altri sguardi maliziosi, tentando di capire cosa provavo. Poi scorllò le spalle e con nonchalance disse: ―Prima o poi ti dirò "te l'avevo detto" e tu ti incazzerai, ma tanto poi vi metterete insieme e saremo tutti felici e contenti. E dovremo trovare una ragazza anche a Giò.
Non c'era nulla da fare. L'avevamo perso. Sapendo che controbattere sarebbe stato inutile, mi concentrai sull'ultima frase ―Hai ragione dovremmo trovare una ragazza a Giò.. sarà almeno un anno e mezzo che non frequenta nessuno.
Danny annuì concordando con me ―Il poveretto poi diventa ancora più suocera di quel che è...
Ero totalmente d'accordo. Quel ragazzo già era pettegolo, poi non aveva nessuna a cui pensare, quindi necessitava intervenire.
―Alla festa di sabato ci sarà di sicuro qualcuna― affermai convinta.
Danny annuì, improvvisamente pensieroso di nuovo ―Sabato... ci sarà la sua festa a sorpresa...
―Eh, sì― annuii sorridente ed eccitata. Il ragazzo sembrava di nuovo assorto nelle sue riflessioni. Non riusciva a non pensare a Mary nemmeno per due minuti. Tentai di fare conversazione lo stesso ―Sai già cosa regalarle?
―Non ancora... Ti va se andiamo a comprare i regali insieme? Magari mercoledì?― mi chiese speranzoso.
Acconsentii volentieri. Si preannunciava una settimana movimentata quella in arrivo, e non vedevo l'ora di iniziarla.
 








*IO. VI. AMO*


No, seriamente: vi amo alla follia. 
Cioè, non so se avete capito. 6 recensioni. 6 RECENSIONI. tutte per UN capitolo.
davvero, credo di amarvi. c':
solo il prologo aveva 6 recensioni. poi di punto in bianco sono cominciate ad arrivare altre recensioni. esxdrcftgvybh
I'm in love with youu. #promise lol
A parte il mio immenso amore per voi, c'è da dire che questa volta ho mantenuto la scadenza(?).
Che ne pensate? Io me lo immaginavo un po' meglio... spero che possiate accontentarvi. 
E adesso i ringraziamenti...
un GRAZIE speciale a tutte quelle che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate, e che, ovviamente, recensiscono.
siete meravigliose. vgfsxyuhij 
notte a tutte. c:
Livia

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 



Capitolo 11
 
 





Mercoledì era finalmente arrivato, e aspettavo la fine delle lezioni per andare a comprare il regalo per Mary con Danny.
Quella era l'ultima ora, e l'avevamo buca perché mancava la professoressa di Latino. Evento più unico che raro.
In quel momento stavo parlando con le uniche compagnie decenti di quella classe, Daria e Allegra. Erano molto simpatiche, e anche loro sarebbero state presenti alla festa a sorpresa di Mary.
―Sapete già che mettervi?― chiese timida Daria.
Fu Allegra a rispondere per prima ―Sì sì, io metterò quel vestito nero che abbiamo comprato sabato scorso con mia madre, quello a tubicino con le paillettes.
―E tu?― mi chiese Daria. La verità era che io non avevo la più pallida idea di cosa indossare. I vestiti non rientravano nella categoria di cose che rendeva attraente il mio corpo. E lo stesso valeva per le scarpe col tacco. Diciamo che erano più che altro una delle maggiori cause delle mie figure di merda.
―Non lo so ancora...― risposi sinceramente. Provai a cambiare argomento ―E voi cosa le regalate?
Questa volta fu Daria a farsi avanti per prima ―Io le regalerò un braccialetto con appesa la sua iniziale.
Non mi sembrava male come idea, e glielo feci presente. Non aveva speso molto, ed era una cosa che di sicuro le sarebbe piaciuta. Lo stesso valeva per il regalo che progettava di farle Allegra. Le aveva preso una maglietta a mezze maniche nera con la scritta rosa 'you're princess? I'm the queen, bitch'. Era divertente e mi sembrava molto carina.
Quindi, ricapitolando, tutti avevano un regalo perfetto per Marilù, tranne me, la sua migliore amica. E Danny. Perfetto.
Giò le avrebbe regalato delle pantofole a forma di mucca. Ed ero sicura al cento per cento che sarebbe impazzita per quelle pantofole.
Tea, Tea la reincarnazione della perfezione, le avrebbe regalato una felpa di Abercrombie & Fitch, perché lei oltre ad essere perfetta era anche ricca.
Sbuffai. Dovevo assolutamente trovare un regalo adatto. Doveva essere il migliore.Forse poteva sembrare un'idiozia, ma volevo che il mio fosse il suo regalo preferito.
E avevo meno di una settimana per trovare il regalo perfetto. Non ce l'avrei mai fatta.
Con un sospiro mi congedai dalla conversazione con Allegra e Daria e mi diressi da Giò e Rick.
―Ehi, ragazzi― dissi sorridendo senza entusiasmo.
―Che hai?― mi chiese Giò, dando voce ai pensieri di entrambi.
Spiegai brevemente la situazione e si dimostrarono comprensivi, come sempre d'altronde.
―Io le ho comprato delle pantofole, Drea, non credo ci vorrà molto per trovare un regalo migliore― mi fece notare Giò. Personalmente trovavo le pantofole che aveva comprato a Mary adorabili ed ero convinta che le avrebbero apprezzate tutti. Non sprecai tempo e glielo feci notare.
Rispose con un sorriso dolce e, mettendomi un braccio intorno alle spalle, proclamò ―Non preoccuparti, Andreuccia, ti aiuterà il nostro Romeo.
In quest'unica frase Giò aveva commesso due passi falsi. Il primo era il nomignolo diabolico che mi aveva dato. Lo odiavo con tutto il cuore. Il secondo consisteva nel nome che aveva usato per citare Rick. Romeo.
―Non chiamarmi in quel modo!― sbottai. Vocina acuta mode: on.
In tutta risposta mi prese le guance tra le mani e, come facevano le nonne, cominciò a stritolarmele, arrossandomele e facendomi male ―Oh, coraggio, Andreuccia, non fare la lagnosa.
Gli istinti omicidi in quel momento erano forti, ma la vita di Giò fu salvata da Rick, che si mise in mezzo.
―E a me non chiamarmi Romeo. E non ti azzardare a toccarmi le guance.
―Pff, non lo farei comunque, Andreuccia ha delle guanciotte molto più morbidose.
―Non è vero!― protestò Rick offeso ―Anche le mie guance sono morbidose!
―Ma le sue sono più morbidose.
La conversazione aveva preso la via del ridicolo. Ma che dico! 'Ridicolo' l'avevamo passato da almeno cinque uscite.
Mi ero sempre ripromessa di sviluppare la prontezza di riflessi per prendere una video camera e filmare gli eventi degni di memoria, come quello. Le loro facce erano qualcosa di irripetibile. Rick era peggio di mio fratello quando si imbronciava dopo aver perso una partita di FIFA contro mio padre. Giò, al contrario, sembrava mia madre quando assumeva quel ruolo di madre severa per costringere me e Matteo a fare i compiti. Erano da film comico.
―Morbidose?― me ne uscii prima di scoppiare a ridere.
I due mi guardarono come se fossi io quella strana. Sembravano voler dire: 'che c'è da ridere?'
―Non ce la posso fare..― ansimai tra una risata e l'altra.
 
 
 
―Danny, ti prego, non ce la facciamo più― dissi con il fiatone, piegata sulle ginocchia, appoggiata a Rick, al mio fianco, ancora più esausto di me. Erano due ore che correvamo avanti e indietro per le stesse strade, fermandoci ad esaminare ogni vetrina per mezzo secondo.
Danny era come impazzito. Stava sclerando da più di un ora. Ogni volta che vedeva qualcosa di carino lo comprava, si esaltava per due minuti, per poi convincersi che era orribile e ripartiva all'attacco, facendo portare a noi tutti i pacchetti. Fortunatamente tutte le cose che stava comprando costavano pochissimo, e non stava sperperando soldi. Faceva quasi paura a vederlo da fuori. Era assatanato.
―Coraggio, amico― tentò di convincerlo Rick ―rilassati, hai comprato un sacco di cose bellissime.
―No, continuiamo.
Io e Rick ci guardammo distrutti. Tentai di infondergli coraggio, non poteva durare ancora a lungo, quando mi venne un'idea.
―Che c'è?― mi chiese Rick, guardandomi mentre un sorrisetto speranzoso gli compariva sul volto, in risposta al mio ingegnoso.
―Ho un'idea.
Non fece in tempo a chiedermi di che si trattava che lo presi per mano e iniziai a correre verso Danny. Quando lo raggiungemmo presi anche lui per il polso e li condussi in una piazzetta poco lontana da lì. Non era molto grande e frequentata, quindi non mi stupii che Rick non l'avesse mai vista.
Ignorai le battutine sarcastiche dei due, che fingevano di chiedere aiuto come se li stessi sequestrando, e continuai a camminare fino ad un piccolo negozietto nell'angolo più remoto della piazza.
―Eccoci qui― annunciai soddisfatta ―se non trovi il regalo perfetto qui, non lo troverai da nessun'altra parte.
Anche se un po' esitanti, mi seguirono dentro. Salutai Carmen, la commessa che ormai conoscevo come le mie tasche. Era una signora abbastanza anziana, avrebbe potuto essere mia nonna. Aveva dei grandi occhi color caffè e una massa informe di capelli corti e boccolosi. Non era molto alta, anzi era bassina, considerando che persino io la superavo. Aveva dei fianchi abbondanti e un viso pieno, ma si portava benissimo gli anni che aveva. Sapevo che aveva sui settant'anni, ma avrei potuto benissimo dargliene dieci di meno.
―Ciao, Carmen― la salutai cordialmente.
―Oh! Tesoro mio, da quanto tempo non vieni a farmi visita!― Carmen alzò gli occhi dalle carte che stava esaminando e uscì da dietro il bancone per venire a salutarci. Ci scambiammo un veloce abbraccio, e subito dopo la donna volle sapere qual buon vento mi portava lì, e chi erano i miei, cito testualmente, "deliziosi amici".
Le spiegai che stavamo aiutando Danny a cercare un bel regalo di compleanno per la ragazza che gli piaceva.
Carmen capì al volo di che si trattava, e subito ci propose il miglior articolo a disposizione.
―Ecco qui, giovanotto, questa piacerà di sicuro alla tua bella― disse indaffarata la vecchietta mentre ci mostrava una collanina con appesa una 'D', con una piccola pietra luccicante incastonata nell'angolo in altro della lettera. Era davvero bellissima. Fine, elegante e semplice. Il mix perfetto.
La 'D', naturalmente, stava per 'Daniele'. Non ci pensammo due volte e senza voler vedere altro la comprammo. Naturalmente Danny si mostrò incerto anche allora, ma io e Rick non gli lasciammo il tempo di dire nulla. Gli prendemmo il portafogli e pagammo. Non ce la facevamo davvero più.
Ringraziai mille volte Carmen per averci aiutato. Aveva un naso infallibile per certe cose.
Ad essere sincera, mi sarei volentieri comprata tutto il negozio, ma mi dissi che adesso dovevo trovarlo io il regalo perfetto.
Rick lo aveva trovato subito. Un piccolo anellino con sopra il simbolo dell'infinito.
Appena usciti dal negozio mi schiarii la voce ―Ehm, ehm...
Attirai l'attenzione dei ragazzi su di me, ma nessuno dei due capì a cosa mi riferivo ―Ti è andato di traverso la saliva, Drea? Hai sedici anni, non dovrebbero capitarti queste cose― fu l'intelligente commento di Danny.
E dire che stavo letteralmente spingendo la mia migliore amica tra le braccia di quel coglione.
―No, furbone, pretendo un ringraziamento da parte tua.
―Ah― esclamò il moro, allungando la 'a', come se avesse avuto un'illuminazione ―bastava dirlo subito: grazie, Drea, sei un fottuto genio.
―Figurati― dissi sorridendo compiaciuta.
Rick propose quindi di andare a prendere un gelato.
Nessuno obiettò, e ci ritrovammo sotto la tendina dello stend a scegliere i gusti. Non ci fu bisogno che guardassi cosa c'era, presi un cono alla crema e stracciatella. La crema era d'obbligo, e avevo voglia di stracciatella.
Danny prese un cono alla nocciola e nutella, tanto per mantenersi leggero.
Rick prese anche lui un cono, ma al pistacchio e cioccolato.
Feci una smorfia all'idea di mangiare il pistacchio. Non lo sopportavo proprio.
―Come fai a mangiare quella cosa verde?
―Stavo per chiederti la stessa cosa. La crema non ha sapore.
―Mi prendi in giro? La crema è la cosa più buona di questo pianeta, al massimo è il pistacchio a non avere sapore.
―Pff, scherzi spero.
―Abbelli, nocciola won!― esclamò intromettendosi Danny, alzando in alto il suo cono, a modi statua della libertà.
―Sì, ragazzi, se avete finito gradirei essere pagata.
―Epic win della commessa― disse infine Danny, facendoci scoppiare tutti a ridere, commessa compresa.
Facemmo pagare a Danny, come pegno per la mia grande idea, e ci allontanammo dalla piazzetta. Mentre camminavamo ebbi l'illuminazione. Letteralmente, mi sembrò quasi di sentire gli angeli cantare l'alleluia. Avevo finalmente trovato il regalo perfetto per Mary.
―Un album di foto!― esclamai di botto facendo bloccare i ragazzi e girare verso di me ―Le comprerò un portafoto e lo riempirò.
Rick mi sorrise vittorioso ―Beh, missione compiuta allora, no?
Stavo per gridare che sì, ce l'avevamo finalmente fatta, ma arrivò Danny a rovinare tutto, di nuovo ―No, per nulla.
―Scusami? Che altro dobbiamo comprare?― chiesi scoraggiata. Solo in quelle due ore eravamo dimagriti tutti e sei. Sì, sei. Noi tre e i nostri portafogli.
―No, no, voi dovete comprare un'altra cosa. Io seguo il consiglio di Giò e mi levo dai piedi.
Il solo nominare quel pettegolo ficcanaso impiccione del mio migliore amico mi preoccupò ―Danny, ci devi dire qualcosa?
―Drea, pensi di andarci nuda alla festa di Mary?
 
 
E fu così, che ci ritrovammo soli io e Rick, a girovagare per i negozi della città, in cerca di qualcosa di carino da farmi mettere.
Io già normalmente non amavo lo shopping e diventavo irritabile dopo poco, figuriamoci poi se mi era stato ordinato di farlo da Giò. Quando era mia madre ad obbligarmi non avevo vie di fuga, ma mai avrei creduto che anche Giò fosse in grado di ricattarmi in quel modo. Mi aveva esplicitamente detto che se non fossi tornata a casa con un vestito nuovo, comprato con l'aiuto e il buon gusto Rick, avrebbe detto a mia madre di tutti i brutti voti degli anni passati che ero riuscita a nasconderle e che il preside mi aveva sequestrato il cellulare per un giorno.
Non avevo avuto scampo. Non avevamo avuto scampo. Quel bastardo di Giò aveva coinvolto anche Rick, che adesso era automaticamente costretto a sorbirsi tutte le mie crisi isteriche.
E non poteva nemmeno andarsene, perché da quanto avevo capito aveva minacciato anche lui per telefono, e nessuno dei due mi aveva voluto dire qual'era la leva che aveva usato.
Era ormai un'ora che girovagavamo per il centro, senza risultati.
Finché, ad un certo punto, Rick vide un negozio dalla parte opposta della strada che gli sembrava carino. Scoraggiata e stanca com'ero, mi lasciai trascinare dentro.
―Buonasera― salutò Rick, e congedò velocemente la commessa che si era offerta di aiutarci, dicendo che stavamo solo guardando.
―Rick, dai, non ti preoccupare, diremo a Giò che abbiamo comprato qualcosa e gli farò vedere uno dei vestiti che ho, mica conosce a memoria il mio armadio.
―Sta zitta, non voglio rischiare― disse con tono gentile, mi prese per il polso e mi trascinò su e giù per il negozio.
Io ero una presenza passiva ormai, non reagivo a nulla praticamente, e Rick non chiedeva nemmeno più il mio parere, prendeva e basta.
Mi buttò quasi a forza nel camerino, lanciandomi addosso quattro vestitini.
―Non mi piacciono― dissi automaticamente.
―Non li hai nemmeno visti― protestò lui ―coraggio, provateli, non ci vorrà molto.
Sbuffai, ma non negai.
Esaminai attentamente i quattro vestiti. Iniziai dal primo. Solo a guardarlo arrossii. Era completamente nero, stretto e senza spalline. Lasciava l'intera schiena scoperta, ed era costituito di fasce sottili sovrapposte. Era un po' troppo spinto per i miei gusti.
―Non te lo faccio vedere.
―Dai, esci, che sarà mai!
Arrossii di nuovo. Mi vergognavo troppo di farmi vedere in quel modo da Rick ―No, io non esco, né lo prendo.
―Okay, facciamo così: o esci, o dico a tua madre della scommessa.
Sbiancai ―Non oseresti..
―Scommettiamo?
Non me lo feci ripetere e, a malincuore, uscii.
Mi sentivo un rinoceronte in gonnella. Ero orribile. Mi aspettai di tutto. Pensai quasi che Rick stesse per scoppiare a ridere. Ma non lo fece.
Mi guardò intensamente, dalla testa in giù e viceversa. Mi sentivo la pelle bruciare, non mi sentivo per nulla a mio agio.
―Okay, procediamo.
Mi guardò ―Secondo me stai bene...
Non lo guardai nemmeno e mi richiusi nel camerino.
Il secondo era viola scuro. Già dal colore non prometteva bene. Era a maniche lunghe e mi arrivava alle ginocchia. Per farla breve, sembravo una suora.
Anche in questo caso Rick mi guardò con dolcezza dicendomi che ero bella, che gentile. Non gli credetti nemmeno un pochino, ma apprezzai la carineria.
Passammo al terzo. Era meglio del primo. Blu, corto, una sola spallina, stretto e comprimente. Non me lo sarei messo nemmeno sotto tortura, ma almeno non sembravo la mia prozia Simonetta, suora.
Fu la volta del quarto. Ero completamente demoralizzata, ma lo feci lo stesso, almeno per dare soddisfazione a Rick, che aveva scelto attentamente. Dovetti ammettere che il quarto non era niente male, anzi. Era tutto nero, abbastanza corto, con le maniche che arrivavano a metà braccio. La schiena si intravedeva a causa del tessuto trasparente nero e ricamato che dal collo arrivava alla base della schiena. Sarebbe stato meglio a qualsiasi essere sulla faccia della Terra, ma mi stava  bene, molto meglio dei primi tre. Avevo persino delle scarpe da abbinarci, ammesso che mia madre me le avrebbe prestate.
Uscii dal camerino abbastanza soddisfatta e mi feci vedere.
―Allora? Meglio, no?― sorrisi a Rick, che mi sorrideva già.
―Sì, beh...― per un attimo temetti che dicesse che non gli piaceva ―beh, direi che è perfetto. Ti sta benissimo.
―Grazie― mormorai a bassa voce, imbarazzata come non mai.
Rick aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu preceduto dalla commessa, che ci aveva raggiunti ―E' davvero bellissima, signorina, te l'ha detto il tuo ragazzo, vero?
Questa volta fummo in due ad arrossire, e la mia vocina acuta prese il sopravvento ―Noi.. noi, ehm, non siamo fidanzati.
―Oh― disse la commessa mortificata ―beh, non preoccuparti cara, lo sarete presto, nessuno resisterebbe a questa bellezza.
Arrossii fino alla punta dei capelli, e mi meravigliai nel constatare che Rick era calmo come pochi minuti prima, se non di più ―Sì, è bellissima― confermò le parole della commessa, facendomi venire voglia di darmi fuoco, tanto non sarebbe cambiato molto ―lo prendiamo.
Quindi, potevo aggiungere 'trovare un vestito' alla lista di cose che Rick mi aveva fatto fare, contro ogni aspettativa.







*BUON NATALE*


mmma cccciaaoo. vgfyhucnjyuhj
prima di tutto, buon natale a tutte ragazze. vgycbhjn c:
vi auguro delle vacanze bellissime, ce le meritiamo tutti. lol
come seconda cosa, spero vi sia piaciuto il capitolo, anche se non c'entra nulla con il natale. 
ovviamente RINGRAZIO ENORMEMENTE tutte quelle che recensiscono mettono tra le preferite/seguite/ricordate.
vi amo, davvero. 
scusat vado di fretta. lol
quindi, addio, ci rivedremo presto (?)
ah, ho postato una os se interessa a qualcuno, è sul natale ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1478243&i=1
ancora auguri,
l. c:

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Capitolo 13
*** Capitlo 12 ***






Capitolo 12
-prima parte.
 
 
 
 
 



Camminavo avanti e indietro per il bagno da circa mezz'ora. Altro che se ero in ansia. Okay, che probabilmente ero io ad esagerare, ma dettagli.
Con il cellulare in mano, aspettavo che Giò, o Rick, o Danny o chiunque mi mandasse un messaggio per dirmi che potevo dare inizio all'operazione: 'allontaniamo-Mary-da-casa-per-farle-la-miglior-sorpresa-del-mondo'. Troppo lungo come titolo?
―Drea, ti prego, anzi no, ti supplico, esci dal bagno!― Oh, sì, dimenticavo: ero chiusa dentro il bagno, con mio fratello fuori che picchiava la porta promettendomi soldi, schiavitù e quant'altro pur di farlo entrare. Ora, giustamente, vi chiederete perché ero in bagno. Ebbene, per il semplice desiderio di far incazzare mio fratello, che quella mattina mi aveva fatto bere del latte andato a male. I nostri genitori non c'erano, quindi non potevano farmi uscire con la forza e, per di più, Matteo non poteva nemmeno chiamarli, perché erano ad una riunione importante. Ciò significava che avevo pieno potere su quella peste velenosa.
Non mi degnai nemmeno di rispondergli, lo ignorai semplicemente, facendolo arrivare alle minacce. Non mi faceva paura. Avevo chiuso la porta di camera a chiave, non poteva vincere quella volta.
―Drea, sto morendo, giuro che se non esci la faccio fuori dalla finestra!
―E allora? Tanto la figura di merda la fai tu, mica io!
Sospirò battendo la testa contro la porta.
Ghignai soddisfatta. Ero una strega, quando volevo.
Ma, in fondo, sapevo anche cosa volesse dire la compassione, quindi feci per uscire, quando mi vibrò il culo. ―Ma che cazz..?
Poi realizzai essere il cellulare. Era Rick.
 
Hai il via libera. Vai a prendere Mary e Tea appena puoi, ti dico io quando dovete tornare.
 
Sorrisi pensando alle varie possibilità che avevo. Dovevo sbrigarmi. Uscii frettolosamente dal bagno, andando a sbattere contro un Matteo che sembrava aver avuto una visione divina. Lo feci rotolare a terra per sbaglio, ma nemmeno sembrò accorgersene. Mi guardò per un istante con un'espressione a metà tra 'che Dio ti benedica' e 'giuro che me la pagherai, stronza', poi corse in bagno ad una velocità che uguagliava quella di Speedy Gonzales. Io corsi in camera, sbattendo contro la porta dimenticandomi fosse chiusa a chiave. Sentii dal bagno le risate di Matteo, che aveva avuto lo stesso incidente quando aveva provato ad entrare. Okay, forse me lo meritavo.
Mi infilai un pullover lungo, grigio, che indossavo da sopra i leggins ed una giacca, presi la borsa con il regalo ed il pigiama e mi avviai all'uscita.
―Matteo! Vado a dormire da Mary, torno domani!
―Drea.. Ma che cazzo hai fatto in 'sto bagno? Puzza come la morte!― ribatté educatamente e finemente il mio dolce fratellino, dando molto ascolto alle mie parole.
―Non ho fatto nulla!― replicai, sulla difensiva.
―Seh, come no. Probabilmente ti usavano nei campi di concentramento, 'sta puzza uccide, fidati.
―Tu allarghi il buco dell'ozono ogni volta che vai in bagno! Ritieniti responsabile delle disgrazie dell'umanità.
―Pff, al massimo io lo restringo..
―Ma che cazzo dici?
―Che cazzo dici tu?
―Che me ne vado, addio.
―Cià, non tornare mi raccomando!
Sbattei la porta di casa, e si concluse la nostra illuminante conversazione sullo sterco.
Mi diressi, quindi, da Mary. In tanto mandai un messaggio a Tea, dicendole che saremmo arrivate tra poco.
Mi rispose pochi minuti prima che arrivassi da Marilù, dicendomi che era pronta e ci aspettava in piazza.
Non fu difficile capire quale piazza intendesse, in quanto ce n'erano circa... due e mezzo in quel paese. Sì, esatto, due e mezzo. Perché la terza, la piazzetta dove il mercoledì ero andata con Danny e Rick per comprare il regalo di Mary, non la conoscevano in molti. Per lo più era frequentata da anziani e persone tranquille. La seconda, invece, era troppo lontana dalla casa di Tea perché ci arrivasse a piedi, conoscendola. Ne rimaneva, quindi, se la matematica non m'ingannava, solo una.
Arrivai davanti al palazzo di Marilù. Bussai ripetutamente al citofono, finché non mi rispose un'assonnata signora Bennati. Se non avessi parlato per prima, interrompendola quando era sul punto di iniziare a bestemmiarmi contro, adesso l'intero vicinato sarebbe sveglio. La signora Bennati, Renata, aveva una voce molto... potente, ecco. Era gentile di solito, tranne con chi la interrompeva mentre dormiva. Lei si divideva tra lì e Roma, e Londra e tante altre città. Diciamo che quando era a casa era come essere in vacanza per lei.
―Oh, ciao Drea, ti faccio scendere Mary. Mi raccomando, non tornate troppo presto, noi vedremo di preparare al meglio la casa.
―Grazie, Renata, scusa se ti ho svegliata― sorrisi, consapevole che la donna non avrebbe potuto vedermi.
 
Passarono cinque minuti, e finalmente arrivò Mary. Le saltai letteralmente addosso, soffocandola con i miei abbracci, le mie grida e i baci sulla guancia di tanto in tanto.
―Hai sedici anni!― le urlavo nelle orecchie ―Sei vecchia, amica mia.. ce l'hai la crema antirughe?
―Sì, Drea, tranquilla, ho quella e anche quella per la cellulite― sbuffò con il sorriso sulle labbra.
―Mary, ma quella per la cellulite avresti dovuto avercela già da un po'...
Lo schiaffo dietro la testa me lo meritai.
Dopo aver sciolto l'abbraccio, le annunciai che quella mattina l'avremmo passata insieme a Tea, solo noi ragazze, e che magari i regali glieli avremmo dati da lei più tardi. Come previsto, accettò e propose di invitare me e Tea a dormire da lei. Prevedibile.
Accettai fingendomi sorpresa e, mentre ci avviavamo dalla bionda, mandai un messaggio a Giò.
 
Il pesce ha abboccato all'amo.
 
La risposta non si fece attendere.
 
Ora dobbiamo solo tirare il filo.
 
 
Raggiungemmo Tea in piazza verso le undici e mezza, e la ragazza propose di dirigerci verso la via principale del paese, magari con calma, così da arrivare in un ristorante o in un bar in tempo per il pranzo.
―Oddio, non posso credere che sia già arrivato il tuo compleanno. Spero che i regali ti piacciano― disse ad un tratto Tea, abbracciando Mary da dietro.
Quella ragazza era la dolcezza fatta persona, non c'era momento in cui non si mostrasse gentile, disponibile o sorridente. A volte mi chiedevo se non facesse fatica a sorridere tutto il tempo.
―Sono sicura che li adorerò tutti― rispose la mia amia, scambiandosi uno sguardo con me. Le sorrisi.
Continuammo a camminare, parlando del più e del meno. Tea ci raccontò di come lei e sua sorella minore bisticciassero ogni giorno.
―E' impossibile avere a che fare con lei, è viziata ed incontentabile. In più, ruba sempre i miei trucchi, e le rare volte che me li restituisce, sono distrutti― si lamentò mettendo il broncio.
Non potei fare a meno di ridacchiare, pensando alle avventure tra me e mio fratello. Io e Matteo eravamo da film, e Mary lo sapeva bene.
―Dovresti vedere lei e suo fratello― disse infatti ―i loro insulti sono comici. Mi ricordo che una volta il fratello la chiamò solo per dirle che era una cretina e continuarono a litigare a telefono mezz'ora, e lei era chiusa nel bagno della scuola.
Tea, naturalmente, scoppiò a ridere, accompagnata da me e Mary. Ricordavo bene quel giorno. Era verso la fine della scuola di qualche anno fa. Matteo era a casa con la febbre e, dato che si annoiava, durante l'intervallo mi chiamò. Fortunatamente ero in bagno con Mary, e nessuno mi vide con il cellulare. Risposi, pensando che fosse successo qualcosa e, invece, voleva solo dirmi che ero chetina. Aveva anche il raffreddore, e non riusciva a pronunciare bene le parole, quindi passammo buona parte della mezz'ora a tentare di capirci.
Intanto Mary si era sistemata a guardarmi, ridendo come una mongoloide, mancavano solo i pop-corn e sarei stata certa di essere il suo film personale.
―Beh, forse vincete voi..― ammise Tea, con le lacrime agli occhi.
―Tu credi?― le rispondemmo io e Mary in coro, poi io aggiunsi: ―oggi abbiamo litigato sulle nostre feci.
Appena realizzato cosa avessi detto le due quasi si buttarono a terra. Si tenevano la pancia, ridendo convulsamente, guadagnandosi occhiate stranite dalla gente che passava per strada. Ma io non potevo biasimarle, né criticarle, ero messa male anch'io, se non peggio.
Arrivammo nella pizzeria con i crampi alla pancia e le mascelle che facevano male.
 
―Che posso portarvi?― ci chiese un cameriere niente male, all'incirca della nostra età, con i capelli biondo scuro e gli occhi scuri. Avevamo ancora dei sorrisi idioti stampati sulla faccia, che si trasformarono in ebeti quando guardammo il ragazzo.
Sembravamo dei pellicani che perdevano acqua dalla bocca per quando sbavavamo.
Tea si riprese per prima, ordinando per noi e cercando di salvare quel poco di dignità che le rimaneva. Io alla mia avevo rinunciato tempo fa.
Ordinò due pizze margherita e una bianca con il prosciutto, per lei, a cui non piaceva il pomodoro.
―Torno subito― disse il cameriere allontanandosi.
Io, credendo che fosse abbastanza lontano da non sentire, mormorami un ―Menomale― con aria rincoglionita, facendo sghignazzare le mie amiche.
Purtroppo però, le risatine arrivarono anche da più lontano. Voltandomi, infatti, scorsi il cameriere che mi guardava ammiccando. Mi colorai di un rosso più rosso della pizza che avevo ordinato, cercando di sprofondare il più possibile nella sedia. Tentai anche di nascondermi sotto il tavolo, invano.
―Non ci posso credere― sussurrai coprendomi il volto con le mani.
―Io sì!
―Idem.
Sbuffai. Che incoraggiamento da quelle che dovrebbero essere delle mie amiche intime.
―Grazie, mi sento meglio adesso.
Continuarono a ridere finché non tornò il cameriere con le ordinazioni. Le prime pizze ad arrivare furono la mia e quella di Mary. Da quando lo videro arrivare verso il nostro tavolo quelle due arpie soffocarono le risate con colpi di tosse, mentre io studiavo attentamente il pavimento e la sua struttura. Era grigio, con dei quadrati che sembravano rombi disegnati sopra. Non era né sporco, né pulito, normale.
―Sono tornato, contenta?― mi sussurrò all'orecchio il ragazzo, mentre mi posava la pizza davanti, facendomi arrossire ancora di più.
Mi girai istintivamente verso di lui, incontrando i suoi occhi scuri ―Ehm.. io... sì, cioè no.. prima scherzavo.
Mi guardò ancora più divertito di prima, facendomi venir voglia di prendere una pala e seppellirmi io stessa. Le facevo tutte io le figure di merda con i boni. Non c'era mezza volta che andava tutto bene.
―Torno subito, non preoccuparti.
Fui seriamente tentata di gettarmi con tutta la faccia nella pizza. Tanto il rossore del pomodoro si sarebbe mimetizzato con quello naturale della mia faccia.
―Hai fatto colpo, eh Drea?― scoppiò a ridere Mary, prendendomi per il culo.
―Scommetto che prima che ce ne andiamo ti lascerà il suo numero― disse quasi seria Tea.
―Seh, e poi mi dice che è single e che sono sexy, pff.
―Sono seria. Scommetto cinque euro che ti lascia il suo numero― propose Tea, allungando la mano verso di me. Io la strinsi, ci avrei solo guadagnato cinque euro.
 
A fine pranzo, andammo a pagare. Stavo per vincere cinque euro, mi dissi gongolante.
―Tea, caccia cinque euro in più, credo che...― non feci in tempo a finire la frase che mi sentii toccare la spalla. Mi voltai e mi ritrovai quella bellezza di ragazzo davanti, con un sorriso mozzafiato, gli occhi che ammiccavano e la mano sporta in avanti, verso di me, che mi porgeva un foglietto di carta con dei numeri scritti sopra.
Vedendo che non lo prendevo, si passò una mano dietro alla nuca e, sorridendo imbarazzato si presentò ―Ehm.. io sono Dario, piacere.
Non so come riacquistai un minimo di lucidità e riuscii ad abbozzare un sorriso e rispondere, afferrando prima il bigliettino ―Ehm.. grazie, sono Andrea.
Mi sorrise, mi disse di chiamarlo se avevo voglia e, senza dimenticarsi di ammiccare, se ne andò. Io sarei rimasta ferma lì, incredula, con il bigliettino di carta tra le mani, mentre le sue parole mi rimbombavano in testa senza acquistare significato, se non fosse stato per Mary e Tea, che mi trascinarono fuori.
―Cosa stavi dicendo, Drea?― chiese ridendo Tea. Io balbettai qualcosa di incomprensibile, presi con mani tremanti cinque euro e glieli diedi, troppo sotto shock per fare altro.
―Io l'avevo detto che avevi fatto colpo...― disse Mary, dandomi una leggera gomitata al fianco ―peccato tu sia già impegnata.
―Davvero? Perché non mi avete detto nulla?― chiese Tea a bocca aperta, come se fosse la prima cosa che bisogna dirsi la mattina.
―Non è vero, sono Mary e Giorgio che si inventano cazzate su me e Rick.
Tea ci pensò un attimo, in effetti lei non aveva mai visto Rick, anche se lui aveva notato lei. Ricordai con un nodo allo stomaco quel giorno a scuola, quando lui e Giò si misero ad elogiare Tea in tutto il suo splendore.
―E' quel ragazzo con gli occhi azzurri della tua classe? Quello nuovo?― chiese, facendomi intuire che anche lei aveva notato lui. Destino? Chi lo sa..
―Sì, sì, esatto!― disse Mary, mordendosi la lingua prima di rivelarle della scommessa.
Mentre quelle due pettegole continuarono a commentare il ragazzo, ricordandomi mia nonna durante Beautiful o Un Posto Al Sole, io fui distratta dalla vibrazione del cellulare. Era Giò, di nuovo.
 
Manda un messaggio a tutti, per ricordargli l'orario della festa, pleeeaaseee. :)
 
Non me lo feci ripetere due volte, ed inviai un messaggio a tutti gli invitati, con scritto ora e luogo dell'appuntamento.
Nel controllare che lo inviasse a tutti, contai i nomi mentalmente, strabuzzando gli occhi alla vista di uno che non sarebbe dovuto essere nella lista. Non potevo crederci. Mi venne un colpo. Tentai in tutti i modi di annullare il messaggio, di tornare indietro, ma non ci fu verso, ormai l'aveva inviato.
E Mary, la festeggiata, l'oggetto della festa a sorpresa, il motivo per cui esisteva una festa a sorpresa, avrebbe ricevuto quel messaggio a breve. Dovevo assolutamente impedirle di leggere il messaggio.
Pochi secondi dopo, infatti, sentimmo il 'bip' del telefono di Mary, seguito da quello di Tea. La seconda fu più veloce a prendere il cellulare e leggere il testo. Dopo aver letto, si rese conto che anche Mary aveva avuto un messaggio, e che le probabilità che fosse lo stesso erano alte, molto alte. Fece due più due, ed ebbe la conferma dell'esattezza dei suoi calcoli quando, guardandomi, mi vide annuire leggermente, spaventata e shockata quanto lei.
―Questa cazzo di borsa...― imprecò Mary, tentando di aprire la borsa per prendere il cellulare.
―Lascia, faccio io― mi offrii. La mia vocina stridula la fece insospettire. Mi maledii più volte. Consapevole del fatto che non mi avrebbe mai dato la sua borsa di sua spontanea volontà, gliela strappai di mano, scatenando una lotta all'ultimo sangue tra tutte e tre. Qualcuno passando ci guardò male, altri furono sul punto di pensare che stessi derubando Mary.
Alla fine, le forze di Mary ebbero la meglio, e riuscì a riprendersi la borsa. Prese in fretta il cellulare, allontanandosi da me, che le stavo correndo incontro per strapparglielo di mano. Lesse il messaggio, poi, con la fronte aggrottata, cercando di trattenere le risa, chiese: ―Ehm.. Drea, perché mi dici che alle quattro devo essere a casa mia?
―Beh, perché non volevo dirtelo a voce... perché... eri troppo impegnata a... a parlare con Tea di Rick. Sì, ecco, per questo.
Non ero credibile nemmeno lontanamente. La vocina stridula, le mani che sudavano, gli occhi che si aprivano e si chiudevano a velocità record erano sintomi evidenti della menzogna. Non potevo fingere.
―Drea, che succede?
Sorrisi come meglio potevo, facendo strani versi che non riuscii a trattenere. Era tutto inutile. Lei sapeva.
Intervenne Tea ―Come? Non ti ricordi che stavamo parlando di Rick un secondo fa? Drea probabilmente voleva attirare l'attenzione...
―Humm.. ma perché mi ha strappato la borsa?― chiese, giustamente, sospettosa.
Già, perché? Pensai in fretta ad una scusa plausibile e dissi la prima cosa che mi venne in mente, e forse la più vera.
―Perché mi sono resa conto della cazzata che avevo fatto.
Non so grazie a quale miracolo ci cascò. O meglio, fece finta di cascarci, perché ero convinta che se non lo sapesse già, dopo questa mia minchiata ne era sicura.
Provai a far finta di nulla, distraendo Mary con lo shopping.
 
Il tempo fino alle quattro mi sembrò trascorrere lentissimo, ma alla fine arrivò il momento di tornare a casa.
Anche la strana euforia che sprizzavamo io e Tea era difficilmente fraintendibile. Ma lasciai perdere, tanto Mary doveva solo fingere di essere sorpresa, ringraziare, commuoversi e godersi la festa. Stop.
Arrivate davanti casa vedemmo Mary indugiare sulla soglia, aggiustandosi il maglione e controllando alito, capelli e brufoli, che non aveva.
Io e Tea ci scambiammo uno sguardo confuso, per poi spostare gli occhi su di lei in una domanda silenziosa: "che minchia stai facendo?"
―Beh? Che avete da guardare? Voglio essere carina per la mia festa.
Io all'inizio fui spiazzata, come Tea d'altronde, poi vidi la malizia negli occhi di Mary e scossi la testa sorridendo.
―Lo sapevo che l'avevi capito da un po'...
―Ma.. ma.. non è giusto, che festa a sorpresa è adesso?― disse Tea, dispiaciuta più di Mary.
―E' la vita, non è giusta― commentai io filosofica.
―Farò finta di essere sorpresa.
Sbuffò, ma si riprese e si stampò un sorriso sul volto, bussando al campanello. Tutte e tre ridemmo sentendo il casino che fecero tutti per nascondersi. Se pure non l'avesse capito, dopo questa sarebbe stato ovvio.
Scossi la testa rassegnata, le feste a sorpresa non erano esattamente il nostro forte.




*I'M BACK*



hoooooolaaa. c: 
scusate il ritardo ma le vacanze e il rientro a scuola mi hanno mandata ko. ewe
ovviamente, buon natale e buon anno a tutte, anche se in ritardo. lol
poooii, che ne pensate del capitolo? è un po' più lungo degli altri, o almeno così mi è sembrato..
che ne dite? come sarà la famosa e tanto attesa festa? 
lo scopriremo nella prossima puntata.
ho sempre sognato di dirlo. c': 
lasciando stare la mia coglionaggine, torniamo a noi. GRAZIE a tutte quelle che recensiscono, mettono tra le seguite/preferite/ricordate la storia. è grazie a voi che vado avanti. lool
okay, mi dileguo che ho sonno e domani devo fare un compito.
ci si vede domenica se tutto va bene. 
adiosss,
Livia. c:

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***






Capitolo 13
  parte seconda
 
 



Un coro di "sorpresa!" piuttosto acuto e sfracassa timpani ci accolse. Mary, come da copione, strabuzzò gli occhi e si dipinse un sorriso sorpreso in faccia. Quindi iniziò ad urlare e ringraziare tutti quasi commossa. Arrivò il mio turno di essere abbracciata e mi sorse il dubbio che Marilù fosse davvero commossa e la recita fosse tale fino ad un certo punto.
Mentre la festeggiata abbracciava tutti e ringraziava, ammirando le decorazioni, il cibo e tutto il resto, io andai dagli altri a salutarli.
Dopo un paio di minuti, mi accorsi che io, Tea e Mary eravamo le uniche vestite "normali". Mary si cambiò in camera della madre, mentre io e Tea portammo le borse nella stanza di Mary e ci vestimmo lì.Miracolosamente quella mattina mi ero ricordata di infilare il vestito comprato con Rick nella borsa, insieme ad un paio di scarpe nere fottute a mia madre.
Non potei non restare a bocca aperta quando vidi Tea vestita e truccata uscire dal bagno. La cosa che più mi lasciò sbalordita fu il vestito. Era nero, era abbastanza corto, leggermente più trasparente dietro e ricamato. Ma, soprattutto, era identico al mio. Rimasi ad osservarla a bocca aperta come una rincoglionita ancora dei minuti. Aveva un trucco leggerissimo, come avevo provato a farlo io, solo che a lei stava meglio. I capelli sciolti ricadevano sulle spalle con morbidi boccoli. Se prima il suo viso era privo di imperfezioni, in quel momento poteva essere scambiata per la reincarnazione di Afrodite. Gli occhi nocciola erano incorniciati da folte ciglia rese più scure e voluminose da un mascara di qualità, che non aveva nulla a che vedere con il mio, scadente. L'ombretto color oro con sfumature più scure qui, più chiare lì, rendeva gli occhi ancora più evidenti e irresistibili. Le labbra sembravano invitarti ad essere baciate. Forse anche qualche ragazza sarebbe potuta saltarle addosso. Con gli occhi percorsi il suo collo, le braccia e la vita sottili, per poi arrivare alle lunghe e magre gambe, che terminavano con scarpe nere e lucide con almeno dieci centimetri di tacco.
Sconvolta da quella visione, spostai lo sguardo sullo specchio di fronte a me. Vidi una ragazza con una massa informe e spettinata di capelli scuri, due occhi verdi truccati alla bell'e meglio, un volto che non conosceva correttore se non uno di un colore completamente diverso a quello della sua pelle. Studiai il mio collo, intorno al quale era appesa una collanina che non aveva nulla a che fare con quel vestito, ma che mi aveva regalato Mary e che non avevo mai tolto.
Le braccia e la vita erano decisamente diverse da quelle di Tea. Le mie braccia erano più in carne, la mia vita più... lampante, diciamo così. Le gambe erano meno lunghe delle sue e meno esili. Lo stesso valeva per le caviglie. I piedi lottavano con delle scarpe di un numero inferiore al mio, più basse di alcuni centimetri di quelle di Tea. Sembravo la sua copia uscita male, molto male. Non potevo andare in giro per la festa conciata in quel modo, con Tea che indossava il mio stesso vestito facendolo sembrare più bello. Sbuffai incazzata.
Ero la regina della sfiga. Potevano proclamarmi imperatrice e darmi uno scettro. Insomma, soltanto nei film americani da quattro soldi le protagoniste erano così sfigate. Il punto era, però, che alla fine, le sfigate diventavano le popolari e le cheerleader scorbutiche venivano mollate dai loro fidanzati perfetti, per le sfigate. Ecco, il problema era che a me non sarebbe successo nulla di tutto ciò. Tea non era un'oca antipatica con un fidanzato perfetto, anzi, era single e per nulla antipatica. Io non potevo odiarla, nessuno la odiava. Mi sentivo in colpa al solo pensiero di paragonarla alle "cattive" dei film. Le quali, in fin dei conti, non erano mai più belle delle sfigate. Nella vita reale, invece, io non potevo nemmeno lontanamente essere paragonata a Tea. Quello non era essere modesti, era essere obiettivi.
―Oh, Drea! Mi dispiace così tanto!― esclamò Tea guardandomi e mettendosi le mani davanti alla bocca.
―Eh? Che dici?
Non avevo idea di cosa stesse farneticando. Che poteva aver mai fatto? Al massimo mi aveva sporcato i pantaloni con il trucco. Non poteva starsi scusando per l'abito... vero?
―Non credevo che avessimo lo stesso vestito, se vuoi me lo cambio e me ne faccio prestare uno da Mary, o...― iniziò a scusarsi, invece.
La interruppi subito. Ci mancava solo che la facessi cambiare. Strinsi i denti, chiedendomi perché non poteva essere più odiosa e rendermi tutto più facile ―No! Non ti preoccupare, stai benissimo, non ti farei mai cambiare.
―Ma tu come fai?― mi chiese guardandomi con i suoi grandi occhi da cerbiatto.
Scacciai tutte le preoccupazioni con una mano ―Che sarà mai! Non devo mica incontrare la regina!― e tentai fermamente di convincermi delle mie parole. Non era poi un gran problema. Le persone morivano ogni giorno, non potevo certo fare di un vestito una questione importante, mi dissi. Annuii convinta delle mie parole. Dovevo solo restare su quell'idea e non lasciarmi contagiare dalla depressione. E poi, se per Tea andava bene avere lo stesso vestito, andava bene anche per me. Forse, però, c'era qualcosa che potevo fare.
Sotto lo sguardo curioso di Tea aprii l'armadio dove Mary teneva le scarpe e ne presi un paio nere e con un tacco alto. Marilù aveva già preso le scarpe, e in ogni caso non le avrebbe dato fastidio un mio prestito.
Fortunatamente io e la mia amica portavamo lo stesso numero. Infilando i piedi nelle nuove scarpe potei quasi sentire i loro sospiri di sollievo.
―Beh? Andiamo?― chiesi a Tea che mi guardava attentamente.
Cominciai a sentirmi a disagio. Mi studiava in ogni mio particolare, facendomi sentire come se avessi le braccia al posto delle gambe.
―Non ancora― detto ciò mi prese per un braccio e mi passò il suo mascara e l'eye-liner. Mi fece segno di mettermeli e quando ebbi finito, mi guardò con approvazione. Mi passò, poi, sulle guance un po' della sua cipria. Fece per mettermi un lucidalabbra, ma mi allontanai.
Odiavo quei cosi appiccicosi e mollicci, specialmente quando erano colorati o al sapore di frutta, come in quel caso.
―No, quello non lo metto.
Scrollò le spalle ―Pazienza― mi guardò un'ultima volta, mi fece scuotere i capelli e, infine, mi rivolse un'occhiata soddisfatta ―Molto meglio.
―Grazie.
Guardandomi, potei notare distintamente dei miglioramenti, ma nulla in confronto a lei.
Uscimmo, finalmente, da quella stanza e scendemmo le scale. Ci trovammo di fronte Mary, Danny, Giò e Rick che parlavano. Probabilmente ci aspettavano.
Non avevo ancora visto Marilù. Indossava un vestito blu che le arrivava poco sopra le ginocchia. Delle scarpe blu la alzavano un po', valorizzando le gambe slanciate. Gli occhi erano truccati alla perfezione e sembravano ancora più luminosi. Era semplicemente stupenda. Era meno truccata di Tea, sprizzava una bellezza semplice, naturale, eppure folgorante.
Inutile dire che Danny la stava praticamente mangiando con gli occhi. Doveva stare attento a non farsi beccare con un rivolo di bava alla bocca.
Tutti e quattro si erano interrotti e ci guardavano. O meglio, all'inizio ci avevano guardate entrambe, ma poi si erano soffermati su Tea, naturalmente.
Scrollai le spalle e finii di scendere le scale, lasciando che Tea fosse ammirata.
Le loro espressioni sconvolte quando realizzarono che indossavamo lo stesso identico vestito furono alquanto divertenti.
―Ma... cosa...?― iniziò Danny, guardandoci colpito. Non se lo aspettavano e, beh, nemmeno io. Non l'avevo esattamente programmato.
―Non ditemi che l'avete fatto apposta, per favore..― quanto poteva essere intelligente Giò? Ma come poteva pensare che due ragazze si vestissero apposta uguali identiche? Specialmente quando una delle due sapeva di essere nettamente inferiore all'altra in quanto a bellezza.
―Certo, Giò, ci siamo messe d'accordo perché volevamo fare le gemelline!― dissi sarcastica imitando la voce delle bambine. Da piccola mi era capitato di mettermi la stessa maglia di una mia amica lo stesso giorno per divertirsi, ma non avevamo più sei anni.
―Vi sta bene..― azzardò Mary, guardandomi corrucciata.
Le sorrisi serena. Non doveva pensare che ci fossi restata male, era il suo compleanno e doveva solo divertirsi.
―Grazie― fu la prima parola che pronunciò Tea, sorridendo timida.
―Qui la vera bellezza sei tu, Mary― aggiunsi io, sorridendole. La bionda-ramata dagli occhi azzurri arrossì, abbassando lo sguardo.
―Concordo con Drea― annunciò Danny. Si vedeva che aveva il fiato sospeso, tanta l'emozione. Il suo commento non fece che far arrossire di più la festeggiata, mentre nelle nostre teste si scatenava un coro commosso.
Mary ringraziò, sorridendo imbarazzata.
Per vari minuti nessuno parlò, e si creò una tensione che ci mise tutti a disagio. Feci di tutto per distrarmi, fingendo di studiare attentamente il pavimento.
―Drea...― un mormorio spezzò quel silenzio imbarazzato. Mi voltai verso il proprietario di quella voce. Rick mi guardava con un misto di dispiacere, rammarico e amarezza. Una nota sconsolata si avvertì nel suo sussurro.
Non sapendo come interpretare il suo mormorio, e non volendo affrontare l'argomento "vestito", feci finta di scambiarlo per tutt'altro.
Per mia fortuna seppi cosa dire e lo dissi, prima che qualcuno potesse interrompermi.
―Oh! Hai ragione, che sbadata...― dissi attirando su di me cinque sguardi confusi ―probabilmente voi non siete stati ancora presentati. Rick, lei è Tea― dissi indicando la bionda al mio fianco, feci poi lo stesso per Rick ―e Tea, lui è Rick.
Si presentarono e optammo per andare in salotto dagli altri.
C'era chi ballava, chi mangiava e beveva, chi limonava.
Ci dividemmo e in qualche modo restammo solo io e Giò. Non ci facemmo troppi problemi e iniziammo a parlare del più e del meno mentre andavamo in cucina.
―Comunque Mary aveva capito tutto― dissi ad un tratto, ricordando quando, quel pomeriggio, le avevo inviato per sbaglio il messaggio.
―Tutto cosa?
Indicai con le braccia la casa addobbata con i palloncini, i dolci, le bevande, gli invitati, le scritte "Buon Compleanno Mary!" ―Tutto questo, Giò, la festa.
A quel punto il mio amico quasi si strozzò con gli stuzzichini ―Come aveva capito? Siamo stati bravissimi!
Lo guardai per nulla convinta ―Giò, ti ricordo che una volta hai chiamato qui e hai chiesto di me, mi hai fatta chiudere nel bagno e mi hai chiesto dei preparativi.
Si lasciò sfuggire un sorriso.
Decisi di sputtanarmi completamente e gli raccontai della cazzata che avevo fatto quel pomeriggio.
―Tu cosa?!― esclamò sconvolto a fine racconto, facendo voltare molti ospiti nella nostra direzione ―E poi volevi dare la colpa a me se si era accorta di tutto!
―E' stato un incidente...― sminuii il tutto con un gesto secco della mano, mentre un sorrisino colpevole mi spuntava sul viso.
Giò scosse la testa rassegnato ―Solo tu puoi invitare la festeggiata al suo compleanno.
Mi strinsi nelle spalle, colpevole.
In quello stesso istante fummo raggiunti dalla festeggiata e gli altri.
―Mary, io....― cominciò Giò desolato mentre mi lanciava uno sguardo a metà tra l'incazzato e il divertito.
La bionda lo guardò confusa, per poi capire tutto e interromperlo ―Ah, hai saputo del messaggio.
―Che messaggio?― chiese Rick, mentre Danny ci fissava senza capire.
Io, Tea e Mary ci scambiammo uno sguardo complice, mentre Giò iniziava a spiegare.
Rincarò la dose dandomi della rincoglionita, per poi avvolgermi un braccio intorno alle spalle.
―Non ce la posso fare...― disse Danny, mentre Rick se la rideva. Che bastardi.
Ma a Tea e Mary non bastava, dovevano raccontare i dettagli della giornata, a partire dalla lotta furiosa che avevo fatto con Mary per tentare di afferrare il cellulare ed eliminare il messaggio, andando all'indietro, fino al nostro pranzo.
―In pratica c'era questo cameriere niente male e Drea ha fatto una delle sue figure di merda, ma di quelle epiche.. ― aveva iniziato Mary, guadagnandosi uno sguardo ingelosito da parte di Danny, che non aveva affatto gradito quel "cameriere niente male". La bionda continuò spiegando nei dettagli la mia figuraccia. E a quel punto gli occhi di tutti si puntarono su di me. Chi rideva, chi mi prendeva per il culo, chi mi dava pacche sulle spalle. Si era formato addirittura un po' di pubblico ad ascoltare il racconto. Non ci potevo credere. Adesso se qualcuno mi avrebbe chiesto qual'era la mia più grande figura di merda avrei potuto rispondere che era quella. Ovvero, essere derisa dai miei migliori amici davanti a tutti sulle mie figuracce.
Tea prese il posto di Mary e continuò il racconto ―Beh, alla fine ho vinto la scommessa, infatti, quando stavamo per pagare è arrivato il cameriere e ha dato il suo numero a Drea.
Le risate non mancarono, ma alla fine quasi si congratularono con me per la conquista. Manco fossi andata a caccia..
Voltandomi intorno scorsi con la coda dell'occhio Rick che si allontanava facendosi largo tra gli invitati.
Perché avevo la sensazione che c'era qualcosa che non andava?
―Uuh, qualcuno è geloso― mi disse all'orecchio Giò, spaventandomi. Ero persa nei miei pensieri, perciò sentire la sua voce così vicina e il fiato sul collo mi fece cacciare un grido acuto ed agghiacciante.
Mi misi una mano sul cuore maledicendo Giò in tutte le lingue del mondo ―Ma tu sei malato! Mi hai fatto perdere dieci anni di vita! Adesso mi compaiono le rughe per colpa tua. Giò, davvero, ho avuto un mini infarto!
Mi guardò inarcando un sopracciglio, trattenendo le risate ―Un mini infarto? Quella malata qui sei tu..
Sbuffai mollandogli uno schiaffo dietro la nuca. Lo schiaffo era sia per avermi spaventata, sia per il commento idiota fatto, che preferii ignorare. La mia mente tornò subito a Rick, ma quando mi girai lui era già sparito.
―Ciao― disse una voce dietro di noi. Era Daria, la nostra compagna di classe. Era particolarmente bella quella sera. Indossava un vestitino anche lei. Era rosa pallido, un colore che, come a me non sarebbe mai stato bene, a lei valorizzava gli occhi marroni e i capelli dello stesso colore. Il viso dalla forma morbida era privato di imperfezioni dal trucco leggero, le labbra rese rosee dal rossetto. Adorabile.
Notando lo sguardo che Daria stava rivolgendo al mio amico, decisi di congedarmi e andare a cercare Danny.
Ignorai lo sguardo implorante di Giò, che non voleva essere lasciato solo e andai a cercare il moro.
Se non si fosse dichiarato quella sera poteva anche scordarsi com'era vivere.
Lo trovai in cucina che si versava un bicchiere di coca-cola con mani tremanti. Lo sentii borbottare che qualcuno aveva finito la birra.
―Danny!
Con il mio urlo acuto non feci che urtare i suoi nervi già sensibili, ottenendo come risultato un bicchiere vuoto, un pavimento bagnato e un moro arrabbiato.
―Cosa?!― rispose agitato Danny.
Mi avvicinai con cautela. Non ero per nulla brava a tranquillizzare le persone, di solito erano gli altri a calmare me. Ci avrei provato per Danny.
―Allora? Quando hai intenzione di farlo?― forse se davo direttamente per scontato che si dichiarasse lo avrebbe fatto davvero.
Incredibilmente, il mio piano funzionò.
―Pensavo di farlo quando le daremo i regali, magari la porto in disparte e le do il mio...
Mi sembrava un'ottima idea. Dovevo segnarmi quel giorno. Era raro che fossi completamente d'accordo con Danny ―Ottimo. Di che ti preoccupi, allora?
Mi guardò eloquente. Lo sapevo bene di che si preoccupava, ma sapevo anche che finché non ci avrebbe provato non sarebbe cambiato nulla. Non potevo fare nulla per aiutarlo. Avrei potuto ripetergli all'infinito che non sarebbe stato rifiutato, ma non sarebbe cambiato nulla. Doveva provarci per crederci ―E' inutile che io ti dica che non hai nulla di cui aver paura?
Ci rifletté un momento, poi annuì tra sé e sé ―Abbastanza scontato, sì.
Scrollai le spalle ―Beh, non ho molto altro da dirti. Se non ci provi non lo saprai mai, posso solo dirti che per qualsiasi cosa potrai sempre contare su di me.
Annuì, sorridendomi e mormorando un "grazie", ma non lo vedevo ancora convinto.
Sbuffai ―Coraggio, Danny. Se pure venissi rifiutato, non sarebbe la fine del mondo― mi guardò malissimo, come a dire che non stavo migliorando la situazione. Lo ignorai e continuai ―Restereste amici, anche se non come prima, ti sentiresti uno schifo per un bel po', poi la vedrai con un altro e tenterai di ucciderlo, ti renderai conto della figura di merda che avrai fatto e...
―Drea! Non mi stai aiutando!
Sbuffai, di nuovo ―Se mi lasciassi finire... volevo dire che alla fine andresti avanti, ti passerebbe. Smetteresti di soffrire e ti innamoreresti di un'altra.
La paura nei suoi occhi piano piano si dissolse, sostituita da rassegnazione. Così era e così sarebbe stato ―Hai ragione.
―Fa sempre piacere sentirselo dire― dissi sorridendo ―Ora, tutto questo discorso non vuol dire che non devi nemmeno provarci, anzi.
Vidi Danny annuire, leggermente più convinto.
―Bene. Allora io vado a dire agli altri di dare 'sti regali, okay?
Annuì di nuovo.
―Vedila così: sempre meglio che una dichiarazione pubblica, come ti avrebbe costretto a fare Giò― lo vidi sorridere, leggermente più rilassato. Lo lasciai con un sorriso, mentre mi facevo largo a suon di spintoni tra la folla.
Bicchieri a terra, cibo, di tutto.
Un vero e proprio porcile, ma non mi meravigliavo più di tanto.
Vidi in lontananza Giò che parlava ancora con Daria. Poco più a destra di loro, Mary stava parlando con alcuni suoi compagni di classe, tra cui Roberto.
Sparsi un po' la voce che bisognava dare i regali. A tutte le domande "e la torta?" risposi che l'avremmo mangiata dopo. Mi inventai che c'erano un paio di ragazzi che dovevano andarsene e, bene o male, credo che tutti afferrarono la notizia. Dovevano prendere i loro regali.
In tutta quella gente, però, non avevo ancora visto né Rick, né Tea.
Strappai, a malincuore, Giò da Daria, e lo incaricai di radunare tutti e farli tacere, per dare inizio allo scarto dei regali, mentre io cercavo quei due.
Dopo delle lievi proteste, Giò si convinse ad aiutarmi, anche con l'aiuto di Daria, che si era offerta di dargli una mano.
In tutto il piano inferiore non c'era traccia dei due. Setacciai ogni angolo del piano terra, ma niente. Probabilmente erano sopra a prendersi una pausa da quel baccano. Mi feci strada di sopra, con una strana sensazione al petto che non seppi identificare.
Arrivata in cima alle scale optai per la camera di Mary, ma non li trovai. Non erano nemmeno nel bagno. Restavano la camera da letto dei genitori di Mary, che erano usciti, sotto nostro ordine, e una piccola cameretta che usavano per gli ospiti.
Cercai in quella.
Aprii la porta di scatto, senza pensarci, senza pensare a cosa mi sarei dovuta aspettare. Non avevo preso in considerazione molte ipotesi, anzi nessuna. E, tanto meno, avevo immaginato che lui e Tea potessero fare quel che stavano facendo.
Mi bloccai sulla soglia. Rimasi quasi un minuto boccheggiando in cerca d'aria, mentre cercavo di capacitarmi della scena che mi si presentava davanti agli occhi. Rick era seduto sul letto, con Tea seduta in braccio. Aveva le mani intorno alla sua schiena, mentre quelle di lei stringevano il collo di lui, e si stavano baciando.
No, baciare non era esattamente il termine più appropriato. Stavano proprio limonando.
Con me si era fermato anche il cuore per un attimo. Quando ripresi a respirare e pensare cose coerenti alla situazione, quello riprese a battere.
Stavo per richiudere la porta, per andarmene e lasciarli in pace, quando urtai una sedia, emettendo un rumore sordo. 






*Here we go again*


hola genteee. c:
come va la vita? io sono stata malata in questi giorni, così ho potuto scrivere un capitolo un po' più lungo.. 
beh, spero vi sia piaciuto. sto facendo durare questa festa all'infinito, lo so. perdonatemi.
ma passiamo al dunque. 
mi volete uccidere. vi capisco, mi ucciderei anch'io.
allora? che ne dite di Tea e Rick? Tanto lo so che li odiate insieme, credo. lol
beh, doveva pur succedere qualcosa, no? altrimenti non c'era sfizio. 
aanywayyy, del vestito? che mi dite? la verità era che non sapevo cosa inventarmi per Tea, e ho pensato di creare questa coincidenza.. 
che altro dire? ah, sì! Danny. la povera Drea ci ha provato a farlo stare tranquillo, ma è troppo in ansia. cvdgbxhjcvdbsh
tutti i ragazzi dovrebbero essere emozionati in queste situazioni. ewe
e Giò? credete che possa succedere qualcosa con Daria? ditemi se vi piace, se no mi invento qualcosaa. 
direi di avervi annoiate abbastanza.
mi dileguo. 
questa è una nuova os che ho scritto, se vi va di passare a dare un'occhiata..
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1529615&i=1
bene, vado.
livia. c:

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 
 

 
Capitolo 14 




Il primo pensiero che i miei neuroni riuscirono ad elaborare fu «Ma porcaputtanaeva, cazzo faccio mo'?»
La finezza, come potete ben vedere, non mi abbandonava nemmeno nei momenti più critici. Ovviamente, essendo io stata baciata dalla sfiga e proclamata regina di tutti gli sfigati, dovevo fare la mia parte anche lì. Sarebbe stato troppo semplice uscire da quella fottuta stanza in silenzio, così com'ero entrata, senza farmi notare, giusto?
La fortuna è cieca, dicono, ma la sfiga, quella ci vede meglio di un falco. Funziona sempre così: io, povera sfigata, desideravo essere notata alla festa, magari anche solo ricevere un complimento e, in un subdolo e contorto modo, ero stata accontentata. In un certo senso, infatti, ero stata notata. Forse non da chi volevo, o nel modo che preferivo, ma ero stata notata. Ne ero certa. Come lo sapevo? Beh, le due paia d'occhi puntati su di me, come quelli di un rapace che punta alla vittima, potevano esserne una prova.
La seconda cosa coerente alla situazione, priva di bestemmie, che pensai, fu il desiderio di sparire nel nulla. In quel preciso istante, avrei voluto essere Harry Potter ed usare il mio super mantello dell'invisibilità, oppure una qualche runa che rende invisibili, come quelle che usavano gli Shadowhutners.
La mia prima reazione fisica, fu quella di riprendere a muovermi. Mi resi conto, infatti, di essere rimasta paralizzata in quella stessa posizione, con gli occhi strizzati e la bocca formante una smorfia poco graziosa, per tutto il tempo. Probabilmente nel mio subconscio speravo che restare immobili e chiudere gli occhi come se nulla fosse mi avrebbe resa invisibile. Povera illusa.
Mi consolai, notando che non ero l'unica in imbarazzo in quel buco di stanza. I due ragazzi davanti a me erano sbiancati. Appena avevano sentito il rumore si erano voltati, spalancando gli occhi e separandosi, come qualcuno colto in fallo mentre si fregava l'ultimo biscotto al cioccolato.
Mentre Tea abbassava il capo, il pallore sostituito da un forte color porpora, Rick diede segni di voler prendere la parola, per spezzare l'imbarazzante silenzio che si era creato. O almeno ci provò. Io aprii la bocca un attimo prima della sua, cercando freneticamente qualcosa da dire.
―I-io... tu, lei, ehm, voi... e-e io...― rendendomi conto di star solo apparendo ridicola, cercai di calmarmi. Presi un bel respiro, organizzai la frase e, infine, la esposi a parole ―Mary. Di là. Persone. Danny. Cibo. Ciao.
Non era esattamente una frase, ma se la sarebbero fatta bastare. Mi dileguai dalla stanza pochi attimi dopo, alla velocità di Saetta Mcquinn.
Mi resi conto di essere riuscita a spiccicare sette parole senza balbettare, interrompermi o scoppiare in lacrime.
Scoppiare a piangere, sì. Ad essere sinceri, non avevo esattamente voglia di piangere. Forse di urlare, ecco, ma non di piangere. Se avessi voluto piangere avrebbe significato che mi importava qualcosa di ciò che avevo visto. Ma non era vero, no. Non ero dispiaciuta, delusa, sconvolta o altro dal loro comportamento. Beh, forse sconvolta sì, ma, insomma, chi non lo sarebbe stato?
Nonostante la mia mente dicesse una cosa, non potevo ignorare le reazioni del mio corpo, che doveva avere qualche malfunzionamento ai condotti lacrimali. Sì, doveva esserci qualche cosa che non andava. Forse ero raffreddata, o forse la polvere mi aveva fatto allergia. A volte mi lacrimavano gli occhi quando avevo la febbre. Forse, allora, ero malata. Sì, doveva essere così. Non avevo certo tempo di misurarmi la febbre o di star male. Era ancora il compleanno di Mary.
Mi girava la testa. Barcollando arrivai al bagno. Mi sciacquai la faccia, mi sistemai i capelli e mi convinsi di stare alla grande. Leggermente più calma e lucida uscii dal bagno. Era strano. Mi sembrava tutto surreale. Le voci le percepivo distanti, gli odori più dolci, le gambe formicolavano e tremavano. Mi sembrava di avere tanta ovatta nella testa. Era talmente tanta che non entrava più e cominciava a fare pressione sulle "pareti" della mia mente. Sarebbero scoppiate da un momento all'altro.
―Drea! Eccoti, finalmente! Non ci speravo più!
Mi voltai subito a destra, da dove proveniva quella voce familiare che però non seppi distinguere. Un Giò sorridente e pimpante come un folletto spacciatore di caramelle mi venne incontro, posandomi un braccio intorno alle spalle e trascinandomi a forza in salone.
―Dov'eri finita?― mi chiese mentre camminavamo.
Forzai un sorriso e risposi che stavo cercando le ultime persone. Non nominai né Rick, né Tea. Non avevo bisogno di ricordarmi dell'imbarazzo e stordirmi ancora di più.
Sentii Giò sbuffare e fermarsi di botto, facendo, di conseguenza, bloccare anche me. Con questa frenata brusca ed improvvisa, naturalmente, pestai il piede ad una ragazza, che mi guardò truce, per poi andarsene. Lo stesso sguardo che era stato rivolto a me, lo riservai a Giò, in una muta domanda: "che cazzo fai?"
―Domanda: che ti è successo?― fece lui, ignorando completamente la mia espressione incazzata.
Deglutii a disagio, spiazzata da quella domanda. In fondo dovevo aspettarmela, oltre ad essere il mio migliore amico, Giò osservava e analizzava tutto, notava ogni singolo cambio d'umore delle persone, soprattutto mio.
―Niente, te l'ho detto― abbozzai un sorriso falso come quello di una barbie e mi smaterializzai alla velocità della luce.
Se prima non ne era certo, adesso aveva le prove che era successo qualcosa. Dovevo solo stare attenta a non fargli scoprire cosa.
Distrarmi era un ottimo metodo per dare l'impressione che non fosse successo nulla, così mi dedicai alla ricerca della festeggiata.
 
Dopo aver rovesciato salone e cucina in cerca di Mary, erano già passati quaranta minuti e gli invitati si erano dispersi di nuovo per la casa, avendo realizzato che non c'era nessuna torta. Avevo sbagliato io. La cosa migliore da fare sarebbe stata mettere la torta al centro della casa e gli invitati sarebbero accorsi in pochi minuti. Certo, cacciare la torta senza prima pescare la festeggiata era un po' incoerente, ma qualcosa mi diceva che Mary avrebbe ucciso pur di non perdersi gli auguri cantati in coro. Una persona normale odia più di tutte quella parte del suo compleanno: l'imbarazzante e spacca-timpani momento del coretto di auguri. Certo, era una cosa molto carina, ma quando sei tu a cantare. Restare ad ascoltare una trentina di persone che urla a squarciagola quella canzoncina da quattro soldi fissandoti non è di sicuro piacevole. Marilù non era mai stata una persona normale.
Per quanto rischioso, decisi di tentare. Raccolsi Daria da qualche parte mentre ballava e la trascinai di peso in cucina. Non aveva ancora realizzato granché quando la mollai ed iniziai a metterle in mano un vassoio.
―Drea, ma che...?
―Portiamo la torta― risposi ancor prima che terminasse la domanda.
―Tutto bene?― mi chiese poi, studiandomi con i suoi caldi occhi marroni.
Scrollai le spalle e sorrisi gioiosa ―Certamente!
―Sei un po' strana...
―E quando non lo sono?
―In effetti..
Conclusi la bizzarra conversazione con una risatina nervosa, per poi dare le spalle alla mia amica e ficcare la testa nel frigo.
Non fu difficile individuare la torta. Era talmente grande da occupare metà del frigorifero, e sembrava un enorme confetto rosa.
Non era esattamente bella e appariscente come quelle de "Il Boss Delle Torte", ma aveva il suo fascino. Un fascino costituito da fiocchi gialli, caramelle multicolori, glassa rosa, panna montata, cioccolato e pandispagna. Non potevo essere certa della provenienza, ma pregai tutti gli dei dell'Olimpo che Giò e Rick non l'avessero comprata in un posto indecente, o peggio, che non l'avessero fatta loro. Danny si era occupato di coordinare le decorazioni, da quanto avevo sentito si era proclamato capo dell'organizzazione e supervisionava tutti a bacchetta. Sorrisi sotto i baffi all'idea di un Danny in versione sergente dei Marines.
A suon di spintoni e grida io e Daria riuscimmo a portare la torta intatta fino al tavolo. Non potei dire di aver abbandonato la mia reputazione di Miss Finezza, però. Forse avevo leggermente esagerato con le parole, ma se non avessi urlato come avevo fatto forse non ci saremmo nemmeno arrivate al tavolo, per non parlare della torta.
Come avevo predetto, in men che non si dica, una ventina di persone si riunì intorno al tavolo, sgomitando per essere più vicino. L'unico problema, era che mancava l'unica ragazza necessaria in quel momento. Aguzzai la vista per cercare con gli occhi la mia amica, ma non la vidi. Scorsi distrattamente Giò che parlava con Rick, Tea che se ne stava un po' in disparte a chiacchierare con una sua amica e Daria che chiedeva in giro di Mary. Non potei evitare di ricordare la scena dello sgabuzzino, e pregai che Rick e Tea non ne stessero facendo parola con nessuno.
Ancora una volta, chiesi a Daria di tenere a bada gli invitati, promettendole che sarei tornata in un lampo.
Quella ragazza era una santa. Io al suo posto mi sarei rifiutata.
Buttando via la gente senza ritegno, mi lanciai alla ricerca di Danny e Mary. Mi accorsi, infatti, che la festeggiata non era l'unica a mancare all'appello. Il buon senso e gli errori di un passato per nulla remoto, avrebbero dovuto farmi insospettire, o come minimo farmi riflettere prima di aprire porte a caso, senza bussare o chiamare per nome nessuno. Ma, ancora una volta, mi stupii della mia stupidità. Certo, la prima volta è sfiga, ma la seconda è imbecillità. Sì, esatto, ero una grande ottusa imbecille. Perché? Perché ero riuscita, per la seconda volta in una sola serata, a rovinare un momento intimo, a causa della mia coglionaggine. Quando aprii la finestra del balcone, mai avrei pensato di trovarci la mia migliore amica, per di più avvinghiata come una piovra ad uno dei miei migliori amici. Avendo ormai una certa familiarità con questo tipo di situazioni, non mi lasciai andare al panico. Sbuffai, palesemente infastidita dalla situazione. Per un momento mi passò un'ombra di commozione e intenerimento davanti agli occhi, ma fu solo un istante. Il secondo dopo, con molto poco garbo, li avevo presi per i polsi e li stavo strattonando in salotto.
Un coro di urla e applausi ci accolse, e mi sentii come dovette sentirsi Mosè quando separò le acque del Mar Rosso. Un mare di teste si spostò di lato al nostro passaggio. Non capii se il comportamento fosse dovuto alla presenza della festeggiata, alla tenerezza scatenata dalla coppietta, oppure dalla mia espressione intimidatoria.
Fatto sta, che arrivammo a quel benedetto tavolo, accendemmo di fretta e furia sedici candeline e diedi inizio al coretto come un maestro d'orchestra.
―Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Mary, tanti auguri a te!― e poi urla non meglio identificate piuttosto animalesche.
Scena ridicola, voci stonate come trichechi, luci offuscate che rendevano tutto più imbarazzante. Non mancarono i flash dei telefonini o delle macchine fotografiche. Riuscimmo perfino ad ottenere una foto di me, Mary, Danny, Rick, Tea e Daria intorno alla torta, alcune con solo me e Mary, altre raffiguranti la festeggiata in tutto il suo splendore ed un paio della coppietta novella.
Solo guardandoli scambiarsi un sorriso rischiavi il diabete, per non parlare dei momenti in cui amoreggiavano. Avevo preso più chili guardandoli con gli occhi a cuoricino, che mangiando la torta ipercalorica.
 
Mi sembrò di sentire gli angeli cantare quando, finalmente, gli invitati cominciarono a sloggiare. Avevo un mal di testa che riusciva solo a farmi pensare ad un martello pneumatico costantemente acceso contro miei neuroni.
―E con questi abbiamo finito― dissi chiudendo la porta dietro ad un gruppetto di ragazzi e ragazze della classe di Mary, che si erano finalmente decisi ad andarsene. Rimanevamo solo noi sette.
Nessuno mi ascoltò.
Danny e Mary erano troppo impegnati a mangiarsi la faccia a vicenda. Distolsi lo sguardo con una smorfia. Non che non fossi al settimo cielo per loro, anzi, ero felice che Danny si fosse finalmente tolto quel peso inutile. Ma credo che nessuno ami assistere ad uno spettacolo del genere, specialmente quando sono i tuoi migliori amici a darci dentro.
Giò era preso in un discorso sul programma "I Simpson" con Daria, e non dava segni di voler lasciare andare la ragazza. Non che quest'ultima non fosse felice di parlare con lui. Erano teneri anche loro. Si mangiavano con gli occhi, ma timidi com'erano, non l'avrebbero ammesso nemmeno sotto tortura.
Forse, però, con una buona tecnica sarei riuscita a strappare qualcosa a Daria. Con Giò non mi sarei nemmeno dovuta applicare tanto. Non poteva nascondermi nulla lui.
Spostai lo sguardo sulla figura slanciata di Tea che, un po' in disparte, parlava a telefono con la madre. Non poteva più restare a dormire perché la sorellina stava poco bene e i genitori erano fuori città. Stranamente, non mi dispiaceva più di tanto.
Infine, con la coda dell'occhio, diedi una breve occhiata in giro, in cerca di Rick. Quando non lo vidi nei paraggi decisi di andare in cucina a prendere un bicchiere d'acqua.
Ma, come si dice, pensi al Diavolo e spuntano le corna.
Avrei dovuto aspettarmi di trovare Rick in cucina.
Non solo per la solita sfiga che mi perseguitava, ma anche perché non c'erano molti posti in cui poteva nascondersi.
A meno che non stesse pomiciando con qualcun'altra nella stanzetta degli ospiti, lì doveva essere. E, infatti, gli andai a sbattere addosso, facendomi rovesciare addosso dell'acqua.
Feci una smorfia osservando la macchia che si allargava sul vestito, all'altezza del ventre.
Nulla di che, era solo acqua.
―Oh, scusa!
―Nah, fa nulla, è solo un vestito― sminuii il tutto con un gesto incurante della mano.
Restammo qualche minuto in silenzio, studiando attentamente le curiose forme del pavimento. Ovvero, dei particolari rari speciali rombi. Figure insolite quelle, eh, sì.
Ad un certo punto decisi che ne avevo abbastanza della geometria e mi spostai verso il frigo, in cerca dell'acqua per la quale ero andata in cucina.
―Ehm, Drea... noi.. credo che noi dovremmo parlare― iniziò Rick mentre versavo l'acqua nel bicchiere.
M'irrigidii a disagio. Quel che era successo era successo. Non doveva spiegarmi nulla. Era grande e vaccinato e aveva tutto il diritto di far quello che voleva... e allora perché avevo voglia di scappare in camera mia e gettarmi sul letto per piangere?
Ignorai quell'improvviso assurdo pensiero e mi affrettai a rispondere ―Non abbiamo nulla da dirci.
Voce troppo acuta. Me ne accorsi vedendo una smorfia di dolore delinearsi sul volto di Rick, e le sue mani posarsi sulle tempie e massaggiarle, gli occhi chiusi per rilassarsi.
Mi accorsi che anche la voce suonava stanca e velata, come se fosse un po' brillo.
―Drea.. per quello che hai visto.. io.. insomma, non stavamo facendo nulla..
Non lo lasciai finire ―Stavate facendo una cosa normale, Rick. Non devi spiegarmi nulla, anzi, non capisco perché ti stai facendo problemi.
Non sapevo da dove derivava quella fermezza di voce e quella determinazione, non balbettavo nemmeno. Preferii non farmi troppe domande e andarmene, prima di esplodere e perdere quell'apparente sicurezza.
Tornai nell'ingresso, notando che Tea se n'era già andata, troppo imbarazzata per salutarmi. Di sicuro aveva destato sospetti, infatti Mary mi rivolse uno sguardo che diceva "dopo mi spieghi tutto".
E l'avrei fatto, lo sapevo.
Giò, Danny, Daria e Rick se ne andarono insieme poco dopo.
Ovviamente, le mie preghiere erano state vane, e Rick aveva spifferato tutto a Giò.
Il sopracitato mi abbracciò prima di andarsene, facendo durare l'abbraccio qualche secondo in più.
Il tempo per parlarmi senza che nessuno potesse sentire, ed infondermi coraggio e sostegno ―Non ci pensare.
―Non lo sto facendo.
―Bugiarda― sospirò, stringendomi un'ultima volta ―domani ne parliamo meglio.
Sbuffai sorridendo. Ero tranquilla e serena, e doveva capirlo anche lui. Se riuscivo a convincere lui, forse me ne sarei convinta anch'io.
Salutai Danny con una pacca sulla spalla e un occhiolino. Noi due ci capivamo. Mi sorrise, cercando di nascondere quelle tracce di nervosismo, entusiasmo e imbarazzo che ancora gli circolavano nelle vene, e mi scompigliò i capelli.
Riuscimmo in qualche modo a buttarli fuori dalla porta d'ingresso. Li salutammo un'ultima volta e poi chiudemmo la porta.
Sospirai, pregando che quella giornata finisse.










*SI INGINOCCHIA E IMPLORA PERODNO*



Davvero, sono mortificata. mi dispiace. non aggiorno da.. da.. da qualche secolo, ecco. ewe
mi dispiace moltissimo, è che mi è sempre mancato il tempo e l'ispirazione.
per farmi perdonare pubblicherò appena posso anche un extra sulla dichiarazione di danny e il loro momento intimo interrotto da Drea. cc':
beh, per il resto che ne pensate? allora, è degno di voi? mi sono fatta perdonare? no, di sicuro non basta. ma prometto che cercherò di aggiornare il più presto possibile. lol
continuate a dirmi che ne pensate che a me aiuta solo avere le vostre opinioni ed idee. gvhcj
GRAZIE, come sempre, a tutte quelle che mettono la storia tra le preferite/seguite/ricordate e recensiscono. io. vi. amo.
seriamente, sto pensando di diventare mussulmana e sposarmi 546378 volte. c':
adesso vado,
grazie e scusate,
-l.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 





Capitolo 15 (Danny & Mary)
 
 
 
 




«Coraggio, Danny. Sai ancora respirare. Ispira, espira, ispira, espira. Ora, conta fino a dieci e respira piano.»
Dimenticai quei pensieri all'istante guardando Mary ballare insieme a delle amiche. Era... semplicemente bellissima. Come sempre, d'altronde. Fanculo.
Fanculo alla calma, non ci riuscivo. Nemmeno ricordavo cosa si provava ad essere calmi. L'unica cosa che riuscivo ad elaborare e di cui ero sicuro, era che dovevo riscoprirlo.
Le mani erano ormai delle caldaie in perdita, per quanto sudavano, le gambe potevano benissimo passare per quelle di qualcuno che stava congelando al polo nord, per quanto tremavano. Lo stomaco aveva deciso di scatenarsi su una pista da ballo immaginaria, ma sfortunatamente non si stava esibendo in una rilassante danza classica, anzi. Sembrava un misto tra hip-hop, moderno e qualsiasi altra danza che implicava movimenti contorti e rapidi. Il cervello, o quello che ne rimaneva, non riusciva a formulare la più semplice delle frasi. Nessun pensiero coerente alla situazione vagava nella mia mente al momento. Ma a quello ero abituato. Mi succedeva circa ogni volta che la vedevo. La parte peggiore, con cui avevo comunque già avuto esperienze, era un piccolo organo, a forma di pera credo, situato in alto a sinistra, nel petto. Quel fottuto cuore drogato di extasy aveva deciso di farmi morire d'infarto a soli sedici anni. Dio solo sa quante bestemmie stavo mandando a quella cosa pulsante.
Ma non dovevo pensarci. Perché io dovevo calmarmi. Dovevo respirare.
«Ispira, espira, ispira, espira, ispira...»
Birra. Avevo bisogno di birra.
Mi diressi in cucina, distogliendo gli occhi a malincuore da quella visione.
A fatica riuscii ad aprire il frigorifero, sforzandomi di tenere ferme le mani e non farle tremare. Non c'era molto da cercare, in quanto era praticamente vuoto. Tutto il cibo e le bevande erano in giro per casa o sul tavolo in salotto, erano rimaste solo alcune lattine di coca-cola, polpettone e sottilette. Considerando che solo a pensare al cibo mi veniva la nausea, optai per una coca.
―E che cazzo, sti bastardi mi dovevano proprio finire la birra? Stronzi...― iniziai a borbottare, versando la coca distrattamente.
―Danny!
Quella voce l'avrei riconosciuta ovunque. Troppo acuta per appartenere a una persona normale, troppo esagitata per essere di qualche mio amico, tranne una. Mi voltai incazzato giusto in tempo per vedere Drea corrermi incontro.
Non sembrava né incazzata, né in ansia per qualcosa. Aveva un'espressione fin troppo calma per il suo solito. Stonava leggermente con l'idea che negli anni mi ero fatto di lei. La conoscevo bene, non era troppo complicata, ma nemmeno semplice. Con lei era facile distinguere i veri amici da tutti gli altri. Le persone, i conoscenti, coloro che non si disturbavano troppo a studiarla, la vedevano come una ragazza forte, allegra e isterica. Noi, quelli che c'erano sempre, la conoscevamo davvero. Era forte, sì, ma anche fragile, nonostante non le piacesse ammetterlo. Così come non le piaceva mostrarsi scoraggiata, nonostante lo fosse alcune volte. Isterica invece lo era davvero. Sempre e comunque.
Proprio per quello quasi mi preoccupai vedendola avvicinarsi con un'espressione da cucciolo.
Stranamente però, riuscì a tranquillizzarmi.
―Allora? Quando hai intenzione di farlo?
Sapevo esattamente cosa intendeva con quella domanda. E apprezzavo il tatto con cui aveva pronunciato quelle parole, tentando di non innervosirmi ulteriormente. Sentivo di star per avere un collasso per quanto respiravo affannosamente.
Provai a rilassarmi per davvero, e risposi. Il mio "piano" prevedeva di trascinarla da parte al momento dei regali, darle il mio e "dichiararmi". Non mi piaceva quella parola. Sapeva troppo di diabete. E, inoltre, alla parola "dichiarazione" ci si associavano sempre le parole "amore", "bacio", "fidanzato". Insomma, dove stava scritto che sarebbe andato tutto bene? Chi me lo assicurava?
«Danny, non stai migliorando la situazione»
No, non lo stavo facendo.
Mi aspettavo le rassicurazioni di Drea da un momento all'altro, e, infatti, non tardarono ad arrivare.
Quella moretta per quanto potesse sembrare  assurda mi capiva, capiva tutti noi, quasi sempre, quasi alla perfezione. Solo che lei, al contrario di Rick, non ti si piazzava davanti e insisteva perché tu ti sfogassi, né dava troppi consigli. Era troppo incerta di sé stessa per darne. Ma, alcune volte, ci provava, e aiutava lo stesso.
Quella era una di quelle volte.
Era decisamente scontato quello che mi stava dicendo. Le solite quattro cazzate. "Non devi preoccuparti", "lei ti accetterà", "le piaci", "non hai nulla per cui non potresti piacere". Certo, erano bellissimi  complimenti, ma in quel momento me li facevo fritti. Cazzoculo che me ne poteva fottere se ero carino e piacevo?! Io non volevo piacere e basta. Io volevo piacere a lei. Ed era molto diverso. Era tutto diverso.
Non mi disturbai a ringraziarla e la lasciai andare avanti. Non l'avessi mai fatto.
Iniziò con il tipico discorso "se pure succedesse che..", il quale non portava mai a nulla di buono, era risaputo. Era una sorta di consolazione in caso dovesse andare male. Meglio prevenire che curare, infondo.
Le lanciai uno dei miei peggiori sguardi intimidatori e incazzosi, ma nulla. Continuò.
Certo, lei la faceva facile. Al massimo non saremmo stati più amici come prima, al massimo sarei stato male per un po', male che andava ero geloso di lei e del suo tipo, nel peggiore dei casi facevo una figura di merda.
Ma era sempre tutto un "nulla di che", certo.
―Drea!― la richiamai ringhiando, sperando di intimorirla quel che bastava per farla smettere.
Non mi stava aiutando, e se continuava sarebbe stata lei ad aver bisogno di aiuto.
Sbuffò ―Se mi lasciassi finire... volevo dire che alla fine andresti avanti, ti passerebbe. Smetteresti di soffrire e ti innamoreresti di un'altra.
Cruda, schietta, immancabile, inevitabile realtà. Schifosamente vera, frustrantemente immutabile.
Sapevo che nel peggiore dei casi sarebbe andata così. Sarei stato male, molto male, per un po'. Ma alla fine sarebbe passata.
Il problema era che io non volevo che andasse nel peggiore dei casi, ovviamente. Non volevo che alla fine mi passasse quella... cosa che provavo verso Mary. Era la sensazione più bella che avessi mai provato, per quanto difficile da gestire. Mi piaceva avere qualcuno da amare, qualcuno da guardare di nascosto, qualcuno a cui fare una sorpresa, qualcuno da abbracciare e coccolare, qualcuno a cui pensare in ogni momento della giornata. Dava un calore all'altezza dello stomaco che mai avrei voluto abbandonare. Solo a pensarci mi sentivo male.
Ma aveva ragione lei. Strano a pensarlo, inquietante a dirlo ad alta voce, ma aveva ragione.
Drea si dileguò poco dopo dicendo che avrebbe fatto in modo che i regali sarebbero stati aperti il prima possibile, e dicendo qualcosa a proposito di Giò che dimenticai subito dopo averlo sentito.
Per quanto volessi levarmi quel peso, non potei fare a meno di sentirmi in ansia, di nuovo.
Le sorrisi e la guardai andare via.
Respirai a fondo, cercando di sgomberare la mente da tutto e tutti. Ci riuscii per circa mezzo secondo. Poi immagini, parole, pensieri e paranoie si fecero breccia tra il silenzio della mia testa sfondando le porte che li chiudevano fuori.
Sospirai, rassegnato all'idea che la quiete non facesse per me.
Decisi che era inutile rimandare, e visto che Drea era sparita chissà dove, dovevo agire.
Trovare Mary non sarebbe stato troppo difficile, sfortunatamente. Iniziai quindi a pensare a cosa le avrei detto, come mi sarei avvicinato all'argomento, se avrei fatto qualcosa di romantico. Mi persi ad immaginare le sue labbra sulle mie...
―Danny?
―Eh?― mi avevano chiamato? Mi voltai verso la voce e mi pentii amaramente di essermi distratto.
Cazzo. Merda. Fanculo. Porca puttana Eva. Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Come cazzo avevo fatto a non accorgermi che era dietro di me da un pezzo? E lei si era accorta che stavo praticamente sbavando? Da quanto era lì? Mi aveva provato a chiamare più volte? Avevo detto qualcosa mentre ero "incosciente"? Cazzo.
―Ah, ciao Mary!― dissi in preda al panico. Che le dicevo ora? Era rischioso, ma dovevo sapere... ―Ehm, Mary, ma... ho mica detto qualcosa mentre eri qui?
Il mio sorriso da povero scemo la divertì parecchio, o forse erano le minchiate che avevo sparato. Sta di fatto che rideva. E io amavo vederla ridere.
―Oh, sì, hai detto qualcosa...― lasciò in sospeso la frase, fingendo di pensarci su quando invece lo ricordava benissimo. Mi voleva solo far prendere un infarto la diavola. Aveva imparato tutto da me. Non era così stronza una volta. Probabilmente la mia espressione preoccupata la spinse a parlare ―mi sembrava fosse "oh, Mary come sei bella", o qualcosa del genere, non ricordo.
«Calma. Danny, respira. Ti ricordi come si fa, no? Abbiamo ripassato prima.. Inspira, espira.. Oh, ma vaffanculo! Parlo anche da solo!»
Dopo la mia interessante conversazione con me stesso. Mi resi conto di essere rimasto fermo come un coglione, a bocca aperta, occhi spalancati e la faccia distesa in una smorfia che diceva tanto: "dimmi che è uno scherzo, ti prego". Molto dignitoso come messaggio telepatico, sexy direi.
Sì, dovevo proprio far venire voglia di stuprarmi un quel momento, per quello Mary stava ridendo piegata sulle ginocchia. Doveva essere di sicuro per quello perché...
Un momento. Mary stava ridendo. Perché Mary stava ridendo?
―Scherzavo! Vedessi la tua faccia... Sembra che hai appena visto un fantasma!― disse tra una risata e l'altra. Tirai un sospiro di sollievo e i battiti pian piano si calmarono. Mi aveva fatto perdere dieci anni di vita con quella sua stronzata. Ma non era colpa sua, lei non poteva sapere che ad ogni suo sguardo morivo dentro, ad ogni suo sorriso precipitavo da una scogliera, ad ogni parola sentivo un coretto angelico alquanto imbarazzante. Tutta colpa del cuore. Stronzo di merda.
―Lo trovi divertente, vero?― annuì, ancora ridendo. Si era messa anche a lacrimare la spiritosa. Bastarda ―Vediamo se riesco a divertirmi anch'io...
La sua espressione cambiò immediatamente. Gli occhi persero ogni traccia di divertimento quando feci un passo verso di lei, al secondo si era immobilizzata e i segni delle risa erano scomparsi del tutto. Al terzo la vidi trattenere il respiro.
Mi piaceva avere quell'effetto su di lei. La vidi arrossire e distogliere lo sguardo dal mio. Mi sembrò esageratamente tenera, delicata, insicura.
Era bella anche quando arrossiva, ovviamente, e sapere che arrossiva a causa mia non solo rendeva lei più attraente ai miei occhi, ma rendeva anche me più sicuro.
Io le piacevo. Doveva essere così. Dovevo convincermene. Lei arrossiva e si vergognava perché le piacevo, ne ero certo. Dovevo esserne certo.
―C-che fai?― balbettò, senza azzardare un passo.
Risposi istintivamente ―Ti mostro il mio regalo. Girati e chiudi gli occhi.
Obbedì senza protestare e prima che potessi cominciare a farmi pippe mentali e problemi vari e quindi diventare insicuro, tirai fuori la custodia dalla tasca posteriore dei jeans scuri. L'aprii e ne tirai fuori la collanina con appesa la lettera "D". Deglutii nervoso e le scostai delicatamente i capelli biondi setosi. Erano morbidi e lucenti, sembravano invitarti ad essere scostai dal collo. Quest'ultimo poi diceva chiaro e tondo "baciami".
Non me lo feci ripetere due volte e accompagnai la chiusura della collanina con un bacio.
La sentii sussultare e rabbrividire. Sorrisi con ancora le labbra sulla sua pelle ―Apri gli occhi.
Lo fece, me ne accorsi da come prese la collanina in mano e aprì la bocca, lasciando fuori uscire il fiato che aveva trattenuto.
―Oh Dio, Danny... è... è meravigliosa.
Sorrisi. Mi accorsi di aver trattenuto il fiato anch'io, desiderando ardentemente di ricevere un commento positivo. Le era piaciuta. Le avevo fatto un bel regalo. Sospirai di sollievo, per poi far ricadere il silenzio.
Non sapevo cosa dire. Avrei dovuto dire qualcosa?
Prima ancora che le solite migliaia di domande mi assalissero, agii, guidato esclusivamente dall'istinto maschile. Tornai a depositare leggeri baci su collo, risalendo alla mandibola. Le mie mani mi accorsi che si trovavano salde sui suoi fianchi già da un po', a disegnare piccoli cerchi con i pollici. Mary era ormai passiva, si lasciava fare tutto, e lo interpretai come un buon segno, così la voltai verso di me, scoprendola con gli occhi socchiusi. Non potei trattenere un sorriso compiaciuto.
Questo fu spazzato via dall'intensità dello sguardo che mi rivolse poco dopo, il quale mi spinse ad avvicinarmi sempre di più, lasciando sempre meno spazio tra di noi. Vidi le sue palpebre cominciare a socchiudersi, seguite a ruota dalle mie. Ormai non avevo bisogno di vedere, essendo lei a meno di cinque centimetri da me.
Mancava poco. Sentivo il suo respiro caldo sulle labbra. Il mio cuore aveva preso a galoppare senza sosta e mi sentii rassicurato quando capii che non era l'unico. I nostri battiti si armonizzarono. Era tutto silenzioso, troppo, considerando che avevamo una festa caotica intorno, ma non ce ne accorgevamo. O almeno io non sentivo nulla se non i suoi sospiri e i battiti dei nostri cuori.
Un rumore di una porta che di apriva ci fece spalancare di colpo gli occhi. Ci allontanammo istintivamente, rossi in viso, sia per il calore di poco prima, sia per l'imbarazzo.
―Oh, ehi... ragazzi, scusate il disturbo... non pensavo che.. insomma..
Scossi la testa disperato. Poteva mai essere che ero tanto sfigato? La disperazione fu però presto sostituita dalla rabbia e dagli istinti omicidi verso quel ragazzo ―Andre, hai due secondi per uscire. Poi ti uccido.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, infatti si dileguò terrorizzato.
Ma tanto ormai la magia si era spezzata e tra noi c'era solo un silenzio imbarazzante. Maledii quel ragazzo in tutte le lingue che conoscevo, inventandone anche qualcuna.
Mary si schiarì la voce, voltandosi dall'altro lato e facendo per andarsene.
Prima ancora di realizzare cosa stessi facendo, l'afferrai per un polso, bloccandola. Non volevo che se ne andasse.
―Non andare..
―Perché?
―Perché... perché ti voglio qui.
Arrossì e deglutì nervosamente un paio di volte. Non si mosse. Capii che se volevo concludere qualcosa dovevo farlo io. Lei era troppo timida per farlo. Ma mi piaceva anche per quello. Mi obbligava a tirare fuori parti di me di cui nemmeno sapevo l'esistenza.
―Ti voglio qui, ho bisogno che tu non te ne vada, e che tu mi dica che non lo farai mai. Puoi assicurarmelo? Se no ti lascio il polso e potrai andartene. Ma devi decidere adesso.
Non pensavo di poter avere una voce così ferma e decisa in un momento come quello, ma non mi posi troppe domande, sperando di poterla avere ancora per un po'.
La vidi abbassare lo sguardo per un attimo, e mi preparai al peggio. Ma non mi diede nemmeno il tempo di demoralizzarmi e deprimermi, perché parlò.
―Credo... credo di voler restare― il suo sorriso timido contagiò me, e i nostri sorrisi si allargarono piano piano. Mi avvicinai di nuovo, tirandomi Mary contro il petto per il polso. Arrossì per l'ennesima volta, ma non mi dava fastidio, anzi. Mi rendeva più sicuro, tralasciando il fatto che era ancora più adorabile tutta rossa sulle guance.
Feci per baciarla, questa volta più sicuro, ma mi bloccò ―Forse è meglio andare di là..
Non contestai e mi lasciai trascinare mano nella mano fuori al balcone. Non lo sentii nemmeno il venticello freddo dell'autunno. Il calore dei nostri corpi era di gran lunga superiore. L'unica cosa a cui riuscii a pensare mentre finalmente la baciavo era che se quello era un sogno, non volevo essere svegliato. Le sue labbra erano morbide come le avevo immaginate, sapevano di cioccolato, forse perché ne aveva appena mangiato un po'. Le mie mani erano di nuovo sui suoi fianchi, le sue attorno al mio collo, che mi stringevano ciocche di capelli. Tra stomaco, cuore e mente ko, non ero decisamente nelle condizioni di pensare o dire nulla, ma riuscii comunque a riflettere sul fatto che era tutto troppo bello per essere vero. E se fosse stato un sogno? E se mi fossi svegliato realizzando di essere solo un illuso? Fortunatamente, o sfortunatamente, dipende dai punti di vista, le mie domande, come la mia sana slinguazzata, furono interrotte da qualcuno. Conoscevo solo una persona capace di interrompere due persone mentre si scambiavano effusioni. Solo una persona era capace di piombarti addosso con la grazie di un elefante in gonnella e interromperti mentre pomici con la tua ragazza.
―Drea! 









*lalalala*

ssalvee. cdgbhj c:
visto? ce l'ho fatta ad aggiornare e a postare una piccola parte tra i nostri due portatori di diabete prefeirti. vbhcn aww
insomma, sono o non sono carini? c':
certo, forse avrei potuto descrivere meglio il momento e tutto il resto, anzi, spero non ci siano errori. mi scuso se fa cagare, ma l'ho scritto di fretta e alle dieci di sera, e questo è il massimo che n'è uscito fuori.
beh, grazie per leggere e recensie siete grandiose. GRAZIE poi, anche a chi legge e basta. vi amo lo stesso tutte. cegbhj
vi amo, ma l'ho già detto. lol
spero di avervi fatte felici con questo piccolo capitolo su Danny e Mary, e prestoa avremo notizie degli altri due disgraziati. c':
a presto, notte, 
-l.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***











Capitolo 16
 
 
 
 



―Dobbiamo parlare― disse perentoria la mia migliore amica entrando in stanza. Sarebbe sembrata piuttosto autoritaria, se non fosse stato per quel pigiama rosa con gli orsacchiotti. Il tono di voce serio stonava un po' con l'immagine che mi si presentava davanti agli occhi, ma ero davvero troppo stanca per ridere.
Grugnii in risposta.
Sapevo benissimo che non si sarebbe accontentata di quella mezza risposta, ma mi si chiudevano gli occhi al pensiero di doverle spiegare tutto.
Non che non volessi, solo dovevo prima capacitarmene io stessa.
―Non fare quella faccia― mi ammonì Mary avvicinandosi ―già non ti sei tolta bene il trucco, poi con quell'espressione sembri un panda che si è appena rotolato nel fango ad agosto.
Mi lasciai scappare un risolino divertito. Mi chiedevo sempre da dove le prendeva quelle similitudini.
―Non credo tu sia nella posizione di criticare qualcuno, miss orsacchiotto― dissi alludendo al suo pigiama poco attraente.
―Hai qualcosa contro il mio pigiama di Victoria's Secret?
―E tu hai qualcosa contro i panda?
―No, e tu?
―No, né ho qualcosa contro Victoria's Secret. Sono piuttosto quelle che indossano i modelli che mi stanno sulle palle― dissi sfoggiando il mio miglior sorriso angelico.
Inarcò un sopracciglio ―Siamo troppo sexy?
―Davvero troppo― dissi, senza riuscire a trattenere un sorriso amaro e un tono risentito. Mi balenò in mente un'immagine di Tea con quel vestito indosso, senza che potessi fare nulla per impedirlo.
―Mi dici che succede?― esitai un attimo, per poi scoppiare quando sentii le braccia di Mary intorno alle mie spalle.
Non volevo piangere, anche perché non ne capivo il motivo, ma dopo una lotta estenuante per trattenere lacrime e singhiozzi, cedetti.
Non fu un pianto troppo lungo o disperato, solo liberatorio.
Ogni tanto faceva bene piangere, o almeno così mi diceva mia madre.
Non ci avevo mai creduto, e continuavo a non farlo, per quanto dovessi ammettere che mi sentivo meglio.
Dopo essermi sfogata del tutto, mi voltai verso Marilù. Era rimasta tutto il tempo stretta a me, ad abbracciarmi, senza muoversi o dire nulla.
―Se prima sembravi un panda, adesso assomigli un orsetto lavatore!
Ridacchiai, non potendole dar torto. Dovevo proprio essere un brutto spettacolo.
Mi andò a prendere una scatola di fazzolettini, di cui la metà la usammo per rimettere a posto la mia faccia. Non persi quell'aria da orsetto lavatore che non dorme da mesi, ma riuscii ad essere quantomeno presentabile. Più che altro, guardandomi in faccia invece che scoppiare a ridere ci si chiedeva che mi era successo. Lo reputavo un passo avanti. La ringraziai.
―Ora dimmi che è successo.
Feci una smorfia. L'idea di raccontare tutto, e quindi ammettere che forse, e dico forse, un po' ci ero rimasta male, non mi entusiasmava, anzi. Ma sapevo che prima o poi avrei sentito il bisogno di dirle tutto, quindi perché non levarsi subito il pensiero? Con quest'idea partii in quarta. Non mi diede nemmeno il tempo di finire la prima frase che esplose in un coro di intenerimento e gli occhi assunsero la forma di cuoricini. Tutto questo solo perché avevo nominato Danny e la sua ansia.
―Ohw, ma che dolce.. si preoccupava di non piacermi? Me lo immagino tutto preoccupato... che tenero, come faceva a pensare di non piacermi?
Attaccò con dei monologhi diabetici che solo una persona innamorata poteva elaborare. Anzi, rettifico, solo Mary innamorata poteva sfornarli.
La guardai con un sopracciglio inarcato e un espressione divertita ―Hai finito?
Come se l'avessi risvegliata da un sogno scosse la testa e si scusò ridacchiando, per poi tornare seria pronta ad ascoltarmi. La giustificai senza pensarci due volte. Non avrei potuto fare altrimenti. Era tenera, lo erano quei due insieme, e per quanto li invidiassi, non potevo arrabbiarmi con lei.
Sospirai e lasciai perdere, tornando a raccontarle il resto.
―... e li ho visti insieme che... insomma, sì, che pomiciavano― conclusi balbettando e gesticolando, con la voce più acuta del solito, tra l'altro. Segno evidente che mi importava fin troppo, a prescindere da quel che provavo a far sembrare.
―Oh, Drea, mi dispiace tanto― iniziò Mary con quel tono di voce e quell'espressione che tanto avevo desiderato di non ricevere. Era compassione, mista a dispiacere e compatimento. Io non volevo essere compatita. Essere compatiti faceva schifo. Non ce l'avevo con Mary per quello, perché forse, se mi fossi trovata al suo posto, avrei fatto la stessa cosa. Era con me stessa che ce l'avevo. Perché se qualcuno mi compativa significava che aveva visto qualcosa per cui dispiacersi. Mi era sembrato di essere abbastanza distaccata e disinteressata nel mio racconto, ma forse ero stata tradita dalla voce e dal pianto di prima.
―Quel bastardo traditore adesso mi sente! Come osa...
―Cosa? Come osa cosa, Mary?― la interruppi più bruscamente di quanto pensassi ―Io e Rick non stiamo insieme, né siamo mai usciti o altro, quindi, lui non ha fatto nulla di male, ne aveva tutto il diritto.
Inizialmente Mary strabuzzò gli occhi come se le avessi appena detto che sono lesbica, poi agli occhi si unì anche la bocca, da cui fuoriuscirono parole per nulla calme ―Ma vuoi scherzare?! E' evidente che.. che... beh, che ci sia qualcosa! Vuoi negare che ti piaccia?
Non ci pensai due volte ―Sì!
In tutta risposta mi beccai uno schiaffo sul braccio, nemmeno tanto debole ―Drea!
Scossi la testa. A me non piaceva Rick. Ne mai mi sarebbe piaciuto. Questo era tutto. Lui non doveva venirmi a dire nulla di quello che faceva, né con chi.
―A me non piace Rick― dirlo ad alta voce risultò un po' più difficile. Le parole mi vennero fuori come se avessi avuto un groppo in gola, ma alla fine uscirono.
―Non dire sciocchezze! Lo vediamo tutti come vi guardate, e poi c'è la scommessa...
―Nella scommessa è messo in chiaro che possiamo frequentare chi vogliamo, per questo dev'essere segreta.
―Lo avrà specificato tanto per fare il figo, lo sai.. avrà voluto farti ingelosire!
―L'ho decisa io questa regola!― sbottai allora, rendendomi conto di aver urlato troppo forte.
Ecco, adesso l'avevo azzittita. Anche se, ripensandoci, preferivo quand'era lei a parlare e io potevo ignorarla e basta. In quel momento mi stava solo fissando, sorpresa, ma nemmeno troppo, ed era molto peggio. Mi metteva in soggezione con quei suoi occhioni azzurri.
Dovette accorgersi che mi sentivo a disagio, perché spostò lo sguardo.
―Perché l'hai fatto?
Scrollai le spalle. Già, perché? Non potevo starmene zitta e basta? Ovviamente no, dovevo per forza aprire quella boccaccia. Ma, se anche non l'avessi fatto, cosa sarebbe cambiato? Di sicuro non avrei proibito a Rick di vedere Tea solo per quella scommessa. Perché era solo per la scommessa...
―Non lo so.
―Forse― iniziò lei, con voce più calma e cullante ―pensavi ancora a Marco, e non credevi che Rick ti sarebbe mai piaciuto... e forse ci si è aggiunto anche il tuo orgoglio che ti diceva di mettere in chiaro alcune cose.
Era snervante vedere qualcuno che capiva i tuoi comportamenti meglio di te, senza nemmeno sforzarsi, come se il motivo fosse stato sotto il tuo naso tutto il tempo, ma tu eri troppo idiota per vederlo. E l'unica cosa persino più frustrante era che forse era anche vero. Mi resi persino conto che in quel periodo Rick era riuscito a distrarmi da Marco e dai miei struggimenti d'amore.
―Vaffanculo― borbottai contrariata incrociando le braccia come una bambina imbronciata.
Ridacchiò divertita dalla mia solita finezza, nonostante ci fosse abituata.
―Allora lo ammetti?
―Diciamo che lo prendo in considerazione.
 
 
 
 
 
"Dobbiamo parlare. Ti aspetto sotto casa tua tra mezz'ora."
 
 
 
Quando la mattina dopo accesi il cellulare e vidi il messaggio lo aprii ancor prima di vedere il mittente. Quando lo lessi pensai subito a Giò, ma data una sbirciatina alla barretta dove compariva il nome del mittente, mi dovetti ricredere. Il nome "Giorgio" non cominciava per "R", né conoscevo molte persone il cui nome cominciasse per quella lettera. Non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura, ma la prima persona a cui pensai fu lui. Mi maledissi in tutte lingue del mondo più una per il battito accelerato che registrai dopo aver letto tutto il nome. Okay, quei battiti accelerati erano sintomo di emozione, così come lo erano i milioni di pensieri che avevano iniziato a vorticarmi in testa. Ma infondo, le emozioni potevano essere anche negative. Arrivata a quella brillante conclusione, mi restava solo da capire se le mie emozioni nei confronti di Rick fossero positive o negative. Nulla di semplice, naturalmente.
Non mi disturbai a rispondergli, forse perché un minimo di risentimento femminile lo serbavo davvero, ma non mi azzardai a non presentarmi.
Erano circa le dodici e fortunatamente anche Mary si era svegliata, così non avrei dovuto farlo io. In verità, quando aveva capito che stavo leggendo un messaggio, ovvero a colazione, mi aveva rubato di mano il cellulare senza troppe cerimonie. Era probabilmente grazie a lei che in quel momento mi stavo dirigendo verso casa.
Lo trovai seduto sui pochi gradini che portavano all'ingresso del palazzo.
Non aveva dormito molto, lo vedevo da come teneva la testa fra le mani, dalla postura stanca, e ne ebbi un'ulteriore conferma quando, guardandolo più da vicino, notai le occhiaie. Dovevano essere le stese che si appendevano ai miei occhi come amache. Improvvisamente mi ricordai dei numerosi animali a cui mi aveva paragonato la mia migliore amica.
Mi odiai, di nuovo, perché mi accorsi che ci tenevo a non sembrare un panda o un orsetto lavatore davanti a lui, molto più di come avrei dovuto tenerci per un amico. Con Giò non mi importava di sembrare un animale puzzolente o una modella, né tantomeno con Danny o Mary. «Fanculo» pensai di nuovo.
Provai ad ignorare i miei stessi pensieri e ad agire spontaneamente, ottenendo solo di sembrare un rigido manichino appena uscito dal freezer.
―Ciao― dissi fermandomi davanti a lui.
―Ciao― replicò alzandosi, in modo da trovarsi faccia a faccia con me. Non ero mai stata alta, e già davanti a lui sembravo uno dei sette nani con Biancaneve, figurarsi quando lui era anche su qualche scalino sopra di me. Un incurvamento delle labbra tradì la mia espressione gelida, e Rick dovette pensare la stessa cosa, perché sorrise anche lui. Mi ricomposi in fretta. Dovevo sembrargli non poco lunatica, ma mi imposi di non darci peso.
―Volevi vedermi?― chiesi spostando il peso da un piede a un altro, nervosa.
―Già.
―Beh, eccomi.
Non lo stavo aiutando di certo, ma a questo punto era meglio levarsi quel peso, via il dente via il dolore, no?
Non capivo perché dovessimo parlarne, né perché fosse tanto difficile.
―Ascolta, lo so che non avrei dovuto baciare Tea, ma lasciami spiegare...
―Non hai nulla da spiegare― lo interruppi, stranamente calma ―non devi giustificarti. Avevi tutto il diritto di baciare lei o chiunque altro, non devi dire nulla― era strano, ma sentivo qualcosa incrinarsi ad ogni parola, come se ci fosse un vetro che stesse per rompersi. Non era un dolore sordo, ma sentivo che quello che stavo dicendo mi faceva male. Ma era la verità, e si sa, la verità fa sempre male.
―Drea, ascoltami, a me non piace Tea, ero solo...― provò di nuovo, ma lo interruppi.
―E perché no? E' una ragazza bellissima, gentile e intelligente, non vedo perché non potrebbe piacerti.
―Non è il mio tipo.
―Non dire cazzate. Perché non lo ammetti e basta?
Sospirò, passandosi una mano sul viso. Era stanco e io lo stavo esasperando, me ne rendevo conto, ma non riuscivo a smettere ―Perché non mi credi e basta e la facciamo finita con questa storia?
Aveva alzato la voce, e mi venne spontaneo fare lo stesso. Se qualcuno ti grida contro, tu fai lo stesso, così come notai la nota di astio nella sua voce, e la usai a mia volta ―Cosa devo credere, Rick? Che anche se eri chiuso in uno stanzino con Tea mentre vi baciavate, lei non ti piace ed è stato tutto un errore? Avevi sbagliato persona? Non prendermi per il culo.
Non ero io se non usavo almeno una parolaccia per frase.
Non sapeva cosa dire. Lo avevo messo spalle al muro, e non poteva controbattere.
―Nulla da dire ora?
―Ero ubriaco!― gridò disperato, facendomi indietreggiare.
Rimasi stupefatta per un attimo, ma poi risposi. Se forse avessi pensato di più non avrei continuato ―Complimenti, per la maturità! Bel modo per iniziare una relazione!
―Sai solo criticare?!
―Che ti aspettavi, complimenti per l'intelletto?
Eravamo entrambi furenti, potevo quasi vedere il fumo che usciva dal naso e sentire le orecchie fischiare. Chiunque fosse passato di lì si sarebbe preoccupato.
―E' troppo chiederti di non giudicare sempre prima ancora di ascoltare tutto?
Mi arrabbiai. Io non stavo giudicando, stavo solo... solo.. oh, insomma stavo facendo qualcosa che non era giudicare e non doveva permettersi di dirlo un'altra volta ―E tu invece quanto ci hai messo ad accusarmi di giudicarti?
―Che vuoi dire?
―Che sei un coglione!
―Sei lunatica!― a quell'insulto probabilmente diventai addirittura rossa in volto, per non parlare della voce acuta. Ero fortemente tentata di rispondergli con un lagnoso "non è vero!", e poi magari fargli la linguaccia, ma mi trattenni fortunatamente.
―Vaffanculo!
Sospirò. Non stavamo risolvendo nulla, ma non ne avevo la minima intenzione. Sentivo di volere che si scusasse, ma non capivo perché, dato che a me non importava. Sospirai anch'io.
―Sei incoerente― decretò infine.
―Vuoi l'elenco dei tuoi difetti?
Sorrise amaramente ―Sai che c'è? Scommetto che Tea reagirebbe meglio!
―Non ho dubbi!― sbottai, questa volta ferita nell'orgoglio ―perché non te ne vai da lei allora, eh?
Vidi un lampo di incertezza nei suoi occhi, come se si fosse pentito di aver messo in mezzo Tea, o forse questo era solo ciò che volevo vedere.
―Io...― una mia occhiata furente cancellò tutte le tracce di risentimento del suo volto ―benissimo! Andrò da lei!
―Bravo! Forza, vattene!― lo vidi esitare, ma ormai con le lacrime agli occhi non avevo la forza di trattenerlo, volevo solo che se ne andasse ―Ora!
E se ne andò.













*Hi, I exist*


ssalve, gente. c:
allora, so che forse avrei dovuto aggiornare prima  mi dispiace, ma non è ho avuto il tempo..
ho dovuto studiare e i miei si sono coalizzati contro di me.. che bastaddi. :cc
ma oggi sono rimasta a casa tutto il giorno solo per voi. lol 
passando alle cose serie, che ne pensate? so già che questo capitolo lo odierete. lo odio anch'io. insomma, le litigare non piacciono a nessuno..
beh, che dire, spero di avervi accontentate comunque per le richieste di dialoghi tra Rick e Drea..
non preoccupatevi, non durerà a lungo questo periodo di "liti", promesso. c:
resta da dire solo GRAZIE a tutte voi. per chi recensisce, per chi segue la storia, davvero siete grandiose e vi ringrazierò ad ogni capitolo. vxjsashjdcbhvhj
alla prossima,
ciaao,
-l.

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