Mi racconti una favola?

di Miss_Panda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gohan e Pan ***
Capitolo 2: *** Crilin e Marron ***
Capitolo 3: *** Goku e Goten ***
Capitolo 4: *** Vegeta e Bra ***
Capitolo 5: *** Chichi e Gohan ***



Capitolo 1
*** Gohan e Pan ***


GOHAN E PAN


L’orsetto era poggiato sul letto insieme a una ventina di altri peluche, all’angolo della stanza, vicino la finestra con le tendine verdi, c’era l’orso che suo nonno le aveva regalato tempo prima. In alto sulle mensole c’erano varie foto con delle cornici colorate. Nella stanza si intromise Gohan che, arrivata l’ora della nanna, andava per portare a letto la piccola.
Sembrava non ci fosse nessuno invece in quella massa di stoffe e imbottiture si sentì una risatina sommessa e quasi immediatamente sbucò la bambina con un pigiama a peperelle gialle e gli occhi vivaci di felicità.
Ovviamente, intuita l’ora e il momento tanto sofferto, Pan iniziò a fare i capricci ma Gohan impassibile la prese delicatamente e, spostata la marea di peluche sulla panca, la mise sotto le coperte con il suo orsacchiotto sotto braccio e andò a prendere un libro.
Si sedette accanto a lei e aprì il libro rilegato di pelle; questo era un libro particolare, non conteneva le storie classiche come Biancaneve o Cenerentola ma delle storie particolari e bellissime scritte a mano proprio da Gohan e Videl al momento della sua nascita.
La storia di quella sera era tra le più belle ed era la sua preferita, non aveva molto senso il finale ma ciò che importava che piacesse alla piccola.
-C’era una volta – iniziò a narrare Gohan – un re che aveva un regno grandissimo e una figlia bellissima.
Siccome era prossimo alla morte e la figlia era in età da marito, decise di dare un grande ballo per trovarle un ragazzo che sia stato pronto a diventare suo coniuge e un giorno re.
Alla festa erano venuti tutti i principi e i nobili del regno ma la ragazza non trovò nessuno ma, alla fine della festa, una guardia le si avvicinò e le dichiarò ciò che provava. Colpita da quel comportamento così coraggioso, gli disse che per dimostrarle che diceva la verità doveva rimanere cento giorni e cento notti sotto il suo balcone e se fosse rimasto là sotto tutto il tempo alla fine sarebbe diventata sua moglie. Lui iniziò subito questa impresa mosso dall’amore.
I giorni passavano e lui rimaneva sempre lì fin quando, arrivata la novantanovesima notte, lasciò il suo posto inspiegabilmente.-
Finita di raccontare la storia Gohan si girò a guardare la sua bambina che orami era tra le bracca di Morfeo, si alzò piano per non svegliarla, le diede il bacio della buonanotte e spense la luce.

Eccomiiiii ;) molti si chiederanno come finisce la favola... mai dispiace deludervi ma finisce così! ;) Vispiego: questa favola è tratta da un film che io, semplicemente, adoro. Questo film si chiama "Nuovo cinema paradiso", film del 1988 che avranno visto i vostri genitori e che vi consiglio di vedere perchè a me fa commuovere... lo metterei dopo Titanic... :P cmq spero vi sia piaciuto e che mi lasciate un parerino ;) alla prossima! :)

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Capitolo 2
*** Crilin e Marron ***


 

CRILIN E MARRON

Era arrivata l’ora di andare a dormire ma Marron non aveva proprio voglio di andare a indossare il suo bel pigiamino nuovo e mettersi sotto le coperte. Il povero Crilin non sapeva cosa fare più con quella bambina, le aveva dato latte e miele, le aveva fatto le coccole, l’aveva portata a fare un giro in volo ma niente non voleva andare a dormire quindi provò un’ultima cosa, sfiducioso che funzionasse: prese la coperta rosa e blu di pyle della piccola e la portò fuori facendola sedere sul grande dondolo vicino a lui.

-Papà andiamo a fare un giro?- chiese la bambina, non capendo cosa ci facessero la fuori.

-Ora papà ti racconta una storia- esclamò uscendo un libricino dalla tasca.

Il libricino poteva avere più o meno una decina di pagine ma era scritto con una bella scrittura e aveva tanti bei disegni. Quel libricino era stato composto da lui per lei alla sua nascita e conteneva l’unica storia che sapeva. Lo aprì e incomincio a leggere con voce chiara:

- C'era una volta un'orfanella povera e sola. Nessuno l'aveva voluta con sé.
Possedeva solo gli abiti che indossava e un pezzetto di pane. Un giorno s'incamminò per la campagna pensando: "Qualcuno mi aiuterà". Incontrò un uomo.
"Ho tanta fame" le disse. "Dammi qualcosa, per carità!".
La bimba gli diede il suo pezzo di pane. Poco dopo incontrò un bambino.
"Ho la testa ghiacciata. Dammi qualcosa per coprirmela", la supplicò.
L'orfanella si sfilò la cuffia e gliela diede. Più in là incontrò un altro bambino. Era senza giubbetto e tremava per il freddo. Si sfilò la mantella e gliela diede.
Ancora avanti incontrò una bambina mezza assiderata. Si sfilò la gonnellina e gliela porse. 
Ormai non le era rimasto addosso nient'altro che la camicia.
Cammina, cammina arrivò in un bosco. Intanto si era fatto buio.
"Dammi la tua camicia. Non ho niente da mettermi", la supplicò un'altra bambina. L'orfanella pensò: "Ormai è notte, qui nel bosco nessuno mi vedrà. Posso dargliela". Se la sfilò e gliela porse.
Subito dopo, cominciò a cadere una pioggia di stelle, che cadendo si trasformavano in monete d'oro lucenti.
Nello stesso tempo la bimba si ritrovò vestita di tutto punto e con abiti di stoffa finissimi. Tirò su i bordi del gonnellino e raccolse le monete finché ce ne poterono stare.
Così la buona orfanella non ebbe più a temere la miseria per il resto della sua vita. –

La piccola, finita la storia, gli diede un bacio e gli disse sbadigliando: -Papà ho sonno… mi porti a dormire?-

Crilin non fece altro che alzarsi e portare la sua bambina nel suo lettino e infine darle un bacio sulla fronte per lasciarla tra le braccia di Morfeo.

 

Salve a tutti! :) Rieccomi con una nuova storia, una di quelle classiche che piacciono a tutti! Vorrei ringraziare chi ha letto l'altro capitolo, quelli che hanno commentanto, chi è stato silenzioso, chi ha aggiunto la raccolta in una delle tre liste; spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che spendiate cinque minuti del vostro tempo per lasciarmi un parerino! :) alla prossimaaaaa :)

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Capitolo 3
*** Goku e Goten ***


 GOKU E GOTEN

 

Era sera inoltrata quando i combattenti di casa Son ritornarono a casa dopo una lunga sessione di allenamento in famiglia. Il loro arrivo fu annunciato dalle urla di Chichi a Goku sul fatto che i suoi due tesori, Gohan e Goten, fossero bagnati fradici perché il loro padre aveva avuto la bellissima idea di fare un bagno sapendo che, sebbene fosse tardi e tirasse un insolito vento per essere la fine di luglio, erano senza cambi.

Risultato finale di ciò: i due “pargoli”, anche se teoricamente solo uno lo era, con il raffreddore.

Andato a dormire uno (Gohan) rimaneva l’altro da mettere a dormire. Goten oramai era “grande”, come diceva lui. Aveva sette anni e la sua forza combattiva cresceva ancora. Stranamente quella sera era più agitato del solito e solo lui si ricordava il perché il quale era che un l’anno prima, quello stesso giorno al torneo aveva incontrato per la prima volta suo padre.

Goku, come suo solito, non ci aveva pensato ma ci fu l’adorabile figliolo di soli sette anni a ricordarsi di quel momento molto importante e iniziarono a scherzare fino a quando non entrò Chichi e mandò tutti e due a dormire. Furtivamente a notte fonda i due si incontrarono e, sedutisi fuori sull’erba, Goku prese il figlioletto e lo poggiò vicino a lui ma Goten gli fece una richiesta insolita.

-Papà… mi racconti una storia?- gli chiese sorridendo.

Non volendo deludere il figlio rispose affermativamente ma non sapeva cosa raccontargli, sia perchè non aveva mai fatto queste cose da padre, sia per la sua ignoranza in materia…

Alzò gli occhi al cielo e vide le stelle luminose all’inverosimile e immobili lassù e gli venne in mente una storia.

-C’era una volta una piccola orfanella che, appena messa sulla strada, le avevano detto " Raccomandati al cielo, povera bimba!” e lei s'era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: " Stelle d'oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
" Ho fame " sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; " ho tanta fame!”
" Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.”
" Ma, e tu?”
" Ne cercherò dell'altro.”
Il vecchio allora la benedisse: " Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!”
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
" Hai freddo? " le domandò l'orfanella.
" Sì" rispose l'altra "ma non ho neppure un vestito.”
" Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po' meno pigra.
" Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei... vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.”
E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l'altra come punti d'oro luminosi. L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
" Ah sì! " pensava: " se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati, consolerei tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei " disse guardandosi con un sorriso; " io mi vestirei perché, davvero, sento freddo.”
Si sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro, cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
" Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!” Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: " Benedetta! Benedetta!”-

Goten, non sapendo della maestria di suo padre nel raccontare storie simili (e neanche io sinceramente! NDMiss_fairy), lo ringraziò della storia e, tornati dentro, si lasciarono con la pace nel cuore per tornare a dormire più sereni nei loro letti.

 

Eccomii di nuovo a tre minuti di distanza xD! Questo è il nuov cap della mia raccolta e chi abbiamo? Semplicemente il nostro eroe e Goten! Goku è venuto un po' OCC secondo me, ma leggermente... che ne pensate? La favola è una di quelle classiche ma non ricordo il titolo... ah si "la pioggia d'oro" ma non ricordo di che chi e... dei fratelli Grim credo (si scrive cosi? O.o) ma non voglio mentirvi! Vi do una piccola anticipazione... la prossima per gioia di una mia amica sarà quella di... indovinate? aspetto i vostri commenti! :) Spero che la storia vi sia piaciuta! Alla prossima! :)

PS mi scuso per eventuali errori e ripetizioni! :)

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Capitolo 4
*** Vegeta e Bra ***


 

VEGETA E BRA

Vegeta tornava a casa dopo un lungo allenamento ma, passando dal salotto, notò che la tv era accesa e pensando che la stesse vedendo Bulma, si avvicinò al divano ma la persona seduta su quel divano lo lasciò sorpreso. Quella persona era sua figlia Bra di soli 5 anni. Era una bambina molto più indipendente dei suoi coetanei, decideva lei cosa indossare e comprare e andava a fare la spesa quando non c’era il fratello ma sempre sotto lo sguardo vigile di sua madre.

Bra stava guardando il suo cartone preferito ma, anche se non lo dava a vedere, era molto stanca. Vedendo suo padre avvicinarsi gli chiese cosa volesse e lui rispose semplicemente di andare a dormire . Vegeta sapeva che Bra era testarda come la madre e che quel semplice comando non l’avrebbe smossa da quel divano quindi fece una cosa più unica che rara: spense la tv e andò a sedersi sul divano vicino alla piccola.

Bra capì immediatamente che suo padre gli stava per raccontare una storia, non aveva mai ascoltato quelle sue perché non gliele aveva mai raccontate, era stata sempre sua madre a fare queste cose. Allora gli si sedette sulle gambe e lui le iniziò a narrare la sua favola.

< Un giorno, i draghi, creature fornite di ali che vivevano nel più alto cielo, furono affascinati da una gemma che sulla terra brillava di tutti i suoi bagliori ora rossi, ora verdi, ora violetti. Come era magnifica! Per natura avevano sempre avuto un debole per le pietre preziose, e così si precipitarono, facendo a gara su questo tesoro per appropriarsene. Ma, cosa strana, la pietra che vedevano così bene dal cielo, scomparve al loro arrivo sulla Terra, sommersa nell’immensa foresta.

Non volendo ritornare a mani vuote, i draghi restarono per continuare le loro ricerche.
Il tempo passava senza che se ne accorgessero, e, a forza di persistere nella ricerca di questo gioiello, finirono per metamorfizzarsi nel fiume Lancang e per questo motivo che, da quel momento, quel fiume prese il nome di Fiume dei Nove Draghi.
A fianco del fiume si ergeva un enorme picco chiamato Picco Dorato, ai piedi del quale c’era una grotta estremamente profonda detta Grotta della Roccia d’Oro. Essendo questo un luogo spazioso e luminoso, i draghi decisero di trasformarlo in un palazzo e di far la loro dimora. 
Parecchi anni più tardi uno di loro, il Re dei Draghi bianchi mise al mondo una bambina. Questa era molto sincera, vivace e graziosa, aveva la pelle così bianca e fresca come quella delle radici di loto e gli occhi brillanti come delle perle. All’età di sedici anni la figlia dei draghi, annoiata di vivere sempre nel palazzo sotto il fiume, uscì sovente dalle acque per giocare. Un giorno, salita in superficie, scoprì lungo le rive dei ciottoli bianchi, delle sensitive verdeggianti, dei fiori rossi e degli alberi dai frutti color arancio.

La ragazza si divertì così tanto che si dimenticò che doveva tornare indietro. Dapprima, si divertì un mondo lungo il fiume, poi, desiderosa d’andare vedere altrove, giunse, seguendo un sentiero sinuoso, in cima a una montagna a nord del fiume. Oltre la montagna, scoprì una pianura verdeggiante coperta da palme, da bambù nani e da piante di areca molto slanciate. 
Estasiata, la figlia dei draghi continuò ad avanzare e arrivata davanti alla pianura, vide degli uomini che tiravano dei buoi per arare, delle donne trapiantare del riso con dei cesti sulla schiena, dei bambini e dei bufali bagnarsi in uno stagno. La vita sulla terra era gioiosa e animata! A quella vista, presa da una grande passione per quel tipo esistenza, non ebbe più voglia di rientrare al Palazzo dei draghi.
Proprio in quel momento, si avvicinò un giovanotto che camminava su un sentiero tra i campi conducendo un bue. Aveva all’incirca vent’anni ed era vestito con una giacca da contadino e con dei pantaloni voltati in su, portava una fascia sulla testa e aveva le mani piene di fango. Vedendolo, la figlia dei draghi comprese immediatamente che era lavoratore e, soprattutto, onesto e, senza saperlo, se ne innamorò. Gli andò incontro e chiese timidamente:
- Fratello coltivatore, mi potresti dire il nome di questo luogo?
Il ragazzo si fermò e rispose molto educatamente:
- È la pianura Mengyang dei Dai. Da dove vieni, sorella? Perché sei tutta sola?
La figlia dei draghi avrebbe voluto dichiarargli la verità, ma, per timore di non essere creduta, rispose in maniera sibillina:
- Fratello coltivatore, abito vicino al fiume Lancang. Questa mattina, sono andata a cogliere delle verdure selvatiche nella montagna vicino al fiume. Là, mi sono perduta ed mi sono trovata qui per caso…
Nel sentirla parlare in tale maniera, il ragazzo le disse affabilmente:
- Vuoi venire a riposarti un po’ a casa mia? Devi essere molto stanca. Casa mia, quella palafitta, è piccola ma comunque ci sono degli sgabelli per gli ospiti.
La figlia dei draghi abbassò la testa, molto felice, e si lasciò condurre dal giovane. 
Il ragazzo si chiamava Yan Maoyang. I suoi genitori erano morti da molti anni; senza fratelli, viveva solo in una piccola casa di bambù e aveva lavorato come guardiano di buoi sin dall’infanzia, così presto che sapeva già arare la terra all’età di dieci anni. Era povero ma di grande bontà. Quando le persone avevano delle difficoltà, era sufficiente dire una sola parola perché lui andasse in loro aiuto. Tutti gli abitanti del villaggio lo trovavano molto simpatico e parecchie donne molto premurose avevano da molto tempo l’intenzione di aiutarlo a fondare una famiglia ma non avevano ancora trovato la ragazza giusta.

Il sole era già tramontato e gli uccelli sarebbero ben presto ritornati al loro nido. I paesani, stupiti di veder Yan Maoyang rientrare con una bella ragazza, andarono tutti sul balcone per guardarli. Il ragazzo era un po’ infastidito ma per niente imbarazzato. «È naturale, si disse, condurre a casa qualcuno che si è smarrito, perché dovrei infastidirmi?» 
Rientrato a casa, Yan Manyang depose una catinella d’acqua sul balcone e chiese alla ragazza di lavarsi i piedi. Poi, dispose una tavola rotonda di striscioline di giunco sulla quale mise una ciotola di riso glutinoso, della zuppa di germogli di bambù e dei cetrioli salati.
- Sorella smarrita, disse con tenerezza, avrai probabilmente fame dopo aver digiunato tutto il giorno, vieni subito a mangiare qualcosa!
Vedendo che la giovane era arrossita e sembrava confusa, aggiunse:
- Queste verdure selvatiche e la zuppa fredda non sono certamente molto appetite, ma il riso glutinoso è buono, vieni ad assaggiarne!
- Fratello coltivatore, come posso ringraziarti?- Esclamò la figlia dei draghi. Era la prima volta che mangiava il cibo del mondo terrestre e lo trovava migliore di quello del Palazzo dei draghi.
Finito di mangiare, era già buio. L’orfano si mise in agitazione. Cosa sarebbe accaduto se un uomo pieno di salute avesse dormito con una bella ragazza sotto lo stesso tetto? La notte  però gli impediva di riaccompagnarla a casa.
La figlia dei draghi era intelligente, e si era già accorta dell’angoscia del giovane. Pensando che era giunto il momento decisivo, gli disse con franchezza e tenerezza:
- Fratello coltivatore, scusami; in realtà io sono la figlia dei draghi e vivo nella Grotta della roccia d’oro del fiume Lancang. Il desiderio per la vita umana mi ha spinto a venire sin qui. Ti supplico di tenermi, diventerò volentieri tua moglie e ti coprirò di cure e tenerezza.
A queste parole, Yan Maoyang fu costernato. Com’era possibile che questa graziosa figliola fosse la figlia dei draghi del fiume Lancang? Scettico, la interrogò e rinterrogò per esserne certo. E ogni volta la giovane giurava di affermare la verità. 
Yan Maoyang non insistette più. Che quello che diceva fosse vero o falso, egli decise di rispondere alla preghiera della ragazza, così le disse sinceramente:
- Figlia dei draghi, tu hai un’anima pura come una goccia d’acqua! Ma io sono un uomo molto povero. Hai pensato alle difficoltà alle quali andrai incontro se vivrai con me?
- Se si ami veramente, rispose la figlia dei draghi, il più aspro dei frutti diventa dolce nella bocca degli innamorati.
Essi procedettero alla cerimonia nuziale la sera stessa.

L’indomani, a questa notizia, i paesani andarono a felicitarsi con dei fiori, del riso dell’ultimo raccolto e dello zucchero rosso in polvere. Vedendo che questi contadini erano tutti molto onesti e benevoli, la giovane sposa giunse le mani per esprimere loro i suoi ringraziamenti sinceri:
- Mille volte grazie per avermi dato il diritto d’asilo nel vostro villaggio nonostante la mia bruttezza. Da oggi, se voi avrete delle difficoltà, io farò del mio meglio per aiutarvi.
Queste parole colmarono di gioia i paesani che cominciarono ad esprimere i loro desideri:
- Ebbene, figlia dei draghi, dacci più pioggia, il nostro villaggio non ha abbastanza risorse d’acqua, il trapianto del riso non si può fare senza la pioggia, implorò un vecchio.
- E poi, proseguì una nonna, la gente di Mengyang non sa nuotare né condurre le zattere. Quando abbiamo bisogno di recarci in visita dai nostri parenti sull’altra riva del fiume, non potresti aiutarci ad attraversare il fiume? 
La nuova venuta acconsentì con gioia.
Da allora si dice che il tempo divenne molto favorevole per la risicoltura nel villaggio Mengyang. Quando la gente di Mengyang aveva voglia di andare al villaggio Jinghong, doveva solo gridare: «Sono del villaggio Mengyang, che la figlia dei draghi abbia la gentilezza di aiutarmi ad attraversare il fiume», perché apparisse un ponte sul fiume.

Un anno più tardi, la figlia dei draghi era incinta. I paesani andavano sovente a trovarla a casa, augurandole di mettere al mondo un neonato paffuto senza difficoltà. Purtroppo proprio in quel periodo accadde qualcosa di catastrofico.
Con lo scopo di farsi costruire un altro palazzo, il nuovo capo del villaggio Jinghong ordinò a tutti gli uomini del villaggio di andare ad abbattere il legname necessario sulle montagne. Un mese dopo, essi ne avevano già raccolto la quantità necessaria. Malauguratamente, al momento di attraversare il fiume, le zattere di bambù furono rovesciate dalle onde e tutto il carico di legname cadde nel fiume Lancang.
I battellieri, diverse migliaia, si adoperarono per recuperare tutto quel legno per novantanove giorni, ma fu tutta fatica inutile. Come fare? Il capo del villaggio Jinghong era molto inquieto, quando un uomo molto intelligente andò a suggerirgli una soluzione:
- Mio signore, gli disse, io mi reco sovente al villaggio Mengyang per rendere visita a dei parenti. Ho saputo che là un giovanotto ha sposato la figlia dei draghi. Se si chiedesse aiuto a quest’uomo, forse si ritroverebbe facilmente il legno perso nel fiume.
A queste parole, il capo fece chiamare immediatamente Yan Maoyang.
Costui era un uomo di cuore ed era sempre disponibile. Questa volta egli esitò, perché sua moglie era incinta di nove mesi e avrebbe ben presto partorito, ma il messaggero lo implorò tanto e ancor di più:
- Se noi non possiamo recuperare il legname, il capo del nostro villaggio ci farà picchiare sino alla morte. Abbiate pietà di noi e aiutateci a venirne fuori.
La figlia dei draghi si commosse e disse a suo marito:
- Va, mio caro sposo. Aiutare gli altri a superare le difficoltà è nostro dovere. I paesani si occuperanno di me, stai tranquillo!
Le parole della sua sposa lo rassicurarono e così si recò a Jinghong accompagnato da chi aveva chiesto aiuto.
Dopo la partenza di suo marito, la figlia dei draghi andò furtivamente sulle rive del piccolo fiume del villaggio Mengyang. Là, lei pregò il genio del fiume di dire al Re dei draghi di aiutare suo marito a recuperare il legname caduto il più presto possibile.
Il Re dei draghi del fiume Lancang, per far piacere a sua figlia, inviò immediatamente numerosi pesci e gamberi ad assistere Yan Maoyang nel ripescaggio.
In meno di mezza giornata, essi riuscirono a tirare fuori dall’acqua più di un migliaio di tronchi d’albero. La gente di Jinghong ne era stupefatta. «Oh, diceva, è miracoloso! Solamente il genero del Re dei draghi è capace di fare questo!»
Ma qualcuno ne aveva fatto partecipe il capo del villaggio Jinghong. Convinto dei talenti di Yan Maoyang, questi riconobbe che nessuno a Jinghong era capace quanto il giovane ma proprio in quel momento, un uomo gli mormorò all’orecchio:
- Mio rispettabile maestro, il giorno della vostra morte è vicino!
Il capo spalancò gli occhi e chiese:
- Che cosa succede? Qualcuno cerca di uccidermi?
L’uomo rispose con astuzia:
- Non ora, ma bisogna stare all’erta! Riflettete bene, Yan Maoyang è mille volte più forte di voi, se avesse l’intenzione di diventare, al posto vostro, il capo del villaggio Jinghong, sareste in grado di misurarvi con lui?
- Allora cosa bisogna fare, secondo te? 
Chiese il capo con un tono ansioso.
- La cosa migliore sarebbe quella di ucciderlo prima che egli sospetti qualcosa, rispose l’uomo estraendo la propria sciabola.
Il capo scosse la testa, vedendo pagato con l’ingratitudine il suo benefattore. Ma subito gli balenò un’altra idea per la testa: «il capo del villaggio Jinghong deve essere un uomo del posto, non bisogna cedere questa carica ad un uomo del villaggio Mengyang. Sarà meglio agire per primo».
Fece allora arrestare Yan Maoyang con l’intento di trascinarlo nella foresta per decapitarlo.
A questa notizia, la gente del villaggio Jinghong che abitava lungo il cammino dove doveva passare il condannato andò a intercedere in suo favore e a dissuadere il loro capo dall’agire alla leggera.
Ma costui non sentiva da quest’orecchio e tranciò la testa di Yan Maoyang con un colpo di sciabola.
Avendo appreso della morte di suo marito, la figlia dei draghi cadde in deliquio. Grazie alle cure dei paesani, lei ritornò poco a poco in sé. Nella sua collera, disse:
- Non credevo che esistessero a questo mondo degli uomini così malvagi. Mio marito ha avuto la bontà di andare ad aiutarli e, invece di essergli riconoscenti, essi l’hanno ucciso, io non glielo perdonerò!

La notte stessa, la giovane ritornò nel Palazzo dei draghi per far partecipe del suo dolore il Re dei draghi bianchi.
Questi, preso dal furore, ordinò immediatamente ai soldati dei gamberi di gettare grosse pietre nel fiume Lancang. Subito le acque del fiume iniziarono a scorrere a ritroso e, in un niente, inondarono Jinghong e le sue risaie. Il capo e gli abitanti trovarono scampo sulla sommità delle montagne, dove si nutrirono di foglie d’alberi e di frutti selvatici.
- Perché le acque del fiume salgono così in fretta, giacché non è caduta una sola goccia di pioggia?
S’interrogò il capo del villaggio Jinghong che dava per scontato che la cosa sarebbe stata di breve durata.
Trascorsero otto o nove giorni senza che si avesse alcun segno di decrescita.
I sinistrati avevano mangiato tutte le foglie degli alberi e i frutti selvatici e ora rischiavano di morire di fame. Allora un vecchio disse al responsabile:
- Hai avuto torto a uccidere il bravo giovane che ci ha aiutato a ripescare il legname. Ti rendi conto che è la tua cattiveria che ha provocato la collera della figlia dei draghi ed è indirettamente la causa di questa apocalisse! La sola via d’uscita che ti permette di sopravvivere è quella di andare a riconoscere i tuoi crimini davanti alla figlia dei draghi.
Il capo comprese solo allora le cause di quella catastrofe. Rimpianse molto la sua imprudenza e fece costruire una zattera di bambù che lo conducesse verso le montagne sull’altra riva in compagnia dei suoi consiglieri.
Là, scesi dalla zattera, si recarono a piedi del villaggio Mengyang per domandare perdono alla giovane vedova:
- Figlia dei draghi, disse il capo del villaggio Jinghong, la nebbia ha ostruito la mia vista, quanto me ne voglio d’aver ucciso tuo marito su istigazione di cattivi consiglieri. Uccidimi se vuoi, ma ti supplico di non annegare gli abitanti del villaggio Jinghong.
La figlia dei draghi gli lanciò uno sguardo furioso, gli rimproverò la sua ingratitudine e gli chiese di rendergli suo marito. Incapace di assolvere a tale richiesta, il capo non sapeva che implorare la clemenza. 
Fu soltanto dopo aver lungamente pianto che la figlia dei draghi si calmò. Allora il capo le disse:
- Figlia dei draghi, se tu ci perdoni e lasci gli abitanti del mio villaggio vivere tranquillamente, noi saremo felici di nutrirti di generazione in generazione.
La figlia dei draghi, nonostante la sua tristezza e la sua indignazione, non se la sentiva di annegare tutti gli abitanti del villaggio Jinghong. Così acconsentì. 
La sera stessa, essa ritornò nel Palazzo dei draghi per domandare al Re dei draghi di far togliere lo sbarramento di pietre dal fiume. La mattina del giorno dopo, le acque del fiume avevano ripreso il loro corso normale, i villaggi e i campi emersero nuovamente dall’immensità delle acque.
Da allora, per esprimere la loro riconoscenza, la gente del villaggio Jinghong considerano la figlia dei draghi come il genio del loro villaggio e vanno a venerarla ogni anno lungo le rive del fiume.
Si narra anche che, poco dopo il suo ritorno al Palazzo dei draghi, la figlia dei draghi avesse partorito un bel neonato. E, poiché durante la maternità ella aveva avuto bisogno di uova, quando la gente va a renderle omaggio, le porta come offerta centoventi uova di differenti colori.>>

Finita la storia, girò la testa e, vedendo che si era addormentata, la prese in braccio e la portò nel suo letto per poi darle un dolce bacio sulla fronte. Uscì dalla stanza, credendo che ciò che era successo non fosse stato visto da nessuno, invece, ad osservare tutto, era stata Bulma, sorridente e commossa, che, sapendo come avrebbe reagito Vegeta se l’avesse saputo, preferì non digli niente e tenere questo dolce segreto per sé.

 

Ciao a tutti ^-^ come va? Eccoci a un nuovo capitolo della racconta. :) 

Per la gioia della mia carissima amica s_smile (a cui dedico il capitolo) ho postato il cap del principe dei Saiyan e la sua principessina Bra. Grazie per sopportarmi e a commentare ogni mia ff.. noi del club nessuno-le-caca dobbiamo aiutarci a vicenda no? :) Passando alla storia, la favola si chiama "la figlia dei draghi" e, mi sembra, sia una tradionale favola orientale (non ricordo di che Paese). Il riso glutinoso è è un tipo di riso asiatico a chicco fino bianco opaco allungato, particolarmente appiccicoso quando cotto (from Wikipedia).

Spero vi sia piaciuta e fatemi sapere che ne pensate :) alla prossima!

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Capitolo 5
*** Chichi e Gohan ***


CHICHI E GOHAN

La notte era scesa e le stelle illuminavano la volta, lasciando in quell’oscurità una debole e fioca luce. In una casa in mezzo i monti Paoz c’era un bambino sui quattro anni che si apprestava ad andare a dormire. La sua mamma, Chichi, entrò nella camera, spostò i libri che suo figlio aveva letto poche ore prima dal letto al pavimento e si sedette vicino a lui, gli mise un braccio attorno alle spalle e se lo avvicinò. Gohan accolse bene quel contatto, la sua mamma era una bravissima persona e gli voleva un mondo di bene. La sera la donna era solita raccontargli una favola ma, purtroppo, il libro dove stavano quelle più belle era finito e la donna non sapeva cosa raccontargli. Così le venne un’idea.

<< Una mattina d'estate, un piccolo sarto sedeva al suo tavolo, davanti alla finestra, e cuciva. Giù per la strada veniva una contadina gridando: -Marmellata buona! Marmellata buona!-. Queste parole suonarono piacevoli all'orecchio del piccolo sarto che sporse la testolina dalla finestra e chiamò: - Quassù, brava donna! Qui spaccerete la vostra merce -.

 La donna salì e dovette aprire tutta la sua cesta. L'omino ispezionò bene ogni pentola, e infine comprò soltanto un quarto di libbra, cosicché‚ la donna se ne andò di pessimo umore e brontolando. -Che Dio benedica la mia marmellata - disse il piccolo sarto - e mi dia forza e vigore! -. Prese del pane, ne tagliò un pezzo per il lungo e ci spalmò sopra la marmellata.

 -Deve avere un buon sapore – disse - ma prima di morderlo voglio finire il farsetto-. Mise il pane accanto a sé, riprese a cucire e dalla gioia faceva punti sempre più lunghi. Nel frattempo l'odore della marmellata era salito su per la parete fino ad arrivare a un nugolo di mosche che si precipitarono giù, ma il piccolo sarto ogni tanto si voltava a guardare il pane, e così scoprì le intruse.

 – Olà - esclamò -chi vi ha invitato?- e le cacciò via, ma le mosche, che non capivano la lingua, non si lasciarono respingere e tornarono ancora più numerose. Il piccolo sarto perse la pazienza, prese un pezzo di stoffa dalla sua cassetta e: -Aspettate, ve la darò io!- e giù colpi.

Quando la smise e contò, ben sette mosche gli giacevano davanti morte stecchite. -Sei così bravo?- disse ammirato fra sè e sè - Deve saperlo tutta la città.- In fretta e furia, allora, si tagliò una cintura, la cucì e vi ricamò sopra a grandi lettere: -Sette in un colpo! -. - macché‚ città! - proseguì -tutto il mondo lo deve sapere!-.

Il cuore gli balzava di gioia come un codino d'agnello. Poi si legò la cintura intorno alla vita e frugò per tutta la casa se non ci fosse nulla da portarsi via, poiché‚ voleva andarsene per il mondo. Ma in casa trovò solamente un vecchio formaggio e se lo cacciò in tasca. Davanti alla porta con un colpo di fortuna acchiappò un uccello che andò a tenere compagnia al formaggio.

 Poi prese la strada fra le gambe e salì su di un'alta montagna, e, quando ne ebbe raggiunto la cima, ecco là seduto un gran gigante. - Ehilà, camerata!- disse il piccolo sarto al gigante -te ne stai qui seduto a guardarti il mondo? Io pure mi sono incamminato per provare le mie forze. Hai voglia di venire con me?- Il gigante lo guardò e disse: - Tu, essere miserabile! -. -Proprio! - disse il piccolo sarto, si sbottonò la giacca e mostrò al gigante la cintura: -Qui puoi leggere che uomo sono-. Il gigante lesse. - Sette in un colpo! - pensò che si trattasse di uomini uccisi e incominciò ad avere un po' di rispetto per il piccolo sarto, ma prima volle metterlo alla prova: prese in mano una pietra e la strinse fino a farne gocciolare fuori dell'acqua. - Adesso fallo tu - disse il gigante - se ne hai la forza.-

-Tutto qui?- disse il piccolo sarto. -Lo so fare anch'io.- Mise la mano in tasca, tirò fuori il formaggio guasto e lo spremette tanto che ne sgorgò il succo. -E' ancor meglio, non è vero?- disse. Il gigante non sapeva che dire, e non poteva credere che quell'omino fosse capace di tanto. Raccolse allora una pietra e la gettò così in alto che si stentava a vederla. - Adesso, anatroccolo, fallo anche tu - disse al piccolo sarto. – Subito - rispose questi. - Il tuo tiro era buono, ma la pietra ha pure dovuto ricadere a terra; adesso te ne lancerò io una, che non tornerà.- Mise la mano in tasca, prese l'uccello e lo lanciò in aria. L'uccello, felice di essere libero, salì e volò via. - Ti piace il tiro, camerata? - domandò il sarto. -Lanciare, sai lanciare bene- disse il gigante - ma adesso vediamo se sei capace di portare qualche bel peso.- Lo condusse a una grossa quercia pesante, che giaceva al suolo abbattuta, e disse: -La porteremo insieme fuori dal bosco-. -Tu prendi il tronco in spalla- disse l'omino -io solleverò e porterò i rami e le fronde; è la parte più pesante.- Il gigante sollevò il tronco e se lo mise sulle spalle, mentre il sarto si sedette dietro su di un ramo, e il gigante dovette portare lui e l'intero albero.

 Il sarto là dietro era allegrissimo e fischiettava delle canzoncine, come se portare alberi fosse un gioco da ragazzi. Dopo aver trascinato tutto quel peso per un tratto di strada, il gigante non ne potè più e disse: -Ascolta, devo lasciare cadere l'albero-. Il piccolo sarto saltò giù e afferrò l'albero con entrambe le braccia, come se l'avesse portato, e disse al gigante: -Sei così grosso e non sai portare un albero!-. Proseguirono insieme e, passando vicino a un ciliegio, il gigante afferrò la chioma dell'albero, dov'erano i frutti più maturi, e la diede al sarto, perché mangiasse anche lui; ma il piccolo sarto era troppo debole per resistere alla forza dell'albero e fu scagliato in aria.

 -Come mai, non hai la forza di tenere quella bacchettina?- domandò il gigante. Ed egli rispose: - Credi che sia un gran che per uno che ne ha colpiti sette in una volta? Sai perché l'ho fatto? Perché‚ qua sotto i cacciatori sparano nella macchia. Fallo anche tu se ne sei capace-. Il gigante provò, ma non riuscì a saltare oltre l'albero, poiché finiva sempre tra i rami, e vi si impigliava; così anche questa volta il piccolo sarto ebbe il sopravvento. Il gigante disse: -Vieni nella nostra caverna e pernotta da noi-. Il piccolo sarto lo seguì di buona voglia. Il gigante gli diede un letto, dove poteva riposarsi; il quale, però, non si coricò, ma si rannicchiò in un angolo. A mezzanotte il gigante venne con una sbarra di ferro, con un colpo sfondò il letto e pensò: "Finalmente è finita con quella cavalletta, così non si farà più vedere." Il giorno dopo i giganti andarono nel bosco e avevano completamente dimenticato il piccolo sarto, che credevano morto, quand'eccolo arrivare tutto allegro e baldanzoso. I giganti, sbigottiti, ebbero paura di essere tutti uccisi e fuggirono a precipizio.

 Il piccolo sarto proseguì per la sua strada, sempre dietro la punta del suo naso, fino a quando giunse nel cortile di una reggia, e, siccome era stanco, si sdraiò nell'erba e si addormentò. Mentre dormiva, giunse della gente del re, l'osservarono da ogni parte e lessero sulla cintura: -Sette in un colpo!-. -Ah- dissero -cosa vorrà questo gran guerriero, qui, in tempo di pace? Dev'essere certamente un potente signore. - Avvertirono il re e gli dissero: - In caso di guerra sarebbe un uomo utile e importante; non dovete lasciarvelo scappare!-. Al re piacque il consiglio e inviò al piccolo sarto uno dei suoi uomini che appena egli si fosse svegliato, doveva offrirgli di entrare al suo servizio. Il sarto accettò e disse: -Sono venuto proprio per questo, per servire il re - Così fu ricevuto con grandi onori, e gli venne assegnato un alloggio particolare ma i guerrieri gli erano ostili e si auguravano che andasse all'inferno. -Come andrà a finire?- dicevano fra loro. -Se attacchiamo lite e lui mena botte, ne cadono sette a ogni colpo. Noialtri non possiamo fargli fronte!- Si risolsero quindi ad andare tutti insieme dal re, lo pregarono di congedarli e dissero: -Non siamo fatti per resistere a un uomo così forte-.

 Il re era spiacente di dover perdere tutti i suoi servi a causa di uno solo, se ne sarebbe sbarazzato volentieri e rimpiangeva il momento in cui l'aveva incontrato. Ma non osava congedarlo, perché‚ temeva ch'egli l'uccidesse con tutto il suo popolo e occupasse il trono. Meditò a lungo e alla fine ebbe un'idea: mandò a dire al piccolo sarto che, siccome egli era un così grande eroe, voleva fargli una proposta. In un bosco del suo regno c'erano due giganti che facevano gran danno con rapine, assassinii, incendi; nessuno poteva avvicinarli anche se armato. Se egli li avesse uccisi, gli avrebbe dato sua figlia in sposa e metà del regno per dote; inoltre cento cavalieri l'avrebbero accompagnato per dargli manforte. "Sarebbe un bel colpo per un uomo come te" pensò il piccolo sarto. "Una bella principessa e un mezzo regno non sono mica male!" -Oh, sì- rispose -i giganti li domerò e i cento cavalieri non mi occorrono: chi ne abbatte sette in un colpo non può temerne due.-

Così si mise in cammino e, quando giunse al limitare della foresta disse ai cavalieri: -Rimanete fuori, con i giganti me la sbrigherò io- Entrò e guardò di qua e di là. Finalmente li trovò entrambi che dormivano sotto un albero e russavano tanto da far oscillare i rami. - Il gioco è fatto!- disse il piccolo sarto; si riempì le tasche di pietre e salì sull'albero. Poi incominciò a gettare una pietra dopo l'altra sul petto di uno dei due giganti, fino a quando questi si svegliò stizzito, urtò il compagno e disse: -Ehi, perché‚ mi batti?-. -Tu sogni- rispose l'altro -non ti batto affatto.- Stavano di nuovo per addormentarsi, quando il piccolo sarto gettò al secondo una pietra sul petto; quello saltò su e disse: -Cosa hai intenzione di fare, cosa mi getti?-. -Non ti getto proprio nulla- disse il primo. Litigarono per un po' ma, siccome erano stanchi, lasciarono stare e chiusero di nuovo gli occhi. Allora il piccolo sarto ricominciò il suo gioco, scelse la pietra più grossa, e la gettò con tutte le sue forze sul petto del primo gigante che gridò: -Questo è troppo!-, saltò su come un pazzo e picchiò il compagno. All'altro non andò a genio e lo ripagò di ugual moneta; allora si infuriarono tanto che divelsero gli alberi, e si azzuffarono finché‚ caddero morti. -Meno male- disse il piccolo sarto -che non hanno divelto l'albero su cui stavo, sennò avrei fatto un brutto salto!- Scese poi allegro dall'albero, sfoderò la spada e, in tutta tranquillità, affibbiò loro qualche bel fendente nel petto, poi andò dai cavalieri. -Là giacciono i due giganti- disse. -Ho fatto loro la festa, ma ci voleva proprio uno che ne abbatte sette in un colpo, perché messi alle strette, hanno ancora divelto degli alberi!- -Siete ferito, per caso?- domandarono i cavalieri. -Ci vuol pratica- rispose il piccolo sarto - ma non mi hanno torto un capello.-

 I cavalieri non volevano credergli e s'inoltrarono nella foresta: trovarono i giganti immersi nel loro sangue, e intorno gli alberi divelti. Allora essi si meravigliarono ed ebbero ancora più paura del piccolo sarto perché non dubitavano che li avrebbe uccisi tutti qualora gli fossero stati nemici. Ritornarono al castello e raccontarono tutto al re; poi giunse anche il piccolo sarto e disse: -Ora voglio la principessa e metà regno-. Ma il re si era pentito della sua promessa e pensava di nuovo a come togliersi dai piedi l'eroe, al quale non voleva affatto dare la figlia. Così gli disse che se la voleva sposare doveva prima catturare un unicorno che correva nella foresta, arrecando danno a uomini e animali. Il piccolo sarto ne fu felice, prese una cordicella, andò nella foresta e ordinò alla scorta di aspettarlo fuori poiché‚ voleva catturare da solo l'unicorno. Penetrò poi nella foresta, e vagò qua e là in cerca dell'unicorno. Ben presto arrivò l'unicorno e si avventò dritto contro il sarto per infilzarlo. -Piano, piano!- disse egli.

 Si fermò, aspettando che l'animale gli fosse ben vicino, poi saltò rapidamente dietro un albero. L'unicorno correva tanto veloce che non ebbe il tempo di cambiare direzione, cosicché‚ si avventò contro l'albero e infisse il corno nel tronco così saldamente che, pur usando tutta la sua forza, non riuscì a ritrarlo e rimase imprigionato. Allora il piccolo sarto sbucò da dietro l'albero, gli mise la cordicella intorno al collo e lo condusse prima dai compagni e poi dal re, cui rammentò la promessa fattagli. Il re si impaurì ma escogitò una nuova astuzia e gli disse che, prima che si tenessero le nozze, egli doveva catturargli un cinghiale che correva nella foresta; i cacciatori lo avrebbero aiutato. – Volentieri - disse il piccolo sarto - è la cosa meno difficile.- Così andò ancora una volta nella foresta lasciando fuori i cacciatori, ed essi ne furono ben contenti perché il cinghiale li aveva già accolti spesso in modo da levare la voglia di dargli la caccia.

 Quando il cinghiale vide l'omino, gli si avventò contro con la schiuma alla bocca, arrotando i denti, e voleva buttarlo a terra ma il piccolo sarto si trovava accanto a una cappella, vi balzò dentro e, agilmente, uscì subito dalla finestra. Il cinghiale lo aveva seguito, ma quando il piccolo sarto balzò fuori corse a chiudere la porta, e la bestia rimase imprigionata perché‚ non riusciva a saltare fino alla finestra. Egli chiamò allora i cacciatori affinché‚ vedessero la preda, e poi si recò dal re e disse: -Ho catturato il cinghiale e, con esso, anche la principessa-. E' facile immaginare se il re fosse contento o no della notizia; ma non sapeva più che cosa obiettare, dovette perciò mantenere la promessa e accordargli la figlia. Almeno credeva che egli fosse un eroe; se avesse saputo che non si trattava che di un piccolo sarto, gli avrebbe dato più volentieri una corda.

Le nozze furono celebrate con gran pompa e poca gioia, e di un sarto si fece un re. Dopo alcuni giorni, di notte, la giovane regina udì il piccolo sarto dire, sognando: -Garzone, fammi la giubba e rattoppami i calzoni, o ti darò il metro sulle orecchie-. Allora capì di dove sbucasse il suo sposo e, il mattino dopo, si lamentò con il padre e lo pregò di aiutarla a liberarsi di quell'uomo che non era che un sarto. Il re la consolò e disse: -La notte prossima, lascia aperta la tua camera da letto; fuori ci saranno i miei servi e, quando sarà addormentato, entreranno e lo faranno prigioniero-. La donna ne fu contenta; ma l'armigero del re aveva sentito tutto e, siccome era affezionato al giovane signore e gli era fedele, corse da lui e gli raccontò tutto. Il piccolo sarto disse di buon animo: -Metterò riparo alla cosa-.

La sera andò a letto con la moglie all'ora solita e fece finta di dormire; ella si alzò, aprì la porta e si rimise a letto. Allora il piccolo sarto incominciò a gridare con voce squillante: -Garzone, fammi la giubba e rattoppa i calzoni, o ti darò il metro sulle orecchie! Ne ho presi sette in un colpo, ho ucciso due giganti, catturato un unicorno e un cinghiale: e dovrei avere paura di quelli là fuori, davanti alla camera?-. Quando udirono queste parole, tutti fuggirono come se fossero stati rincorsi da mille diavoli, e nessuno osò avvicinarsi al sarto. Così egli era e rimase re per tutta la vita. >> raccontò Chichi che, mentre narrava al suo bambino la storia, si ricordò di quando il suo papà gliela raccontava di sera in inverno davanti al camino con una bella tazza di cioccolata calda in mano.

Il bambino al suo fianco si addormentò e metà favola, non ascoltando il finale. Quando girò la testa Chichi vide il bambino che dormiva beatamente, quindi gli aggiusto le coperte e spense la luce, sicura che il suo bellissimo figliolo sarebbe diventato fortunato e coraggioso e come il piccolo sarto.


Salve! ^.^ Rieccomi con un nuovo capitolo di questa raccolta! .) Scusate il ritardo ma ho avuto un po' da fare e non ho avuto tempo di scrivere. La storia, molto bella a mio parere, è dei fratelli Grim (si scrive così?! bho... cmq di quelli lì) e si chiama, con grande sorpresa, "il piccolo sarto" perchè penso non l'abbiate capito! ;) xD cmq Vi lascio che sto scrivendo la mia original :D Scusate se la storia è piena di ripetizioni ma già a dividerla in quelle che sono le parti è stata una faticaccia, non potevo fare anche quello con la testa che ho in sti giorni! Provvederò a modificarla in questi giorni non appena starò meglio! Prometto! :) Alla prossima :*

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