La Barriera d'Argento

di AyaCere
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La paura di non farcela ***
Capitolo 2: *** Decisione di mezzanotte ***
Capitolo 3: *** Quello che conta veramente ***



Capitolo 1
*** La paura di non farcela ***


LA BARRIERA D'ARGENTO

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

La Barriera D'argento

 

E mentre annaspavo per tornare a galla, la superficie mi sembrò una barriera d'argento.

Oltre cosa c'era? Ossigeno per respirare?

(... la felicità?)

Sì, c'era... ma dovevo trovare la forza di superarla. Altrimenti... sarei affogata.

(... altrimenti... non avrei mai sorriso veramente.)

 

1.  La paura di non farcela

 

Ho sempre amato nuotare.

Mia madre mi portava spesso in piscina da piccola, dato che avevo problemi alla schiena e il nuoto era l'ideale per rimettermi a posto. Con gli anni avevo imparato ad amare quello sport, tanto che anche dopo che il medico mi disse che potevo smettere, continuai a frequentare le piscine più o meno quotidianamente.

Facevo in media dalle dieci-dodici vasche di seguito, velocissima; molti mi hanno proposto di fare agonistica, ma ho sempre rifiutato. Nonostante le mie capacità, mettermi in discussione e gareggiare con altri era una cosa che mi spaventava a morte.

Il nuoto era il mio sfogo per i momenti no.

Una passione.

Non una capacità da mostrare al mondo.

Questo però non toglieva il fatto che ogni tanto, la sera prima di addormentarmi, vagavo con la fantasia su queste fantomatiche gare. E mi vedevo sfrecciare veloce a pelo dell'acqua, superando tutti e vincendo premi e medaglie.

La sensazione era fantastica.

Mi sentivo acclamare da tutti, gli applausi erano solo per me.

Ma poi mi risvegliavo nella realtà, e la paura delle gare mi confondeva e mi faceva sentire una nullità.

Forse avrei avuto le potenzialità per diventare, chessò, una campionessa mondiale...ma la paura dell'insuccesso mi bloccava. Non avrei mai saputo se ci sarei riuscita o meno, non ne avevo il coraggio.

Più o meno, era questa paura delle cose che mi bloccava di fronte a tutto.

Uscire con le amiche che non conoscevo ancora bene.

Cantare una canzone ad un karaoke, davanti ad un sacco di gente.

Sorridere felice al ragazzo che mi piaceva.

Propormi come rappresentante di classe.

Erano le piccole sfide di ogni giorno, dove gli esiti erano due: farcela o fallire. Piuttosto che rischiare, preferivo non partecipare affatto.

La sfida che mi aveva riservato il destino, quel giorno, era semplice ed innocua. Ed avrei potuto farcela...

... se solo non mi fosse mancato il respiro...

... se solo fossi riuscita ad abbattere la barriera della paura...

 

 

    - Ottimo tempo! -

Toccai con la mano il bordo della piscina, prendendo fiato. Seduta sul podio della mia corsia stava una donna dall'aspetto giovane ed atletico, dagli occhi verdi e vivaci puntati su di me. In mano teneva un cronometro e mi sorrideva entusiasta.

    - Grazie prof... -

    - Midorikawa, sei davvero velocissima! Una scheggia! - mi ripeté per l'ennesima volta, applaudendo, in estasi per la sua studentessa preferita. Cercai di dire qualcosa, in completo imbarazzo , mentre i miei compagni mi lanciavano urla ed apprezzamenti.

    - Mitica Retasuchan! - Mai, due corsie più in là, agitava in aria le mani. Arrossii di botto. Mi sentivo morire dall'imbarazzo, ma accettata, ed era piacevole. Da quando avevo cambiato scuola la mia vita aveva cominciato a migliorare, gli amici che avevo incontrato erano davvero degni di questo nome. Sentirmi apprezzata dalle persone mi faceva sentire benissimo, ma ciò nonostante non volevo che la cosa durasse troppo. Ne avevo un po' paura, di quella strana popolarità.

    - Non esageriamo, non sono così brava... - balbettai alla professoressa, cercando di farli smettere, senza successo.

    - Non dire stupidaggini! Hai mai pensato di fare agonistica? - mi propose lei con un guizzo negli occhi verdi. Evidentemente, l'idea che una sua alunna potesse diventare una campionessa la elettrizzava moltissimo.

Io scossi la testa, un po' triste. Aveva toccato un tasto dolente.

    - No... - mormorai a mezza voce. La prof si avvicinò al bordo, sorridente.

    - Allora che ne dici di provare? -

    - No, grazie. - declinai l'invito così di getto che la prof mi ci rimase male, così cercai di giustificarmi - Non ho tempo, lavoro in un caffè nel pomeriggio e poi c'è lo studio... -

La prof rimase un po' delusa, ma accusò il colpo.

    - Peccato, però. Se dovessi cambiare idea, però, dimmelo... -

Annuii, senza troppa convinzione.

Quante volte mi avevano posto la stessa domanda? E quante volte avevo detto no?

La prof si alzò, fischiando la fine della lezione.

    - Ragazzi! Avete dieci minuti di libertà mentre metto i voti, fate quello che volete MA badate a non farvi male ed a non urlare, le classi delle terze sono proprio sopra di noi e stanno facendo i test in preparazione agli esami! Chiaro? -

Dei mugolii d'assenso echeggiarono nell'aria, insieme allo sciabordio dell'acqua. La prof se ne andò e così molti si buttarono in acqua, facendo capriole e tuffi a bomba che prima non avevano potuto fare.

Mai, Yuya, Tomoyo e Manaka si staccarono dal gruppo e nuotarono fino a raggiungermi.

    - E brava la nostra campionessa! - mi provocò Manaka facendomi una linguaccia. Odiava che lo battessi in stile libero, era la sua passione.

    - Lasciala stare, non vedi che s'imbarazza? -

Tomoyo mi strapazzò le guance, sorridente. Anche lei era molto veloce in acqua, ma non sembrava mai di cattivo umore, nonostante non vincesse spesso. Insieme a Mai, era le mia migliore amica.

    - E dire che per un pelo non vincevo io... - Yuya schioccò le dita.

    - Ma dove? Se ti ho superato ancora all'inizio, perdente! - Mai gli schizzò l'acqua in faccia, liberandosi poi i capelli neri dalla cuffia. Yuya non aspettò due secondi prima di reagire: l'afferrò le spalle e cercò di buttarla sotto acqua. Mai gridò, ma non si fece battere da lui. Continuarono la loro lotta sotto i nostri sguardi divertiti, per diversi minuti.

Mai e Yuya stavano insieme da un anno ormai, si erano conosciuti proprio grazie alla passione per il nuoto. Erano inseparabili e non li avevo mai visti bisticciare pesantemente. Gli amici, per scherzare, dicevano che nel giorno in cui avrebbero litigato sarebbero cadute meringhe dal cielo.

Tomoyo e Manaka, invece, erano differenti. Non stavano insieme (non ancora, per lo meno) anche se noi tutti sapevamo della cotta reciproca che avevano da sempre. Erano amici d'infanzia e si conoscevano benissimo, ma erano entrambi troppo timidi per esprimere i loro sentimenti.

Io ero l'unica del gruppo a vivere un amore a senso unico, ma loro non me lo facevano pesare. Erano i miei migliori amici e per me c'erano sempre e comunque.

Mai e Yuya ancora litigavano, quando Manaka propose una delle sue idee geniali.

    - Che ne dite di una sfida? -

I due litiganti si fermarono di botto, dandogli subito ascolto. Adoravano le sfide, loro due. Tomoyo era poco convinta, ma annuì. Io rimasi in silenzio, un po' a disagio. Sfida, che parola odiosa .

    - Che genere di sfida? -

Manaka ci pensò per alcuni secondi, osservandosi attorno, quando i suoi occhi nocciola si illuminarono.

    - Ci sono! Venite - ordinò prendendo a nuotare verso il lato destro della piscina, dove la profondità calava a picco e da due metri e mezzo si scendeva ai quattro. Poco convinta, li seguii comunque: avevo più o meno capito qual'era la sua idea.

    - Ta-daaa! - annunciò lui orgoglioso, una volta spuntato dall'acqua - Allora, la sfida è questa: bisogna riuscire a toccare il fondo della piscina con le mani. Il primo che ci riesce vince, ovviamente... -

Mai e Yuya, neanche a dirlo, fecero urla di apprezzamenti e si posizionarono ai bordi, accanto a Manaka. Tomoyo invece mi rimase accanto, perplessa.

    - Non sarà un po' pericoloso? -

Era quello che pensavo anche io. Non per me, certo, io condividevo il DNA di una neofocena e l'acqua era il mio elemento naturale, ma questo non si poteva dire per loro.

    - Già. - concordai. Mai scosse la testa.

    - Siamo nuotatori esperti! Facciamo così - esclamò per convincere me e Tomoyo. - invece che con le mani, facciamo con i piedi. Così è più facile. -

    - Sì, d'accordo. - Tomoyo si sistemò ai bordi, accanto a Manaka. - Retasuchan? Tu che fai? -

Io ero rimasta a fissarli, pensierosa. Scossi la testa per riprendermi, e mi avvicinai sorridente.

    - La campionessa della scuola non rinuncia di certo a gareggiare! -

Yuya e Manaka esclamarono subito qualcosa in contrario, poi ridemmo ed la gara iniziò.

    - Via! -

 

Presi fiato e mi spinsi verso il basso con le mani. Il corpo affondò piano piano da solo, così non mi restò altro da fare che osservare i miei amici. Mai e Yuya si guardavano agguerriti, nella loro sfida a due a chi tornava per primo a galla per respirare; Tomoyo teneva gli occhi chiusi, tutta rannicchiata su se stessa, e Manaka la guardava, attento che non corresse pericoli.

Com'erano belli, loro quattro, pensai in quel frangente.

Ryo non si sarebbe mai buttato per salvarmi.

Lo avrebbe fatto per Ichigo, forse, ma non per la goffa e timida neofocena della squadra.

Il mio amore era davvero impossibile... e sbagliato.

Sì, sbagliato.

Lo avevo capito fin dall'inizio che a Ryo piaceva un'altra, nonostante questa fosse fidanzata. Eppure, me n'ero innamorata lo stesso.

E come evitarlo, d'altra parte?

Ryo mi aveva donato un'altra vita.

Certo, il cambiamento del DNA non è una sciocchezza, avevo avuto innumerevoli problemi con le mie ex compagne e con i miei poteri...

... ma la verità era che mi ero sempre sentita così sola... ed ora grazie a lui non solo condividevo la vita di un animale, che non mi avrebbe mai lasciato, ma avevo tante altre amiche ed un posto dove stare.

Era inevitabile che me ne innamorassi.

Ma era sbagliato.

Per questo non gliel'avrei mai detto.

 

All'improvviso di accorsi di avere i polmoni in fiamme.

Da quanto ero lì, sospesa a metà? Gli altri erano già erano tornati a galla.

Il tempo si era come fermato.

Tesi le braccia e le gambe, nel tentativo di tornare su il più presto possibile. La mancanza di ossigeno già mi dava la nausea. Presi a battere la gambe con forza, ma stranamente il mio corpo era come di piombo. Si rifiutava di muoversi come volevo.

Di scatto voltai la testa verso la superficie, disperata: mancavano solo due metri, eppure mi sembravano chilometri. Mi dimenai, cercando in tutti i modi di raggiungere il bordo.

L'acqua, da amica che era sempre stata, adesso mi faceva paura.

E mentre annaspavo per tornare a galla, la superficie mi sembrò una barriera d'argento.

Oltre cosa c'era? Ossigeno per respirare?

(Perché in quel momento ho pensato che fosse importante?)

Sì, c'era... ma dovevo trovare la forza di superarla. Altrimenti... sarei affogata.

(Perché l'ho pensato?)

Non resistii. Strizzai gli occhi ingoiando acqua, mentre tutto diventava scuro e vuoto. Qualcosa mi afferrò per le braccia, poi persi i sensi.

 

Mi risvegliai in un letto dall'aria famigliare, anche se ero sicura che non fosse il mio.

Da ogni parte arrivavano voci, sospiri, sbiascichi di discorsi che non riuscivo a comprendere. La testa mi girava a mille ed il corpo era pensante come marmo, soprattutto il torace.

    - Retasu... - mi chiamò qualcuno. Sembrava spaventato. Stai tranquillo, sto bene, avrei voluto dirgli, ma la gola sembrava non voler reagire. Era come se mi fosse andata di traverso una goccia d'acqua.

Acqua... ? Acqua... acqua!!!

Spalancai gli occhi di colpo, ricordando che cosa mi era successo. La piscina, il fondo, la superficie!

    - Retasu! -

Mi voltai di scatto. Dal bordo del letto Manaka mi guardava decisamente sollevato. Già, c'era da immaginarselo: ero in infermeria. Allora non ero affogata.

    - Che cosa... - comincia a dire tirandomi su, ma lui mi bloccò ributtandomi sul cuscino.

    - Ferma! Per poco non sei affogata, cara la mia campionessa! - mi ribeccò arrabbiato, ma poi rise sollevato, così anche io mi ritrovai a ridere.Parlammo del più e del meno per un paio d'ore, lui felice di farmi compagnia saltando le lezioni della mattina, io di essere viva ed al sicuro.

Ma la mia mente era altrove.

Era immersa nei pensieri che avevo avuto prima di perdere i sensi.

Sembrava di essere in un altro mondo. Ero lì, ad un passo dall'annegamento, e mi ritrovavo ad elaborare pensieri ovvi a chiunque. Eppure mi sembravano così importanti... come se mi volessero dire qualcosa che non riuscivo a comprendere da sola.

Ma più di tutto un pensiero mi martellavano nell'anima. L'acqua era il mio elemento, la mia passione più grande. Pensavo che la sfida fosse un gioco da ragazzi, per me.

Eppure non ce l'avevo fatta.

Come avrei potuto salvare il mondo da una minaccia aliena, se non riuscivo nemmeno a salvare me stessa nel mio elemento?

Questo mi demoralizzò moltissimo.

 

 

    - Che ti succede? -

Ero così immersa nei miei pensieri che la domanda di Purin mi fece sobbalzare. Lei mi fissava a due centimetri dal volto con i suoi innocenti occhi nocciola, preoccupata. Scossi la testa, con un sorriso che non aveva niente di sincero.

    - Niente, Purinchan. -

La bambina non sembrò convinta della risposta.

    - Invece sì... sei strana, stai sempre zitta! -

    - E' che... - cercai con la mente una scusa plausibile, quando i miei occhi caddero sulla scena che fissavo poco prima.

Ryo ed Ichigo litigavano per l'ennesima volta, davanti all'entrata.

Da quel che avevo capito, lei aveva chiesto un giorno libero per uscire con Masaya, e Ryo (come c'era da aspettarsi) glielo aveva negato, arrabbiato. Allora Ichigo aveva iniziato la sua tangente sul perché a lui non piacesse il suo ragazzo, sul motivo per cui non la lasciasse mai libera e la trattasse sempre male e non le facesse mai favori... senza capire che in realtà, per avere favori ed essere trattata bene, doveva solo lasciare Masaya e stare con lui.

Ryo sembrava sempre così sofferente appena sentiva quel nome. I suoi occhi azzurro cielo si adombravano come se delle nuvole oscurassero quell'azzurro in cui vivevano.

E lei non capiva.

Anche l'amore di Ryo era sbagliato. Dopotutto Ichigo non aveva mai puntato a lui, era sempre stata già impegnata... eppure era così allegra e positiva. Forse era questo che a Ryo piaceva.

Sospirai. Forse sbagliavo tutto. Io non ero mai allegra e sorridente... ero sempre lunatica, chiusa e goffa.

Forse avrei dovuto cercare di essere come Ichigo.

Forse... c'erano centinaia di forse. Però...

Possibile che non si voltasse mai verso di me?

    - Retasu... - mi chiamò Purin, insistente. Mi ero nuovamente incantata.

    - Purinchan, lasciala stare... Retasuchan non è dell'umore migliore. -

Zakuro si era avvicinata silenziosamente al bancone, non l'avevamo nemmeno sentita arrivare. Purin, alle sue parole, mi lanciò un'occhiata preoccupata ed incerta, ma fece come aveva detto la mew lupo e ritornò a servire i clienti.

Osservai Zakuro alcuni secondi, cercando di decifrare la sua occhiata. Non era facile riuscire a capire che stesse pensando dietro ai suoi occhi glaciali, di solito così imperturbabili, ma capii che lei doveva aver intuito qualcosa riguardo al mio umore.

    - Zakurochan... -

    - Non starai cercando di raggiungere qualcosa di troppo alto, Retasu? - disse all'improvviso lei, nel suo tono serio, lo sguardo in direzione di Ryo ed Ichigo.

Ci rimasi malissimo.

Possibile che Zakuro capisse sempre tutto di tutti, mentre capire lei fosse una vera e propria missione impossibile?

E com'era possibile che in fondo, qualunque cosa dicesse, indovinasse sempre il nocciolo della questione?

Forse Ryo era davvero troppo per me.

Forse era impossibile che lui si accorgesse del mio sentimento per lui.

E se anche se ne fosse accorto... forse non lo avrebbe mai ricambiato.

Era troppo in alto, era troppo difficile, impossibile e sbagliato .

    - Forse... - cominciai il discorso, un po' titubante, cercando bene le parole. - ... forse è come dici tu... ed è per questo che non glielo dirò mai. -

Zakuro voltò lo sguardo su di me, seria come sempre; ma stranamente il tutto aveva un'aria affettuosa, malinconica, dolce.

    - Così non sarai mai felice, Retasu. -

All'improvviso sentii come un groppo alla gola, ed un'improvvisa voglia di piangere unita a quella di urlare.

E, cosa più strana, mi ritornò in mente il giorno prima in piscina, quei pensieri prima di perdere conoscenza.

(... la felicità?)

    - Non voglio rischiare di perdere anche la sua amicizia, Zakuro. Se un giorno non potessi nemmeno sorridere con lui, per me sarebbe la fine. -

    - Ma l'amicizia non è quello che vuoi davvero... e soffrirai ancora di più man mano che andrai avanti. -

Zakuro aveva ragione, lo sapevo bene.

Ma la verità era che non sapevo che fare. Non sapevo che cosa dire, come comportarmi, come reagire.

Nemmeno in quel momento lo sapevo.

Così voltai le spalle a Zakuro, e senza dire una parola la lasciai lì sola al bancone, fiondandomi fuori dal locale, mentre alcune lacrime minacciavano di scendere e dare sfogo ai miei sentimenti.

 

*

 

Ta-daaa! Eccoci arrivati alla fine della prima parte! L'ho revisionata, prima era messa da far schifo. Mi sono accorta di aver messo davvero troppi punti di sospensione, ma ne ho trovati pochi di sacrificabili, è lo spirito della fiction! xD

So bene che Retasu non sapeva nuotare prima di diventare mewmew... prendetela come una licenza d'autrice! Ditemi che ne pensate, mi raccomando...

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Capitolo 2
*** Decisione di mezzanotte ***


LA BARRIERA D'ARGENTO

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

La Barriera d'Argento

 

E mentre annaspavo per tornare a galla, la superficie mi sembrò una barriera d'argento.

Oltre cosa c'era? Ossigeno per respirare?

(... la felicità?)

Sì, c'era... ma dovevo trovare la forza di superarla. Altrimenti... sarei affogata.

(... altrimenti... non avrei mai sorriso veramente.) 

 

2.  Decisione di mezzanotte

 

Passò qualche giorno dalla mia fuga dal locale, giorni in cui non mi feci vedere da nessuno.

La mia giornata partiva così: andavo a scuola, mi isolavo all'ora di pranzo, continuavo con le lezioni e poi saltavo i corsi del doposcuola, ma anziché tornare a casa mi nascondevo un paio di ore nel parco dietro le piscine comunali.

E lì passavo il mio tempo, in silenzio, a pensare qualunque cosa in cui lui c'entrasse.

Pensavo a come fosse l'America, all'incendio in cui era stato coinvolto da bambino, ai suoi genitori, a Keichiro, ai suoi studi, ai suoi capelli dorati e soffici, ai suoi occhi azzurri.

Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e non riuscivo a fare lo stesso nemmeno con le parole di Zakuro.

Quando realizzai di amare Ryo, decisi che lo avrei fatto da lontano, senza volere niente in cambio, ed intanto avrei fatto di tutto pur di renderlo felice. Volevo vederlo sorridere, parlare, aprirsi al mondo, vederlo soddisfatto.

Solo questo.

Magari solo con un ruolo da amica. Pensavo che mi sarebbe andato bene così.

Ma dovevo essere davvero imbranata...

Ryo riusciva ad essere felice soltanto vedendo Ichigo, mentre io per raggiungere lo stesso obbiettivo dovevo fare i salti mortali. Era piuttosto frustrante vedere come Ichigo, senza nemmeno volerlo e senza fare niente di eccezionale, riusciva a fare quello che mi ero proposta di fare io con mille sacrifici.

Certo che ero proprio cotta... come avrei potuto dimenticarmi di lui?

E con che coraggio mi sarei potuta dichiarare?

Erano questi i miei pensieri in quei momenti di solitudine. E se per caso il cellulare squillava o vedevo qualcuno di conosciuto spuntare dall'angolo, semplicemente lo ignoravo e cambiavo posto. Ma quel giorno sul mio cellulare comparve una chiamata che non potevo ignorare. Il caffè MewMew.

 

    - Pronto... - risposi alla chiamata senza un tono di voce particolare, pronta ad aspettarmi critiche, ramanzine e paternali di tutti i generi. Forse era ora di finirla con le mie fughe. Ed invece la chiamata di Keiichiiro non fu niente di quello.

    « Retasu! Fortuna che ti ho trovato... »  la voce profonda e solitamente tranquilla di Keiichiiro sembrava molto sollevata nel sentire la mia, così mi allarmai. Era forse accaduto qualcosa?

    - Perché... Che è successo? -

    « No, niente... è che sono un po' di giorni che non ti fai vedere e non rispondi alle telefonate di casa, per cui temevo che ti fosse accaduto qualcosa... »

    - Ehm - mi schiarii la voce, in imbarazzo. Chissà come si era preoccupato - E' che in questi giorni non mi sento molto bene... - finii per dire, inventando su due piedi. Ma in fondo non era la verità?

    « Mmm... » Keiichiiro parve riflettere due secondi. « Beh, se ce la fai potresti fare un salto al caffè? Dobbiamo fare una riunione urgente... »

    - Sì... sì, va bene, ce la faccio. Arrivo tra poco. -

Accettai subito, un po' per riscattarmi dalla mia mala condotta, un po' perché a Kei non si poteva dire di no. E poi ero preoccupata.

Una riunione urgente? Forse era successo davvero qualcosa...

Salutai Keiichiiro e chiusi la chiamata. Poi mi alzai dall'altalena e mi avviai verso il caffè, correndo.

Lo ricordo bene quel giorno. Era una giornata di fine maggio.

Il sole splendeva un po' timido nel cielo terso e sereno, il vento si muoveva dolcemente tra le fronde dei rami, il cigolio dell'altalena mi cullava con delicatezza. Tutto era così tranquillo... mi sentivo come avvolta in un alone protettivo, che mi riparava dal mondo e dai miei problemi, in attesa che mi sentissi preparata per affrontarli.

Non immaginai nemmeno per un attimo che la riunione riguardasse proprio l'annuncio dell'ultima battaglia contro gli Alieni.

 

 

    - Oramai il tempo è scaduto. I messaggi sono chiari: gli Alieni voglio la guerra. -

Nella penombra del laboratorio sotterraneo la luce dello schermo illuminava il volto di Ryo per metà, ed i suoi passi risuonavano all'infinito rompendo l'innaturale silenzio circostante.

Nessuna di noi disse qualcosa, nessuna mosse un muscolo.

Gli occhi di tutte erano puntati sul nostro leader. I sorrisi, perfino quelli di Purin e Ichigo, erano congelati.

Le piccole battaglie a cui avevamo partecipato fin'ora non erano niente in confronto a quello che ci aspettava in un futuro vicino.Il tempo della vera battaglia, quella che avrebbe deciso le sorti del pianeta Terra, era ormai agli sgoccioli.

    - Potrebbe essere domani, il mese prossimo, oggi stesso... dipenderà tutto dai nostri nemici. -

Già, dipendeva tutto da Pai, Taruto, Kisshu... e Deep Blue.

E poi, naturalmente, da noi cinque.

    - Tenetevi sempre in allerta, guardatevi le spalle in ogni momento. Sarà dura ragazze, ma mettetecela tutta. Ricordate sempre cosa c'è in ballo. -

La salvezza di tutte le creature viventi, lo sappiamo, non smetti mai di ricordarcelo. Avrei voluto dirglielo, ma in quel momento la gola era come immobilizzata in una morsa ferrea.

Qualcuno si mosse e una voce parlò. Risuonò timida, soffocata da quell'aria pesante che si era creata.

    - Noi... noi ce la metteremo tutta, Ryo e Keiichiiro. Davvero tutta. -

Ci voltammo a fissare Ichigo, pallida e spaventata ma decisa più che mai. Annuimmo tutte, Mint si lasciò anche scappare un - Non occorre nemmeno dirlo, è ovvio! - col suo solito tono altezzoso.

A quel punto, come se fosse saltata una molla, scoppiammo tutti a ridere.Anche Ryo.

Quella visione sciolse un poco l'amaro che avevo dentro.

    - Va bene, ora potete andare, il caffè per oggi chiude. Godetevi questi giorni! - annunciò Ryo recuperando il suo solito tono serio e professionale, ma sotto sotto sollevato di poter dire quelle parole. Feci per prendere la mia borsa e la divisa ed andarmene, quando la sua voce mi fermò.

    - Retasu. - il mio nome risuonò all'infinito nel laboratorio. Mi voltai, scoprendo Ryo intento a fissarmi le spalle. Era serio in volto, ma non freddo, ed il suo sguardo così azzurro sembrava perforarmi da parte a parte tanto era intenso. Non mossi un muscolo, nonostante il mio cuore avesse cominciato a battere all'impazzata. - Posso parlarti? -

    - Veramente... - cominciai, senza nascondere la mia riluttanza nel rimanere. In quel momento, infatti, stare con Ryo per me era una tortura: volevo fuggire, allontanarmi da lui, ma al contempo ne avevo bisogno come l'aria. E poi non volevo che mi chiedesse il perché dello strano comportamento che avevo avuto in quei giorni. - Non ho tempo, ho da fare... -

Afferrai la mia roba frettolosamente, poi mossi qualche passo verso la porta di uscita, decisa ad andarmene il prima possibile; ma la sua stretta improvvisa intorno al mio braccio mi costrinse a rimanere accanto a lui.

    - Aspetta! - esclamò seccato, senza allentare la presa della sua mano. - Si può sapere che ti è preso? -

Non mi voltai verso di lui, non volevo incontrare i suoi occhi.

    - Non capisco di cosa tu stia parlando... -

Ryo sbuffò severamente e si piazzò davanti a me. Tenni ostinatamente lo sguardo a terra, decisa più che mai a non guardarlo in faccia.

    - Smettila! Non ti voglio mettere in soggezione... - disse in tono seccato, poi parve accorgersi che in quel modo avrebbe messo soggezione a chiunque, quindi sospirò e continuò, più gentile. - ... e nemmeno sgridarti. Voglio solo sapere che cos'è che ti tiene così impegnata in questi giorni da non permetterti di venire a fare nemmeno un saluto. Cosa ti tiene lontana dal caffè? -

Dal caffè? No, Ryo, cosa mi tiene lontano da te...

Preferii non rispondere affatto, fissandomi ostinatamente i piedi. Ryo allora si spazientì totalmente, perché con la mano libera mi avverrò il meno e mi costrinse ad alzare il viso verso il suo.

    - Guardami, almeno! - esclamò adirato e disperato.

E lo guardai.

I suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi azzurri sembravano brillare come gemme nell'oscurità del laboratorio.

Li conoscevo bene, quegli occhi... quante volte li avevo visti, freddi, gioiosi, pieni di rabbia, indifferenti...

Quante volte li avevo sognati?

Ormai li conoscevo bene, per me erano come l'acqua.

Ma in quel momento, forse per la paura, per la confusione che avevo in testa, per un non so che altri motivi, mi sembrarono diversi.

Mi sembrarono quasi screziati di argento...

Per un attimo, un piccolissimo attimo, quella visione si sostituì a quella di qualche giorno prima.

Alla barriera argentea.

Poi, veloce come era arrivato, il pensiero scomparì, e ritornai a fissare quegli screzi.

Cosa? mi chiesi confusa. Non avevo mai notato quel particolare prima d'ora.

Forse mi ero solo illusa di conoscerli?

Forse non erano gli stessi occhi dei miei sogni?

Forse... io non conoscevo Ryo così bene come avevo sempre pensato?

Qualcosa scattò, in quel frangente. Qualcosa di feroce, di incontrollabile.

La paura.

La voglia di fuggire.

La sensazione di affogare...

... e di precipitare nell'abisso...

    - Lasciami andare! -

L'espressione di Ryo cambiò radicalmente, nel momento in cui il mio braccio saettò in aria e le sue dita dovettero lasciare il mio mento. Sembrò sgomento, confuso; i suoi occhi esprimevano un sentimento che mai avrei voluto vedere... cosa ti ho fatto?

Ma quel qualcosa di incontrollato dentro di me non si chinò nemmeno a quella vista.

Urlai parole che mai mi avrei pensato di dire in vita mia.

    - Non toccarmi più! Lasciami in pace! -

E fuggii... non correndo, come avevo fatto dopo le parole di Zakuro, ma con passi veloci di chi non sapeva né che stava facendo né dove si stava dirigendo.

Ero in completa balia del miei sentimenti.Ero in alto mare, presa da una paura folle e nemmeno sicura di aver capito ciò che avevo appena fatto.

Ryo non avrebbe mai saputo quel che provavo per lui.

Mai.

 

 

La porta scattò dietro di me. Lasciai le scarpe all'entrata, senza premurarmi di cambiarle con le ciabatte da casa. In punta di piedi, cercando di fare il minor rumore possibile, mi avviai verso le scale.

Erano ormai la mezzanotte passata.La casa era tranquilla e silenziosa: gli unici rumori che spezzavano quella pace erano il ticchettio dell'orologio e lo strusciare delle calze sul legno del palchet.

Non dovevo assolutamente fare rumore, se mia madre avesse scoperto a chi tarda ora ero rientrata mi avrebbe fatto il terzo grado.

E' triste, però mia madre non si fida di me.

E' sempre stato così. Nonostante tutti i bei voti che prendo, o i modi gentili ed il comportamento responsabile. Lei è sempre lì, pronta a giudicarmi e mettermi in riga con severità, senza mai abbassare la guardia.

Molte volte non posso fare a meno di pensare che sia in parte per colpa sua che il mio carattere sia così... timido ed impacciato. Ho sempre molta paura di fare la cosa sbagliata.

Per quanto riguarda la goffaggine, invece, credo di averla dentro il DNA, insieme alla neofocena... perché nemmeno in un momento come quello riuscii a non combinare un pasticcio!

    - No! - bisbigliai, con un vago tono supplichevole, al vaso di fiori che avevo accidentalmente spinto col gomito. Allargai le braccia per afferrarlo.

Troppo tardi.

Il vaso cascò sul palchet rompendosi in tre grossi pezzi. L'unica cosa che pensai in quel frangente era che, per lo meno, non sarebbe stato difficile riaggiustarlo con della colla.

Ma mia madre non fu dello stesso parere.

    - Ma che... Retasu! -

I miei genitori uscirono dalla loro camera proprio in quel momento, in camicia da notte ed aria assonnata. Mentre mio padre si limitò ad osservare il danno e fare un'alzata di spalle, mamma ignorò il vaso in frantumi e si diresse verso di me con un'espressione arrabbiata.

    - Ops... -

    - Ma quale ops e ops! Ti rendi conto di che ore sono? Dove sei stata fin'ora? Io e tuo padre ci siamo tanto preoccupati per te! -

    - Sono uscita con gli amici, e non mi sono portata dietro l'orologio... - inventai su due piedi. Mamma mi squadrò da cima a fondo, evidentemente scettica. Dopo una quantità infinita di tempo, sbottò:

    - Bugiarda. Tomoyo prima ha chiamato per sapere dov'eri, visto che non ti trovava né al cellulare né in piscina. -

Ops. Toppato alla grande. Ed ora che m'invento? pensai imbarazzata. Osservai papà, alle spalle della mamma, in cerca di aiuto.

    - Intendevo... sono andata al caffè... per una riunione... -

    - Ah sì? Ma il venerdì non era il tuo giorno libero? -

Ops, toppato due volte. In effetti era proprio venerdì. Decisi di non demordere, facendo forza a tutte le mie capacità inventive.

    - Sì, ma c'era una riunione straordinaria. Il proprietario ha deciso di chiudere fino a tempo indefinito. Vuole prendersi una vacanza, penso ritorni in America per sbrigare delle faccende... così abbiamo passato tutta la giornata a mettere a posto la cucina e gli arredi, e poi ci sono stati i saluti... insomma, il tempo è davvero volato, non mi sono accorta di quanto fosse tardi, davvero... -

Papà a quel punto si fece avanti. Non so bene se fosse per il sonno o per le mie doti sceniche che l'avevano convinto delle mie parole, fatto sta che mi venne in aiuto.

    - Dai Miwako, lasciala stare. Ha fatto un po' tardi, ma non è del tutto colpa sua... e poi che sarà mai, non è mai successo...-

Mamma sbuffò. Mi rivolse un'occhiata indagatrice, come se volesse sondarmi l'anima, ma fece come papà le aveva detto.

    - ... ne parliamo domani. Ora fila a letto, e non sperare che solo perché te la faccio passare liscia tu possa stare sempre in giro fino a tardi. -

In quel momento mi ritrovai a detestare mia madre. Della mia vita facevo quel che mi pareva. Non avevo mai dato problemi in famiglia, non ero una delinquente e studiavo molto per portare bei voti a casa. Ma lei non lasciava mai la presa che aveva intorno al mio collo. Come la detestai, per quel soffocamento che subivo fin da bambina...

Però non dissi nulla. Come sempre.

Feci per avviarmi per la mia camera, però mi fermai all'ultimo secondo, la mano ancora sulla maniglia.

    - Mamma, perché Tomoyo mi ha cercata? Che ti ha detto? -

    - Non lo so, non ha detto nulla di particolare. - scrollò le spalle. - Ma non preoccuparti, sembrava felice dal tono, quindi non devono essere brutte notizie. Ed ora fila a letto, che domani hai scuola! -

Non aspettai due secondi prima di infilarmi nella camera e chiudermi la porta alle spalle. Aspettai alcuni minuti, in silenzio. Solo quando i sussurri dei miei furono sostituiti dalle russa di mio padre mi infilai sotto le coperte, alzai il lenzuolo fin sopra la testa e presi dalla tasca della gonna il mio cellulare.

Composi il numero a memoria, poi aspettai che dall'altra parte quel qualcuno mi rispondesse. Era molto tardi, perciò le probabilità che rispondesse erano poche, eppure provai lo stesso. E fui fortunata.

    « Pronto... com'è che mi chiami a quest'ora? »

La voce di Tomoyo riempì la mia testa. Sorrisi titubante, per paura di averla svegliata.

    - Scusa... stavi dormendo? -

    « No, stavo finendo i problemi di trigonometria. Oh, Retasuchan, non ci capisco niente! » si lamentò Tomoyo, con quella sua voce dolce e gentile.

    - Domani te li faccio copiare. Senti, mamma mi ha detto che mi hai chiamato questo pomeriggio... -

    « Sì! » la sua voce cambiò velocemente, diventando più euforica. Si era già dimenticata di trigonometria? « Oh Retasu, è successa una cosa... ahhh! Ma adesso ti racconto... »

Appoggiai la testa sul cuscino, si prospettava un discorso molto lungo e cominciavo a sentirmi stanca.

    - Dimmi tutto... - risposi, socchiudendo gli occhi. E Tomoyo cominciò a parlare, euforica, imbarazzata, eccitata, sospirante.

    « Manaka... Manaka si è dichiarato! »

Aprii di scatto gli occhi, all'improvviso sveglissima.

    - Nooo! -

    « Siìì! Oggi pomeriggio! Eravamo alle panchine del parco delle elementari, aspettavo che mio fratello mi venisse a prendere e lui intanto mi teneva compagnia come sempre... non so come è successo... abbiamo cominciato a discutere su chi fosse più bello tra il cane ed il gatto, io ovviamente parteggiavo per il gatto ma siccome lui è un bastian contrario parteggiava per il cane, insomma era un discorso futilissimo e scemo... e d'improvviso mi ha detto che gli piaccio, gli sono sempre piaciuta! »

Ci rimasi di sasso.

No, dire di sasso era dire poco. Ero veramente shockata. E non capivo il perché.

Insomma, che loro due fossero innamorati l'uno dell'altra si sapeva fin dall'inizio, però eravamo sicuri che non si sarebbero dichiarati prima dei vent'anni. Davvero. Yuya e Mai addirittura facevano scommesse su cosa si sarebbero inventati per stare insieme e non dirsi ancora niente sui loro sentimenti.

Invece si erano dichiarati...

Avrei dovuto essere felice. Era il minimo, come migliore amica di Tomoyo. Eppure mi sentii così... così strana... così vuota e spenta... così invidiosa .Perché ora lei poteva essere sincera col ragazzo che le piaceva, e dirgli tutto quello che provava davvero, senza cercare bugie e scuse.

Io invece...

    « Retasu... ? Ci sei? »

    - Alleluia... finalmente ci siete riusciti! - pronunciai quando la voce di Tomoyo mi riportò alla realtà. Cercai di metterci tutto il buono ed il dolce che avevo dentro, ma il tono uscì comunque un po' freddo. Tomoyo non se ne accorse, per fortuna.

    « Sì! Non sai quanto mi senta felice... ora stiamo insieme e mi sembra di toccare il cielo con un dito... »

    - Già... -

Ci furono parecchi momenti di silenzio. Poi la voce di Tomoyo mi raggiunse, tornando dolce e tranquilla come l'avevo sempre sentita.

    « Retasuchan... spero con tutto il cuore che anche tu un giorno riuscirai a dire il tuo segreto a Ryo. »

E quando sarebbe successo? Io cercavo di farglielo capire, di farmi desiderare, di attirare la sua attenzione, eppure...

    - Non credo che succederà mai. E poi lui è innamorato di un'altra, lo sai. E' sbagliato. -

Tomoyo sbuffò sonoramente, dall'altra parte della cornetta.

    « Oh, Retasu. Sei proprio senza speranze. Non esiste un amore sbagliato, né tra vecchietti e ragazzine, né tra uomini e uomini o donne e donne, né tanto meno tra te e quel ragazzo. Sei carina, dolce ed intelligente, Retasu, eppure non riesci a vedere più in là dei tuoi difetti. Cos'è che ti frena? »

    - Tu esageri, Tomoyochan. -

    « No, non esagero affatto! Quello che dico lo credo veramente, perché ti conosco e so chi sei. Per me e Manaka non è stato facile dirci quello che provavamo, è stato difficile quasi quanto tenerlo nascosto. Però abbiamo trovato il coraggio di farlo e se te lo devo proprio dire... ne è davvero valsa la pena. Perché ADESSO sono felice. ADESSO, capisci? Non prima, quando giocavamo a fare gli amici, ADESSO che giochiamo a carte scoperte. Devi soltanto avere fiducia in te. »

Non risposi. Rimasi lì impalata, sotto le coperte, a fissare il vuoto con gli occhi che piano piano cominciavano a bagnarsi di lacrime, ed i pensieri di quei giorni che mi riempivano la testa. Lasciai cadere alcune lacrime sul guanciale, capendo finalmente cos'era che mi bloccava dall'essere felice.

Quella barriera d'argento...

    - Tomoyo... io ho paura... tanta paura... una paura tremenda e soffocante che mi dica di no... - dissi tra i singhiozzi. Piangevo come una bambina, e se Tomoyo fosse stata lì accanto a me mi sarei aggrappata a lei, perché mi sentivo crollare.

    « Oh Retasuchan... » disse la mia amica con voce triste e soffocata. Avrei tanto voluto averla vicino, davvero.

    - Quando lo guardo... quando lo guardo i suoi occhi mi sembrano così impenetrabili... non riuscirò mai ad entrare nei suoi pensieri, a guarirlo dalle sue ferite, a farmi voler bene da lui. Lui... Ryo... i suoi occhi hanno come una barriera invalicabile di cristallo e di argento... lui non vuole lasciar entrare nessuno, e di certo non vuole me! -

    « Retasu... »

    - Io... io non posso dirglielo, Tomoyo. Non posso. -

Se prima la sua voce mi era giunta triste e comprensiva, ora sembrò più decisa che mai, addirittura reperentoria. E ripeté una frase che ormai in quei giorni mi perseguitava.

    « Così non sarai mai felice. Dichiarati, digli quello che provi, scavalca quella barriera! Se proprio devi, distruggila! Ma fai qualcosa Retasu... non piangerti sempre addosso. Non è così che si diventa felici! »

E Tomoyo buttò giù il telefono.

Fu un gesto tanto repentino che mi lasciò inebetita, le lacrime che correvano sulle guance, gli occhi fissi nel vuoto.

Forse aveva ragione.

Forse aveva torto.

Forse avrei dovuto fare come mi diceva.

Forse così avrei sbagliato.

Forse... c'era una montagna di forse.Poi capii.

Quella barriera argentea separava il mio solito mondo triste dei rimpianti da quello della felicità.

Era una barriera fatta d'argento. Era dura, era forte. Ed io ero debole e spaurita.

Bisognava avere coraggio per riuscire a romperla.

Il coraggio... una cosa che mi mancava, o che forse era solo nascosta in un angolino buio dell'anima, in attesa di essere riportata a galla.

Era difficile.

Ma se non lo avessi fatto, non sarei mai stata felice.

Buttai via le coperte e guardai l'orologio. Erano le due di notte, ed io avevo preso una decisione.

Mi asciugai le lacrime dal viso, poi scivolai fuori dal letto e camminai in punta di piedi fino alla finestra che dava sul cortile. L'aprii piano, assaporando l'aria fresca e pungente della sera.

Avevo deciso.

Non mi sarei mai più tirata indietro.

Io avrei conosciuto la felicità, io avrei rotto quella barriera.

Io sarei stata felice. E non c'era niente di sbagliato in tutto questo.

Buttai il cellulare sul letto, sicura che in questo modo nessuno mi avrebbe rintracciato. Quella era la mia notte, la mia decisione, la mia vita. Nessuno si sarebbe intromesso.

E con quel pensiero bello fino a far spavento, scappai dalla finestra e scivolai nel buio della notte.

 

*

 

Salve! Il prossimo capitolo sarà l'ultima parte. Mi spiace avvertirvi che per adesso la fiction è SOSPESA, ma sono mesi che non riesco a buttare giù due righe decenti. Qui c'è una specie di spiegazione. Questo però non vuol dire che non dovete lasciare più dei commenti, eh! XP Comunque vi ringrazio, siete stati tutti gentilissimi e carinissimi, cercherò di mettere la parola fine al più presto! Promesso!

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Capitolo 3
*** Quello che conta veramente ***


LA BARRIERA D'ARGENTO

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

La Barriera d'Argento

 

E mentre annaspavo per tornare a galla, la superficie mi sembrò una barriera d'argento.

Oltre cosa c'era? Ossigeno per respirare?

(... la felicità?)

Sì, c'era... ma dovevo trovare la forza di superarla. Altrimenti... sarei affogata.

(... altrimenti... non avrei mai sorriso veramente.) 

 

3. Quello che conta veramente

Lo sciabordio dell'acqua rompeva la calma in cui era immerso l'edificio, la luce lontana dei lampioni della strada creava riflessi suggestivi sulla superficie nera della piscina.
I miei passi risuonarono nel vuoto, mentre mi avvicinavo al podio e vi salivo sopra, pronta al tuffo.
Anche se pronta non era proprio il termine esatto.
Avevo la pelle d'oca al pensiero di essere fuggita di casa, essere entrata di nascosto nella scuola in piena notte e di essere sul punto di fare quello che stavo per fare. La certezza con cui ero uscita di casa solo mezz'ora prima era completamente svanita, sostituita da un senso di colpa per aver fatto quelle cose così alla leggera, senza riflettere.
Ero arrivata lì alle tre della notte per affrontare la barriera della paura, la barriera d'argento. Sola, senza nessuno che mi sorreggesse, senza nessuno che mi salvasse nel caso qualcosa andasse storto. Mi diedi della stupida: potevo venire una volta fatto giorno, alla luce del sole, senza correre rischi inutili, invece...
... ma ormai ero lì. Tirarmi indietro avrebbe significato fare la vigliacca che ero sempre stata, di fronte a mia madre, di fronte alle ingiustizie ed i maltrattamenti delle mie ex compagne, di fronte alle piccole sfide di ogni giorno.
No, non potevo continuare a tirarmi indietro.
E poi, sapevo che quella era una prova che dovevo affrontare da sola, con l'aiuto della mia sola forza.
Io sarei stata felice, e nessuno -nessuno- me lo avrebbe più impedito.
Quel pensiero mi diede forza, così, prima di avere il tempo di ripensarci, presi un grosso respiro e mi tuffai.
L'acqua era gelida, tanto da immobilizzarmi i muscoli. Mi rannicchiai su me stessa per alcuni secondi, in attesa di abituarmi alla temperatura della piscina, e mi lasciai affondare fino a quando sfiorai il fondo della vasca.
Ero arrivata ai quattro metri. Il cuore pulsava forte, le orecchie fischiavano e tremavo leggermente. Aprii gli occhi e alzai lo sguardo: la barriera d'argento era là, immobile, dura e spaventosa.
L'ossigeno mi mancava: provai l'impulso di aprire la bocca per prendere respiro, ma lo bloccai sul nascere. Basta, non potevo rimanere laggiù ancora per molto, dovevo darmi una mossa ed infrangere quella maledetta barriera.
Allungai braccia e gambe e cominciai a nuotare, ma non riuscii a risalire più di due metri che dovetti fermarmi: lo sforzo fisico era disumano, e mi sentivo di piombo, come quella volta con Manaka e gli altri. Ricominciai ad affondare, e tentai disperatamente a muovermi, ma niente... continuavo a scendere verso il fondo...
... non ce l'avrei mai fatta...
Ero stata una stupida anche solo a pensare di potercela fare.
Non ne avevo la forza, non ne avevo il coraggio. Essi non erano nascosti in qualche angolino dell'anima, in attesa di essere scoperti, non c'erano proprio. Avevo sbagliato, ed ora sarei annegata, senza che nessuno sapesse perché ero entrata di nascosto nella scuola per una nuotata, senza dire addio alla mia famiglia, senza dire a Ryo i miei sentimenti...
... senza vederlo per l'ultima volta...
Il ricordo della nostra ultima chiacchierata si fece spazio tra i miei pensieri confusi.
Dio, era stato così bello vederlo preoccuparsi per me, solo per me, per la prima volta. E quando mi aveva alzato il volto con le dita... avrei voluto baciargliele. Perché non l'avevo fatto? Tanto, sarei morta il giorno dopo. Avrei dovuto dirgli che lo amavo, anche a costo di sentirmi respinta, mi sarebbe bastato che lui lo sapesse. Tanto, sarei morta il giorno dopo. Oppure nella battaglia contro gli Alieni.
E invece... sarei morta lì, sola, in una stupidissima piscina, e lui non avrebbe mai saputo quanto lo amavo.
Le mie ultime parole che avrebbe ricordato sarebbero state "Non mi toccarepiù! Lasciami in pace!" e avrebbe pensato che lo odiavo, che forse mi ero suicidata per la paura dell'ultima battaglia, e tutto questo avrebbe aggravato il peso che portava nel cuore fin da bambino...
... quel peso che avrei tanto voluto non cancellare-impossibile pensare di cancellare con un po' di amore qualcosa di così profondo- ma quanto meno condividere...
Ryo... scusa...
... ?!
Aprii di scatto gli occhi.
No! Che diavolo stavo pensando? Non potevo morire così, non potevo assolutamente farlo soffrire! Al di là della mia felicità, al di là del mio bisogno di coraggio, c'era lui, che era più importante di tutto, anche di me stessa. Sarei potuta morire, non me ne fregava niente, ma non potevo farlo soffrire, mai!
Mai!
Come se una nuova forza fosse entrata dentro di me, tesi il corpo e nuotai con tutta me stessa verso l'alto, verso la superficie.
La barriera argentea mi attendeva, forte e dura come prima, eppure non ne avevo più paura. Non ci pensavo più. L'unica cosa che contava, ora, era Ryo.
Meno tre metri...
(Io non voglio...)
Meno due metri...
(... farlo soffrire...)
Meno un metro...
(Io voglio solo...)
La barriera argentea... la superficie...
(... la sua felicità!)
Fuori! Buttai indietro la testa e inghiottii tutto l'ossigeno possibile, mentre qualcosa di caldo e confortante si propagava in tutto il corpo.
    - Ce l'ho fatta... - mormorai a me stessa, incredula del mio successo, e scoppiai a piangere, perché finalmente avevo capito quello che davvero contava nel mio mondo.


Il caffè sembrava arancione alle prime luci dell'alba. La ghiaia scricchiolava sotto i miei passi, mentre oltrepassavo il cortile davanti all'entrata. Poi mi fermai e, sebbene sapessi che doveva essere chiuso, provai a girare la maniglia della porta.
Contro ogni mia aspettativa, si aprì. Rimasi sorpresa, presa contro piede, ma entrai comunque.
L'interno era deserto e buio. La poca luce che filtrava dalle finestre a cuore illuminava solo i tavoli, dov'erano appoggiate le sedie. L'ingresso della cucina era avvolto nell'oscurità, così come le scale che portavano al piano superiore.
Rimasi lì, in piedi sull'entrata, indecisa se farmi avanti o meno.
Non sapevo bene cosa mi aveva spinto ad arrivare lì. Avrei fatto meglio a tornare a casa, infilarmi nel letto e aspettare che mamma mi venisse a svegliare, così da evitarle un infarto quando avesse scoperto che ero scappata. Invece ero lì, trascinata dalla stessa certezza che mi aveva guidato verso la scuola.
La mia parte razionale se n'era davvero andata a farsi benedire, evidentemente. Ma dopotutto, chi non ha mai fatto pazzie per amore?
    - Ehm... è permesso? -
La mia voce riecheggiò nelle mura rosee del locale, ma non mi giunse risposta. Forse Keiichiiro e Ryo erano ancora a dormire; ma allora perché avevano lasciato le porte aperte?
Mossi qualche passo verso l'interno della sala, e lo guardai, presa da una strana nostalgia. Chissà se dopo l'ultima battaglia avremmo ancora lavorato tutte quante lì, o se il gruppo si sarebbe sciolto. Per quanto mi riguardava, avrei fatto di tutto per tenerlo unito: avevo condiviso così tante cose con Ichigo e le altre che mi sembrava impossibile abbandonare tutto così, come se fosse stato niente.
Entrai nella cucina, e passai il palmo della mano sulla superficie lucida di acciaio dove a volte avevo aiutato Keiichiiro a preparare i suoi dolci. Chissà se avrebbe continuato a lavorare al caffè, o se sarebbe partito per l'America.
E Ryo?
Non feci in tempo a pensare ad una risposta, che dei passi risuonarono ed una voce che ben conoscevo mi chiamò forte e sorpresa.
    - Retasu? -
Il cuore perse un battito, ma riuscii a voltarmi e balbettare qualcosa di sensato.
    - Ciao, Ryo... scusa se sono entrata così, la porta era aperta... -
Lo sguardo di Ryo cambiò subito, diventò guardingo e freddo. Probabilmente aveva ricordato le mie parole del giorno prima, ed ora mi studiava come per capire che mossa fare. Vederlo così mi fece male, quasi fisicamente.
    - Devo aver dimenticato di chiudere la serratura. - si limitò a commentare. Il suo sguardo era insostenibile: chinai il viso e mi tormentai una ciocca dei capelli ancora bagnati, senza sapere cosa dire.
    - Io... - perché improvvisamente mi sembrava tutto così difficile? Dovevo solo dirgli che lo amavo, che non volevo assolutamente che mi stesse lontano, che avrei fatto di tutto per alleviare il peso che portava nel cuore. Non era difficile, no? Avevo infranto la barriera d'argento, questo non era niente in confronto!
Ma ovviamente mi sbagliavo. Una barriera argentea non era nulla in confronto a scoprire totalmente le proprie emozioni. Però potevo farcela, dovevo solo provare. E comunque sarebbe andata, non me ne sarei pentita per nulla al mondo.
    - Allora? - mi incalzò lui, così freddo da farmi venire la pelle d'oca. Ricordai le sue parole del giorno prima e lo guardai dritto negli occhi, quegli occhi azzurri dai riflessi argentei che mi ero illusa di conoscere.
    - Quello che ti ho detto ieri... non è vero niente. Non voglio che mi stai lontano, tu sei... per me sei la persona più importante che esista al mondo. -
Il suo sguardo cambiò all'istante, ma non avrei saputo definirlo con una parola. Era un misto di confusione e imbarazzo. Sbaglio o era anche arrossito? Avrei voluto baciargli le guance.
    - Retasu... -
    - Zitto, lasciami finire! Ti amo. - dovetti fermarmi, perché le parole si strozzarono in gola. Dovevo essere arrossita anche io, e molto più di lui. Presi un bel respiro, ancora incredula di averlo detto davvero. No, non potevo essere io quella lì. Però, come mi sentivo felice! Non potei fare a meno di sorridere. - Wow, non credevo che l'avrei detto sul serio! Mi... mi piace come suona. Ti amo, ti amo, ti amo! - continuai, intossicata dal successo.
Ryo mi osservava interdetto: aveva smesso di respirare. Provai un tonfo al cuore, capendo che non era esattamente il discorso che si era aspettato. Non gli piacevo, ma quello lo avevo sempre saputo. Eppure non riuscivo a provare pentimento per averglielo detto. Mi sentivo felice e così meravigliosamente sincera con me stessa e con lui che era davvero impossibile credere di averlo taciuto per così tanto tempo.
    - Retasu... -
No. Non volevo sentirlo. Lo sapevo, ma non volevo sentirlo dalle sue labbra. Sarebbe stato troppo... troppo, e basta.
    - No, aspetta. Non voglio una risposta, volevo solo dirtelo... niente di più. Mi basta che tu lo sappia, ecco, giusto questo. Quindi... beh, niente, se tu, magari, provassi la voglia di sfogarti con qualcuno per... non so, problemi tuoi, e non sai a chi rivolgerti... beh, sappi che io sarei felicissima di ascoltarti. E'... è l'unica cosa che voglio. Davvero. -
Ora era davvero impossibile sostenere il suo sguardo. Tornai a fissare il pavimento, con le guance bollenti, il respiro accelerato ed il cuore che andava ad un ritmo tutto suo. Le mani giocavano nervosamente con i capelli, e la testa era nel pallone. Dio, che vergogna! Però mi sentivo felice, una felicità mai provata nella mia vita.
Ma quello poco importava. Quello che contava davvero era Ryo, lui soltanto. Chissà cosa stava pensando, cosa stava provando. Chissà se avrebbe lasciato perdere Ichigo, ora che sapeva che c'era qualcuno per cui rappresentava il centro dell'universo. No, non potevo illudermi, e poi mi bastava che lo sapesse, davvero.
Solo questo.
Quando Ryo si avvicinò il mio cuore smise definitivamente di battere.
Oddio, che cosa voleva fare? In un flash mi tornarono in mente miliardi di immagini di film e manga. Anche i polmoni smisero di funzionare. Mi voleva... voleva baciarmi?! No, non ero pronta a questo!
Sentii un tocco leggero sulla nuca, e chiusi gli occhi di riflesso. Oddio, stavo per morire. E poi...
    - Come mai hai i capelli bagnati? -
... eeeh?!
Alzai la testa di scatto. Il volto di Ryo era appena sorridente, ed ogni traccia di sorpresa o imbarazzo era sparita, come se non gli avessi detto nulla. Forse voleva fare finta che niente fosse successo? Questo mi fece male, malissimo... ma se era questo che voleva, lo avrei accontentato.
    - E' una storia lunga... - balbettai, cercando di ignorare il dolore.
Lui ancora mi accarezzava i capelli bagnati, ma probabilmente lo faceva per farsi perdonare.
    - Abbiamo tutto il tempo del mondo. - aprì il frigo e ne tirò fuori due fette di torta al caramello, poi mi fece cenno di seguirlo. Ci sedemmo ad uno dei tavoli del locale. - Allora? - Ryo prese a mangiare il dolce, col massimo della tranquillità.
L'unica cosa che riuscivo a pensare in quel momento era che, in penombra, i suoi occhi azzurri sembravano brillare come gemme.
    - Ehm, dunque - era un po' difficile parlare, ma ero meno imbarazzata di prima. - qualche ora fa sono entrata di nascosto nella piscina della scuola. - dissi tutto d'un fiato. Lui alzò un sopracciglio: il massimo della sorpresa, per uno come lui.
    - Che... ! -
    - Eh... ne avevo voglia... - tagliai corto. Se gli avessi raccontato di tutti i viaggi mentali della barriera argentea mi avrebbe preso per pazza, senza ombra di dubbio.
    - Ti piace nuotare? - chiese interessato. Era strano vederlo interessarsi a me, così tanto che mi sentivo a disagio.
    - Sì, moltissimo. Ho iniziato quand'ero bambina... -
    - Fai agonistica? -
Oh, accidenti. Sempre la stessa domanda, anche con lui. Chinai lo sguardo, sempre più a disagio.
    - Me l'hanno chiesto, ma è una semplice passione, nulla di più... -
    - Dovresti provare. -
    - Me ne manca il coraggio. -
Il tintinnio della forchetta richiamò la mia attenzione, così tornai ad osservarlo. Ora era nuovamente sorpreso, indefinibile. Di nuovo i suoi occhi sembravano voler leggermi dentro, ma era impossibile fare altrettanto.
    - ... sai che sei strana? - disse, prendendomi così contro piede che rimasi interdetta. Boccheggiai, sull'orlo delle lacrime: ecco, pensava che fossi pazza! Non mi avrebbe mai amato, mai. - Trovi il coraggio di fare un discorso come quello di prima, e poi... - lasciò il discorso a metà, ma non c'era bisogno di aggiungere altro.
    - ... allora forse potrei provare. - risposi con un mezzo sorriso, un po' finto a dirla tutta. Mi sentivo a disagio più che mai, e trovai il coraggio di dirglielo. - Senti Ryo, non sei obbligato a interessarti a me solo perché ti ho detto... quello che ti ho detto. Se non provi lo stesso ti capisco, lo sapevo già da prima, e mi va bene se continuerai a comportarti come prima... ma ti prego, non fingere con me. Mi urta più di quanto puoi immaginare. -
Ryo continuò a fissarmi, serio, poi sospirò.
    - Non mi sto sforzando. -
    - Invece sì. Senti, davvero... l'unica cosa che voglio è che tu sia felice. Se sapere che ti amo ti fa sentire... non so, a disagio con me, fai pure finta che non ti abbia detto nulla... -
Ma che stavo dicendo?
Guardai un'ultima volta i suoi occhi. Azzurri e limpidi, eppure screziati d'argento... forse non avrei mai rotto quelle barriere.
Forse non ero io quella a cui sarebbe spettato questo compito.
Ero stata un'ingenua a crederlo...
Lui non disse nulla, io nemmeno. Fu così per un po', fino a quando mi tornò in mente mia madre, che avrebbe fatto un infarto se non mi avesse trovato nel letto. Ero ancora in tempo per tornare a casa? Feci per guardare l'orologio da polso, ma mi ricordai che l'avevo tolto in piscina e là era rimasto.
    - Che ore sono? - chiesi a Ryo.
    - Le sei e dieci... -
    - Devo tornare subito a casa! Posso ancora farla franca... - mi alzai dal tavolo. Non avevo mangiato nemmeno un pezzettino della torta, anche se una botta di zuccheri era quello che ci voleva per il mio cuore frantumato. Camminai velocemente verso la porta, con Ryo alle spalle. Mi voltai per salutarlo l'ultima volta. - Beh, allora addio... -
    - Addio? Guarda che ci vedremo ancora, anche dopo l'ultima battaglia. - rispose lui, serissimo. Lo fissai, interdetta.
    - Credevo che saresti tornato in America. -
Ryo mi fissò a lungo, passando il suo sguardo sul mio viso così a lungo da farmi arrossire nuovamente. Poi, improvviso e travolgente come un temporale estivo, arrivò il suo sorriso.
    - Ho trovato qualcosa per il quale rimanere qui. -
Il respiro si mozzò e rimasi immobilizzata.
Guardai di nuovo i suoi occhi, sull'orlo delle lacrime: gli screzi d'argento c'erano ancora, forti e duri, ma io non ero più debole e insicura.
Non mi facevano paura, perché tutto quello che importava, ora, era Ryo, e sapere che io potevo infrangere anche la sua barriera, potevo farmi amare e farlo felice.
E non c'era niente di sbagliato in tutto questo.

*

Non... non ci credo. L'ho finita. Oddio, che che... buuuh! *scoppia in un pianto a fontanella* Devo ringraziare Danya91 perché è stato dopo la chiacchierata con lei su MSN che mi è venuta la giusta ispirazione, però ringrazio anche chi ha recensito fin qui, ovvero: HikariKanna, Lory 06, Dafne, Fraise, Dikar 93, MewSisters, Ryan Shirogane, Mia, ylenia, sana91, Yo91, Tifalockhart, lale87. Grazie millissimissime!
Alla prossima avventura! xD Baciotti, vi amo!
p.s. scrivete anche voi su questa coppia!!!
p.s. (la vendetta) leggete Frammenti di Me! (Ma guardatela, si fa pubblicità... sei patetica! ndRyo Taci biondo, o al prossimo incidente in moto sfiguro il tuo bel faccino, MWAHAHAHA! ndAutrice O_o ndRyo_che_ci_tiene_alla_sua_aria_da_figo_dannato_e_quindi_tace)

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