Azzurrina di Montebello

di DustAngel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - 21 Giugno 1395 ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Prologo - 21 Giugno 1395 ***


Prologo - Castello di Montebello, 21 Giugno 1395


Le campane della Chiesa Madre di Montebello, piccolo paese dello Stato Pontificio, battono la mezzanotte. E' il 21 Giugno dell'Anno del Signore 1395.

Si racconta che il giorno del Solstizio d'Estate sia magico, una data in cui grandi forze si muovono, e che possa accadere di tutto. Padre Simone, il curato, tuona dall'altare che queste sono solo sciocchezze, leggende pagane per vecchie e bambini, se confidiamo nel Signore nulla di male può capitarci.
Un tempo ci credevo senza riserve; ora però, dopo la vita che ho vissuto e le esperienze che ho avuto, sono convinta che tutta la fede del mondo non possa salvarci dalla rovina. Con questo non voglio dire che pregare sia inutile, ma solo che bisogna prenderlo per quello che è: un conforto, una speranza, null'altro. 
Cammino per questi corridoi bui, spettrali, spifferi di vento che penetrano attraverso le bifore aperte, i grandi teli bianchi che ricoprono i mobili si agitano come fantasmi, la polvere danza nell'aria. Non ho bisogno di luce, conosco ogni angolo di  questo castello come le mie tasche, potrei attraversarlo anche a occhi chiusi; la luminosità pallida della luna e delle stelle mi è più che sufficiente.
Che cosa ci faccio qui? Cosa voglio cercare di ottenere? Forse voglio solo accertarmi che le voci siano vere e che lei, il suo spirito inquieto, dimori ancora tra queste mura. Oppure, forse, ho solo bisogno di ricordare...




 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Il 13 Marzo 1367 fu un giorno lieto e, sebbene i fatti che sarebbero seguiti da lì a poco avrebbero smentito presto tale gioia, come tale venne vissuto in paese e in tutte le campagne circostanti. Finalmente, dopo cinque anni di matrimonio, Alba Linguadoca, moglie di Ugo Malatesta, signore di Montebello, aveva dato alla luce un bambino.
"Era ora!", avevano esclamato tutti quando, alcuni mesi prima, la signora aveva annunciato pubblicamente il proprio stato interessante; erano già passati alcuni anni dalle nozze e già qualcuno cominciava a malignare che la donna fosse sterile.
Alba Linguadoca era raggiante quel giorno, mentre con la mano si accarezzava dolcemente il ventre. Era ancora troppo presto perchè si notasse qualcosa, ma erano più di due mesi che non aveva le sue cose e dal momento che erano sempre state perfettamente puntuali, non c'erano dubbi. Non era comunque solo una questione biologica, era qualcosa che sentiva e basta. Il sorriso luminoso sulle sue labbra la rendeva ancora più bella mentre, in piedi accanto al marito nella corte esterna del castello, ringraziava con lievi cenni del capo quanti erano venuti a portare alla coppia le proprie congratulazioni; indossava un leggero abito azzurro ricamato d'oro e con iserti di seta indaco, il velo, dello stesso colore della veste, danzava nel piacevole venticello settembrino. La vita che si agitava in lei era stata fonte di una duplice gioia: sarebbe diventata madre e avrebbe dato un erede al casato dei Malatesta.
Ugo, suo marito, era stato altrettanto felice nel ricevere la notizia e si era sentito come sollevato da un grosso peso: avrebbe avuto un discendente! Non che fosse ossessionato dal timore di restare senza eredi, come la maggior parte dei nobili e signorotti di sua conoscenza, nè tantomeno se l'era presa non la moglie quando non era rimasta incinta nel primo anno di matrimonio. Essere padre era una grande responsabilità, educare un figlio non era certo uno scherzo. Bisognava instillargli dei sani principi, far sì che crescesse forte e saldo nella fede, senza vizi e indulgenze per ogni capriccio. 
"Sarò padre" rimuginava l'uomo la sera, girandosi e rigirandosi nel letto, attento a non svegliare la moglie che dormiva beatamente al suo fianco, "Avrò un figlio, un essere che ho contribuito a creare, sangue del mio sangue e carne della mia carne...". Aveva già trent'anni, a quell'età avrebbe già dovuto avere almeno tre figli, eppure gli sembrava solo ieri che, bambino, giocava in quello stesso castello a inseguire le galline nel cortile brandendo una spada di legno. In ogni caso, era ancora giovane e nel pieno del vigore, non aveva alcuna alcuna fretta, però i casi della vita non si potevano mai sapere: una malattia, una caduta da cavallo, la guerra... Ma adesso la sua Alba aspettava un bimbo, non c'era più motivo di preoccuparsi. Piano piano si stava abituando a questa nuova condizione, non vedeva già l'ora di affrontare questa avventura.
Naturalmente, tutti si aspettavano si trattasse di un maschio, e alle continue domande di amici e parenti circa il nome che avrebbero scelto per il piccolo, "Quello del nonno, ovvio, Guido!", o se avrebbe apprezzato di più come balocco una spada di legno o un cavalluccio di pezza, i genitori si limitavano a rispondere con un sorriso imbarazzato, scambiandosi l'un l'altro fuggevoli occhiate. Nel profondo del cuore, la coppia si augurava una bambina. Certo, a conti fatti un maschio sarebbe risultato più utile perchè era il primogenito di questo sesso a ereditare generalmente il patrimonio paterno, ma Ugo sognava di sbaciucchiare tutto il giorno la sua creaturina - cosa che sarebbe ricultata alquanto imbarazzante con un maschietto - e Alba si immaginava già a cucire graziosi vestitini e ad intrecciare ciocche bionde con fiori primaverili e nastri colorati. Perciò, l'erede maschio poteva aspettare un altro poco, per il momento, una figlia sarebbe stata davvero una manna dal cielo per la loro felicità.
Il Cielo li ascoltò, anche se più tardi si sarebbero chiesti se non si fosse trattato in realtà di una burla del destino, e in un soleggiato giorno di tardo inverno, quando già si poteva annusare la primavera nell'aria, nacque la bambina tanto attesa.
Il parto fu un'operazione lunga e travagliata: le urla di dolore di Madonna Alba, si disse, giunsero fino ai campi del circondario. Nel frattempo, il povero Ugo non faceva che passeggiare avanti e indietro come un'anima in pena davanti alla porta chiusa della camera da letto che divideva con la moglie, costretto a rimanere con le mani in mano mentre avrebbe voluto trovarsi al fianco della sua adorata in un momento tanto cruciale. Il suo posto, pensava con una punta di stizza e disperazione, era aaccanto a lei. Voleva stringere tra le sue grandi mani le dita affusolate di Alba, tamponarle la fronte sudata con una pezza intrisa di acqua fresca e ogni tanto sfiorarla con un bacio delicato...
Ma niente da fare, quell'orchessa della levatrice, un donnone grande e grosso come un toro che somigliava più a un macellaio che a un'ostetrica, gli aveva categoricamente vietato di entrare:
"Queste sono questioni da donne. So quel che faccio, in trentacinque anni di onorata carriera in questo paese ho fatto nascere centinaia di bambini, voi e le vostre sorelle compresi. Siete tutti vivi e vegeti, mi pare. Perciò Sua Signoria mi farà il favore di rendersi utile andando ad occuparsi delle faccende che gli competono, lasciandomi lavorare in santa pace." e, per rimarcare le sue intenzioni, gli aveva sbattuto la porta sul naso. 
Ora, dopo una notte in bianco passata a camminare su e giù lungo il corridoio dell'ala orientale del castello e a preoccuparsi, Ugo si fermò di botto all'udire un urlo che superava di intensità quelli della puerpera: il primo vagito di un neonato, un inno alla vita. A questo punto, neanche una schiera di angeli scesa direttamente dal Paradiso sarebbe stata in grado di trattenere l'uomo fuori dalla stanza, così Ugo si lanciò contro la porta aprendola con una spallata, cosa di cui non ci sarebbe stato affatto bisogno, dal momento che sarebbe bastato abbassare la maniglia. La porta cedetta senza opporre grande resistenza e l'uomo si ritrovò catapultato all'interno, incespicò nel tentativo di mantenere l'equilibrio e di non finire lungo disteso sul pavimento. Il suo ingresso venne accolto da gridolini di sorpresa e spavento da parte delle serve che si trovavano nella camera e dagli sbuffi scocciati della levatrice.

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