Holiday.

di Betta7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Rincontrarsi un anno dopo. ***
Capitolo 3: *** Aki. ***
Capitolo 4: *** Tatuaggio. ***
Capitolo 5: *** Centro del mondo. ***
Capitolo 6: *** Ma tu mi ami? ***
Capitolo 7: *** La bomba. ***
Capitolo 8: *** Silenzio. ***
Capitolo 9: *** ..Tornerà a tormentarci. ***
Capitolo 10: *** Secondo te, ci sposeremo? ***
Capitolo 11: *** Mia. ***
Capitolo 12: *** Ti amo va bene uguale? ***
Capitolo 13: *** BOOM. ***
Capitolo 14: *** Infinito abbraccio. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


PROLOGO. 
 
 
Forse era stato proprio in quel momento che Sana si era sentita mancare la terra sotto ai piedi. 
Quando Tsuyoshi le aveva comunicato che Aya stava organizzando una bella vacanza e che lei, doveva partecipare assolutamente. 
Durante quella conversazione aveva continuamente sentito nominare il suo ex ragazzo, ex migliore amico- ex tutto in pratica. 
Tsuyoshi la stava letteralmente pregando di andare con loro. 
«Tsu, ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?».
Si che lo sapeva, lo sapeva perfettamente e lo faceva di proposito a suo parere.
Da quando lei e Akito si erano lasciati o, per meglio precisare, lui aveva lasciato Sana, si erano visti si e no tre volte e sempre per occasioni formali dei loro amici.
L'ultima volta era stata per le nozze di Hisae e Gomi, circa due settimane prima.
Si erano tenuti furbamente alla larga e, quando erano stati costretti a star vicini si erano semplicemente scambiati qualche occhiata priva di qualsiasi tipo di emozione.
«Dai Sana, ti prego, sarà solo una settimana!».
Già si immaginava la settimana da passare con Akito e gli si formava un nodo alla gola al solo pensiero di vederlo di nuovo
La sua immagine gli sfiorò la mente e la mandò indietro nel tempo con tutti i ricordi che le si affollavano dentro.
Poi, tornò fuori da quello stato di trance per dare risposta a Tsuyoshi. 
«Non lo so Tsu, io...»
Sapeva anche lui di starle chiedendo una cosa troppo grande persino per lei. Ma se non avesse accettato avrebbe voluto dire che ancora provava qualcosa per Hayama. E non era così, semplicemente la vicinanza con il suo ex tutto le creava non pochi problemi. 
Poi prese una decisione. Non poteva tradire nessuna emozione o sentimento, perciò doveva accettare. 
Intanto Tsuyoshi la guardava implorante. 
«Vabene.. » disse ad alta voce trovandosi invece ad urlare, dentro di se', che stava sbagliando e che quella convivenza forzata avrebbe portato a risvegliare in lei dei sentimenti che da un anno e mezzo aveva cercato di reprimere. 
«Bene, allora domani ti faccio portare da Aya l'itinerario del viaggio!».
Detto questo Tsuyoshi si avviò alla porta lasciandola sola con i suoi pensieri.
Una vacanza. Altro che vacanza, sarebbe stata un inferno. 
La sua stessa reazione l'aveva avuta Akito che, ricevuta la notizia, aveva inizialmente rifiutato e poi, esattamente per gli stessi motivi di Sana, accettato.
Nemmeno lui provava più nulla per Sana, anche se questo doveva essere ovvio. Infondo, l'aveva lasciata lui.  
 
*
 
Aya l'aveva chiamata per ben cinque volte e lei aveva, per ben cinque volte, deciso di non rispondere. 
In quel momento non sarebbe riuscita a parlare con nessuno, tantomeno con chi doveva programmare la sua mega settimana con Akito Hayama.
Decise di farsi un bagno caldo, così, solo per calmarsi un po'. 
Si tolse il vestito verde che aveva indossato per andare a trovare Rei e si infilò nella vasca abbandonandosi a mille pensieri.
Come sempre.
Si guardava nello specchio che stava proprio accanto alla vasca e gli saltò all'occhio quel minuscolo tatuaggio all'altezza della clavicola che lei, ormai, era solita coprire col fondotinta. Un tatuaggio che, quasi ogni giorno la tormentava. 
Era una minuscola A in stile gotico, che le piaceva molto ma che forse avrebbe dovuto pensare seriamente di cancellare.
Hayama non aveva voluto farlo perché non serve un tatuaggio a rendere ufficiale il nostro rapporto
No, sicuramente. Ma forse, avrebbe tormentato un po' anche lui. 
Forse si, avrebbe dovuto cancellarlo. 
Ma alla fine, cosa sarebbe cambiato?
La A sul cuore rimaneva in ogni caso. 

_________________________________________________________________________________

La vacanza con Kurata sarà un suicidio.

Questo aveva pensato Akito quando Tsuyoshi gli aveva chiesto di partire con loro.
Ma perché non si rassegnavano ad accettare che la loro storia fosse finita, archiviata, morta e sepolta?
No, dovevano per forza costringerli a vedersi in un modo o nell'altro.

Lei avrà accettato al primo colpo, sicuramente. 

Anche lui, comunque, non era riuscito a dimenticarla, nonostante la rottura fosse stata una sua iniziativa.
Bisognava capire, però, il motivo per cui aveva preso quella decisione.
E quel motivo, per lei – e un po' anche per lui – era rimasto ancora un mistero.

 
 



Bene, eccomi qui con una nuova storia sui nostri beniamini. 
Ancora non ho terminato quella postata in precedenza, ma ho avuto una seconda ispirazione e ho DOVUTO scriverla! :3
Spero che vi piaccia e che vi incuriosisca questo inizio di storia, e che lasciate taaante recensioni! 
Akura. 

 

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Capitolo 2
*** Rincontrarsi un anno dopo. ***


CAPITOLO 1.
 RINCONTRARSI UN ANNO DOPO. 
 
Stava preparando la valigia, una delle cose che odiava più fare. Insomma, a cosa poteva servire portarsi migliaia di vestiti se tanto sarebbero rimasti lì solo una settimana?
Comunque, Tsuyoshi quel giorno era andato da lui per parlargli, di nuovo
Ma cos'era quella voglia che avevano tutti di parlare? Come se non conoscessero Akito Hayama, quello che al parlare proprio non era interessato.
«Akito.. cosa hai intenzione di fare durante questa settimana?» chiese entusiasta lui, incurante della faccia cupa che aveva l'amico.
«Che cosa pensi che farò? Mi divertirò con qualche bella ragazza, come sempre, e poi tornerò a casa a godermi la mia vita da single.» aveva risposto freddo lui.
Già, forse bisognava precisare che ormai – anzi, da circa un anno e mezzo, chissà perché – Akito non era più lo stesso. Altro che non esco con chi non stimo, aveva preso ad uscire con qualsiasi essere che respirava. Tutto questo solo per togliersi di dosso il profumo di quella dannatissima ragazzina. L'aveva lasciata, si, ma questo non gli impediva di volerla in ogni caso. 
Perché Sana era rimasta la bellissima ragazza di sempre, solo con i capelli un po' più lunghi e un fisico da donna. Queste cose solo Akito le aveva notate. Si insomma, solo lui aveva visto centimetro per centimetro il corpo di Sana.
Almeno fino ad un anno prima
Preso da quei pensieri neppure si accorse che Tsuyoshi gli stava facendo un'infinita ramanzina sul suo comportamento da, come si dice? Ah si, puttaniere
Non era colpa sua, da quando aveva lasciato Sana non era più riuscito a sentirsi appagato con nessuna.
Certo, nessuna era Sana. 
Scuotè la testa cercando di mandare via quella frase dalla sua testa ma l'immagine di Sana prima sorridente e subito dopo con le lacrime agli occhi lo tormentava.
Era tutta colpa sua. Ma no, no e ancora no! Era colpa di Sana, lei aveva sbagliato e lei doveva pagare.
«Akito, sul serio.. lascia in pace Sana, non metterti lì ad infierire, non si merita il tuo disprezzo o il tuo atteggiamento spocchioso.»
A quelle parole sbottò.
«Ma ti pare che io abbia tutto questo interesse per quella? Tenetevela buona la vostra povera Sana!» e dopo aver letteralmente urlato in faccia a Tsuyoshi quelle parole, sbatté la porta del bagno così violentemente che per poco non si ruppe per la botta.
Tutti in fissa per quella ragazzina, ma possibile che non pensassero ad altro? C'era stato anche lui in quella fottuta storia, a nessuno questo era passato per la testa?
Tsuyoshi, capita l'antifona, lasciò l'amico solo e andò dal suo adorabile pasticcino per finire i preparativi del viaggio in santa pace senza dover per forza pensare alle pippe mentali che si faceva Hayama. 
 
*
 
Aya si era precipitata da lei per spiegarle tutto l'itinerario e anche, a detta sua, per assicurarsi che stesse bene.
«Aya non dovevi disturbarti, potevi semplicemente mandarmi una mail!» l' accolse col suo fintissimo sorriso Sana facendola accomodare nell'enorme salotto di casa sua.
«Ma mi fa piacere, è un sacco che non passiamo un po' di tempo insieme per via della tua..» e si zittì, avendo capito di aver detto qualcosa di sbagliato.
Per lei continuò Sana: «Depressione Aya, puoi dirlo, sta' tranquilla!».
«Si bè.. tu stai bene adesso, no?». 
Stava bene? Una domanda a cui si affrettò a rispondere dentro di se'. No.
Invece ad Aya disse: «Si, certo che sto bene!» mostrandole uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
Lei ci credette, non fino in fondo, ma Sana sembrava sincera. 
«Bene, meglio così. Quindi ti dicevo partiamo domattina da casa di Akito, visto che andiamo con il suo macchinone..»
«Macchinone?». Adesso Hayama si era persino comprato il macchinone, simpatico.
«Si, ha comprato la macchina nuova circa due mesi fa, è molto bella.».
«Capisco, bene.. allora a che ora?». L'ora della morte, aveva asserito nella sua mente.
«7 e un quarto massimo Sana, non ritardare come al solito!».
«Ok.. Cioè ci proverò, si!». Rise, era da tanto che non passava del tempo con la sua amica di vecchia data. In realtà non passava più del tempo con i suoi amici da un po’.
Per questo doveva partire, per riprendersi in mano la sua vita.
 
 
*
 
Era una bella mattinata di primavera, quella primavera che sapeva già d'estate. Il sole era già abbastanza caldo e le giornate cominciavano a diventare sempre più afose, non esageratamente, ma calde. 
Sana si era appena svegliata, non ricordandosi completamente che quello era il giorno
6:56. Oh merda!! Era tardissimo!
Si era alzata dal letto correndo verso il bagno per lavarsi i denti, sistemarsi i capelli, mettersi un paio di jeans a sigaretta e una semplice t-shirt. Non poteva di certo partire con l'abito da sera. 
Si era diretta verso casa di.. di Akito a piedi, era vicina. Troppo vicina. 
Arrivata davanti casa di Hayama li aveva trovati tutti lì ad aspettarla. Compreso lui.
«Scusate ragazzi, la sveglia è andata a farsi benedire!»  squillò cercando di nascondere l'emozione di vederlo, dopo tutto quel tempo passato lontani.
Era cambiato, fisicamente almeno. Aveva conservato quel fisico marmoreo di sempre, grazie anche a tutta quella palestra che, sicuramente, ancora praticava. Inoltre aveva migliorato i pettorali ed era diventato più alto. 
Insomma, era ancora più perfetto di quando si erano visti l'ultima volta.
Il suo sguardo l'aveva sentito per tutto il tempo su di lei quasi a volerla avvertire di stargli alla larga. Di certo, era un consiglio che lei avrebbe seguito.
Subito dopo erano saliti in macchina e, chissà perché le sue amiche avevano insistito perché lei si mettesse davanti insieme ad Akito perché loro volevano stare con i loro fidanzati si erano giustificate.
Quindi, facendo un breve riassunto dell'ultima mezz'ora, si era ritrovata dopo più di un anno a nemmeno mezzo metro di distanza da Akito che, come sempre, sembrava calmissimo.
Ma Hayama era tutt'altro che tranquillo, anzi, quasi si sentiva ribollire il sangue nelle vene. 
Non la vedeva da quando, esattamente l'estate precedente, aveva passato la giornata con lei. L'ultima prima di lasciarla.
 
 «Akito che diavolo fai?». Sana era appena uscita dalla doccia e lui gli si era praticamente fiondato addosso. Il profumo del bagnoschiuma ai frutti di bosco si era sprigionato per tutta la stanza non appena lei aveva iniziato a prendere i vestiti puliti dal cassetto del comò. Comò che, in pratica, nemmeno era di casa sua, ma spesso lasciava i vestiti lì e li dimenticava per mesi.
La cretina così aveva detto Akito era corsa a casa sua sotto il diluvio universale e una macchina l'aveva letteralmente ricoperta di fango dalla testa ai piedi.
I vestiti li aveva gettati all'entrata di casa sua perchè lo stronzo così aveva detto Sana l'aveva costretta a spogliarsi prima di entrare.
«Kurata avanti, non fare la bambina!» e aveva cominciato a spargerle dolci baci sul collo completamente nudo e ancora un po' umido.
Lei di tutta risposta gli aveva dato le spalle fintamente offesa. 
«Non faccio la bambina, Hayama!».
L'aveva chiamato per cognome, marcando l'ultima parola proprio per sancire una distanza inesistente. 
«Tu sei una bambina Kurata. Anche adesso ti stai comportando da bambina.».
A quelle parole Sana si sentì provocata quindi si girò e gli mando un'occhiataccia convinta di poter fargli cambiare idea.
Era avvolta da un asciugamano di color rosso scuro che Hayama stava cercando prepotentemente di sfilarle di dosso da almeno cinque minuti buoni.
«Hayama smettila, non riuscirai a togliermi l'asciugamano.» .
«Kurata, sei una bambina!».
No, non era possibile. Tutto poteva dirgli, ma che era una bambina proprio non lo accettava.
Allora, sicura che quello che avrebbe fatto lo avrebbe zittito, si era tolta l'asciugamano rimanendo così, nuda, davanti agli occhi sognanti di Akito.
«Dicevi, Hayama? Sono una bambina?»
Lui era rimasto a fissare quel corpo perfetto che Sana gli aveva messo davanti e non aveva nemmeno avuto la forza di parlare. 
Intanto Sana gli si era buttata addosso e lui la stava baciando con tutta la foga che aveva.
«Hayama, sono una bambina quindi?».
«No Kurata, no.. sei perfetta!»
Ed entrambi erano scoppiati in una sonora risata sfociata poi in sospiri e gemiti; erano incastrati in un unico corpo e nulla sembrava andare male, incuranti del fatto che il giorno dopo sarebbe successo il casino più colossale dell'universo. 
 
Fu distolto da quei pensieri dalla voce insistente di Fuka che lo tormentava per cambiare la canzone alla radio. 
«Hayama togli questa lagna!».
«Fuka, taci una buona volta!» aveva subito risposto Akito.
Come se fosse la cosa più naturale del mondo era intervenuta Sana, come faceva sempre.
«Hayama non rispondere così a Fuka, sei un cafone!».
Lo sguardo di Akito l'aveva perforata. Maledizione, perché aveva parlato?
«Kurata, non hai ancora imparato a farti gli affari tuoi?».
«No! No Akito, non ho ancora imparato! E tu invece, l'hai capito perché mi hai lasciato?»
Si, bè.. questo era quello che avrebbe voluto rispondergli ma si limitò a zittirsi e a guardare fuori dal finestrino il paesaggio di cui      – detto tra noi – non le importava assolutamente nulla. 
Si prevedeva una settimana alquanto accesa.


Beeeeene, eccomi qui con un nuovo capitolo di questa storia che mi ha ispirato l'altro ieri notte e di cui ho già pronto il secondo capitolo vero e proprio! Non ho smesso un momento di scrivere! :3
Quindi, mi raccomando, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate e se ne vale la pena di continuare.. Al prossimo aggiornamento.
Akura.

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Capitolo 3
*** Aki. ***


CAPITOLO 2.
Aki.
 
L'albergo era una specie di castello rimesso a nuovo; non era male, ma Sana aveva sicuramente visto di meglio. Avevano sistemato le stanze dividendosi, a malincuore per tutte le coppie, tra ragazzi e ragazze. Tutto ciò per evitare qualsiasi tipo di contatto tra Sana e Akito che sembravano già abbastanza in tensione. 
Erano le 15:35, tutti avevano ormai sistemato i vestiti e le loro cose nelle camere e si erano ritrovati nella hall dell'albergo per decidere cosa fare per l'intero pomeriggio prima della cena di inaugurazione della sera.
Tsuyoshi era arrivato in compagnia del suo adorabile pasticcino scambiandosi occhiatine dolci, come sempre. 
Quei due, in anni che stavano insieme, erano sempre gli stessi: miele ovunque. 
Che schifo si era ritrovato a pensare Akito nel vederli arrivare.
Quindi erano tutti. Tutti tranne Kurata, come sempre. Era perennemente in ritardo quella, ma lo faceva di proposito forse? 
Circa dieci minuti dopo arrivò con tutta la sua raggiante bellezza. Si era cambiata i jeans, dettaglio che solo Akito aveva notato. Forse perché quei jeans erano proprio quelli che lui gli aveva tolto così tante volte.
Akito adesso basta! Kurata è acqua passata! . Si era imposto di non pensarci e non ci avrebbe pensato.
«Kurata, finalmente ci onori della tua presenza!»
«Se non volevi aspettarmi potevi benissimo andartene Hayama!» aveva subito risposto lei, facendolo zittire:
Akito si era limitato a lanciarle un'occhiata che avrebbe spaventato chiunque e si era diretto verso la macchina, in silenzio. 
Anche stavolta lei si era messa davanti con lui cercando di evitare in tutti i modi il suo sguardo di ghiaccio.
Erano diretti al museo di ghiaccio – tanto per rimanere in tema– che si trovava ad Osaka, città vicina a dove avevano trovato alloggio. 
Sana continuava a chiedersi come si potesse tenere aperto un museo di ghiaccio in piena estate.
Arrivati lì, però, aveva smesso di farsi domande ed era rimasta stupefatta dalla maestosità della struttura. Il museo iniziava con un grande arco che faceva rimanere a bocca aperta.
«Sana, chiudi la bocca!» la canzonò Hisae prendendo per mano Gomi. 
Lei sorrise senza dire una parola, si era accorta che Akito le stava camminando dietro e sentiva i suoi occhi farle la radiografia. 
Tsuyoshi, attento osservatore della condizione umana – o semplicemente della condizione di Akito Hayama – aveva notato anche lui quello sguardo. 
Si affrettò a raggiungerlo e a passargli una mano davanti alla faccia.
«Guarda che Sana è vestita, Akito.»
«Quindi? Non la stavo mica guardando.»
Tsuyoshi rise, divertito da quanto il suo migliore amico potesse mentire bene. 
«No, infatti, la stavi solo spogliando!» e si allontanò lasciandolo camminare da solo. 
«Kurata?». Dio, la sua voce. 
«Si?». Aveva cercato di camuffare l'emozione nel sentirlo pronunciare il suo nome. 
«Bei jeans.». Era riuscito solo a dire quella stupida frase perché non aveva il coraggio di dirgli nulla di sensato. 
Bei jeans. Non era nemmeno una frase di senso compiuto e a lei stava uscendo il cuore dal petto? Poi lo guardò e gli rispose un flebile Grazie girando i tacchi e tornando all'auto. 
Era stanca di gironzolare per quel posto gelido.
Gli bastava il suo cuore ad essere freddo come il ghiaccio. 
 
*
 
Hayama la guardava tornare indietro e infilarsi velocemente in macchina. Aveva anche notato una scintilla nei suoi occhi, come se fosse stata sul punto di piangere ma non gli diede peso. 
Infondo, cosa gli importava? Lei non significava più nulla nella sua vita, eppure ancora, dopo tanto tempo, vederla piangere gli provocava un dolore proprio , al centro del petto.
Per questo, anche lui, evitando gli sguardi indiscreti dei loro amici si avviò verso la macchina e aprì lo sportello.
La trovò che piangeva. Qualche lacrima incorniciava il suo viso perfetto e rendeva i suoi occhi ancora più belli. 
«Che vuoi Hayama?» disse lei tirando lo sportello nell'intento di chiuderlo di nuovo. 
«Perché stai piangendo?». Lo sportello doveva rimanere aperto, per forza. 
Voleva sapere perché stava piangendo? Ma che cosa voleva da lei?
«Non sono affari che ti riguardano, non credi?»
«No, non credo!» aveva pensato e anche detto Akito. 
Tutto ciò che riguardava lei lo riguardava almeno un po'.
«Io credo di si, lasciami in pace Aki..». 
Merda.
Lo aveva chiamato in quel modo. 
«Come mi hai chiamato?».
«In nessun modo, lasciami stare!». Aveva urlato e chiuso lo sportello nello stesso momento lasciando Akito fuori. 
Ricordava ancora, quando per la prima volta, lo aveva chiamato con quel diminutivo.
 
 «Mi accompagni oggi pomeriggio a comprare qualche vestito carino? Non vorrei arrivare al matrimonio di Hisae senza nulla!»
«Sana il matrimonio di Hisae e Gomi è tra un anno, lo sai vero?».
Un altro pomeriggio di estenuante shopping. O. MIO. DIO. 
«E allora? Avanti Hayama accompagnami!»
Con la promessa di una nottata tutta per loro Akito aveva acconsentito ed erano andati in giro per negozi.
Nell'ultima ora aveva provato circa trentaquattro vestiti con trentaquattro paio di scarpe diverse e nessuno di quelli le andava bene. In quel momento, davanti a lui, Sana stava sfoggiando un vestito non corto ma addirittura quasi inguinale, di colore azzurro che, oltre a lasciarle completamente scoperte le gambe perfette, lasciava nuda anche la schiena fermando la scollatura ad un centimetro dal sedere. 
Per carità, le stava benissimo, ma era un po' troppo scollato.
«Kurata, togliti immediatamente questo vestito.» aveva praticamente ordinato Akito ributtandola nel camerino. 
Lei era la solita tonta, quel vestito le piaceva e non riusciva a capire perché a lui non piacesse per niente. 
 «Ma perchè? E' molto bello, e credo che lo prenderò.»
«Tu non prenderai proprio niente, non ci vai in giro con questo coso addosso.»
«Hayama non rompere, decido io cosa mettermi.»
Lui era rimasto imbambolato a guardarla abbassarsi per slacciarsi le scarpe lasciando praticamente scoperto il lato B. 
Le alzò la gonna e lei urlò.
«Hayama ma che diavolo fai?!». Ma come si permetteva di fare una cosa del genere?
«Ecco perché non devi andare in giro con questo coso.» e lei aveva capito. «..Sei nuda Kurata! Rimettiti i vestiti e andiamocene!»
Fece per andarsene ma le parole di Sana lo fermarono.
«Che c'è, sei geloso Akito?»
«Io, geloso? Ma per favore.»
«Sei geloso, tremendamente geloso.»
«Kurata smettila di dirmi che sono geloso, te la faccio pagare.»
«Provaci.»
«Risposta sbagliata, Kurata.»
Akito si era fiondato dentro il camerino con lei e aveva cominciato a toglierle quello straccetto di dosso baciandole il collo e qualsiasi altra parte arrivasse a baciare.
«Akito smettila, ci sentiranno!» aveva ribattuto lei.
«Non mi interessa Kurata, ti avevo detto di non sfidarmi.»
Da quel momento in poi tutto era stato amore, amore puro.
E poi lei si era girata e lo aveva chiamato in quel modo, lasciandolo di stucco, perché non si era mai permessa di dargli un nomignolo o di chiamarlo in una maniera dolce.
«Aki.. aki io..»
Avevano continuato a baciarsi finché una commessa non li aveva sorpresi lì dentro e li aveva gentilmente cacciati fuori dal negozio. 
 
 
Gli sembrava incredibile come, una semplice parola, potesse riportarlo ad un momento vissuto con lei. Ma cosa pretendeva infondo, aveva passato metà della sua vita con quella ragazza. 






Saaaaalve! Eccomi qui con l'ennesimo capitolo di questa storia che a me entusiasma un sacco, spero che piaccia anche a voi e che lasciate un po' di recensioni in più!
A presto :*

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Capitolo 4
*** Tatuaggio. ***


CAPITOLO 3.
Tatuaggio.

 
Dopo qualche ora erano tornati in albergo e, finalmente, Sana si era potuta concedere una rilassante doccia calda dopo la tensione del pomeriggio, mentre i suoi amici erano in un bar poco distante a prendere qualcosa da bere.
Lei aveva disertato l'invito dicendo semplicemente di essere molto stanca e di voler andare a letto. 
Akito era andato con gli altri, convinto di poter incontrare qualche ragazza interessante ma, a dirla tutta, non gliene era piaciuta nemmeno una. Tutte troppo montate e messe in tiro per attirare la sua attenzione.
Aveva quindi deciso dopo vari – molti, in realtà – cocktail, come Sana, di tornare in albergo e andare a letto. 
Ma quei cocktail stavano già cominciando a fare effetto e si sentiva alquanto su di giri; aveva provato centinaia di volte a far passare la carta magnetica per aprire la porta ma con scarsi risultati visto che ci vedeva doppio e le mani gli tremavano manco avesse avuto ottant'anni. 
Non c'era nulla da fare, o chiedeva aiuto a lei oppure rimaneva fuori dalla sua camera attendendo il ritorno degli altri, ma quella possibilità gli sembrava piuttosto remota.
Quindi, leggermente barcollando, era arrivato davanti la porta della camera delle ragazze dove sapeva ci avrebbe trovato l'unica anima pia in albergo in grado di aiutarlo.
Aveva bussato, niente; quindi era entrato visto che la porta era aperta.
La solita Kurata. Menomale che era lui, sarebbe potuto entrare un qualsiasi male intenzionato e lei non si sarebbe accorta di nulla. 
Si era buttato nel letto che, nonostante lei non ci avesse ancora dormito, emanava il suo profumo ai frutti di bosco, e aveva pazientemente aspettato che Sana uscisse dal bagno per chiederle di portarlo nella sua camera. 
Lei, d'altro canto, era convinta di essere sola quindi non si fece problemi ad uscire completamente nuda dal bagno ritrovandosi poi davanti la figura del suo ex - tutto, come amava definirlo.
«Ma che diavolo ci fai qui?!»
Improvvisamente era di nuovo sobrio: aveva davanti Sana con praticamente niente addosso che si affannava a cercare qualcosa per coprirsi.
Non era la prima volta che la vedeva.. così ma ormai era più di anno, quindi dovette deglutire per dire qualcosa.
«Kurata io..»
«Hayama esci immediatamente da questa stanza!!» aveva urlato lei prendendo la prima cosa che si ritrovava sotto mano, proprio la giacca di Akito lasciata sulla sedia.
«Mica è la prima volta che ti vedo.. nuda.» Pronunciò quell'ultima parola sussurrandola. 
Lei, di risposta, si era girata a guardare dall'altro lato, per non dover sopportare anche la tortura di incrociare i suoi occhi.
Poi Akito si accorse di una cosa. Dal momento che teneva i capelli raccolti, ancora bagnati, in una coda disordinata, il collo era completamente scoperto. 
Gli era saltata all'occhio quella A. L'aveva ancora.
Con tutto il denaro che possedeva avrebbe potuto chiamare il miglior tatuatore del Giappone per farlo cancellare o comunque coprire, ma no, non l'aveva fatto. 
Akito restò di stucco ad osservare quel tatuaggio ripensando a quando lei gli aveva proposto di farlo.
 
«Aki..»
«Che c'è Kurata?».
Nonostante stessero insieme praticamente da sempre lui non aveva ancora perso l'abitudine di chiamarla per cognome e questo a Sana dava piuttosto sui nervi.
«Ma quando la smetterai di chiamarmi Kurata e comincerai a darmi qualche nomignolo carino come fanno Tsuyoshi e Aya?»
«Kurata, Tsuyoshi e Aya fanno venire il voltastomaco, non ti chiamerò mai pasticcino.».
L'ultima parola l'aveva detta imitando la voce di Tsu e Sana scoppiò a ridere come una bambina. 
Quando Akito cercava di fare il divertente, per quelle rare volte, ci riusciva anche piuttosto bene e per questo lei ogni volta si ritrovava a piangere dalle risate.
«Dai Aki.. Stavo pensando una cosa..».
Bene, il che significava pericolo.
«Kurata quando tu pensi c'è da aver paura!».
«Spiritoso!» fece una linguaccia e si accovacciò vicino a lui che aprì le braccia per accoglierla.
«Avanti parla!». Non l'avesse mai detto. 
«Avevo pensato.. che ne dici di farci un tatuaggio?»
«Kurata stai scherzando spero.. un tatuaggio uguale?»
«Si..» aveva risposto ingenuamente lei, continuando poi con il suo ragionamento da bambina: «Per fare capire a tutti che.. che tu sei mio e io sono tua..».
Non gli piaceva l'idea del tatuaggio, ma le ultime parole che aveva detto Sana gli stavano facendo scoppiare il cuore.
Lei era sua. Eccome se lo era. Solo lui la conosceva sul serio, solo lui sapeva millimetro per millimetro ogni angolo del suo corpo. Solo lui aveva scavato infondo alla sua mente e al suo cuore scoprendo le più remote paure. Si, Sana era sua e non c'era cosa più bella che lei potesse dirgli. 
«Ah quindi io sarei tuo?» l'aveva presa in giro.
«Si Aki, e di chi sennò?» disse lei fintamente imbronciata.
«E tu sei mia.. mmm.. interessante!»
«Non intendo tua nel senso di schiava, sia chiaro! Intendo tua nel senso che ti appartengo..!».
Meglio precisarle le cose.
«Tu hai detto di essere mia, ergo potrei farti tutto quello che mi pare!» e mentre diceva questo l'aveva letteralmente presa di peso e se l'era messa in braccio. 
La baciò, fu un bacio dolce e romantico, i soliti tra loro.
«Quello lo fai già, Aki..» disse continuando a farsi baciare. Poi si distanziò. «Voglio quel tatuaggio, Hayama!». Era seria, più che seria.
«Kurata, non mi farò mai fare un tatuaggio uguale al tuo. Se poi ci lasciamo?».
«Non mi interessa se ci lasciamo, io voglio quel tatuaggio anche se dovessi farlo da sola!»
«Non ti accompagnerò a rovinare questo corpo meraviglioso che mi hanno donato!»
«Donato a te?! Che hanno donato a me, caro!» disse ridendo. 
Quel ragazzo aveva la capacità di fargli dimenticare persino il suo nome.
«Va bene Kurata, basta che stai zitta!».
Lei era rimasta in silenzio, e Akito il giorno dopo l'aveva accompagnata a farsi quel dannato tatuaggio. Alla fine aveva optato per una A in stile gotico vicino alla clavicola. Era molto bello, doveva ammetterlo e quando Sana era uscita dalla sala gli si era buttata al collo per la felicità dimenticandosi persino del dolore provato nemmeno un minuto prima.
«Ti piace?» aveva chiesto speranzosa lei.
«Non mi dispiace Kurata.» Okkei, gli piaceva un sacco. «Sei contenta? Hai finito di torturami?!»
«Ti torturerò sempre Hayama, ricordatelo!». 
Lui si era fermato, l'aveva guardata negli occhi e le aveva detto una frase che due anni prima non avrebbe mai nemmeno pensato di dire: «Ogni tortura da parte tua sarà sempre piacevole!» e poi l'aveva baciata. 
Akito era cambiato ma lei sapeva che, se lo aveva fatto, era semplicemente perchè l'amava e quella era l'unica cosa che contava. 
 
 
«Ce l'hai ancora..» disse Akito stendendo la mano verso il suo collo. Lei, prontamente si era allontanata ritrovandosi a guardarlo negli occhi.
«Avevi dubbi?». Gli occhi le brillavano come nel pomeriggio, stava per piangere e lui se n'era accorto.
«Sana io..».
«Non chiamarmi Sana, io sono solo Kurata per te.».
Era dura, arrabbiata, ma il motivo lo sapevano entrambi fin troppo bene. Un bel giorno lui si era alzato, l'aveva guardata e gli aveva buttato addosso tutto un risentimento covato negli anni, le aveva sbraitato contro il suo odio. Ma odio per cosa? Lei ancora, dopo più di un anno, non era riuscita a capirlo e per un anno si era sempre fatta la stessa domanda: Perché?
Perchè l'aveva lasciata? A cosa era dovuta tutta quella violenza improvvisa nei suoi confronti? Non l'aveva mai compreso e si ritrovava, dopo tanto tempo, a rifarsi sempre le stesse domande. 
«Kurata allora..»
«Eri venuto per qualcosa in particolare?».
«Si ma.. adesso non ne ho più bisogno, vado in camera mia.». Fece per andarsene ma poi si ricordò di una cosa e si girò nuovamente verso di lei.
«Potresti ridarmi la mia giacca, per favore?» ghignò con un sorriso malizioso.
«Sei proprio un bastardo.» aveva invece detto lei tirandogli la giacca in faccia e rimanendo come prima, nuda. 
Lui era uscito da quella stanza col cuore che quasi gli arrivava in gola ma non poteva tradire nessuna emozione, quindi si ricompose e tornò in camera sua lasciando Sana nella stanza dietro le sue spalle con le idee più confuse che mai.
Chissà che voleva, magari voleva parlarle e lei l'aveva cacciato. 
Ma che cosa avrebbe potuto dirle? Di certo non quello che lei avrebbe voluto sentire.
Si ordinò di mettersi a letto ma le lacrime l'avevano colta alla sprovvista e ora non facevano altro che uscire senza controllo.
Ma lei era forte e avrebbe superato quella settimana con coraggio. Doveva superarla. 
Quando poi sarebbe tornata a casa tutto sarebbe stato come prima, e allora la sua salute psicofisica sarebbe migliorata. Si, era tutto ok. 
«Andrà tutto bene...» si era sussurrata confortandosi prima di cadere tra le braccia di Morfeo. 
 
 
 
Eccomiii qui con il nuovo capitolo! :D Questo però non mi piace come il precedente, non so perchè! Ma lascio decidere a voi, mi raccomando con le recensioni :3
Grazie a tuttiiii :)) 
Akura.

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Capitolo 5
*** Centro del mondo. ***


CAPITOLO 4
CENTRO DEL MONDO. 
 
Kurata aveva la capacità innata di farlo innervosire in meno di mezzo secondo. Quella mattina si era presentata con due occhi arrossati al massimo e due occhiaie assurde, che quasi faceva paura. Quindi, aveva pensato Akito, o aveva pianto a dirotto –possibilità che lui aveva contemplato visto che era stata sul punto di farlo per ben due volte durante tutta la giornata – oppure non aveva dormito affatto. La cosa che lo faceva follemente incazzare era che non aveva nemmeno provato a coprirle, quelle occhiaie, come se avesse voluto punirlo per la loro discussione della sera prima. Discussione ormai chiusa, morta, sepolta e archiviata. 
Verso le nove tutti erano fuori dalle camere per lasciare spazio alle cameriere che dovevano pulire. 
Quel giorno non sarebbero andati a fare nessuna escursione ma avevano deciso di andare al mare, come primo bagno della stagione.
Akito non era molto d'accordo, il tempo non prometteva per niente bene, anzi, c'erano dei nuvoloni in cielo che non lo facevano stare per niente tranquillo, ma alla fine aveva accettato. Mare per lui significava donne in costume, il che rendeva la giornata abbastanza interessante.
Sana invece era entusiasta, nonostante non si fosse alzata col piede giusto, quella notizia l'aveva resa felice. Quindi era salita di corsa a mettersi il costume, un costume a fascia color verde acqua che le era piaciuto sin da subito.
Quando l'aveva visto in vetrina per la prima volta era con Akito, e lo aveva letteralmente pregato di comprarglielo ma lui, geloso come al solito, aveva detto che era troppo trasparente, troppo sgambato, troppo appariscente, troppo così, troppo colì. 
Invece, quando poi gliel'aveva visto addosso dopo che lei lo aveva comprato di nascosto, le aveva sussurrato all'orecchio Sei perfetta Kurata! e l'aveva baciata dolcemente facendole venire un brivido per tutta la schiena.
A volte aveva persino pensato di liberarsi di tutto quello che, in un modo o nell'altro, gli potesse ricordare Akito ma poi era arrivata alla conclusione che avrebbe dovuto liberarsi della sua intera casa e persino di se stessa perché non c'era una cosa attorno a lei che non le ricordasse un episodio passato con lui. 
Comunque, adesso si trovava per le scale con addosso il suo pareo bianco – quello si che era trasparente – e le ciabattine rosa comprate tipo secoli prima e mai usate. Nella borsa aveva messo una tovaglia e il suo mp3. Voleva estraniarsi dal mondo quel giorno ma sapeva perfettamente che, per quanto ci avrebbe potuto provare, non ci sarebbe riuscita. Vuoi per le continue chiacchiere di Fuka, vuoi per le infinite ramanzine di Tsuyoshi ma la giornata non sarebbe stata sicuramente rilassante.
Infatti appena avevano messo piede in spiaggia si era scatenata una strana marea che aveva cominciato a far increspare l'acqua e aveva preso a creare delle onde che via via diventavano sempre più alte.
«Fantastico, noi andiamo al mare e si scatena l'uragano!» aveva esordito Fuka col suo solito accento strambo.
«Matsui goditi il rumore delle onde invece di starnazzare!» le aveva risposto Akito con il suo conosciutissimo tono nervoso.
«Akito sei sempre così gentile..» e gli aveva fatto una linguaccia prima di girarsi e baciare Takaishi. 
Anche loro sembravano la coppia perfetta, ma sicuramente meno smielati di Aya e Tsu che invece facevano veramente venire da vomitare. 
Quando erano arrivati e Sana si era tolta il copricostume Akito le aveva rivolto uno sguardo compiaciuto e l'aveva squadrata praticamente da testa a piedi senza curarsi nemmeno di camuffare quel ghigno beffardo che gli si era formato sulle labbra.
Nonostante le onde piuttosto alte, Sana si era allontanata dalla riva ed era entrata in acqua sotto gli occhi spaventati dei suoi amici che gli avevano detto di restare in spiaggia. 
Ma lei, testarda come sempre e specialmente per la voglia di non sentire più parlare nessuno, si era tuffata in acqua allontanandosi sempre di più fino a non riuscire nemmeno più ad udire le voci dei suoi amici.
Finalmente, aveva pensato. Il mare sembrava essersi calmato un po', quindi si era concessa di distendersi nell'acqua cercando di rilassarsi il più possibile. 
Ma, in un secondo, un'ondata le arrivò addosso a tradimento facendola andare sott'acqua. 
Annaspò disperatamente, ma l'acqua le premeva sopra spingendola verso il basso; improvvisamente si trovò in balia di una fredda corrente sottomarina che la travolse mandandola quasi a strisciare contro il fondo sabbioso. Tentò di mettersi in piedi, ma inutilmente.
Okay, adesso era nel panico. 
Per un secondo non riuscì completamente a respirare e si sentì persa, completamente pervasa dalla paura di non riuscire a tornare in superficie. 
Poi sentì una mano accanto a lei che la prese e la riportò su. 
Era Akito. La teneva stretta a se, battendole sulle spalle in maniera quasi affettuosa mentre lei cercava di respirare profondamente. 
Quindi si era ritrovata per colpa di quella cavolo di onda a mezzo centimetro dalla faccia di Akito pur non volendolo. Certo, non volendolo
Lui l'aveva guardata sinceramente spaventato e l'aveva riportata in riva facendole sputare tutta l'acqua che aveva bevuto.
Gli occhi di Akito erano sui suoi, sentiva come se ogni barriera fosse stata distrutta e i loro cuori si muovessero in un solo battito. Come se quel battito potesse cancellare tutto quello che, in un anno, avevano passato. Un momento del genere poteva davvero sistemare tutto?
Ma quella magia fu spezzata proprio da lui che adesso stava urlando. 
«Kurata ma che diavolo ti è saltato in mente?! Potevi morirci in acqua, cretina!»
Ecco. Non gli bastava che lei stesse praticamente per rimanerci secca ma doveva persino sgridarla.
Sana intanto tossiva e si premeva il petto cercando di respirare ma invano.
«L'acqua..» mormorò. «Non riuscivo a respirare..».
«Certo vai a metterti praticamente in mezzo alla burrasca, che pretendevi?».
Mentre la sgridava però l'aveva sollevata da terra e la stava facendo sdraiare in una specie di brandina che Tsuyoshi aveva portato per il suo pasticcino, passandole l'asciugamano su tutte le spalle per asciugarla.
I loro amici intanto erano distanti e non avevano visto nulla di quella scena per fortuna; l'ultima cosa che voleva era sentire Tsu farsi venire un infarto e Hisae che scalpitava per tutta la spiaggia in cerca di un medico. E per quanto era fortunata quella, l'avrebbe trovato.
Improvvisamente Sana si era accorta che il costume le era scivolato di dosso lasciandole il seno completamente scoperto. Di scatto si tirò su a sedere strappando l'asciugamano dalle mani di Akito per coprirsi.
«Stai tranquilla Kurata, non mi seduci con così poco!»
Sana soffocò una risata. Era la prima volta, in due giorni, che si comportava quasi gentilmente nei suoi confronti. 
«Tranquillo Hayama, non mi interessa sedurti!». 
Intanto Tsuyoshi e Aya erano tornati e, come previsto, avevano cominciato a fare una tragedia per nulla. Oddio, nulla diciamo di no, Sana stava per lasciarci la pelle.
Lei, però, non aveva alcuna voglia di sentire tutte quelle urla di preoccupazione quindi aveva deciso di tornarsene in albergo. Come però?
I suoi amici non volevano andarsene e la macchina di Akito era l'unica disponibile oltre a quella che avevano noleggiato per dividersi. 
«Akito..» l'aveva chiamato Tsu.
«Dimmi.». Era pensieroso.
«Potresti accompagnare Sana in albergo? Sai, non sta bene.. e gli altri non vogliono andarsene.»
«Non potresti andarci tu?».
«Aya non vuole che me ne vada, mi ha chiesto di dirlo a te.». 
Maledetta Aya, tutto perché non poteva di certo separarsi dal suo pasticcino. Quei due, sul serio, facevano venire da vomitare.
«Dai Akito, fammi questo favore.» lo aveva implorato Tsu. Ma che palle.
«Va bene, basta che non diventi un’abitudine.»
Poi si era voltato verso Sana e gli aveva fatto cenno di seguirlo, senza preoccuparsi di aiutarla a portare la borsa o qualsiasi altra cosa.
Erano saliti in macchina, entrambi in silenzio -ormai li caratterizzava- ed erano partiti verso l'albergo. Il tragitto sarebbe stato di circa 15-20 minuti.
Bene.. sono solo 20 minuti. Devo resistere solo per 20, dannatissimi, minuti. Sana era in crisi. 
Non sapeva se avrebbe dovuto parlare, chiedergli qualcosa, iniziare un qualsiasi insensato discorso. Sapeva solo che Akito gli aveva salvato la vita e che, probabilmente, avrebbe dovuto ringraziarlo; sapeva anche, però, che la sua risposta sarebbe stata una delle sue solite parole monosillabiche o qualche grugnito stile sono incapace di articolare un vero discorso.
Nonostante questo si decise a farlo, glielo doveva, almeno quello.
«Hayama?». Modo sbagliato di iniziare una conversazione con Akito, lo sapeva, ma cosa gliene importava. Gliene fregava ben poco di non farlo innervosire in quel momento visto che, di nervosismo, era già abbastanza traboccante lei.
«Ma nessuno si toglierà mai questo vizio di chiamarmi per nome per iniziare una conversazione? Ma parlate e fatela finita!». 
Ecco, appunto. Sana non riusciva a capire come ancora, a ventitré anni, potesse essere così scontroso; lo pensava in un ipotetico posto di lavoro e lo vedeva venire cacciato da qualsiasi capo per via di quel suo carattere particolare
Carattere che, solo lei, era riuscita a comprendere.
"E tu quando imparerai a stare semplicemente a sentire la gente?". 
Lui non avrebbe mai imparato ad ascoltare, era chiaro. Anzi, meglio ancora, cristallino. 
Non aveva mai imparato ad ascoltare lei che era stata la sua ragazza praticamente da sempre, figuriamoci se avrebbe potuto ascoltare qualsiasi altra persona. 
Ma nei suoi confronti, a detta sua, aveva tutti i buoni motivi del caso. Ma quali buoni motivi? 
Oscuri, come sempre.
I successivi cinque minuti erano trascorsi in silenzio, Sana guardava fuori dal finestrino e lui teneva gli occhi fissi sulla strada. Probabilmente, per quanto era concentrato, avrebbe scansato qualsiasi cosa gli fosse passata davanti anche se all'ultimo secondo.
"Avanti Kurata, che volevi dirmi?". Si era arreso, quell'atteggiamento di menefreghismo assoluto lo aveva già stancato dopo nemmeno due giorni che avevano passato insieme. 
La odiava, la odiava a morte.. eppure non sarebbe riuscito a sopportare quel modo di fare un secondo di più.
"Niente, lascia perdere." 
Certo, prima le gridava contro e poi pretendeva anche di riaprire il discorso in quel modo? 
Minimo avrebbe dovuto preg.. 
"Grazie." Dannazione! Aveva ceduto! Ma perchè quel dannato ragazzo era capace di farla rincretinire con uno sguardo lanciato nella maniera giusta?
Quando erano piccoli, però, lei era completamente diversa: sapeva tenergli testa e, di certo, non si faceva mettere i piedi in testa da quel biondino fin troppo presuntuoso. Non riusciva a capire perchè, da quando erano stati insieme per la prima volta, solo la sua voce la faceva rabbrividire e uno sguardo era capace di farla morire. 
Bè, forse lo sapeva, ma non voleva ammetterlo a sé stessa per non ricadere di nuovo in quel tunnel infinito che era stata per lei la loro separazione.
Sana si era sempre chiesta come si potesse stare così male per.. per amore, si. Non era mai riuscita a darsi una risposta; quando aveva visto Fuka star male per Takaishi alle medie, oppure Naozumi stare male per lei, non era riuscita a capire il meccanismo che scattava dentro quelle persone. Cos'era che li portava a soffrire? 
Cosa li faceva ridurre a piangere senza nemmeno volerlo? 
Col tempo, poi, l'aveva capito. Perchè l'amore- o almeno per come lo intendeva lei- era qualcosa che andava al di là del volere o non volere. 
Diciamolo, Sana aveva una strana concezione dell'amore; per lei non era la solita cosa dell'uscire il pomeriggio, scambiarsi qualche bacetto e poi parlarsi tutta la notte al telefono. 
No.
L'amore per lei stava dentro cose piccole. Stava dentro un sorriso, dentro una stretta di mano nascosta. 
Stava dentro al modo in cui Akito la guardava, un tempo.
"Non c'è bisogno che ringrazi."
"Volevo ringraziarti e basta, se non ci fossi stato tu probabilmente a quest'ora sarei morta."
Parlava, parlava, ma di tutte le parole che diceva lui non ne aveva trovata una spontanea.
La sua Sana non era quella. 
Andiamo, la vera Sana non l'avrebbe mai ringraziato perchè era dovere suo, dovere di Akito, salvarla dai problemi della vita.
Lo aveva sempre fatto, sin dall'età di undici anni, quando Misako aveva pubblicato quel romanzo che, in un modo o nell'altro, la vita di Sana l'aveva cambiata eccome. 
Scoprire di avere una sorella, una madre.. una vera madre. Come può non sconvolgerti una cosa del genere? Solo che lei era sempre la solita. 
Sana era quella che la tristezza non doveva mai mostrarla e che doveva, a tutti i costi, far vedere agli altri di potercela fare, di poter fare qualsiasi cosa. 
Spesso si chiedeva se quell'estenuante maschera a volte non gli pesasse. Era praticamente impossibile che una persona riuscisse a camuffare un dolore in quel modo. 
Da che pulpito viene la predica, aveva pensato Akito, lui il dolore per sua madre lo aveva nascosto e messo via per anni.
Ed era stata proprio Sana a farglielo tirare fuori e a fargli capire che, infondo, non era colpa sua. 
Adesso la guardava e vedeva semplicemente una meravigliosa donna- o bambina- che non sapeva nemmeno reggere un suo sguardo; perchè Akito di quello sguardo schivato se n'era accorto, e lui non voleva che Sana diventasse quel tipo di persona. 
Ma forse, dopo tutto quel tempo, stava semplicemente diventando come lui: completamente apatico fuori mentre dentro aveva un mare in tempesta.
Dio, era così bella, questo non gli si poteva negare. La guardava e non riusciva a capire come una ragazzina senza alcuna forma, sempre con quegli stupidi codini fosse riuscita a diventare così attraente, così sensuale, così donna insomma. 
I capelli rossicci brillavano alla luce del sole e le punte erano ancora un po' bagnate visto il bagno che aveva fatto. Il ciuffo era praticamente andato altrove, lasciandole davanti il viso solo qualche ciocca stupida che avrebbe volentieri spostato per guardarla ancora meglio.
"Stamattina perchè avevi quell'aria così poco.. riposata?". 
Bene, ci mancava solamente che lui gli chiedesse 'Ma stanotte hai pianto?'.
"Per caso hai pianto stanotte?". Oh, perfetto. Ma l'albergo era davvero così lontano? All'andata non gli era sembrato proprio.
"Perchè avrei dovuto piangere scusa?".
"Che ne so Kurata, tu piangi per qualsiasi cosa!". 
Non era affatto vero che piangeva per qualsiasi cosa. E lui lo sapeva benissimo, solamente non aveva trovato altro da dire per uscire 'illeso' da quella discussione.
"No, non ho pianto signor so- tutto- io!". 
Forse quella era la vera prima conversazione che avevano avuto dall'inizio della vacanza. Cavolo, ci era voluto una quasi morte causa affogamento per farli parlare?
"Come te la sei passata quest'anno che.. che non ci siamo visti?"
Non si erano visti? O forse che non erano stati insieme? Nonostante tutto non riusciva a dire quelle parole, perchè sapeva che infondo loro sarebbero appartenuti sempre all'altro.
"Bene Hayama. Ho girato uno sceneggiato e Rei mi ha procurato tanti nuovi lavori.". 
Ma lui non voleva sapere del suo lavoro, era evidente. Voleva sapere se c'era stato qualcun altro accanto a lei. 
Quel pensiero gli fece quasi mancare il respiro, non poteva concepire proprio l'immagine di Sana che stringeva una mano che non fosse la sua, o che baciasse qualcuno che non fosse lui. 
Eppure lui, durante tutto quell'anno, era stato con altre mille ragazze, perchè pretendeva che invece lei gli fosse rimasta, in un certo senso, fedele? Forse gli importava fin troppo di quella ragazzina.
"Non intendevo lavorativamente.."
"So benissimo cosa intendevi, ma non credo di doverti dare spiegazioni su chi o chi non mi sono portata a letto."
"Kurata, non mi interessa proprio sapere con chi hai scopato quest'anno, credimi."
No, non gli interessava. E allora perchè continuava a farle domande?
"Comunque no, non sono stata con nessuno se proprio ci tieni a saperlo." 
Cazzata. Qualcuno c'era stato, il più scontato del mondo. 
".. oltre a Naozumi nessuno.". 
Silenzio. Probabilmente non avrebbe dovuto dire quelle parole.
"Ah, col damerino, complimenti. Sei passata dalle stelle alle stalle, cara mia."
"E tu saresti le stelle?"
"Ovviamente..".
Oh certo che lui era le stelle. Lui era sempre le stelle e gli altri erano sempre le stalle, ma a volte una ragazza deve pur accontentarsi. 
"E tu invece, niente ragazze?"
"Anche troppe.."
Ovviamente, bello com'era.
"Capisco..". 
Quella risposta, doveva ammetterlo, un po' l'aveva ferita.  
"Sei stata proprio una cretina oggi. Ti sei allontanata troppo, e poi con quel mare agitato, ma che cosa ti è saltato in mente?"
Wow, si era spaventato sul serio, chi l'avrebbe mai detto. E inoltre aveva cambiato anche argomento. Che c'è, paura di scoprire cose che non gli sarebbero proprio andate a genio?
Lei era convinta di essergli indifferente ormai, invece lui sebbene con battutine stupide o atteggiamenti oggettivamente da stronzo le aveva dimostrato tutto il contrario.
Ma, in ogni caso, non l'amava, di questo ne era certa. E lo capiva dal modo che aveva di parlarle, di trattarla, dal fatto che faceva di tutto per starle alla larga. 
Avrebbe voluto urlare dentro quella macchina, avrebbe voluto dirgli di accostare e buttargli in faccia tutto il dolore provato in un anno e invece era rimasta in silenzio per l'intero tragitto senza riuscire nemmeno a chiedergli una qualsiasi cosa. 
Eppure ne aveva avute di possibilità, insomma in quasi mezz'ora di strada con il tuo ex- tutto un momento in cui cercare di parlargli lo puoi trovare. 
E invece no, lei non c'era riuscita. Tutti erano convinti che Sana con le parole fosse la più brava del mondo, ma non avevano capito proprio nulla.
Solo Akito sapeva che si incartava facilmente, che parlare la imbarazzava da morire, che ancora, dopo più di tre anni dalla prima volta, si vergognava a spogliarsi completamente davanti a lui.
Lo faceva solo quando era costretta, come quella volta uscita dalla doccia. Lì si che aveva dovuto farlo. 
E come quella volta, altre infinite volte Akito l'aveva dolcemente costretta a farlo e lei non ci aveva pensato due volte. 
A quel pensiero Sana arrossì di colpo e lui se ne accorse immediatamente. 
"Perchè sei arrossita Kurata? Stavi pensando a me, dì la verità!"
Che sfacciato!! 
"Non sentirti il centro del mondo Hayama!"
Eppure lo era il centro del mondo per lei.
"Ma ero il centro del tuo mondo, no?".
Adesso la stava guardando con gli occhi fissi sui suoi, cercando di scrutare ogni singolo cambiamento d'espressione che quelli di lei potessero fare.
Sana ci aveva pensato un po' alla risposta da dargli. Ciò che si vorrebbe dire troppo spesso non può essere detto; e lei avrebbe voluto dirgli chiaramente che si, lui era stato, era, e sarebbe stato sempre il centro del suo mondo, ma non poteva.
Non poteva dargli questa soddisfazione e, inoltre, sapeva che se anche l'avesse fatto la situazione non sarebbe comunque cambiata.
Lui non la voleva più. E non per paura, per poco amore o per problemi di altro tipo, no. 
Il motivo per cui non la voleva più era sconosciuto a tutti, e lei questa cosa non aveva potuto accettarla. Lasciarla senza neppure darle una spiegazione era stato un gesto davvero meschino ma prettamente da Akito. 
Quindi poi, istintivamente, quando erano arrivati all'albergo, gli aveva risposto.
"No, non sei più il centro del mio mondo." gli aveva detto fredda e poi era scesa dall'auto sbattendo con forza lo sportello.

 

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Capitolo 6
*** Ma tu mi ami? ***


CAPITOLO 5.
Ma tu mi ami?
 
 
Dopo la conversazione avuta in macchina Akito non le aveva più rivolto la parola per tutta la giornata. Voleva evitare di vederla perchè, in tutta sincerità, la risposta che gli aveva dato non lo aveva lasciato indifferente. D'altro canto, a lei, quell'atteggiamento non pesava, anzi, meno contatto aveva con Akito meglio stava.
Intanto lui era nella sua stanza con gli altri aspettando le ragazze per uscire, dinuovo.
Quella vacanza, e non erano nemmeno passati tre giorni, lo aveva già stufato ma non poteva farci niente. Mancavano solamente quattro giorni. Quattro giorni e tutto sarebbe finito, si sarebbe allontanato da Sana, dai suoi amici e da tutto quell'infinito stress accumulato. 
L'idea di allontanarsi da Sana, un po'- e solamente un po', diceva lui- gli pesava e durante quella giornata si era promesso di parlarle, giusto per evitare di 'lasciarsi' nuovamente con brutte parole e urla. Ripensò a quando l'aveva lasciata, a come lei aveva reagito e ciò che era successo dopo. Ripensò alle sue parole, al pianto, alla porta chiusa tra loro e probabilmente se avesse avuto la possibilità di tornare indietro, non gliel'avrebbe detto in quel modo.
Ma di certo non era stato lui a commettere l'errore, era tutta colpa di Sana, questa convinzione non lo abbandonava nemmeno per un secondo. Come lo era stata sempre, durante tutta la loro vita insieme. 
 
*
 
«Sana, vuoi muoverti? Di questo passo arriveremo per domani mattina al locale!». Fuka le stava urlando dietro di prepararsi ma lei, da più di mezz'ora, stava guardando la replica del suo vecchissimo sceneggiato in cui aveva il ruolo da protagonista insieme a Naozumi. Si ricordava tutte le battute di quelle scene e ogni volta che le ripeteva mentalmente soffocava una risata. 
«Sana??». Fuka le stava passando una mano davanti il viso per farle capire che era tardi. 
«Ho capito Fuka, ho capito! Sto andando!!» disse lei urlando e chiudendosi in bagno. 
Certe volte Fuka non la capiva proprio, pur essendo la sua migliore amica ancora non riusciva a comprendere il motivo per cui facesse in quel modo. 
Aveva capito che lei non era stata entusiasta di quel viaggio, per i motivi ormai conosciuti da tutti, ma continuare a comportarsi in quella maniera era veramente esagerato.
Adesso Sana era in bagno mentre lei la stava aspettando fuori insieme a tutti gli altri. 
Kurata è sempre la solita, c'è poco da fare! aveva pensato Akito, e un po' l'avevano pensato anche tutti gli altri.
Quando poi, dieci minuti dopo, Sana si era presentata nella hall erano saliti in macchina diretti verso un discopub dove mangiare e poi, come aveva detto Gomi, scaternarsi in pista.
Il locale era molto grazioso, all'entrata i bodyguard controllavano di volta in volta le persone che entravano e, ovviamente, controllarono anche loro.
Era un pub abbastanza rinomato, quindi quel trattamento era abbastanza normale. 
Akito aveva passato quasi tutto il tempo a guardare le gambe di Sana. 
Dio, era perfetta, ma come cavolo aveva fatto a diventare così? Era una bambinetta con le codine stile Pippi Calzelunghe e invece adesso sembrava una mini Jessica Rabbit. 
Ci aveva provato miliardi di volte durante quell'anno a stare con qualcun altro ma, puntualmente, si ritrovava a chiudere con tutte le ragazze che si portava a letto.
Una volta, in particolare, gli era rimasta impressa. 
 
« Akito.. so che sei stato amico di Sana Kurata, è la verità?».
Amico? Veramente non era proprio un amico. 
«Mmm.. ». Non voleva rispondergli, ricordare certe cose dopo pochi mesi ancora gli faceva male.
«Avanti Akito, dimmelo!». Quella ragazza stava già cominciando a stargli proprio sulle palle. 
«Yuuki, non assillarmi. Non voglio parlarne!». 
«Ne eri innamorato, vero?». BOOM. Domanda da un milione di yen. 
Lui era innamorato di Sana? 
Si, lo era stato. 
Si, forse ancora lo era. E allora perché l'aveva lasciata? Se l'amore fosse bastato a risolvere tutti i loro problemi. 
«Senti Kimura, non mi va di parlarne, cosa non ti è chiaro di questa frase?»
«Ok, ne eri innamorato.». 
Si vedeva così tanto? Era così evidente il rapporto che aveva avuto con Kurata? 
Ma in ogni caso a quella cosa interessava? Chi era questa ragazza per sentenziare sui suoi rapporti sentimentali? Non perchè erano stati insieme più di una volta poteva permetterselo.
«Kimura, vattene, hai rotto!» aveva urlato e poi l'aveva praticamente cacciata di casa. 
Rimasto da solo aveva riflettuto molto sulle parole di Yuuki ed era arrivato ad una conclusione che non gli piaceva affatto: l'avrebbe amata sempre, purtroppo. 
Come poteva dimenticare tutto quello che lei, a sua volta, gli aveva fatto amare?
 
 
Erano ormai entrati nel locale, dopo quella fila interminabile, e si erano seduti in un tavolino a caso che Tsu si era precipitato a prendere.
«Tsu non c'era bisogno di buttarti letteralmente sui tavoli!» lo aveva preso in giro Fuka ridendo insieme agli altri.
Akito intanto aveva preso posto vicino a Fuka che stava dolcemente amoreggiando con il suo Takaishi mentre gli altri si erano già buttati in pista, compresa Sana. 
Lui si sentiva il terzo incomodo, quindi, decise di alzarsi e di andare al bancone a prendere il primo -primo di una lunga serie- cocktail della serata: un B52, tanto per cominciare col botto.
Arrivato lì, visto che la discoteca era enorme, si era seduto e aveva ordinato il suo alcolico, anche perchè non era proprio il tipo da discoteca lui, si sa.
La barista era piuttosto brava, muoveva quelle bottiglie enormi con destrezza, e lo aveva letteralmente ammaliato con i suoi movimenti.
«Che c'è biondino, non vai a ballare?». 
Anche lei era bionda, abbastanza alta e magra, insomma una bella ragazza, doveva ammetterlo.
«Non mi va.» aveva semplicemente detto Akito troncando la discussione lì senza neppure guardarla.
Poi si girò e, da buon pervertito che era, appena aveva visto quanto la ragazza fosse formosa aveva cominciato ad accendere la conversazione con qualche sorriso ammiccante e qualche mossetta giusta lei aveva mostrato un certo interesse. 
Perfetto, aveva pensato, ecco una veramente interessante.
«Piacere Sari, tu invece sei...?» 
«Akito, piacere mio!» e le aveva fatto l'occhiolino notando che la ragazza non arrossiva come avrebbe invece fatto qualcun altro. Come avrebbe fatto Sana.
Cazzo, ma perché per la minima cosa gli tornava in mente sempre quella ragazza? Certe volte pensava seriamente di essere impazzito, perché non riusciva a spiegarsi quella continua ossessione per Sana Kurata. 
Tornando a Sami.. mmm.. Sari, ha detto, non Sami. Iniziare col non ricordarsi già il suo nome non era proprio il massimo. Comunque era molto carina, ma sarà già abituata a certe situazioni, visto l'atteggiamento. Era pur vero che a lui, quel tipo di atteggiamento, andava più che bene, di certo non cercava una storia seria ma solo una ragazza con cui divertirti senza impegni. 
E poi, anche se avesse voluto una storia seria, di certo non sarebbe stata con quell'anonima ragazza di provincia. Di certo l'unica storia seria che avrebbe potuto avere l'avrebbe avuta con lei. Ma questo, Akito, ancora faticava ad ammetterlo a se stesso, ed era esattamente per questo che cercava ragazze senza senso per provare a sostituire l'insostituibile.
Sana intanto si era diretta al bancone per un drink e avvicinandosi aveva visto la scena di Akito che stringeva la mano alla barista ma, per principio, ci era andata ugualmente perché non doveva essere lui a rovinare la serata. Hayama poteva stare con chi gli pareva e a lei non doveva importare, era un'imposizione verso se stessa.
«Un cosmopolitan, per favore.». La barista non le dava retta, era troppo impegnata a flirtare con Aki. Oops.. lo aveva chiamato di nuovo in quel modo, ma purtroppo era più forte di lei.
La bionda ancora non l'ascoltava, quindi decise, spazientita, di avvicinarsi alla coppia per farli uscire dal mondo dei sogni.
«Scusate!». Niente. Dio, le avrebbe spaccato la faccia e strappato i capelli uno ad uno se avesse potuto. 
«Scusate!!!». Adesso stava urlando, era impossibile non sentirla. 
La ragazza la guardava infastidita e lei invece la fissava con sguardo di sfida.
«Mi dispiace disturbare la vostra storia d'amore ma io vorrei un cocktail. Se vuoi posso farmelo da sola ma dovresti comunque levarti dai piedi!»
Stava dando i numeri, ok, ma doveva pur sempre sfogarsi con qualcuno e quella ragazza era perfetta per sue furie omicide. 
«Kurata calma, non c'è alcun bisogno di trattare così la mia Sari!». Lo aveva fatto di proposito, voleva farla impazzire. 
Vuoi la guerra Hayama? Bene, che guerra sia! aveva pensato in quello stesso momento. Hayama stava giocando col fuoco. 
«La tua Sari? Wow, e a quando le nozze? Ti prego invitami, non vorrei mancare a quest'evento imperdibile!» disse Sana allontanandosi da quei due che continuavano a parlare e a ridacchiare come due cretini. Ma come faceva a non capire? Non credeva che lui fosse stupido, eppure si stava comportando da tale.
Se ne andò al bagno -stranamente non c'era nessuno- e si ci chiuse dentro. 
Silenzio. Aveva bisogno di silenzio. Troppo a lungo era rimasta ad ascoltare la gente che esprimeva la sua opinione sulla sua storia, troppo a lungo aveva sentito pareri discordanti su ciò che provava lei, spacciando questo parere come quello giusto. Perchè le persone non riuscivano a capire che i suoi sentimenti erano solo suoi? Le cicatrici che si portava addosso le aveva curate da sola, quasi tutte causate da un'unica persona, e non si spiegava come fosse riuscita a sopravvivere a tutto quel dolore. 
In quel momento sentì la porta del bagno aprirsi e una risata soffocata da qualcosa come un bacio. Sicuramente qualche dolce coppia che si era appartata nel medesimo luogo che lei aveva scelto per la sua solitudine. Di solito chi esce da una storia finita male odia le coppie, ma lei no. Lei rimaneva seduta dentro quel bagno immaginando la storia di quei due, ricollegando ogni momento ad uno vissuto con Akito. Dopo circa mezz'ora che se ne stava zitta nel bagno aveva sentito lei ridere e poi parlare. La voce della ragazza la fece bloccare, ma quella di lui gli fece morire il fiato in gola. Era Akito, era lui con quella.
E ora? Uscire dal bagno o rimanere lì in attesa che il suo ex ragazzo si fosse stufato di quell'oca? Era indecisa, ma poi si fece guidare dall'istinto e aprì la porta. 
La scena che gli si presentò davanti la lasciò inorridita.
Quella era sui lavandini e Akito era in mezzo alle sue gambe, mentre con una mano continuava a sbottonare la camicetta bianca già abbastanza aperta da prima e con l'altra le toccava le cosce. Si baciavano e il modo in cui lo facevano le faceva venire il voltastomaco.
Due secondi dopo Akito si era accorto della sua presenza e si era staccato completamente da Sari. 
Sana, non staccando mai il contatto visivo, si era diretta verso la porta cercando di non vomitare, ma Akito l'aveva bloccata prendendola per un braccio.
«Kurata..». Lo sguardo di lui era perso: nei suoi occhi si potevano distinguere disgusto, paura, tristezza, delusione. 
«Non mi devi alcuna spiegazione Hayama, lasciami.» gli aveva intimato lei guardando la sua mano intrecciata al suo braccio. 
Nello stesso momento in cui Akito l'aveva lasciata lei era uscita dal bagno distogliendo lo sguardo da quello schifo. Si sentiva disgustata, presa in giro, avrebbe voluto rompere tutto quello che le passava sotto mano senza distinzione fra cose e persone. 
Si buttò di nuovo tra la folla e ballava. 
Ballava e cercava di scordare quelle mani su un altro corpo, quella bocca su un'altra bocca e intanto decine di mani toccavano il suo di corpo, e lei non si allontanava.
Non le importava, avrebbero potuto farle ciò che desideravano, non aveva più significato ormai. Un ragazzo le offrì un drink e lei lo buttò giù tutto d'un fiato, poi ancora un altro drink e altre mille mani su di lei. Le luci le illuminavano il viso sudato di mille colori, lei si sentiva circondata dal nulla come il vuoto di ciò che aveva dentro.
Ballava e l'immagine di Akito con un'altra non smetteva di tormentala, ballava e sentiva di poter morire in quel momento.
Un secondo prima ballava, un secondo dopo era stata portata su un divanetto circondata da una ventina di ragazzi. Uno in particolare era praticamente sopra di lei e continuava a farla bere senza tregua. 
Non aveva capito quando la distanza tra lei e quel ragazzo si era azzerata ma si erano, improvvisamente, ritrovati bocca su bocca in un bacio al sapore di vodka.
Quel contatto però fu interrotto quasi subito grazie ad Akito che aveva scaraventato quello schifoso palestrato verso la folla che lo aveva spinto per terra.
«Ma non lo vedi che non si regge in piedi?!» aveva urlato sferrandogli un pugno sul naso che cominciava a sanguinare.
Poi aveva preso in braccio Sana cercando di controllarsi ed era uscito da quella discoteca da solo perché, come al solito, i loro amici sembrava non avessero visto niente.
Era comprensibile però, il locale era davvero enorme e diviso in varie sale.
Dopo aver messo Sana in macchina si era diretto all'hotel in fretta e arrivati l'aveva portata nella sua stanza. 
Non poteva di certo lasciarla dormire con il vestito attillato che aveva indosso. Merda, il vestito attillato.
Nel prenderla in braccio l'abito le si era alzato ancora di più lasciando scoperte anche le cosce. La guardava e se pensava che qualcuno l'avesse potuta anche solo sfiorare gli saliva il sangue al cervello. Sana era sua. 
Era sua e nonostante non stessero più insieme quel legame, lo sapeva anche lui, non si sarebbe spezzato nemmeno fra secoli. 
Quindi, l'aveva spogliata e le aveva messo la camicia da notte e pur non essendo la prima, ogni volta che la vedeva in quel modo non capiva più nulla. 
Dopo averla messa a letto si era seduto accanto a lei e la guardava. 
Riusciva solo a fare quello perché sapeva che, in una stanza con lei avrebbe potuto guardare anche la cosa più interessante, il suo sguardo sarebbe caduto sempre su Sana. 
Si era avvicinato e le aveva sfiorato i capelli spostandoglieli dal viso sudato. 
Cavolo, quella ragazza era proprio una sfigata: prima vedeva lui con un'altra, e poi per poco non veniva violentata.
Si domandava il motivo di quella reazione. Si chiedeva se, quel quasi pianto e quella risposta fredda non fossero troppo contraddittori.
Lei lo amava, lo sapeva anche Akito, ma dopo quello che era successo la sua testa gli impediva categoricamente di non tornare con Sana. 
Anche con tutto l'amore del mondo, lei era la stessa dell'anno prima, la stessa che lo aveva profondamente deluso, la stessa che continuava ad amare ma che avrebbe comunque tenuto lontana.
«Mmm...» si era mossa sistemandosi meglio nel letto e aprendo gli occhi quanto bastava per vedere che lui era lì. 
Il cuore smise di battere per un secondo per poi riprendere un momento dopo.
Era rimasto con lei, l'aveva salvata dal lupo cattivo e adesso stava vegliando su di lei. Ok, una visione un po' troppo disney però all'apparenza era quella giusta. 
«Aki..» lo aveva chiamato lei. Di nuovo. Con. Quel. Nome. 
«Kurata non fare mai più quello che hai fatto stasera.». 
«Io.. si, tra.. tranquillo!». 
«Non lo reggi proprio l'alcol Kurata, lo sai!».
«..Si, lo so..». Sentendosi, di nuovo, rimproverata si era girata a fissare il muro, non riusciva più a reggere quello sguardo accusatore. 
Rimasero in silenzio per cinque minuti buoni poi Akito parlò. 
«Dormi?»
Avrebbe volentieri non risposto, ma aveva voglia di parlare con lui, chissà perché.
«No.»
«E allora perché non ti giri? Non lo sai che è da maleducati dare le spalle?»
«No, non me l'hanno insegnato.» e nel frattempo si era coperta col lenzuolo rosso dell'albergo. 
«Che hai Kurata?». Domanda interessante. Che aveva? Ma niente, solamente lui l'aveva per l'ennesima volta salvata da morte sicura e lei non sapeva che dire. 
«Niente Hayama, tutto ok.»
«Non prendermi per il culo, che cos'hai?»
«Ho detto che non ho niente!!»
Lui, indispettito, si era seduto a letto e l'aveva presa per un braccio facendola girare verso di lui. 
«Hayama ma che cavolo fai? Lasciami!». 
La sua mano. La stava toccando, momento fuoco. Momento fuoco.
«Ti ho fatto una domanda e gradirei una risposta!» aveva tuonato lui come se fosse stato un ordine. 
«Ma mi spieghi che diavolo vuoi?!»
«Voglio sapere cos'hai!»
«Non credo tu voglia saperlo, credimi!». 
Ma che cosa avrebbe dovuto dirgli? Che vederlo con quella l'aveva letteralmente uccisa? Che gli avrebbe volentieri spaccato la faccia per fargli capire il dolore che lei aveva provato? No, di certo non poteva fare quei discorsi con l'unica persona che avrebbe dovuto capirla e che invece si ostinava a far finta di non capire!
«Voglio saperlo..». La conversazione era tornata ad un tono di voce normale, Akito però aveva la voce rotta dal nervosismo. 
Aveva paura di cosa gli avrebbe detto, se avesse uscito un discorso della serie sto soffrendo, aiuto lui sarebbe potuto anche morire lì: l'ultima cosa che voleva era farla soffrire, nonostante tutto.
«Vuoi saperlo?! Bene, parliamo allora!!».
Ok, momento sclero di Sana. Stava per sputargli in faccia tutto, ogni minimo momento di dolore di quell'anno e no, non avrebbe accettato recriminazioni di nessun genere.
«Iniziamo da stasera: ti sei praticamente scopato una ragazza appena conosciuta, in questi giorni tutte le tue battutine del cazzo verso di me, durante tutto quest'anno mai una telefonata, mai qualcosa per sapere come stavo, se ero viva, se ero morta, niente, non ti è mai interessato niente! E per finire, un anno fa mi hai lasciato senza un motivo valido e poi ti presenti esattamente un anno dopo come se nulla fosse successo! Ecco, ecco cosa ho, ecco perché ti odio Hayama, ecco perché non ce la faccio a sostenere più nulla, ecco perché anche il mio stesso corpo mi fa ribrezzo, perché ogni cosa mi ricorda te, ecco perché vorrei cancellare questo tatuaggio ma non ci riesco perché significherebbe cancellarti e io non voglio cancellarti perché sei stato il mio mondo, come hai detto t...». 
Stava finalmente dicendogli tutto, senza più peli sulla lingua, senza risparmiarsi, senza più nulla a cui pensare, senza conseguenze. 
Ma a lui le parole non piacevano, preferiva i fatti. Quindi, prese il viso di Sana tra le mani e la baciò. 
Improvvisamente calò il silenzio.
Lei si sentì morire, si stavano baciando. Un anno dopo si stavano baciando. 
Sana gli si strinse al collo e lui, di tutta risposta si era messo su di lei ritrovandosi così, uno sull'altro sul letto dell'albergo.
Lui la guardava e l'unica cosa che riusciva a capire era che erano vicini, che lei era dinuovo tra le sue braccia. 
Cominciò ad alzargli la camicia da notte, lei quasi si ritrasse ma Akito continuò incurante di ciò che lei diceva o faceva. Non gli importava. Non che non gli importasse della sua  volontà, certo se lei non avesse voluto gli avrebbe tirato un pugno, un calcio nelle parti intime, una mega martellata delle sue, ma lei non lo fece il chè stava a significare che non gli dispiaceva poi così tanto.
Poi lui la strinse ancora di più e le sussurrò all'orecchio: "Ti voglio Kurata.". 
Sana lo guardò negli occhi e poi lo baciò come se non l'avesse mai fatto, come se la distanza non avesse rovinato tutto quello che c'era stato tra loro. 
Avrebbe voluto fermarsi, scacciarlo, ma non poteva fare a meno di lui, non ora che l'aveva, in un certo senso, ritrovato. 
Akito si alzò dal letto, intanto, e Sana lo guardò interrogativo capendo poi che era stato solamente per chiudere la porta a chiave; se i loro amici li avessero trovati in quel modo chissà cosa avrebbero pensato. Effettivamente però, che cosa stavano facendo?
Era un errore, pensavano entrambi, ma entrambi non riuscivano a smettere.
Hayama la prese e invertì le posizioni, facendo mettere lei sopra di lui e togliendole completamente la camicia da notte azzurro cielo che, solo venti minuti prima, le aveva messo addosso per non farla dormire con quel vestito meraviglioso che aveva indossato. 
La guardò in tutta la sua bellezza, la osservò come se dovesse studiarla e continuò così per tutto il tempo finché non si ritrovarono completamente uno dentro l'altro, come un anno prima.
Era così strano stare di nuovo insieme dopo tanto tempo, dopo che altre bocche avevano toccato le loro labbra e le cose erano cambiate del tutto.
Loro non potevano stare insieme, era ovvio, ma allora che cos'era quello? 
Un inutile tentativo di riallacciare i rapporti dopo mille problemi? Non era possibile una cosa del genere, tra loro non c'era più nulla e se anche c'era qualcosa non era più l'amore incondizionato dei vecchi tempi.
Avrebbe potuto smettere, avrebbe potuto chiuderla lì per sempre, ma non ci riusciva. 
E il motivo era semplicemente che era sopraffatta da quel ragazzo, dalla sua voce, dal suo modo di camminare, dal suo modo di ridere, per quel poco che lo faceva, dal suo modo di parlare, e anche dal modo che aveva di farla sentire donna.
Perché finché c'era lui, andava bene tutto. 
Poi una domanda gli passò per la mente e mentre l'aveva pensata, involontariamente, l'aveva detta ad alta voce.
«Ma tu mi ami?». Silenzio. 
Akito, completamente nudo sopra di lei, era rimasto a fissarla incerto su cosa risponderle.
Perché voleva quella risposta? Non gli bastava quel momento senza dover per forza avere spiegazioni? No, perché Kurata era la donna dei problemi da risolvere, quella che una situazione difficile non le va bene perché deve sempre sistemare tutto. 
Ma lui non era così, e parlare poi non era il suo forte, quindi rimase in silenzio.
Allora cominciò, in un secondo, a chiedersi se l'amava o meno. 
L'amava? Si, sicuramente. Ma non poteva comunque stare con lei. Non per capriccio, non per problemi esistenziali inesistenti, ma semplicemente perché era giusto così. 
Perché Sana Kurata e Akito Hayama non potevano avere una storia normale. 
Lei, vedendo che la risposta tardava ad arrivare, calò lo sguardo.
Cazzo, bel casino che aveva combinato. 
Sana fece per alzarsi, non dicendo nemmeno una parola, ma Akito la prese per un polso e la baciò nuovamente. 
Lei non si ritrasse e allora tutto continuò per come era iniziato: baci, carezze, amore, puro amore.
Akito la voleva, la voleva a tutti i costi e niente era importante. 
Intrecciò la sua mano con quella di Sana e continuarono ad intrecciarsi per tutta la notte. 
Insieme sarebbero riusciti a superare qualsiasi cosa, era da separati che la cosa si faceva più difficile.

 
 
 
 
Beeeene, dopo questo capitolo infinito, che ne pensate? 
Lo so, lo so, non è bello come i primi, ma quello che succede è pur sempre importante, spero che vi piaccia e che lasciate tante recensioni. 
Che faticaccia è stata scriverlo, credetemi, ci ho messo un paio di giorni perchè non avevo proprio idee su come mettere nero su bianco tutto quello che volevo scrivere!
Vi lascio alle recensioni, mi raccomando! :D 
Baci, Akura. :*

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Capitolo 7
*** La bomba. ***


CAPITOLO 6.
La bomba.
 
La luce del sole entrò prepotentemente nella camera in cui dormivano i due ragazzi.
Akito, durante la notte, l'aveva abbracciata e lei, senza accorgersene, si era ritrovata stretta al suo petto in una stretta instancabile.
Come poteva stancarsi di Hayama? Era quello che voleva, che avrebbe sempre voluto.
Lui ogni tanto si era svegliato e l'aveva guardata dormire tra le sue braccia: era dolce, aveva la bocca socchiusa e il suo petto si alzava e abbassava ritmicamente.
Come poteva quella creatura così meravigliosa all'apparenza rappresentare così tanto dolore e allo stesso tempo amore nella sua vita? Sana, la vita, gliel'aveva rovinata. Gliel'aveva creata e rovinata.
Dalla finestra un raggio di luce sfiorò il viso di lei che, sentendosi disturbata, aprì gli occhi.
Le scoppiava la testa, la sbornia della sera precedente l'aveva distrutta completamente, ma appena vide Akito accanto a lei il mal di testa era sparito. Lui era già sveglio e aveva lo sguardo fisso, come catturato dalla sua presenza. E infondo lo era, si notava.
Bastava pensare al fatto che durante quell'anno aveva avuto una decina di ragazze, qualcuna lo aveva anche colpito, ma alla fine dei conti la storia si concludeva sempre con protagonisti loro due, la coppia per antonomasia.
Coppia che, alla fine, coppia non era più.
Sana credeva di averlo accettato -credeva-, ma poi Akito l'aveva guardata e tutto il lavoro fatto per dimenticarlo era andato praticamente a puttane. Ma perchè era così stupida?
Hayama intanto continuava ad abbracciarla e lei si sentiva una morsa allo stomaco che quasi le faceva venire da vomitare. Il silenzio cominciava ad essere piuttosto imbarazzante e Akito, accorgendosene, parlò spezzandolo.
«Buongiorno Kurata.» aveva detto serio affondando il viso tra l'incavo del suo collo assaporando il profumo di frutti di bosco dei suoi capelli.
Sana si chiedeva perché Akito, in due situazioni separate, fosse così diverso. Nella vita di tutti i giorni era la persona più fredda e apatica del mondo e in momenti come quelli diventava un'altra persona.
«Giorno Akito..». Lo sguardo di lei era dubbioso sul da farsi: non sapeva se avrebbe dovuto staccarsi da lui o rimanere in quella posizione. Aveva paura di sbagliare in entrambi i casi.
Lui, intanto, continuava a stare con la faccia nel suo collo e quel contatto le provocò prima un brivido e poi il solletico. Cominciò a ridere e la mano di Akito, che le aveva poggiato sulla pancia piatta, cominciò a solleticarla da tutte le parti.
Il momento serio e imbarazzante di un momento prima si era trasformato in uno dei vecchi momenti di risate tra loro, uno di quelli rari che mancavano ad entrambi.
«Aki! Akito smettila!» aveva detto ridendo e buttandosi su di lui per ricambiare il trattamento.
Dopo almeno cinque minuti di solletico reciproco smisero e si buttarono a letto a fissare il soffitto.
Poi Sana si stancò di aspettare una parola e decise di alzarsi per fare una doccia avvolgendosi nel lenzuolo rosso dove avevano dormito.
Il getto d'acqua le colpì il viso e la fece svegliare del tutto. Si sentiva quasi sporca per quello che era successo.
Come aveva potuto andare a letto con Hayama? Dio, lui l'aveva lasciata senza un motivo e lei, alla prima occasione, gli saltava addosso. Che comportamento coerente.
Ma il problema adesso era un altro, ed era quello principale al momento: lei non poteva più fare a meno di Akito.
Non sarebbe stata capace di tornare a casa, dopo quella vacanza, e di fare finta di nulla.
Non avrebbe potuto continuare la sua vita da star come se quella notte non avesse segnato tutto, un'altra volta.
Si, è vero, non era mica la prima volta che faceva l'amore con Hayama, ma la notte appena passata era stata diversa. Dopo un anno, dopo aver saputo di tutto sul suo conto –  perché anche se nessuno lo sapeva, lei invece sapeva tutto di Hayama – e dopo che la depressione l'aveva logorata per mesi, adesso lui era di nuovo al suo fianco e questo, in un certo senso, bastava.
Akito intanto si stava alzando dal letto e si era diretto verso il bagno, come Sana.
«Hayama ma che fai? Esci! Non vedi che sto facendo la doccia?» aveva detto lei cercando di coprirsi alla buona.
Ma poi capì che era una cosa davvero stupida: dopo la nottata passata completamente nuda tra le sue braccia ora si vergognava di farsi vedere sotto la doccia?
«Voglio farla anch'io la doccia, Kurata. Ne vedi altre?» aveva detto lui con il suo solito ghigno malizioso.
«No, ma potresti fartela dopo, non credi?».
«Nah, preferisco adesso!» e si era infilato dentro la doccia, da precisare di nemmeno un metro per un metro, mettendo volontariamente Sana al muro.
«Hayama, ti ho detto che sto facendo la doccia, vuoi uscire?» diceva lei mentre lui la spingeva ancora di più verso il muro.
«Kurata, smettila di chiamarmi Hayama, so che Akito ti piace di più.».
Colpo basso, bassissimo.
«Io ti chiamo Hayama da sempre, ti chiamavo Akito prima, quando..» e si zittì, dubbiosa su cosa avrebbe dovuto dire.
«Quando stavamo insieme Kurata, prima.» terminò la frase lui fissandola con il solito sguardo di ghiaccio.
«Appunto Hayama, tanto tempo fa.»
«Non è passato poi così tanto.»
«Un anno e mezzo Hayama, è passato tanto tempo invece.»
Sana, in testa, aveva un casino. Da una parte avrebbe voluto abbracciarlo e dimenticarsi di tutto, ma dall'altra non poteva.
Intanto lui si avvicinava sempre di più, facendola completamente aderire al muro, e portando il viso vicino al suo con l'intenzione di baciarla. Lei, però, adesso era lucida e sapeva che sarebbe stato un errore, un errore madornale.
Si spostò e lui le prese il volto con una mano e la costrinse a guardarlo negli occhi.
Erano sempre quelli, sempre gli occhi che l'avevano dapprima spaventata poi ammaliata. Gli stessi occhi che le penetravano l'anima ogni volta.
Sana arrossì e lui se ne accorse.
«Non capisco perchè ogni volta cerchi di abbassare gli occhi quando ti guardo.» aveva detto lui mantenendo il contatto visivo.
«Non abbasso gli occhi, Hayama. Dico, ti rendi conto della situazione in cui siamo? Siamo dentro una doccia, nudi a parlare di che?»
Tagliente, altro colpo basso.
«Non c'era bisogno di precisare il fatto che sei nuda, impazzisco già da me.»
Impazziva, addirittura?
«Non impazzire Hayama, non ne vedo il motivo.»
Sana cercava di sembrare fredda e distaccata, ma sapeva perfettamente che Akito era capace di leggerle l'anima e specialmente che, in quel momento, anche lei stava impazzendo.
Il contatto del suo corpo, delle sue mani, di quegli occhi assolutamente glaciali su di lei la faceva sentire una completa cretina incapace di reagire.
Lui si avvicinò di nuovo per baciarla e Sana non poté fare a meno di cedere alle sue labbra. Dio, era tutto quello che voleva, ma perchè continuare a resistere? Che senso aveva?
Se avesse continuato a scappare  – in amor vince chi fugge, che cazzata –   magari avrebbe finito per allontanarlo ancora di più ed era veramente l'ultima cosa che voleva.
Continuarono a baciarsi e, appena il bacio fu sciolto, Hayama la guardò e disse una frase che lasciò Sana incapace di rispondere.
«Hai visto che con te posso fare ciò che voglio?».
Sana si liberò da quello che a lei fino a quel momento era sembrato un abbraccio, ma che in realtà era solamente infinita possessività, e gli mollò uno schiaffo sulla guancia destra.
Uscì dalla doccia e lo lasciò lì con il viso arrossato e mille domande in testa.
Quella frase aveva nuovamente distrutto ogni cosa.
 
*
 
Dopo la conversazione avuta con Akito la giornata era già rovinata in partenza, senza bisogno che anche Fuka la complicasse ancora di più. Da almeno un quarto d’ora buono le stava raccontando dei problemi che aveva con Takaishi: aveva dei dubbi su di lui, in quanto non capiva se l’amasse realmente o meno.
Sana si chiedeva, allora, il motivo per cui ne veniva a parlare proprio con lei. Aya era sparita? Certo, come sempre era appiccicata stile koala a Tsu e nessuno le si poteva avvicinare. Comunque, Fuka parlava cercando di sfogarsi con quella che avrebbe dovuto essere la sua più cara amica e intanto, quest’ultima, era proprio nel suo mondo.
Colpevole di quell’estraniamento sempre lui, sempre quel maledetto Akito Hayama.  Ma ormai a questo c’era più che abituata, insomma, tre quarti della sua vita era stata condizionata da quel ragazzetto biondo e meraviglioso, con quegli occhi ambrati che ti fanno sbavare e quei muscoli, e quelle spalle, e quelle labbra.. Okay, okay, troppi pensieri perversi nei confronti di Hayama, non andava per niente bene.
Si ritrovò a dover, per forza, ascoltare Fuka in quanto altrimenti sarebbe dovuta andare con Akito, Gomi e Hisae in giro per la città. Che poi, un po’ di buon senso, perché Akito si era messo in mezzo a quella povera coppietta che magari voleva semplicemente stare un po’ per i fatti propri? Aveva insistito tanto, forse anche lui per sfuggire agli occhi di Sana. Comunque non avrebbero dovuto tardare molto, vista la sua presenza Sana non credeva che si sarebbero trattenuti in giro per le continue lamentele di Akito.
Tra le parole di Fuka, Sana non ci trovava nulla di sensato: aveva intenzione di lasciare Takaishi per un dubbio. Dio, se lei avesse potuto riprendersi Akito e chiarire quel dubbio che li aveva divisi lo avrebbe fatto anche subito. Ma la loro era una storia completamente diversa.
Il loro era un amore a se, un amore malato, che porta in un modo o nell’altro al dolore e lei non era più disposta a soffrire per nulla. Ma era pur sempre amore, come la mettiamo quindi? Vale la pena lottare oppure è meglio lasciar perdere e far rimanere tutto per com’è?
Sana, a questa domanda, non sapeva proprio rispondere quindi cercava di rispondere a quelle della sua amica.
«Fuka, ma cosa dici? Non lasciare Takaishi. Non fare lo stesso errore che ha fatto Hayama con me.»
Non sapeva nemmeno con quale forza era riuscita a dire quella frase, a ricordare così apertamente quanto la scelta di Akito l’avesse condizionata.
«Lo so Sana ma il fatto è che.. che Takaishi non mi da più alcuna sicurezza. Non riesco più a fidarmi.»
Ma come poteva dire una cosa del genere? Takaishi era sul serio il ragazzo perfetto, altro che quello scontroso di Akito Hayama. Lui la trattava con i guanti bianchi, non era ossessivamente geloso, la lasciava libera di fare ciò che voleva, l’amava follemente. Ma cosa desiderava di più quella ragazza?
«Senti Fuka, non farmi incazzare. Tu hai tutto: hai amici che sarebbero disposti a tutto per te, una famiglia meravigliosa e come se non bastasse hai un fidanzato che stravede per te. Perché vuoi buttare tutto così? Ti vuoi rovinare la vita? Bene, lascia Takaishi. Ma tu lo ami, e lo sai anche tu. E sai anche che, senza questo amore, non potrai vivere. Hai solo bisogno di capirlo. Prendi me e Hayama, il nostro non era un amore come quello vostro, il nostro sfociava sempre in qualcosa di negativo, mentre il vostro è sempre stato puro. Non lo rovinare per uno stupido dubbio, come ha fatto Akito con me.»
Intanto Fuka la stava ad ascoltare con una faccia tra lo sbigottita e lo spaventata, ma Sana non ci fece caso e continuò a parlare.
«.. Io non lo so perché mi ha lasciato, ma so per certo che se me ne avesse parlato avremmo trovato una soluzione insieme, l’avremmo superato. Invece no, lui ha preferito darmi il ben servito e andarsene via non capendo che probabilmente era tutto un malinteso. Ma non m’importa e sai perché?»
Fuka continuava ad avere quella faccia e cercò più volte di zittire Sana ma niente, non ci riusciva, quella ragazza andava come un treno con quel suo pensiero infinito.
« Perché io so che tanto lo amerò sempre, qualsiasi cosa succeda. So che Akito Hayama sarà sempre il centro del mio mondo, quindi ci convivo e va tutto bene.»
Poi si accorse di quell’espressione e le chiese: «Fuka, insomma, perché mi stai guardando così? Ho forse qualcosa tra i denti?» disse toccandosi i denti con la lingua.
«Sana.. Sana, girati.».
La ragazza eseguì il comando e si ritrovò dietro proprio la persona di cui aveva parlato per i precedenti cinque minuti. Perfetto, adesso poteva anche sotterrarsi.
Lo sguardo di Akito sembrava capace di bucarle la faccia tanto era profondo.
Aveva sentito tutto: ogni parola, ogni frase, ogni cazzo di ragionamento d’amore su di lui, Akito lo aveva appena sentito. Credeva di poter svenire in quel momento se non ci fosse stata Fuka a sorreggerla in tutti i sensi.
«Kurata.». Solo il suo nome gli era uscito dalla bocca che, per circa due secondi, era rimasta spalancata al sentire tutte quelle cose. Non poteva crederci. Non poteva credere che Sana pensasse ancora tutte quelle cose.
«Vieni con me.» e detto questo la prese per un braccio e la portò via sotto gli occhi sconcertati di Fuka che uscì dalla camera raggiungendo i suoi amici e il suo fidanzato alla sala da pranzo dell’albergo che era appena stata aperta per il pranzo.
Intanto, Sana e Akito erano usciti dalla struttura ritrovandosi nel prato adiacente all’hotel interamente ricoperto di margherite bianche. Era veramente un paesaggio meraviglioso. Non era adatto alla litigata che, sicuramente, avrebbe ospitato.
Hayama la stava trascinando con forza e le stringeva il braccio per la rabbia. Proprio con Fuka doveva parlare di loro? Ma d’altra parte era prevedibile, era la sua migliore amica, se non ne parlava con lei con chi l’avrebbe dovuto fare?
Con uno scatto Sana si liberò dalla presa del ragazzo urlandogli contro di mollarla lasciando lui con un’espressione da cane bastonato.
Adesso la tensione era palese da parte di entrambi anche se il silenzio ancora regnava sovrano. Sana non avrebbe di certo parlato e Akito – conosciutissimo per le sue doti di silenzioso –  non accennava a dire una parola.
Bene, sarebbero rimasti lì per delle ore. Hayama continuava a fissarla senza dire nulla, Sana invece si guardava le scarpe bianche che si stavano leggermente consumando. Poi guardava i fiori, poi il campo di beach-volley poco distante da lì, tutto pur di non guardare Akito.
Poi il silenzio fu spezzato.
«Kurata.». Ancora. Ma non sapeva dire niente oltre al suo nome? Bastava una parola, un gesto, qualsiasi cosa sarebbe bastata a mettere a posto le cose. Bastava l’amore.
«Hayama, niente ramanzine, per favore.». Voleva fare la dura? Non c’era riuscita. Il suo sguardo riusciva a tradire ogni singola emozione che le stava scoppiando nel petto. Probabilmente da lì a pochi secondi avrebbe avuto la spiegazione che in un anno aveva sempre atteso e questo, da un lato, la rendeva felice. Finalmente si sarebbe potuta liberare del peso che le opprimeva l’anima, avrebbe saputo il motivo per cui l’aveva lasciata, se questo motivo esisteva realmente.
«Senti Kurata, non ho più voglia di giocare con te. Voglio sapere solo se le pensi realmente quel mucchio di cazzate che hai detto a Matsui.»
Sana rifletté per un secondo alla risposta da dargli.
«Si, le pensavo.»
«Mmm.. quindi pensi anche che la nostra storia sia stata solo una cosa negativa.»
«Si, lo penso.»
«E vuoi sapere perché ti ho lasciato.»
«Si.». Bene.. 3.. 2.. 1.. BOOM. Finalmente.
«Non posso dirtelo Kurata, mi dispiace.”»
Furia. Infinita furia.
«Hayama devi dirmelo.»
La voce di Sana era dura, voleva sul serio saperlo, anche se avrebbe fatto male. Di solito lei era il tipo ‘occhio non vede, cuore non duole’, ma per Akito era diverso. Avrebbe sopportato qualsiasi dolore se ciò fosse servito a capire il motivo per cui lui aveva preso tutta la loro storia e l’aveva buttata nel cesso. Mille volte lei lo aveva chiamato, mille volte l’aveva cercato per parlargli ma mille volte ancora lui l’aveva cacciata. E, dopo un mese di infiniti tentativi, Sana aveva rinunciato.
A ripensare all’anno appena trascorso il cuore di Sana sembrò scoppiare: quanto dolore, quanta solitudine, quante volte era sprofondata e quante altre volte si era dovuta rialzare completamente da sola.
Che c’è? Non era degna di ricevere spiegazioni? Probabilmente no, vista la sua sconosciuta colpa.
Fra tutti questi pensieri capì che rimanere lì non aveva senso perché Akito non avrebbe detto una parola nemmeno se lei avesse scatenato la terza guerra mondiale.
Decise, quindi, di andarsene ma appena mosso il primo passo, Akito la prese nuovamente per un braccio e la fermò.
Sana era stanca, quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quella situazione? Involontariamente cominciò a piangere, dopotutto doveva sfogarsi.
«Stai bene?» le chiese lui. Ma che razza di domanda era?
Si stava disperando, piangeva, urlava come una dannata da almeno mezz’ora e lui le chiedeva se stava bene?
«No, non sto per niente bene,ok?!Sei soddisfatto? Io non sto bene!! Perché tu non vuoi darmi spiegazioni e io come una cretina continuo a chiedertele! Se non vuoi darmele va bene, ma allora smettila! Smettila di parlarmi, smettila di sorridermi, smettila di venire a letto con me e soprattutto smettila di guardarmi!»
«Io non ti guardo!» urlò lui.
«Tu non fai che guardarmi! Non fai che osservarmi! Ogni momento, ogni secondo hai gli occhi posati su di me e io invece sto provando davvero ad essere felice, sto provando davvero a dimenticarti ma non posso respirare, non posso respirare se tu mi guardi in quel modo, quindi smettila!»
Quelle parole la liberarono, la fecero sentire meglio. Non riusciva davvero a respirare ogni qualvolta che lui la guardava, ogni suo sguardo la faceva sentire così incapace di fare tutto.
Akito intanto la guardava proprio nel modo in cui lei odiava essere guardata, proprio nel modo che la faceva sentire una stupida. Se quel suo sguardo fosse stato capace di cancellare l’anno passato lontani, allora si che tutto sarebbe stato perfetto, ma queste cose accadono solo nei film e Sana sapeva che niente li avrebbe riavvicinati. Niente.
«Io.. tu credi che io lo faccia apposta? Credi che non preferirei guardare qualsiasi altro tipo di ragazza sulla faccia della terra piuttosto che guardare te?! Ma non ci riesco, non ce la faccio! Perché quando guardo un’altra vedo te, e vedo tutto quello che mi hai fatto. Vedo te e.. quel bastardo di Kamura che vi baciate proprio sotto casa nostra. Ecco cosa vedo. Vedo che hai sempre preferito quel damerino a me, perché lui sapeva capirti, perché lui era perfetto, faceva parte del tuo fottutissimo mondo dello spettacolo, eravate fatti l’uno per l’altro, non è vero Kurata?»
La bomba era appena scoppiata. Un bacio dato a Kamura? Lei proprio non se lo ricordava. Ah, certo, quel bacio.
Adesso era tutto chiaro, adesso doveva spiegare tutto ad Akito, adesso doveva parlare. 
 





Beeeeene, rieccomi :DD mi dispiace di avervi fatto attendere così tanto, ma ho avuto un sacco di imprevisti: la scuola, gli amici, il mio computer praticamente rotto!xD
Spero che questo capitolo vi piaccia e che lasciate tante recensioniii:D
Intanto ringrazio davvero di cuore tutti quelli che hanno recensito fino ad ora, non credevo che questa storia potesse piacere così tanto! :D Volevo dire una cosa: per chi segue Grey's anatomy si sarà accorto che il dialogo tra i due è praticamente molto simile(se non uguale) a quello tra Derek e Meredith in una delle puntate. Lo so benissimo, è che mi piace così tanto quella scena, e mentre scrivevo il capitolo stavo guardando proprio quell'episodio, quindi non assalitemi: so benissimo che non è farina del mio sacco :) spero di non farvi arrabbiare >-<
Akura. :*
 

 

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Capitolo 8
*** Silenzio. ***


CAPITOLO 7.
SILENZIO

 
Quel giorno e Sana e Naozumi erano stati convocati dal produttore del nuovo film che stavano preparando perché aveva bisogno di alcuni chiarimenti sul copione e sull’ultima scena girata. I due ragazzi, infinitamente scocciati, dovettero recarsi agli studi televisivi.
Tra Sana e Naozumi, da qualche mese, non correva più buon sangue. Lui aveva saputo la novità della convivenza con Akito ed era andato su tutte le furie perché, a parere suo, Sana era troppo giovane per convivere con qualcuno. Lei d’altro canto non voleva che Naozumi s’intromettesse nelle sue faccende personali e gli aveva urlato di lasciarla vivere la sua vita. Da quel giorno, ogni cosa, era cambiata. Ogni volta che si incontravano a mala pena c’era il saluto e anche girare il film era diventato piuttosto pensante perché ogni battuta detta nel modo sbagliato sfociava nell’Apocalisse. Sana aveva anche pensato di lasciare quel lavoro, ma sapeva che Rei l’avrebbe letteralmente decapitata giacché era uno dei pochi lavori che era riuscito a trovare negli ultimi mesi.
Non si capiva il motivo ma Sana non riscuoteva più lo stesso successo degli anni precedenti, pur essendo ancora braccata costantemente dai giornalisti le offerte di lavoro andavano scemando e Rei si disperava guardando l’agenda vuota.
Lei, invece, era contenta: meno lavoro, più Akito e questo non le dispiaceva per niente. Da quando viveva con lui la sua vita aveva preso la giusta piega, sembravano proprio due sposini ai primi anni di matrimonio. A quest’idea c’aveva pensato spesso, aveva organizzato mentalmente tutta la cerimonia, aveva immaginato il suo abito, e la loro vita da sposati. Sarebbe stato tutto perfetto, anche se sapeva che ad Akito il pensiero di un matrimonio in pompa magna non piaceva affatto.
Ma ogni ragazza lo sogna, quel giorno.
Comunque, la riunione era durata almeno un’ora e mezza e Sana stava uscendo dalla stanza del produttore con il cervello che le scoppiava: Kamura non le aveva tolto gli occhi di ‘dosso nemmeno per un secondo.
Fuori, intanto, si era scatenato il diluvio universale e Rei le aveva detto di tornare a piedi a casa di Akito perché lui aveva un impegno e non poteva riaccompagnarla. Oh, sì, se solo non ci fosse stata quella pioggerella a rovinarle i pieni. Chiamala pioggerella.
“Vuoi un passaggio?”. La voce di Naozumi la colse di sorpresa, era da un sacco che non si rivolgevano la parola, da almeno quattro mesi.
Era titubante, non sapeva se accettare o no, vista la discussione avuta si aspettava un’altra ramanzina stile ‘Hayama non è la persona giusta per te, io sono la persona giusta per te’ e bla bla bla.
“Mmm.. mi taglierai a pezzettini e mi metterai in un sacchetto perché sono andata a vivere con Akito?” aveva detto scherzando lei.
Naozumi sorrise. “No, sta’ tranquilla.”
Detto ciò salirono in macchina e si diressero verso casa di Hayama, dove quest’ultimo stava aspettando la sua fidanzata.
“Com’è la vita con Hayama?”. Naozumi stava cercando di rompere il ghiaccio e di farla sentire a suo agio, ma ci riusciva molto male.
“Bella, come me l’aspettavo.” Aveva risposto sicura lei.
“Sana io..”
“Non c’è bisogno Nao, stai tranquillo.. Ho capito.”
Sana aveva detto poche parole e fra loro era stato tutto chiaro. Perché la loro amicizia era così, bastava una parola ed era tutto sistemato.
“Mi sei mancata, Sana..”
“Anche tu, Nao.” Era vero, Nonostante fosse veramente felice con Akito, lavorare con Naozumi e non potergli neppure parlare era stato davvero duro.
Fuori la pioggia era battente e Sana non vedeva l’ora di arrivare a casa e mettersi a letto con Hayama. Voleva raccontargli della proposta di ampliamento che gli aveva fatto il produttore e anche del chiarimento avuto con Naozumi.
Arrivati sotto casa Kamura era sceso dalla macchina e l’aveva salutata, allora Sana si era girata e stava entrando nel suo portone.
“Ah.. grazie del passaggio Nao..” e gli aveva mostrato uno dei suoi sorrisi mozzafiato. Lui, allora, l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva bloccata.
L’aveva baciata. Sana era rimasta immobile, incapace di muoversi davanti a quel gesto assurdo. In un secondo gli era passato davanti l’ultimo quarto d’ora passato in compagnia di Naozumi e la rabbia l’aveva annebbiata. Voleva ucciderlo per quanto lo odiava.
Kamura le mise le braccia sui fianchi e l’avvicinò a sé vedendo che lei non si ritraeva.
In quello stesso momento Akito li aveva visti e il cuore gli era appena caduto dal petto.
Due secondi dopo aveva chiuso la tenda ed era uscito dalla porta posteriore per non farsi vedere. Il problema è che non vedi il resto della scena: Sana che spinge Naozumi, quest’ultimo per terra, e lei che corre via in lacrime. Si era perso proprio la parte più importante.
 
Sana gli aveva appena raccontato come erano andate veramente le cose. Lei aveva parlato con le lacrime agli occhi e Akito l’aveva ascoltata con massima attenzione. La sua espressione era indescrivibile: un misto di paura, dispiacere, felicità, sicurezza, stupore.
Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi. In quello stesso momento nella sua mente passò una domanda a cui non era mai riuscito a dare risposta.
Chi lo dice che l’amore può superare tutto? Di certo il loro amore, dopo infiniti problemi, non aveva resistito. Il loro amore, pur essendo più forte di un uragano, non era riuscito ad andare avanti. Non era riuscito a vincere. Però l’amore c’era, ed era visibile agli occhi di tutti.
C’era, tra loro, un sottilissimo filo che li teneva legati, che li avrebbe sempre tenuti stretti in un qualsiasi tipo di rapporto. C’era ancora, dopo un anno, e ci sarebbe stato sempre. Perché per quanto potessero litigare, per quanto tra loro ci potessero essere dei problemi, gli era sempre sembrato tutto totalmente superabile. Insieme, tutto era superabile.

*
 

Dopo il loro piccolo chiarimento le cose non erano comunque cambiate: nessuna scena stile film romantico, con un bacio sotto la pioggia e tanto amore dopo, no. Tra loro le cose erano rimaste esattamente per com’erano prima di partire, o quasi. Akito non parlava da quasi tutto il giorno, nemmeno dopo che erano andati in sala da pranzo con tutti gli altri, aveva detto una parola. Comprensibile, era ancora scioccato per aver fatto la più grande cazzata della sua vita. Durante tutto il pranzo aveva riflettuto sull’immagine che aveva visto l’inverno precedente. In quel momento nella sua mente erano passati così tanti pensieri che se avesse dovuto dirli adesso non sarebbe riuscito a dire nulla. Aveva pensato che magari lei non lo amasse più, che vista la convivenza si era resa conto che non era la persona giusta per lui, che dopotutto Kamura fosse alla sua altezza rispetto a lui che, con Sana, non aveva praticamente nulla in comune.
Invece si era sbagliato. Aveva sbagliato tutto. Lei non amava Kamura, non l’aveva mai amato. Eppure qualche giorno prima aveva detto che, nel periodo che loro avevano passato lontani, lei era andata a letto con quello. Che fosse stato solo un modo per irritarlo? Probabile.
La giornata passò velocemente: Aya e Tsuyoshi erano andati in un centro commerciale in città per comprare qualche souvenir del luogo, Gomi e Hisae si erano praticamente fossilizzati in piscina a sbaciucchiarsi e Fuka e Takaishi invece li avevano dati per dispersi perché era dalla mattina che non si sapeva dov’erano finiti. Né Sana, né gli altri li avevano chiamati, non volevano disturbarli.
Sana, da almeno due ore, era nella sua stanza da sola. Guardava l’orologio praticamente ogni secondo. Le 17:37. Fra un po’ l’albergo avrebbe allestito la sala da pranzo per uno spuntino. Quell’albergo era meraviglioso. Le camere, la piscina, l’efficienza, era decisamente tutto quello che a lei piaceva in un posto. Aveva un po’ fame, a dirla tutta, ma decise comunque di aspettare perché non aveva voglia di scendere, era troppo stanca.
Stanca di tutto, sul serio. Stanca di quella vacanza, stanca della situazione venutasi a creare con Akito, stanca dei commenti e delle domande insistenti delle sue amiche e degli sguardi interrogativi di Tsuyoshi, stanca di dover per forza passare il suo tempo a rimuginare sui suoi problemi. Stanca.
Era buttata sul letto col cellulare in mano e l’era venuto in mente di controllare la posta elettronica, magari sua madre l’aveva cercata e non l’aveva potuta rintracciare. Ah sì, sua madre ormai comunicava solo ed esclusivamente via computer. Non esistevano più telefoni, cellulari, niente di niente, solo pc portatili e tante applicazioni per le videochiamate. Doveva ammetterlo, era una donna strana sua madre.
Persa nei suoi pensieri il rumore che la porta fece quando Akito la aprì la fece praticamente morire per infarto.
“Hayama ma che cavolo fai? Mi hai fatto prendere un colpo!”. Quasi non sembrava che, nemmeno tre ore prima, avevano praticamente chiarito il motivo della loro rottura. Sembrava tutto così.. così normale da fare paura.
“Alzati, avanti!” tuonò lui, come se fosse stato un ordine.
Akito l’afferrò per il braccio e la fece praticamente alzare lui. Ma era possibile che quel ragazzo si sentisse in diritto di fare qualsiasi cosa con lei?
“Hayama ma che vuoi?”
“Accompagnami, devo andare a comprare alcune cose e non mi va di andarci da solo. Gli altri poi sono tutti impegnati con i fidanzati e fidanzate. Mi devi salvare la giornata, altrimenti impazzisco!”. Wow, quante parole in una sola frase! Sana si sentì quasi emozionata. Akito invece aveva contorto la bocca facendo uscire da essa un mezzo sorriso che Sana guardò con uno sguardo meravigliato ed estasiato, era così raro che ridesse. Ma perché voleva che l’accompagnasse proprio lei? Perché, non poteva chiedere alla bellissima bagnina che aveva conosciuto due giorni prima in piscina? No. Pesandoci bene, un secondo dopo, accettò. In fin dei conti, cosa sarebbe potuto succedere? Era un luogo pubblico, niente paura. Oddio, stava parlando come se Hayama fosse stato uno stupratore.
“E salviamo questa giornata. Hayama, come faresti senza di me?”
Quella frase lo riportò indietro nel tempo, ad un pomeriggio di shopping infinito con Sana da cui era stato praticamente costretto minacciandolo che non si sarebbe mai più fatta mettere una mano addosso. Belle mosse usciva fuori Kurata ogni tanto, doveva dirlo. Era brava a manipolarlo e a fargli fare ciò che voleva lei.
Comunque, il momento ricordi era finito da un pezzo, e i due erano già in macchina diretti in centro città perché Akito aveva bisogno di vestiti. La cosa già puzzava, Akito che voleva fare shopping? Troppo strano a dire la verità.
Cercò comunque di non crearsi troppi problemi e di seguirlo. Lo avrebbe seguito anche in capo al mondo, se lui gliel’avesse chiesto. Ma questo non aveva importanza per lui, pensò Sana ricordandosi la frase detta dentro la doccia la stessa mattina. Nonostante avessero parlato, nonostante avessero chiarito l’enorme malinteso che non aveva portato altro che problemi, il loro rapporto non era stato definito. Non stavano insieme, non erano amici, non era neppure detto che finita la vacanza avrebbero continuato a sentirsi o a frequentarsi, o a fare sesso. Quell’ultimo pensiero la fece arrossire e Akito se ne accorse subito.
“Non l’hai proprio persa quell’abitudine eh?”. Ma di che cosa stava parlando?
Sana lo guardò interrogativa, davvero non aveva capito il motivo di quella domanda.
“.. il vizio di arrossire, Kurata. Non te lo sei mai tolto.”
Lo aveva notato, il che significava che la stava guardando, e se la stava guardando magari provava ancora qualcosa per lei. Mamma mia, quante pippe mentali che si faceva, si sentì una stupida.
Durante tutta quella vacanza aveva sperato che Hayama non la guardasse, che non le parlasse, che il loro rapporto si limitasse a rimanere quello che avevano avuto alle nozze di Gomi e Hisae: qualche sguardo e niente di più. E invece no, c’era addirittura andata a letto. Si ritrovò ad arrossire ancora una volta, a ventitré anni arrossiva ancora a pensare ad Akito. Ma quando avrebbe smesso di farle quell’effetto?
“Lo hai fatto ancora!” esclamò lui con gli occhi sempre fissi sulla strada. Ma come diavolo faceva a vederla se non staccava un secondo lo sguardo dal volante?
“Ma cosa?” fece finta di non capire lei.
“Sei arrossita, di nuovo!”
“Non sono arrossita Hayama, finiscila!” disse lei tentando poi di sviare il discorso. “Ma mi spieghi dove stiamo andando? Non ci stiamo allontanando un po’ troppo?”
“Che c’è Kurata, non ti fidi più di me?”.
Akito sapeva che, l’unica vera volta in cui Sana si era fidata ciecamente di lui, era stata quando lui gli aveva detto per la prima volta quelle due paroline magiche. Se lo ricordava come se l’avesse vissuto ieri.


Quello era il momento della giornata che Akito Hayama preferiva: la sua corsa serale dopo un’intera giornata passata fra la palestra e la sua fidanzata. La parola fidanzata ancora gli creava qualche problema. Akito Hayama fidanzato. Era davvero il colmo; ma per Sana sarebbe stato disposto a dire di tutto. In ogni caso, non aveva bisogno di dire che era fidanzato, non aveva nessuno a cui presentarsi nell’ultimo periodo. In palestra, veramente, qualche ragazza c’aveva provato con la scusa del ‘mi aiuti a fare questo esercizio?’ ma lui aveva gentilmente rifiutato affidandola ad un altro personal trainer. Che poi, non era proprio quello il lavoro che voleva fare, ma era un inizio. Hayama sognava di aprire una palestra tutta sua per insegnare karate ma ogni volta che metteva da parte la giusta cifra puntualmente arrivava qualche spesa extra in casa che gli faceva crollare tutto. Ma la vita da conviventi era fatta anche da questo, no?
Comunque, correndo si era ritrovato al gazebo e si era seduto per riposarsi un po’, erano le 22:36 e Sana non sarebbe tornata prima di mezzanotte dalla sua cavolo di riunione di lavoro. In quel periodo Rei non faceva altro che trovarle lavori su lavori, ed era da un po’ che lei aveva sempre impegni la sera. A lui questa cosa non è che andasse proprio bene ma Sana non lo aveva mai ostacolato nei suoi progetti e lui doveva fare altrettanto.
Quel luogo aveva ospitato tutta la loro storia,ogni volta che litigavano si ritrovavano sempre lì e tutto, sotto quelle assi di legno, sembrava meno complicato. Quante ne aveva passate con Sana. Davvero tante, ma la loro storia non era mai stata monotona, non lo aveva mai fatto pentire di niente. Non aveva mai pensato, nemmeno per un secondo, di lasciarla perché lei era tutto il suo mondo.
Tra quei pensieri aveva ripreso a correre ed era tornato a casa, aveva fatto una doccia ma ancora non era andato in cucina. Quando era entrato aveva trovato Sana sul divano, addormentata, con addosso ancora i vestiti. Era proprio buffa con la sciarpa che le arrivava fino alla faccia fino a coprirgliela quasi totalmente.
Probabilmente aveva cercato di aspettarlo sveglia ma non ci era riuscita. Che dolce.
Akito la prese tra le sue braccia e la portò a letto, svestendola e facendola coricare tra le lenzuola azzurre che avevano appena comprato.
“Mmm.. Sei tornato Aki..” aveva mugugnato lei.
“Ti amo.”. Due parole che risuonarono nella stanza come una bomba appena esplosa.
Improvvisamente Sana era sveglia.
“Cosa?”. Non era proprio da Akito dirlo senza farselo estorcere da lei e poi ancora non le aveva detto quella frase quindi sembrava ancora più strano.
“Hai sentito benissimo..” aveva risposto lui mettendosi accanto a lei nel letto.
Sana ancora lo guardava fisso in attesa di una spiegazione. Se solo avesse sentito tutti i pensieri che Hayama aveva fatto nell’ultima mezz’ora.
“No, non ho sentito, potresti ripeterlo?” lo canzonò lei.
“Kurata, hai sentito, non fare la bambina come al solito.”
“Ti sto solo chiedendo di ripetermelo, dopo averlo detto una volta è facile, sai?”
“Dillo tu allora!”
“Non stiamo parlando di me adesso, Hayama. Avanti, dillo!”
“Che c’è Sana, hai paura di dire ti amo?”. Domandona.
“No, dai io dico ‘ti’ “
“No, io dico ‘ti’”. Anche il dire ti amo era diventato un litigio.
“Paura Kurata?”
“Ti ho detto che non ho nessuna paura!” rise lei dandogli un buffetto sulla guancia.
“Hai paura Kurata, si vede!”. Anche lui scherzava, ma voleva davvero sentirselo dire.
“Tu hai paura!”. Fu preso alla sprovvista.
“No, Kurata, non ho paura!”
“E allora dillo, se non hai fifa!”
“Ti amo.”. No, non aveva paura, non ne aveva mai avuta. Solo voleva dirglielo in un momento meno scontato del solito. Voleva che Sana sapesse che l’amava non ad una cena galante come si vedeva nei film, ma in un momento di tranquilla quotidianità.
Gli occhi di Sana si accesero di una luce nuova e l’unica reazione che ebbe fu quella di buttarsi al collo di Akito e baciarlo facendolo ritrovare con le spalle poggiate sul materasso.
“Ti amo anch’io mostriciattolo” e poi aveva continuato a baciarlo, baciarlo fino allo sfinimento.
Non trovava niente di meglio al mondo che dormire con Hayama avvinghiato alle sue spalle. Era ciò che avrebbe voluto per tutta la vita.
Le aveva detto ti amo. Si addormentò con il sorriso più bello che aveva mai avuto, così, solo per due parole buttate lì in una discussione. Solo per Akito.
 
Era uno degli episodi che ricordava con più dolore, una di quelle volte che fra loro c’era stato qualcosa di più che speciale.
Intanto si dirigeva sempre di più fuori dal centro città e questo a Sana cominciava già a preoccupare. Dove la stava portando?
“Hayama ma dove stiamo andando?” chiese lei guardandolo con la solita faccia da ragazzina curiosa.
“Sta’ zitta Kurata, prima che me ne penta!”
Pentirsi? E di che? No, allora, la situazione si faceva piuttosto complicata.
“Hayama voglio sapere immediatamente dove stiamo andando!”. Stava urlando, ma scherzava.
“Ora ti faccio scendere qui e me ne vado ragazzina.”. Scherzava anche lui, ma si sa benissimo che non c’era distinzione di espressione tra l’Akito scherzoso e quello normale.
Sana cedette e si lasciò portare da lui nel luogo prestabilito. Akito si fermò, parcheggiò l’auto in un vicolo e intimò a Sana di chiudere gli occhi.
No, ti prego, non una di quelle cose da film.. ti prego, non reggerei..pensava Sana in preda al panico nel secondo in cui Akito le stava per aprire lo sportello.
“Hai chiuso gli occhi?”. Lei annuì e Akito le aprì lo sportello aiutandola a scendere dall’auto.
Sana aveva sempre avuto paura del buio. Aveva sempre desiderato non trovarcisi da sola e quella volta sola non era.
Non era sola ma ci si sentiva e parecchio. D’un tratto, camminando guidata da Akito, sentì la sabbia sotto i piedi. La sentiva perché improvvisamente la terra sotto ai suoi piedi era diventata morbida e poi sentiva il rumore del mare. I gabbiani che volano, l’odore dell’aria salmastra; si, era sicuramente al mare.
“Mi hai portato al mare Akito..” disse sorridendo lei. In quel momento avrebbe voluto girarsi e trovare i suoi occhi, avrebbe voluto baciarlo, avrebbe voluto dinuovo avere una vita con lui. Erano così tanti i suoi desideri che quasi non riusciva a controllarli neppure lei.
Akito non le rispose, semplicemente la lasciò e si allontanò per un attimo chiedendogli di rimanere immobile e con gli occhi chiusi.
Un secondo dopo era ancora dietro di lei e aveva poggiato le mani sui suoi occhi coprendoglieli.
“Adesso, puoi guardare..”.
Lo spettacolo che gli si presentò davanti la lasciò stupefatta. Il cielo era completamente tinto di colori meravigliosi: rosa, arancione, rosso in alcuni punti e bianco in altri. L’acqua del mare allo stesso modo aveva preso un colore rossastro e le montagne all’orizzonte stavano per ospitare il sole che, ovviamente, stava per tramontare. Era perfetto, era un momento perfetto a tutti gli effetti e niente avrebbe potuto rovinarlo.
Akito le si avvicinò, si ritrovarono a nemmeno mezzo centimetro di distanza ed erano così vicini da poter sentire il respiro dell’altro sul proprio viso. Ecco cosa bastava in quel momento, cosa sarebbe dovuto bastare sempre, anche un anno prima: l’amore. Il grande amore che li univa e la voglia di uccidersi che li caratterizzava spesso. Era quello il loro punto di forza. Era quello che li teneva uniti, ancora dopo tutto quel tempo.
“Sana io..”. Le loro bocche si sfiorarono appena, Akito avrebbe voluto approfondire il bacio ma qualcosa li interruppe bruscamente.
Era il cellulare di Kurata, dannazione.
“Scusami..”
“Non rispondere..”
“Magari sono gli altri.. aspetta!” disse scoccandogli un bacio all’angolo della bocca.
Prendendo il cellulare la sua espressione cambiò immediatamente: non erano gli altri, non era sua madre, non era neppure Rei.
Era la persona che, un anno prima, aveva rovinato tutto. La stessa che, a quel punto, stava proprio cercando di rovinarle la vita.
Decise comunque di rispondere, per dirgli di lasciarla in pace e di non chiamarla più perché era stanca delle sue continue chiamate, dei suoi infiniti messaggi. Stanca.
“Pronto?”. Dall’altro lato del telefono una voce a lei fin troppo familiare la salutò con particolare entusiasmo.
“Ciao Sana!! Come stai?”. La voce di Kamura ormai era diventata irritante anche per lei, anche la sua presenza era diventata irritante.
“Nao, ciao..”. Quelle parole le pronunciò guardando fisso negli occhi Akito che le rispose con uno sguardo raggelato.
Ancora lui.
Stettero al telefono almeno cinque minuti, quando Sana decise di scaricarlo e di chiudere la conversazione con una scusa.
Si diresse nuovamente verso Akito che non dava nessun segno di vita. Non parlava, non batteva gli occhi, non muoveva un muscolo, addirittura quasi non respirava.
“Scusami.. dov’eravamo rimasti?” disse lei avvicinandosi a lui con l’intenzione di riprendere il discorso iniziato poco prima.
“Dobbiamo andare Kurata, gli altri ci aspettano.” E con quelle parole aveva distrutto ogni tipo di contatto tra loro. Sana lo guardò sconvolta per il suo comportamento, era ancora geloso di Kamura dopo quello che gli aveva raccontato?
Salirono in macchina non guardandosi neppure negli occhi, non una parola né uno sguardo accompagnò il tragitto per tornare in albergo.
Il silenzio, ormai, era diventato il loro gioco preferito.
 
 
Eccomi qui col nuovo capitolo, spero che anche se è un po’ meno bello del precedente che a me è piaciuto un sacco, che sia di vostro gradimento! :D
Comunque, i nostri bei due protagonisti sono proprio due cretini (in particolare Akito, ma anche Sana.. come le viene in mente di rispondere al cellulare?!) u.u
Ma avevo bisogno di questo capitolo per introdurre il prossimo che è praticamente già tutto scritto nella mia testa e che devo solo mettere nero su bianco!**
Vi lascio alle recensioni, un bacione e spero che continuerete a seguirmi.
Ps: Non pensavo che questa storia potesse piacere così tanto, vi ringrazio per il vostro sostegno, vi ringrazio perché per me scrivere è davvero tutto e senza di voi questa storia non sarebbe arrivata fino a qui (sto parlando come se avessi scritto un libro, ma sono veramente emozionata *o*)
Akura. 

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Capitolo 9
*** ..Tornerà a tormentarci. ***


CAPITOLO 8.
..TORNERA' A TORMENTARCI.


Tornati in hotel i loro amici li avevano accolti con miliardi di domande su dove erano finiti perché ad un certo punto anche loro come Takaishi e Fuka erano scomparsi. Quei due, però, erano tornati dopo qualche ora mentre loro non rispondevano né al cellulare né si trovavano in albergo. Niente di niente, sembrava che si fossero volatilizzati.
Sana si era chiusa in bagno, Fuka e Aya erano dietro la porta nel tentativo di capire il motivo per cui appena tornata si era rifugiata lì dentro e non era più uscita. Le ore con Hayama avevano portato in lei una nuova sensazione, quella che Akito stesse facendo tutte quelle cose solo per prendersi gioco di lei l’ennesima volta. Tutti quei pensieri le affollavano la mente e non riusciva ad essere lucida abbastanza per poter parlare definitivamente con lui, per capire sul serio cosa erano.
“Sana avanti esci! Tra un po’ dobbiamo anche andare a cena, Tsu ha preparato una serata speciale!” aveva detto Fuka cercando di entusiasmarla ma senza risultato.
“Non voglio uscire Fuka, non mi va..”
“E hai intenzione di passare la serata in bagno?”
“Si!”
Le parole di Sana non ammettevano repliche, Fuka difatti non riuscì a dire nulla e si limitò a lasciarla lì dentro a crogiolarsi nel suo dolore.
Circondata dal silenzio, finalmente, riuscì a riflettere a fondo sulla situazione appena vissuta. Cercando di riassumere il tutto era più o meno così: Akito stava cercando di rimediare alla cazzata dell’anno prima, il che significava che l’amava, mentre lei proprio nel momento che li stava per riunire aveva risposto alla chiamata della stessa persona che aveva rovinato tutto. Aveva risposto. Cazzo, ma perché lo aveva fatto? Si ritrovo quasi ad insultarsi da sola. Probabilmente sapeva perché l’aveva fatto, ma non voleva ammetterlo a se stessa. Distogliersi da quel momento, allontanarsi da Akito in una situazione così aveva significato sancire una seconda barriera molto più grande di quella precedente, ed era proprio questo che lei desiderava. Non che volesse stare lontana da Akito, anzi, ma non riusciva ormai a visualizzare una vita con lui. Dopo un anno passato a piangere, a fare cure su cure per il peso che si portava sul cuore, intraprendere una nuova relazione con Akito avrebbe significato rischiare un’altra volta.
E lei di rischiare aveva una paura immane. Perché quando si ha amato, quando si è stati lasciati e poi improvvisamente chi ti ha fatto così tanto male torna senza una reale motivazione la paura ti assale, eccome se ti assale. E ti ritrovi a voler scappare da quella decisione così repentina, a voler stare da sola per un po’ solo per riflettere. Tornare con lui oppure riprendere la vita di sempre? No. Quella era solo un pensiero da fifona. Era solo il pensiero di una ragazza spaventata ma che, in un modo o nell’altro, doveva superare quel timore e andare avanti. Doveva.
Si alzò dalla tazza del water e si mise davanti all’enorme specchio del bagno. Si asciugò le lacrime, si sistemò i capelli e uscì. Le sue amiche l’accolsero con un sorriso e insieme, dopo essersi cambiate, scesero al piano di sotto dove gli altri le stavano aspettando. La sala era stata decorata per chissà quale occasione, c’era un festone con su scritto ‘Buon compleanno capo’. Probabilmente era il compleanno del proprietario dell’hotel, carino organizzargli una festa. Questo dettaglio fu notato semplicemente perché Sana non voleva guardare negli occhi Akito. Quest’ultimo era messo praticamente di fronte a lei e giocherellava con l’orlo della tovaglia color avorio.
Lui, però, al contrario suo non teneva gli occhi bassi. Da quando l’aveva vista arrivare non aveva fatto altro che fissarla e non solo per il modo in cui era vestita. Sana indossava un vestitino azzurro cielo abbastanza corto a mono spalla con un lato più lungo dell’altro. Dire che era bellissima era un eufemismo.
I loro occhi non si incontrarono neppure una volta durante quella cena ed entrambi non avevano detto una parola. Di colpo, quando la cena era arrivata al secondo piatto, Sana si era alzata e si era scusata con tutti dicendo che andava in bagno. Fuka non la seguì, capì immediatamente che magari voleva riprendere fiato e che desiderava stare un po’ da sola.
“Ma si può sapere cosa ha Sana?” aveva chiesto Tsuyoshi e sia Aya che Fuka si erano guardate dubbiose su cosa rispondere. Dovevano inventarsi una scusa e anche piuttosto in fretta.
“Non si è sentita molto bene in camera.” Aveva subito risposto Aya vedendo che Fuka tentennava. Scusa perfetta.
Akito, sentendo quelle parole, non aveva battuto ciglio. Subito dopo Sana era tornata sedendosi di nuovo a tavola.
“Scusatemi ragazzi!” aveva detto sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi che subito era stato sostituito da un’espressione di tristezza infinita. Possibile che non riuscisse a dire nulla? Possibile che non riuscisse a dire ad Akito semplicemente ‘Ti amo, torniamo insieme.’? No, doveva per forza complicarsi le cose.
“Va bene ragazzi, direi che è meglio andare in camera.”Aveva esordito Tsuyoshi per spezzare il silenzio che si era creato. “Aya, tesoro mio, a voi ragazze va di andare tutti in una camera e stare tutti insieme un po?”
“Mmm.. a me va, a loro non so.”
Fuka si limitò ad annuire, Hisae idem e quindi era tutto ok.
Tutti si alzarono e si diressero verso le stanze. Delle volte Tsuyoshi aveva delle idee inopportune da far paura. Proprio quella sera doveva dire ‘stiamo tutti insieme!’.
Arrivati all’entrata della camera delle ragazze dove avevano deciso di mettersi Sana e Akito si erano scambiati il primo sguardo della serata. Raggelante, a dir la verità.
“Ragazzi, perdonatemi, non ho intenzione di stare tutta la serata con questo vestito: vado a cambiarmi e torno” e Sana sparì dentro il bagno per almeno un quarto d’ora. Quando uscì, si presentò con un pantaloncino e una maglietta che le lasciava scoperto l’ombelico. Akito si costrinse a non guardarla con la faccia da pesce lesso, sarebbe stato troppo evidente ciò che pensava.
“Mmm.. quindi, che si fa?” aveva chiesto Hisae mentre Gomi la stuzzicava passandole una mano nella schiena.
“Un gioco.” Aveva subito risposto Fuka con il palese intento di far parlare quei due che se ne stavano uno a guardare fuori dalla finestra e l’altra a controllare la posta elettronica sul cellulare.
“Spiega Matsui.”. Oh, wow, Gomi esisteva ancora.
“Semplice: il gioco della bottiglia misto ad obbligo-verità. Un classico.” Aveva risposto subito Fuka. “E giocate tutti, non voglio sentire storie.” Aveva anche aggiunto sapendo che c’erano due dei suoi amici restii a mettersi dentro quel gioco.
“Cominciamo, Gomi prendi la bottiglia dal mini frigo.”. Shinichi obbedì agli ordini e portò la bottiglia di birrà quasi vuota, di cui bevve l’ultimo sorso, porgendola a Fuka.
Quest’ultima fece girare la bottiglia che si diresse verso Aya.
“Aya, obbligo o verità?”
“Verità!”. Aveva detto ridendo per paura di un obbligo troppo.. di troppo, insomma.
“Ti è mai piaciuto Akito?”.
Improvvisamente sia Sana che Hayama erano attenti.
“No! Fuka ma cosa dici?!” continuava a dire ridendo.
Di nuovo la bottiglia girò, stavolta fu il turno di Fuka.
“Obbligo!”. Fuka era sempre avventata e specialmente da un po’ di mesi a quella parte era diventata strana, come se avesse preso un po’ troppo alla lettera il ‘CARPE DIEM’ di Orazio.
“Mmm.. prendi la nutella, mettila nel petto di Takaishi e leccala via!” aveva urlato Gomi non appena aveva avuto quell’idea.
L’obbligo fu fatto tra le risate generali perché Fuka era davvero buffa nelle vesti della donna sexy. Somigliava molto a Sana da quel punto di vista.
Un altro giro. Era il turno di Akito che, appena vista la bottiglia nella sua direzione, si era rabbuiato.
“Verità..” aveva detto noncurante di ciò che gli avrebbero chiesto.
Mentre gli altri pensavano a cosa domandargli, Sana aveva un sacco di cose da chiedergli. Con quante ragazze sei stato? Mentre stavi con loro mi hai pensato? Quando abbiamo fatto l’amore, mi hai amato davvero? Mi ami? Cosa volevi fare oggi? Perché ti sei arrabbiato così tanto?. E per l’ennesima volta la stessa domanda le aveva attraversato la mente. Ma tu, mi ami?
“.. mi ami?” aveva detto a bassa voce.
“Come hai detto Sana?” aveva chiesto Gomi.
“Io? No, niente!”
“Avanti Kurata, cosa stavi dicendo?” aveva esordito Akito nello stesso momento in cui aveva sentito quella flebile domanda uscire dalla bocca di Sana. Aveva capito benissimo cosa gli aveva chiesto, ma voleva sentirlo da lei, voleva che glielo chiedesse mentre lo guardava in faccia.
Si prese di coraggio. Non sapeva neppure con quale forza aveva pronunciato quelle parole, in quel momento il cuore le era schizzato fuori dal petto.
Allora ripetè: “.. mi ami?”.
La stanza, improvvisamente, era diventata gelida. Il silenzio era calato e gli sguardi tra i due ragazzi erano così taglienti che se qualcuno si fosse permesso di passare lì in mezzo sarebbe rimasto fulminato.
“Non penso di doverti dare una risposta.”
“Non la volevo infatti, era una domanda personale.”
In quello stesso momento aveva capito che tutto quello che aveva sempre pensato dell’amore era assolutamente vero, ma i suoi pensieri erano fin troppo contorti per essere interpretati.
I loro amici fissavano il pavimento, loro non facevano altro che guardarsi.
“Kurata, vaffanculo.”. Aveva pronunciato quelle due parole con una rabbia tale da far crollare tutto quello che, nei giorni precedenti, avevano tentato di ricostruire. Dopo un secondo era già fuori da quella stanza sotto gli sguardi increduli dei loro amici. Sana, da parte sua, non aveva battuto ciglio.
“Sana, vagli dietro!” le aveva intimato Fuka.
“Non corro dietro a nessuno io, capito?” e anche lei si era alzata ed era uscita.
 

Domenica pomeriggio. Appartamento Hayama-Kurata. I due ragazzi in questione accoccolati sul divano in attesa della telefonata di Fuka per confermare o meno l’uscita serale.
“Aki?”.
“Mmm?” aveva mugugnato Akito troppo impegnato a giocare con i pon-pon della felpa della sua ragazza per formulare una frase di senso compiuto. Non che di solito ne producesse di meglio, insomma.
“Ci pensi mai a come sarebbe se non stessimo più insieme?”.
Akito la guardò come a dire ‘ma sei pazza?’ e poi tornò a fissare i pon-pon.
“No Kurata..” e detto ciò aveva sorriso continuando poi: “.. ma potrei farci un pensierino effettivamente..”.
“Si certo, provaci!” scherzava lei pensando davvero all’eventualità che magari la loro storia non sarebbe durata.
Davvero, come avrebbe fatto senza Hayama? Si sarebbe ritrovata sola, senza un vero punto di riferimento perché infondo la sua vita l’aveva passata tutta con lui dietro pronta a prenderla se fosse caduta. Ma se lui non ci fosse stato, chi l’avrebbe salvata? Nessuno, perché Akito Hayama era Akito Hayama e non poteva essere sostituito da nessuno.
“Scherzo cretina. Tu ci pensi mai?” aveva rigirato la domanda  a lei.
“Ci ho pensato.. ma questa possibilità non mi piace per niente.” Disse Sana incupendosi in volto mentre Akito invece sorrideva.
“Meglio così Kurata.” Aveva infine aggiunto sempre con la bocca contorta in una specie di sorriso- se quello poteva essere considerato tale-.
“Non credo che potrei stare con qualcuno che non sia tu.”
“Lo so, non troveresti mai più nessuno come me.”
“Hayama, vaffanculo!” aveva urlato ridendo mentre gli tirava addosso il cuscino più a portata di mano.
“Smettila Sana, è così: non potresti mai stare con qualcuno che non sono io! Ma..” e si era bloccato facendole una linguaccia per poi continuare subito dopo “..ma nemmeno io potrei! Dove la trovo un’altra rompi palle al tuo livello? Dovrei, minimo, fare un’audizione!”
E poi era squillato il telefono e la conversazione si era arenata per via di Fuka. Lui non avrebbe mai trovato nessuno come lei, questo Sana lo sapeva benissimo, eppure dentro di lei c’era qualcosa che gli diceva che non era poi così ovvio.
 

Dopo essere uscita dalla camera Sana si era diretta al campo da beach-volley nel retro dell’albergo. Erano ormai le dieci e mezza di sera e la luna era bianchissima, la fissava con un’aria davvero da spaccona. Lei che, lassù, credeva di poter giudicare tutto e tutti e di cambiare l’umore della gente. No, l’umore della gente cambia in base a ciò che gli succede e quella sera, a fare cambiare umore a Sana, era stato sempre lui: Akito. E poi, ripensando a quella volta in cui gli aveva chiesto se la loro vita sarebbe cambiata se si fossero lasciati, si era goffamente seduta per terra.
Se ne stava lì, nella sabbia del campo, con la testa tra le ginocchia e con una miriade di pensieri per la testa, come sempre.
Quante volte, quando Akito l’aveva lasciata, aveva passato le serate in quella posizione. Sua madre, da piccola, le aveva spiegato che era un modo per calmarsi e per isolarsi da tutto. Quando la loro storia era finita spesso si era ritrovata a doversi calmare dopo un attacco di panico e aveva sempre utilizzato quel metodo. Per fortuna, era sempre stato utile.
“Bella serata, eh?”. Non era la voce di Akito, effettivamente, ma gli sembrava comunque familiare.
Voltandosi, aveva visto qualcosa- o meglio, qualcuno- che davvero non avrebbe voluto vedere.
“Naozumi!” disse sbalordita “che cosa ci fai qui?”. L’espressione nel volto di Kamura fu impagabile, aveva notato nel tono di voce di Sana la frase ‘o mio Dio, ci mancava solo lui!’ ed era rimasto visibilmente deluso.
“Sono venuto qui perché ho la presentazione del mio nuovo film da queste parti e Rei mi ha detto che alloggiavi in questo albergo, quindi eccomi qua! Non sei contenta?” chiese lui avvicinandosi e abbracciandola.
“Oh si.. certo che sono contenta.” Disse invece lei con lo stesso entusiasmo che avrebbe avuto ad una lezione di matematica. Davvero meraviglioso. Gli ultimi tre giorni di convivenza con Hayama e Kamura, davvero confortante.

*

 
“Ragazzi, guardate un po’ chi mi è venuto a trovare?”. I suoi amici la guardavano con gli occhi strabuzzati dallo stupore. O magari, dal pensiero ‘Cazzo, e ora Akito che dirà?’, ma questo lo aveva volutamente scartato. Tutti avevano salutato Naozumi Kamura, la grande star di Hollywood come se fosse stata la persona più normale del mondo e questo un po’ lo aveva stranizzato. Gli amici di Sana, di solito, ogni volta che lo vedevano si mettevano a fargli miliardi di domande, ma quella volta no. Ma la risposta a quel piccolo quesito che Kamura si era appena fatto era alquanto facile: erano tutti troppo preoccupati per Akito.
La sua reazione sarebbe stata sicuramente fuoribonda, avevano pensato tutti, ma al contrario quando Hayama vide il caro Kamura non battè ciglio e si limitò a salutarlo col cenno di una mano come se quell’arrivo se lo aspettasse. Quindi, dopo aver lasciato Sana con il cuore in gola spaventata per le sue parole, aveva raggiunto la sua camera e non era più uscito da lì fino alla mattina seguente.
 
 

*

A colazione, si sa, tutti sono intrattabili. Quella mattina, in particolar modo, Sana non era propriamente di buon umore. Motivo? La situazione che si era creata non le piaceva proprio e, tanto per completare l’opera, si era aggiunto anche Kamura che di certo, le cose, non le migliorava. Con lui tra i piedi, se anche avesse voluto chiarire con Akito, non ci sarebbe riuscita perché sicuramente quel ragazzo avrebbe passato i futuri giorni avvinghiato a lei come un koala. Ma era mai possibile che Naozumi spuntasse fuori sempre nei momenti meno opportuni? Era un vizio, probabilmente.
Quest’ultimo, infatti, aveva insistito per mettersi al loro stesso tavolo cercando in tutti i modi, di imboccare Sana con la sua fetta biscottata.
“Nao, veramente, non mi va..” aveva gentilmente rifiutato lei sotto lo sguardo di Akito misto tra l’incazzato a morte e il divertito da quella situazione. Di certo, vedere Kamura respinto in quel modo così palese non gli dispiaceva. Ricordava esattamente quando, alle scuole medie, aveva confessato praticamente a tutto il mondo che Sana lo aveva rifiutato perché amava un altro. Un altro che poi era lui. Quella volta si era arrabbiato e non poco ma, col senno di poi, a pensarci gli veniva pure da ridere. Che checca.
“Ragazzi che ne dite se stasera dormiamo nelle tende sulla spiaggia?” aveva proposto Hisae per smorzare la tensione che si era venuta a creare. Santa Hisae aveva pensato Sana, a volte aveva proprio delle idee meravigliose. Se si fossero allontanati dall’albergo, e come da pacchetto potevano anche farlo vista la tariffa che Tsuyoshi aveva pattuito col proprietario, avrebbe avuto la possibilità di chiarire con Akito e, specialmente, di stare lontana da Naozumi Kamura che, a dirla tutta, le stava proprio rompendo le palle.
Quindi, in preda a questi pensieri, aveva accettato con entusiasmo anche perché subito Naozumi aveva disertato l’invito dicendo che, nel pomeriggio, avrebbe avuto una conferenza stampa in centro città e subito dopo un party in una casa di campagna di un amico attore. Aveva, speranzoso, invitato anche Sana ma quest’ultima aveva rifiutato dicendo che preferiva stare con i suoi amici.
Quindi, all’incirca alle sette di sera tutti si erano diretti muniti di tende e rifornimento di cibo  -e alcol- ovviamente, in spiaggia.
L’ultima volta che avevano fatto una cosa del genere era stata quando Akito era tornato dall’America e avevano deciso di festeggiare il suo arrivo. Quella sera, davvero, era stata meravigliosa, niente a che vedere con quella che sicuramente avrebbero passato da lì a poco.
I ragazzi si misero a smanettare con il cibo, le ragazze con le tende. Un evidente inversione dei ruoli.
Akito si era appena tolto la maglietta. Sana, dal canto suo, era un essere umano e non poteva non guardarlo. Perché Hayama, sebbene fosse rompipalle, stupido, cocciuto, fastidioso, idiota e chissà quale altro aggettivo offensivo esistente al mondo, era sicuramente bello. E Sana notava anche il fatto che non era una bellezza normale, era una di quelle bellezze mozzafiato, una di quelle bellezze che se non le noti allora hai bisogno di una visitina dall’oculista.
Tra risate e giochi stupidi, tra tirate di sabbia e bagni in mare obbligatori era ormai passata quasi tutta la serata. Doveva ammetterlo, si era divertita davvero. Adesso il problema si poneva così: dove avrebbero dormito? C’erano quattro tende da due posti, il che significava che.. Oh, certo, roviniamo ancora di più la serata. In conclusione avrebbero dovuto dormire insieme.
Notte fonda, ormai tutti erano praticamente collassati per quanto erano stanchi e avevano deciso di rifugiarsi nelle tende, anche perché sebbene fosse già quasi estate cominciava a fare un po’ freddo.
Fuka e Takaishi in una tenda, Aya e Tsuyoshi in un’altra, Hisae e Gomi in un’altra ancora e – dulcis in fundo- Sana e Akito rinchiusi in uno spazio che dava a mala pena la facoltà di respirare. Maledetta Hisae, altro che santa. Aveva subito pensato Sana notando come tutta quella situazione fosse palesemente organizzata.
Quindi, tutto si poteva riassumere si e no così: Sana e Akito, in una tenda, con un silenzio imbarazzante, e con solo un sacco a pelo a dividerli.
Lui, era ovvio, non avrebbe detto una parola e Sana di certo non avrebbe voluto iniziare una conversazione se non fosse stato che quell’assenza di rumore la stava praticamente uccidendo. Cercò di trovare qualche argomento convincente per attaccare bottone, poi si rassegnò e disse la prima cosa che le venne in mente.
“Ti ricordi quando mi sono impuntata che non dovevi entrare in casa perché io dovevo cucinare?”. Quell’episodio lei se lo ricordava come se l’avesse vissuto un attimo prima, anche se erano passati ormai tre anni.
“Certo che me lo ricordo, Kurata.” Commentò sarcastico lui per poi continuare dicendo “Mi hai fatto rimanere fuori casa per mezza giornata per poi preparare un misero arrosto.” E si era girato nel sacco a pelo per guardarla negli occhi.
Era inutile, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ma Akito non avrebbe mai trovato la forza di arrabbiarsi sul serio con Sana.
Lei, intanto, aveva fatto lo stesso sorridendo e buttando gli occhi in alto nel ripensare a quella volta. Aveva quasi bombardato una casa, l’aveva quasi fatta andare a fuoco e alla fine si era presentata con un purè di patate, per giunta preconfezionato, e un arrosto di tacchino. Per motivare quella scelta di menù non proprio giapponese aveva detto che voleva Akito si sentisse ancora un po’ in America. Diavolo, lui l’America la odiava.
“Dai Akito, non essere cattivo, io l’ho fatto per te!” scherzò lei tirandogli un buffetto. Poi di nuovo il silenzio per almeno cinque minuti buoni.
Stavolta fu Akito a parlare.
“A che pensi Kurata?” aveva chiesto lui guardandola quasi prepotentemente negli occhi.
“Al fatto che sei un idiota, Hayama.” Disse lapidaria lei.
“Ah, wow, grazie del complimento.” Le sue labbra scoprirono un mezzo sorriso mostrando i suoi denti perfetti e Sana non riuscì a far altro che guardarle muoversi in una danza di parole che avrebbe voluto durasse per tutta la vita. Anche Akito se n’era accorto e subito glielo fece notare.
“Kurata, la smetti di guardarmi le labbra come se volessi.. mmm.. saltarmi addosso?” disse lui col suo ghigno beffardo, il solito che usava quando voleva farla infuriare.
“Io non ti guardo proprio, è diverso. Né faccia, né corpo, né muscoli, né..”. Akito troppo vicino.
Pericolo. Troppo vicino.
“.. né.. qualsiasi..”. Troppo, infinitamente vicino.
“..altrapartedelcorpo!” aveva detto lei vedendo che il biondino si andava avvicinando sempre di più.
“Si Kurata, si vede infatti come non mi guardi” e dicendo questo si allontanò e si rimise coricato dentro il suo sacco a pelo.
Sana cercò di riprendere la lucidità guardando fissando qualcosa che non fosse necessariamente Akito Hayama, ma con scarsi risultati.
Oh, aveva dimenticata la definizione di centro del mondo, sicuramente.
“Hayama io non ti guardo, figurati!” aveva detto girando nuovamente la testa dall’ altro lato per non fargli notare le sue guancie in fiamme.
“Si che mi guardi!” disse lui uscendo la lingua. Sana era stupefatta da tutto quel voler conversare di Akito, la rabbia era stata sbollita così velocemente?
“No che non ti guardo!” aveva ribattuto “E poi, sta’ zitto che tu sei quello che impazzisce quando mi vede..” si zittì con la voglia di sotterrarsi per quello che aveva appena detto.
“Nuda Kurata, la parola è nuda.” Disse marcando volutamente l’ultima cosa detta.
“Vaffanculo Hayama.” Buttò lì Sana guardandolo in cagnesco.
Ok, doveva ammetterlo, ogni tanto lo fissava, e allora? Dove stava il problema? Andiamo, Akito era bello, inutile negarlo. Era maledettamente e perfettamente bello.
Intanto, il ragazzo aveva deciso di mettersi a dormire. “Notte Kurata, smettila di starnazzare.”
“Hayama, te lo ripeto: vaffanculo.” E, detto questo, anche lei si era voltata dandogli le spalle.
La notte, in spiaggia –non si sa come- c’era sempre un freddo assurdo. Certo, ricordare il concetto di escursione termica in quella situazione per Sana non era decisamente facile.
Ma, in ogni caso, probabilmente nemmeno in un momento di tranquillità lo avrebbe ricordato. Sorrise a quel pensiero, immaginando che se Akito avesse sentito ciò che le passava per la testa l’avrebbe guardata e le avrebbe detto “Kurata, sei un’ignorante” per poi prenderla in giro fino allo sfinimento.
“Che ti ridi Kurata?”
Quel ragazzo doveva avere sicuramente qualcosa simile ad un superpotere. Come poteva aver notato la sua risata quasi impercettibile senza neppure averla guardata? Bah, mistero.
“Niente Hayama, pensavo..” disse allusiva.
“E a cosa, se posso chiedere?” disse girandosi e avvicinando il suo corpo al sacco a pelo di Sana.
“Al fatto che fa freddo.”
“Certo, trovane un’altra! Non si ride perché fa freddo.”.
Di certo la versione di Akito Hayama parlante non era una cosa molto comune.
“Ridevo per un’altra cosa in effetti.” Ammise infine Sana cercando di evitare i suoi occhi anche nel buio.
“E per cosa, di grazia?” scherzò lui che, al contrario suo, cercava quello sguardo.
“Pensavo che..” iniziò lei.
“No, ti prego! L’ultima volta che hai iniziato un discorso così mi hai costretto a farti fare un tatuaggio.” L’aveva interrotta Akito capendo solo poi di aver detto una cosa inopportuna.
“Già..” aveva concluso lei dopo essersi ricordata di quella A proprio vicina al suo collo e averla toccata quasi automaticamente.
“Quindi, a cosa pensavi?” chiese lui nel tentativo di cambiare argomento.
“Ti posso fare una domanda?” esordì Sana.
“Chiedi Kurata!”
“Dopo che.. che siamo stati insieme due giorni fa, hai ripensato a noi?”
Una domanda veramente pesante in realtà. Certo che c’aveva pensato, ogni secondo; eppure nonostante la buona volontà non era riuscito a trovare una soluzione. O meglio, l’aveva trovata e Kamura in circa quattro secondi netti gliel’aveva fatta sgonfiare stile sufflè.
Pensò bene alla risposta da darle e poi aveva ribattuto: “Certo Kurata, è ovvio che ci ho pensato.”
Quella frase risuonò in quel silenzio e probabilmente se avessero evitato qualsiasi rumore avrebbero sentito il fracasso che stava facendo il cuore di Sana.
C’aveva pensato, quindi generalmente pensava a lei.
“E a cosa hai pensato, esattamente?”
“Sana non farmi queste domande” aveva poi tagliato corto lui.
L’aveva chiamata col suo nome però, e questo provocò un silenzio generale che mise in imbarazzo entrambi.
Poco dopo Akito l’aveva spezzato dicendo: “.. ho pensato che è finito tutto per niente, ecco che ho pensato.”
BOOM. Momento verità.
“Già.. se solo avessi aspettato dieci secondi in più non saremmo arrivati a questo punto.”
“Vuoi sapere cosa penso?”
Ancora una volta Sana rimase sorpresa dall’atteggiamento fin troppo partecipativo di Hayama.
“Illuminami” rispose immediatamente.
“Penso che possiamo ignorarla per chissà quanto tempo ma la nostra storia tornerà a tormentarci.”. Un’altra frase fuori dalla portata di Hayama: troppo lunga, troppo articolata e specialmente troppo importante.
Sana non si mosse e un secondo dopo la distanza tra loro era stata colmata e serrata da un bacio al sapore di limone – grazie ai dolcetti preparati da Aya- come la prima volta.
Akito le passò una mano tra i capelli, Sana mise la sua mano sul petto.
Dopo essersi staccati lei aveva riso e, subito dopo, aveva detto: “Pensi che la smetterai mai di baciarmi a tradimento?” per poi accucciarsi tra le braccia calde di Akito che l’accolsero come se non avessero aspettato altro.
E poi avevano passato la notte abbracciati che, probabilmente, era mille volte meglio di fare l’amore.
 
 
 
Saaaaalve a tutti :* Eccomi qui con il nuovo capitolo che fa capire abbastanza come vanno adesso le cose tra quei due cretini di Akito e Sana.
Ma, non cantate vittoria, purtroppo ci sono ancora alcuni ostacoli da superare. D:
Spero, comunque, che il capitolo vi piaccia, e inoltre mi scuso per non aver potuto rispondere a tutte le recensioni ma con la scuola, i compiti, lo scrivere proprio la storia non ho avuto molto tempo.
VI RINGRAZIO INFINITAMENTE. La storia è qui solo per
voi.
Un bacissimo, e spero che recensiate in tanti. Prometto di trovare il tempo per rispondere a tutti!
Akura. :*

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Capitolo 10
*** Secondo te, ci sposeremo? ***


CAPITOLO 9.
SECONDO TE, CI SPOSEREMO?

 
Gomi aveva iniziato a fumare da un po’. La mattina, infatti, si era preso l’abitudine solita del ‘caffè - sigaretta’ quindi stava davvero smanettando per smontare baracca e burattini e tornare all’albergo ma, per sua sfortuna, i due eterni piccioncini – come li aveva ribattezzati – stavano ancora dormendo. A dire la verità aveva anche supplicato gli altri di andare a sbirciare nella loro tenda ma Tsuyoshi, il santarellino della situazione, si era opposto assolutamente. “Non bisogna privarli della loro privacy” si limitò a dire prima di dare un bacio ad Aya che aveva appoggiato teneramente il mento sulla sua spalla.
“Secondo voi dovremmo svegliarli?” chiese Fuka tutta indaffarata a chiudere il suo sacco a pelo, cosa che non aveva mai imparato. Che poi, era davvero il colmo, suo padre aveva persino frequentato gli scout. Che ironia.
“Ma no amore.. lasciali dormire” rispose subito Takaishi sottolineando di proposito l’ultima parola con fare ammiccante.
Intanto, dentro quella tenda di nemmeno un metro, Sana e Akito stavano sul serio dormendo; avevano passato la nottata stretti l’uno nell’altra anche perché faceva ancora un po’ freddo, giusto un po’. Lui aveva praticamente il viso affondato tra i capelli di Sana e si stava per svegliare. Era in quella fase ‘sono sveglio ma non voglio muovermi’ per cui appena prese coscienza di sé l’odore della sua chioma lo investì in tutto e per tutto. Era un profumo così piacevole che sarebbe voluto rimanere in quella posizione per tutta la vita ma questo implicava anche Sana posta sopra il suo braccio e, se non voleva vederlo andare in cancrena piano piano, avrebbe dovuto spostarla. Quindi, prese delicatamente il viso della ragazza e lo poggiò sul cuscino che lui aveva sotto la testa, mettendosi seduto.
La guardò più di una volta, in realtà non si stancava mai di guardarla per quant’era bella. Si avvicinò a lei con l’intenzione di baciarla e rimase ancora un po’ a fissarla da così poca distanza.
Vorrei tanto baciarla di nuovo..pensò Akito in preda alle solite pippe mentali immotivate. Insomma, dopo tutto quello che avevano passato, ancora si faceva prendere dall’incertezza di baciarla o no. Era proprio uno stupido.
“mmm.. Akito..”. Si voltò nuovamente a guardarla, pensando di trovarla sveglia, invece vide che ancora dormiva e che stava parlando nel sonno. La lasciò parlare un po’, ascoltando parola per parola ciò che la ragazza nascondeva nella sua mente e che, a quanto pare, gli avrebbe detto solamente mentre non era capace di intendere e di volere.
“.. Akito.. Akito smettila! Mmm.. Akito, che diavolo fai?” poi si zittì per cinque minuti e infine disse due parole che crearono in lui uno scompiglio generale: gambe, braccia, occhi, bocca, orecchie, testa e soprattutto cuore avevano perso ogni facoltà. “Ti amo..” sussurrò flebilmente Sana rigirandosi e coprendosi alla meglio con il sacco a pelo.
A quel punto credette di aver sentito abbastanza e cercò di svegliare Sana che, però, come al solito non aveva la minima intenzione di alzarsi. Possibile che riuscisse a dormire anche in un posto così scomodo? Beata lei. D’un tratto la ragazza cominciò a pronunciare nuove parole prima insensate, poi fin troppo concrete. Una frase, in particolare, portò Akito all’ebollizione totale.
Mi vuoi sposare Aki?” e poi, nuovamente, si mosse spostando anche il cuscino dalla posizione precedente e stringendolo tra le braccia. Che pensasse fosse lui?
Quindi, dopo la meravigliosa confessione d’amore del tutto indesiderata, Akito la scuotè per destarla dal sonno e anche per cercare di liberarsi da quel silenzio che lo stava uccidendo. Sì, ok, Akito Hayama spesso amava, anzi, venerava il silenzio ma in quell’occasione gli sembrò letale quasi da farlo soffocare.
Solo una volta avevano pensato seriamente ad un ipotetico matrimonio con Kurata.
 
“Aki, secondo te ci sposeremo?”.
Sana si era appena cambiata e messa la camicia da notte dopo una festa a casa di Aya e Tsuyoshi. Ad Akito, sentendo quella domanda, si gelò il sangue. Ok, stavano insieme praticamente da sempre ma pensare alle nozze a ventun’anni era da pazzi. Eppure, anche se non ne aveva mai parlato con nessuno, capitava spesso che immaginasse il giorno in cui si sarebbero sposati – ammesso che l’avrebbero fatto.
Aveva visualizzato tante volte Sana che avanzava verso di lui avvolta dall’abito bianco. Rise a quel pensiero, la immaginò come un’enorme meringa.
“Perché ridi?” disse lei avvicinandosi al letto con fare ammiccante. “Ti fa ridere la mia pseudo - proposta di matrimonio?” e si stese accanto a lui a pancia in giù.
“No Kurata, mi farai ridere con quel coso bianco addosso!” la buttò lì lui sapendo perfettamente che l’avrebbe fatta arrabbiare. Per questo continuò a prenderla in giro: “Dai Kurata, dove lo troverai mai un vestito adatto a te? Una tavola da surf è più formosa!” disse mentre le faceva una linguaccia. Sana sembrò non essere interessata alle offese di Hayama, forse era troppo impegnata ad immaginare il giorno – vestito – in questione.
Poi ritornò in sé e diede uno schiaffo sulla pancia nuda del suo ragazzo.
“Ahia Kurata, tu sei un uomo mancato, te lo dico io!”.
Sana sorrise, ormai aveva capito che tutte quelle frasi erano dette solo per dimostrarle il suo affetto.
“Baka! Ti ho fatto male?”. Lo guardò con gli occhi accesi dalla voglia che aveva di lui.
“Mi hai quasi rotto una costola, che ne pensi tu?”. Lui sembrò ignaro delle intenzioni della sua ragazza e continuò a massaggiarsi il fianco con movimenti rotatori.
Lei, continuando a guardarlo negli occhi, gli baciò il punto in cui poco prima l’aveva colpito.
In un attimo la situazione si capovolse, Akito la mise sotto di lui e rimase per almeno dieci secondi a fissarla intensamente. Con una lentezza snervante cominciò a slacciarle la camicia da notte che, dopo, finì ai piedi del letto, idem i suoi pantaloni. Tutto sembrava un sogno quando stava tra le braccia di Hayama e, specialmente, capì che ogni cosa riportava in un modo o nell’altro a lui.
Akito prese a baciarle la guancia, il collo, le labbra, la fronte e subito dopo cominciò a scendere all’altezza del seno, baciando anche quello.
“Sei.. sei bellissima Kurata..” disse lui con la voce spezzata dall’eccitazione. Tutto cominciò ad essere meraviglioso perché, anche se non era la loro prima volta, era sempre come se lo fosse. Tra loro era sempre tutto un’emozione, era sempre tutto un brivido.
E quella cosa, lo sapevano entrambi, non sarebbe sparita mai. Perché il loro era amore, amore puro e niente li avrebbe divisi. Erano proprio quei momenti che facevano capire ad entrambi che tra loro non sarebbe mai finita.
Non sarebbe mai finita, davvero. Questo era tutto ciò che Sana continuava a ripetersi mentre diventava una cosa sola con l’unica persona che avrebbe mai amato.
 
“Kurata! Kurata avanti svegliati!”. La ragazza si avvicinò ancora di più a lui mentre ancora dormiva, gli avvolse i fianchi e la abbracciò inconsapevole di ciò che stava facendo. Possibile che non fosse sveglia? Era da almeno un quarto d’ora che Akito la strattonava e la chiamava quasi urlando. Ciò che si dice ‘sonno pesante’.
Allora Akito, consapevole che ciò che avrebbe fatto l’avrebbe fatta infuriare, si alzò e afferrò il sacco a pelo dai piedi facendola praticamente cadere per terra. Subito lei si svegliò e cominciò ad urlare.
“Akito ma che cavolo fai? Ma ti sembra il modo di svegliare la tua rag..”. Silenzio. “Eeeh.. di svegliarmi?!”.
“Ma se sembravi morta Kurata, fra un po’ nemmeno respiravi!” rispose subito lui con un mezzo sorriso alzandosi e porgendole la mano per far mettere in piedi anche lei.
“Lo sai che quando dormo non sento niente Hayama, potevi svegliarmi più delicatamente!”
“Quante storie, avanti alzati!” e la prese dal braccio spingendola, prepotentemente, fuori dalla tenda.
Lo sguardo di Tsuyoshi fu indescrivibile, li fissava compiaciuto e allo stesso tempo preoccupato. Se anche quella notte l’avevano passata a litigare allora erano proprio un caso disperato!
“Buon giorno ragazzi!” disse Tsuyoshi che ricevette subito da Sana un sorriso a trentadue denti che gli fece capire che no, non avevano litigato.
“Bene, adesso che i due cari ragazzi si sono svegliati, possiamo tornare in albergo? Avrei bisogno di una sigaretta!!”. Gomi sembrava seriamente impazzito, quella dipendenza lo stava facendo diventare strano. Ad Hisae questa cosa proprio non andava giù e, spesso, gliel’aveva anche fatto notare ricattandolo - in modo scherzoso- di lasciarlo se non avesse smesso. In quel momento non riuscì più a contenersi e sbottò.
“Cazzo! Ma è mai possibile che devi rovinare sempre tutto?! Dio, non riesci davvero a stare senza sigarette per mezza giornata che già diventi sclerato? Ma vaffanculo!” e, dopo aver urlato quelle parole in faccia al suo ragazzo, si girò e si diresse verso il viale alberato che precedeva la spiaggia.
Gomi, senza dire una parola, si diresse dalla parte opposta. Gli sguardi dei loro amici erano a dir poco sconcertati, addirittura Tsuyoshi si voltò verso la sua ragazza con lo sguardo di chi voleva sapere cosa fare. Ad agire, come al solito, furono Akito e Sana che rincorsero rispettivamente Gomi e Hisae.
Sana camminava ma, davvero, non riusciva a trovare la sua amica. Era da almeno mezz’ora che non trovava la via per ritornare dagli altri e, a dir la verità, un po’ cominciò a preoccuparsi. Gli alberi sembravano tutti uguali, i sentieri poi non c’era nemmeno da dirlo. Con la testa bassa continuava a girovagare per quella specie di bosco e si sentiva una dei protagonisti del serial ‘Lost’.
Si era ufficialmente persa.
Iniziò a temere di aver praticamente girato a vuoto sullo stesso pezzetto di viale ma continuò a camminare senza fermarsi. Quando ormai il panico si era impossessato di lei, vide la cosiddetta manna dal cielo.

*

 
Hayama se ne stava seduto su una piccola roccia con le mani sulle ginocchia e lo sguardo fisso su un fiore poco distante da lui. Era un fiore di cui lei non conosceva il nome ma di un colore meraviglioso, sul rossiccio. Si avvicinò velocemente a lui per ritrovarsi, poi, stretta tra le sue braccia. Non sapeva il vero motivo per cui lo stesse facendo, semplicemente ne aveva voglia.
Quando Akito si vide arrivare Sana praticamente addosso non poté fare a meno di pensare che quella ragazza fosse bellissima. Tanto bella che rimase a fissarla per un po’ prima di parlare.
“Kurata ma che diavolo hai?” disse lui allontanandola da sé per cercare di guardarla negli occhi.
“Ti devo parlare” rispose subito lei con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Non capiva nemmeno cosa sentiva dentro, sapeva solamente che se non avesse parlato in quel preciso istante non avrebbe avuto più nessuna possibilità. Se non gli avesse detto che lo amava, lì, non l’avrebbe fatto più.
Akito intanto la fissava sbalordito mentre lei non diceva una parola. Gli sembrò di poter rimanere in quella posizione per tutta la vita, così, abbracciandola e guardandola negli occhi.
“Hai perso la parola Kurata?” . Il suo sguardo la raggelò, sembrava che le stesse ordinando di parlare, come se fosse impaziente di sapere ciò che Sana voleva dirgli.
Sana scuotè la testa e Akito cominciò ad avvicinarsi. Un po’ troppo.
“Che sta..”. Non potè nemmeno terminare la frase che tra la sua bocca e quella di Akito la distanza si ridusse a nulla. Prima quei baci avevano un sapore diverso, pensò, prima di quel momento ogni bacio che si erano dati durante quella vacanza era stato si speciale, ma non come quello che stava vivendo in quel preciso istante.
Prima i loro baci avevano sapore di rancore, di odio covato e mai urlato, in quel momento invece le sembrò che l’universo avesse scelto di farli rincontrare nel buffo cammino della vita. La sua, di vita, era stata veramente buffa.  Non capita tutti i giorni di urlare in un aeroporto pieno di gente “MANTERRO’ LA VERGINITA’!” solo perché con una persona vuoi passarci davvero tutta la vita. E di certo non capita tutti i giorni di ritrovarsi in un bosco con il tuo ex tutto e provare le stesse emozioni che si sono provate quando le vostre labbra si sono toccate la prima volta.
Il bacio, allora, cominciò a trasformarsi in qualcosa di più e, appena se ne accorse, Sana si staccò. Non perché non voleva stare con lui, anzi gli sarebbe saltata addosso nello stesso momento, ma solamente perché aveva bisogno di parlare e, se Akito avesse continuato a fissarla in quel modo, non ci sarebbe riuscita di certo.
“Ci sono cose che con le persone qualunque non diresti mai, non faresti mai. Perché le persone qualunque non ti conoscono e certe cose non le capirebbero. E poi ci sei tu, Akito. Mi conosci, sai che per te farei di tutto, ma sai anche che a volte ho bisogno di tempo, di spazio per stare da sola. Ci sei tu, l'unica persona che non perderò mai e che non vorrei mai perdere perchè possiamo stare lontani anche mesi, può passare l'inverno e poi tornare, può anche finire il mondo. Ma quando ci ritroveremo sarà sempre come tornare a casa dopo un lungo viaggio e questo le persone qualunque non lo possono mica capire, questo lo puoi capire solo tu Akito, e ti prego di credermi quando ti dico che Kamura non mi interessa, che non è lui che voglio. E se ora sono qua e sto parlando con te di cose che avrei voluto tenermi dentro fino alla tomba è perché ti amo.. e io, ad una persona qualunque, una cosa del genere non la direi mai…”
Quelle parole lasciarono Akito completamente interdetto, non riusciva quasi a respirare dalla forte emozione che aveva provato.  Finalmente, una volta per tutte, aveva sentito dalla bocca di Sana ciò che veramente provava e, a dirla tutta, la cosa lo spaventava e non poco. Insomma, e adesso? Sarebbe tornato tutto come prima? La loro casa, sarebbe tornata di nuovo quella di una volta? Ma come avrebbero fatto con Kamura sempre tra i piedi? Quel ragazzo cominciava ad irritarlo più di quanto non avesse mai fatto in tutti quegli anni.
Sana attendeva speranzosa una parola, un gesto da lui che invece la fissava immobile senza dire niente. Già questo non prometteva bene. Forse aveva sbagliato a rivelargli tutto, forse lui non provava più quel sentimento che invece lei portava dentro da sempre. Tutto cominciava ad apparirle storto, tutto le andava improvvisamente stretto, anche quell’infinito bosco.
Si girò e fece per andarsene, stanca d’aspettare qualcosa che evidentemente non sarebbe arrivato. Possibile che fosse stata così stupida? Stava parlando con Akito Hayama, l’uomo di ghiaccio, come poteva pretendere uno sforzo? Ma dovette ricredersi perché, d’un tratto, il suo polso venne circondato dalla mano del ragazzo che, avvicinandola a sé velocemente, la baciò. E fu un bacio che sembrò durare un’eternità. Uno di quei baci da ricordare, da mettere nella lista dei migliori. Ma tra loro quella lista non aveva motivo di esistere, ogni bacio datosi, in un modo o nell’altro, era stato perfetto.

*

 
Camminare mano nella mano con Akito alla luce del sole senza doversi per forza nascondere era strano, e pure tanto. Le sembrò che fosse passato così tanto tempo da aver dimenticato il calore provato la prima volta che quella mano l’aveva sentita davvero vicina. Il momento appena vissuto era stato perfetto, anzi perfetto era dire poco, idilliaco. La loro relazione sembrava aver preso una piega inaspettata che, sicuramente, i loro amici avevano atteso con trepidazione.
Ovviamente le reazioni quando li videro arrivare  in quel modo erano state euforiche. Aya era subito corsa ad abbracciare Sana e subito dopo di lei, anche Hisae e Fuka, forse la più contenta. Durante quell’anno Fuka aveva provato mille volte a farli incontrare, anche per caso, ma puntualmente la cosa era degenerata e i due avevano finito per litigare. Adesso la parte difficile sarebbe stato affrontare Kamura ma Sana, a dire il vero, non se ne preoccupava affatto in quel momento. Aveva tutto quello che voleva, di nuovo e niente, nemmeno Kamura, sarebbe riuscito a toglierle la felicità.
Per molto tempo Naozumi era stato suo amico, suo confidente e per un po’ anche qualcosa di più ma era sempre stato un ‘fidanzato di riserva’. Certo, a sentirlo in questo modo sembra qualcosa di cattivo, ma riflettendoci non era poi così male. Lei gli voleva bene, nonostante tutto.
Ma i ‘fidanzati di riserva’ sono come i vestiti fuori moda, puoi provare a sbarazzartene ma in realtà te li ritrovi sempre nell’armadio. Vorresti riutilizzarli a volte, ma non ci riesci perché sono talmente brutti e antiquati che ti viene voglia solamente di usarli come pigiama. Questo basterà anche a consolarti ma anche per accorgerti che purtroppo sono tristemente e irrimediabilmente passati di moda. E Naozumi era passato di moda da un pezzo.
La voce di quest’ultimo risuonò per tutta la hall dell’albergo.
“Sana, sei tornata!!” disse sinceramente felice di rivederla ma, appena vide anche la sua mano intrecciata in quella di Hayama, la gioia svanì e si trasformò in rabbia pura.
“Ciao Nao..” rispose Sana abbassando lo sguardo. Ma perché si comportava in quel modo? Non aveva nulla di cui giustificarsi, o per lo meno agli occhi di tutti era così. Ma sia lei che Naozumi sapevano che qualche spiegazione doveva dargliela.
 
L’arrivo di Naozumi aveva destabilizzato tutto ciò che aveva cercato di ricostruire con Akito, anche se la reazione di quest’ultimo era stata raggelante. Sana continuava a rigirarsi nel letto, non riuscendo a dormire aveva anche ascoltato un po’ di musica ma niente da fare, Morfeo tardava ad arrivare.
Quindi, per far passare il tempo, si era messa a scrivere. Talvolta parole senza senso, altre frasi che lei stessa si stupiva di aver saputo articolare, non era mai stata brava con quelle cose ma quando si trattava di Hayama, tutto cambiava.
Presa dai suoi pensieri non sentì nemmeno il rumore che proveniva dalla sua porta, qualcuno stava bussando ma dovette farlo più di una volta per decifrare il suono. Si alzò e, non appena aperta la porta, si ritrovò davanti l’opposto della persona che avrebbe voluto vedere: Naozumi.
“Nao.. che ci fai qui?” chiese lei facendogli cenno di entrare.
“Grazie..” disse entrando per poi riprendere “sono qui perché avevo voglia di vederti, tutto qua!”
“Ah.. bè mi hai visto! Adesso scusami ma ho davvero sonno, buonanotte!” disse lei incitandolo ad andarsene, sperando davvero che accogliesse quella proposta. Ma Kamura, famoso per la sua testardaggine più di quanto non lo fosse Akito, rimase lì e addirittura si sedette sul letto.
“Niente fretta, come vanno le cose con Hayama?”. Rise sarcastico, a Sana venne voglia di ucciderlo.
“Di male in peggio, ma non mi lamento.. siamo noi.” Chiuse subito l’argomento. Il fatto che Naozumi Kamura ancora dopo tutti quegli anni insistesse con lei le faceva pensare che l’amore a volte era proprio un bastardo.
Insomma, restare innamorati di una persona per dieci infiniti anni era proprio crudele. Ma lei, probabilmente, non avrebbe dovuto meravigliarsi, tutta la sua vita era stata incentrata su quell’unica persona capace di vederla come realmente era.
“Capisco.. non mi va di fare giri di parole, non sono venuto fino a questo posto sperduto solo perché ero di passaggio.”
“E allora perché?” chiese lei già convinta di sapere cosa stava per dire.
“Perché ti amo Sana. Ti amo e non posso fare a meno di te!”
Ecco, per l’ennesima volta lui le aveva detto che l’amava. Ma non si era ancora stancato?
“Nao, mi dispiace io.. io non ti amo.”. Se ci fosse stato abbastanza silenzio si sarebbe sentito il rumore del cuore spezzato dell’attore.
Tutto era crollato, di nuovo.
“Ma non è per Hayama.. vero?”
“No..” mentì. Certo che era per Hayama. Tutto quello che lei faceva riguardava in un modo o nell’altro Akito Hayama, che lo volesse o no.
“Tutto ma non.. non lui, ti prego..” la implorò Naozumi e la discussione finì lì, il ragazzo uscì e lasciò Sana nuovamente tra i suoi pensieri.
 
“Aki, arrivo…” disse Sana sciogliendo la sua mano da quella di Akito e avvicinandosi a Kamura. Doveva parlargli, gli doveva almeno una spiegazione nonostante tutto.
“Non andare.” Gli intimò Akito con gli occhi fissi sui suoi. Aveva paura, si vedeva. Paura che, per l’ennesima volta, Kamura rovinasse tutto.
“Non preoccuparti, andrà tutto bene..” e si allontanò definitivamente da lui per buttarsi nella fossa del leone.
Ma, d’altra parte, era tranquilla: la sua vita era tornata esattamente per come la voleva lei, avere Naozumi o no, anche se poteva sembrare cattivo, non le faceva alcuna differenza.

 
                                                                                                                   
Sono tornata *_________*
Dovete veramente perdonarmi, mi inchino a voi :( Scusate, davvero, ma il mio pc ha avuto dei problemi e potendo usare solo il notebook non riuscivo a pubblicare perché si bloccava sempre :@
Nuovo capitolo, novità in vista e Kamura sempre in mezzo, spero che vi piaccia e che possiate perdonarmi per questa infinita assenza :*
Akura.

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Capitolo 11
*** Mia. ***


CAPITOLO 10.
MIA.

 
Naozumi stava davanti a lei con lo sguardo di un cane bastonato e abbandonato dal suo padrone. Quella che lui riteneva la persona più importante della sua vita gli stava confessando, un’altra volta, di non amarlo e di preferire, un’altra volta, Akito Hayama. L’odio verso di lui, durante gli anni, aveva avuto i suoi alti e i suoi bassi ma quella volta, indubbiamente, toccò il culmine. Lo detestava. Lo disprezzava perché gli aveva tolto l’unica cosa che aveva sempre desiderato, l’unica cosa per cui aveva lottato nella sua vita, l’unica cosa – lavoro escluso – che lo aveva veramente appassionato dopo una vita vissuta con degli affetti non veri. Naozumi Kamura non aveva mai avuto una vera famiglia e lui, la sua, l’aveva trovata in quella ragazza che gli aveva sempre dimostrato affetto sincero. La stessa ragazza che, adesso, lo stava distruggendo. Ma se proprio doveva distruggerlo, Naozumi desiderava non essere l’unico a portarne le conseguenze.  Se proprio doveva soffrire, sarebbero stati in tre a farlo.
Questo stava lì a dimostrare che, infondo, non aveva mai voluto bene né tantomeno amato Sana; il suo era più ‘amo te perché non ho nessun altro’ , ecco una cosa del genere.  Ma questo tipo d’amore, si sa, è un amore malato. Un amore che non arriverà mai lontano. E, nonostante tutto, anche Kamura lo sapeva. Se avesse veramente fatto ciò che pensava, avrebbe perso Sana davvero per sempre. Ma ormai l’aveva comunque persa quindi, pensò, tanto valeva rovinarle la vita come lei l’aveva rovinata a lui.
Ascoltava le parole di Sana, piene di dolcezza, con un fare raggelante. Avrebbe voluto buttare fuori tutto ciò che aveva dentro in una parola che l’avrebbe ferita sicuramente: odio. La odiava. Lei gli aveva fatto scoprire l’amore, l’affetto, la gioia e, di colpo, adesso glieli stava togliendo.
“Ciao Sana, stammi bene..” si congedò immediatamente dopo che lei ebbe finito di scusarsi. Ma scusarsi di che? Di avergli rovinato la vita, probabilmente.
Avergli fatto da amico, confidente, spalla su cui piangere, non era servito a niente. Non c’era competizione con Hayama, ovviamente.
Ma anche Hayama si sarebbe sbalordito presto sul suo conto…

*

 
Trovarsi, di nuovo, tra le braccia di Akito era davvero la cosa migliore che le era capitato nel giro di un anno. Ma il pensiero di Naozumi da solo, triste e scoraggiato non la abbandonava neppure per un attimo. Hayama, seppur con disappunto, se n’era accorto e continuava a fissarla mentre, in macchina, tornavano a casa.
Finalmente la settimana di vacanza era finita, finalmente Tokyo  li stava nuovamente accogliendo e questo sicuramente avrebbe portato non pochi cambiamenti. Intanto: sarebbero tornati a vivere insieme? No, forse per un periodo sarebbe stato meglio vivere separati. Si, probabilmente sarebbe stata la decisione migliore da prendere.
Si girò a guardarlo, i capelli biondi mossi dal vento gli davano quel non so che di infinitamente sexy anche se, ammettiamolo, Akito sarebbe stato sexy anche con un sacchetto di spazzatura addosso.
“Perché mi fissi?” chiese lui distogliendo lo sguardo dalla strada.
“ Così, sei bello!” rispose lei sorridendo e facendogli una linguaccia.
Akito d’altra parte aveva una sola domanda in mente: “Perché Sana si ostinava a scegliere sempre lui?”. Insomma, Kamura non aveva fatto altro che starle accanto quando lui era sparito, quando l’aveva lasciata, era andato fin lì solo per passare qualche giorno con lei mentre lui avrebbe voluto scappare da quella vacanza, e Kurata riusciva sempre e solo a metterlo da parte. Quasi gli fece pena, ma quest’ultima subito sparì per lasciare spazio ad un’infinità di dubbi. Che il loro amore fosse solamente qualcosa che era rimasta dal passato?! Magari tutto quell’amore si era semplicemente tramutato in affetto.
Ma no, se provi affetto per qualcuno non ci vai a letto, non ami tutto ciò che è, non senti bruciarti le mani quando non l’hai tra le braccia. Insomma, il loro non era affetto. Era ben altro. E tutto quello che poteva fare per dimostrare a Kurata ciò che provava lo sapeva già.
L’autostrada era piena di buche, Sana continuava a cadere, sbattere la testa e farsi male ovunque. Akito, intanto, sorrideva soddisfatto. Era proprio una bambina.
Ma Tokyo era vicina, dopo circa tre ore di macchina finalmente erano arrivati e dopo aver accompagnato tutti gli altri, Akito si era riservato Sana per ultima. Casa sua, dall’esterno, sembrava sempre uguale: la solita facciata da casa delle bambole.
Il silenzio calò velocemente, entrambi non sapevano che fare. La prima a parlare fu Sana, spezzando il gelo all’interno dell’auto.
“ Bè, allora… vado..” aprì lo sportello e mise un piede fuori sperando che anche lui dicesse qualcosa. Ma niente, Akito si limitò ad annuire e a fare uno dei suoi soliti sorrisi sghembi.
“Ciao Sana..” disse. Due parole, nessuna espressione o alcuna emozione. Due parole di congedo che tagliavano più di un coltello al centro del petto. Faceva male, troppo male da non riuscire nemmeno a descrivere.
Avviandosi verso la porta di casa con le chiavi in mano il rumore della macchina di Akito fu l’unica cosa che riuscì a captare; poi chiuse la porta e capì tutto.
La settimana appena trascorsa non aveva cambiato assolutamente nulla, aveva solamente stravolto nuovamente i suoi sentimenti. A che cosa era servito quindi mettersi di nuovo in gioco? A che cosa era servito mandare, per l’ennesima volta, a fanculo Nao? A nulla. Solo a rovinarle la vita, di nuovo, a distanza di un anno.
Si ritrovò a porsi tutte quelle domande e a chiedersi se avesse sbagliato qualcosa, se per caso avesse fatto o detto qualcosa che lo avesse ferito. Ma, ripercorrendo l’intera settimana, nulla l’aveva soddisfatta e nulla le aveva dato una risposta.
Portò la valigia in camera sua, l’aprì sul letto e cominciò a tirare fuori i vestiti. Non aveva pianto, non doveva e non poteva farlo. Troppe lacrime erano state versate in nome di quell’amore ma ora basta, si disse.
Buttò la valigia per terra lasciando il letto libero e si ci stese, da sola. Il pensiero che Hayama l’avesse abbandonata di nuovo la tormentava, non riusciva a concentrarsi su altro. Mentre era impegnata a fissare il soffitto della sua camera da letto il telefono squillò. Dio, era una settimana che non sentiva quel rumore infernale e adesso le sembrava il suono più snervante che avesse mai sentito. Si trascinò a fatica verso il telefono e lo prese.
“ Pronto? “ disse curiosa di sapere chi la chiamava alle sette di sera.
“ Kurata? “. La voce di Akito le pervase le orecchie.
“ Hayama.. dimmi.” La sua invece, di voce, era chiara e limpida. Sapeva già cosa stava per dirle e non si aspettava che anche lui capisse tutto quello che stava passando, un’altra volta.
“ Io penso che… “. Voleva solo dirle che doveva andare a vivere da lui, ci avrebbe messo un secondo, l’emozione tradiva anche lui a volte.
“ Non disturbarti: che vuoi prenderti del tempo, che non vuoi stare con me e che questa settimana è stata un errore. Giusto? Se ho sbagliato qualche lettera dimmelo!” lo interruppe lei, come al solito.
Non avrebbe dovuto farlo, non doveva. Stava rovinando tutto, di nuovo.
“ Questo è quello che tu vuoi?” chiese lui con la voce spezzata.
“ No, questo è quello che vuoi tu. “ tuonò Sana alzando sempre di più il tono arrivando quasi ad urlare.
“ Bene, hai ragione Kurata, è proprio questo che voglio. “. Poi più nulla, la chiamata era terminata.
E non solo la chiamata, anche loro erano terminati, finiti. Per sempre.
Questo era quello che era uscito fuori da una settimana di inferno, come previsto. Loro non potevano stare insieme e se mai c’avessero solamente provato tutto sarebbe terminato in quel modo: con una telefonata e migliaia di lacrime.


*

 
Da quasi due settimane l’unica cosa che Akito Hayama faceva era correre. Correre per non pensare e di conseguenza non star male. Due settimane prima era appena tornato a casa da quella vacanza e l’unica cosa che gli era venuta in mente era di risistemare casa per accogliere di nuovo Kurata. Aveva già pensato di spostare il divano in modo da poterci mettere il telefono che si portava ovunque andasse, poi voleva andare a riprendere il letto matrimoniale dalla cantina dove l’aveva sotterrato dopo averla lasciata, e poi ovviamente doveva sistemare il bagno perché Sana impazziva quando si trattava di pulizia.
Due settimane dopo però casa di Hayama era esattamente per come l’aveva lasciata prima di partire, niente divano spostato, niente letto matrimoniale e niente bagno splendente. Niente di tutto questo era stato cambiato proprio perché la sua vita era rimasta uguale. Le parole di Sana avevano eliminato tutti i buoni propositi che si era creato e avevano trasformato tutto in rabbia. Rabbia perché Kurata sapeva fare solo una cosa: rovinare tutto. Sapeva prendere i suoi sentimenti, buttarli via e poi pretendere di risistemare le cose.
Per quella sera Tsuyoshi aveva organizzato una cena a casa sua, cena a cui ovviamente Sana avrebbe partecipato. Lui, però, non era poi così tanto sicuro di volerci andare. Gli sembrava quasi di essere tornato a quando il suo migliore amico gli aveva proposto la vacanza. Quella cena, come quella vacanza, sarebbe stata un suicidio ma non andarci avrebbe significato non volerla vedere e di certo non era così. Akito desiderava incontrarla, voleva spiegarle, avrebbe voluto sicuramente stare con lei per tutta la vita ma il suo orgoglio- quel maledetto- non gli permetteva di farlo. Aveva sempre odiato quella parte del suo carattere, le innumerevoli volte che lo aveva utilizzato con Kurata non era stato minimamente d’aiuto, anzi aveva solamente distrutto ogni cosa. Quella volta, ancora più delle altre.
Probabilmente la colpa di tutto quello era sua, per non aver parlato quando l’aveva accompagnata a casa, per non aver detto anche una stupida frase che potesse lasciarla contenta e far si che non pensasse male. Ma lui era Akito Hayama e non era tipo da romanticismi, lui preferiva chiamarla e dirle di punto in bianco che la aspettava con le valigie per trasferisci nuovamente a casa sua. Si, lui era tipo da fatti, non da parole.
Quella sera però doveva parlarle, anche se lei non avesse voluto ascoltarlo.


*

 
Neanche il tempo di accendere la tv che si ritrovò un suo film su un canale sconosciuto al mondo, chissà perché li mandavano ancora. Era un film di circa cinque anni prima, ai tempi stava già con Akito e la loro rottura non era nemmeno in considerazione. Tutto andava bene, non c’erano incomprensioni, non c’erano problemi, semplicemente la loro vita aveva preso il verso giusto. Sorrise al pensiero di quei momenti che, sicuramente, non sarebbero tornati.
Fino a quel momento era rimasta al buio nella sua camera e, benchè odiasse il buio, in quel periodo non le dispiaceva affatto. No, non era la tipica espressione di Hayama che stava a significare ‘ Lo adoro ’ , semplicemente non le dava più così tanto fastidio. Un sacco di volte aveva litigato con il bel biondino perché la notte accendeva la luce e lui finiva per svegliarsi. Allora la spegneva e Sana, puntualmente, la riaccendeva. Erano proprio una coppia da cartone animato, della serie ‘ tu dici si, io dico no, tu dici no, io dico si ‘ , ma erano sempre stati in quel modo e ormai, diventati grandi, come avrebbero fatto a cambiare?
Capitava spesso, persino, che di punto in bianco nel cuore della notte Sana lo abbracciasse e si ritrovasse con la faccia immersa nel suo petto. Certo, Akito non disdegnava sicuramente certe attenzioni, anzi, a volte se la rideva tranquillo quando capiva la paura della sua ragazza.
A ripensarci forse Akito non era la sua anima gemella, cosa che aveva sempre creduto dall’età di quattordici anni, quando per la prima volta lo aveva visto con occhi diversi. Non più il teppistello della classe e neppure il ragazzo problematico a causa della sua famiglia, no. Per la prima lo aveva visto da un’altra angolazione e ciò che vedeva le piaceva davvero.
Spesso si chiedeva “ ma perché lo amo? “ e, sebbene cercasse la risposta ad ogni ora del giorno, quella non arrivava mai. Perché non c’era un motivo, lo amava e basta. E tutto quello che Akito poteva fare: combinare casini, sbraitare, ferirla.. non avrebbero cambiato nulla. Tantomeno i suoi sentimenti.
Alzò gli occhi cercando la sveglia, vide l’orario: le 18.47. Doveva sbrigarsi per andare da Tsuyoshi e Aya. Ah si, un’altra serata da sballo, yuppi.
Avrebbe preferito morire soffocata col gas piuttosto che andare lì e vederlo. Dopo la loro telefonata non si erano ne più sentiti, ne più visti e questo rendeva le cose ancora più complicate. Quasi le sembrò di ritornare alla settimana d’inferno, dove ogni uscita, ogni momento era una tortura.
Cominciò a prepararsi, non indossò nulla di così particolare: un paio di jeans, delle ballerine nere e una maglia azzurra. Lasciò i capelli sciolti e si truccò pochissimo, Hayama non avrebbe dovuto pensare che lei si era fatta bella solo per sorprenderlo. Che poi, in realtà, non aveva mai fatto una cosa del genere: Akito la amava anche quando era senza trucco – cosa che capitava molto spesso – e con il pigiama addosso. Non era un tipo che badava molto agli abiti. Mise un girocollo con un ciondolo a forma di farfalla e si limitò a questo, niente orecchini.
Mentre era intenta a mettere l’eyeliner un flashback le invase la mente. La collana che portava, per chissà quale strano gioco del destino, gliel’aveva regalata proprio lui perché un giorno Fuka gliel’aveva mostrata e lei se n’era innamorata. Allora il giorno dopo Akito aveva girato tutte le gioiellerie di Tokyo e quando finalmente l’aveva trovata gliel’aveva lasciata sulla porta di casa, di modo che quando fosse rincasata dal lavoro l’avesse vista.
Ricordò anche il bigliettino che Akito l’aveva scritto: “ Alla mia dolce farfalla..”. Bè, di certo non era nel suo stile ma ogni tanto gli prendeva qualche scatto di improvvisa dolcezza e faceva cose che Sana non avrebbe mai pensato venissero da lui.
Comunque, finito il momento ricordi, aveva preso la sua auto e si stava dirigendo verso casa Sasaki-Sugita. Era strano anche dirlo quasi come dire casa Hayama-Kurata. Sogni, solo sogni.
Erano le 19. 56, era arrivato il momento di entrare e affrontare Akito e tutti i suoi amici pieni di domande. Mettere da parte le recenti espressioni buie e trasformare  tutto in un mega sorriso, pur sapendo di non riuscire a mentire. Paradossale, no? Lei che faceva l’attrice, il che la portava a fingere per il 99% delle sue giornate, non sapeva mentire.
Davanti la porta il desiderio di non suonare il campanello la tentava proprio, continuava da almeno cinque minuti buoni ad allungare l’indice verso quel maledetto pulsante e ad allontanarlo sperando di trovare il coraggio di scappare. Proprio quando lo stava per trovare qualcuno alle sue spalle sbattè il portone con forza, probabilmente più irritato di lei.
Non era Akito, non era Akito, non doveva essere Akito. Pregava Dio e chi per lui di evitare che fosse Hayama, in quel caso non avrebbe più potuto fuggire da quella cena ma, cosa ancora peggiore, si sarebbe ritrovata sola con lui.
Sfortunatamente per lei – e in quanto a fortuna lei non era un granchè – era proprio Akito avvolto nel suo cappotto color sabbia, intonato ai suoi occhi.
Alla sua vista si bloccò, poi abbassò lo sguardo e si avvicinò alla porta anche lui. Grandioso, la serata non poteva cominciare in maniera peggiore.
In silenzio suonò il campanello e ad aprire fu Fuka che li squadrò da testa a piedi buttando un’occhiata malefica ad entrambi.
Una volta entrati, Akito da una parte e lei da un’altra. Gli sguardi si raggelavano e Fuka cercava in ogni modo di farli ragionare, andando prima da uno e poi dall’altro, ma senza successo. Niente, non volevano parlare, chissà per quale motivo poi.
“E’ pronto tesorino!” asserì Aya rivolgendosi a Tsuyoshi con un sorriso che le partiva da un orecchio e finiva all’altro portando in mano una pizza fatta in casa. A Sana piaceva molto la pizza, ma col tempo aveva imparato ad odiarla per tutti i ricordi che le procurava.
 
“Kurata ma come ti sei conciata?”.
Akito si era appena svegliato, di domenica mattina, dopo una serata molto movimentata con Sana. L’aveva costretto a girare per tutta la città in cerca di un pub che le piacesse dove fermarsi a bere qualcosa. Il risultato di questa ricerca, ovviamente, era stato vano ed erano tornati a casa con i piedi distrutti e con la stanchezza fino all’ultima punta dei capelli.
Erano circa le 12.25 quando Akito aveva aperto gli occhi e si era ritrovato la sua ragazza con il grembiule da cuoca, in testa una cuffietta bianca e la faccia completamente sporca di farina. Soffocò una risata, sapeva che si sarebbe arrabbiata.

“ Perché, non ti piaccio?” chiese lei imbronciata. Ma come, si era svegliata presto solo per cucinare per lui e questo era il ringraziamento? Annotazioni: mai più fare qualcosa per Hayama.
“Sembri uscita dalla terza guerra mondiale, dimmi che la cucina di casa mia non è ridotta come te!” disse ridendo Hayama, cosa davvero formidabile.
“Casa nostra. Vorrei ricordarti che abito da qui da ben sette mesi e due settimane.” Rispose prontamente lei per sottolineare il suo completo possesso dell’abitazione.
Da quando viveva con Hayama le cose erano sicuramente migliorate, certo c’erano stati momenti brutti ma erano sempre riusciti a separarli perché da casa tua non puoi mica scappare. E poi il fatto di potersi vedere quando volevano e, specialmente addormentarsi insieme la sera, aveva cambiato radicalmente il loro rapporto.

“Ok, Kurata. Dimmi cosa stai tentando di cucinare, vedo di darti una mano!” aveva detto alzandosi dal letto. Si scompigliò un po’ i capelli ma qualche ciuffo gli cadde ugualmente sul viso e decise di ignorarlo.
“Sto facendo la pizza, so che ti piace tanto. Ma non capisco qui.. Vedi? “ indicò una parte della ricetta e poi continuò: “ Mettere a lievitare l’impasto. Che vuol dire? Il lievito l’ho già messo. “ .
Akito strabuzzò gli occhi: come era possibile che una donna non sapesse cosa significava ‘ lievitare ‘ ? Cominciò a ridere di gusto sotto gli occhi interrogativi di Sana che, davvero, non capiva e aveva passato una decina di minuti a guardare la pasta sul tavolo.
“ Lascia fare a me Kurata, ti prego.” Disse lui continuando a ridere, mise poi l’impasto in una ciotola e la coprì con un canovaccio mettendola sul piano della cucina.
“Ecco cosa significa lievitare Kurata.”. Indicò la ciotola e fece per tornare di là, ma Sana, di nascosto, aveva preso un pugno di farina e, non appena lui si era girato, PUFF.
Akito si ritrovò la faccia completamente ricoperta di farina e rimase per circa dieci secondi immobile per poi cominciare a rincorrere la sua cara fidanzata per tutta la casa con la farina tra le mani. Inutile precisare che la casa era diventata totalmente bianca.

“Guarda che casino hai combinato Hayama, guarda!!” disse indicando il divano marrone del salotto e cercando di divincolarsi dalla presa in cui Akito la stringeva dalle spalle.
“Ah sarei stato io?! E’ sempre colpa mia in questa casa!!” continuò lui sorridendo. Diminuì un po’ la stretta e Sana riuscì a staccarsi ma, prontamente, l’afferrò dal polso e la costrinse a buttarsi sullo stesso divano che poco prima aveva indicato.
“Che c’è Kurata, non parli più adesso?” sorrise lui. Poi si avvicinò e la baciò dolcemente nel collo per poi scendere sul petto, alzandole la maglietta e proseguendo nella pancia perfettamente piatta.
Sana intanto non diceva nulla, si lasciava trasportare dal tocco del bel biondino che si ritrovava addosso.

“Dillo che potrei chiederti qualsiasi cosa in questo momento e mi risponderesti sempre si!” la provocò ridendo sotto i baffi.
“ Mi sposeresti?” chiese di scatto lui lasciando Sana immobile con le mani sulla sua schiena.
Poi, lo accontentò su ciò che voleva sentirsi dire, e rispose semplicemente ‘Si’ prima di tornare a ciò che stavano facendo: amarsi.
 


“Sana, vuoi prendere questo piatto?”. Le parole di Fuka la riportarono alla realtà che non era sicuramente quella di Akito su di lei pieno di farina. La sua realtà presente si limitava ad un Akito lontano di quattro sedie a lei con in mano un piatto di sushi che gli avevano appena passato. Certo, una cosa ben diversa, non c’è che dire.
La situazione era molto imbarazzante, contornata dal silenzio che non aiutava sicuramente e dagli sguardi continui di tutti i loro amici. Hisae e Gomi fissavano entrambi Sana mentre Aya e Tsuyoshi avevano gli occhi bloccati su Hayama che, accorgendosene, aveva dato un calcio da sotto il tavolo al suo amico.
Sana invece era ignara di tutto quello che stava succedendo attorno a lei. Era immersa nei suoi pensieri, nella sua voglia di scappare da quella cena assolutamente assurda che Tsuyoshi gli aveva propinato. Finirono di mangiare e le ragazze se ne andarono in cucina, mentre i ragazzi si trasferirono in veranda. Tutti tranne Sana, che rimase a sedere nel divano del salotto col cellulare in mano sperando che sua madre la chiamasse per una qualsiasi emergenza. Ma il cellulare non squillava, ed erano appena le 21:40, avrebbe dovuto sopportare tutto quello solo per qualche ora e poi  sarebbe tornata a casa.
Sperava solo che quel momento arrivasse il più presto possibile. Ma, evidentemente, il destino si stava accanendo su di lei perché quando aveva alzato lo sguardo dal cellulare si era ritrovata Akito davanti che la fissava insistentemente.
Tremava al solo pensiero di una possibile conversazione con lui. E non era una metafora: la sua mano destra, quella che teneva il cellulare ben piazzato davanti alla sua faccia, era in preda ad un tremore che non le capitava così frequentemente.
Si fece coraggio, la fissava in una maniera così snervante che davvero non avrebbe potuto fare altrimenti.
“Bè?!”. L’unica cosa che riuscì a dire e l’unica che le sembrò adatta ma maledettamente sbagliata. Contraddizione? No, Sana Kurata, semplice.
“Bè che?” rispose stizzito lui.
“Perché mi guardi?” chiese lei.
“Io non ti guardo affatto. “ rispose secco lui.
“Ok.” Sana decise di terminare la discussione lì, non sapendo neppure cosa rispondergli.
Il suo cellulare squillò per un messaggio e, prontamente, Akito si avvicinò.
Mentre lei era intenta a leggerlo lui si faceva miliardi di domande su chi potesse essere.
“Kamura?” azzardò sedendosi sul divano proprio accanto a lei.
Sana era ufficialmente in iperventilazione, averlo così vicino non l’aiutava assolutamente, non dopo tutto ciò che era successo.
“Non credo ti riguardi, Hayama.” Tuonò lei girandosi nuovamente a guardare il cellulare.
“ Mi riguarda invece.” Trovò un coraggio mai avuto nel dire quelle tre parole che gli uscirono dalla bocca in un soffio.
“Perché dovrebbe riguardarti? Non vedo alcun vincolo tra di noi. “ rispose sarcastica Sana girandosi per guardarlo meglio negli occhi. Aveva la capacità di irritarla come nessuno sapeva fare. Lo odiava profondamente, non sapeva davvero come aveva potuto dire di amarlo follemente quando poi lui si comportava così e faceva crollare tutto quello in cui lei credeva.
Il silenziò calò e rimasero a fissarsi per almeno cinque minuti buoni quando, poi, vennero interrotti dall’allegra brigata che proponeva un gioco a dir poco stupido.
Ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere su un pezzo di carta un aggettivo da attaccare sulla fronte di un’altra persona che poi avrebbe dovuto indovinarlo.
Ovviamente la cosa fu organizzata per coppie e, inevitabilmente, Sana e Akito si ritrovarono a giocare insieme.
“Akito, tieni, scrivi tu!” disse Tsuyoshi passandogli carta e penna.
Impiegò almeno due o tre minuti prima di attaccare il post-it sulla fronte di Sana che, non appena si sentì toccare dalle sue mani, ebbe un brivido per tutta la schiena.
Maledizione! Doveva smetterla di fare in quel modo.
Il gioco cominciò e, come previsto, Tsuyoshi e Aya furono la prima coppia ad indovinare. Poi toccò ad Hisae e Gomi, e infine a Fuka e Takaishi.
Sana e Akito sembrava non riuscissero nemmeno a parlare, figuriamoci ad indovinare qualcosa.
“Avanti Sana è facile!” disse Fuka ridendo nel leggere la parola.
“Hayama se hai scritto qualcosa di osceno ti uccido!” si rivolse, finalmente, a lui.
“Oh, stai parlando con me? Allora esisto!” rispose lui fingendosi sorpreso. Che diavolo significava ‘io esisto’ ? Che pretendeva, che gli saltasse addosso? Ma che motivo aveva di comportarsi in quel modo? A volte proprio non lo capiva, era la persona più incomprensibile che lei avesse mai conosciuto. Ma, ai suoi occhi, era sempre stato tutto chiaro quando si trattava di Akito. Stavolta invece no, era diventato fin troppo complicato riuscire a comprendere ciò che le parole di Akito nascondevano.
“Dammi almeno un indizio.” Cercò di ignorare il pensiero che aveva appena formulato nella sua testa per concentrarsi sul gioco, indovinare e andarsene.
“E’ ciò che tu sei..” cercò di aiutarla lui. Ma Sana, come al solito, non ci arrivava. Allora cominciò a dire un sacco di aggettivi che credeva potessero descriverla.
“mmm.. ottusa, simpatica, ritardataria, incomprensibile” – momento, quello era Hayama, non lei – “sbadata, logorroica, gentile.. non lo so Hayama mi arrendo. “ Si staccò il post-it dalla fronte e, nello stesso momento in cui lei aveva letto ciò che Akito aveva scritto, quest’ultimo lo stava pronunciando a bassa voce.
“Mia.”
E, subito dopo si alzò indicandole la porta perché dovevano andarsene, insieme.
 
 
Lo so, come capitolo non è un granchè e giurò che vorrei crocifiggermi per il mio imperdonabile ritardo ma ho i miei buoni motivi per andare così lentamente, ve lo giuro. Ad ogni modo, ecco a voi la continuazione della mia storia che, presto, volgerà al termine. Infatti conto di fare uno, massimo due, capitoli per poi salutarvi e magari rivederci con un’altra storia che ho già in mente. JRingrazio infinitamente tutti coloro che leggono, seguono, mettono tra i preferiti e soprattutto RECENSISCONO la mia storia lasciandomi sempre a bocca aperta. State tranquilli: NON LASCERO’ MAI LA STORIA INCOMPIUTA. Vi prometto che la terminerò e che il finale sarà bello come ve lo aspettate!! Infine, mi piacerebbe dirvi che spero tanto non vi annoiate ad aspettarmi o a leggermi con così tanto ritardo: vi giuro che con i prossimi capitoli saprò ricompensarvi dell’attesa.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE.
Akura.

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Capitolo 12
*** Ti amo va bene uguale? ***


CAPITOLO 11.
TI AMO VA BENE UGUALE?

 
Era ora di ricominciare a respirare, lentamente, senza strappi al motore o curve azzardate. Senza troppi pensieri, in realtà. E l’unica domanda che riusciva a porsi mentre ordinava al suo petto di alzarsi e abbassarsi ritmicamente per incanalare più aria possibile era ‘che cosa sta succedendo?’ .
Sana stava facendo i conti con se stessa. Purtroppo però non avevano ancora inventato la calcolatrice giusta per trovare una soluzione ai suoi problemi e poi, si sa, non era mai stata un genio in matematica. Decise quindi che addizioni, sottrazioni e qualsiasi tipo di calcolo scientifico non dovevano importarle in quel momento. L’unica cosa che davvero contava era la mano di Hayama che le indicava il pianerottolo buio e, poi, la sua macchina. Lei, buona e zitta, aveva obbedito immediatamente quando il biondino le aveva praticamente ordinato di andare via con lui perché, a detta sua, dovevano parlare.
Quindi l’obiettivo era chiarire il loro rapporto e, ipoteticamente, tornare insieme. Gli obiettivi, per Sana, erano una delle poche cose veramente importanti nella vita. Bisogna darsene sempre qualcuno. Piccoli, concreti, reali. Ti fanno sentire vivo, ti salvano dai ricordi e ti mettono addosso la voglia di ricominciare.
Il problema, però, non era porsi degli obiettivi ma che fine facevano questi ultimi. Se, per esempio, lei avesse categoricamente deciso di non rivedere mai più Hayama e di dimenticarlo, sarebbe bastata una serata come quella per smontare ogni tentativo di farlo. Era matematico – un’altra volta ‘sta matematica – : per ogni volta che lei cercava di dimenticare, Akito, puntuale come un orologio svizzero, tornava. Lo stava a dimostrare la settimana di vacanza ormai lontana in cui c’aveva veramente provato ad allontanarlo ma lo aveva sempre trovato intorno. Vuoi per salvarla da uno stupro o da annegamento sicuro oppure ancora per litigare ma era sempre lì.
Erano seduti in macchina e attorno a loro l’unica luce proveniva dalle auto che arrivavano una dopo l’altra. Gli abbaglianti illuminavano i loro sguardi. Da una parte c’era Akito con la solita apparenza tranquilla e, dall’altra, c’era Sana con le mani sudate e tremanti e il cuore in tachicardia.
Nessuno dei due riusciva ad iniziare la conversazione che poteva avere due finali: distruttivo, ed entrambi non sarebbero tornati indietro facilmente, oppure risolutivo, e le questioni si sarebbero appianate con un semplice chiarimento. Ovviamente, conoscendosi tra di loro, sia Sana che Akito pensarono immediatamente alla prima ma da quella discussione sarebbe derivata la loro possibile felicità. Dovevano provare.
Akito iniziò a parlare di scatto, ponendole un quesito che di certo Sana non si sarebbe aspettata.
“Ti fidi di me?” chiese accendendo il motore mentre con gli occhi era fisso su di lei.
Silenzio. Nemmeno una mosca passò a fare un minimo rumore nel momento in cui Akito si era esposto così tanto. Ma doveva dargli una risposta e, così, lasciò che a parlare non fosse più la sua testa ma la sua anima. Era ovvio che si fidava di lui, probabilmente era l’unica persona su cui contava veramente e su cui avrebbe fatto affidamento per qualsiasi cosa.
“Si..” rispose flebile Sana abbassando lo sguardo.
A volte proprio non riusciva a reggere quei raggelanti occhi d’ambra che Akito le puntava addosso, erano quasi come coltelli che scrutavano ogni parte del suo essere. E lei aveva paura di essere messa a nudo, di essere vista per ciò che veramente era: non più la bambina prodigio del Giappone, non più l’attrice forte e consapevole di se stessa ma solamente la donna insicura del rapporto che il suo unico amore poteva assicurargli.
Di una cosa era certa, però, mentre Akito percorreva le strade di Tokyo per andare chissà dove: che lui era una persona degna di essere vissuta.
Sana aveva sempre avuto la paura di non riuscire a comprendere per chi valesse la pena lottare fino in fondo, per quelle persone di cui non puoi perderti proprio nulla, nemmeno un respiro. Sapeva, sicuramente, che Akito Hayama era una di queste.
“Dove stiamo andando?” azzardò a chiedere cercando di deglutire e di non fargli vedere che aveva la bocca secca come il deserto del Sahara. Era nervosa e quando si sentiva così il suo corpo non produceva più saliva, zero, niente, il nulla assoluto.
“Lo vedrai.”. Fece una curva, proseguì ancora per circa dieci minuti e, entrando in un vicoletto, si ritrovarono in una strada di campagna dove a far da padrone era un’enorme villetta gialla con i balconi pieni di fiori e la porta di legno. Sembrava una di quelle case da catalogo, le abitazioni standard da cui si prende spunto per creare la propria di casa.
Spense il motore, poggiò le mani sul volante e lasciò cadere la testa indietro sul sedile.
“E che ci facciamo qui?” chiese lei, non capendo davvero cosa c’entrasse quel posto con la loro possibile riappacificazione.
“ Quand’ero piccolo questa casa non esisteva, e qui c’era solo un terreno che, ai tempi, era adibito a parco giochi. Mio padre, all’età di tre anni, mi ci portava spesso. Probabilmente voleva stare fuori casa il più possibile per non avere il ricordo di mia madre sempre davanti..”.
Fece una pausa, si girò a guardare prima lei, dopo la casa per poi continuare a parlare.
“.. fatto sta che qui c’ho passato forse i momenti migliori della mia vita, prima di incontrarti. Ricordo che c’era uno scivolo, l’altalena e un cavalluccio a dondolo che credevo mi servisse per scappare e andare a catturare i cattivi. Poi ho capito che i cattivi me li ero creati io e che c’era qualcuno che sarebbe volentieri scappato con me. Ho capito che quel qualcuno eri tu, Kurata.. e non chiedermi quando o come l’ho capito. L’ho capito e basta.” Accennò un sorriso che Sana colse quasi come un segno di malinconia: ricordare gli aveva procurato dolore, addirittura si sentì in colpa. Non voleva vederlo soffrire, non per dare spiegazioni a lei.
“Questo posto poi è stato edificato e, come vedi, ci hanno costruito questa specie di casa della bambole formato extralarge. Ma io vengo spesso qui, quando voglio stare da solo o quando voglio riflettere. Fino all’altro giorno mi sono seduto su quella panchina laggiù..”. Sana seguì l’indice di Akito che indicava una piccola panchina in ferro, color verde, con la vernice tutta rovinata.
“ .. e ho pensato che vorrei vivere qui, un giorno. Magari dopo che mi sarò sposato, chissà.”
Bene, belle parole, meraviglioso ma.. cosa le stava dicendo? Non capiva, veramente, cercava in tutti i modi di scervellarsi ma non trovava una risposta.
“Quindi?” disse di colpo.
“Quindi l’altro giorno, ti dicevo, sono venuto qui e ho riflettuto. Ho pensato a tutto quello che abbiamo passato e sono arrivato alla conclusione che è inutile tentare di stare lontani, tanto in un modo o nell’altro saremo sempre legati..”. Posò lo sguardo nuovamente su di lei, che nello stesso momento l’aveva invece abbassato. Non era imbarazzata, non sembrava almeno.
Piuttosto era pensierosa: Akito che diceva tutte quelle cose nella stessa conversazione era sconvolgente, e non come al solito. Lei aveva sempre creduto che Hayama avesse un’idea tutta sua dell’amore.
Per lui l’amore era silenzio. Quando si ci ferma a guardarsi negli occhi, ad ascoltare le mani che si muovono in un’armonia perfetta, quando l’unico suono che conta è quello del proprio cuore che batte: una sinfonia.
L’amore per Hayama era un urlo senza rumore. E per lei invece? Per lei era sempre stato parlare e ancora parlare senza rendersi conto che le cose che provava poteva benissimo esprimerle in fatti. Si ritrovò a pensare, in quel momento, che la visione di Akito fosse la più giusta.
Stavolta però si era sforzato, ci aveva messo tutto se stesso in quelle parole, mettendo da parte ogni tipo di orgoglio o di paura.
Questo, forse, perché due come loro non avrebbero potuto farsi spaventare da qualche ostacolo, erano forti, ne avevano superate così tante che, anche se si fossero trovati sull’orlo di un precipizio, avrebbero trovato comunque il modo di tornare indietro e risolvere le cose.
Cercava di riordinare tutti i suoi pensieri e metterli in fila in una frase di senso compiuto ma con scarsi risultati.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, avrebbe voluto raccontargli di ciò che aveva provato la prima volta che lui l’aveva baciata, lì alla torre di Tokyo e al dolore provato quando aveva scelto Fuka piuttosto che lei.
Avrebbe voluto raccontargli del periodo buio che aveva passato senza di lui, si era sentita persa e incapace di dimenticarlo. Alla fine era proprio vero, come poteva dimenticarlo?
Era qualcosa di impossibile. Quante volte aveva maledetto il cielo in quel periodo?
Nemmeno le ricordava più. Aveva maledetto l’azzurro e quelle nuvole, pensando di aver sbagliato direzione nella sua vita. Avrebbe voluto picchiarlo per tutte le infinite volte che l’aveva fatta soffrire ma, guardandolo, l’unica cosa che riusciva a provare era gioia. Se Akito era presente, tutto era ok. Tutto si poteva risolvere.
“Non so che dire..” si limitò a pronunciare nel silenzio più totale.
“Basta qualcosa come.. ok.” Rispose lui, comprendendo che le sue parole l’avevano disorientata.
“Ti amo va bene uguale?” chiese gettandogli le braccia al collo e baciandolo con tutta la foga che aveva. Ma come aveva potuto pensare di vivere senza quella sensazione di bruciore che provava quando le loro labbra si toccavano? Davvero, Akito era una droga per lei. Come sarebbe riuscita a sopravvivere senza la sua dose giornaliera?
 

*

 
Visto da così vicino Akito era ancora più attraente di come non lo avesse mai visto prima. Era proprio vero che fare l’amore rende le persone più belle e Hayama confermava pienamente la regola.
Fare l’amore è bellissimo, si ritrovò a pensare. Se riesci a vibrare, se ti va il cuore in gola, se non capisci più dove sei e ti senti leggera. Fare l’amore per lei era perdersi, non capire se fuori è giorno o notte. Era naufragare senza salvagente, senza opporre resistenza. Ed era proprio così che si sentiva mentre Akito la accarezzava, mentre dolcemente la portava nella sua camera da letto.
Era tardi, di certo non gli era venuto in mente di tornare dai loro amici, ma ne erano certi: avrebbero capito.
Akito le accarezzava i capelli con una mano e con l’altra le sbottonava i jeans cercando di toglierglieli ma con scarsi risultati. Accorgendosene, lo aiutò Sana e in poco tempo si ritrovò nuda davanti a lui.
Adesso non c’era più nulla che gli impediva di amarsi. Niente problemi, orgoglio, incomprensioni. Niente di niente.
Sana unì le loro bocche in un bacio a fior di labbra e lo trascinò sul letto. Lì cominciò a baciargli il petto, per poi scendere fino ad arrivare alla cerniera dei jeans.
“Così non vale però..” disse sorridendo e tornando a baciarlo sulla bocca.
“Sei molto più bella così, lo sai?” ribattè Akito portandola sotto di lui così da poterla guardare meglio.
Cosa aveva potuto fare per meritarsi Sana? Se lo chiedeva spesso.
“Sssh..” lo zittì lei.
Akito sorrise. Era vero, non lo regalava spesso un sorriso, neppure a se stesso. Ma solamente perché lo considerava qualcosa da dare solo in modo speciale.
In quel momento ripercorse tutta la loro vita insieme.
Le promesse silenziose di un futuro da costruire insieme, le risate. Sapevano tutto loro, ridevano. E ancora, in quel momento, tutto quello non era cambiato.
Sapevano tutto: sapevano che, nonostante il loro passato, i momenti come quelli non potevano essere ignorati.
Lassù si arriva poche volte, ma quando succede è veramente una fortuna. Per loro era sempre stato difficile volare insieme, in equilibrio precario sul mondo che aveva sempre tentato di separarli. Era stato difficile, si. Ma era stata una difficoltà bellissima.
“Ti amo..” sussurrò nell’orecchio di Akito.
“Io di più..” rispose lui zittendola con l’ennesimo bacio.
 

*

 
“Nao.. io ti voglio bene, ma non ti amo.”
Stava ripercorrendo tutta la conversazione avuta con Sana nel momento in cui aveva deciso di troncare definitivamente il loro rapporto. Non voleva neppure più un’amicizia, aveva detto, perché poteva farlo soffrire ancora di più, lei lo sapeva. Certo, lo sapeva.
Lo sapeva bene, ovviamente. Akito le aveva fatto conoscere a fondo la sensazione che si provava nel non essere scelti, proprio quella volte in cui, tra le montagne, Naozumi si era ritrovato Sana a pezzi. Vuota.
“ Mi dispiace, ma avrei scelto sempre lui..”
BOOM. Ecco cosa dava più fastidio a Naozumi Kamura. Non era solo in quel momento che Sana lo sceglieva, no. Lo avrebbe scelto sempre. E tutto quello che aveva fatto per lei? Tutte le volte che gli aveva offerto tutto se stesso? Lui avrebbe sopperito alla mancanza di Hayama, ne era sicuro.
“Perdonami Nao…” .
E perdonarla per cosa? Per averlo lasciato? Loro non erano mai stati veramente insieme. Era stata tutta una finzione, sempre.
Ma lui se lo meritava? Cos’aveva fatto di male? Forse doveva solamente trovare qualcuno che l’amasse. E che anche lui amasse, ovviamente.
Sana Kurata gli aveva insegnato ad affrontare la vita con il sorriso.
“Qualunque cosa accada, devi sempre sorridere Nao! Non lasciarti mai abbattere!”gli aveva detto una volta.
Ma era possibile sorridere in un momento del genere? Forse non subito, forse nemmeno il giorno dopo.. ma col tempo le cose sarebbero migliorate. E lui avrebbe smesso di vedere tutto con l’unico obiettivo di averla. Non l’avrebbe avuta, mai più. Bastava accettarlo, no?
Si, accettarlo. Doveva accettarlo e tutto sarebbe andato nel verso giusto. Ma perché lui doveva rassegnarsi e quei due vivere una vita felice? Lui non era degno di essere felice?
 

*

Sana dormiva beatamente accanto a lui con i capelli scompigliati e un raggio di sole che le accarezzava il viso. Akito invece aveva visto l’alba per quanto si era svegliato presto.
Se all’età di undici anni gli avessero detto che si sarebbe ritrovato a condividere la sua vita con Sana Kurata, di certo, non ci avrebbe mai creduto. Non avrebbe nemmeno mai creduto a nessuna di tutte le difficoltà che avevano dovuto superare. Giocava col telecomando della tv e i suoi pensieri erano tranquilli, non aveva niente di cui preoccuparsi, niente da risolvere e, specialmente, nessuna Kurata da inseguire.
“Piccola ragazzina viziata!” pensò mentre la guardava fisso. Le spostò una ciocca di capelli; di solito Kurata odiava chi le toccava i capelli ma una volte gli aveva detto che, se era lui a farlo, non la infastidiva. C’erano tante cose che avevano vissuto insieme e tante altre ancora da vivere. Bel casino, in realtà.
La metà della sua vita l’aveva passata accanto a quella pazza scatenata che, a dirla tutta, la vita gliel’aveva cambiata completamente. Non si era mai pentito - e mai pensava di farlo -  di aver dato retto a quella bambina con le codine in testa e i movimenti buffi. Nemmeno una volta aveva pensato che la sua vita sarebbe stata migliore senza di lei perché, se davvero non l’avesse mai conosciuta, la sua intera esistenza avrebbe continuato ad essere grigia.
“Mmm..” . Stava cominciando a svegliarsi. Due secondi dopo, infatti, aprì lentamente gli occhi.
Si coprì il volto con le mani, imbarazzata.
“Mmmm.. dimmi che non mi stavi guardando dormire!” esordì lei ridendo e cercando di nascondersi mettendosi tutte le coperte sulla faccia.
Akito sorrise, era così dolce. Una bambina nell’animo, amava definirla.
“ In realtà si, ma se vuoi ti dico di no. Eri così carina con la bava, sai?” la canzonò lui.
A volte si chiedeva quando, esattamente, aveva capito di amarla. Cercava nei meandri dei suoi ricordi scavando nel tentativo di ricordarlo ma, in realtà, non c’era stato un momento preciso.
Era stato un attimo, così, passeggero ma significativo, che gli aveva fatto capire che era lei. Ne esistono pochi di attimi perfetti come quello, attimi in cui la vita comincia veramente a sorriderti e, se non a sorriderti, a comprenderti.
“Hayama sei sempre il solito!”. Gli fece una linguaccia, lo baciò leggermente sulla bocca e subito dopo lo buttò giù dal letto.
“Così impari a prendermi in giro.” Un’altra linguaccia e poi una corsa per tutta la casa in biancheria intima. Ridere.
Amarsi.
Era quella la loro vita.
 

*

*
  “ Mia cara Sana..”
Già l’inizio di quel messaggio stonava e anche tanto. ‘Mia’ .. ma no! Non era sua, non lo sarebbe mai stata! Ma quando l’avrebbe accettato?
“ .. è passato quasi un mese da quando ci siamo visti l’ultima volta. Ho trovato una nuova ragazza, sto bene, anche senza di te. Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto sopportare a causa mia, per questo vorrei chiederti di raggiungermi all’hotel Park Hyatt dove alloggio per adesso perché casa mia è in ristrutturazione. Vorrei tanto parlarti, e spiegarmi.
Spero che verrai, ti aspetto domani sera alle dieci.
Tuo, Naozumi.”
Un’altra volta! Tuo?! Ma quale suo? Lei non voleva che Naozumi fosse suo, ne tantomeno vederlo per chiarire chissà che.
Eppure avrebbe anche potuto sentire cosa aveva da dire e basta. E poi tanti saluti a tutti, no?
No.
Akito non gliel’avrebbe mai lasciato fare. Ma, teoricamente, Akito poteva anche non saperlo, no?
No.
Si.
Lei voleva bene a Naozumi, da sempre. Come poteva adesso negargli la possibilità di spiegarsi? Tante volte lui le aveva perdonato cose anche più gravi, che diritto aveva lei di essere così presuntuosa?
E poi la sua indole da inguaribile curiosa la spingeva a chiedersi ‘ma cosa vorrà dirmi ancora?’.
Prese il cellulare e rispose a Nao. La loro amicizia era forte, avrebbe resistito. Ed era vera, perché Akito avrebbe dovuto creare problemi? Lei non lo amava, non lo avrebbe mai amato. Ma gli voleva molto bene. Per cui, doveva parlarci.
Sarò lì alle dieci.. a domani Nao.
Nello stesso momento la porta di casa si aprì ed Akito le si presentò davanti con in mano una pizza stracondita, proprio come piaceva a lei.
“Cos’hai Kurata?” chiese interrogativo lui dopo averle schioccato un bacio a fior di labbra. Era strana, nervosa, non allegra come al solito. Negli occhi aveva una nota di nervosismo che lui non poteva ignorare.
“Niente Aki.. cosa dovrei avere?” rispose ancora più nervosa lei. Ricorreva sempre lo stesso paradosso: un’attrice incapace di mentire, era il colmo.
“Sicura?” insistette Akito sicuro di non essersi sbagliato.
“Certo Aki, sto bene!” disse prima di concentrarsi sulla sua fetta di pizza.
Doveva riuscire a resistere fino alla sera seguente quando, dopo aver chiarito con Naozumi, sarebbe tornata a casa e gli avrebbe raccontato tutto sorridendo. E lui sarebbe stato felice, ne era convinta.
O almeno, era quello che sperava.
 
 
 

Ecccccccomiiiii qua!!! Avete visto? Ho mantenuto la mia promessa e ho aggiornato prima questa volta e spero che questo capitolo, piuttosto introspettivo sia dalla parte di Sana e Akito sia da quella del povero Kamura che sta davvero perdendo la testa, vi piaccia perché a me è piaciuto tanto scriverlo.
Vorrei vedere un po’ più di recensioni, invitate lettori, fate un po’ di pubblicità (STO SCHERZANDO OVVIAMENTE AHAHAHHA). Non voglio pubblicità u.u
Vi ringrazio uno per uno per le recensioni, voi mi bastate veramente. Grazie sempre anche a coloro che rimangono fuori, ovvero che anche se non recensiscono hanno messo la storia tra le seguite, preferite, o ricordate. Spero che alla fine della storia queste persone mi lascino almeno una recensione per dirmi cosa pensano, mi piacerebbe tanto se lo faceste tutti!! J
Adesso vi lascio, ci rivediamo al prossimo che credo proprio sarà il penultimo o addirittura l'ultimo!! (MI VIENE QUASI DA PIANGERE A PENSARE CHE STA FINENDO T.T )
Ps: vi do qualche piccola anticipazione del prossimo che ho già tutto in testa e devo solo trascrivere al pc.
Ci sarà un colpo di scena assurdo che potreste anche immaginare, ma non così irruento. Spero che non capiate di cosa si tratta perché vi voglio tenere un po’ sulle spine u.u (visto che sono stata accusata, non da utenti di questo sito, di essere un po’ banale e scontata!) e poi perché è una cosa particolare che smuoverà l’apparente quiete di questa FINALMENTE felice coppietta.
Vi lascio, un bacione bellezze :*
 

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Capitolo 13
*** BOOM. ***


CAPITOLO 12.
BOOM.

 
Era arrivata all’albergo che Kamura le aveva indicato ed era incerta sul da farsi: entrare o no?
In realtà aveva considerato e analizzato tutte le opzioni una per una con una certa scrupolosità: poteva entrare e chiarire con Naozumi ma rischiare di rovinare tutto un’altra volta con Akito, oppure andarsene come se non avesse mai risposto a quel messaggio preservando il suo rapporto piuttosto che la sua amicizia. All’inizio aveva optato per la seconda, pensando che infondo Naozumi non era poi così essenziale nella sua vita ma, dopo un’attenta riflessione, aveva deciso che si sarebbe messa coraggio e sarebbe entrata a sentire ciò che Kamura aveva da dirle.
Un passo, poi un altro e si ritrovò nella hall a chiedere di Naozumi Kamura dicendo di essere Sana Kurata. L’impiegata non perse tempo e la fece salire immediatamente al quarto piano indicandole la camera 335 dove alloggiava Nao. Il cuore le batteva all’impazzata, non sapeva perché ma era come se quella chiacchierata potesse davvero cambiarle la vita da un momento all’altro. Che poi, perché preoccuparsi tanto? Sarebbe stata una semplice discussione tra amici che devono chiarire un paio di cose.
Fece un respiro profondo e bussò alla porta.
Ad aprirgli fu la cameriera- come si fa ad avere la colf privata anche in albergo?- che la portò subito alla stanza dov’era Naozumi. Se ne stava seduto di spalle a guardare la tv, circa 50 pollici, su un canale a lei sconosciuto. Guardò frettolosamente l’orologio e poi si girò a salutarla.
“Sei in ritardo Sana, sono le dieci e cinque.”  Disse freddo indicando la poltrona accanto alla sua invitandola a sedersi.
Fu sorpresa di ricevere quell’accoglienza. Si aspettava di vedere Nao un po’ più ospitale e felice di vederla, in fondo era stato proprio lui a chiederle di vedersi per chiarire. A volte quel ragazzo era un mistero, forse più fitto ancora di Akito, e non riusciva a comprendere perché fosse cambiato in modo così evidente. Naozumi non era così. Era un ragazzo meraviglioso, sensibile, sorridente.
Si ritrovò a chiedersi se fosse stata proprio lei a cambiarlo. Ma la risposta era fin troppo chiara per cercare anche solo di trovarla, era ovvio.
Si dispiacque di ciò ma che colpa ne aveva lei se non lo amava?
“Sono le dieci e cinque Nao, non fare l’esagerato!” cercò di smorzare la tensione lei affondando nella poltrona di pelle marrone.
“Non importa, volevo parlarti.”. Ecco, forse era proprio questo il problema: parlare. Che poi, pensandoci, cosa dovevano dirsi? Erano anni che si ripeteva meccanicamente la stessa scena: lei che lo rifiutava e lui che diceva di amarla. Era stanca di quella storia, era stanca di Naozumi.
“Dimmi..” disse flebile fissando il bracciolo della poltrona dove lui era seduta cercando di seguire la linea della cucitura della pelle.
Mentre era impegnata a far ciò, Naozumi cominciò a parlare.
“Sai Sana, a volte vorrei non averti mai conosciuto. Non perché io non ti ami, anzi ti amo più di prima, ma perché mi hai rovinato la vita.” Si bloccò e alzò il viso guardandola negli occhi. Gli stessi occhi marroni che non lo avevano lasciato in pace per anni, quegli stessi occhi che lo avevano tormentato per lunghe notti insonni in cui l’unico pensiero era lei. Non credeva si potesse amare qualcuno in tal senso e così tanto fin quando non aveva incontrato Sana e la sua vita era cambiata.
Annuì dicendogli di continuare e così fece.
“E tutto quello che ho sempre voluto è che tu fossi felice, ma con me. Non con quel burbero di Hayama. Tu lo sai che la tua felicità non è con lui, è con me!”.
Non doveva sentire altro, si alzò e scoppiò a ridere.
“Senti Nao, se mi hai fatto venire qui per tenere un comizio sulla mia relazione con Akito hai proprio sbagliato alla grande. Io torno a casa!” e fece per andarsene dirigendosi verso la porta della suite ma Naozumi la fermò tenendola per la mano e le disse nuovamente di sedersi.
“No, per favore, per favore Sana non andartene! Scusa, scusa, SCUSA!!!” e prese ad urlare e sbattersi le mani sul viso dimenandosi in maniera sconsiderata. La stava spaventando, e non poco.
“Nao, Nao calmo! Non me ne vado, rimango, tranquillo!” disse prendendogli le mani e fermandolo.
Naozumi sembrava impazzito, non era più lui ma chissà quale psicopatico che si era impossessato di lui.
Lo fece sedere sul divano e cercò di calmarlo. Dopo di che gli disse di dover andare in bagno, quindi si ci chiuse dentro e la prima cosa che fece fu chiamare Akito.
Uno squillo.
Rispondi.
Due squilli. Niente.
Rispondi Akito, ti prego, rispondi.
Tre squilli.
Quattro.
“Pronto?”. La voce di Hayama le sembrò ancora più bella di quanto non lo fosse sempre stata. La ascoltò per quel secondo come una benedizione venuta dal cielo.
“Akito, sono io!”. La sua di voce invece era preoccupata e Akito lo notò immediatamente.
“Che succede Sana?” disse alzandosi dal letto dove era sdraiato.
“Avevi ragione, avevi ragione su tutto. Su Naozumi, sul fatto che vuole farmi del male, su tutto!”. Anche Sana aveva preso a parlare a vanvera, forse presa dalla troppa paura.
“Sono all’hotel..”. Non potè nemmeno terminare la frase che, probabilmente, le avrebbe salvato la vita quando nello stesso momento, chi voleva comprometterla, era entrato nel bagno con in mano una pistola.
Alla vista di quell’arma il cuore le saltò in gola, come poteva voler farle del male? Se ostentava tutto quell’amore, se davvero era la persona più importante della sua vita come poteva desiderare che soffrisse?
Si dice che quando credi di essere in faccia alla morte ti passano davanti tutte le scene della tua vita, brutte o belle che siano, e anche a Sana successe. Non le sembrò affatto strano che, in tutte le scene, Akito compariva sempre e, analizzando bene la situazione, l’unico pensiero logico che in quel momento riuscì a formulare fu ‘Akito ti amo’ perché questo di logico non aveva nulla eppure era la sola cosa che il suo cervello produsse.
“Perché l’hai fatto?” prese ad urlare Naozumi, togliendole il cellulare dalle mani e portandoselo all’orecchio.
“Ciao ciao Hayama.” Disse con lo sguardo raggelato, forse dal dolore di averla comunque persa, e confuso.
Poi chiuse il telefono e Akito era solo un bel ricordo allora.
Senza Hayama la sua Sana sarebbe stata sicuramente meglio.
 

*

 

Per un millesimo di secondo gli era mancato il respiro. Per un millesimo di secondo non aveva avuto niente dentro, solo una sensazione di freddo e di vuoto. Tutto era vuoto.
Adesso capiva cosa si provava nell’avere paura.
Si buttò giù dal letto cercando di richiamare il cellulare di Sana ma quel bastardo lo lasciava squillare a vuoto, non aveva nemmeno il coraggio di rispondergli, codardo.
Sapeva che l’unico modo per avere Sana sarebbe stato ingannarlo e così, sicuramente, aveva fatto.
Cercò di tranquillizzarsi e, a mente lucida - se così poteva essere definita la sua – analizzò ogni singola parola che Sana aveva detto. Quella che gli saltò più all’attenzione fu ‘hotel’.
Fece mente locale su tutti gli hotel frequentati dalla sua ragazza ma di certo non poteva mettersi a girare tutta Tokyo in cerca di Sana, anche se l’avrebbe fatto.
Rovistò dovunque in cerca di un indizio, di qualsiasi cosa gli potesse dire dove era andata Sana.
Dopo dieci minuti ci aveva perso le speranze e tutto era tornato grigio come prima di conoscerla. Temeva di non rivederla mai più, aveva paura che una volta che l’aveva ritrovata le cose sarebbero state rovinate ugualmente, come stava appunto succedendo.
Cominciò a prendere a pugni tutto quello che gli capitava a tiro: il tavolo, la porta, il comodino di Sana dove stava appoggiata la sua agenda.
Ma certo! L’agenda! Sana appuntava tutti i suoi impegni lì, smemorata com’era se non li avesse scritti da qualche parte avrebbe certamente scordato anche un colloquio importante.
Aprì il quadernetto speranzoso di trovare qualcosa e, arrivato alla data del giorno, 12 maggio, vi trovò scritto “ Hotel Park Hyatt- Nao- 10 pm.”
Nemmeno il tempo di terminare di leggere che era già in macchina diretto verso le strade principali della città.
Naozumi Kamura aveva vita breve e, durante il tragitto, pensò almeno cinquecento modi per ucciderlo facendolo soffrire.
 

*

 

Se ne stava seduta su quel divano color caffè mentre Naozumi le passava continuamente davanti, sbraitando, urlando, agitandosi e muovendo quella maledetta pistola come fosse stato un giocattolo.
Si sentiva in trappola, nessuna via d’uscita le sembrò sicura da utilizzare e, certamente, non avrebbe potuto scappare, non voleva ritrovarsi un buco nel corpo causa proiettile di ferro.
Le lacrime le scendevano da sole, la paura l’aveva paralizzata, non riusciva più a muovere un muscolo. Si torturava il labbro inferiore a forza di morsi e avrebbe voluto staccarselo per sopperire al senso di angoscia che sentiva fino all’ultimo capello che aveva in testa.
Non aveva mai avuto particolarmente terrore di nessuno, era sempre riuscita a mettere a tacere la gente usando semplicemente le parole. Ma una pistola.. come poteva credere di convincerlo?!
“Sono.. sono molto dispiaciuto!!! Ma tu non hai capito, non hai mai capito nulla di me Sana. Mai!! Hai sempre scelto quel lurido di Hayama, ma perché mi fai questo?”. Anche lui piangeva, ma erano lacrime isteriche, non di paura né tantomeno di nervosismo. Era follia, pura follia.
La prima cosa che le venne in mente la sparò non riflettendo che, proprio quello, era il motivo per cui adesso Naozumi si trovava in quello stato.
“Io sono tua amica, io sarò sempre tua amica!!”.
Naozumi la guardò, Sana sembrò aver capito immediatamente che ciò che aveva detto era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
“Amici?! AMICI?! Sana, io sono innamorato di te!! Io ti amo, ti ho sempre amato!! Sei l’unica persona nella vita che io abbia amato!!” urlò Naozumi ormai in preda alla pazzia.
“E allora perché vuoi farmi del male?!” urlò anche lei indicando la pistola che Naozumi continuava ad agitare a destra e a manca.
Lui la guardò sbalordito, poi fissò la pistola e subito disse: “Questa? No, questa non è per te, è per me. Perché la mia vita senza di te non ha senso, se tu te ne vai, io m’ammazzo. Hai capito Sana? M’ammazzo!!!”
Prese l’arma e la puntò prima verso di lui e un secondo dopo verso Sana che, spaventata, aveva chiuso gli occhi.
Un brivido percorse la schiena di lei e la paura pervase il cuore di lui.
BOOM. E tutto era deciso. Un colpo e la sua vita stata stravolta.

*

 

“Naozumi Kamura, star internazionale, condannato per tentato omicidio e giudicato incapace di intendere e di volere. Che l’amore per la bella Kurata lo abbia fatto impazzire?! Poveretto, fatto sta che sentiremo parlare di lui per ancora molto tempo, almeno fino a quando l’uomo che ha ferito non riprenderà a pieno l’uso del braccio destro. Noi siamo qui, davanti all’ospedale dov’è ricoverato in attesa che Sana Kurata scenda. Per il momento è tutto, linea allo studio.”
 
“Ancora quei maledetti giornalisti.”. Spostò la tenda della stanza numero 6, dove aveva passato l’ultimo mese di vita, e si voltò a guardare il motivo della sua permanenza lì. Akito se ne stava seduto a letto, col braccio destro fasciato e gli occhi puntati su di lei. Quella sera la sua vita era cambiata, non c’è che dire.
Naozumi adesso si trovava in un carcere psichiatrico dove avrebbe trascorso i prossimo cinque anni, lei aveva passato giornate tremende accanto al letto di Akito col terrore di perderlo di nuovo, sebbene gli avessero detto che non era in pericolo di vita.
Il proiettile che lo aveva colpito alla spalla era rimasto dentro per almeno due giorni perché i medici non riuscivano ad estrarlo; questo aveva portato ad una serie di infezioni che, si pensava, potessero compromettere l’uso del braccio perché erano stati danneggiati dei nervi.
Per trenta giorni precisi, era il 12 giugno, aveva dormito su una sedia a sdraio accanto ad Akito che, puntualmente, le diceva di andare a casa a riposare e a cui lei, ancora più puntualmente, rispondeva di no. Non lo aveva lasciato solo nemmeno per un attimo.
“Mi dispiace se hanno strumentalizzato la cosa, ma sai come sono..”. Cercò una qualsiasi giustificazione del motivo per cui, ogni cosa che le accadeva, veniva magicamente sbattuta in prima pagina e per giorni e giorni si ritrovava paparazzi alle spalle. A volte era stanca di quella vita, avrebbe voluto abbandonare la sua carriera artistica ma era l’unica cosa, oltre ad Akito, che la appassionava.
“ Sta’ tranquilla Kurata, non me ne importa nulla.”. Si sistemò il cuscino e si mise comodo.
“Piuttosto..” continuò “ la vuoi fare una cosa davvero pazza?”
Aveva paura di ciò che le stava per proporre ma lo immaginava già.
“Dica, signor Hayama.” Scherzò lei.
“Fai l’amore con me, qui, in ospedale.” Ammiccò lui quasi ordinando glielo.
“ Ma sei pazzo? E se entra qualcuno?” chiese preoccupata e sorridente Sana. Sapeva già che avrebbe accettato, non riusciva mai a dire di no agli occhi ambrati di Akito.
“E allora chiudi a chiave la porta.. e poi me lo devi, ti ho salvato la vita.”. disse poggiando prima delicatamente e poi con foga la sua bocca su quella di Sana. La ragazza, ovviamente, rispose al bacio e gli cinse il collo con le braccia. Andò a chiudere la porta e tornò da lui con fare sensuale.
Gli si mise vicino, in piedi davanti al letto, e cominciò a baciarlo. Scostò le lenzuola e salì accavallando le gambe nude visto che aveva un vestitino abbastanza corto.
Alla vista di quelle, perfette, Akito non resistette e la tirò a se con tutta la forza che aveva.
Come poteva non amarla? Era impossibile.
Come poteva non amare i suoi occhi marroni, i suoi capelli che davano sul rosso, quelle gambe lunghe e meravigliose, il suo seno piccolo ma perfetto, quelle labbra che avrebbe baciato per il resto della sua vita.
Come poteva non desiderarla ogni giorno di più?
Non avrebbe mai creduto di poter provare tanto amore per qualcuno.
E, sicuramente, non lo avrebbe provato mai per nessun’ altra.
 
 
Eccomi!!!!!!! Okkei allora, premettendo che mi scuso per non aver risposto alle recensioni ma ho avuto un sacco di cose da fare tra interrogazioni di recupero (Ah, per la cronaca, odio la matematica :D ) e non sono riuscita a ritagliarmi cinque minuti per voi. Scusatemi davveroL
Pooooi, per quanto riguarda la storia vi informo che il prossimo sarà l’epilogo e finalmente (SOOOOOB) chiudiamo questa storia meravigliosa (non meravigliosa perché credo che lo sia ma meravigliosa perché ho amato scriverla alla follia!!!) e vi lascerò per un po’.
Ma, sapete, ho già un’altra ideuccia per un’altra bella storiella che credo di pubblicare molto presto.
Intanto vi lascio alle recensioni, per cui vi ringrazio sempre, e mi raccomando: LASCIATENE PIU CHE POTETE **
Un bacione graaande, Akura. :*

 

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Capitolo 14
*** Infinito abbraccio. ***


CAPITOLO 13.
INFINITO ABBRACCIO.
-Epilogo-
 

Si guardò allo specchio e cominciò a spazzolarsi i capelli lisci e bagnati. Li frizionò con l’asciugamano e cominciò ad asciugarli immediatamente. Ricordava che sua madre, da piccola, la sgridava spesso perché non voleva mai asciugarli e girava per casa con i capelli fradici rischiando, più di una volta, di beccarsi la febbre.
La porta del bagno si aprì ed Akito le cinse la vita da dietro avvolgendola in un abbraccio.
“Buonasera Kurata..” le sussurrò all’orecchio. Era appena tornato dalla palestra dove insegnava e si vedeva quanto fosse stanco. Quel lavoro gli portava via un sacco di tempo e non solo quello.
“Buonasera Hayama..” ricambiò il saluto lei girandosi per baciarlo. Gli cinse il collo con le braccia e poi si appoggiò al suo petto. Indossava una t-shirt che gli aveva regalato lei un Natale ormai passato da secoli.
“Ai..” si lamentò Akito con un espressione mista tra il fastidio e il dolore. Cosa diavolo nascondeva sotto quella maglietta azzurra? Spostò il colletto e vi trovò una garza che copriva la parte sottostante al collo, dove c’era la clavicola. Per un secondo rimase sbalordita nel vedere quella medicazione, che avesse fatto a botte?
“Che cosa hai combinato Hayama?” chiese preoccupata Sana cercando di staccare la garza dalla pelle.
“Kurata mi fai male, cosa non ti è chiaro?” rispose lui allontanandosi per evitare che gliela strappasse definitivamente.
“E tu dimmi cosa hai fatto!” insistette lei. Era proprio dotata di una cocciutaggine che nemmeno lui a volte sopportava.
“Un tatuaggio Kurata, un tatuaggio! Ok?!” disse infastidito da quelle infinite domande.
Un tatuaggio? E quando l’aveva fatto? Cosa si era tatuato? Perché non le aveva detto nulla?
“Fammi vedere!”. Spostò la garza mentre lui cercava, invano, di allontanarla.
Una S in corsivo. Si era tatuato l’iniziale del suo nome.
“ .. non serve un tatuaggio a rendere ufficiale il nostro rapporto.” Le aveva detto quando lei gliel’aveva proposto. Dapprima aveva pensato che non volesse fare un passo tanto azzardato per paura che divenisse un impegno troppo grande da sostenere e, addirittura, quando si erano lasciati, avrebbe voluto eliminarlo per sempre ed era stata d’accordo con lui: non avrebbe dovuto farlo. Lo aveva coperto per mesi col fondotinta più efficace del mondo, lo aveva sempre nascosto a tutti perché guardarlo ogni santo giorno faceva così male.
Adesso serviva quel tatuaggio? Lei era sicura di Akito, forse non lo era mai stata più di così.
Hayama continuava a stare in silenzio, lei a fissare quella lettera e ad accarezzargli la parte tatuata.
“Fai male..” esordì lui a spezzare il silenzio.
“Scusami..”. si limitò, invece, a dire Sana.
Non sapeva perché aveva reagito in quel modo, forse la paura che quel tatuaggio fosse un contentino e che non l’avesse fatto veramente col cuore.
Non capiva nemmeno perché in quel momento tutti i dubbi del mondo le si fossero infilati in testa ma c’erano, che poteva farci?
La cena fu gelida, entrambi mangiavano in silenzio e osservavano le mosse dell’altro. Sana si sentiva ridicola, perché si era comportata in quel modo? Infondo Akito aveva solamente voluto fare un gesto d’amore. A volte proprio non si capiva: cosa poteva desiderare di più? Nulla.. eppure qualcosa, quel pensiero assordante che non la faceva respirare era ancora lì. Sempre.
Ed era anche stupido porsi una domanda del genere perché conosceva fin troppo bene la risposta ma era lì, al centro della sua testa e non la lasciava vivere. Avrebbe dovuto smetterla con tutti quei dubbi, lui gliel’aveva dimostrato in tutti i modi possibili. Ma.. no, niente ma.
Quando finirono di cenare Sana sparecchiò la tavola e Akito si mise a fare i piatti come ogni sera. Non sapeva cosa fare: se avesse continuato quell’atteggiamento lo avrebbe ferito e, conoscendo Akito, la cosa comunque si sarebbe protratta per chissà quanto tempo. Se invece, avesse affrontato la questione si sarebbe scatenato il putiferio e Akito sarebbe andato su tutte le furie. In conclusione, si sentiva nella confusione totale.
Seduta nel divano lo osservava in piedi a lavare i piatti e rifletteva sul da farsi. Allora si alzò, si mise di fianco a lui e cominciò ad asciugare ciò che lui lavava. Dopo un piatto, una forchetta, una pirofila e un altro piatto finalmente trovò il coraggio di parlare.
“Quindi..?” chiese a voce bassa per paura di infastidirlo più di quanto già non lo avesse fatto.
Akito non distolse lo sguardo da ciò che stava facendo, continuò a lavare un contenitore dove poco prima avevano riposto una porzione di sushi avanzata dalla cena della sera prima.
“Quindi che?” si limitò a rispondere lui con gli occhi fissi sull’acqua che scorreva dal rubinetto. Era il suo tipico atteggiamento da offeso: non la guardava in faccia, non parlava nemmeno sotto tortura, e le rispondeva con quei monosillabi così arroganti e fastidiosi che.. no, un momento. Quello non era il suo atteggiamento da offeso: quello era Akito Hayama.
Adesso era tutto più chiaro: non c’era speranza.
“Dobbiamo continuare con questa situazione?” chiese decisa ad intraprendere il discorso Sana che, nel frattempo, aveva smesso di asciugare le stoviglie e si era messa tra lui e il lavandino per impedirgli di fissarlo e per far si che, almeno, la guardasse in faccia.
“Quale situazione? Mi sembra che sia tutto ok? No, non è tutto ok?”. Voleva essere pungente, antipatico e soprattutto sarcastico perché sapeva che Sana odiava il sarcasmo, specialmente quello immotivato.
“Quale situazione?! Questa! Ti sembra che io stia giocando?”. Cominciava già a scaldarsi più del dovuto e altrettanto fece lui.
“Io invece ho la faccia di uno che si fa un tatuaggio per sport!”. Ai, dolore, l’aveva colpita.
“Non ho mai detto questo!” rispose subito lei.
“Ma l’hai pensato! Senti Kurata, non ho voglia di parlarne, vado a letto!”. Chiuse l’acqua, si asciugò le mani e si diresse verso la stanza da letto.
Cinque minuti dopo lo seguì Sana, la discussione andava affrontata anche se significava litigare.
Inizialmente rimase in silenzio, lo guardava dall’altra parte della stanza intento a cercare una canottiera nel cassetto. Si avvicinò e lo abbracciò. Il cuore ormai aveva deciso di fare come gli pareva, le batteva così forte da sentirsi nel silenzio della stanza.
“Non credere che con questo risolvi tutto.” Tuonò Akito freddo e immobile.
Sana prese ad accarezzargli la schiena, gli prese la mano e la intrecciò con la sua; stava cercando di farsi perdonare, era ovvio, ma obbiettivamente non ci stava riuscendo. Akito se ne stava lì senza dire o fare nulla e Sana si sentiva ancora più in colpa.
“Avanti Hayama, perché fai così?” chiese lei mettendosi di fronte a lui.
“Io non faccio nulla Kurata, hai fatto tutto tu.”. Sembrava assolutamente convinto di ciò che diceva. Chiuse il cassetto e si mise a letto accendendo la tv.
Sana lo guardò e si stese a letto con lui continuando ad abbracciarlo.
“ Sei uno stupido Hayama, un enorme stupido.” Si sedette per guardarlo per poi continuare “ Credi che non sia contenta del tatuaggio? Certo che sono contenta, ma dovresti capirmi: vederlo così all’improvviso è stato.. strano! Ma questo non significa che non mi faccia piacere.”.
Detto ciò scoprì il suo di tatuaggio e glielo mostrò.
“Guarda. Lo vedi questo? Io l’ho fatto molto tempo prima di te e non perché volevo far vedere al mondo che ti amavo, ma perché lo sentivo io dentro che era così e volevo scrivermelo addosso per sempre. Tu quella volta hai detto che non serviva un tatuaggio per rendere ufficiale il nostro rapporto, ecco, io ho avuto paura. Paura che adesso servisse quando per me non è più così importante. Io non ho bisogno di quel tatuaggio per dire a tutti che ti amo, non ho bisogno di uno stupido tatuaggio per dirlo a te. Io ti amo e basta, non mi serve niente in più.”
Si alzò, indispettita, e andò in cucina a farsi un tè per calmarsi. Akito la seguì. Sembrava la serata degli inseguimenti.
La situazione si concluse con Akito che la abbracciava e lei che sorrideva. Non poteva immaginare momento migliore di quello. Ecco il suo destino.

*

Cercava di produrre un pensiero di senso compiuto mettendo insieme un soggetto, che era lei, un predicato, già lì le cose si mettevano male e, infine, un complemento oggetto che, ovviamente, era Akito.
Era lì, davanti ad un foglio bianco, in cerca di parole che potessero descrivere a pieno la sua storia con lui e tutto ciò che le veniva in mente era la parola ‘Sempre’.
Ma doveva mettersi d’impegno e scrivere la sua promessa, anche se non si aspettava di certo che Akito facesse altrettanto. Già lo immaginava a terminare il suo pensiero dicendo semplicemente ‘Ti amo Sana’ e sarebbe già stata fortunata così. Ma lo amava, con i suoi modi burberi come li definiva a suo tempo Naozumi.
Il suo vecchio amico non sarebbe stato presente alle sue nozze. Ancora, a volte, ci pensava e si sentiva anche in colpa al solo ricordare che tutta la vita di quel ragazzo era stata rovinata da lei.
Ma stava divagando, ovviamente. Stava cercando in tutti i modi di sottrarsi a quel compito arduo che quella cerimonia gli imponeva.
Poggiò la penna sul foglio bianco e cercò di descrivere a pieno tutto ciò che Akito rappresentava per lei. O meglio, di riassumerlo, perché se avesse dovuto veramente scrivere tutto ciò che era non sarebbero bastati venti fogli bianchi.
Questo aspetto della loro relazione le piaceva ancora dopo tanti anni. Era bello poter dire, a chi lo chiedeva, di essersi conosciuti alle elementari e innamorati immediatamente. C’erano stati momenti di crisi eppure ognuno di questi era stato superato nel migliore dei modi. Bastava guardarli adesso: dopo un anno e mezzo separati la loro vita era tornata normale.
 
“Non vorrei guastarti la festa ma non ci siamo sposati, perché devi prendermi in braccio per entrare in casa?”.
Akito aveva appena aperto la porta marrone che gli stava di fronte e si era poi diretto a prendere Sana tra le braccia per farla entrare. Era vero, non si erano sposati, ma era un po’ come se già lo fossero da sempre.
Dopo una giornata passata a girare per la città stavano tornando a casa. La loro casa.
La sollevò da terra e le mise il braccio sotto le gambe entrando in casa. Non sapeva perché lo stava facendo, la sua vena romantica d’un tratto era uscita fuori e inoltre dovevano festeggiare la fine di ogni problema.
I loro occhi puntati uno sull’altro con degli sguardi che avrebbero potuto bucare qualsiasi muro.
Loro erano così.
Non c’era barriera capace di danneggiare ciò che avevano perché quello era infinito e impossibile da corrodere. Avrebbero potuto litigare all’impazzata, rincorrersi e gridarsi dietro ma tutto quello che poi rimaneva era amore. Fine.
La mise giù, si mise in ginocchio e, emozionatissimo ma con la facciata solita da duro, le aprì una scatoletta rossa davanti agli occhi.
Una lacrima, una domanda e una risposta. Così avrebbe dovuto essere, tradizionalmente.
“Vuoi sposarmi?”
“Come potrei dire di no?”
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda. Vuoi sposarmi?”
“Dovrei pensarci, ti farò contattare dal mio agente!” scherzò lei prima di farlo alzare da terra e di baciarlo.
“Si si si si si! Cento volte si!”rispose infine.
Ecco, loro erano così.
Altro che lacrima, domanda e risposta.
Loro erano domande e mai nessuna risposta udibile a tutti. Loro erano fatti di risposte silenziose.

  *

  
La guardava camminare vestita di bianco verso l’altare dove lui l’aspettava.
Continuava a guardarla e l’unica cosa che pensava era ‘ E’ mia. ’. E non era un possesso negativo, era semplicemente sinonimo di appartenenza, di amore, di gelosia, di voglia di stare insieme, di un’infinita vita da passare insieme.
E proprio quel momento stava per sancire questo legame eterno che li avrebbe indissolubilmente legati per sempre.
Doveva ammetterlo: lui non era tipo da matrimonio, odiava ogni tipo di ufficializzazione perché superflue, ma per Sana era importante e anche per lui stava cominciando ad esserlo.
In appena cinque mesi erano riusciti ad organizzare un matrimonio perfetto.
Era il 24 dicembre, data scelta da loro, il giorno di metà compleanno.
Sana avanzava e il suo cuore batteva. Senza la musica sicuramente qualcuno lo avrebbe sentito.
Eccola, la sua mano stava toccando quella di lei. Sfiorava la sua pelle delicata e rabbrividiva al pensiero che avrebbe potuto averla per il resto della sua vita. Quale altro uomo sarebbe stato così fortunato?
 
 

*
 

“Sana, leggici la tua promessa di matrimonio per favore” aveva esordito il prete dopo circa un quarto d’ora di cerimonia. Ma come, così poco? E poi così, davanti a tutti?
Cercò di calmarsi e di mettere da parte la paura. Fuka, la sua testimone, le passò un foglio e prese a leggere, emozionata, ciò che aveva scritto.
Se dovessi descrivere la nostra storia avrei così tante parole da usare. La prima che mi viene in mente, forse, è la parola ‘complicata’ , perché noi lo siamo e non poco, lo sai bene.
Alzò lo sguardo e lui la fissava sorridente, non l’aveva mai visto così bello probabilmente.
Vorrei riuscire a dirti tante cose: la prima è che ti amo. Facile, dirai tu, ma se sapessi la guerra che mi si scatena dentro ogni volta che ci penso cambieresti idea di certo. Mi piacerebbe raccontarti come mi sono sentita la prima volta che ho capito d’amarti, quando ancora non sapevo nemmeno cosa fosse l’amore. Ti ho guardato e tutto mi fu chiaro: eri tu. Nonostante tutto, nonostante tutti, eri tu. Eri tu e lo sei ancora. Vorrei dirti che ogni volta che cerco il tuo sguardo mi sento morire e che quando poi lo trovo mi sento ancora peggio. E solo ora capisco quanto è vera la frase che dice ‘Conoscerai tanta gente nel corso della tua vita ma solo una te la cambierà per sempre.’. Solo oggi, in questo momento, comprendo che ciò che ho sempre voluto è proprio questo: averti per sempre. Consapevole della scelta che sto prendendo io mi impegno a conservare questo nostro amore fin quando le forze me lo permetteranno. Vorrei mostrarti, infine, i miei occhi quando guardano te e voglio che tu mi ricordi sempre così, con lo sguardo della donna pazzamente innamorata di te da sempre. Da sempre e per sempre.”
 

Chiuse il foglietto e lo diede nuovamente a Fuka. Si asciugò la lacrima che stava per scendere sulla guancia e tornò a tenergli le mani.
Lui le sorrideva incantato, aveva ascoltato quelle parole con gli occhi sempre fissi su di lei e Tsuyoshi gli stava passando il suo fogliettino con la sua promessa. Raramente sorrise.
Si schiarì la voce tremante, guardò negli occhi Sana e poi cominciò a leggere.
Non sono bravo con le parole, mi conosci, ma ho cercato in tutti i modi di sforzarmi per scrivere tutto quello che penso. Sono sempre stato una persona complicata, sin da piccolo.”
Natsumi e suo padre si guardarono abbassando poi lo sguardo.
La mia vita era un continuo disordine, e tutto quello che mi circondava era vuoto. Poi, un giorno di molto tempo fa, sei arrivata tu con i codini da bambina e le gonne di colori assurdi. Tu mi hai aiutato. Mi sei stata vicina in momenti in cui nessuno c’era o voleva esserci e per questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Di brutti periodi ne abbiamo passati un’infinità, e ancora sicuramente ne avremo da passare, ma so che li supereremo. Perché noi siamo il ‘nonostante’. Nonostante tutto, tra dieci, venti, trent’anni saremo ancora qui, lo so per certo. Ti amo ragazzina egoista.
Ripassò il foglietto a Tsuyoshi, guardò Sana e la trovò in lacrime.
Conosceva quella ragazzina, piangeva per qualsiasi cosa, e si aspettava anche che avrebbe pianto durante il matrimonio.
Rise.
“Puoi baciare la sposa.” Disse il sacerdote.
Si baciarono. Fu forse il bacio più bello di tutta la loro vita.

*

 
Cara mamma,
ho appena letto la tua e-mail e ti rispondo subito per non dimenticarmene. Qui va tutto bene, Akito continua a sistemare la nuova palestra e io sono sempre più felice. Davvero mamma, la mia vita va a gonfie vele e non credo che avrei mai potuto ricevere regalo migliore. A te invece come va? Hisaki sta bene? Sai ancora non riesco a crederci che tu abbia trovato un compagno, mi sembra così strano. Sono contenta però.. davvero! Bene mamma, ora ti lascio, tra un po’ tornerà Akito e se mi trova al pc mi fucila. Non so perché si è messo in testa che le onde magnetiche che rilascia questo aggeggio possano farmi male. Ah, uomini troppo apprensivi!
Ti voglio bene, Sana
.”
 
Chiuse il computer e si alzò con fatica dalla sedia, i chili presi si facevano sentire.
Sentì la serratura della porta aprirsi e si affrettò a iniziare a cucinare, cosa che Akito le aveva categoricamente proibito. Ti stancherai Kurata, siediti! Le diceva ogni volta.
Quella parte di Akito, tutto sommato, le piaceva. La trattava come una regina.
Aprì la porta della cucina e, prima ancora di salutare lei, si calò a baciare la sua pancia rotonda.
Sana sorrise, lo baciò, e poi cominciò a rimproverarlo.
“Grazie Akito, devo dire che mi tieni molto in considerazione.” Disse scherzando.
Akito sorrise. “Sai Sana, fin quando non nascerà mio figlio tu sarai indispensabile, dopo di che potrai anche andartene!”.
“Figlio, figlia, chi può saperlo!” rispose lei facendogli la linguaccia.
“Figlio o figlia non ha importanza. Basta che stia bene e che sia tutto la mamma!”. Le stampò un bacio sulle labbra e poi le tolse delicatamente la pentola dalle mani intimandole di andarsi a sedere sul divano.
“Ci penso io donna gravida, tu vai a sederti!” le ordinò.
“Ma dai Akito, non sto mica morendo, sono solo incinta!” disse dirigendosi verso il divano rosso della cucina.
“Appunto, sei incinta.” Rispose fermo lui.
Erano meravigliosi dopo tutto. Ed erano una famiglia, cosa importava di più?
 

*

“Mamma, papà!! Papà svegliati!!”
Era domenica mattina, erano le sette in punto. Quella bambina sembrava avere la sveglia biologica fin troppo diversa da quella della madre.
Akito si girò, aprì gli occhi e ritrovò quella bellezza davanti a lui. Era meravigliosa la sua bambina. Non sapeva nemmeno come fosse potuta essere così bella.
Sana ancora dormiva, comprensibile, dormigliona com’era.
La guardava dormire e vedeva in lei tutto l’amore che, dopo tutta la vita, non accennava a scemare. Era la sua metà.
Poi guardò Koharu e vide la medesima cosa. Amore.
Avevano scelto quel nome perché la madre di Akito si chiamava così. Era stata Sana a proporlo e lui si era sentito subito scoppiare il cuore; ovviamente non lo diede a vedere e rispose con il suo solito ‘Non mi dispiace’ ma dentro aveva una rivoluzione.
“Kohi, smettila! Sveglierai la mamma..!”.
Ma Sana era perfettamente sveglia, se la rideva sotto le coperte.
“Papi, lo sai che la mamma è sveglia e fa finta. Ora le faccio vedere io.”
La bambina cominciò a solleticarla e Sana balzò subito in piedi ridendo.
“Hai visto?!” disse rivolta verso suo padre.
“Ah si?! Bene, piccoletta, a noi due!!” disse Sana buttandosi di nuovo nel letto e prendendo Koharu per farle il solletico.
“Papiiii, aiuto!” implorò la bimba.
“No no, adesso te la vedi col nemico!” e le lasciò in camera da letto a giocare mentre lui si apprestava a fare il caffè.
Quelle due continuarono a ridere e farsi il solletico per almeno un’oretta.
Poi verso le dieci uscirono e andarono al parco; lì Koharu incontrò un suo compagnetto di scuola.
Litigavano sempre animatamente però non si staccavano mai.
Sana e Akito li osservavano divertiti, rivedendo in quei bambini il loro inizio.
“Mia figlia è troppo piccola per avere un fidanzato!” disse Akito geloso di sua figlia.
Sana sorrise e lo abbracciò.
“Sta’ zitto, paparino. Siamo cresciuti, vero? Abbiamo una figlia e, tra parentesi, voglio un bambino, e addirittura lei già sta iniziando ad avere i primi fidanzatini. Siamo diventati grandi. Tu mi ami ancora, vero Hayama?”
“No signora Hayama, io non ti amo. Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.” E si baciarono nuovamente, sicuri che i prossimi autunni, primavere, estate e inverni li avrebbero passati insieme come in quel momento, stretti in un infinito abbraccio.
 
 
Ed ecco conclusa la mia storiella!!! FINALMENTE aggiungerei!!!
Spero che l’ultimo capitolo vi piaccia, e comincio con i ringraziamenti.
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E infine ringrazio, in particolar modo, tutti coloro che hanno recensito e letto passo passo la mia storia! Grazie a tutti, ci vediamo presto con una nuova fan fiction!! :D
Baci, Akura.
<3

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