Soul Calibur - Between Heaven & Hell

di Vergil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Path of sword ***
Capitolo 2: *** Wrath of gods ***
Capitolo 3: *** Death & Rebirth ***



Capitolo 1
*** Path of sword ***


Soul Calibur
Between Heaven and Hell


“Transending history and the world, a tale of souls and swords... eternally retold.” (Anonimo)


Mitsurugi rivolse lo sguardo al mattino e sorrise orgoglioso allo splendore dei rosei petali di ciliegio.
Anche nella terra dell’estremo oriente era tornata la primavera, la stagione del silenzio e della più pura e dolce armonia, in cui uomini e natura mettevano a confronto le proprie arti e raggiungevano insieme la perfezione in ogni gesto e profondo sospiro.
Sotto il limpido cielo che si stagliava oltre il mare e i monti, il samurai Heishiro chiuse gli occhi e lasciò che il suo spirito potesse abbracciare il sussurro del vento fra i petali e i pini della foresta, potesse in qualche modo divenire parte della pace della natura e liberarsi da qualunque emozione. Il sole non gli nascose alcun particolare di quel meraviglioso quadro che si presentava davanti ai suoi occhi, ma gli mostrò ogni fiore, frutto, petalo, ogni singola goccia di rugiada, quasi fosse un segno di rispetto e lealtà da parte della natura al soldato. Occhi scuri e profondi, lunghi capelli lisci come la seta e neri come l’ala di un corvo legati in un'unica coda di cavallo, la fronte accarezzata da sottili ciocche più corte, il giovane e bellissimo volto attorniato da una rada barba e quello stesso sorriso che ogni samurai doveva sempre rivolgere a chiunque, dall’amato compagno d’esercito all’odiato nemico di guerra, dal sorso di una tazza di tè all’impugnare la spada, un samurai doveva sempre trovare l’assoluta tranquillità in se stesso e mostrarsi al mondo, proprio come la primavera attorno a lui, kimono e armatura uniti intimamente ai possenti muscoli del samurai, robusti sandali di cuoio e bambù ai piedi e candide fasciature alle mani, nel fodero alla cintura, una lunga e mortale lama giapponese dalla preziosa e raffinata impugnatura decorata con eleganti motivi e antichi simboli orientali.
Lontani ricordi di ciò che era accaduto in quella nazione, lacerata dalla guerra quattro anni prima, nel triste 1860, memorie grondanti di sangue e lacrime, rovine e mattoni sparsi come pezzi di vetro colpito dal sasso di un dispettoso ragazzino, e questo sasso non era stato altro che l’avidità di uomini nelle cui mani scivolavano le gocce di pioggia della vita umana, e vi giocavano senza alcun criterio o giudizio, come la vita dell’ultimo vero imperatore, che Mitsurugi non era riuscito a proteggere.
Il samurai non si sarebbe mai perdonato un simile e disonorevole fallimento, non si sentiva più degno d’impugnare quella spada, e dopo che finalmente la guerra era finita aveva cercato di togliersi la vita, e non solo per sfuggire agli atroci incubi che al tramonto calavano su di lui come il torpore sui suoi muscoli. Ma per quanto i suoi occhi desiderassero non contemplare più quei fiori dai petali così perfetti e delicati, per quanto le sue orecchie non volessero più percepire il canto del vento sui campi e fra le fronde dei ciliegi, Mitsurugi continuava a vivere, rivedendo nel viso della delicata principessa al trono di Tokyo quello levigato dal XIX secolo del sovrano a cui lui aveva promesso la vita. Non c’era pace nel cuore duro come l’acciaio del soldato, scalfito e scheggiato da irreparabili ferite troppo profonde, vecchie cicatrici di guerra che nell’autunno si erano collezionate al suolo come foglie e fiori appassiti, una dopo l’altra.
Sin da quando aveva cominciato l’interminabile ed onorevole via della spada, Heishiro sapeva bene quello a cui sarebbe andato incontro, aveva temprato fisico, anima e polmoni ad ogni fatica pur di raggiungere la perfetta armonia dell’arte e dell’uomo, ma non aveva mai pensato che il suo cammino potesse imbattersi nel fascino irresistibile di una donna, una donna bellissima, reclamata dal desiderio di chiunque l’avesse vista. Riaprendo gli occhi, il soldato intravide fra i petali nell’aria un lungo e sottile kimono, roseo come i fiori e delicato come la brezza fra i campi. Capelli lisci e mori come i suoi, elegantemente sostenuti da un fermaglio dietro la nuca, occhi azzurri e sfuggevoli, labbra carnose e leggermente inarcate in un lieve sorriso, profumato e saporito più della primavera. Un prezioso ombrello dal manico di ciliegio ben lavorato e decorato.
Sotto a quello sguardo così dolce e misterioso, nessuno avrebbe potuto immaginare che si celasse un’assassina abile nell’uccidere quanto nel dimenticare gli orribili crimini di cui la sua spada si macchiava, la spada che tuttavia reclamava il sangue di un solo samurai, del più degno, del soldato che ora la vedeva camminare come un candido fantasma fra gli alberi e sussultava per lei.
I due si erano incontrati, guardati negli occhi, avevano impugnato le spade e combattuto un prodigioso duello, che aveva visto Mitsurugi provare emozioni che mai in nessun altro avversario aveva saputo trovare, era rimasto stupefatto dall’esperienza che quell’assassina portava sulla propria lama, l’unica vera spadaccina che era riuscito a piegarlo e trascinarlo sul ciglio della morte. Heishiro era miracolosamente sopravvissuto, e prima che le ultime forze lo abbandonassero, aveva riafferrato la spada e portato a termine il duello, disarmando la donna e puntandole la spada alla gola.
Aveva cercato di ucciderlo, aveva cercato di spezzare le fondamenta di Tokyo e velare con il sorriso della seduzione il Giappone, una pericolosissima criminale che solo la morte avrebbe potuto privarla di quell’insaziabile sete di vendetta.
Allora perché lui, Heishiro Mitsurugi, generale dell’armata imperiale di Tokyo ed eroe custode del Giappone, nelle cui mani la nazione aveva riposto il proprio destino, l’aveva risparmiata? Perché lui, quando aveva avuto l’occasione di porre fine per sempre alle sofferenze del suo popolo, aveva dubitato, sussultato e allontanato lo sguardo, abbassando la spada? Perché si era voltato e, balbettante come una giovane e timida recluta, l’aveva implorata di rialzarsi, fuggire prima che la fine spegnesse in lei la sensuale bellezza?
“Vattene, Setsuka... alzati, prendi la tua spada e fuggi di qui... prima che sia troppo tardi. Non posso proteggerti. Scappa finché sei in tempo.” Aveva detto. Mitsurugi non conosceva la risposta, o meglio, era dentro di lui, ove lui poteva sentirla e assaporarla, ma non vederla, perché come poteva lui capire qualcosa che mai aveva incontrato fra il sudore degli allenamenti e il respiro ansimante di un compagno spaventato in trincea? Mai una volta Heishiro aveva provato angoscia o nostalgia, ne aveva mai versato una lacrima per la scomparsa delle persone a lui care, ilo Bushido gli aveva insegnato ad essere senza forma ed emozioni, limpido e puro come l’acqua, ad essere ardente e inarrestabile come il fuoco davanti al nemico e sfuggevole e distaccato come il vento agli occhi dell’amore.
Peccato che, questa volta, fosse stato proprio l’amore a sorridergli e ad allontanarsi dispettosamente. L’aveva rincorso ovunque, ma nemmeno il suo passo veloce e sicuro da soldato era riuscito a raggiungerlo.
“Setsuka-sama....” Sussurrò turbato il samurai, osservando il volto della principessa nella natura, che, lentamente, diveniva sempre più nitido, sino a scomparire. “Setsuka-sama!” Gridò, mentre si lanciava di corsa verso i petali alla ricerca dell’assassina, di cui non rimaneva altro che il ricordo. Si voltò più volte, ma vide solo una perfezione che non riusciva più a sposarsi con lui.
L’aveva cercata ovunque, aveva visitato sino all’ultima casa di campagna della periferia del Kanto, a chiunque passasse aveva domandato di Setsuka, la cui descrizione pareva sempre vaga e superficiale, ad eccezione della bellezza che il samurai esaltava con tanta passione, la bellezza che strappava al mattino lo splendore dell’aurora e al tramonto il chiaro di luna.
Non soddisfatto, aveva lasciato Tokyo ed aveva percorso l’intero paese alla sua ricerca, di città in città, di giorno in giorno. Aveva abbandonato la via della spada e tradito l’onore dei samurai per lei, ingannato e mentito ai compagni e mancato ai doveri affidatigli dalla principessa Kaguyuki sua signora, e per quanto Setsuka fosse distante da lui, egli correva più veloce, sostenuto da quel fievole barlume di speranza a cui si aggrappano i folli d’amore. Asciugandosi le lacrime e resistendo ad uno sconosciuto dolore ben peggiore dell’acciaio della carne che gli trafiggeva il cuore, Mitsurugi continuava a cercarla, sognando come uno stupido ad occhi aperti Non si era mai sentito così debole e sperduto, non sentiva più lo spirito indomito e orgoglioso da guerriero invadergli il corpo, era solo un uomo che aveva tentato di allontanarsi dalla propria natura e che al primo ostacolo era caduto, incapace di rialzarsi. Heishiro non era mai più riuscito a rialzarsi, non aveva nemmeno cercato di dimenticare, ormai aveva trovato qualcosa che il Bushido non avrebbe mai potuto dargli, qualcosa che doveva conoscere e vivere a tutti i costi.
Dovevano ormai essere le undici. Aveva lasciato alle prime luci dell’alba casa sua per giungere a villa Jyurakudai, il vecchio santuario che si ergeva alle sue spalle, davanti al quale lui e lei avevano combattuto. Nell’osservare l’antico edificio, Mitsurugi sentì il desiderio incrementarsi e divenire sempre più forte, quel duello gli aveva cambiato la vita, quella donna gli aveva cambiato la vita. Gli bastava richiudere gli occhi per rivedere tutti i particolari di quella notte, poteva rivedere la falce di luna scomparire fra i lampi e le gocce di pioggia, in ognuna delle quali si rifletteva l’immagine di Setsuka, poteva rivedere ogni momento in cui le loro spade si erano incrociate, sentire lo stridio dello scontro fra acciai e il ticchettio della pioggia.
Ma ormai era tempo di tornare a Tokyo, a mezzogiorno ci sarebbe stato l’incontro ufficiale di tutti i samurai a palazzo con l’imperatrice.

Tokyo era ora più potente e prosperosa che mai, dopo l’ultima guerra, il Giappone aveva conciliato tradizione e modernità nel migliore dei modi.
“Il Giappone deve evolversi, è una nazione indipendente, forte e moderna, ed è giusto che la tecnologia e la scienza conoscano il successo che hanno conosciuto in Occidente... ma non possiamo dimenticare chi siamo, la tradizione e la storia del nostro paese sono il cuore che batte in noi ed è sulla via del samurai, sul Bushido, sui suoi valori etici e morali che fonderemo il nostro futuro.” Aveva pronunciato Kaguyuki al mondo, mentre il XIX secolo proseguiva verso la sua fine.
Una volta nel campo d’addestramento militare, Mitsurugi rivide i compagni, alcuni si esercitavano con perseveranza nell’uso della spada, altri si riposavano, sorseggiando buon sake e chiacchierando fra loro, altri meditavano silenziosi in ginocchio ed altri mettevano in pratica le armi da fuoco. Heishiro non riuscì vederli, gli occhi rivolti alla lontana assassina.
Si ritirò nella propria stanza e si sedette a gambe incrociate di fianco al materasso steso a terra, stanco di una nuova stanchezza, quando qualcosa di sconvolgente attraversò la sua mente. Spalancando gli occhi, alzò il capo ed annusò profondamente l’aria: conosceva quel profumo.
“Sayonara... samurai...” Aveva detto Setsuka svanendo in quella notte di pioggia.
Era il suo profumo. Gli sembrò incredibile crederlo, ma non c’era altra soluzione: lei era stata lì, fra quelle quattro strette mura.
Alzandosi di scatto, iniziò a guardarsi attorno, quasi cercasse una sua traccia sui vecchi e umili mobili di legno che l’arredavano. E la trovò.
“Setsuka-sama... allora voi siete stata veramente qui...” Pensò, mentre sentiva la speranza illuminarlo sempre di più. Fra le mani tremanti, stringeva una bianca pergamena, alla cui cima era scritto il nome della donna. Iniziò a leggere:

“Heishiro Mitsurugi-san... quanto tempo è passato da quel giorno a Tokyo? Quattro anni?
La mia memoria stenta a ricordare, mi pare sia passata una vita intera... una vita intera senza di voi. Vi sembrerò confusa e in difficoltà nello scrivervi queste righe, ma non potevo non farlo, visto che, fino ad oggi, non ci siamo visti che come nemici.
Sin dal nostro primo incontro non avevo provato altro che odio profondo e scellerato nei vostri confronti, desideravo la vostra morte più di qualunque altra cosa, e volevo umiliarvi, affrontarvi apertamente da soldata e sconfiggervi in un leale duello, ma, dopo che ci fummo affrontati a villa Jyurakudai, non fui più sicura del mio odio per voi. Desideravo ancora combattervi e vincervi, ma non come prima, era diventata una semplice questione di principio, un obbiettivo come un altro che mi ero posta come fine da raggiungere, ma senza alcuna vera motivazione o ragione che mi spingesse a compierlo.
Voi mi avete cambiato la vita, non avrei mai pensato che qualcuno potesse battermi in duello e, soprattutto, far tremare il mio petto da emozioni che non avevo mai provato prima. In questo tempo vi ho osservato da lontano e ho visto come voi siate caduto preda di un qualcosa che noi samurai non riconosciamo... mi avete cercata e inseguita troppo a lungo.
Non conosco il corso del destino della nostra esistenza e ciò che porterà il domani, ma voglio almeno rivedervi un’ultima volta, al tramonto, sul ponte a ovest della città, solo io e voi.”

Mitsurugi terminò la lettura e, ansimante, ripiegò con cura la pergamena, posandola sul basso tavolino di legno ai suoi piedi. Sarebbe stato difficile attendere sino al calare del sole.
Tre sonori colpi alla porta lo sollevarono dai pensieri.
“Generale Mitsurugi-san. E’ giunta l’ora del saluto all’imperatrice. Vi attendiamo assieme al resto dell’esercito davanti alle porte imperiali.” Disse uno dei suoi compagni, mentre se ne andava di corsa dopo aver bussato.
“Subito, soldato. Sarò là immediatamente.” Replicò prontamente Mitsurugi, mentre lanciava un ultimo sguardo alla pergamena e lasciava la stanza della caserma. Con passo veloce e sicuro, ma cuore titubante e incerto in petto, spada al fianco e sguardo fiero verso il trono, Mitsurugi raggiunse il campo illuminato dal mezzogiorno, ove l’attendevano allineati con rispetto nei confronti del loro leader più di centomila samurai, le antiche e valorose armature, i vecchi e spessi kimono grigi lacerati da tempo e guerra, spada e pugnale alla cintura, i lunghi capelli legati dietro la testa.
“Mitsurugi-sama...”
“Generale...”
"Mitsurugi-sama...” “Generale Mitsurugi...”
“Generale...”
Ciascuno di loro, nel vedere arrivare il proprio compagno, mormorò fra sé queste parole e lo salutò con un fievole inchino.
Con un debole accenno con il capo, Heishiro ricambiò i saluti e giunse in prima fila. Davanti all’intero esercito, ai piedi del trono, lei, la dea legame degli uomini fra cielo e terra, sorrideva, guardando i fedeli seguaci del Bushido con dolcezza e bontà. Indossava un preziosissimo kimono tradizionale, e anche lei, al fianco, portava una lunga lama giapponese, della quale conosceva ogni tecnica e segreto.
Quando Heishiro ebbe raggiunto la sua posizione, Kaguyuki abbassò lo sguardo, intimidita per un attimo dall’orgoglio di quegli occhi che le avevano rapito il cuore. Ultimamente non erano stati molto forti e sereni i rapporti fra il generale e la principessa, così come non lo erano stati fra lui e i suoi compagni.
Tutti loro si erano accorti che qualcosa non andava in lui, che qualcosa d’inspiegabile aveva privato il loro eroe della voglia di combattere, del desiderio di giustizia e libertà, lo aveva reso uno qualunque, fragile alle emozioni come grano alla falce del rustico mietitore. Ma a chiunque gli domandasse cosa gli fosse successo, Heishiro rispondeva sempre dicendo di non preoccuparsi per lui e di proseguire per la propria strada.
“Mitsurugi-sama... che vi succede? Avete abbandonato la via della spada, il vostro popolo, la vostra imperatrice... ma soprattutto, il vostro onore! Sfuggite al calore del vostro letto, alla tavola dei vostri compagni, allo sguardo di chi vi cerca e alla vita che vi è stata posta innanzi. Cosa cercate? Cosa vi affligge a tal punto da rinunciare al vostro onore per esso?” Gli aveva domandato la principessa.
“Io sono sempre il generale Heishiro Mitsurugi, un samurai al servizio vostro e della nazione Giapponese. Se mi ritenete vostro nemico, indegno di questa spada, comandatemelo, e io volentieri mi toglierò la vita, ma solo dopo che avrò compiuto un’ultima missione, una missione che viene prima di qualunque cosa... anche del mio stesso onore.” Aveva risposto Mitsurugi inginocchiandosi devoto a lei.
“Yoi! Tenno-sama rei![Saluto all’imperatrice! NdA]” Gridò Mitsurugi, mentre lo splendore del cielo scintillava lungo le spade che ognuno dei soldati sfoderò con un abile gesto.
Agili e armoniosi, i samurai si esibirono in una breve ma avvincente esecuzione di tecniche di spada, per poi riassumere la posa iniziale, abbassare l’arma e inginocchiarsi all’imperatrice, la quale, sguainando a sua volta la spada, pronunciò l’antico codice del Bushido, che i samurai ripeterono con vigore e serietà.
Alla fine, quando Mitsurugi ebbe annunciato la fine del saluto, tutti riposero nel fodero le armi e prestarono ascolto alle parole di Kaguyuki.
“Samurai dell’esercito imperiale di Tokyo e del Giappone. – iniziò a parlare la principessa – Sono lieta e onorata di rivedervi, amici miei. E ho molto bisogno di parlarvi, perché ancora una volta la nostra città è in grave pericolo.”
I samurai celarono nell’ombra il viso cupo, mentre Mitsurugi, perplesso e confuso, tese l’orecchio, per capire di cosa l’imperatrice stesse parlando.
“Nelle città circostanti, la scorsa notte, sono state portate via migliaia di vite umane. Sono giunti piangendo alle porte della città questa mattina centinaia di contadini, fabbri, maniscalchi e stallieri, afflitti da amare lacrime per la perdita di persone a loro care, tutte brutalmente trucidate da una spada maledetta, qualcosa di oscuro e terribile... – continuò Kaguyuki – ... uno spietato assassino si aggira per le nostre terre, qualcuno di ben più abile di una banda di predoni o di un traditore che vige fra di noi, un omicida dalla mente folle e malata, che ha attraversato colli, campi, monti e campagne, e ora, questa mattina è giunto ai confini di Tokyo, rintanandosi come un pallido spettro dietro queste mura e attendendo fra le ombre desolate e silenziose dei vicoli. Il suo aspetto non tradisce quel che lo sguardo assetato di sangue a stento cela, incrociando la via con lui fra la gente di Tokyo, nessuno sospetterebbe mai dei crimini commessi dalla spada che segretamente porta con sé.”
Mitsurugi sussultò: aveva già conosciuto uno spettro silenzioso e dedito alla fuga nell’ombra, aveva già conosciuto un assassino dalla mente malata che soleva nascondersi fra la folla come un normale cittadino, aveva già conosciuto una spada ben più letale di quella di un predone o di un brigante di periferia, una spada temprata e levigata da un addestramento così duro e preciso da far impallidire l’arte della guerra dei samurai imperiali. Perché anche quest’assassino era un samurai... una samurai.
“Setsuka-sama...” Pensò Heishiro.
“Alcuni dei nostri compagni samurai l’hanno affrontato... e non sono più tornati indietro. Il loro sacrificio non sarà vano, così come non lo sarà quello degli agricoltori caduti per mano sua. – disse Kaguyuki, mentre posava lo sguardo proprio sul generale – Heishiro Mitsurugi-san... voi siete l’unico in grado di trovare, sfidare e vincere un simile avversario. Siamo addolorati se in questi giorni, Heishiro, siete stato afflitto da qualcosa che non avrebbe dovuto coinvolgere la vostra via della spada, e mi dispiace dovervi domandare ancora una volta il vostro aiuto, non ho diritto di imporvi altri ordini dopo tutto quello che avete fatto per me, ma siete la nostra unica speranza. Così come mio padre, anche io oggi ripongo nella vostra spada tutta la mia fiducia.”
Il samurai s’inginocchiò profondamente alla sua signora e, afferrando con entrambe le mani il fodero in cui era riposta la spada, gliela porse: “Kaguyuki-sama... non permettetevi mai più di sentirvi debitrice e dispiaciuta nei miei confronti, siete voi l’imperatrice, non io! Avete voi il diritto di decidere su di me ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non io! Nelle vostre mani è la mai volontà! Comandatemi qualunque ordine, e io lo eseguirò come meglio potrò per voi. E se riterrete insufficienti i miei risultati, allora mi punirò nel modo che riterrete più giusto. Questa è la spada che serviva vostro padre... e che servirà anche voi, sino alla mia morte.” Mitsurugi si sentì vergognare per essersi allontanato a tal punto dal suo mondo da non aver saputo di questo assassino e della morte di addirittura alcuni dei suoi compagni samurai, e soprattutto pesava nel suo cuore sempre più il disonore della morte del precedente imperatore, che lui non era riuscito a proteggere.
Ancora una volta era venuto a mancare nel momento del bisogno, e desiderò la morte sapendo di essere l’uomo nella cui spada il Giappone aveva riposto il proprio destino. Come potevano ancora avere fede in lui? Anche se non poteva crederlo, in cuor suo iniziava a capire che la decadenza dei samurai cominciava proprio dai suoi fallimenti,che ormai, con l’avvicinarsi del 1900, i samurai stavano definitivamente svanendo.
“Voi restate sempre un grande samurai al servizio della nostra nazione, Mitsurugi, non mi avete mai delusa, sono orgogliosa di voi, il Giappone è orgoglioso di voi. E so per certo che non mi deluderete nemmeno questa volta. Accettate voi e i vostri compagni dunque la missione che vi è stata affidata?” Domandò Kaguyuki.
Heishiro, rialzatosi, fece un passo avanti e lo stesso fecero le sue truppe. “Oss! [Sì!*NdA]” Gridarono.
Kaguyuki sorrise: “L’assassino è stato localizzato nella zona sud-occidentale della periferia di Tokyo, sono state rinvenute lì le vittime più recenti, una dozzina di soldati, alcuni contadini e tre monaci. I corpi devono essere stati uccisi intorno alle 7 di questa mattina. Ho già fatto circondare la zona con fanteria armata d’artiglieria leggera e stanno interrogando chiunque cerchi di allontanarsi. Raggiungeteli e fate il possibile per cercare l’assassino, non può essere fuggito lontano. Che la parola del Buddha possa accompagnarvi lungo al via della verità che cercate.”
“Oss, Kaguyuki-sama!” Dissero Mitsurugi e i suoi compagni, mentre eseguivano lo stesso saluto di prima e si allontanavano nelle scuderie.
Solo il generale, montato a cavallo, esitò, scendendo a terra nel vedere che l’imperatrice sua signora si avvicinava a lui.
“Kaguyuki-sama...” Sussurrò.
“Heishiro...siate prudente, ve ne prego... se dovesse succedervi qualcosa io non so come potrei vivere senza di voi... che Dio vi accompagni...” Disse Kaguyuki, la voce spezzata dalla preoccupazione.
“Non dovete temere per la mia vita, mia signora. Porterò a termine la mia missione e tornerò da voi... è una promessa, lo giuro sul mio onore.” Detto questo montò in sella e si rivolse ai compagni:
“Minna! Ikusò! [Tutti quanti! Andiamo! NdA]”
“Oss!” Replicarono un centinaio di samurai, mentre, seguendo il generale, cavalcavano impetuosi come tempeste verso le campagne.

“Generale Mitsurugi-san! Possa il Buddha benedirvi! Voi siete la nostra ultima speranza! – gridò un vecchio popolano gettandosi ai suoi piedi – Quel mostro si è portato via mio figlio e mia moglie! Vi prego, fategliela pagare!”
Mitsurugi sorrise e, dopo un lieve inchino, lo aiutò a rialzarsi. “Riservate la vostra devozione solo all’imperatrice Kaguyuki e al Buddha, buonuomo. Io sono solo un samurai, servitore del popolo. Quello che faccio è mio dovere di vita. Cercheremo l’assassino e lo consegneremo alla giustizia.” Lo rassicurò Mitsurugi, mentre si voltava e dava ordine ai suoi uomini di muoversi subito per vie del villaggio.
Arricchendosi nel tempo, si era allargato sino a divenire una modesta cittadina, nella quale non era stato difficile per l’assassino trovare un nascondiglio.
“Setsuka-sama... siete stata davvero voi a compiere questi crimini? Io non voglio crederlo... voi non site una persona malvagia, no, io lo so... so che non dovrei illudermi di un vostro cambiamento né tanto meno soffrire per voi, ma... vi prego... io non posso proteggervi, poiché tradire la giustizia e l’imperatrice mia signore sarebbe come tradire Dio in persona e tutto ciò che il Bushido mi ha insegnato...” Pensò fra sé il samurai, mentre, solitario, scattava con passo sicuro fra i vicoli principali della città, alla ricerca di qualsiasi segnale sospetto.
I popolani passeggiavano tranquilli e spensierati per le strade, il nemico poteva essere chiunque di loro, ma Mitsurugi fu convinto di non vedere alcun pericolo in loro, anche perché, fra sé e sé, aveva già associato un volto a quello sconosciuto dell’assassino, quello di una donna bellissima che per quattro anni aveva inutilmente cercato.
Le ricerche proseguirono per parecchi minuti, poi i minuti divennero ore, ma dell’assassino alcuna traccia, nessun indizio che potesse condurre gli investigatori all’autore dei delitti.
“Mitsurugi-san... è inutile... abbiamo cercato ovunque e abbiamo interrogato chiunque, ma niente, non funziona.” Disse Tetsuya, quando Mitsurugi e il resto della truppa si furono riuniti.
“Abbiamo interrogato tutti i popolani, dal primo all’ultimo, ma non sembrano nascondere nulla. Gli unici sospetti erano una piccola famigliola urgentemente in partenza da qui, che tuttavia sono risultati innocenti.” Aggiunse Hoshiko.
“Avete domandato ai fanti e i fucilieri a guardia di questa contea cos’avessero visto?” Domandò Mitsurugi pensieroso.
“Certamente. Loro non sanno nulla di nulla. E a me questa cosa non piace affatto, non è possibile che l’assassino sia fuggito così. Era stato dato loro ordine di non lasciar passare nessuno e di usare anche il fuoco in caso di necessità. No, l’assassino si nasconde ancora qui.” Disse Hoshiko.
“Sembra scomparso sul serio, abbiamo perquisito da cima a fondo le abitazioni, non è stato trovato niente di pericoloso, solo alcuni attrezzi di campagna. Nessuno dei cittadini si è rifiutato di collaborare e hanno consegnato tutti i loro averi. Le uniche armi trovate appartenevano ai fabbri del villaggio, ma secondo le indagini nemmeno loro sembrano sospetti.” Disse Eisuke.
Mitsurugi abbassò il capo e socchiuse gli occhi pensoso, mentre si passava una mano sul mento. “E’ davvero strana questa faccenda... se fosse Setsuka la colpevole, l’avrebbero notata tutti, e perquisendola avrebbero trovato comunque la sua spada. E’ da escludere che si sia rifiutata di ubbidire, i miei compagni o la fanteria l’avrebbero sicuramente bloccata come sospetta. – pensò Mitsurugi – Non nego possa trovarsi qui, anche se non l’abbiamo vista, si può nascondere abilmente ovunque e ridere alle nostre spalle. Che abbia sedotto le guardie con il suo corpo? Improbabile...”
“Mitsurugi-san... i popolani, tuttavia, hanno detto di aver visto qualcosa di strano, ultimamente...” Disse Tetsuya.
Mitsurugi fu sollevato dai pensieri e gli prestò ascolto.
“Hanno detto che di recente, da queste parti, è stata avvistata una giovane e splendida donna passeggiare tranquillamente per questi campi. Hanno detto che indossava abiti molto raffinati e che la sua pelle era troppo chiara per essere un’abitante del villaggio. All’inizio credevano fosse una comune visitatrice proveniente da qualche città, ma essa era sempre qui nei paraggi...non credono potesse trattarsi della colpevole, ma quello che c’è di strano è che questa donna sia scomparsa proprio questa mattina, intorno alle otto, un’ora dopo circa la morte dell’ultima vittima, e che comunque la fanteria abbia confermato di non aver avvistato nessuna simile donna allontanarsi dalla contea, né sono stati rinvenuti preziosi kimono abbandonati.” Disse Tetsuya.
Mitsurugi spalancò occhi e mente una ragnatela di indescrivibili emozioni si tesse nel suo cuore, ramificandosi sino alla gola e stringendola in una morsa d’acciaio.
“Setsuka-sama?!” Pensò.
“Mitsurugi-san, che succede? Siete pallido e sudato!” Esclamò Hideo.
Mitsurugi scosse il capo e sorrise: “Non è niente, non preoccupatevi, sto benissimo... ma ditemi, dov’è stata vista per l’ultima volta questa donna?”
“Da quella parte, nei pressi del piccolo santuario del paese. I monaci e i sacerdoti hanno confermato di averla vista lì dopo le sette del mattino, per l’ultima volta.” Disse Hoshiko.“
Mitsurugi si voltò e,senza dire una parola, si gettò di corsa verso il santuario. Non c’era scelta, pensava, Setsuka era lì dentro. Come aveva potuto non pensarci? Con il fiato sospeso e il cuore scalpitante in petto, Mitsurugi gettò una mano al fodero e l’altro all’elsa della fedele lama, sicuro di trovare lì la risposta a tutti i quesiti.
Ma una volta giunto dinanzi al tempio, trovò sì una bellissima donna, ma non colei che cercava.
“Kimiko-sama!” Esclamò sorpreso Mitsurugi nel vedere una giovane e stupenda sacerdotessa dai lunghi capelli castani sciolti, preziosi gioielli e un maestoso kimono cerimoniale, sotto al quale celava un corpo perfetto dalle sottili curve sensuali e provocanti, una lunga lancia dalla lama dorata e tintinnanti anelli buddisti all’incavo del manico stretta nelle mani.
“Heishiro! Ero sicura che prima o poi vi avrei trovato!” Esclamò Kimiko inginocchiandosi al samurai, che fece altrettanto.
“Quando siete arrivata, sacerdotessa?” Domandò Mitsurugi.
“Pochi minuti fa, io e i miei monaci ci trovavamo in un monastero qui nei paraggi e solo di recente abbiamo saputo che voi vi trovavate qui ad indagare su quelle misteriose morti... credete anche voi sia opera di Setsuka?” Disse la sacerdotessa.
“E chi altri può aver commesso tanti crimini in così poco tempo e con tale abilità? Solo una spada samurai può averlo fatto... o una spada infernale. E se nelle mani sbagliata, spesso queste due lame coincidono come un uomo e il suo riflesso nel lago...” Sospirò Mitsurugi, quando un’oscura risata riecheggiò all’interno del tempio.
Il soldato e la sacerdotessa si voltarono di scatto in direzione del tempio e sguainarono le armi, il viso lievemente incrinato da una nota di paura, il cuore solleticato dalle unghie del terrore, i muscoli tremanti come corde di violino sotto la mano del mistero. Senza esitare, Mitsurugi spalancò il portone e si addentrò nel tempio: due monaci giacevano a terra privi di vita, e un altro strisciava sanguinante verso Mitsurugi, che impallidì al vederlo.
“Mitsurugi-san... lui è qui...” Detto questo, il monaco morì.
“Ma... ma come avrà fatto?! Abbiamo sorvegliato il villaggio fin’ora e...” Balbettò Mitsurugi.
Kimiko strinse i denti: “Dannazione! Che fosse uno dei monaci di questo tempio l’assassino?!”
“Non è possibile, è stato controllata ogni stanza ed è stato confermato che nessuno di loro mancasse all’appello. L’assassino può essere solo una persona...” Iniziò Mitsurugi, ma la risata riecheggiò di nuovo, questa volta in cima alla scalinata che portava alle stanze superiori. I due alzarono il capo e videro un monaco decapitato precipitare dall’alto e schiantarsi violentemente al suolo.
“Setsuka-sama!” Gridò Mitsurugi, mentre lui e Kimiko si lanciavano di corsa verso i piani superiori. Fu come una discesa all’inferno più che un’ascesa al cielo: ad ogni piano che raggiungevano, i gradini erano infradiciati di sangue sempre più fresco e nuovo, le sacre vesti macchiate della vita dei monaci. Ad ogni gradino il dolore nel petto del samurai cresceva, dolore nel constatare che Setsuka, ancora adesso, era una brutale omicida, aveva fatto fatica a riconoscerne la risata, non ricordava fosse così maligna e crudele.
Ultimo piano.
All’occhio vigile e acuto di Heishiro non sfuggì una sottile ombra sul terrazzo, che svanì sul tetto. Mitsurugi trattenne collera e angoscia fra le costole e, giunto sulla balconata, si voltò e si aggrappò al bordo del tetto. Kimiko lo raggiunse poco dopo.
“Setsuka-sama... come avete potuto...?! Se... Setsuka-sama?” Balbettò Mitsurugi una volta sul tetto.
“Salve, Heishiro... sono felice di rivederti...” Disse l’assassino con un maligno sorriso dipinto sul viso sfregiato.
“Oh, mio Dio... tu!” Gemette Mitsurugi.
“Heishiro, ma che succede?!” Domandò Kimiko raggiungendo il compagno, rimanendo a sua volta sconvolta nel riconoscere l’identità del vero assassino.

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Capitolo 2
*** Wrath of gods ***


Soul Calibur
Between Heaven and Hell


“Transending history and the world, a tale of souls and swords... eternally retold.” (Anonimo)


“Siegfried Schtauffen... allora sei tu il colpevole di tutto questo....” Disse Mitsurugi, mentre sentiva la collera farsi strada nelle vene e giungere prima al cervello e poi al cuore.
Un bellissimo giovane dai tratti occidentali, profondi occhi azzurri, lunghi e lisci capelli biondi, il viso attraversato da una lunga cicatrice, le labbra inarcate in uno spietato e sinistro sorriso. Indossava un elegante abito occidentale, la giacca e i pantaloni marroni, le scarpe nere lucidissime, la cravatta scura e la camicia bianchissima, una croce cristiana di metallo appesa al collo, una lunga e insanguinata spada a croce dalle macabre decorazioni all’elsa nella mano sinistra, il bavero del saio di un povero monaco morente nella sinistra.
“Sono passati quattro anni, non è così, Mitsurugi? Mi pareva giusto tornare in questa terra e ricambiare di tutto quello che hai fatto per me...” Disse Siegfried, mentre lasciava andare il corpo del monaco a terra e alzava minaccioso la spada.
“Siegfried... ma che diavolo ti è successo?! Chi sei tu?! Tu non sei il devoto cavaliere cristiano che conobbi quattro anni fa!” Gridò Mitsurugi.
“Eh eh eh... Siegfried? Siegfried Schtauffen? No, io non conosco questo nome... Siegfried è morto quattro anni fa, e ha lasciato posto alla sua vera identità, l’identità che per anni ha tentato di rinnegare, dedicando la sua anima a Dio...” Disse Siegfried ridendo.
Solo allora il samurai capì che quello che aveva davanti non era più Siegfried, ma il demone che si era impossessato del suo corpo e che credevano di aver debellato, un demone oscuro di nome Nightmare, che aveva trasfigurato il corpo del cavaliere a causa della spada maledetta che esso portava con sé.
“Maledetto demone... che cos’hai fatto a Siegfried?!” Ringhiò Mitsurugi, ritrovando l’antico ardore da soldato che in quei tempi si era assopito.
“Heishiro, state attento... Siegfried non è in sé, e l’arma che stringe in mano... non è un’arma terrena, è qualcosa di razionalmente inspiegabile.” Gemette preoccupata Kimiko, mentre indietreggiava di un passo. Mitsurugi non si mosse.
“Te l’ho detto, Siegfried è morto nel vano tentativo di salvare se stesso e le persone a lui care... e io, Nightmare... l’ho ucciso. – disse Siegfried, avanzando minaccioso verso il samurai, il sorriso disumano tanto crudele, gli occhi rossi più del sangue che imbrattava la sua spada. – E’ tempo per me di vendicarmi di te, samurai... in passato mi hai ostacolato fin troppo a lungo, e adesso è giunta l’ora che tu riveda l’imperatore che non riuscisti a proteggere quattro anni fa!”
“Ksama....(Bastardo)!” Latrò Mitsurugi, mentre impugnava con più vigore la spada e assumeva la posa da combattimento.
Siegfried, al contrario, non attese un istante di più e si lanciò contro Mitsurugi. I due incrociarono le spade ed ingaggiarono un accanito e cruento duello. Heishiro si sentì risvegliare e tutto ciò che il Bushido gli aveva insegnato tornò alla sua mente, fluendogli in corpo, ossa, muscoli e sangue, scivolando lungo la lama che stringeva in pugno e affrontava quella demoniaca di Siegfried, il quale, a sua volta, sprigionò tutto il suo terrificante potere: la lama fu avvolta da una luce violacea e purpurea e il corpo dello stesso giovane fu illuminato da un oscuro bagliore, rendendolo simile ad una divinità.
Mitsurugi non si fece impressionare e si lanciò subito all’attacco, sferrando al cavaliere decaduto una serie di micidiali tecniche di spada, armoniosamente concatenate l’una all’altra. Siegfried, a sua volta, non ebbe paura e rispose ad ogni attacco con mosse violente e precise. Il duello fu inizialmente alla pari, ma ben presto il samurai riuscì ad avere il sopravvento sull’avversario, lo afferrò per polso e bavero, lo sollevò e lo sbatté violentemente al suolo. Alzata la spada, stava per abbatterla su di lui e trafiggerlo al cuore dannato, ma Siegfried si spostò agilmente e restituì il favore al samurai, afferrandolo per il collo e colpendolo con una testata. Mitsurugi cadde a terra e, in quell’istante di momentanea debolezza, Siegfried gli puntò la spada alla gola.
“Addio...” Disse ridendo. “Heishiro!” Gridò Kimiko, lanciandosi di corsa su Siegfried e tentando di colpirlo in tutti i moda con la lancia.
Sorpreso, Siegfried si trovò inizialmente in difficoltà e dovette indietreggiare di parecchio per difendersi dalla sacerdotessa, ma alla fine, recuperata una salda posizione, deviò con un’abile tecnica l’ultima stoccata della donna e la ferì al fianco con un leggero fendente. La donna si gettò le mani al costato e sarebbe morta se non fosse stato per Mitsurugi, che si gettò su Siegfried, lo afferrò alla vita e si gettò con lui giù dal tetto. I due precipitarono sul tetto di una piccola abitazione sottostante che attutì la caduta e da lì caddero sino alla strada, ove stavano arrivando gli altri samurai.
“Eh eh eh... niente male, Mitsurugi, ma il duello è appena iniziato e tu sembri già piuttosto fiaccato!” Disse Siegfried rialzandosi tranquillamente, mentre Mitsurugi, barcollando, si reggeva a malapena in piedi, ansimante per lo sforzo. Era naturale che il suo avversario, immune a dolore e fatica grazie al sangue demoniaco nelle vene, fosse ancora in forma dopo una simile caduta, ma il generale non si arrese e si preparò ad affrontare il mostro ancora una volta.
“DAH!” Con un grido, Mitsurugi attaccò nuovamente e Siegfried, silenzioso e sorridente, si difese con estrema abilità dai fendenti avversari, per poi ribattere con colpi sempre più feroci e rapidi, dai quali Heishiro, concentrato e svuotato da qualsiasi altro pensiero, si difese a sua volta con decisione. Il duello pareva durare all’infinito, nessuno dei due aveva la meglio sull’altro, ma alla fine entrambi, il cavaliere dall’alto e il samurai dal basso, sferrarono un lungo e circolare fendente diagonale. Quando le spade ebbero compiuto il proprio movimento, i due spadaccini s’inginocchiarono e a stento non stramazzarono al suolo: un leggero ma ampio taglio lacerava loro abiti e petto.
“Allora, Nightmare, per quanto a lungo vogliamo combattere, eh? Credi non sia disposto a morire pur di distruggerti?!” Gemette Mitsurugi.
“Niente male, Mitsurugi, devo ammettere di averti sottovalutato, sei molto più forte rispetto al samurai che affrontai quattro anni fa... ma non illuderti, quanto sarò di nuovo rinato allora nemmeno la tua spada potrà competere con il mio potere!” Replicò Siegfried, gli occhi sempre più rossi e spietati di prima, il sorriso macchiato dal sangue di un taglio.
Ridendo come una belva, il demone si pulì il labbro con il dorso della mano e fece per continuare il combattimento, quando Mitsurugi vide arrivare Tetsuya e gli altri suoi compagni.
“Mitsurugi-san, ma che succede?!” Domandò Hoshiko preoccupata. Siegfried sorrise sempre più. Terrorizzato, Mitsurugi sgranò gli occhi.
“Allontanatevi immediatamente!” Urlò il generale.
Troppo tardi. Il male nel cuore del demone si sprigionò. “Ci rivedremo presto, Mitsurugi... ah ah ah ah! Lasciandosi alle spalle quella macabra risata, Siegfried alzò la spada e da essa si scaturì un fascio di luce violacea ancora più grande. I samurai, sguainate le spade, s’inginocchiarono al suolo e cercarono di proteggersi il viso con le mani, mentre Heishiro assisteva alla fuga dell’avversario, divorato dalla luce purpurea.
“Maledetto! Non scappare!” Gridò, ma pochi istanti dopo tutto fu calmo e tornò la serena tranquillità del pomeriggio primaverile. Ansimante, Mitsurugi tentò di rialzarsi, sostenuto dalla sacerdotessa Kimiko, appena giunta da lui, e dai compagni.
“Kaguyuki-sama è... in pericolo...” Sussurrò prima di perdere i sensi e cadere fra le braccia di Kimiko.

Mitsurugi riaprì gli occhi. La mente intorpidita e confusa, gli occhi annebbiati da stanchezza e sonno, muscoli e polmoni ansimanti dalla precedente battaglia. Aveva dormito per poco più di un’ora, un sonno tranquillo era un lusso troppo grande per un samurai dal destino triste e tormentato come lui.
Nonostante non ricordasse nulla di ciò che era accaduto dopo la battaglia, Mitsurugi sapeva bene quello che era successo: dopo averlo riportato in caserma, i suoi compagni erano sicuramente tornati a pattugliare fino alle estreme fazioni del Kanto, alla ricerca del misterioso assassino, ignari che questi si stesse muovendo con tranquillità e serenità, come se niente fosse. Come le acque di un fiume in piena, i pensieri del generale si mossero sempre più veloci nella sua testa, sino a fargli spalancare gli occhi e bocca.
“Kaguyuki...!” Mormorò allarmato.
La principessa non sapeva nulla dell’identità del vero criminale, il quale si stava sicuramente dirigendo indisturbato a palazzo per “scambiare quattro parole” con l’onorevole imperatrice d’oriente.
Fece per alzarsi e si sollevò di colpo dal letto, ma una brusca fitta al petto lo costrinse a sdraiarsi nuovamente e a stringere i denti, fra i quali trattenne un gemito di dolore.
Vi posò una mano sopra e sentì ampie bendature fasciargli il torace, la ferita era ancora fresca, la spada di Siegfried non aveva perdonato la sua distrazione. La rossa armatura e il grigio kimono da combattimento erano riposti con cura nel piccolo armadio della stanza, la spada e il fodero ai piedi del letto. Ma per quanto le sofferenze fossero grandi, non lo furono abbastanza da impedire alla volontà di Mitsurugi di essere compiuta.
Siegfried non poteva essere lontano dalle porte imperiali, e non avrebbe avuto difficoltà a sbarazzarsi dei suoi avversari e raggiungere la principessa. L’unico in grado di tenergli testa era lui. Così, rafforzando le fasciature e bevendo lunghi sorsi d’acqua, il samurai si preparò alla battaglia.
Indossò nuovamente il kimono d’allenamento e la robusta armatura rossa, calzò i sandali e ripose alla cintura la spada. Stava per lasciare la stanza quando il suo sguardo cadde al meraviglioso tramonto dietro le colline. Allora ricordò. Kaguyuki non era la sola donna che quella sera avrebbe dovuto vedere.
“Setsuka-sama...” Sussurrò, mentre recuperava da un cassetto la lettera dell’assassina.
L’avrebbe dovuta incontrare al tramonto sul tetto del santuario, e ormai il crepuscolo non era lontano. Ma come poteva andarsene e abbandonare alla crudeltà di quel demone l’imperatrice che aveva giurato di proteggere con la vita? Mai il generale si era trovato a dover compiere una simile scelta, e mai prima d’ora si era trovato così indeciso e traballante.
“Kaguyuki-sama... o Setsuka-sama?” Si domandò.
Stringendo i denti per la frustrazione, cadde in ginocchio e sbatté le mani al suolo, maledicendo se stesso per essere così debole e indegno di aver intrapreso la via della spada. Non c’era tempo da perdere, tutti lo stavano aspettando, e qualunque cosa avesse fatto, ci sarebbe stato sempre qualcuno a cui avrebbe voltato le spalle.
Onore o amore? Lealtà e fedeltà o sentimento e passione? Alla fine Heishiro si alzò e, chinando il capo, sospirò. “Kaguyuki-sama... perdonatemi.” Disse, mentre usciva dalla stanza e, montato a cavallo, si dirigeva verso il tempio.
“Forse non tutto è perduto – pensò mentre cavalcava – Forse riuscirò ad arrivare in tempo a palazzo e impedire che Siegfried le faccia del male... forse posso farcela!”
Ma inutilmente tentava di consolarsi, per quanto volesse essere ottimista e speranzoso, come samurai, non poteva sopportare una simile mancanza, il disonore di un dovere incompiuto verso il Tenno-sama. Già una volta si era trovato in una simile situazione, e ciò era costato la vita dell’imperatore precedente.
Ma ormai aveva deciso, e quel che gli rimaneva da fare era pregare che Siegfried non raggiungesse Kaguyuki prima di lui.
Veloce come il vento, Mitsurugi attraversò la città e raggiunse finalmente i pressi del ponte di Tokyo. Per un istante l’emozione gli tolse il coraggio persino di guardare davanti a sé, ma alla fine alzò gli occhi e fra le fronde degli alberi sul fiume vide una misteriosa giovane voltargli le spalle, il capo coperto da un elegante ombrello da viaggio. Non si rese nemmeno conto che il suo cuore batteva così forte da scuotergli il petto e che i suoi piedi correvano senza che lui l’avesse voluto. Ansimava, e non era per la stanchezza, al contrario, non si era mai sentito così forte e pieno di vita prima d’ora, nonostante, allo stesso tempo, tremasse e non riuscisse nemmeno a respirare.
Lentamente, la donna si voltò e mostrò il meraviglioso e sorridente volto dell’assassina che Mitsurugi affrontò quattro anni prima, la principessa Setsuka, così dolce e mortale, così bella e sensuale, così misteriosa e sfuggevole, così affascinante e attraente da riuscire a conquistare persino l’orgoglio del più valoroso spadaccino.
Heishiro aprì la bocca, ma non volle parlare, terrorizzato che anche il più piccolo e lieve sussurro potesse spezzare quel sogno così fragile e delicato.
Non gli pareva ancora vero. Finalmente la rivedeva, dopo quattro anni. Non era cambiata affatto, era rimasta la bellissima assassina di un tempo, mentre per lui i giorni erano parsi interminabili.
“Mitsurugi-san... sono felice di rivedervi...” Disse Setsuka dopo alcuni istanti. Mitsurugi fece alcuni passi e si sentì così leggero da credere di dover volare via al più debole soffio di vento, assieme ai petali che decoravano come una dea la donna davanti a lui.
“Setsuka-sama... io... io...” Balbettò Heishiro.
“Ci sono tante cose che dobbiamo dirci, non è così, onorevole samurai? Ma non preoccupatevi, io so già tutto, o non vi avrei detto di incontrarci qui. Ditemi la verità... siete rimasto sorpreso dalla mia lettera?” Domandò Setsuka. La sua voce era così calda e profonda che Mitsurugi desiderò rimanere ad ascoltarla in eterno.
“Non avrei mai creduto che voi mi scriveste dopo un silenzio durato così a lungo, ma credetemi, non potevate farmi un regalo più bello... io non riconosco nemmeno me stesso dopo aver conosciuto voi... e ora non so più ne cosa voglio ne cosa devo fare...” Disse Heishiro.
“Mitsurugi-san... oh, io invece vi riconosco perfettamente, non siete diverso dal generale di un tempo. Provai emozioni così belle battendomi in duello con voi che sentii sempre qualcosa di cambiato in me, ogni notte vi ho sognato e combattevo con voi ancora una volta, in quella notte di pioggia... non ho mai più ritrovato da nessun’altra parte ciò che provavo con voi... e ora capisco perché mi abbiate risparmiata e mi abbiate pregato di andarmene da questa città...” Rispose Setsuka.
“Setsuka-sama, so che voi mi odiate e che volete la mia morte per avevi portato via chi vi era più caro, ma io... non posso pensare di perdervi ora che vi ho ritrovata, perché io mi rendo conto solo ora... di aver trovato in voi la donna che ho cercato per tanto tempo...” Disse Mitsurugi, sentendosi sollevato e libero dal peso che aveva trattenuto dentro di sé così a lungo.
“Voi siete la prima persona che ha il coraggio di dirmi queste parole personalmente... molti altri tentarono di possedermi, guidati solo da un deplorevole desiderio carnale. Vigliacchi e vili, usarono qualunque mezzo per avermi senza mostrarsi direttamente a me per paura del mio rifiuto. Voi siete l’unico che ha osato inseguirmi ed ha rinunciato a tutto, avete persino voltato le spalle al vostro imperatore pur di potermi incontrare da uomo, da soldato, da samurai. Non avete idea della mia ammirazione e del mio rispetto per voi.” Disse Setsuka avvicinandosi al generale e fissandolo intensamente negli occhi. Gli fu così vicino che Heishiro sentì il soffice sussurro della donna solleticargli il viso.
“Ho intenzione di chiedervi un ultimo desiderio, Heishiro, e poi vi prometto che niente più potrà separarci.. – continuò la donna, mentre indietreggiava, assumeva la posa da combattimento e chiudeva l’ombrello, ponendolo al fianco come un fodero – ... voglio affrontarvi in duello un’ultima volta, voglio provare ancora una volta quelle emozioni così belle e irresistibili, voglio essere fiera di me come spadaccina e non avere rimpianti come donna. Concedetemi quest’ultimo onore, Mitsurugi-san, ve ne prego... e poi vi prometto che io sarò vostra.”
Mitsurugi esitò dubbioso, sapeva bene che era un rischio troppo alto da correre, un solo movimento sbagliato e lui stesso avrebbe ucciso la donna che amava. Ma non poteva tirarsi indietro, come samurai non avrebbe mai potuto rifiutare una sfida, e per Setsuka avrebbe fatto qualunque cosa. Socchiuse gli occhi e assunse a sua volta la posizione che precede l’inizio del duello.
“E va bene, Setsuka-sama, se è questo quello che volete... allora io sarò lieto di battermi contro di voi ancora.” Disse con voce dura e altezzosa.
Setsuka sorrise. “Ero sicura che non avreste rifiutato... ma vi avverto, darò tutto quello che il mio corpo mi concede in questo duello, e lo stesso dovrete fare voi, se non volete morire...” Disse.
“Giuro sul mio onore che combatterò sino all’ultimo respiro, Setsuka-sama, e che vi affronterò come se voi foste ancora la spietata omicida di quattro anni fa...” Replicò Heishiro sicuro di sé, incapace tuttavia di trattenere un luminoso sorriso pieno di gioia.
Finalmente sorrideva, sorrideva felice e sereno, libero da qualunque tensione o emozione, sorrideva al suo nemico, così come avrebbe dovuto sorridere a chiunque.
I due samurai sfoderarono lentamente le spade, lui dalla guaina alla cintura, lei dall’ombrello che teneva al fianco, il luogo in cui da sempre aveva tenuto nascosta la propria arma. Passarono diversi istanti, in cui i due rimasero a guardarsi negli occhi e a concentrare le proprie energie. Poi, quando percepirono nell’aria il movimento dei pensieri e della volontà dell’avversario, colpirono.
Si mossero tanto veloci che nemmeno si resero conto di aver già incrociato le spade e di trovarsi di nuovo a brevissima distanza l’uno dall’altro. Finalmente, quelle straordinarie emozione che riuscivano a farli volare oltre qualunque cielo, l’eccitazione di un duello contro un avversario degno della propria spada, un avversario forse addirittura più forte e in grado di sconfiggerli. Né Mitsurugi né Setsuka potevano descrivere con le parole qualcosa di più bello, il sapore del rischio della sconfitta, di correre su di un filo sospeso nel vuoto e poter precipitare da un momento all’altro. Era questa la filosofia di un duello fra samurai: sarebbe bastato un solo sospiro e uno dei due sarebbe precipitato, spezzando quel delicato equilibrio. Fu un duello intenso e senza esclusione di colpi.
I due spadaccini si scambiavano di posto, arretravano ed avanzavano, concatenando fra loro tecniche di spada d’ogni sorta. Si scontrarono più volte, ma mai riuscirono a prevalere l’uno sull’altro. Mentre Mitsurugi combatteva con tecniche frontali e diagonali, Setsuka sguainava di continuo l’arma da lunghe tecniche circolari a corte stoccate dirette.
Come un’armoniosa danza, i due si muovevano allo stesso tempo e con lo stesso ritmo, seguendo con infallibile precisione ogni singola mossa del nemico e ribattendo con la giusta tecnica.
Setsuka ed Heishiro si misurarono in un ultimo scambio di colpi diretti, poi, muovendosi in cerchio e lungo il ponte, con attacchi verticali e orizzontali provenienti da qualunque direzioni, e infine, arretrando di un solo passo, incrociarono prima gli occhi e poi le spade nel decisivo attacco, al medesimo istante, un unico fendete diretto e sincero, nessun’altro movimento, solo la volontà di portare a termine ciò che si era cominciato.
Quando il gesto fu compiuto, i due spadaccini si erano scambiati di posto e si davano le spalle, ansimando sfiniti, ma sorridenti. Si voltarono e abbassarono le spade, rinfoderandole poco dopo con un’abile mossa.
Il viso orgoglioso del generale era attraversato da lunghe e scure gocce di sangue, poiché una lieve e sottile ferita gli sfregiava la fronte, mentre la misteriosa principessa non potè non nascondere una piccola ferita al fianco.
“Mitsurugi-san... arigato gosaimas...(grazie infinite...) credo di non aver provato mai niente di simile... voi riuscite a farmi sentire come nessun’altro... fremo come una ragazzina quando incrocio la spada con voi...” Disse Setsuka, gemendo quasi eccitata nel guardare il generale, che, a sua volta, tremava e lentamente si avvicinava alla donna.
Non riuscì però a parlare, incapace di scegliere le parole giuste.
“Perché siete scomparsa per tutto questo tempo?” Riuscì alla fine a domandare.
“Perché non riuscivo più a capire cosa provassi per voi, Mitsurugi-san... dopo essermene andata da Tokyo era ovvio che per voi non provassi più solo odio e rancore, al contrario, lentamente mi convincevo che ci fosse addirittura qualcosa di più dell’ammirazione e del rispetto verso un valoroso spadaccino come voi, ma a volte la collera s’impossessava di me e allora giuravo a me stessa di non fare più ritorno in questa città. Altre volte invece avevo paura che voi vi foste dimenticato di me e aveste già trovato una donna con cui condividere il resto dei vostri giorni... ma alla fine mi sono decisa a tornare, pregando che io mi sbagliassi... e sono contenta che le cose siano andate così.” Rispose Setsuka.
“Oh, Setsuka-sama... vi ho inseguita ovunque, ho corso fra i petali di ciliegio alla ricerca del vostro amore... ho pianto come un bambino la notte, sognando il vostro profumo e la dolcezza del vostro sguardo. Avevo capito subito di non poter più fare a meno di voi, il Bushido non è più sufficiente per me, ho bisogno di una donna che possa darmi quello che nemmeno il mondo intero può darmi...” Disse Mitsurugi.
“L’avete trovata, Mitsurugi-san...” Sussurrò Setsuka, mentre lasciava cadere a terra l’ombrello e gettava le braccia al collo al samurai.
Era bellissima. Mitsurugi riuscì a pensare solo queste due parole quando la vide così vicina a sé e potè stringere al petto quel corpo così delicato e irresistibile.
La donna lo guardò con occhi così seducenti che il generale ne rimase ipnotizzato, e poi lo baciò, lasciando che le tenebre della sera li abbracciassero e li portassero via. Rimasero l’uno nelle braccia dell’altro per lunghi istanti, accarezzandosi e senza mai separare le labbra da quelle del compagno. Poi si lasciarono andare e tornarono a guardarsi negli occhi.
“Setsuka-sama...” Bisbigliò Heishiro.
Setsuka gli accarezzò i capelli. “Purtroppo ora non c’è tempo per dedicarci a noi... Tokyo ha bisogno di voi ancora una volta...” Disse.
“Kaguyuki-sama! Me n’ero completamente dimenticato!” Esclamò Mitsurugi allarmato.
“Esatto... voi siete l’unico in grado di proteggerla da lui...” Disse Setsuka. “Allora anche voi sapete tutto su Siegfried?!” Domandò Mitsurugi.
“Sì... per mia fortuna mi trovavo nel Kanto quando quel maledetto iniziò a mietere le prime vittime. Devo confessarvelo, ormai non c’è più niente della spietata assassina che in me, ora sono solo una semplice donna come tante altre, e questo l’ho capito grazie al terrore e alla collera che provai nel vedere ancora una volta la morte con i miei occhi. Ho cercato di seguire le sue tracce e fortunatamente sono riuscita ad impedire che le vittime si moltiplicassero. Siegfried si muoveva con una velocità sorprendente ed è giunto nel villaggio di campagna ad est di qui, ed è lì che mi è sfuggito...” Disse la donna.
“Allora eravate davvero voi la donna che quei contadini avevano avvistato raggirarsi da quelle parti!” Disse Mitsurugi.
“Sì, ero io... non trovandolo, credetti che quel bastardo avesse lasciato il villaggio, diretto a Tokyo dall’imperatrice Kaguyuki, così, poche ore dopo il suo ultimo delitto, giunsi in città e persi completamente le sue tracce. E’ stato allora che, trovandomi casualmente nei pressi della caserma del palazzo, vi lasciai la lettera e sparii, continuando ad inseguirlo, quando seppi del successo delle vostre indagini al villaggio: Siegfried era ancora lì e voi l’avete costretto a fuggire fino a qui. Ha già ucciso qualcuno dei cittadini, è la prova inconfutabile che egli si trovi qui e che questa volta sia diretto a palazzo. Ma non preoccupatevi. Vi ho visto mentre dormivate, costretto a letto per la ferita, ed è stata grande la tentazione di svegliarvi, ma ho continuato la mia missione e mi sono assicurata che Siegfried non si trovasse nelle vicinanze. Ora però non credo possa trovarsi lontano da palazzo, e voi dovete correre in aiuto della vostra imperatrice.” Disse Setsuka.
“Siegfried... se tu dovessi farle del male...” Ringhiò furioso il generale, mentre volgeva lo sguardo al palazzo.
“Andate, Mitsurugi-san... possa il Buddha accompagnarvi lungo il vostro cammino. Vi prometto che appena questa storia sarà finita... allora tornerò da voi...” Concluse la donna, mentre lentamente si allontanava dal samurai, il quale si era già lanciato di corsa in direzione della propria signora.
Giunto tuttavia alla fine del ponte, si fermò e si voltò di colpo.
“Setsuka-sama!” Esclamò, ma la donna era scomparsa.
“Arigato gosaimas...” Si limitò a dire con un triste sospiro, mentre, ora forte dell’amore di quell’assassina, trovava di nuovo una motivazione per combattere e dirigeva i suoi passi a palazzo, pronto a servire fino alla morte la sua imperatrice Kaguyuki.

Siegfried Schtauffen camminava tranquillo e silenzioso verso le porte imperiali, la meravigliosa spada a croce riposta in un fodero alla cintura dell’elegante abito occidentale marrone. A nessuno sfuggirono i suoi bellissimi capelli biondi, che brillavano alle ultime luci del tramonto, ma egli doveva abbassare lo sguardo, incapace di trattenere un oscuro sorriso, per celare quella maligna luce color sangue impregnargli gli occhi. Nel vedere avvicinarsi quel misterioso straniero, le guardie impugnarono i fucili e lo osservarono insospettite, cercando di guardarlo in volto.
“Straniero, vi preghiamo di fermarvi e di dichiarare la vostra identità.” Disse uno dei soldati quando Siegfried fu arrivato davanti a loro, ma questi proseguì senza dire una parola, come se non ci fossero.
“Ehi, insolente! Non hai sentito?! Chi sei?!” Disse un'altra guardia, mentre tutte quante gli puntavano contro il fucile e facevano per avvicinarsi.
Siegfried si fermò e, lentamente, si voltò a guardarle. Le guardie si videro costrette a fare un passo indietro davanti a quello sguardo così indemoniato e crudele, quasi innaturale, non avevano mai visto un sorriso così malvagio e occhi così rossi.
“Il mio nome è Siegfried Schtauffen... ma voi potete chiamarmi Nightmare...” Sussurrò, dopo che ebbe sguainato la spada e li ebbe uccisi tutti quanti con pochi ma violenti e precisi colpi. Detto questo sfondò con un altro colpo della sua spada il portone e varcò la soglia con il medesimo passo tranquillo e sereno.
Non fece che pochi passi e udì le grida allarmate delle guardie del palazzo precipitarsi verso di lui. Non ebbero bisogno né di domandare né di osservare, a loro era stato dato un solo ordine: sparare a chiunque rappresentasse un potenziale pericolo per l’imperatrice.
“Utè! (Fuoco!)” Dichiarò uno dei soldati, ma quando questi ebbero sparato, il misterioso invasore era scomparso. Abbassarono per un fatale istante le armi per poter vedere meglio, ma questi era alle loro spalle e li aveva già fatti a pezzi con una serie di tecniche di spada che non lasciarono scampo a nessuno. Le guardie tentarono di difendersi con le spade, ma fu inutile: Siegfried li uccise tutti e proseguì nel suo cammino.
Quattro piani lo separavano dalla stanza imperiale, quattro lunghe rampe di scale lo separavano dal collo della principessa Kaguyuki, ci sarebbe stato tutto il tempo per mietere altre vittime, per spezzare il cuore ad altri ingenui che credessero di poterlo fermare. Le guardie accorsero disperate, ma una dopo l’altra furono abbattute.
Fra colpi di spada e fucilate, il duro combattimento proseguiva, ma Siegfried era qualcosa d’impossibile, di disumano, non avevano mai visto nessuno muoversi così, con quel passo così tranquillo e quieto e riuscire a svanire e riapparire come un fantasma ovunque volesse. Il palazzo fu trasformato in un bagno di sangue. Ad alcuni mozzò braccia e gambe, ad altri squarciò petto e costato, mentre ad altri troncò il capo dopo averli disarmati e lasciati per qualche secondo in preda al terrore. Ultimo piano: la sala imperiale. Non ebbe bisogno di aprirne le porte.
“Fate fuoco a volontà! Proteggete l’imperatrice!” Urlò un soldato, mentre con i compagni imbracciava il fucile e, senza esitare, sparava. Troppo tardi. Siegfried, inspiegabilmente, era scampato ai proiettili e li aveva raggiunti, quanto bastava per la spada. Sorrise. Afferrò il soldato per il collo e lo scaraventò contro uno dei suoi compagni, mentre uccideva con un paio di fendenti gli altri che cercarono di aiutarlo. Poi trafisse agli ultimi due rimasti il cuore e si addentrò nella sala imperiale, non curante dell’arrivo di altre guardie alle sue spalle.
“Salve, imperatrice Kaguyuki... è un onore rivedervi.” Disse sorridendo dolcemente.
Kaguyuki era terrorizzata. Quella sala era protetta dalle spade dei samurai scelti in persona, che nel vedere arrivare Siegfried si lanciarono impavidi contro di lui. Il demone fu circondato da più di una ventina di samurai, ma, incredibilmente, riuscì a difendersi da ciascuno dei loro letali fendenti, e ad intrecciare con essi la spada sino a trafiggerli uno dopo l’altro a morte.
Nemmeno i valorosi figli del Bushido poterono far nulla contro di lui, cadendo con onore nella strenua difesa della loro signora.
“Basta, Siegfried! Non so perché tu sia diventato l’assassino che tutti cerchiamo, ma se è la mia vita che vuoi allora vieni a prenderla e risparmia quelle dei miei soldati!” Disse Kaguyuki, mentre, alzatasi in piedi, sguainava la spada coraggiosamente e faceva cenno alle guardie che entravano nella stanza di non muoversi. “Con piacere, principessa... ma ditemi una cosa? Come mai il vostro fedele e valoroso samurai Mitsurugi non è qui a proteggervi?” Domandò Siegfried sempre più sorridente.
Kaguyuki non volle credere al primo pensiero che quegli occhi spietati gli trasmisero. “Il generale Mitsurugi è un soldato sulle cui spalle gravano molte responsabilità e incarichi, non può essere onnipresente, ma sono sicuro che arriverà!” Ribatté Kaguyuki, cercando più che altro di convincere se stessa che il ragazzo.
“Credete pure quello che volete... Mitsurugi non verrà a salvarvi.” Disse il demone, mentre, fulmineo, si lanciava contro la ragazza, la quale non ebbe nemmeno il tempo di difendersi.
Indietreggiò e a malapena riuscì a parare le spietate tecniche dell’avversario, che la sbatté violentemente a terra dopo averla afferrata per il prezioso vestito. Kaguyuki sfuggì dalla sua spada con un abile capriola e, rialzatasi, ingaggiò un disperato duello con Siegfried, contro il quale non poteva competere sebbene fosse lei molto forte.
Siegfried l’attaccava impetuosamente e sulla sua difesa come acqua s’infrangevano i vani attacchi della principessa, che, mossa dopo mossa, era sempre più in difficoltà. Alla fine Siegfried la disarmò e mollò un ultimo fendente alla donna. Ma la sua lama lacerò solamente il raffinato kimono imperiale: Kaguyuki non c’era più. “Non avrai pensato che sarebbe stato facile, vero, Siegfried?” Domandò una voce alle sue spalle.
“Siete stata così agile e veloce da riuscire a sfuggire da questi abiti e spiccare un balzo sino ad arrivare dietro di me... notevole da parte vostra, imperatrice... devo ammettere di avervi sottovalutata.” Disse Siegfried voltandosi lentamente e trovandosi davanti ad una nuova Kaguyuki, non solo diversa negli abiti, ma anche nel carisma con cui fissava il cavaliere, nell’aggressiva voce con cui gli parlò, nella tensione che attraversava i suoi muscoli.
Una nera e scura tuta attillata metteva in risalto tutte le sue sensuali curve, portava robusti e luminosi bracciali e gambali di ferro, un paio di sandali e una maschera sulla bocca. Alla cintura era legato un grosso arsenale di corti pugnali e due guaine nelle quali erano riposte due spade. Il duello poteva continuare.
Kaguyuki si trasformò, sino a diventare una ferocissima cacciatrice. Non diede al cavaliere un solo attimo di tregua, attaccandolo senza pietà con le due spade e costringendolo ad una costante ritirata, mentre le loro spade s’incrociavano. Alla fine riuscì a metterlo con le spalle al muro e a bloccargli con entrambe le lame la spada prima che potesse difendersi, l’abbassò e lo colpì al viso con un pugno, afferrandolo per collo e vita e scaraventandolo contro la parete della stanza che cedette sotto il peso del biondo assassino.
Siegfried rotolò a terra, ma si rialzò subito, pronto a continuare il combattimento. Kaguyuki gli si gettò contro come una tigre sulla preda e ancora una volta parve metterlo in difficoltà, ma appena Siegfried iniziò a combattere con serietà, allora Kaguyuki capì ben presto di non avere speranze. Miracolosamente non fu colpita al ventre dalla spada di quel demonio, che riuscì ad infliggerle solo un piccolo taglio, sufficiente però a distrarla e a lasciarla immune davanti al cavaliere, che la colpì allo stomaco prima con un pugno, e poi con un calcio, scaraventandola a terra.
Kaguyuki, ormai disperata, attutì la caduta con due acrobatici salti mortali, ma quando fece per rialzarsi si piegò di nuovo a terra, gettandosi le mani al ventre per il dolore.
“Urgh... maledizione...” Gemette, mentre guardava con frustrazione e rabbia il ragazzo. Raccogliendo le forze, sfoderò uno dei coltelli e glielo lanciò, ma questi lo parò con precisione incredibile e fece per finire la ragazza. Ma le risorse di Kaguyuki non erano ancora finite. La ragazza estrasse dalla cintura una piccola boccetta e la scaraventò a terra, riuscendo ad occultarsi in una scura nube di fumo, squarciata dalla spada di Siegfried.
Spaesato, troppo tardi il cavaliere percepì la presenza della donna alle sue spalle, che, dall’alto, piombò su di lui, colpendolo al viso con un calcio. Siegfried cadde a terra.
Kaguyuki continuò l’attacco, ma il ragazzo le sfuggì con incredibile velocità e, dopo un ultimo breve spettacolare duello, la ferì di strisciò alla guancia e la disarmò definitivamente. Kaguyuki indietreggiò, inciampò e cadde giù per le scale, ritrovandosi con la schiena a terra e la lama del demone a pochi centimetri dalla gola.
“Molto divertente, principessa, devo ammettere che mi avete dato parecchio filo da torcere, siete stata più difficile del previsto... ma questo è del tutto irrilevante. La vostra vita è mia.” Disse Siegfried, comparso istantaneamente davanti a lei.
Ansimando esausta per la lotta, Kaguyuki capì di non avere più scampo e che l’unica cosa che poteva fare era prendere tempo e pregare che Mitsurugi arrivasse.
“Siegfried... perché hai fatto tutto questo? Che cosa ti è successo? Perchè agisci in questo modo?” Domandò Kaguyuki.
“Io non sono Siegfried... Abbandonai la natura di Siegfried Schtauffen molto tempo fa. Sono il demone che voi avete cercato di uccidere e privare di ciò che mi apparteneva di diritto... e ora sono tornato per vendicarmi di coloro che mi hanno ostacolato in passato. Il vostro generale primo fra tutti.” Disse Siegfried, dopo alcuni istanti di silenzio in cui regnò sovrana la sua risata, dolce e soffice come la morte.
“Nightmare... sei tu allora! Ero convinta che tu fossi morto... come sei riuscito a tornare in questo mondo? Mitsurugi e Siegfried erano riusciti a distruggerti, mi ricordo...” Disse Kaguyuki.
“Verissimo... Heishiro e Siegfried riuscirono a strapparmi la vita dal cuore e distrussero questa spada. Tuttavia, i suoi frammenti rimasero più vivi che mai, e passando di mano in mano ad ignoranti briganti o avidi collezionisti, riuscirono a corrompere il loro animo e a fare in modo che tornassero a ricomporre un’unica spada. Quando questa fu completata, non fu difficile fare in modo che finisse di nuovo nelle mani di Siegfried. Presi la prima nave per questa terra, e per mia fortuna vi ho trovato subito... e ora posso vendicarmi della sconfitta che voi e quel samurai mi infliggeste quattro anni fa...” Disse Siegfried, ormai incapace di trattenere un'inquietante smorfia di collera mista ad euforia.
“Heishiro te la farà pagare, bastardo... anche se io morissi, non potrai comunque fare nulla per sconfiggerlo, lui è sempre stato il più grande e valoroso samurai di questa terra... e riuscirà ad avere ragione anche su di te.” Disse Kaguyuki, le cui parole erano sempre più fragili e delicate, frantumandosi come vetro nel panico che la stava conquistando.
“Addio... Kaguyuki-hime... rivedrete il vostro amato Heishiro molto presto...” Disse il demone, mentre alzava la spada e si apprestava a colpire.
Kaguyuki chiuse gli occhi e vide il samurai, bello e orgoglioso, un po’ triste e chiuso in se stesso, lo sguardo duro come l’acciaio, ma il cuore dolce e romantico, che l’aveva conquistata.
“Mitsurugi-san... perdonatemi se la mia debolezza vi separa da voi. Spero solo di essere stata una giusta imperatrice e che almeno una parte di me resti nel vostro cuore...” Pensò, attendendo che la lama di Siegfried le trafiggesse la gola.
Per un attimo credette anche di sentire la sua voce forte e carismatica gridare il suo nome, come se stesse correndo in suo soccorso. E la principessa era così manovrata dalla paura da non rendersi conto di non stare affatto sognando, che ancora una volta il generale non era mancato al suo dovere e che correva verso di lei, pronto a morire pur di salvare la sua signora, e un istante prima che Siegfried potesse uccidere la principessa, una valorosa ed onorevole spada si frappose a quella del demone, una spada samurai, la più degna di tutte, la spada del grande generale Heishiro Mitsurugi, mentre lui e l’assassino si ritrovavano faccia a faccia, occhi negli occhi, ancora una volta.

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Capitolo 3
*** Death & Rebirth ***


Soul Calibur
Between Heaven and Hell


Kaguyuki-sama!” Gridò, dopo essersi gettato a capofitto dentro al palazzo ed aver incrociato all’ultimo momento lama e sguardo con il demone.
“Mitsurugi-san!” Esclamò gioiosa Kaguyuki, mentre, ancora a terra, osservava il generale. “Tu!” Disse Siegfried, tentando invano di nascondere la sorpresa: i suoi occhi da vampiro color cremisi non mentivano allo sguardo fiero, duro e orgoglioso del samurai, che a sua volta lo fissava intensamente.
“Siegfried... commisi un grave errore quattro anni fa quando decisi di risparmiare la tua vita nella speranza che tu fossi davvero cambiato... giuro che non commetterò più lo stesso sbaglio!” Gridò Mitsurugi, mentre con un colpo violento respingeva l’avversario ed gli si lanciava contro senza pietà.
Kaguyuki, troppo debole persino per alzarsi, cercò disperatamente di muoversi, strisciando verso la parete e cercando di appoggiarsi ad essa, poi sbattè gli occhi offuscati e riuscì a vedere il generale e l’assassino battersi funestamente in un prodigioso duello. Non ci fu tempo per parole, per occhiate fugaci o pensieri maligni, solo rapidi e sordi gridi di battaglia, la mente guidata dall’istinto, la spada dal cuore.
Solo un silenzioso e misterioso combattimento fra due grandi spadaccini, che diedero tutto in quei brevi e mortali secondi, che parevano un’eternità nelle anime di ciascuno dei due, in grado di viverli per sempre al di là del tempo.
Mitsurugi e Siegfried incrociarono le spade in catene di tecniche sempre più fitte e varie, dai fendenti circolari e diagonali ai colpi diretti e frontali, dagli attacchi laterali alle stoccate e gli affondi, a volte indietreggiando, altre avanzando e scivolando come ombre attorno all’avversario, che faceva altrettanto e continuava lo scambio di colpi in quella letale spirale. Fu alla fine la collera di Mitsurugi a trionfare sulla vendetta di Siegfried, sbattuto a terra da una potente spallata del generale. Il giovane, lievemente stordito, scosse il capo e appena in tempo riuscì a parare l’attacco del samurai, sbilanciandolo con abilità e cercando di colpirlo alle spalle.
Mitsurugi recuperò rapidamente posizione e riuscì a difendersi, inseguito dagli occhi indemoniati del nemico, fino a che i due non si furono raggiunti ed ebbero scontrato gli acciai in un unico e fermo fendente.
“Fino a quanto hai intenzione di combattermi e ostacolarmi, samurai? Fino a quanto credi che i tuoi muscoli possano resistere alla mia furia? Ma soprattutto... fino a che punto credi di poter salvare l’antica tradizione del tuo amato Bushido dagli inevitabili cambiamenti dell’avvenire?!” Ringhiò Siegfried.
“Sarebbe sbagliato se dicessi che continuerei a farlo finché il cuore mi battesse in petto... perché noi samurai abbiamo lasciato a questa nazione qualcosa d’indelebile, e anche dopo di me, la tradizione e i suoi valori non verranno mai dimenticati! No, io ti combatterò, Nightmare, e proteggerò quel che mi è più caro con tutto ciò che è in mio potere!” Replicò Mitsurugi, mentre i due ricomincavano a duellare, questa volta rimanendo l’uno di fronte all’altro, non scivolarono più come gocce di pioggia via dal nemico, ma lo affrontarono coraggiosamente faccia a faccia, resistendo alla stanchezza che, mossa dopo mossa, gli bagnava di sudore la fronte, lacerava i muscoli e appesantiva il fiato.
Alla fine il combattimento raggiunse l’apice e i due, ormai giunti al limite, si scambiarono di posto, così, voltandosi allo stesso istante, si colpirono con la medesima tecnica, facendosi sì che le loro spade si incrociassero ancora una volta e in modo tale da non lasciare scampo a nessuno dei due: la gola di entrambi era serrata dall’affilatissimo filo della lama avversaria.
Per lunghi secondi riecheggiò nello splendido salone imperiale solo il respiro affannato e affaticato dei due, che, perfettamente immobili, continuavano a combattere con sguardi più duri dell'acciaio delle proprie armi .
“Un equo pareggio, che risultato deludente per te, Mitsurugi! Un samurai non sopporta un simile fallimento, non è così? E’ disposto a morire pur di concludere ciò che ha cominciato! Allora come mai tu esiti? Temi forse la morte che dichiarasti un onore se per la salvezza della tua imperatrice?” Domandò Siegfried con un arrogante sorriso.
La risposta tagliente e provocatoria del samurai fu accompagnata da un audace sorriso di sfida.
“Per chi è considerato samurai, l'annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione durante il duello. Reprimere qualsiasi emozione o compassione. Uccidete chiunque vi ostacoli, ancorché fosse Dio in persona. Questo è il cuore dell'arte del combattimento.... ecco quello che il Bushido, la via del guerriero, mi ha insegnato... ed è un onore che ad un bastardo come te non concederò mai, Nightmare... no, il Giappone ha intenzione di fartela pagare prima di concederti una dignitosa morte da guerriero...” Disse, mentre i portoni del salone si aprivano e i compagni del samurai entravano e sguainavano le spade, circondando l’assassino.
Con loro c’era anche la sacra e preziosa lancia dorata della sacerdotessa Kimiko a punzecchiare l’alto e fiero mento del ragazzo.
“Su, avanti, prova a scappare! Prova ad utilizzare ancora una volta una delle tue stregonerie, se ne hai il coraggio, e quella tua mente perversa sarà perforata dalla mia lancia...” Disse Kimiko.
Siegfried non aveva più alcuna via di scampo e si guardò intorno preoccupato: più di una sessantina di spade giapponesi erano puntate contro di lui.
Poi posò di nuovo gli occhi sul generale. Forse, pensò, anche lui aveva commesso un errore sottovalutando il suo nemico, poichè quello che aveva davanti non era un comune avversario come tanti altri, ma uno spadaccino diverso da tutti, uno spadaccino votato al coraggio e all'onore come nessun'altro, uno spadaccino di nome Heishiro Mitsurugi.

Non erano ancora sorte le prime luci dell’alba che Mitsurugi si destò di colpo nel freddo e grezzo letto dell’umile stanza che la caserma imperiale gli offriva. Il suo sonno era stato leggero ed agitato, più volte nella notte si era svegliato ansimante e faticosamente il torpore l’aveva addormentato.
Scosse confuso il capo e d’istinto gettò mano alla guaina in cui aveva riposto la spada, accuratamente posata di fianco a sé, e tese le orecchie, in ascolto di ciò che stava accadendo all’esterno. Poteva udire diverse voci concitate e confuse mescolarsi l’un l’altra in brusche discussioni riguardo a quanto era successo il giorno prima.
Siegfried non aveva avuto scampo. Circondato dal resto dell’esercito del generale, si era dovuto piegare sconfitto per non essere giustiziato lì, seduta stante.
Una volta inginocchiato, fu violentemente disarmato e incatenato da Kimiko, per poi essere consegnato alle guardie che l’avevano rinchiuso in una delle più profonde celle del palazzo, mentre la sua spada era stata portata nella segreta stanza sacra del palazzo, ove nessuno avrebbe mai più potuto toccarla, perchè se cadesse mai più nelle mani sbagliata.
Nessuno di loro, però, aveva voluto assumersi la responsabilità di sorvegliare il prigioniero: egli, silenzioso e muto, sorrideva inquietante e sprezzante della situazione in cui si trovava, e chiunque lo guardasse ne rimaneva turbato a tal punto da voler fuggire.
E Mitsurugi era troppo stanco per riuscire ancora una volta a rinunciare ad un lieto riposo e vegliare sino al mattino.
“Non preoccupatevi, Heishiro. Penserò io a sorvegliare la prigione di Siegfried. Voi siete sfinito, non siete più obbligato a sopportare la fatica che conoscete da anni.” Aveva allora detto Kimiko, riafferrando orgogliosa la lancia ed inchinandosi al generale, che ben volentieri le aveva assegnato tale incarico.
L’imperatrice era stata portata nelle sue stanze, il combattimento aveva sfinito anche lei ed era sprofondata così in un sonno profondo.
Mitsurugi, invece, nonostante la grande stanchezza, difficilmente aveva trovato un sonno tranquillo.
Era stato detto che al mattino l’uomo conosciuto come Siegfried Schtauffen sarebbe stato giustiziato per omicidi e tentato oltraggio alla corona imperiale, e quell’ora era giunta.
Eppure, nonostante il suo più grande nemico fosse stato sconfitto e la pace sembrasse essere finalmente giunta anche sul suo cammino, qualcosa preoccupava il suo cuore e inquietava i suoi sogni.
Non pensava a Setsuka, la donna che amava sarebbe presto tornata, come con quel bacio gli aveva promesso, la sua imperatrice era salva e la nobile sacerdotessa svolgeva solidalmente il suo dovere in sue veci, concedendogli di tirare un sospiro di sollievo.
Ma il sesto senso che con tanta perseveranza aveva coltivato era in allarme, lo avvertiva che qualcosa non quadrava. Ci aveva pensato sino a quel momento. Era troppo semplice che quella storia fosse finita a quel modo, conosceva Siegfried ed era certo che avesse ancora qualche inganno in mente da ordire: quel diabolico sorriso e quegli occhi rosso sangue non mentivano.
Ancora non riusciva a capire come quel demone si fosse mosso così velocemente e senza essere visto da nessuno. Per quanto potenti ed oscure fossero le sue arti magiche, non sarebbe potuto sfuggire alla vista delle sentinelle a capo dell’artiglieria e del corpo militare moderno, e d’altro canto queste ultime sostenevano di non aver avvistato nemmeno una sua traccia. Non era possibile.
Il giovane Heishiro terminò frettolosamente la ciotola di riso e pesce e la scorta d’acqua nella borraccia, quindi indossò gli abiti bellicosi e, posta la spada alla cintura, lasciò la stanza.
Sulla strada incontrò il suo compagno Tetsuya.
“Tetsuya-san, che diavolo sta succedendo?! Cos’è tutto questo rumore?!” Domandò.
“E’ l’imperatrice, Heishiro. E’ furiosa con il corpo delle guardie artigliere. E a buon diritto. Era stata affidata a loro la sorveglianza dei confini della contea, e si sono lasciati sfuggire l’assassino da sotto al naso. Fossi io su quel trono, li avrei giustiziati uno dopo l’altro.” Disse Tetsuya.
“Sono davvero curioso di ascoltare la loro storia. Siegfried è passato nelle vie da loro sorvegliate, non è possibile che non l’abbiano visto. Chissà cosa avranno da dire.” Disse il generale, sorridendo ironico, quasi sollevato dal fatto che i suoi dubbi non fossero solo suoi.
Insieme, lui e Tetsuya attraversarono il campo, ove le guardie, samurai e artiglieri, stavano preparando tutto per l’esecuzione di Siegfried, e fra loro, aggressivi e feroci, litigavano ad alta voce, rimproverandosi a vicenda per le morti di tutti i loro compagni.
Fra di loro c’era anche Hoshiko, una dei pochi che, saggiamente, cercava di mantenere l’ordine ed invitava gli altri a portare a termine i propri compiti, senza lasciarsi distrarre da rancori personali.
“Non è colpa di nessuno di noi se molti nostri amici sono morti. Ciascuno di noi ha combattuto per la loro salvezza e non si è tirato indietro! Il colpevole di tutto questo giace dietro a delle sbarre e presto sarà giustiziato!” Continuava a dire, ma ben pochi le prestavano ascolto.
Quando vide Heishiro gli lanciò un’occhiata supplichevole, che fu dal generale ben ricambiata.
“Nessuno di loro sembra voler guardare la realtà...” Sospirò.
“Suppongo tuttavia che anche tu abbia capito che qui qualcosa non quadra, dico bene, Hoshiko-san?” Le domandò Mitsurugi.
“Naturalmente. Non so come abbia fatto, ma sono sicuro che non sarebbe un peccato estorcere con ogni mezzo tutto quello che Siegfried sa, prima di ucciderlo.” Replicò la donna, mentre Mitsurugi e Tetsuya procedevano verso le porte del palazzo, dinanzi alle quali stava l’imperatrice.
Tetsuya, educatamente, s’inchinò e si fece da parte, mentre il generale s’inginocchiava profondamente al cospetto della donna, la quale, nel vederlo, sussultò di gioia.
“Generale Mitsurugi... Heishiro. Ancora non so come esprimere la mia gratitudine nei vostri confronti. Se non fosse stato per voi a quest’ora sarei morta. E quegli uomini a cui è stata affidata la sorveglianza della contea... come hanno potuto permettere che Siegfried sfuggisse alla loro vista?! Mai ho incontrato persone di tale irresponsabilità! Spero gravi loro sulla coscienza il peso delle vite che per causa loro si sono spente.” Disse la donna.
“Kaguyuki-sama... la vostra vita ha ben più valore della mia. Ma non è stata solo irresponsabilità la colpa delle guardie, poiché, per quanto potessero esserlo, non possono non averlo avvistato. Ho ripensato e ragionato sulla geografia delle zone a loro assegnate e ovunque si passi per varcare in confini ci si trova sempre dinanzi alle loro pattuglie. Sembra quasi che Siegfried sia riuscito a volare sopra di noi, ma questo è impossibile, per quanto potente che sia, non ne è comunque in grado.” Disse pensieroso il samurai.
“Lo so, generale, avete perfettamente ragione, ma non vedo alcuna altra soluzione...” Concordò Kaguyuki, quando sul suo viso si dipinse il terrore.
“Non voglio nemmeno pensarci, imperatrice, il corpo militare moderno non può aver commesso un simile crimine...” Iniziò rassicurante Mitsurugi, nonostante l’ipotesi che gli era venuta in mente gli avesse comunque raggelato il sangue.
E non era del tutto scontato. Quel corpo di soldati odiava lui e i samurai, più volte in passato c’erano state diatribe e rancori mai sedati, essi ritenevano i samurai appartenenti alla storia, colpevoli della decadenza del Giappone, poiché gli impedivano di affacciarsi sulla modernità.
Non ebbe tuttavia il tempo di terminare la frase che Kimiko giunse dalle segrete.
“Mitsurugi-san... Tenno-sama... è giunta l’ora.” Disse decisa.
“Bene, sacerdotessa.” Disse Kaguyuki, in parte tranquillizzata.
Pochi minuti dopo, Siegfried era inginocchiato ai piedi della scalinata di pietra dinanzi al palazzo, al cospetto di Kaguyuki, che l’osservava livida e spietata, di Kimiko, che reggeva ben salde le sue catene, e di Mitsurugi, che lo fissava negli occhi.
Persino il cielo assisteva in lacrime a quel triste, più che vittorioso, giorno, riversando pioggia e feroci fulmini sulla lacerata Tokyo, oscurando con fitte nubi l’arrivo dell’aurora, separata dal mattino di poche ore.
Anche di fronte a Dio, Siegfried osava sorridere.
L’intera armata dei samurai era ordinatamente schierata attorno a loro, pronti ad assistere all’esecuzione del giovane demone, mentre il corpo militare moderno era umilmente disposto dietro di loro, alle ultime file.
Com’era tradizione secondo il Bushido, a Siegfried sarebbero state sciolte le catene e gli sarebbe stato dato un pugnale, con cui avrebbe dovuto trafiggersi il ventre. E prima che il dolore potesse storpiargli il viso, Mitsurugi gli avrebbe troncato di netto il capo, per concedergli, lealmente, un ultimo onore.
“Eh eh eh... davanti a te, sconfitto e disarmato. E’ così che hai sempre voluto vedermi, vero, Mitsurugi? Allora perché, in questo giorno di vittoria, il tuo viso è cupo e rattristato?” Domandò Siegfried al generale.
“Perché diversamente da te, Nightmare, ho imparato che non c’è nulla di poetico od eroico nel reclamare vite umane, e che sei stato tu stesso a costringermi ad arrivare ove non sarei mai voluto giungere.” Replicò Mitsurugi, incapace di nascondere una nota d’incertezza, che non sfuggì all’anima nera del nemico.
“Sei un bugiardo. Ti mostri tanto leale nell’offrire una bella morte al tuo più odiato nemico, quando in realtà continui a domandarti come io sia riuscito a passare inosservato agli occhi delle vostre guardie e giungere quasi ad uccidere l’imperatrice... un segreto che mi porterò nella tomba e che vi costerà ben caro.” Aggiunse con un ghigno il demone.
“Fa’ silenzio, lurido cane bastardo! Dovresti ringraziare in lacrime il generale che ti concede questa morte anziché una torturante agonia nelle segrete, lasciato a morire nella fame, nella sete e nella pazzia, solo con la tua anima dannata!” Urlò Kimiko, colpendo violentemente al viso Siegfried con il manico della lancia.
Questi rimase fermo e saldo, subendo la bastonata senza fare una piega.
“Sacerdotessa! Abbassa la lancia! Non serve a nulla agire così infantilmente con un uomo che non è degno d'essere chiamato tale!” La ammonì Kaguyuki ed ella, reprimendo la rabbia, si fece da parte.
Mitsurugi, invece, continuò ad osservare il giovane con occhi concentrati e pensierosi: aveva detto il vero, quel segreto sarebbe potuto costargli caro.
“Non oso nemmeno chiedergli come sia riuscito a raggirarci e colpire il cuore di Tokyo, esploderebbe a ridere e patirebbe qualunque tortura, pur di tacere...” Pensò turbato Mitsurugi, mentre sguainava la spada e la posava delicatamente sulla nuca del condannato.
Kaguyuki fece un cenno a Kimiko e questa lo liberò dalle catene, consegnandogli poi il pugnale che Mitsurugi portava sempre con sé, al fianco della lunga lama.
“Ah ah ah... vedo che sei molto perspicace, Mitsurugi, ma non c’è alcun bisogno che io parli, d’altro canto. Perché io ho già vinto...” Ringhiò il demone con voce terribile, quasi fosse riuscito a leggere i pensieri del generale.
Mitsurugi e tutti i suoi compagni non ebbero il tempo di essere stupiti o scossi da quell’inquietante frase che già si resero conto di essere finiti in trappola, e che i timori d’Heishiro erano purtroppo realtà.
Alzarono lo sguardo e si videro circondati da decine se non centinaia di migliaia di fucili dalle lunghe baionette, carichi e puntati alle loro teste. Un passo e tutti loro sarebbero spariti, annientati dalla più devastante raffica che avrebbe oscurato il cielo.
Solo allora Mitsurugi realizzò a pieno che non erano state vane le sue ipotesi: il corpo militare degli artiglieri aveva davvero tradito l’imperatrice e si era messo al servizio di quel demone, pur di togliere per sempre di mezzo quell’odiata classe sociale che da secoli aveva corrotto la nazione, guidata da quel generale così valoroso e devoto alla via chiamata Bushido.
“No...” Gemette scuotendo la testa.
“Invece è così, Heishiro. E’ stato uno scherzo riuscire a corrompere gli ufficiali delle vostre guardie, promettendo loro la vostra eliminazione. Oh, hai sottovalutato l’odio che da anni ripongono in te e nei tuoi compagni, erano pronti a tutto pur di liberarsi di voi, anche a vendere l’anima al diavolo.... esattamente come hanno fatto oggi...” Sussurrò Siegfried ridendo. La sua voce tremava dall’euforia e da ruvidi ringhi mostruosi: mai si era sentito così eccitato e gioioso. Rimase tuttavia inginocchio, piegato sotto la spada d’Heishiro, chinando il capo per nascondere l’infernale sorriso e gli occhi velati da quella luce rossastra minacciosa.
Mitsurugi digrignò i denti tremante, lasciandosi sfuggire deboli gemiti disperati. Kaguyuki singhiozzava terrorizzata, mentre Kimiko, furiosa, pareva sul punto di esplodere dalla collera.
Nessuno dei samurai, a loro volta, osò muoversi, conscio che non sarebbe stata la loro vita a svanire, ma la più importante, quella della loro signora.
“Uccideteli.” Disse Siegfried, ancora in preda alla follia.
“Maledetto!” Ruggì Mitsurugi, mentre abbatteva su di lui la spada, ma questa squarciò l’aria e andò a ferire la nuda terra, poiché Siegfried, compì l’ennesimo incantesimo e in un turbine di fiamme svanì.
E al demoniaco fuoco del giovane assassino si sostituì lo spietato e materiale fuoco dell’artiglieria.
Con un balzo, il generale afferrò a sé Kaguyuki e si gettò al suolo, mentre Kimiko s’abbassava e, con un’agile capriola, sfuggiva agli spari.
“Minna! Ikusò!” Gridò Mitsurugi disperato, mentre i samurai sfoderavano le spade e ingaggiavano battaglia contro l’artiglieria.
Si scatenò l’inferno. Le file a loro più vicine non ebbero nemmeno il tempo di voltarsi che una raffica dilaniò in un attimo le loro carni, ma, grazie al loro sacrificio, le seconde file poterono arrivare ove i caduti non erano riusciti a giungere e a capofitto sfidarono l’artiglieria, lacerando con la rapida e letale spada i nemici prima che questi potessero caricare e di nuovo fare strage.
Solo alcuni riuscirono nel pandemonio di nuovo a sparare, ma, valorose, resistettero le robuste armature, consentendo agli spadaccini di caricare sempre più e proseguire quasi ad armi pari la battaglia.
Fra loro combattevano con estremo coraggio Tetsuya e Hoshiko, che in assenza del loro generale, conducevano i compagni all’assalto.
Mitsurugi intanto osservava sconvolto quel tragico spettacolo, che vedeva battersi sino all’ultimo sangue fratello contro fratello. In un attimo, Nightmare era riuscito a portargli via tutto quello che faticosamente aveva costruito.
Ma non c’era tempo per le emozioni e per le lacrime, troppo a lungo da esse Heishiro s’era fatto distrarre, e doveva liberare il Giappone da quel cancro chiamato Nightmare.
Mentre lui,con la spada, Kimiko, con la lancia, e Kaguyuki, la coppia di corte spade, combattevano al fianco di tutti gli altri e abbattevano senza pietà i vili traditori, il generale si guardò attorno, gettando lo sguardo in ogni luogo: dove poteva essersi rintanato Siegfried?
Ad osservare ridendo dall’alto Tokyo mentre si faceva a pezzi con le sue stesse mani? Perché no? Che bisogno c’era più ormai di sporcarsi le mani ora che aveva con l’astuzia sconfitto persino Mitsurugi?
Questo chiunque, al suo posto, avrebbe pensato. Ma Siegfried non era temuto da Mitsurugi solo per la sua intelligenza, ma soprattutto perché egli non avrebbe mai commesso l’errore di sottovalutare quel generale pieno di risorse: l’avrebbe ucciso personalmente prima che potesse in qualche modo salvarsi da quella situazione.
Solo allora Mitsurugi capì dove Siegfried si fosse diretto, e si rese conto che ormai poteva essere troppo tardi.
“Kimiko-sama! Vi affido la vita dell’imperatrice! Tenno-sama! Imploro il vostro perdono per non restare qui a combattere al vostro fianco! Se al mio ritorno sarete ancora adirata con me, comandatemelo, ed io mi toglierò la vita!” Gridò inchinandosi, mentre rinfoderava la spada e, prima che le due potessero rispondere, correva dentro al palazzo.
Veloce e agile, oltrepassò un piano dopo l’altro e giunse, ansimante ma vigoroso, in cima all’ultima scalinata.
Pochi metri lo separavano da una porta serrata da una catena. Mitsurugi non vi fece caso e in un attimo vi fu appressò, sguainò l’arma e, con un colpo netto diretto all’anello più debole, la spezzò. Poi, con una spallata, spalancò le porte, ritrovandosi in un immenso salone che non aveva mai visto, molto simile all’antico dojo in cui si era allenato, ma molto più raffinato, elegante e decorato: alle pareti erano affisse collezioni di bellissime spade appartenute ai caduti, e in fondo ad essa, su di uno snello ma appariscente piedistallo, stava l’arma che mai nessuno avrebbe più dovuto impugnare.
Quand’ebbe rialzato lo sguardo vide il suo nemico, ridere indemoniato abbracciato dalle medesime fiamme che gli dipingevano di sangue gli occhi, e brandire al cielo la spada a croce dai macabri decori, che veementemente reclamò dalla collezione.
“Ho vinto io, Heishiro...” Disse.

Mitsurugi Heishiro non ebbe paura, e imperioso brandì la spada, avanzando di qualche passo verso il nemico.
Egli rideva e gridava ormai euforico, dominato dalla follia e dal potere che quella spada gli avevano, a caro prezzo, conferito.
Più alcuna traccia vide di Siegfried in quel giovane. Non avrebbe mai più potuto salvarlo, Nightmare aveva dopotutto sconfitto entrambi, sia Mitsurugi, battendolo in astuzia, sia Siegfried, battendolo in volontà.
Il samurai faticava persino a guardare il suo avversario, tanto si sentiva umiliato per essere come uno stupido caduto nell’inganno pianificato dall’oscura mente del demone.
“Siegfried Schtauffen... Nightmare... non riesco a credere che tu sia potuto ad arrivare a tanto pur di volere la mia dannazione... con la tua magia tu avresti potuto colpirci tutti quando volevi, e invece... volevi prima distruggere tutto ciò a me più caro, non è così?” Domandò Mitsurugi, nel cui petto disperazione ed ira si sfidavano, incapaci di prevalere l’una sull’altra.
“Eh eh eh... ti è piaciuto il mio piano, Mitsurugi? Se devo essere sincero non avrei mai pensato che potesse riuscire così perfettamente... forse ti avevo sopravvalutato, samurai, anche se, come hai visto, non sono mai stato in grado di sconfiggerti in duello. Ma questo è stato solo un bene, poiché in questo modo hai potuto vivere abbastanza a lungo da vederti privato di tutto ciò che ti apparteneva, della tua gente, dei tuoi compagni, della tua signora, l’imperatrice, e infine del tuo onore.” Replicò Siegfried, la cui voce, parola dopo parola, era sempre più disumana e mostruosa.
“Corrompendo il corpo militare moderno delle guardie di Tokyo sfruttando il loro odio nei nostri confronti, sei riuscito ad assicurarti il silenzio dovuto a far sì che nessuno potesse avvistarti né, tanto meno fermarti. Coperto da loro hai ucciso innumerevoli persone e hai poi rivolto la tua attenzione a me e Kaguyuki. Poi ti sei volontariamente arreso ed hai di proposito aspettato nella cella, in modo che nessuno di noi, né i miei compagni né i tuoi servi né nessun’altro, potessero salvarsi dalla furia omicida che hai scatenato.” Disse Mitsurugi, riprendendo con calma e razionalità il procedimento logico partorito dalla mente nemica, incapace tuttavia di celare il crescente disgusto.
E mentre si piegava, contorta dalla vincente rabbia, l’espressione del generale, così si storpiava quella di Siegfried, dal famelico ghigno di un vampiro.
“Ah ah ah... esattamente, Mitsurugi, vedo che la tua mente acuta e intuitiva non ha tralasciato alcun dettaglio. Peccato che tu sia giunto troppo tardi a capire le mie intenzioni. Avrei potuto in qualunque momento, dalla cella, recuperare la mia spada ed uccidervi tutti, ma sapevo bene che voi, orgogliosi e fiduciosi di voi stessi, mi avreste risparmiato e confinato in una prigione, ormai sicuri della vostra vittoria. Così ho aspettato che tutti voi foste davanti a me per poter agire. E devo dire che nessuna delle guardie ha merito superiore alle altre nell’aver compiuto il proprio dovere. Avevo esplicitamente ordinato a quelle del castello di fingersi mie nemiche e tentare di uccidermi, in modo da non destare alcun sospetto. Kimiko avrebbe subito intuito, vedendo superstiti solo gli artiglieri, che fossero coinvolti nella mia missione. In questo modo non mi ero lasciato alle spalle poche tracce, troppo poche perché voi capiste in tempo tutto quanto. Ormai è troppo tardi, nessuno di voi sarà vivo una volta che il sole sarà sorto, né la tua cara sacerdotessa, né la tua principessa, né tu. E finalmente anche il Giappone sarà una nazione moderna, nuova, rinata, libera dal cancro che voi samurai le affliggevate.” Disse Siegfried.
“Ancora non capisci?! Eppure mi pare di avertelo già detto una volta. Quel che noi abbiamo lasciato a questa nazione va ben al di là del tempo e della morte, nessuna rivoluzione potrà cancellare millenni di storia che ci appartengono!” Ribatté Mitsurugi, irato e pallido come non mai.
“Illuso. Tu sei stato un mio grande avversario, devo ammetterlo, nessuno, prima di te, era stato in grado di tenermi testa ed arrivare dove sei arrivato tu. Ma quel tempo è concluso. Il tempo dei samurai è concluso. Impugnando nuovamente questa spada, i miei poteri si sono moltiplicati e incrementati, trascendendo persino la tua abilità di spadaccino. Ormai non sei più alla mia altezza, Mitsurugi, ma se non mi credi, allora te n’accorgerai ben presto!” Esclamò ridendo Siegfried, mentre Heishiro, incapace di trattenersi, decise che era giunta l’ora di farla finita una volta per tutte.
“Ne sei proprio sicuro, Nightmare?! Non vedo l’ora di scoprirlo con i miei occhi!” Ruggì Mitsurugi, sorridendo minaccioso e scattando rapido e letale verso il demone, che, sicuro di sé, non fece un a piega, ma attese sorridendo superbo la spada nemica.
Schiavo della vendetta, Mitsurugi sferrò una catena di cruenti fendenti, uno dopo l’altro, diretti al collo o al fianco del nemico, riponendo in ogni tecnica tutta la sua forza e la sua rabbia, ma ciò non bastò per riuscire a fare breccia nella salda e insormontabile difesa del demone, che, immobile, non indietreggiò di un passo e mosse l’enorme lama a croce così velocemente da anticipare e parare ogni colpo del samurai, che sempre, dinanzi alla vicina carne nemica, trovò a proteggerla la spada del giovane.
“Ksama...” Ringhiò Mitsurugi, dopo che il suo ultimo attacco fu parato e i due si furono trovati occhi negli occhi. Invano tentò di respingere Siegfried respingendolo lama contro lama in una prova di forza, come solida roccia, il giovane rimase ben saldo bell’eretta posizione, e impertinente rideva.
“Sei un po’ lento, mio caro Mitsurugi... beh, credo che ora tocchi a me attaccare...” Sussurrò, mentre socchiudeva gli occhi e un’aura di fiamme esplose attorno a lui, scaraventando a terra il generale, sino a riportarlo nel corridoio da cui era giunto.
Abile, attutì la caduta e subito recuperò terreno, ponendo a difesa la propria lama, che miracolosamente frenò la carica del mortale affondo dell’oscuro principe, così potente che il generale si resse a malapena in piedi.
Strinse vigoroso denti e coraggio per mantenere la posizione, ma Siegfried non ebbe pietà e violento iniziò a sferrargli una raffica di colpi, che come cannonate s’abbatterono sull’armoniosa spada d’Heishiro. Traballava ed indietreggiava sempre più il generale, a stento reggeva il peso della croce di Siegfried e ogni volta solo per un morto istante preservava dal famelico acciaio il proprio corpo, fiaccato e piegato dall’evidente superiorità del demone.
Mitsurugi giunse con le spalle alle porte che separavano la via dalla maestosa balconata da cui l’intero Kanto si poteva ammirare, che ben chiuse non gli avrebbero più consentito di sfuggire alla furia nemica, così, prima che fosse troppo tardi, scartò di lato, scampando ad un mortale diretto, e con una torsione rivolse tutto il suo corpo al giovane, colpendolo in pieno stomaco con una possente spallata.
Siegfried incassò il colpo come se nulla fosse e, piegando il capo di lato, si salvò dalla fulminea stoccata del samurai.
Scoperto e instabile, Mitsurugi fu afferrato alla gola e da terra sollevato, per essere contro le porte gettato, le quali cedettero subito al suo peso.
Nuovamente si ritrovò egli a terra e ancora una volta, con quel che i robusti ed agili muscoli gli consentirono, con un balzo si rialzò, sotto il nero cielo da fulmini sfregiato e la triste pioggia, questa volta non per difendere ma per ribattere e restituire a Siegfried il mortale favore.
In cima a Tokyo, da cui la tragica guerra fra antica e moderna via era visibile, i due spadaccini si rincontrarono, le lame incrociando e alla pari questa volta battendosi. Ad alcuna fatica e dolore cedettero i suoi muscoli, e consentirono a Mitsurugi di sfidare in eguale abilità.
Con saggezza e precisione deviò e parò le tecniche di spada di Siegfried, e ad esse rispondeva istantaneamente con altrettanti fendenti, stoccate e affondi, da cui anche Siegfried si difendeva perfettamente e di nuovo contrattaccava, così da creare quella delicata e letale armonia che rendeva quel combattimento unico e spettacolare, incapace di lasciar intendere agli spettatori in che modo si fosse concluso.
Nonostante le tenebre dell’inoltrata notte impedissero ai loro sguardi di prendere ben di mira l’avversario, sciolti e veloci scivolavano i due spadaccini l’uno attorno all’altro, alla ricerca del punto debole che gli avrebbe consentito la vittoria, ma il loro istinto era così rapido e sicuro che gli consentiva persino di schivare, seppur per poco, quelle stoccate che la spada non riusciva a fermare.
Così, come il giorno precedente era accaduto, si allontanarono di un balzo e in un ultimo micidiale e fulmineo fendente riposero ogni energia e saggezza, al di là del nemico scattando.
Rimasero fermi e immobili, come pietrificati, nell’ultima posa in cui la tecnica li aveva condotti, ma Mitsurugi era ormai divorato dalla stanchezza e dal sudore, a malapena riusciva a respirare e tossiva sfinito, mentre Siegfried, in piena forma, non si lasciava sfuggire nemmeno un sospiro, ma spietato guardava fisso davanti a sé, non curante di un lungo taglio che gli sfigurava la guancia sinistra.
Il suo sorriso, tuttavia, era morto. Lentamente, abbassò la spada ed avvicinò una mano alla ferita, guardando quasi disgustato il sangue macchiargli le dita.
Cadde invece in ginocchio l’onorevole Mitsurugi, con ira e odio il nemico osservando.
Per lunghi e pesanti istanti regnò il frammentato silenzio fra i due, spezzato tuttavia dalla pioggia e dalle grida della battaglia che sottostante dilaniava il Giappone. Iniziò infine a ridere il giovane demone, rivolgendo i rossi occhi ad Heishiro.
“E così è graffiarmi il volto tutto ciò che il tuo caro Bushido in questi anni ti ha insegnato? Non penso che questo vostro “indelebile ricordo” sopravvivrà al domani, come tu mi hai voluto far credere!” Disse Siegfried, mentre implacabile avanzava verso Mitsurugi.
“Il nostro tempo potrà anche essere giunto a compimento, poiché tutto ha inizio ed una fine, ma te l’ho già detto, non esiste limite per la nostra via!” Rispose Mitsurugi, a stento rialzandosi e contro Siegfried di nuovo accanendosi, ma a questi si fece da parte e sfuggì al generale, colpendolo al volto con una violenta capocciata.
Stordito e dolorante, fu privato, anche se solo per qualche istante, della sua la formidabile vista, quanto bastava a Siegfried per finirlo.
Con un colpo lo privò della fedele lama, che nell’aria sfrecciò e al suolo si conficcò, e con un secondo squarciò armatura, kimono e fianco al samurai.
Disarmato e ferito, Mitsurugi si accasciò alla ringhiera del balcone esanime, conscio che purtroppo le parole dell’avversario si erano rivelate verità: davvero la sua spada l’aveva reso forte oltre ogni limite, la potenza e la violenza dei fendenti, l’abilità e la tecnica nel dirigergli, la velocità e la rapidità nei movimenti, in tutto e per tutto Siegfried era divenuto un vero e proprio mostro, a tal punto da piegare e spezzare persino le difese e la resistenza più nobili e valorose del generale Heishiro.
Senza via di salvezza e la spada nemica puntata alla gola, ansimava disperato, una mano al costato squarciato ed una protesa alla spada ormai da lui lontana, gli occhi fissi in quelli disumani e folli del demone, che assaporava istante per istante l’imminente vittoria.
“Shime(muori).... samurai...” Sussurrò Siegfried, quando sorriso e sguardo, da spietati supplichevoli e disperati divennero, da terrore dipinto il primo e da un morente gemito il secondo, poiché da una corta ma precisa e mortale spada la sua schiena era stata squarciata.
“Heishiro!” Gridò Setsuka, brandendo al cielo l’insanguinata lama che dalla pioggia veniva purificata.
“Setsuka-sama...” Pensò il generale, mentre gioia ed emozione scacciavano paura e angoscia dal suo duro cuore.
Gli parve di tornare a quattro anni prima, quando capì, in quella notte di pioggia e lacrime, d’essersi innamorato di un’assassina, di una donna che lui aveva giurato di consegnare alla giustizia, e per la quale invece al mondo voltò le spalle
“Urgh.. tu...!” Gemette Siegfried ad occhi spalancati guardando la donna, che bellissima e livida ricambiava lo sguardo.
“Se sul seriocredevi di poter reclamare la vita dell’uomo che ha cambiato la mia... allora davvero hai sopravvalutato i dannati poteri che quella tua spada ti ha offerto!” Disse, mentre Mitsurugi, con una capriola, raggiunse la sua spada, la impugnò e la diresse al cuore di Siegfried.
Questo, accasciato al confine fra cieli ed inferno, ormai in grembo alla morte, invano tentò di muovere contro di lui la crociata spada, fu troppo tardi: da parte a parte il suo petto fu dall’onorevole lama del generale Heishiro Mitsurugi, che lo consegnò al sonno eterno in un bagno di sangue e pioggia.
E come se fosse il suo corpo fatto di polvere e aria, bastò un breve soffio di vento perché egli svanisse come un fantasma che ritrova pace e di ciò che aveva portato non rimanesse che il ricordo.
"Mitsurugi..." Furono le sue ultime parole.
“Sayonara... Nightmare...omae no Bushido... shin desu..(il tuo cammino è morto..)” Disse Mitsurugi, mentre abile rinfoderava l’arma e si esibiva in un piccolo inchino.
Poi, sorrise, pianse come mai felice si era sentito, mentre lui e Setsuka si abbracciavano.
“Mitsurugi-san... sono qui con voi, ora... e vi giuro che mai più alcun rancore potrà separaci...” Singhiozzò lei, mentre lui le accarezzava il viso e dolcemente la baciava.
Smise lentamente di piovere e ricomparve all’orizzonte il luminoso sole, mentre il grido di vittoria dei fedeli figli del Bushido riportava la pace e la giustizia a Tokyo.
“Sarò io a giurarvelo, Setsuka-sama... dovrò domandare perdono alla mia nazione e all’imperatrice, ma mai più potrò difendere con questa vita gli ideali per cui ho combattuto... poiché al vostro cuore ora essa appartiene...” Rispose, mentre lei gli accarezzava i capelli.
“Non credete di stare esagerando, generale?” Replicò, trovando finalmente il coraggio di ridere sincera.
“Mitsurugi-san!”
“Mitsurugi-san!”
“Generale Mitsurugi!”
“Heishiro!”
“Mitsurugi-san!” Grida indistinte riecheggiarono attorno a lui e potè Heishiro riconoscere la bellissima sacerdotessa Kimiko, sua leale compagna di guerra, della dolce e pura principessa Kaguyuki, la sua signora a cui dedicò la vita, e dei suoi compagni, Tetsuya, Hoshiko, Hideo, Eisuke, e tutti gli altri che insieme a lui incominciarono la via del samurai, e che gioiosi a lui si ricongiunsero.
Heishiro Mitsurugi sorrise loro dolcemente e, rivolse lo sguardo vigoroso al mattino.
“Spero proprio che questo sole ci risvegli per sempre dall’incubo che abbiamo vissuto... e se mai dovremo riaddormentarci e caderne di nuovo preda, sarò orgoglioso di impugnare ancora una volta questa spada. ” Disse

“The legend will never die.” (Anonimo)

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