How to Lose a Guy in 10 Days

di vampiredrug
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** GRACE ***
Capitolo 3: *** HIGHWAY TO HELL ***
Capitolo 4: *** AMERICAN PIE ***
Capitolo 5: *** KISSIN' DYNAMITE ***
Capitolo 6: *** PRINCE CHARMING ***
Capitolo 7: *** EASIER SAID THAN DONE ***
Capitolo 8: *** DR. FEELGOOD ***
Capitolo 9: *** LIFE’S A BITCH ***
Capitolo 10: *** NO BONE MOVIES ***
Capitolo 11: *** STICKY SWEET ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 


How to Lose a Guy in 10 Days

 
 
PROLOGO


 
New York, lunedì, ore 10.53

 
- Ragazzi? Riunione di redazione! Tutti nell’ufficio del capo tra quaranta minuti! Portate gli appunti con le idee per il nuovo numero, mi raccomando! -
 
La vocetta garrula e petulante di Becky, accompagnata da un ciuffo di capelli chiari e da un paio d’occhi decisamente spiritati che sbucavano a malapena dalla bassa parete divisoria che frazionava il grande open space in tanti mini uffici, come al solito irritò Castiel ad un livello viscerale.
Non sapeva spiegarselo, ma ogni volta che quella ragazza faceva capolino da uno dei separé come un uccellaccio del malaugurio annunciando riunioni a sorpresa, anticipi sulle consegne dei pezzi o anche solo che era terminato il caffè, avvertiva l’impulso irrefrenabile centrarla in fronte con la spillatrice solo per farla tacere.

Scambiò uno sguardo eloquente con Balthazar, suo amico e collega, placidamente intento a sorseggiare l’ultima moda in fatto di intrugli a base di caffeina: frappuccino alla nocciola con scaglie di fave di cacao e schiuma di latte di capra biologico.
Dove diavolo si procurasse simili porcherie, e soprattutto come facesse a conoscerne l’esistenza, per Castiel restava un mistero.

Ma d’altra parte Balthazar viveva praticamente in un universo parallelo, rispetto a quello del giovane redattore: mentre Castiel arrancava fra improbabili decaloghi di comportamento e domande francamente inquietanti, occupandosi della rubrica “Angelo Custode”, una sorta di help desk che forniva a giovani donne l’opinione spassionata di un uomo sui vari problemi quotidiani (dal farsi togliere una multa snocciolando vergognose bugie su nonnine moribonde ai consigli per depilarsi con la maionese come Mac Gyver), Balthazar fluttuava senza pensieri in un mondo dorato fatto di feste, inviti esclusivi, amicizie vip, regali costosi e viaggi da favola, in quanto titolare della rubrica di gossip, trend e lusso.
 
- Secondo te sniffa coca? - domandò svogliatamente a Castiel, che non potè reprimere un sorriso.
 
- Con il suo stipendio da stagista, al massimo sniffa colla… ma no, Balth, temo che quella sia la sua condizione naturale. Anzi, ti confesso che a volte vorrei un po’ della sua energia, soprattutto in mattine come questa… - commentò l’altro, sbadigliando senza alcuna grazia e stiracchiandosi sulla poltroncina girevole.
 
- Se avessi quel tipo di energia, ti avrei già fatto rinchiudere, Cassy. Ha detto quaranta minuti? Che palle… -
 
- Sì… a proposito, dov’è Gabriel? Tu l’hai visto oggi? - domandò il ragazzo con gli occhi blu, allungando il collo oltre i divisori e guardandosi attorno preoccupato per l’insolita assenza dell’amico - Se dovesse mancare di nuovo alla riunione, Pamela se lo mangerebbe vivo… dannazione, credo che sia rimasto a casa… venerdì sera doveva vedersi con quella ragazza che ha conosciuto al Taj Mahal Café e ho un brutto presentimento. Senti, faccio una corsa e vado a prenderlo, tu intanto procura del caffè… del verocaffè! - ordinò sbrigativo, prima che l’altro potesse obbiettare che il suo eraa tutti gli effetti caffè, afferrando il trench e contemporaneamente un’elegante scatola di macarons arrivati freschi da Parigi per Balthazar, gentile omaggio della Maison Chanel.
 
- Ehi! Ma quelli sono miei! - tentò di lamentarsi il legittimo proprietario.
 
- Consideralo un esproprio a fin di bene! - gli urlò Castiel uscendo dall’ufficio, per precipitarsi poi in strada alla ricerca di un taxi.

Gabe abitava a soli due isolati di distanza, ma non era il caso di stare a perder tempo.
 
Fece i tre piani di scale che portavano all’appartamento del brillante critico gastronomico salendo i gradini due a due, quindi entrò nella casa buia e silenziosa con le chiavi di riserva che l’altro gli aveva affidato, spingendosi fino alla camera da letto, da cui arrivavano suoni attutiti.
Sì accostò alla porta socchiusa, da cui filtrava una lama di luce azzurrina proveniente dalla tv, anche se sarebbe stato più opportuno parlare di luce rossa, visto che Gabe stava chiaramente guardando un porno di pessima qualità, almeno a giudicare dai gemiti gutturali e dai… dialoghi in una lingua incomprensibile.

Castiel si schiarì la voce, e senza entrare parlò attraverso la fessura.
 
- Ehm… Gabe? Gabe sono io, Castiel. Smetti di fare qualunque cosa tu stia facendo e metti le mani dove io possa vederle. Ora conto fino a tre e poi entro, ok? Non farmene pentire, ti prego… - mormorò, sperando di non doversi cavare gli occhi con due tizzoni ardenti.
 
Quando finalmente si decise a varcare la soglia lo spettacolo che gli si parò davanti, una volta che i suoi occhi si furono abituati al buio della camera, non fu dei migliori: Gabriel, in tuta da ginnastica e con la barba sfatta, era spiaggiato sul letto circondato da un vero e proprio cimitero di incarti di dolciumi.
La stanza odorava di chiuso ma soprattutto di zucchero, e a Castiel venne immediatamente la nausea.
Si affrettò ad aprire la finestra per arieggiare un po’, sollevando un pochino anche le tapparelle e tornando ad osservare Gabriel avvolto dalla penombra.
 
Nel complesso, l’insieme era davvero desolante. Alla barba lunga si sommavano sguardo vacuo e profonde occhiaie, e anche i capelli, di solito lucidi e ben curati, avevano visto tempi migliori.
 
- Oh, Gabe… - sussurrò il giornalista, impietosito da un tale scempio, senza trovare nulla di meglio da dire.
 
- Cassy… ciao. - farfugliò Gabriel, monocorde, per nulla stupito dalla sua presenza - Sei venuto a portarmi i Kit-Kat? -
 
- Che… che cosa? -
 
- I Kit-Kat. Ti ho mandato una mail all’alba, erano il mio ultimo desiderio… cosa sei venuto a fare se non me li hai portati? - chiese Gabriel, lentamente, come se parlare gli costasse una fatica immane.
 
- Stamani non ho controllato la mail, Gabe. Si può sapere di cosa vai blaterando? Che… che diavolo significa “ultimo desiderio”? Perché sei in questo stato? Come mai non sei in redazione? -
 
- E tu? Perché sei qui se non per consegnarmi lo Snack Supremo? - lo rimbeccò l’altro, infastidito da quella raffica di domande - Se non hai niente da darmi vattene. Voglio stare solo. - mugugnò, voltando leggermente le spalle a Castiel per appallottolarsi fra le cartacce.
 
- Sono qui per evitarti il licenziamento, Gabe, se proprio lo vuoi sapere. - precisò il più giovane aggirando il letto, indispettito dall’insofferenza dell’amico - Tra mezz’ora c’è una riunione, e tu ci sarai, dovessi trascinarti per i capelli, anche se l’idea francamente non mi alletta. Fai schifo, sai? - commentò, osservando con occhio critico le ciocche unticce.
 
- Ah sì? Bè, anche tu. Non mi hai nemmeno portato quello che ti avevo chiesto… sei uno schifoamico. -
 
Castiel perse definitivamente la pazienza. Se c’erano due cose al mondo che detestava, erano il vittimismo e la maleducazione.
E Gabriel gliele stava servendo su un piatto d’argento, entrambe.
 
- Gabe! - tuonò, esasperato - Non costringermi ad essere cattivo, e finiscila con queste cazzate da moribondo! Ora ti vesti, usciamo e per strada mi spieghi quando, di preciso, sei finito sotto un rullo compressore! - continuò, afferrando l’amico per un braccio e cercando di metterlo in piedi, anche se era come cercare di far stare dritto uno spaghetto bollito.

Gabriel si sollevò parzialmente sul letto, sedendosi, la testa ciondoloni, e mormorò qualcosa d’incomprensibile.
Castiel, capito che forzandolo non avrebbe ottenuto nulla, si sedette sconfitto accanto a lui, inclinando il viso per cercare almeno di guardarlo in faccia.
 
- Gabe… - tubò nel suo miglior tono da mamma chioccia, poggiando una mano sul ginocchio dell’amico con fare comprensivo - Dai, dimmi che succede. Troveremo una soluzione insieme, ok? Anche Balth è preoccupato, ci sta aspettando in ufficio… - continuò, omettendo il piccolo particolare che Balthazar era preoccupato più che altro del doversi sobbarcare una dose di lavoro extra, a causa della sua assenza.
 
Gli incredibili occhi color ambra di Gabriel, tremolanti di lacrime, finalmente si sollevarono e incontrarono quelli sinceramente preoccupati di Castiel, fissandolo tra i ciuffi di capelli sporchi.
 
- Kalì mi ha mollato. - dichiarò, funereo.
 
- Chi? - domandò Castiel, spaesato.
 
- Kalì! -
 
- Kalì chi? -
 
- Kalì! Devo farti lo spelling? K-A-L-Í, comprendi? La mia ragazza! -
 
- Ma chi, quella del Taj Mahal? -
 
- Evviva, bentornato nella mia miserevole vita! - ringhiò Gabe, esasperato - Mi ha mollato! Venerdì sera! Ha detto che sono troppo oppressivo! Io, ti rendi conto? -
 
- Gabe, ehm, scusa ma… non stavate insieme da una settimana o giù di lì? -
 
- Sì, e allora? -
 
- B… bè… - mormorò Castiel, con cautela, scegliendo accuratamente le parole - Non ti pare un tantino eccessivo uno stato di prostrazione simile, dopo una sola settimana? Non per sminuire Kalì ma-
 
- Tu non capisci. - lo interruppe Gabriel - Io la amo. -
 
- Tu… tu cosa? -
 
- Cos’hai oggi, Cassy, sei diventato sordo? Ho detto che la amo! -

- Ma non puoi… -
 
- Non posso cosa? -
 
- Non puoi… non si può amare una persona dopo una settimana Gabe, è assurdo! -
 
L’amico gli rivolse un’occhiata astiosa, raddrizzandosi.
 
- Stai forse ridicolizzando i miei sentimenti per Kalì? - chiese, trapassandolo con lo sguardo.
 
- M… ma no, è solo che… -
 
- Solo cosa? Se non stai cercando di banalizzare il mio amore per lei spiegati, coraggio. -
 
- Io… cioè… non lo so, mi stai mandando in confusione! Dico solo che mi sembra un po’ presto per parlare d’amore, ecco. -
 
- Ma che ne sai tu? Non ti sei mai innamorato! - l’aggredì Gabriel, rialzando la testa e ringhiandogli contro.
 
Poi notando lo sguardo mortificato di Castiel, tornò improvvisamente mesto.
 
- Bè, in ogni caso non importa che cosa pensi, perché a quanto pare lo pensa anche lei… - aggiunse.
 
- Cosa? Oddio Gabe, no… non gliel’avrai mica detto? - chiese Castiel, mentre un’orrenda consapevolezza prendeva forma nella sua mente.
 
- Certo che gliel’ho detto! L’altra sera, a cena. Lei si è come… irrigidita, e da lì in poi le cose hanno preso una brutta piega… -
 
- E vorrei vedere! Ma sei impazzito? Oh no, dimmi che non le hai fatto anche un regalo… - mormorò il più giovane, ben conoscendo i contorti percorsi mentali dell’amico.
 
- Certo che sì, volevo rendere tangibili i miei sentimenti. Con un anello. Uno piccolo… minuscolo... - aggiunse subito, nel notare lo sguardo di rimprovero di Castiel.
 
Quest’ultimo si ficcò le mani tra i capelli già scombinati, esasperato, senza nemmeno sapere da dove cominciare a spiegare all’altro i mille motivi per cui il suo comportamento si poteva definire solo come sconsiderato e malsano.
Con una sfumatura di schizofrenia.
 
- Ok. Ok, senti Gabe, razionalizziamo: adesso non abbiamo tempo di sviscerare il come ed il perché quella donna sia fuggita da uno da cui, francamente, fuggirei anch’io. Ti prometto che più tardi ne parleremo fino allo sfinimento, ma ora dobbiamo portare il culo in redazione, e subito. Alzati e lavati la faccia, usciamo tra due minuti esatti, sotto c’è un taxi che ci aspetta e non voglio dargli cinquanta dollari per due isolati. Va bene? -
 
Gabriel annuì debolmente, alzandosi in piedi con l’entusiasmo di un condannato a morte e dirigendosi meccanicamente in bagno.
 
- Devo sbarbarmi… - valutò, atono, guardandosi allo specchio.

- Assolutamente no! - gridò Castiel dalla camera attigua - Non abbiamo tempo, in ufficio c’è il mio rasoio elettrico, lo farai lì. - ordinò, raggiungendo Gabe in bagno e porgendogli un paio di scarpe da tennis.

L’amico le guardò, senza capire.
 
- E queste? -

- Mettitele e usciamo, non c’è tempo per trovarti qualcosa di decente da mettere. -

- Ma sono in tuta… -
 
- Appunto. Lunedì casual. -

- Ma… -
 
- Gabe, no. Ora si va. E guarda… - disse in tono allettante, estraendo la scatola di macarons dalla tasca del trench e agitandola davanti agli occhi di Gabriel come se fosse un’esca - Guarda che ti darò se farai il bravo e verrai immediatamente con me… - sussurrò invitante, con l’aria di uno spacciatore.
 
Gabriel afferrò scarpe e dolci, indossando le prime e abbracciando la scatola dei secondi come se fosse un’ancora di salvezza, dirigendosi in silenzio verso l’uscita.
 
Frattanto, a una ventina di isolati da casa di Gabriel, una vistosa Harley-Davidson V-Rod serpeggiava agile nel traffico congestionato del mattino, arrestandosi nei pressi della sede della King Advertising.
Ne discese un ragazzo piuttosto alto, dalle spalle ampie, che si diresse con piglio deciso verso l’entrata dell’agenzia pubblicitaria, rallentando poi nel notare una persona ferma sulla soglia.
 
- Buongiorno Talbot! Cosa leggi? Hai finalmente deciso di smettere i panni del robot e di diventare una ragazza vera? - esordì il motociclista in tono scanzonato, togliendosi il casco e rivelando una notevole faccia da schiaffi abbinata ad altrettanto notevoli occhi verdi.
 
La giovane ed elegantissima donna che stazionava nei pressi delle porte a vetri con una rivista di moda fra le mani strinse gli occhi fino a ridurli a due fessure, per nulla divertita dall’ennesima battutina sulla propria inflessibile condotta lavorativa.
 
- No Winchester, ho intenzione di continuare ad essere seria, professionale e vincente, al contrario di te e della tua banda di piazzisti da quattro soldi. Per tua informazione, quello che sto sfogliando è il magazine per giovani donne in più forte ascesa, al momento, e ci sta concedendo parecchi nuovi spazi pubblicitari. Non farebbe male neanche a te dargli un’occhiata, sai? Così come non ti farebbe male vestirti in maniera più consona al tuo ruolo, non stai andando ad una partita di baseball… - replicò la ragazza, squadrando con aria disgustata la giacca di pelle consunta che Dean indossava quel mattino sopra ad una t-shirt sbiadita.
 
- Ho un cambio in ufficio, Bela, ma grazie: mi commuove sul serio la tua preoccupazione per il mio look. - rispose il ragazzo, imperturbabile, con un gran sorriso - Sei così suscettibile solo perché non ti ho mai fatto fare un giretto sul mio gioiellino… -
 
- Mi auguro che con “fare un giretto sul mio gioiellino” tu intenda il trabiccolo che hai appena parcheggiato o quell’altra carretta che guidi ogni tanto, Winchester, sarebbe davvero spiacevole se finissi di nuovo al seminario dell’azienda sulle molestie sessuali… - s’intromise una voce sarcastica alle spalle del ragazzo.
 
Dean si voltò a guardare la propria nemesi, Ruby, collega perfida e arrivista, nonché degna compare della spilungona inglese.
 
- Oh, ciao Ruby. Dolce, molesta Ruby. Mancavi giusto tu per completare quest’irritante quadretto. - ringhiò tra i denti - E per la cronaca, quella volta ti avevo solamente chiesto se ti eri goduta il fine settimana ad Aspen… -
 
- Uhm, sì ma… avevo avvertito una nota lasciva nella parola “goduta”. Sai, sono ipersensibile… -
 
- Immagino. Più o meno come un fachiro… - commentò Dean, acido, guadagnandosi la seconda occhiata di fuoco in nemmeno cinque minuti.
 
- Bè, supermacho, mi piacerebbe tanto stare qui a litigare tutto il giorno, ma io e Bela abbiamo appuntamento a Grace Magazine. Salutaci la tua combriccola di sfigati. - cinguettò soavemente Ruby, prendendo sottobraccio l’amica e allontanandosi alla ricerca di un taxi.
 
Dean, irritato, coprì tutta la distanza tra l’ingresso dell’agenzia e il proprio ufficio imprecando tra sé, trovandovi i colleghi ad attenderlo, palesemente agitati.

Garth Fitzgerald, nonostante i modi eccentrici, sul lavoro era un collaboratore eccellente, archivista dalla memoria prodigiosa e imbattibile nelle ricerche, mentre Chuck Shurley, quando accantonava l’abituale insicurezza e l’aria perennemente sperduta, aveva un intuito formidabile nel prevedere i trend del momento, dote fondamentale per un pubblicitario, e non per niente era soprannominato “il Profeta”.
 
- Che succede ragazzi? Notizie fresche? - domandò, entrando e levandosi distrattamente la giacca di pelle, seguita immediatamente dopo dalla t- shirt, per la gioia di tutte le impiegate che assistevano alla loro personale matinée ogni santo giorno attraverso le fessure delle tapparelle che ombreggiavano le pareti di vetro dell’ufficio.
 
- Non fresche, succose, Dean! Avevi ragione! - esordì Garth, quasi saltellando sul posto per l’eccitazione - Crowley è stato contattato dalla Roadhouse Incorporated! - annunciò, recuperando una camicia immacolata da un cassetto della scrivania e lanciandola a Dean con un gesto collaudato.
 
Dean la indossò con calma mentre ascoltava l’amico, lasciando aperti gli ultimi due bottoni del colletto e arrotolando le maniche sugli avambracci abbronzati in una sorta di spogliarello al contrario, mentre i sospiri delle segretarie echeggiavano probabilmente fino al palazzo di fronte.
 
- La signora Harvelle sarà qui per la presentazione della campagna fra nemmeno due settimane e… bè, questa è la bella notizia. - continuò Garth, un po’ titubante.
 
- Ok, fantastico, e quella cattiva sarebbe…? - lo spronò a continuare Dean, mentre l’altro assumeva un’aria imbarazzata, osservandosi i piedi.
 
- Oh. Ehm… Crowley… lui… bè, lui ha affidato la campagna alle ragazze. - intervenne Chuck, balbettando come se fosse colpa sua.
 
Dean sollevò un sopracciglio, sospettoso, volgendo lo sguardo in direzione dell’amico
 
- E con “ragazze” tu intendi… -
 
- Bela e Ruby. -
 
- Non è possibile! - sbottò improvvisamente Dean, ricevendo conferma dei propri peggiori sospetti e sbattendo un pugno su uno schedario - Quelle due! Sempre quelle due! Possibile che ovunque mi giri mi ritrovi i loro culetti ossuti sotto al naso? Come diavolo ha fatto Crowley a preferire loro a noi? A me? Sono io che ho portato la notizia che la Roadhouse era tornata su piazza, dannazione, non mi sono spupazzato una delle loro addette al marketing per un’intera settimana solo per vedermi soffiare l’affare da quelle due streghe! - ruggì, esasperato, misurando a grandi passi l’ufficio, mentre gli altri due si facevano sempre più piccoli, rifugiandosi dietro la scrivania.

- Non possiamo farci niente Dean, lo sai che Crowley ha un debole per le belle gnocche. E noi non abbiamo né tette né altro… - farfugliò Chuck in tono sempre più dimesso, mentre avvertiva già l’insorgere di uno dei suoi abituali mal di testa.
 
Dean continuò a marciare avanti e indietro per alcuni secondi, masticando imprecazioni sottovoce, poi improvvisamente si interruppe, voltandosi verso gli amici.

- Ok, non abbiamo le tette, ma abbiamo me. Questa storia deve finire. Adesso. - dichiarò semplicemente, riacquisendo una calma innaturale che faceva presagire solo guai e muovendo in direzione della porta - Ora vado da Crowley, l’affronto a muso duro e mi riprendo la campagna. -
 
- Non puoi. – replicarono in coro Chuck e Garth.
 
- Lo vedremo. - ringhiò l’amico.
 
- No, Dean… davvero non puoi. È partito stamattina con i legali per chiudere un contratto a Detroit, ma so per certo che stasera sarà di nuovo in città, l’ho sentito che dava appuntamento alle ragazze allo Sky Lounge per discutere della campagna… domattina lo troverai di sicuro in ufficio. -
 
- Domattina? Non credo proprio. Sky Lounge, eh? - ghignò Dean, facendo l’occhiolino ai colleghi, mentre nella sua mente un piano prendeva velocemente forma - Indovinate chi capiterà lì per puro caso, stasera? -
 
- Parli seriamente Dean? Vuoi tendere un agguato alle ragazze? -
 
- Chi ha tempo non aspetti tempo… e il tempo è denaro. Il nostro, denaro. Avremo quella campagna ragazzi, ve lo prometto, e farò rimpiangere a quelle due di aver mai messo piede in quest’agenzia. - dichiarò, bellicoso.
 
- “Il vostro Kung Fu non è forte” [1], sgualdrine... - sogghignò Garth, osservando Dean colmo d’ammirazione e pregustando già la vittoria.


 
 
 
[1] Frase pronunciata dallo stesso D.J. Qualls nel film “The core” (2003).



NDA:
Eccomi qua con questo esperimento... non so chi abbia avuto modo di vedere il film che mi ha ispirato la storia, ma se lo avete fatto, saprete che è una commedia degli equivoci dove il personaggio di Castiel (all'origine una ragazza, Andy) esaspera i tipici comportamenti femminili... ovviamente la faccenda, al maschile, assume tutto un altro significato: sto cercando di adattare la trama in modo che Castiel non sembri una macchietta e spero tanto di riuscire a fare un buon lavoro!
Siete libere di lapidarmi.

L'aggiornamento non sarà settimanale come per "Il duro prezzo dell'arte", non ci sarà una cadenza precisa perché sono in altre faccende affaccendata... sorry!


Grazie a chi è arrivato a leggere fin quaggiù! 
A presto! ^__^


 
 
 
 

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Capitolo 2
*** GRACE ***


Ho cambiato in corsa il titolo del capitolo perché ho avuto la malsana idea di voler utilizzare titoli di canzoni, soprattutto di gruppi rock/metal, in omaggio a Dean.
So già che sto per fare una cavolata colossale e che mi sto incasinando gratuitamente la vita, ma siate buone con me...
In questo caso Grace è sia il titolo di un brano dei Within Temptation che il nome della rivista dove lavora Castiel, Grace Magazine (oltre, ovviamente, a far riferimento alla Grazia del nostro angioletto).




GIORNO 1, ore 11.30

 Castiel sospinse il corpo semi-inerte di Gabe fuori dal taxi quasi di peso, pilotandolo poi verso l’entrata della sede del giornale e verso Balthazar, che li aspettava fuori dalla porta con tre bicchieroni di carta colmi di caffè e l’aria visibilmente scocciata.
 
- Fate pure con comodo eh! Alla riunione mancano cinque minuti, credevo non arrivaste più, mi stavo già inventando le scuse più assurde da propinare a Pamela. - li rimproverò - Anche se la mia credibilità, dopo le ultime sette volte, sta andando a farsi fottere… - aggiunse poi, quasi fra sé, squadrando nel frattempo Gabriel e realizzando in che condizioni pietose si trovasse.
 
- Ma dov’era? - chiese in un bisbiglio, rivolgendosi a Castiel.
 
- A casa, a guardare porno ungheresi. - rispose l’amico, come se quella fosse la normale prassi del lunedì mattina per chiunque.
 
- Perché guardi porno ungheresi? - continuò a domandare Balthazar, genuinamente incuriosito, stavolta rivolto al diretto interessato.
 
- Per la trama… - sibilò Gabriel, riservandogli un’occhiataccia, indispettito dall’interesse che Balthazar riservava ai suoi “passatempi da lutto” invece di preoccuparsi del suo stato emotivo.
 
Nel sentirsi ringhiare contro, Blthazar si rese finalmente conto del proprio atteggiamento distaccato e fece per aprir bocca, domandando una buona volta cosa mai fosse successo nel fine settimana, ma Gabe l’anticipò, gelandolo con uno sgarbato “non ne voglio parlare” che bloccò sul nascere ogni dimostrazione di empatia.
 
- Ah, sì? Bè, non chiedo di meglio! - ribattè stizzito Balthazar, camminando un passo avanti agli altri due alla volta dell’ufficio dove si sarebbe svolta la riunione, mentre Castiel, scuotendo la testa rassegnato, si domandava quando quel posto fosse diventato un asilo.
Nido.
 
Pamela, il loro caporedattore, coniugava una visione della vita spiritualista e hippie con il pugno di ferro con cui mandava avanti la rivista: era una sorta di bizzarro ibrido tra un sergente nazista e un’adepta new age… una new nazi, insomma.
E la new nazi, ora, li stava aspettando sulla porta a braccia conserte, osservando ogni tre secondi l’orologio a muro e battendo nervosamente il piede a terra.
 
- Ma guarda, i Tre Moschettieri… - li apostrofò, non appena si trovarono a portata di voce - Davvero gentile da parte vostra palesarvi, signori, che bel pensiero, non dovevate disturbarvi! Oh, e vedo che avete portato anche Capitan Tuta… - commentò, nauseata, gettando uno sguardo di rimprovero alla mise di Gabriel che, alla luce del giorno, si rivelò essere non solo stazzonata e decisamente inadatta ad attività che esulassero da una corsa nel parco, ma anche ricoperta di patacche zuccherose.
 
E va bene che erano uomini, ma lavoravano pur sempre un dannatissimo giornale di moda!

Avrebbe dovuto di nuovo inoltrare a tutti la circolare sul dress code per l’ufficio, si appuntò mentalmente, mentre il suo aristocratico nasino veniva aggredito da tre giorni filati di maschio senza l'ausilio di deodorante e/o sapone.
Ok, anche sulle norme igieniche di base, aggiunse con un sospiro, alzando gli occhi al cielo.

- Forza, filate dentro, siete quasi in ritardo… - fece loro notare - … E non avete un buon odore. - sottolineò poi, mantenendo una distanza di sicurezza da Gabriel e riuscendo a farli sentire in colpa come la madre ebrea che non avevano, seguendoli quindi nell’ampio ufficio e chiudendosi la porta alle spalle.

All’interno si trovava già, in attesa, l’intero staff di redattori, anzi, redattrici, accoccolate per terra, sulle poltroncine e appollaiate su ogni altra superficie disponibile.
 
Pamela rivolse a tutti un sorriso radioso, battendo le mani e iniziando il solito rituale che precedeva le riunioni, volto a purificare il loro “chi” e ad allineare i loro chackra.
O il contrario.
O forse era l’aura?
Castiel non se lo ricordava mai.
 
- Su su, avanti, leviamoci tutti le scarpe! - esortò, sfilandosi le ballerine di Gucci e raccogliendo le gambe sotto di sè su una poltrona - … Tu no, Gabe. - aggiunse all’ultimo, notando le sneakers malconce di Gabriel, che promettevano una fragranza, come dire… di vissuto - Bene, ora fate un bel respiro profondo… voi vicino a Gabriel no… eeeeeeeeeeeeeeed espirate. Lasciate uscire le tensioni, gettatele lontano e liberate il vostro spirito! - ordinò - Fatto? Bene miei cari, ora che siamo tutti pronti e rilassati, possiamo iniziare. Innanzi tutto, vi annuncio che da oggi abbiamo un nuovo, importante inserzionista su cui, è scontato, dobbiamo fare buona impressione, perciò pretendo idee f-a-v-o-l-o-s-e per il prossimo numero. Chi vuol cominciare? - chiese osservando man mano tutti i presenti che, teletrasportati in un istante ai tempi delle interrogazioni al liceo, tentavano di mimetizzarsi con l’ambiente circostante, chi nascondendosi malamente dietro a un ficus e chi appiattendosi contro la parete ad occhi bassi per non incrociare il suo sguardo.
 
Castiel, dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio generale, si schiarì la voce e prese la parola, facendosi coraggio.
 
- Ok, ok, comincio io. - attaccò, sfoggiando un gran sorriso per tentare d’infondere entusiasmo in Pamela, che lo osservava in attesa - In realtà avrei pensato a due pezzi distinti, ma con un unico filo conduttore: il primo è un’indagine su come siano realmente impiegati i soldi dei contribuenti nella folle corsa agli armamenti di questo Paese, l’altro invece vuole contestare il dispiegamento di truppe statunitensi in-
 
- Novak, no. - lo interruppe Pamela, in tono educato ma duro come acciaio, mentre tutti i presenti si scambiavano sguardi terrorizzati, sconvolti dall’avventatezza di Castiel - No no, tesoro. Non ci siamo. Affatto. Tu non sei un inviato di guerra, o un soldato. Tu curi una rubrica che aiuta le donne a districarsi nei piccoli problemi quotidiani, nei drammi sentimentali, nella vita professionale. La tua rubrica si chiama “Angelo Custode”, non “News dalla trincea”. Le nostre lettrici si aspettano consigli su come perdere peso saltando su uno step, non su come perdere la vita saltando su una mina. - aggiunse, caustica, con un sorriso di circostanza che non riusciva a mascherare tutto il suo fastidio.
 
- Sì ma-
 
- Ho detto no, Novak, niente ma e niente se. Forse non è chiaro chi, fra noi due, è il caporedattore qui dentro. Discorso chiuso. - replicò la donna, un po’ troppo bruscamente.
 
Il giovane chinò il capo in silenzio, umiliato, mentre Balthazar gli posava una mano sulla spalla, rivolgendogli un’occhiata comprensiva.
 
Pamela, rendendosi conto di avere gli sguardi astiosi dell’intero staff puntati addosso come laser, si accorse di aver esagerato.

Castiel, con quella sua aria dolce e indifesa, era il pupillo della redazione e tutte le donne che vi lavoravano, che avessero venticinque o sessant’anni, erano estremamente protettive con lui.
 
Si schiarì la voce, ammorbidì l’espressione del viso (anche per scongiurare un'iniezione anticipata di botox) e tornò a rivolgersi all’abbacchiato redattore.
 
- Ehm… senti Novak, mi spiace, non volevo essere così dura... è che sono un po’ agitata per questa faccenda dei nuovi inserzionisti. Mi occorre un numero impeccabile, non è il momento di concederci esperimenti, non mi posso permettere alcun genere di sbavatura ora come ora. Il fatto è che la tua rubrica è relativamente nuova, per quanto di successo, e non sei ancora un redattore con una fama consolidata… quando “Angelo Custode” sarà una moda riconosciuta e avrà un seguito costante riparleremo dei contenuti, ok? -
 
Castiel rialzò gli occhi, incredulo, e annuì con un timido sorriso, mentre l’atmosfera nella stanza si rasserenava.
 
- Ok, chi è il prossimo? - domandò Pamela, cercando di cambiare velocemente argomento e di concludere in fretta quella riunione che, pur appena iniziata, la stava già stressando oltre misura.
 
La mano di Becky si agitò freneticamente, come sempre, guadagnandosi occhiatacce di scherno un po’ da tutti e in particolar modo da Balthazar, mentre Pamela le faceva cenno di parlare.
 
La ragazza, sprizzando autocompiacimento da ogni poro, si alzò in piedi lisciandosi i vestiti e scrollando i capelli come se dovesse ritirare un premio o tenere un comizio, prima di prendere la parola.
 
- Dunque… - esordì, con la propria abituale aria saccente - Visto che sospettavo che in questi giorni avrebbe avuto luogo una riunione, mi sono portata avanti e ho già pronto un pezzo su un passatempo attualmente molto in voga fra le ragazze, intitolato “Fanfiction: hobby o frustrazione sessuale?” -
 
Si guardò attorno annuendo speranzosa, in cerca di cenni d’apprezzamento, ma la totale assenza di reazioni da parte dell’intera redazione la spinse a proseguire.
 
- Cioè, mi rendo conto che potrebbe essere a tratti un po’ offensivo… - specificò, a titolo cautelativo - … ma è davvero molto frizzante! Inoltre, se questo non dovesse andare, ho già in cantiere altri due articoli. Uno sulle convention legate alle serie tv, dove ho tentato di far luce sul sottobosco di esaltate che seguono ovunque, stagione dopo stagione, gli interpreti di personaggi palesemente irrealistici. L’ho intitolato “La vita non è un cliffhanger”, ne sono molto orgogliosa! E’ davvero frizzante! L’altro invece è un pezzo sulla moda di Twitter dal titolo “I vip sanno la grammatica?”. Ho monitorato i tweet di alcuni attori per un paio di mesi e sì, lo so che potrebbe sembrare noioso, ma si è rivelato inaspettatamente… -
 
- … Frizzante? - terminò per lei Balthazar, cercando di non scoppiare a riderle in faccia.
 
- Esatto! - trillò lei, felice, mentre tutti i presenti si sforzavano di restare seri.
 
- E sai cosa sarebbe super-frizzante, Becky? - continuò Balthazar, con un sorriso sardonico.
 
Becky l’osservò con gli occhioni spalancati, in attesa di un brillante suggerimento, ma Pamela interruppe entrambi con un notevole tempismo prima che la situazione degenerasse nuovamente.

- Ehm… Balthazar, glielo dici dopo. Ok? Tu Becky, lasciami sulla scrivania il pezzo che hai già scritto e ti farò sapere al più presto. Benone, ora chi abbiamo… Gabriel? Tu che proponi? A parte una bella doccia, intendo… -
 
Gabe, che fino a quel momento si era estraniato da ogni cosa, completamente preso dalle proprie lugubri considerazioni, colto alla sprovvista si ritrovò a balbettare cose senza senso, cercando di farsi venire un’idea alla velocità della luce.
 
- Oh, ehm… io… h-ho pensato a… ad un pezzo… su… sulla cucina molecolare…? - farfugliò, con una nota dubbiosa nella voce, in cerca dell’approvazione di Pamela.
 
Che invece lo fulminò con uno sguardo contrariato.
 
- Cucina molecolare? Sul serio? Di nuovo? - chiese, come se la sola idea la disgustasse - Lo sai che El Bulli [1] ha già chiuso e riaperto due volte, dall’ultima volta che ne abbiamo parlato? È roba stantia, Gabriel, trita e ritrita. Non posso credere che in un mese tu non sia riuscito a pensare niente di decente! Che diavolo hai fatto tutto il week-end? - sibilò, spazientita.
 
Gabe rimase in silenzio con aria afflitta, senza sapere che altro dire, passandosi nervosamente le mani tra i capelli bisunti.
 
Nella stanza calò di nuovo un gelo artico.
 
- È… è stato mollato! - sbraitò Castiel, senza pensare, per togliere l’amico dall’impiccio, guadagnandosi la completa attenzione di tutte. Se c’era un posto sul pianeta dove una cosa del genere poteva rappresentare una scusa valida, quel posto era la redazione di una rivista femminile.

- Che… cosa? - scandì infatti Pamela.
 
- Lui… lui è stato mollato. Venerdì. -
 
Tutti gli sguardi passarono da Castiel al povero Gabe, che si limitò ad annuire mestamente, confermando l’affermazione dell’amico con sguardo vitreo.
 
‘Agire in fretta. Agire subito. Sganciare la bomba’ pensò Castiel, prima di sparare  il pezzo da novanta.
 
- Si è dichiarato, e lei l’ha mollato. -
 
Eccola là, la Bestemmia Assoluta per ogni femmina newyorkese sopra i venticinque, che generò un coro partecipe di “Ohhhhhhhhhhhh”  e di “Sgualdrina”, mentre le ragazze si stringevano addosso a Gabe, distribuendo carezze, incoraggiamenti e frasi gentili.
 
Persino Pamela, single sulla quarantina, rientrò immediatamente nei ranghi di fronte al sincero dolore di uno dei pochi maschi ancora disponibili ad un impegno serio.

- Oh, tesoro, ma potevi dirlo subito! Mi dispiace moltissimo… prenditi ancora qualche giorno per pensare a qualcosa, ok? - mormorò, stavolta davvero comprensiva, mentre Gabe continuava ad annuire confuso, guardando Castiel con occhi colmi di gratitudine - Ora si spiega il tuo clochard-look e il tuo, ehm, aroma… perché fattelo dire, Gabriel, hai un aspetto orribile, e sinceramente ho visto cadaveri con un colorito migliore del tuo. -
 
Gabriel, sempre più imbarazzato e a disagio, si giustificò debolmente.
 
- Io… ecco, non ho mangiato o bevuto praticamente nulla per tre giorni, solo dolci e caramelle… -
 
Pamela lo squadrò, folgorata, come se lo vedesse per la prima volta.
 
- Oh, ma è perfetto! - commentò la caporedattrice, entusiasta, e a sproposito - Scrivi un pezzo in prima persona sui danni all’organismo causati dall’assunzione prolungata di zuccheri, e poi stila una lista dei ristoranti macrobiotici e vegetariani dove poter riequilibrare la propria alimentazione! -
 
Gabriel, per un attimo, credette di aver capito male.
 
- Hem… scusa capo, ma non me la sento di mettere in piazza il mio attuale stato d’animo e la mia debacle sentimentale per ricavarne un pezzo… - ribattè, esitante e vagamente risentito.
 
- Oddio sì, hai ragione. Perdonami, sono stata davvero indelicata… - si scusò la donna, soprappensiero - Allora… - continuò, guardandosi attorno - … Chi ha voglia di sfruttare i fallimenti sentimentali di Gabriel per ricavarne un pezzo? -
 
La mano di Becky prese di nuovo a frullare nell’aria come un colibrì, probabile reminescenza di un passato da secchiona leccapiedi.
 
- Lo faccio io! Lo faccio io! - si trovò quasi a gridare in preda alla frenesia, mentre Gabriel, se possibile, impallidiva ancora di più, cercando di intercettare lo sguardo di Castiel o Balthazar implorando aiuto.
 
- Mhhh… grazie Becky, ma con tre pezzi in ballo hai già una notevole mole di lavoro da portare avanti. - intervenne Pamela, stroncando l’entusiasmo della ragazza, che abbassò lentamente la mano senza nascondere un certo disappunto - Direi che… - esitò scandagliando i volti attorno a sé - … lo farà Novak! -
 
- Che? - esclamò Gabriel, stupefatto.
 
- Chi? - esclamò Becky, offesa.
 
- Che cosa? - esclamò Castiel, allibito.
 
- Hai capito bene, Novak. Userai come spunto la condotta disastrosa di Gabriel in ambito sentimentale e ne tirerai fuori un bell’articolo per consigliare alle lettrici come fare a non incorrere in tutti i tipici errori che compromettono l’inizio di un rapporto. Una sorta di “come fare” al contrario, insomma… una lista di comportamenti che inducono un uomo alla fuga.
 
Castiel, preso dal panico, si guardò attorno in cerca di sostegno da parte delle colleghe, ma tutte sembravano entusiaste all’idea e annuivano vigorosamente, ridacchiando e dandosi di gomito.
 
- M… ma Pamela, io… io sono… - balbettò.
 
- Gay? Lo so. - replicò la donna, soave.
 
- A… ah. Però… - farfugliò ancora, continuando a scrutare imbarazzato le colleghe, che alla rivelazione non avevano battuto ciglio.
 
- Lo sanno tutti. - continuò Pamela, quasi annoiata dal dover sempre specificare l’ovvio.
 
- Sì ma… -
 
- Lo sanno anche i muri, Novak. Credo che lo sappiano anche il garzone dell’acqua e quello che ci ripara la fotocopiatrice. Perché credi che le lettrici ti adorino? Sei perfetto per questo pezzo: sei carino, sensibile, intelligente, e poi chi meglio di un uomo può sapere cosa detesta un altro uomo? -
 
- Quindi io dovrei…. Ehm, cosa dovrei fare, di preciso? - chiese Castiel, sempre più smarrito.
 
- Bè, vedi tu, puoi basarti sulle tue esperienze passate e redigere un decalogo… sei single, no? Ci sarà pure una ragione! -
 
Castiel, a disagio quanto e forse più di Gabriel all’idea di esporre al pubblico ludibrio il proprio miserevole vissuto sentimentale, pensò in fretta e furia e propose una soluzione alternativa.
 
- Pamela, che ne pensi invece se concentrassi tutto su una sola persona? -
 
- Che intendi dire? - domandò lei, incuriosita.
 
- Potrei, che so, uscire con un ragazzo e… bè, dare il mio peggio, commettendo tutti gli errori tutti insieme, fino a farlo scappare a gambe levate. Terrò un diario aggiornato giorno per giorno, così l’articolo in pratica si scriverà da solo, e dopo dovrò solo aggiungere le mie riflessioni finali e i miei consigli… - propose, senza aver riflettuto davvero sulle possibili implicazioni della faccenda.
 
Pamela soppesò l’idea per qualche istante, prima di aprirsi in un largo sorriso.
 
- Mi piace. Questo pezzo ha un ottimo potenziale, me lo sento. Oh sì, mi vedo già il titolo: “Come farsi lasciare in dieci giorni”.
 
- Perché… perchè dieci giorni? - chiese Castiel.
 
- Perché una settimana è troppo poco e tra dodici andiamo in stampa. - concluse sbrigativa la donna, assegnando così definitivamente il pezzo a Castiel, mentre Gabe e Balthazar comunicavano telepaticamente tra loro scambiandosi sguardi preoccupati, intravedendo guai stagliarsi all’orizzonte.
 
Il resto della riunione proseguì in maniera tranquilla e, una volta assegnati gli articoli residui e congedati i redattori, Pamela si recò di corsa ad accogliere le due pubblicitarie della King, già in attesa presso l’entrata.
Al ritorno, seguita dalle proprie ospiti, s’imbattè nei tre maschietti dello staff che ancora stavano confabulando fra loro nei pressi del suo ufficio, e colse l’occasione per presentarli alle due giovani donne.
In fondo quei tre erano un po’ il fiore all’occhiello della rivista, anche se Gabriel era un po’ appassito, al momento, ma sperava che il fascino di Balthazar e gli occhioni blu di Castiel facessero passare la cosa in secondo piano.
 
- Signore… - disse, rivolgendosi con sussiego a Ruby e Bela - … Se permettete mi farebbe piacere presentarvi alcuni dei miei più validi redattori. Questo raffinato gentiluomo è Balthazar, moda e tendenze, lui è Gabriel, il nostro temutissimo critico gastronomico, ed infine abbiamo Castiel, il prezioso angelo custode delle nostre lettrici. -
 
Bela prese la parola, rivolgendosi entusiasta a quest’ultimo.
 
- Sul serio? Sei tu che scrivi Angelo Custode? Sai, devo proprio farti i complimenti, mi piace molto la tua rubrica, e le mie amiche l’adorano, è quasi una sorta di Bibbia per loro! A che stai lavorando al momento, se non sono inopportuna? -
 
Castiel, lusingato, fece per rispondere, ma Pamela s’intromise parlando al posto suo.
 
- Castiel è impegnato in una ricerca sul campo: dovrà accalappiare un ragazzo, uscirci per qualche giorno e rendersi insopportabile fino a farsi lasciare! Il pezzò si intitolerà “Come farsi lasciare in dieci giorni”! - spiegò.
 
Le ragazze si scambiarono occhiate perplesse.
 
- Ma non è… inutilmente crudele? - azzardò Ruby, il più educatamente possibile.
 
- Oh, figuriamoci, sarà strepitoso! Le lettrici impazziranno! - tagliò corto Pamela - Andiamo ora, abbiamo ancora una marea d’idee di cui discutere. - concluse, posando una mano sulla schiena di ognuna delle due e pilotandole dentro al proprio ufficio.
 
I tre uomini, rimasti soli, si avviarono assieme ai rispettivi cubicoli.
 
- Cassy, ti rendi conto di quello che hai fatto? - attaccò Balthazar, serio, assolutamente sicuro che l’amico non avesse ben afferrato la situazione in cui si era andato a cacciare.
 
- Certo che me ne rendo conto, Balth: mi sono garantito il favore di Pamela, la possibilità, un giorno, di scrivere quello che mi pare ed ho anche evitato il pubblico linciaggio a Fiore [2], qui. A proposito, prego eh… - mormorò rivolto a Gabe, che ancora non aveva aperto bocca.
 
Gabriel gli regalò un sorriso stiracchiato.
 
- Ti ringrazio Cassy, sei un amico, davvero, ma forse sarebbe stato meglio se avessi lasciato perdere… -
 
Castiel non riusciva davvero a capire lo strano comportamento di quei due, in fondo era solo un pezzo come un altro, che diavolo erano quelle facce da funerale?
 
- Si può sapere che avete? - chiese senza tanti giri di parole.
 
- Bè, non c’è un modo gentile di dirlo, ma hai appena accettato di prostituirti per scrivere un articolo. - riassunse Balthazar, pratico come suo solito.
 
- Pro… prostituirmi? - ripetè Castiel, non del tutto certo di aver capito bene - Ma scherzi? Qui non si prostituirà proprio nessuno! Andiamo Balth, mi conosci, sai che non farei mai una cosa del genere! Mi limiterò a rimorchiare un ragazzo e ad uscirci per qualche giorno, non dovrò mica andarci a letto! -
 
- E come credi di evitarlo, scusa? Nessun uomo adulto tollera dieci giorni di uscite continuative senza avere almeno un contentino. In tal caso si chiama amicizia, e non mi pare che il tema dell’articolo sia quello… -

- Prima di tutto, spero di non incappare in un pervertito, ed in secondo luogo col passare dei giorni dovrò fare di tutto per esasperarlo e farlo allontanare, per cui il tenerlo a distanza direi proprio che sarà l’ultimo dei miei problemi. Non preoccuparti Balth, sono perfettamente in grado di gestire la cosa. - asserì Castiel, lievemente risentito, voltandosi ogni tanto ad osservare Gabriel, che lo fissava con aria dubbiosa.
 
- Va bene Cassy, sei grande e sai il fatto tuo… - lo blandì quest’ultimo - … Ma se le cose prendono la piega di un disastro tirati indietro, e fanculo l’articolo, ok? -
 
- Non so cosa tu intenda con “disastro”, Gabe, ma ok. - assicurò Castiel.
 
- Promesso? -
 
- Promesso. Ora, piuttosto, dobbiamo metterci subito al lavoro per trovare lo sventurato che dovrò far ammattire. Balth, che proponi come terreno di caccia? -
 
Balthazar ci pensò su per qualche istante e poi decretò: Sky Lounge.
 
- Come mai proprio lo Sky? - domandò Castiel, sempre incuriosito dai misteriosi criteri di selezione dell’amico.
 
- È un posto di classe, quindi non dovremo preoccuparci di fare una prima scrematura, ma non troppo snob, perciò anche quelli con la puzza sotto il naso sono automaticamente eliminati, inoltre è frequentato in larga parte da giovani professionisti single e di bell’aspetto… insomma, è l’ideale. -
 
L’amico annuì, soddisfatto della scelta.
 
- Perfetto, quindi stasera si va a lanciare l’esca… per voi va bene alle otto? Temo che dovrò passare il pomeriggio a spulciare le e-mail delle nostre lettrici per isolare tutti i comportamenti più perniciosi da riversare sul povero Mister X… - spiegò il giovane, allontanandosi di qualche passo verso la propria postazione, in realtà abbastanza divertito all’idea.
 
- Sì, certo, per me va bene. A dopo ragazzi. - confermò Gabriel, salutandolo con un cenno della mano e dirigendosi a sua volta alla propria scrivania.
 
- Ah, Cassy! - lo richiamò invece indietro Balthazar - Aspetta, mentre eri da Gabe hanno consegnato questa busta per te. Me ne stavo quasi dimenticando… - spiegò, estraendo un piccolo plico dal cassetto della scrivania e tendendolo in direzione di Castiel, che tornò sui propri passi per prenderlo e che, non appena ebbe messo a fuoco il logo stampato sulla busta, non potè fare a meno di saltellare sul posto, con un sorriso estatico stampato sul viso.
 
- Sbaglio o questa bella bustina arriva dalla redazione di Rolling Stones? - insinuò Balthazar, malizioso - Non dirmi che te la manda quella redattrice, come si chiama… Meg? -
 
- Esattamente. - gongolò Castiel aprendo la busta, felice come se fosse la mattina di Natale, ed estraendone due foglietti - Guarda qui Balth! Biglietti vip, anzi, super vip per il concerto degli AC/DC di domani! C’è persino l’accesso al backstage! Nemmeno tu saresti riuscito ad ottenere posti simili! - blaterò in preda all’entusiasmo.
 
- Cassy, lo sai che quella ragazza si aspetta qualcosa da te, vero? - commentò l’altro, per nulla impressionato.
 
- Cosa? Ma non dire stupidaggini, si tratta solo di un favore tra colleghi… -
 
- Sì, certo, come no. Peccato che quella muoia dalla voglia di infilarsi nelle tue mutande dalla prima volta in cui ha posato gli occhi su di te, a quella festa. Forse sarebbe meglio che le spiegassi come stanno le cose, sai, per non illuderla… -
 
- Ma che dici Balth? Mi prende sempre in giro per la mia rubrica, quando le ho detto che scrivevo “Angelo Custode” ha riso fino alle lacrime, e da allora mi chiama Clarence [3]. Non le interesso affatto. - spiegò distrattamente Castiel allontanandosi, stringendo tra le mani i preziosi biglietti.
 
Balthazar scosse lentamente la testa, rassegnato.
 
- Oh, Cassy, ecco perché non volevo che accettassi questo pezzo… - mormorò fra sé e sé, prendendo posto davanti al Mac ed aprendo la propria casella di posta.
 
 
 
 
 
[1] El Bulli è il celebre ristorante dello chef Ferran Adrià, considerato uno dei maestri della cucina molecolare. È aperto solamente per alcuni mesi all'anno (ad esempio nel 2010 da giugno a dicembre) e ha chiuso definitivamente il 30 luglio 2012, allo scopo di effettuare nuove ricerche in campo culinario e portare innovazione alla cucina internazionale.
 
[2] La puzzola del film Bambi.
 
[3] Nell’episodio della quinta stagione 5x10 “Abandon All Hope”, e poi anche in seguito,Meg chiama Castiel “Clarence”, riferendosi all’angelo del film “It’s a Wonderful Life”.


NDA: volevo ringraziare chi sta proseguendo nella lettura, chi ha inserito la storia tra le seguite e chi addirittura tra le preferite (W la fiducia  ^__^  VI AMO) e naturalmente chi ha recensito lo scorso capitolo (devo ancora rispondervi, sono una schifezza, ne sono consapevole).
Alla prossima! :D

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Capitolo 3
*** HIGHWAY TO HELL ***


HIGHWAY TO HELL [1]


“Living easy
living free
season ticket on a one way ride
askin' nothing
leave me be
taking everything in my stride
[…]
No stop signs, speed limit
Nobody’s gonna slow me down
Like a wheel, gonna spin it
Nobody’s gonna mess me round
Hey Satan, payed my dues…”

(AC/DC Highway To Hell)


GIORNO 1, Sky Lounge, ore 19.34


Per Dean, arrivato con un certo anticipo in modo da non ritrovarsi nella confusione dell’ora di punta, non fu difficile intercettare Crowley e le ragazze.

Sedevano ad un tavolo riservato nell’area privè del locale, rialzata di poco più d’un metro rispetto al livello del pavimento, perciò individuarli fu semplice.
Riuscire a raggiungerli fu decisamente un altro paio di maniche ma Dean, sfoderando tutto il proprio charme, un biglietto da venti e un sorriso che avrebbe liquefatto anche un iceberg, riusci a far capitolare l’addetta alla zona vip.

‘Non vi accorgerete nemmeno di cosa vi ha colpite, streghe.’ pensò, bellicoso, avvicinandosi al loro tavolo grondando sicurezza, e nel preciso istante in cui Ruby voltò lo sguardo registrando la sua presenza, Dean si stava già accomodando su una poltroncina accanto a Crowley, che non pareva nemmeno troppo sorpreso da quell’improvvisata.

Sia Ruby che Bela mantennero un sorriso inossidabile al cospetto del gran capo, ma incenerirono Dean con un’occhiata tanto stizzita da essere quasi esilarante.

‘Troppo tardi, belle…’ gongolò fra sé e sé.

- Buonasera capo… - flautò, affabile - … E anche a voi, signore. Che splendida coincidenza incontrarvi qui! -

- Non è affatto una coincidenza, Dean, e lo sai benissimo. - commentò Bela, acida, riuscendo al contempo a mantenere inalterato il sorriso a trentadue denti che sfoggiava costantemente in presenza di Crowley.

Chissà come faceva.

- Quale dei tuoi tirapiedi ha fatto la spia, Winchester? Naso o Emicrania? - chiese Ruby, furente.

- Spia? Che brutta parola Ruby… - replicò Dean con condiscendenza - Suvvia, si parla di spie solamente in presenza di segreti, di sotterfugi, e tu non sei certo pratica in questo campo, non è vero? Insomma, questa è la mia presentazione, non ci sarebbe motivo di riunirsi qui se non per gustare dell’ottimo champagne e fare quattro chiacchiere informali… - aggiunse, provocatorio, mentre si sistemava comodo sulla poltrona a braccia conserte, pronto a godersi la sfuriata di una delle due, o entrambe, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Ruby infatti non lo deluse, e sbattè la pochette sul tavolino in un involontario atto di collera, perdendo tutto ad un tratto l’abituale compostezza.

- Ehi, questa non è affatto la tua presentazione, Winchester! Solo perché tu hai portato in ufficio la soffiata, ottenuta oltretutto sbattendoti la povera Lisa del marketing, questo non assegna automaticamente a te la campagna, borioso idiot-

- Ragazze? Ragazze! Vogliamo moderare un po’ i toni, per cortesia? - intervenne a quel punto Crowley - Vorrei poterci tornare, in questo locale. Inoltre siamo tutti adulti, almeno sulla carta, vediamo di comportarci come tali, ok? -

Le due giovani tornarono immediatamente tranquille, come cani richiamati dal padrone, mentre Dean non riusciva a non commiserare tanto servilismo.

‘Patetiche.’

Crowley si rivolse poi a Dean.

- Winchester, che ci fai qui? - chiese, senza scomporsi, lisciandosi il completo su misura.

- Sono venuto per parlarti del nuovo slogan per la campagna Harvelle. - dichiarò soavemente Dean, osservando di sottecchi le ragazze cambiare colore, mentre la rabbia che reprimevano saliva, e saliva, senza trovare una valvola di sfogo.

- Davvero hai già pronto uno slogan? - domandò il boss inarcando un sopracciglio, visibilmente impressionato.

- Mi conosci, no? In agenzia non mi chiamano “l’uomo giusto” tanto per dire, sono sempre preparato ad ogni evenienza… - ghignò Dean, continuando ad occhieggiare le proprie rivali e rivolgendo loro un’impercettibile smorfia di scherno.

- Ma… ma capo! - intervenne Ruby, spazientita - Lui… non può! Non può presentarsi qui e fare i suoi porci comodi come in ufficio! -

- Bè, proporre uno slogan, quando voi non avete ancora nemmeno pianificato la campagna, non lo chiamerei esattamente “fare i porci comodi”. - la zittì Crowley, mentre lo sguardo trionfante di Dean contribuiva ad irritarla ancora di più - E poi… ormai è qui, tanto vale ascoltare questo benedetto slogan. - concluse in modo pratico, facendo cenno a Dean di parlare pure.

E Dean non se lo fece ripetere due volte mentre, col piglio deciso che di solito riservava alle riunioni in azienda, prendeva ad illustrare la propria idea.

- Allora, come tutti noi ben sappiamo, la Harvelle Incorporated importa automobili di prestigio e si occupa anche del restauro e della commercializzazione di veicoli d’epoca. Tutta roba piuttosto costosa, destinata ad un pubblico con una certa liquidità finanziaria o comunque al mercato dei collezionisti. Ora, a causa della crisi economica, vogliono modificare il loro target puntando anche ad una fascia più popolare di pubblico, sempre di reddito medio-alto, ma non certo d’elite. -

- Parli degli uomini con la crisi di mezza età che si comprano una decappottabile o una Mustang rosso fuoco? Il mio vicino, il signor War [2], ne ha giustappunto presa una… - cinguettò Ruby, sarcastica.

Dean non si scompose.

- Bè, sì, Ruby, parlo anche di loro, ma non solo. Parlo di tutte quelle persone appassionate di belle auto che però non si azzardano ad acquistarne una per pura disinformazione, o per pregiudizi relativi ai costi, pur senza essere effettivamente esperti in materia. Noi dobbiamo far capire a quei potenziali clienti che il loro desiderio non è poi così irrealizzabile. -

Crowley annuì, interessato.

- Quindi qual è la tua proposta, Dean? -

- «Harvelle: macchine da sogno. Sogni alla portata di tutti.» -

Il boss rimase in silenzio per un po’, pensieroso, poi sorrise.

- Uhm… trasmette sia il concetto che le auto dell’Harvelle Inc. sono speciali ma che allo stesso tempo non sono irraggiungibili. Mi piace. Mi piace molto, Dean. - dichiarò, compiaciuto.

- Ehm… a noi no… - si intromise Bela.

- Trasmettere il messaggio che sono, appunto, alla portata di tutti, priva quelle auto del loro status, che è uno dei motivi principali per cui vengono acquistate, oltre al fattore estetico, naturalmente. Ma la classe media non è all’estetica che punta, punta allo status. Se un uomo compra una macchina del genere, non vuole vederne un’altra parcheggiata nel vialetto del vicino. - aggiunse Ruby, sorridendo melliflua a Dean.

- In effetti, devo ammettere che anche le ragazze non hanno tutti i torti, Dean. - commentò Crowley.

- Bé, capo, questa era solo la prima proposta. Una cosa così, che mi è venuta di getto. Se la campagna sarà mia sfornerò tante di quelle idee fantastiche che il cliente non saprà più quale scegliere! Sai bene che sono un vulcano, e la mia squadra è vincente. Quanti clienti ci siamo assicurati, grazie alle mie trovate? Quanti? -

- Tanti, Dean, ma non è questo il punto. Devo dare la possibilità anche agli altri di dimostrare il proprio talento… -

- E allora fallo, Fergus! Chi dice niente? Solo, dalla a tutti, questa possibilità. Si potrebbe fare un bando interno all’agenzia, e la squadra che porterà l’idea migliore avrà l’appalto. -

Le ragazze ridacchiarono, come se fossero a conoscenza d’un segreto che non intendevano condividere con lui.

Crowley tacque e tentennò qualche secondo, prima di rispondere.

- Ehm, Dean, ascolta… stavo cercando un modo gentile di spiegarti la ragione della mia scelta, ma così mi metti con le spalle al muro. Non prendertela, tu e i tuoi siete i migliori quando si tratta di vendere attrezzature sportive o alcolici, ma loro… - proseguì, accennando a Ruby e Bela - … vendono il lusso come nessun’altro, nell’ambiente. Non è una questione di preferenze, di vincere o perdere, c’è in ballo una marea di denaro e io devo puntare sui miei cavalli più forti. -

- Credi che non possa farcela? - domandò Dean, risentito, con aria di sfida.

- Io non credo niente, dico solo che non posso accollarmi questo rischio. -

- Capo, io posso vendere qualsiasi cosa. Qualsiasi. Potrei vendere fiammiferi all’Inferno! - proclamò, determinato.

D’un tratto, una strana luce brillò negli occhi di Ruby.

- Davvero Winchester? - chiese quest’ultima, con una nota di sarcasmo mal dissimulata nella voce.

‘Oh, puttana, sono talmente bravo che riuscirei persino a convincere un uomo a scoparti. E senza pagarlo, eh…’

- Certo, Ruby. - replicò con un sorriso.

- Saresti in grado di vendere anche… te stesso? - chiese quest’ultima, mentre Bela l’osservava confusa e vagamente preoccupata.

- Dove vorresti arrivare? - intervenne Crowley che, ormai, proprio come gli altri due, faticava a seguire il filo del discorso. -

- Bè, diciamo che il nostro mestiere consiste nel… fare innamorare le persone. Farle innamorare delle cose. Sia che noi vendiamo gioielli, orologi, vino o mazze da hockey, dobbiamo fare in modo di scatenare nei clienti la brama, la voglia, il fortissimo desiderio di possederle. Giusto? –

Crowley annuì, concentrato.

- Sì… sì, continuo a non capire, ma prosegui. -

- Convincere le persone a preferire una certa marca di birra rispetto alla concorrente, oppure a comprare determinati occhiali da sole, equivale… bè, ad una sveltina. Una botta e via. Una scelta senza complicazioni, che si può cambiare senza remore. Riuscire invece a vendere un gioiello importante, una casa, o nel nostro caso un’auto prestigiosa, comporta una scelta per la vita. O, se non per la vita, per un lungo lasso di tempo… -

- Sì, e allora? - chiese Dean, spazientito da quel monologo senza capo né coda.

- Allora, Winchester, tu sei il re delle sveltine… - disse Ruby, condiscendente - … ma non sapresti mai e poi mai scatenare sentimenti che possano protrarsi nel lungo periodo. Tu vendi emozione momentanea, io e Bela vendiamo impegno duraturo. -

- Ma che diavolo stai dicendo, Ruby? Emozione momentanea? - ripetè Dean, sdegnato - Io posso vendere tutto quello che voglio! -

- Vuoi scommettere? - chiese la giovane, arrivando finalmente al dunque - Vuoi scommettere la presentazione e la campagna? - chiese ancora, mentre Bela le rifilava un calcio sotto il tavolo, fissandola ad occhi sbarrati, mentre sul volto di Dean andava dipingendosi un largo sorriso.

- Oh, sì… certo che voglio scommettere, tesoro. Cosa devo fare? - domandò, con l’aria soddisfatta di chi aveva già vinto.

- Dovrai fare innamorare una persona di te. - sentenziò Ruby.

- Pfffffffff… consideralo già fatto! - rise Dean, quasi incredulo di fronte all’ingenuità della propria rivale.

- Aspetta, non ho finito. Dovrai farla innamorare entro la prossima settimana, quando la signora Harvelle ed il suo socio verranno qui per la presentazione. -

- Certo. Tutto qui? -

- No. Per essere certe che tu non metta in piedi uno dei tuoi soliti imbrogli, alla festa dell’Harvelle Inc. presenterai questa persona a Fergus, sarà lui a giudicare la sincerità del vostro rapporto. Inoltre, sempre per evitare trucchi, sceglierò la persona che dovrai sedurre… qui. -

Dean, per un attimo, sembrò spiazzato.

- Qui? Ora? - chiese, fiutando aria di raggiro.

- Proprio qui e proprio ora. Problemi? - insinuò la ragazza.

- Assolutamente no. - replicò Dean, asciutto.

- Tu che ne pensi, Fergus? - domandò quindi rivolgendosi al capo - Trovi che sia una soluzione accettabile per te? -

Crowley, fino a quel momento, aveva assistito allo scambio di battute fra i due placidamente assorto, sorseggiando il proprio whisky. Non l’avrebbe mai ammesso, ma nonostante conoscesse il valore e le indubbie capacità di Dean, adorava vederlo sotto pressione.

Messo alla prova.

Prese una lunga, pensosa sorsata, prima di rispondere.

- Ragazze, comincio a pensare che tu e Bela siate matte esattamente quanto lui, ma questa faccenda confesso che m’intriga… bah, fate come vi pare, l’importante è che tutto sia pronto per l’arrivo di quelli dell’Harvelle. Ah, e se qualcosa dovesse andare storto, pretenderò le tue palle. - affermò, sorridendo a Dean in un modo che non lasciava intendere nulla di buono - E anche le vostre. - concluse, rivolgendosi alle ragazze.

- Quindi affare fatto, Winchester? - domandò Ruby tendendo una mano al proprio avversario, per nulla intimorita dalle minacce di Crowley, al contrario di Bela che stava palesemente sudando freddo.

Dean la prese di malavoglia, come se stesse toccando un serpente.

- Affare fatto. - dichiarò solennemente stringendola e pensando che, in fondo, non gli era andata poi così male.

Crowley, frattanto, abbandonato il bicchiere sul tavolino, si era alzato dalla propria poltrona e aveva osservato i due rivali sancire il patto solenne tradendo una certa fretta.

- Signore, Dean, resterei volentieri a vedere su chi ricadrà la scelta di Ruby, ma purtroppo ho appuntamento dal sarto, e sono già in ritardo, perciò vi porgo i miei saluti e mi aspetto di vedervi domattina in ufficio con degli spunti originali da propormi… - mormorò, vagamente minaccioso, infilandosi il soprabito nero e accennando ad allontanarsi.

- Appuntamento dal sarto? A quest’ora? - chiese Dean.

- Con quello che lo pago, mi riceverebbe anche alle tre del mattino. Ora, se volete scusarmi, vi auguro buona fortuna… e che vinca il migliore… - mormorò con un sorrisetto mellifluo, di cui Dean non riuscì a decifrare né il significato né, tantomeno, il destinatario.




Frattanto, anche Castiel, Gabriel e Balthazar erano sopraggiunti allo Sky.

Castiel, dopo essersi guardato brevemente in giro, si separò subito dagli amici per scongiurare fraintendimenti, non voleva che un eventuale “acchiappo” lo vedesse con non uno, ma ben due ragazzi.
Vagò per un po’ all’interno del locale, tentando di attaccare bottone con quelli che a suo avviso potevano essere potenziali candidati al ruolo di pollo, ma si trovò a desistere dopo tre o quattro tentativi piuttosto desolanti, risoltisi in strette di mano molli e sudaticce, livelli di checcaggine che avrebbero smontato anche il gay più incallito e imbarazzanti equivoci con eterissimi signori piuttosto turbati dai suoi approcci.

Tra etero vestiti con troppo gusto per essere davvero etero e cripto-gay con la fede al dito, l’obiettivo che Castiel si era prefissato di raggiungere con un paio di drink e qualche frase ben piazzata si stava rivelando decisamente più arduo da raggiungere del previsto.

Dando origine ad una scena cara a moltissimi film, si arenò al bancone del bar, afflitto, ordinando l'ennesimo cocktail con voce spenta e sperando in una briciola di conforto da parte del barman, che si limitò invece a posargli davanti una ciotolina colma di arachidi stantie.

- Brutta serata, eh? - commentò una voce accanto a lui. Una bella voce.

Castiel si voltò, stupefatto, era la prima volta quella sera che qualcuno gli rivolgeva la parola.

‘Niente falsetto. Ottimo.’

- Uhm, sì… oggi le cose mi stanno andando un po’ storte… - mormorò, squadrando lo sconosciuto dagli occhi chiari che gli sorrideva comprensivo.

- Bè, mi spiace davvero per te, amico. Brindiamo ad un fine serata migliore? - propose quest’ultimo, sollevando la propria birra e facendola tintinnare piano contro il bicchiere di Castiel.

Che sorrise grato, pensando che forse, finalmente, aveva trovato il proprio pollo.

- Certo. Grazie. A proposito, mi chiamo Castiel. - disse, posando il bicchiere e tendendo la mano all’uomo accanto a sé.

- Nick [3]. - disse semplicemente l’altro, stringendola.

‘Stretta decisa ma non esagerata. Niente mani viscide. Evvai!’

- Sei di queste parti, Nick? - domandò Castiel.

- In realtà no, sono in visita alla città. Mi fermo solo una decina di giorni. - rispose l’altro, cordiale.

‘È perfetto! Perfetto! Dieci giorni e poi sarà lui a sparire spontaneamente dalla mia vita, non posso crederci!’ gongolò il giornalista, incredulo di fronte a quell’inaspettato colpo di fortuna.

- Oh, ma è fantastico! - si lasciò sfuggire - Cioè, intendevo dire, è fantastico che tu sia appena arrivato. Sai, potrei farti fare un tour della cit-

- Che combini Nick? - chiese una voce femminile alle loro spalle, interrompendo Castiel.

Nick, si voltò, sorridendo con espressione dolce e baciando sulle labbra una giovane donna bruna.

- Niente tesoro, quattro chiacchiere mentre tu eri ad incipriarti il naso. Stavo tirando un po’ su il morale a Castiel, vero amico? A proposito, lei è Sarah, mia moglie. - spiegò con naturalezza.

Castiel si ritrovò ad annuire imbarazzato, sperando che una voragine si aprisse nel pavimento e lo inghiottisse all’istante.

Cristo, aveva equivocato tutto.

- Ehm, piacere Sarah… Nick mi ha detto che siete qui in visita. -

- Oh, sì, veniamo dal Delaware. Ci siamo regalati questo viaggio per il nostro quinto anniversario. Bè, in realtà il nostro avversario sarà tra qualche mese… - spiegò lei, accarezzandosi dolcemente la pancia appena pronunciata con un misto di timidezza e orgoglio - … ma sono incinta, e per allora non potrò più viaggiare, quindi… eccoci qui! - terminò, con una risata cristallina.

‘Oh mio Dio...’

- A… ah. Santo cielo, incinta… congratulazioni allora! - farfugliò Castiel, agitatissimo, scivolando giù dallo sgabello del bar ed iniziando ad arretrare, per quanto glielo permetteva la folla - E in bocca al lupo per il vostro soggiorno in città! E… e complimenti, siete una bellissima coppia! - urlò quasi, dileguandosi verso l’angolo opposto del locale, mentre Nick e Sarah si guardavano straniti, chiedendosi cos’avessero detto di sbagliato.

Dopo una rapida fuga, Castiel individuò Balth e Gabe, fortunatamente in una zona sufficientemente lontana dal bar.

Li raggiunse, salutandoli mogio.

- Cassy che succede? Come va la caccia? - domandò Gabriel, scrutando l’amico che se ne stava con le spalle curve e l’aria da cane bastonato.

- Uno schifo, Gabe… -

- Ma scusa, prima ti ho visto parlare con un biondino niente male! -

- Era sposato. -

- Bè, chi se ne frega! Tanto non è che debba sposarlo tu! - intervenne Balthazar, pragmatico.

- Non ho finito, Balth. Sposato. Viaggio d’anniversario. Con la deliziosa mogliettina. Incinta. -

Balthazar assunse un’espressione incredula.

- Dio Cassy, se esistessero le Olimpiadi Speciali della Sfiga, vinceresti a mani basse. Questi etero, escono dalle fottute pareti [4]! Dovrebbero portare delle targhette identificative, o un tatuaggio dietro l’orecchio, almeno uno saprebbe regolarsi… -

- Grazie Balth, mi sei di grande aiuto. - commentò Castiel, sarcastico - Ora, invece di deprimermi ulteriormente, vorresti aiutarmi a scovare un maledetto omosessuale in questo locale? -

Non sapeva spiegarsene la ragione, ma Balthazar riusciva ad individuare un gay a cinquanta metri di distanza. Alla prima occhiata.

- Mi piacerebbe Occhioni, ma stasera il mio radar è tarato su “gnocca”. -

- Che… che cosa? -

- Mi hai capito. Devo selezionare delle candidate per quella cosa. Sai… - spiegò, ammiccando.

- Stai scherzando? Non starai ancora cercando di mettere in atto quella tua assurda fantasia del… del maneggio a dodici? -

- Ménage, Cassy, si chiama ménage. -

- Si chiamerà pure ménage, ma sempre di orgia si tratta. -

- Se lo dici così, lo fai sembrare una cosa brutta. - ribattè Balthazar, offeso.

Castiel si voltò verso Gabriel, esasperato, ma l’altro non gli fornì un gran sostegno, scuotendo il capo rassegnato. Castiel non se la prese. In fondo, sopportava Balthazar da molti più anni di lui.

- Senti Balth, più tardi potrai fare ciò che vuoi, nella privacy della tua camera da letto, ma ora non potresti darmi una mano? Prima di pensare al… al tuo piacere, non potresti pensare cinque minuti alla mia carriera? Devo trovare qualcuno al più presto, e sono davvero esausto… -

- Lo farei volentieri, ma stasera i miei sensi sono un po’ appannati… - mormorò Balthazar, scrutando il fondo del proprio bicchiere - Ho chiesto un Martini Dry ma - diamine! - questo coso è secco come il dannato Sahara! Il barman, in pratica, ci ha messo solo gin! Non sono in condizioni di aiutarti Cassy, una donna sono ancora in grado di distinguerla, ma coi gay al momento ho qualche problema… -

Castiel sbuffò, demoralizzato, e si congedò con un gesto della mano, ributtandosi nella mischia.



Contemporaneamente, al tavolo di Crowley & Company, Ruby, sfruttando la posizione sopraelevata del privè, stava scandagliando l’immenso locale alla ricerca di un soggetto papabile da rifilare a Dean.

Mentre ancora stavano discutendo, era quasi certa di aver intravisto… oh sì, Bingo!

Nel mare di ‘petites robes noires’ indossate dal 99% delle ragazze e di austeri completi da lavoro sfoggiati dalla gran parte degli uomini, spiccava una macchia beige.

Era lui, ora ne era sicura.

Quasi non poteva credere alla propria fortuna… Dean non solo avrebbe perso la scommessa, ma avrebbe passato dieci giorni d’inferno, portato intenzionalmente all’esasperazione da quell’adorabile redattore.

Non riuscì a soffocare un enorme sorriso vittorioso, mentre mostrava a Dean il prescelto.

- Quello là. - sentenziò, puntando maleducatamente il dito su di un ignaro Castiel.

Dean la guardò, senza capire.

- Quello là cosa? -

- Quello là, quello vestito da Tenente Colombo. E’ lui che dovrai far innamorare. -

- Ma… ma è un uomo. - chiarì Dean, come se non fosse abbastanza evidente.

- Sì, l’avevo notato. - commentò asciutta Ruby.

- Cioè… voglio dire… un U.O.M.O. Vuoi che vada a letto con un uomo? -

- E chi ha mai parlato di andare a letto, Winchester? Io ti ho chiesto solo di farlo innamorare… o forse non sei in grado di andare oltre alla prestazione atletica, stallone? - lo provocò.

Dean, piccato, reagì con la solita spavalderia.

- Non scherzare, Ruby. Riuscirei a fare innamorare di me anche degli oggetti inanimati, e lo sai benissimo. -

- In effetti un paio di volte ti ho visto rimorchiare delle tizie che somigliavano in maniera imbarazzante ad uno scaldabagno… - commentò acidamente Bela.

- Ah, ah, Talbot. Davvero esilarante. Fortuna che, per vendere, non hai bisogno del senso dell’umorismo e ti basta mostrare le tette. - le ringhiò contro Dean.

Ruby intervenne subito, ci mancava solo che il suo obiettivo si defilasse mentre quei due battibeccavano.

- Allora che dici Dean, ci stai? O è un’impresa troppo complessa anche per il grande Winchester? -

- Certo che ci sto, Ruby. Ve lo porterò su un piatto d’argento, con un bel fiocchetto rosso sulla testa. E la presentazione sarà mia. - dichiarò, alzandosi della poltroncina e avviandosi verso le scale, per poi fare rapidamente dietrofront.

- Un momento… - mormorò, rivolgendosi a Ruby - Come fai ad essere sicura che sia gay? -

La ragazza, presa in contropiede, reagì cercando di mostrare sicurezza.

- B… bè ma… è evidente, no? -

- In realtà, no. - commentò Dean, osservandola sospettoso, gli occhi ridotti a due sottili spicchi verdi.

Ruby sostenne il suo sguardo, sollevando sfrontatamente il mento.

- Ma come? Tu non riesci a vederlo? Credevo che fossi molto più perspicace, Winchester. Ce l’ha praticamente scritto in fronte… e comunque il mio gay radar non sbaglia mai. - tagliò corto - Se poi dovesse rivelarsi etero, torna qui e sarò lieta di scegliere qualcun altro, va bene? -

Dean parve rassicurato dalle sue affermazioni e tornò sui propri passi avviandosi, lungo le scale, non senza essersi prima voltato a soffiare un bacio in direzione delle ragazze.

Rimaste sole, Bela riversò su Ruby tutto il nervosismo represso fino a quel momento.

- Sei forse impazzita? Cos’è questa buffonata? Far innamorare qualcuno? Non so se hai presente Dean Winchester, Ruby, ma quello è in grado di scoparsi qualsiasi cosa respiri, e poco importa se è un uomo! - sbottò.

Ruby non si scompose di una virgola, rivolgendole uno sguardo di superiorità.

- Tu non l’hai riconosciuto, vero? - ghignò.

- Riconosciuto chi? -

- Ma Colombo, e chi se no? L’hai riempito di complimenti giusto stamani… -

Bela osservò meglio Castiel, in lontananza, e a quel punto, finalmente, realizzò chi fosse, mentre allo stesso tempo il piano di Ruby si dipanava con chiarezza di fronte a lei.

Con un sorriso perfido, versò altro champagne nei calici posati sul tavolo, ne porse uno a Ruby e brindò alla sua salute.

- Amica mia, sei un vero demonio… -



Mentre si faceva largo fra la gente nella confusione del locale ormai strapieno, Dean si rese conto che, in fondo, era stato piuttosto fortunato.

Lo Sky era un club piuttosto ben frequentato e così già in partenza aveva evitato la possibilità di dover sedurre un Hell’s Angel peloso di centocinquanta chili con addosso solo un gilet di pelle, o qualche hipster in jeans attillati, inoltre il ragazzo scelto da Ruby, almeno da lontano, sembrava davvero carino.

Sempre meglio di qualche tardona.

Quello che però fece sogghignare compiaciuto Dean era l’unica cosa che Ruby non sapeva…

Ovviamente in ufficio non ne aveva mai fatto parola con nessuno, un po’ perché amava farsi gli affari propri e un po’ perché non avrebbe giovato alla sua immagine di uomo tutto d’un pezzo, ma quella non era certo la prima volta che ci provava con un ragazzo.

Tendenzialmente la stragrande maggioranza delle sue esperienze si condensava ai tempi del college, nello specifico alla fase sperimentale del “proviamo un po’ di tutto”, e nonostante non avesse mai avuto il coraggio di andare davvero fino in fondo con un uomo, continuava a non disdegnare affatto la compagnia maschile.

Certo, negli ultimi anni si era dedicato quasi esclusivamente alle donne, ma più per una questione di mera comodità che per altro, per non doversi prendere la briga di giustificare i propri gusti un po’ più “elastici” della media ai colleghi ed agli amici.

E dire che Ruby pensava di averlo messo in difficoltà, proponendogli quel ragazzo così attraente!

Sarebbe stata una vera passeggiata, pensò, sfoderando il sorriso delle grandi occasioni e puntando deciso verso una precisa zona del locale.

Nello stesso momento, un po’ abbattuto a causa della sequenza d’insuccessi, Castiel si era defilato un po’ dalla calca appoggiandosi ad una colonna, mentre iniziava seriamente a preoccuparsi dell’esito in primo luogo della serata e, di conseguenza, dell’articolo.
Se non fosse riuscito a portare a termine il pezzo assegnatogli, Pamela se la sarebbe legata al dito e si sarebbe giocato per sempre l’occasione di fare il salto di qualità in quella dannata casa editrice.

Già rassegnato a dover scrivere di come combattere la sindrome premestruale con il pilates per l’eternità, si mise a controllare le e-mail sul cellulare a testa bassa, e fu per questo che non fece subito caso agli scarponcini numero 44 che invasero il suo spazio personale, arrivando quasi a sfiorare le punte delle sue scarpe.

Quando finalmente registrò la loro presenza nel proprio campo visivo, risalì lentamente con lo sguardo lungo il corpo del legittimo proprietario incontrando, nell’ordine: gambe lunghe e muscolose, anche se leggermente arcuate, fasciate in jeans azzurri sbiaditi ad arte, una giacca di pelle vintage, belle spalle e, poco sopra, una bocca sensuale atteggiata in un mezzo sorriso, sormontata da una vera e propria esplosione di lentiggini e dagli occhi più verdi che Castiel avesse mai visto.

Quel ragazzo era letteralmente pazzesco.

- Ciao. - disse una voce che no, non poteva essere davvero la sua, perché dai, seriamente, era troppo.

- Ciao… - biascicò Castiel, esitante, preso completamente alla sprovvista.

L’altro, per tutta risposta, lo squadrò da capo a piedi senza una parola, come se stesse valutando l’idea di acquistarlo, tornando poi a guardarlo negli occhi con aria soddisfatta.

Lo stava abbordando?
Oh, sì che lo stava abbordando, decisamente, lo stava abbordando.
Cristo, il ragazzo più bello che avesse mai incontrato lo stava abbordando!

‘Ok, Castiel, riprenditi. Niente panico. Respira. Questo non è un abbordaggio vero e tu… non sei il vero tu. Non sei il solito, timido Castiel, stasera sei a caccia per lavoro, per il tuo futuro professionale. Tira fuori le palle e comportati come se ti capitasse di continuo di incontrare tipi come lui…’

E così, invece di arrossire ed incassare la testa tra le spalle come una tartarughina spaventata, si protese leggermente in avanti sorridendo sfrontato, facendo arretrare di mezzo passo lo sconosciuto, che sembrò dapprima stupito, ed in seguito piacevolmente stupito, almeno a giudicare dal suo sorriso, che si allargò a dismisura, scoprendo una fila di denti bianchissimi.

- Dean Winchester. - disse infine, tendendo la mano a Castiel.

- Affascinante…- mormorò quest’ultimo, stringendola brevemente e osservandolo con la testa inclinata da un lato, studiandolo.

- Bè… grazie. - disse Dean, compiaciuto, con il sorriso di chi è assuefatto a complimenti del genere.

- Intendevo il cognome. - specificò Castiel con un piccolo ghigno malefico, sgretolando quel sorriso - Castiel Novak.

- Bizzarro…- replicò Dean, trapassandolo con lo sguardo e incassando con classe.

- Lo so, non è un nome comune. - commentò l’altro, avvezzo a quel genere di commento.

- Intendevo tu. - sottolineò, restituendogli il favore.

- Oh. - mormorò il giornalista, spiazzato - Ok, ok, touché! Siamo pari, me lo sono meritato… Dean Winchester. - ammise poi, ridendo.

- Bè, direi che il ghiaccio lo sappiamo rompere… Castiel Novak. - convenne Dean.

- Oh sì, senza dubbio! - ribattè Castiel, continuando a ridacchiare.

- Senti… non vorrei sembrarti frettoloso, o sfacciato, ma… posso chiederti una cosa? - domandò quindi Dean, continuando a fissare Castiel con un’aria da mascalzone che, se non fosse stato alto oltre un metro e ottanta, l’avrebbe reso simile ad un bambino sul punto di combinarne una davvero grossa.

- Spara. -

- Sei impegnato? -

- Wow, certo che sei uno che va subito al sodo… - rispose Castiel, frastornato, sgranando gli occhi e sollevando un sopracciglio - Comunque no, sono single. -

- La cosa ha dell’incredibile… - commentò l’altro, flirtando senza alcun pudore.

- E tu, invece? Sei un maniaco omicida? - chiese Castiel, ridacchiando ancora al pensiero delle preoccupazioni espresse in ufficio da Balthazar e Gabe.

- Sto cercando di smettere. -

- E come va? -

- Ai maniaci anonimi mi hanno dato il gettone dei sei mesi. - replicò prontamente Dean, stando al gioco.

- Accidenti, allora ti meriti un premio! Potrei offrirti da bere… - azzardò Castiel, cogliendo la palla al balzo.

‘Vai così, Cassy, butta l’esca.’

Dean sorrise, sornione.

- Non credo ce ne sia bisogno, sai, credo di averlo appena incontrato, il mio premio… - mormorò, abbassando il tono di voce e avvicinandosi un altro po’ - Posso chiederti un’altra cosa? -

- Certo… - rispose il giornalista, esitante, mentre l’altro posava entrambe le mani sulla colonna a cui era appoggiato, ai lati della sua testa, chinandosi lentamente verso di lui.

Inclinò appena il viso e lo accostò al suo, tanto vicino che Castiel avrebbe potuto contare le sue lentiggini una per una, ma non riuscì a far altro che cercare di respirare normalmente mentre un mix sconvolgente fatto di dopobarba e qualcos’altro di indefinibile si insinuava in ogni anfratto del suo cervello, rendendogli le gambe molli come gelatina.

- Sei affamato, Castiel? - sussurrò al suo orecchio, basso, lento, allusivo.

Le parole di Dean passarono dalle orecchie di Castiel direttamente ai suoi pantaloni, mentre un brivido di pura lussuria si tuffava lungo la sua schiena nel sentire il proprio nome pronunciato in maniera tanto indecente e le labbra di Dean sfiorargli impercettibilmente il lobo mentre parlava.

Deglutì.

E reagì esattamente all’opposto di come si sarebbe comportato di solito.

Perciò, invece di fuggire a gambe levate, voltò un poco il viso, strusciando a malapena la guancia ruvida di barba su quella di Dean, fino ad avvicinarsi a propria volta al suo orecchio.

- Da morire, Dean… - mormorò a bassa voce, senza riuscire ad impedirsi di assaporare il suono del nome dell’altro sulla propria lingua.

Dio, forse era davvero da troppo tempo che era solo.

- Sai, conosco un posto dove fanno dell’ottima torta di mele… - continuò Dean, carezzevole, senza spostarsi di un millimetro.

Certo che di eufemismi per “andiamo a casa mia a scopare”, Castiel ne aveva sentiti tanti, ma questo li batteva tutti.

Non poteva andare a casa di questo tizio.
Semplicemente, non poteva.
Cioè, conosceva a malapena il suo nome!

Non era mai stato uno da sesso al primo appuntamento (neanche al secondo, o al terzo, a voler essere pignoli), ma d’altra parte se voleva agganciarlo – e voleva disperatamenteagganciarlo, ammise con se stesso, cercando di convincersi che fosse solo per l’articolo e non perché i suoi ormoni stavano facendo la ola – doveva gettare alle ortiche il proprio abituale comportamento, prendere un bel respiro e buttarsi.

Cazzo.
Forse, alla fin fine, aveva ragione Balthazar.
Giusto un po’.
Si stava prostituendo per un pezzo.
Giusto un po’.
Oddio, prostituendo… che parolona.
Un pochino, ecco.
In realtà si stava… sì, ok, era una sgualdrina.

Giusto un po’.

E una sgualdrina non avrebbe mai rifiutato un invito del genere… non da un ragazzo del genere, comunque.

- Non vedo l’ora di assaggiarla… - replicò quindi, con una malizia che non gli apparteneva e la curiosa sensazione di stare recitando il copione di qualche strambo porno di quelli che guardava Gabe, roba tipo “Il pasticcere offre il suo cannolo alla babysitter”.

Dean si ritrasse di una ventina di centimetri, pur incombendo ancora su di lui, osservandolo come se la sua risposta lo divertisse e stupisse allo stesso tempo.
Avvezzo soprattutto per il proprio lavoro ma anche per attitudine naturale a “decifrare” al volo le persone, non riusciva a capire perché un ragazzo così evidentemente timido e riservato si atteggiasse a quel modo.

Le sue parole dicevano una cosa mentre tutto, nel suo linguaggio corporeo, urlava esattamente il contrario.

Ma fu questione di una frazione di secondo, non aveva tempo di preoccuparsi per cose simili, aveva una missione ben precisa da portare a termine, pertanto riacquistò immediatamente la sua aria strafottente e, con un ampio gesto della mano, gli indicò galantemente l’uscita.

- Ce ne andiamo? - chiese, gentile ma allo stesso tempo sbrigativo.

- Certo. - rispose Castiel, senza esitazioni - Dammi solo un minuto, devo avvertire i miei amici. - aggiunse, allontanandosi da Dean e dirigendosi verso il bancone del bar, dove gli sembrava di aver intravisto la chioma bionda di Balthazar sbucare tra le teste degli altri avventori.

Facendosi largo nella ressa riuscì a raggiungere i colleghi, alle prese con i rispettivi cocktail, sperando solo che Nick e Sarah avessero levato le tende.

Balthazar l’osservò con un misto di sollievo e comprensione, mentre Gabriel era apparentemente occupato a dragare il fondo del proprio bicchiere tentando di recuperare una fragolina che proprio non voleva saperne di farsi mangiare.

- Cassy, mi spiace che non stia funzionando… proprio non è serata, eh? Preferisci cambiare locale? O vuoi andare a casa? - domandò, con la segreta speranza che Castiel si arrendesse in preda allo sconforto e desse definitivamente forfait a Pamela.

- In realtà sono venuto ad avvertirvi che sto andando via. -

- Non è necessario che tu vada da solo, ti accompagniamo noi senza problemi, vero Gabe? Gabe! Dio, Gabriel, posa quella cannuccia o te la faccio ingoiare! - ringhiò, rivolto all’amico che stava ancora trafficando tra cubetti di ghiaccio e frutti di bosco riottosi.

- No Balth, non hai capito. Ho trovato compagnia. - specificò Castiel, gonfio d’orgoglio per aver centrato l’obiettivo della serata.

- Quel tizio sposato? - intervenne Gabriel, abbandonando per qualche istante il ripescaggio coatto.

- Ma no, non lui! Ho conosciuto un ragazzo, anzi, in realtà è lui che ha conosciuto me. Si chiama Dean e mi sta aspettando… -

- Per andare dove? - intervenne Balth, sospettoso.

- Ehm, non ne sono proprio sicuro ma… credo… a casa sua… - mormorò Castiel, a disagio, prevedendo la reazione dell’amico.

Balthazar, incrociando le braccia ed emettendo una specie di sbuffo spazientito, si limitò ad un’occhiataccia che esprimeva tutto il suo dissenso, mentre Gabriel esalò solo un “Cassy…” piuttosto eloquente.

- Ok, ragazzi, ho capito. Avete già esposto i vostri dubbi a riguardo in ufficio. Ci devo andare, non capite? Devo pur accalappiarlo, in qualche modo! Ma va bene. Andrà tutto bene. So gestirlo, e non mi succederà nulla. - asserì il giovane redattore - In ogni caso ho già deciso, e non c’è niente che possiate fare o dire per dissuadermi. - precisò, cercando d’apparire più fermo nei propri propositi di quanto in realtà non fosse.

Gli altri due si guardarono brevemente, comunicando in silenzio, quindi entrambi annuirono e Balthazar posò entrambe le mani sulle spalle di Castiel, fissandolo dritto in quei suoi stupidi occhi blu, così innocenti e fiduciosi.

- Va bene Cassy, ok. Se dici che puoi cavartela, a me sta bene. Però promettimi di non fare stupidaggini. Non per un articolo. Non ne vale la pena. E se questo tizio si dimostra anche solo vagamente strano, scappa. E tieni il cellulare acceso. E-

- Va bene, mamma, starò attento. - lo interruppe Castiel, scrollandosi di dosso le mani dell’amico, prima che la sequenza di raccomandazioni diventasse infinita.

- E appuntati il suo numero di targa, non si sa mai. Anzi, se riuscissi a sbirciare un suo documento mentre è in bagno sarebbe l’ideale. - aggiunse Gabriel, serissimo.

- Gabe, non siamo in una puntata di 24 e io non sono una spia russa [5]. E, per la cronaca, Dean non è Dexter. Si può sapere perché, secondo voi, l’unico serial killer della città devo rimorchiarlo io? - sbottò, esaperato.

- Hai ragione, forse stiamo esagerando, è solo che siamo un po’ preoccupati… è da tanto che non esci con qualcuno e, bè, vorremmo solo evitare che ti facessi male come l’ultima volta… - spiegò Gabe, a disagio, mentre Balthazar, impettito accanto a lui, annuiva.

- Non mi farò male, ragazzi. È solo lavoro. Niente di più. - li tranquillizzò Castiel, affondando le mani nelle tasche del trench con noncuranza.

- Comunque, è possibile almeno vederlo, questo Dean? - chiese Balthazar.

- Sì Balth, mi aspetta all’uscita, dovrebbe essere… - esitò, perlustrando il fondo del locale ed indicando poi all’amico un punto preciso della sala - … Ah, eccolo! È quello alto accanto al buttafuori. -

- Quello con la giacca di pelle? - chiese Balthazar, mentre Gabriel stava praticamente saltellando per vedere oltre il mare di teste attorno a loro, maledicendo le ragazze con i tacchi alti.

- Esatto. -

- Ah.- commentò l’amico in tono asciutto.

- Perché? Perché “ah”? - domandò Castiel, sospettoso, conoscendo a menadito ogni più piccola sfumatura di scetticismo nella voce di Balthazar.

- No, niente, era un “ah” di… di approvazione per il suo look. Il vintage sta tornando alla grande. - glissò l’altro.

- Come vuoi… - commentò poco convinto il più giovane - … Comunque io vado. - concluse, muovendo qualche passo in direzione dell’uscita, per immergersi nuovamente nella folla.

- Auguratemi buona fortuna! - urlò, voltandosi un’ultima volta in direzione degli amici, mentre Gabe con la mano destra gli faceva segno di telefonargli.

Rimasti soli, Gabriel e Balthazar emisero contemporaneamente un lungo sospiro, continuando a fissare il punto in cui Castiel si era eclissato con Dean.

- Se lo mangerà vivo, vero? - domandò Gabe, con voce stanca.

- Conserva quel bicchiere Gabe, e anche la cannuccia. Temo che ci serviranno, quando dovremo raccogliere ciò che resterà di Cassy dal pavimento… - rispose Balthazar, continuando a guardare dritto dinanzi a sé.


[1] Omonima canzone degli AC/DC, parte della colonna sonora di Supernatural.

[2] Se ricordate la puntata 5X02, Good God, Y'All, l'auto di Guerra è proprio una mustang rossa.

[3] Mi riferisco al primo tramite di Lucifer, e a sua moglie. Grazie ad Andy2412 per avermi ricordato della sua esistenza! XD

[4] Citazione rubata ad “Alien”.

[5] Misha Collina ha davvero interpretato la parte di uno spietato killer originario del Kosovo nella prima stagione di 24.


NDA: finalmente Dean e Castiel fanno la reciproca conoscenza (era anche ora, direte giustamente voi)!
Da qui in poi la storia prenderà una piega inevitabilmente OOC, avendo preso spunto da una commedia etero. Tenterò di limitare i danni ma... non vogliatemene e prendetela come viene! ^__^
Grazie a tutte quelle che hanno letto e recensito finora, vi bacio!
E grazie alla mia falafina Aniel per il fondamentale supporto morale *__*



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Capitolo 4
*** AMERICAN PIE ***


AMERICAN PIE [1]
 

“We were singing
- bye-bye, miss American Pie -
drove my Chevy to the levee
but the levee was dry
them good old boys
were drinkin’ whiskey and rye
and singin’, - this’ll be the day that I die
this’ll be the day that I die -
[…]
Oh, and as I watched him on the stage
my hands were clenched in fists of rage
no angel born in hell…
[…]
can music save your mortal soul
and can you teach me how to dance real slow?”

 
 
 
GIORNO UNO, ore 9.23
 
Quando il giornalista raggiunse, finalmente, Dean all’uscita, l’agitazione che era riuscito a tenere più o meno a bada fino a quel momento ricominciò a guadagnare pericolosamente terreno.

E tutto a causa di quei due impiccioni di Balth e Gabe.
Accidenti, perché dovevano sempre farcirgli la testa con le loro previsioni apocalittiche? Perché dovevano sempre preoccuparsi per lui come se fosse un moccioso?

Castiel si ritrovò a mugugnare fra sé e sé, indignato per la scarsa fiducia che gli amici evidentemente riponevano in lui, ma ogni sua rimostranza, malumore o paura svanì come nebbia al sole nel preciso momento in cui la mano di Dean, con naturalezza, si poggiò al centro della sua schiena, sospingendolo fuori dal locale e guidandolo verso il parcheggio.
Riusciva a concentrarsi solo su quella pressione lieve ma decisa, al calore che da quella mano passava alla sua schiena, nonostante strati di tessuto, e si trovò ad immaginare come potesse essere quella stessa mano appoggiata sulla sua pelle, sulla sua schiena nuda, mentre Dean…
 
- Eccoci qui! - disse il proprietario della suddetta mano, interrompendo le sue fantasie, rallentando di fronte ad una splendida Corvette argentata.
 
- Però, che bella macchina! - commentò Castiel, ammirato.
 
In realtà non ci capiva molto di auto, e gliene importava se possibile anche di meno, ma sapeva bene quanto agli uomini facesse piacere ricevere complimenti per le loro quattroruote. E quella, in fondo, era davvero bella.
 
Dean gli rivolse però un sorrisetto indecifrabile, girando attorno alla Corvette e appoggiandosi ad una moto enorme, da strada, completamente nera.
 
- Ti ringrazio, ma quella non è mia. Questa, è mia. - sottolineò, dando una pacca sulla sella del mostro - Anche se a casa confesso di avere una gran bella macchina… ma per il traffico del centro è meglio la moto. -
 
Castiel l’osservò recuperare due caschi dal vano sotto il sedile, deglutendo.
 
Lui odiava le moto.
No, non è vero, non odiava le moto.
Odiava salirci e, più di tutto, odiava morire su una moto.
Meglio ancora, giù da una moto.
Spargendo pezzettini di sé nel raggio di trenta metri.

Gradite un po’ di Castiel, sul vostro asfalto?
Oh, giusto un velo, non vorremmo esagerare…
 
- Ehi? Ci sei? - lo richiamò nuovamente alla realtà Dean, e Castiel si ritrovò sotto il naso una mano che gli porgeva un caschetto a scodella, bianco e giallo - A te il casco da sfigato. - ridacchiò, da sotto la visiera sollevata del proprio casco integrale, nero ed elegante come la moto.
 
Lo afferrò meccanicamente senza fiatare, in preda all’ansia, appoggiandoselo semplicemente sulla testa senza nemmeno assicurare le cinghiette, mentre Dean lo osservava palesemente divertito.
 
Castiel lo guardò senza sapere bene che fare e Dean, di fronte a quegli occhioni sgranati, ai ciuffi spettinati che spuntavano da sotto il casco e alle braccia penzoloni lungo i fianchi, proprio come le cinghie che ancora non erano state agganciate, non potè fare a meno di trovarlo… bè, adorabile.
 
Quello stupido, brutto casco, gli stava da Dio.
 
Si sporse ad assicurare la piccola fibbia sotto il mento di Castiel e, per la prima volta da quando si erano rivolti la parola, si soffermò a guardarlo sul serio, lontano dal caos e dalle luci artificiali del locale, rendendosi conto di quanto i suoi occhi non fossero azzurri, ma blu, delle labbra carnose e perfettamente disegnate per cui orde di donne avrebbero ucciso, del collo sottile che ora stava sfiorando con la punta delle dita… e rendendosi allo stesso tempo conto che, se non fosse stato per l’impedimento dei caschi, avrebbe seguito un impulso del tutto irrazionale e si sarebbe chinato a baciarlo.
 
Dopo un breve attimo di sgomento, Dean scosse la testa per cacciare quei pensieri così sciocchi e inaspettati, riavendosi in fretta dalle proprie fantasie, si voltò di scatto e montò in fretta e furia sulla moto, disincastrando il cavalletto e facendo segno a Castiel di salire dietro di lui.

Vedendolo tentennare, lo squadrò con fare sospettoso.

- Tu… Castiel, sei già salito su una moto in precedenza, vero? -
 
- Ma certo! - rispose Castiel, ostentando sicurezza.
 
‘Nei miei incubi più fantasiosi…’ aggiunse poi, mentalmente, accingendosi a prendere posto alle spalle di Dean.
 
- Tieniti forte, mi raccomando. - si raccomandò, voltandosi leggermente a guardarlo e facendogli l’occhiolino - In curva tendo a piegarmi molto e non vorrei perderti lungo la strada! -
 
Come se a Castiel fossero serviti ulteriori incentivi per non posare il culo su quella trappola mortale.
 
Montò a sua volta sull’aggeggio infernale, titubante, incerto su dove, di preciso, dovesse “tenersi forte”, fino a che Dean non gli prese le mani e se le agganciò saldamente attorno alla vita.
Poi mise in moto, diede gas e partì.
 
Dopo il secondo rettilineo affrontato a quelli che sembravano quattromila chilometri orari, Castiel, che fino a quel momento aveva mantenuto un certo rigido contegno e soprattutto la posizione eretta, si trovò suo malgrado piegato in avanti e incollato alla schiena di Dean, il viso premuto contro la sua spalla sinistra, pregando il dio dei giornalisti semisconosciuti di non morire a quel modo, artigliando la giacca di pelle ad occhi serrati e rendendosi conto, dopo qualche istante, che quella posizione non era poi così male.
 
Giustificandosi con una guadagnata maggiore aerodinamicità, non si staccò più dalla sua spalla, inspirando un miscuglio di cuoio invecchiato e di Dean Winchester, mentre le luci della città sfrecciavano indefinite e confuse accanto a loro, creando un mosaico multicolore che Castiel notò a stento, troppo preso a reprimere sia il terrore che una sensazione primordiale e quasi dimenticata che stava prepotentemente affiorando dentro di lui.

Come avrebbe detto Balth, col suo marcato e snobbissimo accento british, era assolutamente inopportunoprovare una simile marea di emozioni per uno sconosciuto.
In particolar modo, per questo sconosciuto.
 
Assolutamente.
 
Inopportuno.
 
Castiel continuò a ripetersi mentalmente quelle due parole in una sorta di mantra per tutto il tragitto, che durò dieci minuti scarsi, e quando infine la moto si arrestò con un ultimo rombo del motore di fronte ad un’anonima tavola calda, identica a mille altre in città, dovette confessare di essere sorpreso.
 
Il loro approccio era stato, infatti, talmente ambiguo e pieno di doppi sensi, che il fatto che Dean l’avesse davvero portato a mangiare, lo lasciò esterrefatto.
 
Tanto di cappello, Winchester.
 
Dean, parcheggiata la moto e fatto scendere Castiel, si infilò il casco sottobraccio e fece strada, aprendogli la porta del locale.
 
- Lo so che non sembra un granché, da fuori, ma ti garantisco che qui fanno la miglior apple pie della città. - spiegò entusiasta mentre Castiel l’oltrepassava, entrando.
 
Non appena ebbero messo piede all’interno, Dean si diresse senza esitazione fino al bancone semideserto, appoggiandovisi con lo stomaco e protendendosi oltre quest’ultimo a slacciare il fiocco del grembiule della cameriera, voltata di spalle, che si girò e gli rifilò uno scappellotto, ridendo.

- Dean, ragazzaccio! Quando imparerai a portare un po’ di rispetto ad una persona di una certa età? - sbottò la donna, una paffuta signora di colore, fingendosi indignata.
 
- Non lo so, Missouri, forse quando comincerai ad avercela, una certa età. Sei sempre talmente bella e giovane… - rispose soave Dean, con una faccia da schiaffi irresistibile.
 
- Non credo più alle tue lusinghe da quando avevi dodici anni, figliolo, lascia perdere! - lo rimbrottò bonariamente Missouri - Oh, ma lui chi sarebbe? - chiese la donna, accorgendosi infine di Castiel, che si era tenuto educatamente in disparte fino a quel momento.
 
- Lui è un mio… amico. - spiegò Dean, sospingendolo in avanti.
 
Castiel, in seguito all’inaspettata spintarella di Dean, quasi inciampò nei propri  piedi, quindi tese cortesemente la mano, imbarazzato.

- Buonasera, signora… -
 
- Signora? - ripetè Missouri, squadrando il giornalista come se fosse un qualche raro animaletto - Dean, chi mi hai portato? Il piccolo lord? -
 
Castiel ritrasse lentamente la mano.
 
- Io… - balbettò.
 
Ma Missouri si sporse oltre il bancone, dandogli un buffetto come avrebbe fatto con un ragazzino.
 
- Tesoro, per quanto mi piacerebbe essere una signora, sono solo Missouri. E dammi pure del tu. Come ti chiami, occhioni? -  domandò, osservandolo benevola.
 
- Castiel, sign… ehm, Missouri. Castiel Novak. -
 
La donna socchiuse gli occhi, scrutandolo più intensamente.
 
- Castiel, eh? Ti sei trovato un angelo custode, Winchester? -
 
Castiel fissò la donna, confuso. Come sapeva che lui era l’autore della rubrica? Era una sensitiva? Leggeva forse nel pensiero? [2]
 
Anche Dean fissò sia lei sia Castiel senza capire.
 
- Castiel, Dean. È un nome angelico. - spiegò Missouri con condiscendenza, come se fosse una verità universalmente riconosciuta e lui fosse l’unico al mondo ad ignorarne l’esistenza - Ed è molto inusuale… i tuoi genitori devono essere profondamente credenti. -
 
Castiel accennò un sorriso amaro, che solo la donna registrò.
 
- Tu lo sapevi? Di portare il nome di un angelo, intendo. - chiese frattanto Dean, colpito, osservando Castiel con curiosità ed accomodandosi su uno sgabello.
 
- Non proprio… - confessò l’altro, prendendo posto a sua volta accanto a Dean - Anni fa un mio professore, al college, mi accennò qualcosa a riguardo, ma ammetto di non averci fatto molto caso, allora. -
 
Missouri li interruppe posando davanti ad ognuno un tazzone colmo di caffè appena fatto ed appoggiandosi al bancone con i gomiti, proprio di fronte a Castiel.
 
- Allora, Occhioni… - esordì - Non credo di aver mai sentito parlare di te, è da molto che conosci questo scavezzacollo? -
 
Castiel finse di riflettere, concentrato, prima di sorridere a Missouri.
 
- Quasi 32 minuti. - disse, gettando un’occhiata all’orologio a muro.
 
La donna sgranò gli occhi.
 
- Caspita, allora devi essere davvero un tipo speciale. Non porta mai nessuno qui. Lui sostiene che questo posto sia la sua Bat-Caverna… - rivelò, osservando di sottecchi Dean e chinandosi verso il giornalista in modo da potergli parlare all’orecchio - … Ma in realtà è innamorato di me e non vuole dividermi con nessuno! - sussurrò con aria cospiratoria, facendogli l’occhiolino.

Castiel rise di gusto, completamente conquistato da quella donna affettuosa e gentile, sotto lo sguardo indagatore di Dean, che non era riuscito a captare una sola parola.
 
- E lei sign… cioè tu, Missouri, è da molto che conosci Dean? - chiese, incuriosito dalla confidenza fra lei ed il proprio nuovo amico.
 
- Molto? Oh, si può dire da sempre! Quando suo zio Bobby ha cominciato a portarmelo qui, ogni sabato mattina, era un soldo di cacio con le ginocchia sbucciate e il faccino sempre sporco di cioccolata. Non era in grado nemmeno ad allacciarsi le scarpe da solo, ma riusciva a spazzolare delle porzioni di torta grandi come la sua testa! - rise la donna - Avresti dovuto vederlo, era davvero un amore con tutte quelle lentiggini… peccato che poi si sia guastato crescendo e sia diventato orrendo… - mormorò la donna, sporgendosi a scompigliare i capelli corti di Dean e guardandolo con un tale affetto che Castiel provò una minuscola fitta d’invidia.

Le donne infatti lo avevano sempre adorato, fin da ragazzino, forse a causa della sua aria indifesa, ma sentiva comunque la mancanza di una figura femminile di riferimento. Una mamma, anche part-time, e quando incontrava donne come Missouri, ci si affezionava praticamente all’istante.
 
La donna, dopo un ultimo sguardo alla strana coppia in cerca di un indizio che le permettesse di capire cosa diavolo stesse combinando Dean, si allontanò e, senza aver preso alcuna ordinazione, tornò posando davanti ai ragazzi due belle fette di torta di mele, calda.
Accanto a quella di Castiel c’erano pure un paio di palline di gelato alla vaniglia.
 
Castiel osservò prima il proprio piatto e poi quello di Dean.
 
- Per te niente gelato? Sei in castigo? Sei stato cattivo? - insinuò con un piccolo ghigno.
 
Dean sorrise, ficcandosi in bocca un’enorme forchettata di dolce e assumendo un’espressione estatica.
 
- Sono un purista, Cass, questa meraviglia merita tutta la mia attenzione, senza distrazioni come il gelato. - farfugliò a bocca piena.
 
- Vedo… sembri un criceto… un criceto purista, naturalmente. - ridacchiò Castiel, trovandolo completamente differente dallo sbruffone conosciuto nemmeno un’ora prima allo Sky e più irresistibile ad ogni minuto che passava.
 
- Tu, piuttosto, che le avrai mai detto per meritarti addirittura due palline? - chiese Dean, dopo aver finalmente buttato giù la torta con un gran sorso di caffè.
 
- Assolutamente niente. - rispose il giornalista con sincerità e senza nascondere una punta d’orgoglio per essere entrato subito nelle grazie di Missouri.
 
- Bè, allora devi aver fatto davvero colpo, non fa certo così con tutti, anzi… devi piacerle davvero molto. -
 
- Sono lusingato… anche se qui, se c’è uno che le piace davvero molto, sei tu. -
 
- Mi vuole molto bene, e io a lei. - ammise Dean - Mi ha davvero visto crescere, e con tutti i dolci che ho mangiato qui è un miracolo che non sia cresciuto in orizzontale! Per me è una specie di zia… forse perché zio Bobby ha sempre flirtato con lei da quando ne ho memoria. È rimasto vedovo molto giovane, e da bambino sognavo che sposasse Missouri, così da poter vivere in un mondo fatto unicamente di torte… -
 
Castiel non potè fare a meno di sorridere, immaginando il Dean adulto che aveva di fronte affacciarsi dalla finestra di biscotto della casetta di Hansel e Gretel, sgranocchiando felice l’arredamento.
 
- Questo vuol dire che sei nato e cresciuto qui? - chiese, cercando di rimanere serio.
 
- A Staten Island, anche se i miei genitori vengono dal Kansas. Mio padre ha un’officina e mamma fa la casalinga. Sono praticamente scappati di casa per sposarsi… a mio nonno non andava giù che mia madre si accasasse con un semplice meccanico, sai, aveva progetti più ambiziosi per lei, e così… eccoci qui. -
 
- Bè, è una cosa molto romantica, devono amarsi davvero tanto… e dimmi, hai fratelli o sorelle? -
 
- Un fratello più quattro anni più giovane, Sammy. E tu invece? Sei di queste parti? -
 
- No io… no. - rispose l’altro, rabbuiandosi un pochino - Sono di Paradise [3], in Nevada. I miei lo sono… cioè, lo erano. - si corresse, quasi soprappensiero, in una sorta di riflesso automatico.
 
Dean esitò, poi la curiosità ebbe la meglio. Voleva saperne di più su chi Castiel fosse in realtà.
 
- … Erano? - domandò circospetto.
 
Anche Castiel attese una manciata di secondi prima di rispondere, poi prese un lungo respiro, come prima di affrontare un’immersione in apnea.
 
- Mio padre restaurava e rilegava volumi antichi, soprattutto testi sacri, mamma invece era un’insegnante elementare. Sono morti entrambi in un incidente d’auto quando avevo undici anni. Un ubriaco non ha rispettato lo stop. - spiegò con brevi frasi secche, così che l’emozione legata a quei ricordi dolorosi non prendesse il sopravvento - Non avendo parenti prossimi, l’assistenza sociale mi ha spedito a Manhattan da una lontana cugina di mia madre. Da allora sono sempre rimasto qui. Grazie alla loro assicurazione sulla vita e ad un fondo fiduciario ho potuto pagarmi gli studi di giornalismo alla Columbia, e il resto è storia. - esalò infine, mentre Dean osservava il blu dei suoi occhi farsi appena più cupo - Come vedi, non c’è molto da dire su di me… -
 
‘A me sembra che ci sia un oceano, da sapere, su di te…’ pensò Dean, sondando le profondità del suo sguardo.
 
Castiel smise di parlare e per qualche istante, tra loro, aleggiò il silenzio.
 
Un silenzio tutt’altro che scomodo, un silenzio confortevole.
Il silenzio che di solito accomuna gli spiriti affini, le anime che si riconoscono.
Che non hanno bisogno di parole inutili per capirsi.
 
E per fortuna, visto che Dean era rimasto davvero a corto di parole, cosa più unica che rara.
 
Era sempre stato a dir poco pessimo ad esprimere il proprio dispiacere e la propria empatia in maniera educata o formale, in special modo in casi come questo, ed espressioni come “so come ti senti” oppure “sono certo che ora sono in un posto migliore” avevano un posto speciale nella sua personale classifica delle formule odiose.
 
E poi lui non lo sapeva, come si sentiva Castiel.
 
Non ne aveva idea.
 
Era sempre stato circondato dall’amore e dall’affetto della sua famiglia, e immaginare come potesse essere crescere senza un appoggio solido, senza conoscere le proprie radici, senza la sicurezza di avere comunque un porto sicuro a cui fare ritorno, una spalla su cui piangere, andava al di là della sua pur notevole fantasia.
 
- Io… ecco, io… mi- balbettò, cercando di trovare le parole.
 
- Non fa niente, Dean, è stato tanto tempo fa. Sto bene, ora. - lo interruppe Castiel, leggendo nella sua espressione contrita un sincero dispiacere e tutte le parole che gli si erano bloccate in gola - Ma grazie. - mormorò, inclinando il viso e rivolgendogli uno sguardo caldo e morbido che fece fare una minuscola capriola al suo stomaco.
 
Cercando di cambiare argomento, Dean si schiarì la voce.
 
- Hai detto che hai studiato giornalismo? - domandò.
 
- Sì, lavoro a Grace Magazine. -
 
- “Il magazine per giovani donne in più forte ascesa”… - commentò Dean, stupefatto dalla coincidenza, citando le parole utilizzate da Bela - Salviamo il mondo a colpi di borsette e lifting? -
 
- Oh, wow… che alta opinione hai del mio lavoro! - finse di prendersela Castiel - E sentiamo, Winchester, tu cosa fai per vivere? -
 
- Lavoro in pubblicità, faccio il copywriter in un’agenzia piuttosto nota. -
 
- Potrei aver visto qualcosa di tuo, in giro? -

- Uhm, può essere, ultimamente mi sono occupato delle campagne della birra Purgatory e, per la tv, di quella sul sale marino… -
 
- Quella con i Ghostfacers? - domandò Castiel, raddrizzandosi sullo sgabello e mettendo su un sorrisetto sbilenco.
 
- Sì, esattamente. - confermò Dean, guardingo - Perché fai quella faccia? -
 
Castiel scoppiò a ridere.
 
- Oh, amico, cioè, devi essere davvero, davvero malato per esserti inventato una cosa del genere! Quei tizi sono… sono… non mi viene nemmeno in mente un termine per definirli! Ma cosa ti eri fumato? - biascicò, sbellicandosi dalle risate.
 
- Quei tizi, per tua informazione, sono veri. - puntualizzò Dean.
 
- Che… che cosa? - balbettò Castiel, prendendo fiato.
 
- Sono veri, te lo giuro. Li ho scovati navigando su internet mentre facevo delle ricerche sulle leggende legate al prodotto, per la mia campagna. Si parlava di come in molte credenze popolari il sale fosse usato per tenere lontani gli spiriti, ho cliccato su un link e sono finito sul loro sito. -
 
- Ma sono assurdi! - mormorò Castiel, incredulo.
 
- Oh, non dirlo a me. I giorni delle riprese dello spot sono stati i più interminabili della mia vita… - commentò Dean, rabbrividendo ancora al ricordo delle pretese da star di quegli squilibrati.
 
- Quindi… salviamo il mondo con sale grosso e cacciatori di spiriti? - insinuò il giornalista dopo un breve silenzio, ripagando con la stessa moneta la precedente stoccata di Dean.
 
Che non se la prese per nulla, anzi, amava incontrare qualcuno in grado di tenergli testa, perlomeno  sul piano del sarcasmo.
 
- Va bene, va bene, touché… - ammise, ridacchiando e mettendo le mani avanti in segno di resa - Né io né te stiamo scoprendo la cura per il cancro o scindendo particelle atomiche, siamo solo due biechi arrivisti al servizio del consumismo. -
 
- Bieco sarai tu! - ridacchiò Castiel, con aria di sfida - Non scriverò “Angelo Custode “ per sempre, se seguirò i suoi ordini per un po’ il mio caporedattore mi lascerà occuparmi di cose davvero importanti. -
 
- Angelo Custode? - ripetè Dean, smarrito.
 
- È il nome della mia rubrica… - spiegò Castiel, nuovamente in imbarazzo rendendosi conto di quanto futile potesse sembrare il proprio lavoro ad un occhio esterno.
 
- Scherzi? Vieni da Paradise e la tua rubrica si chiama Angelo Custode? Allora Missouri non aveva tutti i torti... - commentò Dean, pensoso.
 
- Te l’avevo detto io, Dean, che avevi trovato un angioletto! - intervenne quest’ultima, comparsa magicamente a rabboccare i loro caffé e a portare altre due fette di torta - E come potrebbe essere altrimenti, con quel faccino? - continuò, osservando estasiata Castiel, che arrossì furiosamente, sotto lo sguardo divertito di Dean.
 
Foraggiati dalla donna, che interveniva con l’immancabile caraffa ogni volta che notava le loro tazze svuotarsi, i due ragazzi chiacchierarono senza sosta, cullati dall’atmosfera calda e soffusa del locale che andava man mano vuotandosi.
 
Dean non era mai stato particolarmente propenso a parlare di sé.
Preferiva ascoltare, anche quando gli altri non se ne rendevano conto.
Ascoltava, studiava, codificava i comportamenti, i gesti involontari… decifrare le persone era diventato una specie di automatismo, ed era ciò che l’aveva portato tanto in alto in ambito lavorativo.
Capire ciò che la gente vuole, anche se non vuole dirtelo.
 
Ma Castiel, col suo atteggiamento pacato, il suo non essere invadente, il suo non fare domande, aspettando che fosse Dean a riempire in qualche modo i silenzi fra loro, sembrava avere il potere di farlo cantare come un fringuello.
 
E Dean parlò, e parlò.
 
Del proprio lavoro, della propria vita, ma soprattutto della famiglia e del fratello, illuminandosi al solo nominarlo e perdendo definitivamente l’aria da spaccone che aveva ostentato fin dal primo momento, tanto che Missouri si sorprese più di una volta, durante la serata, ad osservarlo ridere, rilassato e allegro come non lo vedeva da anni, e si chiese chi mai fosse questo Castiel apparentemente piovuto dal cielo.
 
Quest’ultimo, dal canto suo, sbocconcellando una quantità imbarazzante di torta e ingollando ettolitri di caffé, senza nemmeno rendersene conto lasciò scivolare via gli ultimi residui della facciata che si era cucito malamente addosso per l’occasione, in preda ad una sensazione viscerale che non provava da tanto, tanto tempo.
Quando non si sentiva sotto pressione, lasciava emergere la persona dolce e brillante che era in realtà, e più Dean l’ascoltava parlare, meno riusciva a restare indifferente al suo modo spontaneo di raccontare, al gesticolare delle sue mani affusolate, alla sua risata calda e avvolgente.

Castiel rideva e, in quella tavola calda dimenticata da Dio, entrava il sole.
 
Infine, dopo quelli che sembrarono minuti ma che in realtà erano quasi due ore, e dopo aver parlato praticamente di qualsiasi cosa, i discorsi presero una piega un po’ più personale.
 
- Quindi, Castiel Novak… - chiese Dean, poggiando un gomito sul bancone e sistemandosi comodo, sostenendosi la testa con la mano - … è da molto che non hai una storia? -
 
Castiel si agitò un poco sul proprio sgabello.
 
L’atteggiamento così schietto e senza fronzoli di Dean lo spiazzava  ma allo stesso tempo gli trasmetteva una bizzarra sensazione d’intimità, come se fra loro ci fosse un’inesplicabile confidenza che travalicava parole e conformismi e che permetteva di saltare tutte le normali schermaglie da primo appuntamento.
 
- In effetti… sì. Per me è difficile legarmi a qualcuno che non… non soddisfi le mie aspettative. -
 
Dean inarcò un sopracciglio, incuriosito.
Di sicuro non era la risposta che si sarebbe aspettato da un tipo come Castiel.
 
Il quale si accorse del suo sguardo meravigliato e cercò di rettificare frettolosamente la propria uscita, oggettivamente un po’ infelice.
 
- Cioè, non fraintendermi, non è che abbia una lista di requisiti! Non è così! In realtà sono molto accomodante… cioè… quello che voglio… in pratica… - borbottò, preso dal panico all’idea che Dean potesse giudicarlo un borioso, incontentabile snob.
 
- Dimmi semplicemente cosa cerchi in una relazione. - disse Dean, pacato.
 
Castiel prese tempo prima di parlare, riflettendo brevemente per riuscire a rendere a parole ciò che il suo cuore insoddisfatto desiderava da davvero troppo tempo.
 
- Cerco qualcuno che… che mi comprenda tanto profondamente da non aver bisogno di parlare. Che mi capisca con un solo sguardo. Qualcuno… - indugiò, perché non si era mai esposto a quel modo con nessuno, tanto meno con uno sconosciuto, ma Dean riusciva a farlo sentire, contemporaneamente, sia vulnerabile che al sicuro - … Qualcuno che mi faccia tremare l’anima. - ammise infine con voce appena udibile, in uno slancio di sincerità.
 
Di cui si pentì immediatamente, dandosi dell’idiota per essere stato tanto ingenuo e sdolcinato con uno che avrebbe tranquillamente potuto mangiarlo per colazione.
 
Dean nel frattempo, spiazzato da tanto candore, cercò di capire se lo stesse prendendo in giro.
 
Nella Grande Mela l’unica cosa che ti faceva tremare era lo sferragliare della metro che passava sotto il tuo appartamento, e le persone con cui uscivi, più che al tuo sguardo, erano interessate alla tua solvibilità bancaria e ad eventuali proprietà negli Hamptons.
 
- Sei davvero… - esitò, stentando a trovare un termine adatto.
 
- … Stucchevole? Patetico? - suggerì Castiel, con un sorrisetto mesto.
 
- Un idealista. - lo corresse Dean, senza nascondere sincera ammirazione - È una rarità, a New York. Sei… praticamente un unicorno. [4] - commentò, facendolo arrossire.
 
Castiel si strinse nelle spalle, sempre più impacciato.
 
- Credo nelle persone. - si schermì - Tu no? -
 
- Io… credo più che altro in me stesso. Mio padre mi ha sempre imposto una disciplina ferrea, forse un retaggio da Marines, ma la prima cosa che mi ha insegnato è stata quella di non aspettarmi mai niente da nessuno. -
 
- Nessuno nessuno? - chiese Castiel, sorpreso - Nemmeno dagli amici? -
 
- Niente aspettative, niente delusioni. - sintetizzò Dean.
 
- Sicuramente è un ragionamento molto pragmatico, non lo nego, ma non pensi che schivando le delusioni rischi di schivare allo stesso modo anche le gioie? Non hai mai paura di esserti perso irrimediabilmente qualcosa? -
 
- I pro sono stati più dei contro. Finora… - commentò l’altro, in modo volutamente ambiguo.
 
- Quindi non sei mai stato innamorato. - disse Castiel, in quella che era chiaramente un’affermazione, più che una domanda.
 
- Innamorato, dici? No. Non credo. Non sul serio… -
 
- Allora, a questo punto, mi tocca rivolgerti la tua stessa domanda… tu che cerchi in una relazione, Dean Winchester? -
 
- Io voglio… qualcuno a cui piaccia la mia musica. Tutta. Senza eccezioni. - replicò Dean con un mezzo sorriso.
 
- È una metafora? - domandò Castiel, cercando di decifrarne l’espressione.
 
- … Sì. Ma anche no. - ammise Dean, continuando a sorridere con fare misterioso - Voglio una persona che non cerchi di cambiarmi. Che… mi compri a scatola chiusa. Pacchetto completo, senza possibilità di cambi o reclami. -
 
- Sembra un bell’azzardo… -
 
- Lo so. Ma so anche che non saprei cambiare. Ci ho provato, sai, a costruirmi una vita da steccato bianco e pranzi domenicali, ma non ha funzionato. Mi mancava il brivido della caccia, l’adrenalina… -
 
- La… caccia? -
 
- Sì, la caccia ai clienti, intendo. Avevo lasciato il mio lavoro per un impiego che non mi occupasse così tanto tempo, ma non ce l’ho fatta a stare lontano da quel mondo troppo a lungo. - disse Dean, scuotendo il capo al ricordo - Ah, non hai idea… il brivido che provi quando un cliente approva un tuo slogan, quando ti aggiudichi una campagna da milioni di dollari è… è come il miglior orgasmo che tu abbia mai avuto! È come una scarica di adrenalina direttamente nelle pal… - spiegò, infervorandosi e contemporaneamente bloccandosi, di fronte all’espressione piuttosto allibita di Castiel - Ehm, voglio dire… è la mia vocazione, non credo che saprei fare altro. E nessuno è mai stato più importante del mio lavoro, quindi no… non credo di essere mai stato innamorato. - concluse - Tu, invece? -
 
- Come hai detto tu prima… non sul serio. Ma so che c’è una persona fatta per me, e so che quella persona è la fuori… il mio compito è quello di riuscire a riconoscerla. E combattere per stare con lei. -
 
- Combattere? -
 
- Raramente si ottiene ciò che si desidera senza sforzo, col tuo lavoro dovresti saperlo meglio di me… -
 
- Uhm. Vero. Perciò vorresti dirmi che secondo te… in amore e in guerra è tutto lecito? - chiese Dean, non tanto disinteressatamente, pensando alla situazione in cui si era appena invischiato.
 
- Soprattutto in amore e in guerra. - rispose Castiel senza esitazioni.
 
Dean sorrise, soddisfatto.
 
- Gran bella risposta. -
 
- Era una domanda facile. - replicò il redattore, sorridendogli di rimando.
 
Rimasero così, a sorridersi in silenzio come due imbecilli, prima che Castiel notasse che, mentre all’inizio della serata si erano compostamente accomodati sui propri trespoli fianco a fianco, ora erano completamente voltati uno verso l’altro grazie agli sgabelli girevoli del locale, con le ginocchia intrecciate a causa della mancanza di spazio.
 
Inoltre, in un qualche imprecisato momento, avevano cominciato ad avvicinarsi impercettibilmente uno all’altro, come attirati da un’invisibile calamita, ed ora i loro volti si trovavano a non più di una spanna di distanza.
 
Castiel riusciva a distinguere distintamente il punto esatto in cui la corona dorata che circondava le pupille di Dean si mescolava all’impossibile verde delle iridi, le rughette ai lati degli occhi quando sorrideva e, osservandolo incantato, si rese conto che quello era il suo miglior appuntamento da… bè, da sempre, anche se la realtà gli piombò immediatamente addosso come una valanga di mattoni.
 
Quello non era un appuntamento.
 
Quello non era… niente.
 
Dean, non era niente.
 
Ma “niente”, scelse proprio quel momento per iniziare a fissare insistentemente le labbra di Castiel, mentre quest’ultimo parlava, con un’espressione indecifrabile.
 
Qualsiasi domanda gli morì in gola mentre Dean, sporgendosi verso di lui con aria concentrata, gli prendeva il mento tra indice e medio, per poi seguire il contorno del suo labbro superiore un po’ screpolato con il pollice, lento e leggero.
 
Trattenne involontariamente il fiato, paralizzato, ma Dean si ritrasse immediatamente, portandosi il dito alla bocca con un sorriso spontaneo.
 
- Eri sporco di gelato. - spiegò, ammiccando.
 
Il cuore di Castiel impiegò cinque minuti buoni per smettere di battere come una grancassa.
 
Sì, decisamente, Dean non era niente.
 
 
 
 
 
[1] Il titolo si riferisce alla celebre canzone del 1971, scritta da Don McLean, conosciuta più che altro per la cover di Madonna. Ehi, lo so che non è rock/metal (Giud, taci! >_<), ma in fondo Dean ascolta gli Asia!
[2] Missouri Moseley è realmente una sensitiva in grado di leggere nel pensiero. Compare nella puntata 1X09, Home, e in origine avrebbe dovuto essere una sorta di punto dei riferimento per i fratelli Winchester. Questa figura è stata poi sostituita da Bobby.
[3] Paradise esiste davvero ed è parte integrante dell'area metropolitana di Las Vegas (contiene la maggior parte della cosiddetta Strip). Tra le varie Paradise esistenti negli Stati Uniti mi piaceva l’idea che Castiel fosse originario proprio della “Città del Peccato”.
Perché sono pazza.
[4] Scusate, non ho potuto resistere. Dalla 8X17, Goodbye Stranger.


NDA:
Come al solito approfitto per ringraziare tutte le persone che hanno letto fin qui e quelle hanno commentato (*__*) ... Siete sempre fantastiche!
Questo esperimento mi mette più ansia del solito (incredibile) e sono davvero felice che leggere queste righe possa farvi passare qualche minuto di svago. GRAZIE! <3

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Capitolo 5
*** KISSIN' DYNAMITE ***


Avviso ai naviganti:  il capitolo non è una song-fic, gli stralci delle canzoni inserite qua e là fanno parte di un'ipotetica compilation di Dean! ^___^



KISSIN’ DYNAMITE [1]
 
 

“Like the thunder in the mountain
Like the lightnin’ in the sky
Like the eye of a tornado
[…]
 Feel like kissin’ dynamite
Feel like kissin’ dynamite”
 
(AC/DC - Kissin’ Dynamite)

 
 
Fu solo quando la voce gentile di Missouri interruppe il loro chiacchierare fitto fitto che Castiel e Dean si resero conto di trovarsi in un locale ormai deserto, le cui luci erano state in parte abbassate, e le sedie sollevate sui tavoli alle loro spalle da un inserviente che non avevano nemmeno sentito.
 
- Ragazzi, perdonatemi, odio dovervi cacciare ma qui bisogna chiudere bottega e c’è gente che dovrebbe andarsene a casa a dormire, voi compresi. - mormorò, posando sul bancone in segno di scusa un pacchetto che chiaramente conteneva altra torta e allungandolo verso Dean, che lo accettò con un sorriso entusiasta.
 
- Ma si figur… figurati, Missouri, ti abbiamo disturbata anche troppo. Ti porgo le mie scuse, non mi ero reso conto che si fosse fatto così tardi. - disse Castiel, realmente mortificato, saltando giù dallo sgabello, estraendo il portafogli e accennando a dirigersi verso la cassa.
 
La donna sorrise intenerita, osservando bonariamente quel ragazzo tanto compito e a modo, così diverso dal suo Dean, e lo liquidò con un gesto della mano, come se stesse scacciando una mosca.
 
- Dolcezza, non pensarci neanche, stasera offro io! Sai, Winchester, credo che non ti farebbe male frequentare un po’ questo giovanotto. È molto più educato di te. - sentenziò aggirando il bancone e abbracciando stretto Castiel, che si sciolse sotto il suo tocco materno, chiudendo gli occhi e abbracciandola a propria volta - E anche più bello. - aggiunse poi, strizzando l’occhio a Dean.
 
- Ecco, lo sapevo che non dovevo portarlo qui! - si lagnò quest’ultimo, ridacchiando, inspiegabilmente felice del fatto che Castiel piacesse tanto ad una persona che considerava parte della propria famiglia - Ti faccio la corte da vent’anni e poi l’ultimo arrivato prende il mio posto! E solo perché lui ha gli occhi blu! - proseguì, indignato, mentre Missouri, terminato di stritolare Castiel, si dirigeva ad abbracciare lui.
 
- Non ha solo gli occhi blu, Dean. - mormorò la donna, stringendolo e approfittandone per sussurrargli all’orecchio - È speciale. -
 
- Uhm, sì, credo di sì… - bisbigliò a sua volta Dean, incerto, cogliendo il tacito avvertimento nelle parole di Missouri, che riusciva sempre a leggere tra le righe semplicemente guardandolo negli occhi.
 
- Tesoro, non farlo, ti prego… - lo mise in guardia, sciogliendo l’abbraccio ed osservandolo seria.
 
- Ma… non ho fatto niente. - si giustificò Dean.
 
- Beh, ma ci stavi pensando. [2] -
 
Dean alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo sommesso.

Ci mancavano solo le intuizioni, i superpoteri e le ramanzine di Missouri.
 
Non che non avesse ragione, per carità… a voler essere del tutto sincero, un minuscolo, nebuloso pensiero era germogliato nella sua mente durante la serata, ed ora, forse proprio grazie alle parole della donna, aveva decisamente preso forma.
 
Sapeva perfettamente cosa voleva.
 
Doveva solo decidere se prenderselo.
 
Dopo un ultimo sguardo severo da parte di Missouri, che di proposito evitò, indossando il giubbotto ad occhi bassi e voltandosi frettolosamente verso l’uscita, Dean raggiunse Castiel, in attesa presso la porta, apparentemente ignaro dello scambio d’opinione svoltosi pochi metri più in là ed intento a sistemarsi il bavero del trench.
 
Sollevò lo sguardo su Dean, così sincero, fiducioso, che l’altro non seppe mai se le parole che scaturirono dalle sue labbra furono il frutto di un mero calcolo o di un istintivo, cieco, autentico desiderio.
 
- Che dici, Cass, non è poi così tardi… ti va il bicchiere della staffa? -
 
L’altro parve combattuto, per un attimo.
 
- Va bene. - acconsentì poi in tono mite.
 
- … Da me? -
 
Castiel sembrò arrossire appena, prima di annuire in silenzio, senza incrociare il suo sguardo.
 
Il breve viaggio fino a Bleecker Street durò all’incirca quanto quello dallo Sky alla tavola calda e, per la prima e unica volta dacché Castiel ne avesse memoria, trascorse senza pensieri di morte, rivelandosi quasi piacevole.
Abbandonate momentaneamente le preoccupazioni circa la dispersione dei propri organi vitali sulla strada, e questo solo grazie alla guida sicura e alla rassicurante presenza di Dean, lungo il tragitto si concentrò esclusivamente sulle proprie mani che stringevano il torace asciutto a cui si era aggrappato come un geco e al proprio petto premuto contro la sua schiena, tanto che, quando la moto si arrestò sotto ad uno dei tipici caseggiati newyorkesi in mattoni rossi, fu quasi riluttante a scendere.
 
Dean scivolò agilmente giù dalla sella in un gesto fluido e collaudato, senza però dimenticare di porgere la mano a Castiel come un vero gentiluomo per aiutarlo a fare altrettanto, avendo intuito che non era affatto pratico di moto e affini, mano che l’altro rifiutò garbatamente saltando giù da solo, incespicando giusto un pochino sulle gambe malferme a causa della paura che forsenon era proprio sparita del tutto ma sorridendogli fiero da sotto il caschetto, come un bambino, per non essere caduto a faccia in giù con la propria consueta goffaggine.
 
Eccolo lì.

Un moccioso in trenchcoat.
 
‘Fottutamente adorabile...’
 
Cercando di non sorridergli di rimando come un coglione, Dean si diresse a passo svelto verso i pochi gradini che conducevano all’entrata del palazzo, soffermandosi nei pressi di un’auto nera, chiaramente d’altri tempi, di cui l’altro non riusciva a scorgere né marca né modello, alla fioca luce dei lampioni che rischiaravano la via, inframmezzati da alberi frondosi.
 
Battè un paio di pacche affettuose sul cofano con la mano, voltandosi verso Castiel che era rimasto qualche passo indietro e sorridendo orgoglioso.
 
- È la tua? - chiese il giornalista, sporgendosi a sbirciare il radiatore in cerca di un indizio sulla casa automobilistica, giusto per non fare una figuraccia con Dean, che evidentemente andava molto fiero di quell’auto.
 
- Lo puoi dire forte. È la mia piccola… non la trovi fantastica? -
 
Castiel sfiorò con deferenza una rifinitura cromata, lucida come ogni altra parte dell’auto, inclinando il capo da un lato con aria perplessa.
 
- Uh, io… sai, non sono molto ferrato sull’argomento, ma se accetti comunque il parere di un profano… la trovo molto bella. E anche molto, molto aggressiva. - commentò con un sorrisetto -Dove l’hai presa? -
 
- L’ho ereditata da mio padre. - spiegò Dean, appoggiandosi con la schiena alla fiancata e perdendosi ancora una volta nei ricordi - È l’auto su cui lui e mamma fuggirono di casa, e da allora è stata sempre con noi. Ci ha accompagnato in viaggi, vacanze, traslochi… è una di famiglia, per me. Pensa che all’interno ci sono ancora le iniziali mie e di Sam incise su una portiera. Quando papà si accorse di cosa avevamo combinato si arrabbiò moltissimo, ma non l’ha mai fatta sistemare… credo che in fondo in fondo per lui fosse una sorta di… promemoria, un ricordo, come una vecchia foto o quelle tacche che si fanno sugli stipiti delle porte per misurare l’altezza dei bambini. Noi non avevamo stipiti, ma avevamo l’Impala. -
 
- Non l’hai fatta restaurare nemmeno tu… - constatò Castiel, in una sorta d’implicita domanda, poggiandosi a sua volta alla carrozzeria, tanto vicino a Dean da sfiorarlo ad ogni movimento.
 
- Non potrei mai, è uno dei ricordi più vividi che ho di me e Sam, mi ricorda quant’eravamo uniti. -
 
Castiel esitò per qualche istante. Da come Dean ne aveva parlato nel corso della serata, non sembrava avesse problemi col fratello, anzi.
 
- Non lo siete più? -
 
- No… non è questo… - spiegò Dean, cercando di esporre meglio il concetto - Da piccoli vivevamo praticamente in simbiosi, facevamo ogni cosa insieme, e quando lui è partito per andare a studiare a Stanford io mi sono sentito… non so, tradito. Abbandonato. Guardare quei graffi sulla portiera mi… rassicurava, in qualche modo. Mi ricordava che il nostro legame andava oltre alla distanza geografica o alla quantità di tempo trascorsa insieme. -
 
Lo sguardo insondabile di Castiel saettò dal suo viso all’auto, nel più totale silenzio.
 
- Suona stupido, eh? - commentò Dean, vedendo le proprie quotazioni precipitare inesorabilmente - Cioè, non fraintendermi, sono consapevole del fatto che sia una cosa del tutto sciocca e irrazionale, e che Sammy aveva tutto il diritto di scegliere la carriera che voleva o l’università che preferiva, ma a suo tempo ho preso la cosa… uhm, diciamo un po’ troppo sul personale, ero una testa calda e spesso non mi soffermavo a ragionare quanto avrei dovuto prima di reagire... - si giustificò.
 
L’altro inarcò un sopracciglio.
 
- Oh, merda, anche questo non suona molto intelligente, vero? -
 
- No, non è così. Suona come uno che farebbe qualsiasi cosaper suo fratello, in realtà. - disse finalmente il giornalista, con una punta di malinconia ad irruvidirgli la voce - Vorrei tanto avere un fratello che tenesse a me in questo modo… -
 
- Oh. Mi… mi dispiace… -
 
- Non devi dispiacerti, Dean. E poi ho Balth e Gabe che, bene o male, sono la cosa più simile a due fratelli che si possa immaginare… infatti, mi fanno letteralmente impazzire.
 
- Balth e Gabe? -
 
- Sì, sono i due che erano con me al locale, credo tu li abbia intravisti quando sono andato a salutarli. Lavoriamo assieme a Grace. -
 
- Siete molto amici? -
 
- Sì, li conosco dai tempi dell’università, mi hanno praticamente adottato, anche se, in effetti, me l’hanno un po’ imposto… - ammise, con un sorriso carico d’affetto.
 
- Cosa intendi con “imposto”? -
 
- Intendo che non ho la più pallida idea di come io sia diventato amico di Gabriel. - spiegò il giornalista - Un giorno non c’era, e il giorno dopo era stravaccato sul mio letto, al dormitorio, sgranocchiando Cheerios e sfogliando una rivista porno. Mai capito da dove siano sbucati, sia lui che la rivista. Fatto sta che, dopo un po’, ho cominciato a vederlo come parte integrante dell’arredamento della stanza è… bé, me lo sono tenuto. -
 
- Ne parli come se avessi raccattato un cucciolo trovato in strada... - ghignò Dean, piuttosto divertito dall’espressione usata da Castiel.
 
- Eh, magari! - sospirò l’altro - Almeno un cucciolo ti mastica solo le scarpe, Gabriel mastica praticamente qualsiasi cosa… -
 
- In… in che senso? -
 
- Quando te lo presenterò, te ne accorgerai da solo. - sentenziò, ironico, senza nemmeno rendersi conto di aver già inconsciamente incluso Dean nel proprio futuro.
 
- Balth invece sta per…? -
 
- Balthazar. -
 
- Strano nome… -
 
- Fosse solo il nome… - sospirò il giornalista.

- Ma non ce l’hai un amico normale? - chiese l’altro, ridendo.
 
Castiel si voltò lentamente verso di lui con un sorriso morbido.
 
- Bè, ora ho te… - dichiarò placido, senza alcuna traccia d’ironia.
 
Ritornando brutalmente alla realtà, Dean deglutì.
 
Ma non servì in alcun modo a ricacciare lì da dov’era venuto quello strano frullio alla bocca dello stomaco che lo tormentava da ore.
 
- Ehm, senti Castiel… sei ancora dell’idea di salire? - chiese, vagamente esitante e non più tanto sicuro di quello che stava facendo - Qui comincia a fare fresco, e per quanto mi piaccia stare con il sedere appiccicato alla mia Bambina, forse in casa staremmo più comodi… -
 
Castiel si riscosse a sua volta, come se fosse stato strappato a forza da chissà quale piacevole fantasia, e si limitò ad annuire debolmente, in preda agli stessi dubbi di Dean.
Preso dalla conversazione, aveva completamente scordato il motivo per cui si trovava in mezzo ad una strada a tarda notte, appoggiato ad un’auto in compagnia di un bellissimo ragazzo, ed ora tutta la rilassatezza degli ultimi minuti stava rapidamente sbiadendo, sostituita da un’apprensione che purtroppo conosceva fin troppo bene.
 
I tipi come Dean avevano il potere di mettergli addosso un’ansia tremenda… anche perché i tipi come Dean, ammettiamolo, solitamente non s’interessavano a tipi come lui.
 
Sforzandosi d’immaginare cosa, di preciso, l’altro potesse mai aver visto in lui e decidendo piuttosto in fretta di fregarsene, lo seguì all’interno del palazzo fino al piccolo ascensore, entrando in una cabina decisamente claustrofobica e provando compassione per le povere sardine che passavano tutta la loro vita – bè, l’altra loro vita – pigiate una contro l’altra in una scatoletta.

Lui aveva una compagnia innegabilmente migliore, constatò in modo del tutto sconnesso, occhieggiando Dean che si frugava in tasca per recuperare le chiavi, per poi domandarsi confuso perché diavolo perdesse tempo a pensare alle stramaledette sardine mentre accanto a sé aveva l’uomo più bello che avesse mai conosciuto.
 
Quell’agitazione, prima o poi, avrebbe finito per farlo uscire definitivamente di senno.
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono su un minuscolo pianerottolo che dava accesso a tre soli appartamenti, il padrone di casa sbloccò le serrature della porta di mezzo, accendendo la luce di cortesia nell’ingresso e poi scostandosi, lasciando entrare per primo Castiel, che avanzò cautamente nell’appartamento semibuio cercando di non andare a sbattere contro qualche suppellettile o di sfracellarsi a terra inciampando in un tappeto come suo solito, collezionando la prima di quelle che, se non si dava una calmata, promettevano di diventare una marea di figure di merda.
 
Da quel poco che riusciva a scorgere, grazie alle luci provenienti dall’esterno che rischiaravano un poco l’ambiente, si trovava in un unico spazio piuttosto ampio, separato dalla cucina solo da un muretto, mentre la camera da letto, a vista, era rialzata di circa mezzo metro rispetto al resto dell’appartamento grazie ad un basso soppalco.
 
Dean accese una piccola alogena in un angolo del salotto, abbassando però il commutatore al minimo, quindi si diresse verso lo stereo, scegliendo rapidamente una compilation e inserendola nel lettore cd.
 
Non una delle tante che usava per far capitolare le ragazze, una che gli piaceva davvero.
 
In fondo, non aveva niente da perdere.

Le note di “Between two worlds” [3] permearono immediatamente l’aria.
 
- Prego, fai come se fossi a casa tua… - mormorò rivolto a Castiel, mentre regolava il volume.
 
‘Certo, volentieri, anche se a casa mia riesco almeno a vedermi i piedi…’ osservò quest’ultimo, i cui occhi non si erano ancora abituati alla debole luce proveniente dall’altro capo della stanza, togliendosi il trench ed appoggiandolo distrattamente sullo schienale di una sedia.
 
In ogni caso, buio o non buio, restò subito colpito dall’aspetto stranamente asettico dell’appartamento.
Sembrava quasi un contesto estrapolato da una rivista d’arredamento, o una camera d’albergo, più che un posto realmente abitato, vissuto.
Dava l’impressione che Dean non vi trascorresse molto tempo, o che fosse una sistemazione provvisoria, anche se esteticamente impeccabile.
 

“In the distant maze, I see two doors
One leads to change,
one leads to where I’ve been before
[…]
Sometimes the hunter,
sometimes the prey
Feeling like I’m trapped,
lost and never found
Feeling like I’m caught
between two worlds
Without a home…”

 
 
Facendo una rapida panoramica sull’intero ambiente avvolto dalla penombra, risultò impossibile per Castiel non fare un paragone col proprio minuscolo nido arredato Ikea, accogliente e caldo.
 
- Che arredamento da… ehm… macho… - commentò, non potendo fare a meno di notare la sovrabbondanza di pelle e metallo cromato che regnava all’interno del soggiorno di Dean - Non che casa mia sia rosa a fiorellini, intendiamoci, ma qui c’è davvero tanto, tanto acciaio. -
 
A Dean sfuggì un risolino nervoso. Improvvisamente, si rese conto che ogni angolo di casa sua urlava “stereotipo”.
 
- Ehm, il mio… arredatore forse si è fatto prendere un po’ la mano… - si giustificò.

Castiel, che nel frattempo aveva preso a guardarsi attorno, analizzando incuriosito i titoli dei volumi stipati nella libreria, sollevando soprammobili, esaminandoli e rimettendoli a posto, si voltò nella sua direzione con espressione divertita, rigirandosi tra le mani quello che aveva tutta l’aria di essere un antico coltello rituale, forse souvenir di qualche viaggio.
 
- Arredatore? - chiese, con una lieve sfumatura di scherno nella voce.
 
 ‘Oh, cazzo.’
 
- Sai, putroppo il lavoro m’impegna moltissimo, così per risparmiarmi perdite di tempo e scocciature varie ho affidato l’appartamento ad un… tizio. Un arredatore, appunto. - spiegò Dean, sperando d’essere convincente ma soprattutto che Castiel, spostando qualche libro, non scovasse i dvd di Casa Erotica che aveva accuratamente nascosto dietro ad una serie di pretenziosi saggi sulle religioni arcaiche.
 
Castiel non diede segno d’aver subodorato la balla. Né tantomeno d’aver trovato i dvd.
 
- Ho l’impressione che tu sia riuscito a beccare l’unico arredatore etero di tutta Manhattan… - mormorò, posando il coltello ed estraendo dallo scaffale un volume rilegato in pelle, chiuso con un laccio. Rendendosi conto che si trattava di un diario, lo posò subito.

- Uh, sì, credo di sì. In effetti, probabilmente qui dentro servirebbe davvero l’impronta di una mano un po’ più gentile… - convenne Dean senza ipocrisia, ammettendo una buona volta che le benevole critiche che sua madre Mary rivolgeva alla casa ogni volta che veniva a trovarlo, effettivamente, non erano così campate per aria.
 
- Siediti Castiel, dai. - mormorò quindi, indirizzando l’altro verso il divano con un cenno - Non vorrai mica passare tutto il tempo rovistando fra i miei libri? -
 
Il giornalista obbedì, docile, improvvisamente consapevole dalla propria inconsueta invadenza, abbandonando la libreria e lasciandosi letteralmente cadere sui cuscini del divano di pelle, trovandolo un po’ scomodo come quasi tutti i mobili di quel genere.
 
- Cosa bevi? - chiese Dean, giusto per dire qualcosa, senza attendere una risposta e versando del liquore per entrambi, voltandosi a controllare con la coda dell’occhio Castiel che pareva avesse finalmente terminato di girellare per l’appartamento.
 
- Per me basta così, ti ringrazio, non so se ho buttato giù più caffeina o alcol, stasera… - mormorò questi, con voce un po’ tirata.
 
Dean gli rivolse una strana occhiata.
 
- Quindi  non sai se più agitato o… sconsiderato? - domandò in tono allusivo, raggiungendolo e porgendogli un bicchiere con due dita di whisky liscio, che l’altro accettò meccanicamente, sedendosi poi sul tavolino da caffè esattamente di fronte al divano, a circa mezzo metro da Castiel, osservandolo di sottecchi con un sorriso sornione e facendo roteare ipnoticamente il liquido nel bicchiere, mentre “I Ain’t No Nice Guy” [4] subentrava alla traccia precedente.
 

“…I thought I was the chosen one
But time went by and I found out a thing or two
My shine wore off as time wore on
I thought that I was living out the perfect life
But in the lonely hours
when the truth begins to bite
I thought about the times
when I turned my back & stalled
 
I ain’t no nice guy after all…”

 
Castiel ricambiò brevemente lo sguardo, prima di abbassare gli occhi, impacciato, scuotendo la testa da una parte all’altra senza dare una reale risposta e concentrarsi a propria volta sul proprio bicchiere.
 
Agitato era agitato, anche senza tutto quel caffé, e riguardo alla sconsideratezza… bè… sbirciando quella meraviglia di Dean che lo scrutava da sotto le ciglia, cominciava a valutarla seriamente come nuovo, intrigante stile di vita.
 
Facendo appello a tutto il proprio coraggio, ma più che altro all’alcol fortunosamente ingerito durante l’arco della serata, batté timidamente una mano sul cuscino a fianco al proprio, invitando Dean a sedersi accanto a lui, sfoderando quella che tecnicamentedoveva essere un’espressione seducente.
 
Almeno sulla carta.
 
Dean, incuriosito dallo sguardo di puro terrore dipinto sul volto dell’altro, associato ad una sorta di ghigno distorto, per l’ennesima volta quella sera non riuscì a scacciare dalla mente la sensazione che Castiel fosse un innocuo e indifeso gattino che tentava di farsi passare per una tigre.
 
E la cosa gli rodeva in maniera inspiegabile.
 
Lo squadrò, le palpebre socchiuse e gli angoli della bocca piegati all’insù in un mezzo sorriso, e scosse impercettibilmente il capo in segno di diniego.
 
Castiel sembrò rimanerci veramente male.
 
Da uno come Dean si era aspettato, se non una vera e propria aggressione, almeno un po’ più d’entusiasmo nei confronti d’un palese “via libera”…
 
Spostandosi sull’orlo del divano e, protendendosi un poco verso Dean, batté di nuovo la mano sul cuscino, speranzoso.
 
Magari non aveva capito.
 
Dean sbuffò una risatina silenziosa, declinando nuovamente l’invito con un cenno e seguitando a guardarlo come se Castiel fosse la cosa più divertente su cui avesse mai posato gli occhi.
 
Poi, sporgendosi all’improvviso verso di lui, gli sussurrò all’orecchio un provocante - Non ti sembra di correre un po’ troppo, Novak? - che fece rizzare i capelli sulla nuca del giornalista, ritraendosi altrettanto in fretta e prendendo un lungo sorso di whisky, completamente padrone della situazione, facendolo sentire un completo idiota e mettendo in chiaro chi, fra loro, conducesse il gioco e chi decidesse dove, quando e soprattutto quanto.
 

“… Have no questions
but I sure have excuse,
I lack the reason why
I should be so confused,
I know, how I feel when I’m around you,
I don’t know, how I feel when I’m around you…”

 
 
I System of a Down [5] diffondevano ora la loro melodia nell’aria mentre Castiel, abbacchiato, cominciava ad immaginare se stesso come un minuscolo topolino, tra le grinfie di un gatto infinitamente più furbo ed esperto di lui, e nel vedere Dignità ed Autostima avviarsi a braccetto verso il tramonto, non riuscì a non sentirsi umiliato e rifiutato.
 
Proprio non riusciva a capire dove Dean volesse andare a parare… insomma, era stato proprio lui ad invitarlo a salire, e non certo per giocare a rubamazzo, non era possibile che avesse equivocato così tanto
 
Poi, però, si rese conto di quanto stupidamente si stesse comportando, di come stesse prendendo l’intera questione dal verso sbagliato: Dean non lo stava affatto rifiutando, perché quello non era un appuntamento.
 
Non lo era.
 
E non aveva nessun diritto di offendersi se la sua “vittima” non era intenzionata a saltargli addosso come un animale! Non con il trattamento che aveva intenzione di riservargli nell’immediato futuro, comunque.
 
Ma, più di tutto, non aveva alcuna intenzione di lasciargli fare il bello e il cattivo tempo in quella dannata faccenda.
 
Forse, dopotutto, una sua reazione era proprio quello che Dean voleva.
 
Aveva fiutato il suo bluff e ora, da esperto giocatore qual era, stava venendo a vederlo, buttando sul piatto tutte le fiches e mettendo alla prova la faccia da poker di Castiel.
 
Istantaneamente, il suo viso si distese in un sorriso rilassato.
 
- Hai ragione, Winchester. Sì, meglio andarci piano. Godiamoci il momento… - mormorò pacato, senza tradire alcuna delusione o intenzione, fissandolo risolutamente negli occhi.
 
Suo malgrado, Dean restò spiazzato incontrando lo sguardo improvvisamente aperto e luminoso di Castiel, così diverso dalla smorfia forzata di poco prima, mentre l’altro l’osservava a proprio agio cincischiando il bicchiere tra le mani e poi posandolo delicatamente sul tavolino, accanto a lui.
 
Di nuovo, si trovò a constatare quanto fosse attraente.
 
Osservò affascinato la luce delle insegne al neon che filtrava dalle finestre, creando ombre multicolori sul suo viso, sul suo sorriso appena accennato – era stato sempre così vicino? – accendendo di sfumature mutevoli quegli occhi tanto profondi da poterci tranquillamente affogare, poi avvertì solo la pressione tiepida di una mano sulla nuca e le labbra di Castiel premute morbidamente sulle proprie.
 
Non un vero e proprio bacio, un contatto appena percettibile, che inspiegabilmente scosse Dean ad un livello che non sapeva nemmeno di possedere.
 
Tutto il suo corpo reagì come attraversato da corrente elettrica.
 
Fu come… baciare dinamite.
 
Arretrò di qualche centimetro, colto completamente alla sprovvista, e tanto bastò per far allontanare Castiel, ponendo fine piuttosto in fretta a quella parentesi d’intraprendenza alcolica.
 
- Le mie scuse… - farfugliò, imbarazzato dal rifiuto di Dean - Non… non so cosa mi sia preso… forse ho bevuto davvero troppo. Io… -
 
- Smettila. - ordinò l’altro, perentorio, gli occhi verdi duri come acciaio.
 
- Ho… ho già smesso… - mormorò Castiel ad occhi bassi, sempre più mogio, dimenticando completamente l’atteggiamento sfacciato di poco prima e scivolando simbolicamente verso il fondo del divano, tanto per sottolineare il concetto, mentre Dean ora lo fissava con un sorrisetto sghembo - Davvero, non è una cosa che faccio d’abitudine… -
 
- Smetti. Di. Parlare.- precisò l’altro, agguantandolo aggressivamente per la cravatta e tirandoselo nuovamente contro fino ad appoggiare la fronte contro la sua, i nasi a sfiorarsi, i respiri fusi in uno solo, mentre le sue mani tornavano gentili e salivano ad incorniciargli il viso accarezzando lievi, con i pollici, gli zigomi pronunciati.
 
In attesa.
 
Castiel tremò.
E Dean se ne accorse.
 
- Allora, Castiel… - sussurrò, basso e seducente, ad una manciata di centimetri dalle sue labbra - … Come la risolviamo? - chiese, facendo così implicitamente intendere che sarebbe stata suala responsabilità di tutto quello che sarebbe accaduto dopo, ma lasciandogli cavallerescamente un’ultima possibilità di tirarsi indietro.
 
Per un lungo momento, Castiel tentennò, respirando la stessa aria di Dean, miscelata ad un leggero sentore di whisky, sbirciandone da sotto le ciglia le labbra socchiuse, del tutto soggiogato dalle minuscole carezze circolari che le dita dell’altro tracciavano instancabili poco sotto le sue tempie, lasciando tracce di calore che sembravano incendiargli la pelle.
 
Così vicino. Così maledettamente vicino
 
Con il respiro già pericolosamente accelerato, semplicemente, spense il cervello.
Chiuse gli occhi, ed ogni sensazione sembrò amplificarsi all’infinito: le mani calde di Dean che non cessavano di sfiorare leggere il suo viso, i loro corpi a così breve distanza, il proprio cuore che batteva all’impazzata.
 
E la voglia.
Dio, la voglia.
 
Non provava un desiderio così struggente e disperato per qualcosa o qualcunoda anni, da quando, ancora ragazzino, si addormentava piangendo tutte le sere, pregando un Dio in cui ormai non credeva più di poter riavere indietro i propri genitori, anche solo per un giorno.
 
Senza pensare, salì ad afferrare i polsi di Dean, staccando le sue mani dal proprio volto e riacquistando così libertà di movimento, per baciarlo fuggevolmente all’angolo della bocca, risalendo a sfiorare le palpebre abbassate e accarezzando le lentiggini con le labbra, lento e delicato, come se avesse tutto il tempo del mondo, descrivendo minuscoli circoletti con la punta del naso appena sotto il suo orecchio.

Poi lo baciò ancora.
 
E ancora.
 
E per una volta Dean, in genere irruento e passionale, rispose in modo altrettanto lento e delicato, completamente sopraffatto dalla dolcezza di Castiel, mentre le mani di quest’ultimo abbandonavano la presa e salivano a sfiorargli il viso con devozione, come se lui fosse il centro dell’universo, come se nient’altro avesse importanza.
 
Fu un bacio lento, innocente, perlomeno fino all’istante in cui Dean, vittima di un impulso irresistibile, non morse il labbro superiore di Castiel, così soffice, roseo, invitante, facendolo gemere sommessamente e innescando in lui il violento desiderio di morderlo e succhiarlo allo stesso modo dappertutto, lasciandogli dei segni, per un assurdo bisogno di possesso, il bisogno di fargli urlare il proprio nome…
 
- Dean… - ansimò il giornalista, tra sorpresa e dolore, esaudendo in parte il suo desiderio.
 
- Cosa… che c’è…? - mormorò l’altro, sulle sue labbra - Sono loroche mi hanno provocato… -
 
- L… loro? - articolò a fatica Castiel, stentando a connettere.
 
- Hai… delle labbra così… belle… - mormorò Dean, mordicchiandole ancora un po’, giusto per conferma, facendo mugolare ancora Castiel, che in risposta sfiorò delicato le sue con la lingua, per poi avventurarsi esitante alla ricerca di quella di Dean, che accarezzò dolcemente con la propria.
 
Dean reagì d’istinto, con un mezzo ringhio, spingendolo senza troppa delicatezza sul divano fino a farlo sdraiare e stendendosi a propria volta su di lui, dopo essersi fatto velocemente spazio tra le sue gambe divaricandole con un ginocchio.
 
- Dean… - gemette Castiel, gli occhi scuri come pozzi, la cravatta storta ed allentata, le guance in fiamme, completamente inerme sotto di lui.
 
La sua voce, così roca e sensuale, contrapposta a quel visetto angelico e a quell’aria indifesa, era decisamente, bè… anzi no.
No no.
Non c’era nulla di eccitante, qui.
Nessuno era eccitato, qui.

Ok, probabilmente non era più stato così arrapato da quando, a quindici anni, aveva avuto tra le mani la sua prima copia di Tettone Asiatiche.
 
Si spinse nella bocca di Castiel con urgenza quasi animalesca, stringendo tra le dita stoffa, ciocche di capelli e tutto quello che gli capitava a tiro, sentendo l’altro inarcarsi sotto di sé e ansimare in maniera indecente, mentre le sue mani si facevano sempre meno esitanti, accarezzandolo ovunque prima di insinuarsi sotto la maglietta e sfiorgli la schiena, spedendo brividi di piacere ad irradiarsi lungo la sua spina dorsale.
 
Sciolse in fretta il nodo della cravatta già allentata e fece malamente saltare fuori dalle asole i primi due bottoni della camicia ormai stazzonata, scoprendo il collo candido e aggredendolo senza pietà con la lingua e con i denti.
Castiel era così morbido ed arrendevole sotto le sue mani… così perfetto… il suo corpo rispondeva ad ogni carezza come uno strumento meticolosamente accordato, con sospiri e gemiti soffocati che avrebbero indotto al peccato anche un santo, e questo per un solo motivo: era completamente in orbita.
 
Partito. Andato. Ciao, e tanti saluti a Pamela.
 
Nel preciso momento in cui Dean aveva risposto al suo bacio, il blackout era stato pressoché totale.
 
Fanculo l’articolo, fanculo tutte le regole di comportamento che si era auto imposto, l’unica cosa che desiderava al mondo era sentire la pelle di Dean contro la propria, pensò, stranito, contorcendosi senza pudore sotto quelle mani implacabili in preda ad una smania devastante, avvertendo gli ultimi brandelli d’autocontrollo e raziocinio scivolare via sotto le carezze di Dean mentre, bizzarramente appropriata, Silent Angel [6] faceva da colonna sonora ai loro gemiti, inascoltata.
 

“… Ooooh, Silent angel
want to hold you
Silent Angel
in my fantasy
Silent Angel
let me love you
Silent angel
please stay with me…”

 
Dean si sollevò sulle ginocchia, ansante, cercando di strattonare la camicia del giornalista fuori dai pantaloni, soffermandosi a guardarlo dall’alto e trovandolo una delle cose più maledettamente sexy che avesse mai visto, tutto arruffato, con le labbra gonfie e il fiato corto.
 
- Resta con me, stanotte... - ringhiò, scendendo nuovamente a leccargli languidamente il collo, facendo contrarre qualcosa nello stomaco di Castiel.
 
E non era solo eccitazione.
Era… paura.
Un’istintiva paura di fondo che non riusciva ad identificare o comprendere del tutto, ma che era lì, come un campanello d’allarme.
Stava sbagliando tutto.
Non poteva mandare al diavolo tutto ciò per cui aveva lavorato tanto.
Si stava lasciando trasportare.
 
Anche lui voleva restare, disperatamente, ed era proprio questo ad atterrirlo, il potere che questo sconosciuto sembrava avere sulla sua razionalità, sul suo giudizio e sul suo corpo.
 
Se un paio di baci l’aveva devastato emotivamente, anche solo pensare di andare a letto con Dean era assolutamente fuori questione.
 
- Cass… - ansimò quest’ultimo, il viso affondato nel suo collo, mentre continuava a muoversi lento e sensuale su di lui, trafficando con la sua cintura con mani malferme.
 
- Dean… no, Dean. - riuscì ad articolare Castiel, a malincuore, poggiando le mani sul petto dell’altro per staccarselo di dosso - Io… io voglio che tu mi rispetti… - improvvisò, sperando che l’altro non gli leggesse negli occhi la verità.
 
‘Balle. Vorrei che mi facessi urlare tanto da costringere i vicini a chiamare la polizia…’
 
Dean non diede segno d’aver sentito, o capito, e forzò le mani che lo tenevano a distanza per riappropriarsi del suo collo.
 
- Dean. - scandì il giornalista, questa volta in tono non equivocabile, spingendolo nuovamente indietro - Smettila. -
 
- O… Oh. - farfugliò l’altro, mortificato, abbandonando la lotta con la fibbia di Castiel e sfregandosi nervosamente le labbra con una mano - Scusami… io… ti assicuro che io ti rispetto, Cass. Moltissimo. - sottolineò, accarezzando dolcemente i capelli che gli spiovevano sulla fronte.
 
‘Non è vero, vorrei farti cose illegali in almeno trentasei stati…’
 
- Uh, ok… bene. - commentò quest’ultimo, ancora sdraiato sotto di lui, la voce alterata da un’impercettibile nota di delusione, senza sapere che altro dire - E io… ecco, ti rispetto perché mi rispetti. È… molto bello, da parte tua… -
 
‘Stronzate. Smetti di rispettarmi e strappami i vestiti. A morsi.’
 
Dean chinò il capo, sconfitto, con le labbra stirate in un sorriso amaro.
 
- Ho come la sensazione che… il momento sia passato, vero? - mormorò, lasciando trapelare tutta la propria frustrazione e sollevandosi dal corpo di Castiel, che nel frattempo si stava mentalmente prendendo a badilate in fronte dandosi del coglione, sentendo già la mancanza di quel peso sopra di sé.
Per non parlare di quelle mani.
 
E di quelle labbra… no, no, no!

Niente labbra, e soprattutto niente mani, s’impose mentalmente, sollevandosi a sedere senza guardare Dean, che in ogni caso stava evitando quanto lui qualsiasi contato visivo, cercando di ricomporsi almeno un pochino.
 
Infilò alla bell’e meglio la camicia nei pantaloni, raccogliendo la cravatta dal pavimento per poi decidere di appallottolarla e cacciarsela in tasca, guardandosi in giro in cerca della giacca, gettata lontano in un momento imprecisato.
 
- Io… credo che sia meglio andare. - mormorò in tono mite, rivolto a Dean, sperando che non fosse troppo arrabbiato ed accennando qualche timido passo verso l’ingresso.
 
L’altro, invece, reagì in maniera del tutto inaspettata, perlomeno in confronto alle passate e non sempre memorabili esperienze di Castiel.
 
- Ma certo, come preferisci… e scusami. Cioè, non… non volevo forzarti, sul serio. Credo di essermi fatto prendere un po’ la mano e… Dio, questa cosa è talmente imbarazzante… - mormorò con un sorriso impacciato, passandosi meccanicamente la mano sulla nuca, dopo averlo raggiunto nei pressi della porta.
 
Quasi certamente aveva mandato tutto a puttane, aveva fatto la figura del maniaco e ora Castiel si sarebbe dileguato, pensò abbattuto, anche se il disappunto per aver perso la scommessa ed un contratto milionario era del tutto marginale, rispetto al senso d’impotenza che provava all’idea di non rivedere più il giovane redattore.
 
Il giovane redattore che, dopo aver pescato un pennarello da un barattolo accanto al telefono sul tavolino dell’ingresso, gli aveva afferrato una mano e ci aveva scarabocchiato sopra un numero.
 
- Chiamami, Dean Winchester. - aveva mormorato poi, con un sorriso disarmante, prima di girare i tacchi e uscire, infilandosi nell’ascensore senza voltarsi indietro e senza lasciare a Dean il tempo di dire alcunché.
 
Dopo essere rimasto imbambolato per qualche secondo tentando di capire cosa diavolo fosse successo, Dean tornò in soggiorno, scavalcando il davanzale della finestra e sporgendosi dalle scale antincendio, giusto in tempo per vedere Castiel sparire all’interno di un taxi.

Rientrò in casa sorridendo, sulle note degli Scorpions [7], senza notare il trench sgualcito che giaceva abbandonato su una sedia.
 

“…What a glorious night
To me it could have lasted forever
But it´s time to go…
A moment in a million years
Is all I´ve got for you…”
 

 

[1] Omonimo pezzo degli AC/DC.

[2] Scambio di battute fra Missouri e Dean rubacchiato alla puntata 1x09, Home.

[3] Brano del 2009 degli HammerFall, dall’album “No Sacrifice, No Victory”.

[4] Brano del Motörhead uscito nel 1992, dall’album “March ör Die”.

[5] Il brano è “Roulette”, dall’album del 2002 “Steal This Album!”.
 
[6] Brano di Axel Rudi Pell, dall’album del 1996 “Black Moon Pyramid”.
 
[7] Il pezzo citato è tratto dal brano “A Moment in a Million Years” degli Scorpions e fa parte dell’album “Eye II Eye” uscito nel 1999.


NDA: sperando che il capitolo vi sia piaciuto, approfitto ancora una volta di queste righe per ringraziare delle bellissime recensioni e della fiducia che state dando a questa fic, inserendola tra le seguite, ricordate e preferite... vi ho fatto i biscotti <3
Dal prossimo capitolo passeremo al lato demente della forza, spero di non deludervi! ;D
A presto...

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Capitolo 6
*** PRINCE CHARMING ***


Questo capitolo è per Aniel, perché è la più grande fan di Balthazar che la storia ricordi. E perché sì. ^__^

 


PRINCE CHARMING [1]
 

GIORNO DUE, ore 8.11 (ma per l’ora esatta chiedete a Gabriel)
 
 
Il mattino seguente, dopo una notte insonne, Castiel spense per la milionesima volta la sveglia, meditando di lanciarla fuori dalla finestra e conquistando a fatica la posizione eretta, per dirigersi a passi strascicati in bagno ed infilarsi sotto la doccia.
 
Pensandoci bene, a posteriori, non fu proprio una grande idea.
Forse sarebbe stata più consona una rapida e maschia sciacquata.
In fondo, aveva il diritto di puzzare tanto quanto Gabe.
 
Non appena sfiorò la propria pelle nuda per insaponarsi, infatti, il redattore fu proiettato istantaneamente alle fantasie che l’avevano tenuto sveglio per ore.

Mai come quella notte si era sentito tanto vicino a chi soffriva di “sindrome dell’arto fantasma” [2]. Castiel però non avvertiva la mancanza un “banale” arto, bensì di un’intera persona, avendo contratto una gravissima forma di “sindrome del Winchester fantasma”…
Ogni singola, maledetta volta che durante la notte aveva provato a serrare le palpebre e dormire, gli era parso di sentire ancora su di sé il peso di Dean, così dannatamente reale, e caldo, la pressione lieve ma decisa delle mani che avevano esplorato il suo corpo, la lingua che aveva tracciato il profilo della sua mandibola prima di quel roco “resta con me” che gli rimbombava nel cervello come una malefica eco e non gli aveva permesso di chiudere occhio.
 
Con un sospiro stanco, poggiò la testa gonfia di schiuma contro la superficie piastrellata della doccia, sbattendola appena.
 
Sarebbero stati dieci giorni d’inferno.
 
Ma visto che è universalmente noto che le disgrazie non vengono mai sole, l’inferno si presentò all’appello anche prima del previsto.
Non appena fece capolino in redazione fu vittima di una vera e propria imboscata da parte dei colleghi, sbucati apparentemente dal nulla, spaventandolo tanto da fargli cadere la scatola di ciambelle che reggeva in mano.
 
- Cassy! Dove diavolo eri finito? - lo aggredirono in coro, mentre il ragazzo tentava di salvare il salvabile, recuperando da terra le ciambelle che non avevano toccato il pavimento e lanciandone una, più che a Gabe, contro Gabe, che per nulla risentito l’afferrò al volo e se la ficcò in bocca, senza per questo smettere di guardare Castiel in malo modo.
 
- Siete impazziti, voi due? Mi avete fatto prendere un accidente! -
 
- Scusa se eravamo preoccupati per te! Sbaglio o ti avevo detto di chiamarmi? - lo apostrofò Gabriel, che con gran sollievo dei colleghi aveva rimesso piede nel magico mondo del deodorante.
 
- Sbaglio o non ti ho mai detto che l’avrei fatto? - rispose Castiel, con logica ineccepibile.
 
- Ah sì? Bé, chi se ne frega! Dovevi chiamarci comunque, quando abbiamo visto che tardavi ci siamo preoccupati a morte, accidenti a te! - continuò Gabriel, mentre Balthazar annuiva al suo fianco con aria di rimprovero.

Castiel si voltò verso il grande orologio da parete che campeggiava sul fondo dell’ufficio. Nove e zero quattro.
 
- Immagino. Vi siete disperati per… quanto? Quattro minuti? - commentò sarcastico.
 
- Sette. Quello è indietro. - precisò Balthazar, atono - In ogni caso ci aspettavamo una telefonata ieri sera, o almeno un sms, giusto per avere la conferma che non eri stato trasformato in spezzatino da Dean Killchester. Ti avrò lasciato otto messaggi in segreteria, ti costava tanto rispondere? -
 
- Sono rimasto senza cellulare, ho dimenticato il trench da Dean ed è rimasto in una delle tasche, non avrei potuto risponderti nemmeno volendo… e, per la cronaca, non volevo. - si giustificò debolmente Castiel, rendendosi contemporaneamente conto che con quella stessa ammissione aveva dato il la a Balthazar per una rampogna senza fine.
 
Come previsto, infatti, le labbra sottili dell’amico si strinsero in una linea ancora più sottile.
 
- Casa di Dean, eh? Allora ci sei andato davvero? - chiese, asciutto.
 
Castiel mise le mani avanti.
 
- Sì Balth, ma non è andata come credi tu. Prima siamo andati a mangiare un boccone in una tavola calda, dove abbiamo parlato tutta la sera… - specificò, ponendo particolare enfasi su quel “parlato” - … e solo dopo siamo andati da lui per un ultimo bicchiere. Non sono rimasto più di mezz’ora. - concluse, avviandosi verso il proprio cubicolo, nella vana speranza di chiudere lì il discorso e seminare gli amici.
 
- Tavola calda? Che classe… - commentò Balthazar, sarcastico, trotterellandogli dietro seguito da Gabe - Ma d’altronde da uno che si presenta in un locale alla moda con una giacca di pelle risalente alle guerre puniche cos’altro ci si potrebbe aspettare? -
 
Castiel, che nel frattempo aveva raggiunto la propria postazione, scattò, inspiegabilmente sulla difensiva, non appena Balthazar accennò quella critica verso Dean.
 
- Per tua informazione quella giacca è davvero vintage, e mi piace. Inoltre l’indossava perché era in moto. -
 
- Chiedo scusa, hai detto moto? - intervenne Gabriel, incredulo, mentre Balthazar seguitava a scrutare Castiel come se volesse aprirgli il cranio per poterci guardare dentro - Ma… tu detesti le moto! Non dirmi che ci sei salito! -
 
Castiel mise su un’aria di sfida che gli amici non erano soliti vedere spesso, prima di rispondere.
 
- Invece sì. Due volte. Non è stato neanche così male… - commentò disinvolto.
 
- Eh, certo, aggrappato a quel pezzo di marcantonio di saresti anche fatto trascinare lungo l’asfalto legato ad un cavallo imbizzarrito… -
 
- Non è affatto vero! - ribattè Castiel, punto sul vivo - Ho solo pensato che era ora di vincere le mie paure… -
 
- Come no, Cassy. - s’inserì Balthazar - In ogni caso, Gabe, smetti di dirottare il discorso e torniamo alle cose veramente importanti. Sbaglio o hai detto che sei andato a casa sua? -
 
- Sì… sì, ma non è come pensi. -
 
- Wow, questa devo averla già sentita un milione di volte! E di solito, è sempre esattamente come penso… - precisò il collega, osservando l’amico arrossire fino alla radice dei capelli.
 
- No, sul serio. Ci… ci siamo solo baciati. - spiegò Castiel, a disagio - Più o meno. -
 
- Ecco, esattamente qui ti volevo. Più? O meno? -
 
- Non ti sembra di essere un tantino morboso, Balth? Sono affari miei! -
 
- No pulcino, sono anche affari nostri, visto che è una questione di lavoroe che si dà il caso che siamo colleghi, in questa benedetta rivista. Sarebbero affari tuoi se il tuo fosse stato un regolare appuntamento o se fossi realmente attratto da questo Dean, ma ovviamente non è così, vero? - domandò Balthazar, dimostrando ancora una volta di conoscerlo un po’ troppo bene.

E probabilmente anche di avergli aperto il cranio mentre era distratto.
 
- C… certo che no! - rispose Castiel, stridulo, eccessivamente in fretta e a voce eccessivamente alta - Come hai detto tu, è… solamente lavoro. - articolò, con un’infinitesimale esitazione che però non sfuggì al collega.
 
- Benissimo, quindi raccontaci cos’è successo. Il mio, sia chiaro, è un interesse puramente professionale… -
 
- Non è successo niente, ok? Niente! Ci siamo baciati, gli ho lasciato il mio numero e poi me ne sono andato a casa. Va bene? Ma chi siete, la Santa Inquisizione? - sbuffò Castiel, sentendosi messo alle strette.
 
- Come sei drammatico, Cassy. Ma dimmi… - domandò quindi Gabriel con un gran sorriso - … A casa hai passato tutta la notte a trastullarti pensando a lui? -
 
‘ Sì…’
 
- No! - strillò Castiel, avvampando all’inverosimile e maledicendo la propria dannata trasparenza emotiva.
 
Tanto valeva mettersi un cartello al collo.
 
- Uh, quanta enfasi… - commentò ironicamente Balthazar.
 
- Guarda che diventi cieco. - lo ammonì Gabe.
 
- Scusa, è per caso un succhiotto, quello? - s’informò quindi il collega, agganciando il colletto della camicia dell’amico con un dito e scostandolo, per poi sporgersi ad esaminare meglio il segno violaceo che sulla sua pelle chiara spiccava come un semaforo.
 
Castiel non arrossì ulteriormente solo perché era umanamente impossibile, e scattò istintivamente con una mano a coprirsi il collo, mentre l’altra cercava inutilmente di sollevare il bavero della giacca.
 
- Che stai dicendo, Balth? Sono… sono caduto! -
 
- Su un paio di labbra? - commentò ironicamente Gabe, succhiandosi placidamente le dita per rimuovere ogni traccia di glassa lasciata dalle ciambelle - O sono state le famose sanguisughe mannare di Central Park? -
 
- Volete lasciarmi in pace? Non… non è successo niente di ciò che pensate, né a casa sua né a casa mia, il discorso è chiuso! Chiaro? - ringhiò il giovane redattore.
 
- Ok, ok… non ti scaldare, stavamo solo chiedendo, era per fare un po’ di sana conversazione… -
 
- Le tue conversazioni non sono mai sane, Balth. -
 
L’amico non si scompose, lisciandosi la giacca e cambiando discorso.
 
- Allora? Com’è lui? -
 
Castiel fece spallucce, come se la risposta fosse assolutamente superflua.
 
- L’hai visto… bellissimo. -
 
L’amico alzò gli occhi al cielo. Questi pulcini…
 
- No, intendevo che tipo è? Sicuro di sé? Macho? Piuttosto sfrontato? Senso dell’umorismo un po’ infantile?
 
- Ma che, lo conosci? - s’insospettì Castiel.
 
- Naaaa, quelli come lui li riconosco lontano un miglio! Sembra che da qualche parte ci sia qualcuno che si diverte a produrli in serie, tipi simili. Che lavoro fa? -
 
- È un pubblicitario. -
 
- Uh. Non devi lasciarti abbindolare, Cassy, i pubblicitari sono infidi. -
 
- E tu che ne sai? -
 
- All’inizio della mia carriera lavoravo in pubblicità, non te l’avevo mai detto? -
 
Castiel si limitò a guardarlo con aria scettica, senza commentare.
 
- Che altro sai di lui? Ti ha parlato della sua famiglia? -
 
- Sì, stanno a Staten Island. -
 
- Uhm… origini proletarie… con un lavoro prestigioso e competitivo nella city. È un arrivista. Occhio, quelli sono pericolosissimi. Peggio dei pubblicitari. -
 
- Ma che dici? -
 
- Ehi, anni fa ero un arrivista anch’io! -
 
- Balth, la vuoi smettere, per l’amor del cielo? - sbottò Castiel, perdendo la pazienza e ficcandosi le mani nei capelli, scombinandoseli ancora più del solito - Se ti dicessi che Dean ha scalato l’Everest, sono certo che sosterresti di averlo fatto anche tu! -
 
- Infatti è così. - replicò il collega senza batter ciglio - E senza sherpa. -
 
‘Certo, probabilmente quel poveretto si è buttato in un crepaccio per la disperazione...’

Il giovane rivolse uno sguardo esasperato a Gabriel, che si stava godendo la scenetta comodamente stravaccato sulla propria poltroncina girevole, dedicandosi di nuovo alle ciambelle.
 
- Dio, Gabe, fallo tacere, ti scongiuro, prima che gli tiri il collo come ad un dannato pollo! -
 
- Perchè? Siete spassosi. Anzi, vi prego, continuate… peccato non avere dei pop-corn e degli occhiali 3D. -
 
- Bacia bene, almeno? - continuò imperterrito Balthazar.
 
‘In cambio di un’altra ora a pomiciare con lui ti venderei ad un trafficante d’organi…’
 
- Bo… sì, nella media, niente di che… - minimizzò Castiel, cercando di apparire indifferente ma sentendo lo stomaco aggrovigliarsi al solo ricordo - In ogni caso, ora non ho la più pallida idea di come fare a gestire la situazione… non so come comportarmi, con lui. Avrò letto centinaia di lettere ed e-mail delle nostre lettrici, ma i pazzi mi sembrano sempre gli uomini che le lasciano, se devo dire la verità. Circolano dei veri e propri mostri, sapete? -
 
- Mostri, dici? - saltò su Balthazar, colto da una folgorazione - Ecco la soluzione! Cassy, hai mai visto Psycho?
 
- Se ti dico di sì, poi devo aver paura? - replicò l’amico, guardingo.
 
- Non essere sciocco. Dovrai semplicemente sfruttare il film come fonte d’ispirazione. Dovrai essere il Norman Bates della situazione. - sentenziò, con la sua abituale sicurezza.
 
Castiel l’osservò sospettoso, tanto per capire se fosse serio.
 
- Che intendi dire Balth? Che dovrei accoltellare Dean nella doccia, oppure imbalsamarlo, sistemarlo sul dondolo e andare in giro con i suoi vestiti? No perché non credo che siano della mia taglia, e poi a te non piacciono… - ribattè, sprezzante.
 
- Non dire cazzate, Cassy, e ascoltami attentamente: esattamente come Bates, dovrai fingere di essere normal-
 
- Ehi! - lo interruppe l’amico, offeso - Io sono normale! -
 
Balthazar proseguì, imperturbabile.
 
- Sì, ma dovrai fingere di essere uno svalvolato che si finge normale, lasciando emergere a tratti la tua non-normalità… che invece sarà davvero la parte in cui dovrai fingere! - spiegò, entusiasta.
 
- Eh? - chiese l’altro, sempre più smarrito.
 
- Lascia perdere, Cassy. - intervenne Gabriel, afferrandolo per un gomito e trascinandolo da parte - E tu Balth, non vedi che così lo confondi? Lo sai che i film horror lo terrorizzano! Fagli degli esempi che possa capire, no? -
 
- Se sei così bravo, allora spiegaglielo tu! - ribatté l’altro in tono altezzoso, incrociando le braccia e marciando offeso verso la propria scrivania.
 
- Di sicuro non potrò ingarbugliargli le idee più di quanto tu non abbia già fatto! - gli gridò dietro Gabriel, per poi tornare a rivolgersi a Castiel in tono condiscendente.
 
 - Dunque, Cassy, lascia perdere Psycho, quello che ci serve è la Tecnica Madagascar. -
 
- La… cosa? -
 
- Tecnica Madagascar. - ribadì l’amico con enfasi, come se così fosse tutto più chiaro - Hai visto il film? -
 
- Il cartone? -
 
- Quello, bravo. Sostanzialmente, dovrai fare il pinguino. -
 
- Ma… che stai dicendo? - domandò Castiel, più smarrito ad ogni secondo che passava.
 
- Poi sono io, eh, quello che lo confonde! Complimenti Gabe! - commentò ad alta voce Balthazar, che evidentemente era dotato di orecchie bioniche, dalla propria postazione.
 
Gabriel non lo degnò della minima considerazione, liquidandolo con un dito medio senza nemmeno voltarsi nella sua direzione e proseguendo nell’esporre il proprio piano.
 
- E’ assolutamente elementare Cassy: dovrai essere astuto, sottile, dovrai lavorare nell’ombra… ma, in presenza di Dean, dovrai sembrare carino e coccoloso. Carino e coccoloso fino alla nausea. Carino e coccoloso da vomitare. Dean dovrà avere attacchi di diabete al solo vederti. -
 
Castiel ci riflettè brevemente.
 
- Gabe… so già che me ne pentirò perché quello che dici, così come quasi ogni altra cosa esca dalle tue labbra, dovrebbe suonarmi assurda ma, in effetti… ha un senso. Una sua perversa logica. - ammise.
 
Balthazar frattanto, incapace di starsene in disparte, si era alzato e riavvicinato ai due, indispettito dall’approvazione che la teoria di Gabe aveva riscontrato presso il loro comune amico.

- Non vorrei rompervi le uova nel paniere, gallinelle, ma Cassy dovrà essere ben più che carino e coccoloso se vuole portare questo Dean sull’orlo della follia.
 
- Ah, e quindi tu cosa suggerisci, vecchio saggio? - domandò Gabe, sarcastico.
 
- A chi avete dato del vecchio, scusa, tu e il tuo girovita da brownies? Guarda che io ho 35 anni. – ribattè Balthazar, piccato.
 
- Come no… sette anni fa. - sussurrò Gabe con un risolino.
 
Ma mentre l’amico si preparava già a controbattere con una sfilza di commenti acidi sulla bizzarra proporzione “base per altezza” di Gabriel, Castiel s’intromise, interrompendo quella che aveva il potenziale per diventare una delle loro liti infinite in cui non aveva alcuna voglia di rimanere invischiato.

- Bambine, stop. Vi tirerete le trecce più tardi. Adesso non ho il tempo materiale per stare a sentire le vostre scemenze su quanto sia basso Gabe o su quanto sia decrepito Balth. Ditemi cosa devo fare e basta! -
 
Balthazar, recuperando il consueto aplomb, proseguì col discorso iniziato in precedenza, come nulla fosse successo, mentre Gabe, rintanato in un angolo del proprio cubicolo, mugugnava fra sé parole sconnesse come “nella media”, “affatto nano” e “stupido biondino centenario”.
 
- Allora Cassy, come ti dicevo, per rendere a Dean la vita impossibile dovrai andare ben oltre alle coccole esagerate ed ai comportamenti stucchevoli. Dovrai essere tutto ciò che non sei: geloso, bisognoso, lagnoso, sospettoso, noioso, rancoroso, appiccicoso… -
 
Castiel, sotto sotto, ma nemmeno troppo sotto, detestava l’idea di non poter mostrare a Dean la propria vera personalità, ma ascoltò comunque Balthazar con attenzione, mimando il gesto di prendere appunti e ripetendone di volta in volta le parole.
 
- … ‘ppiccicoso… fatto! - esclamò, mettendo un immaginario punto alla fine della lista e fingendo di riesaminarla passo passo - Ehm, Balth, senti, assieme a quest’impressionante sequenza di “oso” non potrei essere anche qualcosa che finisce in “ente”? Che so, divertente… intelligente…? È già difficile tenersi un uomo esibendo solo i propri lati migliori, se dovessi comportarmi come suggerite voi non durerei venti minuti. -
 
- Uhm… effettivamente non hai tutti i torti, Cassy, occorrerà bilanciare. - convenne Balthazar - Dovrai centellinare, ad intervalli regolari, la tua vera personalità. Ma con misura. -
 
- Molta, misura. - specificò Gabe, ben conscio di quanto il vero Castiel sapesse essere spontaneamente ed inconsapevolmente irresistibile.
 
- Ma penserà che io sia un sociopatico! O che abbia personalità multiple… - mormorò sconsolato il giovane redattore.
 
- Io propenderei per la checca isterica. - consigliò Balthazar - E comunque i disturbi della personalità sono l’ultima tendenza, il litio scorre a fiumi nell’Upper East Side. -
 
- Se lo dite voi… - commentò Castiel, per nulla convinto, mettendosi a sedere ed accendendo il computer.



Contemporaneamente, alla sede della King, stava avendo luogo una scenetta pressoché identica.
Non appena Dean mise piede nel proprio ufficio, Chuck e Garth si materializzarono letteralmente alla sua scrivania, quasi più agitati del solito.
Dean cominciava a sospettare che si nascondessero dentro agli schedari solo per fargli venire un colpo.
 
- Allora? - chiese Chuck senza tanti preamboli, scarmigliato e sudaticcio come se avesse corso la maratona di New York.
 
- Allora che? E comunque buongiorno, ragazzi… - replicò Dean, imponendosi di mantenere un’aria distaccata. Sapeva benissimo che avrebbe dovuto raccontare della scommessa ai colleghi, non c’era modo di sottrarsi, ma voleva evitare ad ogni costo che si sollevasse un polverone riguardo alla questione Castiel.
 
- Allora-com’è-andata, Dean. Lo sai. Ieri sera. E buongiorno a te, sei un raggio si sole… - ribattè Garth, sarcastico, irritato dall’atteggiamento reticente dell’amico - Qui siamo tutti in ansia, Ruby e Bela non fanno che ridacchiare tra loro da quando sono arrivate e Chuck ha praticamente scavato una trincea nel pavimento del suo ufficio a furia di passeggiare avanti e indietro! Si può sapere cos’è successo? -
 
Dean sorrise.
 
- Tranquillo Garth, e tu Chuck smetti di agitarti, non so cos’abbiano da ridere quelle due ma di sicuro non è per il nostro “accidentale incontro” di ieri. Abbiamo la vittoria in tasca, ragazzi, dobbiamo solo tener duro per una decina di giorni… - asserì con sicurezza.
 
- Po… potresti essere più chiaro? O dovrò mandare una delle assistenti a comprarmi un inalatore per l’asma. Questo lavoro mi serve, Dean, ho… ho delle esigenze, ho dei… bisogni… scrivere slogan è l’unica cosa che so fare, e non la faccio nemmeno così bene, ti scongiuro, non farmi finire per strada… - farfugliò Chuck, più stravolto che mai.
 
- Chuck, vui finirla di essere così tragico? Nessuno finirà per strada e nessuno perderà il lavoro, ok? Crowley non ha ancora deciso a chi affidare la campagna, siamo in lizza con le ragazze, ma noi abbiamo un grosso vantaggio. -
 
- Ossia? -
 
- L’indiscutibile fascino del sottoscritto. - dichiarò Dean, ostentando un sorriso mellifluo.
 
- Oh, ti prego… - mormorò Chuck, schiaffandosi platealmente una mano sulla fronte - Dean, dimmi che non vuoi farti una di quelle due! O entrambe! Non possiamo ottenere una campagna grazie al tuo… al tuo… oh, ma dai… -
 
- Ma sei scemo? Non toccherei una di quelle due nemmeno per tutto l’oro del mondo… anche se effettivamente ti sei avvicinato al nocciolo della questione. Ho fatto una scommessa, Crowley farà da giudice, e chi vince avrà la campagna Roadhouse in esclusiva. -
 
Alla parola “scommessa”, anche Garth cominciò sudare.

Dean ed il suo maledetto ego, di sicuro si era fatto fregare come un cretino, lasciandosi attirare in una trappola senza uscita da quelle streghe senza scrupoli.
 
- Forse è meglio che mi metta seduto… - mormorò, appollaiandosi su una cassettiera - Ok. Sono pronto.  Spara e distruggi tutti i miei sogni di carriera. - dichiarò rassegnato, mentre anche Chuck si accasciava su una poltroncina.
 
Dean prese fiato, prima di cominciare. Aveva fatto le prove a casa, durante la notte, mentre non riusciva a prender sonno.

Non per il pensiero di Castiel, sia chiaro.
Non perché il ricordo di quelle labbra morbide sulla sua pelle l’aveva ossessionato per ore.
Non perché immaginare di sentirle scendere sempre più giù e di stringere tra le mani quei capelli scombinati, l’aveva ossessionato anche peggio.
Non perché il solo pensiero di sentire ancora quella voce roca gemere il suo nome bastava a farglielo diventare duro.
Niente di tutto questo.
 
Aveva bevuto solo troppo caffé da Missouri.
 
Con un enorme sforzo di concentrazione cercò di fare un resoconto dei termini del patto con Crowley in maniera concisa ed essenziale, arrivando poi alla parte in cui si parlava di Castiel col tono più neutro ed impersonale possibile, senza tradire alcuna emozione al ricordo della sera precedente.
 
D’improvviso, dopo aver ascoltato due o tre frasi declinate al maschile, Chuck sembrò uscire da una sorta di trance.
 
- Ehm, Dean, scusa se t’interrompo, non sono sicuro d’aver afferrato cosa questa Castiel-
 
- Questo.- precisò Dean, noncurante, sganciando poi la bomba - Castiel è un ragazzo. -
 
‘Uno… due…’ contò mentalmente.
 
- COSA? - saltarono su in coro gli amici, prima che potesse arrivare al tre.
 
- Un… un ragazzo maschio? - farfugliò Chuck, notando l’assoluta tranquillità del collega e deducendo di conseguenza d’aver capito male.
 
- Ne esistono forse di altro tipo? -
 
- Sì, cioè no, ma… che significa Dean? - chiese il Profeta, confuso.
 
- Né più né  meno di quello che vi ho detto prima, ragazzi. Dovrò uscirci per una settimana o poco più e farlo innamorare di me. Sarà una passeggiata… - minimizzò.
 
- Uhm, Dean, ammiro molto la tua incrollabile fiducia in te stesso, ma stavolta non ti sembra una sfida un po’ fuori dalla tua portata? - intervenne Garth, piuttosto scettico.
 
- Perché? -
 
- Perché è un u.o.m.o. Dean! Sai, gli uomini, quegli esseri privi di tette e di tutte le cose che ti piacciono tanto? Come puoi anche solo pensare di farcela?
 
- Mi ferisce sapere che mi sottovaluti in questo modo… - mormorò Dean con aria melodrammatica.
 
- Prima che ti ferisca sul serio con questa spillatrice, dimmi qual è il tuo piano, sempre che tu ne abbia uno… -
 
- Nessun piano specifico… - spiegò Dean, in tono vago - Ci uscirò, lo corteggerò e lo farò capitolare. Sono certo che il mio fascino non mi tradirà. - asserì poi, senza ovviamente specificare che con il giornalista le cose erano andate già piuttosto sul personale - Non sarà affatto un problema passare del tempo con lui, Castiel è fantastico, anzi, credo che in altre circostanze saremmo potuti essere grandissimi amici… a dire la verità dovrei mandare a Ruby un mazzo di fiori per aver scelto proprio lui in mezzo a tutta quella gente! -
 
Garth e Chuck si guardarono, sconsolati, ben consapevoli che nulla al mondo avrebbe fatto desistere Dean dai suoi propositi e che in ogni caso non c’era modo di uscire da quella grana senza perdere il contratto con la Roadhouse.
 
Non restava altro da fare se non arrendersi.
 
- Ok, va bene… - sospirò Chuck - Allora, com’è questo tizio? -
 
- Bé… è davvero simpatico… -
 
‘E sexy.’
 
- … brillante… -
 
‘E sexy.’
 
- … molto educato e colto. -
 
‘E sexy.’
 
- Sì ma è sexy, almeno? - chiese Garth.
 
- Ma… ma che dici? - farfugliò Dean, che francamente cominciava ad averne le tasche piene di gente che gli leggeva nel pensiero - Che importanza ha? -
 
- Visto che dovrai uscirci e fingere che ti piaccia, che sia almeno attraente, no? Allora, è sexy? -
 
- No, non direi… - mentì - … È un bel ragazzo, per carità, ma ha un’aria molto ingenua e timida. -
 
‘E sexy. Che ti fa venire voglia di spiumarlo.’
 
Garth rimuginò brevemente, prima di riprendere la parola.
 
- Ok Dean, cerchiamo d’essere pratici. Per portare a casa il risultato e conservare intatta la tua virtù, la soluzione è una sola… - spiegò, facendo una pausa ad effetto.
 
Dean l’osservò, in attesa, spronandolo a continuare con un’occhiata significativa.
 
- Principe Azzurro. - decretò l’amico.
 
- Eh? -
 
- Non c’è via d’uscita, Dean. Dovrai trasformarti nel Principe Azzurro delle fiabe e, in sostanza, essere tutto ciò che abitualmente non sei. -
 
- Ovvero, scusa? - chiese l’altro, vagamente indispettito dal tono dell’amico, che non gli stava piacendo per niente.
 
- Dean, sappiamo tutti che, in quanto a seduzione, sei imbattibile, ma siamo altrettanto consapevoli che hai lo spessore emotivo di un fagiolino… -

- Non è vero! - replicò Dean, piccato.
 
- Sì, sì, ok… - tagliò corto Garth in tono condiscendente - Fatto sta che dovrai apportare delle… ehm… modifiche al tuo solito comportamento. -
 
- E cosa… cosa suggerisci di fare, scusa? -
 
- Bé… dovrai iniziare ad essere premuroso, tanto per dirne una. -
 
- Ehi, ma io sono premuroso! -
 
- Se dopo esserti sbattuto una ragazza consideri un gesto premuroso chiamarle un taxi per farla andare a casa, allora sì, sei premuroso. Un vero buon samaritano. In odore di santità. -
 
- Era sarcasmo, quello? -
 
- Ecco, a proposito, niente sarcasmo e battutine triviali. Niente stupidi doppi sensi e mai, ripeto, mai sminuire i suoi gusti o le sue opinioni. -
 
- Umphf. C’è altro? - bofonchiò Dean.
 
- Dovrai essere generoso, estremamente tollerante, romantico, attento e rispettoso. -
 
Un sorrisetto impercettibile incurvò le labbra di Dean, al ricordo della sera precedente.
 
‘Ops… mi sa che quella qualità me la sono già giocata…’
 
- Soprattutto, rispettoso. - sottolineò Chuck -
 
- Correggimi se sbaglio Chuck, ma non sei tu quello che spende mezzo stipendio ogni mese per farsi sussurrare porcherie al telefono da Mistress Magda? E mi vieni anche a dire che dovrei essere rispettoso? -
 
Il collega, travolto dall’imbarazzo all’idea che i propri innocui passatempi fossero di dominio pubblico, sentì avvampare persino le orecchie.
 
- Cosa… c-come…? -

- Un consiglio per il futuro, amico: se non vuoi che la tua passione per i… uh… lavoretti manuali… salti fuori, evita di fare certe telefonate dall’ufficio. I tabulati per i rimborsi spesa, a fine mese, arrivano sulla mia scrivania. -
 
Chuck, se mai fosse stato possibile, arrossì ancora di più.
 
- M… ma… ma qui non si parla di me, e poi… poi… - balbettò.
 
- Poi lo sta dicendo per salvarti il culo, Dean. Letteralmente. - intervenne Garth - Se questo ragazzo, questo Castiel, vedrà che vuoi andarci piano, non dovrai fare niente che possa intaccare la tua radicata eterosessualità. Hai detto che è piuttosto timido, no? Approfittane! Corteggialo, vizialo, fallo sentire unico al mondo ma niente mani addosso. Dovrai essere non solo come il Principe Azzurro, ma come Ken Principe Azzurro: il ragazzo dei sogni, ma sotto la cintura, tabula rasa. -
 
Dean gli rivolse uno sguardo estremamente dubbioso.
 
- Guarda che le donne lo adorano! - intervenne di nuovo Chuck, per dare forza alle parole di Garth.
 
- Oh, sì. Sicuro. Ora mi spiego perché sei single, amico… - mormorò Dean, scuotendo il capo - … E inoltre vorrei ricordarvi che Castiel è un uomo. -
 
- Dettagli. - fu il noncurante commento di Garth - Sarà troppo inebetito dalle tue attenzioni e dal tuo impeccabile comportamento da Principe Azzurro per far caso al fatto che non fate sesso. -
 
L’immagine di se stesso nei pacchiani panni di Prince Charming, impettito in sella ad un cavallo bianco, quando invece tutti sapevano che il suo fido destriero, cioè, la sua Baby, era nero come la notte, fece sogghignare Dean.
Se proprio doveva immaginarsi in veste fantasy era in versione Braveheart, in tenuta da battaglia e col viso dipinto, intento ad incitare il proprio esercito con parole solenni per poi lanciarsi contro il nemico urlando come un ossesso [3].
 
- Se lo dici tu… -
 
- Ah, Dean, e hai presente la tua assurda politica di tolleranza zero sugli altrui gusti musicali? Ecco, dimenticatene. - continuò Garth - E rassegnati, nessuno al mondo ha i tuoi stessi gusti. -
 
- Invece sì! Quella persona esiste, e quando la troverò saprò che è quella giusta. - s’infervorò l’altro.
 
- Quando la troverai, ghiaccerà l’inferno… sei una specie di talebano del rock! Comunque, se anche questo Castiel dovesse impazzire per i Jefferson Starship, dovrai abbozzare. -
 
- Ah no, mi rifiuto! Va bene tutto, mi trasformerò nel fottuto Principe Azzurro, ma sulla musica non transigo! -
 
- Dean, dovrai abbozzare. - scandì Garth, lapidario, mentre Chuck annuiva serio al suo fianco.
 
- Merda. - mugugnò l’altro.
 
- Non abbiamo molto tempo… devi fare tutto quanto è in tuo potere, anzi, di più. E in fretta. -
 
- Credi che non lo sappia? Ci uscirò stasera stessa. - dichiarò con sicurezza.
 
- E con che scusa lo chiamerai? -
 
- Nessuna scusa. - disse l’altro, mostrando orgoglioso i minuti numeri blu, ormai sbiaditi a causa della doccia, che Castiel aveva tracciato sul palmo della sua mano - Mi ha dato spontaneamente il suo numero, non ho nemmeno dovuto chiedere, e mi ha detto di chiamarlo. Inoltre, come se non bastasse, ha dimenticato il trench a casa mia, perciò dovrò telefonargli comunque, visto che in tasca c’è il suo cellulare… - spiegò, accennando all’indumento beige che aveva distrattamente gettato sullo schienale di una sedia non appena entrato in ufficio.
 
Entrambi i colleghi si precipitarono letteralmente ad esaminare lo sgualcito soprabito come cani da punta, senza nemmeno fargli terminare la frase.
Chuck lo sollevò appendendoselo a un dito, mentre Garth lo osservava ad occhi socchiusi come un detective della scientifica, dopo aver estratto da un taschino della camicia una di quelle penne da nerd che fungevano anche da mini torce elettriche.
 
- Ragazzi, ma siete scemi? Non è una bomba, potete anche toccarlo! -
 
- Hai detto che in tasca c’è il cellulare? - chiese Garth, continuando scrutare il trench sollevato a mezz’aria.
 
- Sì… perché? -
 
- Potremmo leggere tutti i suoi messaggi… le e-mail… vedere i siti internet che visita… rifletti, potresti avvantaggiarti moltissimo, sapere tutto quello che gli piace o non gli piace, saresti a cavallo, Dean! -
 
- Non ci penso nemmeno! Questa sarebbe una gravissima violazione della sua privacy, è una cosa davvero troppo meschina, persino per me! Noi non siamo come Ruby e Bela, ricordatevelo bene. - ringhiò Dean, irritato - E tu, Garth, finiscila con queste maratone televisive, ti mettono in testa strane idee. Scommetto che lo scorso weekend è stata la volta di CSI, vero? -
 
- Ma Dean… - s’intromise debolmente Chuck, che frattanto aveva ficcato le mani nelle tasche interne del trench e ne aveva estratto una busta.
 
- No, ho detto di no. Quante volte dovrò ancora ripeterlo? - lo rimbrottò Dean, senza nemmeno lasciarlo finire.
 
- Non capisci… - tentò di spiegare l’amico, che aveva adocchiato il mittente.
 
- No Chuck, sei tu quello che non capisce. Ho detto che non lo faccio, il discorso finisce qui. - replicò l’altro, duro.
 
Chuck rinunciò a controbattere, limitandosi a porgere la busta a Dean.
 
- Cos’è questa? - chiese quest’ultimo.
 
- Leggi. -
 
Dean ubbidì, e rialzò il viso ad occhi sgranati.
 
- Rolling Stones? Ma cosa…? - borbottò senza capire.
 
- È già stata aperta. Non violeremmo nessuna privacy se dessimo una sbirciatina… -
 
Dean se la rigirò fra le mani, dubbioso, prima di scorgere un triangolino di carta che faceva capolino dal lato aperto. Un triangolino su cui riconobbe parte di un logo che conosceva alla perfezione fin da ragazzino e un piccolo adesivo olografico.
 
Quelli erano biglietti.
 
Deglutì, in preda ai rimorsi di coscienza, anche se alla luce di ciò che si apprestava a fare per vincere la scommessa, era un po’ un controsenso.
 
Senza dire una parola tese la busta a Garth e, prima che quest’ultimo potesse afferrarla, lasciò la presa, facendola cadere a terra, mentre i biglietti, prima di posarsi ai suoi piedi, scivolarono fuori e svolazzarono lievi nell’aria per qualche secondo, come aeroplanini di carta.
 
- Dannazione, Garth! Hai visto cos’hai combinato? - sbraitò, facendogli l’occhiolino.
 
- Oh no, Dean, mi dispiace tanto! Sono proprio sbadato! - rispose l’altro, con un sorriso complice, raccogliendo i biglietti dal pavimento e porgendoglieli  - Ma… sbaglio, o questi sono dei biglietti per il concerto degli AC/DC? Quelli esauritissimi per cui hai frignato come una ragazzina tutto lo scorso mese? -
 
- Primo: non ho affatto frignato come una ragazzina. Ero solo estremamentedispiaciuto. Secondo: questi non sono dei biglietti, questi… - mormorò, rapito, reggendo i due tagliandi come fossero reliquie - … questi sono I biglietti. Sono posti vip, con accesso riservato, sono praticamente senza prezzo! Perché Castiel ha questi biglietti? Perché ha i miei biglietti? -
 
- Tuoi? -

- Sì, miei. Questi dovrebbero andare solo alle persone che li apprezzano davvero! Magari… oddio, magari a lui non interessano… magari glieli hanno regalati e non sa che farsene… magari, che so… voleva buttarli via… -
 
- Certo, Dean, magari voleva usarli per accendersi un sigaro, o come innesco per dare fuoco ad una riserva naturale o ad un allevamento di cuccioli! -
 
L’amico gli rivolse uno sguardo astioso, che Garth ignorò, tornando al nodo principale del discorso.
 
- Senti, Dean, lascia perdere i biglietti e focalizzati sulla scommessa. Inventati qualcosa di non troppo patetico e chiamalo, o qui siamo tutti col culo per terra! -
 
Dean tornò ad osservare i biglietti che stringeva tra le dita, prima di sollevare sui colleghi uno sguardo diabolico che lasciava presagire solo altri casini.
 
- Prima devo fare una cosa… - mormorò con un sorrisetto scaltro, alzando il telefono.


 
 
[1] Omonima canzone dei Metallica del 1997, dall’album Reload.
[2] La sindrome dell'arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo è diventato insensibile: la persona affetta da questa patologia ne avverte ancora la presenza e la posizione, accusa sensazioni moleste e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente.
[3] Non resisto a queste cose... dalla 8X11, "LARP and the Real Girl".


NDA: poi non dite che non ve l'avevo detto, io. Carramba, il lato demente della forza è quiiiiiiiiii... :D
Ma quando ci sono di mezzo Balthazar e Gabe non ci si può certo aspettare consigli maturi o sensati... d'ora in poi ci sarà una certa inversione dei ruoli, rispetto al carattere dei personaggi: Dean si trasformerà suo malgrado in un romantico principe e Castiel in un dispotico rompipalle... e confesso che scrivere di Cass che si comporta da squilibrato mi diverte parecchio! ^___^
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto, rinnovo ringraziamenti, baci e promesse di rimborsi IMU a tutte quelle che leggono, recensiscono, preferiscono e ricordano.
Siete fantastiche!

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Capitolo 7
*** EASIER SAID THAN DONE ***


 EASIER SAID THAN DONE [1]
 
 
 
GIORNO DUE, ore 10.47, Grace Magazine.
 
 
La mattinata, nella solita, caotica frenesia della redazione, trascorse in un baleno fra la stesura di qualche appunto, una prima bozza da sottoporre a Pamela e una vera marea di mail a cui rispondere o a cui dare perlomeno una rapida scorsa (compresa una piuttosto criptica, da parte di Meg, in cui la giornalista lo invitava a casa propria per mangiare pizza e… spostare mobili? [2] Originariamente Castiel aveva pensato, per sdebitarsi dei biglietti, di regalarle un buono per un trattamento di bellezza o qualcosa di simile, ma se lei aveva bisogno di un uomo di fatica, ok, andava bene lo stesso…).
 
Concentrarsi sul proprio lavoro, però, con il passare delle ore, risultò per il giovane sempre più difficoltoso.

Perché Dean non chiamava?
Perché non aveva mandato nemmeno uno straccio di sms?
Eppure la sera precedente era parso parecchio interessato, pensò Castiel, tastandosi il collo soprappensiero, là dove la prova di tanto interesse ancora spiccava, livida.
 
Aveva forse sbagliato qualcosa?
Era stato troppo sfrontato?
O forse aveva sbagliato a tirarsi indietro e l’altro si era scoraggiato?
 
Dopo un buon quarto d’ora passato a vagliare tutte le ipotesi, probabili ed improbabili, Castiel finalmente ricordò che il suo cellulare era rimasto nella tasca del trench, e che quello del cellulare, appunto, era l’unico numero che avesse lasciato a Dean…
 
Dandosi una plateale manata in fronte, che non passò inosservata agli occhi di Balthazar, maledisse per l’ennesima volta la propria perpetua distrazione, ma proprio quando ogni speranza sembrava averlo abbandonato, un pony express fece timidamente capolino all’interno dell’ufficio, reggendo una grande scatola quadrata confezionata con anonima carta da imballaggio e dichiarando di avere una consegna urgente per Castiel Novak da parte di un certo Dean Winchester.
 
Castiel, preso alla sprovvista, impiegò qualche secondo di troppo ad alzarsi, esitazione che gli fu fatale, dato che Balthazar arrivò a placcare il fattorino per primo, falsificando la sua firma con uno svolazzo ed appropriandosi del misterioso pacco con un sorrisetto obliquo, mentre la testa di Gabriel scattava ad affacciarsi al disopra di uno dei divisori tanto in fretta da ricordare uno di quei pupazzi a molla che saltano fuori dalle scatole facendo spaventare i bambini.
 
In effetti, quando quei due facevano comunella, erano effettivamente spaventosi, oltre a scatenare prepotenti istinti omicidi.
 
Balthazar, tornato alla scrivania, posò il pacco con un sonoro tonfo, seguito dallo sguardo interessato di Castiel e da quello preoccupato di Gabriel, che come al solito stava succhiando rumorosamente un bastoncino di zucchero.
 
- Oh, merda… lo sapevo. - mormorò quest’ultimo, sfilandosi di bocca il lecca lecca e squadrando lo scatolone come se contenesse una bomba, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte dell’amico.
 
- Sapevi cosa? - chiese ingenuamente Castiel.
 
Gabe lo fissò, come per assicurarsi che dicesse sul serio.
 
- Che quel tizio era un serial killer, no? - spiegò, irritato dalla totale mancanza di perspicacia dei propri amici.
 
Il più giovane cercò una spiegazione, o almeno un barlume di discernimento, negli occhi di Balthazar, ma quest’ultimo pareva spiazzato tanto quanto lui, almeno a giudicare dall’eloquente alzata di spalle con cui si dichiarava estraneo all’ennesima follia di Gabriel.
 
- Ragazzi! Insomma! Ma non cogliete i segni? Questa è una citazione! - sbottò Gabe, dopo aver aspettato invano che qualcuno si decidesse a parlare.
 
- Una… citazione? E di cosa? - chiese di nuovo Castiel, domandandosi al contempo perché perdesse ancora tempo a dar corda corda a quegli squilibrati.
 
- Di Seven [3], mi sembra chiaro. -
 
- Eh? -
 
- Ti ha mandato una testa, Cassy! Vuoi che ti faccia un disegno? -
 
- Una… testa? E di chi, scusa? - domandò il redattore, avvertendo gli angoli della bocca iniziare a piegarsi all’insù senza alcun controllo.
 
- Che pretendi da me? Non ho mica la vista a raggi X, io, dovremo aprire il pacco per scoprirlo. Magari… magari si tratta di quel Nick, quello sposato. Magari ieri sera vi ha visti parlare, si è fatto prendere dalla gelosia e ora te lo manda come monito. Come Glenn Close! -
 
Castiel represse a stento una risata, mentre Balthazar dondolava sul posto, fingendosi interessatissimo alla punta delle proprie scarpe.
 
- Così… per curiosità… perché mai Dean avrebbe dovuto mandarmi una testa? - insistette Castiel.
 
Già che c’erano, tanto valeva divertirsi…
 
- Perché è pazzo, mi pare ovvio. Quale uomo, dopo una serata romantica, o qualsiasi cosa sia stata la vostra serata, invece di telefonare o mandare fiori, ti fa recapitare sul posto di lavoro un ingombrante scatolone avvolto con della cartaccia da due soldi? - spiegò Gabriel, leggermente spazientito.
 
- Certo, Gabe. Dean è pazzo. Dean. Non tu. Non uno che, invece, dopo nemmeno una settimana di uscite, ha detto ad una donna di amarla e le ha regalato un anello. Dean. - replicò sarcastico l’altro.
 
- Ehi! Io amo davvero Kalì! -
 
- Ma fammi il piac-
 
- No, scusate, le ha davvero regalato un anello? - s’intromise Balthazar, incredulo, tappando la bocca a Castiel con una mano - Sul serio, amico? - mormorò quindi, squadrando Gabriel con gli occhi luccicanti di divertimento, incapace di trattenere oltre le risate.
 
- ... -
 
- Oh, ma dai, andiamo Gabe! Nel mio frigo ci sono delle forme di vita con cui ho una relazione più solida e duratura della tua con Kalì, ma non per questo regalo anelli a dei limoni ammuffiti! -
 
- Vai a farti fottere, qui non si parlava di me, mi pare! Stavamo parlando di Serial Dean! - si difese Gabriel, indispettito, per poi rivolgersi a Castiel e fulminarlo con un’occhiataccia - E tu, si può sapere perché mi hai tirato in ballo? Era proprio necessario dire la cosa dell’anello di fronte a lui? - berciò, accennando a Balthazar, che se la stava ancora godendo ridacchiando fra sé.
 
- Certo. Si chiama istinto di conservazione. O se se preferisci, scaricabarile. - replicò Castiel con un gran sorriso, sperando di aver definitivamente dirottato le attenzioni di Balthazar sul collega.
 
- Bella giocata, Cassy… - ammise Balthazar - … Ma non credere che questo divertente intermezzo ti esenti dal nostro discorsetto. Si chiama selezione naturale. O se preferisci, legge del più forte. - continuò poi, facendo scemare il sorriso dal viso dell’amico - Ora, puoi anche aprire il pacco. - suggerì infine, perentorio.
 
Castiel emise un sonoro sbuffo, sperando inutilmente di far sentire in colpa, o almeno inopportuni, gli altri due, chiaramente senza alcun risultato, iniziando di malavoglia ad armeggiare con la scatola e rimuovendo il nastro adesivo con un sonoro strappo, che catturò nuovamente l’attenzione di Gabe.
 
- Cassy, se senti un odore dolciastro, non metterci le mani dentro! È l’odore della decomposizione! - sbraitò quest’ultimo.
 
‘Sì, del tuo cervello…’
 
- In fondo non sarebbe molto diverso dall’odore che avevi tu fino a ieri… - lo zittì Balthazar.
 
- Spaventapasseri. -
 
- Nano. -
 
Castiel non li degnò della minima attenzione e, rimossi i lembi di cartone sotto lo sguardo apprensivo degli amici, affondò le mani all’interno del pacco, estraendone un casco da moto, a scodella, di un’insolita tonalità di blu.
Non riuscì ad impedirsi di sorridere, rammentando la sera precedente e le sensazioni provate correndo a cento all’ora, stretto a Dean.
 
Venne però strappato ai propri piacevoli ricordi dalla voce fastidiosa di Balthazar, che dopo essersi sporto a guardare all’interno della scatola, aveva pescato una busta che giaceva sul fondo.
 
- Cassy, guarda, c’è un biglietto! Allora il tuo troglodita sa scrivere… è già un passo avanti! - ghignò, perfido, facendo l’occhiolino a Gabe.
 
- Dammi qua, impiccione! - ringhiò Castiel, strappandogli la busta di mano ed accingendosi ad aprirla con cautela per non rovinarla.
 
Ne trasse un cartoncino color avorio, piuttosto elegante, su cui Dean aveva tracciato un breve messaggio.
Non appena Gabriel vide affiorare un sorriso timido e un accenno di rossore sul volto dell’amico, gli sottrasse fulmineamente il biglietto, leggendolo poi ad alta voce, mentre Castiel cercava alternativamente di riprendersi il maltolto e di strangolarlo.
 
« Così stasera, quando passerò a prenderti per andare al concerto, la tua arruffata testolina sarà al sicuro. E poi s’intona con lo splendido blu dei tuoi occhi… A presto, Dean. »
 
- Però… certo che ci sa fare, il ragazzo! In sole due righe ti ha invitato fuori senza compromettersi troppo, si è dimostrato attento e premuroso e ti ha anche fatto indirettamente un complimento… uhm, chissà se potrebbe darmi delle lezioni… - commentò Gabriel, con un fischio d’ammirazione.
 
- È un pubblicitario, Gabe, un affabulatore professionista, intortare la gente con le parole è il suo mestiere… anche se devo ammettere che lo sa fare molto bene. - minimizzò Castiel, segretamente eletrizzato dall’apprezzamento che Dean aveva implicitamente fatto su di lui e dalla possibilità di rivederlo quella sera stessa.
 
Balthazar strappò il biglietto dalle mani di Gabe e lo lesse a sua volta, attentamente, come se quelle poche righe nascondessero un messaggio in codice.
 
- Dio, certo che deve avercelo davvero enorme… - commentò ironico.
 
- S… scusa, puoi ripetere? - balbettò Castiel, avvampando.
 
- Intendevo l’ego, Cassy. Questo biglietto gronda autocompiacimento… tu di cosa stavi parlando? – chiese l’altro con fare innocente, inarcando a dismisura un sopracciglio e dando di gomito a Gabriel.
 
- Di… io… di niente! - replicò l’amico, con una vocetta stridula che fece sbellicare gli amici.
 
- Oh, Cassy, è talmente facile metterti in difficoltà che quasi non c’è gusto! - sghignazzò Gabe, additando Castiel con il leccalecca, mentre l’amico cominciava a covare l’idea di strapparglielo di mano e ficcarglielo in posti da cui avrebbe dovuto essere estratto chirugicamente.
 
- Che farai ora, Cassy? - chiese Balthazar, ricomponendosi.
 
- Bè, mi pare chiaro: lo chiamo e accetto. -
 
L’amico si strofinò stancamente gli occhi con una mano, come se gli costasse una fatica sovrumana star dietro a tutta quella storia.
 
- Cassy, andiamo, ma non ti ho proprio insegnato nulla in tutti questi anni? - mormorò con un sospiro.
 
- Ma l’hai detto tu che devo essere appiccicoso! -
 
- Per l’appunto, appiccicoso, mica stupido! Devi farti desiderare! Mostrati indeciso, non troppo interessato, tienilo sulla corda e costringilo ad inseguirti… e solo dopo, quando ormai avrà scoperto le sue carte e si sarà sbilanciato, potrai mettere in atto la seconda parte del piano. -
 
- Balth, a volte sai essere diabolico… -
 
- Lo prenderò come un complimento, anche se il mio aspetto angelico ti smentisce. -

- Angelico? Tu? - lo sbeffeggiò Castiel - Se tu fossi un angelo, il Paradiso avrebbe già chiuso i battenti. Lasciandoti fuori e cambiando le serrature in tutta fretta, ovviamente. -

- Se io fossi un angelo, pulcino, avrei arraffato quanta più roba possibile e me la sarei data a gambe per fare la bella vita sulla terra. Che è più o meno quanto sto effettivamente facendo… comunque sia, ora prendi il telefono e chiamalo, ma lascia che sia lui ad insistere per vederti, devi prendere le redini del gioco fin da subito, chiaro? -
 
- Chiaro. - sospirò Castiel, accomodandosi alla propria scrivania, sollevando la cornetta del telefono e quindi bloccandosi, nel ritrovarsi due paia d’occhi a scrutarlo interessati.

Si limitò ad osservare gli amici a propria volta, le sopracciglia aggrottate, evidentemente in maniera non abbastanza eloquente.
 
- Che c’è ora? - domandò Gabriel, senza spiegarsi lo sguardo ostile dell’amico.
 
- C’è che preferirei fare questa telefonata da solo, senza due avvoltoi che mi fissano. È una cosa privata, ok? -
 
- Uffa Cassy, come sei complicato… - sbuffò l’altro, afferrando Balthazar per la giacca e trascinandolo verso l’area ristoro dell’ufficio, borbottando qualcosa a proposito di un caffè - Tanto poi ce lo racconti! -
 
Conquistata finalmente un po’ di privacy, e non senza una buona dose d’apprensione, Castiel si fece passare dalla centralinista il numero della King Advertising, chiedendo poi di Dean, che rispose all’istante.

- Holmes, sei riuscito a trovarmi, alla fine… - mormorò, con la stessa voce bassa e carezzevole della sera precedente, facendo impazzire le farfalle che svolazzavano da ore nello stomaco di Castiel, tanto da costringerlo a prendere un bel respiro prima di rispondere.
 
- Elementare, Watson, quando uno sa dove lavori e come ti chiami, non è poi così difficile… in fondo è quello che hai fatto anche tu, no? Per inviarmi il pacco, intendo. -
 
- Uhm… vero. Anche se, piuttosto che come Watson, preferisco immaginarmi nei panni del dottor Moriarty. -
 
- Vedo che hai un’opinione piuttosto alta di te stesso… - tubò Castiel, ridacchiando.
 
- No, semplicemente mi piace combattere alla pari. Moriarty e Holmes hanno entrambi menti complesse e sofisticate… -
 
- Combattere, dici? Accidenti, non sapevo che la nostra fosse già diventata una guerra… - continuò a flirtare il giornalista, senza nemmeno sapere da dove gli uscisse tanta civetteria. Dannato Balthazar, doveva averlo contagiato!
 
- Sbaglio o eri tu, appena ieri, quello a sostenere che in amore e in guerra tutto è lecito? - replicò prontamente Dean.
 
- Ok, hai ragione. E giustamente hai pensato di sottolineare la mia risposta affermativa con una mossa poco lecita… spiegami come fai a sapere del concerto, Winchester, sono tutt’orecchie. - chiosò Castiel, mettendo a segno il punto.
 
Dean esitò.
 
- Bè, io… praticamente… -
 
- Hai frugato tra le mie cose? Sono scandalizzato! - ridacchiò il redattore.
 
- Sì… cioè no! Scusa… sai, uno dei miei colleghi è davvero uno sbadato, e nello spostare il tuo trench ha fatto inavvertitamente scivolare fuori la busta da una tasca… la busta si è aperta… i biglietti sono caduti e… ecco… -
 
- Diciamo piuttosto che hai visto il logo di Rolling Stones e non hai resistito. -
 
- Quella era la mia seconda versione. - confessò l’altro, con una risata - Ma se tu fossi qui potrei sfoderare il mio irresistibile sorriso e mi perdoneresti… -
 
- Rilassati, ti ho già perdonato, probabilmente al tuo posto avrei fatto esattamente lo stesso… - mormorò dolcemente Castiel, accendendo così una speranza in Dean - … ma al concerto non ti ci porto. - concluse, soave, spegnendola bruscamente.
 
- Stai… stai scherzando? - farfugliò il pubblicitario, preso in contropiede.

- Certo che no, ci devo portare un amico. - disse Castiel, vago.

Ma come? Nessuno, nessuno resisteva ai suoi metodi di corteggiamento! E di sicuro non dopo avergli quasi praticato una tonsillectomia con la lingua! Ma che diavolo di problema aveva, questo Castiel? Un momento era tutto un fuoco, e il momento successivo faceva il ritroso manco fosse una ragazza…
 
- Amico? Che amico? Oh no, no, ieri sera hai detto che ora sono tuo amico anch’io, giusto? Verrò io con te. - dichiarò Dean, rispolverando l’atteggiamento autoritario della sera precedente.
 
Castiel sorrise, compiaciuto. Balthazar sarebbe stato fiero di lui.
 
- Uhm… il mio amico però ci rimarrebbe male… - tentennò, lasciando sobbollire Dean nell’incertezza ancora un po’ - Sentiamo, Winchester, perché meriteresti di vedere il concerto più di lui? -
 
- Prima di tutto perché nessuno ama gli AC/DC più di me… -
 
- Mh, opinabile. Riprova. - replicò l’altro in tono svagato, dondolando sulla poltroncina e godendosi quel ping-pong come non credeva fosse possibile. Mettere in difficoltà Dean si stava rivelando più semplice e infinitamente più piacevole del previsto…
 
- Bè, perché sono sicuramente più simpatico e divertente di quel tuo fantomatico amico… -
 
- Non dovrei deciderlo io, questo? -

Dean, dall’altra parte della cornetta, levò gli occhi al cielo, esasperato.
 
- … E perché mi piaci. - sputò fuori ad un volume quasi impercettibile, dopo un imbarazzante silenzio.
 
‘Bingo.’ pensò Castiel, esultando intimamente per quelle due semplici parole.
 
- Scusa, puoi ripetere? Sai, la linea va e viene… -
 
- Ho detto che mi piaci, Cass. E mi hai sentito benissimo. -
 
Castiel sbuffò una risata leggera, nell’avvertire la lieve nota di disappunto nella voce di Dean, che si sentì ancor più preso in giro.
 
- Mi trovi così spassoso, Novak? -
 
- In realtà sì. - rispose Castiel, in tutta sincerità - E stasera, al concerto, potrai farmi ridere ancora… - sussurrò infine dopo una piccola pausa, arrendendosi, ben sapendo quando è il caso di smettere di tirare la corda.

Il viso di Dean, al suono di quelle parole, si distese in un enorme sorriso trionfante, e mimò più volte con le mani il segno di vittoria in direzione dei colleghi, che stavano assistendo alla telefonata poco distanti, sulle spine.
 
- Oh, vedo che finalmente hai ritrovato la ragione, signor Novak. Allora… passo a prenderti io? Sette e mezza? -
 
- No, no, vediamoci direttamente al Garden. - replicò Castiel - Per stasera sarò il cavaliere di me stesso. -
 
- Per questa volta, passi. - concesse l'altro - Ma d’ora in avanti, sappi che il tuo cavaliere sarò solo ed esclusivamente io. -
 
- Quindi siamo già al “d’ora in avanti”, Winchester? Ambizioso… -

- Dovresti aver capito che tipo sono, ormai. Quando voglio una cosa, Cass, io me la prendo. - dichiarò Dean, con un tono che non lasciava nulla all’immaginazione.
 
- Dovresti stare attento a ciò che desideri… -
 
- Ci vediamo alle otto. - replicò l’altro, senza scomporsi.
 
- A più tardi, Dean. - mormorò Castiel, chiudendo la comunicazione e facendo ruotare la propria poltroncina come una giostra, in uno slancio di pura gioia, a cui purtroppo dovette mettere quasi subito un freno, a causa dello sbucare di Balthazar e Gabe dal cubicolo adiacente.

- Ma non eravate andati via, voi due? Da quando vi siete trasformati in ninjia? Siete dei maledetti impiccioni! - ringhiò.
 
- Suvvia, non essere polemico Cassy, e goditi il successo: hai gestito la telefonata in maniera magistrale, siamo davvero orgogliosi di te! - commentò allegro Balthazar, ignorando completamente il fastidio dell’amico e aggirando il divisorio per assestargli un paio di vigorose pacche sulla spalla - Io stesso non avrei saputo fare di meglio, sai? Ora dobbiamo solo prepararti ad affrontare la serata! -
 
- Ti ringrazio, Balth, ma credo di potermela cavare da solo. Andiamo ad un concerto metal, forse la cosa meno romantica del pianeta, non in un club per scambisti.
 
- Nulla può fermare un uomo con un obiettivo Cassy, ricordatelo bene: né della cacofonia heavy metal, né del filo spinato… e questo tizio mi dà l’impressione di uno che non molla l’osso tanto facilmente. Almeno per stasera niente manifestazioni d’affetto, non baciarlo, non abbracciarlo, non guardarlo come un pesce lesso e per nessuna, ripeto, nessuna ragione al mondo, dovrai andarci a letto. Chiaro? -
 
Castiel lo fissò in malo modo, indispettito. Possibile che dovessero sempre ripetergli le cose un milione di volte? Non era mica stupido!
 
- Senti Balth, spalancale tu le orecchie. E già che ci sei chiudi quella boccaccia per cinque minuti, guardami bene e segui il labiale. Come ti ho già assicurato ieri sera, più volte, non ho alcuna intenzione di andare oltre, con Dean, ok? - mentì.
 
Più che altro a se stesso.
 
- Oh, sì, mi ricordo perfettamente quello che tu mi hai detto ieri. Ma oggi quel succhiotto, e non voglio nemmeno indagare sugli amichetti violacei che sicuramente gli fanno compagnia ben nascosti sotto la tua camicia, mi racconta una storia diversa. Questo Dean è uno che ci sa indubbiamente fare, e tu sei troppo ingenuo per un tipo simile. -
 
- Non sono affatto ingenuo! -
 
- Cassy, a chi credi di darla a bere? Ormai sono anni che ci conosciamo, so perfettamente come sei fatto, e se c’era una cosa su cui sarei stato pronto a scommettere, almeno fino a quando non ti ho rivisto stamattina, era che Castiel Novak non è uno che ci sta al primo appuntamento… -
 
Castiel era consapevole che il continuare a giustificarsi lo rendeva ancora meno convincente agli occhi dell’amico, ma non riusciva a darsi un freno: detestava sentirsi messo all’angolo a quel modo da Balthazar, soprattutto perché detestava l’idea che l’altro avesse ragione.
Non si sarebbe fatto fare una predica sulla morale da uno che faceva le orge, da un… da un orgiaiolo, ecco!
 
- Non. Ci. Sono. Stato. Al. Primo. Appuntamento.- scandì a denti stretti - Ieri… avevo semplicemente bevuto qualche bicchiere di troppo, tutto qui… e in ogni caso dovevo fare in modo che mi richiamasse. Dovevo lanciare l’esca… -
 
- E l’hai lanciata nei suoi pantaloni? Preso qualcosa di grosso? - sibilò l’altro, sorridendo allusivo.
 
- Io no, ma tra poco tu prenderai un grosso pugno sul naso. Possibile che tu non nutra la minima fiducia in me, Balth? -
 
- Pulcino, io ho massima fiducia in te, sei forse la persona di più sani principi che conosca… non che conosca molta gente di sani principi, per carità… ma quando si mettono in mezzo gli ormoni, non c’è fiducia che tenga… -
 
- O… Ormoni? - balbettò Castiel, ripensando alla scarica di adrenalina e di lussuria provata la sera precedente  - Ma che dici? Sono perfettamente in grado di controllarmi, sai? Non sono mica un animale! Se ti dico che non voglio fare l’amore con Dean, non voglio fare l’amore con-
 
- Scusa, che hai detto? - lo interruppe Balthazar
 
- Cosa. - replicò Castiel con uno sbuffo spazientito.
 
- Ho sentito bene? Hai forse detto “fare l’amore”? -
 
‘Oh, merda.’
 
- B-bè… è lo stesso, no? Insomma, andare a letto, fare l’amore, s-scopare… voglio dire… cioè… è sempre sesso… - farfugliò imbarazzato il redattore.
 
Dio, come odiava quel genere di conversazioni…
 
Anzi no, non è vero, odiava solo Balthazar.
 
- No che non lo è, Cassy. A letto ci si va con chiunque… ok, io, ci vado con chiunque… l’amore lo si fa con una persona per cui si prova qualcosa. - puntualizzò Balthazar, insolitamente serio, per poi continuare, con aria sospettosa - Ma tu… non provi qualcosa per Dean, vero? -
 
- No! -

- Oh Cristo, Cassy, dimmi che n-
 
- Ma che vai dicendo, Balth? - lo interruppe Castiel, colto in flagrante - Certo che non provo nulla per lui! Come potrei? L’ho conosciuto ieri sera, non sono mica come Gabe! –
 
- Ehi! - saltò su l’altro, sentendosi di nuovo chiamato in causa.

- Taci, Gabe! - esclamarono in coro gli altri due.
 
Balthazar prese quindi Castiel per le spalle, scrollandolo appena e puntando i suoi penetranti occhi azzurri in quelli più scuri dell’amico.
 
- Cassy, sentimi bene, e smetti per un secondo di fissarmi con quegli occhioni sgranati, mi metti a disagio… -

- Ah, sarei io a metterti a disagio? Sul serio? - l’interruppe l’altro, sarcastico.
 
- Sì, ma non è questo il punto. È normale, è legittimo che tu possa provare qualcosa per un ragazzo. Per qualsiasi ragazzo. Nessuno ha niente in contrario, anzi, è talmente tanto tempo che non frequenti nessuno che probabilmente il prossimo con cui uscirai dovrà eliminare le ragnatele che hai nei pantaloni col lanciafiamme. Quello che mi preoccupa è che… insomma, proprio lui? Proprio questo qui? Ci faremo tutti molto male, Cassy… - concluse Balthazar, scuotendo desolatamente la testa.
 
Castiel si prese un momento per riflettere, dato che l’amico sembrava davvero preoccupato.
 
Sinceramente, preoccupato.

Forse era il momento buono per un po’ di sana autocoscienza, per stabilire la linea di confine fra dell’innocente attrazione e una catastrofe annunciata.
 
Ma l’autocoscienza durò circa sei secondi, prima di divenire autoinganno… sì, ok, non si poteva certo dire che Dean gli fosse del tutto indifferente, anzi, ma quasi sicuramente era a causa delle ragnatele che aveva nei pantaloni, come gli aveva fatto elegantemente notare Balthazar.
E certo, era l’uomo più attraente che avesse mai conosciuto, ma non bastava un bel faccino cosparso di lentiggini color caramello a far capitolare Castiel Novak, nemmeno se il faccino in questione era accompagnato da intelligenza, senso dell’umorismo e un culo che avrebbe resuscitato i morti.
In fondo l’immediato feeling che si era creato tra loro, la sensazione di familiarità, l’attrazione, non significavano niente.
Assolutamente niente.
Solo che Castiel era single da troppo, troppo tempo.
Poteva gestirlo.
 
- Nessuno si farà male Balth. - asserì pacato il redattore, col suo tono più convincente - Dean non rappresenta nulla per me, ma se ti fa stare più tranquillo possiamo parlare ancora di stasera. Illuminami, come posso fare a tenere a bada il pericolosissimo Dean Winchester, lo Stupratore Mascherato? -
 
Balthazar, nonostante le parole di Castiel fossero velate d’ironia, parve rilassarsi, e abbandonò la presa sulle sue spalle, accomodandosi sul ripiano della scrivania accanto a Gabe, con cui scambiò un’occhiata d’intesa.
 
- Fallo sentire sessualmente inadeguato. - sentenziò Gabriel, dando voce al pensiero di entrambi.
 
- Prego? - chiese il giovane redattore, sollevando divertito le sopracciglia, sospettando che sarebbe stato piuttosto complicato associare il termine “inadeguato” a Dean - Sbaglio o fino a dieci secondi fa non facevate che ripetermi che non dovevo andarci a letto? -
 
- Infatti. Non devi. - spiegò Balthazar - Non devi farlo sentire inadeguato durante, devi farlo sentire inadeguato prima. Devi umiliare la sua virilità, minare la sua autostima. -
 
- Ehm, non per smontare il vostro piano ragazzi, ma temo che per minare l’autostima di Dean servano le bombe di profondità. Roba da sottomarino sovietico… -
 
- Oh signore, pulcino, a volte sei talmente ingenuo da non sembrare vero! Basterà colpire là dove ogni uomo è più sensibile. -
 
- … Intendi le palle? - domandò titubante Castiel.

- Non fisicamente… psicologicamente! Dai Cassy, cerca di fare uno sforzo… - mormorò Gabe in tono lamentoso, massaggiandosi la fronte - Dovrai concentrarti sul suo… ehm, regale augello.
 
- Non credo d’aver capito. -
 
- Sul fagiolo magico. -

- Eh? -

- Sul bastoncino di zucchero… -

- Ma che stai dicendo? -

- Sta parlando del suo stramaledetto UCCELLO! - sbottò Balthazar, esasperato da quel botta e risposta fra idioti, attirando sguardi di curiosità e disapprovazione da metà dell’ufficio - Del suo coso, Cassy, hai presente? Dannazione, ne hai uno anche tu, no? -

Castiel, per nulla offeso e anzi, in attesa di ulteriori spiegazioni, non disse una parola ma sgranò di nuovo i suoi occhioni su Balthazar, cosa che lo faceva invariabilmente sentire un pervertito in procinto di molestare un bambino innocente.

Si schiarì la voce e, dopo essersi sistemato la giacca per riacquisire un minimo di contegno, proseguì in tono condiscendente.
 
- Gabe intende dire, Cassy, che per ridurre un uomo ai minimi termini non c’è nulla di meglio che insinuare la sua inadeguatezza in quanto a dimensioni e virilità. Ci sei? -

- Ah. Credo… credo di sì… però… - esitò Castiel.

- Però cosa? -
 
- Se invece Dean dovesse essere… hem… adeguato? - chiese, ripensando con un piacevole brivido a tutta l’adeguatezza che aveva sentito premere contro di sé nemmeno ventiquattr’ore prima.
 
- Non importa. Tu digli lo stesso che ce l’ha piccolo. Lillipuziano. Da lente d’ingrandimento. Fagli capire che sei abituato a ben altro… -
 
- Ma… -
 
- Senti, non importa se penserà che uscivi con Godzilla, non sprecherà nemmeno un istante a riflettere sulla verosimiglianza della cosa, sarà troppo occupato ad autorassicurarsi e a cercare di ricordare com’erano i suoi compagni di squash sotto la doccia. -
 
- Dici sul serio? - tentennò Castiel, non tanto certo di avere le capacità attoriali per mettere in atto un piano simile.
 
Balthazar gli regalò uno dei suoi soliti sorrisi saccenti.
 
- Tu mortificalo, e non dovrai più preoccuparti di nulla. -
 
- È vero Cassy, Balth ha ragione. - intervenne Gabriel - Con questo sistema potrai fare in modo che, preso dall’imbarazzo, sia lui stesso a rifiutarti, dovrà credere che sia tutta colpa sua… è un piano che non può fallire! -
Dalle labbra di Castiel sfuggì un lungo sospiro. Non era certo il primo della giornata e, poteva metterci la mano sul fuoco, non sarebbe di certo stato l’ultimo.
 

 
Scendendo dal taxi nei pressi del Madison Square Garden in perfetto orario, perché fisiologicamente incapace di comportarsi altrimenti, Castiel si appostò però dietro ad un palazzo, dietro consiglio di Balthazar, e attese per un tempo che era stato stimato dai colleghi come “ritardo non vergognoso ma comunque irritante”: venti minuti.
Minuti durante in quali non potè più sottrarsi dall’affrontare i propri sentimenti nei confronti di Dean.
Le domande incalzanti e le stupide illazioni di Balthazar erano riuscite ad intaccare la fragile sicurezza che l’aveva sorretto fino a quel momento, affollando i suoi pensieri di domande a cui non era di certo di sapere o volere rispondere.
 
Nonostante avesse ricevuto precise istruzioni su come comportarsi durante la serata, erano stati proprio i colleghi a piantare il seme del dubbio nella sua mente, ed ora l’idea di rivedere Dean così presto, dopo il poco dignitoso epilogo della sera precedente, non pareva più una prospettiva tanto elettrizzante, quanto piuttosto lo spauracchio di un potenziale disastro.
 
Svoltando l’angolo del proprio nascondiglio e dirigendosi finalmente in direzione dell’entrata dello stadio, provò per l’ultima volta ad autoconvincersi che, in fondo, il pubblicitario non era nulla di speciale… quasi certamente lo ricordava così attraente perché la propria percezione delle cose era stata alterata dalla prolungata astinenza e dai troppi cocktail, e le luci del locale avevano fatto il resto.
Ma certo.
 
E invece – porca di quella miseriaccia ladra! – avvicinandosi alle biglietterie e scorgendo la causa di tanta ansia con indosso un semplice paio di jeans slavati e una maglietta consunta degli AC/DC che portava i segni di un decennio di lavatrici, non potè far altro che constatare con sgomento che Dean Winchester era un maledetto scherzo della natura, una falla nel sistema, un errore di Matrix, un salto evolutivo non autorizzato in stile X-Man, e soprattutto che avrebbe dovuto smetterla al più presto con tutti quei film da nerd.
 
Deglutì andandogli incontro, imponendosi di tenere le mani in tasca e di non buttargli le braccia al collo, ma Dean scelse proprio quell’istante per voltarsi nella sua direzione e scorgerlo, aprendosi in un sorriso che avrebbe potuto fermare il traffico, facendo così percorrere a Castiel gli ultimi metri che ancora li separavano con un’espressione idiota stampata in volto e le gambe molli come budini.
 
Dal canto suo, anche Dean restò piacevolmente sorpreso dalla vista del redattore, che per l’occasione indossava jeans neri e una maglietta grigia, ovviamente degli AC/DC [4] e se possibile ancor più vecchia e malandata della sua, che lo faceva apparire molto più giovane rispetto all’austero completo che gli aveva quasi strappato di dosso la sera precedente.
 
Un sorriso spontaneo si fece strada sul suo viso, risalendo fino agli occhi, e per un attimo gli parve di vedere quelli di Castiel scurirsi, e il suo passo rallentare.
 
Non gli andò incontro, perché non aveva la più vaga idea della condotta da tenere in quella situazione, se l’altro fosse più o meno propenso ad effusioni pubbliche, se fare la prima mossa o aspettare un cenno qualsiasi… in fondo non gli capitava spesso di avere secondi appuntamenti e Castiel, fin dal primo istante, aveva avuto atteggiamenti piuttosto contrastanti… ma il giornalista, nel frattempo, era giunto fino a lui e, con un gesto che gli sarebbe costato uno scappellotto da parte di Balthazar se solo fosse stato presente, posò la mano sul suo viso con naturalezza, come se quello fosse semplicemente il suo posto.
 
- Ciao Dean. - disse, placido.
 
Niente scuse per il ritardo, niente giustificazioni. Solo la testa inclinata in quel suo modo buffo e un gran sorriso innocente, mentre col pollice gli sfiorava delicatamente una tempia, quasi non avesse fatto altro nella vita che accarezzare Dean.
 
E quest’ultimo, in netto contrasto con la propria natura, fu seriamente tentato di premersi ancora di più contro quella mano e godersi a fondo quelle coccole allo stesso tempo intime e possessive, resistendo stoicamente alla tentazione di voltarsi e baciargli il palmo, osservando diligente l’indottrinamento ricevuto dai colleghi.
 
Sempre secondo i diktat imposti da Chuck e Garth si chinò all’orecchio di Castiel, cercando non badare a quanto fossero vicine ed invitanti le sue labbra.
 
- Sei in ritardo, Novak… - mormorò, senza alcuna sfumatura di rimprovero, ma anzi, con la stessa voce da letto di cui Castiel aveva avuto una breve anteprima solo poche ore prima, facendogli aggrovigliare lo stomaco in una morsa tutt’altro che spiacevole.

Riuscì però ad arretrare di un passo, e a sorridergli sfacciato.

- Ti sbagli. Sono elegantemente in ritardo, Winchester… - precisò.
 
- Sì, è vero, sei estremamente elegante… - commentò Dean, squadrandolo da capo a piedi e catalogandolo come “vero fan” grazie alla t-shirt vintage - … ma non credo che la tua eleganza farà magicamente sparire la coda per entrare, sai? - mormorò poi, sempre un po’ troppo vicino, accennando alle file chilometriche nei pressi dei tornelli - Di questo passo, sarà già un miracolo riuscire a metter piede nello stadio prima che il concerto sia iniziato. -
 
- È questo il tuo problema, Dean: tu non hai fede. - sentenziò l’altro con espressione enigmatica, agguantandolo per un lembo della maglia e trascinandolo in direzione opposta sia alla coda che alle biglietterie sovraffollate.
 
- Dove… dove mi stai portando, Cass? È uno scherzo? Niente concerto? Dove andiamo? Cass! Cass? - blaterò Dean, spaesato, ritrovandosi di fronte ad uno sportello defilato e quasi deserto dove un paio di solerti signorine non facevano che distribuire badge e sorrisi radiosi.
 
- Come dice sempre Balthazar, “gli ultimi saranno i primi”. - asserì l’altro con aria solenne, tendendo la mano verso Dean per farsi restituire i biglietti.

- Ehm, non credo che sia proprio farina del sacco di Balthazar, Cass… - commentò quest’ultimo, dubbioso, sfilandoli dalla tasca posteriore dei jeans e porgendoglieli.

- Dici? In ogni caso, ti garantisco che al momento non potrebbe esserci concetto più valido: accredito stampa, Dean. Uno dei molteplici vantaggi del mio lavoro è quello di avere una corsia preferenziale per entrare quasi ovunque… - spiegò l’altro, porgendo ad una delle ragazze i propri biglietti e ricevendo in cambio due pass da mettere al collo che Dean ammirò imbambolato, come fossero la prova dell’esistenza di Dio.
 
- Dai Winchester, muoviti, non eri tu quello che si preoccupava del ritardo? - lo spronò Castiel ricominciando a trascinarlo di peso, neanche fosse un pupazzo.
 
Mostrarono i pass ad uno degli addetti alla sicurezza, che sbloccò un tornello riservato, permettendo loro di saltare la coda e di avviarsi indisturbati verso il parterre.

Dean quasi non si capacitava della propria fortuna, nell’uscire da uno dei tunnel che immettevano nell’arena, e caracollò dietro a Castiel sopraffatto dall’emozione, ammirando la maestosità dello stadio quasi gremito e il palco ancora buio, pronto per lo spettacolo.
Emozione che aumentò a dismisura, trasformandosi in pura euforia, quando si rese conto che Castiel non accennava minimamente a rallentare, nonostante avessero raggiunto un’area con degli ottimi posti, puntando con decisione verso una zona di sole tre file, transennata e piantonata da omoni enormi dotati di auricolari, proprio al di sotto del palco.

Rimasto un po’ indietro, lo seguì leggermente titubante, temendo che il tentativo del giornalista fosse un tantino azzardato, ma quando l’energumeno della security adocchiò il pass di Castiel e si scostò con deferenza, rimuovendo il cordolo che chiudeva le transenne per farlo accomodare, Dean inviò un silenzioso ringraziamento alla dea bendata, fiondandosi nella direzione presa dal compagno e ostentando la medesima disinvoltura, ma venendo immediatamente placcato dallo scimmione, che frattanto aveva rimesso a posto il cordone e lo stava guardando inspiegabilmente malissimo.

- Ehm, io… io sono con lui. - biascicò Dean, indicando Castiel poco lontano e sventolando il proprio pass davanti agli occhi del bruto, che dopo averlo squadrato con astio un altro po’, si decise a farlo passare con un grugnito d’assenso.
 
- Ehi, Dean, ti sei fatto un nuovo amichetto? - lo schernì il redattore quando finalmente riusci ad accomodarsi al proprio posto, che non era semplicemente tra le prime file, ma nella fottuta prima fila, proprio al centro, tanto vicino al palco da poterlo quasi toccare.

- Divertente, Cass… non so perché ma quel tizio sembrava che non intendesse farmi entrare, eppure ho un pass identico al tuo! Cos’è, non sembro un giornalista anch’io? - sbuffò Dean.
 
- Bè, sai, credo che tu abbia un’aria eccessivamente felice e… come dire… spiritata, per riuscire a dare l’impressione di essere un autorevole professionista del settore… -
 
- Umphf, per quello che ne sa lui potrei essere solo uno che prende il proprio lavoro molto sul serio… -
 
‘Come no.’ pensò Castiel, ridacchiando sotto i baffi di fronte all’espressione di allegra follia sfoggiata da Dean.
 
- Non prendertela. - suggerì - Ormai sei dentro no? A proposito, che ne dici dei posti? -
 
- Che ne dico dei posti? Mi prendi in giro? Chi hai dovuto uccidere per avere dei biglietti simili? Sbaglio o nella tua rivista nemmeno si parla di musica? Figuriamoci se le tue raffinate lettrici potrebbero mai sottoporre i loro delicati padiglioni auricolari ad un concerto metal… -
 
Castiel ridacchio, minimizzando la propria spudorata buona sorte con un’alzata di spalle.
 
- Non sbagli, ma grazie agli agganci di Balthazar posso entrare praticamente dove mi pare, a prescindere dalla pertinenza con gli argomenti trattati da Grace. Però ti confesso che per questi posti qui ho scrollato un albero più grosso… - esitò, abbracciando con lo sguardo l’area circostante - … ho un’amica che è caposervizio a Rolling Stones, e così… eccoci qua. -
 
Dean fischiò, impressionato.
 
- Dici poco… vorrei averli io amici come i tuoi, l’amica più “altolocata” che ho è Missouri! -
 
- Se devo giudicare solo dalle torte che cucina quella donna, vorrei essere suo amico anch’io, te l’assicuro… - sorrise Castiel, posando la mano su un ginocchio di Dean, che istintivamente e senza alcun preavviso l’afferrò per attirarlo a sé, stringendolo forte in un moto di genuina gratitudine.
 
- Cass… grazie. - mormorò con il viso affondato nel suo collo - Non hai idea di quanto fosse importante per me questo concerto. Sono così felice di essere qui… con te. - aggiunse poi, prendendogli il viso tra le mani, occhi negli occhi, prima di posargli un bacio casto e dolce sulla fronte, budinizzando ogni centimetro superstite del corpo di Castiel, altro che gambe molli!

‘Oh, merda… così non ce la farò mai… prima o poi lo bacerò, gli consegnerò le mie mutande su un piatto d’argento dicendogli che lo amo, gli darò il PIN del mio bancomat e tutto andrà a puttane. Perderò il lavoro, Balth mi ucciderà e Gabe verrà ad arrostire marshmallow sulla mia tomba…’ pensò sconsolato il giornalista, senza però riuscire a mettere della distanza fra sé e le labbra di Dean, che indugiavano sulla sua fronte in attesa di un qualsiasi gesto che le autorizzasse ad osare di più.
 
Fece appello a tutto il proprio autocontrollo per non rialzare il viso e baciarlo, o lasciarsi baciare. Si impose invece di scostarsi, in maniera un po’ goffa, borbottando un imbarazzato “Non c’è di che” e dandogli qualche maldestra pacca sulle spalle che spezzò l’incanto.
 
Dean infatti si ritrasse, un po’ deluso. La sua, infatti, non era stata una mossa calcolata, ma Castiel l’aveva comunque respinto. Cioè, non proprio respinto-respinto, però… qualcosa non andava.
Percepiva con chiarezza che l’altro era felice di vederlo e di essere lì in sua compagnia, ma qualcosa lo tratteneva.
Si ripromise di scoprire cosa.

Nel frattempo, lo stadio si era riempito all’inverosimile, e anche molti dei posti attorno a loro erano stati occupati.
Scrutando tra i volti impassibili e quasi annoiati di alcuni dei giornalisti intervenuti, Dean non poté fare a meno di pensare a quante persone avrebbero venduto la nonna per essere al loro posto e provò pena per quelli che, come lui del resto, non erano riusciti ad accaparrarsi un biglietto, mentre lì non solo c’erano posti pazzeschi rimasti desolatamente vuoti, ma parecchi erano occupati da persone che francamente non meritavano quella fortuna.
 
‘Certa gente proprio non si rende conto di ciò che ha per le mani…’ pensò, occhieggiando Castiel che si stava guardando attorno esattamente come lui, mentre sull’arena calava improvvisamente un buio pesto.
 
Ogni sua considerazione o altro pensiero razionale venne quindi spazzato via, sostituito dai rintocchi di una campana a lutto, l’inconfondibile attacco di "Hells Bells", che proiettò immediatamente Dean in un’altra dimensione: di colpo tornò l’adolescente magrolino che, con una chitarra immaginaria, eseguiva il riff d’apertura della canzone gettandosi sul pavimento della stanza che divideva col fratello, sotto lo sguardo rassegnato di Sam.
 
E quando finalmente un paio di potenti fasci di luce illuminò il palco ancora immerso nell’oscurità come il resto dello stadio, quasi trasalì, sia a causa del boato levatosi dal pubblico che nel vedere il frontman del gruppo, a nemmeno quattro metri di distanza, dondolarsi appeso all’enorme campana di metallo che era stata calata sul palco, accompagnandone i lugubri rintocchi.
 

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Un’apertura atipica per qualsiasi band, che tendenzialmente non spara uno dei propri pezzi da novanta all’inizio di un’esibizione, ma che Dean accolse semplicemente come il presagio di quello che si annunciava come un concerto epico.
 
Nell’alzarsi in piedi afferrò il braccio di Castiel, stringendolo e forzandolo a voltarsi verso di lui, inconsciamente alla ricerca sul suo viso almeno di un pallido riflesso di ciò che stava provando in quel momento e trovandovi invece, come in uno specchio, ogni cosa: entusiasmo, passione, pura felicità e una gioia di vivere che gli accendeva lo sguardo e colorava le guance, quasi trasfigurandolo.
 
Era assurdamente bello.

E - sapete che c’è? -  almeno per la durata del concerto, Dean decise che sarebbe stato suo, con buona pace di Chuck e Garth. Per un’oretta poteva anche prendersi una pausa da quel folle piano, no?
 
Così, mentre ancora l’altro gli sorrideva euforico, Dean lo strinse forte a sé e lo baciò, mettendo in quel bacio tutta l’eccitazione e il desiderio che in quell’istante gli bruciavano come lava nelle vene. Castiel, seppur colto alla sprovvista, rispose al bacio istantaneamente e con altrettanta passione, aderendo al corpo di Dean con ogni centimetro del proprio, infiammato da quel gesto inatteso e piacevolmente brutale.
Incuranti del frastuono, delle persone attorno a loro, delle luci accecanti, incuranti d’ogni cosa, ansimarono uno nella bocca dell’altro per tutta la durata della canzone, gemendo parole sconnesse sovrastate dalla musica che non faceva che aumentare di volume, di pari passo col desiderio che minacciava di farli esplodere.
 
Fu lo sguardo torvo dello scimmione della sicurezza, che Dean intercettò con la coda dell’occhio sul finire del pezzo, a riportarlo bruscamente alla realtà. All’improvviso realizzò che, con tutta la fatica che aveva fatto per essere lì, non era proprio il caso di farsi buttare fuori per atti osceni, ma soprattutto che quello non era affatto un comportamento da Principe Azzurro…
 
A fatica si staccò da Castiel, senza fiato, poggiando la fronte contro la sua e sbirciandone da sotto le ciglia le gote arrossate e le labbra socchiuse, ancora umide.
 
- Dean… - ansò il redattore.
 
- Perdonami Cass, non volevo… -
 
‘Oh, sì che volevo… volevo eccome… a dire la verità ti scoperei qui sul palco, davanti a ventimila persone…’
 
- No, scusami tu, io… mi sono lasciato trasportare. Dalla… ehm, musica. -
 
‘Merda, merda, merda! E questo lo chiami minare la sua autostima, Castiel? Perché non gli consegni direttamente il premio “stallone più arrapante dell’Emisfero Nord”?’
 
- Giusto. La… musica. - confermò Dean, cercando di darsi un contegno - Forse… forse sarà meglio concentrarci sul concerto… in fondo siamo qui per questo, no? - mormorò, impacciato, senza sapere che altro dire.
 
Che situazione del cavolo!
 
Castiel annuì, poco convinto, cercando di non vergognarsi come un ladro per essere saltato addosso a Dean come un drogato in astinenza.
 
- Hai ragione… uh, la senti? Sta iniziando “Thunderstruck”, è uno dei miei pezzi preferiti… - asserì senza entusiasmo, voltandosi di nuovo in direzione del palco e mettendo della distanza di sicurezza fra sé e Dean, che non fece nulla per annullarla, avendo ormai compreso che Castiel, anche in mezzo ad una bolgia infernale, era chiaramente una mina vagante per il proprio autocontrollo.
 
Il concerto proseguì com’era iniziato, ovvero con una scaletta pazzesca, tanto avvincente da esaudire praticamente i sogni proibiti di entrambi, che pur senza privare il palco dell’attenzione che meritava non riuscivano a fare a meno di sfiorarsi, anche solo col dorso della mano, per il bisogno di condividere quel momento perfetto con quella che probabilmente era l’unica altra persona al mondo ad apprezzarlo allo stesso modo.
 
Il gruppo diede il meglio di sé, alternando sapientemente nuovi pezzi a vecchie glorie, e quando dallo stadio si levò praticamente un ruggito, ai primi accordi di “You Shook Me All Night Long”, Dean fu costretto ad ammettere che quella era in assoluto una delle serate più belle che avesse mai vissuto, nonostante l’imbarazzante parentesi di poco prima, e questo grazie a… bé, uno sconosciuto.
Uno sconosciuto fantastico e pieno di vita che, a dispetto di tutti i suoi buoni propositi, non era riuscito per più di due brani a stargli lontano, accarezzandogli distrattamente la schiena, o il braccio, e strattonandogli la maglietta durante i pezzi migliori, incitandolo a cantare più forte in preda ad una gioia infantile che colpì Dean come una rivelazione.
 
Veloci come si erano presentate altrettanto velocemente scomparvero, ma per un solo momento, chiare come fari nella notte, due parole erano emerse dal nebuloso guazzabuglio dei suoi sentimenti: anima gemella.
Il ragazzo scacciò immediatamente questo pensiero, irritato ma più che altro spaventato.
Possibile che tutto ciò che aveva sempre cercato in una storia fosse racchiuso nel dolce e adorabile redattore che saltava e urlava, stonatissimo, accanto a lui?
Che il destino gli giocasse un tiro simile, mettendo sulla sua strada l’uomo perfetto e portandoglielo crudelmente via a causa di una stupida scommessa?
 
Fortunatamente, la voce di Castiel intervenne a strapparlo dai suoi pensieri funesti.
 
- Dean, ehm, scusa… potresti farmi un favore? - chiese il redattore, con due enormi occhioni luccicanti.
 
- Naturalmente, dimmi Cass. -
 
- Mi andresti a prendere una Coca? -
 
Dean lo squadrò, entrambe le sopracciglia sollevate, sicuro d’aver capito male. Insomma, sentiva già le prime note di “Highway to Hell” risuonare nell’arena, e di certo Castiel non avrebbe preteso… cioè, insomma, dai…
 
- Ho tanta sete… - insistette l’altro.
 
- Proprio… ora? - chiese.
 
- Ti scongiuro, Dean… abbiamo urlato fino ad ora, ho tanta sete… - ripeté il redattore in tono piagnucoloso, sbattendo le lunghe ciglia.
 
- Ma… ma sta iniziando Hig-
 
- Ok, capito. Non importa. - sbuffò Castiel, improvvisamente stizzito, interrompendolo e accennando ad allontanarsi - Andrò a prendermela da solo. -
 
Dean lo bloccò, mentre nella sua testa riecheggiavano le vocine di Chuck e Garth che urlavano istericamente “Principe Azzurro! Principe Azzurro!”.
 
- Ehi, ehi! Aspetta, Cass. Resta qui, vado io. - disse con un sorriso forzato, trattenendo l’altro per un braccio e voltando riluttante le spalle al palco, per dirigersi il più velocemente possibile verso le transenne che separavano l’area vip dal resto del pubblico.
 
- Mi raccomando, Coca Diet! Senza ghiaccio! - gli urlò dietro Castiel, sentendosi davvero un verme per quella mossa sleale.
 
Ma aveva cazzeggiato anche troppo, oltre ad aver contravvenuto ad ogni regola, ficcando la lingua in gola a Dean come se ne andasse della propria vita. Il concerto volgeva al termine e non aveva più molto tempo per iniziare a rendersi insopportabile… era una questione da “adesso o mai più”.
Perciò osservò l’altro allontanarsi di corsa, come se avesse il diavolo alle calcagna, mormorando delle silenziose scuse.
 
Giunto di nuovo davanti al gigante incazzoso, Dean attese che quest’ultimo lo facesse passare, saltellando sul posto per la fretta e ricevendo uno sguardo piuttosto eloquente che lo classificava come un idiota, ad andarsene nel bel mezzo di uno dei pezzi cult della band.
 
- Il mio… il mio ragazzo ha sete. - balbettò, giustificandosi in modo del tutto incoerente, visto che l’altro non aveva aperto bocca, oltrepassando in fretta le barriere e sfrecciando a tutta velocità verso le gradinate, alla ricerca frenetica di un cartello che indicasse il punto di ristoro più vicino.
 
Non avrebbe perso “Highway to Hell”, nossignore.
 
Arrivò al bar praticamente sgommando, facendo sobbalzare per la sorpresa il placido vecchietto che sonnecchiava su una seggiola pieghevole dietro al bancone.
 
- Una Diet Coke media, presto! - sbraitò Dean, cacciandosi le mani in tasca e gettando quindi una manciata di spiccioli e banconote varie sul vassoio vuoto posato davanti a sé, senza nemmeno guardare - Niente ghiaccio, mi raccomando! -
 
Con le stesse movenze di un bradipo in coma, l’anziano signore prelevò un bicchiere di carta dal supporto e lo collocò sotto la spina delle bibite, bloccandosi, senza motivo e senza aver erogato nulla.
 
- Signore, ma lo sa che con solo un dollaro e venti cent in più può avere la bibita grande e un buono per un burrito a metà prezzo, la prossima volta? Le interessa? - domandò, fiero della propria professionalità, voltandosi verso Dean.
 
- Sì! Cioè no! Grazie, ma non m’interessa! - replico quest’ultimo, sempre più sulle spine.
 
- E’ sicuro? Guardi che è molto conveniente… - continuò imperterrito l’altro, senza accennare a riempire il bicchiere.
 
- Sicuro. - ringhiò Dean a denti stretti.
 
- Allora forse potrebbe interessarle la combinazione bibita e pop- corn… -
 
I nervi di Dean, già logorati, cedettero.
 
- Le ho detto di no! - urlò spazientito - Niente buoni, niente burrito e nessuna combinazione! Voglio solo una stramaledetta Diet Coke! È possibile? -
 
- Scusi eh, volevo solo essere gentile. - mugugnò l’anziano commesso, riempiendo di ghiaccio un bicchiere e versandoci infine la tanto agognata Coca, per poi posarla di fronte a Dean in malo modo - Fanno due dollari e sessanta. - sibilò, senza più alcuna traccia di cortesia nella voce.
 
- Sì, sì, mi scusi, è che ho molta fretta e… senta, tenga il resto! - farfugliò Dean, afferrando il bicchiere e schizzando via, lasciando tutti i soldi sul bancone davanti all’attonito uomo.
 
Percorse a ritroso gallerie e gradinate ad una velocità da fare invidia a Bolt, fermandosi solo davanti alle transenne presidiate da Brutus, che lo lasciò passare senza fare storie ma anche senza risparmiargli altre occhiate sprezzanti.
 
- Ecco… Cass… la tua… Coca. - mormorò, cercando di riprendere fiato, porgendo a Castiel il bicchiere e rivolgendo gli occhi al palco, giusto in tempo per sentire riecheggiare le ultime note della canzone, sovrastate dall’applauso euforico del pubblico.
Persa.
Persa per sempre, maledizione…
 
Il redattore nel frattempo aveva sollevato il coperchietto di plastica, preso un sorso della bibita e lo aveva quindi richiuso con espressione disgustata.
 
- Non è Diet. - dichiarò seccamente, restituendo il bicchiere a Dean.
 
- Eh? -
 
- Questa Coca non è Diet. E poi c’è il ghiaccio. Io la volevo senza ghiaccio. -
 
- Ma… ma Cass, non potresti berla lo stesso? Solo per questa volta? Il concerto è quasi finito e- ma le parole gli morirono in gola, nel vedere gli occhi di Castiel velarsi di – oh porca puttana, erano lacrime quelle? –
 
- Perché mi tratti così? - domandò l’altro, la voce improvvisamente tremula - Ti avevo semplicemente chiesto di prendermi da bere, non mi sembrava di pretendere la luna… scusa se ti ho arrecato tanto disturbo… - disse mogio, tirando teatralmente su col naso.
 
Ora, se c’era al mondo una cosa che Dean detestava, e in grado di destabilizzarlo nel profondo, erano le lacrime. Non tollerava di veder piangere una donna, figurarsi un uomo.
 
- Oh no, ti prego Cass, non fare così. Ora io… io andrò a prenderti un’altra bibita, va bene? Tu aspettami qui, torno in un baleno! - mormorò in preda al panico, lanciando un ultimo sguardo pieno di rimpianto al palco, da cui proveniva l’inconfondibile attacco di “Back in Black” e allontanandosi per l’ennesima volta.
 
Brutus non si prese nemmeno più  il disturbo di guardarlo con sufficienza, ma gli rise apertamente in faccia, nel vederlo scapicollarsi fuori con il bicchiere tra le mani e lo sguardo rassegnato.
 
Con una seconda prestazione da olimpionico, Dean si precipitò nuovamente al bar, trovandovi ovviamente l’anziano di poco prima, ora palesemente maldisposto nei suoi confronti.
Dannazione, chissà se Castiel si sarebbe accorto di uno sputo nella sua Coca…
 
- Ehm, salve… Jackson. Sempre io. - annunciò con un sorriso radioso, aguzzando la vista per leggere il nome sulla targhetta e allungandogli una banconota da venti - Vorrei una Coca Diet, per favore. Senza ghiaccio, per favore. Il più in fretta possibile, per favore. Grazie infinite. Tenga il resto. Per favore. -
 
L’uomo lo squadrò malissimo per qualche secondo, poi sfilò lentamente dalle dita del giovane la banconota e altrettanto lentamente riempì il bicchiere, fingendo che la macchina fosse inceppata, porgendolo poi a Dean con uno sguardo omicida, augurandosi che gli andasse tutta di traverso o gli cadesse per le scale. O che lui, cadesse per le scale.
 
Tutta l’operazione richiese la bellezza di dieci minuti, e quando finalmente riuscì a fare ritorno in prima fila, Dean apprese costernato che il concerto era finito, tra lo scrosciare di applausi del pubblico e lancio di plettri e bacchette da parte di chitarrista e batterista.
 
Consegnò il bicchiere come in trance, e Castiel questa volta parve non avere nulla da ridire, ritrasformandosi nella persona amabile di prima.
 
- Grazie Dean! - cinguettò felice - Mi ci voleva proprio, avevo la gola completamente secca! Vuoi sapere una cosa fantastica? Quando te ne sei andato hanno suonato “Back in Black” per chiudere il concerto, ma dopo, grazie agli incitamenti del pubblico, hanno fatto il bis di “Highway To Hell”. Non è incredibile? -
 
Oh, sì. Era davvero incredibile. Era incredibile che se la fosse persa non una, ma due volte, pensò Dean, e stavolta era lui quello con le lacrime agli occhi…
 
Poco più tardi, dopo aver atteso che il grosso della folla sciamasse fuori dal Garden, Castiel pilotò Dean lungo il marciapiede, fino all’area taxi.
Senza nemmeno un bacio di commiato o un saluto di alcun genere il redattore prese posto sul sedile posteriore di una delle auto in sosta, mentre Dean restava in attesa appoggiato alla portiera aperta, disorientato da quell’atteggiamento improvvisamente sbrigativo.

Castiel gli rivolse un gran sorriso, dall’interno dell’abitacolo.
 
- Allora… grazie per la bella serata, Dean. Ci si vede. - disse, salutandolo con la mano.

Tutto lì. Nessun “chiamami”, nessun accenno ad un altro incontro, niente.
 
Dean non era abituato a cacciare in questo modo, non arrivati a questo punto, comunque, ma capì di doversi adeguare, per il bene proprio e della propria carriera.

‘Modalità Principe Azzurro, coraggio…’ pensò con un sospiro rassegnato.
 
- Tesoro, è solo grazie a te che abbiamo potuto passare una serata tanto memorabile… anzi, a proposito, ti andrebbe se ci vedessimo ancora, che so… domani? - domandò, cercando di apparire vago e casuale.
 
- Oh, certo, sarebbe delizioso! - trillò l’altro - Ti chiamo io? -
 
- Come preferisci, ehm, piccolo. - mormorò Dean con voce dolce, accennando a richiudere la portiera dell’auto ma bloccandosi nel vedere Castiel sporgersi verso di lui.
 
- Dean, aspetta! Posso chiederti una cosa? - chiese.
 
- Dimmi. -
 
- Sei davvero carino come sembri? -
 
- Anche di più, Cass, anche di più… - replicò Dean con il suo tono più suadente ed un sorriso che prometteva meraviglie - E tu? Sei carino come sembri? -
 
Castiel gli sorrise, enigmatico, prima di spostare la sua mano dalla portiera così da poterla chiudere, abbassando poi il finestrino.
 
- Assolutamente no, Winchester. - rispose, dopo aver fatto un cenno al tassista che partì, lasciando Dean in mezzo alla strada come un cretino.
 
 
 
 
[1] Omonimo pezzo dei Whitesnake, traccia numero quattro del loro undicesimo album Forevermore, uscito il 25 marzo 2011.
[2] Dalla 8X17, Goodbye Stranger.
[3] Celeberrima pellicola del 1995, diretta da David Fincher e interpretata da Brad Pitt, Morgan Freeman e Kevin Spacey. Nel finale, Spacey invia al detective David Mills (Pitt) una scatola via corriere, contenente la testa della moglie.
[4] Dopo aver visto questa foto, con che altro look potevo immaginare Castiel?
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NDA:
Sì, lo so, faccio schifo. E no, non sono stata rapita da una civiltà aliena. Non ho giustificazioni, tranne un momentaneo blocco dello scrittore e una certa dose di impegni personali...
L'aggiornamento arriva con un ritardo mostruoso, che cercherò di non ripetere, ma per farmi perdonare ho praticamente accorpato due capitoli in uno, perciò... vogliatemi bene lo stesso. Io ve ne voglio! *___*
Approfitto ancora una volta di queste righe per ringraziare tutte le persone che mi stanno seguendo e che hanno avuto la pazienza di aspettare questo capitolo, siete grandiose e spero che l'attesa non sia stata deludente!

P.S.: per "esigenze narrative" (anvedi che parolone) mi sono presa qualche licenza poetica con la parte del concerto, più che altro con la scaletta, ma gli AC/DC a novembre suoneranno davvero al Madison Square Garden ^___^
Grazie mille, e alla prossima! <3

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Capitolo 8
*** DR. FEELGOOD ***


DR FEELGOOD [1]
 
 

“Rat-tailed Jimmy is a
second hand hood
He deals out in Hollywood
Got a ’65 Chevy, primered flames
Traded for some powdered goods”
[…]
He’s the one they call Dr. Feelgood
He’s the one that makes ya feel alright
He’s the one they call Dr. Feelgood
[…]
Heard a rumour going round
Jimmy’s going down
This time it’s gonna stick
[…]
Let him soothe your soul,
just take his hand
Some people call him an evil man
Let him introduce himself real good
He’s the only one they call “Feelgood”
 
(Mötley Crüe - Dr. Feelgood)

 
 
 
GIORNO TRE, ore 9.08
 
La mattina successiva, nell’arrivare in redazione, Castiel apprese con infinito sollievo che né Gabriel né Balthazar erano in sede: il primo avrebbe trascorso ore ad alto tasso glicemico al Village, ad una degustazione di cioccolato belga, mentre il secondo si trovava ad una delle sue improbabili conferenze stampa, una cosa ridicola sul cachemire e i “velli preziosi”, qualsiasi cosa fossero.
 
Senza l’ingombrante presenza dei colleghi, e di conseguenza senza l’obbligo di sottostare ad invadenti interrogatori, riuscì a sbrigare una concreta mole di faccende in sospeso.
Buttò giù altri appunti per il proprio pezzo, rispose ad una serie di accorate e-mail da parte di lettrici sull’orlo dell’esaurimento e, giunta l’ora di pranzo, decise di non mangiare in ufficio, ma di premiarsi per il lavoro svolto con il fantastico tonno scottato del sushi bar all’angolo.
 
Non gli pesava affatto pranzare solo, anzi, lo considerava come un momento privato e rilassante che in genere sfruttava per leggere o più semplicemente per pensare ai fatti propri.
 
In questo caso specifico, per pensare a Dean.

Nonostante avesse avuto la mente impegnata per tutta la mattina, infatti, un angolino del suo cervello era rimasto sempre focalizzato sulla sera precedente, su quel bacio bollente che l’aveva completamente destabilizzato e soprattutto sul proprio discutibile comportamento verso la fine del concerto.
 
Lasciarsi opprimere dal senso di colpa non era una buona idea, proprio no, soprattutto alla luce del fatto che aveva davanti a sé ancora una settimana buona da affrontare, ma era più forte di lui.
Si era comportato come un vero stronzo, insensibile e capriccioso, mentre Dean era stato impeccabile.

Un vero principe, a pensarci bene.

Quindi non erano solo leggende metropolitane? Esistevano ancora ragazzi del genere?
E se sì, era pronto a rovinare per sempre uno dei pochi esemplari sani ancora in circolazione?
Se fossero venuti a conoscenza delle sue intenzioni, probabilmente gli attivisti del WWF (World Winchester Found) gli avrebbero sparato a vista per crimini contro l’umanità… e avrebbero fatto bene.
 
Occupato a giocherellare distrattamente con dell’insalata d’alghe e perso nei propri pensieri, nemmeno si accorse dei due avventori che avevano preso posto accanto a lui al bancone del sushi bar, almeno fino a quando Gabriel non esordì col suo tipico “Ehi bro!” che riuscì in mezzo secondo a vaporizzare ore di tranquillità e a bloccargli la digestione.
 
Lentamente Castiel voltò la testa a destra e a sinistra, registrando la presenza degli amici e classificandola come “incubo ad occhi aperti”, senza minimamente nascondere il proprio disappunto.
 
- Come mi avete scovato? - sbuffò.
 
Balthazar fece spallucce, come se fosse talmente evidente da non valere nemmeno la pena di sprecar fiato per rispondere.
 
- Allora? - ringhiò il più giovane - Non ho detto a nessuno dove avrei pranzato, mica mi avrete messo addosso una microspia o una di quelle diavolerie che Gabe compra su zerozerosette.com? -
 
- Non dire cazzate, Cassy. Sapevamo dove trovarti. Sei abitudinario come un pensionato, e oggi è mercoledì. Mercoledì uguale sushi. E visto che non te lo sei fatto recapitare in ufficio, non potevi trovarti che qui. -
 
- Sì, sì, va bene… - replicò Castiel poco convinto, ripromettendosi di controllare i propri vestiti in cerca di cimici - Intendevo dire, perché siete qui anche voi? Non avevate degli impegni? -
 
- Certo, amico mio, ma ci siamo sbrigati per venire a farti compagnia, non sei felice? - rispose questa volta Gabriel, sistemandosi più comodo sullo sgabello.
 
Castiel annuì.
 
- Potrei piangere di gioia… - affermò a denti stretti. E almeno metà della frase era sincera.
 
Bè, di sicuro poteva piangere.
 
Balthazar, però, cominciava a mostrare segni d’insofferenza per tutti quei convenevoli, e senza indugiare oltre pose a bruciapelo la domanda che gli bruciava sulla lingua fin da quando aveva aperto gli occhi quel mattino.

- Cassy, allora? -

- Allora che? - replicò innocentemente Castiel, solo per il gusto di provocarlo e prendersi una piccola rivincita.
 
- Non fare il finto tonto con me, Novak, non attacca. Com’è andata ieri sera? -
 
- Bene, direi. È andata… abbastanza bene. - rispose l’altro, vago.
 
Balthazar si rabbuiò.

- Cosa significa “abbastanza bene”? Abbastanza bene non è accettabile. Abbastanza bene non è, bè… abbastanza. Che diavolo è successo? Dev’essere per forza accaduto qualcosa di tremendo e imprevedibile, per aver portato a casa un misero “abbastanza bene”… - commentò sarcastico.
 
- Non so che dirti, Balth, Dean è… un osso duro. Proprio come avevi detto tu. -
 
- Spiegati meglio, pulcino. Cos’avete fatto al concerto? E non risparmiare i particolari. -
 
- Era un concerto, ragazzi, non è che si potesse fare molto altro, oltre a seguire la musica e urlare come degli indemoniati, che volete che vi racconti? -
 
- Tanto per cominciare, come si è comportato lui? -
 
- Dean è stato un vero signore, Balth, alla faccia di tutte le tue insinuazioni sul suo stadio evolutivo. - sentenziò Castiel, omettendo giusto il trascurabile particolare di quel bacio mozzafiato che l’aveva quasi messo incinto.
 
- Mhhh… - osservò l’altro, sospettoso - Questa cosa mi puzza. È davvero lui che è un gentiluomo oppure sei stato tu a non essere abbastanza pedante e fastidioso? - chiese poi, scandagliando il viso dell’amico come fosse una cartina tornasole, in cerca della verità.
 
- No, ti assicuro che sono stato davvero pesante sul finire del concerto, anzi, non so come Dean sia riuscito a trattenersi dal mandarmi a quel paese! Gli ho fatto perdere tutti i pezzi migliori, e la sua canzone preferita per ben due volte, mentre una volta fuori l’ho lasciato solo in mezzo alla strada senza quasi salutarlo. Bo… magari la sua non era gentilezza, ma solo stoica gratitudine per avergli offerto dei posti tanto prestigiosi… -
 
Stavolta fu Gabriel a scrutare Castiel in cerca di particolari che l’altro non voleva rivelare.
 
- Aspetta un po’ Cassy, perché hai detto “sul finire del concerto”? Prima che hai fatto? Anzi, che avete fatto? -
 
Castiel, preso in contropiede, impiegò un secondo di troppo per rispondere ed arrossì appena, attirando gli sguardi indagatori di entrambi gli amici.
 
- M-ma niente! Prima ho lasciato che si godesse un po’ il concerto, poveretto… -
 
Balthazar, mangiata la foglia,  posò una mano sul suo braccio, stringendolo, obbligandolo a voltarsi e a guardarlo negli occhi, ridotti ormai a due fessure.
 
- E dimmi… il “poveretto” si è goduto solo il concerto o anche… te? - domandò allusivo, senza nemmeno il bisogno di una conferma da parte dell’amico, che a quel punto arrossì furiosamente.
 
- Cazzo, Cassy, non dirmi che l’hai baciato! - sbottò Gabe, a voce un po’ troppo alta, facendo sobbalzare un paio di camerieri del ristorante, altrimenti immerso nella quiete.
 
- No…? -
 
- L’hai baciato? L’hai davvero baciato? - berciò Balthazar, con lo stesso tono che avrebbe potuto usare per accusare qualcuno d’omicidio - Una cosa dovevi fare, Cassy, anzi, una cosa NON dovevi fare! Era così difficile tenere la bocca chiusa e non attorcigliare la lingua alle tonsille di Dean come un dannato formichiere? L’hai baciato? - ripeté.
 
‘Se avessi mai posato le labbra su quelle di Dean Winchester, non parleresti così…’ replicò Castiel fra sé, facendosi sempre più piccolo sul proprio sgabello.
 
- Bè… ecco… un pochino. - ammise.
 
- Cassy! -
 
- Ehi! Io non ho fatto niente! Ha… ha cominciato lui! -
 
- Cosa? Che diavolo vuol dire che ha cominciato lui? Ma che siamo, all’asilo? -
 
- Mica potevo prenderlo a sberle! Mi ha baciato e… e… mi sono lasciato baciare, punto! In fondo devo pur dargli qualche contentino per bilanciare i momenti in cui mi comporto da squilibrato! Ma è stata l’unica volta, dopo non è più accaduto nulla… anche perché dopo è stato troppo occupato a correre su e giù dalle gradinate per trovare il tempo di provarci ancora… - buttò lì il più giovane, sperando di dirottare l’interesse degli amici sulle proprie “tecniche esasperatorie” e di accantonare il discorso “ebbene-sì-ho-baciato-Dean-e-lo-rifarei-di-corsa”, tattica che riscosse un insperato successo.
 
- E cosa ci faceva Dean sulle gradinate? - domandò Gabriel, ansioso di ascoltare il resoconto di Castiel, che raccontò brevemente della faccenda della Coca Diet, soffermandosi sulle proprie bizze da diva e suscitando insoliti sguardi ammirati in entrambi i colleghi.
 
- No, scusa, hai davvero pianto per il ghiaccio nella Coca? - chiese Balthazar ridacchiando, senza nascondere in alcun modo l’orgoglio che gli scaldava la voce, una volta che l’altro ebbe terminato il proprio racconto.
 
Castiel annuì, ridimensionando l’enfasi del collega.
 
- Non proprio pianto-pianto… un luccicone, ecco… -
 
- E come hai fatto? Ti sei strizzato i gioielli di famiglia nella cerniera dei pantaloni? Ti sei strappato un pelo del naso? - s’informò Gabriel, inopportuno come suo solito.

- Oh Gabe, è stato facile, mi è bastato pensare a voi due per tutto il tempo… - ribatté sarcastico il più giovane.
 
- Bé piccolo, non avrei mai pensato di dirlo ma sei andato ben oltre le mie aspettative. - ammise Balthazar - Da uno come te mi sarei aspettato al massimo un capriccio sui posti a sedere, ma questo… questo è talento! Cassy, potresti diventare una pazza di prim’ordine, se t’impegnassi un pochino! Sono così fiero di te che passerò sopra alla questione del bacio, per stavolta… ma dimmi la verità, lui davvero non ha reagito? -
 
- Balth, te l’assicuro! Non ha fatto una piega… cioè, all’inizio è sembrato un po’ spiazzato dalla mia richiesta, ma poi si è comportato come un perfetto gentleman, non riuscivo a crederci… cioè… io, al suo posto, mi sarei strangolato… -
 
- Wow. - commentò Balthazar, impressionato, fischiando in segno di apprezzamento - È veramente incredibile cosa sia in grado di sopportare un uomo pur di scopare… -
 
Castiel replicò, vagamente offeso - Magari non è come pensi tu. Magari lui è davvero così gentile! -
 
- Sì, certo, e io sono la fottuta regina d’Inghilterra. Ascoltami bene pulcino: so che tu ami credere nel genere umano e bla bla bla, ma nessuno è così gentile e paziente con uno appena conosciuto. Non a New York. E soprattutto, non uno con l’aspetto di Dean. Senza offesa, ma quel tizio potrebbe avere chiunque, e senza nemmeno prendersi la briga di offrirgli un caffè… e invece con te si comporta come uno schiavo, aspettando pazientemente che tu gli permetta di baciarti… suona strano solo a me? O si è preso la più devastante cotta dai tempi di Romeo e Giulietta, o è disposto davvero a tutto per portarti a letto… e senza nulla togliere al tuo fascino naïf, propenderei per la seconda ipotesi. -
 
- Io resto della mia idea. - intervenne Gabe.
 
- Cioè? -
 
- Maniaco omicida. -
 
- Piantatela tutt’e due! - sbottò Castiel, perdendo le staffe - Ne ho le tasche piene di queste stronzate! Come avete potuto notare sto gestendo la cosa senza il minimo problema: il piano funziona, Dean non è un pazzo, non vuole uccidermi né scoparmi ad ogni costo, è solo una delle poche persone civili rimaste in questa città, e giuro che se non mi date un po’ di tregua, come Dio vi ha fatti, io vi accoppo! - ringhiò, mentre i colleghi lo osservavano spiazzati da tanta aggressività.
 
Con un rapido sguardo d’intesa decisero di lasciar perdere, prima che l’amico andasse definitivamente giù di testa.
 
- Wow Cassy, stavamo solo scherzando… sicuro che questa storia non ti logori i nervi? Non ti ho mai visto tanto suscettibile. - lo rabbonì Balthazar, leggermente sorpreso.
 
- Per l’ultima volta, non è questa storia a logorarmi i nervi, siete tu e Candyman. Ora posso terminare il mio tonno, prima che sviluppi autonomamente la salmonella? -
 
- Ma certo, certo… non ci hai ancora detto come siete rimasti d’accordo tu e Dean, però. Lo rivedrai? -
 
Castiel annuì, ingoiando l’ultimo boccone e gesticolando con i bastoncini in direzione di Balthazar.
 
- Sì, e per tua informazione è stato lui a chiedermelo. - dichiarò, tradendo un orgoglio - Ci vediamo stasera, dopo lo chiamo. Oltretutto, deve ancora ridarmi il trench. -
 
- Uh, a proposito di vestiti, Cassy… eccoti un regalino. Dovrebbe essere della tua taglia. - disse distrattamente Balthazar, estraendo da una busta di carta poggiata accanto al proprio sgabello un maglioncino di pregiatissimo cachemire color cobalto, fine e leggero come una nuvola - Indossalo stasera e Dean non potrà resisterti, ti farà gli occhi ancora più blu! -
 
- Oh… grazie Balth. - mormorò Castiel, stringendo tra le mani l’indumento e apprezzandone la consistenza quasi impalpabile, per poi porgerlo nuovamente all’amico - Non… non credo di poter accettare, però. Quest’affare costerà una fortuna. -
 
- Bah, figurati… - minimizzò l’altro, agitando una mano con noncuranza - … me ne hanno dati tre alla conferenza stampa, lo sai che le aziende mi coprono sempre di regali sperando che le citi nella mia rubrica… a casa ne ho tonnellate. - spiegò, riponendo di nuovo la busta sul pavimento.
 
- Bé, in tal caso accetto volentieri. - si arrese il giovane, mentre Gabriel osservava alternativamente entrambi con sguardo da orfanello.
 
- E io? - chiese, speranzoso.
 
Balthazar sembrò cadere dalle nuvole.
 
- Tu che? -
 
- Io niente? Niente maglioncino chic? Hai detto che te ne hanno regalati tre, no? -
 
- Oh, no. Tu no. Tu puzzi. Sarebbe uno spreco inutile. -
 
- Ma… ma non è vero! È capitato solo una volta, e per cause di forza maggiore! -
 
- Puzzi una volta e sei segnato per sempre. - sentenziò altezzosamente l’altro - E in ogni caso, fetore a parte, su di te del cachemire non durerebbe cinque minuti. -
 
- Perché? -
 
- Guardati. - sibilò Balthazar, disgustato, osservandolo da capo a piedi con espressione critica ed eliminando poi un pelucco invisibile ad occhio nudo dalla propria giacca - Sembri uno appena uscito da una rissa con un Toblerone. E, per la cronaca, ha vinto lui. -
 
Fu allora che anche Castiel osservò meglio l’amico, notando le chiazze di cioccolato che infiorettavano sia lui che i suoi abiti: due macchioline sulla camicia, una patacca di discrete dimensioni sul giubbino e un paio di sbaffi sopra il labbro superiore.
 
Il critico provò a giustificarsi, avendo modo di vedere solamente le macchie sui vestiti.
 
- Che sarà mai, ragazzi, dai… c’era una fontana di cioccolato che sembrava un geyser, era impossibile non sporcarsi! - minimizzò.
 
- Gabe, sembri Hitler. - dichiarò Balthazar, glaciale, indicando all’altro il labbro superiore con un dito e facendolo contorcere sullo sgabello, in cerca del proprio riflesso sul grande specchio oltre il bancone del sushi.
 
- Non sembro Hitler! - farfugliò, strofinandosi forsennatamente col tovagliolo di Castiel e allungando le tracce di cioccolato fino alle guance - Cassy, diglielo che non sembro Hitler! -
 
- Non sembri Hitler… - ripeté questi, atono, strappandogli di mano il tovagliolo.
 
- Visto? - sibilò Gabriel, trionfante, sporgendosi oltre l’amico e guardando con superiorità Balthazar, che rispose con un maturo “gnegnegne”.
 
- … Più che altro, ora sembri il sergente Garcia. Sai, quello di Zorro… - terminò quindi Castiel, con un mezzo sorrisetto, facendo l’occhiolino a Balthazar e guadagnandosi una pacca sulle spalle.
 
- Siete dei bastardi! -

- Comandi, sergente! - replicarono in coro gli altri due, raddrizzando la schiena e facendo il saluto militare, sbellicandosi dalle risate.
 
- Certo, prendetevela col povero Gabe, tanto non è già abbastanza depresso per conto suo… investitelo con l’auto e poi, per sicurezza, ingranate la retro… - commentò l’altro, elargendo agli amici la quotidiana razione di vittimismo - Piuttosto, dove hai intenzione di portare Dean? -
 
- Al cinema. -
 
- Filmetto da femmine? - chiese con un ghigno.
 
L’amico scosse il capo, con un sorrisetto enigmatico - Assolutamente no, Gabe. Sarò molto più sottile di così… -
 
- Lo sai, vero, che dovrai andarci pesante? Se quello che hai detto è vero, per far fuggire questo tizio occorrerà ben più di qualche lacrima e un bicchiere di Coca. -
 
- Tranquilli ragazzi, stamattina mi è arrivata una mail davvero illuminante da parte di una lettrice, e ora so perfettamente cosa devo fare, ma non voglio anticiparvi nulla, rovinerei l’effetto sorpresa… -
 
- Cassy, renditi conto che devi farti scaricare in fretta, o di questo passo tra una settimana sarà ancora appiccicato al tuo culo. -
 
Castiel si trattenne dal dire che c’era molto di peggio, nella vita, che avere Dean Winchester appiccicato al culo, limitandosi ad annuire mentre Gabe continuava a snocciolare consigli.
 
- Devi  prenderti confidenze che, dopo soli due giorni, non dovresti avere. E mi raccomando, affibbiagli dei nomignoli. I più stupidi che ti vengono in mente. -
 
- Oh, sì, gli uomini li detestano, specie se in pubblico! - intervenne Balthazar - Ha ragione Gabe, umilialo di fronte agli altri, meglio se in presenza dei suoi amici o dei colleghi! E fagli dei regali imbarazzanti. -
 
- Comportati da padrone in casa sua e costringilo a chiederti il permesso per disporre del suo tempo libero. - suggerì ancora Gabe - Dovrai prenderti ogni cosa Cassy: il suo tempo, i suoi spazi e, cosa più importante, la sua dignità. - terminò con aria solenne, schioccando le dita.
 
- E se tutto questo non fosse abbastanza, cala l’asso... - aggiunse Balthazar con fare misterioso.
 
- Ovvero? - chiese Castiel, sinceramente ansioso di ricevere una tale perla di saggezza.
 
- Digli che lo ami. - sentenziò l’altro.
 
- Scusa? -
 
- Ora ascoltami bene, Cassy: la STAP, o “Sindrome da Ti Amo Precoce” è la maggiore causa di impotenza negli Stati Uniti, come potranno sicuramente testimoniare tutte le patetiche single che leggono la tua rubrica in cerca di un miracolo che le salvi dallo zitellaggio a vita. Un repellente naturale e completamente atossico per uomini con il terrore dei legami. È l’Arma Finale, precisa e infallibile come un laser. -
 
Castiel l’osservò palesemente dubbioso.
 
- Ne sei certo? - chiese, scettico.
 
- Oh, pulcino, mi ci giocherei le palle, e ti assicuro che ci tengo, alle mie palle. Io stesso sono fuggito con i pantaloni ancora abbassati, nel bel mezzo della notte, di fronte ad un “ti amo”. -
 
- Sì, bé, Balth, senza offesa eh, ma non è che tu sia un campione molto attendibile, non hai una relazione seria dal secondo anno d’asilo! -
 
- Appunto. Chi meglio di me può sapere quali effetti devastanti scatenino quelle due semplici paroline in un uomo che non vuole una relazione? Tu spargi a caso dei ti amo nelle vostre conversazioni e non dovrai fare alcuno sforzo per sbarazzarti di lui. - precisò Balthazar controllando l’ora, saltando giù dallo sgabello e dirigendosi verso la cassa, subito imitato dagli altri due - Basta che tu tenga a mente le regole del gioco, ok? Dai, andiamo, non voglio dare a Pamela un valido motivo per farci l’ennesima ramanzina! – 



 
Una volta fatto ritorno in ufficio Castiel chiamò subito Dean, approfittando di un guizzo di gentilezza da parte degli amici, che ebbero il buon gusto di lasciarlo solo a fare il proprio disdicevole show.
Questa volta però la centralinista lo informò che Mr. Winchester era in riunione con il suo capo e il resto del team, e lo mise in attesa per diversi minuti.
Dopo aver ascoltato per tre volte consecutive “Goodbye Stranger” [2], il redattore decise che era ora di una piazzata in grande stile.
Non appena la ragazza riprese la linea infatti, informandolo che fino al termine dell’incontro proprio non era possibile disturbare Dean, Castiel l’investì con una serie di improperi, che andavano dal classico “lei non sa chi sono io” passando per “no, non voglio lasciare un fottuto messaggio” e culminando in un paio di velate minacce di licenziamento, scusandosi mentalmente un centinaio di volte con la poveretta.
 
Mentre i rapporti fra il giornalista ed il centralino si facevano tesi, parecchi piani più in alto la situazione era quasi altrettanto spiacevole: Dean, Ruby, Bela e i rispettivi team di lavoro stavano infatti ricevendo una sonora lavata di capo da Crowley, per nulla soddisfatto dalle prime bozze dei grafici né dagli slogan che avevano fatto passare la notte in bianco a tutti i copy dell’agenzia.
L’atmosfera, dopo i primi commenti sarcastici su quelle che il boss aveva benevolmente definito idee puerili e ridicole, aveva rapidamente raggiunto lo zero, pertanto Dean fu lieto di dover rispondere al telefono, nonostante avesse dato precise istruzioni in merito.

Non appena sollevò la cornetta, venne investito da una raffica di parole.
 
- Buongiorno Amoruccio Deanuccio! Dormito bene, topino? Io meravigliosamente, ti ho sognato tutto il tempo! - esordì Castiel, garrulo, cambiando poi immediatamente tono - Senti una cosa… ma che cavolo di problema ha la tua segretaria? Lo sai che non voleva passarti la telefonata? Insomma, non lo sa chi sono io? Non dovrei avere la priorità sulle altre persone? Non sarà mica innamorata di te, vero? - chiese, sottilmente minaccioso.
 
Dean strizzò gli occhi, impiegando qualche istante a raccapezzarsi nel guazzabuglio di informazioni che l’altro gli aveva appena riversato addosso.
 
- Ehm, no. Lei è… lei è lesbica. E sono io ad aver dato ordine di non disturbare, quindi… insomma… ciao Cass… tutto bene? È una questione urgente? Perché sarei in riunione col mio capo, qui, e-
 
- Certo che è urgente, fagiolino mio! Cosa può esserci di più urgente del nostro appuntamento di stasera? - squittì Castiel, interrompendolo.
 
- Ah… sì… sei sempre dell’idea di uscire? - chiese l’altro a bassa voce, cercando di darsi un contegno e di non badare alla decina di paia d’occhi puntati su di sé.
 
- Ma certo, non voglio perdere nemmeno un secondo che potrei passare in compagnia del mio dolcissimo fidanzato. Che ne pensi di un cinema? Così potremo starcene un po’ accoccolati al buio… -
 
‘Fidanzato?' ripetè mentalmente Dean, mentre deglutiva vistosamente e un brivido gelido di puro terrore scivolava lento lungo la sua spina dorsale.
 
- Il… il cinema va benissimo, ehm… amore. Scegli tu il film? - sussurrò a denti stretti, mentre Ruby e tutti i presenti iniziavano a ridacchiare sommessamente, già rassegnato a doversi sorbire qualche melensa commedia rosa tipo “Il matrimonio del mio migliore amico” [3].
 
- Ohhhhh, ma che carino che sei a lasciarmi scegliere! Sei talmente premuroso! Comunque, pensavo di andare a vedere “Una notte da leoni”, se per te va bene. Che ne pensi? -
 
Dean, piacevolmente sorpreso, non si lasciò sfuggire l’occasione di rivedere uno dei propri film preferiti, e rispose in tutta fretta prima che Castiel cambiasse idea.
 
- Penso che sia perfetto, Cass, ottima scelta. Passo a prenderti alle sette in ufficio. Non dimenticare il casco, mi raccomando… -
 
- E tu invece ricordati di riconsegnarmi gli ostaggi, zucchino smemorato… -
 
- Ostaggi? - chiese Dean, disorientato.
 
- Il trench e il mio cellulare. -
 
- Oh sì, scusami, me n’ero completamente scordato - mentì l’altro.
 
In realtà si era ben guardato dal restituirli al legittimo proprietario, conservandoli come piano B nell’eventualità che Castiel non gli avesse concesso un secondo appuntamento. In tal caso sarebbero stati costretti a rivedersi comunque, e avrebbe avuto un’ultima chance di far capitolare il redattore dagli occhi blu esercitando tutto il proprio talento seduttivo.
Anche se, giudicando dalla quantità impressionante di nomignoli con cui era stato bersagliato nel giro di nemmeno tre minuti, non ce ne sarebbe stato bisogno.
Probabilmente, per staccarsi di dosso Castiel alla fine di tutta quella storia sarebbero serviti un raschietto e del solvente industriale.
 
- Ma certo, ti credo, piccolo mio. So che non mi mentiresti mai. Allora a dopo… Deanuccio! …Ti amo! - trillò un’ultima il redattore volta prima di riattaccare ed accasciarsi sulla scrivania, vergognandosi come mai nella vita e desiderando solo sprofondare in una voragine senza fondo, lasciando Dean a fissare allibito la cornetta chiedendosi in che razza di casino fosse andato a cacciarsi.




 
Poche ore più tardi Dean arrestò la moto di fronte alla sede di Grace, in perfetto orario, togliendosi il casco e guardandosi attorno alla ricerca di Castiel, che lo aspettava poco distante appoggiato ad un’enorme fioriera, con le mani in tasca ed indossando già il caschetto che gli aveva regalato.
 
Era… un’esplosione di blu: maglioncino blu, casco blu, enormi occhi blu.
 
‘Dannato puffo…’ mugugnò il pubblicitario fra sé e sé nell’andargli incontro con il trench tra le mani, constatando per la milionesima volta quanto fosse bello e come apparisse dolce e spaurito, almeno finché non apriva bocca, e successivamente quanto fosse malata l’idea di farsi un sexy puffo.
 
Dopo la terrificante telefonata del pomeriggio, temeva che Castiel gli sarebbe corso incontro e saltato in braccio professandogli eterno amore.
Come minimo.
Invece, sorprendentemente, il redattore non si mosse di un millimetro, increspando le labbra in un sorriso appena accennato e lasciando che fosse lui a raggiungerlo.

- Ciao Dean. - disse pacato quando l’altro gli fu di fronte, completamente diverso dal pazzo scatenato con cui aveva parlato solo poche ore prima.
 
- Andiamo Cass… ancora non hai imparato ad allacciartelo? - domandò il più giovane, rimproverandolo benevolmente e assicurando le fibbie del casco al loro posto, per indietreggiare ed ammirare l’altro finalmente impacchettato a dovere, recuperando nel frattempo il trench che si era buttato su una spalla per avere le mani libere e porgendolo a Castiel con un sorriso.
 
Questi parve leggermente riluttante nell’accettarlo, forse deluso dall’assenza di un gesto un po’ più affettuoso, e accennò a dirigersi verso l’Harley a testa bassa ma Dean, rimasto qualche passo indietro, lo afferrò per un polso e, dopo avergli quasi fatto fare una giravolta tirandolo nuovamente verso di sé, lo prese tra le braccia e lo baciò.

A lungo.
Profondamente.
 
- Mi ero quasi dimenticato di dirti ciao… - sussurrò poi, basso e carezzevole, direttamente sulle sue labbra, sbirciando Castiel tra le ciglia - Ciao, Cass. -
 
- C-ciao… - farfugliò l’altro, senza fiato, con il cuore che minacciava di uscirgli dal petto e le gambe molli come stringhe di liquirizia.

Dean sorrise, fiero di sé.
 
- Vogliamo andare? - mormorò, tranquillo e perfettamente padrone della situazione, avvolgendo le spalle di Castiel con un braccio per pilotarlo lungo il marciapiede - Non vorrei farti perdere l’inizio del film… -
 
‘E ogni freno inibitorio. E la ragione. E le mutande.’pensò l’altro, sottraendosi al contatto e sgusciando letteralmente via in direzione della moto, su cui saltò senza nemmeno pensare a quello che stava facendo, completamente stranito dall’effetto che Dean continuava ad esercitare di lui.
 
Maledizione, diventava sempre più difficile!
 
Il breve tragitto fino al cinema passò fin troppo in fretta per i gusti di Castiel, che per la prima volta in vita sua avrebbe desiderato passare qualche altro minuto su una motocicletta, per riprendere il controllo di sé e rientrare nella parte, che francamente non ricordava nemmeno più quale fosse.
Invece in un batter d’occhio si era ritrovato a rimuginare sull’assurdità di tutta quella faccenda nel bel mezzo della hall del cinema mentre Dean, da perfetto cavaliere, si era diretto alle casse per comprare i biglietti.

Fu proprio quest’ultimo a sottrarlo ai suoi pensieri, raggiungendolo e sventolando sorridente gli ingressi.
 
- Certo, non saranno buoni come i tuoi ma sono pur sempre biglietti… Ho la sensazione che dovrò pagarti il cinema a vita per riuscire a sdebitarmi! - commentò allegro, per poi rabbuiarsi nel notare l’espressione del redattore - … Cass. Cass? Ehi. Tutto ok? -
 
- Oh, sì. Sì… amore. - mormorò l’altro, riavendosi.
 
- Sicuro? Mi sembri un po’ pallido… vuoi andare a casa? -
 
- NO! - reagì l’altro, andando nel panico all’idea di giocarsi la serata e rendendosi immediatamente conto di suonare disperato - Cioè, no, è tutto ok. Sto bene, forse è solo un calo di zuccheri… -
 
- Ti prendo qualcosa da mangiare? -

- Sì, ti ringrazio… degli orsetti gommosi andranno benissimo. -
 
Dean lo squadrò, inarcando a dismisura un sopracciglio.

- Orsetti gommosi. Sul serio. -
 
- Sì. Prendine tanti. Tanti orsetti gommosi per… ehm… il tuo orsetto? - farfugliò il redattore, in preda ad un furioso imbarazzo. Al telefono era decisamente più semplice dire certe cazzate!
 
- Vuoi altro? - sospirò Dean scuotendo impercettibilmente la testa.

- Pop-corn al caramello. - buttò lì Castiel, sperando di nauseare Dean con del cibo stucchevole quasi quanto le assurdità che era costretto a dire, ignorando che quei cosi zuccherosi ed appiccicaticci erano uno dei cibi spazzatura favoriti di Dean.

Quando quest’ultimo fece ritorno con un secchiello enorme di pop-corn ed un sacchetto quasi altrettanto grande colmo di orsetti colorati poterono finalmente entrare in sala, accomodandosi sulle poltroncine imbottite.

Durante i trailer prima dell’inizio del film Castiel, abbracciato come un koala al sacchettone di orsetti, si voltò ad osservare Dean, completamente rapito dall’anteprima di un film catastrofico con terremoti, robottoni, sparatorie, rocamboleschi inseguimenti automobilistici e alieni. Tutto nella stessa pellicola.
 
- Che c’è Cass? - domandò questi dopo qualche istante, rendendosi conto di avere gli occhi dell’altro puntati addosso.
 
- Niente. - mormorò il redattore stringendosi nelle spalle con aria timida e prendendogli la mano - Solo… il nostro secondo appuntamento ufficiale. -
 
Dean gliela strinse, sorridendo dolcemente.
 
- È così strano? -
 
- Bé… visto come tutto è iniziato… un po’, non credi? -

- Una parte di me ha sempre saputo che ti avrei rivisto… [4] - mormorò Dean, rispolverando l’atteggiamento strafottente della sera allo Sky Lounge e sporgendosi a sfiorare Castiel con un bacio a fior di labbra.
 
- Presuntuoso. - ridacchiò l’altro, arrossendo un po’ e ficcandogli in bocca un’orsetto per stemperare la tensione.

- Non sono affatto presuntuoso… come ti ho detto quando ci siamo conosciuti, sono solo uno che sa che cosa vuole… - gli sussurrò all’orecchio il pubblicitario - E ti voglio, Castiel Novak. Non immagini nemmeno quanto… - aggiunse poi, in tono sempre più basso, approfittando della vicinanza per succhiargli il lobo di un orecchio e del buio per posargli la mano sulla coscia e stringere, risalendo fino al cavallo dei pantaloni con una carezza che d’ingenuo non aveva proprio niente, dimenticando completamente la scommessa e tutto il resto, inebriato dal profumo del suo collo e da come lo faceva sentire anche solo averlo accanto nell’oscurità.
 
Castiel fu costretto a piantarsi le unghie nei palmi contando fino a dieci per mantenere la calma e non trascinarlo fuori da quella sala per i capelli, alla ricerca del primo stanzino disponibile.
 
Ok, era decisamente ora di rientrare in modalità Principessa Pazza, o se lo sarebbe fatto sotto i sedili di quel dannato cinema.
 
- Ehm… devi avere pazienza, amore… - farfugliò, spostando la mano di Dean dalla propria gamba e cercando di pensare a cose orribili, come Gabriel lasciato solo con una Red Velvet [5] o Balthazar che faceva sesso - Voglio… voglio che fra noi sia speciale, lo sai. In fondo non c’è nessuna fretta, abbiamo tutta la vita davanti, no? E io ti amo così tanto che sono disposto ad aspettare. - concluse, facendo violenza su se stesso per riuscire a sputare quelle due parole guardando l’altro negli occhi, senza scoppiare a ridere o morire di vergogna.
 
Come profetizzato da Balthazar, il secondo “ti amo” della giornata ebbe su Dean l’effetto di una secchiata d’acqua gelida, spegnendo istantaneamente ogni bollore e riportandolo alla realtà, anzi, alla realtà alternativa dove lui era un rispettoso e frustratissimo eunuco del cazzo, altrimenti conosciuto come Principe Azzurro.
 
Cercando di darsi un contegno e di arginare i danni che quella caduta di stile poteva aver causato al suo piano, balbettò delle scuse,  sperando ardentemente che almeno una delle personalità di Castiel abboccasse.
 
- Ti… ti chiedo perdono Cass… non so cosa mi sia preso. Ti giuro che di solito non sono così sfacciato… - mormorò, pentito - È che tu sei talmente bello che a volte perdo il controllo di me. Mi dispiace… anch’io voglio che sia speciale, tesoro, anche se confesso che non vedo l’ora che accada, spero che non mi giudicherai male per questo. - sussurrò quindi abbassando timidamente lo sguardo con un sorriso impertinente - Ma aspetterò. Aspetterò tutto il tempo che sarà necessario. Perché tengo a te. Moltissimo. -
 
Castiel lo fissò confuso per qualche istante.
Questa davvero non se l’aspettava. Ma da quale galassia era arrivato Dean? Era certo che il proprio continuo negarsi l’avrebbe mandato al manicomio, perché francamente non aveva l’aria di uno abituato ad essere respinto, e invece il giovane stava dimostrando una resistenza granitica.
 
Quel ragazzo era un vero, stoico, fottuto eroe del cavolo… accidenti a lui!
 
- Stai tranquillo ippopotamino, non potrei mai giudicare male il mio fidanzato, le tue parole sono… ehm, musica per le mie orecchie. Anch’io tengo moltissimo a te, sai? Non ti libererai tanto presto del tuo piccolo Cass! - trillò il redattore, in un tono che a Dean suonò come una velata minaccia.
 
- Non sai come questo mi turb... cioè, tranquillizzi, Cass. Non voglio che nulla rovini la nostra relazione. - bisbigliò, dandogli una serie di affettuosi colpetti sulla mano, mentre partivano i titoli di testa del film.
 
Per la prima mezz’ora, tutto fu perfetto: la pellicola era esilarante come sempre, i pop-corn deliziosi e Castiel quieto e silenzioso, occupato a divorare manciate di caramelle gommose.
 
Poi successe.
 
Il redattore posò dolcemente la testa sulla sua spalla, cercando di prendergli nuovamente la mano, ma Dean la ritrasse. Dopo un soddisfacente e brutale corpo a corpo con il secchiello dei pop-corn, infatti, si era impiastricciato fin quasi ai polsi, resistendo alla tentazione di pulirsi di nascosto nel trench di Castiel.
 
- Cass, no dai… - mormorò a bassa voce - Sono tutto appiccicoso di caramello, sporcherei anche te. Prometto che alla fine del primo tempo correrò a lavarmi le mani, ok? -
 
Castiel ebbe un’idea. Un’idea davvero pessima. E non per Dean.

Sospirò.
 
‘Un uomo deve fare quello che deve fare…’
 
- Ci penso io… - sussurrò, con uno sguardo che nella semioscurità Dean non riuscì a decifrare, afferrandogli lo stesso la mano e portandosela lentamente alla bocca.
 
Per poi leccarla.

Dean, preso del tutto alla sprovvista da un comportamento del genere, si ritrovò a trattenere il fiato soffocando un gemito, perché anche se non riusciva a vedere granché, sentire quello che Castiel gli stava facendo bastava. E avanzava.
 
Ma dove hai imparato a fare queste cose?’ si chiese, allibito, mentre l’altro leccava scrupolosamente ogni dito, lento e sensuale.
 
Quando poi ne prese in bocca un paio, iniziando a succhiarle piano ed avvolgendovi la lingua, così maledettamente morbida e calda, Dean rischiò seriamente un embolo per carenza di ossigeno.
E per l’imbarazzo, dal momento che era quasi sicuro che le manovre di Cass non fossero sfuggite agli spettatori della fila dietro alla loro, almeno a giudicare dalle risatine soffocate che sentiva provenire alle sue spalle.
 
Certo che ormai le proprie lentiggini brillassero nel buio e fossero visibili da Saturno, sfilò il più gentilmente possibile le dita dalle labbra soffici che ormai considerava ufficialmente armi, prima che la situazione degenerasse… ovvero prima di venire nei pantaloni.
 
- Ehm… grazie amore, sei stato davvero molto… uh… premuroso. Ora sono a posto, però. Godiamoci il film. - mormorò in preda all’imbarazzo e all’eccitazione, cercando di sembrare il più calmo possibile e ficcandosi la mano in tasca, fermamente intenzionato a non tirarla fuori mai più.
 
Castiel era esterrefatto. Già era riuscito a fare quello che aveva fatto unicamente perché si trovavano al buio, e comunque andando contro ogni fibra del proprio essere, ma che l’altro interpretasse la cosa come un atto di gentilezza e non come una porchissima avance (dandogli così modo di respingerlo per l’ennesima volta)… bè, era pura follia!
 
Dean non era arrabbiato, Dean non era arrapato… Dean non era niente di tutto ciò, era solo un esasperante ragazzo dei sogni che sembrava uscito da un collegio svizzero, romantico, educato e… e vaffanculo, ecco!
Restava solo un’ultima carta da giocare, anche se Castiel aveva sperato fino all’ultimo di non dover arrivare a tanto.
Consapevole che con tutta probabilità si sarebbe vergognato di ciò che stava per fare fino alla fine dei propri giorni, e che non avrebbe più potuto rimettere piede nel proprio cinema preferito, si prese qualche minuto prima di passare al piano B.
 
- A cosa pensi, amore? - sussurrò quindi all’orecchio di Dean, che nel mentre era tornato a concentrarsi sul film, cercando di ignorare la mostruosa erezione che gli pulsava nei pantaloni.
 
- A niente, Cass, seguo il film. -
 
E cerco di non pensare alla tua bocca intorno al mio coso…
 
- Non mentirmi, Dean. - replicò l’altro, improvvisamente duro, a voce un po’ più alta, generando un brontolio di protesta dalle persone attorno a loro.
 
- Ma non… non ti sto mentendo, che dici, tesoro? - tentò di placarlo Dean, voltandosi verso gli altri spettatori e sussurrando parole di scusa. Gli leggeva forse nel pensiero?
 
Castiel alzò ancora di più la voce.
 
- No, certo! Non stai mentendo… - sbottò, sarcastico - Avanti, lui chi è? -
 
- L-lui? Lui chi? - balbettò il pubblicitario, guardandosi attorno stralunato e incontrando solo gli sguardi astiosi di una decina di persone.
 
E sì, cominciando a sospettare seriamente che Castiel fosse bipolare.
 
- Oh, andiamo Dean! Credi che non lo sappia? Non è possibile passare un’ora a guardare quel manzo di Bradley Cooper senza pensare ad un altro! Forza, dimmi con chi mi tradisci e facciamola finita. - sbraitò Castiel, completamente alterato, guadagnandosi parecchi fischi dal resto del pubblico in sala e sperando con tutte le proprie forze che Dean sbottasse in fretta, in modo da poter schizzare via da quel luogo e non metterci mai più piede.
 
Invece a sbottare non fu Dean, ma il tizio seduto dietro di loro, che piantò una mano sulla spalla del redattore, scrollandolo senza tanti riguardi.
 
- Basta! - latrò - La volete finire con questo chiasso, stupide checche? Andate a litigare fuori! -
 
Castiel si voltò di scatto, inferocito, spargendo orsetti gommosi nel raggio di un metro.
 
- A chi hai dato dello stupido, sottospecie di bisonte? - ringhiò, senza minimamente curarsi della ragguardevole ampiezza  del tizio in questione.
 
- A te e a quella mezza sega del tuo fidanzato, che non ha nemmeno il coraggio di voltarsi. -
 
- Come cazzo ti permetti? - sbraitò il redattore, la testa ormai voltata di 180° come nell’Esorcista - Adesso quella mezza sega del mio ragazzo viene lì dietro e ti fa un culo così, stronzo! -
 
‘Oh, sì.’ pensò Dean, annuendo rassegnato ‘Castiel è decisamente, inequivocabilmente, tragicamente bipolare…’
 
Quando infine, costretto dalle circostanze, si voltò per ribattere al cafone che stava prendendo a male parole il suo ragazzo bipolare, si trovò di fronte un energumeno delle dimensioni di un Golem [6], anche se l’unico Golem che avesse mai visto si trovava in uno dei volumi sull’ebraismo che usava per occultare la collezione di Casa Erotica.
E questo qui, nello specifico, invece di rigurgitare rotolini di pergamena o simili, stava sputacchiando residui di pop-corn mentre inveiva contro Castiel, tanto da attirare l’attenzione della maschera del cinema, che li invitò poco gentilmente a risolvere le loro divergenze lontano dalla sala proiezioni, sbattendoli fuori senza tante cerimonie.
 
Una volta nell’atrio Dean, calcolata ad occhio e croce la stazza del simpatico troglodita e deciso dopo un rapido raffronto con quella di suo fratello Sammy, che al confronto sembrava un nano rachitico, che non era proprio il caso di attaccar briga, optò una soluzione pacifica ma soprattutto indolore.
 
- Ehi, amico, cerchiamo di comportarci da persone civili… c’è stato chiaramente un malinteso… - accennò, facendosi incontro a King Kong con le mani sollevate in segno di resa ed il suo miglior sorriso, mentre Castiel, allarmato, gli sbraitava di non avvicinarsi e darsela a gambe.
 
- Dean! Andiamocene! Non vorrai mica fare a botte con quello? È il triplo di te! -
 
- Cass, smettila… - sibilò Dean, voltandosi verso il giornalista - Ora, io ed il signore, risolveremo la questione come due gentiluomini, non c’è bisogno di agitarsi tanto, vero sign-
 
Ma non terminò mai la frase.
 
Il signore in questione, dopo un grugnito che in golemese probabilmente stava a significare «mi permetto di dissentire», aveva centrato Dean con un gigantesco pugno assestato in pieno viso, mandandolo al tappeto, osservandolo per qualche istante riverso e terra privo di sensi per poi voltarsi e fare ritorno in sala borbottando.
 
Castiel, che era rimasto in disparte, dopo un paio di secondi di paralisi dovuti allo shock si precipitò verso Dean, inginocchiandosi a terra e posandosi in grembo la testa di quest’ultimo così da sorreggerla.
 
- Dean! Dean, oh mio Dio, stai bene? Dean, rispondimi, ti prego… - mormorò in preda al panico, osservando con crescente apprensione il labbro spaccato ed il naso sanguinante dell’altro, accarezzandogli i capelli e la parte integra del viso, senza sapere che altro fare.
 
Dopo qualche secondo, Dean socchiuse gli occhi ed accennò un sorrisetto rassicurante, che si trasformò ben presto in una smorfia di dolore.
 
- Sono… sono morto? Sono morto e sono in Paradiso? Tu… sei un angelo? - domandò con un filo di voce, alzando una mano fino a sfiorare il volto preoccupato di Castiel.
 
- Dean, ti scongiuro, dimmi che stai scherzando… -
 
L’altro sorrise debolmente, per quanto glielo permetteva il dolore che sembrava stritolargli il viso in una morsa.
 
- Sto… sto bene Cass… il pugno di quel tizio, in compenso, dev’essersi fatto malissimo. Picchia come una ragazzina… -
 
‘Una ragazzina alta due metri e larga come un pulmino.’
 
- Oh, Dean, mi dispiace così tanto! Sono mortificato, io… è stata solo colpa mia… vuoi andare al pronto soccorso? - farfugliò Castiel, angosciato nonostante le rassicurazioni del compagno.
 
- No, no, è solo un graffietto… - sdrammatizzò Dean, tastandosi cautamente il labbro, mentre Castiel trafficava nelle tasche del trench, recuperando un fazzoletto pulito e tamponandogli delicatamente il naso contuso.
 
- Quest’epistassi non mi piace, Dean, avrebbe già dovuto smettere… - mormorò il redattore, constatando che l’emorragia, seppur lieve, non accennava ad arrestarsi.
 
- Epi-che? -
 
- Epistassi. Sangue dal naso. - chiarì l’altro, continuando a carezzargli i capelli e a tenere il fazzoletto delicatamente premuto sul suo viso.
 
- Uhm, Mister Dizionario, invece di sciorinare paroloni, che ne diresti di darmi una mano a rimettermi in piedi? – domandò stancamente Dean, rendendosi improvvisamente conto di essere sdraiato nel bel mezzo dell’atrio di un cinema, sanguinante e un po’ intontito, intento a godersi le coccole preoccupate di un altro uomo, sotto lo sguardo curioso di un paio di addetti alla biglietteria.
 
Castiel non se lo fece ripetere due volte, e si accinse ad alzarsi, passando un braccio dietro alla schiena di Dean ed aiutandolo a risollevarsi, tempestandolo contemporaneamente di domande.

- Allora? Come va? Ti gira la testa? Vedi delle macchie nere? Hai la nausea? Quante sono queste? - domandò, agitando le dita davanti al naso dell’altro, velocissime.
 
- No, niente macchie, ma se non smetti di sventolare quelle dita, la nausea me la farai venire tu… - rispose Dean, più brusco di quanto in realtà non volesse essere.
 
- Oh. Le mie scuse. - mormorò Castiel, avvilito, gli occhi colmi di dispiacere - Avevo paura che avessi battuto la testa… -
 
Dean s’intenerì, di fronte a quello sguardo abbacchiato.
 
- Dai Cass, era solo una battuta… sto bene, non ti devi preoccupare, però… se non ti spiace, ora vorrei andare a casa. - disse, pacato, caracollando verso le porte girevoli che davano verso l’esterno.
 
- Stai scherzando, vero? - chiese Castiel, restandogli al fianco e continuando a sorreggerlo.
 
- Perché? -
 
- Sarei un vero incosciente se ti permettessi di salire sulla moto in quelle condizioni, potresti avere un trauma cranico! E poi non è opportuno che resti da solo, stanotte. -
 
Dean l’osservò, cercando di capire dove cercasse di andare a parare.
 
- Stanotte resti a casa mia, senza se e senza ma. - dichiarò l’altro in un tono che non ammetteva repliche.
 
- O-ok, resta pure con me per tenermi d’occhio, ma perché non possiamo andare a casa mia? - domandò Dean, evidentemente restio all’idea di abbandonare il proprio familiare terreno di gioco.
 
 - Casa mia è a pochi isolati da qui, ed è meglio che ti sdrai al più presto, tu abiti troppo lontano. - spiegò il giovane, prendendo in mano la situazione e sporgendosi oltre il marciapiede con un braccio alzato, in cerca di un taxi.
 
Dopo un paio di minuti, un’auto si arrestò di fronte a loro e il redattore vi caricò di peso Dean che, ancora leggermente stordito, non oppose molta resistenza.
 
Il giovane era realmente costernato per l’accaduto, e nell’osservare Dean con la testa poggiata al finestrino, ad occhi chiusi e col viso tirato, si sentì davvero uno schifo per il pasticcio che aveva causato.
 
Nel giro di pochi minuti, il taxi si arrestò sotto il palazzo di Castiel, e in breve tempo questi riuscì a sospingere l’altro su per le scale fino alla propria porta di casa, che aprì il più in fretta possibile.
 
Dopo aver depositato sul divano un recalcitrante Dean che non faceva che lamentarsi e ripetere che non aveva affatto bisogno di cure, lo baciò teneramente sulla fronte e si allontanò, abbandonandolo giusto il tempo necessario a recuperare l’occorrente per medicarlo, dandogli così modo di guardarsi attorno.
 
L’appartamento era di dimensioni modeste, rispetto al suo lussuoso loft,  ma vi si respirava un’atmosfera completamente diversa: i mobili erano tutti il legno chiaro, lasciato al naturale, e visto il poco spazio utile persino per sedersi l’intera casa era disseminata di superfici soffici dove potersi accampare: tappeti folti e morbidi, grossi cuscini sparsi a terra accanto all’unico divano e una poltrona sacco che aveva l’aria di essere una trappola mortale.
 
- Dean, ti porto una maglietta pulita? - urlò Castiel dal bagno, trafficando nel piccolo armadietto dei medicinali.
 
- No, non disturbarti, finchè sanguino meglio che tenga quella che ho addosso! - gli gridò Dean di rimando, continuando a perlustrare l’ambiente con lo sguardo.
 
Nell’insieme, nonostante l’apparenza caotica dovuta allo spazio ristretto, stabilì che la casa era davvero carina, piena di oggetti bizzarri e colorati che s’intonavano perfettamente alla personalità di Cass.
 
Dopo pochi secondi il padrone di casa fece ritorno in soggiorno, e non appena Dean notò che stringeva tra le mani una pezzuola, del cotone e una familiare bottiglietta, istintivamente incassò la testa tra le spalle in atteggiamento di difesa.
 
- Cass guarda che non c’è bisogno di darsi tanta pena, sto bene, te l’assicuro. - dichiarò - È acqua ossigenata, quella? - chiese poi con aria noncurante.
 
Castiel lo squadrò con sospetto, mentre si sedeva di fronte a lui sul tavolino, invertendo le rispettive posizioni rispetto all’ultima volta in cui si erano trovati in una circostanza simile.
 
- Sì, perché? -
 
- No… niente… curiosità. - replicò Dean arretrando, scivolando sui cuscini fino ad aderire completamente allo schienale del divano, sottraendosi al contatto e fissando l’altro ad occhi spalancati - Però non serve, sul serio. Sono un uomo. - spiegò, come se questa dichiarazione fugasse ogni dubbio sull’inutilità delle cure di Castiel.
 
- Certo. Un uomo che, se non si fa medicare, fra un paio di giorni avrà bisogno di un’antitetanica… Dean, andiamo, hai un taglio sul labbro e questo eviterà che s’infetti. Con il sangue non riesco nemmeno a vedere se è profondo. Non vorrai mica dirmi che hai paura di un po’ di bruciore? - mormorò Castiel, sorridendo rassicurante e scostandogli i capelli dalla fronte con un gesto che si trasformò subito nell’ennesima carezza, avvicinando contemporaneamente il cotone al viso dell’altro.
 
Dean si appallottolò ancora di più. Ma non poteva certo confessare che, in realtà, erano tutte le premure di Castiel ad intimorirlo, e non certo il disinfettante. Non era abituato ad essere trattato con tanta dolcezza e attenzione e si sentiva stranamente vulnerabile quando lo lasciava fare.
Era tutta colpa delle carezze, ecco.
Quelle dannate carezze con cui lo sfiorava in continuazione… talvolta ingenue, altre consapevoli, appena accennate o lente e intenzionali… un contatto caldo e innocente che ogni volta sbriciolava un pezzetto del suo cuore, facendogli desiderare che si protraesse all’infinito e che quelle mani gentili non si staccassero più da lui.
 
Quarantott’ore con un giornalista chiaramente disturbato, ed eccolo qui: Dean Winchester, un drogato di coccole.
 
Castiel sollevò un sopracciglio nell’osservare l’altro inglobarsi tra i cuscini del divano, indeciso se lasciar perdere cedendo alla tenerezza di quel comportamento assurdamente infantile oppure tener duro… infine sbuffò, spazientito. A mali estremi, estremi rimedi.
 
Sì sollevò dal tavolino e, senza concedere a Dean il tempo di reagire e sgusciare via, si sedette a cavalcioni su di lui, annullando la distanza di sicurezza che l’altro aveva messo tra loro e allo stesso tempo immobilizzandolo.
 
- Cass? Cass, che fai? - chiese Dean, incerto, sperando con tutte le sue forze che quella fosse una rude avance e non un’altra coccola che non sapeva assolutamente gestire.
 
- Medico un moccioso che fa i capricci. - rispose Castiel, accarezzandogli di nuovo il viso con la mano libera, facendogli rialzare il mento in modo da avere maggior visuale e sfiorando il taglio, delicato come una piuma, con il cotone imbevuto di disinfettante.
 
Dean trattenne il fiato, ma non sentì assolutamente nulla se non i tocchi leggeri di Castiel, a cui si abbandonò ad occhi chiusi per qualche secondo, fino a che l’altro non ebbe terminato col disinfettante, posando il cotone e recuperando la pezzuola umida dal tavolino per passarla sul suo viso, là dove il sangue si era rappreso e seccato.
 
- Ok, Dean… - mormorò dolcemente prendendogli il volto tra le mani, per esaminare i danni, e lasciandole poi scivolare tra i suoi capelli - … La notizia buona è che non morirai. Il taglio è superficiale e non credo proprio che servano punti, anzi, sì è già quasi richiuso. La cattiva è che stanotte potrebbe farti un po’ male e il naso potrebbe riprendere a sanguinare. In fondo ti sei preso un bel pugno, sarebbe meglio che buttassi giù un antidolorifico o qualcosa di simile e ti facessi una bella dormita. - suggerì, grattandogli dolcemente la nuca con la punta dei polpastrelli.
 
- Mh-mhh. -
 
 - Allora… è stato così terribile? - sussurrò il redattore ad un soffio dal suo viso, con la testa inclinata in quel bizzarro modo che Dean ormai associava esclusivamente a lui, sollevandogli di nuovo il mento con la mano e chinandosi poi a baciarlo con attenzione, senza premere sul labbro ferito.
 
Dean emise qualcosa che stava tra un sospiro e un mugolio di piacere.
 
- No… Dottor Sexy. - ammise, ridacchiando appena, facendo attenzione a non stirare troppo le labbra per non riaprire la ferita.
 
- Chi è il Dottor Sexy? - domandò Castiel confuso, senza allontanarsi.
 
- Nessuno… - replicò sbrigativamente l’altro, protendendosi per ristabilire il contatto - Tu sei molto più bravo di lui. E molto più bello… - sussurrò, allungando le mani fino a cingergli la schiena, tirandoselo addosso.
 
- Dean, il labbro… - protestò debolmente quest’ultimo.

- Chi se ne frega… al massimo dopo giocheremo un altro po’ al dottore… - mormorò l’altro, seducente, catturando di nuovo le sue labbra tra le proprie.
 
Castiel avvertì sulle labbra il vago retrogusto metallico del sangue, subito sostituito dalla sensazione bollente della lingua di Dean, e quando sentì le sue mani scivolargli lungo la schiena fino a posarsi sul suo sedere, accarezzandolo senza alcun imbarazzo, il redattore realizzò finalmente di trovarsi in una posizione alquanto compromettente.
 
Letteralmente.
 
Compromettente, certo, ma anche innegabilmente confortevole… nonché disdicevole, proibita e potenzialmente fatale per il proprio self control.
Baciare Dean era una droga pericolosa che ti portava a desiderare sempre di più, e non era affatto semplice staccarsi da lui senza motivazioni valide o aiuti esterni.
 
Tipo una camicia di forza e due energumeni che ti trascinano via di peso.

- Dean, aspetta… - mormorò, facendosi forza ed accennando ad allontanarsi, ma l’altro fu più veloce e l’afferrò per i polsi, prendendogli le mani e posandole con decisione sulle proprie spalle.
 
- Cass, no, non scappare… - pregò, e il redattore sentì crollare in un istante tutte le proprie difese.
 
- Non… non sto scappando. È solo… -
 
- Solo cosa? - domandò Dean, con quella voce pornografica che riduceva i neuroni di Castiel in glitter - Non c’è niente al mondo più importante di questo, ora… -
 
- Io… -
 
- Tu ora stai zitto e mi baci. Adesso. -
 
- Ma-
 
- Baciami. - ordinò, con un tono che non ammetteva repliche e quei suoi maledetti occhi trasparenti che osservavano Castiel da sotto in su, autoritari e allo stesso tempo incredibilmente innocenti.
 
L’altro non tentò più di controbattere, sapeva che ormai la partita era persa. Si sentiva terribilmente in colpa per tutto quello che era successo e, semplicemente, non aveva la forza per opporsi a… a questo. Game over.
 
Inclinò il viso, chinandosi di nuovo su Dean e premendo piano le proprie labbra sulle sue.
 
- … Così? - sussurrò lentamente, ad occhi socchiusi, senza staccarsi troppo da lui.
 
- Sì… - sussurrò a sua volta Dean, direttamente sulle sue labbra, sporgendosi alla ricerca d’un contatto meno impercettibile, leccandogli il labbro superiore e mordicchiandolo appena, ricevendo in risposta un identico trattamento.
 
- … Così? - chiese ancora Castiel, scostandosi di qualche millimetro, stavolta con le labbra arrossate e umide della saliva di Dean.
 
- Di più… - mormorò roco l’altro, prima di tirarselo contro senza tante cerimonie, piantandogli una mano sulla nuca e l’altra sulla schiena - Dio che cosa sei, Cass… - ansimò, strattonandogli gentilmente i capelli e facendogli reclinare all’indietro il collo, di cui assaporò ogni millimetro, risalendo nuovamente fino alle labbra da cui non riusciva a stare lontano troppo a lungo.
 
Si baciarono affannosamente per un tempo imprecisato, impazienti e caotici come due adolescenti alla prima pomiciata, e mentre la lingua di Dean svelava ogni segreto delle labbra di Castiel, le mani di quest’ultimo si aggrappavano possessive alle sue spalle, cedendo ad un istinto che trascendeva dovere, regole e qualsiasi logica.
 
Tutto ciò che Castiel nemmeno sapeva di aver sempre desiderato si trovava sotto di lui, e lo reclamava con la sua stessa intensità.
In breve tempo si ritrovarono a muoversi uno contro l’altro, lenti e sinuosi, godendo della fantastica frizione generata dal movimento, nonostante la barriera di tessuto a dividerli.
 
Dean insinuò le mani sotto il prezioso maglione di Castiel, tirandolo verso l’alto.
 
- Levati quest’affare… - ringhiò, sfilandolo e lanciandolo lontano, ammirando finalmente la pelle liscia e leggermente abbronzata dell’altro, pronta a ricevere le sue carezze, i suoi morsi, la sua lingua…
 
Gli occhi di Castiel si erano fatti incredibilmente scuri ora, liquidi, quasi febbricitanti, e fissavano Dean in un modo difficile da equivocare.
Lo voleva.
Lo voleva quanto lui, e vederlo così, ondeggiare a cavalcioni del suo uccello con la testa reclinata all’indietro, i capelli appiccicati alla fronte e le labbra socchiuse, gemendo piano ogni volta che le loro erezioni si sfioravano, era una delle visioni più eccitanti che gli fossero mai capitate.
 
Disperatamente eccitante, sì, e Dean non vedeva l’ora di sfilargli anche quei dannati pantaloni, ma doveva riuscire a farlo in maniera principesca, rammentò in uno sprazzo di lucidità, senza dare a Castiel l’impressione di essere un maniaco.
 
Attirandolo nuovamente a sé per risalire languidamente con le labbra lungo quel collo sottile, iniziò a slacciargli la cintura perché davvero, se non l’avesse toccato sarebbe impazzito.
 
- Dean… - ansimò Castiel, senza controllo, senza la più pallida idea di come tirarsi fuori da quella situazione ma soprattutto senza volerlo sul serio. Sentiva le proprie convinzioni venir meno ad ogni secondo che passava, e la lingua di Dean che lambiva il suo orecchio non era affatto d’aiuto.
 
- Dimmi cosa vuoi, Cass. Dimmi cosa desideri, e io lo farò… - sussurrò l’altro, roco, sfiorandogli il lobo con le labbra ad ogni parola - Ti darò tutto ciò che vuoi… - mormorò ancora, dopo essere riuscito a sbottonare anche i jeans ed aver posato la mano sull’elastico dei suoi boxer, accarezzandogli l’addome col pollice.
 
Castiel, con uno sforzo di concentrazione tanto intenso da farsi venire un aneurisma e facendo appello a tutto il proprio autocontrollo, lo accontentò.
 
- Dean… ci serve un Tampax. - mormorò.
 
‘Ok. Di giochini erotici mi sono sempre considerato piuttosto esperto, ma questo è decisamente fuori dalla mia portata…’ pensò Dean, confuso.
 
- Non… non sono sicuro d’aver capito. - farfugliò, stranito, scostandosi appena per riuscire a guardare l’altro negli occhi.
 
- Il tuo naso ha ripreso a sanguinare… - gli fece notare Castiel.
 
Dean si tastò con cautela poco sopra il labbro superiore, osservando smarrito le dita macchiate di sangue.
 
- E… e quindi? -
 
- E quindi occorre un Tampax. È un trucco che usano i medici sportivi per fermare in fretta le emorragie, l’ho visto in tv. - spiegò il giornalista in tono improvvisamente pratico, alzandosi e riabbottonando frettolosamente i pantaloni per poi dirigersi nuovamente in bagno, tornando dopo qualche istante con due piccoli tamponi tra le mani.
 
Dean trattenne involontariamente il fiato nell’osservarlo avvicinarsi, mentre ogni residua traccia d’eccitazione migrava in una galassia lontana lontana.
 
 - Ehi, guarda, sei davvero fortunato! Lo scorso mese Anna, una mia vecchia compagna di college, è stata mia ospite per qualche giorno e deve averli lasciati qui! - spiegò, sedendosi nuovamente sul tavolino ed iniziando a scartarli sotto lo sguardo atterrito di Dean, che si schiacciò di nuovo contro lo schienale del divano.
 
- No… Cass, no. Quegli affari non toccheranno il mio naso, né ora, né mai. - dichiarò risoluto.
 
Castiel non lo degnò della minima considerazione, avvicinandosi con fare minaccioso e prendendogli il mento con una mano - Non fare il bambino, Deanuccio, ne abbiamo già parlato. E poi guarda, sono quelli mini! Il Dottor Sexy non cercherebbe mai di ficcarti un wurstel nel naso, giusto? - disse in tono rassicurante, mentre contemporaneamente infilava un tamponcino nella narice di Dean che iniziò a scrollare la testa, infastidito.

Il redattore però non gli diede modo di reagire, e sopraffacendolo col vantaggio della sorpresa inserì velocemente anche l’altro tampone nel naso martoriato.
 
- Eeeeeecco fatto! Così dovresti essere a posto per la notte. Sai, sembri un po’ un pescegatto, con quei due fili che ti penzolano sotto il naso… - commentò Castiel ridacchiando appena, ammirando a braccia conserte il proprio operato.
 
Dean non mosse un muscolo, troppo concentrato a cercare di osservare la propria lentigginosa appendice farcita come un tacchino il giorno del Ringraziamento senza diventare strabico, quindi sospirò stancamente, scorrendo più in basso con lo sguardo fino alla propria t-shirt preferita, irrimediabilmente sbrodolata di sangue secco.
 
- Cass, pedso che accetteò quella baglietta, ora. - biascicò sconsolato, senza sapere che quelle poche parole l’avrebbero precipitato in una spirale di follia.


 
 
[1] Omonimo pezzo dei Mötley Crüe.
 
[2] Dalla colonna sonora della 8X17, per l’appunto “Goodbye Stranger”.
 
[3] Al contrario di Dean, noi le commedie romantiche le amiamo (o non stareste leggendo queste righe), perciò se “Il matrimonio del mio migliore amico” a suo tempo vi ha divertite… “I say a little prayer for you” di Aniel (♥) vi divertirà ancora di più!
 
[4] Ho liberamente parafrasato quel “part of me always believed you'd come back” tagliato dalla 7x17 (rosica rosica rosica). Bastardi, mi avete privata del mio momento destiel! >_<
 
[5] tipico dolce americano a strati, originario del Sud, particolarmente ricco e morbido, viene chiamato red velvet per la sua consistenza e per il suo colore rosso intenso.
 
[6] Citazione dalla 8x13, Everybody Hates Hitler.
 

NDA: Per farmi perdonare del ritardo mostruoso con cui ho aggiornato il capitolo precedente, ecco quello nuovo, bello corposo in tempi accettabili!
Sono o non sono stata brava?
Grazie come sempre a tutte quelle che seguono, ricordano, preferiscono, recensiscono o inciampano in questa storia per sbaglio! Dean verrà personalmente a casa vostra a consegnarvi delle torte. ^___^

 

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Capitolo 9
*** LIFE’S A BITCH ***


LIFE’S A BITCH [1]


 
“Take me, take me
Hold me in your arms
Save me, save me
All I need is your love
 
Take me, take me
Hold me in your arms
Save me, save me
All I need is your love
 
Wake me, wake me
Hold me in your arms
Don’t break me, don’t break me
I just need a place in your heart”
 
(Hold me in your arms – Helloween)
 
 
 
GIORNO TRE, ore 23.41, appartamento di Castiel.
 
 
 
‘Dev’essere uno dei miei soliti incubi. Per forza. Un lungo, strano, articolato incubo. Non c’è altra spiegazione…’ pensò Dean, saldamente aggrappato con entrambe le mani al bordo del lavandino come se fosse l’unica cosa in grado di tenerlo in piedi, fissando sconsolato l’immagine che gli rimandava lo specchio del minuscolo bagno di Castiel e sentendosi umiliato come non mai, domandandosi in quale momento preciso fosse passato da sesso a… bé… fesso.
 
- Volevi essere come il fottuto Principe Azzurro, Dean? Eccoti accontentato… magari non sarai un principe, anche se compenso stai diventando indubbiamente azzurro… - mormorò a bassa voce, biasimando se stesso e tirando verso il basso l’orlo della maglietta color cielo, per esaminare ancora una volta la stampa che aveva sul petto - … e una cosa è sicura: sei fottuto. - concluse, lapidario, facendo le smorfie all’orsetto che lo fissava con occhi vuoti nel riflesso dello specchio e cercando di non badare ai due fili di cotone che fuoriuscivano dalle sue narici sul punto di esplodere.
 
- Così impari a stare zitto… - borbottò infine alla propria immagine riflessa.
 
La situazione era precipitata nell’istante in cui aveva avuto la malaugurata idea di chiedere in prestito a Castiel una maglietta per la notte… gli occhi dell’altro avevano preso a brillare d’una luce che poteva definirsi solo come malevola, e invece di recarsi a recuperarne una in camera da letto come sarebbe stato lecito aspettarsi, era corso all’ingresso, frugando nella cartella da lavoro ed estraendone un pacchetto morbido.
 
- Tesoro, questa è davvero la tua serata fortunata! - aveva esclamato, porgendoglielo con un sorriso a trentadue denti - Oggi in pausa non ho resistito e ti ho preso un regalino… in realtà avevo pensato di dartelo per festeggiare una data importante, tipo il nostro primo settimanaversario, ma viste le circostanze direi che casca proprio a fagiolo… su, che aspetti coniglietto? Aprilo! -
 
Dean aveva strappato la carta dell’involto con lentezza, pervaso da un vago senso d’inquietudine, e ne aveva estratto due t- shirt celesti, piegate con cura e all’apparenza identiche. Castiel subito gliene aveva strappata una di mano, aprendola completamente e sollevandogliela davanti agli occhi.
 
- Allora? Ti piace? - aveva chiesto, euforico, scuotendola leggermente come il drappo di un torero per attirare l’attenzione di Dean, che la fissava inebetito - Naturalmente non sono entrambe tue, lucertolino: questa è per me, così potremo uscire vestiti uguali uguali come una perfetta coppia innamorata! - trillò.
 
‘Ok, che razza di pervertito può comprare cose del genere? E che razza di negozio le vende? La Boutique del Pedofilo?’ pensò Dean, fissando stranito l’orsetto con espressione da eroinomane che campeggiava in mezzo alla maglietta, per non parlare dell’enorme scritta “I WUV HUGZ” che faceva bella mostra di sé sul pancino del suddetto orso [2].
 
Castiel richiamò la sua attenzione, schioccando le dita davanti ai suoi occhi.
 
- Dean! Ehi, ci sei? -
 
- Sì, sì, scusa Cass, stavo ammirando la… la… ehm, la qualità della stampa. I colori sono molto, uh, brillanti. -
 
- Quindi ti piace? - domandò il redattore con occhi speranzosi, aspettandosi da un momento all’altro una fuga scomposta e complimentandosi con se stesso per quella trovata così cheap.
 
- Ma… ma certo! La trovo così… ehm… tenera. È stato veramente un bel pensiero Cass, ti ringrazio tanto. Mi spiace solo di non poter ricambiare… ma mi rifarò, te lo prometto amore. - mormorò Dean, stringendosi la maglia al petto e sporgendosi a baciare un attonito Castiel sulla guancia.
 
Preso del tutto in contropiede e senza sapere come replicare ad una reazione tanto inaspettata, quest’ultimo non trovò nulla di meglio da fare se non sedersi di fronte a Dean, levargli la maglietta dalle mani e afferrare il bordo di quella che ancora stava indossando, tirandolo verso l’alto. Questi alzò le braccia, collaborativo, lasciandolo fare e permettendogli di aiutarlo a sfilarla.
 
- Forza campione, è ora di levarsi questa brutta maglia sporca e di indossare la t-shirt dell’amore! - cinguettò il redattore, tentando d’infondere alle proprie parole un entusiasmo che non stava affatto provando e al contempo provando ad ignorare l’ampio petto nudo dell’altro, deliziosamente abbronzato e lentigginoso, concentrandosi su qualsiasi altra cosa tipo… oh.
 
- Dean, cos’è quello? - chiese, improvvisamente gelido.
 
Dean lo guardò senza capire, spiazzato dall’ennesimo, repentino cambiamento d’umore.
 
- Quello? Quello che? -
 
- Quello sgorbio nero sulla tua clavicola. - precisò Castiel sforzandosi d’apparire disgustato e indicando il simbolo, un pentacolo racchiuso da un sole fiammeggiante, che Dean sfoggiava poco sopra il pettorale sinistro.
 
- Oh, questo… è un tatuaggio. -
 
‘Sì, lo vedo anch’io che quello è un maledetto, sexy, arrapantissimo tatuaggio, come se ti servisse qualcos’altro per renderti ancora più eccitante di quello che già sei…’ ringhiò tra sé e sé il redattore, provando a restare impassibile di fronte ai tratti scuri che decoravano la pelle perfetta di Dean e resistendo all’impulso di allungare una mano e toccarli.
 
- Bé, quello l’avevo notato. Ma che significa? Oddio… Dean… sei un adoratore di Satana? - chiese invece con aria sospettosa, improvvisando lì per lì e ritraendosi leggermente con espressione allarmata, relegando in un angolino della propria mente la voglia di leccare quella stella fino a consumarla.
 
- Cos-? Satana? M-ma no, che dici Cass? - balbettò l’altro, disorientato.
 
- Ok, allora fai forse parte di qualche strana setta? Tipo i Figli del Divino Amore? - domandò allora il redattore, in tono vagamente accusatorio - Mi ci vedo già, sperduto in qualche campo dell’Iowa, vestito di canapa, a coltivare barbabietole e tessere sarapes in attesa che un essere superiore ci porti tutti su un altro piano d’esistenza… -
 
- Cass, sei impazzito? Non voglio portarti in Iowa a coltivare un bel niente, e non sto nemmeno cercando di aprire i cancelli dell’Inferno! E poi cosa… cosa cavolo sono i sarapes? Si tratta di una cosa che ho fatto all’addio al celibato di Sammy, e lui se n’è fatto uno identico, è… è  un affare di famiglia. - borbottò Dean, di colpo a disagio, chiedendosi perché diavolo Castiel non potesse semplicemente essere la soffice, dolce, eccitante creatura che l’aveva baciato come se non ci fosse un domani fino a pochi minuti prima, senza l’ingombrante bonus del suo alter-ego psicotico.
 
Gli occhi dell’alter-ego psicotico si assottigliarono, riducendosi a due fessure blu che squadrarono Dean con diffidenza.
 
- Che intendi con “affare di famiglia”? -
 
- Quando mio padre era di stanza nei Marines, sia lui che tutti i membri della sua unità se ne fecero uno identico. Era sicuramente un modo per rafforzare l’unità della squadra, certo, ma lui sostiene che rappresentasse anche un simbolo di protezione, una specie di portafortuna che ha salvato il culo a tutti quanti, laggiù in Vietnam. Così, quando Sammy ha deciso di sposarsi, facendo prendere alle nostre vite strade definitivamente diverse, abbiamo deciso di tatuarci quello stesso simbolo, per ricordare il legame che unisce entrambi, che ci unisce a nostro padre, e perché rammenti che io lo proteggerò sempre, come facevo quando era piccolo… - spiegò Dean con semplicità e una punta d’imbarazzo - So che sembra una cazzata, ma per me conta moltissimo… -
 
- Non sembra affatto una cazzata, Dean. - lo interruppe Castiel, tornando di punto in bianco mite, toccato ancora una volta nel profondo dall’amore sconfinato che Dean nutriva per la propria famiglia e per il fratello, dimenticandosi completamente di rientrare nella parte - Almeno… almeno una volta nella vita, vorrei sapere cosa si prova ad avere un legame così profondo con qualcuno, ad essere così certi di quello che si prova da avere il fegato di marchiarselo a fuoco sulla pelle… - mormorò sottovoce, quasi tra sé e sé, accostando una mano al petto di Dean fino a sfiorare il tatuaggio con la punta delle dita, seguendone lentamente i contorni con deferenza, come se stesse toccando una reliquia - Mi dispiace tanto, non volevo essere così… - ‘Pazzo? Irrispettoso? Stupido?’ - … sgarbato. Ora che so cosa rappresenta mi sento un completo idiota. E non è vero che è uno sgorbio, perdonami, certe volte non so davvero quello che dico… - disse, rammaricato, protendendosi in avanti e poggiando con dolcezza le labbra sul punto che poco prima i polpastrelli stavano accarezzando.
 
Dean osservò impietrito l’espressione grave di Castiel, le lunghe ciglia abbassate, le labbra morbide che lambivano la sua pelle, stringendo tra le mani i cuscini del divano e imponendosi di non prenderlo tra le braccia.
 
A volte sembrava così… indifeso.
Così solo.
 
- Scusa… - sussurrò l’altro in un soffio, rialzando due enormi occhi lucidi e insensatamente blu su Dean, che sbatté sorpreso le palpebre, tanto da scordarsi di respirare per qualche secondo, mentre qualcosa d’indefinito si aggrovigliava nel suo stomaco.
 
- Io… non… non importa, Cass, non mi sono offeso! Ora… ora credo che andrò in bagno a darmi una sciacquata, ok? Così poi potrò mettere la tua bellissima maglietta! - farfugliò, alzandosi frettolosamente e dileguandosi in bagno con il cuore in gola e la t-shirt tra le mani, sbattendosi la porta alle spalle e appoggiandovisi contro, lasciandosi poi scivolare lentamente fino a terra.
 
‘Ma che… che diavolo? Dean, cosa ti prende?’ si domandò, in preda ad una sensazione destabilizzante, posando istintivamente una mano sul punto che Castiel aveva baciato e di conseguenza sopra il proprio cuore, che non ne voleva proprio sapere di decelerare.
 
‘Ok, sto impazzendo anch’io, Castiel deve avermi contagiato.’ decretò infine, cercando di darsi una calmata e di regolarizzare il respiro, stentando a capacitarsi di quanto il redattore avesse il potere di fargli saltare i nervi e allo stesso tempo di suscitare in lui una tale tenerezza.
 
Cioè, non proprio tenerezza… una maschia e virile empatia, ecco.
 
Che inoltre era del tutto fuori luogo, visto che essenzialmente la storia fra lui e Castiel si riduceva ad una questione di lavoro.
Già. Lavoro. Solo ed esclusivamente lavoro.
Dean se lo ripeté mentalmente più e più volte, confidando nel potere dell’autosuggestione.
 
Dopo alcuni minuti, consapevole di non poter passare il resto della serata barricato lì dentro - anche se la tentazione era forte - si rialzò a fatica dal pavimento per raggiungere il lavandino, sciacquando via gli ultimi residui di sangue secco dalla propria pelle e, almeno così sperava, anche le proprie incertezze, mentre una petulante vocina in un remoto angolo del suo cervello continuava a chiedersi se davvero era solo per dedizione al lavoro che stava sopportando tutta quella follia.
 
Quando dopo un lasso di tempo vergognosamente lungo uscì dal bagno, indossando l’infame maglietta, trovò Castiel intento ad approntare un letto di fortuna sul divano con indosso la t-shirt gemella e un paio di morbidi pantaloni di cotone.
Che tra parentesi gli facevano un culo da paura… non che ci avesse fatto caso, beninteso, ma era proprio lì in bella vista.
 
- Che stai facendo? - chiese.
 
- Mi preparo la branda per la notte, sergente! - scherzò l’altro, dispiegando una coperta e stendendola a coprire le lenzuola già rimboccate sotto i cuscini.
 
- Ma… perché? - domandò Dean, apertamente sorpreso - Non dormi con me? -
 
Castiel lo guardò e arrossì, evidentemente in imbarazzo.
 
- Io… non so. Cioè, non vorrei che fosse… uh, sconveniente… - spiegò esitante, senza poter rivelare che temeva di non essere in grado di controllarsi, se avessero dormito insieme.
 
Dean gli andò incontro senza fretta, avvolgendogli un braccio attorno alla vita e facendo deliberatamente scorrere l’altra mano dai pettorali fino ai fianchi del redattore, accostando le labbra alle sue fin quasi a sfiorarle, ma senza realmente farlo.
 
- Credevo che la fase della sconvenienza l’avessimo superata, ormai, Cass… - mormorò in tono basso e provocante ad una manciata di millimetri dal suo viso, lasciando scivolare lentamente la mano dal fianco al sedere e stringendo un po’, osservandolo avvampare sotto il suo tocco e ridacchiando appena - Non dirmi che hai paura di me… -
 
Castiel non riuscì a replicare con la sua solita ironia.
Anzi, non riuscì a replicare affatto.
 
Quando Dean pronunciava il suo nome a quel modo, quasi ringhiando, ogni cellula del suo cervello si liquefaceva in un brodo primordiale di ormoni impazziti, stelle filanti e arcobaleni, così si limitò a fissarlo con occhi imploranti, sperando che avesse pietà di lui e lo lasciasse andare.
 
 - Ok, ok… - cedette l’altro dopo qualche istante, sconfitto dallo sguardo spaurito alla Bambi, alzando le mani in segno di resa - Se vieni di là con me prometto di comportarmi in maniera irreprensibile… dai Cass, non posso permettere che il mio prode Dottor Sexy, l’uomo che mi ha medicato con sprezzo del pericolo, dorma accartocciato su quel minuscolo divano! Ti rovineresti la schiena… e qui l’unico che ha il diritto di farti risvegliare indolenzito, sono io. - aggiunse, allusivo, non riuscendo a trattenersi dal lanciare un’ultima frecciatina, solo per il gusto di vedere Castiel arrossire un altro po’.

L’altro si arrese. Non che esercitare una strenua resistenza fosse esattamente il suo forte, tra l’altro.
 
- Hai vinto, Winchester. - sbuffò, esasperato - Ma sappi che se ti comporterai male, su questo divano ci finirai tu, chiaro? -
 
- Cristallino. - convenne Dean, avviandosi di nuovo verso il bagno.
 
- Dove vai? -
 
Il più giovane indicò le proprie narici.
 
- A levare questi affari. -
 
- Sarebbe meglio che li tenessi fino a domani… - suggerì il redattore.
 
- Dai Cass, già così riesco a malapena a respirare, figurati sdraiato! Preferisco un’altra epi… epi… epicosa, piuttosto che morire soffocato nel sonno. Giuro che ti ricomprerò le lenzuola, se dovessi sanguinare ancora. Ne tolgo solo uno, mh? - propose l’altro in tono persuasivo.
 
- Ma rovineresti la simmetria… sarebbe antiestetico. -
 
- Seriamente Cass? Antiestetico? Più di così? - chiese Dean, indicando  nuovamente il proprio naso largo il doppio del normale, con le sopracciglia sollevate e un sorrisetto di scherno.
 
- E va bene… levali. - sospirò Castiel, osservandolo quindi sparire vittorioso oltre la porta del bagno e arrendendosi all’evidenza: occorreva ben più di un naso gonfio o di una brutta maglietta per rendere Dean antiestetico.
 
Probabilmente l’avrebbe trovato attraente  anche ricoperto di pustole.
 
‘Bah… probabilmente continuerebbe a splendere anche ricoperto d’immondizia.’ pensò rassegnato, dirigendosi verso la camera da letto con passo strascicato e spegnendo tutte le luci al proprio passaggio.
 
Nel riemergere dal bagno Dean si trovò immerso nella semioscurità, ma individuò senza difficoltà la camera grazie alla lama di luce proveniente dalla porta che l’altro aveva lasciato socchiusa.
Nell’entrare, faticò a trattenere una risata, perché Castiel si era già infilato a letto, rigido come un ciocco di legno, con le gote arrossate e le coperte tirate fino al mento stile “verginella alla prima notte di nozze”.
Non si sarebbe stupito di scoprire che, sotto le lenzuola, indossasse una tuta da sci.
 
- Suppongo che quello diventerà il mio lato, uh? - chiese in tono leggero, evitando di soffermarsi troppo sullo sguardo nervoso dell’altro e indicando con un cenno del capo la metà libera del letto, che lo attendeva con le coperte scostate. -
 
- Uhm, sì… se non ti dispiace. Se non sono dalla parte giusta, fatico ad addormentarmi… -
 
- Nessun problema Cass. Sono abituato a dormire dappertutto. - mormorò l’altro, adocchiando il bicchiere d’acqua posato sul proprio comodino - Quello è per la mia dentiera? - chiese con un sorriso, mettendo deliberatamente in mostra i denti perfetti.
 
- Non essere sciocco… ehm, Deanuccio. Lì accanto ci sono due pillole d’analgesico. Prendile, e speriamo che domattina riescano ad evitarti un’emicrania. -
 
Dean ingoiò le pasticche senza esitare e prese un lungo sorso d’acqua, quindi si apprestò con disinvoltura a sbottonarsi i jeans, sotto lo sguardo atterrito di Castiel, la cui salivazione si azzerò non appena degli aderenti boxer blu notte fecero la loro comparsa.
 
- Che… che fai? - chiese debolmente, cercando di non fissare con insistenza le gambe muscolose dell’altro e un fondoschiena che sembrava scolpito nel marmo.
 
- Bè, mi preparo per la notte, non vorrai mica che dorma vestito… -
 
- Vuoi che ti presti qualcosa per dormire? Che so… dei pantaloni della tuta…? -
 
‘O uno scafandro?’
 
- Oh no, ti ringrazio, dormo sempre così. In realtà a casa dormo nudo, ma non vorrei sconvolgerti troppo con la mia avvenenza! - replicò Dean con un ghigno da mascalzone - In realtà la mia pelle è sempre bollente, non so perché, ma di notte divento una specie di stufetta… - aggiunse poi, a mo’ di giustificazione, stringendosi nelle spalle.
 
Castiel non colse granché del discorso, pronunciato mentre l’altro scivolava rapido sotto le coperte, visto che i suoi pochi neuroni ancora attivi avevano captato una parola ogni sette circa, focalizzandosi su “nudo”, “pelle” e “bollente” e proiettando istantaneamente nel suo cervello già provato immagini ad alta definizione del suddetto corpo nudo, di lingue sulla pelle, di sesso bollente, di mani insaziabili, di…
 
- Cass? - lo chiamò Dean - Cass, tutto bene? - ripeté, non ricevendo risposta.
 
- Eh? Oh, sì… sì, scusa, mi ero imbambolato un attimo. -
 
- Senti… - sussurrò Dean, spostando la testa dal proprio cuscino e posandola su quello del giornalista, vicinissima al suo viso - …Volevo ringraziarti, per tutto. Per esserti preso cura di me, per avermi ospitato qui, per il regalo… insomma, grazie. - mormorò, sporgendosi a baciarlo sulla punta del naso e soffermandosi ad osservandolo con un’espressione che avrebbe liquefatto anche un sasso.
 
- Non devi ringraziarmi, sai che farei qualsiasi cosa per te. - si schermì il redattore, fissandolo a propria volta con sguardo ebete, consapevole che la propria affermazione cominciava ad avvicinarsi pericolosamente alla verità - Allora… uhm, buonanotte, fringuellino mio. - mormorò, spegnendo la luce con gratitudine, così da sottrarsi a quei maledetti occhi in grado d’instupidirlo.
 
- Notte Cass. - mormorò l’altro, afferrando per un braccio con naturalezza e tirandoselo addosso, facendo in modo che posasse la testa contro il suo petto e mugolando soddisfatto per aver trovato la posizione perfetta.
 
Perfetta per sé, naturalmente.
 
Il giornalista infatti era letteralmente pietrificato col braccio sul suo addome, che non osava muovere di un millimetro, l’eco del proprio flusso sanguigno come un rombo di tuono nelle orecchie e lo stomaco che aveva arbitrariamente deciso che era il momento buono per fare un po’ di bungee-jumping.
 
Quando poi una mano di Dean s’insinuò pigramente fra i suoi capelli, per restarvi, il giovane fu certo di essere stato precipitato all’inferno per qualche remoto peccato commesso probabilmente all’asilo.
 
Non aveva modo di districarsi da quella stretta, né alcuna motivazione, a voler essere sinceri. Niente di sensato, perlomeno.
Dean era davvero caldo come una stufetta, dannazione, ed era tutto troppo confortevole, troppo intimo, troppo perfetto.
 
Rassegnato a trascorrere un’interminabile nottata senza chiudere occhio, Castiel si addormentò quasi subito tra le braccia di un pubblicitario senza scrupoli, cullato dal rassicurante battito del suo cuore.
 

 
Il mattino seguente Dean emerse dal sonno gradatamente, pervaso da un’inconsueta e appagante serenità.
Erano anni, letteralmente, che non dormiva così tranquillo… niente incubi, nessun risveglio nel cuore della notte, nessuna imbarazzante giustificazione da dover inventare.
Erano proprio gli incubi, infatti, la causa della sua riluttanza a dividere il letto con qualcuno.
Oltre a seri problemi di fiducia made in Winchester, naturalmente…

Era iniziato tutto dopo il primo anno di lavoro alla King.
Per un po’ le cose erano andate a gonfie vele: pur essendo l’ultimo arrivato, grazie alla propria determinazione e alle proprie idee innovative, Dean era riuscito a mettersi in luce piuttosto in fretta, guadagnandosi la stima dei colleghi e il favore dei superiori. Le giornate trascorrevano in un clima adrenalinico e stimolante, mentre le soddisfazioni compensavano ampiamente gli sforzi fatti.
 
Poi era arrivato Alastair.
 
Un mago del marketing, uno squalo che Crowley aveva strappato ad un’agenzia concorrente a colpi di lusinghe, soldi e promesse.
Un essere viscido e sgradevole con l’integrità di uno scarafaggio che, non appena messo piede in agenzia, aveva fiutato Dean come un animale selvatico fiuterebbe un nemico, decidendo fin dal primo istante di rendergli la vita un inferno e di rovinargli la carriera.
 
E non era stato neanche troppo difficile, a dire il vero: il giovane infatti, pur essendo già piuttosto bravo, mostrava ancora una certa ingenuità professionale, qualità che invece difettava all’altro.
 
Così era cominciata una perversa e sotterranea tortura fatta di furti di slogan, mancate attribuzioni di meriti, file spariti dai server, prototipi irrimediabilmente e misteriosamente danneggiati.
Una serie di sfortunati eventi mai direttamente riconducibili al rivale, che avevano portato Dean sull’orlo dell’esaurimento nervoso e a tanto così dal mollare tutto per cui aveva combattuto tanto ed arrendersi, licenziandosi per andare a lavorare nell’officina di famiglia a Staten Island.
 
Ma miracolosamente, così com’era arrivato, Alastair era passato ad un’agenzia rivale, attirato da proposte più allettanti di quelle di Crowley.
 
Era stato alla King solamente quattro mesi, ma  a Dean erano sembrati quarant’anni.
 
E siccome l’autocommiserazione e il vittimismo non facevano parte del DNA Winchester, il ragazzo non ne aveva mai fatto parola con nessuno, né con i colleghi né con la famiglia. Persino Sammy, che in versione Samantha avrebbe adorato condividere con lui i propri sentimenti come pollastre ad un pigiama party, era all’oscuro del profondo disagio del fratello.
Disagio che aveva però trovato una valvola di sfogo manifestandosi sotto forma di orribili incubi, in cui Alastair era il suo aguzzino, che si ripresentavano notte dopo notte e da cui si svegliava sempre madido di sudore e col cuore in gola, più d’una volta ai limiti dell’attacco di panico.
Evidentemente quello era il modo in cui il suo subconscio liberava la tensione accumulata e la pressione di dover sempre apparire impassibile e sicuro di sé nonostante i ripetuti boicottaggi, fatto sta che, nonostante la dipartita del nemico, gli incubi erano continuati.

Più sporadici, certo, e non sempre così orribili, ma sufficienti a far comunque sentire Dean vulnerabile. E se c’era una cosa che Dean detestava, era sentirsi vulnerabile.
Tanto meno di fronte agli altri.
 
Quella notte, però, nulla aveva turbato il suo riposo. Aveva dormito per otto ore filate senza svegliarsi mai, senza nemmeno un fremito, e tutto il merito andava ad un giornalista sexy e un po’ toccato nel cervello… doveva ricordarsi di chiedergli il nome di quegli antidolorifici, perché erano portentosi.
 
Restò a crogiolarsi per un po’ sotto le coperte godendosi la sensazione ad occhi chiusi, affidando all’udito, e non alla vista, il compito di riportarlo gradatamente alla realtà.
Ascoltò i suoni della città che si ridestava, attutiti dalle finestre chiuse, sommati a quelli dell’appartamento, non dissimili da quelli di casa propria tranne che per un sommesso e regolare respiro, proprio accanto a sé.
 
Castiel.

Quando finalmente sollevò le ciglia chiare, abbandonando il confortevole tepore del dormiveglia, si trovò a scrutare le profondità dell’oceano. Il redattore era sveglio, voltato su un fianco in posizione speculare rispetto alla sua, ad un palmo dal suo viso, e lo stava osservando placido e rilassato sbucando appena da sotto le lenzuola.
 
- Buongiorno… - mormorò con un sorriso morbido.
 
Lo sguardo di Dean vagò dalle rughette d’espressione che gli si formavano sul naso quando sorrideva in un certo modo alla barba sfatta, fino ai più incredibili capelli da letto che avesse mai visto, e non riuscì a non sorridergli di rimando come un babbeo.
 
- Ehi… buongiorno… è da molto che sei sveglio? - domandò sottovoce, ancora lievemente intontito dal sonno.
 
‘Potrei passare notti intere a guardarti dormire…’
 
- No, solo da qualche minuto. -
 
- Che… che ore sono? - chiese Dean, giusto per dire qualcosa.
 
- È presto, sono solo le sette. - lo rassicurò l’altro - Sei riuscito a dormire? -
 
- Mhhhh… sì, in effetti… ho dormito come un sasso. - ammise Dean, stiracchiandosi pigramente con uno sbadiglio, per poi tornare alla posizione di partenza - Oggi non è domenica, vero? - sospirò fiacco, restio ad abbandonare la tiepida bolla d’intimità che li avvolgeva.
 
- Temo di no… - sospirò a propria volta Castiel, passandogli distrattamente le dita tra i capelli - Hai molto da fare? -
 
- Dovrò uscire presto. Prima di andare al lavoro devo tornare al cinema a recuperare la moto e poi passare da casa a cambiarmi… - sbuffò l’altro.

- A proposito, come va la faccia? Male? - chiese il redattore, tornando con la memoria alla sera precedente e scrutando preoccupato il labbro ancora un po’ gonfio e arrossato, sfiorandolo appena con i polpastrelli.
 
Dean mise su una delle sue solite smorfie da spaccone, rassicurandolo.
 
- Naaaaa, è solo un graffietto. Non ricordavo nemmeno di essermi ferito, figurati! - dichiarò con noncuranza, accolto dall’espressione scettica dell’altro.
 
- Ok, supermacho… - lo blandì Castiel, condiscendente, senza riuscire a trattenere un sorrisetto sghembo - … Ora che hai rimarcato la tua virilità e il tuo sprezzo del dolore, che ne pensi di fornirmi la versione «non Ironman» delle tue attuali condizioni? -
 
Dean sorrise a propria volta, colto in flagrante.
 
- Ecco… - esitò, abbassando lo sguardo impacciato - Diciamo che ti sarei grato se per colazione mi cucinassi delle frittelle con granella d’analgesico… mi fa un male assurdo. -
 
- Mi spiace, sono senza uova, però potrei spalmarti della pomata contro le contusioni su una fetta di pane tostato… - scherzò Castiel.
 
- Del caffè nero andrà benissimo, dolcezza… - mormorò Dean senza pensare, allungando una mano fino alla nuca del redattore per trarlo a sé e protendendosi a baciarlo con una familiarità che lo lasciò sconcertato, una volta resosi conto del proprio gesto. Soprattutto nel realizzare che svegliarsi così ogni giorno non avrebbe rappresentato poi una prospettiva tanto malvagia.
 
Castiel semplicemente si lasciò baciare, arrendevole, abbandonandosi alle carezze delicate delle labbra di Dean, al calore e alla dolcezza di quel momento, alle braccia forti che lo stringevano possessive, e si fece sfuggire un gemito roco quando dopo pochi minuti l’altro rotolò sopra di lui, ricavandosi uno spazio tra le sue gambe, approfondendo il bacio e muovendosi istintivamente contro il suo corpo, senza ingombranti strati di vestiti a separarli, ma solo l’esigua barriera dei boxer di uno e dei pantaloni ridicolmente sottili dell’altro.
I polsi del redattore furono portati sopra la sua testa, intrappolati da una delle grandi mani di Dean, costringendolo ad inarcarsi contro il suo corpo, pelle bollente contro pelle bollente là dove le magliette di entrambi si erano sollevate, mentre l’altra mano s’insinuava tra loro, sfiorando leggera l’erezione mattutina di Castiel attraverso il tessuto leggero e strappandogli un singhiozzo.
 
‘Oh Cristo, è magnifico…’ pensò, allarmato, cercando di non badare ai brividi di piacere che sentiva inerpicarsi lungo la spina dorsale ‘Qui, da Principessa Pazza, rischio di passare in un attimo a Principessa sul Pisello…’
 
- Dean… non… - pregò flebile, mentre l’altro si muoveva implacabile sul suo corpo accaldato succhiandogli avidamente il collo, interrompendosi solo per sollevarsi a sondare il suo volto.
 
I suoi occhi erano così illegalmente verdi, languidi, la sua espressione così bruciante di desiderio, che il giovane non seppe che altro dire, fissandolo con la gola arida, il respiro accelerato ed occhi enormi.
 
L’espressione di Dean si addolcì, abbandonò la presa sui suoi polsi e portò entrambe le mani a circondargli con delicatezza il viso, accarezzandolo con i pollici e trapassandolo con uno sguardo tanto intenso da farlo tremare.
 
- Cass… non respingermi. Non di nuovo. - implorò dolcemente, chinandosi su di lui e sfiorando le sue labbra ad ogni parola - Ti prego. Non voglio farti del male… perché hai così paura di me? - chiese in un sussurro, baciandogli le palpebre abbassate.
 
- Io… io… non posso… - balbettò l’altro, spaventato, non tanto da Dean quanto piuttosto da se stesso e dal tumulto di emozioni impreviste da cui si stava lasciando travolgere.
 
- Perché? - chiese Dean - Perché, se è quello che vuoi? E lo so che mi vuoi Cass, così come io voglio te… cosa c’è che non va? - domandò ancora, dolcemente, sondando gli occhi del redattore in cerca della verità, mentre il tono comprensivo delle sue parole non riusciva a mascherarne del tutto la frustrazione di fondo.
 
Castiel distolse lo sguardo, timoroso di ciò che l’altro avrebbe potuto leggervi.
 
- Niente… solo, non hai detto che dovevi passare da casa? Si… si sta facendo tardi… - biascicò, sentendosi una colossale merda e continuando a sottrarsi agli occhi indagatori del compagno, che si ritrasse immediatamente, senza però riuscire a mascherare del tutto la delusione che gli piegò le labbra in una smorfia amara.
 
- Sì. Sì, hai ragione… - borbottò, sollevandosi goffamente dal corpo di Castiel - Anzi, probabilmente sono già in ritardo. - aggiunse in tono asciutto, accennando a scendere dal letto, subito afferrato per un polso da Castiel.
 
‘Fai l’amore con me, Dean... - gridò Castiel, disperato, nella propria testa - Non lasciarmi. Stringimi. Resta. Sei meraviglioso. Ti-’ si bloccò poi, interrompendo il pensiero a metà ed impedendosi anche solo di immaginare una parola che avrebbe portato come unica conseguenza una tragedia emotiva di proporzioni bibliche.
 
- Dean, senti, io-
 
- Non c’è bisogno di dire niente, Cass. - lo interruppe Dean in tono pacato - E’ colpa mia, ho sbagliato a cercare di forzarti, in fondo me l’hai detto giusto ieri sera di non essere pronto, avrei dovuto agire con maggior rispetto. Non sono arrabbiato. -
 
Castiel lo fissò allibito.
 
‘Ma sei vero?’ si chiese.
 
- A mia discolpa posso dire solo una cosa? - continuò l’altro, la voce scaldata da una nota scherzosa e lo sguardo nuovamente acceso.
 
- Certo… -
 
Dean si chinò su di lui, avvicinandosi al suo orecchio.
 
- Se ti sta a cuore anche solo un pochino la mia salute mentale, potresti cercare di essere un po’ meno eccitante? Perché da quando ti ho messo gli occhi addosso in quel locale non faccio altro che immaginarti nudo e sudato, sotto di me… - mormorò, prima di voltarsi e scendere dal letto per recuperare i propri abiti sparsi qua e là - … e se continuo a pensare a te in questo modo, prima o poi finirò sotto un autobus mentre attraverso la strada! - aggiunse indossandoli in tutta fretta e sporgendosi nuovamente a baciare Castiel sulla fronte, prima di congedarsi con un ”Ti chiamo dopo” e di sparire oltre la porta, lasciando sotto le lenzuola un redattore molto confuso ed eccitato a macerare nella propria frustrazione.
 

 
Dopo aver rimediato un taxi - non senza una certa difficoltà, visto l’orario -  Dean fece ritorno al parcheggio nei pressi del cinema, ansioso di riprendersi la moto.
Dopo aver constatato con infinito sollievo che l’Harley non era stata né vandalizzata né rubata però, si rese conto non solo che non avrebbe mai fatto in tempo a tornare a casa per sostituire la maglia con l’orsetto in favore di qualcosa di un po’ meno disturbante ma che, anzi, era già ampiamente in ritardo.
Inevitabilmente, la mente corse alla causa di tanto ritardo, ai suoi occhi così fastidiosamente blu, alle sue stupide labbra morbide, sì, così stupide, al suo corpo snello, così caldo e flessuoso, al…
 
Dannazione, Dean, smettila.’
 
Con una smorfia di disappunto il giovane scrollò più volte la testa, come se quel semplice gesto fosse in grado di scacciare Castiel dai suoi pensieri, quindi chiuse il giubbotto di pelle con un gesto rabbioso tirandosi la zip fin sotto al mento, e facendo affidamento sui cambi di vestiario che lasciava abitualmente in ufficio in funzione di occasioni come quella - ok, non proprio come quella… - montò sulla moto e si diresse direttamente in ufficio, zigzagando fra i taxi nel disperato tentativo di non accumulare altro ritardo.
 
Il suo ingresso alla King non si può dire che passò inosservato.
Fin dalla hall, occhiate morbose e divertite scannerizzarono la sua figura, accompagnando ogni suo passo, e quando le porte dell’ascensore si aprirono al diciassettesimo piano minuscoli capannelli d’impiegati raggruppati nei pressi del distributore di caffé si dissolsero all’istante, non senza aver prima ridacchiato nella sua direzione, bisbigliando e dandosi di gomito come adolescenti.
Dean li ignorò, non attribuendo alcun peso alla cosa, ma quando elargì alle segretarie e alle centraliniste i consueti “ciao, tesoro” e “buongiorno dolcezza” ricevendo in cambio, al posto dei soliti squittii felici, dei sorrisi di circostanza e delle occhiate imbarazzate, questo sì che lo insospettì. Molto più di tutto il resto.
 
Lungo il corridoio, nel dirigersi verso il proprio ufficio, intercettò con la coda dell’occhio Garth chino sul proprio computer, e si soffermò ad osservarlo al di fuori della parete di vetro.
Dopo qualche istante, cercando di tenere a bada il sottile senso d’inquietudine che iniziava a farsi strada nel suo stomaco, si decise a fare capolino all’interno, aggrappandosi allo stipite e bussando sulla porta già aperta, salutando con un disinvolto “Ehi”.
 
- Oh, buongiorno… orsacchiotto. - ghignò l’altro in risposta, senza nemmeno rialzare lo sguardo dal monitor.
 
- Garth, che c’è, hai voglia di rischiare la vita di prima mattina? - lo minacciò scherzosamente Dean, avvicinandosi ed assestandogli un pugno leggero sulla spalla in segno d’avvertimento.
 
- Oh no Dean, un tesoruccio che ama così tanto gli abbracci sono certo che non potrebbe mai farmi nulla di male… - replicò tranquillo il collega, senza levarsi dal viso il sorriso sornione di poco prima e l’aria di chi era a conoscenza d’un segreto davvero succoso.
 
‘Un momento...’
 
Un pensiero catastrofico attraversò la mente di Dean, rapido come un fulmine e altrettanto distruttivo, ghiacciandogli il sangue nelle vene.
 
‘No, dai… non può essere. Cioè… lui non potrebbe mai… voglio dire, come?… Oddio.’
 
- Senti, amico, devi dirmi qualcosa? - domandò al collega, con tutto il distacco di cui era capace.
 
- Qualcosa? Noooo… io no. Ma tu evidentemente sì, o almeno questo è ciò che si evince dal tuo profilo Facebook… -
 
- Il mio…? Facebook? Ma se non lo apro da settimane! - replicò Dean con convinzione.
 
Garth si strinse nelle spalle, senza smettere di sogghignare.
 
- Bè, è strano perché stanotte, verso le quattro, a quanto pare hai modificato la tua situazione sentimentale, la tua foto profilo e hai anche aggiornato il tuo stato… -
 
- Ma non… io non… - farfugliò Dean, mentre un’orrenda consapevolezza lo colpiva come un ceffone in pieno viso - Oh, cazzo, fammi vedere! - si arrese infine, aggirando rapido la scrivania del collega  e spingendolo via come un proiettile grazie alla poltroncina a rotelle, dopo avergli letteralmente strappato di mano il mouse.
 
Con un paio di rapidi click arrivò all’home page del social network, e da lì eseguì l’accesso al proprio profilo.
Solo che quello… quella cosa… non era più il suo profilo.
Era quello di una ragazzina di quattordici anni. E, tra parentesi, la cosa più imbarazzante che avesse mai visto.
C’erano… maledizione, c’erano foto di gattini, di cuccioli di giraffa e di buffi cosi che sembravano ornitorinchi, lì, melensi link sull’amore e stucchevoli citazioni dalle opere di misconosciuti poetunculi francesi che ti cariavano i denti solamente leggendoli.
E poi… no.

NO.

La foto del profilo, evidentemente fatta col cellulare, era stata scattata a letto, Cristo Santo, mentre lui dormiva!
 
Ma il fatto che fosse in stato d’incoscienza era probabilmente il male minore: l’immagine infatti non ritraeva solo lui, placidamente addormentato, con un rivoletto di bava all’angolo della bocca e la maglietta con l’orsetto in bella vista, ma anche Castiel, con il viso poggiato nell’incavo del suo collo e un sorriso che lasciava poco spazio all’immaginazione.
 
Dean fissò la foto per qualche secondo, inebetito.
Poi il suo sguardo cadde sulle informazioni personali.
 
- Dean Winchester è ora fidanzato ufficialmente con Castiel Novak… Oh, merda. - lesse sottovoce, mentre Garth ridacchiava sommessamente alle sue spalle.
 
- Bello, ho come la sensazione che la situazione ti stia sfuggendo leggermente di mano… sbaglio o avevi detto di avere tutto sotto controllo? - chiese, incrociando le braccia e appoggiandosi ad uno schedario.
 
- Infatti è così! - ringhiò Dean, alterato.
 
L’altro si limitò ad alzare un sopracciglio.
 
 - O meglio, era… - aggiunse poi, mortificato - Cazzo, Garth, è… è legale, questa cosa? -
 
- Bè, non ti ha rubato la combinazione della cassaforte, o la carta di credito… Dean, è un social network, non è che abbia violato la rete informatica della CIA. Inoltre, sembra che il tuo profilo sia stato aggiornato in maniera assolutamente lecita, con un regolare accesso, giusto? -
 
- Sì… - ammise l’amico, riluttante.
 
- Qual è la tua password? -
 
- … Impala. - mormorò Dean a denti stretti.

- Dean, andiamo, ci arriverebbe anche mia nonna! - lo rimproverò il collega.
 
L’altro si voltò a guardarlo con astio, afferrandolo per le spalle ossute.
 
- Risparmiati la paternale sulla mia prevedibilità in fatto di password, Garth, e dimmi piuttosto come posso fare a rimediare a questo casino! - mormorò, scrollandolo appena.
 
- Bello mio, temo che ormai ci sia poco a cui rimediare… - spiegò pacatamente il giovane, in attesa che la presa di Dean si allentasse - In fondo sei stato tu a cacciarti in questo guaio, non te l’ha mica ordinato il dottore di stringere quel ridicolo patto con Crowley e le ragazze… mi dispiace essere proprio io a dirtelo ma ti sei venduto l’anima, e la reputazione, per uno stupido lavoro.
 
- L’ha visto tutto l’ufficio, vero? - chiese Dean, esalando un sospiro avvilito e lasciando infine  ricadere le braccia lungo i fianchi.
 
- Bela stamattina presto ha inoltrato una mail con il link a tutti gli uffici dell’azienda. E con tutti gli uffici, intendo tutte le filiali. Temo che l’abbiano visto fino a Vancouver. -
 
Dean si sfregò la nuca con una mano in preda a pensieri omicidi, cercando di pensare. Per poter decidere lucidamente se ammazzare prima Bela o Castiel.
 
- Oh, e sei anche su Twitter, Instagram e MySpace. - aggiunse ancora Garth - Ma non preoccuparti, MySpace non lo guarda mai nessuno. - specificò poi in tono incoraggiante.
 
- Wow, mi raccomando, non cercare d’indorarmi la pillola! - ringhiò l’altro, sarcastico.
 
- Ehi, mi pagano per mentire ai consumatori, non a te! Ci sono gli strizzacervelli per quello… e se sei disposto a sborsare una cifra adeguata, sono certo che ne troverai uno abbastanza accondiscendente disposto a rassicurarti e a dirti che non è colpa tua. - borbottò il collega, risentito.
 
- Ok, ok, Garth… -  mormorò Dean, sollevando entrambe le mani in segno di scusa - Hai ragione, non volevo prendermela con te, è che questa storia mi sta mandando fuori di testa… Chuck dov’è? - mormorò poi, ansioso di cambiare discorso.
 
- Nel suo ufficio ad imbottirsi di analgesico, credo. Oggi è una giornata no. -
 
- Una delle sue solite emicranie? -
 
L’altro annuì, dispiaciuto.
 
- Mh-mh. Una di quelle che nemmeno Mistress Magda riuscirebbe a curare… -
 
- Meglio che vada a vedere come sta… ci vediamo dopo, sempre che trovi il coraggio di farmi vedere in mensa. - lo salutò Dean, uscendo dall’ufficio e dirigendosi verso quello dell’amico, un paio di porte più in là, dove entrò senza bussare.
 
- Ehi, Chuck. - esordì, notando il collega accasciato sulla scrivania, la fronte poggiata sulle braccia incrociate e gli occhi chiari pesantemente cerchiati - Brutto momento? - chiese, fermandosi sulla soglia.
 
- Oh… no, ciao Dean. Entra pure, quella maledetta pillola finalmente sta cominciando a fare effetto… e sarebbe anche ora, visto quant’era grossa. Mandar giù una pallina da ping-pong sarebbe stato più semplice… - mormorò, passandosi stancamente le mani tra i capelli e osservando quieto Dean, senza ombra di derisione o divertimento, apparentemente immune al clima d’isteria collettiva che pareva aver contagiato l’intera agenzia - Allora, com’è andata ieri sera? - domandò innocentemente.
 
- Deduco che tu non abbia ancora controllato la tua casella e-mail, oggi, se no non mi faresti questa domanda… - sospirò l’altro.
 
- No… in effetti no, ma perché mi stai dicendo questo? Che c’entrano le mie e-mail? Non… non dovevi andare al cinema con Castiel? - chiese Chuck, stentando a seguire il filo del discorso.
 
- Ieri sera non sono uscito con Castiel. - sibilò lapidario Dean.
 
- E… e con chi sei uscito, scusa? -
 
- Con Jimmy il fetente. -
 
- Chi? - esclamarono in coro sia Chuck che Garth, che nel frattempo aveva fatto capolino dalla porta.
 
- Il suo gemello cattivo… -
 
- Ma… ma scusa, non avevi detto che era un ragazzo fantastico? - balbettò Chuck, sempre più smarrito.
 
- Oh, sì. Ma quello era il Castiel buono. Ieri sera però è subentrato Jimmy, il suo lamentoso, ossessivo, geloso, attaccabrighe, petulante alter-ego… -
 
- E perché lo chiami Jimmy? - chiese Garth.
 
- Perché al liceo, avevo un compagno di corso che detestavo e che era esattamente così. Ragazzi, voi non avete idea… è come se dentro di lui coesistessero due persone. E una delle due, francamente, mi terrorizza. - mormorò Dean, sfregandosi nervosamente la bocca con una mano e sussultando per il dolore, avendo momentaneamente dimenticato la ferita.
 
Solo allora Chuck fece caso al viso dell’amico, al taglio sul labbro e al naso ancora lievemente gonfio.
 
- Porca puttana, Dean, non dirmi che ci hai provato e ti ha picchiato! -
 
- No… non è stato lui… - lo rassicurò l’altro - … anche se indirettamente è colpa sua se mi hanno spaccato la faccia. - aggiunse, raccontando brevemente ai colleghi il desolante epilogo della propria serata fuori, trascurando di riferire sia l’increscioso episodio dei Tampax (in fondo non era di alcuna utilità ai fini del racconto, giusto?) che i propri ripetuti e fallimentari tentativi di portarsi a letto Castiel, perché… perché… insomma, erano affari suoi, ecco!
 
- Santo cielo, Dean, questo tizio è uno svitato, devi liquidarlo al più presto! Tipo oggi. Meglio ancora, adesso. - esclamò Chuch, mentre Garth annuiva vigorosamente al suo fianco.
 
- Non posso… -
 
- In che senso non puoi? Non ti avrà mica fatto firmare qualcosa dopo averti drogato con quegli antidolorifici? Oddio, dimmi che non vi siete sposati... - mormorò il profeta, sentendo già l’ansia raggiungere i livelli di guardia. Ovvero i livelli Xanax, pensò, cercando di ricordare dove aveva imboscato la propria scorta d’emergenza.
 
- Ma che vai dicendo, Chuck? Non siamo mica in un commedia di serie B! Ragazzi, dovete visualizzare l’intero quadro, senza focalizzarvi solo su quest’episodio: ormai in azienda mi sono ben più che sputtanato, giusto? - domandò Dean, senza attendere una risposta - Quindi, a questo punto, che senso avrebbe lasciar perdere? Mi sarei rovinato la reputazione per niente e avrei perso il contratto Roadhouse, aggiungendo il danno alla beffa… non posso mollare ora. -
 
I colleghi annuirono senza convinzione, costretti ad ammettere, pur con una certa riluttanza, che Dean aveva perfettamente ragione.
 
- Quindi ora qual è il tuo brillante piano? - domandò Garth, scettico.
 
- Tenere duro. A qualsiasi costo. In fondo mancano solo due o tre giorni, no? - replicò l’amico in tono forzatamente allegro.
 
- Veramente ne mancano sette. - gli fece notare il collega.
 
- C-come sette? Ma che giorno è oggi? - balbettò Dean, cadendo dalle nuvole.
 
- Mercoledì. -
 
- Stai cercando di dirmi che oggi non è lunedì? - chiese ancora, incredulo.
 
- Esattamente. - scandì lapidario l’altro, fissando con un certo divertimento Dean, che reagì alla notizia ficcandosi le mani nei capelli, ovvero l’unica cosa che non gli faceva male.
 
- Porca puttana… - bisbigliò, quasi tra sé e sé.
 
- Il tempo vola quando ci si diverte, Dean… - commentò il collega con un sorrisetto, guadagnandosi un’occhiata omicida.
 
- Anche i miei piedi volano, amico, e potrebbero accidentalmente incrociare il tuo culo se non fili immediatamente nel tuo ufficio e non tiri fuori qualcosa di decente per l’ora di pranzo. La campagna per quegli stupidi libri di Supernatural non si scriverà certo da sola. - gli ringhiò dietro Dean, oltrepassandolo per tornare al proprio ufficio - Ci vediamo da me per un brainstorming alle tre… e vedete d’essere entrambi puntuali! - intimò prima di dileguarsi a passo deciso e testa bassa, ignorando le occhiate di scherno di cui fu oggetto lungo i corridoi.
 
Una volta al sicuro nel proprio ufficio abbassò immediatamente tutte le veneziane schermando le pareti di vetro, un po’ per evitare il fastidioso “effetto acquario” che aveva già sperimentato fin troppo quel mattino e un po’ perché non era assolutamente in vena di esibirsi nel solito spogliarello che mandava in visibilio le stagiste. Desiderava solo levarsi quella dannata maglietta azzurra e tornare nei panni e soprattutto nell’ordinaria vita di Dean Winchester, evitando di pensare all’umiliazione, a Castiel e a tutta quella surreale situazione, almeno per qualche ora.
 
Accese il Mac, barricandosi dietro il grande monitor, fermamente intenzionato a concentrarsi solo ed esclusivamente sul lavoro e sulle scadenze imminenti, ma dopo mezz’ora passata a fissare il vuoto si trovò senza nemmeno rendersene conto a cliccare sulla home di Facebook, accedendo frettolosamente al proprio profilo.
Maledizione, non riusciva a staccare gli occhi quella foto.
Perché al di là del risvolto creepy preso dall’intera faccenda, al di là del pubblico sputtanamento con amici e colleghi, quella foto era… insomma, era bella.
 
Castiel era… bé, adorabile, accoccolato sul suo petto come un gattino, pensò, sfiorando l’immagine del giovane redattore con la punta delle dita, e fu costretto ad ammettere che lui stesso sfoggiava un’espressione serena e rilassata mentre nel sonno, nonostante il labbro spaccato, un mezzo sorriso aleggiava sul suo volto.
 
Lentamente si accasciò in avanti, scivolando fino al ripiano della scrivania, appoggiandovi la fronte e sbattendola appena, più volte.

‘Fottuto. Sei fottuto, Dean Winchester, sei talmente tanto fottuto che bisognerebbe inventare una parola nuova per descriverlo...’


 
 
 
[1] Omonima canzone dei Motörhead, traccia numero cinque dell’album Inferno, uscito nel 2004.
 
[2] Chiaramente mi riferisco a QUESTA maglietta XD

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NDA:
Eccomi qui... con un po' di ritardo, lo ammetto, ma mi giustifico col fatto di aver pubblicato anche altro nel frattempo, quindi non sono stata del tutto una fannullona, giusto?   *ci crede fermamente*
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio come sempre chi recensisce, chi preferisce e ricorda o chi legge e si fa i cavoli suoi, e saluto le nuove lettrici che mi hanno scritto! *__*
Siete tutte molto belle. Dean vi ama, e anche Castiel. Un po' anche io.
Un bacione e buon weekend (ho tanto sonno, voi no?)
V.


 

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Capitolo 10
*** NO BONE MOVIES ***


 NO BONE MOVIES [1]
 
“I shouldn’t do it,
the guilt tells me why
I just can’t stop it,
I try and I try
X-rated demon
that lives in my head
Hungry for bodgie,
and he wants to be fed
 
No bone movies
No bone movies
No bone movies”
 
(OZZY OSBOURNE – No bone movies)
 
 
 
GIORNO QUATTRO, redazione di Grace Magazine, ore 9.43
 
 
Non era stato nelle intenzioni di Castiel arrivare in ritardo al lavoro, quel giorno.
Sul serio, non lo era stato.
Ma non appena Dean era scomparso oltre la porta del suo appartamento, lasciandolo solo e vergognosamente eccitato in un letto che di lui conservava ancora un debole tepore e una traccia di profumo ad impregnare il cuscino… bè, diciamo che c’era stata una certa questione di cui doversi occupare.
Scrupolosamente.
Il redattore s’era rotolato fra le lenzuola stropicciate per quasi mezz’ora, ad occhi chiusi, ispirando l’impercettibile sentore emanato dal cuscino di Dean e immaginandolo nudo, sognando di sentire la sua pelle sulla propria, le sue labbra dappertutto, fantasticando su come sarebbe stato guardarlo negli occhi mentre facevano l’amore, immaginando di sentirselo addosso, di sentirselo dentro… consapevole che Dean Winchester si stava trasformando in una vera e propria ossessione, e che sarebbe probabilmente imploso ben prima di arrivare al termine di quell’infernale settimana.
 
Ed esattamente come ogni singola volta in cui si era soffermato a pensare a Dean, il tempo era parso dilatarsi, così tutto ad un tratto Castiel s’era ritrovato ansante, stravolto e incredibilmente in ritardo a doversi catapultare fuori di casa, con l’aggravante di essere inevitabilmente obbligato a passare in pasticceria, se intendeva arrivare a fine giornata con la psiche integra.
 
Fece capolino in ufficio reggendo la consueta - e appiccicosa - offerta sacrificale al dio dei ficcanaso, sperando di dirottare sulle focaccine al limone l’attenzione dei propri inopportuni angeli custodi che, tanto per cambiare, erano all’erta nei rispettivi cubicoli.
 
Purtroppo l’overdose di zucchero, al posto di renderli sazi e mansueti, li rese iperattivi come scimmie impazzite, e altrettanto ipercuriosi.
Planati sulla sua scrivania come avvoltoi in cerca di carogne, riuscirono ad avventarsi sui dolci ed in contemporanea a mettere Castiel con le spalle al muro, subissandolo di domande ed esigendo senza tante cerimonie il resoconto della sera precedente, resoconto che l'altro fornì nella maniera più distaccata ed impersonale possibile, anch’egli dimenticando di riportare il trascurabile particolare di essere quasi andato a letto con Dean.
 
Due volte.
 
Perché la verità, Castiel, preferiva ometterla piuttosto che alterarla.
 
Essendo sempre stato un pessimo bugiardo trovava più facile tralasciare dei particolari, piuttosto che inventarne d’alternativi, e di solito funzionava.
Naturalmente, il suo “di solito” non comprendeva Balthazar, il più grande impiccione sulla faccia del pianeta.
 
- Fammi capire… - sibilò quest’ultimo in tono scettico, interrompendo il racconto del collega e osservandolo con sospetto - Dopo che l’hai leccato, e sottolineo, leccato, in un luogo pubblico, vorresti farmi credere di aver dormito nello stesso letto con lui senza che sia accaduto nulla? I casi sono due, Cassy: o mi prendi per il culo, o Dean è impotente. -
 
‘Figlio di buona donna…’ ringhiò Castiel fra sé, alzando gli occhi al cielo in cerca d’ispirazione.
 
- Invece è proprio così Balth, non è successo niente. Niente di niente. - affermò, mentendo con tutta la convinzione di cui era capace e guardandolo sfrontatamente negli occhi - Ho messo subito in chiaro che volevo andarci piano col sesso, e dato che lui mi rispetta molto non mi ha fatto alcuna pressione.
 
‘Se vogliamo escludere quella che ho sentito distintamente contro la mia gamba circa tre ore fa…’ aggiunse mentalmente, lasciando che le proprie labbra si curvassero impercettibilmente verso l’alto, al ricordo.
 
Le sopracciglia di Balthazar, già piuttosto occupate a far sentire Castiel colpevole, si aggrottarono ancor di più.
 
- Gabe… guarda. - mormorò, rivolto al collega, attirando la sua attenzione - Guardalo. -
 
- Che cos… Oh. Oh, merda… fienile? - domandò esitante, come se stesse valutando varie opzioni.
 
- Fienile. - confermò l’altro, lapidario, annuendo gravemente.
 
- Ma che… che diamine state dicendo? - sbraitò Castiel, irritato - Cosa significa “fienile”? Siete impazziti? -
 
- Se qui è impazzito qualcuno, pulcino, non siamo certo io e Gabe… -
 
- Vuoi avere la grazia di spiegarmi, Balth, o devo farmi venire una crisi di nervi? Guarda che sono piuttosto bravo, mi sono allenato un sacco negli ultimi giorni…  - minacciò il più giovane, esasperato dalle ermetiche allusioni degli amici.
 
- Oh, è molto semplice: dal momento che quando ti piace qualcuno non capisci più niente, ti butti a capofitto nelle situazioni più incresciose e prendi una marea di decisioni avventate, io e Gabe abbiamo elaborato un pratico sistema “a facce” per valutare l’entità del problema in modo da poter intervenire in fretta e arginare i danni. - spiegò con noncuranza.
 
Castiel restò in silenzio per qualche secondo, cercando di capire se fosse uno scherzo.
Non era quasi mai uno scherzo.

- Che… che cos’è un… sistema a facce? - domandò infine con un filo di voce, non completamente persuaso di volerlo realmente sapere.
 
- Bè, Cassy… in pratica… le espressioni del tuo viso, che a quanto sembra non sei in alcun modo in grado di controllare, ci rivelano quanto sei compromesso in una relazione in maniera più precisa e attendibile che non entrare nella tua casella e-mail, leggere di nascosto i tuoi sms o frugarti nei cassetti della scrivania. -
 
- Voi… voi frugate fra le mie cose? - balbettò il redattore, impietrito - Leggete i miei messaggi privati? Voi… no, mi rifiuto di… no. -
 
- Ma no Cassy, dai… - lo rassicurò, per quasi due secondi, Gabriel - Quello lo facevamo prima! -
 
- P-prima? -
 
- Certo, prima del sistema a facce. Ma è una vita che non lo facciamo più, vero Balth? - dichiarò orgoglioso l’altro, come se per una tale delicatezza si aspettasse un encomio da parte di Castiel, che invece si massaggiò debolmente la fronte, nel vano tentativo di arrestare l’insorgere di un’emicrania e di resistere all’impulso di commettere un brutale, seppur soddisfacente, omicidio.

- Premettendo che non vi ammazzo solo perché ci sono troppi testimoni… - ringhiò minaccioso - Vorreste comunque illuminarmi sul significato di “fienile”? Così, giusto per farmi un’idea di quanto riusciate ad essere idioti, unendo i vostri due cervellini rinsecchiti. -
 
Fu Balthazar a riprendere la parola, calmo e tranquillo come se l’altro non stesse progettando di mettergli il veleno per topi nel caffè.
 
- Devi sapere Cassy, che il sistema a facce si basa su una scala che va da uno a dieci dove uno, tanto per fare un esempio, è “drink”. Drink significa che trovi un tizio abbastanza carino da essere disposto ad uscire una sera con lui per qualcosa di poco impegnativo. -
 
- Ok… - mormorò il collega, fissandolo con astio - E tanto per sapere, il… il sei cos’è? -
 
- Il sei… dunque… ah, sì, il sei è “weekend”. Vuol dire che sei piuttosto preso, e che sei in grado di tollerare l’idea di seppellirti in qualche oscuro B&B in Vermont per un intero fine settimana, sorbendoti giri per mercatini antiquari alla ricerca di porcellane francesi e raccolte di mele nel frutteto. -
 
- Sì… bene. Certo. Cos’è “fienile”, allora? - chiese quindi Castiel, che cominciava a perdere la pazienza.
 
- Facile, fienile è il numero otto della nostra scala. - affermò con sicurezza il collega.
 
Castiel reagì come se si fosse appena scottato.
 
- Otto? Ma… è una follia! Non sono all’otto, non sono affatto all’otto! Sarò a malapena a… al due, ecco, di qualunque cosa si tratti! Vi state sbagliando, e di grosso. - dichiarò con enfasi.
 
- Vuoi forse dirmi che la tua faccia non sta gridando al mondo “Voglio rotolarmi in un fienile con Dean Winchester per giorni e giorni come nei migliori film da pollastre, facendomi scopare fino allo sfinimento, dimenticandomi persino di mangiare o dormire”? -
 
- Certo che non lo fa! - replicò l’altro con convinzione, cercando di dissimulare la vampata d’imbarazzo che sentiva risalire lungo il collo - E ti dirò di più, Balth: quello che vedi, o credi di vedere, sulla mia faccia, è unicamente frutto del mio talento. Sto fingendo di essere innamorato di Dean praticamente da quattro giorni, ventiquattr’ore su ventiquattro e… probabilmente mi sono solo immedesimato più del dovuto. Tutto lì. -
 
- Ma certo, mio talentuoso amico! - lo schernì Gabriel - Probabilmente è a causa di questa tua incredibile capacità d’immedesimazione che al club teatrale, al college, ti affidavano l’incarico di tecnico delle luci…  -
 
- Ti odio, Gabe. E odio anche te. - sibilò il redattore, ignorando la frecciata e osservando alternativamente sia Gabriel che Balthazar, che ostentava innocenza come se non sapesse nemmeno a cosa l’altro si riferisse - Avete violato la mia privacy in ogni modo umanamente possibile, mi trattate come se fossi un povero sprovveduto e sostanzialmente siete due figli di puttana, perciò ora farete quello che dico io. - sentenziò inferocito - Gabe, mi serve la tua scorta segreta di caramelle. -
 
- Quale scorta segreta? Io non ho un- provò a negare Gabriel, interrompendosi immediatamente nel notare l'espressione incazzosa dell’amico - Ok… quante te ne servono? - si arrese quindi in tono remissivo.
 
- Tutte. -
 
- Ma… - azzardò l’altro.

- No. Nessun ma. Ora andrò a prendere delle cose, dopo di che voi due chinerete la testa e le userete per fare quello che vi dirò di fare, per tutto il tempo che sarà necessario. Anzi, no, esigo che il lavoro sia finito prima di pranzo, ho un impegno. - ordinò con un’espressione davvero poco rassicurante, alzandosi e allontanandosi in direzione della porta.
 
- Dove vai? - chiese titubante Balthazar.
 
- Reparto “hobby femminili e creatività”. Sgombrate le scrivanie. Avrete bisogno di spazio. - dichiarò seccamente prima di sparire.
 


Un paio d’ore più tardi, alla sede della King, Chuck stava infilando la testa nell’ufficio di Dean per appurare quanto pessime fossero le condizioni dell’amico, trovandolo ancora a faccia in giù sulla scrivania.
 
- Dean, stai… ehm… stai dormendo? - domandò circospetto, aggrappato allo stipite della porta, pronto a fuggire se l’altro gli avesse lanciato contro un fermacarte.
 
Da sotto le braccia incrociate del pubblicitario arrivò un attutito e funereo “No”.
 
Chuck mosse qualche passo all’interno della stanza, avvicinandosi al collega.
 
- Tutto ok? Che… che stai facendo? - chiese in tono cauto, poggiando una mano sulla spalla di Dean, che levò su di lui uno sguardo strano.
 
- Sto pensando. -
 
- Posso chiederti a cosa? -
 
- A Castiel. -
 
- … Ancora arrabbiato? - chiese comprensivo il profeta.
 
- Sì. No. Sì… non lo so. - mormorò Dean, rimettendosi a sedere in posizione eretta, mentre l’amico si appollaiava su un angolo della scrivania pronto ad ascoltare - Forse… forse non ne ho il diritto… in fondo nemmeno io mi sto comportando esattamente bene nei suoi confronti. Non so, Chuck, questa situazione sta diventando molto… strana. Quando ho accettato la scommessa con Bela e Ruby non credevo che sarebbe stato così difficile. Immaginavo… oh, non lo so cosa immaginavo! Pensavo che sarebbe stata come una campagna qualsiasi, un’operazione commerciale, asettica e indolore… o forse non stavo proprio pensando. - confessò abbattuto, strascicando le parole come se mettere insieme ogni sillaba gli costasse una fatica immane - Sì, sì, è chiaro che non stessi pensando, dovevo essermi davvero bevuto il cervello per prestarmi ad una cosa simile. Forse quelle due hanno drogato il mio champagne… -
 
Solo allora lo sguardo di Chuck cadde sullo schermo del computer dell’amico, dove ancora campeggiava la pagina Facebook con la foto che aveva causato tanto scompiglio.
 
L’osservò con attenzione per qualche istante, quindi osservò Dean, che giocherellava con una penna ad occhi bassi. E la lungimiranza per cui era famoso fece il resto.
 
Con tutto il tatto di cui era capace, pose una semplice domanda.

- Dean… Castiel ti… cioè lui... ehm… ti piace? - chiese in tono mite, posandogli nuovamente una mano sulla spalla, sperando di non beccarsi un pugno sul naso.
 
Non ci fu bisogno di alcuna risposta, fu sufficiente lo sguardo che Dean gli rivolse, un misto di tristezza, imbarazzo e gratitudine che, al di là dell’implicita ed enorme portata di una tale ammissione, lo lusingò profondamente. Chuck si trovò a constatare che alle volte, essere Dean Winchester doveva essere davvero dura… e che quella che aveva appena ricevuto era una grandissima prova di fiducia da parte sua, fiducia che si ripromise di non tradire mai.
 
- Bè… Wow. - commentò dopo aver assimilato l’informazione, cercando di sdrammatizzare - Quindi qual è ora il tuo piano? Mollare tutto? -
 
- Nessun piano, amico. Si va avanti come prestabilito. - replicò Dean in tono forzatamente asciutto, nonostante l’enorme sollievo per essersi tolto quel peso dallo stomaco.
 
- Ma Dean, tu-
 
- Io ho accettato la scommessa, coinvolgendo anche te e Garth senza consultarvi. - lo interruppe l’altro, duro - Quindi ora pagherò le conseguenze della mia arroganza, nel bene o nel male. Non è niente di serio Chuck, davvero. Lo conosco solo da quattro giorni, noi tre invece siamo amici da anni, e in questa faccenda siete una mia responsabilità: io vi ho ficcati in questo casino e io vi tirerò fuori. -
 
- Però… -
 
- Non c’è alcun però. Castiel sa essere fantastico, lo ammetto, ma è anche del tutto fuori di testa. Stare con lui è come… come essere incatenati ad una cometa, ecco [2]. È completamente imprevedibile, e mi fa letteralmente impazzire dalla rabbia a volte. Non fa per me, punto. -
 
- Come credi, Dean, sono certo che tu sappia cos’è meglio per te… - mormorò Chuck in tono sibillino, osservandolo con indulgenza, come se conoscesse un segreto di cui l'amico non era al corrente.
 
- Grazie Chuck.-
 
- Perciò ora che hai intenzione di fare? -
 
- Anche se mi spiace giocarmi subito una delle mie carte migliori, stasera lo invierò da me e cucinerò per lui. -
 
- Caspita, vuoi calare l’asso, eh? - commentò ammiccante Garth, facendo capolino dalla porta lasciata aperta senza avere la minima idea della delicata discussione terminata solo qualche secondo prima - Cosa gli prepari, il tuo celeberrimo soufflè? -
 
- No, quello è per quando voglio concludere con una ragazza che fa particolarmente la difficile… il soufflè è da femmine, per un uomo ci vuole la carne. Carne rossa. Gli cucinerò l’hamburger più buono che abbia mai mangiato in vita sua… -
 
- E speri di farlo capitolare con un semplice hamburger? -
 
- Non sarà affatto un semplice hamburger: manzo Kobe [3], signori, duecento dollari al chilo. -
 
- Hai di nuovo guardato Hell’s Chitcken, vero? La tua fissazione per Gordon Ramsay ha qualcosa di morboso, Dean. -
 
- Che ci posso fare, ragazzi? Adoro quell’uomo. Ma d’altra parte, se non amassi i bastardi, non lavorerei per Crowley, giusto? -
 
- Effettivamente, non hai tutti i torti. - convenne Garth.
 
- Tra parentesi, l’altra sera allo Sky mi è sembrato di intravederlo al bar… -
 
- Chi, Crowley? - chiese Chuck.
 
- No, idiota, Ramsay. Se non fossi stato occupato con le due streghe sarei andato a chiedergli un autografo. - dichiarò Dean, ignaro di aver in realtà adocchiato Balthazar - Comunque, oggi dovrò uscire un po’ prima per fare la spesa e avere il tempo di cucinare, se Cass accetterà il mio invito, per cui se il capo mi cerca dite… dite che sono andato a trovare mia zia all’ospedale. -

- Tua zia è già morta almeno due volte, quest’anno, Dean, suggerirei un maggior sforzo immaginativo - E poi… Cass? - sottolineò Garth, inarcando un sopracciglio.
 
- Sì, bè, è così che lo chiamo. Gli… gli piace. - replicò Dean, preso in contropiede - E tutta la mia immaginazione al momento è impegnata su come conquistarlo, per cui inventatevi qualcosa di plausibile, in fondo è il vostro lavoro, no? E ora fuori, devo concentrarmi! - borbottò, spingendo sbrigativamente gli amici fuori dal proprio ufficio per poter arrossire in pace.
 
Pace che per sua sfortuna si rivelò davvero breve dato che, dopo neanche venti minuti, Castiel piombò nel suddetto ufficio con la furia di un tornado, degnando a malapena Dean d’uno sguardo e reggendo tra le mani un enorme pannello di legno alto circa un metro e mezzo.
Poggiatolo contro il fianco della scrivania, l’aggirò per raggiungere la  parete dietro di essa, staccò un’enorme cornice che racchiudeva il poster promozionale di una delle campagne più riuscite di Dean e, senza dire una parola, lo sostituì col proprio.
 
L’altro osservò l’intera operazione in apparente stato di trance, riuscendo infine, con un notevole sforzo, ad indirizzare la propria attenzione su ciò che Castiel aveva appeso al muro.

Ad occhio e croce si trattava di… lui.
In una specie di riproduzione alla Andy Wharol fatta con… ehi, erano Smarties, quelli? [4]
 
- Ehm… Cass? Ciao, Cass… che… che cos’è quello? - domandò, cauto come ormai aveva imparato fosse meglio essere.
 
- Oh, ciao Fagiolino! Questo? - chiese, accennando al quadro - Questo è un regalo per te, mi sembra evidente! -
 
- Un regalo? Un… un altro? Io, ehm, non sono certo di meritare tutte queste… premure, da parte tua… - osservò Dean, scrutando confuso il confetto verde che rappresentava la sua pupilla.
 
- Non dire sciocchezze! Tu ti meriti questo ed altro! Oggi ti stavo pensando e mi sono chiesto: qual è la caratteristica del mio amore che preferisco? - spiegò Castiel, invitando con lo sguardo Dean a dare una risposta.
 
- Io… io… non lo so… che sono, uh, colorato? - buttò lì l’altro, a caso.
 
- Ma no, sciocchino! La tua dolcezza, no? E allora ecco qui un altro Dean, dolce quanto l’originale! Ti piace? -
 
- C… certo, tesoro, lo trovo così… audace e… variopinto. - mormorò Dean, stranito, fissando ipnotizzato l’accozzaglia di confetti colorati accatastati praticamente a caso  e chiedendosi cosa mai avesse fatto di male, in questa vita o nelle precedenti, per meritarsi una simile umiliazione, mentre osservava i colleghi, incollati al vetro dell’ufficio adiacente come gechi, ridere fino alle lacrime.
 
- Esattamente il risultato che volevo ottenere! - cinguettò Castiel - Oh, e poi considera che ho rischiato la vita per realizzarlo! - aggiunse poi, facendosi serio.
 
- Che intendi dire? - domandò l’altro, avvicinandosi fino ad affiancare il giornalista e sfiorando con la punta delle dita la superficie irregolare della sua ”opera d’arte”.
 
- Bè, come puoi immaginare l’ho realizzato in ufficio, e ho dovuto combattere con le unghie e con i denti per impedire a Gabriel di mangiarti. Meglio che mi appunti di non frappormi mai più fra Gabe e dei dolci… - commentò con aria grave Castiel - … Comunque sono stato un vero eroe, ed è riuscito solo a leccarti la faccia! - concluse entusiasta.
 
- Che… che cosa? Ma che schifo! - sbraitò Dean, disgustato, strofinandosi freneticamente la mano sui pantaloni tra le risate dei colleghi - E voi due piantatela di ridere o vi faccio deportare nella nostra sede in Siberia! - ringhiò all’indirizzo di Chuck e Garth, che intanto si erano affacciati alla soglia dell’ufficio per non perdersi nemmeno una parola e che ora si stavano silenziosamente sbellicando ai danni dell’amico.
 
- Noi non abbiamo una sede in Siberia… - gli fece ingenuamente notare Chuck.
 
Dean lo fulminò con lo sguardo, ringhiando un minaccioso “Per ora…”, prontamente interrotto da Castiel.

- Oh, Dean, su, non fare tante storie, la saliva è un potente antisettico naturale, in pratica è come se Gabe l’avesse disinfettato! Eppure con la mia, di saliva, non fai così lo schizzinoso… - mormorò, imbronciato ed allusivo allo stesso tempo, abbracciando Dean e facendolo arrossire fino alla radice dei capelli, mentre gli occhi dei colleghi si sgranavano a tal punto da rischiare di cadere fuori dalle orbite.
 
Stringendo forte Castiel tra le braccia, in modo tale da impedirgli di girarsi, intimò agli amici di sparire mimando una serie di silenziose minacce, decidendosi a lasciare la presa solo quando la porta dell’ufficio si chiuse alle spalle del redattore.
 
- Wow, tesoro, che entusiasmo… non credevo che potesse piacerti così tanto! - trillò il redattore, allegro, divincolandosi dall’abbraccio e indietreggiando un poco in modo da poter ammirare assieme il volto del quadro e l’originale in 3D.
 
- B-bè… sai… non sono un’esperto d’arte moderna ma questo è sicuramente… impressionante. - commentò Dean, a corto d’aggettivi.
 
‘Infatti fa impressione…’
 
- Ero certo che l’avresti apprezzato, sei sempre così sensibile e premuroso con me… è una delle doti che più amo di te, sai? -
 
- Ehm, ecco, a proposito di doti… stasera sei libero? - domandò, leggermente esitante.
 
- Sì, perché? -
 
- Mi farebbe molto piacere invitarti da me e cucinarti qualcosa di speciale… stasera c’è anche la partita dei Knicks, ce la godremo durante la cena, ti va l’idea? -
 
Castiel tentennò per qualche secondo.

- Da… da te? Di nuovo? - chiese, improvvisamente intimidito.
 
- Sì, certo, perché? C’è qualche problema? -
 
- No, no, assolutamente tesoro, che… ehm… che problema potrebbe mai esserci? -

‘A parte il fatto che quell’appartamento grida “sesso” da ogni angolo, con i suoi stupidi mobili in pelle, le sue stupide luci basse, la sua stupida musica e quel fottuto letto che mi fissa dal soppalco.’
 
- Perfetto, quindi passi da me alle sette e mezza? Non tardare o perderemo l’inizio della partita! -
 
- Ci sarò, non preoccuparti. - mormorò Castiel, senza enfasi, indietreggiando goffamente fino a raggiungere la porta.
 
- Non te ne pentirai, Cass… - dichiarò Dean, sfoderando un sorriso carico di promesse che diede il colpo di grazia alla già misera sicurezza del redattore.
 
- Ne… ne sono sicuro. Allora a stasera, zucchino. - mormorò quest’ultimo nel chiudere la porta ed avviarsi con aria afflitta verso gli ascensori.
 
Non attese nemmeno di essere fuori dall’edificio prima di estrarre il cellulare dalla tasca del trench e comporre in fretta un numero.
 
- Balth, sono io. - annunciò gravemente - Ordina il pranzo e chiama Gabe. Abbiamo un problema. -
 

 
Una ventina di minuti dopo, in redazione, Castiel e quelli che, in tempo di crisi, erano rapidamente stati ripromossi da vermi a migliori amici, consumavano il loro pranzo nel cubicolo di Balthazar, che tanto per cambiare era il più grande di tutto l’ufficio, oltretutto col bonus di una vera finestra.
 
Mentre Gabriel aggrediva una lasagna e Balth piluccava annoiato del sashimi, Castiel si stava sbrodolando senza ritegno con l’hamburger più farcito che mente umana possa concepire, mentre contemporaneamente tentava di spiegare ai colleghi la propria difficile situazione senza soffocare.
 
- Fammi capire Cassy, perché non credo di aver afferrato il nocciolo della questione… che c’è di male nell’invito di Dean? Avete dormito insieme e ne sei uscito indenne, che sarà mai un’innocua cenetta? Sei stato tu a dire che nutre il massimo rispetto per te, giusto? - chiese Gabriel.
 
- Temo che il tempo per il rispetto sia terminato, Gabe. - farfugliò Castiel abbacchiato, sbocconcellando una strisciolina di bacon - Quando mi ha invitato… non so… ho avuto una strana sensazione, come se questa serata fosse… una trappola. E poi nessun ragazzo si mette a cucinare per te, dopo tre o quattro appuntamenti, se non per ottenere qualcosa in cambio. Credo che voglia, come dire, concludere… -
 
- E anche se fosse? Che t’importa? - replicò il critico con noncuranza - Se lo vuole, tu daglielo. Voglio dire, anche se la sua mercanzia non è di mio gusto, devo ammettere che Dean è un bellissimo ragazzo, e mi sembra che a te piaccia no? Se non fossi interessato sarei il primo a dirti di non farlo, ma non mi pare che sia il tuo caso… -
 
- Gabe, sei utile come la gonorrea. - commentò Balthazar, sarcastico - Non capisci che è proprio perché Dean gli piace che non può farlo? -
 
- E perché? In fondo Cassy non è mica vergine! Anzi, farsi una bella scopata forse potrebbe aiutarlo a levarsi quel palo dal culo. -
 
- Santo cielo, ora capisco perché le tue relazioni non durano, Gabe! Primo: Cassy non può andarci a letto perché lo scopo del suo pezzo è farsi lasciare, quindi sarebbe controproducente ai fini dell’articolo. Secondo: sai bene com’è fatto il nostro pulcino, se mai dovesse fare sesso con Dean sarebbe una cosa epocale per lui, e dopo sono certo che soffrirebbe nel doversene sbarazzare. -
 
Castiel fece per protestare, irritato dal modo di fare degli altri due, che parlavano di lui come se nemmeno fosse presente e di Dean come se fosse un cucciolo malridotto trovato in strada, ma la testa di Pamela sbucò improvvisamente al disopra della parete divisoria, spaventandoli a morte.
La salutarono in coro, guardinghi, cercando di capire che aria tirasse e soprattutto il motivo di quell’improvvisata nel bel mezzo della pausa pranzo.
 
- Buongiorno ragazzi. E buon appetito. - salutò lei di rimando, approvando con lo sguardo solo l’ipocalorico pranzo di Balthazar - Stavo giusto cercando te, Novak. - annunciò poi.
 
Gli altri due si rilassarono visibilmente, mentre Castiel annuiva e abbozzava un sorriso a bocca piena, temendo una lavata di capo.
 
- Volevo solo dirti che mi sto davvero appassionando ai tuoi appunti, e sono certa che ne uscirà un pezzo favoloso. Come procede la tua ricerca? - domandò la donna.
 
- Uhm.. ‘ene. - replicò il redattore, nel vano tentativo di deglutire tutto intero un enorme pezzo di panino -‘Hasera ciono ‘nvitato da hui. A ‘scena. ‘Hucineà pemmè. - annunciò fiero, cercando di darsi un tono e di non sputacchiare in giro.
 
- Oh, perfetto! Sai, non vedo l’ora di leggere il resoconto che farai domani… ora però mi attendono i grafici, vi saluto ragazzi. - mormorò, prima di eclissarsi.
 
- Wow. - commentò Gabriel, riprendendo a mangiare - Mi ha fatto quasi andare di traverso il pranzo. Riesce ogni volta a terrorizzarmi, con quel suo vizio di comparire all’improvviso come un ninjia. -
 
- Sì, è vero. - ridacchiò Castiel - Detesto quando lo fa. -
 
- Vi ho sentiti. - sibilò Pamela in tono severo, facendo di nuovo capolino dal  separè e regalando ai tre amici il secondo infarto nel giro di cinque minuti, per rivolgersi poi a Castiel, che aveva la bocca piena all’inverosimile ed un enorme sbaffo di maionese sulla guancia, con aria critica - Quanto a te, Novak… stasera ti consiglierei di fare bocconi più piccoli. - suggerì sarcastica, prima di sparire di nuovo.
 

 
Quella stessa sera, alle sette e venti, un redattore piuttosto nervoso bussò alla porta di Dean Winchester con uno scatolone fra le mani, accolto da una voce attutita proveniente dall’interno che lo informava che era aperto e che poteva entrare.

Castiel fece come suggerito, e una volta dentro posò per qualche istante la scatola sul tavolino all’ingresso, cercando con lo sguardo Dean, che si sporse dal muretto divisorio della cucina con un gran sorriso.

Lo salutò timidamente, un po’ sulle spine.
 
- Ehi Cass! Scusa se non vengo a salutarti, ma ho letteralmente le mani in pasta… - spiegò allegro, alzando una mano sporca di qualcosa che l’altro non riuscì ad identificare - Finisco di preparare qui e controllo il forno, dammi dieci minuti e sarò a tua completa disposizione. Intanto accomodati, fai come fossi a casa tua! -
 
- Oh, non preoccuparti Dean, lo farò! - replicò Castiel, che non aspettava altro, recuperando la scatola e prendendo un lungo respiro per farsi coraggio.
 
Evitando di soffermarsi ad ammirare la tavola apparecchiata con cura, con tanto di candele, che faceva bella mostra di sé in soggiorno, fece il più rapidamente possibile il giro della casa, disseminando ovunque ciò che Balthazar e Gabriel gli avevano procurato: in bagno sostituì i sobri asciugamani di Dean con una coppia di spugne rosa LUI & LUI, stipando il mobiletto sopra il lavabo di discutibili prodotti per l’igiene personale e fissando in fretta e furia una tenda di perline in corrispondenza della porta [5].
In camera da letto staccò un quadro dalla parete, appendendo al suo posto un ridicolo ed ingombrante ricamo “Homo sweet Homo” che Gabe aveva ordinato su Puntocrocesovversivo.net, posando poi al centro del grande matrimoniale due conigli di peluche abbracciati.
Per completare la propria opera fece frettolosamente ritorno in soggiorno, dove drappeggiò sul divano una vezzosa coperta all’uncinetto e accese un incenso nauseabondo che rese l’aria irrespirabile in tre secondi netti.
 
‘Giusto in tempo…’ constatò, imponendosi di non tossire, osservando Dean arrivare dalla cucina reggendo due piatti colmi di cibo.
 
- Che… che cos’è questa puzza? - chiese questi, inchiodando nel bel mezzo della stanza e annusando l’aria con espressione nauseata.
 
- Oh, questo è… incenso. L’ho portato io per… uh… creare l’atmosfera. - spiegò Castiel, cercando di respirare con la bocca.

- L’atmosfera di Chernobyl? - si lasciò sfuggire l’altro, un po’ più bruscamente di quanto intendesse.
 
‘Dio, ti prego, non farmi morire ora, o sulla mia lapide scriveranno «Qui giace Dean Patchouli Winchester»!’ pregò fra sé e sé.
 
- Non… non ti piace? - mormorò Castiel, sfoderando l’espressione da cucciolo che Dean, almeno fino a quel momento, era stato fermamente convinto essere di esclusivo appannaggio del fratello.
 
Goffamente, cercò di rimediare al proprio infelice commento.

- Oh, oh no, no Cass! Mi sono espresso male! - esclamò posando rapidamente i piatti sul tavolo per raggiungere Castiel e abbracciarlo - Volevo dire che… sai, tra il fumo delle candele, l’incenso e l’odore di cibo, rischio di non poter sentire l’unico profumo che mi piace veramente… il tuo… - sussurrò piano, affondando il viso nel collo dell’altro e posandovi le labbra, inspirando ad occhi chiusi.
 
Il redattore, che si era lasciato abbracciare ma senza ricambiare, istintivamente circondò a propria volta il corpo di Dean, stringendolo forte e godendosi qualche secondo di beatitudine, prima di farsi forza e sciogliere l’abbraccio, mormorando in tono mite “Va bene, spegniamolo”.
 
Dopo aver portato il piattino con l’incenso in cucina e averlo passato sotto il getto del lavandino per debellare il fetore, Castiel tornò da Dean, che gli scostò la sedia e lo aiutò ad accomodarsi come un vero cavaliere.
 
- Allora, Cass, ho passato quasi due ore a cucinare, ma credo che ne sia valsa la pena. - annunciò, posando teatralmente il piatto davanti a Castiel - Ecco qui: hamburger di carne Kobe tritata personalmente al coltello dal sottoscritto e cotta al sangue, condita con Fleur de Sel e senape di Digione, accompagnato da pane francese, anelli di cipolla caramellata, uovo in camicia e patate al forno! - proseguì, elencando con orgoglio ogni ingrediente del capolavoro che aveva messo insieme con tanta cura.
 
Castiel deglutì, di fronte al paradiso di qualsiasi carnivoro.

Carne Kobe.
 
Ne aveva solamente sentito parlare da Gabe, che ne decantava l’incomparabile sapore e morbidezza nella sua rubrica, ed erano mesi che aspettava - invano - d’imbucarsi ad una delle prestigiose cene a cui spesso l’amico veniva invitato, per assaggiare una tale rara squisitezza.
Ormai si era arreso, arrivando quasi al punto di considerarla una leggenda metropolitana, e invece… eccola qui.
Ora.
Proprio sotto il suo naso.
 
- Non posso mangiarlo. - dichiarò con la morte nel cuore, facendosi forza e allontanando da sé il piatto che spandeva nell’aria un profumino celestiale.
 
Il suo stomaco, per rappresaglia, brontolò sonoramente.
 
- Che… che cosa? - chiese sbalordito Dean.

- Non posso mangiarlo. - ripeté - Sono vegetariano Dean, non potrei mai gustarmi la cena sapendo che le mie mani sono lorde del sangue di qualche povero animale innocente. Questo hamburger è… è chiaramente un abominio [6]. - aggiunse poi con le lacrime agli occhi, lacrime che Dean interpretò come sincero dispiacere per il manzo che si era sacrificato per la causa, mentre in realtà erano di pura disperazione per l’occasione mancata.
 
- Oh, bè ma… magari questo vitello non è stato ammazzato, magari si è… uhm… suicidato? - azzardò Dean, piuttosto restio all’idea di vedere sprecata una tale meraviglia, guadagnandosi un’occhiataccia e cambiando velocemente registro - Cass, mi dispiace, non immaginavo… cioè, non mi avevi mai detto d’essere vegetariano! - mormorò quindi, a propria discolpa - E poi, perdonami, ma nella torta che abbiamo mangiato da Missouri c’erano le uova, e anche il latte… - osservò giustamente.
 
Colto in flagrante, Castiel improvvisò, sperando di non tradirsi arrossendo.
 
- Dunque, bé… non sono proprio… del tutto… rigidamente… cioè, in pratica non mangio roba che ha… un…un muso, ecco. -
 
- Un… muso? - gli fece eco l’altro, come se ripetendole le parole di Castiel acquisissero improvvisamente un qualche tipo di logica - Nemmeno il pesce? -
 
Il redattore, di fronte alla prospettiva di altri sette giorni di erba, semini e soia, capitolò.
 
- Il pesce… ehm, sì. Il pesce sì. Non mangio animali con il muso carino… - borbottò, messo alle strette.
 
‘Dio Cass, questa era davvero gay…’
 
- … E infatti non mangio i delfini. - dichiarò poi, solenne, per dare enfasi alle proprie affermazioni.
 
- Nessuno mangia i delfini, Cass. - replicò Dean, asciutto.
 
- Ah. Bé, ma io non li mangerei nemmeno se fossero buonissimi! -
 
Dean si stropicciò gli occhi, passandosi stancamente una mano sul viso.
 
- Quindi… ora che facciamo? - chiese - Non ho praticamente altro in casa, ceno quasi sempre fuori… vuoi ordinare una pizza? Non dovrebbe metterci molto… -
 
- No la pizza non mi va… usciamo, so io dove andare! -
 
- Ma… la partita sta per cominc… - replicò Dean senza pensare, bloccandosi immediatamente nell’incontrare lo sguardo omicida del compagno.
 
L’altro si avvicinò fino ad arrivargli ad un palmo dal naso, le mani piantate sui fianchi.
 
- Dean Winchester, devo forse arguire che il mio fidanzato antepone una partita di basket ad una romantica cena con me? - sibilò, fulminandolo con gli occhi e tremando di sdegno.
 
- N-no… certo che no, Cass! - balbettò Dean, sulla difensiva - Registrerò la partita e la guarderemo insieme al nostro ritorno, che ne dici? -
 
- Prendi la giacca. - ordinò Castiel, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la porta.
 
Venti minuti dopo erano seduti a un piccolo tavolo da “Tofu or not Tofu”, di Tran e figlio, attività che la signora Tran, una minuscola e decisamente energica donna coreana, mandava avanti con efficienza tutta asiatica e il piglio di un generale tedesco.
 
- Sai che questo, secondo la rubrica dei ristoranti del Times, è il miglior ristorante macrobiotico-fusion della città? - esordì Castiel in tono allegro, sbirciando il compagno che scrutava perplesso il menù.
 
- Non avevo alcun dubbio… leggi qui che piatti… insalata di bulgur con spezzatino di seitan… non potevano darci un menù che fosse scritto in inglese, invece che in tailandese? -

- Coreano, Dean. - lo corresse il redattore - E comunque il nostro menù è in inglese. -
 
- Ah. - commentò atono l’altro tentando di indovinare cosa, all’interno di quell’enigmatico elenco, potesse rivelarsi commestibile.
 
- Cosa prendi? Io credò opterò per della tapioca con germogli di felce e zenzero, sembra ottimo! -
 
Dean, che ignorava sia cosa fosse la tapioca sia che le felci si potessero mangiare, si orientò su un più prudente tofu veggie burger, sperando che assomigliasse anche solo vagamente a del cibo vero.
 
Quando un adolescente di nome Kevin, o almeno così recitava la targhetta sulla sua maglia, posò le loro ordinazioni sul tavolo, Castiel si pentì immediatamente della propria scelta: la tapioca si rivelò un’orrenda pappetta vischiosa piena di grumi, i germogli di felce sembravano bizzarre chiocciole di un verde accecante e lo zenzero rendeva il tutto piccante senza però riuscire a renderlo buono. Sconsolato, osservò di sottecchi Dean che assaggiava guardingo il proprio panino, decidendo poi di prenderne un secondo morso, pur senza mostrare eccessivo entusiasmo.
 
- Com’è? - domandò il redattore, sperando che l’altro glielo facesse assaggiare, cincischiando con la forchetta e spostando da una parte all’altra della ciotola le felci, o qualsiasi cosa fossero gli ignobili cosi verdolini che spacciavano per tali.
 
Dean fece spallucce, a bocca piena.
 
- Mh… ho mangiato di meglio, ma almeno non sa di cartone. - commentò rassegnato, senza accennare a voler offrire a Castiel un boccone - Il tuo com’è? -
 
- Oh, è… uhm, interessante. - replicò l’altro, desiderando solo teletrasportarsi al Burger King lì all’angolo e continuando a giocherellare col cibo - Ne vuoi un po’? - offrì poi, sperando di sbolognare parte dell’intruglio al compagno.
 
- Senza offesa Cass ma… no, grazie. Non ha l’aria molto appetitosa… -
 
- Dici? Ti assicuro che è davvero… particolare… e poi ho letto da qualche parte che la tapioca aiuta a bruciare i grassi - mentì, senza osare buttar giù un altro boccone.
 
- Perché, credi di averne bisogno? - domandò l’altro, facendo scorrere lo sguardo sul compagno con un risolino divertito.
 
Visto che nulla sembrava scalfire la granitica pazienza di Dean, Castiel decise, con un sospiro rassegnato, che era giunto il momento di toccare il fondo dell’autodegradazione.
E della checcaggine.
 
- Io no, ma… evidentemente tu sì. - replicò gelido - Come… come puoi dirmi una cosa del genere proprio mentre siamo a cena? Basta, non posso più mangiare di fronte a te! - continuò poi con voce tremula, lasciando cadere la forchetta nella ciotola con un tintinnio abbastanza forte da far voltare tutti i clienti nel raggio di tre metri (ed una certa soddisfazione per essersi sbarazzato dell’orrido intruglio), per poi alzarsi con foga ed iniziare ad allontanarsi.
 
- Ma… ma io non… non ho affatto detto… Cass, dove vai? - balbettò Dean, disorientato, accennando a seguirlo.
 
- Vado in bagno, non credo di sentirmi bene, e tu sei pregato di lasciarmi solo! Sei cattivo Dean, sei cattivo a dirmi che sono grasso! - disse l’altro in tono melodrammatico, a voce abbastanza alta da farsi sentire da mezzo locale, prima di voltarsi e sparire in un corridoio.
 
La signora Tran, che aveva preso ad aggirarsi dalle loro parti dopo aver notato che Castiel non aveva praticamente toccato cibo, scoccò a Dean un’occhiata di severa e totale disapprovazione.
 
- Ma io… non gli ho detto… io non… - cercò di giustificarsi Dean, chinando la testa sul proprio piatto e decidendo di lasciar perdere quando, dopo essersi guardato attorno in cerca di supporto morale da parte degli altri clienti, incontrò solo sguardi ostili.
 
Frattanto Castiel, invece di recarsi in bagno, si era infilato di soppiatto nelle cucine, da cui aveva sentito provenire commenti concitati riguardanti la partita. Effettivamente, tutti quelli che in quel momento non erano occupati a cucinare erano riuniti davanti ad un minuscolo televisore, piazzato su una mensola, cenando in piedi con avanzi e cartocci del fast food e facendo rumorosamente il tifo.
Unitosi a loro e fatta velocemente amicizia con un lavapiatti messicano di nome Ramon, che divise con lui un untissimo burrito al chili, Castiel fece giusto in tempo a vedere il playmaker dei Knicks sbagliare clamorosamente un tiro da tre punti appena prima dello scadere del tempo, perdendo così l’incontro per un soffio e scatenando un coro di proteste nella cucina sovraffollata.
Avvilito, diede al proprio nuovo amico una pacca sulla spalla biascicando qualcosa tipo “Sarà per la prossima volta, Ramon” e tornò da Dean, che cominciava a dare segni di nervosismo a causa della sua prolungata assenza.
 
- Cass, stai bene? - domandò preoccupato, una volta che l’altro si fu riaccomodato al proprio posto - Sei stato via parecchio, e sembri piuttosto accaldato… - osservò, notando le guance arrossate e la fronte imperlata di sudore del redattore.
 
Naturalmente Castiel non poteva confessare d’essere in quello stato a causa del piccantissimo chili che aveva ingollato di straforo e del tifo indiavolato che aveva fatto con gli inservienti in cucina.
 
- Sì, io… non mi sentivo molto bene, forse mi ha fatto male qualcosa che ho mangiato a pranzo, sai credo di avere una mezza indigestione… - buttò lì.
 
- Quindi non vuoi finire il tuo piatto? - chiese l’altro, indicando con un cenno la ciotola di tapioca ormai fredda, che assumeva un’aria sempre più disgustosa ad ogni istante che passava.
 
- Ehm, no, credo che sia meglio che lasci perdere. - replicò Castiel, sospirando sollevato quando Kevin portò finalmente via quella sbobba nauseante.
 
- Senti Cass, a proposito di prima… - iniziò col dire Dean, cercando di trovare le parole giuste per rientrare in modalità Principe Azzurro e recuperare almeno parte di quella disastrosa serata.
 
- Non dire niente amore, credo di essermela presa un po’ troppo, forse ho reagito male a causa della nausea. Non devi dire niente, io ti perdono. - mormorò, magnanimo, stringendogli affettuosamente la mano.
 
- Ah. Ti ringrazio… sei molto… molto comprensivo con me, Cass. -
 
- Non dire sciocchezze, Dean, so bene che non diresti mai intenzionalmente qualcosa che potesse ferirmi. - dichiarò l’altro, fissandolo con uno sguardo tanto limpido e fiducioso da farlo sentire un verme - Vuoi ordinare qualcos’altro? Ho la sensazione che tu abbia ancora fame… - insinuò poi con una risatina, notando che Dean aveva fatto piazza pulita del cestino del pane e di tutto ciò che di commestibile era stato portato al loro tavolo.
 
Dean accettò con entusiasmo la proposta e quella, almeno per lui, fu l’unica parte veramente piacevole di quella cena disgustosa: Castiel non prese nulla, nonostante il suo stomaco brontolasse sempre più forte, per continuare con la farsa dell’indigestione, mentre Dean scelse una torta di mele biologiche con cannella di chissà dove e gelato di chissà cosa che si rivelò, del tutto imprevedibilmente, strepitosa.
 
- Avevi ragione Cass, qui si mangia davvero bene… - mormorò soddisfatto, dopo averne preso un paio di bocconi e aver assunto un’espressione beata - Non dirlo a Missouri, ma questa torta è buona quasi quanto la sua! -
 
Castiel ridacchiò, promettendo di portarsi il segreto nella tomba.
 
- Sei sicuro di non volerne? - domandò l’altro, pescando dal proprio piatto una generosa porzione di dolce ricoperto di gelato direttamente con le dita e sventolandogliela davanti al viso - Qualche briciola non ti ucciderà, coraggio, devi assolutamente assaggiarla… - mormorò in tono persuasivo avvicinando la mano alle labbra del redattore, che si aprirono spontaneamente senza che se ne rendesse nemmeno conto, permettendo a Dean di imboccarlo con quella delizia e compiere così uno dei gesti più incredibilmente sensuali che Castiel avesse mai sperimentato, ritrovandosi a deglutire a fatica sia la torta che un mostruoso groppo d’eccitazione.
 
- Dio, potrei buttarne giù altre quattro fette… che ne dici, ce ne facciamo incartare un po’ per gustarcela durante la partita? - chiese l’altro con un sorriso entusiasta, rompendo l’incanto.
 
Il redattore, riavendosi dalle proprie fantasie, non poté far altro che annuire, un po’ perché l’atteggiamento infantile di Dean era adorabile e un po’ perché sì, insomma… aveva fame.
 
Sulla via del ritorno, camminando tanto vicini da sfiorarsi ad ogni passo, Castiel voltò leggermente il viso, osservando di sottecchi il compagno che gongolava con il suo cartoccio tiepido tra le mani come se custodisse un minuscolo tesoro, sorridendo intenerito di fronte a tanta disarmante spensieratezza e reprimendo l’istinto di abbracciarlo così forte da stritolarlo.
 
Naturalmente Dean scelse proprio quell’istante per sollevare lo sguardo, sorprendendolo a fissarlo con un’espressione ebete che non riuscì a mascherare in tempo.
 
Rallentando gradualmente il passo fino a fermarsi, trattenne gentilmente Castiel afferrando un lembo del trench, facendolo voltare dalla propria parte. Il sorriso spontaneo di poco prima aleggiava ancora sul suo volto, quando prese gli il mento tra due dita della mano libera, posando il pollice sul labbro inferiore e premendo leggermente.
 
- Sono… sono sporco di gelato? - balbettò piano Castiel, ripensando all’identico gesto compiuto solo – santo cielo, erano davvero passati solo tre giorni? Il pensiero di Dean sembrava aver letteralmente saturato ogni singolo momento delle sue giornate, dilatando il tempo all’infinito – tre giorni prima da Missouri.
 
- No… - rispose sommessamente Dean, guidando le sue labbra sulle proprie per un bacio lento, dolce, senza secondi fini, proprio lì in mezzo alla strada, con i passanti che li schivavano divertiti e forse un po’ invidiosi.
 
Castiel da principio avvertì solo zucchero e un vago retrogusto di cannella, mentre la lingua di Dean lo sfiorava delicata, ma dopo poco si sciolse letteralmente contro di lui, perdendosi, fino a quando una bolla di calore si irradiò dal suo petto fino al cervello, scaricandovi una tonnellata di endorfine e facendogli rizzare i capelli sulla nuca.
 
Aveva dimenticato.
A causa delle sue poche e deludenti esperienze passate, aveva completamente dimenticato com’era baciarsi solo per il gusto di farlo e non come un fine per arrivare al sesso, in mezzo alla strada come due adolescenti… e ora Dean lo stava baciando così, solo perché era felice.
Perché era felice di tornare a casa con un po’ di torta fatta con mele di contrabbando, dopo aver passato una serata di merda a causa sua.
 
Una cosa così sciocca e dolce.
 
Fu quello l’esatto momento in cui il nome di Dean s’impresse come un sigillo sul cuore di Castiel.

Perché il pubblicitario sapeva essere incredibilmente malizioso a volte, ed era eccitante e divertente, certo, ma era questo, questo aspetto di lui che Castiel davvero amava.
 
Istintivamente si aggrappò al bavero della sua giacca, indietreggiando di qualche passo e trascinandoselo dietro fino ad appoggiarsi con la schiena al muro di un palazzo, senza smettere di baciarlo per paura che l’altro potesse interpretare la cosa come l’ennesimo rifiuto.
 Circondò il suo viso con le mani, lasciandole scivolare sulla nuca e tra i capelli per attirarlo più vicino, dimenticando ogni cosa: c’era solo Dean, che gli sfiorava le labbra, le palpebre, il collo, sussurrando ogni tanto il suo nome in una specie d’ipnotica litania che Castiel desiderò poter ascoltare per sempre.
 
Si baciarono a ridosso di quel muro per un tempo indefinito, e quando infine si staccarono, entrambi senza fiato, il redattore ridacchiò ad occhi bassi, inspiegabilmente nervoso.
 
- Wow… certo che doveva essere davvero buona, quella torta… - mormorò, emozionato come una ragazzina, cercando di tornare a respirare normalmente.
 
Dean l’osservò per qualche istante, senza trovare in lui alcuna traccia del ragazzo sfrontato che gli aveva succhiato le dita in un cinema, quindi si avvicinò nuovamente, accostandosi al suo orecchio.
 
- Andiamo Cass… sai perfettamente che l’unica cosa che vorrei mettere sotto i denti, stasera, non è certo la torta… - sussurrò mordendogli delicatamente il collo, con una voce tanto bassa e calda da far piegare le ginocchia del redattore, che nonostante la luce fioca proveniente dai lampioni arrossì visibilmente.
 
- Dean, io… - farfugliò, cercando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa di plausibile da dire.
 
- Lo so Cass, so che non sei pronto. - replicò l’altro, pacato, senza la minima traccia di rimprovero nella voce - Solo… lasciami sognare, ok? - aggiunse con un sorriso dolce, prima di prendere la mano di Castiel ed avviarsi verso casa.
 

 
Rientrati nell’appartamento avvolto dalla penombra, entrambi evitarono con lo sguardo la tavola ancora imbandita, dove gli splendidi hamburger di Dean giacevano ancora, gelidi e intatti, e le candele languivano ridotte a mozziconi, preferendo dirottare la propria attenzione sul divano, su cui il padrone di casa si gettò a peso morto, recuperando il telecomando dal tavolino e deponendovi in cambio il pacchetto con la torta.
 
Dopo essersi comodamente stravaccato, Dean accese la tv in cerca della registrazione dell’incontro, invitando Castiel a fare altrettanto con un paio d’eloquenti pacche date al posto accanto al proprio, rendendosi così conto di essere seduto su una coperta sconosciuta.
Una coperta soffice e… lilla.
Tastandola con fare diffidente, indirizzò uno sguardo interrogativo verso Castiel.

- Cos’è questa? -
 
- Una coperta, Dean, mi sembrava ovvio. -
 
- Sì, cioè, volevo dire, che ci fa qui? Hai… hai freddo? -
 
- No, perché? -
 
- Se non hai freddo, perché hai portato a casa mia una coperta? - chiese ingenuamente Dean.
 
- Per abbellire il nostro nido d’amore, no? - rispose Castiel con un’alzata di spalle, come se ogni spiegazione fosse superflua, cercando di non ridere di fronte all’espressione di puro terrore che era comparsa a tempo di record sul volto di Dean - Ricordi? Quando ci siamo conosciuti hai detto che a questo posto sarebbe servita una mano più gentile, quindi… bè, eccola qui. Siccome lavori così tanto, ho pensato che quella mano potrebbe essere la mia, in modo da sollevarti da quest’incombenza. Spero ti piacciano le migliorie che ho apportato anche alle altre stanze! - annunciò entusiasta.
 
Il pubblicitario annuì meccanicamente, cercando di sorridere senza sembrare il pupazzo di un ventriloquo e di non pensare a quali orrori potessero celarsi al di là del soggiorno. 
 
- Ehm, grazie Cass, anche se forse mi stai viziando veramente troppo… - mormorò a denti stretti, tornando a concentrarsi sulla propria missione e ripetendo “principe azzurro” come un mantra nella propria mente - Ora… che ne pensi di guardare la partita? -
 
- Come desideri, zucchino. Vuoi che scaldi la torta? -
 
Dean, a cui si era chiuso completamente lo stomaco, scosse il capo.
 
- No, no, credo… credo di essere a posto così. Vieni qui, su. -
 
Castiel obbedì, docile, accoccolandosi sul divano accanto a lui, e Dean poté finalmente godersi sia la partita che un po’ di quiete.
La situazione, però, precipitò proprio durante gli ultimi minuti dell’incontro: i Knicks si trovavano in svantaggio di due punti rispetto agli avversari, e prima ancora che Felton effettuasse il tiro da tre che poteva garantire loro la salvezza, Castiel, evidentemente soprappensiero, se ne uscì con un quanto mai inopportuno “Maledizione, è davvero un peccato che abbia sbagliato quel tiro, eravamo a tanto così!” che, dopo l’effettivo fallimento del tiro, fece lentamente voltare Dean nella sua direzione.
 
- Ma tu… come facevi a sapere che avrebbe sbagliato? - domandò, scrutandolo serio.
 
Castiel, preso in castagna, arrossì.
 
- B-bè ma… era logico… lo sai che Felton sbaglia sempre i tiri da tre punti… - balbettò, cercando di sembrare disinvolto.
 
- E invece no, non è affatto vero, lui non sbaglia mai… - replicò Dean, sempre più sospettoso - Com’è possibile che tu lo sapessi? -
 
In un lampo di preveggenza, il redattore capì che doveva creare un diversivo, e di corsa, o Dean avrebbe mangiato la foglia.
 
‘Ed ecco che il corso d’arte drammatica ed improvvisazione teatrale acquisisce finalmente un senso…’
 
Così fece l’unica cosa che gli venne in mente.
 
Con un movimento tanto improvviso da far sobbalzare l’altro sui cuscini per la sorpresa, gli schiaffò una mano sulla coscia, voltandosi quindi a fissarlo con tutta la malizia di cui era capace.

Il pubblicitario lo fissò a propria volta sbattendo appena le palpebre, apparentemente senza capire, ma Castiel non gli diede il tempo di aprir bocca, facendo perno su quella stessa mano e scivolando giù dal divano, in ginocchio tra le sue gambe leggermente divaricate. Le sopracciglia di Dean avrebbero potuto tranquillamente toccare il soffitto, tanto era lo stupore che gli si leggeva in volto, ma continuò a rimanere in silenzio, forse provando ad intuire che piega stesse prendendo la situazione ma senza osare sperare in un risvolto interessante, visto l’esito della sera precedente.

Invece Castiel se ne uscì con un inatteso e tutt’altro che innocente “Non trovi che faccia un po’ troppo caldo, qui?”, estrapolato direttamente dai terribili porno che avevano costellato l’adolescenza di entrambi, mentre poggiava entrambe le mani sulle sue cosce e con calcolata lentezza le faceva risalire fino all’inguine, senza sfiorarlo, strisciando poi sotto la t-shirt e accarezzandogli brevemente la pelle tiepida prima di ridiscendere un poco e sollevare l’orlo della maglietta scoprendo l’addome dell’altro, che deglutì vistosamente, spiazzato da quel cambio di atteggiamento.

Castiel incrociò il suo sguardo per qualche istante, serissimo, e si prese un momento per ammirare il torace ampio e muscoloso sotto le proprie mani prima di chiudere gli occhi e posarvi le labbra, avvertendo gli addominali di Dean contrarsi sotto la pelle a quel lieve contatto e un minuscolo gemito sfuggire dalle sua gola.

Se diversivo doveva essere, a questo punto tanto valeva goderselo.
 
Con tutta calma, esplorò e baciò ogni singolo centimetro di pelle esposta: baci lenti, bagnati, a labbra socchiuse, che lasciarono una scia umida sulla pelle surriscaldata dell’altro e provocarono una serie d’inequivocabili spasmi all’interno dei suoi jeans, che iniziavano a rappresentare un serio problema.
Baci che, se erano un’anteprima del modo di fare l’amore di Castiel, non fecero che infiammare Dean, che ormai ansimava senza vergogna osservando ipnotizzato quella testa arruffata china su di sé, esattamente come nelle proprie inconfessabili fantasie.
Nel frattempo Castiel, dopo essersi dedicato con dovizia al suo ombelico, era risalito verso l’alto, sollevando ancor più la maglietta.
 
- Oh, guarda… capezzoli. Che coincidenza, ne ho due anch’io… - mormorò allusivo, mentre ne sfiorava uno con la lingua, piantandogli di nuovo addosso quegli occhi assurdi e facendolo rabbrividire - … Chissà se sono sensibili come i miei… - sussurrò poi lentamente, leccandone uno e soffiandoci sopra.

Dean si lasciò sfuggire un gemito strozzato, mentre le sue mani si tuffavano tra i capelli del giornalista, senza sapere se fosse per scostarlo o trattenerlo dov’era. Non riusciva a capire dove fosse finito il ragazzo un po’ansioso ed  insicuro, anche se dannatamente eccitante, con cui aveva fatto ritorno a casa, ma doveva ammettere che questa versione provocante e spudorata non era niente male...
 
- Cass… - una specie di ringhio a denti stretti sfuggì dalle sue labbra quando Castiel passò all’altro capezzolo, mordicchiandolo piano e leccandolo, facendo inarcare involontariamente Dean in cerca di maggior contatto o di un qualsiasi tipo di sollievo.
 
Castiel non disse nulla, si limitò a sollevare di nuovo lo sguardo su di lui e a fissarlo, labbra socchiuse e iridi scurite dal desiderio, mentre l’inconfondibile rumore di una zip che veniva abbassata risuonava nell’aria, amplificato dal silenzio, paralizzando Dean.
 
Cosa stava succedendo? Da quando aveva perso il controllo della situazione? E soprattutto, perché non gliene importava nulla? Voleva solo che Castiel non smettesse di fare quello che stava facendo, non pensare a nulla e affogare in quegli occhi blu…

‘Così blu… blu… oh, merda! Merdamerdamerda! Non blu! Azzurro!’ ricordò Dean, in uno sprazzo di lucidità a cui fece immediatamente seguito il panico ‘Questo… questo non è affatto da Principe Azzurro! Questo non è romantico, non è rispettoso, non è… merda e stramerda!’ imprecò mentalmente, sentendo già la voce afflitta di Chuck chiedergli asilo politico dopo essere stato licenziato e sfrattato.
 
Ma ogni tipo di fantasia, apocalittica o sessuale che fosse, andò in frantumi nell’istante in cui Castiel aprì bocca.
 
- Allora, Winchester… - mormorò in tono provocante, facendo uno sforzo sovrumano per non ridere  - Vediamo se là sotto nascondi veramente un fucile o una pistola ad acqua… -
 
- C-che cosa? - balbettò l’altro, smarrito.
 
- Sai come si dice, no? “Un nome, una garanzia”. - proseguì imperturbabile Castiel - Speriamo solo che la tua non sia pubblicità ingannevole… - concluse poi con un plateale sospiro, aggrappandosi all’elastico dei boxer di Dean ed iniziando ad abbassarli, mentre le mani del proprietario del sopracitati boxer si avventavano sulle sue, bloccandole.
 
- Cass, ma che…? Che stai dicendo? Anzi, che stai facendo? - farfugliò Dean, stranito.
 
Castiel parve piuttosto deluso dalla sua reazione.
 
- Ma… come? La Principessa Samantha non ha voglia di uscire a giocare? - chiese con fare ingenuo, mentre Dean serrava ancora di più la presa sulle sue mani, impedendogli d’intraprendere qualsiasi altra iniziativa che coinvolgesse la sua biancheria intima.
 
- Chi? - domandò, mentre il suo pensiero volava a Sam, che chiamava abitualmente Samantha ogni volta che litigavano o che l’altro cercava di farlo parlare dei suoi sentimenti.
 
- La Principessa Samantha… forse non ti piace? Preferisci che lo chiami in qualche altro modo? - domandò, seguendo le istruzioni di Balthazar.
 
- Ma…. ma certo che non mi piace, Cass! - sbraitò Dean, sentendosi umiliato e in imbarazzo come non mai - Come potrebbe piacermi immaginare la faccia di mio fratello sul mio… sul mio… oh, lascia stare! Devi capire che non puoi chiamare il coso di un uomo principessa! E’ svirilizzante, ed è… è una cosa che non si fa, ecco! -
 
- E come dovrei chiamarlo, allora? - domandò Castiel ad occhi sgranati.
 
- Ma che ne so… - sibilò Dean, in preda all’esasperazione - Ci vuole qualcosa di potente, di epico, che so… Brutus, Attila… - suggerì.
 
Castiel ci pensò su per qualche istante.

-Trovato! - esclamò trionfante - Lo chiamerò Torre di Babele! Eh? -
 
- La Torre di Babele è crollata, Cass. - replicò Dean, atono.
 
- Sì, però prima stava su… - argomentò l’altro con convinzione, ritraendosi leggermente di fronte all’espressione caustica del compagno - Ok, ok, capito. Che ne pensi di King of Hell? -
 
Dean annuì, suo malgrado, giusto per far finire quel degradante strazio.
 
- Va bene. King of Hell va bene. - dichiarò con un sospiro avvilito.
 
- Quindi… il re degli inferi ha voglia di venire fuori a giocare? - chiese nuovamente il redattore, rispolverando il tono seducente di poco prima e posando a tradimento le mani suoi boxer di Dean prima che lui potesse fermarlo, ritirandole però immediatamente con espressione delusa - Oh. Oh-oh. Il Re è morto… ehm, viva il Re? - ridacchiò, a disagio, accennando all’indumento non più così teso e rendendosi allo stesso tempo conto, in un cristallino e orribile momento di consapevolezza, di aver perso Dean.
 
Il quale, frattanto, aveva chiuso gli occhi, cercando di incamerare ossigeno per calmarsi.
Ormai stava diventando davvero bravo a resistere agli impulsi omicidi, avrebbero dovuto dargli un premio come mancato serial killer dell’anno.
 
- Il Re ha… momentaneamente abdicato a causa di una cocente umiliazione… - sibilò a denti stretti, osservando Castiel con astio.
 
Questi sorrise, cercando di sembrare a proprio agio, pur sapendo di aver ampiamente passato il segno.
 
- Oh. Sì, io… capisco. Bè, allora direi che per stasera non abbiamo più nulla da fare, giusto? - commentò in tono forzatamente allegro, alzandosi in tutta fretta e recuperando il trench dallo schienale del divano per poi avviarsi verso l’uscita senza dare all’altro nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo - Chiamami! - gridò dalla soglia prima di precipitarsi all’esterno, cercando di mantenere salda la voce, certo che non avrebbe mai più risentito quella di Dean, il quale rimase sbigottito a fissare la porta per dieci minuti buoni, una volta che se ne fu andato.
 
Quando fu al sicuro in ascensore, Castiel si lasciò scivolare lungo la parete, accasciandosi sul pavimento della cabina e permettendo alle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento di cadere.
 
 
 
“No bone movies
No bone movies
No bone movies
 
I shouldn’t do it,
the guilt tells me why
I just can’t stop it,
I try and I try…”
 
 
 
 
 
[1] “No bone movies” è la traccia numero sette del primo disco solista di Ozzy Osbourne, Blizzard of Ozz, pubblicato il 20 settembre del 1980.

[2] Questa l’ho “rubata” a Jimmy Novak quando nella 4X20, “The rapture”, spiega a Dean e Sam come ci si sente ad essere il tramite di Castiel.
 
[3] Il manzo di Kobe è una particolare razza giapponese da cui si ricava della carne, pregiata e costosissima, rinomata per il suo sapore, la tenerezza e la struttura grassa e marmorizzata.
 
[4] Non ho potuto resistere. Denunciatemi. Il pannello che Castiel ha regalato a Dean è stato ispirato uno degli items che si dovevano realizzare in una delle passate edizioni di Gishwhes, la caccia al tesoro internazionale che Misha organizza da qualche anno.

 
[5] Qui c’è lo zampino di Future!Cas 2014 e del suo arredamento hippie, io non c’entro.
 
[6] In origine, la frase era riferita al povero Sam (dalla 5X17, “99 Problems”).  ^__^


NDA:
Ho freddo. Ho freddo e unicamente questo (e il sostegno morale di Aniel) mi ha permesso di rimanere in casa a finire questo lunghissimo capitolo. L'adattamento si fa man mano più difficoltoso (ammetto di aver sottostimato la cosa, inizialmente) e forse ho anche un po' di blocco dello scrittore, ma mi sto impegnando con tutta me stessa cercando di fare un buon lavoro, perciò ancora una volta ringrazio chi continua a seguire e ad apprezzare la storia nonostante gli aggiornamenti discontinui! A Natale avrete dei regali bellissimi. Vi bacio <3

 

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Capitolo 11
*** STICKY SWEET ***


11. STICKY SWEET [1]
 
 
“Is it true what they say,

Are we too blind to find a way?

Fear of the unknown clouds our hearts today.

Come into my world,

See through my eyes.

Try to understand,

Don’t want to lose what we have
We’ve been dreaming

But who can deny,

It’s the best way of living

Between the truth and the lies…”
 
(Within temptation - See who I am)
 
 
 
 
GIORNO CINQUE, redazione di Grace, ore 8.42
 
 
 
Il mattino seguente Balthazar, arrivando in ufficio col suo solito cappuccino da asporto, si stupì non poco nel trovare Castiel già al proprio posto, chino sul computer e intento a pestare sulla tastiera come se ce l’avesse con l’intero pianeta.
 
Dirottando la propria traiettoria raggiunse il cubicolo dell’amico, appoggiandosi alla sua scrivania e prendendo placidamente un sorso dal bicchiere di Starbucks.
 
- Ehi Cassy! - salutò allegro - Che ci fai qui in anticipo? Hai dormito in ufficio? -
 
Castiel rialzò gli occhi dal monitor, mostrando la faccia di uno che non solo non aveva dormito in ufficio, ma che non aveva dormito per niente.
 
- Ciao Balth. - salutò senza calore.
 
L’altro scrutò preoccupato gli occhi arrossati e stanchi, il colorito cereo e i capelli più sconvolti che mai.
 
- Ma… cosa diavolo ti è successo? Sembri uno che è stato masticato, risputato e poi schiacciato da un tir, giusto per sicurezza. -
 
Il più giovane si strinse nelle spalle abbassando lo sguardo, apparentemente incurante delle proprie condizioni o di qualsiasi altra cosa.
 
- Credo… credo di avercela fatta. - mormorò cercando di abbozzare un sorriso convincente ma fallendo miseramente - Con Dean. - specificò poi a titolo del tutto gratuito, come se a Balthazar non fosse bastato uno sguardo per farsi un quadro piuttosto dettagliato della situazione.
 
- Lui ti ha…? - chiese, lasciando in sospeso la frase.
 
- Mollato? - concluse per lui Castiel.
 
- Veramente… io intendevo “mandato affanculo”, ma sì, il concetto è quello.
 
- No, non proprio… ma non credo che lo rivedrò più. Mai più. - mormorò il redattore a voce sempre più bassa.
 
- Quindi in pratica mi stai dicendo che il tuo articolo sarà un successo, giusto? Mi pareva! Effettivamente, avrei dovuto intuirlo dal tuo incontenibile entusiasmo… - commentò l’amico, senza nemmeno tentare di celare il sarcasmo, che l’altro non parve comunque cogliere.
 
- Bè, in realtà… non so se si possa parlare di successo, avrei dovuto passare altri cinque giorni con lui… non so se potrò scrivere l’articolo. - specificò Castiel, sconsolato.
 
Balthazar scosse il capo. La situazione era peggiore di quanto avesse inizialmente sospettato.
 
- No Cassy, in realtà, avresti voluto passare altri cinque giorni con lui. - insinuò, pungente, in attesa d’una reazione da parte del collega che confermasse le sue teorie.
 
Castiel invece non sembrò essere intenzionato a collaborare, fingendo di non capire.
 
- Che intendi dire? -
 
- Intendo dire, pulcino, che in questi cinque giorni hai accumulato la quantità media di follia e incoerenza che una donna riversa su un uomo in cinque anni. Non è certo il materiale per l’articolo che ti manca… ti manca Dean. - replicò Balthazar, spazientito e per nulla intimorito dallo sguardo poco amichevole con cui l’altro lo stava fissando.
 
Prima che Castiel avesse modo di suggerirgli l’uso creativo che poteva fare delle sue opinioni non richieste, però, il cellulare posato sulla scrivania cominciò a vibrare, diffondendo nell’ufficio ancora deserto le note di “Sweet Cherry Pie” [2] e facendo defluire il sangue dal suo volto già pallido.
 
- Che suoneria di classe… - commentò Balthazar.
 
- È… è Dean. - mormorò con un filo di voce, fissando il telefono come se fosse una bomba.
 
- Appunto. -
 
- Che cosa… cosa vorrà? - domandò allarmato Castiel, osservando alternativamente Balthazar e il cellulare, che non aveva alcuna intenzione di smettere di squillare.
 
- Probabilmente notificarti che è stata emessa un’ordinanza restrittiva nei tuoi confronti, ma ti suggerirei di rispondere prima che riattacchi. -
 
Castiel ubbidì, riluttante, stringendo il telefono con le mani tremanti e accettando la chiamata.

- … Dean? - mormorò dopo una breve esitazione.


Dall’altro capo della linea giunse una voce perfettamente tranquilla.
 
- Ehi, Cass. Disturbo? -

- No? Cioè, ehm, no. Cosa c’è, Dean? È  successo qualcosa? - chiese l’altro, sulle spine.
 
- No, perché? - replicò l’altro, serafico - Avevo solo voglia di sentire la tua voce. Ieri sera sei scappato via talmente in fretta da non lasciarmi neppure il tempo di salutarti, perciò… buongiorno. -
 
 ‘Ok, chiaramente Dean soffre di amnesia selettiva. Oppure quando me ne sono andato è scivolato giù dal divano, ha battuto la testa fortissimo e ora ha un trauma cranico da record.’
 
- B-buongiorno a te… immagino. - balbettò incerto, in tono vagamente interrogativo.
 
- Sei in ufficio? Sono appena passato da casa tua a portarti un paio di ciambelle ma il tuo portiere mi ha detto che sei uscito prestissimo, hai molto lavoro da sbrigare? -
 
- Io… sì, sì. Lavoro. Tanto. Tantissimo lavoro. Sei… sei davvero passato da casa mia? -
 
- Uhmmmm… sì, denunciami. Confesso, però, che le mie intenzioni non erano del tutto disinteressate… - ridacchiò Dean - In realtà speravo di scroccare il bacio del buongiorno… mi mancano le tue labbra su di me. - mormorò a in tono caldo dopo una breve pausa, sbriciolando un paio di neuroni al povero Castiel.
 
- Mi… mi dispiace di non esserci stato, uh, zucchino. - farfugliò il redattore, cercando di riprendere un minimo controllo della situazione, o quantomeno del proprio cervello in frantumi, anche se disorientato dalla piega surreale di quella conversazione.
 
- Colpa mia, avrei dovuto chiamare prima ma – ehi! – mi conosci, sono un ottimista! Magari ci si vede più tardi, mh? - replicò Dean in tono conciliante.
 
- Sì… ehm, i-immagino di sì. A dopo, Dean. - si congedò debolmente Castiel, sempre più confuso, chiudendo la chiamata e scuotendo lentamente il capo.
 
Balthazar gli rivolse un’occhiata piuttosto eloquente, sollecitandolo a vuotare il sacco.


- Allora? Si può sapere cos’è successo? -
 
- Lui… non ha… cioè, questo è… questo… è un miracolo di Natale, Balth. - mormorò il redattore fissando il vuoto con occhi leggermente vitrei.
 
- Siamo in giugno, Cassy. - replicò l’altro, asciutto.
 
- Lo so. Ma Babbo Natale mi vuole bene. - asserì Castiel in tono convinto.
 
- Cosa diavolo stai blaterando? Mi vuoi raccontare cosa ti ha detto Dean? Lasciami indovinare… ti ha perdonato? -
 
- Peggio. - specificò il più giovane in tono funereo - Non si è nemmeno arrabbiato. È come se per lui non fosse accaduto nulla! Se non lo conoscessi, comincerei a pensare che sia un po’ tonto. -
 
- Quello potevo dirtelo anch’io. - commentò caustico Balthazar, esaminandosi le unghie con noncuranza.
 
- E perché, scusa? - chiese Castiel con sincero candore, esasperando l’espressione dell’altro, che rivolse uno sguardo plateale al soffitto.
 
- Oh, andiamo! Uno che dopo quattro uscite non prova nemmeno a scoparti dev’essere tonto per forza! - esclamò.
 
- Balth! - lo zittì Castiel, arrossendo scandalizzato, guardandosi freneticamente attorno.
 
Per sua fortuna l’ufficio era ancora deserto, fatta eccezione per loro due.
 
- Dai Cassy, nemmeno tu puoi essere tanto ingenuo… è un uomo, mica una novizia appena uscita dal convento! E poi, anche se non nutro alcun interesse per ciò che hai da offrire, sono consapevole di che razza di bocconcino tu sia… per chi apprezza l’articolo, almeno. Se fossi etero probabilmente ti saresti già fatto tutte le donne dell’ufficio… o meglio, loro si sarebbero già fatte te, a giudicare da come ti guardano. -
 
- Non è affatto vero! - ribatté Castiel, offeso - Le ragazze mi vogliono bene! -
 
- Sicuramente … - concesse Balthazar con un ghigno perfido - … Ma te ne vorrebbero molto di più dall’interno delle tue mutande. -
 
- Ti odio Balth. - mugugnò l’altro in tono risentito, fissando il collega con aria truce, fermamente intenzionato a non dargli ulteriore spago.
 
- Senti, non puoi pretendere di portare in giro impunemente quegli occhioni blu, quelle labbra, quei tuoi assurdi capelli da letto e pensare che le persone non ti notino… - spiegò l’amico con un sospiro stanco, passandosi una mano fra le ciocche color sabbia.
 
- Ma che… che dici? -
 
- Dico che sei bello, Cassy. Segui il labiale. Bello. Non carino, non attraente, non “un tipo”. Inequivocabilmente e spudoratamente bello. Hai questa specie di… fascino arruffato da cucciolo, l’unico a non notarlo sei tu. Hai una percezione tutta tua di ciò che ti sta intorno, e con “tutta tua” intendo completamente distorta, proprio per questo sono pronto a scommettere che quello che hai fatto ieri sera, quello che consideri un comportamento raccapricciante, di sicuro sarà stato a malapena sopra le righe. E da questo si desume il perché Dean ti ha richiamato. Probabilmente per lui è ordinaria amministrazione. -
 
- Ma… - provò ad intromettersi Castiel.
 
- No, Cassy, ascoltami. - lo interruppe l’altro - Devi capire una cosa… -
 
- Balth, no. - lo interruppe a propria volta il più giovane in tono fermo, posandogli una mano sul braccio per ottenere la sua piena attenzione e prendendo un lungo respiro - Lascia che ti spieghi… -
 

 
Quindici minuti dopo, al termine di un imbarazzante riassunto della serata precedente, partito dalla cena e culminato in “Principessa Samantha”, Castiel si stiracchiò sulla poltroncina girevole, allungando le gambe e intrecciando le mani sullo stomaco con aria vagamente soddisfatta.
 
Era stato piuttosto liberatorio raccontare tutto a Balthazar.
 
Bè… quasi tutto.

- Allora? Che dici? Mi sono comportato come un sociopatico oppure è la mia “percezione distorta delle cose”? - domandò, mimando il gesto delle virgolette con le dita.
 
Balthazar tacque per un po’, serio, apparentemente riflettendo.
 
- Chi credi di prendere in giro, pulcino? - chiese quindi, scettico.
 
- Eh? -
 
- Non penserai sul serio che mi beva una balla del genere? -
 
- Ma… ma non è una balla! - replicò Castiel sulla difensiva - E tu non penserai davvero che potrei inventare una cosa tanto umiliante? -
 
- Correggimi se sbaglio, Cassy, perché non posso aver davvero capito bene… eri in ginocchio fra le sue gambe e quell’idiota ti ha fermato mentre stavi per fargli un POMPINO? - sbottò dopo un po’, trapassando il collega con lo sguardo in cerca di un qualsiasi segno di cedimento, mentre la sua voce saliva man mano di tono fino a raggiungere gli ultrasuoni.
 
- Maledizione Balth! Potresti urlare un po’ più forte? Nel palazzo di fronte non hanno sentito! - ringhiò l’altro.
 
- Oh, ma per favore! Se anche avessero sentito, la penserebbero come me! - replicò Balthazar, irritato oltre i livelli di guardia - Se realmente è andata come dici, e francamente stento a crederci, la soluzione è una sola. -
 
- Ovvero? -
 
- Deve avercelo microscopico. - sentenziò con aria saccente.
 
- Finiscila! - sbottò Castiel, visibilmente risentito - Ti garantisco che, da quel poco che ho visto, non c’era proprio niente di piccolo, là sotto… -
 
L’altro ridacchiò, di fronte al fervore con cui l’amico difendeva l’onore di MiniDean.
 
- Allora ce l’ha brutto. O storto. Magari ne ha due. - insinuò con un ghigno, solo per il gusto di irritare l’amico.
 
- Balth! -
 
- Va bene, va bene... sto scherzando! - si arrese il maggiore.
 
- E comunque non è questo il problema… -
 
- Problema? Non capisco a che problema ti riferisci, Cassy. -
 
- Scusa, dov’eri negli ultimi venti minuti? Sicuro di aver capito bene tutto quello che gli ho fatto  e soprattutto che gli ho detto? -
 
- Se io avessi labbra come le tue ad un centimetro dal mio uccello, credimi, non farei molto caso a ciò che dici… -
 
Castiel arrossì all’inverosimile, un po’ per l’imbarazzo ma soprattutto per la furia che gli stava letteralmente offuscando il cervello.
 
- Balthazar! Insomma! Vuoi essere serio per un minuto? -
 
- Dio, come sei permaloso… ma certo che ho capito. Io capisco sempre. Ti sei comportato come la più insopportabile stronza del pianeta e lui ti ha richiamato. Amen. E la cosa ridicola è che ti sei limitato semplicemente a leccargli un po’ i capezzoli. Insomma… wow. Devi essere veramente un mago con quella lingua. Potrei essere tentato, Novak… - sogghignò Balthazar ammiccando in direzione dell’amico, che sbuffò esasperato.
 
- Sei disgustoso, Balth. Disgustoso e inopportuno. Tutto qui quello che hai da dire? -
 
- Bé… sì. Voglio dire… stai frequentando un manzo niente male, e senza dover fare niente di degradante per la tua dignità – insomma… quasi – stai ricavando quintali di materiale per l’articolo. In più lui ti ha pure richiamato. In pratica hai appena ricevuto la tua lettera per Hogwarts e invece di fare i salti di gioia e correre a comprare un fottuto gufo, te ne stai a mugugnare definendo tutto questo “un problema”. Lo sai qual è il vero problema, qui? - domandò
 
Il redattore, nel rispondergli seccamente, tradì una certa irritazione.
 
- No che non lo so, Balth. Per quanto ti conosca bene, ancora non ho imparato a leggerti nel pensiero. - blaterò, chiaramente sulla difensiva.
 
- Ok, se preferisci far finta di niente… - commentò l’altro con la tipica aria casuale e “nonpuòfregarmenedimeno” che riusciva ogni volta a colpire nel segno, facendo infuriare Castiel.
 
- Non sto facendo finta di niente, semplicemente non capisco dove vuoi andare a parare! - sbottò infatti quest’ultimo, avvertendo la poca pazienza residua sgretolarsi sotto il peso delle illazioni dell’amico.
 
- Non capisci o hai scelto non capire? - insinuò l’altro - Di sicuro fingere di non esserci cascato con tutte le scarpe è meno doloroso, lo so, ma-
 
- Non so di cosa tu stia parlando. - tagliò corto Castiel, improvvisamente consapevole di stare camminando su un terreno minato e di aver perso ogni traccia di credibilità.
 
Balthazar sospirò, fissandolo intensamente negli occhi per qualche istante, e Castiel poté leggere nel suo sguardo un miscuglio di pena, accusa e sincero affetto.
 
- Dean ti è entrato sotto la pelle, Cassy, che tu voglia ammetterlo o meno. - mormorò in tono conciliante - Non sei mai stato bravo a mentire, men che meno a te stesso… sono consapevole che a questo punto non vorresti perderlo, o dover fare in modo che ti scarichi, e immagino benissimo quanta fatica ti costi non poter essere te stesso quando sei con lui, ma ormai ti sei spinto troppo oltre con questa faccenda… -
 
Il giornalista non smentì né confermò, ma il suo sguardo mesto e imbarazzato parlò per lui.
 
- So esattamente cosa ti frulla in quella testolina in questo momento, amico mio, ma se anche rinunciassi a scrivere l’articolo, oltre a metterti in seri guai con Pamela come giustificheresti a lui il tuo cambio di atteggiamento? Alla meno peggio penserebbe che sei da rinchiudere, mentre se invece dovesse chiedere spiegazioni, e io al posto suo lo farei, cosa potresti raccontargli? Confesseresti tutto? Lo sai come finirebbe, in ogni caso, vero? -
 
L’altro tentennò.
 
- Ma io… magari… - replicò debolmente, senza nemmeno sapere come proseguire, perché Balthazar aveva ragione su tutta la linea.
 
- Andiamo, Cassy… lo sai anche tu in fondo, vero? Qui non si tratta più di scegliere fra perdere il lavoro o perdere Dean, ma fra perdere il lavoro e perdere entrambi. Ormai ti sei esposto troppo, non puoi far altro che stringere i denti e andare avanti, mi dispiace. -
 
Castiel chinò il capo in silenzio, sconfitto dalla logica del collega.
 
- Temo… temo che tu abbia ragione. E io detesto che tu abbia ragione, Balth. Solo in un mondo perverso e malato, tu hai ragione. - borbottò a capo chino, senza essere realmente arrabbiato con l’amico, che non aveva fatto altro se non metterlo di fronte alla cruda realtà.
 
Balthazar strisciò rumorosamente una sedia sul pavimento, sedendosi di fronte al più giovane, che con la testa incassata fra le spalle, i capelli che sparavano da tutte le parti e gli occhi colmi di dispiacere sembrava così… vulnerabile.
 
Si abbassò cercando d’intercettare il suo sguardo, posandogli una mano sul ginocchio per richiamare la sua attenzione.
 
- Cassy, lo sai che non appena avrai mollato Dean dovrai trovarti un altro al massimo entro ventiquattr’ore, vero? - mormorò in tono pacato.
 
- C-cosa? E perché mai? - domandò l’altro, levando su di lui uno sguardo smarrito.
 
Solo l’idea, il pensiero, l’ipotesi di dover dare il benservito a Dean (anzi, di farselo dare, ma la sostanza non cambiava) proprio ora che per qualche strano miracolo gli era stata concessa una seconda opportunità, lo gettava  nel più totale sconforto, figuriamoci la prospettiva di ributtarsi subito nella mischia e dover cercare qualcun altro… lui non voleva qualcun altro, voleva Dean, maledizione!
 
- Lo sai, il perché. - asserì Balthazar, inarcando un sopracciglio e trapassandolo con lo sguardo.
 
- Non è come credi. - affermò flebilmente Castiel, fermamente aggrappato alla propria maschera di disinteresse, anche se ormai era chiaro ad entrambi quanto fosse superfluo continuare con quella ridicola farsa.
 
L’altro annuì, indulgente.
 
- Va bene. Come vuoi. Ma non ti sto rimproverando, Cassy. Sono solo… dispiaciuto. Dopo tanto tempo incontri finalmente qualcuno che ti fa battere il cuore e quel qualcuno è off-limits. È una cosa frustrante, e orribile, lo capisco, ma forse… forse avresti dovuto fermarti quando ancora eri in tempo, non credi? Dovevi inventare una balla, dire a Pamela che Dean era sparito dopo il primo appuntamento, che era entrato nei corpi di pace o che era finito sotto la metro, qualsiasi cosa pur di non continuare con questo stillicidio. Ricordi? Questa storia non mi è piaciuta fin dal primo istante, e non perché io sia buono d’animo e non approvi iniziative del genere, ma perché tu sei una persona troppo ingenua per riuscire a portare a termine un compito simile senza rimanere scottato. Non avrei mai dovuto permetterti d’invischiarti in questa stronzata, mi dispiace tanto… - mormorò, stringendo la presa sul ginocchio del redattore.
 
Anche se Castiel odiava doverlo ammettere, Balthazar aveva detto il vero: in fondo l’unico da biasimare per essersi fatto coinvolgere, prima da Pamela e poi da Dean, invece di mantenere il professionale distacco che la situazione avrebbe richiesto, era lui stesso.
Aveva messo in piedi una complessa trama basata su bugie e falsità, sfruttando Dean per puro opportunismo, credendo con la protervia tipica degli ingenui che da un casino simile fosse davvero possibile uscire indenni… mentre invece stava già soffrendo terribilmente solo immaginando di dover dire addio al ragazzo più fantastico che avesse mai conosciuto.
 
E se lo meritava, oh, se se lo meritava!
Si meritava ben altro.
 
Aveva rinnegato tutti i propri principi per un articolo - uno stupidissimo, frivolo e crudele articolo! - aveva sacrificato la propria integrità professionale e morale per fare carriera e ora si ritrovava con un pugno di mosche… anzi, peggio: con un pezzo che non era emotivamente in grado di portare a termine e un uomo magnifico con la data di scadenza stampata in fronte alla stregua di un cartone del latte.
 
Si era confezionato uno stupido travestimento di menzogne, e ora non poteva far altro che indossarlo ed andare al ballo…
 
- Oddio… cos’ho fatto… sono un’idiota, Balth… - mormorò disperato, arrendendosi all’evidenza e passandosi stancamente le mani tra i capelli con aria sconsolata, scatenando ancor più “l’effetto pulcino” nell’amico che, intenerito, gli batté delicatamente una mano sulla spalla cercando di confortarlo.
 
- Ehi… è per questo che ti ho suggerito di trovarti immediatamente un altro. - spiegò con voce insolitamente dolce, tendendo la mano a Castiel e aiutandolo a rimettersi in piedi - Sai come si dice, no? Chiodo scaccia chiodo… ogni giorno in Africa una gazzella si alza e muore… bah, non me li ricordo mai questi stupidi modi di dire, ma il succo è che per dimenticare dovrai mettere immediatamente della distanza tra te e Dean, e direi che un metro e ottanta, un metro e novanta circa, dovrebbero essere più che sufficienti… - aggiunse quindi con un minuscolo ghigno malizioso, cercando di far sorridere l’amico.
 
- Balth… - mormorò quest’ultimo, gli angoli della bocca appena sollevati in un abbozzo di sorriso.
 
- … Oppure potrebbero bastare anche una ventina di centimetri di-
 
- Smettila! - lo rimproverò Castiel, stavolta ridendo apertamente, colpendo il collega con un pugno scherzoso alla spalla per poi afferrarlo e tirarselo contro, in un abbraccio che valeva più di mille parole.
 
Rimasero aggrappati uno all’altro per qualche istante, poi Balthazar si sciolse dalle braccia dell’amico tossicchiando imbarazzato, chiudendo la questione con qualche goffa pacca sulle spalle.
 
- Andrà tutto bene, Cassy. In qualche modo ne uscirai, ne usciremo, esiste una vita al di là di Dean Winchester, te lo giuro. - dichiarò, sperando che la propria sicurezza, per osmosi, passasse al giovane redattore che in questo momento lo stava osservando con gli occhioni blu colmi di speranza.
 
Castiel annuì docilmente, credendoci con tutte le proprie forze.
 
- Qualunque cosa succeda, io e Gabe siamo qui per te, lo sai. Ora cerca di stare tranquillo e fatti forza per affrontare la serata. Lo farai per me? -
 
Castiel annuì di nuovo e Balthazar gli arruffò ulteriormente i capelli.
 
- Bravo il mio angioletto. -
 
- Scusate… Balth ha deciso di passare al lato gaio della forza o forse uno di voi due sta morendo? - esordì una voce petulante alle loro spalle - Giustificherebbe almeno in parte la disgustosa scenetta a cui sono stato costretto ad assistere… -


Nel voltarsi contemporaneamente in direzione della porta, gli altri due scorsero Gabriel, appoggiato allo stipite e intento a leccare pigramente via la glassa da un cupcake, che li osservava col suo tipico ghigno beffardo.
 
- Saremmo noi quelli  disgustosi? Hai della crema sul colletto. O perlomeno, mi auguro che quella sia crema… - mormorò Castiel, sarcastico.
 
- Uhhhh, come siamo irritabili, principessa! Sei rotolato giù dal letto dalla parte sbagliata stamattina? Mi sono perso qualcosa? - domandò, avvicinandosi e scrutando alternativamente sia gli amici con aria sospettosa, mentre Castiel implorava l’altro di tacere con uno sguardo disperato scuotendo impercettibilmente il capo.
 
Balthazar annuì altrettanto impercettibilmente, facendo tirare al redattore un sospiro di sollievo.
 
- No, non ti sei perso niente, stavo solo dando qualche consiglio sentimentale a Cassy. - minimizzò - Nulla di serio. -
 
- Non sei autorizzato a dare consigli sentimentali, Balth. Per farlo, occorre innanzitutto averceli, dei sentimenti. - commentò acidamente l’altro, stizzito per essere stato evidentemente tenuto all’oscuro di fatti salienti ed escluso da una conversazione che sembrava piuttosto seria - Cassy dai, non puoi davvero accettare consigli da… da questo qui! Non è in grado di gestire una relazione nemmeno col navigatore satellitare della sua auto, una volta ho sentito distintamente la voce preregistrata mandarlo a farsi fottere! Giuro! -
 
- Sempre meglio che credere di avere una profonda e seria relazione con qualsiasi cosa respiri, caro il mio fidanzato seriale! E qui, se c’è qualcuno che sta per essere mandato a farsi fottere, ti assicuro che non sono io… - sibilò Balthazar nel portarsi davanti a Gabriel, ergendosi in tutta la propria altezza e piantandosi le mani sui fianchi nell’osservarlo con fare minaccioso da almeno dieci centimetri di dislivello.
 
Questi affondò un dito al centro del torace dell’amico, pronto a ribattere con una battuta salace, ma notando con la coda dell’occhio Castiel, che li osservava con aria stremata e palesemente incapace di sopportare oltre, ebbe il buon gusto di lasciar perdere, e dopo un eloquente scambio di sguardi con Balthazar si sedette docilmente sul bordo della scrivania del collega, tossicchiando e piluccandosi la giacca coperta di briciole per darsi un tono.
 
- Dunque Cassy… - riprese Balthazar, come nulla fosse successo - … Non prestare attenzione a ciò che dice Gabe, visto il momento delicato, è fondamentale: devi dare retta solo ed esclusivamente all’eminenza grigia del gruppo. -
 
- All’emi-che? - chiese Gabriel, nuovamente offeso.
 
L’altro sollevò gli occhi al cielo, spazientito.
 
- Eminenza. Eminenza grigia. Visto? - sottolineò a beneficio di Castiel, per poi rivolgersi nuovamente a Gabriel - Se non conosci nemmeno il significato di eminenza grigia, non puoi certo rappresentare una fonte attendibile di consigli, Gabe. Non so nemmeno come tu possa avere una rubrica su una rivista a tiratura nazionale, sei praticamente analfabeta! -
 
- L’unica cosa grigia che hai, Balth, sono quei quattro peli che ti crescono sulla testa e che ti ostini a tingere per sembrare più giovane! - replicò sprezzante Gabriel - Biondo naturale dei miei stivali… -
 
- Come osi, nano diabetico? - sbottò l’altro, punto sul vivo.
 
- Ha parlato Capitan Perossido… - commentò impassibile il collega, ridacchiando sotto i baffi.
 
Ma proprio mentre Balthazar cominciava ad accarezzare l’idea di soffocare l’amico con ciò che restava del cupcake, ficcato in gola a forza, Castiel s’intromise con voce stanca.

- Ragazzi, scusate, per quanto trovi delizioso osservarvi mentre vi ricoprite d’insulti e pianificate il reciproco omicidio, non potremmo tornare a me per un attimo? Ho bisogno d’aiuto, e per mia sfortuna ho solo voi due su cui poter contare, cosa che già di per sé è una tragedia. Cosa. Devo. Fare. Con. Dean. Ditemelo, ditemelo adesso, vi prego, perché francamente sono esausto e a corto di idee… -
 
Entrambi gli amici chinarono il capo in silenzio con aria colpevole, come bambini turbolenti rimproverati dall’insegnante.
Balthazar aggrottò la fronte, apparentemente immerso in una riflessione particolarmente complessa, illuminandosi dopo qualche istante.
 
- Responsabilità. - dichiarò con enfasi, mentre gli altri due scambiavano sguardi dubbiosi.
 
- Un po’ criptico, non ti pare? - mormorò il redattore, poco propenso a giocare agli indovinelli.
 
- Cos’è che in genere fa scappare un uomo? -
 
I colleghi lo guardarono come se fosse un idiota.
 
- Se lo sapessi, non sarei in questa situazione. - replicò asciutto Castiel.
 
- E io non ne ho idea, in genere sono le donne che scappano da me. - aggiunse Gabe.
 
- Ok. - borbottò l’altro, esasperato - Rendiamo la cosa più semplice. Cos’è che fa scappare me? -
 
- Uhm… - mormorò Gabriel, fingendo di pensarci su - Lo spauracchio di un impegno duraturo, le dichiarazioni d’amore, le presunte gravidanze, le calze con le scarpe aperte, l’arrivo dei genitori di lei in città, i regali fatti in casa, la cellulite. Che altro… - sogghignò, prendendosi una rivincita e incitando con lo sguardo Castiel a fare lo stesso.
 
- La biancheria. - suggerì il redattore, osservando di sottecchi gli occhi di Balthazar ridursi a due fessure cariche d’odio.
 
- Giussssto! La biancheria non coordinata, la passione per Celine Dion, l’uso improprio del congiuntivo, gli sbaffi di mascara sulle tue lenzuola da trecento dollari, la proposta di trascorrere insieme il Natale, i vezzeggiativi… il pudore… dimentico qualcosa? - domandò con aria ingenua, alzando e abbassando ripetutamente le sopracciglia mentre Castiel compiva sforzi sovrumani per non mettersi a sghignazzare.
 
- Ridete, ridete… - mugugnò Balthazar - Almeno, io, ho le idee ben chiare su quello che mi piace e su ciò che voglio in un rapporto. Chi di voi due può dire lo stesso? - insinuò, notando Castiel rabbuiarsi di nuovo ed affrettandosi a cambiare discorso, pentendosi immediatamente delle proprie parole indelicate - E comunque non siamo qui per parlare di me, ma vedo che non siete per niente ricettivi… il succo del mio discorso è che, per indurre alla fuga Dean, visto che il ragazzo si è rivelato un osso duro, l’unica cosa che resta da fare è metterlo di fronte a delle responsabilità. Delle vere responsabilità. E con “vere”, intendo dire “rifilargli un essere vivente”. -
 
Castiel lo squadrò con espressione nervosa, inclinando il capo come ogni volta che non capiva qualcosa.
 
- Dimmi… dimmi che non mi stai suggerendo di andare a rapire un bambino a Central Park… -
 
Balthazar liquidò l’ipotesi con un cenno della mano.
 
- Non essere drammatico Cassy! Basterà molto meno, ricorreremo al bambino solo come ultima spiaggia. - dichiarò imperturbabile, senza per questo risultare granché rassicurante - Tu non preoccuparti, ci penso io, conosco un negozietto… -

- Ah, no. NO. - dichiarò categorico l’altro, sollevando entrambe le mani, come a voler respingere anche fisicamente l’idea - L’ultima volta che mi hai detto “accompagnami a fare shopping, conosco un negozietto…” siamo finiti in un seminterrato raccapricciante in una zona della città non segnata sulle mappe, dove vendevano le cose più disturbanti che abbia mai visto! -


- Ehi! Non parlare così del mio sexy-shop preferito! - ribatté l’altro, risentito - In ogni caso intendevo un altro tipo di negozio, nulla d’illegale, è anche qui vicino, se Glicemia ci copre con Pamela possiamo andare e tornare in un batter d’occhio. - propose, accennando a Gabriel, che per tutta risposta gli mostrò elegantemente il dito medio.
 
- Ok... suppongo… suppongo di non avere altra scelta… - sospirò stancamente Castiel dopo qualche istante d’esitazione, afferrando il trench dallo schienale della propria sedia ed avviandosi con aria rassegnata verso la porta - Ci vediamo dopo, Gabe. -
 

 
Mentre Castiel, troppo stanco e demoralizzato per opporsi, abbandonava definitivamente la strada della normalità sotto l’esperta guida di Balthazar (che una volta arrivati al fantomatico negozietto si dimostrò insistente e persuasivo come il leader di una setta) Dean, nel proprio appartamento in preda ad un lacunoso doposbronza e in mostruoso ritardo, stava facendo una fatica d’inferno anche solo per trovare la strada che dal divano portava al bagno.
Già, perché a differenza del redattore, che non era riuscito a prender sonno divorato da dispiacere e senso di colpa, il pubblicitario non aveva chiuso occhio roso dal sospetto.

Intuito e tenacia non avevano mai difettato in Dean Winchester, e l’avevano spesso fatto primeggiare in campo lavorativo, ma ora il primo gli urlava a gran voce di darsela a gambe prima che Castiel sbroccasse del tutto… e anche la seconda cominciava a dare segni di cedimento.
Dopo la plateale uscita di scena del giornalista, che aveva lasciato Dean in uno stato di stupefatta confusione, quest’ultimo aveva passato quasi due ore arrovellandosi per cercare di dare un senso logico ai repentini cambi d’umore e d’atteggiamento dell’altro, senza per questo arrivare ad una conclusione anche solo vagamente plausibile.
 
Poi, in un evidente raptus autodistruttivo e consapevole che ormai il suo sonno di bellezza era bello che andato, aveva afferrato il telecomando e una bottiglia di whisky: tanto valeva sfruttare quelle ore insonni e recuperare gli episodi di Dottor Sexy M. D. che si era perso, giusto?
 
Giusto.
 
Ma dovrebbe esistere tipo una qualche legge federale a regolamentare la visione compulsiva di mediocri medical-drama abbinata ad alcol e pene d’amore, perché dopo tre ore filate di repliche, mezza bottiglia di Jack, una serie impressionante di teorie cospiratorie e prima di perdere i sensi, le certezze esistenziali di Dean Winchester si erano ridotte a tre:
 
1) Si sarebbe fatto indiscriminatamente buona parte del cast.
2) La causa di ogni male è il lupus .
3) Nulla è come sembra.
 
E quest’ultimo punto, in particolare, sembrava adattarsi perfettamente a Castiel, rimuginò per l’ennesima volta il mattino seguente dopo essersi rapidamente sciacquato, sommariamente sbarbato e vestito alla bell’e meglio, mentre rompeva tre uova nel bicchiere del frullatore e ci versava sopra vodka, latte, sale e salsa Worcestershire [4] cercando di non vomitare.
 
Normalmente in quelle condizioni si sarebbe dato malato, ma nel pomeriggio era prevista la seconda riunione con Crowley a proposito della campagna Harvelle, e non aveva modo di esimersi dall’incombenza.
Per prima cosa perché detestava non avere il pieno controllo della situazione, ma soprattutto perché era quasi certo che, se fosse mancato, poi avrebbe dovuto rimuovere personalmente i resti di Chuck e Garth rimasti incastrati tra le fauci di Ruby e Bela, e sinceramente con la sua dose quotidiana di nausea era già a posto, grazie.
 
Una volta pronto, il bibitone antisbronza “ricetta segreta di zio Bobby” venne travasato in un piccolo thermos che Dean si ficcò sottobraccio prima di uscire di casa in fretta, arraffando al volo le chiavi della moto e meditando di fare una piccola sosta strategica lungo la strada.
 
Lungo la strada si fermò da Missouri a comprare qualche ciambella con l’intenzione di portarla a Castiel, ma una volta giunto al suo palazzo apprese con inaspettato sollievo che il redattore quel mattino era uscito all’alba, o almeno così sosteneva il suo portiere. Felice di poter posticipare l’imbarazzante faccia a faccia di qualche ora, fece comunque una telefonata tattica, giusto per confermare il proprio status di principe azzurro premuroso e tollerante, quindi inforcò nuovamente la moto e filò in ufficio.
 
Il suo arrivo alla King, con quello che ormai non era più ritardo ma quasi ferie, non passò inosservato agli occhi di Chuck, che notatolo passare di soppiatto in corridoio si alzò immediatamente dalla propria scrivania per sgattaiolargli dietro.
 
- Dean! Ma dov’eri finito? - sbottò non appena messo piede nell’ufficio del collega - Non ricordi che oggi c’è la presentazione? Garth si stava facendo venire un attacco di panico, pensava che ci avessi mollati col culo per terra, ho dovuto farlo respirare in una busta… e credo che prima sia anche andato in bagno a vomitare! -
 
- Buongiorno anche a te, Chuck. - mormorò Dean, assorto, come se non lo stesse realmente ascoltando, mentre con estrema calma versava l’intruglio antisbornia in un bicchiere e ne prendeva una bella sorsata, accompagnata da una manciata delle aspirine che teneva nel cassetto della scrivania.
 
Lo sguardo di Chuck cadde sulla brodaglia dal colore sospetto.
 
- Che… che cos’è quella roba? - chiese disgustato, momentaneamente distratto dal nocciolo della questione.
 
Dean abbassò lo sguardo, trattenendo un sorrisetto.
 
- Fidati, non vuoi saperlo davvero. -
 
- E poi, Dean… che hai combinato, amico? Hai un aspetto di merda e… fattelo dire, sembri uno che si è buttato nell’armadio al buio, coperto di colla. - osservò in tono preoccupato, notando il colorito malaticcio e l’azzardato abbinamento giacca verde/camicia bordeaux/jeans blu che aveva preso il posto della studiata trasandatezza vintage sfoggiata in genere dal collega.
 
- Non vuoi sapere neanche questo… - sospirò Dean, passandosi nervosamente una mano sulla nuca e perdendo un poco del proprio distacco.
 
- Castiel? - chiese l’altro, in un barlume d’intuizione - Davvero? È stato Castiel a ridurti così? -
 
- … Più o meno. Ieri sera è stato… uhm… complicato. -
 
‘Per non dire surreale e letale per la mia autostima.’
 
- Dean, ma cosa… cosa stai facendo? Ci conosciamo da quanto, sette anni? E in tutto questo tempo non credo di averti mai visto in queste condizioni… non è da te! -
 
- Lo so, Chuck, lo so. - ribadì l’amico con un sospiro sfinito - Lui… mi sta mandando al manicomio! - sbottò esasperato, sbattendo debolmente un pugno sulla scrivania.
 
- Sì ma… come? -
 
- Non lo so… - borbottò Dean in tono lamentoso - Un momento è la creatura più brillante, simpatica e attraente del pianeta, quello successivo il più dispotico e inquietante  pazzoide che io abbia mai conosciuto. Stare con lui è come… come giocare alla roulette russa. Con una pistola caricata a stronzate. A volte è come se stesse… recitando una parte. Lo so che sembra assurdo, ma io sento che non è quello il vero Castiel. L’unico momento in cui sembra essere davvero se stesso è quando… - mormorò, interrompendosi bruscamente nel rendersi conto di aver pensato ad alta voce.
 
- Quando cosa? - lo spronò a continuare Chuck.
 
- … Quando noi… ecco… ci… baciamo. - ammise Dean a bassa voce, arrossendo un po’.
 
- … Ah. - commentò l’altro, cercando di assimilare rapidamente la notizia e di restare impassibile - Quindi voi… ehm… cioè voi… fate roba? - chiese, senza voler realmente conoscere la risposta. Perché un conto è sospettare, un altro è sapere, che cavolo.
 
Dean rialzò la testa, fissandolo stranito - R-roba? No, no, niente… niente roba. Lui non… insomma, no. Non fino ad ora. -
 
- Capisco. Credo. - borbottò l’altro, annuendo sollevato, mentre il collega appariva sempre più a disagio.
 
Insomma, anche se Dean non aveva alcun problema a venire a patti con la propria sessualità e non l’aveva mai negata, parlare di sentimenti e… Cristo Santissimo, baci… in questo modo con un altro uomo era tutt’altro discorso! Per un istante gli sembrò quasi di essere catapultato indietro nel tempo fino ad una sera della propria travagliata adolescenza quando, seduto sotto il portico col fratello che insisteva per fargli “esternare le proprie emozioni”, aveva provato a spiegargli le proprie inclinazioni un po’ più elastiche della media.
 
E – Gesù! – era spaventoso esattamente come allora.
 
Ma prima che uno di loro potesse dire qualcos’altro, rendendo la situazione ancor più imbarazzante, la testa di Garth sbucò dal corridoio, annusando platealmente l’aria.


- È odore di ciambelle, quello che sento? - domandò, entrando e continuando a fiutare come un setter fino ad individuare la scatola con i dolci originariamente indirizzati a Castiel posata sulla scrivania di Dean.
 
- Uh? Sì, sì. - mormorò questi, grato di quella tempestiva interruzione - Serviti pure… -
 
Il collega non se lo fece ripetere due volte e, aperta la scatola con l’entusiasmo d’un bulimico, scelse una ciambella ricoperta da una tale quantità di glassa e zuccherini che avrebbe tramortito persino Gabriel.

- A’hora… - farfugliò a bocca piena - ‘Hom’è ndaha ‘heri fera? -
 
Dean scambiò uno sguardo elusivo con Chuck, prima di rispondere.
 
- Ieri… sera? Uhm, dai, prendi le ciambelle e andiamo al pensatoio, parleremo lì, ho… ho bisogno di concentrarmi per la riunione di oggi! - sentenziò, scattando in piedi forse con un po’ troppa foga e uscendo a testa bassa dall’ufficio, seguito da un perplesso Garth e un rassegnato Chuck.
 
“Il pensatoio”, altro non era che una piccola e accogliente sala relax dotata di ogni confort, in cui Crowley aveva fatto mettere persino un bersaglio per le freccette e un biliardo, naturalmente non per il proprio buon cuore ma perché sapeva benissimo che degli impiegati felici lavorano meglio e di più… infatti, molte delle campagne vincenti di Dean erano state ideate tra una buca e l’altra, con una birra gelata poggiata sul bordo di mogano scuro.
Effettivamente, non fosse stata mattina e non avesse avuto ancora la nausea, Dean si sarebbe fatto volentieri un goccetto mentre si piegava sul tavolo verde e spaccava il triangolo di biglie colorate con un gesto fluido, rilassando le spalle contratte e distogliendo la mente per qualche istante da Castiel, concentrandosi invece su angoli acuti e traiettorie geometriche.
Mentre con precisione millimetrica imbucava una palla dopo l’altra, sotto lo sguardo ammirato degli amici e quello rapace delle segretarie che gli guardavano il sedere al di là delle veneziane socchiuse, riassunse brevemente la disfatta della serata precedente, glissando su Principessa Samantha e su tutto ciò che di sessuale era accaduto fra lui e Cass.
Era già abbastanza umiliante la versione edulcorata della faccenda, grazie mille.
 
- Wow…- mormorò Garth, impressionato, alla fine del racconto - Credo che questa sia stata la tua Waterloo, eh Dean? Immagino tu non sia abituato a fallimenti del genere, anche se… insomma, è un bene che Castiel sia così ritroso, giusto? In pratica sta facendo il tuo gioco! -
 
- Sì, bè… più o meno. - si lasciò sfuggire l’altro a denti stretti, senza mascherare il risentimento, risvegliando la curiosità dell’amico.
 
- Cosa? - chiese, infatti, con una luce sospettosa nello sguardo.
 
- Cosa. - replicò freddamente Dean mentre Chuck, in un angolo, non visto, si ficcava le mani tra i capelli. Dean stava perdendo colpi. Quella storia non poteva finire bene.
 
- Non mi spiego perché te la prenda così, Dean. Capisco che sia uno smacco per il tuo orgoglio, ma in fondo Castiel ti sta spontaneamente evitando di fare cose che assolutamente vorresti non dover fare… o sbaglio? - insinuò Garth, che al pari del collega cominciava a sentire puzza di bruciato in tutta quella faccenda.
 
- M-ma certo! - abbozzò, preso in castagna - Certo… solo che… che mi sta facendo impazzire, ecco! Tu non hai la minima idea, ogni tanto è talmente appiccicoso e volubile e… e pazzo, che sembra un concentrato di tutto ciò che manda fuori dai gangheri un uomo! -
 
Garth ridacchiò e fece per ribattere, ma prima che potesse aprir bocca e suggerire a Dean di non esagerare, una testa arruffata e due occhi blu fecero capolino dalla porta socchiusa della saletta.
 
- Ciao amore! - trillò Castiel con un largo sorriso soddisfatto sul volto, avendo origliato l’ultima parte del discorso.
 
Dean e Chuck impallidirono quasi simultaneamente. Cos’aveva sentito?
 
- C-ciao tesoro… - balbettò Dean, circospetto - Che ci fai qui? -
 
- Oh, sai, mi sentivo così in colpa per non esserci stato stamani, quando sei passato da casa mia, che ho pensato di passare a farti un salutino. - spiegò sorridendo, stringendosi nelle spalle.
 
Rassicurato dal fatto che, a quanto sembrava,  non avesse colto nulla della discussione bruscamente interrotta, Dean si rilassò un poco, appoggiando la stecca al bordo del tavolo e andando incontro al compagno, posandogli una mano sulla spalla e pilotandolo poi in direzione degli amici.

- Cass, ti presento Chuck e Garth, li hai intravisti la volta scorsa ma non te li avevo presentati. Ragazzi, lui è Cass. -
 
Castiel annuì entusiasta, posando a terra la grossa busta di carta che reggeva tra le mani e stringendo tra le proprie quelle degli altri due.
 
- Sono così felice di conoscervi ragazzi! Il mio scoiattolino mi ha parlato tanto di voi e… amore, cattivo, non hanno affatto l’aria sempliciotta come dicevi! - rimproverò Dean, dandogli un affettuoso buffetto.
 
L’altro incassò senza batter ciglio sia il buffetto che l’occhiataccia dei colleghi, sorridendo confuso mentre Castiel se ne stava impalato accanto a lui guardandosi attorno con aria curiosa senza dire una parola.
 
- Bè, Cass… ehm, posso fare qualcos’altro per te? Vuoi una ciambella? - chiese senza pensare, cercando di spazzare l’imbarazzante silenzio che era calato sulla stanza.
 
- Ciambelle? - ripetè scandalizzato il redattore - Ma amore, mi vuoi tutto ciccia e brufoli? Non mangio ciambelle… e non dovresti nemmeno tu, a proposito. Lo sai che il grasso addominale influisce sulla potenza sessuale? - dichiarò serafico affondando un paio di volte l’indice nella pancia di Dean, come se nella stanza non fossero state presenti altre due persone.
 
Che volevano sotterrarsi.
 
- Comunque non sono venuto solo per salutarti. - continuò implacabile, chinandosi e prelevando qualcosa dalla busta sul pavimento - In realtà ti ho portato un regalo! -

Dean deglutì, mentre un brivido di panico strisciava lungo la sua spina dorsale al ricordo della maglietta con l’orsetto ancora appallottolata nel cassetto della propria scrivania, e istintivamente indietreggiò di qualche passo, addossandosi agli amici che seguivano la scenetta con morboso interesse.
 
Era come vedere un incidente stradale al rallentatore.
 
Castiel si riavvicinò al gruppetto raccolto attorno al tavolo verde, e posò sul bordo di legno lucido una scatola di cartone piena di fori.
 
Fori per l’aria.
 
Fori per l’aria che facevano presupporre la presenza di un essere vivente nella scatola.

Dean non fece nemmeno in tempo a domandarsi cosa diavolo nascondesse che già il giornalista l’aveva aperta, estraendone una specie di ammasso di squame e bitorzoli con due occhi enormi e la coda a ricciolo, posandolo al centro del panno verde.
 
Tutti e tre si sporsero guardinghi ad esaminare la creatura.
 
- Cass, ehm, che… che cos’è quell’affare… il cuginetto di Godzilla? - chiese Dean, scrutando non del tutto a proprio agio l’esserino, che proprio sotto ai suoi occhi, cambiò colore, assumendo l’esatta tonalità della superficie su cui era poggiato.
 
- Oh merda! - strepitò istericamente Garth, allontanandosi a ritroso dal tavolo - Altro che Godzilla, questo è un cucciolo di Predator [5]! Oh mio Dio! Moriremo tutti! -

Dean si voltò per dargli uno scappellotto sulla nuca. Non bastavano le follie di Castiel, no, adesso ci si mettevano pure i suoi amici.
 
- Garth, non dire stronzate, e smettila con le maratone di fantascienza, è l’ultima volta che te lo dico! - intimò, esasperato - Questo non è un piccolo Predator, è un… un… cos’è questa… strana… rana, tesoro? - chiese con un sorriso estatico, facendo buon viso a cattivo gioco.

- Dean non essere sciocco, non è una rana, questo è un piccolo camaleonte cornuto. Balthazar mi ha assicurato che è l’ultimissima moda in fatto di animaletti da compagnia, molto più trendy dei cincillà! - trillò Castiel.

- Balthazar, eh? Ricordami di ringraziarlo adeguatamente… - sibilò Dean, mentre il piccolo animaletto verde, dopo essersi guardato in giro a 360° con quegli assurdi occhi periscopici, depositava sul panno altrettanto verde qualcosa di decisamente marrone, per poi spostarsi di qualche centimetro, ondeggiando come un ubriaco.
 
Cercando di trattenere i conati di vomito che quella vista gli procurava, Dean continuò imperterrito a sorridere a Castiel, che a propria volta seguiva i movimenti della bestiola con aria estasiata.
 
- Ohhhh, guarda Dean, Zacky ha fatto la cacca! - cinguettò, orgoglioso come se Zacky avesse vinto il Nobel.
 
- Za… Zacky? - balbettò Dean, cercando nel frattempo di valutare mentalmente il danno, mentre Chuck e Garth tentavano di strisciare via con discrezione per poter andare a sghignazzare liberamente altrove.
 
Tipo in Nicaragua.

- Sì, è il suo nome. Zacky il Camaleonte. In realtà al negozio mi hanno detto che si chiama Zaccaria, ma mi sembrava un po’ troppo serioso per lui, non trovi? Ha un musino così simpatico! -

- Oh. Uh… sì, certo… -

- Che carino… ha fatto la cacca perché si è emozionato nel conoscere il suo nuovo papà! - continuò il redattore, imperturbabile - Quel coso è lavabile, vero? - mormorò poi, accennando distrattamente al feltro del biliardo irrimediabilmente macchiato.


- Io… io non lo so… - farfugliò Dean, completamente nel pallone - … Hai detto papà? -
 
- Bè, sì. Gli animali sono come figli, Dean, e abbiamo il sacro dovere di accudirli come se fossero la nostra progenie. - rispose il giornalista, serissimo.
 
- Abbiamo? - ripetè Dean.
 
- Ma certo, abbiamo! Zacky è il nostro cucciolo, e poi… sarà un po’ come fare le prove per quando avremo un figlio nostro, no? -
 
- Figlio? - gli fece nuovamente eco Dean, sempre più allarmato.
 
Castiel lo rimproverò, stizzito.
 
- Dean, smettila di ripetere tutto quello che dico, è davvero irritante. - lo riprese, sbuffando scocciato - Comunque sì, figlio. Perché… - chiese, minaccioso, riducendo gli occhi a due fessure blu - … tu non ne vuoi? O forse, semplicemente, non li vuoi… con me? - lo accusò, dopo una breve esitazione, con un tremolio nella voce che era chiaramente l’anticamera di una scenata isterica da antologia e dando fondo a tutto il proprio talento drammatico.
 
- Ma… ma certo che voglio dei figli con te, Cass! Chi non li vorrebbe? Solo… mi hai preso un po’ in contropiede, ecco… cioè, forse è un discorso po’, ehm, prematuro…? - azzardò l’altro, remissivo, sperando di non scatenare la furia omicida di cui aveva già avuto un assaggio.
 
- Prematuro? Sai quanto tempo occorre per trovare una madre surrogato, oltre ad un’amica attraente disposta a donarci degli ovuli? Aggiungici i nove mesi di gravidanza e si può dire che siamo già in ritardo! E poi Dean, diciamocelo: non hai più diciott’anni, i tuoi girini potrebbero non essere arzilli come credi… - spiegò Castiel, placido come se parlasse dei maccheroni al formaggio avanzati in frigo e non degli stramaledetti spermatozoi stantii di Dean che, umiliato, concentrava la propria attenzione sugli spostamenti al rallentatore di Zacky contando fino a diecimila, per non mettere le mani al collo del fidanzato e tirare forte, mentre i colleghi lottavano per non morire soffocati reprimendo le risate.
 
Con uno sforzo sovrumano chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e tornò a rivolgere la propria attenzione a Castiel, mostrando i denti in quello che tecnicamente doveva essere un sorriso ma che somigliava più che altro all’effetto collaterale di un ictus.
 
‘Ok, adesso scoppia…’ pensò trionfante, e allo stesso tempo terrorizzato, il redattore.
 
- Hai ragione, tesoro, anche se credo che dovremmo approfondire meglio l’argomento in una sede più… ehm, intima. - articolò Dean a denti stretti, accennando ai colleghi che li ascoltavano rapiti e scandendo con attenzione ogni parola in modo da non essere frainteso - Sai bene quanto desideri farti felice Cass… che dici, stasera a cena? -
 
- Scherzi? - si lasciò sfuggire Castiel, preso del tutto in contropiede - Cioè, volevo dire, sarebbe… uh, delizioso! Che… che  pensiero dolce… - abbozzò.

Dannazione, Balthazar era assolutamente certo che Zacky l’Incontinente avrebbe abbattuto le sue ultime barriere!
 
- Va bene alle otto? - propose Dean, recuperando nel frattempo Zacky cercando di non apparire disgustato e posandolo nella sua scatola, prima di porgerglielo.
 
- … Ehm, certamente zucchino. Che… che fai? -
 
- Ti restituisco il nostro alien… cucciolo? -
 
- Oh no, tesoro, Zacky è un mio regalo per cementare il nostro amore! È tuo, oltretutto hai visto come ti vuole già bene, non potrei mai separarvi… -
 
- O-oh. Ma è… fantastico! - commentò Dean, con una lieve sfumatura d’isteria nella voce - Però… solo per per oggi non potresti tenerlo tu? Io starò tutto il giorno in ufficio e non… non voglio che soffra troppo a stare in quella scatola così piccola. Me lo porterai stasera, ok? -
 
Castiel parve convincersi.
 
- Ma certo amore, sei così incredibilmente premuroso… e stasera gli troveremo una casetta, vero? - domandò, facendo sfoggio di un notevole spirito d’improvvisazione e sfarfallando esageratamente le ciglia.
 
- Naturalmente… - mormorò debolmente Dean.

- Oh, quasi mi stavo dimenticando! - squittì quindi il giornalista piegandosi di nuovo a frugare nella busta di carta che, evidentemente, era una sorta di portale per un’altra dimensione che esisteva all’esclusivo scopo di rigurgitare orrore nella vita di Dean e tirandone fuori un involto color sabbia, che dispiegò rapidamente e porse al proprio attonito fidanzato.
 
Dean allungò le mani in un gesto automatico, osservando distrattamente l’etichetta Burberry applicata alla massa di tessuto che l’altro gli aveva passato senza realmente vederla.
 
- Cos’è? - chiese ingenuamente.
 
- Come cos’è? Dean, è un trench. Ed è anche molto più bello del mio! - spiegò un poco spazientito il redattore, accennando al soprabito che aveva disinvoltamente espropriato alla ridicola montagna di regali che Balthazar riceveva dagli stilisti, strappandolo quindi dalle mani dell’altro e drappeggiandoglielo sulle spalle - Su, avanti, provatelo! Non vuoi vedere come ti sta? -
 
Dean emise una sorta di sbuffo disperato mentre, palesemente riluttante, allungava le braccia dietro di sé, permettendo a Castiel di aiutarlo ad indossare il trench sotto lo sguardo rapito degli amici.
 
- Oh, Dean… ti sta benissimo! So che non è esattamente il tuo stile, ma sembra fatto apposta per te! - esclamò ammirato Castiel - Vero che gli sta benissimo, ragazzi? - domandò quindi rivolgendosi a Chuck e Garth, che non stavano più nella pelle.

- Sei… un sogno color kaki. - mormorò Chuck sforzandosi di apparire imperturbabile nell’osservare i due fianco a fianco, un’uniforme macchia marroncina.
 
- Oh, sì. Sarete una splendida famigliola beige. - rincarò la dose Garth ridendo sotto i baffi, assicurandosi così un’occhiata di fuoco da parte del collega.
 
- Sì, bè… grazie. - replicò secco Dean, rendendosi immediatamente conto del tono della propria voce e cambiando repentinamente registro - Cioè, volevo dire… grazie… ehm, piccolo, è davvero bellissimo, mi piace un sacco ma sul serio, non dovevi disturbarti tanto… - tubò - Ora purtroppo i ragazzi devono salutarti perché devono tornare subito ai loro uffici, giusto? - ringhiò quindi a denti stretti con un tono che non ammetteva repliche, mentre cercava goffamente di togliersi di dosso l’impermeabile e nel frattempo prometteva con lo sguardo una dipartita lenta e dolorosa ai colleghi.
 
- Uh, oh, certo noi… dobbiamo proprio andare! - farfugliò Chuck, capita l’antifona, afferrando un riottoso Garth per una manica e iniziando a trascinarlo verso la porta, sorridendo nervosamente all’indirizzo di Castiel - Sai com’è, dobbiamo fare delle… cose. Sul serio. Cose vere. Cioè, lavoro ovviamente! Lavoro! - specificò camminando all’indietro - Ah, Dean, non prendere impegni per domani, ricorda che abbiamo il poker con Victor e gli altri! - latrò prima di sparire, lasciando finalmente soli Dean e Castiel.
 
- Oh-oh, serata tra maschietti, amore? - chiese questi ad occhi sgranati, voltandosi verso Dean.
 
- Sì… ecco, sai, è una tradizione, lo facciamo tutti i weekend… - accennò quest’ultimo, vagamente intimorito da una possibile reazione dell’altro, ma il redattore non fece una piega, continuando a sorridergli radioso e, anzi, abbracciandolo.
 
- Mhhhh, bene, sono felice che il mio tesoro si rilassi un po’, lavori sempre così tanto… - mormorò strusciando delicatamente il naso nell’incavo del collo di Dean, il cui stomaco, nonostante tutto, si aggrovigliò.
 
E non per la nausea o il Bobby- bibitone.
 
- Ehm, a proposito Cass, devi scusarmi ma ora dovrei proprio tornare al lavoro… tra non molto ho quella riunione, ricordi? E purtroppo sono ancora in alto mare con lo slogan… - mormorò preoccupato, mentre Castiel scioglieva l’abbraccio e gli posava le mani sul petto guardandolo con aria rassicurante.
 
- Non preoccuparti tesoro, io ho fiducia in te. - asserì convinto, sorridendogli fiducioso e lisciando invisibili pieghe sulla camicia dell’altro, che si rilassò sotto il suo tocco - Riuscirai ad escogitare qualcosa di geniale, ne sono certo, farai mangiare la polvere a tutti! -
 
Le palpebre di Dean improvvisamente sbatterono un paio di volte, come se stesse mettendo a fuoco Castiel, le sopracciglia corrugate in un’espressione concentrata.
 
- Cosa… che cos’hai detto? -
 
- Che… che ho fiducia in te… - replicò Castiel, spaesato.
 
- No, dopo. -
 
- Che farai mangiare la polvere a tutti? - ripeté esitante.
 
Lo sguardo si addolcì, e il suo volto si aprì in un enorme sorriso.
 
- Mangiare la polvere… - ripeté trasognato, afferrando l’altro per le spalle e scuotendolo appena - Ma certo! Figlio di… è geniale! Cass, credo che tu mi abbia appena suggerito lo slogan che mi farà vincere questa campagna! -
 
Castiel non riuscì a non sentirsi un po’ un eroe, di fronte allo sguardo stupefatto e ammirato di Dean.
 
- … Davvero? - mormorò, flebile, così innocente e palesemente felice d’essere stato d’aiuto.
 
Dean gli rivolse un sorriso morbido, osservando intenerito quegli occhioni blu colmi di infantile gioia. Quando si comportava a quel modo, Castiel era letteralmente irresistibile.
 
 - Mi ci gioco la mia Baby, se non sarà così… - dichiarò risoluto, carezzandogli una guancia con la punta delle dita - Pazzesco, non posso crederci… - mormorò poi, affascinato, chinandosi a baciarlo d’istinto, con prepotenza, senza lasciarsi sfiorare dal pensiero che qualcuno avrebbe potuto vederli, accarezzando con la lingua le labbra di Castiel fino a farle schiudere e baciandolo fino a sentirlo gemere tra le proprie braccia.
 
Dopo un paio d’affannosi minuti in cui pensò seriamente di tirare giù le veneziane, chiudere la porta a chiave e lasciare che la natura facesse il proprio corso, Dean ricordò che erano in un ufficio, precisamente nel suo ufficio, e si staccò a malincuore dal redattore, sussurrando un rovente “Grazie Cass, saprò sdebitarmi…” direttamente sulle sue labbra.
 
- P-prego… - balbettò Castiel, piacevolmente scosso, quasi perdendo l’equilibrio quando l’altro lasciò la presa su di lui - Ora io… andrò. Sì, credo che andrò. Via. - specificò in maniera del tutto incoerente, raccattando la scatola di Zacky con le mani che tremavano, le guance in fiamme e i fuochi artificiali nel cervello.
 
- Stasera vieni da me? - domandò Dean senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso e leggermente affannato, chiaramente ansioso di riprendere il discorso.
 
L’altro  tentennò. Stava diventando sempre più difficile, sia resistere alle avances di Dean che portare avanti il suo stupido piano, ma come aveva dettto Balthazar, ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
 
- M-ma certamente… grazie, scoiattolino! Uhm… allora… ci vediamo più tardi, ti adoro! - cinguettò dopo una breve esitazione nel tono più lezioso che riuscì ad improvvisare, avviandosi verso l’uscita con la scatola sottobraccio e le gambe molli.
 
- Certo, tesoro… - mormorò Dean, annuendo con un sorriso sornione.

 


Nemmeno mezz’ora dopo Dean, di ritorno dal distributore di bibite, stava facendo irruzione nella sala riunioni, furibondo,  interrompendo un briefing a cui lui chiaramente non era stato invitato.
 
- Cosa cazzo sta succedendo qui? - tuonò, furibondo, nello scrutare alternativamente Crowley, Bela e Ruby, intenti ad esaminare alcune scartoffie.
 
Crowley si accigliò, perdendo parte del proprio consueto distacco nel rispondergli.
 
- Dean! Potresti moderare i toni, per favore? Questa è una riunione… e tu sei in ritardo. - specificò, seccato per la brusca interruzione.
 
A quelle parole l’ira di Dean si sgonfiò come un palloncino, mentre l’ipotesi di essere stato incastrato si trasformava rapidamente in una concreta certezza..
 
- Che… cosa? - biascicò spaesato, cercando di prendere tempo.
 
- Ma come, Winchester, non ti è arrivata la mia e-mail di ieri? - cinguettò Ruby con aria innocente, fissando nel contempo Dean come se fosse qualcosa di schifoso che le era rimasto appiccicato sotto la scarpa.
 
- Quale caz… voglio dire, di quale e-mail stai parlando Ruby? - ringhiò il giovane, assolutamente sicuro di non aver ricevuto un bel niente, trattenendo a stento la rabbia che stava ricominciando a offuscargli il cervello.
 
- Di quella dove avvisavo te e i tuoi due tirapiedi che la riunione di oggi pomeriggio era stata anticipata. Fergus a quanto pare ha degli impegni inderogabili… - mormorò suadente, sorridendo melliflua a Crowley e posandogli una mano sul braccio in un gesto così affettato che diede il voltastomaco a Dean.
 
- Non mi è arrivato nulla. - replicò, gelido - Né a me, né a Chuck, né a Garth. - specificò poi - Un incredibile colpo di sfortuna, non credi? -
 
Bela lo liquidò con un gesto annoiato della mano e uno sbuffo lezioso, come se fosse un bambino che faceva i capricci per non essere stato invitato alla festa.
 
- Gesù… quanto la fai lunga, Winchester, sono cose che possono accadere, lo sanno tutti che la posta elettronica non sempre è affidabile, ora sei qui no? Smetti di fare la primadonna! - commentò infastidita.
 
Dean decise di non darle corda e non commentò oltre, limitandosi ad incenerirla con lo sguardo e a mimare con le labbra la parola “strega” mentre prendeva posto al grande tavolo ovale, esaminando distrattamente le proposte presentate dalle due sgualdrine e realizzando con infinito sollievo che non c’era nulla di brillante o anche sono vagamente originale, fra quegli slogan e quei bozzetti.
 
- Quindi…. che mi sono perso? - chiese con un sorriso compiaciuto, stravaccandosi sulla poltroncina e gettando con malagrazia i fascicoli di Bela e Ruby sul piano di cristallo come se fossero spazzatura, prima di incrociare placidamente le braccia sullo stomaco in posizione di relax - A quanto pare, non molto… - ridacchiò sommessamente, guadagnandosi un’occhiata assassina da parte di entrambe.
 
- In effetti, mi costa dirlo ma siamo a un punto morto, Dean. - ammise Crowley, vagamente a disagio - Cioè, sì, ci sono delle idee, ma niente di-
 
- Idee? - lo interruppe Dean in tono beffardo, raddrizzandosi sulla sedia e pescando a caso dalle carte sparse di fronte a sé la proposta per una pagina pubblicitaria - Idee? Queste le chiami idee? - continuò, infervorandosi, mostrando a Crowley un foglio interamente nero, su cui erano stampate in rosso le parole “NON DITELO A VOSTRA MOGLIE” - Queste non sono idee, questo è… è… arrampicarsi sui vetri! Queste sono cose trite e ritrite, Fergus, lo sai meglio di me. E poi – andiamo! – non si capisce neppure quale sia il prodotto da pubblicizzare! Cosa dovrebbe promuovere questa pagina? Profilattici? Un hot-line? Una crema per le emorroidi? - domandò, sarcastico, facendo sorridere suo malgrado Crowley.
 
- Bè, visto che hai così tante opinioni sul nostro slogan, sono certa che tu avrai saputo fare di meglio… - lo rimbeccò acidamente Ruby, a cui non era era sfuggito l’aspetto poco dignitoso di Dean, segno di una notte tutt’altro che tranquilla. Castiel probabilmente ci stava andando giù pesante, pensò con un sorrisetto perfido.
 
- Non vorrei sembrare presuntuoso ma… sì. - dichiarò Dean, sprizzando soddisfazione da ogni poro - E la cosa più divertente è che me l’ha suggerito proprio il ragazzo che avete scelto, quello che si sta innamorando perdutamente di me. - aggiunse soave, strizzando l’occhio a Bela e Ruby, che stavano letteralmente schiumando rabbia.
 
- Sentiamo, allora. - lo incitò Crowley.
 
Dean si alzò in piedi e mimò la frase con ampi gesti delle mani, mentre scandiva con enfasi “FATE MANGIARE LA POLVERE AI SOGNI”.
 
Quando le sopracciglia dell’altro uomo si sollevarono e un impercettibile sorriso increspò gli angoli delle sue labbra, Dean comprese di aver colpito nel segno.
 
- È semplice, è conciso, ma allo stesso tempo racchiude molti significati. - continuò, accalorato - Trasmette l’idea di velocità e di potenza – in fondo stiamo pur sempre parlando di auto, giusto? – ma anche di una cosa fattibile, di un sogno realizzabile, che si lascia alle spalle quelli destinati e restare, per l’appunto, solamente sogni… -
 
- Dean, ragazzo mio, credo proprio che tu abbia fatto centro. - si complimentò Crowley visibilmente compiaciuto, alzandosi in piedi e battendogli una sonora pacca sulla spalla - Hai già un’idea per l’aspetto visuale della campagna? -
 
Dean improvvisò. Doveva battere il ferro finché era caldo.
 
- … Naturalmente. - replicò, pregando con tutte le proprie forze che la cosa finisse lì e che se ne riparlasse in un secondo momento.
 
- Ti prego, sorprendimi… - mormorò l’inglese in tono accattivante, senza accennare a togliere la mano dalla spalla di Dean, Bela e Ruby ormai relegate a due macchie sfocate (e incazzate) sullo sfondo.
 
- Oh. Sì… bè… dunque, visto che la punta di diamante della Roadhouse Inc. sono le auto di pregio e d’epoca, sostanzialmente icone a quattro ruote, ho pensato che si potrebbe abbinarle a… a strade altrettanto iconiche. Potremmo riprendere le macchine sempre da dietro, mentre si allontanano, che so… sul ponte di Brooklyn, sulla Route 669, nella Monument Valley o sulla Strip di Las Vegas… cose così, insomma… - butto lì, cercando di suonare convincente - Oltretutto è una scelta visiva che potremmo declinare sia in forma di spot che di immagini fotografiche per le campagne a mezzo stampa, no? -
 
Ci fu un minuto buono di silenzio, che Crowley passò fissando Dean con le sopracciglia aggrottate, per poi scoppiare a ridere così forte da risultare francamente inquietante.
 
- Maledetto figlio di buona donna, ce l’hai fatta un’altra volta! Dean, sei un genio! - esclamò scuotendo la testa, mentre le ragazze, umiliate e stizzite, raccoglievano tutte le loro carte borbottando improperi sottovoce.
 
- Quindi la campagna è mia? - azzardò Dean, in un guizzo di ottimismo.
 
- Coooosa? Capo, non puoi darla a lui, abbiamo fatto un patto! - sbottò Bela, indignata, ma Crowley le fece segno con una mano di tacere.
 
- Non correre, ragazzo. - mormorò quindi rivolto a Dean - Per ora hai lo slogan di punta, e dobbiamo ancora presentarlo alla signora Harvelle e a suo marito sperando che li impressioni, però ho deciso che la festa che daremo in loro onore la prossima settimana sarà tutta ispirata alla tua idea, visto che è così buona. Quanto alla scommessa… è ancora valida, e sarò io a valutare se davvero il ragazzo che ti ha ispirato è o non è innamorato di te. -
 
Dean si strinse nella spalle con noncuranza.
 
- D’accordo. - mormorò, ostentando sicurezza - Non mi pesa rimandare di pochi giorni il mio trionfo… -
 
- Questo lo vedremo…- sibilò Ruby, paonazza di rabbia.
 
- Sì, bè, come vuoi… - la blandì Dean, dirigendosi verso l’uscita - Ah, capo, visto che a quanto pare sono l’unico ad aver fatto il proprio dovere, oggi pomeriggio esco prima… ho una persona da far innamorare. - dichiarò, aggrappandosi allo stipite e facendovi perno come fosse un palo da lapdance, dandosi lo slancio per ruotare elegantemente fuori dall’ufficio.
 
 
 
 
[1] Omonima canzone dei Mötley Crüe, traccia numero otto del loro quinto album, Dr Feelgood, pubblicato il primo settembre del 1989.
[2] Dalla 5X13, “The song remains the same”, è la canzone su cui ballano le due spogliarelliste nel sogno di Dean prima che Anna lo interrompa.
[3] Chi ha seguito House, lo sa.  ^___^
[4] Questa è una delle tante versioni del Prairie Oyster (che, per la cronaca, non è stato inventato da Bobby), detto anche Corpse-reviver, ovvero il Resuscita-Cadaveri, essendo un noto rimedio antisbronza.
[5] Predator è un film horror fantascientifico del 1987, in cui un alieno precipitato sulla terra riesce a mimetizzarsi perfettamente con l’ambiente circostante, facendo una strage dei militari incaricati di catturarlo.


NDPA (note della pessima autrice)

Come dite? Che sono una persona brutta e cattiva? Che faccio orrore? Sì, lo so. :(
Avete perfettamente ragione, e mi scuso con tutte le persone che seguono questa storia e che da mesi aspettavano un aggiornamento. Non ho giustificazioni, c'è stata una congiuntura astrale di impegni, difficoltà con l'adattamento e morbo del culopesismo e... mi sono arenata. Mi dispiace! >___<
Spero di farmi perdonare con un capitolo piuttosto lungo (ho persino dovuto smezzarlo perché eravamo a più di trenta pagine di word) e... niente, ringrazio tanto Dania per aver indicato la storia per le scelte, Thehellcat e Ortica Cenere per avermi dato il calcetto nel sedere psicologico che mi serviva, tutte gli adorabili batuffoli di pazienza che hanno aspettato finora e naturalmente la mia amata beta! <3

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