Dreams

di Scillan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dormiveglia ***
Capitolo 2: *** Crepa ***



Capitolo 1
*** Dormiveglia ***


Dormiveglia

 

Avevo cinque anni ed ero all'ultimo anno della scuola materna. Spesso la nostra maestra ci rivolgeva domande che erano passate sulle bocche di tutti i grandi -Che scuola vorresti fare?-, -Chi è il tuo amichetto preferito?-, -Ti piace cantare? O preferisci disegnare, oppure ballare?- ma di sicuro quella che per le orecchie dei bambini era la più familiare era: -Che cosa vuoi fare da grande?-

 

Rimasi a guardarla stupito per qualche secondo -Da grande?- dissi. Lei mi sorrise, irritata, un po' come si fa ai bambini ritardati -Sì. Quando diventerai come mamma e papà, dovrai lavorare anche tu. Ti piacerebbe, non so, essere un calciatore? O un astronauta?- ripeté, scandendo bene le parole.

Ebbi la tentazione di schiacciarle il bel nasino che la aiutava a far scivolare una marea di uomini ai suoi piedi con il mio poco gentile pugnetto, ma mi ricordai la sgridata di mamma quando lo avevo fatto a Tom dopo che lui aveva tirato i capelli a una delle bambine della mia classe. - Ma io non voglio lavorare. Voglio giocare.- -Ma un giorno dovrai lavorare, tesoro. Tutti devono. Su dimmi cosa vorresti fare. Accetto qualsiasi risposta.- E doveva essere vero, visto che Lizzy le aveva appena detto di voler diventare un cavallo.

-Va bene anche un sogno.- disse per spronarmi anche se senza un minimo di entusiasmo. Subito ripresi interesse per la domanda che mi era sembrata tanto sciocca; i Sogni! Sognavo in continuazione! Di notte e di giorno, soprattutto. Sognavo di essere un eroe, di volare e vedere la mia casa dall'alto, di cavalcare un dinosauro o più semplicemente farmi avvolgere dall'abbraccio di mia madre e di mio padre, che tanto spesso erano via, alla scoperta di un mondo di cui non facevo realmente parte.

-Il mio sogno è quello di  avere tanti Sogni!- risposi con tutto l'entusiasmo di un bambino, aspettando che la maestra  mi facesse dei complimenti e magari mi desse anche una caramella. Invece quello che ricevetti fu solo uno sguardo di disprezzo: rimasi sconvolto, mai nessun adulto mi aveva guardato così. -Che sciocchezza! Non sono i sogni che ti fanno andare avanti nella vita. Imparalo presto moccioso.-

 

Crack..

 

Detto questo si girò e andò ad occuparsi di un altro bambino. Rimasi lì, a fissare il vuoto, per qualche minuto. Quelle parole così dure avevano rotto qualcosa dentro me e mi sentivo un po' come se mi avessero tolto il pavimento sotto i piedi. Quello sguardo gelido e pieno di disprezzo, che non riuscivo a capire, aveva lasciato un'impronta nella mia anima marchiandola indelebilmente. Quelle era sempre stata la mia convinzione, quello che in un certo senso pensano tutti i bambini e sanno perfettamente. Ma dopo un po’ di anni si capisce che si deve crescere e non si vive solo di sogni, e pian piano cominciano a dimenticare, come l'inchiostro quando viene messo nell'acqua. Io però non l'avevo dimenticato e davo per scontato che fosse così anche per gli altri...

 

 

 

Da quel giorno cominciai a capire come funzionava davvero il mondo; non era quello che pensavo io che dovevo dire, ma quello che la gente voleva sentirsi dire. Molto più facile essere parte di un tutto che essere da solo dall'altra parte del muro.

Cominciai a mentire, prima alla maestra, poi ai miei amici, ai miei genitori, e infine a me stesso. E più mentivo, più i miei sogni si sporcavano, svanivano. Di giorno cominciai a pensare a compiacere e a non lasciarmi più in balia dei sogni, poi, poco a poco, cominciai a non sognare più neanche la notte. Le mie notti erano ormai buie e sole. Non esercitai più la fantasia, il nutrimento dei sogni, e il mio vero “io” cominciò a tingersi di grigio ed indifferenza. A furia di dire quello che la gente voleva cominciai a perdermi nella mie stesse menzogne, senza trovare le vere risposte a quelle domande. E la cosa peggiore era che non mi importava. Ero ormai indifferente persino a me stesso.

Per undici anni mi sentii perso nel nulla, l'importante era solo andare avanti, retto solo da un lontano istinto di sopravvivenza. Niente che mi piaceva, niente che mi interessasse, fino a quando non la sentii, e la sua musica non mi entrò dentro, arrivando dove ormai neppure io riuscivo ad arrivare, rompendo un lucchetto che non sapevo di aver messo. E la mia vita cambiò, definitivamente.

 

 

Joi lasciò cadere i libri sul banco alla mia destra, e si accasciò nel modo più teatrale possibile, come al solito. Era appena finita la quinta ora con la professoressa Ernette, ed il mio amico aveva praticamente passato metà lezione in bagno, con la scusa del maldipancia, anche se il punto era che non riusciva a reggere l'ora di matematica, così come quella di storia, o italiano, biologia, o geografia... insomma, tutte quelle in cui c'era da studiare. Passava l'anno solo grazie al suo carattere adulatore, al suo sorriso da modello e ai soldi che i suoi sganciavamo ogni anno per non far fare al loro bel bambino una figura da asino.

-Sono esausto!- disse. Mi scappò un risolino -Immagino, dopo aver passato un'ora chiuso in bagno a leggere la Gazzetta dello Sport nascosta nel libro di matematica.-  Mi lanciò un'occhiata colpevole che avrebbe fatto svenire metà delle mie compagne di classe. - Sai come sono fatto. Non studierò mai davvero. Preferisco lo sport.- e si vedeva, avrei aggiunto io.

Era un mito in qualsiasi cosa che centrasse col correre, saltare, o andare dietro ad una palla; al contrario di me. A scuola se prendevo un sette era un miracolo ed il mio corpo esile e snello non era fatto per il troppo movimento. Spesso a causa del mio metro e ottantasette ero goffo ed impacciato, quasi il mondo fosse un vestito di qualche taglia di troppo, pesante ed enorme. L'unica cosa in cui ero davvero portato era la scienza, ma in un certo senso me ne vergognavo, di sapere tanti nomi a memoria e di riuscire a capire subito perché, combinando due sostanze avveniva una certa cosa e cosa comportava, così spesso davo la risposta sbagliata o non rispondevo affatto, per mantenere la media sul sei. La frase che mio zio sentiva più spesso ai ricevimenti generali era che l'intelligenza c'era, ma che non volevo applicarmi.

Come negare? Cogli anni mi ero costruito intorno una maschera, ragazzo normale, voto poco sopra alla sufficienza, simpatico nella media, strano nella media, divertente nella media. Insomma, niente di speciale, una persona comune in mezzo ad un gruppo di persone più o meno comuni.

-Senti, domani pomeriggio hai impegni?- mi chiese quasi guardingo, -No,- risposi -perché?-  - Sai che domani ci sono le audizioni per il Talent Show della scuola, e Cristina partecipa. So che queste cose non ti piacciono, però, che ne dici di andare a vederla? Dopo magari passiamo dalla sala da gioco.-

Era vero che non andavo matto per quelle esibizioni per masochisti dove gli sfigati partecipavano solo per sottolineare quanto lo fossero e per la reginetta della scuola, ma Joi ne era innamorato cotto. Avrebbe fatto di tutto per lei. A mio parere era la solita gallina che stava sul suo trono a lisciarsi le piume, mentre i galli strisciavano ai suoi piedi adoranti. Però in fondo Joi era abbastanza bello da riuscire ad attirare la sua attenzione. Era per questo che mi chiedevo perché fosse mio amico, anche se di certo non mi lamentavo.

-Perché no...- in fondo che sarebbe cambiato per me?

L'attimo dopo entrò il prof di italiano, chiudendo la conversazione.

Ancora non sapevo quanto sarebbe cambiato il mio mondo.


Note off: La mia prima storia EFP! Non si può dire che questa sia una delle mie prime creature, ne' quella cresciuta meglio, ma ci sono davvero affezionata, e al momento mi sento come una mamma che porta il proprio bimbo al primo giorno di scuola. Come lei so che crescerà, ovviamente, e ne ho un'idea. Un preavviso. Le mie storie sono lunghe. Davvero lunghe. E sebbene questo sia solo la prima parte di una trama che, davvero, andrà avanti per tanto, ammetto di avere bisgno di un po' di suppotro morale per portarla davvero avanti scrivendo e non pordomi in altri miei viaggi. Commentate! Commentate! Commentate!
Fatemi capire che qualcuno mi ascolta :3 

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Capitolo 2
*** Crepa ***


Il giorno dopo mi trovai con Joi davanti alla palestra, un edificio piuttosto malconcio, che fungeva anche da teatro.
Ci accomodammo in prima fila, anche se la visuale era limitata dato che il palco era piuttosto alto, ma il mio amico sperava disperatamente che Cristina lo notasse. Non doveva essere l'unico ad avere avuto quell'idea, dato che le sedie erano già quasi tutte occupate dalla giuria e da un bel numero di ragazzi, palestrati o meno.
Immaginai di fare davvero una brutta figura in mezzo a tutti quei muscoli.
-Pare che Cristina sarà tra gli ultimi- ed io non potei trattenere un respiro di sconforto.
-Che c'è?-  -E' solo che speravo di andarmene via prima- mi tirò un pugno scherzoso alla spalla. -Se non volevi venire bastava dirlo- poi le luci della la palestra si spensero e sul palco salì la professoressa di musica che cominciò a presentare i partecipanti.
Il primo era un ragazzo di prima che voleva dimostrare la sua bravura come giocoliere tenendo dei piatti in bilico mentre giravano su delle lunghe stecche. Ci riuscì per i primi venti secondi, ma quando un simpaticone delle prime file, che probabilmente era venuto solo per quello,  fischiò, perse la concentrazione e fece cadere tutti i piatti.
Quando il pavimento fu pulito entrò una di quelle così dette “ragazze fantasma”. Cominciò a cantare una canzone di Lady Gaga, apparendo molto ridicola dato che stonava una nota su due, e quando cominciarono a fischiarle scappò di corsa in lacrime.
Dopo ci furono un mago, una ballerina, un gruppo rock, ed altri. Alcuni erano bravi, altri meno, ma nessuno era un vero e proprio talento. Ben presto fui sul punto di addormentarmi, e rimpiansi di non essermi portato dietro un video-gioco.
Eravamo lì da più di due ore e finalmente era quasi il turno di Cristina. Nessuno era ancora andato via perché i professori sapevano che erano praticamente venuti tutti solo per lei, e quindi l'avevano messa tra gli ultimi. Probabilmente dopo di lei la sala si sarebbe svuotata.
Mancava ormai solo una ragazza. Ero così annoiato che non ci feci particolarmente caso. Salì sul palco portando sotto braccio una tastiera, che, per l'occasione, era stata collegata alle casse. Si sistemò su una sedia in mezzo al palco e appoggiò delicatamente lo strumento sulle ginocchia. Quando lo accese ci fu un “ciocco” che assordò praticamente mezza sala, attirando in un certo senso l’attenzione di tutti.
Poi iniziò a suonare.
All'inizio il brano era abbastanza semplice, ma dopo poco divenne sempre più complesso. I suoni, ora alti, ora bassi, sembravano che “danzassero” intorno a lei. Ben presto le mie orecchie ne furono completamente piene. Le dita danzavano su tasti -prima veloci e poi più lente- che sembravano troppo piccoli per esprimere quello che la musica voleva dire, e sembrava che potessero esplodere da un momento all'altro.
 
Crack...
 
Fui stregato dal quel suono, così come tutti quelli nella sala. Nessuno accennò neanche per un secondo ad interrompere quella melodia con un fischio o una parola, con il terrore, quasi reverenziale, di rompere quella specie di incantesimo.
Per lungo tempo non seppi più chi ero. Esisteva solo lei e la sua musica. Il suo volto sottile e senza spigoli sembrava quasi quello di un angelo, e i vestiti sportivi apparivano troppo semplici per lei. I lunghi capelli di un castano chiaro, quasi timido, le adornavano il viso sciolti e indomiti.
Essendo sotto il palco potevo vedere chiaramente ogni particolare, e gli occhi erano di un colore incredibile: i fari colorati glieli facevano sembrare rosa, rendendola quasi una creatura fantastica.
Improvvisamente la musica finì e mi sembrò di essere diventato sordo. Senza che me ne accorgessi lei scese dal palco, veloce come un gatto, con la tastiera sotto il braccio, così veloce che nessuno riuscì ad iniziare un applauso.
Feci per alzarmi, seguirla e chiederle chi era, conoscerla, capire come avesse fatto a stregarmi con la sua musica. Joi mi prese il braccio, riportandomi alla realtà.
-Ehi! Peter!? Dove stai andando?!-, -Eh?- lo guardai stralunato. -Guarda che ora tocca a Cristina. Farei, e faresti, la figura dello scemo se te ne andassi adesso! Siamo venuti, e dobbiamo andarcene, insieme.-
Mi sedetti al mio posto, ma il mio pensiero corse di nuovo a lei. Chi era? Mi sembrava un volto familiare, ma dove? dove l'avevo vista?
Ad interrompere i miei pensieri fu il grande applauso del pubblico; era entrata Cristina.
Con i suoi voluminosi capelli neri e il suo abitino stretto di un abominevole rosa, a me sembrava una vera e propria gallina. Sorrise al pubblico che applaudì di nuovo.
Poi prese il microfono alla professoressa che stava per annunciarla: -Salve! Sono felice di essere qui e spero che voi possiate essere testimoni della nascita di una stella. Ovviamente voglio salutare le mie amiche- delle ragazze in terza fila gridarono estasiate - e ovviamente al mio ragazzo Aiber: Ciao amore!- Fece l'occhiolino indicando col dito sottile in fondo alla sala, dove il capitano della squadra di basket se ne stava stravaccato su due sedie facendole ciao con la mano.
-Ovviamente non c'è bisogno che mi presenti, perché ovviamente tutti mi conoscono,- “ovviamente” doveva essere la sua parola preferita, nonché la più difficile che conoscesse. - ma per chi è nuovo io sono Cristina Den Lag! Canterò per voi. Ascoltatemi, mi raccomando!-
Detto questo partì il sottofondo di “Russian Roulette” di Rihanna e cominciò a cantare.
Era uno spettacolo comico, quasi esilarante. Probabilmente nessuno si sarebbe mai azzardato a dirle che cantava come una cornacchia, mentre le sue amiche si fecero piccole piccole sulle loro sedie; senza dubbio si vergognavano per lei. In fondo alla sala Aiber sghignazzava con i suoi compagni di squadra.
Però a me non importava niente di tutto ciò. Uno solo pensiero, una sola persona, vorticava nella mia mente mettendo scompiglio tra i miei già disordinati pensieri, finché non ebbe finalmente un nome: Musa.
Era  impossibile che non l'avessi riconosciuta! Eravamo in classe insieme dalla prima superiore, ovvero da due anni. Era certamente una ragazza fantasma, e dovevo aver scambiato con lei non più di una o due frasi; non era bella, né particolarmente brillante, eppure la sua musica era  a dir poco incredibile.
Volevo parlarle. Volevo ascoltare di nuovo la sua musica, e farmi cullare dalla sua melodia.
Il giorno dopo le avrei parlato, assolutamente. Era la mia unica occasione per quella settimana, perché il giorno dopo sarebbe stato domenica, ed io volevo conoscerla, davvero,  il prima possibile.
Quasi non mi accorsi che Cristina aveva finito e il pubblico accennò un debole applauso, di cui lei rimase evidentemente delusa. Quattro quinti della sala, Joi ed io compresi, si alzò per dirigersi verso l'uscita, nonostante lo spettacolo continuasse, a sottolineare chi avrebbe dovuto essere la stella, ma che alla fine si era spenta ancora prima di iniziare a brillare. Mi fece quasi pena.
Immaginai che da quel momento Cristina avrebbe smesso di essere la reginetta della scuola, e probabilmente sarebbe stata sostituita da una delle sue finte amiche, ancora più cotonata. Per non contare che con tutta probabilità Aiber l'avrebbe lasciata: “difficile è diventare primi, ma ancora di più restarlo” aveva detto qualcuno.
Usciti dalla sala Joi si lanciò in un grido trionfante.
-Sei impazzito Joi?-
-Assolutamente no! In questo momento sono la persona più felice della terra!- Mi rispose con una buffa smorfia che strappò un sorriso anche a me.
-Perché?-, -Perché la più bella ragazza di sempre è finalmente alla mia portata.- Alzai un sopracciglio, scettico. -Ora che ha fatto questa figura, quel palestrato pompato del suo ragazzo la lascerà- non sottolineai che anche lui sarebbe potuto essere definito in quella maniera - sarà distrutta. Ed ecco che arrivo io e le dichiaro il mio vero amore! E' dalla terza elementare che le vado dietro, e di certo non perché è popolare.
Joi era convinto che in fondo Cristina fosse una ragazza dal cuore d'oro e dolce, anche se spesso aveva dimostrato il contrario, maltrattando molte sue compagne e rivali, ma, come dire, l'amore rende ciechi.
Andammo alla sala giochi dove restammo per un'oretta buona e persi per la centesima volta il mio onore di giocatore contro Joi che mi stracciò, e poi ci salutammo. Presi la moto che avevo lasciato in un parcheggio lì vicino e tornai a casa.

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