Crepe di Blue_moon (/viewuser.php?uid=61264)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come la roccia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come gli occhi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un buco nero ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come un terremoto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come l'acciaio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come il vento ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un incubo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come il veleno ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Come una madre ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Come la neve ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Come un fratello ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Come il ghiaccio ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Come la guerra ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Come una promessa ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Come una finzione ***
Capitolo 1 *** Prologo - Come la roccia ***
AVVERTENZA IMPORTANTE:
Nell'elaborare la trama
di questa terza parte ho tenuto conto di molti SPOILER riguardanti
Thor:
the dark world e Iron Man 3
che ho letto gironzolando su vari siti di cinema. Non so quanto siano
attendibili alcuni di essi, ma per non rovinarvi la sorpresa, non vi
dirò quali eventi prendono spunto da questi spoiler. Solo
non credetemi un genio se vedrete nei film delle cose che avete letto
qui XDXD
Venature
di ghiaccio correvano nelle crepe delle
rocce, brillando nell'esigua luce della luna morente.
Il respiro di Thanos si condensò nell'aria gelida, oscurando
per un attimo gli occhi accesi da un innaturale luccichio azzurro.
Il silenzio era di piombo, nella notte eterna di quel sistema solare
senza soli e con troppe stelle.
Il calore era un concetto del tutto sconosciuto alla razza che lo
abitava, cresciuta nutrendosi di freddo ed oscurità. Thanos
l'aveva scelta per quel motivo, oltre che per la loro primitiva
attitudine ad un patetico e suicida onore.
Adirati per antiche offese ormai perse nei millenni, attendevano solo
un'occasione per prevaricare i loro presunti nemici. E lui li avrebbe
usati per colpire a fondo l'universo nella sua stessa fibra. Per
accedere a un potere talmente immenso che il solo pensiero gli faceva
venir voglia di sorridere.
Un ghigno indistinto gli si formò sulle labbra, dure e
scavate come le roccia intorno a lui.
Passi leggeri annunciarono l'arrivo della persona che attendeva.
Non era sola, come pronosticato.
«Il nostro alleato è giunto»,
annunciò la voce cavernosa del chitauro.
Thanos si voltò e osservò da capo a piedi il
possente guerriero che gli stava dinanzi. Quella razza non aveva nulla
da invidiare agli asgardiani in quanto a potenza, erano solo stati meno
accorti nella gestione delle loro alleanze e delle loro risorse,
nonché poco inclini a giocare sporco, come invece gli
asgardiani sapevano fare molto bene.
«Qual'è il tuo nome?»,
domandò Thanos, facendo un passo avanti.
Il guerriero lo osservò con calma, senza mostrare timore.
«Malekith», replicò, la voce simile al
rumore di unghie sulla lavagna.
Thanos sorrise. «Il tuo esercito è
pronto?».
«Il mio popolo non ha mai smesso di essere pronto per dare ad
Asgard ciò che merita», rispose con orgoglio il
guerriero, ostentando una posa marziale. «Gli Elfi Oscuri
sono al vostro servizio».
Thanos rise di gola, divertito. «Vedremo»,
mormorò, con fare sibillino, per poi rivolgere la sua
attenzione al chitauro.
La luce si rifletté in scaglie frastagliate sull'elmo dorato
indossato dalla creatura deforme, mentre si prodigava in un inchino.
«Cosa mi sai dire dell'altra questione?», chiese
Thanos.
«Abbiamo sfruttato tutte le nostre risorse, mio signore. Ma
del Tesseract e del Portatore non ci sono tracce. Il suo potere
è cresciuto e non siamo in grado di trovarlo»,
illustrò l'alieno, con tono dimesso e spiacente.
Thanos ridacchiò nuovamente, scuotendo appena la testa.
«Vuol dire che lasceremo che sia lui, a venire da
noi», disse, dedicando uno sguardo intenso a Malekith.
«Dimmi, elfo, qual'è il punto più
debole di un asgardiano?», domandò, avvicinandosi
alla parete di roccia alla sua destra.
Il guerriero sembrò confuso per un'istante, poi
rifletté e rispose senza esitazione. «Il
cuore».
Thanos sollevò una mano e la poggiò su una
sporgenza rocciosa, tranciandola di netto. Osservò per un
secondo il masso di una ventina di centimetri nel suo palmo, sorridendo
tra sé e sé. «Esattamente»,
mormorò.
Strinse le dita sulla pietra, aumentando la pressione gradualmente.
Sbuffi di polvere si sollevarono nell'aria immobile. «Saremo
spietati e veloci, dritti al suo cuore», aggiunse, mentre con
uno schianto secco la roccia si polverizzava nella sua mano.
Malekith ghignò, eccitato dalla prospettiva di agire.
«Radunami un contingente dei tuoi guerrieri migliori,
elfo», ordinò Thanos, sorridendo apertamente e
mostrando una fila di denti candidi e grossi.
Oltre la figura imponente di Malekith, con un lampo nero, era comparsa Lei.
Sperava di vederla. Ogni volta che succedeva, i suoi piani avevano
completo successo.
La guardò dritto negli occhi azzurri.
«Faremo la nostra mossa molto presto».
-----------------------------------------------------------
Non si capisce assolutamente nulla, lo so, ma è questo il
bello dei prologhi XD
La Lei menzionata
da Thanos altri non è che la Morte in persona, ormai un
po'tutti sappiamo che il personaggio della Marvel ha una vera e propria
ossessione per la personificazione della Morte, ritenendola l'unica
persona degna della sua stima, e desidera compiacerla in ogni cosa.
In questa terza parte la vedremo spesso, ma specifico fin da ora che
non è un personaggio reale ma solo una proiezione mentale di
Thanos.
Ci vediamo presto con il prossimo capitolo!
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Come gli occhi ***
Sono
in tremendo ritardo, lo so. A mia discolpa posso dire che sono state
delle settimane molto frenetiche.
Non anticipo nulla, ci vediamo alla fine del capitolo.
Buona lettura.
Ad
Asgard non faceva mai completamente buio.
Perfino nelle notti più scure c'era un barlume di luce che
riverberava sull'orizzonte, come annunciando un'alba incombente.
Heimdall, da poco tornato al suo ruolo originario di guardiano del
Bifrost, era appoggiato alla sua spada, rivolto verso il buio assoluto
della notte. Alle sue spalle, bagliori simili all'aurora boreale
ferivano le nuvole inquiete.
La notte era tiepida e immobile, il vento si era acquietato dopo che
per un'intera giornata aveva spazzato gli edifici dorati di Asgard,
facendone tremolare i riflessi.
Heimdall non era incline alla superstizione, eppure quel vento
così insistente l'aveva allarmato.
Una ruga profonda si era disegnata sulla sua fronte d'ebano, un solco
di preoccupazione che nulla, neppure la pace di una notte splendida
come quella, riusciva a spazzare via.
Sin dal primo attacco dei Giganti di Ghiaccio alla Sala delle Armi, nel
cuore del guardiano si era insinuata una paura sottile come uno
stiletto: la consapevolezza che esistevano cose al di là
della sua percezione, della sua stessa comprensione. Per lui, che agiva
da innumerevoli ere come occhi e orecchie di Odino, consapevole di ogni
azione nei Nove Regni, quell'improvvisa impotenza era una sensazione
che non poteva sopportare.
Eppure aveva dovuto accettarla.
Perché nulla avrebbe potuto cambiare la realtà
dei fatti.
Forse la sua vera debolezza era stata credere di essere infallibile.
Un breve respiro sfuggì alle labbra dell'alieno,
condensandosi appena nell'aria che si era improvvisamente raffreddata.
Un campanello d'allarme risuonò nei nervi tesi del guardiano
che strinse la presa sulla spada, guardandosi intorno, scrutando le
pieghe dell'universo, in cerca della minaccia incombente.
Un lampo azzurro squarciò lo spazio alla sua destra, aprendo
un portale vorticante.
Al di là, in un silenzio assordante, si intravedeva solo
un'oscurità densa come cenere.
L'ombra di una creatura alta e possente si fece avanti, e l'asgardiano
sbarrò gli occhi riconoscendone subito le fattezze, anche se
non le vedeva da millenni.
Non avrebbe mai dimenticato quella pelle scura, bruciata dal gelo,
marchiata a fuoco dai barbari riti di quella razza primitiva, le
orecchie grandi e appuntite e quelle labbra larghe, aperte su una fila
di denti più simili a zanne, candidi e affilati.
«Elfi Oscuri!», urlò con voce profonda,
squarciando la notte pacifica. Il grido rimbombò nell'aria,
rimbalzando sulle pareti, fino a giungere alle orecchie del Padre degli
Dei, che si sollevò di scatto dal proprio giaciglio, con un
respiro strozzato.
Frigga, accanto a lui, si mise a sedere. «Cosa
accade?», chiese.
Odino non riuscì a rispondere, Thor irruppe nella stanza,
trafelato. Indossava già l'armatura e il mantello si muoveva
inquieto sulle sue spalle.
«Il Bifrost è sotto attacco!»,
annunciò. «Il primo contingente di guardie
è già sul posto».
Odino si alzò, facendo leva sulla testiera del letto.
Sin da quando Loki era precipitato nel vuoto, il Padre degli Dei aveva
iniziato ad essere sempre più debole, e il fatto che ancora
non sapesse dove fosse il figlio perduto aveva solo peggiorato la sua
situazione.
Nonostante tutto, si rifiutava di cadere nel suo sonno rigenerante,
benché fosse evidente che era una decisione che non poteva
più essere rimandata.
«Chi ci attacca?», chiese Odino, afferrando la sua
lancia.
«Dai primi rapporti, sembrano essere Elfi Oscuri»,
rispose Thor, mentre intercettava uno sguardo allarmato della madre,
che si era alzata in fretta ed era corsa al fianco del marito.
«Elfi? Quella razza è in rovina. Cosa li ha
rinvigoriti tanto da provocarci?», domandò Odino,
con fare quasi offeso. «Portatemi la mia
armatura!», sbraitò poi.
«Padre!», lo bloccò Thor, facendo un
passo avanti. «Permettetemi di guidare l'attacco»,
domandò, con fare serio, Mjolnir già stretto in
mano.
Odino valutò per un'istante lo sguardo del figlio, con una
punta di soddisfazione nel notare che la folle brama di sangue sembrava
essersi attenuata, nel corso del tempo.
Frigga gli posò delicatamente una mano sul braccio, come a
dargli supporto.
Era stanco, il Padre degli Dei, e si sentiva più vecchio del
dovuto.
«Hai il mio permesso, figlio», decise.
Thor raddrizzò le spalle.
«Non vi deluderò».
Erano passati quasi tre anni dalla scomparsa di Loki.
Normalmente Thor non si sarebbe nemmeno accorto di un lasso di tempo
tanto breve, ma da quando la sua vita si divideva tra Asgard e Midgard
era inevitabile che i costumi umani, tra cui il conto dei mesi e degli
anni, gli fossero ormai familiari quanto quelli di Asgard.
All'inizio lo aveva cercato, ordinando ad Heimdall di frugare in ogni
angolo più sperduto dell'universo. Aveva setacciato le
biblioteche, sì aveva perfino letto dei libri*, interrogato
i saggi e suo padre, ma ogni sforzo era stato vano. Per mesi aveva
vagato nei pianeti più desolati e dispersi, senza trovare
una sola traccia di Loki.
Dopo l'ultimo estenuante viaggio, durato quasi un anno intero, era
stata Jane, con il suo solito candore, a ricondurlo alla ragione. Era
evidente che Loki non voleva essere trovato, e cercare di forzare la
cosa gli avrebbe solo creato frustrazione e tristezza. In
più, rimanere lontano da Asgard per periodi così
lunghi avrebbe dato una cattiva impressione al popolo, oltre a non
essere d'aiuto ad Odino che, a poco a poco, aveva iniziato a non stare
affatto bene.
Ormai erano mesi che Thor non lasciava Asgard se non per pochi giorni,
che sfruttava per stare con Jane, oppure per salutare il resto dei suoi
amici terrestri.
Quell'improvviso attacco, arrivato dopo anni di immobilità,
turbava il figlio di Odino.
Anche se il solo pensiero gli faceva venire voglia di distruggere
qualcosa a colpi di martello, niente poteva togliergli dalla mente il
sospetto che dietro quell'aggressione in piena notte potesse esserci
proprio Loki.
Nei suoi ricordi, l'unica persona che gli aveva parlato degli Elfi
Oscuri era proprio il fratello.
E ormai Thor aveva smesso di credere nelle coincidenze.
Il mantello rosso danzava dietro di lui, mentre scendeva in fretta le
scale che lo avrebbero portato all'ingresso del palazzo, dove un
drappello di soldati lo attendeva.
Passi affrettati si accodarono ai suoi.
«Cosa succede Thor?», gli domandò la
voce di Sif.
La guerriera lo affiancò, era già vestita per la
battaglia e in mano stringeva la sua lancia a doppia lama. Fandral e
Volstagg li raggiunsero pochi istanti dopo.
Hogun doveva essere già sul posto.
«Gli Elfi Oscuri ci stanno attaccando»,
spiegò il principe.
«Avranno scoperto la mia riserva di idromele»,
scherzò Volstagg.
«Sono anni che quegli insetti se ne stanno rintanati nel loro
buco di pianeta!», esclamò invece Fandral.
«Cosa vogliono ora?».
Thor aggrottò le sopracciglia, era una buona domanda.
«Non lo sappiamo», ammise, poi si lasciò
sfuggire un sorriso. «Cercate di non ammazzarli tutti, avremo
bisogno di interrogarli», ordinò, prima di
dedicare un lungo sguardo alla fila di soldati schierati accanto alle
loro cavalcature.
Un grido ed un boato squarciarono la notte. Un lampo di luce intensa si
alzò dal Bifrost.
Heimdall stava combattendo.
Thor iniziò a far ruotare il martello. «Sif,
prendi il comando! Io vi anticipo», decise, prima di
sollevarsi in volo.
La guerriera non perse tempo. «Avete sentito il Principe! In
sella», arringò i soldati, accettando le briglie
che uno scudiero le stava porgendo.
«Per Asgard!», urlò, lanciandosi al
galoppo.
L'angusta camera del Bifrost era ingombra di corpi affannati, il
pavimento scivoloso per il sangue di decine di Elfi Oscuri. Thor
atterrò nel mezzo del combattimento, facendosi spazio
intorno a colpi di martello. Con gli occhi, scrutò intorno a
lui per scorgere Heimdall. Lo vide poco dopo, quasi sommerso da un'orda
di quelle creature immonde e selvagge. Riuscì a raggiungerlo
contemporaneamente all'arrivo di Sif e degli altri soldati.
La cacofonia del combattimento oscurò la ragione di tutti e
per qualche minuto non vi spazio che per sangue e morte.
«Chi li comanda?», domandò Thor ad
Heimdall, mentre sosteneva il Guardiano che perdeva sangue da una
ferita profonda al fianco.
«All'apparenza nessuno. Sembrano attaccare senza ragione, non
hanno cercato di dirigersi verso il palazzo»,
spiegò l'alieno, vibrando un fendente con la grande spada e
troncando di netto un braccio ad un Elfo troppo invadente.
Thor rifletté freneticamente. Cosa potevano mai volere quel
contingente così piccolo, di certo insufficiente a
conquistare qualsiasi cosa?
Erano in netta minoranza, la battaglia avrebbe tenuto impegnati per
qualche tempo i soldati, ma alla fine la guardia di Asgard avrebbero
avuto la meglio.
Un lampo di consapevolezza fece tremare le mani di Thor.
«È un diversivo», mormorò,
con un improvviso terrore sul volto.
Con il corpo premuto contro il parapetto della terrazza, Frigga
scrutava accigliata i lampi della battaglia che accendevano il Bifrost.
Il suo cuore di madre temeva ogni volta che suo figlio scendeva in
battaglia. Benché confidasse nelle sue capacità,
e in quelle dei compagni fedeli che lo accompagnavano, non poteva
impedire a sé stessa di sperare che quello fosse l'ultimo
scontro cui Thor partecipava.
Frigga comprendeva la necessità della guerra, ma anelava la
pace con forza disperata.
Ma esistevano cose che nemmeno gli dei potevano cambiare.
Odino, accanto a lei, le cinse il fianco. «Siete preoccupata,
mia Regina», osservò.
«Voi non lo siete?», replicò lei,
tenendo gli occhi fissi.
Odino le concesse un breve sorriso. «Confido
nell'abilità di Thor. Gli invasori sono pochi, in confronto
alle nostre forze».
«Io temo i nostri nemici», ammise Frigga.
«Ci hanno attaccato a casa nostra, nel pieno della notte...
cosa gli impedirà di rifarlo, con forze più
potenti?**», domandò.
Odino osservò la moglie con ammirazione. Per quanto la
maggioranza degli asgardiani considerassero le donne solo begli
ornamenti, grazie a Frigga, Odino aveva imparato ad apprezzarne la
perspicacia e la lungimiranza, oltre che la forza emotiva.
«Capiremo cosa vogliono, li staneremo, e li
elimineremo», replicò Odino, con sicurezza.
Ma Frigga non riuscì a tranquillizzarsi.
Qualcosa che non andava.
Un rumore improvviso, come di stoffa che viene lacerata, interruppe il
dialogo.
Odino strinse le dita sulla lancia, facendo un passo avanti.
Oltre l'arco ogivale della finestra si intravedeva solo
l'immobilità placida della loro stanza.
Un singolo passo, pesante come quello di un gigante, fece tremare la
pietra sotto i piedi di Frigga.
Una figura imponente, alta più di due metri e coperta da
un'armatura di metallo color oro scuro e placche violacee, che sembrava
un tutt'uno con la pelle accartocciata d'un grigio spento,
avanzò lentamente. I passi aprivano crepe nel pavimento
della terrazza.
Due occhi crudeli, accesi di bagliori azzurro intenso, si appuntarono
in quelli di Frigga.
Un grido si fece strada nella gola della Regina.
Un urlo familiare e lacerante giunse alle orecchie di Thor mentre,
abbattendo nemici su nemici, cercava di raggiungere Hogun che faticava
a tenere a bada alcuni Elfi.
Il Dio del Tuono si bloccò, pietrificato.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, l'avrebbe sentita anche
attraverso l'universo a mondi di distanza.
“Madre”, formarono le sue labbra, senza voce.
«Thor!», lo chiamò Sif, affiancandolo ed
abbattendo un Elfo davanti a lui, passandolo da parte a parte con la
sua lancia. «Che ti prende?», domandò,
mentre fermava l'assalto di un altro aggressore.
Un terrore freddo come il ghiaccio corse lungo la schiena del dio.
«Siamo stati ingannati», disse, guardando gli occhi
chiari di Sif.
La guerriera aggrottò le sopracciglia perplessa.
«Cosa intendi?».
Thor non rispose. «Resta qui!», le
ordinò, mentre con una sola rotazione di Mjolnir si
sollevava in aria e spariva lontano, in direzione del palazzo.
Anche se inquieta, Sif si riprese in fretta, urlando nuovi ordini.
Odino puntò Gungnir verso l'invasore ma quello fu rapido,
con un gesto afferrò l'arma leggendaria e la
strappò dalla mani del Padre degli Dei, rendendolo indifeso.
L'essere mostruoso non aveva detto una parola, e all'apparenza sembrava
armato solo della propria forza.
«Chi sei tu, che osi sfidare Asgar...»,
iniziò Odino, ma l'essere lo zittì, colpendolo
con un manrovescio che scagliò il Padre degli Dei contro il
parapetto.
Un sottile filo di sangue sgorgò dalle labbra di Odino,
mentre con fatica tentava di rimettersi in piedi. Heimdall aveva di
sicuro già sentito il suo allarme, e i rinforzi stavano per
arrivare.
Eppure il Padre degli Dei era spaventato.
Quell'essere sconosciuto era al di là delle sue forze e
della sua conoscenza.
Non era un Elfo Oscuro, non assomigliava a nessuna creatura che avesse
mai visto, in tutta la sua lunga vita.
L'essere tornò a fissare Frigga, che tremava di terrore,
immobile, aggrappata al parapetto come se fosse la sua unica salvezza.
Quando il guerriero fece un passo avanti, lei soffocò un
sussulto di spavento.
«Io sono Thanos», annunciò la creatura,
con una voce antica come le stelle. Sembrava crepitare come fuoco, e
sgorgare come veleno da quelle labbra spaccate.
Un ghigno indistinto tra la soddisfazione e il divertimento gli accese
il volto impassibile.
«Sono venuto a reclamare ciò che è
mio», annunciò, mentre con un movimento fluido,
quasi aggraziato, trafiggeva il petto di Frigga usando la stessa lancia
del marito.
«No!», urlò la voce trasfigurata dal
dolore di Odino, coperta dal grido identico di Thor, giunto appena in
tempo per assistere alla scena.
L'essere si beò della sofferenza, respirandola a pieni
polmoni, osservando gli occhi della Regina spegnersi lentamente, mentre
il sangue e la vita scivolavano via.
Un fulmine di potenza inaudita lo colpì alle spalle, ma
sulla pelle resistente come un'armatura fu più simile ad una
carezza.
Ghignando, Thanos lasciò Gungnir e affrontò Thor,
che gli si era scagliato contro, accecato dal dolore e dalla rabbia.
Come farebbe un cane con una pulce, Thanos si scrollò di
dosso il possente Dio del Tuono. Lo costrinse a terra con una sola
mano, stringendogli il collo in una morsa ferrea.
Gli occhi azzurri del Dio si socchiusero, appannati dalle lacrime e dal
dolore improvviso che il tocco della creatura diffondeva in tutto il
suo corpo. Si sentiva come se ogni nervo della sua carne fosse in
fiamme.
«Dì a tuo fratello che lo sto
aspettando», sibilò Thanos.
Sul palmo della sua mano libera, fluttuava un piccolo globo azzurro,
del tutto simile al Tesseract.
Fu l'ultima cosa che gli occhi di Thor videro, prima di sprofondare in
un oblio acceso di urla e con l'odore del sangue.
---------------------------------
* Vaga citazione di un dialogo tra Loki e Thor nel capitolo nono di "A
series of unfortunate events" di Alkimia187, se non l'avete
ancora letta, FATELO
**Citazione di quello che Loki dice a Thor nel film "Thor" dopo la
mancata incoronazione
Ok, con le citazioni ho
terminato, si fa per dire, ne metto sempre un sacco XDXD
So che avete voglia di
ammazzarmi doppiamente dopo questo capitolo, ma comprendete, avevo bisogno
di qualcosa di veramente grosso per smuovere le acque, e d'altrone
ormai Thanos doveva fare qualcosa di decisamente cattivo, dato che finora non gli ho
fatto fare niente.
Anche se da alcune foto
del set di Thor 2 si intuisce l'aspetto degli Elfi Oscuri, io ho voluto
ingnorare la cosa e me li sono inventati di sana pianta ;)
Le descrizioni di Asgard
si basano sul poco che abbiamo visto in Thor e sulla mia fantasia.
ancora un capitolo senza
Loki e senza sapere il destino di Khalida, mi perdonerete?
Forse tra un po'...
intanto grazie alle
persone che hanno letto il prologo, tantissime, e quelle che hanno
recensito e già inserito la storia nei preferiti o nelle
seguite.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Come un buco nero ***
Ringrazio le persone che stanno
seguendo questo terzo capitolo. So già che per me
sarà molto sofferto da scrivere, dato che è gia
due settimane che sono in blocco quasi totale, ma per vostra fortuna
alcuni li avevo già scritti, per cui non vi lascio a secco.
Il vostro supporto
è fondamentale, e vi ringrazio di nuovo.
Per il resto, ci vediamo
in fondo.
Il
braciere fumava appena, ormai morente.
La stanza era immersa nella penombra, una lieve brezza faceva danzare
l'orlo delle tende candide.
Con gli occhi colmi di lacrime, Thor osservò il volto della
madre nascosto dal velo cerimoniale che sarebbe stato tolto solo al
momento del funerale. Per il momento, il Principe aveva dato ordine che
fosse rimandato a tempo indeterminato, fino a che Odino, precipitato
nuovamente nel suo Sonno, non si fosse risvegliato.
I saggi avevano tentato di dissuaderlo, facendo presente che il
risveglio di Odino non era così imminente, ma Thor non aveva
ascoltato.
Stava affrontando la perdita di sua madre, accettare anche quella di
Odino era troppo.
Fino a che suo padre continuava a respirare, aveva intenzione di agire
come se stesse per svegliarsi da un momento all'altro.
Thor portò le mani al volto, togliendosi i capelli dal viso,
sperando di poter cancellare anche quelle lacrime che non riusciva a
fermare.
Nel corso della sua lunga vita, non si era mai sentito smarrito.
Perfino durante l'esilio su Midgard, quando Loki gli aveva mentito
comunicandogli la morte di Odino, Thor sapeva che ad Asgard era rimasto
qualcuno che lo amava incondizionatamente, che avrebbe sempre cercato
il suo bene, qualsiasi cosa avesse fatto. Aveva sempre bramato
l'ammirazione del Padre degli Dei, la sua stima, ma dentro di lui era a
conoscenza che l'amore di Frigga non era condizionato e non sarebbe
svanito mai.
Ora l'assenza di quella certezza era pesante come un macigno di rimorsi
e sensi di colpa dritto sul petto, che gli impediva di respirare
liberamente.
Il fatto che non l'avrebbe mai più vista sorridere,
né
alzare gli occhi al cielo ad una sua uscita un po'spaccona, gli faceva
tremare la terra sotto i piedi.
La morte era una cosa cui non poteva rimediare.
Come un buco nero, aveva inghiottito tutto ciò che rimaneva
della sua infanzia, e Thor si sentiva improvvisamente solo ed adulto.
Chissà se era la stessa sensazione che aveva provato Loki,
quando aveva scoperto che la sua famiglia era solo una menzogna.
Improvvisamente sentiva di poterlo comprendere meglio di prima, anche
se immaginava che lui non gli avrebbe mai creduto.
Ricordava ciò che il fratello gli aveva detto, troppo tempo
prima.
Il peso del trono,
è ricaduto su di me.
Aveva sempre immaginato il momento in cui sarebbe diventato re come una
festa, qualcosa che l'avrebbe riempito di gioia ed orgoglio. E invece
Loki aveva ragione, quella responsabilità era solo un peso
insopportabile, ora che l'aveva ricevuta a spese della vita della madre
e del destino incerto del padre.
Forse Loki aveva avuto ragione anche su molte altre cose.
«Thor», lo chiamò piano la voce di Sif,
entrando con cautela nella stanza.
Dietro di lei, i Tre Guerrieri, ombre silenziose, attendevano sulla
soglia.
Sif sorrise appena, quando Thor le restituì uno sguardo
rassegnato e triste. Si sedette accanto al compagno, sfiorandogli
appena la mano.
«Le persone che hai convocato sono arrivate»,
annunciò.
Thor annuì.
«Cosa hai intenzione di fare?», chiese nuovamente
la guerriera.
Il Dio del Tuono dedicò un lungo sguardo al corpo della
madre.
Si alzò, lentamente.
«Quello che è giusto»,
affermò con forza, sollevando Mjolnir.
Sif scambiò uno sguardo con i Tre Guerrieri.
«Qualsiasi cosa deciderai, saremo con te».
Thor osservò i suoi compagni uno ad uno.
Per quanto potesse sentirsi perso, almeno aveva la certezza di non
essere realmente solo.
«Grazie, amici miei».
Heimdall era a capo scoperto, un segno di rispetto nei confronti del
corpo della Regina che giaceva nella stanza accanto. Appoggiato alla
sua spada, serio come sempre, scrutava Thor con i suoi occhi capaci di
vedere ben al di là di ciò che semplicemente
appare.
Benché cresciuto, il principe era ancora un bambino in
confronto
alla sua millenaria esperienza, ma il Guardiano di Asgard confidava che
avrebbe preso la decisione più corretta.
Anche se provato, il volto del Dio del Tuono era fiero e deciso, mentre
accoglieva Heimdall con un semplice e rispettoso cenno del capo.
Voltandosi verso il secondo ospite, si lasciò sfuggire un
breve sorriso.
«Vi ringrazio di essere venuta con così poco
preavviso,
Lady Amora», mormorò, prima di sfiorare la mano
della Dea
con un delicato baciamano.
«Comprendo l'urgenza, mio Principe. Per quanto le trattative
con
Vanaheimr siano importanti, la mia presenza era necessaria»
rispose lei, togliendosi l'elmo e rivelando una folta capigliatura
color rame. «Vi prego di accettare le mie sentite
condoglianze.
La morte della Regina è un duro colpo per tutta Asgard, ma
non
è paragonabile alla vostra perdita», aggiunse.
Thor accettò le parole della donna con cenno della testa.
«Vi ringrazio».
«Cosa avete intenzione di fare?»,
domandò Heimdall.
Il Dio del Tuono sospirò. «Credo che tu lo sappia
già», ammise.
Heimdall sembrò respirare profondamente. «Non sono
stato
in grado di trovare Loki per molto tempo, cosa ti fa credere che ora
potrei farlo?».
«Cosa?», esclamò Sif.
«È questo il tuo
piano? Andare a cercare Loki, di nuovo?», aggiunse,
sbalordita.
Thor si era preparato a quella reazione. «È
l'unico che
può aiutarci. Conosce il nostro nemico meglio di
noi».
«Loki è l'unica ragione per cui abbiamo questo
nemico», osservò Fandral. «Se non fosse
per la sua
follia, tutto questo non sarebbe mai accaduto».
«Il Principe Loki non avrebbe mai desiderato la morte della
Regina», li interruppe Amora.
I Tre Guerrieri ammutolirono a quell'affermazione così
ferma, e
Thor provò un'inaspettata fitta al cuore nel sentire che non
era
il solo a credere ancora in Loki, o nel ricordo che era rimasto di lui.
«Come osa chiamarlo Principe?», sibilò
Sif, con fare oltraggiato.
Amora la freddò con un'occhiata color smeraldo, cristallina
ed
affilata. «Non mi risulta che il Padre degli Dei l'abbia mai
rinnegato. Fino a quando non accadrà, Loki sarà
ancora il
mio Principe».
«Lady Amora è nel giusto», la sostenne
Heimdall.
Benché personalmente non provasse simpatia, né
comprensione, per quel generatore di caos che era Loki, le decisioni di
Odino non andavano contestate.
Sif strinse le labbra, sconfitta, dato che non poteva certo inveire con
persone di così alto rango. Guardò Thor.
«Come hai intenzione di trovarlo? Tutti gli altri tentativi
si
sono dimostrati vani», chiese, con fare più
pratico.
Il Dio del Tuono fissò nuovamente Heimdall, e ancora una
volta il Guardiano anticipò i suoi pensieri.
«L'umana».
Volstagg, perplesso, si grattò la testa ispida.
«Ma non era morta?», chiese, rivolto a Thor.
Lui scosse la testa. «È quello che gli umani
vogliono
farci credere, ma è viva. So che lei può
rintracciare
Loki. Me l'aveva promesso».
Fandral sbuffò. «E ti fidi della promessa di una
terrestre?».
Thor fissò il compagno negli occhi, e Fandral
mostrò
subito un'espressione rammaricata. Si era ricordato troppo tardi del
legame sentimentale di Thor con Jane. «Perdonami, sono stato
avventato», aggiunse.
Thor accettò le scuse con un cenno. «Mi fido di
Khalida», aggiunse poi, come a scongiurare altri interventi
sgradevoli. «Heimdall, voglio che la rintracci»,
ordinò poi.
«Non l'ho mai persa di vista», ammise il Guardiano.
«Prepara il Bifrost, allora», incalzò,
poi
guardò i suoi compagni. «Preparatevi, partiremo
immediatamente».
Lady Amora si schiarì brevemente la voce.
«Se permettete, mio Principe», iniziò.
«Non
sarebbe saggio che anche voi vi allontanaste da Asgard. Con la morte
della Regina e il Padre degli Dei sprofondato nel Sonno, il popolo si
aspetta che voi ascendiate al trono».
Thor strinse i pugni. «Non permetterò che qualcun
altro
vada in cerca di Loki. È una faccenda di cui devo occuparmi
personalmente».
Amora chinò il capo con fare rispettoso. «Lo
comprendo.
Dovreste designare un reggente, che possa fare le vostre veci durante
il viaggio su Midgard», propose la Dea, diplomatica.
Thor comprese perché Odino la considerasse la migliore
ambasciatrice di Asgard, aveva una dote davvero notevole nel far
apparire vera ogni parola che pronunciava. Non a caso la chiamavano
l'Incantatrice.
«Heimdall, sarai tu ad occupartene»,
annunciò Thor,
dopo una breve riflessione. «Lady Amora, desidero che lo
aiutiate, come consigliera».
La Dea si lasciò sfuggire un sorriso lusingato.
«Voi mi onorate, mio Principe».
Thor le dedicò un sorriso leggermente più
rilassato.
Ora che la decisione era stata presa, si sentiva meglio.
Abbracciò con lo sguardo i suoi compagni, che lo
accompagnavano sin dall'infanzia.
«Miei amici, andremo su Midgard».
Thanos avanzò lentamente, affacciandosi sulla distesa
desolata
della landa spazzata dal vento gelido. Nella conca, miliardi di anni
prima, c'era un lago, di cui rimaneva solo una spessa lastra di
ghiaccio crepata in più punti.
La pallida luce delle stelle danzava sulla superficie riflettente,
creando un cielo parallelo e distorto. Thanos tese lentamente la mano e
il ghiaccio tremolò come se fosse tornato liquido.
La luce venne risucchiata in un vortice e una finestra di buio si
aprì, rivelando una figura sottile ed elegante immersa nella
penombra. Era chiaramente una donna, ma il volto era celato da
un'impenetrabile velo candido.
Thanos la scrutò con attenzione.
Le informazioni erano la fonte di potere più affidabile che
possedeva, e la sua capacità di procurarsele non conosceva
limiti, né confini.
Cercare alleati ad Asgard, da sempre grembo di traditori e voltafaccia,
era stata una delle prime mosse del suo piano. Poco importava se quella
pedina desiderava proteggersi celando la sua identità. Non
aveva
affatto bisogno di vederla in faccia per sapere chi era, ma preferiva
lasciarle in mano un briciolo di illusorio potere. L'avrebbe resa
più motivata.
«Il vostro piano sta producendo i frutti sperati»,
disse
una voce di donna, leggermente distorta dal canale di comunicazione
inusuale, per una della sua razza.
«Ne dubitavi?», osservò Thanos.
«Ovviamente no», si affrettò ad
aggiungere lei.
«Come da voi previsto, Thor si è precipitato a
cercare
Loki. Pare che conosca un modo per farlo. Qualche ora fa si
è
recato su Midgard in cerca di un'umana», la voce della donna
assunse una sfumatura di disprezzo, e Thanos ne godette. Ogni razza che
si crede migliore delle altre, pur non essendolo, disprezza le forme di
vita inferiori.
L'arroganza era il maggior difetto degli asgardiani e presto gliela
avrebbe fatta rimpiangere.
«Non mi avete ancora detto cosa avrò in cambio per
le mie
informazioni», azzardò l'asgardiana, probabilmente
incoraggiata dal suo silenzio.
Thanos fece un sorriso dall'aria melliflua. «Tutto
ciò che desiderate», concesse.
Il corpo della donna fu scosso da un fremito. «Quando avrete
piegato la Città Eterna al vostro volere, voglio un posto
accanto al Re che voi designerete», dichiarò lei,
con
fermezza. Nella voce traspariva la risolutezza dei sogni a lungo
accarezzati e alimentati. Desideri così forti da spingerla
ad
architettare la rovina della città che bramava
così tanto.
«E se quel Re fossi io?», fece Thanos.
Lei non vacillò. «Ne sarei incredibilmente
lusingata, mio signore», disse.
Bugiarda e adulatrice, una perfetta asgardiana, non c'era nulla da
dire. Sarebbe stata una regina più che adeguata per quel
regno
fondato nel sangue e alimentato da bugie.
«Avrai ciò che vuoi», promise Thanos.
«Quando desiderate che vi contatti nuovamente?»,
chiese la
donna, incapace di controllare l'improvvisa emozione che gli scosse la
gola.
Un basso ringhio nacque in fondo alla gola del titano.
«Quando
saprai dirmi qualcosa che non so già»,
replicò
gelido, mentre con un gesto della mano lasciava svanire il portale
così come era apparso.
Avere a che fare con la gretta ambizione della feccia asgardiana
provava la sua pazienza. Improvvisamente era tentato di abbandonare il
piano e liberare l'universo da quel foruncolo infetto seduta stante.
Gli sarebbe bastato un solo ordine.
Una mano candida gli si posò sul braccio e lo percorse
lentamente.
«Controllati»,
sussurrò una voce a pochi millimetri dal suo orecchio.
«Non
è così che deve andare»,
aggiunse.
Thanos voltò il capo e si beò di Lei.
La sua crudele bellezza, con quei capelli di tenebra che si avvolgevano
in spirali seducenti sulle spalle nude, gli scatenava dentro una
tempesta di sentimenti misti tra adorazione e sofferenza. Ad una sua
sola parola, sarebbe potuto anche cadere in ginocchio, talmente si
sentiva sopraffatto dalla sua perfezione.
«Lo so», mormorò, mentre Lei gli dedicava un
lungo sguardo delicato.
Gli passò una mano sulla guancia e lui socchiuse gli occhi.
«Ricordi cosa
mi avevi promesso?», domandò Lei, mentre gli
occhi turchesi lampeggiavano.
«Che Asgard ti avrebbe implorato e adorato, tu sola Dea tra
tutti», rispose prontamente Thanos.
Lei
sorrise, la bella bocca piegata in un ghigno perverso e malvagio.
«E
così sarà. Li sfiancherai, li abbatterai proprio
lì, nelle loro patetiche certezze. E non appena crederanno
di
aver vinto, tu li spezzerai»,
illustrò, con voce suadente. «Ogni singolo abitante mi
chiamerà, vorrà il mio sollievo, mentre
brucerà», concluse, facendo un passo
avanti.
Prese il volto deforme del titano tra le mani sottili e delicate,
leggere come farfalle.
L'alieno la osservò, soggiogato.
Le sue labbra si mossero insieme a quelle di Lei, pronunciando
la sentenza.
«Asgard invocherà la Morte».
-------------------------------------------------
Allora, iniziamo a capire
qualcosa di più dei piani di Thanos, e conosciamo meglio la
Morte, anche se, come ho già detto, è tutto nella
testa di Thanos.
Facciamo anche la
conoscenza di Amora. è un personaggio che ultimamente va di
moda nel fandom, sinceramente, ma spero che la mia versione
avrà qualcosa di nuovo da dire.
nell'originale Amora è una maga, innamorata di Thor, che
danza da un lato all'altro, a volte con i buoni altre con i villains di
turno. Nella mia versione è una delle ambasciatrici di
Asgard, diplomatica e tenuta in grande stima dal padre degli dei. con
la magia non centrerà niente, in più anche
fisicamente mi sono allontanata dai canoni. Non so ancora quanto
sarà importante il suo ruolo nel corso della storia,
immagino che lo scopriremo insieme.
Ancora grazie per essere
arrivati fin qui,
a presto,
Nicole
PS: se
comincio ad andare OOC con Thor, avvisatemi, che trovo un modo per
ucciderlo XD
PPS: Khalida è viva, siete contenti? come avrà
fatto a sopravvivere? ditemi le vostre teorie!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 - Come un terremoto ***
Lo so, sono in tremendo ritardo,
a mia discolpa posso dire che sono appena uscita da una brutta crisi da
pagina bianca che si sta finalmente risolvendo in questi giorni. Non
volevo postare prima di essere certa di non poter proseguire con la
storia in tempo relativamente brevi. Vi chiedo comunque perdono.
Vi lascio al capitolo,
per le note finali ci vediamo in fondo.
Enjoy!
I grilli frinivano rumorosamente nell'aria immobile e umida.
Lungo la strada sterrata che costeggiava la spiaggia, un Land Rover
decelerò bruscamente, infilandosi in un vicolo stretto e
cieco, che terminava davanti ad una modesta abitazione di legno. Il
motore si spense borbottando, ma i fari rimasero accessi, illuminando a
giorno il piccolo cortile ordinato. Sulla sinistra, un folto roseto
dava bella mostra di sé mentre sulla destra un piccolo orto
rigoglioso diffondeva un leggero odore di menta e basilico.
«È stata una bella serata»,
mormorò l'uomo alla guida, slacciandosi la cintura di
sicurezza.
«Anche per me», rispose la donna, lisciandosi con
il palmo della mano la minigonna.
L'uomo le dedicò un lungo sguardo consapevole.
«Immagino che non ce ne saranno altre», disse.
Lei si mostrò sorpresa. «Perché dici
così?».
Lui sorrise. «Keira, sei una bugiarda di grande talento*, ma
sono abbastanza esperto per capire quando una donna vuole tenermi a
distanza».
Smascherata, lei abbassò gli occhi.
«Francois...», iniziò.
«Ora non iniziare con la solita storia “non sei tu,
sono io”. So ammettere una sconfitta Keira, e so anche
accettarla», la fermò l'uomo, posandole un dito
sulle labbra.
Lei stirò un poco la bocca, in un accenno di sorriso.
«Sei un brav'uomo Francois».
Lui sbuffò. «Sì, lo sono proprio. Un
altro ti sarebbe saltato addosso immediatamente, per colpa di quel
vestito», scherzò, spostando la mano in una
carezza sulla guancia.
Keira si sporse in avanti e gli posò un leggero bacio sulle
labbra, slacciandosi contemporaneamente la cintura di sicurezza.
«Grazie. Ci vediamo in paese».
«Salutami Ivy», replicò lui, accendendo
il motore.
Keira lo lasciò con un ultimo sorriso più
rilassato, mentre scendeva dalla Land Rover.
«Sarà fatto», replicò, prima
di voltarsi e dirigersi verso il piccolo portico.
Prima di infilare la chiave nella serratura, si voltò un
momento, osservando i fanali rossi dell'auto sparire oltre il vialetto.
Si lasciò sfuggire un sospiro misto di delusione e sollievo.
Spinse l'uscio di legno pesante con la spalla, aiutandosi con il piede,
in una studiata sequenza di gesti che serviva a sbloccare la chiusura
difettosa della porta.
Non appena dentro, la donna si appoggiò alla parete,
passandosi le mani tra i capelli lunghi, che le arrivavano fino alla
vita. Davanti a lei un grande specchio le rimandò la sua
immagine.
Era invecchiata in quei tre anni, quasi ne fossero passati dieci, e lei
ne sentiva il peso dritti sulle spalle. Poteva vestirsi da ventenne,
con i tacchi alti, le gonne corte e i capelli lunghi da bambina, ma
sulle pelle i segni stavano diventato troppi e troppo profondi. Si
accigliò, notando come la pelle si accartocciava malamente
in mezzo alla fronte e agli angoli degli occhi.
Non era mai stata vanitosa, ma forse non si trattava di mera apparenza.
Il tempo stava passando, in fretta, e quelle nuove cicatrici, molto
diverse da quelle che portava più in profondità,
ne erano una testimonianza palese.
In tutte le sue decine di coperture, Khalida aveva sempre mantenuto
l'iniziale del suo nome. Era una piccolezza, ma l'aiutava a mantenere
il senso della realtà nella ragnatela di bugie in cui aveva
sempre vissuto e in cui viveva tutt'ora.
Anche se non aveva avuto voce in capitolo nella scelta del suo nuovo
nome, la tradizione era stata comunque mantenuta. Ora la carta
d'identità recitava Keira Rushman**, nata in un sobborgo di
New York da genitori pakistani, ufficialmente giornalista di cronaca
nera in “pausa di riflessione”.
Fury si era dato un gran da fare per costruirle una copertura
più che perfetta, inventando perfino una spiegazione per le
numerose cicatrici causate da proiettili che le solcavano il ventre.
Con un gesto quasi arrabbiato, Khalida scalciò via le scarpe
scomode, mentre quel pomeriggio gelido le tornava alla mente.
Nei pochi secondi che lei aveva impiegato per accorgersi dell'enorme
scatola di C4 sospesa sopra di lei, in quel maledetto elicottero,
l'agente al suo fianco aveva indossato alla svelta un piccolo zaino con
all'interno uno di quei paracadute ultraleggeri di ultima generazione.
Senza dire una sola parola, l'aveva afferrata e legata a lui attraverso
una cinghia così stretta da toglierle il fiato. Si era
gettato giù dal velivolo una manciata di secondi prima che
la bomba esplodesse.
La detonazione li aveva mandati fuori rotta e per un attimo Khalida
aveva temuto che sarebbe morta sul serio, poi l'agente aveva
stabilizzato il paracadute e l'aveva diretto sul tetto di un vicino
edificio.
Lì l'aspettava l'agente Hill.
In poche parole le aveva spiegato che Fury aveva previsto quella mossa
da parte del consiglio, che la voleva morta, ed aveva organizzato un
piano d'emergenza.
Khalida era già stata dichiarata ufficialmente deceduta,
giustiziata come traditrice, e quindi avevano un raggio d'azione
abbastanza ampio.
Mentre si dirigevano verso un Hummer blindato con i vetri oscurati,
Maria Hill le aveva consegnato un altro borsone, identico al primo, con
dentro la sua nuova identità.
Il patto di Fury era semplice. Khalida avrebbe potuto decidere dove
andare a vivere, purché fosse un luogo isolato. Sarebbe
stata libera di condurre una vita relativamente normale, sotto la
costante sorveglianza dello S.H.I.E.L.D. Se lei fosse stata buona e
tranquilla, l'agenzia non l'avrebbe disturbata oltre.
L'alternativa non esisteva, e se c'era Khalida non era disposta a
prenderla in considerazione.
Aveva accettato e scelto senza nemmeno pensarci un secondo.
«Haiti», aveva detto e l'agente Hill aveva
sollevato un sopracciglio, sorpresa. Dopo aver comunicato la
destinazione al suo contatto, la donna l'aveva guardata con una lunga
occhiata penetrante.
«Perché?».
Khalida si era stretta nelle spalle. «Mi piace il
caldo», aveva detto, salendo in auto senza aggiungere
nient'altro.
In realtà la ragione era ben più profonda e
complicata, ma lei non era certo disposta a condividerla con Maria
Hill.
Durante tutta la sua esistenza Khalida era stata considerata compromessa,
progenie di traditori e indegna di fiducia. Sul suo fascicolo ormai
c'erano più annotazioni negative che altro.
Era stata definita instabile, egoista, bugiarda, doppiogiochista e
manipolatrice.
In realtà, se lei avesse dovuto definirsi con una sola
parola avrebbe scelto danneggiata***.
Aveva scelto Haiti perché era un paese danneggiato quanto
lei, un posto dove forse si sarebbe potuta sentire a casa.
Inutile dire che le prime settimane erano state difficili. Non riusciva
a dormire, tormentata da incubi di ogni genere, e le sue interazioni
sociali erano pressoché nulle. Aveva passato molto, troppo
tempo, nella nebbia acquosa di vari liquori e qualche farmaco.
Si era concessa esattamente tre settimane per piangersi addosso, poi
una mattina si era alzata, si era truccata con cura e aveva iniziato a
cercare lavoro.
L'aveva trovato senza troppo sforzo, grazie al curriculum falso da
giornalista fornito dallo S.H.I.E.L.D., e in breve tempo era diventata
un nome abbastanza conosciuto nella comunità del piccolo
paesino del nord dell'isola dove si era rifugiata. Lavorando per un
paio di testate locali di media diffusione, scriveva di un po' di
tutto, da fatti di cronaca internazionale, ai resoconti degli eventi
locali. Tutto sommato, era un lavoro che le piaceva, e attraverso la
scrittura, da buona psicologa, aveva trovato una valvola di sfogo con
cui stava affrontando a poco a poco tutte le sue ferite e i suoi traumi.
Si era crogiolata in quella nuova tranquillità, convinta che
ormai il peggio fosse passato.
Era stato un pomeriggio di due anni prima, caldo e assolato, che un
terremoto aveva stravolto la sua nuova vita, con la stessa devastante
potenza del sisma che aveva scosso l'isola nel duemiladieci.
Mentre camminava lungo la stradina isolata che dalla sede del giornale
portava a casa sua, una ragazzina le era venuta incontro a passo
svelto, il capo chino e il volto celato dal cappuccio della felpa di
molte taglie più grandi. Khalida non le aveva dato molto
bado, concentrata sul cellulare, e quando la ragazzina le era venuta
addosso, apparentemente per distrazione, si era limitata a rimbrottarla
senza convinzione.
Pochi passi più in là, si era accorta che la
borsa era diventata improvvisamente troppo leggera. Si era voltata
giusto in tempo per vedere la ragazzina scappare con il suo MacBook tra
le braccia. L'istinto aveva agito per lei, e Khalida aveva
immediatamente mollato la borsa in terra inseguendo la ladra e
raggiungendola dopo pochi minuti di affannato inseguimento. Senza
pietà, l'aveva atterrata con un calcio mirato agli stinchi e
l'aveva bloccata a terra sedendosi a cavalcioni su di lei.
Solo allora, quando l'aveva finalmente guardata negli occhi si era
accorta di quanto fosse giovane, dimostrava sedici anni, ma ne aveva
sicuramente di meno.
La ragazzina si era ribellata a lungo, anche quando Khalida, tenendola
per un gomito, l'aveva costretta ad alzarsi e l'aveva portata a forza
al primo posto di polizia.
Lì, aveva appreso la sua storia.
Si chiamava Ivy, nessun cognome conosciuto. Semplicemente una delle
migliaia di orfane del terremoto.
I poveretti che cercavano le loro famiglie l'avevano tirata fuori dalle
macerie tre giorni dopo il sisma, aveva solo dieci anni e a malapena
riusciva a parlare, per colpa dello choc.
Nella devastazione del terremoto c'erano troppe cose di cui occuparsi e
Ivy era diventata una dei tanti bambini senza famiglia che avevano
imparato a sopravvivere grazie ad espedienti di ogni tipo.
L'agente di polizia le aveva raccontato che era un'ospite fissa della
centrale, ma che in fondo non faceva male a nessuno, se non per qualche
scippo e qualche furto minore. Nessuno infatti aveva avuto il cuore di
denunciarla, nel paese la conoscevano più o meno tutti.
Khalida aveva guardato a lungo quella ragazzina, di appena quattordici
anni, magra come un chiodo, sprofondata nella poltroncina e in vestiti
troppo grandi per lei.
Aveva già gli occhi di una donna, una donna arrabbiata e
disillusa.
Khalida aveva riconosciuto quello sguardo, come se si stesse guardando
allo specchio.
Aveva chiesto all'agente di parlare con lei, si era presentata e aveva
fatto la sua proposta.
Non l'avrebbe denunciata se lei fosse venuta a vivere con lei.
Dapprima Ivy l'aveva derisa, credendola una stupida, e poi
un'imbrogliona, ma Khalida aveva insistito, e la ragazzina aveva
ceduto, probabilmente allettata dalla prospettiva di un pasto caldo, un
bagno vero e un letto decente.
La convivenza non era stata affatto facile. Nei primi tempi Khalida
aveva dovuto rincorrerla in giro per tutto il paese e mettere sotto
chiave ogni cosa che la ragazzina avrebbe potuto rubarle, ma Khalida
era testarda e, con molta calma, aveva costruito un rapporto con quella
ragazzina, portandola ad aprirsi, facendo sì che si fidasse
di lei.
Ormai, dopo due anni, Khalida la considerava sua figlia in tutto e per
tutto, e si stupiva ancora dell'intensità del sentimento che
provava per lei. In un certo qual modo la rassicurava, convincendola
che quel muscolo che le batteva nel petto non serviva solo a tenerla in
vita.
Ivy si era trasformata, aveva preso peso e abbandonato l'espressione
perennemente arrabbiata. Era un'adolescente come tante altre certo,
più matura, più dura e meno ingenua, ma ribelle e
insopportabile tanto quanto le sue compagne di scuola.
Era un successo enorme, considerando da dove era partita.
«Hai intenzione di rimanere nell'ingresso ancora per
molto?», la rimbrottò la voce canzonatoria di Ivy,
dal salotto.
Aggrottando le sopracciglia, Khalida si incamminò verso
l'interno della casa.
Ivy era seduta sulla poltrona davanti alla porta finestra che dava sul
mare, le lunghe gambe magre ripiegate sotto il corpo, i capelli castani
crespi arruffati come al solito e le belle labbra carnose piegate in
una smorfia di disappunto.
«Ti avevo detto di non aspettarmi alzata», fece
presente Khalida, posando la borsa sul divano.
Ivy sbuffò, roteando i grandi occhi scuri.
«È prestissimo! Non vado a letto a quest'ora da
anni», replicò, incrociando le braccia al petto.
«Immagino che la serata non sia andata molto bene. Quando ti
deciderai a divertirti sul serio?», aggiunse, con tono di
rimprovero.
Stavolta fu Khalida a sbuffare. «Avevamo stabilito che in
questa casa sono io la madre, e tu la figlia, non il
contrario».
Ivy fece un sorrisino divertito. «Non sei ancora mia
madre», fece, con fare strafottente.
Khalida gettò un'occhiata al grande orologio da parete alla
sua destra. «A dir la verità sì.
È passata la mezzanotte da pochi secondi. Da oggi sono
ufficialmente tua madre, secondo lo stato».
Un lieve tremito percorse il volto di Ivy. «È
successo allora. Ho ufficialmente un cognome»,
mormorò, mentre gli occhi si spegnevano appena.
Khalida la raggiunse, posandole una mano sulla spalla sottile.
«Mi dispiace che sia qualcosa di mediocre come
Rushman», scherzò, per farle fuggire quel buio
improvviso dallo sguardo.
Benché avesse un passato difficile alle spalle, anche al suo
peggio Ivy possedeva una luce viva e sfrontata negli occhi, quasi a
prendersi gioco di tutti gli ostacoli che la vita le aveva messo
davanti.
I pochi attimi in cui quella luce si spegneva, impensierivano Khalida.
Se fossero diventati più frequenti, Ivy sarebbe stata troppo
simile alla donna che era stata lei alla sua età. E non era
quello che desidera per lei.
«Già», annuì lei.
«Che poi mi sembra un cognome ridicolo, per una di origini
pakistane», commentò, alzandosi dalla poltrona.
Khalida era alta, ma Ivy la sovrastava comunque. Ad un'occhiata
distratta, qualcuno poteva scambiarle davvero per parenti, avevano una
corporatura simile, anche se Khalida possedeva una figura
più androgina e spigolosa. La ragazza era molto
più bella di lei, con i lineamenti tipici da sudamericana,
curve morbide e proporzionate, la pelle mulatta vellutata, la bocca
larga e carnosa e gli zigomi alti. Ivy solitamente non amava mettersi
in mostra, l'essere di bell'aspetto le aveva creato molti problemi
quando viveva per strada e preferiva nascondere il fisico in abiti
troppo grandi per lei ed evitava il trucco. A volte, in modo infantile,
dimostrava un'avversione persino per il pettine.
«Te l'ho detto, i miei genitori lo hanno americanizzato
quando si sono trasferiti a New York», replicò
Khalida, distogliendo gli occhi. Quelle bugie che era costretta a dire,
continuamente, la turbavano più di quanto volesse ammettere.
«E com'era prima?», la incalzò Ivy.
Khalida si strinse nelle spalle. «Non me l'hanno mai detto.
Non avevano dei bei ricordi della vita in medio oriente, volevano solo
lasciarsi tutto alle spalle».
A volte detestava la sua capacità di mentire così
bene, perché, come tutte le cose in cui era brava, non
riusciva a fare a meno di farlo.
Ivy accettò la spiegazione con un lieve sorriso, e Khalida
le scompigliò i capelli con fare affettuoso.
«Forse è meglio che andiamo a dormire»,
osservò, vedendola nascondere uno sbadiglio.
La ragazza si stiracchiò a lungo. «Già,
sarà una giornata impegnativa... devo trovarti un altro
fidanzato, uno che non scappi al primo appuntamento»,
scherzò, facendo una linguaccia a Khalida.
Lei scosse lentamente la testa, senza replicare.
Al di là delle finestre, il silenzio della notte fu
squarciato dal boato di un tuono che fece tremare i vetri della casa.
Gli occhi di Khalida saettarono al cielo nero, in cui si stavano
ammassando nuvole inquiete e strane, illuminate da lampi di un colore a
metà tra il bianco e l'azzurro.
«C'è un temporale», osservò
Ivy, dubbiosa. «Strano, non è la stagione delle
piogge».
Khalida si irrigidì allo scoppiare di un secondo tuono.
Non era solo un temporale.
«Ivy, vai in camera tua, e restaci, qualsiasi cosa
succeda», ordinò, con voce improvvisamente
incrinata.
«Keira cosa...», protestò lei.
«Ubbidisci», la zittì Khalida.
«Fidati di me», aggiunse, guardandola negli occhi.
Ivy annuì lentamente.
«Va bene, mamma», mormorò.
E Khalida sentì un improvviso nodo in gola al suono di
quella parola così rara sulle labbra della ragazza.
Il suo nuovo mondo stava per andare di nuovo in pezzi, troppo fragile
per resistere ad un altro terremoto, e stavolta lei aveva qualcosa, qualcuno, da
perdere.
Per la prima volta da quando era arrivata ad Haiti, provò un
terrore strisciante e sottile.
Il suo passato stava per presentarle il conto, e Khalida sapeva
già che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo elevato.
-----------------------------------------------------
* non vi dico da dove
viene questa citazione, fatelo voi, tanto è semplice XD
** ho voluto riciclare il
cognome di copertura di Natasha Romanoff in Iron Man 2, sono un
disastro ad inventarmi i cognomi.
*** ecco, per spiegare
questo concetto devo fare una doverosa premessa. Adoro il modo in cui
la parola in questione suona in inglese (damaged) ed usandola qui ho
voluto trasmettere lo stesso concetto con cui è usata nel
telefilm Dexter, in cui il protagonista la usa spesso per definire
sè stesso. In parole povere, Khalida si considera rovinata,
impossibile da migliorare e segnata per sempre da come ha vissuto. Non
crede di potere essere migliore di ciò che è e
nemmeno si sforza di farlo.
Spero di non avervi annoiato con queste note...
Ok, adesso sappiamo come Khalida è sfuggita a morte certa e
cosa ha fatto in questi tre anni, dove si è nascosta e chi
ha conosciuto.
Ivy è un personaggio che avrà un ruolo importante
nella storia e a cui tengo davvero molto, perché
già le voglio bene ;)
ve la presento:
Ok, ho terminato, lascio a voi.
Un bacio
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Come l'acciaio ***
Eccomi
qua, vi avevo promesso che sarei tornata presto, ed ecco il quarto
capitolo.
So che le cose stanno andando un pochino a rilento, e credetemi, Loki
manca più a me che a voi.
E, prima che qualcuno me lo faccia notare, so che l'immagine di Khalida
nel banner è troppo giovane, rispetto all'immagine che ho
dato nei capitoli, ma non ne avevo altre della modella che ho scelta,
per cui, perdonatemi :P
Ci vediamo per le note finali, ma prima...
AVVERTENZA SPOILER!
Nel capitolo
c'è un grande spoiler, non molto segreto a dir la
verità, sul nuovo serial targato Marvel intitolato SHIELD
che uscirà, credo, in questo autunno.
Io vi ho avvisato, leggete a vostro rischio e pericolo.
Heimdall
aveva avuto un senso dell'umorismo fuori luogo, oppure una mira
pessima, pensò Thor, mentre si sollevava a fatica dall'acqua
salata. Il mantello inzuppato d'acqua pesava come un macigno e gli
stivali affondavano nella sabbia morbida rendendogli difficoltoso
camminare. Il Bifrost li aveva materializzati a una decina di metri
dalla riva di un mare placido, appena mosso da una leggera brezza.
«Accidenti ad Heimdall», brontolò
Fandral, scuotendo i capelli fradici.
Sif ed Hogun, appena dietro di lui, stavano impedendo a Volstagg di
annegare, reggendolo l'una per il braccio, l'altro per il colletto
della casacca.
Ignorando gli sbuffi di fastidio dei compagni, Thor scrutò
il paesaggio intorno a lui. La spiaggia di sabbia era deserta, e pochi
metri più in là si vedevano le luci di una
piccola abitazione, isolata. Doveva essere lì che Khalida
viveva.
«Andiamo», decise, incamminandosi con decisione
verso la spiaggia.
Il gruppo di asgardiani si avvicinò lentamente alla casa,
dividendosi: Hogun, Sif e Volstagg da una parte, Thor e Fandral
dall'altra.
La finestra illuminata lasciò intendere un lieve movimento
all'interno e Thor fece un cenno agli altri, per farli fermare.
In mezzo al frinire dei grilli e delle cicale si sentì lo
scatto secco di un'arma da fuoco che viene caricata.
Nella luce flebile Thor vide una figura femminile avanzare lentamente,
scendendo gli scalini del portico. Imbracciava un fucile a canne mozze
e non sembrava avere intenzioni amichevoli.
«Se mi calpestate le rose, sparo. Per quanto resistenti sono
sicura che uno di questi vi fa male», minacciò
Khalida, guardando verso Thor. Anche nel buio, la figura imponente
dell'alieno era facilmente riconoscibile, per non parlare del mantello
rosso intenso.
Alle spalle della donna, Sif uscì allo scoperto. Allarmata
dalla minaccia si preparò a colpirla, ma Khalida fu
più svelta e, voltandosi, sparò un colpo davanti
ai piedi dell'asgardiana.
La deflagrazione si sparse nel silenzio come cerchi concentrici
nell'acqua, mettendo a tacere i numerosi insetti notturni.
«Vedo che hai portato gli amici, Thor»,
mormorò la donna.
«Khalida non siamo qui per farti del male»,
iniziò il Dio del Tuono, uscendo allo scoperto, seguito da
Fandral.
Hogun e Volstagg affiancarono Sif. Ancora agitati per il suono dello
sparo, spostavano lo sguardo tra il fucile e Thor.
Khalida valutò i suoi avversari, anche se era armata, se
l'avessero attaccata non avrebbe avuto scampo. «Dì
quello che devi, in fretta. Abbiamo mezz'ora prima che Coulson si
precipiti qui con una squadra di agenti», disse, abbassando
lentamente il fucile. Forse lo S.H.I.E.L.D. ci avrebbe messo un po'
più di mezz'ora ad arrivare, ma era meglio che credessero di
avere poco tempo.
Thor la osservò con attenzione, prima di rispondere. Non era
cambiata di molto, anche se il tempo aveva lasciato sulla sua pelle
più segni di quanti ricordasse.
«È lui a sorvegliarti?»,
domandò Thor.
Khalida annuì. «Lo S.H.I.E.L.D. gli ha concesso
una vacanza premio. Fury non sarà affatto contento di sapere
che sei venuto qui».
Thor avanzò di un passo. «Puoi abbassare
quell'arma, per favore?», chiese, e solo allora Khalida si
accorse di avere ancora il fucile puntato contro di lui. Lo
abbassò lentamente, respirando a fondo.
«Cosa vuoi, Thor?».
«Ricordi la promessa che mi avevi fatto?»,
iniziò il Dio del Tuono.
Khalida arricciò il naso. «Il fatto che tu sia
piombato nel mio giardino in assetto di guerra non mi rende molto
propensa a credere che tu sia cambiato...»,
iniziò, sarcastica, ma lo sguardo improvvisamente cupo di
Thor le fece passare la voglia di infierire. «Cosa diavolo
è successo?», chiese.
Thor sospirò pesantemente. «Thanos ha attaccato
Asgard. Forse pensava di trovarci Loki, questo ancora non l'abbiamo
capito», spiegò, poi un improvviso nodo in gola
gli fece morire la voce sulle labbra. «Ha ucciso mia
madre», riuscì a dire, in un sussurro.
Khalida sbarrò gli occhi, sbalordita. E il ricordo di una
conversazione sepolta nella sua memoria bussò lentamente
alle porte della sua mente. Scacciò il disagio, e si
sforzò di riflettere.
Fino ad allora Thanos non si era mai fatto vedere di persona.
Più volte aveva preferito mandare qualcun altro a fare il
lavoro sporco. Il cambio di strategia era preoccupante.
Forse significava che il Titano era pronto a portare la sua assurda
guerra senza senso ad un altro livello.
«Perché vuoi che rintracci Loki?»,
chiese Khalida, conoscendo già la risposta.
«Thanos ha detto chiaramente di star cercando
lui...».
«E tu da bravo fratello glielo vuoi consegnare»,
concluse lei, con un punta di amarezza nella voce.
Thor strinse gli occhi, ferito da quell'ipotesi tanto vile.
«Non lo farei mai! Voglio solo che ci aiuti nel combatterlo.
Lui lo conosce meglio di tutti noi».
«Loki potrebbe non essere interessato ad aiutare Asgard, ci
hai pensato?», lo frenò Khalida, pratica.
Thor strinse le labbra. «Questo lo so. Ma credo sia
interessato a vendicare la morte di mia madre».
Khalida ammutolì.
Thor aveva probabilmente ragione.
Durante la breve convivenza con Loki aveva avuto modo di comprendere le
ragioni dell'odio che provava per Thor ed Odino. Frigga non era mai
stata inclusa in quel sentimento forte e devastante che lo aveva
consumato.
Forse, nei riguardi della madre adottiva, Loki aveva provato
più delusione, che vero e proprio astio.
«Khalida, mi aiuterai?», la incalzò
Thor, avvicinandosi e allungando la mano, per toccarle il braccio.
«Se osi toccarla sparo!», strillò la
voce di Ivy alle loro spalle.
Khalida si voltò sorpresa e, quando vide che la ragazza
impugnava la pistola che di solito teneva nel cassetto del comodino, si
maledisse per averle insegnato ad usarla.
Thor, confuso, spostò lo sguardo tra Khalida e la nuova
arrivata. Non si aspettava che la donna vivesse con qualcuno, tanto
meno con una ragazzina.
«Ivy, metti via la pistola», le intimò
Khalida, facendo un passo verso di lei.
«Chi diavolo sono questi? Cosa vogliono da te? E
perché ti chiamano Khalida?», chiese lei a voce
alta e acuta, visibilmente terrorizzata.
Khalida sospirò. «Sono amici, non ci faranno del
male», disse.
Ivy fece una smorfia dubbiosa, continuando a tenere Thor sotto tiro.
«Perché quello è vestito come un
cosplay* di quel supereroe con il martel...»,
iniziò, poi la voce svanì mentre notava nuovi
particolari, tipo che anche gli altri tizi erano vestiti come se
fossero usciti da un festival del gotico di serie B, e quel martello
sembrava decisamente vero.
Realizzò in un attimo che quelli non erano cosplay.
«Oh. Mio. Dio», sillabò, un attimo prima
di svenire.
«Ivy, svegliati», mormorò la voce di
Keira, scuotendola leggermente per una spalla.
La ragazza mugolò qualcosa, socchiudendo gli occhi.
Che sogno assurdo, aveva fatto! Di certo sua madre non poteva conoscere
uno dei Vendicatori e fare meeting segreti con lui nel loro giardino.
Doveva aver mangiato qualcosa che le aveva fatto decisamente male.
La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre, mettendo a
fuoco il soggiorno.
Sussultò, quando vide che quegli stramaledetti cosplay erano
ancora lì, e la fissavano come si guarda una scimmia
attraverso le sbarre di una gabbia.
Quello biondo, grosso come un armadio, era accanto a lei e quando se ne
accorse trattenne a stento un singulto di paura involontario.
«Calmati Ivy. Non ti faranno nulla», fece Keira,
con tono tranquillo.
Ivy la fissò come se la vedesse per la prima volta.
Aveva un'espressione concentrata che assumeva solo quando lavorava ai
suoi articoli, e in mezzo a quella combriccola assurda sembrava
così a suo agio che la ragazza provò la
sgradevole sensazione di non conoscerla affatto.
«Chi diavolo sei tu?», domandò, con un
filo di voce.
Khalida si accucciò alla sua altezza. «Tesoro, lo
so che sei confusa», iniziò, parlando in francese,
sapendo che il suono della sua lingua madre tranquillizzava sempre Ivy.
«Mi dispiace che tu l'abbia dovuto scoprire
così», aggiunse.
«Chi sei!?», ripeté di nuovo Ivy, con
più forza.
La rabbia in quella domanda ferì Khalida, ma in qualche modo
la fece sentire sollevata, perché ora poteva smettere di
mentire.
«Il mio nome non è Keira Rushman, ma Khalida
Sabil», iniziò. «Per qualche tempo sono
stata un'agente dello S.H.I.E.L.D.».
«E qui cosa diavolo stavi facendo? Tenevi d'occhio qualche
criminale locale?», domandò di nuovo Ivy.
Conosceva vagamente la fama dello S.H.I.E.L.D. e non aveva sentito cose
molto positive su quella misteriosa agenzia, a parte il fatto che aveva
messo insieme il gruppo dei Vendicatori.
«Diciamo che sono in pensione, adesso»,
spiegò Khalida, allungando una mano per toccarle la guancia.
Ivy non si ritrasse.
Per quanto sconvolgenti, quelle rivelazioni avevano senso.
Aveva sempre sospettato che Keira nascondesse parte del suo passato, i
suoi racconti aveva sempre qualcosa di estremamente perfetto e logico,
qualcosa che puzzava di finzione. Non aveva mai indagato oltre
perché non le ci era voluto molto per capire che Keira
nascondeva molte più ferite di quante ne custodisse il suo
corpo, e ora quelle nuove informazioni spiegavano tanti lati misteriosi
della donna che da due anni le faceva da madre.
«Cosa vogliono da te?», domandò Ivy,
accennando con gli occhi a Thor, appena un passo dietro Khalida.
«Hanno bisogno del mio aiuto per ritrovare una
persona».
Ivy sollevò un sopracciglio, dubbiosa. Aprì la
bocca per protestare ma la voce di Sif la fermò.
«Dobbiamo fare in fretta. Gli umani potrebbero arrivare da un
momento all'altro», fece presente, guardando nervosamente
fuori dalle finestra.
Thor annuì, posando una mano sulla spalla di Khalida.
Lei socchiuse gli occhi, sospirando, poi fissò Ivy dritto
negli occhi.
«Ivy, non posso darti molte altre spiegazioni. Ma ho bisogno
che tu mi ascolti molto attentamente», iniziò, con
voce calma.
La ragazza annuì.
«Tra pochi minuti arriveranno degli agenti dello S.H.I.E.L.D.
Tra loro ci sarà un uomo che si chiama Coulson**. Ti
farà delle domande. Rispondi sinceramente, e
andrà tutto bene».
«Cosa mi faranno?», chiese Ivy, con la voce appena
incrinata. «Mi sparaflesceranno come in Man in Black***?».
Khalida sorrise, accarezzandole la guancia. «Tu fai come ti
dicono, e non succederà niente di spiacevole», la
rassicurò, probabilmente più rivolta a
sé stessa che ad Ivy.
Lei era forte, e gli agenti dello S.H.I.E.L.D. non l'avrebbero
impressionata più di tanto, forse nemmeno Fury in persona
l'avrebbe fatto. Ne aveva viste troppe per lasciarsi abbattere da
qualcosa di così banale come un gruppo di super spie armate.
Non temeva per la sua sorte, Ivy non centrava niente con tutto quello
che stava accadendo.
Aveva paura di ben altro.
Si prese un minuto per riordinare le idee.
«Verrai a sapere molte cose su di me, e la maggioranza non
saranno lusinghiere», disse infine, scegliendo con cura le
parole.
Ivy deglutì. «Cosa intendi?».
Khalida sorrise mestamente, alzandosi. «Non lo so. Forse ti
sto solo chiedendo di non odiarmi troppo, per averti mentito».
Ivy si alzò di scatto dalla poltrona, piantando gli occhi
scuri in quelli di Khalida, tormentati come non mai. «Quando
dicevi di volermi bene, mentivi?», le domandò.
«No», replicò lei, senza lasciar
trapelare la sua sorpresa.
«Allora non ho motivo di odiarti. Tu mi hai salvato la
vita», affermò Ivy con la sicurezza genuina che la
contraddistingueva, la forza indiscussa del suo animo che l'aveva
salvata tante volte.
D'istinto Khalida l'abbracciò, stringendosela forte al petto.
«Ti voglio bene, Ivy», le
mormorò all'orecchio.
La ragazza ricambiò l'abbraccio, deglutendo un improvviso
nodo alla gola.
«Quando ritornerai?», chiese.
«Presto, te lo prometto», le assicurò
Khalida, sciogliendo l'abbraccio.
Il Dio del Tuono era spiazzato dalla scena a cui aveva appena
assistito.
Quella donna così tenera, materna quasi, aveva poco a che
fare con l'agente fredda e dura come acciaio che aveva conosciuto.
Eppure anche l'acciaio si riscalda, se tenuto in mano abbastanza a
lungo.
Khalida cercò gli occhi di Thor.
«Proverò a trovare Loki, non ti prometto di
riuscirci», disse, stringendo le labbra come a trattenere
altre parole.
Thor chinò leggermente il capo. «Te ne sono grato,
Khalida».
In lontananza, risuonò il rombo di un motore.
«È ora di andare», annunciò
Hogun.
Khalida recuperò la piccola calibro nove che aveva portato
via dalla mani di Ivy quando la ragazza era svenuta e la
infilò oltre il bordo dei jeans, dietro la schiena.
Solo allora Ivy notò che si era cambiata, abbandonando la
mise sexy, per una molto più comoda.
«Dove ci dirigiamo, Khalida?», chiese Thor.
Lei gettò un'occhiata distratta ai compagni di Thor,
incrociando quella ostile di Sif, che ricambiò d'istinto.
Il metallo della pistola le aveva lasciato un freddo familiare sul
palmo della mano, lo vedeva come se fosse una delle sue tante
cicatrici. Una vampata di rabbia le crebbe sotto lo sterno.
Per quanto l'avesse rinnegata, per quanto ci avesse provato, la sua
vecchia vita non l'avrebbe mai lasciata in pace.
Ma in fondo l'aveva sempre saputo che era solo questione di tempo, ci
era scesa a patti molto tempo prima, poco tempo dopo il suo
trasferimento ad Haiti, quando Coulson era venuto a trovarla per la
prima volta.
Poteva seppellirsi in qualsiasi paese polveroso e sperduto volesse,
sarebbe sempre stata un'agente dello S.H.I.E.L.D. fino alla sua morte.
Era condannata per sempre ad essere qualcosa che non era.
Ma era colpa sua, aveva scelto di lasciarsi alle spalle la ragazzina
con le ginocchia sbucciate che divideva il suo pane con i cani randagi
per diventare un soldato, una macchina per uccidere.
Non poteva semplicemente resettare tutto, né far finta di
essere di nuovo quella bambina.
Significava mentire a sé stessa, e per quanto fosse una
bugiarda, non era mai stata un'ipocrita.
Khalida raddrizzò le spalle. «I tuoi amici possono
pure tornare ad Asgard. Io e te, dobbiamo fare una visita a
Stark», illustrò, ritornata in fretta nei panni
dell'agente efficiente.
«Da Stark?», domandò Thor, sorpreso.
Il tonfo di una portiera che si chiudeva interruppe bruscamente la
discussione.
«Non c'è tempo per le spiegazioni!»,
tagliò corto Khalida, avvicinandosi a Thor.
«Sarebbe un buon momento per usarlo, quel
martello», ammiccò e Thor, una volta tanto, colse
al volo il suggerimento, afferrandola per la vita e iniziando a roteare
Mjolnir.
«Amici, ci vediamo ad Asgard», disse, un attimo
prima di sollevarsi in volo, sfondando il tetto e poi sparendo in mezzo
alle nuvole che avevano ripreso ad ammassarsi.
Quando gli agenti dello S.H.I.E.L.D. fecero irruzione nella casa pochi
istanti dopo, rimasero interdetti, trovandosi davanti solo una
ragazzina scarmigliata, ricoperta di schegge di legno che fissava il
soffitto distrutto a bocca aperta.
Coulson si tolse gli occhiali da sole, fissando lo squarcio sopra di
lui.
«Asgardiani», masticò, trattenendo un
sorriso.
---------------------------------------------
*se non lo sapete, i cosplay sono quelle persone che si travestono da
personaggi dei fumetti, dei manga, oppure anche dei film o dei
telefilm, in occasione, di solito, di fiere a tema.
**Colpo di scena! Coulson è vivo. è uno dei
grossi spoiler rivelati riguardo al nuovo serial televisivo di Whedon,
se volete i dettagli, vi do il link articolo
*** Bè, questa nota credo sia un po' inutile, ma la metto lo
stesso, in Man in Black gli agenti usano un concegno per far
dimenticare alle persone di aver avuto contatti con gli alieni e gli
agenti in nero, non so l'equivalente in inglese, ma in italiano usano
il verbo inesistente che ho usato XD
Ed eccoci alla fine di questo capitolo.
Perché Khalida
ha accettato di aiutare Thor?
bè, glielo aveva promesso, ma i veri motivi li capiremo
più avanti.
Spero che vi piaccia il modo in cui Khalida è cambiata, se
si può dire così.
Rassicuratemi, vi prego, anche su Thor, perché, nonostante
mi piaccia come mi sta venendo, ho sempre paura di dimenticarmi il
personaggio originale...
la domanda di rito: cosa
ci vanno a fare da Stark???
chi indovina vince una miniatura in scala 1:30 di uno a scelta degli
Avengers XD.... oppure (seriamente) uno sfondo per il pc fatto da me su
chiunque vogliate.
Ok, la smetto.
A presto!!
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 5 - Come il vento ***
Allora,
siamo arrivati al capitolo che io, amorevolmente, definisco "il
bastardo" sì, perché mi ha costretto ad una pausa
di quasi tre settimane, non ho ricordi di una crisi da pagina bianca
così lunga.
La soluzione è stata, manco a dirlo, la duplice visione di
"Iron Man 3", che mi ha dato la carica necessiaria per completare la
sequenza di eventi di questo capitolo.
Il perché
è presto detto, dato che il capitolo è incentrato
particolarmente su Tony e Pepper.
Inutile dire che il capitolo è pieno zeppo di SPOILER,
riguardo Iron Man 3, non vi dico quali sono, ma comunque
se non avete
ancora visto il film... bè, correte a farlo e poi leggete il
capitolo XD
Ci vediamo alla fine!
La notte di New York era gelida, in confronto al quieto tepore di
Haiti, ma Khalida non era in vena di lamentarsi, scossa com'era dal
volo turbolento. Benché avesse tenuto gli occhi serrati per
la maggioranza del tempo, aveva lo stomaco completamente rovesciato per
le vertigini. Non sapeva nemmeno capire se il fatto che il volo fosse
stato incredibilmente breve, in rapporto alla distanza percorsa, fosse
un bene o un male.
«Ti senti bene?», le domandò Thor,
sciogliendo la presa ferrea intorno alle spalle della donna.
Khalida si scostò e fece un cenno con le mani, per poi
crollare immediatamente seduta a terra, il volto premuto sulle
ginocchia strette al petto.
Thor, allarmato, fece per dire qualcos'altro, ma Khalida gli
gettò uno sguardo che lo fece desistere, mentre un crampo di
nausea le squassava lo stomaco. Non aveva mai visto Thor battersi, ma
se il suo modo di volare era anche solo similare al suo stile di
combattimento, allora pregava di non averlo mai come nemico.
«Mi serve solo un minuto», mormorò,
raccogliendo le idee.
Davanti a loro, la Stark Tower sfavillava nella notte, cometa luminosa
tra le stelle di New York.
Dopo qualche minuto, Khalida rilassò gambe e braccia e
cercò nelle tasche il cellulare, aprendo il browser.
Thor la scrutò senza capire.
«Perché siamo qui?», le chiese, quando
un po' di colore tornò sulle guance della donna.
Khalida digitò un indirizzo preciso, e lasciò che
la pagina si caricasse.
Sospirò profondamente, alzandosi in piedi. La testa le
girò appena, ma si riprese, stringendo i denti.
«Quando fui catturata in Israele, avevo con me
un'arma», rispose.
Thor annuì, come a dire che ricordava. Fury gliela aveva
mostrata, chiedendogli cosa potesse essere, ma lui non aveva mai visto
niente del genere, e non aveva saputo aiutare il direttore.
Khalida cliccò qualche icona sullo schermo del cellulare.
«Ho bisogno di quell'arma, per rintracciare Loki»,
continuò.
«E pensi che l'abbia Stark?».
«Se Fury non l'ha affidata a lui, saprà
sicuramente dove è custodita», annuì
Khalida, osservando la piantina che il cellulare aveva appena finito di
caricare.
Fece cenno a Thor di avvicinarsi.
«Sul sito delle Stark Industries, Tony ha messo a
disposizione una sorta di tour virtuale della Stark Tower. I laboratori
di Ricerca e Sviluppo sono a quel piano, è probabile che
l'arma si trovi lì...», illustrò,
indicando una fila di vetri oscurati. «Mentre Stark vive a
quello immediatamente sopra», aggiunse, spostando l'indice
verso uno dei tanti balconi.
Thor annuì, esattamente dalla parte opposta della torre,
c'era la piattaforma sulla quale lui e Loki avevano combattuto durante
la battaglia di New York.
«Qual'è il tuo piano?», chiese, con fare
pratico, scacciando i ricordi con una lieve scrollata di spalle.
Khalida lo guardò negli occhi. «Tu attirerai
l'attenzione di Stark».
«E tu?», domandò l'asgardiano.
La donna sogghignò, e finalmente Thor la riconobbe, in
quella sua tipica espressione di supponenza.
Khalida estrasse la pistola dalla cintura e la caricò con un
gesto secco ed esperto.
«Io mi assicurerò la sua collaborazione».
“Signore,
abbiamo ospiti”.
Tony si rigirò nel letto, mugolando qualcosa.
“Può
ripetere signore?”, domandò con
cortesia la voce robotica di Jarvis.
«Ti ho detto di mandarlo al diavolo, chiunque lui
sia», borbottò il miliardario.
“L'ospite non
è alla porta, signore”.
«E dove allora?», domandò Tony,
nascondendo il volto nel cuscino.
Pepper, accanto a lui, si mosse appena.
“Nel salotto
dell'ala est, signore”, rispose Jarvis. “Si tratta di
Thor”.
Tony si mise seduto, scostando le coperte. Appoggiò i pieni
nudi a terra rabbrividendo appena per il freddo del pavimento. Nel buio
della camera la sveglia sul comodino diffondeva un vago bagliore. Sullo
schermo lampeggiavano le cifre 1:21.
«Cosa c'è?», mormorò Pepper,
rigirandosi.
«Pare che il nostro turista spaziale preferito sia venuto a
trovarci», rispose Tony, alzandosi. «Niente di
preoccupante, me ne libero subito», aggiunse, voltandosi e
rassicurando Pepper con un lieve sorriso.
Lei ricambiò, socchiudendo gli occhi e affondando la testa
di nuovo nel guanciale, i capelli biondi scarmigliati sparsi tra il
lenzuolo e la coperta.
Tony le dedicò un lungo sguardo.
Era passato da poco il peggior anno della sua vita, aveva rischiato
più volte di perdere tutto.
La sua identità, Pepper... la sua stessa vita.
Era risorto dalle ceneri in cui era quasi soffocato, più
forte di prima, un uomo nuovo, come gli piaceva dire, eppure ogni volta
che osservava Pepper troppo a lungo, come in quel momento, ritornava a
sentirsi fragile, inconsistente come vento.
E il respiro si faceva improvvisamente corto, accompagnato da un
familiare peso al centro del petto, esattamente dove si trovava il
reattore Arc fino a poco tempo prima.
“Signore, i
suoi ospiti...”, iniziò Jarvis,
interrompendo il filo dei pensieri di Stark.
Tony raddrizzò la testa. «Ospiti? Avevi parlato
solo di Thor».
“Con lui
c'è un'altra persona”,
spiegò l'intelligenza artificiale. “Il mio software di
riconoscimento facciale non riesce ad identificarla”.*
«Sarà uno dei suoi amici asgardiani...»,
brontolò il miliardario, alzandosi e uscendo dalla stanza in
punta di piedi.
La figura imponente di Thor creava una lunga ombra sulla moquette del
soggiorno.
Tony la osservò per un momento, e un brutto presentimento lo
prese alla gola.
Non si trattava di una mera sensazione, sapeva di avere ragione.
Avanzò fino ad entrare nel rettangolo di luce della finestra.
Non appena incrociò gli occhi azzurri del Dio del Tuono,
quasi blu cobalto nella fioca luce, Tony ebbe la certezza che sarebbe
stato molto meglio per lui rimanere a letto e ordinare a Ferro Vecchio
di cacciare l'alieno.
Incrociò le braccia al petto.
«Perché ho la sensazione che tu non sia qui per
chiedermi consigli su dove portare Jane per l'anniversario?»,
domandò, sollevando un sopracciglio.
Nonostante tutto, Thor accennò un sorriso. Aprì
la bocca per ribattere, ma un movimento alla loro destra lo fece
desistere. Con un gesto abituale sollevò Mjolnir, troppo
teso per ricordarsi della presenza di Khalida.
«Perché è un genio, Stark»,
affermò la voce della donna, mostrandosi finalmente nella
luce.
Con prese ferrea, stringeva un braccio intorno alla gola di Pepper,
puntandole con apparente noncuranza la piccola pistola alla tempia.
Era stata fortunata, perché la donna le era venuta
praticamente incontro, dato che si era alzata qualche istante dopo che
Stark era uscito dalla stanza. Non voleva realmente farle del male, non
le andava di attirarsi il rancore di Stark, ma dovevano agire in
fretta, e sperava che quella minaccia fosse sufficiente a far
collaborare il miliardario senza troppe storie e spiegazioni.
Riconoscendo Khalida, Stark ingoiò un imprecazione spontanea
e si concesse un solo secondo per stupirsi, per poi indossare
nuovamente la sua maschera strafottente. Cercò gli occhi di
Pepper, in un muto codice che ormai avevano stabilito. Anche se aveva
gli occhi spalancati e lucidi, lo sguardo della donna non era
spaventato. La rassicurò accennando un sorriso.
«Sei sempre troppo lusinghiera, dolcezza»,
replicò, facendo un passo avanti.
D'istinto Khalida avvicinò la canna della pistola alla testa
di Pepper, una muta minaccia che sortì l'effetto sperato.
Tony si fermò, stringendo i pugni lungo i fianchi, unico
segnale di nervosismo.
Thor, ancora con Mjolnir mezzo sollevato, non riuscì a dire
nulla, sorpreso dal comportamento improvvisamente violento di Khalida.
Non negava che quel modo di agire fosse più rapido, ma non
si aspettava che lei intraprendesse quella strada. Quella luce umana
che le aveva visto negli occhi nella sua casa vicino al mare sembrava
essere stata fagocitata dalla solita aurea feroce, e Thor quasi si
sentì in colpa. Aveva risvegliato vecchi demoni che
probabilmente avrebbero dovuto rimanere dov'erano.
«Non ti vedo molto sorpreso, Stark», disse Khalida,
sorridendo.
Purtroppo per lei, si stava divertendo un mondo.
Amava ed odiava in egual misura quel lato di sé stessa.
Anche se sapeva che era ciò che l'aveva mantenuta viva fino
a quel momento, era cosciente del prezzo che aveva pagato molti anni
prima per diventare la donna che era. Ed era una sorte che non avrebbe
augurato a nessuno.
Tony stette al gioco, mentre con la coda dell'occhio cercava il
familiare luccichio metallico dell'armatura. «Dopo la
resurrezione di Phil, sono pronto ad ogni evenienza»,
ammiccò, spostando lo sguardo tra Khalida e Thor,
soffermandosi solo qualche istante su Pepper, strizzandole appena
l'occhio.
Lei annuì appena. Certo, non era piacevole essere stretta
contro quella donna che non aveva mai visto, ma si fidava di Tony, e
sapeva che non avrebbe permesso mai più che qualcuno le
facesse del male.
«Thor», iniziò Khalida. «Non
pensi sia il caso di spiegare a Tony
la nostra presenza?», chiese, spostando il peso da
una gamba all'altra.
«Già Thor», la scimmiottò
Tony, mentre con un breve gesto attivava i sensori che erano nascosti
sotto la pelle del suo avambraccio.
Pepper colse il movimento e irrigidì i muscoli
involontariamente.
Chiamato in causa, il Dio del Tuono esitò per un attimo, poi
guardò Khalida. «Lasciala», disse,
riferendosi a Pepper. «Non abbiamo bisogno di comportarci
così».
Khalida si accigliò, risentendosi per il tono implicito di
superiorità che aveva assunto Thor.
Il momento di distrazione fu breve, ma sufficiente.
Pepper ruotò su sé stessa con forza, colpendo
Khalida allo stomaco che, colta di sorpresa, incassò la
gomitata con un gemito di dolore.
Contemporaneamente, Tony torse il polso, attivando parte dell'armatura.
Un globo di metallo rosso sfrecciò da un punto lontano della
stanza e si arrampicò sul suo avambraccio, rivestendolo di
lucide placche. Sul palmo fiorì un cerchio di luce azzurra,
che sibilò minaccioso.
Khalida, d'istinto, puntò la pistola in direzione del
miliardario che, con fare protettivo, aveva afferrato Pepper e se l'era
portata dietro la schiena. La donna aveva un'espressione tra lo
sconvolto e l'inorridito. Si guardava le mani quasi per convincersi che
l'aveva fatto davvero, di nuovo.
Per un attimo nella stanza ci furono solo i respiri agitati di Tony e
Khalida.
«Meglio che l'abbassi, dolcezza», intimò
Stark.
Khalida strinse le labbra. «Ho una pessima mira, non vorrei
colpire per sbaglio la sua fidanzata, Stark»,
minacciò.
Tony ridacchiò. «Posso disintegrarti ancora prima
che tu riesca a pensare di premere il grilletto. Abbassala».
«Adesso basta!», tuonò Thor, mettendosi
in mezzo ai due e fulminando Khalida con un'occhiata penetrante.
La donna colse il rimprovero, e ingoiò la voglia di
ribattere. Non le piaceva che Thor si ritenesse, inconsciamente,
migliore di lei, quando era stato per anni un guerriero impulsivo e
sanguinario, e aveva di certo ucciso decine di persone più
di lei, ma abbassò comunque la pistola. Se Thor non era con
lei, combattere contro Stark, per quanto ne avesse voglia, non
l'avrebbe portata da nessuna parte.
Tony studiò lentamente Thor, che raddrizzò le
spalle, gonfiando il petto. «Perdonami Stark, per i modi, ma
ho bisogno del tuo aiuto», iniziò.
Il miliardario lasciò cadere la mano lungo il fianco.
«Ti ascolto, Riccioli D'Oro», disse, continuando a
tenere Pepper stretta a sé.
L'asgardiano prese un respiro profondo. Non era abituato a parlare per
convincere qualcuno, preferiva, come aveva appena fatto Khalida, usare
la forza. Ma ora era un re, e non era più un ragazzo da
molto tempo.
In breve riassunse ciò che era accaduto su Asgard, e solo
una lieve contrazione delle sopracciglia animò il volto di
Tony quando apprese della nuova mossa di Thanos, e della morte di
Frigga. Pepper invece, si portò una mano alle labbra, in
silenzio.
Al termine del resoconto, Tony si grattò pensieroso il
pizzetto.
«Pensi che in tutto questo centri Loki?», chiese.
Thor fece una faccia perplessa. «Perché dici
così?».
Tony accennò a Khalida dietro le spalle del Dio.
«Altrimenti non mi spiego la presenza della sua ragazza»,
spiegò.
Khalida fece per ribattere, ma Thor la anticipò.
«Loki non ha nulla a che fare con l'attacco ad Asgard. Sono
anni che non ho sue notizie».
«Cosa ci fai qui, allora?», chiese finalmente Tony.
Thor aprì la bocca ma, consapevole che il tempo stringeva e
che molto probabilmente lo S.H.I.E.L.D. li aveva già
rintracciati, Khalida tagliò corto.
«Vogliamo l'arma che lo S.H.I.E.L.D. mi ha portato via quando
sono stata catturata in Israele», disse.
Tony dovette ammettere di essere nuovamente sorpreso.
A cosa mai poteva servigli quel pezzo di ferro inutile?
In tutti i test che aveva eseguito su quella sottospecie di bastone
tecnologico non era riuscito a ricavare nemmeno un minuscolo frammento
d'informazione. Nel suo rapporto definitivo a Fury aveva detto che, con
molta probabilità, l'oggetto si era irreparabilmente
danneggiato nello scontro tra Khalida e gli agenti S.H.I.E.L.D. e il
Direttore si era ben presto dimenticato della sua esistenza,
lasciandolo nelle mani di Stark il quale, non sapendone che farsene,
l'aveva relegato in uno dei tanti laboratori della torre.
Probabilmente era finito a tenere in piedi qualche tavolo traballante,
oppure l'aveva usato come appendiabiti di fortuna.**
Una fame familiare scosse i nervi del miliardario.
Forse era vicino a scoprire qualcosa in più su quel
misterioso oggetto.
«Sai dove si trova, Stark?», lo incalzò
Thor, speranzoso.
«Sì, è al piano di sotto»,
ammise lui.
Pensò per un attimo alla faccia che avrebbe fatto Fury la
mattina dopo.
Un sorriso sornione gli affiorò sul volto. «Vi
faccio strada».
Il laboratorio era in subbuglio, come se al suo interno fosse esplosa
una bomba.
Annusando l'aria, Khalida immaginò che non fosse solo una
metafora azzeccata, ma una verità relativamente plausibile.
Stark avanzò nella stanza, scrutandone gli angoli con
attenzione. Aveva tenuto indosso il guanto dell'armatura e Khalida era
riuscita a leggere la sigla Mark-50 sul metallo all'interno
dell'avambraccio. Inutile precisare che il miliardario si era dato da
fare, nonostante il periodo difficile che aveva attraversato.
Per quanto considerasse Stark un insopportabile egocentrico, Khalida
doveva ammettere che era un grande ingegnere e un inventore di
indiscusso talento. Per quanto l'involucro fosse irritante, considerava
il cervello di quell'uomo estremamente affascinante.
Stark esaminò la confusione con le sopracciglia aggrottate.
«Jarvis, rintraccia l'oggetto con denominazione “oggetto-di-nessuna-utilità137”»,
ordinò all'intelligenza artificiale.
Khalida trattenne un sorriso. Quindi nemmeno il grande genio era
riuscito a ricavare niente da Match, in un certo qual modo era
orgogliosa che l'arma le fosse rimasta fedele.
Una luce azzurra nacque in un angolo, e scandagliò la stanza
scorrendo velocemente dall'alto verso il basso e viceversa, per poi
condensarsi in un unico raggio sottile, puntato verso una teca ingombra
di vari pezzi di metallo.
“Oggetto
identificato, signore”, annunciò
Jarvis. “Anche
se le ho già detto che i codici alfanumerici di sei
caratteri sono decisamente migliori per la catalogazione...”.
Khalida riconobbe immediatamente la forma longilinea di Match
illuminata dal filo di luce e scattò del tutto
inconsciamente.
«Hey», la richiamò Tony, ma si
zittì immediatamente quando la vide stringere le dita
intorno all'arma. Match rispose con un bagliore azzurro intenso e una
scarica d'energia che divampò all'interno del cristallo
oblungo.
Tony sgranò gli occhi. «Come diavolo hai
fatto?», chiese, facendo qualche passo avanti.
Khalida gli rivolse uno sguardo altezzoso, i lineamenti affilati
evidenziati dalla luce fredda dell'arma tra le sue mani.
«Loki l'aveva fatta per me. Solo io posso usarla»,
spiegò.
Tony fece un'espressione vagamente disgustata. «Non voglio
sapere cosa gli hai dato in cambio», borbottò.
Khalida ammiccò. «Oh, non posso dire che mi sia
dispiaciuto», disse, passando accanto al miliardario.
Thor non nascose uno sguardo sorpreso e quasi deluso. Aveva sospettato
che il rapporto tra Khalida e Loki fosse più profondo di quello
che la donna aveva dato a vedere, ma sentirla ammetterlo con tanta
noncuranza, l'aveva spiazzato.
Forse aveva preso un abbaglio, credendo che lei tenesse in qualche modo
alla sorte di suo fratello.
Forse nell'universo non esisteva più una sola persona a cui
importasse sinceramente di Loki, ora che Frigga era morta.
Nemmeno tu.
Lo avvisò una voce crudele dentro di lui. Lo cerchi solo
perché credi di aver bisogno di lui.
Thor scacciò quei pensieri stringendo la presa su Mjolnir.
Khalida lo guardò negli occhi. «Possiamo
andare», annunciò, incolore.
Si stava sforzando di non far trapelare il suo disagio.
Match, come una sanguisuga affamata, si stava nutrendo della sua
energia, colmandosi dopo che per anni era rimasto privato della propria
fonte di sostentamento.
«Voi due non andate da nessuna parte», li
fermò Tony, afferrando Khalida con il braccio fasciato
dall'armatura. «Cosa ci dovete fare con quella?»,
chiese, guardando prima Thor e poi lei.
La donna strinse i denti, non che si aspettasse collaborazione da parte
di Stark, ma sperava almeno che Thor fosse più reattivo.
Invece l'asgardiano sembrava turbato e inquieto, come se pensieri
troppo ingombranti gli affollassero la mente.
Toccava a lei.
«Thanos vuole Loki, è per questo che ha attaccato
Asgard. Forse pensava di trovarlo lì, ma così non
è stato. Thor è venuto a cercarmi per chiedermi
di rintracciarlo», spiegò.
Stark osservò sorpreso Thor, evitando di chiedere a Khalida
come potesse essere in grado di fare una cosa del genere.
Evidentemente, quell'arma non era solo ciò che sembrava.
«Vuoi consegnarglielo?», domandò,
sollevando le sopracciglia. Per quanto approvasse una scelta del
genere, non era nello stile di Thor.
Il Dio del Tuono si trovò preso in contropiede, ma
l'occhiata penetrante che Khalida gli scoccò,
straordinariamente somigliante a quelle che Loki gli lanciava quando
voleva che lo supportasse in una delle sue tante bugie, lo costrinse ad
annuire. «È ora che Loki raccolga i frutti della
sua follia. Troppi innocenti ne hanno già fatto le
spese», disse, e la rabbia nella sua voce non era del tutto
simulata. In fondo, una parte di lui, la stessa parte che lo aveva
portato all'esilio sulla terra, lo pensava davvero.
Stark soppesò per qualche momento le parole del compagno,
poi sembrò arrivare ad una conclusione, e diede una pacca
sulle spalle di Thor con la mano fasciata nell'armatura. «Non
sarò certo io ad impedirti di fare una mossa tanto
saggia», disse.
«Ti ringrazio, Stark», disse Thor, sentendosi
improvvisamente a disagio. Quella bugia che Khalida aveva imbastito gli
pesava come un macigno sulle spalle.
Ansioso di andarsene, guardò Khalida, che annuì e
si lasciò afferrare nuovamente per la vita. Thor
alzò gli occhi al cielo, pronto a chiamare Heimdall.
«Non ci pensare nemmeno!», esclamò Tony,
attirandosi lo sguardo perplesso del Dio del Tuono.
«Vai fuori a farti teletrasportare dal vostro Guardone
asgardiano», ordinò, indicando le vetrate che
davano sul balcone.
«Sono stanco di farmi distruggere casa da tutti i psicopatici
di passaggio».
L'apertura del Bifrost causò un tremito che scosse la Stark
Tower, facendo sobbalzare una già nervosa Pepper, che
aspettava il ritorno di Tony torcendosi le mani.
Dopo gli ultimi eventi che avevano sconvolto la sua vita e quella di
Tony, molte cose erano cambiate dentro di lei. Ma di sicuro quell'ansia
per la sorte dell'uomo di cui era, suo malgrado, innamorata, non
sarebbe svanita mai. Era sempre stata parte di lei, da ancora prima che
Tony Stark diventasse Iron Man, quando era solo un'efficiente
assistente barra madre a tempo pieno.
L'ascensore emise un dlin
e le porte di metallo si aprirono.
Dall'espressione di Tony, Pepper capì che la vicenda
spiacevole era conclusa, e anche in modo relativamente pacifico.
Aspettò che Tony la raggiungesse sul divano, e si strinse a
lui, affondando il volto nell'incavo tra collo e spalla, respirando a
fondo.
«Non posso credere di averla colpita»,
mormorò.
Tony soffocò una risata.
«Tesoro, meno di un anno fa hai fatto a pezzi un terrorista
con le tue mani, direi che stai facendo progressi».
Pepper colpì con un lieve schiaffo il petto dell'uomo.
«Sei un cretino», mugugnò, offesa.
«Lo so, me lo dici spesso», stette al gioco Stark,
lasciando un lieve bacio tra i capelli della donna.
“Il GPS ha
perso il segnale, signore”, annunciò
Jarvis, interrompendo il momento di intimità.
Tony abbandonò la testa contro lo schienale del divano,
sbuffando. «Bé, ci abbiamo provato»,
brontolò.
Pepper gli fece una carezza sul volto. «I tuoi nuovi
trasmettitori non resistono ancora ai viaggi spaziali?»,
chiese. Sapeva che, da qualche tempo, Tony si stava adoperando per
rendere le proprie armature in grado di viaggiare nello spazio, o
quantomeno di resistere per qualche tempo. Aveva iniziato creando dei
piccoli trasmettitori GPS che inviava regolarmente fuori
dall'atmosfera. Evidentemente ne aveva messo uno anche sulla misteriosa
arma che Thor voleva, ma ancora una volta non aveva funzionato.
«No. Domani chiamerò Bruce. Dobbiamo rivedere i
calcoli e i materiali», sbuffò di nuovo Tony.
“Signore,
l'agente Coulson in linea per lei”, disse Jarvis.
Tony nascose il volto in un cuscino, masticando un'imprecazione.
«Digli che sto dormendo».
Pepper gli batté amorevolmente una mano sul ginocchio.
«Vado a prepararti un caffè»,
sussurrò, alzandosi.
“Signore, il
mio firewall è stato bypassato”,
comunicò Jarvis, e il suo tono robotico sembrò
quasi nascondere una risata.
“Stark,
abbiamo bisogno di lei”, iniziò Phil,
serioso come al solito.
«Fammi indovinare, è un codice cinque»,
scherzò Tony, ancora nascosto dietro il cuscino.
“No, stavolta
è un codice otto”, replicò
l'agente.
«E che significa?», sbottò il
miliardario.
La scala ufficiale dello S.H.I.E.L.D. non andava oltre il sette***.
“Significa:
'non sappiamo che diavolo sta succedendo ma non ci piace per
niente'”, rispose pacatamente Coulson ma nelle
sue parole c'era l'ombra di una battuta. “Adesso alzati da quel
divano, e porta le chiappe sull'Elivelivolo, prima di subito”,
concluse, chiudendo la conversazione con un lieve clic.
Stark sbuffò per l'ennesimo volta.
«Tesoro, quel caffè è meglio che lo fai
diventare un whisky, doppio!».
-------------------------------------------
* Non so se questa cosa posse essere credibile, dato che Stark conosce
Khalida, e i dati della sua memoria probabilmente vengono scaricati in
quella di Jarvis, prendetela un po'come una licenza poetica
** Riferimento ad una scena di Iron Man 2, in cui si vede Tony usare
una specie di prototipo dello scudo di Captain America per reggere
l'accelleratore di particelle home made con cui sintetizza il nuovo
nucleo del reattore Arc.
*** Non so se questa cosa esista, nel senso che in Avengers, Fury parla
di un codice sette e presuppongo che l'attacco di Loki sia quanto di
peggio si possa immaginare, per cui ho immaginato quel numero come
massimo della scala di emergenze.... se qualcuno vuole contraddirmi,
è libero di farlo.
Ok, lentamente la storia prosegue. Mi piace molto la parte
introspettiva di Thor in questo capitolo, perché mi apre la
strada per una conversazione tra lui e Khalida a cui tengo molto che si
svolgerà, se non cambio piani, nel capitolo 7. Ci sono
accenni importanti che verranno sviluppati nel corso di tutta la storia.
E così Khalida voleva Match, l'arma che Loki le aveva dato.
Cosa ne vuole fare esattamente lo scopriremo sempre nel capitolo 7.
Tengo molto alle vostre impressioni su questo capitolo, dato che
è la prima volta che do così tanto spazio a un
personaggio che non sia Khalida o Loki. Spero che non venga fuori un
pastrocchio XD
Sono soddisfatta dal fatto che, finalmente, la storia sta diventando
corale come volevo sin dall'inizio e forse riuscirò a dare
spazio un po'a tutti i Vendicatori.
Come ultima cosa, complimenti vivissimi a Black_Moody che ha
indovinato il motivo della visita a Stark di Khalida e Thor! Ha vinto
un banner per la sua divertente FF The
Majest Tale, che vi consiglio caldamente!
Ed è tutto.
Ora lascio a voi!
A presto,
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 6 - Come un incubo ***
Non
vi faccio attendere molto per questo capitolo, e non vi annoio oltre,
ci vediamo alla fine!
Buona lettura.
Ivy non era mai salita su un aereo, in vita sua non ne aveva mai visto
nemmeno uno a distanza ravvicinata, e la prospettiva di affrontare un
viaggio di durata imprecisata a bordo di un jet mastodontico, con i
motori grossi quanto la sua stanza, la impensieriva, ma solo un po'.
Come le piaceva dire a se stessa, aveva visto la terra aprirsi sotto di
lei e sbuffare fumo, inghiottendo tutto ciò che conosceva,
aveva trascorso tre giorni interi all'inferno, e ne era uscita viva per
miracolo.
Non c'era niente sulla Terra che potesse farle paura.
Più che timore, provava una sensazione di profonda
inquietudine, come in quegli incubi che non lo sono realmente, ma ti
lasciano addosso un'ansia difficile da cancellare.
Aveva fatto come Keira le aveva chiesto, e quando uno degli agenti, il
capo presumeva, le aveva detto di radunare le sue cose e seguirlo, lei
aveva ubbidito.
Strinse al petto l'orchidea preferita della madre, un raro esemplare
bianco screziato di blu*, e deglutì a vuoto dedicando un
lungo minuto a studiare il mezzo mastodontico i cui rotori emettevano
un lieve ronzio costante.
Aveva il fascino delle cose potenti, ma assomigliava più ad
un caccia d'assalto che a un mezzo di trasporto, e quel particolare la
diceva lunga sulla natura dell'agenzia per cui quegli uomini
lavoravano.
Coulson le aveva preso i bagagli dalle mani con fare quasi galante dopo
averla vista combattere per qualche minuto per tenere la valigia e la
pianta in equilibrio, e adesso la aspettava a pochi metri dal jet, lo
sguardo ben nascosto dagli occhiali da sole, nonostante mancassero
ancora ore all'alba.
«È sicuro signorina, non deve avere
paura», le disse, ma l'assenza di sorriso sulle sue labbra
non riuscì a dare alla frase il tono rassicurante che le
parole sottintendevano.
Ivy scosse la testa. «Non ho paura», disse con
orgoglio, «Solo che non ho mai lasciato l'isola»,
aggiunse, riuscendo finalmente ad identificare il motivo del suo
disagio.
Keira, anzi no, Khalida, le aveva promesso molte volte di portarla a
visitare New York, o un'altra delle tante città di cui
scriveva nei suoi articoli, ma alla fine quelle promesse erano rimaste
tali, e ora la ragazza ne comprendeva la ragione.
Benché avesse davanti l'opportunità di evadere
finalmente da Haiti, la prospettiva di lasciarsi alle spalle l'isola,
senza sapere quando sarebbe tornata, le sembrava più un
azzardo che un avventura eccitante. Quel lembo di terra in mezzo al
mare le aveva portato via tutto, ma era casa sua.
Coulson non fece commenti, con un cenno le comunicò di
procedere prima di lui.
Ai piedi del jet, l'agente lasciò i bagagli ad un ragazzo
dall'aria servizievole che dedicò ad Ivy un'occhiata
più lunga del necessario. La ragazza si sentì
arrossire, in mezzo a tutti quegli uomini vestiti di tutto punto, il
suo pigiama di Winnie Pooh stonava come una sasso in mezzo a un bel
prato, ma si sforzò di non abbassare lo sguardo.
Era una regola che si era auto imposta quando ancora viveva per strada.
Non sopportava che qualcuno la giudicasse, o che pensasse di poterle
tenere testa.
«Vuole lasciare anche quella?», le
domandò Coulson accennando all'orchidea che Ivy ancora
stringeva.
«Assolutamente no», sbottò con aria
quasi offesa.
L'uomo sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, ed
Ivy si sentì in dovere di chiarire. «Se le succede
qualcosa, Khalida mi ammazza».
Inaspettatamente, Coulson si lasciò scappare una lieve
risata che venne interrotta dal suo cellulare ultra piatto e ultra
tecnologico. Coulson ritornò serio e premette l'auricolare,
richiamando l'altro agente solo con un lieve movimento degli occhi.
Il ragazzo che poco prima aveva fissato Ivy la affiancò e le
cinse le spalle senza toccarla. «Venga con me, le faccio
strada», si offrì sorridendo.
Lei gettò un'occhiata a Coulson, ma l'uomo si era
già voltato per rispondere.
Sospirando, Ivy si lasciò accompagnare sul jet, continuando
a guardarsi alle spalle a intervalli regolari, come ad accettarsi che
Coulson fosse sempre lì.
“Cosa sa la
ragazza?”, domando Fury all'altro capo del
telefono.
Phil si massaggiò la radice del naso con fare stanco.
«Quello che ha visto e sentito. Ci dirà tutto
senza problemi, Khalida le ha raccomandato di collaborare»,
rispose l'uomo. «Cosa ha intenzione di fare con
lei?», chiese poi.
Fury respirò profondamente. “Lei la porti qui e
basta, agente”, dal suo tono, Phil
intuì che il Direttore era irritato.
Verosimilmente il fatto che Thor avesse preso quella deliberata
iniziativa, senza nemmeno avvisarli, lo aveva indispettito, oltre che
averlo messo in pericolo.
Se il consiglio fosse venuto a conoscenza che Khalida era ancora viva,
il direttore rischiava grosso.
«Nick è solo una ragazza**», si
sentì in dovere di dire Coulson.
“No,
è una risorsa. E ora faccia il suo dovere, e chiami a
raccolta la squadra”, concluse Fury, lasciando
cadere la connessione bruscamente, tanto che un fastidioso fischio
penetrò l'orecchio dell'agente.
Phil brontolò sottovoce, componendo il numero di Stark.
L'Elivelivolo era la cosa più maestosa e impressionante che,
Ivy ne era certa, avrebbe mai potuto vedere in tutta la sua vita.
Benché potesse essere definita un'astronave, la gigantesca
portaerei volante era decisamente terrestre, anzi palesemente
americana, anche se nessuna bandiera sventolava in bella vista.
«Si sieda signorina, e allacci la cintura, stiamo per
atterrare», la avvisò Coulson seduto di fronte a
lei.
Suo malgrado, Ivy ubbidì e volto le spalle
all'oblò, obbligandosi a chiudere la bocca.
Si allacciò la cintura tenendo sempre d'occhio la sua
preziosa orchidea.
Cercò gli occhi di Coulson, trovandoli attenti a lei, ma non
con sguardo invadente. Nonostante la freddezza e
professionalità che l'uomo emanava, c'era un che di gentile
nei suoi occhi.
«Da quanto tempo conosci Khalida?», gli chiese,
dandogli automaticamente del tu.
Non era abituata a parlare in tono formale, dato che nel suo villaggio
la conoscevano tutti.
Lui sembrò non notarlo. «Da un po'»,
replicò.
«Lavoravate insieme?», incalzò Ivy.
Stavolta l'occhiata di Coulson si fece penetrante. «Sono
informazioni riservate, signorina», la freddò, con
tono incolore. L'agente sembrò esitare per un attimo,
valutando la reazione della ragazza. «Cosa sa del precedente
lavoro di Khalida?».
Ivy raddrizzò le spalle e si mise sulla difensiva.
«Niente. Ho scoperto solo stasera il suo vero nome. Ma
dovreste saperlo, dato che ci controllavate».
«Lei non è mai stata sotto sorveglianza, signorina
Rushman», precisò Coulson, ben sapendo che non era
del tutto vero. Nella casa dove la ragazza viveva c'erano telecamere e
cimici dovunque e, anche se il suo telefono non era controllato, tutto
il resto della sua vita insieme a Khalida Sabil si era svolto sotto gli
occhi attenti dello S.H.I.E.L.D.
«Chiamami Ivy», sbottò lei, irritata al
suono del suo nuovo cognome, che aveva scoperto essere solamente una
copertura. L'ennesima finzione, in una vita che ormai credeva reale.
Il jet sobbalzò violentemente, mentre atterrava sulla pista
ingombra di velivoli similari.
Ivy non fece una piega, mascherando l'inquietudine con un'espressione
apatica e chiusa.
Coulson nascose un sorriso.
«Seguimi Ivy».
Bruce era nervoso, come dimostrava il continuo tintinnare della matita
che stringeva tra l'indice e il medio contro il tavolo di metallo.
Anche se lo S.H.I.E.L.D. aveva già chiesto il suo aiuto in
diverse occasioni negli ultimi tre anni, l'ultima volta in cui era
salito a bordo dell'Elivelivolo risaliva a quando l'aveva quasi fatto
precipitare, e quell'ambiente lo metteva a disagio.
Davanti a lui, Steve Rogers sembrava scrutare le sue reazioni con
malcelato interesse.
Da quando erano stati accompagnati in quella sala riunioni si erano
scambiati solo poche parole di cortesia, e ora il silenzio stava
diventando lievemente imbarazzante.
Da diversi mesi non si vedevano, e Bruce osservò che non
aveva niente di cui parlare, nonostante sapesse che il periodo appena
trascorso doveva essere stato difficile per il compagno***.
Non era mai stato molto bravo a farsi, né a tenersi, degli
amici, anche prima dell'arrivo dell'Altro.
«Ha idea del perché di questa
convocazione?», domandò improvvisamente Steve,
cambiando posizione sulla sedia.
Bruce si tolse gli occhiali e li appese al taschino della camicia.
«No. Era qualche mese che Fury non si faceva
sentire».
Rogers incrociò le braccia al petto. «Questa cosa
non mi piace. Perché qui ci siamo solo noi due?»,
domandò di nuovo, più rivolto a sé
stesso che all'uomo davanti a lui.
La porta alle spalle del Capitano si aprì e l'agente Hill
fece qualche passo all'interno della stanza.
«Perché Stark è sempre in ritardo, e
gli agenti Romanoff e Barton hanno già l'autorizzazione per
conoscere quello che vi sto per comunicare», disse, rivolta
al Capitano Rogers.
Questi la guardò con fare lievemente sospettoso.
«A cosa si riferisce, agente Hill?», chiese Bruce,
con un familiare fastidio alla punta delle dita.
Era come se avesse sviluppato una sorta di reazione allergica agli
atteggiamenti da cospirazione che molti agenti dello S.H.I.E.L.D.
ostentavano, quando si rivolgevano a lui. Quel parlare inutile di
autorizzazioni e informazioni riservate lo irritava, e non poco. E
ormai ogni agente di quella base avrebbe dovuto sapere che irritarlo
non era affatto una mossa intelligente.
L'agente Hill guardò lo scienziato negli occhi.
«Respiri Dottore», gli intimò,
impassibile ma un luccichio nei suoi occhi rivelava un sorriso
nascosto. «Per adesso non c'è nessuna
emergenza», aggiunse, poggiando sul tavolo i fascicoli che
teneva in mano. Con un gesto fluido ne porse una copia ad entrambi gli
uomini, sedendosi contemporaneamente sull'unica sedia rimasta libera.
Con cautela, quasi si trattasse di un ordigno da disinnescare, Steve
aprì il fascicolo.
Sorpreso, lo sfogliò in fretta, imitato da Bruce.
Il Dottore mostrò, con le sopracciglia aggrottate, la foto
che ritraeva Khalida Sabil nella sua divisa dell'esercito israeliano.
«Cosa c'entra lei, ancora?».
«Non è morta, Bruce», rispose Steve,
continuando a leggere superficialmente i documenti che aveva di fronte.
Stark l'aveva detto subito che la scomparsa di Khalida puzzava, ma lui
non lo aveva ascoltato, nessuno di loro lo aveva fatto. L'idea che
almeno un capitolo di quella storia da dimenticare fosse stato chiuso
per sempre, era una convinzione troppo allettante per essere scacciata.
Ad un certo punto, chiuse di scatto la cartellina, e fissò
Maria Hill negli occhi azzurri. «Quando pensavate di
dircelo?», chiese, anche se in realtà stava
parlando solo per sé stesso.
Credeva sinceramente che, dopo tutto quel tempo, Fury si fidasse di
lui. Era sempre stato un soldato diligente, fedele e pronto ad eseguire
gli ordini, e non credeva di meritarsi di essere escluso.
“Lui
è LA spia, i suoi segreti hanno segreti”.
Per quanto detestasse ammetterlo, Stark aveva avuto dannatamente
ragione.
Non importava quanto poteva essere leale, Fury non l'avrebbe mai
considerato suo pari.
Steve provò un'improvvisa voglia di massaggiarsi le tempie.
Ormai non era più nemmeno un soldato, lo sapeva bene.
Ciò che era stato, i suoi valori, erano ancora congelati in
quei ghiacci che l'avevano custodito per decine di anni.
Eppure, per quanto potesse sentirsi ferito, avrebbe continuato a fare
il suo dovere.
Senza quelle missioni, veniva meno lo scopo stesso della sua esistenza.
Senza Captain America, Steve Rogers era solo uno scherzo della natura,
trapiantato in un luogo che non era suo e non lo sarebbe mai stato.
Negli occhi fermi dell'agente Hill passò un lampo veloce di
comprensione. «Probabilmente mai. Ma l'iniziativa di Thor ci
ha costretto a farlo», ammise, senza rimorsi, o aria di scusa.
«Thor?», fece Bruce, che iniziava a capire, molto
lentamente, in che storia lo S.H.I.E.L.D. l'aveva infilato, di nuovo.
Per quanto provasse simpatia per quel grosso armadio dal cuore d'oro
che era Thor, aveva già capito che quando c'entrava Asgard i
problemi si trasformavano in potenziali catastrofi universali.
Lo dimostrava il fatto che una lite tra fratelli aveva raso al suolo
una cittadina, e poi distrutto mezza New York.
In quel pianeta dovevano avere un concetto molto relativo della misura.
L'agente Hill annuì appena.
«Poco dopo la mezzanotte, Thor si è presentato in
compagnia dei suoi compagni asgardiani presso l'abitazione di Khalida
Sabil. Non sappiamo ancora i motivi precisi della sua visita,
né quali siano le sue intenzioni...»,
iniziò, ma un familiare sferragliare le fece morire la voce
in gola.
Subito dopo, Tony Stark fece la sua comparsa, sfavillante nell'armatura.
«Avete iniziato la festa senza di me?»,
domandò, ammiccando, mentre l'armatura iniziava a ritirarsi
a partire dai polpacci.
Steve alzò gli occhi al cielo. «Come
può essere una festa, senza di te?», fece, con
sarcasmo.
Il miliardario batté le mani e le sfregò l'una
sull'altra. «Lo vedi che stai imparando?»,
esclamò, con allegria, salutando Bruce solo con un cenno
della mano. Tra cigolii e schiocchi metallici, la Mark-50 si
condensò in una sfera poco più piccola di un
pallone da basket. Con un lieve movimento del piede, Tony la fece
rotolare in un angolo.
Maria Hill fece una smorfia, irritata come al solito dall'egocentrismo
del miliardario.“Agente
Hill, Stark è arrivato”, le
comunicò uno dei suoi sottoposti all'auricolare. “Me ne sono
accorta”, masticò, a bassa voce. “Grazie per il
tempismo”, aggiunse, chiudendo la comunicazione.
«Immagino sia per lei, che mi avete chiamato»,
iniziò Stark, accennando ai fascicoli aperti.
L'agente Hill lo fissò aggrottando le sopracciglia.
«Sapeva che è viva?».
«Oh, certo, dato che si è presentata a casa mia
meno di un'ora fa, e non per bere un tè, se capite quello
che intendo», replicò Stark, con fare colloquiale.
Steve e Bruce si scambiarono un'occhiata a metà tra il
perplesso e il preoccupato.
«Cosa voleva da lei?», domandò l'agente
Hill.
Stark si guardò intorno poi, notando l'assenza di sedie o
sgabelli, si sedette direttamente sul tavolo, dando le spalle a Steve e
ammiccando in modo scherzoso verso l'agente Hill.
«Quello che vogliono tutte le donne, da me»,
scherzò.
Steve si lasciò sfuggire un gemito frustrato. «Se
sei venuto qui a dare mostra del tuo ego invece che fare chiarezza su
questa storia assurda, io me ne vado», sbottò,
facendo il gesto di andarsene.
Tony sollevò un sopracciglio. «Nervoso, Capitan
Simpatia?», infierì.
«Basta, Tony!», esclamò Bruce.
«Sii serio per una volta», aggiunse, e la sua voce
era molto meno diplomatica del solito.
Stark incrociò le braccia al petto, dedicando un lungo
sguardo ai suoi compagni.
Avevano bisogno di una donna, tutti e due. Ancora un po' e rischiavano
di annegare nel loro stesso testosterone. Appuntandosi mentalmente di
provvedere al più presto, Stark si lanciò in un
dettagliato resoconto di ciò che era avvenuto alla Stark
Tower.
«Quindi Riccioli D'Oro e la Sposa di Satana sono partiti alla
ricerca del Piccolo Cervo, mano nella mano, verso la seconda stella a
destra e poi dritti fino al mattino», concluse Stark,
sorridendo per la sua stessa battuta.
Maria Hill ignorò la voglia improvvisa di usare la pistola
di ordinanza in modi impropri per togliere quell'espressione dalla
faccia di Stark. Premette un tasto sull'auricolare. “Ha
sentito Direttore?”, chiese.
La voce di Fury suonò lontana. “Proceda come
stabilito. Io mi occuperò della ragazza, Coulson degli
scienziati”.
“Ricevuto”,
mormorò l'agente Hill.
Sospirando appena, la donna afferrò un piccolo tablet molto
sottile.
«La prego, signor Stark, potrebbe ripetere dall'inizio? E se
lo facesse senza l'ausilio di soprannomi improbabili, gliene sarei
molto grata».
Jane si strinse nel golfino, cercando di scacciare il gelo che le si
era insinuato sotto la pelle.
Il bocchettone dell'aria condizionata alle sue spalle
continuò a buttarle addosso folate di aria fredda, incurante
del suo fastidio.
«Jane, cara. Rilassati», le mormorò
Erik, seduto accanto a lei.
Lei sbuffò, passandosi una mano tra i capelli castani.
«Siamo in questa stanza da quasi un'ora. Cosa diavolo
vogliono ancora da me?», sbottò, irritata.
Era stanca che agenti dello S.H.I.E.L.D. si sentissero in diritto di
svegliarla a qualsiasi ora e di metterla su un'auto, o su un aereo, a
loro piacimento.
«Ma come fai a lavorare per loro?»,
continuò la scienziata, brontolando un'imprecazione in
norvegese che aveva imparato nel periodo in cui aveva lavorato a Tromso.
Erik Selvig ridacchiò. «Oh, se avessi visto il
nuovo laboratorio, capiresti immediatamente il
perché», scherzò, poi
osservò con tenerezza Jane mordicchiarsi un'unghia con
insistenza.
«Cosa ti preoccupa veramente?».
Jane scrollò le spalle. «È solo una
sensazione», si schermì.
«Pensi che tutto questo abbia a che fare con
Thor?», indagò Selvig.
«È l'unica cosa che mi rende interessante agli
occhi dello S.H.I.E.L.D.», ammise controvoglia la donna,
continuando a mordicchiare a sangue la pellicina che era riuscita a
sollevare.
Selvig la fissò negli occhi. «Non sminuirti. Gran
parte del mio lavoro qui è basato sulle tue teorie. Sei
un'astrofisica di grande talento».
Jane abbozzò un sorriso imbarazzato, che interruppe a
metà appena vide un movimento al di là della
porta di vetro smerigliato che aveva di fronte. Pochi secondi dopo,
Phil Coulson fece il suo ingresso nella stanza.
«Buonasera signorina Foster, Dottor Selvig»,
salutò educatamente l'uomo, prima di sedersi davanti ai due
scienziati.
Jane fece un involontario sospiro di sollievo. Phil non le stava
esattamente simpatico, ricordava ancora troppo bene quando le aveva
portato via tutte le sue ricerche senza nemmeno battere ciglio, ma
almeno era l'agente S.H.I.E.L.D. che più sopportava.
Cercando di mantenere un contegno algido e offeso, Jane
incrociò le braccia al petto. «Di cosa ha bisogno,
agente Coulson?».
Phil, divertito dall'espressione ostentatamente scocciata della donna,
nascose un sorriso togliendosi gli occhiali da sole. «Da
quanto non ha notizie di Thor, signorina Foster?».
Jane scoccò un'occhiata ad Erik come a dire “cosa ti avevo
detto?”, ma rispose subito. «Ormai
sono tre mesi».
Coulson annuì, come a confermarle che la risposta era
corretta. «Ha modo di contattarlo?».
Jane aggrottò le sopracciglia. «Ovviamente no,
come non l'avete voi», l'irritazione di Jane si
trasformò ben presto in ansia. «Cosa è
successo?».
Phil esitò solo un attimo, poi riferì brevemente
quello che sapevano essere accaduto ad Asgard.
Jane ci mise qualche minuto a tornare a respirare normalmente, sentiva
gli occhi pizzicare e non riusciva a capire esattamente per cosa.
Forse era rimpianto di non poter essere accanto all'uomo che amava in
un frangente così difficile, ma ben presto comprese che quel
groppo in gola derivava dalla frustrazione. Thor non l'aveva cercata in
un momento simile, non si era nemmeno fatto vedere, e questo l'aveva
ferita.
Immediatamente dopo, si sentì un'egoista per averlo anche
solo pensato.
Ma il groppo in gola rimase lì.
Erik le prese una mano, sciogliendole il pugno contratto.
«Possiamo fare qualcosa?», chiese lo scienziato.
Phil annuì. «Il Direttore vorrebbe che proseguiste
con il progetto “Terra-Asgard”».
Selvig mostrò la sua sorpresa sgranando gli occhi.
«Non era stato definitivamente accantonato?».
«Ora potrebbe esserci davvero molto utile per capire
ciò che sta succedendo», spiegò Phil,
poi guardò Jane negli occhi. «Abbiamo bisogno
anche delle sue competenze, signorina Foster».
Per un attimo, il cervello di Jane rimase fermo, incantato in una sorta
di loop, in cui senso di colpa e delusione si rincorrevano. Erik le
strinse leggermente la mano, come a darle coraggio, e qualcosa
scattò nella sua testa, la stessa cosa che l'aveva spinta ad
accompagnare Thor a recuperare il Mjolnir tempo prima.
Poteva fare qualcosa, forse di insignificante, ma pur sempre qualcosa,
per aiutarlo, e se lo sarebbe fatto bastare.
Ricambiò lo sguardo di Phil con determinazione.
«Quando cominciamo?».****
La porta si chiuse con uno scatto secco.
Il suono rimbalzò sulle pareti di metallo e si
fermò al centro del petto di Ivy, aumentando la sua ansia.
Sforzandosi di contenerla, sollevò gli occhi dalle proprie
mani intrecciate in grembo e scrutò il nuovo arrivato.
Era un uomo a cui non avrebbe saputo dare un'età precisa,
completamente vestito di nero, pantaloni di pelle, maglietta aderente a
maniche corte e una fondina ben in mostra sotto l'ascella sinistra.
Particolare interessante, uno degli occhi era nascosto da una benda,
sempre nera.
Di sicuro l'allegria non era il suo forte, pensò Ivy, ma si
morse la lingua, imponendosi di assumere un'aria seria e composta,
nonostante l'assurdità della situazione.
La sensazione di essere sprofondata in un brutto sogno fuori dagli
schemi aumentò improvvisamente.
«Signorina Rushman...», iniziò l'uomo,
portando le mani davanti allo stomaco. Reggeva un voluminoso fascicolo
carico di fogli e carta più spessa che poteva essere
fotografica, dal modo in cui rifletteva la luce.
«Ivy», lo interruppe lei, istintivamente.
«A quanto pare, nemmeno quello è il mio
cognome», non riuscì a trattenersi e la sua voce
risuonò più accusatoria di quanto volesse.
L'uomo non si scompose. «Il suo cognome è
perfettamente legale, signorina Rushman», precisò,
prima di scostare la sedia e accomodarsi di fronte a lei.
Il fascicolo rimase chiuso, ma lo stesso Ivy tentò di
sbirciarlo. Riuscì solo a cogliere un nome, “Khalida
Sabil”, e alcune cifre, 01325, forse un numero
di matricola.
Realizzò immediatamente che, dentro quella cartellina,
c'erano le risposte che desiderava.
La vita della donna a cui voleva bene come una madre e che le aveva
insegnato molto di più di quello che un genitore normalmente
faceva, la spiegazione agli incubi che tormentavano Khalida quasi ogni
notte e a cui lei assisteva spesso impotente.
Tutto era dentro quei pochi centimetri di carta.
Fury intercettò il suo sguardo famelico e
allontanò il fascicolo, freddandola con uno sguardo
penetrante.
«Sono il Direttore Nick Fury», si
presentò l'uomo.
Ivy aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di ricordare dove
avesse già sentito quel nome.
Oh. Porca. Vacca.
Sillabò tra i pensieri, quando i neuroni giunsero ad una
conclusione.
Quello era l'uomo più misterioso, e probabilmente potente,
dell'intera nazione, se non del pianeta. Colui che conosceva ogni
più piccolo e sporco segreto di ogni persona che contasse
qualcosa sulla Terra. Ma che diceva, probabilmente anche nell'universo
intero.
Si impose di rimanere indifferente. Mai fare capire ad una persona del
genere di Fury che sai chi è e cosa potrebbe farti e,
soprattutto, che venderesti l'anima per farti raccontare anche solo un
aneddoto divertente sugli Avengers, anche se dubitava che Fury
conoscesse il significato esatto della parola divertimento.
«Cosa posso fare per lei?», domandò Ivy,
con fare educato e distaccato al contempo.
«Solo rispondere a qualche domanda, signorina».
Ivy incrociò le braccia al petto.
«Spari».
Fury sembrò leggermente sospettoso, ma per uno che faceva il
suo mestiere doveva essere l'espressione d'ordinanza. «Bene,
iniziamo dai motivi della comparsa di Thor».
Ivy sospirò. «Non so molto. Quando ho visto quella
combriccola assurda nel mio giardino, sulle mie rose, sono
svenuta. Quando ho ripreso i sensi Khalida aveva già deciso
di aiutare Thor a trovare una persona».
«Chi?», chiese Fury, conoscendo già la
risposta, ma volendo avere conferma.
«Un certo Loki», rispose Ivy.
Fury annuì appena. «Ha sentito altro?».
«Thor ha fatto un altro nome, Thanos. Ha detto che questo
tizio ha ucciso sua madre, e che Loki avrebbe potuto essere interessato
a vendicarla», ricordò Ivy, fermandosi spesso,
incerta sulle parole esatte, seguendo il filo della conversazione
smozzicata che aveva ascoltato nascosta dietro la finestra.
Fury sospirò pesantemente. Non c'era voluto molto per
smontare la storia improbabile che Khalida e Thor avevano raccontato a
Tony.
Altro che consegnare Loki a Thanos, Thor era ancora intenzionato a
proseguire nella sua filosofia natalizia “siamo tutti
più buoni, compreso il fratello adottato omicida e
latitante”.
«Tutto bene, Direttore?», chiese Ivy, con tono
lievemente sarcastico.
Non era possibile che avesse turbato Fury con le sue rivelazioni,
qualcosa le aveva fatto intuire che l'uomo le aveva posto domande di
cui conosceva già la risposta, ma si concesse comunque un
breve momento per crogiolarsi nell'idea.
Fury la guardò come se fosse diventata improvvisamente
invisibile. «Chiamerò un agente che la
scorterà al suo alloggio, signorina», concluse,
alzandosi.
Improvvisamente Ivy sentì un brivido freddo lungo la
schiena. «Cosa ne sarà di me?», chiese,
in un filo di voce appena udibile.
Fury non la guardò. «Resterà qui
finché non faremo chiarezza su questa storia. L'agente
Coulson si occuperà di lei». La porta si
aprì inondando la stanzetta della luce al neon intensa del
corridoio. «Non si muova da questa stanza, finché
non verranno a prenderla», intimò Fury, con un
tono che ad Ivy parve quasi una minaccia.
Questa volta la porta si chiuse senza emettere un suono.
Sospirando, Ivy si mosse incerta sulla sedia.
Naturalmente Fury si era riportato dietro il fascicolo e con esso anche
l'ultima speranza di sapere di più su quella storia.
Stropicciò con foga il bordo della maglietta, cercando
freneticamente una soluzione.
I suoi pensieri vennero interrotti da alcune voci che, attraverso le
pareti, penetrarono il pesante silenzio della stanza.
Istintivamente, Ivy si alzò e con cautela
avvicinò la porta, tendendo l'orecchio.
Le voci rimasero confuse, per cui la ragazza decise di aprire la porta,
giusto qualche centimetro, per sentire meglio.
Ciò che vide, la lasciò senza fiato per un lungo
momento, tanto da farle credere di avere le allucinazioni per la
stanchezza.
Tony Stark, sì quel
Tony Stark, Steve Rogers, alias Captain America, e Bruce Banner, al
secolo Hulk, erano solo a pochi metri da lei.
Discutevano tra loro, sicuramente di Khalida e Thor, perché
riuscì a cogliere i nomi di entrambi.
«Questa faccenda riguarda Asgard», stava dicendo
Steve Rogers.
«Non ci metterei la mano sul fuoco. Ultimamente la famiglia
reale asgardiana ha la brutta abitudine di lavare i panni sporchi sulla
Terra», osservò Stark.
«Anche se fosse, da qui possiamo fare molto poco»,
commentò il Dottor Banner, passandosi una mano sulla nuca,
con fare stanco.
Solo allora Ivy notò che tutti e tre tenevano in mano un
fascicolo del tutto identico a quello di Fury.
Un pensiero allettante e pericoloso le si affacciò alla
mente.
Per anni era stata una scippatrice provetta, le erano riusciti colpi al
limite dell'impossibile, e quella nuova opportunità era
semplice come bere un bicchiere d'acqua, per una della sua esperienza.
Nessuno dei tre uomini l'aveva vista ed avevano tutti l'aria di essere
appena stati buttati giù a calci dal letto, a parte Captain
America che appariva riposato come una rosa.
Le ci sarebbero voluti esattamente cinque secondi per scattare in
avanti, sfilare il fascicolo dalla mani di uno di loro e poi correre
verso il fondo del corridoio dove intravedeva le porte metalliche di un
ascensore aperto. Avrebbe potuto infilarsi lì dentro e
concedersi almeno qualche minuto per leggere in pace, prima che
qualcuno venisse a prenderla per i capelli.
Una familiare scarica di adrenalina le comunicò che aveva
già deciso.
Mentre riempiva i polmoni d'aria e determinazione, sperò
solamente che non mandassero Hulk a riprenderla.
Un lieve spostamento d'aria sbuffò sulla nuca di Tony.
Il miliardario si voltò appena e contemporaneamente le sue
mani si alleggerirono dal peso del fascicolo di Khalida. Con la coda
dell'occhio, appena un presentimento, intuì un forma minuta
vestita di giallo canarino e con i capelli scarmigliati. Ci mise pochi
istanti a realizzare, insieme ai suoi compagni, che quella sottospecie
di pulcino gli aveva appena sfilato un documento top secret dalle mani
con incredibile naturalezza.
«Hey, fermati!», esclamò Rogers, il
primo a reagire di loro tre.
Il ladro era incredibilmente veloce, e Tony e Steve partirono con
qualche secondo di ritardo, dovuto alla sorpresa. Quando la ragazza,
sì perché i capelli erano decisamente femminili,
era quasi giunta in fondo al corridoio, Natasha Romanoff
sbucò inaspettatamente dalla curva a gomito che portava
all'area adiacente della base.
«Natasha, fermala», urlò istintivamente
Steve.
La Vedova Nera non ci pensò più di tanto, con un
semplice movimento del busto si intromise tra l'ascensore e la ragazza,
afferrandole gli avambracci. Nella foga della corsa, le due finirono
all'interno dell'ascensore, e nonostante Ivy si dibattesse come
un'anguilla, Natasha la tenne ferma contro la parete senza apparente
sforzo.
Solo quando si accorse della freccia che un altro uomo le puntava
contro il viso, smise di muoversi.
Improvvisamente spaventata, spostò lo sguardo velocemente
sui volti perplessi che la fissavano come se fosse appena uscita da un
circo di fenomeni da baraccone.
I Vendicatori per un attimo non seppero che fare, con quella ragazzina
spaventata e con gli occhi lucidi tra le mani.
«E tu chi diavolo sei?», sbottò Tony.
------------------------------------------
* riferimento al capitolo 4 di Spie, in cui Khalida paragona Loki alle
orchidee
** qualcuno (Sayuri XD) mi ha fatto notare che normalmente Coulson si
rivolge a Fury chiamandolo "capo", ma qui, presuppongo un avanzamento
di grado di Coulson nei ranghi dello SHIELD, dopo la sua mancata
"morte" e quindi anche una confidenza maggiore tra Fury e Phil.
*** nel
mio immaginario, questi eventi, si svolgono sia dopo Iron Man 3 che
Captain America: The Winter Soldier
**** immancabile citazione del trailer di Thor: The Dark World. Far
citare Loki a Jane è un giochino che aspettavo di fare da
tempo, ed adesso mi sono tolta una soddisfazione.
Ci sono capitoli che mi fanno penare, altri invece, come questo, che si
scrivono da soli, e che vanno un po'dove vogliono. all'inizio questo
"triplo interrogatorio" non doveva svolgersi così, ma poi la
penna è partita, Tony ed Ivy hanno iniziato a fare come
volevano e io li ho lasciati andare.
Spendo solo qualche parola per Jane. Non è un mistero che
sia un personaggio antipatico alla maggioranza del fandom. Io al
contrario, la ritengo un personaggio interessante, penalizzato dalla
sceneggiatura frettolosa del film Thor. per quanto, personalmente,
consideri stupida la storia d'amore tra Jane e Thor (stupida
perché non credo che abbia basi solide o futuro) non posso
dire che non la ritenga comunque una scelta molto coraggiosa, e Jane,
nonostante tutto, è un personaggio coraggioso, nella sua
umanità. Un personaggio a cui sicuramente darò
più spazio in futuro.
Ok, questo è un capitolo un po'di passaggio, insieme al
prossimo sarà l'ultimo di "introduzione", poi dall'8
cominceremo a fare sul serio, e si cominceranno ad intuire di
più le motivazioni che spingono Khalida.
Ormai posso affermare con sicurezza che Loki tornerà nel
capitolo 9, e vi prometto che dopo non ce le leveremo più di
torno XD
A presto,
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 7 - Come il veleno ***
Sono in ritardissimo, ma questo capitolo ci ha
messo molto a delinearsi nella mia mente. Stiamo per avvicinarsi al
clou della storia, e quindi sentivo la necessità di
delineare con chiarezza tutte le sottotrame che intendo affrontare
(quanti paroloni per dire che ho avuto poco tempo per scrivere XDXD)
Comunque spero che sia valsa la pena, buona lettura, ci vediamo alla
fine...
La nebbia si avviluppava lentamente intorno alle gambe dei soldati,
solida e concreta come centinaia di serpenti traslucidi, rendendoli
inquieti e rumorosi.
Malekith dedicò un lungo sguardo alle proprie truppe,
stipate nella gola il cui nome ormai era stato dimenticato nei lunghi
anni di degrado, l'angolo più buio di tutto il pianeta. Uno
dei pochi luoghi dell'universo in cui lo sguardo dorato di Asgard non
poteva giungere.
Un sorriso inquietante e soddisfatto ferì il volto dalla
pelle scura, rendendo più evidenti le cicatrici ornamentali
che lo solcavano.
«Non essere così compiaciuto, Elfo»,
sibilò la voce cavernosa del Chitauro alle sue spalle.
Malekith non si voltò.
«Perché affermi ciò,
mostro?»,
chiese, calcando sull'epiteto che amava utilizzare,
per riferirsi al comandante in carica dell'esercito di creature a
metà tra macchine ed esseri viventi.
Per un guerriero come Malekith, che affondava le radici del proprio
potere nella forza bruta e nella semplicità della violenza,
diavolerie tecnologicamente avanzate come i Chitauri e le loro armi
erano semplicemente fonte di preoccupazione.
Più un grattacapo che un reale vantaggio.
Eppure aveva dovuto accettare l'alleanza con il Signore Rosso e il suo
esercito di macchine.
Dopo anni di tirannia, Asgard aveva reso il suo popolo l'ombra di
ciò che era stato, vicino alla più umiliante
delle estinzioni.
L'Elfo Oscuro trattenne un ringhio di rabbia e disprezzo.
Odino aveva ripagato anni di servizio fedele, di sangue versato e vite
spezzate con un governo duro e spietato.
E per ripagare quale torto?
Solo la legittima richiesta di indipendenza di un popolo fiero che
meritava qualcosa di più di una vita all'ombra ingombrante
di Asgard. Era stato lo stolido rifiuto del Padre degli Dei a
trasformare quella richiesta in una cruenta rivolta che gli eserciti di
Asgard avevano affogato nel sangue degli Elfi, sterminando la famiglia
reale.
L'unico sopravvissuto era stato il suo antenato, che portava il suo
stesso nome. Lui, che insieme alla sua forza, gli aveva trasmesso anche
l'odio più puro e viscerale per qualsiasi cosa che
provenisse da Asgard, desiderando solamente cancellare per sempre
quella luce perfetta che ne proveniva.
E adesso, grazie anche a quell'esercito di mostri, aveva la
possibilità di rendere il suo desiderio, la sua brama,
realtà.
Non capiva proprio perché non avrebbe dovuto essere
soddisfatto.
«Perché è stata la spavalderia, a far
crollare il tuo predecessore», rispose con calma serafica il
Chitauro, l'espressione di scherno nascosta dall'ingombrante elmo
dorato.
Lo spadone ricurvo di Malekith minacciò la gola della
creatura, costringendola contro il muro.
«Come osi paragonarmi a quella feccia asgardiana?»,
sibilò, spuntando le parole come un cobra sputa il veleno.
«È ciò che sei», intervenne
la voce cavernosa di Thanos, alle loro spalle.
I suoi passi, pesanti come macigni, risuonarono per la conca,
acquietando la massa agitata dell'esercito. Malekith lasciò
andare il Chitauro con un scatto e, schiumando di rabbia,
fronteggiò il Titano, ancora con la spada in pugno.
Lo sguardo di ghiaccio di Thanos spense in fretta il suo furore.
Un mezzo sorriso affiorò sulle labbra del Titano.
«Devi imparare, giovane Principe, dagli errori di chi
è venuto prima di te», lo ammonì, con
il fare saggio di un mentore che rimbrotta un allievo cocciuto.
Malekith ingoiò le proteste, e si affrettò a fare
un cenno d'assenso.
«Che novità mi porta, mio signore?»,
domandò, senza adulazione, ma con reale rispetto.
Gli Elfi Oscuri non erano esseri privi di onore, e sapeva riconoscere i
meriti di guerrieri capaci. Thanos era il primo individuo che si
interessava alla sua sorte, e di questo gli era, intimamente,
riconoscente.
«Il nostro contatto non ci ha ancora comunicato alcun
cambiamento», espose tranquillamente il Titano.
Malekith trattenne la delusione. «Quando agiremo?».
«Non appena il Portatore sarà giunto ad
Asgard», replicò Thanos, poi gettò un
lungo sguardo penetrante alla massa informe dell'esercito, che aveva
ripreso a muoversi, agitata come onde del mare. «Allora,
potrete placare la vostra sete di vendetta»,
esclamò a voce alta, scatenando un boato d'esultanza tra i
soldati, che picchiarono le lance sul terreno e le spade contro gli
scudi di metallo. «Ora vai dai tuoi soldati, Elfo»,
concluse Thanos, congedando il Principe con un vago gesto della mano.
Quando Malekith si fu allontanato abbastanza, il Chitauro
soffiò tra i denti, in un sibilo simile a quello di un gatto
infastidito. «Quando avrò il permesso di
ucciderlo?», chiese.
Thanos ghignò. «Non ne avremo bisogno. Ci
penserà la sua vendetta a spingerlo tra le braccia della
Morte», mormorò, poi accennò
all'esercito radunato sotto di loro. «Sono sempre di
più», commentò.
«Continuano ad arrivare», confermò il
Chitauro. «Saranno perfetti per distrarre Asgard dal vostro
vero obiettivo».
«Taci», intimò Thanos, improvvisamente
solenne. «Non è ancora il momento. Per prima cosa,
il Tesseract», precisò.
La Morte pochi passi avanti a lui, sorrise, felice e spietata.
«L'universo
sarà mio, per sempre».
Asgard non era cambiata da come Khalida la ricordava.
L'improvvisa e violenta dipartita della sua Regina non aveva scalfito
la bellezza immutabile della Città Eterna. Per i suoi
abitanti, invece, le cose erano decisamente differenti.
A parte il Guardiano, Heimdall, sfavillante nella sua armatura dorata,
ogni singolo asgardiano che incrociava la sua strada e quella di Thor
era vestito a lutto, dal più nobile all'umile serva.
Il mantello scarlatto del Dio del Tuono feriva quell'assenza di colore
come una macchia di sangue troppo indelebile per essere lavata via.
Per la prima volta Khalida si fermò a riflettere sui motivi
che avevano spinto Thanos ad agire in quel determinato modo.
Era ovvio che volesse stanare Loki, scatenando la sua ira, privandolo
dell'unica persona per cui il Dio non provasse l'odio viscerale che
riservava ad Odino, Thor e all'intera corte di Asgard. Ma l'intento del
Titano era più profondo.
Attaccando Asgard, ferendola in profondità, provando la
vulnerabilità del suo stesso sovrano, Thanos puntava anche a
mettere in ginocchio l'intera Città Eterna.
Per cui era ovvio che il primo attacco si sarebbe presto ripetuto, e
questa volta l'esercito di Elfi di Thanos non si sarebbe limitato ad
una scaramuccia.
Khalida fissò la schiena di Thor, diversi passi avanti a lei.
Il Dio del Tuono non si poteva certo definire un tipo brillante, ma la
donna era certa che avesse compreso il piano del suo nemico, dato che
la lingua della guerra era quella con cui era cresciuto, e proprio per
quello in quel frangente sapeva di potersi fidare di lui.
Khalida accelerò il passo, faticando a stare al passo con
l'asgardiano.
Al loro arrivo, Heimdall aveva comunicato, non senza un'ombra di
sollievo nella voce monocorde, che Odino si era risvegliato dal suo
Sonno e che, sebbene ancora troppo debole per sedere sul trono,
attendeva entrambi nei suoi alloggi.
Thor si stava trattenendo a stento dal correre, animato da un sollievo
purissimo.
Ora che Padre era nuovamente in salute, si sentiva più
sicuro, e quel peso sul petto diventava di minuto in minuto
più leggero. La sua decisione gli appariva migliore,
più giusta, certo che Odino sarebbe stato fiero di lui.
La mano di Khalida scattò all'improvviso, afferrandogli un
polso con vigore. «Non sono veloce come te», lo
ammonì, costringendolo a fermarsi.
Come risvegliandosi da un sogno, Thor annuì, sentendosi
nuovamente in colpa.
Non era mai stato bravo a comprendere i sentimenti dei propri compagni.
Osservò Khalida. Ansimava leggermente, la pelle coperta di
sudore nonostante la temperatura gradevole. Le dita della mano destra
stringevano convulsamente l'arma, che emetteva un vago bagliore azzurro
lungo i contorni affilati.
«Stai bene?», le domandò d'istinto.
Khalida inarcò le sopracciglia. «Non importa,
muoviamoci», tagliò corto.
Thor non accennò a muoversi.
Quell'umana aveva il potere di farlo sempre sentire inadeguato.
Era sempre stato così, sin dal loro primo incontro.
Una sensazione che gli ricordava incredibilmente Loki che, con il suo
acume e la scioltezza di lingua, l'aveva sempre affascinato e
spaventato in ugual modo. Forse per questo a volte era stato crudele
con lui, definendo le differenze tra loro con il sarcasmo pungente dei
bambini.
«Khalida io...», iniziò.
«Thor», lo fermò immediatamente lei.
«Qualunque discorso tu voglia affrontare, non è il
momento. Tuo padre ti aspetta».
Il Dio del Tuono strinse un pugno.
Lo stava rifacendo, forse la sua era solo una tattica per fargli
perdere il controllo, o semplicemente la divertiva metterlo in
difficoltà, ma non aveva intenzione di cedere alla
provocazione.
Khalida aveva ragione, non era il momento.
«Seguimi», le intimò.
Tenendo un passo più calmo, Thor la condusse all'interno del
palazzo.
Mormorii sorpresi rimbalzarono sulle pareti, man mano che si diffondeva
la notizia del ritorno di Thor, accompagnato da quella donna strana,
vestita in modo inusuale e con quell'arma dall'aria pericolosa
impugnata con disinvoltura, quando solo i membri della famiglia reale
erano autorizzati a presenziare armati davanti al Padre degli Dei.
Le orecchie di Khalida non potevano cogliere ogni mormorio, ma alla
base della nuca una fastidiosa sensazione di pericolo la tormentava.
Non avrebbe mai potuto sentirsi a suo agio in quel luogo troppo
perfetto per essere vero.
Due guardie in armatura stanziavano accanto all'ingresso della camera
di Odino, impugnando lunghe lance affusolate. Scattarono sull'attenti
non appena riconobbero Thor, ma esitarono un minuto di troppo quando si
accorsero della presenza di Khalida.
«È con me», si affrettò a
specificare il Dio del Tuono. «Ora conducetemi da mio
Padre», ordinò, ammantandosi di un'aura
improvvisamente altera e autoritaria che Khalida non riconobbe.
Benché non si fosse comportata in modo diverso dal solito
nei suoi confronti, aveva constatato immediatamente un cambiamento in
Thor. Gli anni passavano anche per lui, e stava maturando.
Probabilmente la morte di Frigga gli aveva scaricato addosso una
valanga di improvvise responsabilità e consapevolezze che lo
avevano reso più conscio del suo ruolo all'interno della
corte.
Mormorando un “sì maestà”, le
guardie ubbidirono e spalancarono gli alti battenti rivestiti di
metallo lucido.
La camera era più piccola di quanto Khalida si aspettasse.
Il grande letto dalla struttura imponente, di un metallo lucido che
assomigliava al platino, la occupava quasi per intero, e il Padre degli
Dei appariva un qualunque vecchio malato, sprofondato nelle lenzuola
candide, con la schiena appoggiata ai cuscini.
Insieme a Sif e i Tre Guerrieri, un'altra donna dall'aspetto imponente
e dalla bellezza voluttuosa scrutò con interesse il suo
arrivo e quello di Thor. Khalida non aveva ricordi di averla vista, nel
suo breve soggiorno ad Asgard, e istintivamente la esaminò
con attenzione.
Era vestita come i soldati che presidiavano l'ingresso della stanza, di
rosso ed oro, ma qualcosa nei suoi abiti aveva un indubbio taglio
femminile, sotto braccio teneva un elmo dorato decorato da due grandi
corna di montone e al fianco cingeva una lunga spada dall'elsa
finemente lavorata, il pomolo era una testa di serpente impreziosita da
grossi smeraldi. Benché fosse vestita come tale, Khalida
dubitò immediatamente che quella donna fosse una semplice
guerriera come Sif. Il suo portamento era troppo fiero e i suoi occhi
accesi di un'intelligenza feroce e indagatrice.
La donna ricambiò a lungo il suo sguardo, poi fece un breve
sorriso, senza dire niente.
Khalida rabbrividì istintivamente, ma ignorò la
sensazione, concentrandosi sulla conversazione, di certo complicata,
che la attendeva.
Thor accennò un inchino. «Padre, vederti
finalmente in salute mi riempie di sollievo»,
esclamò, dirigendosi verso il capezzale del padre.
Questi sollevò lentamente una mano, in un gesto di saluto.
«I tuoi amici mi hanno già spiegato»,
iniziò Odino, fissando immediatamente Khalida, che era
rimasta nei pressi della porta, quasi a volersi accertare di avere una
via di fuga. «Avevo sperato di non rivederti più
umana», disse.
Khalida strinse le labbra e decise che quella volta non avrebbe rivolto
nessun segno di rispetto nei confronti del sovrano di Asgard.
«Sono qui solo su richiesta di Thor. Anche io speravo di non
doverci tornare mai più», replicò, con
voce dura.
Odino accettò le sue parole con un cenno del capo.
«Quindi, vuoi trovare Loki?», domandò,
rivolto al figlio.
Thor si sedette sul materasso, a rispettosa distanza dal padre.
«Può aiutarci, Padre. Lui conosce il
nemico», disse, ripetendo la stessa spiegazione che aveva
già dato a Khalida.
Odino scosse la testa. «La sorte di Loki ormai appartiene a
lui soltanto. Non hai diritto di andare a cercarlo».
Thor si irrigidì improvvisamente. «State dicendo
che non approvate la mia decisione?».
«La tua è una speranza labile e
infantile», iniziò Odino. «È
trascorso troppo tempo, e Loki non è più la
persona che conoscevi. Ed ora è potente».
Khalida era confusa quanto Thor da ciò che udiva.
C'era un logica di fondo nelle parole del Padre degli Dei, ma Odino
sembrava provato, affaticato perfino, e nei suoi occhi brillava una
luce sinistra. Un luccichio che la donna riconobbe immediatamente.
«Perché non dice chiaramente di cosa ha
paura?», intervenne.
L'insinuazione velenosa di Khalida provocò la reazione della
guerriera che non conosceva, che portò la mano alla spada.
«Come osi, midgardiana?», sibilò.
«No, Lady Amora, ha ragione», disse Odino, fissando
l'unico occhio in quelli di Khalida. «Ho paura, umana, di
ciò che Loki potrebbe fare all'unico figlio che mi
è rimasto. Ha già causato indicibile sventura
alla mia famiglia».
Thor, sconvolto da quella prospettiva, lasciò cadere
improvvisamente il Mjolnir a terra. «Loki non mi
ucciderebbe», affermò con sicurezza.
«Tutte le volte che ne ha avuto l'occasione non l'ha mai
fatto».
«Tuo fratello ci ha rinnegati!», esclamò
Odino, alzando improvvisamente la voce.
«Ma io non ho rinnegato lui», replicò
Thor, sullo stesso tono, scattando in piedi. I pugni stretti lungo i
fianchi come a trattenere gesti inconsulti.
Khalida fece un passo avanti, la luce nel cristallo di Match
brillò più intensamente e i Tre Guerrieri si
allarmarono, portando le mani alle armi. «Lei teme il
Tesseract, l'ha sempre temuto. Per questo l'aveva nascosto sulla
Terra».
Odino la fissò come se volesse ucciderla. «Non hai
il diritto di giudicarmi, umana».
«Né lei ha il diritto di giudicare Loki, quello
l'ha perso la prima volta che gli ha mentito»,
calcò Khalida, senza pietà.
Odino fece un gesto improvviso, come se si volesse alzare in piedi, ma
la donna che aveva chiamato Amora gli mise una mano sulla spalla,
mormorando qualcosa che Khalida non udì. «Quel
potere corromperebbe il più nobile degli
asgardiani», continuò Odino. «Non
possiamo sapere cosa ne ha fatto di Loki».
«Loki non è un asgardiano»,
precisò Khalida.
Un silenzio glaciale serpeggiò tra i presenti, fino a che
Thor non ruppe la propria immobilità.
Affiancò Khalida, allontanandosi dal giaciglio del padre.
«Desidero scoprirlo, Padre. Non possiamo sapere quando Thanos
attaccherà di nuovo e noi abbiamo il dovere di proteggere il
popolo. Ad ogni costo».
«Non mi ingannerai facendomi credere che vuoi trovare Loki
per il bene del popolo. Lo fai unicamente per te stesso. Non sei molto
diverso dal ragazzo egoista che esiliai sulla Terra poco tempo
fa», infierì Odino, cedendo subito dopo a un colpo
di tosse secco che venne seguito subito da molti altri.
Lady Amora si affrettò a porgere una coppa colma di liquido
trasparente al Padre degli Dei, mormorando ancora qualcosa che Khalida
non riuscì a sentire. Odino sembrò ascoltarla con
attenzione, e annuì un paio di volte, abbandonando il capo
contro i guanciali alle sue spalle.
«Cosa succede?», chiese Thor con ansia, forse per
il litigio, forse per l'improvviso pallore che si era fatto strada sul
volto rugoso del padre.
Amora raddrizzò le spalle. «Vostro Padre ha
bisogno di riposare, è ancora debole»,
spiegò, voltandosi. «Andiamo a discutere in un
luogo più consono», li incitò,
accennando con il capo alla porta.
Tentennando, Thor spostò più volte lo sguardo tra
l'Incantatrice e il Padre, ma questi sfuggì il suo sguardo
e, dopo pochi secondi, parve assopirsi definitivamente.
Ad un gesto secco di Amora, i soldati di guardia chiusero i pesanti
battenti sul volto preoccupato di Thor, che rimase imbambolato per
qualche secondo, risucchiato in pensieri troppo oscuri, per il solare
Dio del Tuono.
«Cosa diavolo succede?», domandò a mezza
voce, quasi rivolto a sé stesso.
Amora gli posò delicatamente una mano sulla spalla.
«Vostro padre è molto provato, Principe. Si
è risvegliato troppo presto dal suo Sonno, e ora il suo
giudizio sembra annebbiato. A volte chiama ancora il nome della Regina,
come se non rammentasse gli ultimi avvenimenti»,
spiegò, con voce calma, venata di preoccupazione sincera.
«Cosa dicono i guaritori?», chiese Thor.
«Stanno facendo ciò che la loro arte gli consente
di fare», sospirò la donna. «Ma il Padre
degli Dei ha molti anni sulle spalle e, per quanto longevi, non siamo
immortali».
Il Dio del Tuono si voltò improvvisamente, fronteggiando la
donna con un'espressione improvvisamente piena di rabbia.
«Cosa sta cercando di dirmi, Lady Amora?».
La donna non sembrò turbarsi. «La
responsabilità è su di te, Thor»,
disse, passando improvvisamente al tu, con una naturalezza che Khalida
notò immediatamente. «Odino non è in
grado di guidarci in questo momento, e ora Asgard conta solo su di te.
Le tue decisioni avranno effetti diretti su tutti i Nove
Mondi».
Reagendo con una solidità che Khalida non gli aveva mai
attribuito, Thor raddrizzò le spalle e gonfiò il
petto. «Ne sono consapevole».
«Ritieni che cercare Loki sia il miglior modo di
agire?», domandò Amora.
«Sì», replicò immediatamente
il Dio del Tuono.
Gli occhi verdi della Dea lampeggiarono. «Allora ti
appoggerò. Penso come te che le conoscenze del Principe Loki
possano aiutarci a comprendere la situazione. In più, se
è ancora in possesso del Tesseract, il suo potere ci
darà un grosso vantaggio».
«Thanos vuole Loki, portandolo qui ce lo attireremo
addosso», protestò Fandral.
Lady Amora lo fulminò con un'occhiataccia.
«È proprio questo il piano. Se sappiamo dove
attaccherà, e perché, sarà
più facile creare una controffensiva efficace».
Thor annuì. «Desidero che richiami i nostri
alleati, Lady Amora. Avremo bisogno di tutto l'aiuto
possibile», disse, con tono solenne. «Thanos
potrebbe attaccare da un momento all'altro».
«Li convocherò con la scusa delle esequie della
Regina», annuì l'Incantatrice.
Volstagg colpì Fandral con una gomitata. «Avevo
proprio voglia di una bella guerra. Mi mettono appetito»,
ridacchiò, sottovoce.
Khalida si schiarì rumorosamente la voce, attirando
l'attenzione su di sé.
«State dimenticando una cosa», disse.
«Cioè?», domandarono Thor e i Tre
Guerrieri in coro.
Khalida sorrise, con fare quasi conciliante. «Prima dobbiamo
riuscire a trovare Loki».
Gli asgardiani si guardarono a vicenda, come cercando qualcosa da dire.
Fu Amora a rompere gli indugi. «Come hai intenzione di farlo,
umana?».
Khalida picchiò lentamente un dito sull'estremità
luminosa di Match. «Con questa. Quando me la diede, Loki
disse che avrebbe potuto rintracciarmi finché l'avessi
tenuta con me. Presumo che valga anche il contrario».
Amora strinse leggermente gli occhi, come se dubitasse delle parole di
Khalida, ma non disse niente.
«Cosa ti serve, Khalida?», domandò Thor.
La donna ammiccò. «Un letto, e del cibo... tanto
cibo».
Volstagg si animò dondolando sui talloni, sfregando il
ventre prominente con le mani. «A quello ci penso io! Vedrai
umana, nessuno è più esperto di me su
Asgard».
Le risa di Thor e dei suoi compagni riecheggiarono tra le pareti
dorate, scacciandone via, almeno per qualche attimo, tutto il dolore e
il rimpianto.
Chiusa in quella stanza che le ricordava drammaticamente una scatoletta
di sardine, il tempo sembrava non passare mai. Solo un lieve attenuarsi
delle luci alogene segnava la differenza tra giorno e notte e, con una
buona dose d'intuito, Ivy immaginava che fuori il sole stesse per
sorgere. Immobile, seduta al centro del materasso a gambe incrociate,
respirava a fondo, come le aveva insegnato Khalida, per calmarsi ed
espandere i polmoni.
Non aveva dormito molto, tormentata da mille interrogativi.
Naturalmente, dopo averla acciuffata, i Vendicatori non avevano voluto
darle una sola risposta.
In compenso, le avevano rivolto un milione di domande inutili, ma lei
era rimasta muta.
Non vedeva perché avrebbe dovuto degnarli di maggiore
considerazione di quella che loro mostravano a lei.
Esasperati e sfiniti, i Vendicatori si erano limitati a consegnarla
nella mani di Coulson e a sparire.
Solo Steve Rogers aveva esitato un attimo, rivolgendole uno sguardo
intenso, vagamente intenerito. Quasi si fosse reso conto solo in quel
momento che quella che avevano bistrattato in fondo era solo una
ragazzina, le aveva domandato se si sentisse bene.
Ed Ivy era scoppiata a piangere come una bambina, in modo incontrollato.
Phil, di solito sempre presente e puntuale si era ritrovato
completamente spiazzato, ed era stato Steve a prendere in mano la
situazione, mettendo una mano sulla spalla della ragazza e
accompagnandola in silenzio lungo il corridoio, mentre Coulson gli
faceva strada.
Anche se gli era stata grata per quella considerazione, Ivy era un tale
concentrato di rabbia e delusione, che non era riuscita a dire una
parola. Si era chiusa la porta metallica della stanza alle spalle,
gettandosi sul letto e affogando le urla e gli insulti nelle piume del
cuscino.
A distanza di qualche ora, si sentiva più calma, ma lo
stesso quella rabbia pungente la tormentava da quando aveva smesso di
essere una bambina e che in quegli anni credeva di aver sconfitto, le
pungeva sottopelle, pronta ad uscire.
Scalciò con decisione la coperta dalle gambe e si
alzò, indossando in fretta un paio di pantaloni da yoga neri
e una canotta larga dello stesso colore. Aveva bisogno di muoversi, e
questo nemmeno Fury poteva impedirglielo.
Aprì la porta di scatto e, senza capire bene come, qualcuno
le rovinò addosso, lanciando imprecazioni a caso.
In un groviglio di braccia e gambe, Ivy tentò di alzarsi,
inutilmente.
«Ma che diamine fai?», la rimproverò una
voce profonda ma con qualcosa di adolescenziale, come i ragazzi che
sono appena entrati nella pubertà.
«Eri tu che dormivi appoggiato alla porta,
idiota!», scattò Ivy, rabbiosa, fulminando il
malcapitato con un'occhiata assassina.
Lo riconobbe quasi immediatamente.
Era l'agente che le aveva sorriso, prima di accompagnarla sul jet ad
Haiti. Ora che lo vedeva da vicino, sembrava davvero giovane, forse non
aveva più di venti o ventidue anni.
Il giovane agente si schiarì la voce, sottolineando con un
movimento delle sopracciglia il fatto che Ivy era praticamente seduta
sul suo braccio.
Arrossendo, Ivy si scostò, pur mantenendo l'espressione
irritata. «Che diavolo ci facevi davanti alla mia
porta?», domandò alzandosi in piedi, imitata in
fretta dal giovane.
«È il mio lavoro», si difese l'agente,
spolverandosi i pantaloni della divisa.
Ivy aggrottò le sopracciglia.
«Cioè?».
Il ragazzo si passò una mano tra i corti capelli rossicci.
«Bé... sono la persona più giovane di
questa base. E l'agente Coulson ti ha affidata a me, mentre lui
è impegnato con questioni più...
urgenti», spiegò, nascondendo un lieve sorriso
furbo.
Ivy sbuffò. «Quindi sei il mio baby
sitter», concluse, con tono acido, ravvivandosi i capelli.
Fissò il ragazzo in tralice, poi rilassò le
spalle.
«Come ti chiami?».
«Agente Whedon», replicò, ma
all'occhiataccia della ragazza, si affrettò ad aggiungere.
«Drew».
Ivy incrociò le braccia. «Bene Drew. Ora, se non
ti dispiace, io vado a correre», annunciò, facendo
il gesto di uscire dalla stanza.
L'agente Whedon la fermò per il braccio. «Non puoi
andartene in giro da sola», protestò.
«Allora vieni con me», ammiccò Ivy,
provocando un lieve rossore tra le lentiggini rosate del giovane agente.
Il ragazzo recuperò in fretta un contegno.
«È meglio che tu non vada in giro a correre per i
corridoi. Alcuni di noi sono... suscettibili».
Ivy ripensò al modo in cui la Vedova Nera l'aveva sbattuta
contro le pareti dell'ascensore. «L'ho notato»,
masticò, a mezza voce.
Drew sembrò non capire, ma preferì tacere.
Precedette Ivy fuori dall'alloggio. «C'è una
palestra su questo livello. Se proprio ci tieni, posso
accompagnarti», propose, con una sorta di cautela educata che
Ivy apprezzò immediatamente.
«Fammi strada», annuì, ritrovando,
almeno per un attimo, qualcosa di cui sorridere.
Per la maggior parte della sua vita Ivy non aveva avuto nessuno
accanto, nessuno che le dicesse cosa era meglio fare, come comportarsi
e come interpretare ciò che le accadeva.
Come la maggioranza delle persone cresciute completamente abbandonate a
sé stesse, Ivy aveva un carattere diffidente, aggressivo e
solitario. Con la cocciutaggine dell'adolescenza, aveva respinto tutte
le persone che aveva tentato di aiutarla, ferendole per convincerle che
non meritava niente di buono, dato che la vita aveva scelto di
toglierle tutto.
Solo Keira, con la sua pazienza e l'incredibile realismo con cui
affrontava la vita, era riuscita a farla aprire, facendo emergere la
sua vera indole, trasformando quel grumo di rabbia che Ivy portava
sempre con sé in una forza d'animo che non avrebbe mai
creduto di possedere.
La gratitudine che la ragazza provava nei confronti di Khalida,
nonostante la delusione iniziale che aveva provato scoprendo la
verità su di lei, non conosceva nessun confine,
perché senza di lei non aveva idea di dove sarebbe finita.
Probabilmente morta ammazzata, oppure invischiata in qualcosa di
addirittura peggiore.
Haiti non era certo un paradiso, e per una ragazza di strada come lei,
le probabilità di sopravvivenza non erano mai state molto
elevate. Ivy se l'era cavata bene, inventandosi i modi più
disparati per sopravvivere, ma lei aveva sempre avuto la sensazione di
camminare su un filo molto sottile, costantemente indecisa su quale
fosse il limite da non attraversare mai.
Khalida, invece, le aveva insegnato un modo diverso di vivere, qualcosa
di più che il semplice continuare a respirare e quel filo
sottile era diventato improvvisamente una strada sicura, fatta per
essere percorsa in due.
Durante lunghe conversazioni, e anche con il suo esempio, Khalida le
aveva trasmesso una filosofia di vita che scrutava il significato
profondo delle azioni senza classificarle secondo un concetto canonico
di bene e male, ma basandosi su qualcosa al di là, qualcosa
che era più correlato al rispetto di sé stessi, e
della propria natura.
In fondo non era riuscita ad odiare Khalida per averle mentito
perché, in modo viscerale, sapeva che niente di tutto quello
che le aveva insegnato era una falsità, che l'unica cosa che
le aveva davvero nascosto era stata il proprio nome, mentre tutto il
resto, in un modo e nell'altro, glielo aveva trasmesso sinceramente.
Per cui, anche ora che erano separate per la prima volta, Ivy aveva
intenzione di onorare tutto ciò che Khalida le aveva
insegnato, a cominciare dall'allenamento mattutino che facevano
insieme, che consisteva in cinque chilometri di corsa. Avrebbe
preferito correre nuovamente sulla spiaggia, con la rilassante risacca
dell'oceano nelle orecchie, piuttosto che farlo su uno sterile tapis
roulant sotto la sorveglianza vigile, e anche un po' divertita,
dell'agente Whedon, che non le staccava gli occhi di dosso, ma poteva
accontentarsi.
L'attrezzo sotto di lei emise un lieve bip, annunciando la
fine della
sessione di allenamento ed Ivy rallentò il passo a ritmo con
il nastro, respirando profondamente e godendosi la sensazione del
sudore che le colava lungo il viso e la schiena. Si sentiva meglio ora,
più lucida.
Massaggiandosi la nuca per sciogliere il nodo rigido di tensione che si
era accumulato durante la notte insonne, scrutò Drew da
sotto le ciglia. Forse era un bene che le avessero messo alle calcagna
un ragazzo tanto giovane, che più di una volta l'aveva
guardata dove non avrebbe dovuto.
Se giocava bene le sue carte, avrebbe potuto ottenere da lui parte
delle informazioni che voleva. «Cosa fai, quando non sei
impegnato a fare il baby sitter?», chiese, con tono leggero,
concedendogli un sorriso.
L'agente esitò un attimo, ed Ivy lo incalzò.
«Lavori con Coulson?».
«No. Lui è un pezzo grosso. Io sono solo un
ingegnere informatico», replicò Drew, muovendosi
nervosamente da un piede all'altro.
Ivy si pettinò i capelli con le dita. «Suona
noioso», brontolò.
Lui sorrise. «Non sempre», ammiccò.
Lei gli si fece più vicina.
«Che ne dici di raccontarmelo mentre mi accompagni a fare
colazione?».
Qualche metro sopra Ivy e l'agente Whedon, Clint Barton osservava la
scena con un lieve sorriso sulle labbra.
Seduto a cavalcioni di una delle travi che sostenevano le grosse
lampade a led che illuminavano la palestra, riprese a giocherellare con
una delle sue frecce, facendola ruotare nel palmo della mano solo con
dei lievi movimenti delle dita.
Alle sue spalle, passi leggeri annunciarono l'arrivo di Natasha lungo
la passerella di metallo.
Clint ormai ne sapeva riconoscere la camminata, e provava uno strano
misto tra orgoglio e gratitudine per il fatto che solo con lui Natasha
si concedeva di essere rumorosa.
Per il resto del mondo, la Vedova Nera era perfettamente invisibile,
silenziosa e letale.
Aspettò che lei gli si accomodasse accanto, prima di
voltarsi.
Era in borghese, stretta in un'anonima tuta scura, i capelli rossi
sciolti sulle spalle in onde confuse, agitate come le onde del mare.
Qualcosa si mosse all'altezza del suo stomaco.
All'inizio aveva associato i suoi sentimenti per Natasha, anche se
forse sarebbe stato più corretto parlare di pulsioni, ad una
naturale conseguenza della sua glaciale bellezza. Qualcosa di puramente
fisico, quasi biologico, che sarebbe svanito con l'abitudine, man mano
che si sarebbe assuefatto alla sua presenza.
Ma l'assuefazione non era mai arrivata, presto rimpiazzata da una sorta
di dipendenza venefica.
Nel corso del tempo era dovuto ricorrere a vari espedienti per passare
lunghi periodi lontani da Natasha, come accettare missioni dall'altra
parte della pianeta ed evitarla del tutto nei momenti in cui si sentiva
più vulnerabile.
Avere una relazione con una collega non era proibito dalla regole dello
S.H.I.E.L.D., ma fortemente sconsigliato*,
e Clint, benché
non si ritenesse una cima, era in grado di leggere tra le righe.
Ciò che provava gli avrebbe solo intralciato il lavoro, e la
sua stessa vita di conseguenza, per cui si era adoperato per soffocare
ogni briciolo di attrazione che sentiva per Natasha.
Poco importava se lei lo ricambiasse o meno, quei sentimenti andavano
decisamente accantonati, per il bene di entrambi.
Poi era arrivata Budapest, e le cose erano diventate improvvisamente
chiare come il sole.
Da diversi mesi era lontano dalla base, rimasto confinato nel sud est
asiatico per più del necessario, quando Fury l'aveva
richiamato per fornire supporto tattico all'agente Romanoff, rimasta
impantanata in un operazione sotto copertura finita male.
La sparatoria che avevano scatenato per coprire la loro fuga era
degenerata, e si erano ritrovati in trappola, stretti tra due ali di
fuoco ostile. Per uscire dalla situazione ingarbugliata in cui erano
finiti Clint aveva fatto una valutazione troppo frettolosa ed
avventata.
Arrogante,
l'avrebbe definita la Vedova Nera, nel successivo rapporto.
Per coprirlo Natasha si era esposta al fuoco nemico ed era stata
colpita alla schiena.
La squadra di supporto era arrivata giusto in tempo per evitare il
peggio.
Benché la ferita di Natasha non fosse grave, poco
più di un graffio, vederla sanguinante per un suo errore,
gli aveva scatenato una girandola di sentimenti che erano sfumati
velocemente da un bruciante senso di colpa ad una una rabbia feroce,
violenta e incontrollata.
Gli agenti più giovani di lui l'avevano dovuto tenere fermo,
impedendogli di scagliarsi su uno dei responsabili del ferimento di
Natasha.
Quando era riemerso dalla nebbia rossa della furia, Clint si era
sentito svuotato, consapevole che tutti quei mesi di lontananza non
erano serviti a niente.
Lui, considerato uno degli agenti di punta dello S.H.I.E.L.D., aveva
una debolezza, una di quelle che prima o poi finisce per ucciderti.
In un lampo di lucidità, quasi un'illuminazione, aveva
realizzato cosa fosse davvero quel groviglio di sensazioni che Natasha
era in grado di scatenargli dentro.
E l'unica soluzione gli era sembrata, paraddosalmente, la fuga.
Si era eclissato in nuove missioni e prima degli avvenimenti di New
York, non l'aveva più rivista.
Dopo il suo ricalibramento
cognitivo fra loro si era instaurata
nuovamente una confidenza appena superiore a quella normalmente
esistente tra semplici colleghi, ma entrambi erano consapevoli del
nuovo muro che l'arciere aveva eretto fra loro e Natasha sembrava
rispettarlo, se non addirittura apprezzarlo.
Apparentemente, la tecnica stava funzionando.
Durante la battaglia di Los Angeles, quando aveva rischiato di perderla
di nuovo, la pietosa scena di Budapest non si era ripetuta, anche se
solo lui sapeva quanto aveva dovuto combattere per non far trapelare
ciò che stava passando durante le lunghe ore d'attesa, in
cui la vita di Natasha sembrava appesa ad un filo.
La risata acuta della ragazzina, Ivy, salì fino a loro,
interrompendo i pensieri di Clint.
Natasha stirò lentamente le labbra in un sorriso freddo.
«Sembra che l'abbia presa abbastanza bene»,
commentò.
Clint gettò uno sguardo indifferente verso il basso,
seguendo l'uscita di scena di Ivy e dell'agente Whedon. «Non
capisco perché Fury abbia deciso di tenerla qui»,
disse invece.
Natasha scrollò il capo, e la punta dei suoi capelli
sfiorò la spalla di Occhio di Falco.
«Tu ragioni da combattente, come al solito», lo
rimbrottò, con fare pigro. «Fury è uno
stratega, e sa perfettamente come tratte il maggior vantaggio possibile
da ogni circostanza», espose, con logica disarmante.
Su una cosa non c'era dubbio, Natasha sapeva sviscerare le persone con
una sola occhiata. «Cosa intendi?», le chiese.
«La ragazza è merce di scambio. Finché
Fury l'avrà in pugno, lo sarà anche Khalida
Sabil».
L'agente Barton aggrottò le sopracciglia.
Il ragionamento non faceva una piega, era spietatamente lucido e
limpido, pericoloso come un veleno potente. Ma era inumano, e
nonostante la sua lunga carriera piena di ombre, Clint si sentiva
ancora un essere umano in tutto e per tutto. Ed era fiero che
quell'umanità lo portasse ad avere ancora un minimo di
sensibilità.
«Non ti riferisci solamente al ricattare Khalida,
vero?», indagò.
Natasha raddrizzò la schiena, impassibile lo
guardò in volto. «Hai visto come ha sfilato quel
fascicolo dalle mani di Stark? Ha talento. Con un po' di lavoro,
diventerebbe una brava agente».
Qualcosa dentro Clint si ribellò. «Ho letto il suo
fascicolo, quella ragazza merita di essere lasciata in pace. La sua
storia è orribile».
La Vedova Nera lo freddò con un'occhiata gelida.
«Non lo è quella di tutti noi?».
----------------------------------------------------
* questo concetto non è mio ma viene dalla bellissima One
Shot di Evilcassy
Washing The Spider Out, leggetela, anche se non siete fan dei
Clintasha, perché merita davvero.
Qualcuno probabilmente storcerà il naso di fronte alla mia
interpretazione di Malekith, ma ho preferito rappresentarlo
così, accumunandolo, almeno per situazione di partenza, a
Loki.
La spiegazione sulla natura dei Chitauri è completamente di
mia invenzione e personale.
Per la parte asgardiana... so che Odino sembra un vecchietto con la
demenza senile... tutto sarà chiaro con il tempo.
L'agente Whedon, naturalmente il cognome è un tributo a Joss
Whedon regista di The Avengers, nel mio immaginario è il
giovane agente che gioca a Gallaga e che viene sgamato da Tony in The
Avengers. è un personaggio di "riempimento" volevo dare ad
Ivy una controparte giovane con cui confrontarsi.
La parte finale... adoro letteralmente Clint, è stata il
personaggio di Avengers che più mi ha colpito, quello di cui
mi è rimasta la curiosità di sapere di
più, e sono contenta di essere riuscita a dargli questo
piccolo spazio. non sono una fan accanita della clintasha, ma ho voluto
mantenermi fedele ai fumetti, in cui comunque Clint è
innamorato di Natahsa, almeno per un periodo. Ho preferito mantenermi
sul vago per quanto riguarda la vedova nera, forse
affronterò in seguito l'argomento, forse no...
Ok, è tutto, spero che il capitolo vi piaccia, al prossimo
capitolo!! (che spero non arrivi fra un mese!)
PS: dimenticavo, il 27 luglio sarà un anno che ho iniziato
questa trilogia, volevo ringraziare tutti quelli che mi seguono
dall'inizio, chi si aggiunto nel frattempo e chi continua a sostenermi,
Red Sayuri!
Un bacione!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 8 - Come una madre ***
Eccomi qui, stavolta sono stata veloce...
purtroppo non vi posso assicurare che il capitolo nove
arriverà entro breve, tra poco partirò per le
vacanze e non so quanto tempo avrò per scrivere, perdonatemi
:(
Con questo capitolo si chiude la prima parte della storia, in cui ci
sono tutte le carte in tavola (????) e ci avviciniamo al cuore
dell'intera vicenda.
Spero che il capitolo vi piaccia.
A presto!
Nicole
La brezza del mattino muoveva delicatamente le impalpabili tende
traslucide, producendo un gradevole fruscio simile allo stormire delle
foglie.
Nei giardini di Asgard l'aria era calda e afosa, sospesa come prima di
un temporale estivo.
La luce dell'alba illuminava le lenzuola disfatte, risalendo pigramente
lungo il corpo seminudo di Khalida, seduta al centro del materasso a
gambe incrociate, nella tipica posizione di meditazione yoga. Si era
svegliata da pochi minuti e, come sua abitudine, stava facendo dei
semplici esercizi di respirazione.
Di primo mattino la aiutavano a riordinare le idee, e in quel frangente
ne sentiva particolare bisogno.
Socchiudendo gli occhi, sbirciò il profilo di Match,
appoggiata sul materasso davanti a lei.
Aveva un'idea piuttosto vaga di come estrarre le informazioni di cui
aveva bisogno dall'arma, a patto che ne contenesse.
Si era dovuta concedere quel che restava della notte per riposare,
recuperando le forze che Match le aveva strappato, ma ora non aveva
motivi per rimandare ciò che doveva fare.
Prima riusciva a trovare Loki, prima sarebbe tornata da Ivy.
Il ricordo della ragazza le fece stringere le labbra, in un moto
inconsueto di malinconia.
Sapeva che il rapporto tra lei ed Ivy era solido, e non aveva paura che
ciò che stava accadendo lo rovinasse, ma nei due anni in cui
aveva vissuto insieme non si erano mai allontanate l'una dall'altra, e
ora provava uno strano misto tra gelosia e preoccupazione, nel saperla
lontana, chissà dove e chissà con chi.
Prima che l'ansia la inondasse, Khalida tese le mani e strinse le dita
sull'asta di Match, concentrandosi.
Il metallo si modellò alla forma della sua mano,
confortevole come un guanto.
Era nuovamente tiepido, come lo ricordava.
Come se fosse satura, l'arma non le sottrasse ulteriore energia, ma una
sensazione strana le rimbombò nei nervi, quasi una vertigine.
Scacciando l'ondata di nausea, Khalida chiuse gli occhi e riprese a
respirare profondamente, provando ad imitare i gesti che aveva visto
fare a Loki durante le sue sedute di meditazione.
Il silenzio si fece di piombo, e per lunghi secondi, nulla lo
turbò.
Lento e impercettibile come il salire della marea, un basso ronzio le
giunse alle orecchie, simile al rumore della corrente che scorre nei
fili dell'alta tensione.
Aprì la mano e il ronzio svanì.
Incoraggiata dal progresso, Khalida riprovò e, quando le sue
orecchie colsero nuovamente il ronzio, si concentrò su di
esso, continuando a respirare in modo regolare e profondo.
Ben presto la percezione del tempo e degli oggetti intorno a lei
svanì completamente, e il lieve rumore di fondo
diventò più intenso, cambiando ritmo.
A poco a poco, i cambiamenti di volume e di frequenza si
chiarificarono, e Khalida riuscì ad udire distintamente dei
suoni simili a parole, in varie lingue che non comprendeva.
Parla.
Sillabò improvvisamente una voce metallica.
Khalida si stupì talmente tanto per quel cambiamento
repentino che sussultò, aprendo di scatto gli occhi.
Fortunatamente, ebbe la prontezza di spirito di non mollare la presa su
Match.
Parla.
Ripeté la voce.
Questa volta, più che nelle orecchie, Khalida la
sentì risuonare distintamente nella mente.
Non credeva alle esperienze mistiche, per cui era certa che ci fosse
una spiegazione scientifica del tutto plausibile per ciò che
stava vivendo, ma non era certo quella l'occasione per scoprirlo.
Chi sei?
Domandò tra sé e sé.
Devi porre i giusti
quesiti, se desideri le risposte.
Replicò la voce.
Khalida rifletté per un secondo sulla frase, poi corresse la
domanda. Cosa sei?
L'ultimo lascito del mio
popolo.
Khalida trattenne un sospiro di sollievo. La sua speranza non era stata
del tutto vana.
In Match era veramente custodita una sorta di copia di backup di
ciò che il Tesseract conteneva.
Come posso trovare Loki?
Domandò, con più
entusiasmo.
Devi porre i giusti
quesiti, se desideri le risposte.
Khalida strinse i denti, frustrata. Evidentemente quella voce era una
sorta di intelligenza artificiale, programmata per rispondere a stimoli
prestabiliti. Una specie di Jarvis alieno.
Sperava solo di non metterci troppo tempo per giungere alle
informazioni che le servivano.
Era probabile che Thanos non avrebbe attaccato fino a che non fosse
stato certo della presenza di Loki ad Asgard, ma era meglio non
provocare inutilmente la sorte.
Rifletté con calma.
Match era stato creato con il Tesseract, e Loki le aveva detto che
grazie all'arma avrebbe potuto rintracciarla. Se era vero,
ciò con cui stava conversando doveva essere direttamente
collegato con la fonte primaria di quelle informazioni. Un po' come un
computer può essere connesso ad un server distante centinaia
di chilometri.
Come posso rintracciarti?
Provò a chiedere.
Segui l'energia. Rispose
la voce.
Quale energia?
Questa volta la voce ci mise qualche secondo ad elaborare la risposta e
non la espresse a parole, ma attraverso una serie di immagini, in cui
la familiare luce blu del Tesseract si mescolava a galassie e
costellazioni che Khalida non aveva mai visto.
Non esistono varie fonti
d'energia, ma solo l'energia. Ogni cosa si
muove grazie ad essa.
Una nuova immagine le mostrò, in un ultimo sprazzo di
colore, la camera del Bifrost.
Khalida si morse le labbra, pensierosa.
Aveva già sospettato che il Bifrost potesse essere il mezzo
più adatto per trovare Loki, ma era Heimdall ad indirizzarlo
e lo sguardo del Guardiano si era dimostrato più volte
cieco, quando si trattava di rintracciare il Principe perduto di Asgard.
Ma forse...
Come posso guidare il
Bifrost? Chiese Khalida
Devi porre i giusti
quesiti, se desideri le risposte.
Khalida soffiò un gemito di frustrazione tra i denti, si
morse ancora le labbra, concentrandosi di più.
Come posso indirizzare
l'energia? Provò, quando ormai aveva
vagliato tutte le varianti grammaticali e semantiche che riusciva ad
imbastire.
Non puoi. Dovrai
lasciare fare a me.
Khalida era sospettosa, la faccenda le sembrava troppo semplice.
Potrebbe essere
pericoloso?
Non so calcolare gli
effetti dell'energia sul tuo corpo a lungo
termine, ma al viaggio sopravvivrai.
L'entità non si preoccupò di aggiungere altro e
un'improvvisa stanchezza cadde sulle spalle di Khalida, quasi
schiacciandola contro il materasso.
Sfinita, lasciò andare Match e il contatto mentale
svanì così come si era creato.
Si stese sul materasso, per prevenire eventuali svenimenti e, nel
portarsi le mani al volto, intercettò qualcosa di strano.
Si fissò le mani, sorpresa, più che spaventata.
Sulla pelle aveva sottili ustioni, del tutto identiche alla trama della
filigrana sull'impugnatura di Match. Probabilmente, stando a quanto
aveva detto la voce, quella piccola ferita era solo l'inizio. Anche
Loki glielo aveva detto, tempo prima.
Non poteva sperare di usare l'energia di Match, senza subire
conseguenze a livello fisico.
Lo stomaco le brontolò rumorosamente, distogliendole la
mente da quelle riflessioni cupe.
Con gli occhi frugò intorno a lei.
A pochi passi dal letto, un tavolino basso era stato imbandito con
svariate tipologie di cibo, alcune non troppo diverse da quelle
terrestri.
Khalida sorrise appena. Volstagg era stato di parola.
Facendo leva sui gomiti, si mise seduta.
Il tempo di mangiare e recuperare le forze, poi avrebbe nuovamente
ritentato di conversare con quella strana entità.
Non poteva commettere errori, era consapevole che non avrebbe avuto una
seconda occasione.
Khalida non aveva mai considerato l'opportunità di diventare
madre, nemmeno da bambina.
Una certezza impressa a fondo nel suo cervello, quasi un imprinting, le
suggeriva che non aveva alcuna possibilità di essere brava
in un mestiere che nessuno le aveva insegnato.
Per questo non aveva battuto ciglio quando i servizi segreti israeliani
le avevano messo davanti l'opportunità di sottoporsi ad una
piccola ed innocua operazione chirurgica che le avrebbe impedito per
sempre di avere figli.
Era una decisione di cui non si era affatto pentita, nonostante
l'entrata in scena di Ivy.
Per quanto la definisse sua figlia, Ivy era qualcosa di diverso da un
figlio biologico, forse addirittura qualcosa di meglio. Tra loro non
esistevano rivalità di nessun tipo, e le tipiche
problematiche madre/figlia che aveva studiato sui testi di psicologia
non avevano ragione di esistere.
Questo non significava che prendersi cura di lei fosse stato semplice,
ma il loro rapporto assomigliava più a quello tra un
insegnante e il proprio allievo, fondato su un rispetto e un affetto
guadagnato nel tempo, piuttosto che su un principio di dovere dovuto al
legame di sangue.
Poteva definirsi la madre di Ivy perché le voleva bene, non
le voleva bene perché era sua madre.
Anche se poteva sembrare solo un giro di parole, in realtà
tra le due cose c'era una sostanziale differenza, quasi abissale.
Khalida si massaggiò lentamente una tempia, tentando di
scacciare il mal di testa incipiente.
Aveva passato tutto il giorno chiusa nella sua camera, parlando con
l'entità dentro Match, fino a che non era stata certa di
aver compreso cosa fare per rintracciare Loki. La cosa,
benché istruttiva, non era stata piacevole, e si sentiva
stanca e debole. Probabilmente, aveva anche qualche linea di febbre, ma
non era certo il momento di commiserarsi.
Quella faccenda andava chiusa in fretta.
Un'ora prima aveva mandato a chiamare Thor, dandogli appuntamento alla
fine del Ponte dell'Arcobaleno.
Era arrivata da pochi minuti, ma già iniziava ad annoiarsi e
la testa ultimamente le giocava brutti scherzi, indugiando troppo
spesso in pensieri ancora nuovi per lei.
Cercando di distrarsi, voltò gli occhi intorno, osservando
la cupola del Bifrost, attraversata da pigre scariche di luce bianca,
lungo venature simili a radici. Al centro, nel punto più
alto, un foro largo circa cinque metri di diametro lasciava filtrare
appena la luce rossastra del tramonto infinito di Asgard.
La grande camera era immersa nella penombra, e la lieve luce opalina
della pavimentazione traslucida segnava gli oggetti di ombre cupe e
profonde.
Alle sue spalle, Khalida sentì i passi pesanti di Heimdall
avvicinarsi.
Non aveva dubbi che il Guardiano intuisse già il motivo
della sua presenza lì, per cui non si sorprese troppo quando
l'immenso asgardiano l'affiancò. «Può
funzionare», disse, con la sua voce profonda e monocorde.
«Ma potrebbe essere pericoloso».
Khalida incrociò le braccia al petto. «Comprendo i
rischi».
«Ma sei disposta a correrli?».
La donna non rispose.
Spostò lo sguardo verso il palazzo reale, che si intravedeva
appena in una delle strette finestre.
«Ho dato la mia parola», mormorò, tra
sé e sé.
Khalida aveva congedato
le ancelle con voce brusca, quasi tagliante.
Probabilmente le donne
si erano risentite per il modo irrispettoso con
cui le aveva apostrofate, ma non le importava più di tanto.
Non vedeva l'ora di lasciare quel pianeta, o qualunque cosa diavolo
fosse quel posto. Per quanto Asgard fosse affascinante, era aliena, lo
percepiva fin sotto la pelle, e lei si sentiva ogni minuto di
più fuori posto.
Perfino il modo in cui
l'avevano vestita provava la sua
umanità.
Anche se era abbigliata
esattamente come Sif, nemmeno un cieco
l'avrebbe mai scambiata per un'asgardiana.
L'aveva chiesta a gran
voce, ma la sua uniforme dello S.H.I.E.L.D. non
le era stata restituita, così come le sue armi.
Poteva affermare con
sicurezza di non essersi mai sentita
così indifesa.
Un lieve bussare alla
porta interruppe i suoi pensieri.
Pensò
immediatamente che fosse una delle ancelle, e
sbuffò, brontolando un invito a mezza voce. Chiunque fosse,
non aveva nessuna voglia di essere gentile.
«Vi chiedo
perdono per la mia intrusione»,
mormorò una voce delicata alle sue spalle.
Khalida si
voltò e scrutò la giovane ragazza che,
a capo chino, sembrava attendere una sua parola.
Non era una delle
ancelle che l'avevano vestita.
«Cosa
vuoi?», domandò, diretta.
«La Regina
desidera parlarvi».
Khalida si
irrigidì visibilmente. Non aveva nessun desiderio
di invischiarsi ulteriormente con quella famiglia, ma non poteva
nemmeno rifiutare un ordine così diretto.
Sospirando,
raddrizzò le spalle. «Ti
seguo».
La Regina Frigga, prima
di essere una sovrana e una moglie, era una
madre.
Khalida l'aveva capito
subito, non appena l'aveva vista seduta ai piedi
del trono del marito. L'aveva letto dentro lo sguardo che aveva
dedicato ai suoi figli, naturali e non, e lo vedeva anche ora, mentre
la fissava avanzare nella luce sfavillante del primo mattino. Possedeva
quella ferma dolcezza, quella certezza data dall'amore più
puro e incondizionato, che solo le madri per vocazione possiedono.
Qualcosa di cui Khalida
ammetteva l'esistenza, ma non capiva,
né conosceva, come un cieco dalla nascita che non
è in grado nemmeno di immaginare i colori.
Il portico era immerso
in un giardino apparentemente isolato dal resto
del palazzo, e Khalida intuì immediatamente che l'incontro
con la Regina non era ufficiale.
Chissà
perché, l'aveva immaginato.
Frigga le
dedicò un lungo sguardo attento.
«Questo
abbigliamento vi dona», osservò.
«Vi ringrazio
maestà»,
replicò Khalida, pur non nascondendo un'espressione scettica.
Frigga sorrise, con fare
più naturale. «Voi umani
siete così diffidenti», mormorò, quasi
tra sé e sé.
«È
il nostro modo di sopravvivere», fece
presente Khalida. «Perché ha chiesto di
vedermi?», aggiunse.
La Regina la
soppesò con lo sguardo per qualche istante, poi
si avvicinò di un passo. «Cosa sai delle leggende
che il tuo popolo narra su di noi?».
«Nulla»,
ammise Khalida, confusa dalla domanda.
Frigga
accennò un nuovo sorriso, adombrato da una
serietà improvvisa. «Non solo Loki sa
padroneggiare quella che voi chiamate magia. Altri asgardiani, creature
rare e preziose, possiedono abilità simili,
benché non così varie e potenti», la
voce di Frigga si affievolì per un istante, e gli occhi
antichi della dea si persero in ricordi troppo remoti,
perché Khalida potesse intuirli.
«Io sono una
di loro», concluse la Regina.
«Di tanto in tanto, i miei occhi sono in grado di vedere
oltre, tra le pieghe del tempo e dello spazio. Non sono altro che brevi
scintille, spiccioli di futuro a volte incomprensibili, altre
drammaticamente chiari».
Khalida si
sentì invadere dalla nausea. «Cosa sta
cercando di dirmi?».
Frigga si
avvicinò ancora, e Khalida si ritrovò a
fissare la fitta rete di sottili rughe d'espressione che circondavano
gli occhi della dea. Con un lieve sussulto dei muscoli facciali, lo
sguardo della Regina si affilò.
«Arriverà
un momento, umana, in cui mio figlio
avrà bisogno del tuo aiuto», dichiarò,
con solennità. «Ho convinto mio marito a salvarti
solo in vista di quel momento».
Khalida strinse i denti.
«Cosa si aspetta che
faccia?», sibilò.
Ogni sentimento positivo
che aveva provato per la sovrana di Asgard era
stato fagocitato da un'ondata di rabbia.
Ancora una volta,
qualcuno si stava arrogando il diritto di manovrare
la sua vita.
Frigga fece il gesto di
allungare la mano, ma lo interruppe a
metà, intuendo il disagio di Khalida.
«Ti
darò qualcosa in cambio», disse
infine la Regina, come in una tacita scusa.
«E cosa
potreste mai avere, per me?»,
sbottò Khalida, aggressiva.
«Risposte»,
fece laconica Frigga. «Dimmi
umana, quante persone hai ucciso?».
Khalida
sgranò gli occhi, sentendo qualcosa pungere
all'altezza dello sterno, ma il suo orgoglio, l'unica cosa che nessuno
le avrebbe mai strappato, le impose di non eludere la domanda.
Non aveva mai fatto
mistero con nessuno del suo passato, e
benché potesse non andarne fiera, non l'avrebbe mai
rinnegato.
«Molte».
«Eppure una
sola di quelle vite ti pesa sulla
coscienza», osservò placidamente Frigga.
Khalida fece
istintivamente un passo indietro, improvvisamente
terrorizzata da ciò che la sovrana sembrava sapere di lei.
Forse cose che nemmeno lei riusciva ad ammettere con sé
stessa. «Lei non può osare...»,
iniziò, ma Frigga la interruppe.
«So che
c'è una domanda che ti tormenta, e posso
darti la risposta di cui hai bisogno, se mi prometterai che farai
ciò che ti chiedo».
Quella conversazione era
la più strana che Khalida avesse
mai sostenuto, ma non aveva dubbi che la Regina dicesse sul serio.
Se così non
fosse stato, la paura non l'avrebbe afferrata in
modo tanto violento.
Ma quella domanda che da
anni la tormentava, e la sua risposta, che
ancora non aveva afferrato, erano un chiodo doloroso nella sua mente. E
per strapparlo via, avrebbe dato qualsiasi cosa, nonostante sapesse che
in futuro se ne sarebbe pentita.
«Prometto»,
le scivolò di bocca, in un
sospiro spezzato.
Frigga stavolta le
posò le mani sulle spalle, fissandola
dritto negli occhi. La sua espressione era seria, ma una sottile
dolcezza trasparì dai suoi lineamenti.
«Ce la farai.
Troverai la pace che brami, se permetterai al
tuo cuore di amare nuovamente», dichiarò Frigga,
non riuscendo a trattenere un sorriso nello scorgere le lacrime in
bilico tra le ciglia della donna di fronte a lei.
Khalida le
ricacciò orgogliosamente indietro e
chinò appena il capo.
«Mi dica cosa
vuole che faccia».
«Resta vicino
a mio figlio, ad ogni costo».
Alla Bocca del Demone,
Khalida aveva creduto che il suo estremo
sacrificio per permettere a Loki di fuggire adempisse il volere della
Regina, e che la pace che aveva tanto agognato sarebbe arrivata
attraverso la morte.
Si era sbagliata, perché la sua redenzione era Ivy, e
ciò che tutto lei rappresentava.
Una rivincita sul suo destino di assassina e il riscatto per la vita di
Mannar che non era riuscita a salvare.
Probabilmente, se non fosse stato per le parole di Frigga, non avrebbe
mai accettato di prendersi cura di quell'ammasso di guai e rabbia che
era la ragazza quando l'aveva incontrata.
Per questo aveva acconsentito subito alla richiesta di Thor.
Era giunto il momento che pagasse il suo debito.
Anche se aveva previsto le circostanze che avrebbero portato alla sua
morte, Frigga non si era preoccupata di proteggersi, pensando
unicamente al bene dei propri figli, e Khalida da lei stava imparando
cosa significava davvero
essere madre.
Nonostante questo, la Regina l'aveva delusa.
Credeva che con la sua richiesta Frigga volesse proteggere Loki, invece
le circostanze le suggerivano che la dea, parlando di suo figlio, si
riferisse a Thor, e che ciò che intendeva davvero assicurare
era la sua ascesa al trono di Asgard. Non immaginava come tutta quella
situazione avrebbe mai potuto giovare a Loki, anzi.
In piedi accanto a lei, Heimdall scrutava nel vuoto, immobile.
«Hai molte domande, dentro di te»,
osservò il Guardiano, dopo minuti di silenzio.
Khalida strinse le braccia intorno al petto. «Come molti
della mia razza», replicò, incolore.
Heimdall si lasciò sfuggire un debole sorriso, che
incuriosì Khalida. Di certo per lui, che da ere
incalcolabili osservava tutto l'universo, la natura umana era qualcosa
di semplice, quasi elementare.
Dedicò un lungo minuto a scrutare la figura immutabile
dell'enorme alieno, prima di dare libero sfogo ai suoi dubbi.
«Vorrei chiederti un'informazione».
«Parla».
Khalida deglutì un nodo di ansia. Aveva deciso di non porre
quella domanda, ma adesso, ora che stava per partire e forse non
tornare, aveva bisogno di saperlo. «La ragazza, Ivy, dove si
trova?».
«Sulla vostra fortezza volante. Con i tuoi
compagni», rispose il Guardiano, dopo un solo istante di
concentrazione.
Khalida tornò a fissare ostinatamente davanti a
sé, apparentemente incurante della notizia.
Una bufera, invece, era in corso nel suo cuore.
Aveva previsto che Coulson avrebbe interrogato Ivy e che una volta che
lei avesse detto tutto, l'avrebbe lasciata andare. Nella peggiore delle
ipotesi avrebbe potuto tenerla sotto sorveglianza per qualche tempo.
Non si aspettava che Fury, perché non aveva dubbi che fosse
stata un'idea del Direttore, la portasse sull'Elivelivolo,
né che la mettesse in contatto con i Vendicatori.
Questa non ci voleva proprio.
Un sottile fulmine ferì il cielo plumbeo, annunciando
l'arrivo di Thor, che atterrò pesantemente alla spalle di
Khalida ed Heimdall.
«Amici miei!», esclamò, allegro come al
solito, affiancandoli.
Batté con fare fraterno la mano sulla spalla di Khalida.
«Ero certo che ci saresti riuscita»,
affermò.
La donna non se la sentì di ricambiare il suo entusiasmo.
Ora che possedeva ancora un vantaggio su Thor, era il momento di
sfruttarlo.
La lunga meditazione attraverso Match l'aveva resa conscia degli
estremi pericoli che stava per affrontare e, anche se era disposta a
correrli, non poteva accettare che Ivy ne facesse le spese.
E la vita che si era impegnata a costruire per lei, una vita normale,
andava protetta ad ogni costo.
«Prima di partire, ho bisogno di parlarti», disse,
voltandosi per fissare gli occhi azzurri di Thor.
Il Principe di Asgard aggrottò le sopracciglia, perplesso,
ma annuì comunque.
Khalida aspettò che Heimdall li lasciasse soli. Anche se era
inutile, dato che occhi e orecchie del Guardiano erano sempre in
allerta, la donna apprezzò comunque il gesto.
«Parla liberamente Khalida» la
incoraggiò Thor, con un velo di impazienza nella voce.
Ora che le cose stavano finalmente procedendo per il verso giusto, lo
infastidiva la possibilità di nuovi ostacoli.
«Ho trovato il modo per rintracciare Loki, ma prima di
incamminarci ho bisogno che tu accetti alcune condizioni»,
iniziò Khalida, e pur immaginando che l'asgardiano avrebbe
avuto da ridire, non gli diede il tempo di ribattere. «Se lo
S.H.I.E.L.D. non fosse intervenuto in Israele, sono certa che Loki mi
avrebbe uccisa, prima o poi. Ho accettato di imbarcarmi in questa
missione solo perché tu me lo hai chiesto, e pretendo che mi
assicuri la tua protezione, se Loki cercherà di farmi del
male».
Thor le strinse la spalla, quasi fino a farle male.
«So che non nutri fiducia nella mia razza»,
iniziò, con voce grave. «Ma non devi dubitare di
me. Farò tutto ciò che è in mio potere
per proteggerti».
Khalida si scrollò la mano di Thor dalle spalle, con un
gesto apparentemente casuale.
«Ti credo», annuì la donna, anche se i
suoi occhi sembrarono suggerire qualcosa di diverso.
Thor non sarebbe mai stato in grado di capire che lei non era
più capace di fidarsi di nessuno, non solo degli asgardiani.
«C'è dell'altro», mormorò
Khalida. «Se mi dovesse succedere qualcosa, voglio che tu
impedisca ad Ivy di arruolarsi nello S.H.I.E.L.D. o di fare qualsiasi
altra sciocchezza».
Thor strinse i pugni. «Non ti succederà
niente», affermò con aria quasi oltraggiata.
Khalida scosse la testa, con fare quasi sconsolato. «Non sono
sciocca, Thor. Ci sono decine di modi in cui questa storia potrebbe
finire male, per me, nonostante il tuo aiuto».
Il Principe intuì immediatamente che non era il caso di
insistere oltre e riconosceva che Khalida non aveva tutti i torti.
Anche se la loro missione era una semplice ricerca, nessuno di loro
aveva la più pallida idea di cosa avrebbero potuto trovare.
Aveva fiducia nei suoi compagni e nelle sue capacità ma,
anche se poteva avere delle lacune in molti campi, la guerra gli era
familiare quanto il suo volto, e non era ingenuo. Prepararsi al peggio
era un atteggiamento saggio, per un guerriero, e Khalida, anche se non
in modo tradizionale era una guerriera, alla pari dei soldati di Asgard
più addestrati.
«Rispetterò il tuo volere, Khalida. Lo giuro sul
mio onore», annuì Thor.
Khalida chinò leggermente la testa. «Ti
ringrazio», mormorò, muovendo nervosamente le dita
intorno all'asta di Match, che mandò lampi intermittenti
attraverso il cristallo azzurro.
Thor prese un respiro profondo.
C'erano molte domande che avrebbe voluto rivolgere a quella strana
donna che ogni giorno di più lo lasciava confuso, ma non era
certo che porle sarebbe stata una mossa saggia.
Le risposte avrebbero potuto non piacergli.
«Sputa il rospo, Thor, o finirai per strozzartici»,
lo rimproverò Khalida, non nascondendo un lieve sorriso
sarcastico. Si voltò per guardarlo negli occhi, aspettando
che lui parlasse.
L'asgardiano raddrizzò le spalle e gonfiò la
cassa toracica. «Credi davvero che Loki tenterà di
ucciderti, quando ti vedrà?».
Khalida strinse gli occhi. «Prevedere le azioni di Loki non
è semplice», ammise solamente, neutra.
«Pensi che provi qualcosa per te?»,
azzardò Thor.
Khalida inaspettatamente rise di gola. «Certo. Prova la
stessa cosa che prova per te. Mi odia».
Colpito, Thor rimase muto per un lungo momento, per poi ritentare.
«E tu, cosa provi per lui?».
Le dita di Khalida si serrarono con più forza intorno a
Match, e un fulmine bianco saettò lungo la superficie del
manufatto. Sollevando il mento, la donna fissò Thor dritto
negli occhi. «Dovresti imparare a porre con più
accortezza le tue domande, figlio di Odino»,
sibilò, poi si allontanò a lunghi passi, voltando
le spalle al Principe.
Sulla soglia della camera del Bifrost, Khalida si fermò,
come se si fosse ricordata improvvisamente qualcosa di importante.
«Cosa ti spinge a cercare Loki?»,
domandò, alzando la voce per farsi udire bene.
Thor fece un gesto d'impazienza. «Ho già risposto
molte volte a questa domanda. Perché me la poni di nuovo?
Credi che stia mentendo?».
La donna si voltò appena. «No, non lo credo. Ma
ricordati che, quando Loki ti farà questa domanda, non si
accontenterà di un semplice “avevo bisogno di
te”. Pensaci, perché dalla tua
risposta potrebbe
dipendere la tua vita e la salvezza di Asgard», disse,
rivolgendo nuovamente lo sguardo al panorama di Asgard al di
là del Ponte dell'Arcobaleno.
«Chiamami quando saremo pronti a partire. Prima
lascerò questo posto, meglio sarà», la
voce di Khalida perse di volume man mano che si allontanava lungo la
strada sospesa di madreperla, e Thor credette di aver solo immaginato
l'ultima frase che aveva pronunciato.
Rientrando nella stanza, Heimdall lo guardò a lungo con
serietà.
«Chiama Fandral, Hogun Volstagg e Lady Sif. Partiamo
all'alba», ordinò Thor, e contemporaneamente un
gracchiare di corvi ferì il silenzio immobile della notte,
quasi a ricordargli nuovamente che in quell'impresa sarebbe stato solo,
privato ancora una volta del sostegno di suo Padre.
La sala ristoro del terzo livello dell'Elivelivolo, quello riservato
agli alloggi e alle sale per l'addestramento, era completamente
deserta, a quell'ora della mattina.
Ivy si sedette pesantemente su una delle prime sedie che
riuscì ad agguantare e posò il volto sui palmi
delle mani, sbadigliando sonoramente. Si era svegliata alla solita ora,
prima dell'alba, e il sonno non le si era scollato di dosso, nemmeno
dopo i consueti cinque chilometri di corsa.
Drew, in piedi accanto a lei, trattenne un sorrisetto divertito.
«Vado a recuperarti un caffé?», le
chiese.
Ivy gli concesse un sorriso sincero. «Sei un
angelo», mugugnò, nascondendo l'ennesimo sbadiglio
dietro le dita.
In un solo giorno, tra i due giovani si era instaurato un rapporto
naturale, quasi confidenziale, condito da un pizzico di malizia. Ivy,
anche se di solito non amava avere ragazzi attratti da lei intorno, non
aveva cercato di allontanarlo, né si era mascherata dietro
la sua solita freddezza. La compagnia del giovane agente la faceva
sentire meno sola, su quell'enorme macchina volante.
Certo, a volte l'intelligenza di Drew, che si era laureato all'MIT alla
sua età, la faceva sentire incredibilmente ignorante, ma
spesso il ragazzo si rivelava una compagnia gradevole, adatta a farle
passare piacevolmente le lunghe ore vuote sulla base aerea.
Era riuscita, con pazienza, ad estorcere qualche informazione riguardo
Khalida e il suo ruolo nello S.H.I.E.L.D. ma aveva ottenuto poche
briciole in confronto a ciò che voleva realmente sapere.
Iniziava a sospettare che in realtà il ragazzo ne sapesse
veramente poco, al riguardo.
L'agente Whedon l'aveva lasciata sola da pochi istanti, diretto al
bancone del bar, quando nella sala entrò una giovane donna,
con l'aria di chi non ha chiuso occhio tutta la notte.
Invece che dirigersi al bancone, la donna si trascinò fino
ad un tavolino, pochi metri a destra di Ivy, e si sedette, iniziando a
spulciare da un quaderno rigonfio di carte ed appunti di ogni tipo.
Mordicchiandosi l'unghia dell'indice, la donna leggeva assorta,
scostando continuamente i capelli scuri che le ricadevano davanti agli
occhi.
Per pigrizia e curiosità, Ivy si prese il tempo di
osservarla con attenzione.
Non era un'agente, non ne aveva l'aria, né indossava la
tipica uniforme blu che Drew aveva sempre addosso. Indossava un paio di
jeans consunti e una delle magliette più assurde che avesse
mai visto, adatta più ad una bambina di cinque anni che ad
una donna sulla trentina.
Era molto carina, ma aveva l'aria affaticata e trascurata, gli occhi
cerchiati da pesanti occhiaie e il viso pallido, la classica
abbronzatura da monitor di chi passa molto tempo davanti al computer.
L'agenda che sfogliava aveva le pagine scritte fittamente e, aguzzando
la vista, Ivy riuscì a scorgere quelli che le sembrarono
segni aritmetici o algebrici.
Doveva essere una scienziata, o qualcosa del genere.
Drew le si sedette di fronte, coprendole la visuale e nascondendo la
donna che era talmente assorta in ciò che stava facendo, da
non averli nemmeno notati.
Ivy stirò il collo, per continuare a sbirciarla
indisturbata, ignorando il suo caffè fumante.
L'agente Whedon seguì il suo sguardo.
«Chi è?», domandò infine Ivy,
afferrando il bicchiere di plastica che aveva davanti.
«La dottoressa Jane Foster, un'astrofisica»,
rispose il giovane.
Ivy fece una leggera smorfia come a dire che il nome non le diceva
niente, mentre prendeva un sorso di caffè.
«È la ragazza di Thor», aggiunse Drew.
Ivy tossì, evitando per un pelo che il caffè le
andasse per traverso. «Dici sul serio?»,
domandò, asciugandosi le labbra con la mano. «E
cosa ci fa qui?».
Drew scrollò le spalle. «Immagino qualche ricerca
per conto dello S.H.I.E.L.D. Se ne sta rintanata da ieri nel
laboratorio insieme agli altri scienziati».
Un piccolo sospetto si fece strada nella mente della ragazza.
«Lavora qui da molto?».
«A dir la verità no, è comparsa la
stessa notte che sei arrivata tu».
Ivy strinse gli occhi.
No, non poteva essere una coincidenza che quella donna si fosse
materializzata sull'Elivelivolo insieme a lei. Jane Foster era un
tassello importante del puzzle che stava tentando di comprendere, ed
era proprio lì, a pochi passi da lei.
Senza rifletterci troppo, Ivy scattò in piedi e raggiunse il
tavolo della scienziata, piazzandosi davanti alla donna.
«Jane?», la chiamò, senza troppi giri di
parole.
L'altra scattò come se fosse stata scottata, e
guardò Ivy sbattendo gli occhi. «Sì...
ci conosciamo?», domandò, con aria confusa.
«Non proprio», ammise Ivy, senza perdere l'aria
battagliera. «Volevo solo chiederti se sai perché
il tuo ragazzo alieno è piombato nel mio giardino portandosi
via mia madre per andare a cercare un criminale
intergalattico», snocciolò, quasi senza respirare.
Jane aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando
indecisa se offendersi o mettersi a ridere per come quella ragazzina
l'aveva apostrofata. Ma il riferimento a Thor le fece capire che non
c'era nulla di divertente, in quella situazione.
«Chi sei tu?», domandò.
Ivy sollevò il mento, con aria fiera.
Jane, ancora prima di sentire la risposta, la intuì.
«La figlia di Khalida Sabil».
-------------------------------------------------
La parte in corsivo è ovviamente un ricordo di Khalida, si
colloca a livello temporale subito dopo il capitolo 11 di Prigioni.
Le capacità di chiaroveggenza di Frigga provengono
direttamente dalla mitolgia norrena, ma ho comunque rimaneggiato quello
che avevo letto in giro, per cui diciamo che mi sono inventata tutto
quanto XD
Non posso dire che mi sia divertita a scrivere questo capitolo,
però mi ha permesso di esplorare in modo approfondito la
psicologia di Khalida, sia quella pre, che quella post, Ivy. I motivi
che la spingono a cercare Loki adesso sono più chiari, e mi
dispiace deludervi, hanno poco a che fare con eventuali sentimenti
verso Loki.
L'incontro tra Ivy e Jane è stato un po'inaspettato anche
per me, volevo che accadesse più in là con la
storia, poi mi sono accorta che non avrebbe avuto molto senso farlo
succedere più tardi, per cui, ecco qua.
Spero che vi siate divertite,
Spero a presto, nel frattempo vi rimando al mio Twitter, per avere
anticipazioni e informazioni sull'andamento della scrittura.
Bacio, Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 9 - Come la neve ***
Eccomi
qui, sono riuscita a pubblicare nonostante le ferie...
C'è una premessa doverosa che devo fare.
Ho fatto una scelta narrativa piuttosto netta per questo capitolo,
scegliendo volutamente per ignorare la maggioranza dei pensieri di
Khalida, ed escludere completamente quelli di Loki.
In questo capitolo c'è più una parte molto
descrittiva, concentrata soprattutto su Thor.
Scopriremo i pensieri di Loki nel prossimo capitolo, in cui ci
sarà una parte d'introspezione consistente. All'inizio il
capitolo nove e il dieci dovevano essere uno solo, ma poi mi sono resa
conto che sarebbe diventato veramente troppo lungo e pesante da
affrontare tutto insieme, e ho preferito dividere.
Detto questo, vi lascio al capitolo, buona lettura.
Lo schianto fu tale che Thor sentì stridere i denti. Le
vibrazioni attraversarono i muscoli, come una scossa, causandogli una
fitta acuta nella schiena e nelle spalle.
Aprì gli occhi lentamente, scrutando a fondo il terreno
erboso segnato da solchi profondi almeno cinque centimetri.
L'energia proveniente dalla strana arma di Khalida doveva essere
notevole, normalmente il Bifrost non lasciava segni tanto netti sulle
superfici su cui materializzava i viaggiatori di Asgard.
Stringendo Mjolnir nella mano destra, il Principe si rimise in piedi.
«State tutti bene?», domandò, scrutando
a fondo la radura in cui erano giunti.
Lo spiazzo era largo cinque metri, e lungo poco più.
Intorno a loro grossi alberi dai tronchi scuri e nodosi, avvitati su
sé stessi, formavano una giungla fitta e dall'aria
pericolosa. Versi di animali e ronzii di insetti saturavano l'aria
umida e fredda.
Il cielo era coperto da una coltre di nubi bianchissime, che si
estendevano oltre l'orizzonte. La luce intensa feriva gli occhi, anche
se la sua fonte non era visibile.
«Tutti interi», rispose Fandral, controllando con
una rapida occhiata i suoi compagni.
«Khalida?», insisté Thor.
«Sto bene», replicò la donna, ma la sua
voce allarmò il Principe, che si voltò di scatto.
La donna era in piedi a un passo da lui, con le spalle dritte e Match
piantato nel terreno. L'arma era illuminata da scariche d'energia
azzurro intenso: decine di piccoli fulmini scorrevano dall'asta alla
mano di Khalida e viceversa.
Ciò che spaventò di più Thor furono
gli occhi della donna, accessi da un sinistro luccichio azzurro, simile
a quello che aveva visto negli occhi dell'agente Barton, quando era in
potere dello Scettro.
«Cosa c'è?», chiese Khalida, con voce
infastidita.
«I tuoi occhi...», iniziò Thor.
«Non è nulla, sto bene»,
replicò lei, secca. «È un effetto
dell'energia di Match», aggiunse, come per tranquillizzare
gli altri asgardiani che, anche se silenziosamente, avevano portato le
mani alle armi.
Thor abbassò Mjolnir. «Dove ci
dirigiamo?», le domandò, facendo
contemporaneamente un lieve cenno a Sif, che annuì con un
movimento della testa.
In anni di combattimento, lei e Thor avevano sviluppato un codice di
comunicazione che entrambi sapevano leggere al primo sguardo. In quel
momento il Principe desiderava che lei tenesse d'occhio l'umana, pronta
ad ogni evenienza.
Per quanto Thor potesse aver fiducia nella terrestre, Sif era
consapevole che non si fidava affatto di niente che avesse a che fare
con la magia, o qualsiasi cosa fosse quella strana luce blu.
Khalida parve non notare lo scambio di sguardi, concentrata nello
scrutare i dintorni, come alla ricerca di qualcosa.
All'improvviso, il cristallo sulla punta di Match brillò
più intensamente, sfrigolando. Un sottile fulmine ne
percorse la superficie, per poi scattare in avanti, dirigendosi verso
est e sparendo nel folto della foresta.
Khalida osservò per un attimo la strada di luce, con aria
quasi stupita. «Da quella parte», disse, facendo il
gesto di incamminarsi.
Thor la fermò, prendendola per un braccio.
«Andiamo avanti noi», ordinò,
richiamando Hogun e Fandral con un cenno della testa.
In pochi istanti, i guerrieri asgardiani si disposero in fila. Thor,
Hogun e Fandral in prima linea, Sif e Khalida al centro e Volstagg come
retroguardia.
Thor strinse le mani lungo il manico di Mjolnir, per darsi coraggio.
Scambiò uno sguardo d'intesa con Hogun al suo fianco, poi
fissò la foresta davanti lui.
«A noi due Loki», mormorò.
Il sottobosco emanava un forte odore di muschio misto all'acre della
decomposizione.
I pesanti stivali di Khalida affondavano fino a metà
polpaccio negli strani arbusti simili a felci, dalle foglie larghe e
carnose, che quando si spezzavano lasciavano gocciolare una linfa
biancastra.
Il terreno era sconnesso, ferito e spaccato dalle radici ritorte di
quegli alberi che le ricordavano vagamente i lunghi filari di vigne che
aveva visto in Europa.
Per il resto, quella giungla non assomigliava a niente di terrestre.
L'aria era gelida, ma l'umidità tale che ben presto tutti si
ritrovarono a corto di fiato e coperti di sudore.
I rami erano bassi e coriacei, e più di una volta Fandral
dovette fare strada al gruppo tranciandoli con la sua lunga spada a due
mani, spargendo sul gruppo le lunghe foglie sottili, pungenti come aghi
di pino, color verde marcio. In mezzo ad esse fiori grossi come la mano
di Thor, con quattro petali blu intenso screziati di nero, si
richiudevano di scatto non appena i rami venivano toccati, spruzzando
nell'aria nuvole di polline biancastro. Il profumo non era propriamente
gradevole, forte e speziato, sembrava un misto tra menta e pepe che
faceva pizzicare gli occhi.
Volstagg starnutì sonoramente più volte, facendo
levare in volo alcuni insetti simili ad enormi cavallette, lunghe
più di trenta centimetri.
Il sottile fulmine che li guidava ronzava sommessamente, appeso al
cristallo di Match che pulsava, illuminando la vegetazione di
inquietanti riflessi blu.
«Quanto ci vorrà ancora?»,
domandò Thor, in testa al gruppo. Non poteva esserne certo,
perché la luce non era minimamente cambiata, ma doveva
essere passata poco più di un'ora dal loro arrivo.
Quel luogo lo metteva a disagio.
Non conoscendone i pericoli, non poteva proteggere né
sé stesso, né i suoi compagni.
«Non molto», disse Khalida.
La voce dell'entità le rombava nelle tempie, mormorando
informazioni dettagliate su ogni forma di vita su cui posava gli occhi,
e il mal di testa stava diventando sempre più intenso, ma si
sforzava di non darlo a vedere.
Alla fine Loki c'era riuscito davvero.
Aveva trovato il pianeta dei creatori del Tesseract, e l'aveva fatto
rifiorire, riportando il Tesseract nel luogo che l'aveva visto nascere.
L'avrebbe capito anche senza la voce aliena che snocciolava dati
biologici e biometrici senza sosta.
Una terribile certezza si fece strada nella sua mente.
Non avrebbe mai dovuto portare Thor in quel posto.
Finalmente uno dei progetti di Loki era andato a buon fine.
I suoi inganni avevano prodotto qualcosa, qualcosa di vivo e
meraviglioso.
E proprio ora che forse aveva trovato la sua strada e lasciato perdere
i suoi tanti tormenti, arrivava lei a riaprire le ferite e a gettarci
sopra sale.
Forse ora conosceva la risposta alla domanda che Thor le aveva rivolto
la sera prima.
Loki l'avrebbe di certo uccisa, anche solo per far finta che niente
fosse cambiato nel paradiso in cui si era rinchiuso.
Match sfrigolò e il cristallo si spense, insieme alla pista
di luce che li aveva guidati fin lì.
Dovunque fossero, erano arrivati.
La giungla si aprì davanti a loro, spalancandosi come le
fauci affamate di una belva.
La luce ferì le pupille di Khalida ormai abituata alla
penombra piacevole degli alberi e subito non riuscì ad
identificare perché Thor e Fandral sembravano paralizzati,
alle soglie di uno spiazzo privo di alberi di una decina di metri di
diametro.
Poi sentì i ringhi, cupi e rombanti.
Due enormi lupi, alti quasi quanto cavalli, schiumavano e sbavano,
minacciosi, con il pelo ritto sulle schiene incurvate. Uno era nero
come la notte, con gli occhi d'ambra, l'altro era color argento, gli
occhi bianchi come neve. Il destro era socchiuso, tagliato a
metà trasversalmente da una lunga cicatrice spessa.
Entrambe le bestie erano maestose, magnifiche e pericolose, come lo
sono solo le cose letali.
«State indietro», ordinò Thor,
sollevando Mjolnir.
Per quanto imponenti, quei lupi non sarebbero stati una minaccia troppo
grande, insieme ai suoi compagni aveva affrontato di molto peggio.
Un lieve vento si alzò nella radura, spazzando le fronde e
scatenando una pioggia di foglie sottili e taglienti. Gli aghi
danzarono nell'aria e all'improvviso i lupi smisero di ringhiare.
In mezzo a loro, nel cono d'ombra proiettato da un albero
particolarmente imponente, una figura comparve dal nulla.
Era alta ed imponente, un lungo mantello ondeggiava sulle sue spalle.
Sul capo indossava un elmo sormontato da lunghe corna ricurve.
Fandral si irrigidì e Thor strinse i denti, mentre Loki
avanzava nella luce.
Nella mano destra teneva lo scettro, con l'estremità
piantata nel terreno. Il Tesseract sulla sommità brillava,
emettendo scariche d'energia azzurre.
Indossava l'armatura dorata che aveva adottato sin dalla prime
battaglie, e Thor riconobbe che non sembrava minimamente cambiato, ad
eccezione dei capelli, che portavano nuovamente corti e pettinati
indietro, come quando erano ragazzi.
Qualcosa di misto al rimpianto e alla nostalgia gli strinse il cuore in
una morsa dolorosa nel vedere il solito sguardo sprezzante e astioso
che Loki rivolse nei suoi confronti.
Nemmeno il suo rancore era mutato.
Sif fece istintivamente un passo avanti, ma Hogun la trattenne per un
braccio, ad intimarle di stare calma.
I lupi ripresero a ringhiare.
«Fareste meglio a tornarvene da dove siete venuti»,
esordì Loki, con voce calma.
Fece un altro passo avanti e Khalida trattenne istintivamente il fiato.
Quel qualcosa che di Loki l'aveva sembra attirata, era ancora
lì, forse più forte di prima.
Il potere che emanava lo sentiva scorrere attraverso sé
stessa. Pulsava direttamente nell'asta di Match, ormai bollente.
Una nuova fitta alla testa la colse di sorpresa, e per un attimo la
vista le si offuscò. Sentì qualcosa di caldo
colarle sul labbro. In fretta, sperando che nessuno lo notasse, si
asciugò il sangue con la mano e tornò a
rivolgere l'attenzione a Loki.
«Sono venuto a cercarti per un motivo»,
iniziò Thor.
Il dio dell'inganno strinse gli occhi, e il lupo nero fece un passo
avanti.
«Non mi interessa. Tornate, prima che ordini a Fenrir e Hela
di sbranarvi», minacciò di nuovo Loki,
più seriamente.
Fandral sguainò la spada. «Affrontaci di persona,
vigliacco», sputò, con disprezzo.
Il vento mosse di nuovo le fronde degli alberi, e le ombre danzarono
sul terreno.
Khalida affilò lo sguardo e qualcosa scatto nella sua mente,
resa più acuta dall'energia di Match.
Fandral sembrava pronto a scattare da un momento all'altro, e Khalida
decise di agire, prima che finisse sbranato inutilmente da una di
quelle bestie.
Portandosi in piena luce, Khalida affiancò Fandral,
abbassandogli la spada con un gesto brusco. «È
solo un'illusione», spiegò, accennando alla figura
di Loki. «Se proverete ad attaccarlo, sarete alla
mercé dei lupi».
Come se potessero ustionarla, la donna percepì
immediatamente gli occhi ardenti di Loki addosso, ed ebbe solo pochi
istanti per rendersi conto del suo errore.
Il fatto che quella fosse una proiezione non significava affatto che il
dio dell'inganno fosse lontano.
Accadde tutto in attimo.
I lupi scattarono contemporaneamente, gettandosi l'uno su Thor, l'altro
su Fandral.
Khalida si sentì sollevare da terra, e solo quando il suo
corpo impattò violentemente contro il terreno, si rese conto
che Loki era lì, sopra di lei, che le premeva l'asta dello
Scettro sulla giugulare. Proprio come nella Bocca del Demone, una vita
prima.
Con gli occhi pieni di lacrime, Khalida scrutò il volto del
dio degli inganni.
Sorrideva, di una gioia feroce e violenta, come quella del cacciatore
che ha finalmente tra le mani la propria, agognata, preda.
Le mani di Khalida artigliarono l'asta di Match. Provò a
condensare l'energia, per respingere l'assalto di Loki, ma lo Scettro
premuto sulla gola le toglieva l'ossigeno, e il suo corpo era
già esausto, consumato dalla fatica del viaggio.
Capì immediatamente di non aver scampo.
Sentì la voce di Thor, sopra i ringhi feroci dei lupi,
chiamare il suo nome, ma le sembrò che provenisse da decine
di chilometri di distanza.
Loki spinse di più lo Scettro, e Khalida
boccheggiò violentemente.
Le mani le si aprirono in uno spasmo involontario, e Match
scivolò a terra.
«Aspettavo questo momento dalla prima volta che ti ho
vista», mormorò Loki, quasi suadente, con la
stessa dolcezza di un serpente che cinge la propria preda in un
abbraccio mortale.
In un disperato istinto di sopravvivenza, Khalida sollevò le
mani, afferrando i bordi della casacca di Loki. Lo spinse contro di
lei, avvicinando la bocca al suo orecchio.
«Frigga è morta. Thanos ti sta
cercando», riuscì a sospirare, in un filo di voce.
Loki esitò solo un'istante, ma fu sufficiente.
Scrollatosi di dosso il lupo bianco a colpi di martello, Thor li
raggiunse con due lunghe falcate. Urlando, caricò Loki e lo
tolse di peso da Khalida, afferrandolo per il mantello.
Il Tesseract emise un lampo di luce che accecò gli occhi di
Thor, e Loki ne approfittò per prendere il sopravvento, ma
l'asta dello Scettro di scontrò con Mjolnir, emettendo un
ventaglio di scintille.
Ringhiando, Thor spinse il fratello lontano, riguadagnando una certa
distanza da lui.
«Non sono venuto per battermi con te, Loki», disse,
lasciando cadere il martello sul terreno morbido.
Loki osservò con la testa piegata di lato il Mjolnir.
«Questa...», iniziò, mentre una bolla di
energia saettante si sollevava da sopra lo Scettro.
«...è stata una mossa davvero stupida»,
sottolineò, con un sorriso sghembo.
«Thor!», esclamò Sif, e la paura nella
sua voce, così rara, allarmò immediatamente il
Principe, che si voltò di scatto, volgendo le spalle a Loki.
Frandral, Hogun e Volstagg, impegnati a tenere a bada i due lupi, erano
disposti a cerchio intorno a Sif, chinata su Khalida.
Poi Thor vide il sangue.
Ruggendo, si gettò a testa bassa di nuovo su Loki, senza
curarsi della potenza del Tesseract.
I due impattarono contro il tronco dell'albero più
imponente, provocando uno schianto preoccupante che risuonò
nella radura. L'ennesima pioggia di foglie taglienti si
riversò sul terreno.
«Cosa le hai fatto?», tuonò Thor,
premendo Mjolnir sul petto di Loki, così forte che
riuscì a sentire lo scricchiolio delle costole.
«Cosa le hai fatto tu... vorrai dire»,
tossì Loki, senza perdere il sogghigno.
Thor sentì un fremito di terrore correre nei nervi, e Loki
rise più forte, scuotendo appena il capo.
«È umana, Thor. E tu l'hai portata qui, dove
morirà... in modo o nell'altro».
«Le tue minacce non mi spaventano, Loki»,
sibilò Thor.
«Oh, non sono minacce», precisò il dio
dell'Inganno. «Ma semplici constatazioni».
Thor strinse la presa su Mjolnir, indeciso su come procedere.
Un silenzio innaturale era sceso nella radura, i lupi tacevano,
stranamente tranquilli.
«Come sta Khalida?», urlò, rivolto ai
suoi compagni.
«Respira a fatica, ma non sanguina più»,
riferì Sif.
Thor guardò di nuovo Loki negli occhi. «Puoi
aiutarla?».
L'altro piegò la testa di lato, con aria quasi affascinata.
«No», rispose. «Sopravvivere dipende solo
da lei», aggiunse.
Mjolnir si sollevò lentamente dal petto di Loki, fino a che
l'alieno non riuscì a respirare più liberamente.
Thor sospirò a fondo. «Sono venuto a cercarti per
chiedere il tuo aiuto», disse, finalmente.
Loki annuì appena, mascherandosi dietro un'espressione
neutra. L'ira violenta che l'aveva animato fino a pochi istanti prima
sembrava essere scomparsa come neve al sole.
Qualcosa nei suoi occhi, che Thor riconobbe, fece esplodere una bolla
di sollievo nel petto del Dio del Tuono. Anche se dentro di lui aveva
sempre sperato che il Loki che era ancora suo fratello non fosse
completamente scomparso, riuscire a vederlo nel fondo di quei gelidi
occhi azzurri era una sensazione che lo riempiva di gioia e lo
confondeva allo stesso modo.
Si rese conto solo dopo qualche istante che lo Scettro e il Tesseract
erano scomparsi.
«Fandral, prendi Khalida», ordinò, e il
modo in cui Loki mosse appena la testa, gli diede conferma della sua
intuizione.
Mentre l'asgardiano prendeva delicatamente la donna esanime in braccio,
Hogun recuperò Match, che nella confusione generale era
rotolato a qualche metro dal gruppo.
Brontolando sommessamente i due lupi affiancarono Loki, che si
accertò con una breve occhiata che i due animali non fossero
feriti.
Non usò la stessa premura nei confronti dei Tre Guerrieri e
di Sif.
La guerriera, anche se tentava di nasconderlo, aveva un brutto taglio
sul fianco e le braccia ricoperte di segni di morsi, più o
meno profondi.
Thor se ne accorse e fece per raggiungerla, ma lei
intercettò il suo gesto e scosse la testa, con fare
orgoglioso, come a dire che stava bene.
Loki osservò lo scambio muto con aria di scherno, ma non
commentò.
«Seguitemi», ordinò, con tono monocorde.
Dal cielo bianco iniziarono a cadere piccoli fiocchi di neve, che
graffiarono l'aria.
I numerosi rumori della foresta si spensero a poco a poco, lasciando
posto ad un silenzio profondo ed insondabile.
Thor fece un breve sorriso al resto del gruppo come per rassicurarli.
«Dove ci porti?», chiese a Loki, incamminandosi
dietro di lui.
Il Dio dell'Inganno rimase in silenzio per lunghi minuti, fino a
convincere Thor che anche quella risposta gli sarebbe stata negata.
Quando Loki aprì finalmente la bocca, non disse
ciò che si aspettava.
«Dimmi come è morta».
-------------------------------------------------
So che avete molte domande, fatele nelle recensioni, farò
del mio meglio per rispondervi.
A presto!
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 10 - Come un fratello ***
Per
la serie, chi non muore si rivede, ecco il decimo capitolo.
Chi mi segue su Twitter conosce già in parte le mie
disavventure informatiche di questo periodo, quindi ve ne faccio solo
un riassunto.
Il mio povero amato portatile è passato a miglior vita
durante le ferie di agosto, per cui ho avuto serie
difficoltà a completare il capitolo. Se ci aggiungiamo che
nell'ultimo mese ho lavorato di più e sono stata occupata
con l'organizzazione di un viaggio che farò prossimamente,
ho avuto davvero poco tempo per occuparmi di questo capitolo che, come
vedrete, è piuttosto consistente.
Non voglio illudervi, da ora in poi è probabile che la
frequenza di aggiornamento si assesti su un capitolo al mese,
perché ora la trama si fa davvero tosta per me da
affrontare, considerando il tempo che posso dedicare alla sua
elaborazione.
Questo non significa che
Similitudini rimarrà incompiuta, ma solo che mi
prenderò il tempo che mi occorre per concluderla in modo
degno dell'affetto che provo per essa e per i miei personaggi, oltre
che per voi lettori.
Ok, la pausa confessionale è terminata, vi lascio al
capitolo...
PS: la targhetta mancante è arrivata!
Anni di allenamento
mandati in fumo in pochi attimi.
Loki respirava profondamente mentre i suoi passi leggeri sfioravano lo
strato di neve che ricopriva il terreno.
A malapena lasciava impronte, come se non fosse davvero in quel luogo,
ma solo una proiezione distorta, il debole riflesso di un ricordo.
E forse era così, perché la persona che Loki
sentiva di essere in quel momento avrebbe dovuto essere morta molto
tempo prima, precipitata in un abisso senza fine, inseguita da una
negazione violenta e mortale come una coltellata.
Era al punto di partenza, gli anni in cui si era nutrito del potere del
Tesseract ed era stato l'unica speranza di vita di quel pianeta in
rovina avevano perso improvvisamente significato, solo un sogno,
l'illusione di un ragazzo troppo ottimista.
La sola visione di quella donna aveva mandato in frantumi
l'autocontrollo che aveva dolorosamente conquistato.
Le ferite antiche erano state riaperte, ed ora sanguinavano
copiosamente, stillando rabbia e veleno.
Avrei dovuto ucciderla
molto tempo fa.
Si disse Loki, con un vago accenno di rimpianto.
In realtà, prima di quel giorno, non aveva mai provato il
reale desiderio di mettere fine alla vita dell'umana, benché
fosse stato tentato di farlo.
Gli era sempre costato ammetterlo, ma la donna aveva avuto una sua
utilità, un preciso scopo nei suoi piani, che aveva
puntualmente portato a termine.
Tuttavia avrebbe preferito di gran lunga continuare a crederla morta,
confinata in ricordi labili e insignificanti, piuttosto che dover
affrontare nuovamente la sua inopportuna presenza e quello che
comportava.
In quel tempo trascorso da solo Loki aveva compreso molto su
sé stesso e su ciò che desiderava.
In fondo, poco era cambiato da quando era ragazzo: essere riconosciuto
per ciò che era restava in cima alle sue ispirazioni.
Non si considerava più un asgardiano, ma era un Dio, un
essere superiore che meritava timore e rispetto.
Essere amato e compreso non rientrava nell'equazione, ma l'aveva
accettato da tempo.
Gli Dei non erano fatti per essere amati, ma temuti.
C'era qualcosa di tonificante in quei pensieri e probabilmente Loki vi
aveva indugiato più del dovuto, ebbro del potere del
Tesseract. Eppure in quei lunghi anni, il Dio dell'Inganno era
cambiato, forse in modo troppo sottile perché lui stesso se
ne rendesse conto.
Ora comprendeva che la rabbia non era la soluzione, né la
violenza uno strumento utile ed efficace, se non in determinati casi e
con specifici soggetti.
Sapeva che non sarebbero stati né l'una né
l'altra a portarlo al suo scopo.
Come quando era più giovane, poteva contare solo sulla sua
conoscenza e sul potere della sua mente e della sua lingua.
In fondo, erano sempre state quelle le sue armi, le migliori che avesse
mai posseduto, si concesse di pensare, accarezzando lentamente il
pugnale che portava alla cintura.
Quel periodo di relativa pace appena terminato l'aveva passato
interamente ad affilare i coltelli che custodiva nell'anima, rendendoli
lucidi e letali, raggiungendo vette di sapere che nei suoi sogni
più folli non avrebbe mai potuto immaginare.
Era conscio che quella solitudine non sarebbe potuta durare in eterno,
prima o poi il potere emanato dal Tesseract avrebbe attirato qualcuno,
ma non avrebbe mai immaginato che il primo a piombare giù
dal cielo di neve sarebbe stato proprio colui che un tempo chiamava
fratello e tutto ciò che aveva tentato faticosamente di
accantonare fino a tempo debito.
Essere impreparato era qualcosa che non poteva permettersi,
né in quel momento, né in futuro.
Ed era stato il suo unico errore.
Qualcosa di peggiore della rabbia, più forte dell'odio,
l'aveva spinto a tentare di uccidere l'umana.
Una paura viscerale che tutto il sapere del Tesseract non era riuscito
a lavare via, né a rendere meno potente.
Non aveva mai compreso fino in fondo le motivazioni che animavano la
donna e non immaginava cosa potesse averla spinta a rischiare la vita,
cercandolo.
Perché i suoi occhi scuri, che si era riscoperto incapace di
dimenticare, glielo avevano detto subito, che lei era consapevole di
cosa stava accadendo, e qualcosa nell'abbandono del suo copro aveva
confessato una sorta di rassegnazione, di accettazione.
E questo, Loki proprio non riusciva a comprenderlo.
Detestava non capire, ma detestava molto di più
ciò che la conoscenza avrebbe comportato, perché
i sentimenti erano un veleno a cui il suo cuore non era ancora immune.
Nonostante avesse tentato con tutte le sue forze di purificarsi, li
sentiva pulsare sotto lo sterno in un vortice di rabbia, insofferenza e
delusione che lo confondeva e lo rendeva ancora più
vulnerabile di quanto volesse ammettere.
E poi c'era Thanos.
Non si era mai illuso che l'Eterno l'avrebbe lasciato in pace, ma il
modo in cui aveva scelto di agire lo lasciava particolarmente perplesso.
L'omicidio di Frigga aveva il chiaro scopo di stanarlo, ma era una
mossa azzardata anche per il folle Titano.
Anche se assopita, Asgard era una bestia pericolosa, e la sua rabbia
era da temere, soprattutto dopo che il fallito attacco alla Terra aveva
decimato l'esercito di Chitauri.
In soli tre anni le forze dell'Eterno non potevano essere tornate al
considerevole numero originale, dato il tempo e l'energia che erano
necessari per la maturazione di macchine complesse come i Chitauri.
Quella sicurezza, ostentata, quasi arrogante, e l'insolita alleanza con
un popolo grezzo e violento come gli Elfi Oscuri, allarmava Loki.
Thanos era pericoloso, e aveva deciso di ricordarglielo in modo chiaro
ed inequivocabile.
I passi pesanti di Thor interruppero i pensieri di Loki, e l'alieno li
lasciò andare a malincuore. Immaginava che il Dio del Tuono
avrebbe cercato di parlargli, ma non significava che ne avesse voglia.
Thor si fermò un passo dietro di lui, e scrutò le
spalle dritte del fratello, che continuava a scrutare la foresta
innevata con apparente disinteresse.
No, non sembrava cambiato, eppure in lui c'era qualcosa di molto
diverso e familiare insieme, come se stesse guardando il riflesso del
fratello che Loki sarebbe diventato se solo lui avesse onorato in modo
degno la loro parentela.
«Khalida sembra stare meglio», esordì,
senza una ragione precisa, per scacciare quel silenzio gelido quanto la
neve che ancora scendeva dal cielo bianco e immutabile.
Non aveva mai potuto sopportare il silenzio, soprattutto quello in cui
Loki amava rifugiarsi.
«Ti inganni, se credi che m'importi della sua
sorte», replicò Loki, con fare assente.
«Perché hai tentato di ucciderla?»,
chiese Thor.
Loki si voltò, sul viso un sogghigno tagliente.
«Hai sempre avuto un talento particolare per fare domande
inutili».
Thor strinse i denti, deciso a non cogliere la provocazione.
Gli tornò in mente ciò che Khalida aveva detto
nella camera del Bifrost, il giorno prima.
«Non puoi paragonarla a me», iniziò, e
Loki gli lanciò uno sguardo curioso e sospettoso.
«Lei ha fatto tanto per proteggerti. Oltre ad aver messo in
pericolo la sua vita per darti il tempo di fuggire dallo S.H.I.E.L.D.,
ha rischiato di essere uccisa dalla sua stessa gente, per
tradimento», Thor fece un passo avanti, convinto che il
silenzio di Loki fosse sintomo del fatto che le sue parole l'avessero
colpito. «E anche se ha sempre saputo come rintracciarti, non
l'ha mai detto a nessuno».
«L'ha detto a te», replicò Loki, con
astio.
La filippica di Thor non lo toccava più di tanto. Conosceva
la donna, e se si era comportata in un determinato modo era stato per
proteggere sé stessa, non certo lui.
«Solo perché le ho dato un buon motivo per
farlo», ribatté Thor, stringendo i pugni.
«Sarebbe?».
Ci siamo.
Si disse Thor, respirando a fondo.
«Loki, io so di non essere mai stato un buon fratello per te.
Non ho mai capito quanto tu fossi diverso, ma ho comunque agito in modo
da fartelo pesare», le parole diventavano via via
più facili, man mano che Thor se le levava dal petto, dove
erano rimaste per troppo tempo. «Nel Bifrost mi dicesti che
avresti voluto essere solo mio pari e sono venuto per offrirti questa
possibilità. Io non sono tuo fratello di sangue e Odino non
è tuo padre, ma Frigga ti ha sempre amato come una madre, e
so che le volevi bene».
Un impercettibile fremito scosse la guancia di Loki, unico segno del
tumulto che le parole di Thor stavano scatenando nel suo petto.
«Aiutami a vendicarla, ne hai diritto quanto me, forse di
più», concluse Thor, posando una mano sulla spalla
di Loki. «Permettimi finalmente di comportarmi come un
fratello, dato che non l'ho mai fatto quando avevo ancora la tua stima
e il tuo affetto».
Loki scacciò la mano di Thor, pesante come un macigno. Gli
occhi si fecero freddi e taglienti. «Ti ha detto lei cosa
dirmi?».
Thor aggrottò le sopracciglia, perplesso, e anche deluso.
Sperava che la sua sincerità lo convincesse, ma forse ormai
il cuore di Loki era troppo gelato, perché una semplice
carezza lo sciogliesse.
Khalida doveva averlo ferito più profondamente di quanto
immaginava, per renderlo tanto astioso. Forse non si era sbagliato e
Loki provava, o aveva provato, qualcosa per lei.
Fece un mezzo sorriso. «Non so mentire, Loki, né
recitare. Lo sai».
«Oh, ne sono consapevole», sputò il Dio
dell'Inganno. «Ma lei sì. Non so cosa abbia fatto
o detto per incantarti, ma non fidarti di lei. Quando non
avrà più bisogno di te, ti volterà le
spalle».
Un silenzio carico di molte cose non dette scese tra gli sguardi
intensi dei due alieni.
Fu Loki il primo a riscuotersi, probabilmente per evitare che Thor
proseguisse l'argomento scomodo che aveva iniziato. Con un cenno della
mano destra, richiamò il lupo nero, che era rimasto in
attesa qualche metro più in là, al margine della
foresta.
Thor istintivamente strinse Mjolnir, pronto a difendersi.
«Fenrir * non ti attaccherà senza un mio
ordine», disse Loki, allungando una mano verso il lupo che si
avvicinò, abbassando leggermente le orecchie.
«Porta qui gli altri», ordinò il Dio
dell'Inganno, con voce autoritaria.
L'animale sembrò annuire e, dedicando una sguardo a Thor
come a tenerlo d'occhio, si allontanò da loro con passo
leggero.
Il Dio del Tuono seguì i passi dell'animale fino a che non
sparì dietro una delle colonne diroccate che sorgevano dal
terreno, come denti smussati di una terribile fiera ormai domata.
«Dove sta andando?», domandò, tornando a
fissare Loki.
L'altro si lasciò sfuggire un breve sorriso di scherno.
«A recuperare il resto dell'improbabile esercito che ti sei
portato dietro».
«È ad Asgard il mio esercito»,
precisò Thor.
«Lo spero per te», ribatté ferocemente
Loki. «Perché ne avremo bisogno».
Lo stupore non era un sentimento utile ad un guerriero, e Sif aveva
imparato da tempo ad eliminarlo dalla gamma di emozioni che si
concedeva di provare. Tuttavia, quello strano viaggio stava mettendo a
dura prova la sua abilità nell'ignorare ciò che
non era utile.
Non sapeva identificare se l'avesse lasciata più perplessa
il comportamento volubile di Loki o lo strano luogo in cui il Bifrost
li aveva materializzati.
La foresta aveva lasciato spazio a delle imponenti rovine, fuse in modo
equilibrato con la vegetazione, quasi ne avessero sempre fatto parte.
Un tempo, quell'ammasso di pareti senza senso doveva essere un palazzo
maestoso, più imponente dell'attuale reggia di Asgard.
Alti pinnacoli di metallo e pietra svettavano verso il cielo, formando
torrette di forma squadrata, simili a lunghi parallelepipedi di varie
lunghezze stretti intorno ad un unico corpo centrale cilindrico. Alcuni
arrivavano così in alto che la guerriera faticava a vederne
la sommità. **
La forma originaria della struttura era a stella, con almeno venti
punte, a giudicare dal numero e dalla disposizione delle torrette.
Anche se spezzate o deformate dai tronchi ritorti degli alberi, molte
pareti erano pressoché intatte.
Sif scostò con le mani le grandi foglie rotonde della pianta
rampicante che decorava come un arazzo il muro di pietra che stava
esaminando. Seguì con la punta delle dita i disegni
geometrici che formavano un decoro complesso ed affascinante. Alcuni
dei segni le ricordavano la foggia più antica delle rune
asgardiane, anche se non riusciva ad associarli a nessuna in
particolare.
Qualunque popolo avesse costruito quel palazzo, doveva essere molto
avanzato, forse più degli stessi asgardiani.
«Che posto è mai questo?»,
mormorò la guerriera, tra sé e sé.
Hogun la guardò. «Non mi piace»,
commentò, riassumendo il sentimento di tutti i Tre
Guerrieri, come era solito fare le poche volte che apriva bocca.
Fandral annuì.
«Non c'è nulla da mangiare»,
rimarcò Volstagg.
Sif trattenne uno sbuffo. «Seriamente, voi ricordate di aver
mai letto di un pianeta come questo? Non fa parte dei Nove
Mondi», insisté, battendo la punta della sua
lancia bilama sulla parete. La pietra tintinnò come se fosse
fatta di metallo, con una nota argentina.
Quel posto sembrava avere millenni, eppure era conservato
straordinariamente bene. Le strutture più antiche di Asgard
al confronto erano fatiscenti e traballanti.
Fandral si grattò la nuca. «Hem... non
è che stessi molto attento alle lezioni di
geografia», ammise.
«Questo pianeta non esiste nelle mappe di Asgard»,
confermò invece Hogun.
«Perché sei così sorpresa? Ti aspettavi
che Loki si nascondesse in un posto facile da trovare?»,
osservò Volstagg.
Sif strinse le belle labbra, ignorando il commento del compagno.
«Non mi piace questa storia».
Una lieve risata interruppe lo scambio di battute degli asgardiani.
Khalida si girò su un fianco, scostandosi di dosso il
pesante mantello di pelliccia che Fandral le aveva cavallerescamente
prestato per difenderla dal gelo pungente mentre era incosciente.
«Voi asgardiani non imparate proprio mai...»,
mormorò, sarcastica, nonostante la voce affaticata.
I Tre Guerrieri la fissarono con la stessa espressione che avrebbero
riservato ad un pentapalmo parlante.
Khalida rise, con l'isterismo di chi è sorpreso di essere
ancora vivo.
Si guardò intorno, registrando in fretta i dettagli.
All'appello mancavano Thor, Loki e i due lupi.
«Vedo che ti senti meglio», osservò Sif,
velenosa.
Quella donna non gli era mai piaciuta, sin dalla prima volta che
l'aveva vista. Era come un cavallo selvaggio che, anche se accetta di
essere domato, potrebbe disarcionarti quando meno te lo aspetti, solo
perché scorge la possibilità di tornare ad essere
libero.
Eppure Thor si fidava di lei, e Sif non capiva come né
perché, dato che la donna non aveva mai fatto nulla, dal suo
punto di vista, per meritare tanta considerazione.
Sapeva dare una motivazione precisa a tutti quei sentimenti negativi,
ma era troppo degradante ammetterli, e Sif preferiva nasconderli sotto
spiegazioni più o meno logiche, ma sicuramente
più comode.
Come ogni bravo soldato, sapeva annullarsi al momento più
opportuno.
Khalida annuì lentamente, ingoiando la voglia di ribattere
al sarcasmo malcelato di Sif. L'antipatia che la Dea le dimostrava la
infastidiva e stimolava in ugual misura, perché riusciva a
vedere dentro di essa una realtà interessante, che poteva
volgere a suo vantaggio. Ma quello non era il momento di occuparsi di
Sif, era già felice di riuscire a respirare e pensare in
modo coerente, non aveva voglia di attaccare briga con l'asgardiana.
Non avrebbe mai iniziato una guerra che non era certa di vincere.
Non poteva dire di stare bene, la testa le girava e aveva perso molto
sangue, come le ricordava il fastidioso odore ferroso nelle narici,
tuttavia si sentiva piuttosto in forze, se non considerava il tremore
diffuso nei muscoli delle gambe e delle braccia.
Ma a quello, aveva ormai fatto l'abitudine.
Sin dalla prima volta che aveva utilizzato Match si era resa conto che
il suo fisico si assuefaceva in fretta all'energia aliena che lo
attraversava.
All'inizio i sintomi erano gestibili, solo un prurito o una lieve
contrazione delle dita o dei muscoli del braccio uniti a un mal di
testa trascurabile. Quando lo S.H.I.E.L.D. le aveva strappato l'arma,
non ne aveva risentito più di tanto, il dolore per le ferite
era stato soverchiante e non aveva lasciato spazio a nient'altro, ma
quando era entrata in contatto con l'entità, le cose erano
rapidamente peggiorate.
Per usare termini terrestri, in quel momento si sentiva prossima ad una
vera e propria crisi d'astinenza, e la cosa non le piaceva affatto.
Con le mani tastò intorno a lei, lottando contro la nausea
che le squassava lo stomaco. Sospirò di sollievo quando
trovò il familiare metallo di Match e lo strinse, lasciando
l'energia libera di scorrerle nei tendini, dando sollievo ai tremiti
sempre più forti.
Sperò vivamente che gli asgardiani li scambiassero per
brividi di freddo, non aveva nessuna voglia di mentire.
Il sospetto che Match la stesse cambiando, era ormai una dolorosa
certezza, ma se voleva avere una chance di tornare sulla Terra, aveva
l'obbligo di restare lucida, accondiscendendo a quella situazione
assurda e intollerabile.
«Per quanto tempo sono rimasta incosciente?»,
domandò, tentando di mettersi in piedi.
Fandral, con il solito fare da gentiluomo, le prestò
volentieri una mano cui aggrapparsi, e Khalida non rifiutò.
«È difficile stabilire lo scorrere del tempo, in
questo posto», replicò Hogun.
«Sono affamato, per cui sono passate almeno due ore da quando
siamo arrivati», osservò Volstagg.
«È mai possibile che niente riesca a farti passare
l'appetito?», sbottò Sif, nervosa.
Fandral scrutò la compagna. «Cosa ti inquieta,
Sif?».
La guerriera gli rivolse uno sguardo fermo, quasi arrogante.
«Thor manca da troppo tempo».
Un rumore lieve, poco più di un fruscio, fece scattare i
sensi vigili degli asgardiani.
Un sibilo di lame spezzò il placido silenzio della radura,
rimbalzando sinistro sulle pareti di pietra.
Khalida reagì più lentamente e, dopo essersi
voltata, osservò con curiosità il lupo nero
comparso a pochi metri da loro.
L'animale appariva tranquillo. Con le orecchie basse, li scrutava di
lato, senza muoversi, quasi ad attendere una loro reazione.
Un mormorare teso passò tra Fandral e Volstagg, indecisi su
come comportarsi nei confronti della creatura.
Infine, dopo aver scrutato a fondo la posa e gli occhi dell'animale,
Khalida fece un passo avanti.
«Cosa pensi di fare?», la rimbrottò Sif,
come si fa con un bambino testardo.
Khalida si limitò ad indicare il lupo.
Come lei si era mossa aveva avanzato, spostandosi verso destra,
apparentemente nel punto più interno delle rovine.
«Vuole che lo seguiamo».
Il passaggio era stato graduale, tanto che Khalida aveva notato la
scomparsa degli alberi solo dopo diversi minuti di cammino.
Più si inoltravano nelle rovine, più la foresta
lasciava il passo a quella che doveva essere stata una vera e propria
città, formata da decine di edifici connessi tra loro da
passerelle sospese di metallo e vetro, di cui restavano solo poche
schegge sparse sul pavimento sconnesso e moncherini aggrappati alle
pareti.
«Questo posto doveva essere enorme»,
osservò Volstagg, schivando un masso squadrato che ostruiva
l'accesso al corridoio in cui il lupo nero, Fenrir, era scomparso.
Khalida, sempre Match stretto nel pugno, si concesse un breve sorriso.
«Non mi sarei aspettata niente di meno, dai creatori del
Tesseract».
I Tre Guerrieri la fissarono confusi, e Sif avanzò di un
passo verso di lei, con aria intimidatoria. «Come fai a
saperlo?», chiese la Dea, indecisa se credere alle parole
dell'umana.
Khalida sollevò il mento. «Me l'ha detto
Loki***».
«Prima o dopo aver tentato di ammazzarti?»,
incalzò Sif.
Khalida si voltò e fronteggiò l'asgardiana faccia
a faccia. «Mi vuoi spiegare che problema hai, Sif?».
La Dea fece un altro passo avanti, i nasi delle due donne quasi si
sfioravano, tanto erano vicine. «Non mi fido di te».
«No, quello che ti infastidisce davvero, è che Thor si fidi di
me», la provocò Khalida, stringendo la presa su
Match che scintillò più vigorosamente. Anche se
aveva deciso di non litigare con Sif in quella circostanza, adesso ne
aveva improvvisamente voglia.
«Quel tuo bastone non mi fa paura», fece presente
la guerriera, sfoderando la corta spada che portava alla cintura.
«Dovrebbe», ribatté Khalida, sprezzante.
Non sapeva nemmeno lei di preciso perché stesse provocando
Sif in modo tanto sfacciato. La guerriera le era superiore sotto ogni
aspetto e avrebbe potuto ucciderla con una mano sola, ma qualcosa
dentro di lei stava crescendo sempre di più, alimentata da
una rabbia che reprimeva da troppi anni. Khalida conosceva abbastanza
se stessa per sapere che quella sete si sarebbe placata solo con il
sangue. Suo o di Sif poco importava.
Il metallo di Match incontrò quello della lama di Sif
sventagliando scintille, e subito dopo una scarica d'energia azzurra
saettò vicino alla testa dell'asgardiana, producendo uno
sgradevole odore di piume bruciate.
Benché in svantaggio, Khalida non aveva intenzione di
risparmiarsi, e Sif era intenzionata a dare fondo a tutta la sua
abilità per mettere in difficoltà la donna, pur
non colpendola mai direttamente, sfiancandola senza aver bisogno di
ferirla.
Voleva umiliarla, non certo ucciderla.
Khalida intuì ben presto la tattica dell'asgardiana e la
torse a suo vantaggio, fingendosi più provata di quanto
fosse in realtà.
Sif cadde presto nella trappola, e Khalida riuscì a colpirla
di piatto con Match. Un'escoriazione fiorì sulla pelle della
Dea, provocata dell'affilata filigrana dell'impugnatura.
Sif perse definitivamente il controllo, abbandonò la spada e
si gettò a testa bassa su Khalida, aggredendola nel modo
più primitivo che conosceva: graffiandola e tirandola per i
capelli.
Fandral, Hogun e Volstagg assisterono alla scena talmente perplessi dal
comportamento delle due donne, da non riuscire a reagire, né
a fermare la compagna, che ben presto avrebbe finito con l'ammazzare
l'umana, anche involontariamente.
«SIF!», tuonò la voce di Thor,
accorrendo dalla stanza adiacente, attirato dal trambusto.
Imponendosi a forza tra le due, tenendo Khalida per una spalla e
puntando il Mjolnir contro il petto di Sif, il Dio del Tuono
fissò entrambe con sguardo deluso e confuso insieme.
La risata di scherno di Loki si fece strada nel silenzio pesante.
«Vedo che ti circondi sempre di notevoli elementi»,
insinuò, sbucando dal fondo del corridoio, accompagnato
dalla lupa bianca.
Nella mente di Khalida, lucida nonostante il corpo affaticato, un
collegamento apparve improvvisamente nitido. Proprio come aveva
utilizzato lo Scettro per far emergere la rabbia latente nel neonato
gruppo degli Avengers, così Loki aveva sfruttato Match per
farle perdere il controllo sulle proprie emozioni nei confronti di Sif,
e viceversa.
«Tu!», sibilò, stringendo di
più Match, la cui asta era diventata bollente.
«Qual'era il tuo obiettivo? Speravi che io uccidessi lei o
lei uccidesse me?», sputò, insieme ad un grumo di
sangue coagulato. Aveva qualche graffio superficiale, ma fortunatamente
niente di grave. L'energia di Match la rendeva più
resistente, almeno finché si manteneva in contatto con il
manufatto.
Loki sorrise, portando le mani dietro la schiena. «Devo
ammettere che entrambi i risultati mi avrebbero soddisfatto».
Thor osservò in volto prima Sif, che sembrava confusa e
quasi imbarazzata, e poi Khalida, che annuì
impercettibilmente. Si voltò verso il fratello.
«Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti Loki».
«Non credere che non comprenda la gravità della
situazione. Ciò che faccio non è mai senza
scopo», affermò Loki, raddrizzando le spalle.
Indicò con un gesto rapido Khalida e Sif. «Questo
è un problema tuo», aggiunse.
Thor lo fissò in attesa di ulteriori spiegazioni, che
però non arrivarono.
Scambiò qualche sguardo d'intesa con i Tre Guerrieri, che si
occuparono di affiancare Sif, la quale non aveva osato aprire bocca.
Khalida precedette il gruppo, incamminandosi dietro Loki e i due lupi,
che lo affiancavano come due fedeli guardie del corpo.
«Ti fidi di lui?», mormorò Volstagg,
rivolto a Thor.
«No, ma credo che sia disposto a darci ascolto. Il
perché credo non lo sappia nemmeno lui», ammise il
Dio del Tuono.
Il pavimento era pianeggiante, privo di crepe. Sembrava formato da
lastre di roccia vulcanica, nera ed opaca, che risuonava come metallo
quando veniva calpestata.
Al centro della sala di modeste dimensioni, molto ben conservata
rispetto al resto dell'antico palazzo, troneggiava un tavolo su cui
davano mostra di sé cibi di vario genere.
«Che non si dica che non sono ospitale», fece
presente Loki, accennando alle vivande.
Volstagg non se lo fece ripetere due volte, e anche Khalida si
arrischiò. Fidarsi di Loki era l'unica
opportunità che aveva, avevano,
per riuscire a tornare indietro e, se lui non li avesse aiutati,
necessitava comunque di nutrimento, per riuscire ad affrontare di nuovo
l'entità e capire come tornare su Asgard.
Loki osservò con attenzione i suoi sgraditi ospiti.
«Quindi ritieni che l'esercito di Asgard abbia una
possibilità contro quello di Thanos...»,
iniziò come proseguendo un discorso lasciato in sospeso,
volgendo lo sguardo verso Thor.
Il Principe aggrottò le sopracciglia. «I nostri
alleati risponderanno all'appello», replicò.
Loki scosse la testa. «I tuoi alleati potrebbero
non essere tali», osservò.
«Prima di parlare degli alleati, sarebbe il caso di parlare
del nemico», si intromise Khalida.
Loki la fissò in tralice, ma sulle labbra passò
l'ombra di un sorriso. «Speri sul serio che io abbia
informazioni su di lui?».
Era la prima volta che Loki le si rivolgeva direttamente, e Khalida non
seppe spiegare la strana sensazione di familiarità che si
impadronì del suo corpo.
Il modo in cui la sua mente e quella di Loki si inseguivano, a volte
quasi completandosi, l'aveva sempre stupita in modo genuino.
La sensazione, oltre a confonderla, era riuscita a rassicurarla, in
qualche modo, della sua umanità.
All'interno della Gabbia
aveva scoperto, dopo anni passati in un limbo emotivo di totale
indifferenza, di essere ancora in grado di provare qualcosa, nonostante
la ferita profonda della morte di Manaar.
Ciò l'aveva stordita e confusa di primo acchito, ma
successivamente quella convinzione era diventata una motivazione
potente, che l'aveva condotta fino ad Haiti e ad Ivy.
Khalida era giunta a queste conclusioni impegnandosi costantemente in
un analisi approfondita di se stessa, nei lunghi mesi di solitudine
sull'isola. Dopo aver dato fondo alle sue conoscenze di psicologia,
poteva finalmente ammettere di sentirsi serena, quasi in pace.
Almeno finché Thor non era precipitato nuovamente
giù dal cielo, distruggendo il suo piccolo mondo.
Ora, aveva paura di perdere tutto quanto, per colpa di quella ritrovata
complicità malsana con un'alieno che non si sarebbe fatto
molto scrupoli ad ucciderla, non appena gli si fosse ripresentata
l'occasione. Ma era costretta, perfino da se stessa, a cedervi.
«Sei l'unico che pare conoscerlo»,
osservò Khalida, fissando Loki negli occhi.
«Sarebbe presuntuoso fare una simile affermazione, da parte
mia», replicò lui. «Comunque posso dire
di poter immaginare quali siano le sue intenzioni»,
proseguì, muovendo qualche passo in avanti.
«Cioè?», incalzò Thor.
«Thanos ha scopi molto semplici, punta ad avere il pieno
controllo dell'universo in modo da esserne l'unico padrone. Suppongo
che intenda cominciare da Asgard».
«Se il suo scopo era questo, perché attaccare solo
ora?», intervenne Fandral.
Loki gli scoccò un'occhiata quasi di compatimento.
«Thanos non misura il tempo come noi, oppure come i mortali.
Per uno che esiste da migliaia di anni, pochi anni sono equiparabili a
pochi istanti», spiegò, seppur con una certa
riluttanza.
«Intendi quindi aiutarci?», si azzardò a
domandare Thor.
Loki strinse le labbra, e qualcosa simile allo smarrimento lo spinse ad
aggrottare appena le sopracciglia. Ad una prima occhiata, Khalida
immaginò che si fosse appena pentito di ciò che
aveva detto, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
La donna spostò lo sguardo tra i due fratelli, fermandosi
infine sul Dio dell'Inganno. «Thanos vuole te, e il
Tesseract. Se tornerai ad Asgard ti metterai nelle sue mani.
Probabilmente non aspetta altro, per attaccare», disse,
attirandosi un'occhiata risentita e sospettosa da parte di Thor.
Khalida si voltò verso di lui. «Ti avevo promesso
di trovarlo, ma non ho mai detto di essere d'accordo con te».
Loki ridacchiò. «Vedo che non hai perso la cattiva
abitudine di difendermi, nonostante tutto», disse,
ironicamente, anche se in realtà era piuttosto confuso dal
modo di agire della donna.
L'aveva quasi uccisa, di nuovo, eppure lei sembrava essersene
completamente dimenticata.
Avrebbe dovuto continuare a tenerla d'occhio, non gli piaceva affatto
quel fastidioso prurito dietro la nuca che il pensiero della donna gli
provocava. Nascondeva qualcosa, come aveva sempre fatto.
Ma il momento di affrontale il problema sarebbe giunto al tempo
opportuno, per adesso aveva grattacapi ben più gravi, da
risolvere.
Loki prese un profondo respiro, materializzando lo Scettro nelle sue
mani.
Tra gli sguardi allarmati dei presenti, ne puntò
un'estremità nell'aria davanti e lui e, con un semplice
movimento rotatorio, spalancò un portale di saettante
energia azzurra, identico a quello che aveva portato i Chitauri a New
York.****
Thor osservò gli occhi del fratello. «Ti
ringrazio», disse, con solennità.
«Non farlo», replicò Loki, infastidito.
«Parteciperò al funerale della Regina,
perché non sono privo di onore. Per ora, ti basti
questo», aggiunse, prima di varcare il portale e sparire al
di là di esso.
-----------------------------------------------------
Yes, #LokiIsBack!
Ok, adesso passiamo alle note:
*Non l'ho specificato nel capitolo precedente, ma ho solo "preso in
prestito" i nomi di Fenrir e Hela dalla mitologia, per creare questi
due lupi che sono dei normali animali, niente di più. Loki
ci dirà qualcosa di più su di loro prossimamente.
** L'ipirazione per questa descrizione viene dalla città
volante/galleggiante di Atlantide di "Stargate Atlantis", vi lascio un link
Immaginatela immersa in una foresta, tre volte più grande.
*** Capitolo 3 di Spie.
**** Questo gesto di Loki è preso direttamente dalla puntata
1x10 di Avengers Assemble, cartone animato attualmente in onda negli
USA, in cui come guest star compare proprio il Dio degli Inganni che
come arma utilizza proprio lo Scettro di Thanos. Naturalmente tenete
conto che qui stiamo parlando della forma mutata dello Scettro, che non
ha più l'aspetto del film Avengers, ma quello di una lunga
lancia dall'asta avvitata su se stessa con il Tesseract in cima.
A presto!
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 11 - Come il ghiaccio ***
E ce la fece!
Ecco il capitolo 11, è moooolto lungo e si alternano
veramente moltissimi punti di vista diversi, spero che vi piaccia
perché io... lo ADORO!
è pienissimo di spoiler su Thor: The Dark World per cui, se
siete tra quella milionesima parte di essere umani che ancora non l'ha
visto, fatelo e poi leggete il capitolo :)
Sono ancora un po'sconvolta e sorpresa per le somiglianze tra alcuni
passaggi della mia storia (prima fra tutte la conversazione tra Thor e
Loki nelle prigioni e le circostanze della morte di Frigga) e il
secondo capitolo di Thor, che lo ammetto, mi ha fatto regredire
all'età di dieci anni XD
Ok, la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo, che avete aspettato
mooolto a lungo XD
ci vediamo in fondo per alcune note.
«Un penny per i tuoi pensieri».
Jane sollevò di colpo lo sguardo dal fumo che saliva dalla
tazza di caffè che teneva tra le mani, ormai da diversi
minuti.
Al di là del vapore, la accolse il sorriso solare di Ivy
che, senza attendere un invito, si era già accomodata di
fronte a lei, sorseggiando latte al cioccolato da un bric di tetrapak.
Jane fece una smorfia, massaggiandosi gli occhi. «Te li direi
volentieri, ma dubito che la fisica quantistica ti possa interessare
davvero».
Ivy succhiò rumorosamente dalla cannuccia.
«Problemi con i tuoi esperimenti?», chiese.
La scienziata si morse le labbra. «Non credevo che sarei mai
arrivata al punto di dirlo, ma... è un argomento riservato.
Non sono autorizzata a parlarne».
«Oh, andiamo Jane! Sono dentro questa storia, non puoi
tenermi all'oscuro», insisté la ragazza, mordendo
la cannuccia di plastica. «Khalida è mia madre,
per quanto ti sembri strano, e mi ha salvato la vita. Voglio sapere
come sta».
Jane sospirò. «Credimi, lo vorrei sapere
anch'io», ammise, prima di capitolare. «Lo
S.H.I.E.L.D. vuole che apriamo una connessione con Asgard, in modo da
capire che sta succedendo lassù, ma fino ad adesso ogni
tentativo è stato inutile».
Ivy arricciò le labbra. «Quelli sono praticamente
dei... e non hanno un cellulare?», sbottò quasi
sconvolta.
«Meglio se non ti racconto come ha reagito Thor la prima
volta che ne ha visto uno», replicò Jane,
sorridendo.
Ivy le era simpatica. Su quell'immensa scatola volante era una delle
poche persone normali con cui aveva a che fare, escludendo Erik, ed era
tutto dire, dati i problemi psichici che l'amico aveva affrontato
subito dopo i fatti di New York*.
In più le ricordava Darcy, e l'amica-barra-stagista un poco
le mancava. Più di una volta il suo umorismo scanzonato le
era stato utile per affrontare alcuni momenti di sconforto. E, doveva
ammetterlo, negli ultimi tempi, aveva avuto diversi di quei
momenti.
Per quanto le sarebbe piaciuto dire il contrario, la maggioranza di
essi aveva a che fare con Thor, e la loro pseudo relazione.
Ormai Jane non sapeva più definire nemmeno con precisione
cosa ci fosse tra lei e il Dio del Tuono, e il pensiero stava
diventando sempre più inquietante. Lo amava, ma iniziava a
sospettare che quella scusa non avrebbe retto ancora per molto.
Osservò per qualche istante il volto crucciato di Ivy, che
con impegno continuava a masticare la cannuccia, immersa nei suoi
pensieri.
Aprì la bocca, ma le parole si rifiutarono di uscire.
Era davvero così
patetico che una donna della sua età si rivolgesse a una
ragazzina di quanti? Sedici anni?
«Cosa c'è, Jane?», chiese Ivy,
fissandola negli occhi. «Lo vedo che hai qualcosa sulla punta
della lingua», aggiunse, per chiarire.
La scienziata non trattenne un nuovo sorriso. «Sei una
ragazza intelligente», osservò.
Ivy scrollò le spalle. «Non più di
tanto. Ma so leggere abbastanza bene le persone. Quando cresci come
sono cresciuta io, impari a farlo».
Jane aggrottò le sopracciglia. Aveva già
immaginato che la ragazza non avesse una storia piacevole alle spalle,
d'altronde all'interno di quella specie di portaerei volante ognuno
aveva la propria storia strappalacrime sul groppone, però
non si aspettava che lei l'ammettesse con tanto candore.
«Perché, come sei cresciuta?»,
domandò, curiosa.
Ivy sogghignò, con un'espressione molto simile a quella
tipica di Khalida Sabil, e fece segno di no con il dito
indice. «Non cambiare discorso, tu mi stavi per fare un'altra
domanda».
La scienziata incassò il colpo con un breve cenno delle
mani, poi respirò a fondo. «Si tratta di
Thor...», iniziò, ed Ivy raddrizzò la
schiena ed assunse un'aria attenta. Aveva già intuito che
l'argomento Thor
era molto delicato per Jane. Si capiva perfino da come pronunciava il
suo nome.
«Quando è venuto a casa tua... Come ti
è sembrato?», concluse Jane, sistemandosi
nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Ivy rifletté per qualche secondo sulla risposta.
«Non lo conosco, e quando ho visto lui e gli altri asgardiani
ero molto perplessa, ma lui mi è sembrato... tormentato.
Solo quando Khalida ha acconsentito ad aiutarlo si è
concesso un sorriso», descrisse la ragazza, tentando di
essere precisa.
Jane si pizzicò una pellicina del pollice destro.
«E tra di loro... hai notato nulla di strano?»,
chiese, con la voce solo di un tono più bassa.
Ivy ci mise tre secondi netti a capire il senso di quella domanda e,
per quanto indelicato, non poté fare a meno di scoppiare a
ridere. «Tu sei gelosa!», esclamò,
coprendosi la bocca con la mano per soffocare l'ilarità poi,
rendendosi conto di essere stata maleducata, si affrettò a
riparare il danno, ricomponendosi. «Non ne hai alcun motivo,
te lo assicuro. Conosco mia madre, e non ha mostrato nessun interesse
di quel tipo per Thor. Lui le ha parlato un po' come se lei fosse...
che ne so... una collega? Ecco, sì direi che rende
l'idea», concluse Ivy, soddisfatta della propria spiegazione.
Jane annuì lentamente. Sapeva che il suo timore era
quantomeno ridicolo ma la consapevolezza non l'aveva reso meno
doloroso, né aveva soffocato quell'irrazionale gelosia.
«E poi lei preferisce i mori», aggiunse Ivy, a mo'
di battuta, passando in rassegna mentalmente i vari uomini, non molti
in effetti, che Khalida aveva frequentato da quando vivevano insieme.
Jane, che aveva finalmente deciso di bersi il suo caffè,
ormai freddo, si lasciò sfuggire un sorriso sornione.
«Eh già».
Ivy drizzò immediatamente le antenne. «E tu come
lo sai? Khalida aveva qualcuno qui allo S.H.I.E.L.D.? Mi va bene
praticamente chiunque ma,
ti prego, non Coulson!», esclamò,
eccitata.
Forse Khalida l'avrebbe ammazzata per essersi impicciata in quel modo,
tra l'altro molto sleale, nella vita che aveva cercato di rendere
segreta, e forse anche di dimenticare, ma lei non poteva farne a meno.
Per quanto alcune cose della sua vita precedente l'avessero lasciata
perplessa, o quasi sconvolta, era decisa ad andare in fondo alla
storia. Credeva di meritarselo, ed era certa che nessuna notizia
potesse cambiare il suo affetto per Khalida.
Jane, mentre tentava mentalmente di arrampicarsi sugli specchi, si
stava pentendo amaramente di essersi lasciata scappare l'unica cosa di
cui aveva scelto di non parlare alla ragazza.
Non tanto perché avesse premura di proteggere la reputazione
di Khalida agli occhi della ragazza, quanto perché non era
certa della veridicità di ciò che Thor le aveva
raccontato.
Per come la vedeva lei, Thor credeva ciò che sperava fosse
vero, senza curarsi di quanto fosse improbabile la cosa.
«Jane? Mi daresti una spiegazione?», la
incalzò Ivy, con gli occhi scuri che brillavano.
«Non avrei dovuto dirlo, sono solo voci di
corridoio», premise la scienziata, mordendosi l'interno della
guancia. «Secondo Thor, tra Khalida e Loki c'era
qualcosa».
«Qualcosa cosa?»,
insisté Ivy.
Jane si sentì arrossire. «Probabilmente una
relazione».
Ivy immediatamente considerò le reticenze di Jane
sull'argomento una sorta di pudore del tutto ipocrita. Era una donna
adulta, e anche lei aveva una relazione con un uomo non propriamente
umano. Tuttavia, comprese immediatamente dopo che il motivo
dell'imbarazzo della donna non derivava da ciò che poteva
aver fatto o meno Khalida. «Tu non pensi sia vero»,
osservò. «Perché?».
Jane si morse le labbra. «Ho visto Khalida in poche
occasioni, e di sicuro tu sai meglio di me quanto sia difficile capire
quello che pensa», iniziò, ed Ivy
annuì, a darle ragione.
Conosceva Khalida, ma questo non significava che lei fosse in grado di
capirla al volo, il miglior modo in cui lei e Khalida comunicavano era
sempre a parole. Per il resto, Khalida era imperturbabile, spesso era
in grado di mantenere la stessa espressione facciale per un giorno
intero, che stesse correndo lungo la spiaggia o guardando una commedia
in TV.
Jane prese il gesto di Ivy come un incoraggiamento. «Per
quanto io sia in grado di fare alcune similitudini tra Khalida e Loki,
credo che ipotizzare un legame sentimentale tra loro sia azzardato. Non
ci sono le basi. È una teoria che non sta in
piedi».
Ivy incrociò le braccia al petto. «Non penso che
Thor crederebbe una cosa del genere, senza averne avuto qualche
sentore».
«Non nego che sin dall'inizio è stato chiaro a
tutti che tra Khalida e Loki c'era un... legame, ma io credo
che tra loro si possa parlare di un'alleanza dettata dalle circostanze,
non certo dall'affetto», continuò Jane.
Ivy sollevò appena un sopracciglio. «Sei molto
pragmatica», per
essere una che ha una relazione a distanza con un dio norreno,
aggiunse mentalmente, ma con il buon senso di non esprimere i suoi
dubbi ad alta voce.
Rimase in silenzio qualche istante, rimuginando su ciò che
aveva saputo da Jane.
«Eppure credo che Thor possa avere ragione»,
esordì, alla fine.
Questa volta fu Jane a sollevare le sopracciglia. «Cosa te lo
fa pensare?», indagò.
«Vivo con Khalida da poco più di un anno, e so con
certezza che in tutto questo tempo non ha mai voluto avere una
relazione con nessuno degli uomini che si sono interessati a lei. Mi
sono sempre domandata se nel suo passato non ci fosse stato qualcuno
che forse non era ancora riuscita a dimenticare. Forse adesso ho la
risposta», raccontò.
Jane sorrise. «Sei giovane, Ivy, ed ottimista. Raramente le
cose sono così semplici. Khalida ha avuto una vita
complicata, forse semplicemente non voleva nessun legame».
«E io? Io sono un legame molto più pericoloso di un
uomo», la contraddisse la ragazza.
In effetti, ragionò Jane, Ivy non aveva tutti i torti.
Gli occhi le caddero sul quadrante dell'orologio, la sua pausa era
finita da un pezzo, e Selvig ormai doveva essere sull'orlo di una crisi
di nervi, in balia di quella simpatica, e asfissiante, scienziata dal
singolare accento che Fury gli aveva appioppato, insieme al suo compare
che, neanche fossero una coppia di uccelli inseparabili, erano tutt'uno
anche nel nome: Fitz-Simmons**.
«Non ti offendere, Ivy, ma sei veramente giovane. Forse
quando Khalida tornerà, potrai avere chiarezza»,
fece, con fare conclusivo.
Ivy fece il broncio. «Io quella la vorrei adesso.
Già non ci capisco niente di questi dei norreni, martelli e
Ponti dell'Aurora dei miei stivali!».
Jane ridacchiò. «Sarebbe Ponte
dell'Arcobaleno», la corresse, bonariamente, poi
frugò per qualche istante nella grande borsa che portava
sempre con sé, estraendone un piccolo libro formato
tascabile che aveva comprato una vita prima, poco dopo i fatti del New
Mexico. «Tieni, questo potrebbe aiutarti», disse,
porgendolo ad Ivy che, con aria confusa, lo prese, leggendo
contemporaneamente il titolo.
«Miti e
leggende del nord... un libro di mitologia?
Seriamente?», fece, scettica.
Jane annuì. «Ti darà qualche risposta.
Adesso perdonami ma devo tornare al mio lavoro».
Ma Ivy si era già buttata a capofitto nella lettura del
libricino, e Jane dovette accontentarsi del suo lieve sorriso, come
ringraziamento.
La morte era sempre stata accanto ad Odino.
A cominciare dalla terribile guerra contro Jotunheim, il Padre degli
Dei l'aveva percepita addosso, un velo di ghiaccio sulla pelle, una
condanna dettata dal suo ruolo, dispensatore tanto di vita quanto di
giudizi di morte.
Ed ora la sentiva respirargli sul collo con più forza.
Vittoriosa, incombeva in quella piccola stanza, gettando la sua ombra
sul corpo esanime di chi, per tempo immemorabile era stata il suo posto
in cui tornare, colei che lo lavava dalla morte, purificandolo. Frigga
era sempre stata la parte migliore di essere Re, di essere padre...
forse addirittura di essere vivo, ed ora se n'era andata.
Molte volte in precedenza la mente di Odino si era soffermata sul
futuro.
Era consapevole, ed accettava, che la morte sarebbe giunta col tempo,
ma non aveva mai contemplato la possibilità che lei se ne
andasse prima di lui.
Il grande Padre degli Dei ora non sapeva cosa fare, fermo immobile
accanto al feretro della propria sposa, che non aveva saputo
proteggere. Il senso di colpa era solo poco inferire all'ira, e Odino
sentiva che i confini tra l'uno e altra erano pericolosamente labili.
Si sentiva fragile e vecchio oltremisura.
Osservò il corpo della sua Regina stringendo le mani sulla
propria lancia, come a cercare un modo per non crollare a terra,
sopraffatto.
Frigga era abbigliata come nel giorno in cui l'aveva sposata, il volto
immobile e sereno celato da un velo candido, le mani giunte sull'elsa
dalla spada che le aveva donato per la nascita di Thor.
Odino chiuse l'occhio, lasciando scivolare sulla guancia una sola
lacrima, l'unica che si sarebbe concesso.
Le altre le avrebbe lasciate al popolo, a chi poteva permettersi di
mostrarsi debole.
Un capogiro lo colse impreparato e dovette cercare a tastoni un
sostegno, finendo per appoggiarsi alla parete poco distante da lui.
«Mio Re», intervenne prontamente Amora, accorrendo
al suo fianco, senza toccarlo. «Non dovreste
affaticarvi», aggiunse.
Odino strinse i pugni, raddrizzando le spalle.
«Devo farlo», mormorò, quasi a
sé stesso, poi guardò negli occhi l'asgardiana al
suo fianco. «Avevo chiesto di non essere
disturbato», aggiunse.
Amora chinò gli occhi. «Perdonatemi, ma sono
giunte notizie, ed ero impaziente di comunicarvele».
Odino intuì immediatamente di che cosa si trattasse.
«Quindi Thor è tornato».
«Sì, e ha condotto con sé
Loki», spiegò Amora.
Odino sospirò pesantemente. «Così
sia». Gungnir picchiò leggermente a terra e due
Falchi Rossi comparvero dal fondo della sala. «Preparate
tutto per il funerale», ordinò il Padre degli Dei,
ammantandosi per un istante del potere di un tempo.
«Diremo addio alla Regina questa notte».
La superficie del ghiaccio tremò, e una lieve crepa si
formò in corrispondenza del piede destro di Thanos.
Sotto di lui, la luce riflessa delle stelle scomparve, assorbita dalla
familiare finestra di tenebra che si spalancò come una bocca
affamata, con i contorni che ondeggiavano lievemente.
La figura bianca e sfocata dell'asgardiana apparve, lontana e poco
riconoscibile, indice della fretta con cui la sua interlocutrice aveva
aperto il portale.
Thanos sorrise, significava che aveva buone notizie.
«È qui», annunciò la donna.
Benché distorta dalla grande distanza, l'Eterno riconobbe la
sfumatura impaziente in quelle parole e ne godette. La fretta, la
brama, era sempre stata una nemica degli asgardiani, e lui era un
maestro nel manipolare i difetti dei propri avversari, in modo che
fossero sconfitti da se stessi, oltre che da lui.
«Bene. Hai preparato tutto come ti ho ordinato?».
«Sì, mio signore», annuì la
dea, con referenza. «La riconoscerete, porta con
sé un'arma dalla fattura insolita, creata dal potere del
Tesseract».
«Dove la troveremo?».
«Quando inizierà l'attacco, ritengo che Thor
tenterà di proteggerla portandola via attraverso il Bifrost.
Potrebbe affidare a me il compito di scortarla. Se così
fosse, feritemi, in modo che non possano sospettare di me»,
pianificò con precisione l'asgardiana, celando sotto il velo
un sorriso compiaciuto.
Thanos accettò la condizione con un debole cenno.
«La tua devozione verrà ricordata dovutamente,
asgardiana», promise, lasciando svanire il collegamento
bruscamente.
«Come procediamo?», domandò la voce
graffiante di Malekith, alle spalle del Titano.
«Prepara la tua flotta», replicò Thanos,
fissando gli occhi su qualcosa che lui solo sembrava vedere.
«Questa notte ha inizio la caduta di Asgard».
Uno sbuffo d'aria fredda sulla nuca.
Khalida si voltò di scatto, pronta a difendersi, le mani
alzate in posizione di guardia.
Niente, dietro di lei solo il letto coperto da lenzuola candide e lo
specchio, che le rimandava la sua immagine, in modo innocente e
beffardo al tempo stesso.
La donna storse il naso, osservando il ricco vestito che indossava con
un fastidioso senso di deja-vú.
Il corpetto di pelle dorata, rivestito di placche metalliche intarsiate
riccamente con l'immagine di un grande albero, le stringeva
dolorosamente la cassa toracica, e la stoffa verde scuro dell'abito,
dai riflessi oro cupo, pizzicava sulla pelle.
In un'altra situazione forse si sarebbe potuta sentire bella, quasi
lusingata, ma era stanca, e sul suo viso le tracce del lungo viaggio e
della pericolosa dipendenza da Match erano evidenti, nonostante
l'impegno delle ancelle per farla apparire al meglio.
Le tre ragazze, fortunatamente silenziose, l'avevano lasciata da pochi
istanti, dicendole di attendere di essere convocata per l'inizio della
cerimonia.
Aveva deciso di partecipare al funerale per rispetto nei confronti di
Frigga e perché, in ogni caso, prima del mattino seguente
non le sarebbe stato permesso di utilizzare il Bifrost, dato che il
dispositivo era stato blindato per ordine di Odino, dopo l'arrivo di
tutti gli ospiti che avrebbero partecipato al funerale.
Khalida sospirò forte.
Ogni secondo passato su Asgard le pesava. Non vedeva l'ora di poggiare
nuovamente piede sulla Terra, anche a costo di affrontare Fury, o la
rabbia di Ivy.
Un nuovo sussurro freddo tra i capelli la costrinse a voltarsi
nuovamente in direzione della porta.
Si sforzò di non sussultare, per non dare a Loki la
soddisfazione di vederla spaventata.
«Mi domandavo quando saresti venuto a finire il
lavoro», disse, accertandosi con la coda dell'occhio che
Match fosse sul letto, dove l'aveva lasciato.
Loki sogghignò. «Mi piace avere un pubblico, ormai
dovresti saperlo. Non hai nulla da temere, per ora».
«Questo mi rassicura molto», replicò
lei, sarcastica. «Che cosa vuoi?».
Loki incrociò le mani dietro la schiena, facendo qualche
passo avanti. «Ti conosco abbastanza per sapere che non fai
mai niente per niente», iniziò.
«Perché hai aiutato Thor? Che vantaggio ne
trai?».
Khalida si morse le labbra, «Perché ti
interessa?», domandò per prendere tempo.
Loki sapeva di averle fatto esattamente l'unica domanda a cui lei non
voleva rispondere e sentiva il bisogno di qualche minuto per elaborare
una mezza verità soddisfacente. Non avrebbe mai potuto,
né voleva, mentirgli come aveva fatto con Thor.
«Non sapere mi... indispone. E non credo che ti piacerebbe
vedermi irritato», replicò Loki, avvicinandosi
ancora.
Khalida sorrise, prendendo un breve respiro. «L'ho fatto per
onorare una promessa che avevo fatto a Frigga, durante il mio primo
soggiorno ad Asgard», iniziò, trattenendo a stento
un ghigno per l'espressione attonita che era passata e svanita in un
lampo sul volto solitamente impassibile di Loki.
Khalida si sedette sul bordo del letto, lasciando che le mani
sfiorassero la superficie di Match, per alleviare un poco il malessere
che le provocava la lontananza dal manufatto.
Non ebbe bisogno che Loki la incoraggiasse, era decisa ad essere
sincera con lui, almeno in parte.
«Lei lo sapeva», proseguì,
«Sapeva che Thanos sarebbe venuto per cercarti e che
l'avrebbe uccisa. Quel giorno, poco prima della partenza per la Terra,
mi mandò a chiamare e mi fece promettere che, quando uno dei
suoi figli avrebbe avuto bisogno del mio aiuto, io glielo avrei
dato», Khalida si interruppe, lisciando con la mano la stoffa
della manica dell'abito, notando solo in quel momento che era dello
stesso colore del mantello che indossava Loki.
Dubitava che fosse un caso, ma preferì sorvolare.
«Quando Thor è venuto a cercarmi, ho capito che
era arrivato il momento di mantenere quella promessa. Era desiderio di
Frigga che entrambi i suoi figli le dicessero addio. Se non da
fratelli, almeno da alleati».
Loki sollevò le sopracciglia, ostentando stupore e ignorando
il peso di quella confessione. Ci avrebbe riflettuto quando la cosa
sarebbe stata profittevole, se mai lo fosse diventata. «Hai
rischiato la tua vita per mantenere una promessa... ti sei ammorbidita
parecchio, Khalida».
Lei incrociò le braccia al petto. «Anch'io, per
quanto ti sembrerà strano, non sono priva d'onore».
Loki fece un cenno del capo, come per accettare quella spiegazione.
«E cosa ti avrebbe dato la Regina, in cambio della tua
promessa?», domandò, con il sorriso di chi ha
appena risolto un enigma particolarmente difficile.
Khalida si alzò dal letto, portando con sé Match.
Guardò Loki dritto negli occhi. «Non voglio
mentirti, Loki, per cui non costringermi a rispondere a questa
domanda», ammise, sentendosi nuovamente vulnerabile come quel
maledetto giorno alla Bocca
del Demone, quando aveva ammesso di lavorare ancora con lo
S.H.I.E.L.D.
Loki sembrò accettare senza problemi le reticenze di
Khalida, ma la donna immaginò che stesse solo rimandando la
questione ad un tempo più conveniente. Seguì gli
occhi dell'alieno mentre, con un'occhiata sommaria, passava in rassegna
ogni centimetro del suo corpo.
«Vedo che la porti sempre con te»,
commentò, riferendosi a Match.
Khalida storse la bocca. «Vuoi davvero fingere di non sapere
il perché?».
Loki ammiccò. «Non puoi dire che non ti avevo
avvisato».
Khalida ingoiò la risposta tagliente che aveva sulla punta
della lingua, e anche la scarica di energia danzante sul cristallo di
Match. «Quanto tempo mi rimane?».
Loki piegò la testa di lato.
Era interessante, illuminante quasi, il modo in cui Khalida aveva posto
la domanda. Per come la conosceva, avrebbe dovuto chiedere un modo per
rimediare, invece sembrava aver accettato il suo destino.
Ormai era palese che qualcosa in quegli anni aveva prodotto un
cambiamento nell'animo dell'umana e, sebbene conoscere cosa non fosse
rilevante, Loki sapeva già che in qualche modo l'avrebbe
scoperto.
L'ignoranza era l'unica cosa che non poteva sopportare.
«Saresti dovuta morire solo per lo sforzo di
trovarmi», rispose.
«Ma non è successo», concluse per lui
Khalida.
Loki la guardò di nuovo da capo a piedi.
«Evidentemente», affermò, sarcastico.
«Perché?», chiese Khalida.
Loki assottigliò gli occhi. «Appoggiarsi
all'energia del Bifrost è stata una mossa intelligente, ti
ha risparmiato la maggioranza delle energie».
«Non è stata una mia idea», ammise
Khalida, scatenando un nuovo sorriso di condiscendenza sul volto
dell'alieno. «La... voce, dentro Match mi ha spiegato come
fare».
Loki sollevò un sopracciglio. «Fiammifero? La
chiami davvero così?», domandò,
sogghignando.
«Rende l'idea», si giustificò Khalida.
«Voi umani dovreste smetterla con questo vizio dei
nomi», ridacchiò Loki, sinceramente divertito.
Khalida si unì alla risata, riscoprendosi nostalgica nei
confronti della complicità, benché effimera, che
era riuscita a costruire con lui nei momenti in cui era prigioniero.
Il pensiero le fece morire il sorriso sulle labbra. Quel legame che
sentiva con Loki era pericoloso, tanto quanto giocare alla roulette
russa.
Anche se finora le era andata bene, questo non significava che il colpo
non fosse lì, nella canna, pronto ad ucciderla.
Qualcuno bussò discretamente alla porta della stanza.
«Lady Khalida, la cerimonia sta per iniziare»,
annunciò la voce di un'ancella.
Loki sollevò teatralmente un sopracciglio. «Lady,
eh? Noto con piacere che hai fatto carriera»,
commentò sarcastico.
«Finiscila, da fastidio più a me che a
te», lo freddò lei, scostandolo e avvicinandosi
alla porta.
Loki la osservò di lato, lasciando scorrere gli occhi lungo
l'abito regale. Le donava, e vederle addosso quel colore, nonostante
tutto, non lo lasciava indifferente. Lo divertiva il modo in cui Thor
tentava ancora, disperatamente, di suscitare in lui sentimenti che non
erano nella sua natura.
Match, come lo chiamava lei, emise un lampo intenso, quando Khalida ci
serrò le dita intorno.
«Non guardarmi così», lo
ammonì, senza voltarsi.
Loki si avvicinò, lentamente.
«Perché?», le sospirò a pochi
millimetri dall'orecchio. «Hai paura che ti
piaccia?».
Khalida strinse gli occhi, colpita ma non disposta ad ammetterlo,
soprattutto perché non ce n'era alcun bisogno.
«Lady Khalida...», chiamò di nuovo
l'ancella.
«Arrivo!», la interruppe Khalida, aprendo la porta.
Loki la fissò negli occhi. «Questa conversazione
non è finita», avvisò, prima di
scomparire così come era arrivato.
Khalida fissò il vuoto per un secondo, poi si riscosse e
uscì dalla stanza senza voltarsi.
Il funerale era stato solenne, ma a suo modo commovente.
Khalida si era resa conto, con un senso fastidioso di stupore e un
sentimento che assomigliava al rimpianto, che quella era, di fatto, la
prima volta che assisteva ad una cerimonia funebre.
Il pensiero l'aveva irritata, forse perché le aveva
rammentato le tante vite che aveva tolto. Per quanto non rinnegasse il
suo passato, spesso preferiva non soffermarsi su quei ricordi, che
rimanevano comunque amari e dolorosi.
Era rimasta in disparte, mentre il popolo diceva addio alla propria
Regina, ma non abbastanza. Molti asgardiani l'aveva squadrata in malo
modo, sussurrandole alle spalle in merito ad una mancanza di rispetto.
Se fosse dovuto al suo abbigliamento, che non aveva certo scelto lei, o
per il bagliore costante di Match, Khalida non lo sapeva e non le
interessava.
Uno schiamazzo di risa le fece storcere la bocca.
Come nella maggioranza delle culture, ad Asgard il trionfo della morte
era seguito dalla celebrazione della vita.
Il banchetto era nel vivo, e Khalida aveva accettato di parteciparci
solo per educazione, ma se ne stava rapidamente pentendo.
Il cibo non la allettava, e preferiva non bere. Essere lucida era la
sua unica difesa.
Si guardò intorno cercando volti familiari nelle lunghe
tavolate imbandite, ma non riuscì a scorgere nessuno a lei
noto.
Come Thor aveva disposto, tutti gli alleati di Asgard erano giunti per
rendere omaggio a Frigga, e gli ospiti erano innumerevoli.
Sperando di non attirare troppo l'attenzione, Khalida si
alzò, dirigendosi verso i corridoi bui e deserti della
reggia.
Non aveva mai avuto modo di visitarla a dovere e un poco le dispiaceva.
Vagò per le stanze, sbirciando attraverso ogni porta che
trovò aperta, fino a che la luce danzante di un braciere non
attirò la sua attenzione.
Si appiattì contro la parete, allungando lentamente il collo
per spiare al di là dell'angolo. Due soldati, sostavano di
fronte ad un piccolo fuoco, chiacchierando sottovoce fra di loro.
Khalida aggrottò le sopracciglia. Tutti i membri dei Falchi
Rossi, le guardie reali, stavano partecipando al banchetto, e l'intero
palazzo era, apparentemente, non sorvegliato.
Tranne quella stanza.
Un brivido di curiosità percorse la schiena di Khalida, che
aguzzò la vista, portandosi più vicina.
Anche ad un osservatore distratto, sarebbe stato evidente che i due
soldati non avevano alcuna voglia di fare il loro dovere.
«Non so che darei per un sorso di quella birra. Dicono che il
Padre degli Dei abbia aperto le botti più pregiate, per
salutare degnamente la Regina. Erano dai tempi della vittoria su
Jothuneim che non accadeva», brontolò quello che
tra i due sembrava più giovane.
L'altro, dall'aria più seria, non commentò, anche
se un brillio nei suoi occhi suggerì che non fosse in
disaccordo con il compagno.
Khalida dedicò un lungo sguardo alla grande porta alle
spalle dei due asgardiani, domandandosi cosa potesse celare di
così prezioso da meritare sorveglianza quando persino il
Bifrost era rimasto incustodito.
I due battenti sembravano di legno massiccio, rivestiti di spesse
placche di metallo color ottone brunito decorate con un bassorilievo
molto elaborato.
Raffigurava una scena di battaglia cruenta, in cui scintillanti
guerrieri asgardiani trionfavano platealmente contro un esercito i cui
soldati indossavano maschere da combattimento che ne celavano i
lineamenti. Ai lati del cranio sporgevano lunghe orecchie a punta.
Khalida non aveva bisogno di altri elementi per capire che quelli
dovevano essere i famosi Elfi Oscuri.
Esaminò con più interesse la porta, interessata a
cogliere indizi sull'antico nemico che minacciava Asgard nuovamente.
I cadaveri degli Elfi erano a decine, sparsi su un terreno roccioso
aspro e brullo. Nel cielo non c'erano stelle, né luna,
né sole. Il paesaggio non sembrava appartenere alla
scintillante Asgard, per cui immaginò che quel deserto di
rocce fosse sul pianeta natale degli Elfi, di cui non ricordavano il
nome.
Al centro della scena una figura in piedi reggeva Gungnir, la lancia di
Odino, il capo ornato da un imponente elmo decorato da corna di
montone***. Lo stesso che aveva visto indosso ad Amora quando l'aveva
incontrata la prima volta.
Forse non era un particolare rilevante, ma Khalida se lo
segnò mentalmente, avrebbe chiesto delucidazioni a Thor il
giorno dopo, prima della partenza.
Una folata di vento fece ondeggiare le pesanti tende di una delle
grandi finestre, impedendo ai due soldati di guardia la visuale sul
corridoio buio dove Khalida si era nascosta. Il suo corpo
agì per lei e in pochi istanti sgusciò dietro la
porta, più leggera di quanto si aspettasse, chiudendosela
alle spalle senza fare rumore.
Le sfuggì un sorriso compiaciuto.
Anche se era fuori allenamento, se la cavava ancora.
Non appena si guardò intorno, riconobbe la stanza: era la
sala delle armi, la stessa che aveva visto nelle illusioni di Loki.
Improvvisamente seppe identificare il motivo che l'aveva spinta a
gironzolare per i corridoi di Asgard e ad intrufolarsi in quella
stanza, e la cosa la infastidì non poco, perché
era l'unico aspetto del suo carattere che non sapeva controllare.
La curiosità era sempre stata uno dei suoi peggiori difetti.
Tutti i suoi supervisori dell'esercito l'avevano detto
un'infinità di volte: un soldato non chiede mai perché
un soldato esegue gli ordini, punto.
Tuttavia, Khalida, aveva accettato quella sua pecca, diventando
qualcosa di più di un semplice soldato, una donna d'azione
con un lavoro in cui i perché erano importanti quasi quanto
le azioni.
Ma ben presto anche nell'Intelligence il perché aveva perso
importanza, sostituito dai numeri, dai risultati, dai nomi spuntati da
una lista. E Khalida era diventata un peso, un'agente scomodo, troppo
intelligente per poter essere controllata.
Mentre scendeva i gradini, lasciandosi avvolgere dal pesante silenzio
della sala, la donna per la prima volta realizzò che
probabilmente il caso di Manaar le era stato assegnato con la precisa
intenzione di provarla, forse addirittura per dare un valido motivo ai
suoi superiori per liberarsi di lei.
Ma in fondo non era importante, ragionò Khalida, cercare i
perché di quegli eventi. Oltre che impossibile, era
pressoché inutile.
Il passato non sarebbe cambiato, né la morte della ragazza
sarebbe diventata più leggera da sopportare.
Lasciando vagare gli occhi sugli alti soffitti ad ogiva, segnati da
sottili scanalature, fiocamente illuminate da un bagliore diffuso,
Khalida respirò lentamente, cercando di carpire
più particolari che poteva.
Il piccolo camminamento di marmo nero era costeggiato da piccoli
fossati, larghi pochi metri, in cui galleggiava dell'acqua nera che non
rifletteva la luce.
Al di là di questi, piccole nicchie ospitavano circa una
decina di manufatti, alcuni erano di forme piuttosto riconoscibili
– una spada, un guanto di placche di metallo, un bastone
lungo circa due metri diviso in tre parti**** – mentre altri
erano decisamente insoliti, come quell'occhio di metallo dorato che,
benché immobile, la faceva sentire osservata.
Il fondo della stanza era formato da una griglia di metallo, le cui
sbarre erano larghe come il braccio di Khalida, alta fino al soffitto.
Se al di là ci fosse qualcosa, gli occhi della donna non
erano in grado di vederlo.
Al centro della stanza, su un piedistallo, c'era il manufatto
dall'aspetto più ordinario: un parallelepipedo che a prima
vista appariva molto leggero, di metallo e vetro.
All'interno si muoveva un vapore bianco e azzurro, che si spingeva
contro le pareti, avvolgendosi in continui mulinelli senza fine.
La superficie era coperta da un sottile strato di brina, anche se nella
stanza non faceva affatto freddo.
Khalida allungò la mano lentamente, decisa a verificare
l'effettiva temperatura del manufatto.
«Non hai perso nemmeno la cattiva abitudine di toccare
ciò che potrebbe ucciderti», la fermò
la voce di Loki, divertita, eppure incrinata da una freddezza glaciale
che a Khalida fece correre un brivido lungo la schiena. Si
sforzò comunque di conservare la apparenze, anche se
involontariamente era trasalita. «Tu non hai perso quella di
comparirmi alle spalle», osservò, voltandosi.
Loki sollevò un angolo della bocca, accennando una smorfia
che non assomigliava per niente ad un sorriso.
Per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, Khalida poteva intuire
che fosse quantomeno turbato. L'aveva osservato, durante il funerale e
sapeva che l'addio a quella che, lo ammettesse o meno, era stata sua
madre per lunghissimi anni, non poteva averlo lasciato indifferente. Ed
ora Khalida la vedeva, la sentiva, la fredda rabbia sotto i suoi occhi
chiari, la stessa rabbia venefica che l'aveva già condotto
alla rovina una volta.
Non aveva intenzione di affrontare l'argomento. Loki era padrone delle
sue azioni e ciò che pensava lei non l'avrebbe di certo
fatto desistere dai piani che già gli frullavano in mente,
in più teneva davvero ad arrivare tutta intera al mattino
seguente.
Tuttavia il fatto di aver colto quella piccola briciola dell'anima di
Loki, che lui celava con ostentata superbia, la faceva sentire una
privilegiata, gettandole contemporaneamente addosso una
responsabilità che forse era troppo pesante, e che
sicuramente non era disposta a portare ancora a lungo.
Doveva pensare ad Ivy. Tornare da lei era il suo unico desiderio,
l'aveva promesso, e non aveva nessuna intenzione di deluderla ancora,
come già aveva fatto andandosene per quell'avventura che,
fortunatamente, era al suo epilogo.
«Che cos'è?», domandò,
posando gli occhi di nuovo sul piedistallo.
La nebbia azzurra aveva preso a vorticare più rapidamente,
ma sembrò acquietarsi quando Loki avvicinò con
grazia una mano, posando la punta delle dita su una delle decorazioni
di metallo.
«Lo Scrigno degli Antichi Inverni», rispose.
Khalida sollevò le sopracciglia. «In effetti siete
più bravi voi, con i nomi», osservò.
Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, ma la voce le morì
improvvisamente sulla labbra, quando la pelle di Loki mutò
gradualmente, sopraffatta da una ragnatela di inchiostro blu e venature
di ghiaccio.
In pochi secondi, davanti a lei non c'erano più i
trasparenti occhi verdi che aveva imparato a leggere, a capire e a
temere, ma solo due pozze di sangue, rosso vivo, screziato di nero e
morte: due occhi che non conosceva.
Chiuse ripetutamente le palpebre, come a controllare che quella non
fosse solo l'ennesima illusione, un semplice inganno, ma Loki rimase
lì, immobile a scrutare la sua reazione.
Aveva già visto l'aspetto originario di Loki, ma allora era
solo un neonato, e non poteva certo paragonare le due cose.
Era una prova.
Loki aveva sempre amato testare il suo carattere e la sua
sincerità, giocando con i suoi sentimenti, spiandoli con
l'intensa determinazione di utilizzarli a suo piacimento.
Aveva sempre affrontato quei test con dignità e fierezza,
convinta di ciò che sentiva, e non vergognandosene; ma
allora non c'era Ivy da difendere, e l'ultima cosa che voleva era che
Loki intuisse la sua esistenza e l'importanza che la ragazza aveva per
lei.
Deglutì, decisa a non mostrare il disagio.
«Così è questo il tuo vero
aspetto», commentò.
Loki sorrise, mostrando i denti. «Non fingere di non avere
paura».
Khalida sollevò il mento. «Non serve la pelle blu,
per quello, Loki», gli fece notare, ammettendo ciò
che, in un altro momento non gli avrebbe concesso, nel tentativo
estremo di celare il grande segreto di Ivy.
Se l'amore e l'affetto erano sentimenti che Loki disprezzava, la paura
la comprendeva e sapeva dargli il giusto valore.
Confessare di provarla, era forse la più grande lusinga, e
verità, che Khalida potesse fare nei confronti di Loki.
Stava giocando a carte sempre più scoperte, bluffando senza
sosta con il maestro degli inganni.
Era pericoloso, non lo negava.
Ciò nonostante, Khalida era abbastanza obiettiva per
ammettere che, mostrandosi a lei nel suo vero aspetto, qualunque fosse
la sua motivazione, Loki stava facendo un importante passo verso di lei.
Poteva nascondersi dietro scuse blande, ma loro due avevano sempre
camminato su strade parallele, distanti, eppure allo stesso passo.
Ora era il suo turno.
Avanzò piano, ed esitò solo un attimo, prima di
sollevare le mani verso il volto di Loki.
Lui reagì in modo repentino, bloccandole i polsi con un
movimento quasi invisibile.
Khalida irrigidì i muscoli, e si lasciò sfuggire
una breve esclamazione di dolore mentre la pelle di ghiaccio le
ustionava la carne.
«Credevi che toccare me
fosse meno pericoloso?», sibilò Loki, accennando
brevemente allo Scrigno con la testa.
Khalida ingoiò il dolore, che scemava, man mano che la pelle
di Loki tornava al colore abituale.
«No, ma questo non mi ha mai impedito di farlo»,
mormorò in risposta, sollevando il viso con fierezza.
Non si diede il tempo di pensare oltre, e proseguì
spingendosi in avanti con tutto il peso del corpo, fino a posare le
labbra su quelle di Loki.
Come nella Bocca del
Demone, il gesto aveva molti significati, e l'affetto non
era sicuramente tra i più rilevanti.
La bocca di Loki era fredda e immobile.
Sapeva di neve, rabbia e sangue e, quando finalmente si
ammorbidì per ricambiare il bacio, Khalida sentì
il suo respiro di gelo tra le labbra, e parte di quella rabbia la
condivise, ed accettò, comprendendo quanto profondo dovesse
essere il dolore che stava dilaniando il cuore di Loki, la grandezza
della sua solitudine ora che anche l'ultima persona per cui provava un
minimo di calore se n'era andata.
Quando Loki si allontanò impercettibilmente, Khalida
poggiò istintivamente la fronte sulla sua, socchiudendo le
palpebre, trovando di nuovo quegli occhi chiari a scrutarla con
intensità.
«Cosa mi stai nascondendo, Khalida?»,
domandò Loki, in un filo di voce doloroso tanto quanto un
pugnale nel cuore.
Khalida abbassò lo sguardo, sconfitta.
Con la coda dell'occhio, percepì un lampo rosso filtrare da
sotto i battenti della pesante porta.
Poi rimasero solo rumore e polvere.
----------------------------------------------------------
...suspance...
Lo so, sono cattiva, ma non è difficile immaginare cosa sia
accaduto :P ho dato qualche indizio qua e là...
ok, veniamo alle note:
* alzi la mano chi non ha adorato Selvig fuori di cucuzza in TDW!
"avevo un Dio nel mio cervello" e io gongolavo come una scema XD ok, ho
fatto un piccolo riferimento a questo fatto, dato che le immediate
conseguenze del dopo NY nella prima parte di Similitudini non erano
state spiegate e potevo permettermi la lieve digressione.
** Cross-over con Marvel Agent's of SHIELD, per chi non lo segue,
Fitz-Simmons sono due scienziati del team capitanato da Coulson. Lui
Fitz, lei Simmons sono adorabili, e si completano le frasi a vicenda
come se fossero, appunto, una coppia di inseparabili
*** Quella descritta non è altro che la stessa identica
scena iniziale di TDW in cui si vede la prima battaglia contro gli Elfi
scuri. Lo devo ammettere, a livello di battaglia e/o armamenti avevo la
testa piuttosto vuota, per cui, dato che comunque noi tutti abbiamo
nella testa le immagini fresche di TDW, farò molti
riferimenti alla mitologia degli elfi, al loro modo di vestire e di
combattere per come ce l'hanno mostrata nel film. ci sarà
anche una versione riveduta e adattata dei Dannati *sì si
chiama pigrizia, lo so*
**** altro cross-over con Agent's of SHIELD, nella 1x09 compare un'arma
asgardiana che viene ritrovata sulla terra, il bastone qui citato. se
volete saperne di più, guardatevi la puntata :P
Il capitolo è lungo e articolato e, anche se sembra inutile,
la conversazione tra Ivy e Jane avrà una sua
utilità tra poco, in particolare una cosa, ma non vi dico
quale XD
Le due conversazione tra Loki e Khalida possono sembrare forse un po'
ripetitive, ma tenete presente dello stato d'animo di Loki nella
seconda, avevo bisogno che fosse in uno stato d'animo più
fragile della precedente per riuscire a sciogliere qualche nodo.
Direi che ho finito, attendo i commenti!! *e i pomodori in caso*
Dal prossimo capitolo si balla!
A presto
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo 12 - Come la guerra ***
Ed
eccoci qui.
Probabilmente leggendo il capitolo riuscirete ad intuire
perché ho impiegato così tanto tempo ad
aggiornare.
Da questo momento in poi, le cose precipitano e i piani di tutte le
parti in gioco iniziano a prendere forma.
Spero che riusciate ad apprezzare e a perdonare l'attesa.
Vi lascio alla lettura, fate molta attenzione, ci sono indizi
importanti.
Il Carrousel du Louvre
era affollato come sempre, meta ambita tanto dai
parigini quanto dai turisti, immancabili nella capitale francese. Le
gallerie scintillanti dei negozi esclusivi offrivano un ottimo
intrattenimento prima e dopo la visita al celebre museo sotto il quale
sorgeva il centro commerciale. Lottando contro la calca, una giovane
donna tentava di allontanare la propria bambina dalla vetrina di
giocattoli davanti alla quale si era incantata da diversi minuti.
«Ma petite»,
la richiamò dolcemente la
donna, tentando di prenderla in braccio, ma la bimba
protestò, divincolandosi dalla presa della madre.
Intenerita, la donna si abbassò all'altezza della piccola,
cercando di farla ragionare con promesse che probabilmente non avrebbe
mantenuto, dato che mai e poi si sarebbe potuta permettere quei
balocchi tanto costosi e tecnologici.
Una vibrazione scosse il vetro davanti a loro e il pavimento di lucido
marmo.
La donna sussultò, sorpresa e spaventata e, quando
riprovò a prendere tra le braccia la figlia, questa non fece
resistenza, inquietata dallo strano fenomeno.
Raddrizzandosi sulle gambe instabili, la giovane madre si
guardò intorno ma nessuno degli affannati passanti sembrava
aver notato la piccola scossa.
Un terremoto? A Parigi?
Si domandò incredula la donna,
poggiando il palmo della mano sul vetro, come a controllare di non
essersi immaginata tutto.
In risposta, una seconda vibrazione, più forte, lo fece
tremare violentemente, e questa volta non fu solo lei ad accorgersene.
Lo scalpiccio dei passanti si acquietò improvvisamente, in
un inquietante fermo immagine.
Un basso rombo crebbe tra le pareti del centro commerciale.
Un sussulto repentino, un singhiozzo della terra stessa, fece perdere
l'equilibro alla madre, che crollò in ginocchio.
«Maman»,
strillò la bambina,
aggrappandosi più forte a lei e nascondendo il visino sulla
sua spalla.
«Va tutto bene», tentò di
tranquillizzarla la donna, ma la sua voce venne ingoiata dal fragore
della vetrina che esplose in mille pezzi, prima che un roboante tuono
sovrastasse ogni suono.
L'ennesima scossa di terremoto, questa volta violentissima,
squassò la città di Parigi come mai prima nella
sua storia.
Per le strade, l'asfalto si crepò in più punti,
fino a spalancarsi in decine di bocche fameliche che, in pochi istanti,
fagocitarono persone, auto, negozi e la stessa normalità.
La sirena squarciò il silenzio nella palestra del terzo
livello, interrompendo gli esercizi dei pochi agenti presenti. Era da
poco passata l'ora di pranzo e nel locale vi erano appena sei persone,
tra cui Ivy, che stava tentando di persuadere Drew a darle qualche
lezione di judo, dopo aver scoperto che il ragazzo era un discreto
dilettante nella disciplina.
Dapprima, quasi spaventata dall'intensità del suono, la
ragazza si guardò intorno spaesata, cercando sul volto di
Drew una spiegazione.
Il giovane agente le fece cenno di aspettare, sollevando il dito indice.
«Tutti gli agenti di livello sette a rapporto alla plancia di
comando», disse la voce del Direttore Fury, da uno dei
numerosi altoparlanti sparsi per la base.
Dopo l'annuncio, solo due degli agenti presenti, Triplett e May, se Ivy
non ricordava male, lasciarono di tutta fretta la palestra.
«Cosa significa?», chiese Ivy, tornando a fissare
il giovane tecnico informatico al suo fianco.
«Guai», replicò Drew, spegnendo con un
gesto il tapis roulant che aveva appena acceso.
«Sei stato convocato anche tu?».
Drew scosse la testa. «No, io sono appena un livello quattro.
Ma è meglio che ti accompagni alla tua stanza, potrebbero
convocarmi a breve», spiegò, facendo cenno alla
ragazza di seguirlo.
«Ma cosa può essere successo?»,
insisté Ivy, mentre camminavano lungo il corridoio che
portava alla maggioranza degli alloggi.
«Una cosa grossa, per richiedere tutti gli agenti di un
livello così alto... Triplett, May e Barton sono schizzati
come molle non appena hanno sentito l'annuncio».
Ivy annuì distrattamente, evitando di domandare dove diavolo
fosse Barton, dato che non l'aveva visto nella palestra. Immaginava che
fosse appollaiato da qualche parte sopra di loro, facendo onore al suo
soprannome, evidentemente meritato.
All'interno dello Helicarrier c'era una tensione palpabile da giorni.
Da Asgard non erano giunte notizie di nessun tipo e le ore si
consumavano nell'attesa e nell'inattività, almeno fino a
quel momento.
«Forse ci sono notizie da Asgard».
Ipotizzò tra sé e sé la ragazza,
mordendosi le labbra.
Drew la fissò. «Non credo. Se fosse stato
così non avrebbe senso convocare tutti gli agenti di
alto
livello della base, ma solo alcuni, più i Vendicatori... no,
qualsiasi cosa stia succedendo, riguarda il nostro piane...»,
il ragazzo si interruppe improvvisamente, bloccandosi nel bel mezzo del
corridoio.
«Drew?», lo chiamò Ivy, indecisa se
ridere o preoccuparsi per l'espressione del giovane.
Lui la ignorò. «Vieni con me», le
intimò, afferrandole la mano.
«Drew!», squittì lei, sorpresa, ma in
parte eccitata per quell'improvvisa agitazione.
Per quanto potesse fingere, iniziava ad annoiarsi immensamente,
parcheggiata lì a far nulla.
Lungo i corridoi non incontrarono nessuno, e la cosa apparve strano ad
Ivy, normalmente c'era sempre un sacco di gente in giro a quell'ora.
«Drew, dove mi stai portando?», chiese la ragazza,
strattonando la mano per convincere il ragazzo a lasciarla ed
affiancandolo nella corsa.
«Alla mensa», replicò lui, con il
fiatone.
Ivy aggrottò la fronte. «Abbiamo appena mangiato,
nel caso te lo fossi scordato».
Drew sbuffò. «Non per mangiare!»,
esclamò, rallentando il passo fino a fermarsi.
«Illuminami», lo incitò Ivy, sarcastica.
«Un'emergenza tale da richiamare solo gli agenti di alto
livello deve per forza essere qualcosa di grosso... molto
grosso», spiegò Drew.
«Ok, c'ero già arrivata, stiamo per morire tutti,
ma ancora non mi è chiaro cosa diavolo ci andiamo a fare in
mensa? Un ultimo pasto?», lo interruppe Ivy, sempre con tono
polemico.
«La televisione!», cedette Drew tra il divertito e
l'esasperato. «Qualsiasi cosa stia succedendo, certamente i
giornali ne staranno parlando».
Ivy sembrò confusa solo per un attimo poi, senza proferire
parola, di voltò e riprese a correre.
«Che fai?», la rimproverò bonariamente
Drew, rincorrendola.
«Voglio un posto in prima fila!»,
scherzò la ragazza, accelerando il passo.
L'agente Whedon non era stato l'unico a fare l'ovvio collegamento tra
la televisione e l'annuncio di Fury. La sala ristoro era gremita di
persone, ma il silenzio, quando Ivy e Drew vi entrarono, era pesante
come un macigno.
Facendosi largo a gomitate, la ragazza riuscì ad avere
finalmente una visuale del grande schermo al plasma appeso alla parete
sopra la caffetteria. Quando i suoi occhi riuscirono ad interpretare
ciò che stava vedendo, le passò di colpo tutta la
voglia di scherzare.
Sgranò gli occhi, mentre qualcosa tra lo stomaco e lo sterno
si agitava, come una serpe capricciosa. Un fiotto di bile le
salì nella bocca, mentre i suoi occhi osservavano i palazzi
distrutti, accartocciati come fogli di carta, l'asfalto pieno di crepe
e canyon profondi, simile alla terra inaridita di un deserto.
La figura familiare della Tour Eiffel pendeva obliqua, semi sommersa da
ciò che restava della Senna.
Improvvisamente anche le pareti intorno a lei iniziarono a tremare, ed
Ivy era di nuovo una bambina, sola nel fragore del mondo che le
precipitava intorno.
Come allora, si coprì le orecchie ed iniziò ad
urlare.
Un secondo colpo centrò la torretta, tranciandone di netto
la cima e minandone la stabilità.
Per un secondo rimase in bilico, poi si riavvolse su sé
stessa, precipitando lungo la piazza sottostante, sommergendo
asgardiani ed Elfi Oscuri.
Il crollo diede tempo all'esercito asgardiano, completamente colto
impreparato dall'attacco nel cuore della notte, di riorganizzassi,
almeno in parte.
Thor, ricoperto di polvere e sangue non suo, richiamò a
sé Amora e Sif, entrambe provate ma illese.
«Lady Amora, i nostri alleati e mio padre sono al
sicuro?», chiese Thor.
«Il padre degli Dei è ben protetto. I sovrani di
Alfheim, Muspelheim, Hel e Vanaheim ci hanno assicurato il loro
appoggio, in questo drammatico frangente. Hanno declinato l'offerta di
lasciare Asgard attraverso il Bifrost», asserì la
Dea, brandendo la spada e finendo con un colpo preciso al petto un Elfo
ferito ai suoi piedi.
Thor annuì. «Rintraccia il generale Tyr, capite da
dove stanno arrivando e fermatene l'avanzata, con ogni mezzo».
Amora annuì, con una lieve riverenza. «Come
ordinate».
Sif, con la guardia alta, si guardò velocemente intorno.
Il crollo aveva sterminato gran parte dei nemici, ma anche del
contingente sotto il suo comando, i pochi ancora in vita sembravano
feriti troppo gravemente per continuare a combattere.
Gli occhi le si riempirono di lacrime di frustrazione. L'attacco era
iniziato nel bel mezzo del banchetto di addio alla Regina, proprio
mentre la maggioranza dei soldati erano vulnerabili.
La maggioranza di loro era caduta senza avere nemmeno la
possibilità di difendersi in modo onorevole.
Immediatamente la confusione non aveva permesso loro di comprendere da
dove il nemico fosse giunto, poi era divenuto lampante che interi
contingenti di Elfi Oscuri erano come comparsi dal nulla in molte parti
della città e, lasciando una scia di panico e morte per le
strade di Asgard, ora stavano puntando dritti al palazzo reale.
Quando l'allarme era scattato, era ormai tardi e troppe vite si erano
perdute in modo irreparabile.
Ora la situazione stava rapidamente peggiorando con l'arrivo delle navi
da guerra degli Elfi, potenti e numerose, simile ad uno stormo di corvi
neri dagli occhi di fiamma.
«Sif», la chiamò la voce di Thor.
La donna si affrettò a nascondere le lacrime, fingendo di
asciugarsi dell'immaginario sudore dalla fronte rigata di polvere
scura. «Cosa ordini?», domandò, con voce
meno limpida di quanto avrebbe voluto.
«Trova Khalida e portala via da qui, Heimdall ha ordine di
lasciarla passare», iniziò il Principe, prendendo
la compagna per una spalla, stringendo appena per incoraggiarla.
«Tu andrai con lei, a Midgard devono sapere cosa sta
accadendo».
«Anche qui c'è bisogno di me»,
protestò Sif, quasi incredula. «Questa
è la mia città, la mia gente, Thor. Non posso
abbandonarli».
«Non è ciò che ti chiedo. Dopo aver
informato lo S.H.I.E.L.D. di ciò che sta succedendo, farai
ritorno, portando i Vendicatori con te », replicò
Thor.
Sif aprì la bocca per protestare, ma Thor la
fermò, prendendola per le spalle e fissandola negli occhi.
«Ho bisogno del tuo aiuto in questo. Sei l'unica di cui mi
fidi».
Nuove lacrime salirono agli occhi di Sif, perché sapeva che
Thor le stava mentendo.
Benché il Principe si fosse dimostrato, in più
occasioni, ignaro dei sentimenti che la guerriera provava per lui, non
aveva mai esitato ad utilizzare l'ascendente che aveva su di lei,
spesso in modo piuttosto meschino, convincendola a fare cose che non
riteneva né giuste né sagge.
Eppure la consapevolezza di essere usata non aveva affatto diminuito i
suoi sentimenti, n'è quel potere di Thor su di lei.
Arrendendosi per l'ennesima volta a quel sentimento che disprezzava, la
guerriera più forte di Asgard chinò il capo.
«Come ordini», mormorò, portando lo
scudo al petto.
Thor accennò un sorriso. «Grazie Sif»,
disse.
Ma lei non lo stava più ascoltando.
Nell'aria c'era odore di polvere, mischiato all'aspro sentore della
carne bruciata.
Khalida chiuse gli occhi, scacciando le lacrime.
Non sapeva dire quanto tempo fosse passato dall'esplosione, potevano
essere pochi minuti, ma anche molte ore, per quanto riusciva ad
intuire.
Sollevandosi a sedere con cautela, Khalida osservò le
proprie braccia e il resto del corpo, in cerca di ferite. L'abito
prezioso che indossava era ricoperto di polvere e schegge di metallo,
lacero e ormai irriconoscibile, ma fortunatamente era illesa.
Esplosioni e sibili riempivano il silenzio, illuminando
l'oscurità di lampi cremisi. Benché dallo
squarcio aperto nella grande porta davanti a lei non riuscisse a vedere
nient'altro che fumo nero e denso, era chiaro che Thanos aveva fatto la
sua mossa.
Khalida strinse le labbra, serrando la mano sull'asta di Match, che
ancora stringeva in mano; in quel momento l'innaturale energia
dell'arma le sarebbe stata utile, ed eventuali preoccupazioni sulla sua
salute non avevano senso.
Usando l'arma come un bastone, si tirò a sedere sui talloni,
guardandosi intorno con circospezione.
Il fumo le oscurava la visuale ma, per quanto riusciva a vedere, era
sola e la cosa la confortò. Gemendo per una fitta al braccio
destro, Khalida strappò con decisione gran parte della lunga
gonna che l'avrebbe solo impicciata durante la fuga. Sperava di essere
in grado di passare inosservata e riuscire ad arrivare al Bifrost senza
dover ingaggiare battaglia.
Non era un codarda, ma non aveva intenzione di affrontare nessun Elfo.
Quella non era la sua guerra.
Il fragore della battaglia si intensificò, e Khalida
comprese che non era tempo di indugiare oltre.
Quando fu in piedi, si ricordò di Loki.
Fu in parte sorpresa di riconoscerne la familiare figura acquattata nei
pressi della porta, in una posizione di favore che gli permetteva di
scrutare l'esterno senza però essere visto da eventuali
nemici.
Lui le dedicò solo un breve sguardo, e le fece cenno di non
fare rumore.
Khalida annuì, lasciando morire la flebile luce di Match,
per evitare di svelare la sua posizione.
Raggiunse Loki appena in tempo per vedere spuntare in fondo al lungo
corridoio un manipolo di circa una decina di Elfi.
Erano tutti a volto coperto, con le lunghe orecchie dalla pelle
bruciata che spuntavano ai lati delle maschere inespressive. Alcuni
portavano lunghe spade ricurve al fianco e cinture cui erano appese
piccole sfere nere, la maggioranza imbracciava armi che le ricordavano
i fucili alimentati dal Tesseract. In mezzo al drappello di soldati,
svettava un Elfo dalla statura nettamente superiore rispetto ai suoi
simili, che erano piuttosto bassi e tarchiati. Al contrario dei
compagni, indossava un'armatura nera come cenere, e la pelle stessa
delle sue braccia sembrava ustionata e spaccata. Dietro il grande elmo,
un luccichio rosso vivo faceva intuire la presenza degli occhi, in
quell'oceano di oscurità. Quando gli elfi passarono proprio
all'esterno della sala delle armi, Khalida istintivamente trattenne il
fiato, anche se sapeva che Loki avrebbe potuto facilmente nasconderli
alla vista dei soldati.
Loki attese qualche minuto, prima di azzardarsi a muoversi.
Khalida valutò per un'istante se fosse il caso di seguirlo o
meno, poi l'istinto ebbe la meglio. Forse Loki non l'avrebbe protetta,
ma con lui accanto aveva più possibilità di non
venire uccisa.
L'esplosione aveva aperto un foro nella possente porta di metallo,
largo poco più di un metro e mezzo, dai bordi frastagliati e
taglienti.
Quando Khalida provò a fare leva con le mani per scavalcarlo
e oltrepassare l'uscio, riuscì solo a ferirsi le mani.
Trattenendo un imprecazione tra le labbra, la donna si
preparò ad un secondo tentativo, ma Loki non gliene
lasciò il tempo. Senza proferire parola, si sporse
dall'apertura, le circondò i fianchi con le braccia e dopo
pochi istanti la depose nuovamente a terra.
«Grazie», mormorò Khalida, sorpresa dal
gesto.
Si guardò intorno, e il fiato le fuggì dai
polmoni.
Aveva vissuto gran parte della sua vita in zone di guerra, devastate e
sventrate da conflitti feroci e logoranti, eppure niente l'aveva mai
toccata tanto come la vista della splendente città di Asgard
accesa dai fuochi della distruzione. Caccia affilati come lame, virgole
nere nel fumo, solcavano il cielo, scaricando sugli edifici raffiche di
proiettili luminosi, che sembravano possedere una potenza inaudita.
Ognuno di essi era in grado di fare a pezzi intere torrette.
La donna intuì che doveva essere stato uno di quei colpi a
perforare la porta e devastare il bel balcone dove fino a poco prima
ardeva il braciere. Solo allora, notò il sangue sulle
pietre, e ciò che restava dei due soldati di guardia alla
sala delle armi.
Cercando di distogliere lo sguardo, incrociò gli occhi di
Loki, fissi e attoniti nell'osservare la città, che tanto
aveva disprezzato quando bramato, ora in fiamme, prossima al collasso.
Un luccichio di lacrime fece capolino nei suoi occhi, ma
svanì immediatamente dopo.
Nervosamente, si guardò intorno. «Siamo troppo
esposti, dobbiamo spostarci», constatò.
Khalida annuì.
Nonostante ciò che aveva pensato poco prima, qualcosa dentro
di lei bramava la battaglia, anelando a vendicare la bellezza violata
di un luogo eterno come Asgard che mai, in millenni di storia, aveva
conosciuto la guerra sul proprio suolo.
Si accorse, dopo un breve secondo di stupore, che il desiderio non
proveniva da lei, ma dall'entità dentro Match.
La cosa la spaventò ed eccitò in egual misura,
rendendola consapevole che Match la rendeva effettivamente qualcosa di
più, rispetto ad un normale essere umano.
Un caccia saettò poco lontano da loro, scaricando una nuova
raffica di colpi sugli edifici sottostanti. Una delle torrette
più alte del palazzo reale tremò, poi
collassò su sé stessa, facendo vibrare il
pavimento sotto i piedi di Khalida.
Istintivamente strinse i denti e la presa su Match, che si riaccese
sfrigolando.
L'energia pulsava e premeva per uscire e la donna non era
più sicura di avere un motivo per trattenerla.
Quella scintilla di incertezza venne spazzata via da un pesante rumore
di passi, metallo contro il marmo lucido della terrazza.
Un drappello di Elfi, probabilmente lo stesso che era passato poco
prima, comparve alle spalle di Khalida e Loki e, dopo una rapida
esitazione, puntò le armi contro di loro, caricandoli.
Loki rilassò le braccia lungo il corpo.
In ognuna delle mani teneva un pugnale dalla lama sottile, lunga circa
venti centimetri. Dello Scettro non c'era traccia e la donna
immaginò che, dato che lui era l'obiettivo di
quell'invasione, non volesse farsi riconoscere tanto facilmente.
«Se fossi intelligente, ora scapperesti»,
mormorò Loki, osservandola mettersi in posizione di difesa,
con i piedi piantati a terra, le gambe divaricate, Match stretto in
entrambe le mani.
Un sorriso feroce salì alle labbra di Khalida.
«Sono umana, non intelligente», replicò,
formando con la mente una sfera d'energia grande quanto un pallone da
calcio.
Stava diventando sempre più facile, man mano che smetteva di
resistere alla forza di Match. Come se l'entità fosse un
muscolo, che si rassodava con il costante esercizio.
Lo trovava spaventoso ed affascinante al contempo.
Espirando con forza, Khalida scagliò il proiettile d'energia
e Loki si lanciò contemporaneamente all'attacco,
moltiplicando la sua immagine per confondere gli avversari.
Propagandosi in fulmini azzurri sui primi due Elfi del gruppo, la sfera
s'infranse, sfrigolando e scaraventando le sue vittime indietro di
diversi metri, intralciando l'avanzata degli altri.
Loki colse l'occasione per finire rapidamente gli altri sei Elfi,
tagliandogli di netto la gola, alle spalle.
Khalida si aggrappò forte a Match, mentre l'arma reclamava
altra energia da lei.
Un fiotto caldo di sangue le uscì dal naso e lei non si
prese il disturbo di asciugarlo.
Nonostante l'utilità dell'arma fosse indubbia, se voleva
farsi strada con la forza fino al Bifrost doveva trovare un modo
alternativo di difendersi, altrimenti sarebbe morta nel tentativo.
Sforzandosi di apparire stabile sulle gambe, Khalida avanzò
di qualche passo, esaminando i cadaveri.
I fulmini di Match avevano disegnato una ragnatela nera sul metallo
delle armature.
Con la punta del piede rigirò il cadavere più
vicino. Del sottile fumo si levava dal corpo.
Un forte odore di carne bruciata le salì alle narici,
facendole arricciare il naso.
Il metallo del fucile che l'alieno ancora imbracciava, nell'ultimo
spasmo di vita, rifletté la luce di un'esplosione lontana.
Khalida si cucciò a terra, afferrando l'arma con entrambe le
mani, strappandola senza sforzo alla presa inerte dell'Elfo.
La soppesò, trovandola più leggera di quanto si
aspettasse: riusciva a sostenerla tranquillamente con entrambe le mani.
Il suo funzionamento sembrava elementare; accanto all'impugnatura c'era
una piccola leva che poteva raggiungere facilmente con la punta delle
dita.
Incuriosita, Khalida sollevò le braccia e mirò al
fondo del corridoio, flettendo appena l'indice.
Un proiettile di luce rossa si staccò dalla punta dell'arma,
producendo un lieve sibilo, e andò a colpire una delle
colonne.
Khalida si lasciò scappare un sorriso.
Il rinculo era praticamente nullo e la potenza dei colpi solo poco
inferiore alle armi caricate con l'energia del Tesseract. La sua mira
era ancora pessima, ma quella non dipendeva certo dall'arma.
Con un ultimo sguardo analizzò le armi dell'Elfo e decise di
prendere anche la cintura con le sfere nere, ognuna di circa sette
centimetri di diametro.
Ne sfiorò una con cautela, seguendone il profilo fino ad
incontrare un lievissimo rilievo, una sorta di pulsante. Stando attenta
a non premerlo, agganciò la cintura alla vita, alzandosi in
piedi.
Infilò Match dentro la cintura, facendo modo che il metallo
tiepido dell'arma le sfiorasse la schiena, in gran parte scoperta
dall'abito.
Ora che aveva le mani libere, ed era armata, cominciava a vedere le
cose più chiaramente.
Non era mai stata in una guerra vera, ma forse in quel momento tutto
l'addestramento cui era stata sottoposta le sarebbe servito.
Non aveva un'idea precisa di in che punto del palazzo fosse ma, oltre
il fumo, ogni tanto baluginava l'oro della cupola del Bifrost. Doveva
trovare il modo di raggiungere la piazza sotto di lei, e poi correre in
quella direzione, sperando di non venire ammazzata nel frattempo.
Una passeggiata.
Non fece in tempo a pensarlo che dal fondo del corridoio
sbucò un nuovo gruppo di Elfi.
Erano in otto, cinque di essi erano alti almeno il doppio di lei, neri
come carbone.
Un brivido di terrore ed eccitazione percorse la schiena di Khalida.
«Cosa sono quelli?», sibilò.
Loki la osservò di lato. «Finalmente una reazione
intelligente», ridacchiò.
«Divertente», masticò Khalida,
voltandosi per osservarlo in volto, in attesa di una risposta.
«Li chiamano Dannati. Sono i loro migliori guerrieri, vengono
addestrati al combattimento sin dall'infanzia»,
spiegò Loki, stringendo un poco le mani sull'impugnatura dei
pugnali.
Muggendo qualcosa in una lingua aspra, che aveva il suono del vetro
infranto, gli Elfi avanzarono con passo pesante.
Il pavimento vibrò con violenza.
Solo allora Khalida si accorse, con una fitta di panico, che
altrettanti Elfi erano alle loro spalle.
Una dannata morsa di corpi ardenti e puzzolenti di cenere.
Nervosamente, spostò le dita fino al grilletto del fucile.
«Sarebbe un buon momento per teletrasportarsi»,
dichiarò, prendendo di mira l'Elfo più vicino.
Una luce brillò negli occhi chiari di Loki. «E
perdere tutto il divertimento?», rise, prima di lanciarsi
all'attacco a testa bassa.
«Già, stupida io a chiederlo»,
brontolò Khalida, piegando le dita e scagliando il primo
colpo.
Colpì un Elfo al ginocchio, e subito dopo al petto,
gettandolo a terra.
Il Dannato subito dietro di lui lo calpestò senza curarsi se
il compagno fosse ancora vivo.
Khalida deglutì a vuoto, indecisa su come comportarsi.
Loki era riuscito già ad abbattere tutti gli Elfi Oscuri,
trafiggendoli dritto nei bulbi oculari con dei pugnali da lancio
sottili poco più di uno spillo.
Ora erano circondati da sette Dannati, che li guardavano con i grossi
crani inclinati da un lato. Avevano un aspetto spaventoso, con quegli
occhi rossi, brillanti come braci.
Benché Loki fosse sempre apparso imponente agli occhi di
Khalida, accanto a quelle masse di metallo e pelle bruciata sembrava
esile come un giunco.
Affrontarli appariva come una missione suicida.
Loki indietreggiò fino al suo fianco, mentre Khalida sparava
all'impazzata intorno a loro, ma i proiettili non facevano altro che
provocare piogge di scintille, senza fare danni.
Un sudore gelido copriva la fronte della donna, e l'aria iniziava a
mancarle.
I Dannati, armati di lunghe spade che, con un solo colpo, avrebbero
potuto dividerla in due, odoravano di morte e fuliggine.
«Loki, lo Scettro», gemé, a corto di
idee.
Non aveva abbastanza energie per utilizzare Match, ma lo Scettro
avrebbe potuto salvarli facilmente.
«Non ancora», replicò lui, concentrato
sull'avanzata dei nemici.
Khalida tentò di imitarlo.
I passi dei Dannati erano pesanti, lenti, e qualcosa nei loro movimenti
dava l'impressione che fossero forti, certo, ma non particolarmente
intelligenti.
La mano di Loki le sfiorò il fianco, posandosi poi su una
delle sfere.
Ormai i Dannati erano a meno di un metro da loro.
Quello di fronte a Khalida sollevò la spada, pronto a
calarla sulla sua testa.
Anche se provò l'istinto di chiudere gli occhi, si costrinse
e tenerli aperti.
«Ora», sibilò Loki, lanciando avanti una
delle sfere, su cui brillava una lucina rossa.
I Dannati la osservarono per un momento, con aria stolida, e Khalida
immaginò che la sua espressione non forse molto diversa.
Loki le strinse le braccia intorno alle spalle, schiacciandola contro
il suo corpo.
In un lampo freddo scomparirono apparendo subito dopo, cinque metri
più in là.
Gli Elfi riuscirono a malapena ad emettere un grugnito di sorpresa, poi
la piccola sfera detonò, con un'onda d'urto che
lasciò un vuoto nello stomaco di Khalida.
Al centro del drappello di Elfi l'aria tremò, come
arricciandosi su sé stessa.
Una folata di vento arrivò dalle spalle di Khalida,
sollevandole i capelli e precipitandosi verso i Dannati.
Una voragine invisibile si aprì e risucchiò,
pezzo per pezzo, tutti i nemici.
Durò così poco che Khalida non riuscì
nemmeno a sbattere le palpebre.
Realizzò cosa era accaduto solo quando il corpo di un
Dannato, da cui mancava gran parte del busto e la testa,
precipitò sul pavimento, fumando e schizzando sangue denso e
nero.
La cintura intorno alla sua vita divenne improvvisamente pesante come
piombo.
Quelle piccole sfere erano in grado di generare un buco nero in
miniatura.
Se ne avesse attivata una per errore, lei sarebbe completamente
scomparsa.
Il cielo sopra di loro vorticò, solcato da fulmini che si
raccolsero in uno solo, in un punto non troppo distante da loro.
Khalida ne seguì il percorso. «Dovresti
raggiungere Thor», disse, cercando gli occhi di Loki.
Allontanandosi da lei, Loki fece una smorfia, come se avesse ingoiato
improvvisamente qualcosa di acido. «Cosa ti fa credere di
sapere cosa dovrei
fare?», replicò, riducendo gli
occhi a due sottili fessure.
Khalida alzò gli occhi al cielo. «Loki, so che non
ti fidi di me, e fai bene. Al tuo posto nemmeno io lo farei»,
iniziò, respirando a fondo. «Ma non sono tua
nemica, non lo sono mai stata».
Loki non aveva alcuna intenzione di crederle, eppure dentro di lui
percepì la sincerità di quelle parole, non tanto
nel tono della donna, quanto nei fatti.
La cosa, tuttavia, non aveva alcuna importanza.
Anche se Khalida non era mai stata direttamente sua nemica, i
sentimenti che lei era in grado di risvegliare lo erano eccome e,
nonostante ci avesse provato, non era in grado di separarli
dall'esistenza stessa di lei.
Non era riuscito a lasciarla semplicemente morire, quando
l'opportunità si era presentata per l'ennesima volta, e
quella debolezza, che non riusciva ad estirpare, era un veleno cui
temeva di assuefarsi, tanto da non accorgersi del momento in cui
l'avrebbe ucciso.
Sarebbe successo, prima o poi, a meno che lui non si decidesse a fare
per primo la mossa che avrebbe spento per sempre quella luce
irriverente dallo sguardo della donna.
Ora, l'inaspettata sincerità nell'affermazione di lei era
pericolosa, tagliente e insidiosa.
Nonostante avesse spesso messo in dubbio i suoi motivi, e la sua
intelligenza, Loki aveva imparato a non sottovalutare mai le
capacità di Khalida. Era una brava oratrice ed una fine
stratega e, anche se faticava ad accettarlo, lo conosceva molto meglio
di quanto volesse.
In quel frangete, Loki era disposto ad ammettere che l'umana aveva
ragione.
Khalida aveva sempre giocato per sé, ma non aveva mai voluto
intenzionalmente fargli del male, non l'aveva mai odiato, né
sottostimato.
L'unica persona di cui poteva dire lo stesso era ormai solo polvere di
stelle nell'universo.
Un rumore di passi, troppo lieve per appartenere ad un Elfo Oscuro, li
sorprese alle spalle.
Khalida e Loki si voltarono, lei con il fucile imbracciato, le dita
flesse sul grilletto, lui con i pugnali insanguinati nelle mani e
un'illusione pronta sulla lingua.
Sif avanzò con passo fiero, scavalcando i cadaveri come se
nemmeno li vedesse.
Anche se l'asgardiana non sembrava ferita, qualcosa nelle sue labbra
strette e nella piega accentuata delle sopracciglia lasciava intendere
una sofferenza più profonda di quella fisica.
I suoi occhi si posarono per un'istante su Loki, e una lieve scintilla
intercorse tra i loro sguardi.
Fu breve, ma Khalida riuscì comunque ad intuirla, ed un
sospetto prese forma nella sua mente.
«Khalida», la chiamò la Dea, guardandola
negli occhi. «Vieni con me. Thor mi ha ordinato di scortarti
al Bifrost».
Il sollievo nel cuore della donna, venne immediatamente fagocitato dal
fastidio.
Ricordava ancora bene il suo scontro con Sif e, benché
sapesse che lei non avrebbe mai trasgredito un ordine diretto di Thor,
temeva il risentimento che correva tra loro.
Riconosceva che era fomentato solo da gelosia e invidia,
perché erano sentimenti che le risultavano familiari; aveva
impiegato molti anni della sua vita ad estirpare entrambi dalla propria
natura; eppure, non conoscendo i veri motivi dietro quei sentimenti, si
sentiva incerta su come rapportarsi con la guerriera.
Eppure, che le piacesse o meno, Sif rappresentava la miglior occasione
per riuscire a lasciare Asgard sulle sue gambe.
Fece un passo avanti, annuendo.
Inconsciamente, si voltò verso Loki, e per un attimo
sentì il fragore della guerra intorno a loro svanire,
fagocitato da un'altra guerra, quella che entrambi stavano combattendo
dentro di loro.
Loki strinse le labbra. «Ci rivedremo»,
mormorò, un sibilo che aveva più il sapore di una
minaccia che di una promessa.
Khalida non si aspettava altro da lui.
«Lo spero», replicò lei, prima di
voltargli le spalle ed affiancare Sif.
Loki le osservò a lungo la schiena, prima di rilassare le
spalle.
Svanì senza rumore, in un bagliore di smeraldo.
Sif camminava svelta, rasente le pareti.
Dietro di loro avevano già seminato una scia considerevole
di corpi, e Khalida si sentiva più sicura ora che conosceva
l'esatta funzione delle piccole sfere che portava alla cintura.
Aveva perso l'orientamento dopo una decina di svolte senza senso, nei
corridoi a pezzi del palazzo, ma la sua richiesta di spiegazioni era
stata ignorata.
Sif sollevò il pugno chiuso di scatto, intimandole di
fermarsi.
Khalida ubbidì, guardandosi intorno.
Dovevano essere vicini ad una finestra, o a quel che ne rimaneva.
Brandelli di tende sporche di sangue e polvere svolazzavano nell'aria,,
sospinte dall'aria fredda della notte.
Soddisfatta dal silenzio, Sif le fece cenno di avanzare, svoltando
l'angolo.
Le due donne si ritrovarono su un balcone, piuttosto intatto.
Accanto alla balaustra una piccola nave, che a Khalida ricordava
vagamente una gondola veneziana, solo più corta, fluttuava a
mezz'aria.
Sif si lasciò sfuggire un breve sorriso e con un agile salto
scavalcò il parapetto, gettandosi nella piccola imbarcazione.
Un basso ronzio annunciò l'accensione dei motori e grandi
ventagli di lamine metalliche si aprirono ai due lati della scialuppa,
simili ad ali di un uccello meccanico.
Khalida valutò per un'istante l'altezza. Esitò
solo un attimo, mentre un vuoto familiare le aggrediva lo stomaco.
Scavalcò la balaustra del balcone guardando fisso davanti a
sé, ringraziando il suo scarso appetito. Almeno si sarebbe
risparmiata l'umiliazione di dare di stomaco davanti a Sif.
Il terreno sotto di loro non era visibile, coperto dal fumo dei
svariati incendi che ardevano la città eterna.
Irritata dalla sua incertezza, Sif le tese la mano e Khalida si
affrettò a stringerla, lasciandosi trascinare al sicuro
sulla navicella.
L'asgardiana le dedicò uno sguardo duro, probabilmente
sprezzante, afferrando con entrambe le mani il timone.
La piccola nave si impennò con la prua verso il basso, e
Khalida afferrò i cuscini della seduta con forza,
conficcando le unghie nella stoffa.
Sif accennò un mezzo sorriso. «Cerca di non
gridare», la schernì, lanciando la navicella a
tutta velocità nella coltre di fumo.
Dopo alcuni interminabili secondi di caduta libera, la navetta si
riposizionò in assetto orizzontale e Khalida
ricominciò a respirare.
Aveva sempre detestato volare.
Sif guidò con precisione, rimanendo immersa nel fumo,
nascosta ai numerosi caccia nemici che solcavano il cielo. Ogni tanto
gettava lo sguardo dietro di loro, per assicurarsi che nessuno li
stesse inseguendo.
«Non devi fidarti di lui», disse improvvisamente,
guardando Khalida negli occhi.
La donna aggrottò le sopracciglia. «Cosa ha fatto
di preciso Loki, per renderti così astiosa nei suoi
confronti?».
Sif strinse i begli occhi, riducendoli a piccole fessure.
«È un bugiardo. Ha tradito Thor e tutto il popolo
asgardiano», la guerriera fece un gesto ampio con il braccio.
«La morte della Regina, e tutto questo, è colpa
sua, e della sua incapacità di comprendere il suo
posto».
Khalida intravide qualcosa, un rancore molto diverso dalla fiducia
tradita, nella voce incrinata di Sif. «Non fingere che la
cosa riguardi Asgard. Tu lo odi da molto prima che Thor venisse bandito
sulla Terra».
Sif strinse le labbra, colpita.
Quella donna era acuta, non lo negava, ma in quel caso si sbagliava di
grosso.
Non aveva mai odiato Loki, non ci era mai riuscita, per quanto ci
avesse provato.
Anche in quei frangenti drammatici, dentro di lei esistevano ricordi
precisi di chi era stato, solo per brevi attimi, il Dio dell'Inganno al
suo fianco, quando erano ancora solo due ragazzi adombrati dalla
sfavillante luce di Thor.
Erano giovani e diversi dal mondo che li circondava, lei unica
fanciulla in un esercito di uomini, lui unico ragazzo non fatto per la
guerra in una nazione di guerrieri.
Entrambi avevano cercato quella diversità comune, usandola
per sfamare la propria fame di affetto e riconoscimento. Per un breve
periodo Sif aveva creduto di essere felice, anche se qualcosa sembrava
sempre mancarle.
Poi era arrivato Haldorr e la guerriera aveva imparato un affetto
diverso, un amore diverso.
Loki le aveva riconosciuto il suo essere un vero soldato, ma Haldorr
l'aveva vista nella sua interezza, una donna guerriera che cercava solo
una carezza sincera, non un modo per convincersi di essere come tutti
gli altri, una semplice affermazione del proprio potere.
L'amore di Loki sapeva essere implacabile tanto quanto il suo rancore,
mentre Haldorr era come balsamo sulle ferite che il mondo aveva
già lasciato sul giovane cuore di Sif.
Il confronto aveva reso la sua scelta fin troppo ovvia.
In quell'occasione Sif aveva imparato a temere Loki e il suo modo
sottile di odiare e vendicarsi. Non ne aveva mai avuto le prove, ma era
certa che ci fosse stato il suo zampino nel modo in cui Haldorr era
morto, anche se la diretta responsabile era stata Lorelei e la sua
ricerca disperata del potere.
Sif premette leggermente sul timone, correggendo la rotta.
Forse c'era qualcosa di sbagliato in lei.
Non aveva mai amato Loki, questo l'avevano sempre saputo entrambi.
Tuttavia, ripensando al giovane Falco Rosso, Sif riconosceva che aveva
amato più il modo in cui lui l'amava, che Haldorr stesso.
E questo la rendeva un mostro alla pari di Loki, indegna di qualsiasi
sentimento d'amore.
Forse per questo si ostinava a provare un amore che non sarebbe mai
stato ricambiato.
Sif concentrò lo sguardo davanti a sé, cercando
di fendere la nebbia e il fumo.
Sulla sua destra, un brillio annunciò che il Bifrost era
vicino.
«È incapace di essere leale», si
lasciò sfuggire, non sapendo più se stava
parlando di Loki o di sé stessa. «Non è
nella sua natura».
Khalida non replicò, qualcosa dietro di loro si era mosso.
Un bagliore rosso, appena accennato, rivelò il profilo
affilato di una delle navicelle elfiche.
«Sif!», strillò la donna, allarmata.
L'asgardiana si voltò appena in tempo per veder partire un
colpo, lo evitò con una manovra fluida, sollevando la prua
verso il cielo.
«Tieniti forte», sibilò a denti stretti,
emergendo dalla coltre di fumo.
La navetta era in posizione praticamente verticale e, contro il sole
nascente, si stagliava netta, nei cieli eterni di Asgard.
Khalida cercò il Bifrost roteando gli occhi e trattenendo la
nausea.
Quando lo trovò, un gemito le salì alle labbra.
Il Ponte dell'Arcobaleno era ingombro di Elfi.
Heimdall, davanti all'ingresso della camera del Bifrost, spiccava nella
sua armatura dorata. Qualsiasi elfo che si avvicinasse troppo veniva
decapitato o mutilato ma il Guardiano era ormai accerchiato da ogni
lato e non avrebbe potuto resistere ancora per molto.
Sif valutò la traiettoria migliore, poi afferrò
uno dei suoi pugnali e lo conficcò in modo da bloccare il
timone. La navetta accelerò bruscamente, schiacciando
Khalida e Sif contro una delle sponde.
«Al mio tre, salta», ordinò la Dea a
Khalida, che annuì, stringendo di più il fucile.
Il caccia dietro di loro scaricò una raffica di colpi che
sibilarono sulla loro testa.
Uno colpì la poppa e la navicella sbandò
pericolosamente, inclinandosi su un fianco, per poi fare un brusco
testa coda.
«Tre!», urlò Sif, afferrando Khalida per
un braccio.
Entrambe le donne caddero nel vuoto, il sibilo del vento nelle
orecchie.
La navetta, definitivamente abbattuta da un secondo colpo,
precipitò davanti a loro, spazzando il ponte in una nuvola
di scintille. Decine di Elfi vennero falciati e altrettanti, nel
tentativo di evitarla, precipitarono nel vuoto, inghiottiti dalla
violenta mareggiata che infuriava sotto il Ponte.
Khalida rotolò su sé stessa, nel tentativo di
frenare la sua scivolata. Il pavimento sotto di lei era liscio come
vetro e non forniva alcun appiglio.
Nel panico, annaspò con le mani, cercando l'impugnatura di
Match, riuscì a sfiorarla e poi a stringerla.
In un disperato impeto di rabbia, ne conficcò la punta nel
pavimento.
Con i piedi già oltre il margine del Ponte, Khalida emise un
gemito di paura e sollievo.
Le braccia le tremavano e faceva fatica a respirare.
Probabilmente nell'impatto si era incrinata qualche costola.
Facendo leva su Match si mise a sedere, esausta.
Sif, pochi metri più in là, era già in
piedi, la spada a doppia lama sguainata.
Gli Elfi superstiti si stavano riorganizzando, erano poco
più di una dozzina, comunque troppi per le forze di Khalida.
Tastandosi la vita, la donna incontrò l'ultima sfera appesa
alla cintura e tirò le labbra in una specie di sorriso,
stringendola nel palmo.
Guardò Sif, che sembrava aver intuito il suo piano; la
guerriera si accucciò dietro il suo scudo e le fece un cenno
di assenso.
Alzarsi in piedi costò a Khalida più dolore di
quanto credeva, ma ci riuscì.
Gli Elfi la fissarono e, anche se i loro volti erano nascosti dalle
maschere, a Khalida parve che sorridessero di lei, così
piccola, in confronto a loro.
Premette il pulsante sulla granata.
«Crepate, bastardi», urlò, lanciandola
davanti a sé, proprio nel mezzo dei nemici.
Non rimase ad osservare l'effetto dell'arma, sollevò Match
davanti e sé e chiuse gli occhi, acquattandosi a terra,
implorando di essere abbastanza distante dal fulcro del buco nero.
Ascoltò i battiti del proprio cuore, ad occhi chiusi,
contando i secondi.
«Ben fatto, umana», la ridestò la voce
profonda di Heimdall.
Sbattendo le palpebre, Khalida mise a fuoco la figura imponente del
Guardiano, l'oro dell'armatura brillava debolmente, insudiciato dal
sangue. L'asgardiano aveva un accenno di sorriso sulle labbra carnose e
per un attimo Khalida si sentì al sicuro, come se tutto
fosse finito.
L'aveva già notato, ma solo in quel momento gli diede peso.
Quando Heimdall la chiamava umana,
non lo faceva con la sfumatura
dispregiativa che molti ad Asgard avevano utilizzato.
L'asgardiano le porse la mano e lei l'accettò volentieri.
Strinse i denti quando le costole protestarono e gli occhi le si
riempirono di lacrime, ma nel compenso era felice di poter ancora
sentire dolore.
Sif rinfoderò la spada con un gesto che denotava impazienza.
«Sbrighiamoci, ne arriveranno altri», disse,
incamminandosi verso il Bifrost.
Heimdall era riuscito a non far penetrare nessuno degli Elfi
all'interno della grande cupola dorata e, al suo interno, quasi ci si
poteva dimenticare della devastazione e della guerra al di fuori.
«Dove desideri andare?», chiese Heimdall a Khalida.
A casa,
pensò immediatamente lei, trattenendo un sorriso.
«Portami da lei».
«Dobbiamo raggiungere i Vendicatori. Thor mi ha affidato il
compito di informarli di quanto sta avvenendo e di chiedere il loro
aiuto», la contraddisse Sif, non trattenendo un'occhiata di
sfida nei confronti di Khalida.
Gli occhi di Heimdall ebbero un lieve guizzo divertito.
«Fortunatamente, i vostri obiettivi coincido»,
commentò, salendo i gradini che portavano al piedistallo al
centro della camera.
Nell'istante in cui la spada del Guardiano scivolò nella sua
sede, un colpo improvviso fece tremare il pavimento sotto i loro piedi.
Heimdall spalancò gli occhi.
«Giù!», urlò.
La parete alla loro destra esplose in una nube di schegge affilate, di
metallo e pietra.
Il muso di una delle navi nere degli Elfi Oscuri spuntò,
invadendo la grande stanza con la sua mole.
L'occhio rosso al centro pulsava, quasi ammiccando in modo ironico.
Khalida strisciò sul pavimento, cercando Match ma non
trovandolo.
L'impatto doveva averglielo strappato di dosso.
Un singhiozzo le strozzò il respiro.
Heimdall si alzò in piedi, anche lui disarmato, la sua
grande spada spezzata, per metà conficcata nel piedistallo
del Bifrost.
Una fessura si aprì nella nave di fronte a loro, sputando
fuori due Dannati e un Elfo Oscuro imponente, a volto scoperto.
Era la prima volta che Khalida riusciva a vederne uno in viso e si
accorse di quanto i suoi lineamenti fossero simili a quelli degli
asgardiani, se escludeva la pelle nera scarnificata e coperta di segni
simili a tatuaggi.
Gli occhi bianchi dell'Elfo si posarono su di lei e un ghigno di
trionfo affiorò sulle sue labbra.
Abbaiando un ordine ai due Dannati, la creatura si mosse verso di lei.
Khalida tastò il terreno accanto a lei, fino a stringere le
dita su un grosso frammento di metallo affilato come una lama. Non
appena quell'essere le si fosse avvicinato, glielo avrebbe piantato nel
collo, o almeno ci avrebbe provato.
Era in svantaggio, ma non aveva intenzione di arrendersi facilmente.
L'Elfo era a soli tre passi da lei, quando Sif, abbandonando lo scontro
con uno dei Dannati, le si parò davanti, la spada a doppia
lama pronta a colpire il suo avversario.
L'Elfo rise, in modo sguaiato.
Era apparentemente disarmato, ma questo non sembrava affatto
preoccuparlo.
Sif menò un fendente, ma la creatura bloccò il
colpo con la mano, stringendo la punta della spada tra le dita. Sangue
scuro colò sulla lama, nero come la notte. L'Elfo,
insensibile al dolore, non ci badò. Con la mano destra
afferrò Sif per il collo, sollevandola a diversi centimetri
da terra, i piedi della Dea scalciarono a vuoto e Khalida trattenne il
fiato.
«Io sono Malekith», sibilò la voce di
vetro dell'Elfo, aumentando la presa sulla spada di Sif.
Incapace di contrastare la sua forza, le dita della Dea persero presa
sull'elsa.
La voce di Sif si levò alta, in un grido di dolore e rabbia,
quando la sua stessa spada le trafisse la spalla, trapassando
l'armatura e le ossa.
Heimdall gridò, ma i due Dannati lo incalzavano troppo da
vicino per permettergli di intervenire.
Sorridendo, Malekith lanciò Sif sul pavimento e
guardò Khalida negli occhi.
Il bianco ghiaccio delle sue pupille si illuminò e un
terrore ancestrale prese la donna alla gola, ma nelle sue corde vocali
non c'era più voce per urlare.
Paralizzata, le sue mani persero forza e lasciò andare il
pugnale improvvisato che stringeva.
Quando Malekith la colpì alla tempia, a mano aperta, l'oblio
fu un sollievo.
Aveva la netta sensazione di aver dormito decine di ore.
Nei suoi sogni antiche leggende si erano sovrapposte a ricordi recenti
e remoti.
Ad Ivy sembrava di essere invecchiata e ringiovanita
un'infinità di volte.
Sbattendo le palpebre, gli occhi feriti dalle forti luci al neon sopra
di lei, la ragazza prese lentamente coscienza di sé stessa,
delle lenzuola sotto le mani e della presenza di un'altra persona.
Osservò Drew per un attimo, notando quanto sembrasse
giovane.
Era seduto con la testa tra le mani, i capelli rossicci spettinati.
Scalzo, con la tuta sbottonata fino all'ombelico, dava l'idea di una
persona esausta.
«Hey», mormorò Ivy, sollevandosi sui
gomiti. «Che ore sono?», domandò.
L'agente Whedon sollevò di scatto lo sguardo dal pavimento,
un sorriso largo e sincero fiorì sul suo volto.
«Neanche le nove», rispose, a voce bassa.
Per un secondo sembrò incerto su come comportarsi, poi
mandò all'aria i dubbi e si sedette sul letto accanto ad
Ivy. «Come ti senti?».
«Mi fa male la gola», ammise lei. «Devo
aver urlato parecchio».
Drew annuì appena. «Hanno dovuto darti un calmante
per tranquillizzarti».
Ivy si sentì pizzicare gli occhi. «Mi
dispiace».
«Non è stata colpa tua... quella scena avrebbe
spaventato chiunque», disse Drew, massaggiandosi la nuca.
«Soprattutto te».
Ivy stava per chiedergli come facesse a conoscere la sua storia, poi
ricordò che si trovava nello S.H.I.E.L.D., dove
probabilmente esistevano fascicoli anche sulle persone non ancora nate.
Alla faccia del “lei
non è mai stata sotto
sorveglianza” di Coulson.
La ragazza si mise a sedere, pettinandosi i capelli con le dita,
riuscendo solo a scarmigliarli ancora di più.
«Cosa sta succedendo?», chiese.
Drew sospirò. «Non è una cosa che ti
deve preoccupare», disse, poco convinto.
«Stai scherzando, vero?», sbottò Ivy.
«Ti ricordo che ci vivo, sulla Terra».
Drew arrossì e annaspò per qualche secondo.
«Coulson mi ha detto che è meglio non farti sapere
niente per... non turbarti», capitolò infine,
arrendendosi allo sguardo duro della ragazza.
Ivy sbuffò. «Sveglia Drew! Io sono già
turbata. Ciò che dirai non cambierà
nulla».
Il giovane agente esitò un momento, poi si lasciò
scappare un sorriso. «L'avevo detto a Coulson che non avrebbe
funzionato come scusa», borbottò.
La ragazza trattenne un sorriso compiaciuto. La lusingava che Drew
pensasse che fosse una persona difficile da convincere, determinata.
Era ciò che aveva sempre cercato di essere.
«Allora, che sta accadendo? Una nuova invasione
aliena?», chiese, con fin troppo entusiasmo, per celare
l'ansia.
«No, almeno che io sappia. Il terremoto che ha colpito Parigi
era di magnitudo 8.9, ha raso al suolo la maggioranza della
città e deviato il percorso della Senna. Poche ore dopo un
altro terremoto, sempre di magnitudo 8.9, ha distrutto gran parte della
periferia sud-ovest di Londra», spiegò Drew, con
voce fredda, da analista. La maschera che gli piaceva indossare quando
il suo lavoro allo S.H.I.E.L.D. lo metteva di fronte ad eventi che
riteneva inconcepibili.
Ivy deglutì a vuoto. Aveva voluto sentire la
verità, e ne avrebbe portato il peso, ma questo non la
rendeva meno terribile.
Khalida le aveva insegnato che la maggioranza delle persone che
subiscono un grave trauma si possono dividere in due categorie. Chi
esorcizza i propri ricordi analizzandoli e non reprimendoli,
inserendoli in contesti freddi e scientifici, oppure chi rimuove
l'esperienza, seppellendola nel subconscio.
Ivy entrava decisamente nella prima categoria.
Già prima di vivere con Khalida, Ivy era diventata una
grande esperta di terremoti.
Ricordava con precisione tutto quello che era accaduto quando era una
bambina. Aveva passato lunghe ore a leggere libri che aveva rubato
dalla biblioteca o da qualche villa nei dintorni del suo paese, nella
speranza di capire ciò che era successo.
La terra, e la sua potenza sotterranea, era il suo nemico, e lei lo
conosceva meglio di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non ha alcun senso», rifletté la
ragazza, picchettandosi il mento con l'indice. «Quella zona
dell'Europa non è a rischio sismico, in più
è staticamente impossibile che due terremoti così
potenti si verifichino in un lasso di tempo tanto breve».
Drew la guardò come se lei avesse appena parlato in greco
antico.
«Che c'è? Non sei l'unico che sa leggere un libro,
sai?», sbottò lei scherzosamente.
Drew arrossì. «Già, ma credevo che
avessi gusti diversi», si giustificò, afferrando
il libricino di leggende nordiche che Jane aveva prestato ad Ivy e
sventolandolo davanti al naso della ragazza.
Lei sbuffò. «È studio anche questo,
anche se di altro tipo», si difese Ivy, stringendosi nelle
spalle. «Comunque è affascinante vedere come le
antiche popolazioni spiegavano i fenomeni naturali attraverso la
mitologia...», una luce si accese improvvisamente nella mente
di Ivy, una rivelazione repentina come un fulmine.
In preda alla frenesia, la giovane scattò, scalciando il
lenzuolo e cercando di alzarsi. Le coperte le si attorcigliarono alle
lunghe gambe, facendola inciampare e finire diretta tra le braccia di
Drew, che divenne di un'inedita sfumatura color cremisi.
«Che diavolo fai?», balbettò il giovane
agente, cercando di rimettere Ivy sulle sue gambe, ma lei era talmente
agitata che nemmeno se ne rendeva conto.
«Chiama Coulson! So cosa sta succedendo!»,
esclamò lei.
«Cosa?».
Ivy si leccò le labbra, negli occhi aveva una luce vivace,
ma preoccupata.
«Qualsiasi cosa stia accadendo ad Asgard, sta succedendo
anche qui».
--------------------------------------------
Facciamo un giochino.
Nel capitolo ci sono moltissime citazioni, più o meno
esplicite.
Chi ne indovina per primo/a almeno due, avrà un premio.
Per chi è scrittrice, potrebbe essere un banner per la
propria storia, per chi invece non lo è, oppure sa farsi i
banner da solo XD, sarà una OS su un momento non raccontato
di Similitudini che la persona in questione desidera approfondire.
Spero apprezziate l'iniziativa.
Confido che il prossimo capitolo arrivi in meno tempo di questo, ma non
posso assicurarvelo, mi dispiace ;-(.
A presto,
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 13 - Come una promessa ***
Buonaseraaaaaa,
So che avevo promesso aggiornamenti più frequenti ma la vita
è piena di impegni, e purtroppo la scrittura è
solo un hobby per me e non posso dedicarci troppo tempo.
Detto questo, vi lascio al capitolo, spero vi piaccia abbastanza da
perdonarmi la lunga assenza. ;)
La colonna sonora per questo capitolo e il prossimo sono due canzoni
che adoro e ho ascoltato molto, durante la scrittura di questo
capitolo: Powerless,
Linkin Park e I'm Your
Sacrifice di Ozark Henry.
Buona lettura!
Il
fumo della distruzione di Asgard aleggiava come uno spettro nella
piccola stanza, incombendo sulle teste dei presenti.
Passandosi una mano sul volto, ancora rigato di cenere, Thor prese un
grosso respiro.
«Qual'è la situazione, generale Tyr?»,
domandò.
Tyr era uno dei generali più esperti dell'esercito di
Asgard. Aveva ricevuto il suo grado durante la grande guerra contro
Jotun e in molte battaglie successive aveva dato prova di essere un
fine stratega, oltre che un valente guerriero. Anche se la lunga barba
grigia tradiva la sua età, il corpo era massiccio e forte
tanto quanto quello di asgardiani molto più giovani di lui.
Il generale valutò con attenzione la risposta da dare al
Principe, scambiando un'occhiata rapida con il Padre degli Dei, seduto
a capotavola. «L'esercito nemico si è ritirato
oltre i confini della città, nelle pianure. Per il momento,
sembrano in attesa. Una guarnigione delle mie migliori spie tiene
d'occhio la situazione».
«A quanto ammontano le nostre perdite?».
Tyr incrociò le braccia al petto, evidenziando i bicipiti
muscolosi lasciati scoperti dall'armatura. «Difficile fare
una stima precisa. Prima dell'attacco le nostre forze contavano circa
diecimila unità. Ora non superano le ottomila».
«Potete contare su tutti gli uomini della mia
scorta», intervenne la sovrana di Hel che, come voleva la
tradizione della sua gente, portava lo stesso nome del suo pianeta.
«Sono appena un centinaio, ma ben addestrati».
«Tutto l'aiuto è ben accetto»,
annuì il generale Tyr.
Probabilmente timorosi di apparire codardi, i sovrani di Alfheim,
Muspelheim e Vanaheim offrirono a loro volta i servigi della propria
scorta.
Loki, ancora in armatura, assisteva al consiglio di guerra con aria
annoiata, appoggiato con la schiena alla parete subito alle spalle di
Thor. Quando la regina di Vanaheim, Freya, ebbe terminato la sua
prolissa offerta di aiuto, non riuscì a trattenere una lieve
risata.
Tutti i presenti, si voltarono verso di lui, molti di loro con aria
oltraggiata, come a chiedere spiegazioni.
Odino si raddrizzò sul suo scranno.
Il Padre degli Dei all'inizio dell'attacco aveva avuto una nuova crisi.
I guaritori sembravano molto incerti sulla sua sorte e gli avevano
raccomandato di ritirarsi immediatamente nel Sonno, per preservare
l'equilibrio mentale, che sembrava sempre più labile.
Con uno dei suoi fedeli corvi appollaiato sulla cima di Gungnir, Odino
era visibilmente provato, ma aveva preteso comunque di partecipare a
quella riunione d'emergenza, nonostante Lady Amora avesse sottolineato
il fatto che Thor fosse perfettamente in grado di gestire tutto da solo.
«Hai qualcosa da dire, Loki?», lo
apostrofò il sovrano di Asgard, osservandolo con l'unico
occhio.
Nonostante il tempo trascorso, il rancore di Loki verso chi per anni si
era definito suo padre, non era affatto diminuito. I giorni, le
settimane, i mesi e gli anni lo avevano esacerbato e logorato,
rendendolo sempre più simile all'odio più
profondo e distruttivo.
Nelle sue gesta compiute per conto di Thanos c'era ancora
un'ingenuità dettata dal desiderio di compiacere Odino, di
mostrarsi degno di essere suo figlio.
Ormai, di quei sentimenti era rimasta solo la cenere.
La morte di Frigga aveva spazzato via ogni tipo di legame che lui
poteva avere con Asgard, o con quella che ancora aveva l'ardire di
definirsi la sua famiglia.
«Se hai suggerimenti, saranno bene accetti»,
intervenne a sorpresa Amora, spostando lo sguardo tra Odino e Loki.
«Tu conosci bene il nostro nemico».
«Lui è
nostro nemico», sibilò Hel.
«Ha attaccato Midgard sotto il comando di Thanos, come
facciamo ad essere sicuri che non è ancora suo
alleato?».
«Non potete», annuì Loki, scoprendo i
denti in un sorriso feroce. «Eppure non è di me
che dovete preoccuparvi. Avete poco più di ottomila uomini e
là fuori c'è un esercito di almeno quindicimila
Elfi pronti a massacrare ogni uomo, donna e bambino di Asgard, senza
contare che Thanos in persona potrebbe facilmente annientare tutta la
città».
Le parole di Loki riecheggiarono a lungo nella stanza, rendendo
l'atmosfera più pesante di quanto già non fosse.
«Perché non lo fa?», chiese
all'improvviso Thor, osservando in volto ognuno dei presenti,
soffermandosi più a lungo su Loki.
«Cosa intendi?», chiese Surtur, Re di Muspelheim.
«Thanos avrebbe potuto facilmente annientarci, eppure si
è limitato a ferirci, senza ucciderci. Cosa vuole veramente?
Se capiamo questo, sapremo come fermarlo», spiegò
Thor.
«Non avete torto, Principe Thor. Ma come potremmo ottenere
un'informazione del genere?», intervenne Hel.
«Malekith comanda l'esercito degli Elfi. Basterebbe
catturarlo e torturarlo per farci dire ciò che sa. Uno dei
miei soldati potrebbe facilmente infiltrarsi nell'accampamento
nemico», propose Surtur, chiudendo il pugno grosso quando la
testa di Thor.
Loki scosse lentamente la testa, staccandosi dalla parete.
«Thanos non mette nessuno a parte dei suoi piani. Qualunque
cosa Malekith pensi di sapere sarà solo una piccola goccia
di verità, in un mare di promesse vuote».
Odino fissò a lungo il volto di Loki.
«Perché Malekith ha preso l'umana?»,
domandò all'improvviso.
Loki sollevò le sopracciglia, ostentando sorpresa. Rimase
muto, anche se Thor, accanto a lui, notò una lieve
contrazione della guancia, come se avesse trattenuto una smorfia.
«Forse credeva che la sua strana arma fosse il
Tesseract», azzardò Freya, non troppo convinta.
«Gli Elfi Oscuri non brillano per il loro fine intelletto, ma
non sono così stupidi», replicò Amora e
Tyr annuì, a darle ragione.
«Volevano lei», intervenne Heimdall per la prima
volta. «Malekith l'ha guardata fisso, ed è andato
a colpo sicuro. Non cercavano un semplice ostaggio, ma
Khalida».
Odino contrasse il volto in una breve smorfia di dolore, che Amora
immediatamente notò. La dea fece per avvicinarsi ma il Padre
degli Dei la freddò con un'occhiata rabbiosa.
«Qualunque fosse lo scopo, la donna è irrilevante
per noi. Thanos ha fatto male i suoi calcoli», disse, come a
chiudere il discorso. «Ecco cosa faremo: ci raggrupperemo nel
palazzo reale e li aspetteremo. Siamo meno di loro, ma i nostri soldati
sono ben addestrati e possediamo armi più avanzate. Se
restiamo uniti, possiamo sconfiggerli con una buona
strategia».
Thor scambiò uno sguardo perplesso con Loki, ma l'altro non
colse, sembrava essersi completamente estraniato dalla conversazione.
«Padre, radunandoci in un unico posto saremo in trappola. Se
ci attaccassero dall'alto con le loro navi saremo completamente
vulnerabili. L'attacco di oggi ha danneggiato la maggioranza dei nostri
sistemi di difesa», obiettò il Principe.
«Anche se dovessimo avere la meglio, sacrificheremmo
inutilmente centinaia di vite».
«Ogni goccia di sangue asgardiano versata con onore
sarà ricordata dovutamente. Ma non si vince una guerra senza
sacrificio», ribatté risoluto Odino, con uno
strano luccichio folle nell'unico occhio.
Thor strinse i pugni. Aveva quasi perso Sif e Fandral nel corso del
primo attacco. Mai, nemmeno nella sua folle incoscienza di pochi anni
prima, aveva pensato che le loro vite fossero sacrificabili.
«Le guerre non si vincono nemmeno nascondendosi come
conigli», si lasciò sfuggire il Principe.
Il silenzio si fece di piombo.
Odino scoprì i denti. «La guerra è
fatta per i Re, figlio. Ed è evidente che tu ancora non lo
sei».
Thor incassò l'offesa con dignità, stringendo i
pugni lungo i fianchi. «Il dolore per la morte della Regina
offusca il vostro giudizio e...», iniziò.
«Taci!», tuonò Odino, scattando
improvvisamente in piedi. Il volto già pallido del Padre
degli Dei divenne cinereo, ed Amora corse a sostenerlo, afferrandolo
per un braccio.
L'unico occhio di Odino fiammeggiò verso Thor.
«Non sei più il benvenuto in questo
consiglio».
Ferito ed umiliato, Thor fece per aprire la bocca, ma un'occhiata di
Amora lo fece desistere.
L'Incantatrice era dalla sua parte, ne era certo, ed anche Heimdall lo
stimava. La cosa lo confortò un poco e gli permise di
mantenere la calma.
Dare in escandescenze non l'avrebbe aiutato, in più non
voleva sminuirsi ulteriormente agli occhi degli altri sovrani.
Raddrizzò le spalle e si voltò, congedandosi dai
presenti solo con un cenno del capo.
Un secondo dopo, Loki si incamminò dietro di lui, in
silenzio.
Dopo qualche minuto, Thor cercò gli occhi del fratello.
«Perché mi hai seguito?».
Loki sollevò la bocca in un lieve sorriso. «Stai
tramando qualcosa», osservò.
Smascherato, Thor ricambiò il sorriso di Loki.
«È bello sapere che certe cose non cambiano
mai», disse, come tra sé e sé.
Loki strinse gli occhi. «Non ti illudere che sarà
come una volta, troppo è cambiato. Non mi trattare come un
tuo alleato, non lo sono».
Thor non si lasciò toccare dal rancore nella voce del Dio
degli Inganni, ormai anche quello gli era familiare. «In
questo lo sarai», affermò, con forza.
«Andrò a cercare Khalida».
Loki aspettò qualche secondo, prima di scoppiare in una
risata fredda ed aspra. «E perché mai? Mi pareva
che avessi già la tua umana. Una non ti basta
più?».
Thor incrociò le braccia al petto. «Non si tratta
di questo, e lo sai. Le ho fatto una promessa, ed intendo
mantenerla».
Loki non abbandonò il sorriso canzonatorio. «Non
dovresti fare promesse che non sei in grado di mantenere»,
chiosò. «Non saresti in grado di trovarla, in ogni
modo. Sprecheresti solo tempo prezioso».
«Tu puoi, allo stesso modo in cui lei ha potuto trovare
te».
Loki strinse gli occhi. «Presumo che tu abbia
ragione», fece, con fare misterioso.
«Potremmo non essere fratelli, Loki. Ma io ti conosco. So che
vuoi trovarla», insisté Thor.
Loki accennò un breve sorriso, esitante, che eruppe in una
nuova risata, più sguaiata e amara. «Se la
trovassi, credo che la tua promessa verrebbe meno comunque»,
ammise, candidamente.
«Non me la dai a bere, fratello».
La maschera di Loki cadde, e la sua voce si affilò.
«Non c'è nulla che tu possa fare Thor. Lascia che
me ne occupi io». Benché la frase fosse
rassicurante, nelle intenzioni, qualcosa nello sguardo di Loki
turbò Thor. «C'è bisogno di te qui, ad
Asgard», aggiunse Loki, a voce bassa.
I due si fronteggiarono per qualche secondo, gli occhi azzurri del Dio
del Tuono tentarono invano di cogliere i segreti celati in quelli
immobili di Loki.
«Asgard ha bisogno anche di te», disse infine Thor.
Loki scosse la testa, con fare demoralizzato. «Ancora non
l'hai capito, vero?».
«Capito cosa?».
«C'è un traditore ad Asgard e, tanto per chiarire,
non sono io», ammiccò il Dio degli Inganni.
Thor sbatté le palpebre. «Un traditore? E da cosa
lo deduci?».
«È il modo di fare di Thanos. Prima di
distruggere, mira a creare divisioni, in modo che il suo nemico si
annienti in parte da solo», spiegò Loki.
Thor annuì in modo assente, improvvisamente concentrato. Poi
finalmente parve ricollegare le fila del ragionamento del fratello.
«Lo ha fatto anche sulla Terra, vero?».
«Ero nella testa di Selvig molto prima di attaccare la Terra.
Ho raccolto informazioni, minato i vostri legami, previsto in che modo
avrei potuto dividervi. Solo quando ho ritenuto di essere pronto, ho
fatto la mia mossa», spiegò Loki, in modo chiaro e
freddo. «Sono certo che Thanos abbia agito nello stesso modo
anche ora».
«E cosa ti fa essere tanto sicuro?», lo
incalzò Thor.
Loki aggrottò le sopracciglia e una vaga espressione di
rabbia corse sui suoi lineamenti. «Sapevano quando si sarebbe
svolto il funerale di Frigga, il momento preciso in cui saremmo stati
più vulnerabili. Sapevano chi era Khalida, come trovarla e
cosa avrebbe scatenato il suo rapimento», la voce di Loki
salì di un tono sull'ultima frase, ad evidenziare il fatto
che stava mentendo, ma Thor non ci fece troppo caso.
«Stai dicendo che Thanos vuole che tu vada a
cercarla?».
Loki sollevò gli occhi al cielo, con fare esasperato.
«Sto dicendo che Thanos vuole che tu vada a cercarla. Non so
se l'hai notato, ma tuo padre non è al massimo delle sue
facoltà mentali al momento. Alla sua guida l'esercito di
Asgard verrebbe spazzato via».
Thor osservò il fratello. Aveva indossato nuovamente l'elmo,
che brillava debolmente nella luce del giorno morente. «Mi
stai chiedendo di fidarmi di te, Loki», precisò.
Loki sorrise, ammiccando lievemente. Un lieve bagliore verde
serpeggiò lungo il bordo del mantello, agitato appena dalla
brezza serale. «Non ho bisogno del tuo permesso,
Thor», affermò, un minuto prima di svanire in un
baluginio di smeraldo.
Thor rimase con le mani sospese a mezz'aria, poi si lasciò
andare ad un gemito di frustrazione, scagliando un pugno a vuoto. Poi
scoppiò a ridere, debolmente.
«In ogni modo, sappi che mi fido, fratello»,
mormorò all'aria, sapendo che nessuno poteva sentirlo.
Il vento sibilava forte, spingendo tra le fessure polvere, cenere,
sabbia e poche scintille di luce velenosa.
Khalida aveva lacerato ciò che restava del suo abito per
tentare di fermare gli spifferi feroci, improvvisando delle bende
intorno alla bocca, tentando di ostruire le sottili crepe nelle pareti.
Era stato inutile, la polvere era troppo sottile e trapassava ogni
ostacolo.
Quel pulviscolo irritante le faceva lacrimare gli occhi, infiammando la
gola ad ogni respiro. Sulla pelle ambrata delle gambe completamente
nude, fiorivano numerose piaghe, del diametro di una moneta da un
dollaro. All'inizio erano simili ad un lieve arrossamento, ma ben
presto la pelle si era come consumata, corrosa, esponendo il derma vivo
e pulsante.
Come tortura, era geniale, doveva ammetterlo.
Veloce, dolorosa, silenziosa, pressante.
Esasperante.
La stanzetta in cui era confinata doveva essere posizionata a diversi
metri d'altitudine, altrimenti il vento non avrebbe potuto essere
così forte; buia, a parte qualche sprazzo di debole luce
notturna, e completamente spoglia.
Grazie al tatto aveva intuito che le pareti erano di un metallo ruvido
e poroso, caldo.
L'unica cosa terrestre cui poteva paragonarlo era la roccia vulcanica,
ma era un'affinità forzata, neanche troppo calzante.
Ancora non aveva visto anima viva, dopo essersi risvegliata.
La tortura dei suoi carcerieri era già iniziata.
Essere un'esperta del campo, tuttavia, non l'aiutava affatto ad
affrontare ciò che le stava capitando.
Gli Elfi avevano cominciato con le forme più violente e
logoranti di tortura: il dolore costante, dovuto a quella polvere
velenosa che continuava a posarsi in continuazione su ogni centimetro
della sua pelle, e la privazione del sonno, per colpa del sibilo
assordante del vento.
Dovevano avere molta fretta.
Erano agguerriti, disperati, crudeli.
Non aveva molto tempo per pianificare una fuga, o anche solo una
strategia di resistenza.
Innanzitutto non aveva idea di cosa volessero da lei.
Thanos aveva dichiarato di volere Loki, ma la donna dubitava che il
Titano mirasse solo a quello. Da ciò che sapevano di lui,
Thanos era una personalità manipolatrice, che assoggettava
menti più fragili per costringerle a seguire il suo volere,
qualunque fosse.
Il suo scopo non poteva essere la semplice vendetta, anzi, avrebbe
anche potuto non interessargli più di tanto.
Una fitta di dolore più acuto la costrinse a gemere, tra i
denti stretti.
Qualcuno, da qualche parte, la stava osservando, se lo sentiva,
valutando il momento opportuno per spezzarla, e lei non era
intenzionata a dargli alcuna soddisfazione.
Ma era davvero troppo
difficile.
Khalida avrebbe voluto sentirsi forte, ma era terrorizzata, come mai
nella sua vita.
Quel luogo, alieno nel senso più pieno del termine, le
toglieva il raziocinio e minava la sua stabilità emotiva.
Non aveva Match con sé, e l'astinenza stava già
reclamando il suo prezzo, togliendole le poche forze che il dolore le
lasciava.
Si era scarnificata le mani e strappata le unghie, cercando di ricavare
una qualche arma dalle pareti, e poi si era graffiata le braccia,
tentando di sovrastare il prurito delle ustioni e la nausea che la
mancanza di Match le causava.
Era sull'orlo dell'incoscienza.
Tra le palpebre socchiuse, allucinazioni danzavano nella sua mente.
Vedeva Ivy, nelle mani dello S.H.I.E.L.D., diventare ciò che
anche lei era stata, uno strumento di morte, un burattino nella mani di
un'organizzazione più grande di lei. Una semplice macchina,
che quando avrebbe smesso di funzionare a dovere, sarebbe stata
semplicemente sostituita.
Vide il volto solare di Ivy scomparire, fino a diventare
indistinguibile da quello di sé stessa, per poi confondersi
e mescolarsi a quello di Manaar.
Le lacrime le salirono agli occhi, seguite da un nuovo gemito che le
graffiò la gola, insieme a quella polvere urticante.
Il pianto fu un sollievo e uno strazio al contempo.
Khalida, che per anni era stata padrona di ogni sua singola emozione,
adesso si sentiva di nuovo una bambina orfana, gettata in un mondo di
cui non conosceva le regole. L'unica differenza era che questa volta
non sarebbe mai arrivato nessun reclutatore dell'esercito a salvarla da
quel buco nero.
Le sue forze erano palesemente insufficienti per tirarla fuori da
quella situazione.
Le mancava perfino il coraggio per arrendersi, per abbracciare l'unica
via d'uscita che poteva avere. La Morte non era mai stata sua amica,
benché avesse lavorato al suo fianco per anni, e non le
avrebbe permesso di vincere.
Avrebbe sopportato qualsiasi cosa, pur di non darle presa su di lei.
Tornare da Ivy, mantenere quella promessa, era la motivazione
più forte che trovava per vivere.
E avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di riuscirci.
Non c'era niente di più importante, niente che non potesse
essere sacrificato.
Passi pesanti risvegliarono Khalida dal torpore allucinatorio in cui si
era lasciata scivolare.
Strisciando, si mise seduta, raccogliendosi in un angolo per apparire
il più indifesa possibile.
Se i suoi carcerieri l'avessero sottovalutata, avrebbe avuto
più chance di impadronirsi di un'arma, e quindi di
difendersi, se non addirittura di fuggire.
I passi proseguirono, e Khalida capì che provenivano da
sopra di lei.
Sferragliando, il soffitto si aprì, dividendosi
longitudinalmente.
Le pareti di fronte a Khalida tremarono appena, poi si deformarono,
fino a comporre una scala larga
circa tre metri, che si fermava a poche decine di centimetri dai suoi
piedi.
Istintivamente, la donna sollevò lo sguardo, cercando
l'inizio di quella salita, oltre a possibili indizi su dove si trovava.
Il buio sopra di lei era pressoché assoluto.
Grazie all'udito riuscì ad intuire che ci fossero almeno
cinque Elfi in attesa.
Il brusio della lingua aspra degli Elfi si azzittì
improvvisamente, per poi risollevarsi in un grido assordante.
Le pareti tremarono, mentre Malekith, con calma glaciale, scendeva i
gradini.
Immediatamente dietro di lui veniva una creatura simile al Kriss che
Khalida aveva affrontato molti anni prima. Indossava un elmo dorato,
che ne celava in parte il volto deforme, sulle spalle portava una sorta
di mantello, dello stesso azzurro malato della pelle squamata
dell'essere. Qualcosa nella memoria della donna sfarfallò, e
la parola Chitauro le salì alla mente.
Se uno di quegli esseri era lì, significava che anche Thanos
stesso non era lontano.
Khalida cercò di sollevare le spalle, per apparire il
più vigile possibile, anche se sentiva la testa piena di
cotone. «Il tuo padrone è così pigro da
non avere nemmeno il tempo di farmi visita di persona?»,
gracchiò, e la sua voce le suonò estranea come se
fosse uscita dalle labbra di un Elfo Oscuro.
Malekith, impassibile nel volto, gettò uno sguardo al
Chitauro dietro di lui, il quale si fece avanti silenziosamente.
«Non ho bisogno di essere qui di persona, bimba»,
dichiarò la creatura, fermandosi di fronte a Khalida.
La voce che scaturì dalle labbra del Chitauro era troppo
potente, troppo antica e troppo spaventosa perché provenisse
esclusivamente da lui.
Un brivido di terrore le percorse il corpo, fino alla punta della dita,
che contrasse sui pochi brandelli di stoffa che ancora le coprivano le
gambe.
«Cosa vuoi da me?», domandò, deglutendo
la bile che le era salita tra i denti.
Malekith, ad un gesto impercettibile del Chitauro, si
avvicinò così tanto che se solo Khalida avrebbe
voluto, avrebbe potuto toccarlo con la punta dei piedi.
Gli occhi privi di colore dell'Elfo si accesero per un'istante, un
baluginio impercettibile, simile al riflesso della luce negli occhi di
un gatto.
Come nella Camera del Bifrost, un terrore senza nome salì
nella membra di Khalida, mozzandole il fiato e facendole fischiare le
orecchie.
A livello clinico, era conscia di essere nel bel mezzo di un vero e
proprio attacco di panico; ma il saperlo non lo rendeva meno
spaventoso.
Per qualche motivo, non era in grado di staccare lo sguardo dagli occhi
di ghiaccio di Malekith.
«Interessante vero?», la sorprese la voce di
Thanos, attraverso la bocca del Chitauro. «La tua razza
è così sensibile, fragile... vittima della vostra
mente debole ed infantile».
Ad un nuovo cenno del Chitauro, Malekith chiuse gli occhi, spezzando
l'incantesimo di terrore in cui aveva precipitato Khalida.
La donna respirò affannosamente, tenendosi il petto con
entrambe le mani, scacciando le lacrime con un rapido battito di
palpebre. Era esausta e si domandava come fosse possibile che, con una
semplice occhiata, quell'essere fosse in grado di spogliarla di ogni
forma di resistenza e volontà. Pensava di aver provato ogni
tipo di sentimento, ma niente nella sua vita l'aveva resa
così inerme.
«Cosa vuoi?», ripeté nuovamente Khalida,
in un soffio sfinito.
Capì subito le ragioni di quell'ulteriore tortura.
Nella sua precedente domanda, c'era ancora un barlume di forza, di
sfida.
Ora era completamente svuotata.
«Il Tesseract, e il suo Portatore», espose
semplicemente il Chitauro. «Conducilo a me, e
risparmierò ciò che rimane della tua
vita».
Khalida fissò gli occhi vacui della creatura, cercandovi un
riflesso dell'essere con cui stava realmente parlando, ma le iridi
erano opache e lattiginose, inespressive.
Uno specchio cieco, aperto su un abisso incomprensibile.
«Loki non verrà mai a cercarmi»,
protestò Khalida. «Per lui non valgo
niente».
Un sospiro roco filtrò attraverso la griglia dell'elmo, una
risata raccapricciante. «Conosco il cuore dell'asgardiano
molto meglio di te, umana».
«E se mi rifiutassi?», mormorò Khalida.
Un ultimo, necessario, moto di ribellione.
Malekith sollevò il braccio, pronto a colpirla, ma il
Chitauro afferrò prontamente il polso dell'Elfo, bloccando a
metà il gesto.
«Verrai condotta al mio cospetto, bimba. E allora non ci
sarà nulla di segreto», iniziò il
Chitauro, abbassandosi all'altezza del viso di Khalida. Il suo fiato
era freddo e non aveva odore, se non un lievissimo sentore metallico.
«Ogni singola parola che tu abbia mai udito, pronunciato, o
anche solo pensato... tutto diventerà di mia
proprietà, compresa ogni persona che tu abbia mai
amato...», la mandibola del Chitauro schioccò.
«...compreso chi stai tentando di proteggere».
Promessa e minaccia erano la stessa faccia della medaglia, in quelle
parole fredde e taglienti come roccia stellare.
Khalida seppe immediatamente di non aver alcuna possibilità
di scelta.
Proteggere i suoi segreti era più importante di qualsiasi
cosa.
Perfino della sua vita.
Coulson era poco convinto a sua volta di ciò che aveva
appena detto, ma lo stesso si stupì degli sguardi perplessi
davanti a lui.
Diavolo, in quella stanza c'erano le menti più brillanti
della Terra, e nessuno di loro riusciva a stare dietro alle teorie
fantasiose di una ragazzina di sedici anni!
Non c'era più religione.
«Cosa stai cercando di dire, Phil?», chiese Steve
Rogers, chinandosi in avanti sul tavolo.
«Io niente. Sto provando a farvi capire quello che Ivy crede
di aver capito», spiegò l'agente, per l'ennesima
volta.
Selvig in piedi accanto ad un pannello interattivo spento, insieme a
Fitz-Simmons e Jane Foster, si grattò la testa con fare
pensieroso.
«La ragazza ipotizza che possa esserci un collegamento
diretto tra la dimensione di Asgard e la nostra?», fece,
cercando con gli occhi quelli di Jane.
«È possibile?», li incalzò
Fury, dal centro della stanza.
Fitz alzò la mano, come se fosse in un aula e lui dovesse
dar prova di essere lo studente migliore. Fury alzò l'unico
occhio al cielo, sfibrato dalla situazione e da quello che non capiva,
cui di conseguenza non sapeva reagire.
«Parli Agente Fitz».
Il ragazzo prese un fiato profondo. «Teoricamente
è possibile collegare due oggetti che si trovano in due
realtà diverse a livello molecolare se la materia degli
oggetti appartiene ad entrambe le realtà e...».
«Frena pappagallino», lo interruppe Stark.
«Qui non stiamo parlando di universi paralleli. Asgard
è un altro pianeta».
«Non è corretto, signor Stark»,
intervenne Selvig, e Jane annuì a sua volta.
«Studiando le interazioni tra la Terra ed Asgard abbiamo
compreso che Asgard non è semplicemente in un'altra
Galassia, ma in una vera e propria Dimensione diversa dalla nostra,
separata e con leggi differenti. Per questo è
così difficile riuscire a comunicare con loro da qui.
Durante gli studi sul Tesseract siamo riusciti a capire che il ponte di
Einstein-Rosen che l'energia del manufatto riesce a creare non
è solo un portale in grado di farci viaggiare in maniera
spaziale, ma anche in modo dimensionale e temporale».
Intercettando lo sguardo perplesso di Rogers e Barton, Jane si
affrettò ad intervenire. «Il portale creato dal
Tesseract ci permette non solo di spostarci da un punto all'altro della
Terra, ma anche in un tempo diverso, nella stessa collocazione
geografica, oppure in una dimensione completamente nuova,
aliena».
Tony Stark annuì brevemente, accarezzandosi il pizzetto.
«Quindi teoricamente potrebbe esistere una correlazione
quantica tra il nostro mondo ed Asgard».
Banner scosse la testa. «È del tutto ipotetico.
Non abbiamo mai avuto prove dell'esistenza di una simile
connessione».
Il volto pensieroso di Jane si accese. «Invece sì!
Quando Thor distrusse il Bifrost durante la battaglia con Loki, nel
deserto del New Mexico ci furono degli eventi atmosferici
inspiegabili», ricordò.
Il volto di Selvig si adombrò. «Se la distruzione
del Bifrost aveva provocato solo qualche fulmine... cosa può
essere accaduto di così grave da aver scatenato una simile
distruzione qui sulla Terra?», ragionò, tra
sé e sé.
«Vi dispiace parlare la nostra lingua, prego?»,
sbottò Occhio di Falco.
«Mai stato più d'accordo», intervenne
Captain America.
«Significa che quello che accade ad Asgard può
avere dirette conseguenze su di noi, sulla nostra
dimensione», spiegò Simmons.
«In poche parole, se Odino scoreggia sul suo trono, qui
potrebbe esserci un alluvione?», chiese Barton, sogghignando.
Selvig annuì. «Non avrei usato queste parole
esatte, però sì».
Coulson, che stava seguendo la conversazione solo con un orecchio, nel
frattempo teneva d'occhio le ombre sottili che vedeva allungarsi da
sotto la porta di vetro opaco.
Non si stupiva affatto, anche se in modo molto diverso, entrambi erano
due ribelli, però quella situazione poteva metterli nei guai
sul serio, se non interveniva subito.
«Mi perdoni Direttore», si scusò,
avvicinandosi con due lunghi passi alla porta a vetri. Con un gesto
secco, la spalancò.
Ivy e Drew precipitarono a terra, l'uno sull'altro, in modo scomposto e
comico.
Solo Stark ebbe il coraggio di fare una battuta di spirito.
«Bè, Nick. Almeno sei sicuro che ha la stoffa
della spia, adesso», scherzò, indicando Ivy che
era, se possibile, ancora più scarmigliata del solito,
mentre tentava in modo goffo di rialzarsi senza pestare nessuno degli
arti di Drew. L'agente era diventato paonazzo, così tanto
che le efelidi evidenti sul suo viso erano praticamente scomparse.
«Mi dispiace noi... io...», balbettò,
tentando di giustificarsi.
«Lei cosa?», lo incalzò Coulson,
fissandolo negli occhi con espressione seria.
«È colpa mia!», intervenne Ivy,
rassettandosi in qualche modo la maglietta e i capelli.
«È stata una mia idea»,
ripeté, guardando il Direttore Fury.
L'uomo si massaggiò la radice del naso, con fare esasperato.
Forse non era solo Asgard ad essere in una dimensione parallela, ma
anche lui ci era capitato dentro per sbaglio, quella mattina, alzandosi
dalla parte sbagliata della branda.
«Signorina Rushman, ora che è qui, tanto vale che
ci esponga lei, la sua teoria», si arrese il Direttore,
facendo un cenno a Coulson che prontamente richiuse la porta. Drew si
ricompose, e si nascose in un angolo. Nonostante l'imbarazzo, e la
lavata di capo che lo aspettava da parte di Coulson, era emozionato di
poter assistere ad una riunione dei Vendicatori.
Ivy d'altro canto, ritrovandosi al centro dell'attenzione, si
schiarì la voce, cercando gli occhi di Jane, che le fece un
piccolissimo cenno d'incoraggiamento.
«L'idea mi è venuta dal tuo libro,
Jane», iniziò. «Una delle leggende
norrene più conosciute narra che per espiare i suoi crimini
Loki venne incatenato ad una roccia, costretto a soffrire in eterno per
il veleno di una serpe che gli gocciolava senza sosta sul volto. I suoi
spasmi di dolore, nella leggenda, sono identificati come la causa dei
terremoti, qui sulla terra».
«Bè, se questo è vero, mi dispiace per
Parigi, ma sono felice che quel bastardo stia soffrendo come
merita», la interruppe Clint, incrociando le braccia al petto.
«Non credo che la leggenda sia così
fedele alla realtà», commentò Ivy.
«Però penso che ciò che sta accadendo
ad Asgard stia causando tutti questi terremoti».
«E che motivazione hai per pensarla
così?», la stuzzicò Stark.
Ivy sollevò il mento, e improvvisamente tutti i Vendicatori
ebbero un flash di Khalida che faceva lo stesso identico gesto, nella
stessa stanza. «Gli Dei norreni esistono, anche se non sono
Dei ma alieni. Ormai mi pare evidente che tutte le leggende hanno un
fondo di verità. Anche questa deve averlo».
Fury fece un passo avanti, scrutando con sguardo indagatore Selvig,
Jane, Banner e Stark. «Ritenete che possa avere
ragione?», domandò.
«I fatti sono a favore della sua teoria», rispose
Jane. «E anche il mio istinto. Thor tentò di
spiegarmi questo concetto descrivendomi Ygdrasill, l'Albero del Mondo,
come qualcosa che collega tutti i nostri mondi. Non si può
tagliare un ramo, senza che l'intero albero ne soffra».
Selvig annuì. «Se Asgard dovesse essere distrutta,
per la Terra le conseguenze sarebbero devastanti».
Fury annuì brevemente. «Dobbiam...»,
iniziò, ma la voce morì, inghiottita dal fragore
metallico e meccanico dell'Elivelivolo che sbandava pericolosamente,
inclinandosi di quarantacinque gradi verso destra e ritornando di colpo
nella posizione di partenza.
Una sirena stridula fece tremare i vetri, mentre le luci si abbassavano
e tutti i reparti del primo livello entravano in modalità
emergenza.
«Che diavolo...», sbottò Stark, tentando
di uscire dal groviglio di braccia e gambe in cui era intrappolato. Si
sentiva come se qualcuno l'avesse appena tirato fuori da uno shaker.
«Togli quella mano da lì, Stark, prima che te la
stacchi di netto con una freccia esplosiva!»,
sbraitò Clint, sgomitando tra Steve e Bruce.
«Quella non è la mia mano», si difese
Tony, sollevando entrambi i palmi.
«Clint, toglimi il sedere dalla faccia»,
ordinò Natasha, con voce perentoria, anche se soffocata.
Occhio di Falco, paonazzo in volto, si affrettò ad alzarsi e
a liberare la Vedova Nera.
La stanza era un marasma di gente che si lamentava sotto voce e, vista
dal di fuori, la scena doveva sembrare abbastanza esilarante.
Fury, che imprecava sottovoce ma sembrava integro, stava porgendo una
mano a Jane, che si teneva un braccio, mordendosi le labbra. Fitz e
Simmons, inseparabili anche nel farsi male, avevano sbattuto la testa
l'uno contro l'altra e adesso si tenevano le tempie a vicenda, per
controllare di non essere feriti troppo gravemente.
Selvig era semplicemente finito a gambe all'aria, insieme a Coulson.
Entrambi illesi, se non si considerava il largo strappo che si apriva
nella giacca elegante di Phil.
Ivy era precipitata tra Selvig e Fitz-Simmons, picchiando forte la
testa contro lo schermo a parete. Strofinandosi la fronte, la ragazza
si considerò fortunata, almeno aveva la testa abbastanza
dura per rompere una TV da migliaia di dollari senza fracassarsi anche
il cranio.
«Ivy! Stai bene?», le domandò Drew
correndole incontro.
Il giovane agente aveva un graffio sulla guancia, ma niente di
più. «Bene», mormorò Ivy,
sbattendo le palpebre.
Drew le premette la mano sulla fronte. «Dobbiamo andare in
infermeria».
Solo allora Ivy si accorse di avere le mani piene di frammenti di vetro
e sangue.
«Non è niente», cercò di
dire.
Drew la guardò negli occhi. «Lasciamo che sia un
medico a dirlo, ok?», propose, con una calma che sorprese la
ragazza. Forse era quello che ti insegnavano allo S.H.I.E.L.D., a come
non dare di matto quando la stanza in cui ti trovi si trasforma
improvvisamente nel cestello di una lavatrice.
«Che diavolo succede!?», sbraitò la voce
di Fury all'auricolare.
“C'è
stata un'esplosione sulla pista che ha mandato l'Elivelivolo fuori
asse”, rispose la voce di Maria Hill, dagli
altoparlanti nella stanza. “È
comparsa dal nulla una donna. Dall'abbigliamento sembra
un'asgardiana”.
«Portatela nella stanza degli interrogatori»,
ordinò Fury.
“Dice che
parlerà solo con il 'figlio di Coul'”*,
replicò la voce dell'agente.
Un lieve sorriso affiorò sulle labbra di Coulson.
«Deve essere Lady Sif. Lascia che ci parli io,
capo».
Nick annuì distrattamente.
La presenza di una dei compagni d'armi di Thor complicava ulteriormente
le cose, ma forse sarebbero riusciti a sgarbugliare quell'abnorme
matassa di problemi che stava diventando quella situazione.
«Chi ha bisogno di cure vada in infermeria, tutti gli altri
vengano con me», decise Fury, scrutandosi intorno.
I suoi occhi si fermarono in quelli di Ivy per un'istante di troppo, e
la ragazza trattenne involontariamente il fiato.
Negli occhi del Direttore aveva letto la risposta alla domanda che le
passava per la testa.
Se Thor voleva mandare
un messaggio ai Vendicatori, perché mandare Sif e non
Khalida? Se poteva utilizzare il Bifrost, perché non l'aveva
rimandata a casa?
Lacrime improvvise le corsero sulle guance, mescolandosi al sangue
delle ferite, diventate ormai insignificanti.
Era successo qualcosa di terribile alla donna che amava come una madre.
Era di nuovo sola.
--------------------------------------------
*In
lingua originale, nel finale di Thor, Coulson viene chiamato proprio
così da Thor. Come Thor è chiamato Odinson,
così viene diviso il cognome di Coulson in Coul-son,
cioè "figlio di Coul".
Tutte
le teorie pseudoscientifiche che snocciolo sono inventate e opinabili.
Non
vi dico a presto perché mi sembra di prendervi in giro,
spero però che passi meno tempo tra questo capitolo e il
prossimo.
Un
bacio,
Nicole
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 14 - Come una finzione ***
Buonasera.
Lo
so, ormai di questo passo pubblico un capitolo ad ogni uscita di un
film Marvel XD ma spero sul serio di concludere la FF entro il 2019 :-P
Vi
lascio immediatamente al capitolo, senza tante parole.
Grazie
mille a chi continua a leggere, nonstante gli aggiornamenti lenti.
Viaggiare attraverso i portali creati dal Tesseract era estremamente
facile, come un respiro profondo, un battito di ciglia. Non era nemmeno
paragonabile ai sentieri tortuosi tra i mondi che Loki aveva scovato,
esplorato e percorso in più occasioni, nella sua vita.
Più volte, per il solo gusto di scoprire dove il percorso
l'avrebbe condotto, aveva rischiato la vita, precipitando negli angoli
più oscuri dei Nove Mondi.
Gli mancava quel senso di trionfo che lo scuoteva dentro quando si
trovava improvvisamente dall'altra parte, ennesima conferma della sua
intelligenza, del suo valore.
Loki aveva la sfrontatezza di chi si era dovuto accontentare per anni
della propria autostima, e non sentiva mai il bisogno di approvazione
da parte di qualcuno che non fosse se stesso. Aveva smesso di illudersi
al riguardo molto prima.
Per questo era certo che tutto sarebbe andato come previsto.
Aprendo gli occhi nella penombra, Loki prese un profondo respiro dal
naso.
Fino a quel momento era stato semplice ma ora, su Svartalfheim,
iniziava la parte più complessa del piano.
Ne aveva studiato ogni minima variabile, sin dal momento in cui aveva
saputo della morte di Frigga.
Thanos, Malekith, lo loro pretese, le aspettative di Thor, Odino, il
traditore misterioso ad Asgard... ogni singolo elemento era una piccola
parte di un complesso ingranaggio perfetto, oliato, che si muoveva
all'unisono con la sua volontà.
Nonostante gli enormi poteri in gioco, solo una piccola parte
insignificante, una variabile infinitesimale, lo impensieriva davvero.
No, impensieriva non era la parola più adatta.
Infastidiva... ecco il termine più calzante.
Fastidio era decisamente la parola più consona a descrivere
quella variabile del tutto fuori dal suo controllo.
«Loki?», soffiò una voce, quasi
impercettibile, da un punto imprecisato dietro di lui.
Eccola, quella variabile infinitesimale, eppure così
ingombrante.
Khalida.
Voltandosi, Loki sfoderò un sorriso enigmatico.
«Credevi che non sarei venuto?», la
sfidò, squadrandola da capo a piedi.
Nonostante le situazioni complicate in cui l'aveva vista, Khalida aveva
sempre mantenuto una dignità invidiabile, per una della sua
razza. Era una donna solida, a tratti impenetrabile e fredda come le
nebbie eterne di Niflheim.
Ore le gelide nebbie si era dissolte.
Khalida aveva un aspetto terribile.
Pallida, con l'abito a brandelli, i capelli sporchi e scarmigliati,
sembrava appena uscita dalle profondità di Hel. Ogni
centimetro della sua pelle era ricoperto da ferite recenti, ustioni
tondeggianti che in più punti esponevano la carne viva,
sulle guance aveva lunghi graffi incrostati di sangue rappreso.
Conosceva i metodi di tortura degli Elfi Oscuri, violenti ed efficaci.
Era prevedibile che Khalida sarebbe stata una loro vittima; tuttavia
non si aspettava di trovarsi davanti una Khalida spezzata, con le
labbra tremanti e gli occhi lucidi per le lacrime celate a malapena.
Il tempo di un respiro e la donna si gettò in avanti,
coprendo a lunghi passi i pochi metri che la separavano da Loki,
circondagli il petto con le braccia sottili.
Confuso ed incredulo, l'asgardiano ci mise un minuto interminabile a
reagire.
Con cautela, posò le mani sulle sue spalle. Aveva la pelle
gelida, ma coperta di sudore.
Khalida sollevò appena il volto, incrociando il suo sguardo
perplesso.
«Non avevo nemmeno osato sperarlo»,
mormorò, in un flebile respiro.
Accennando un sorriso, si sollevò sulle punte, cercando la
bocca di Loki.
Quando le loro labbra si toccarono, Khalida emise un lieve gemito, di
gola.
Istintivamente Loki approfondì il bacio.
Capì subito che qualcosa non tornava.
Sulle guance sentiva le lacrime di Khalida, e lei non piangeva mai.
Un sapore insolito, dolciastro, gli grattò la gola.
Khalida gli sfiorò le labbra appena, un'ultima volta.
E Loki capì.
Avrebbe sorriso, se la potente droga non gli avesse già
paralizzato i muscoli facciali.
“Mi
dispiace”, mimarono le labbra di Khalida,
silenziosamente.
La piccola variabile insignificante aveva fatto esattamente
ciò che doveva.
Seduto sul suo scranno; al riparo nella camera più profonda
della sua astronave ammiraglia, Santuario II, sospesa sui cieli bui di
Svartalfheim, Thanos rigirava pensoso tra le dita massicce una delle
centinaia di sfere simili al Tesseract che possedeva.
Dopo molti anni di ricerca, aveva trovato finalmente le rovine del
pianeta che i creatori del Tesseract avevano utilizzato per i loro
esperimenti. La sua pazienza era stata premiata con un bottino di
grande valore. Certo, nessuna di quelle sfere possedeva il potere del
Tesseract, ma in quegli anni di ricerca gli erano state molto utili.
Gli occhi azzurri del Titano si posarono distrattamente sul corpo
dell'asgardiano, abbandonato al centro della grande sala. Si sarebbe
risvegliato a momenti dalla potente droga che l'umana gli aveva
somministrato.
La sfera azzurra, dal diametro di pochi centimetri, ruotò
più velocemente nella mano del Titano.
Lei, ancora
più bella dell'ultima volta che l'aveva vista,
seguì con la punta delle dita la curva del suo braccio, con
fare languido. Gli occhi accesi di malizia seguirono lo sguardo di
Thanos. «Ho
proprio voglia di assaggiarlo»,
mormorò, mordendosi le labbra.
«A suo tempo, mia cara», la rabbonì
Thanos.
«Sangue Jotun,
con un retrogusto di Asgard... una vera
rarità», insisté Lei, leccandosi
lentamente gli incisivi superiori.
Thanos le prese la mano, e Lei
si voltò a guardarlo.
«Avrai tutto ciò che desideri, mia
Signora», le disse, fissandola con sguardo adorante.
I recenti doni che gli aveva portato, sacrifici di asgardiani ed Elfi
Oscuri in uguale quantità, le avevano accesso gli occhi
azzurri di una nuova vitalità. La pelle splendeva, color
delle stelle, nella notte immensa dei suoi capelli.
Lei fece un
sorriso sottile.
«Me lo prometti?».
«Ti darei la mia vita, se tu la volessi»,
giurò Thanos.
«Un giorno
forse accadrà», gli fece
notare Lei,
ammiccando.
«Così sia», mormorò Thanos.
«Vedo che parli ancora da solo», lo interruppe la
voce di Loki.
Era roca, flebile, quasi irriconoscibile; ma conservava quella punta di
irriverenza che tanto piaceva a Thanos.
Amava quando le sue vittime si ribellavano.
Rendeva tutto molto più divertente.
Thanos girò gli occhi e squadrò lentamente
l'asgardiano.
Forse da qualcuno la sua presenza poteva essere definita imponente,
perfino inquietante, ma di fronte a lui Loki si rivelava per
ciò che era davvero: un infante in mezzo ad un mondo
enormemente più grande di lui.
Loki raddrizzò la schiena, appoggiandosi al bastone del
Tesseract. La sua mente era vigile, ma il suo corpo era ancora scosso
dagli effetti collaterali della droga paralizzante. Faticava a
percepire la punta delle dita di mani e piedi e le corde vocali erano
insolitamente rigide.
«Tu hai ancora la tua Lingua d'Argento»,
osservò il Titano, lasciando trapelare un sorriso dalle
labbra solitamente inespressive.
Loki aggrottò le sopracciglia. «Suppongo di
doverti ringraziare per non aver tenuto fede alla tua
minaccia».
Una risata roca vibrò nella gola di Thanos. «Per
essere un bimbo, sei sempre stato piuttosto intelligente».
«Non giriamoci intorno, Eterno», tagliò
corto Loki. «Cosa vuoi da me?».
«Sorprendimi asgardiano».
Loki serrò le labbra, inspirando forte dal naso.
L'aria della sala era gelida, e il fiato si condensò in una
piccola nuvola di vapore. Tutto ciò che vedeva intorno a
lui; le rocce, il cielo trapuntato di migliaia di stelle, le
pozzanghere di acqua gelata; erano solo un ologramma, una simulazione
del pianeta natale del Titano, ormai scomparso per sempre. Quel luogo
lo metteva a disagio, e non solo perché custodiva il ricordo
del primo incontro con l'Eterno.
L'insinuazione di Thanos era corretta. Raramente sbagliava, quando
decideva di parlare.
Loki possedeva un'idea piuttosto precisa del suo ruolo nei suoi piani,
e la cosa lo spaventava.
Aveva già visto come andava a finire a quelli che credevano
di aver capito i giochi di potere del Titano. Di loro non era rimasto
molto più di qualche granello di polvere.
Fingere di non sapere sarebbe stato inutile, per cui la sua unica
speranza era quella di riuscire a sostenere l'ennesima finzione
abbastanza a lungo.
«Il Guanto dell'Infinito», dichiarò
Loki, senza esitazione. «È l'unica cosa celata
nella Sala delle Armi di Odino che possa avere un qualche valore per
te».
L'espressione di Thanos rimase impassibile, ma qualcosa nel suo sguardo
trasudava compiacimento. «Quel manufatto appartiene alla mia
stirpe. È tempo che io sfrutti il suo potenziale»,
la voce di roccia di Thanos si colorò appena di una nota
più calda, e Loki ormai aveva imparato a riconoscerla.
Era bramosia. Fame di potere.
Quel genere di ambizione che si lascia dietro solo cenere e morte.
Loki aveva già imparato a sue spese che con Thanos non
esisteva una parte da cui stare, una scelta. Ubbidire al suo volere era
puro istinto di sopravvivenza.
E se esisteva una verità universale riguardo al Dio degli
Inganni era che non aveva mai desiderato morire.
«Cosa ne ottengo in cambio?», chiese, immaginando
le vuote promesse con cui Thanos lo avrebbe allettato.
Thanos fece una carezza distratta ai capelli di Lei, che continuava
ad
osservare l'asgardiano con ingordigia. «Dentro di te
c'è ancora una luce, figlio di Laufey. Porta a termine il
tuo compito e ti permetterò di estinguerla per
sempre».
A stento Loki riuscì a calmare il proprio battito cardiaco,
improvvisamente accelerato.
Era trascorso troppo tempo dall'ultima volta che era stato al cospetto
di Thanos, aveva dimenticato quanto il Titano Pazzo lo conoscesse.
L'Eterno sorrise, pregustando sulla lingua la resa di Loki.
«Avrai a disposizione l'intero esercito di Malekith. Lui ha
avuto ordine di assisterti. Ora va», ordinò, con
la sua solita voce calma e allo stesso tempo crudele. «Questa
guerra è già durata abbastanza».
Loki fece solo un cenno con il capo, percependo la presenza dell'Altro,
il chitauro, alle sue spalle.
«Questa volta, non fallire», gli disse la creatura,
con la voce di Thanos. «Non saremo clementi una seconda
volta».
Quando l'asgardiano lasciò la stanza, Lei
passò
le braccia intorno alle spalle di Thanos. «Davvero intendi
lasciargli uccidere l'umana?».
Thanos soffiò una risata, tra i denti stretti.
«No. Quella luce dentro di lui lo rende debole. E io ho
bisogno che lui rimanga tale».
L'inattesa ospite asgardiana non era Lady Sif, ma un'imponente e
giunonica donna, con i capelli color rame, che si era presentata come
Amora.
Era vestita come un soldato, e non aveva la tendenza a sorridere.
In modo irriverente, Stark aveva fatto notare a Fury che sembrava fatta
apposta per lui.
Clint aveva annoverato l'occhiataccia rivolta al miliardario dal
Direttore tra le cinque peggiori che avesse mai visto. Le altre quattro
erano state tutte rivolte a lui, seguite immediatamente da missioni in
cui aveva rischiato puntualmente la pelle.
Lady Amora parlava con autorità e decisione, mentre
descriveva ciò che era accaduto ad Asgard solo poche ore
prima, mentre quegli strani terremoti squassavano Parigi e Londra.
L'aspetto della Dea incuteva un certo timore. Perfino Steve Rogers al
suo fianco appariva come un ragazzino che giocava al supereroe con un
il coperchio di un bidone della spazzatura al posto dello scudo di
vibranio.
«La situazione ad Asgard è critica»,
concluse Amora. «Il Principe Thor mi ha inviato in sua
rappresentanza a chiedere il vostro aiuto, in quanto Eroi della Terra e
suoi compagni. Le nostre spie hanno riportato del movimento tra le file
dell'esercito nemico. Ci aspettiamo un attacco nel giro di poche
ore».
La mente addestrata di Rogers aveva già elaborato in fretta
le informazioni fornite dall'asgardiana.
«L'inferiorità numerica è
notevole», osservò. Per quanto eroi più
forti della Terra, loro erano solo cinque, e non riusciva ad immaginare
come la loro presenza potesse cambiare realmente qualcosa in un
esercito così avanzato come quello asgardiano.
«Non è stata un problema a New York»,
gli ricordò Tony, per il solo gusto di contraddirlo.
«Se escludiamo il fatto che sei finito con un missile sulla
schiena nella versione 2.0 dello Stargate», lo
punzecchiò Clint, giocherellando con la cinghia del
parabraccio.
«Piantatela», tagliò corto Steve,
rivolgendo di nuovo la sua attenzione ad Amora.
«Cosa sta accadendo di preciso ad Asgard? Che ruolo hanno
Khalida e Loki in tutto questo?», domandò.
Amora posò la mano destra sulla spada. «Il
Principe Thor aveva richiesto l'aiuto dell'umana solo per rintracciare
il fratello, il quale era ragionevolmente in possesso di molte
informazioni riguardo l'essere chiamato Thanos. Subito dopo le esequie
della Regina, era previsto che Khalida tornasse a
casa». Sospirò profondamente.
«Sfortunatamente l'umana è stata attaccata dal
comandante degli Elfi Oscuri, mentre tentava di fuggire attraverso il
Bifrost. Lady Sif, incaricata della sua protezione, si trova ancora
nella Camera di Guarigione in seguito alla ferite riportate nello
scontro. Non conosciamo la sorte di Lady Khalida».
«Starà bene?», domandò
l'agente Coulson.
«Vivrà», replicò Amora.
«Se vinceremo la battaglia che incombe
all'orizzonte».
«E Loki? Si trova anche lui ad Asgard?», chiese
Fury.
«Non al momento. Il Principe Thor gli ha affidato un
incarico».
Un silenzio imbarazzante calò sul gruppo.
«Che diavolo...», iniziò Clint.
«Ha perso completamente la testa?»,
sbottò Coulson.
«Non ha mai brillato per intelligenza...»,
rincarò Tony.
«Che tipo di incarico?», la voce di Natasha
sovrastò quella di tutti gli altri, mettendo a tacere a poco
a poco le proteste.
Amora sostenne lo sguardo della Vedova Nera. «Non mi
è stato detto. Solo il Principe conosce la
risposta».
«Si fida di Loki?», intervenne Bruce, sorpreso,
quasi parlando tra sé e sé.
«Il Principe Loki è un asgardiano, per quanto a
lui piaccia pensare il contrario. Thor sa che combatterà per
la sua città», rispose Amora. «E ora, se
avete terminato con le domande, posso avere la vostra
risposta?».
Steve, Tony e Bruce si scambiarono una lunga occhiata.
Clint, istintivamente guardò Natasha, che a sua volta
scrutava le reazioni del Direttore Fury.
Nick Fury si massaggiò la radice del naso. «Questa
decisione spetta a voi. Lo S.H.I.E.L.D. può solo tentare di
rimediare ai danni qui sulla Terra», iniziò,
incrociando le braccia al petto. «Fermare ciò che
sta succedendo è compito vostro. Salvare Asgard è
difendere la Terra».
Steve Rogers strinse appena il pugno al fianco. Cercò il
consenso negli occhi dei suoi compagni, ottenendo da ognuno di loro un
cenno d'assenso.
«Preparate l'armatura. Andiamo ad Asgard».
Seduta a gambe incrociate sul letto, Match in bilico sulle ginocchia,
Khalida si sforzava di riflettere, respirando profondamente.
Aveva tentato di raggiungere l'entità all'interno del
manufatto, ma era stata una pessima idea. Ci aveva guadagnato solo un
attacco violento di epistassi e un mal di testa mai provato prima.
Il suo fisico era troppo debilitato per sostenere quel tipo di sforzo,
e forse non ne sarebbe più stato in grado.
Aveva dormito per diverse ore, ma ugualmente si sentiva stremata.
Non aveva la minima idea di dove si trovasse.
Dopo aver somministrato la droga a Loki, e averne subito a sua volta
gli effetti, un Elfo l'aveva prelevata dalla sua cella e trasportata in
quella stanza. Era stato un tragitto piuttosto lungo, e Khalida
sospettava di non essere più sul pianeta natale degli Elfi
Oscuri, o dovunque fosse quel buco in cui l'avevano rinchiusa.
La ricompensa per il suo tradimento era una vera stanza, ammobiliata
con gusto eccentrico e singolare, ma pur sempre con un letto vero, del
cibo e la possibilità di cambiarsi d'abito e fare un bagno.
La prima volta che l'aveva vista, risvegliandosi dalla paralisi indotta
dalla droga, aveva soffocato un conato di vomito.
Non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, eppure non possedeva altra
scelta se non quella.
Non era la sua vita che stava tentando di difendere, né
quella di Loki.
Non più.
Ivy non aveva armi in quello scontro intergalattico, e doveva restarne
fuori in ogni modo.
Se Thanos avesse scoperto la sua esistenza, non se lo sarebbe mai
perdonata.
Involontariamente, Khalida aveva stretto le dita intorno
all'impugnatura di Match, stampandosi la trama della filigrana sul
palmo della mano. Sciogliendo le spalle contratte, si alzò
in piedi, misurando la stanza a lunghi passi.
La meditazione non stava funzionando, la sua mente era un caos di
preoccupazioni, rimorsi e rimpianti. Non aveva nessun piano,
né alcuna possibilità di sfuggire da dovunque
fosse.
Era del tutto in balia degli eventi, e questo significava che doveva
giocare ogni singola carta che aveva ancora nel mazzo.
Un fruscio leggerissimo la sorprese alle spalle.
Khalida non sentì il bisogno di voltarsi.
La partita decisiva della sua vita era appena cominciata.
In piedi sulla soglia della stanza, attorniato da un manipolo di
Dannati, Loki la fissò a lungo.
Fece un lieve cenno con la mano. «Lasciateci»,
ordinò agli Elfi Oscuri, che ubbidirono senza emettere alcun
suono.
Una scintilla di rabbia divampò nel petto di Khalida.
«Vedo che Thanos non ha faticato molto a
convincerti», disse.
Gli occhi di Loki si strinsero. «Sicuramente molto di
più che per convincere te», la pugnalò
con quella frase, in modo freddo e spietato, guardandola poi sanguinare.
E con il sangue, svanì anche al rabbia di Khalida,
così come era comparsa.
«Non implorerò perdono»,
mormorò, stringendosi le braccia al petto. «Ho
fatto ciò che dovevo per sopravvivere», aggiunse,
voltandosi.
Impercettibili rughe si formarono agli angoli della bocca di Loki, una
smorfia appena celata.
«Per me, eri disposta a morire».
Khalida sollevò il mento. «È
vero», ammise. «Ma ora ho un motivo per continuare
a vivere», concluse, rabbrividendo, quando
incrociò gli occhi verdi dell'asgardiano.
Loki indossava l'armatura completa, scintillante e letale, come lei
l'aveva sempre percepito.
Per l'ennesima volta, ebbe la sensazione di guardare in faccia la
propria morte.
Poi accadde.
In un battito di ciglia e di cuore, il volto di Loki passò
dall'apatia al divertimento, e nella testa di Khalida la sua risata
risuonò come un gong foriero di distruzione.
«Cosa c'è di così
divertente?», chiese, risentita e inquieta.
Loki si prese ancora qualche secondo per sfogare la sua
ilarità, muovendo qualche passo nella stanza. «Sei
sempre stata così ridicola nelle tue convinzioni».
Qualcosa scattò nella mente di Khalida, una consapevolezza
che fino ad allora era rimasta ai margini della sua mente.
«Perché
sei qui, Loki? Cosa stai
architettando?».
«La mia redenzione», rispose lui, in modo
sibillino.
«Parla chiaro Loki!», esclamò Khalida,
irritata, facendo istintivamente un passo verso di lui.
Loki non fece caso al tono autoritario della donna. «Pensa a
come tutto suoni armonioso. Il cattivo rapisce la donzella in
difficoltà, il povero eroe sfortunato accorre in suo
soccorso, ma per salvarle la vita deve sottostare a un terribile
ricatto, che lo costringerà a tradire la sua
città e l'amato fratello da poco ritrovato».
Il fiato scappò dai polmoni di Khalida. Era quasi ironico, a
guardarlo dall'esterno.
«Intendi sul serio usarmi come scusa per giustificare il
fatto che hai deciso di collaborare con Thanos?»,
domandò. Non era arrabbiata, né offesa, anzi.
Si domandava come avesse fatto a non arrivarci prima.
Era una strategia valida, a tratti geniale.
Una finzione elaborata, ragionata, da chissà quanto tempo.
«Asgard ama le storie tragiche, e i martiri ancor di
più», assentì Loki, sorridendo.
Annuendo, con fare distratto, Khalida si sedette sul bordo del letto.
«Mi aspettavo di vederti più...
alterata», ammise Loki, scrutandola a fondo.
Khalida si strinse nelle spalle. «A cosa
servirebbe?», chiese, ironica. «Probabilmente
funzionerà. Conoscendo Thor farà di tutto per
crederci. E tu sei un attore convincente».
Un barlume di sorpresa brillò negli occhi di Loki.
Intuendone il motivo, Khalida gli sorrise in modo stanco.
«Sul serio credevi che fossi dalla sua parte? Ormai dovresti
conoscermi».
«E da che parte saresti?», per una volta, la
scintilla di curiosità nella voce di Loki sembrava genuina.
Khalida sospirò. «Mi piacerebbe davvero dire che
sono dalla mia parte, ma non voglio mentirti», una breve
pausa, in cui la donna fissò gli occhi neri in quelli di
Loki. «Sono sempre stata dalla tua parte, e probabilmente lo
sarò sempre».
«E questo dovrebbe significare qualcosa?», la
derise Loki.
«È la verità, Loki. Puoi farne
ciò che vuoi», replicò Khalida poi,
senza aspettare una risposta da parte dell'asgardiano lo
incalzò. «Cosa vuole Thanos da te?».
«Ti aspetti che ne parli con te?».
Khalida alzò un sopracciglio. «Mi hai coinvolta tu
in questa storia. Almeno fammi il favore di essere onesto sulla posta
in gioco».
Loki forse ebbe l'onestà di ammettere che la donna non aveva
tutti i torti. «Thanos vuole che recuperi per lui un
manufatto dalla Sala delle Armi su Asgard».
«Lo Scrigno degli Antichi Inverni?»,
ipotizzò Khalida.
«No. Un oggetto antichissimo chiamato Guanto
dell'Infinito».
«Il nome non promette bene», commentò
lei, lasciandosi sfuggire un breve sorriso, che Loki
ricambiò. «A cosa serve?».
«Centinaia di anni prima della creazione dei Nove Mondi, gli
esseri più potenti dell'Universo, gli Antichi, crearono sei
Gemme e in esse racchiusero il controllo assoluto su spazio, tempo,
anime, realtà, potere e mente. Con la loro estinzione,
l'ubicazione delle Gemme venne dimenticata. Fino a quando gli Eterni;
loro diretti discendenti, anche se inferiori; non ritrovarono la Gemma
della Mente. Grazie all'immensa sapienza celata al suo interno,
costruirono il Guanto dell'Infinito, un dispositivo in grado di
controllare e utilizzare il potere di ognuna di queste Gemme, perfino
di localizzarle, in alcuni casi».
«Gli Eterni? Quindi il popolo a cui appartiene
Thanos», commentò Khalida.
«Thanos non possiede più un popolo. È
l'ultimo della sua razza, dato che ha sterminato ogni singolo Eterno
vivente, cominciando dalla propria madre».
Khalida rabbrividì, ma evitò di concentrarsi
troppo su quel dettaglio. «Se Odino possiede questo Guanto,
perché non l'ha mai usato?».
«Fu il padre di Odino, Bor, a stabilire che il Guanto non
dovesse mai essere utilizzato, ritenendolo troppo pericoloso. Nessuna
creatura vivente può sostenere a lungo un potere del genere
senza bruciare».
«E le Gemme? Dove si trovano?», domandò
ancora Khalida, ora sinceramente curiosa.
«Nel corso degli anni a volte sono giunte notizie ad Asgard
del loro ritrovamento. Odino si è sempre preoccupato di
accertare la verità di quelle voci e poi di nascondere
nuovamente la Gemma. L'ultima notizia del genere risale a quando ero
poco più di un bambino».
«Thanos ne possiede qualcuna?».
Loki gettò uno sguardo impercettibile allo Scettro e al
Tesseract che brillava sulla sua cima. «Se è
così, ha tenuto l'informazione per sé, ma non
credo che cercherebbe il Guanto, se non fosse in possesso di almeno una
delle Gemme».
Khalida si passò una mano tra i capelli, accarezzando l'asta
di Match con la punta delle dita. «Se il potere di questo
manufatto è così immenso, come farà
Thanos ad utilizzarlo?».
«Lui appartiene alla razza che l'ha creato. È in
grado di resistere al suo potere per un tempo ragionevole».
«Ma alla fine anche lui verrà consumato da quel
potere», concluse Khalida, seguendo il ragionamento di Loki.
«Non possiamo semplicemente darglielo ed aspettare che si
uccida da solo?», domandò.
Loki sorrise. «Non è così semplice. Se
Thanos completasse il Guanto, sarebbe in grado di distruggere l'intero
universo con un semplice gesto. Niente gli sarebbe
impossibile».
Khalida strinse le labbra, raggelata da una simile prospettiva. Lei
teneva solo ad una vita, in tutti i Nove Mondi, ma questo non
significava che il resto delle persone gli fosse indifferente.
Qualcuno bussò forte alla porta della stanza, spezzando il
caos calmo di quella conversazione piena di sottintesi. Il rumore
risuonò a lungo nelle pareti, e per la prima volta Khalida
ebbe il sospetto di trovarsi a bordo di una sorta di astronave, e non
su un pianeta.
«Asgardiano, il nostro signore attende»,
annunciò una voce di cenere e fuoco.
«Sono io il tuo signore, Elfo», replicò
Loki, assumendo un tono quasi feroce.
Khalida cercò il suo sguardo, ma lui sfuggì i
suoi occhi, indossando l'elmo dorato.
Con uno sfarfallio verde, sulle sue spalle comparve il solito mantello
oro cupo.
Un nodo alla gola costrinse Khalida a deglutire.
«Dimmi solo una cosa, Loki», iniziò,
attirando finalmente lo sguardo del Dio degli Inganni. «Nel
tuo piano è previsto che io sopravviva?».
Loki sollevò un angolo della bocca, dando poi le spalle alla
donna.
Ad un suo gesto, la porta della stanza scivolò sui cardini,
spalancandosi senza fare rumore.
«Credo che tu conosca già la risposta a questa
domanda», disse Loki, prima di scomparire nel corridoio buio.
Khalida sentì le lacrime premere agli angoli degli occhi.
«Dopotutto, Asgard ha sempre amato i martiri».
---------------------------------------------------------------
La
colonna sonora dell'intero capitolo è "Final Masquerade" dei
Linkin Park.
Aspetto con ansia le vostre impressioni.
Nel
frattempo vi invito a seguirmi su instagram al nome
@ithil_89_book.from.moon dove ho una rubrica di recensioni sulle mie
svariate letture.
Nicole
:***
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1641546
|