Crepe

di Blue_moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come la roccia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Come gli occhi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come un buco nero ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come un terremoto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come l'acciaio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come il vento ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Come un incubo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Come il veleno ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Come una madre ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Come la neve ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Come un fratello ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Come il ghiaccio ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Come la guerra ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Come una promessa ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Come una finzione ***



Capitolo 1
*** Prologo - Come la roccia ***


AVVERTENZA IMPORTANTE:
Nell'elaborare la trama di questa terza parte ho tenuto conto di molti SPOILER riguardanti  Thor: the dark world e Iron Man 3 che ho letto gironzolando su vari siti di cinema. Non so quanto siano attendibili alcuni di essi, ma per non rovinarvi la sorpresa, non vi dirò quali eventi prendono spunto da questi spoiler. Solo non credetemi un genio se vedrete nei film delle cose che avete letto qui XDXD 


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Venature di ghiaccio correvano nelle crepe delle rocce, brillando nell'esigua luce della luna morente.
Il respiro di Thanos si condensò nell'aria gelida, oscurando per un attimo gli occhi accesi da un innaturale luccichio azzurro.
Il silenzio era di piombo, nella notte eterna di quel sistema solare senza soli e con troppe stelle.
Il calore era un concetto del tutto sconosciuto alla razza che lo abitava, cresciuta nutrendosi di freddo ed oscurità. Thanos l'aveva scelta per quel motivo, oltre che per la loro primitiva attitudine ad un patetico e suicida onore.
Adirati per antiche offese ormai perse nei millenni, attendevano solo un'occasione per prevaricare i loro presunti nemici. E lui li avrebbe usati per colpire a fondo l'universo nella sua stessa fibra. Per accedere a un potere talmente immenso che il solo pensiero gli faceva venir voglia di sorridere.
Un ghigno indistinto gli si formò sulle labbra, dure e scavate come le roccia intorno a lui.
Passi leggeri annunciarono l'arrivo della persona che attendeva.
Non era sola, come pronosticato.
«Il nostro alleato è giunto», annunciò la voce cavernosa del chitauro.
Thanos si voltò e osservò da capo a piedi il possente guerriero che gli stava dinanzi. Quella razza non aveva nulla da invidiare agli asgardiani in quanto a potenza, erano solo stati meno accorti nella gestione delle loro alleanze e delle loro risorse, nonché poco inclini a giocare sporco, come invece gli asgardiani sapevano fare molto bene.
«Qual'è il tuo nome?», domandò Thanos, facendo un passo avanti.
Il guerriero lo osservò con calma, senza mostrare timore. «Malekith», replicò, la voce simile al rumore di unghie sulla lavagna.
Thanos sorrise. «Il tuo esercito è pronto?».
«Il mio popolo non ha mai smesso di essere pronto per dare ad Asgard ciò che merita», rispose con orgoglio il guerriero, ostentando una posa marziale. «Gli Elfi Oscuri sono al vostro servizio».
Thanos rise di gola, divertito. «Vedremo», mormorò, con fare sibillino, per poi rivolgere la sua attenzione al chitauro.
La luce si rifletté in scaglie frastagliate sull'elmo dorato indossato dalla creatura deforme, mentre si prodigava in un inchino.
«Cosa mi sai dire dell'altra questione?», chiese Thanos.
«Abbiamo sfruttato tutte le nostre risorse, mio signore. Ma del Tesseract e del Portatore non ci sono tracce. Il suo potere è cresciuto e non siamo in grado di trovarlo», illustrò l'alieno, con tono dimesso e spiacente.
Thanos ridacchiò nuovamente, scuotendo appena la testa. «Vuol dire che lasceremo che sia lui, a venire da noi», disse, dedicando uno sguardo intenso a Malekith.
«Dimmi, elfo, qual'è il punto più debole di un asgardiano?», domandò, avvicinandosi alla parete di roccia alla sua destra.
Il guerriero sembrò confuso per un'istante, poi rifletté e rispose senza esitazione. «Il cuore».
Thanos sollevò una mano e la poggiò su una sporgenza rocciosa, tranciandola di netto. Osservò per un secondo il masso di una ventina di centimetri nel suo palmo, sorridendo tra sé e sé. «Esattamente», mormorò.
Strinse le dita sulla pietra, aumentando la pressione gradualmente. Sbuffi di polvere si sollevarono nell'aria immobile. «Saremo spietati e veloci, dritti al suo cuore», aggiunse, mentre con uno schianto secco la roccia si polverizzava nella sua mano.
Malekith ghignò, eccitato dalla prospettiva di agire.
«Radunami un contingente dei tuoi guerrieri migliori, elfo», ordinò Thanos, sorridendo apertamente e mostrando una fila di denti candidi e grossi.
Oltre la figura imponente di Malekith, con un lampo nero, era comparsa Lei.
Sperava di vederla. Ogni volta che succedeva, i suoi piani avevano completo successo.
La guardò dritto negli occhi azzurri.
«Faremo la nostra mossa molto presto».
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Non si capisce assolutamente nulla, lo so, ma è questo il bello dei prologhi XD

La Lei menzionata da Thanos altri non è che la Morte in persona, ormai un po'tutti sappiamo che il personaggio della Marvel ha una vera e propria ossessione per la personificazione della Morte, ritenendola l'unica persona degna della sua stima, e desidera compiacerla in ogni cosa.
In questa terza parte la vedremo spesso, ma specifico fin da ora che non è un personaggio reale ma solo una proiezione mentale di Thanos.

Ci vediamo presto con il prossimo capitolo!

Nicole

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Come gli occhi ***


Sono in tremendo ritardo, lo so. A mia discolpa posso dire che sono state delle settimane molto frenetiche.
Non anticipo nulla, ci vediamo alla fine del capitolo.
Buona lettura.





Ad Asgard non faceva mai completamente buio.
Perfino nelle notti più scure c'era un barlume di luce che riverberava sull'orizzonte, come annunciando un'alba incombente.
Heimdall, da poco tornato al suo ruolo originario di guardiano del Bifrost, era appoggiato alla sua spada, rivolto verso il buio assoluto della notte. Alle sue spalle, bagliori simili all'aurora boreale ferivano le nuvole inquiete.
La notte era tiepida e immobile, il vento si era acquietato dopo che per un'intera giornata aveva spazzato gli edifici dorati di Asgard, facendone tremolare i riflessi.
Heimdall non era incline alla superstizione, eppure quel vento così insistente l'aveva allarmato.
Una ruga profonda si era disegnata sulla sua fronte d'ebano, un solco di preoccupazione che nulla, neppure la pace di una notte splendida come quella, riusciva a spazzare via.
Sin dal primo attacco dei Giganti di Ghiaccio alla Sala delle Armi, nel cuore del guardiano si era insinuata una paura sottile come uno stiletto: la consapevolezza che esistevano cose al di là della sua percezione, della sua stessa comprensione. Per lui, che agiva da innumerevoli ere come occhi e orecchie di Odino, consapevole di ogni azione nei Nove Regni, quell'improvvisa impotenza era una sensazione che non poteva sopportare.
Eppure aveva dovuto accettarla.
Perché nulla avrebbe potuto cambiare la realtà dei fatti.
Forse la sua vera debolezza era stata credere di essere infallibile.
Un breve respiro sfuggì alle labbra dell'alieno, condensandosi appena nell'aria che si era improvvisamente raffreddata.
Un campanello d'allarme risuonò nei nervi tesi del guardiano che strinse la presa sulla spada, guardandosi intorno, scrutando le pieghe dell'universo, in cerca della minaccia incombente.
Un lampo azzurro squarciò lo spazio alla sua destra, aprendo un portale vorticante.
Al di là, in un silenzio assordante, si intravedeva solo un'oscurità densa come cenere.
L'ombra di una creatura alta e possente si fece avanti, e l'asgardiano sbarrò gli occhi riconoscendone subito le fattezze, anche se non le vedeva da millenni.
Non avrebbe mai dimenticato quella pelle scura, bruciata dal gelo, marchiata a fuoco dai barbari riti di quella razza primitiva, le orecchie grandi e appuntite e quelle labbra larghe, aperte su una fila di denti più simili a zanne, candidi e affilati.
«Elfi Oscuri!», urlò con voce profonda, squarciando la notte pacifica. Il grido rimbombò nell'aria, rimbalzando sulle pareti, fino a giungere alle orecchie del Padre degli Dei, che si sollevò di scatto dal proprio giaciglio, con un respiro strozzato.
Frigga, accanto a lui, si mise a sedere. «Cosa accade?», chiese.
Odino non riuscì a rispondere, Thor irruppe nella stanza, trafelato. Indossava già l'armatura e il mantello si muoveva inquieto sulle sue spalle.
«Il Bifrost è sotto attacco!», annunciò. «Il primo contingente di guardie è già sul posto».
Odino si alzò, facendo leva sulla testiera del letto.
Sin da quando Loki era precipitato nel vuoto, il Padre degli Dei aveva iniziato ad essere sempre più debole, e il fatto che ancora non sapesse dove fosse il figlio perduto aveva solo peggiorato la sua situazione.
Nonostante tutto, si rifiutava di cadere nel suo sonno rigenerante, benché fosse evidente che era una decisione che non poteva più essere rimandata.
«Chi ci attacca?», chiese Odino, afferrando la sua lancia.
«Dai primi rapporti, sembrano essere Elfi Oscuri», rispose Thor, mentre intercettava uno sguardo allarmato della madre, che si era alzata in fretta ed era corsa al fianco del marito.
«Elfi? Quella razza è in rovina. Cosa li ha rinvigoriti tanto da provocarci?», domandò Odino, con fare quasi offeso. «Portatemi la mia armatura!», sbraitò poi.
«Padre!», lo bloccò Thor, facendo un passo avanti. «Permettetemi di guidare l'attacco», domandò, con fare serio, Mjolnir già stretto in mano.
Odino valutò per un'istante lo sguardo del figlio, con una punta di soddisfazione nel notare che la folle brama di sangue sembrava essersi attenuata, nel corso del tempo.
Frigga gli posò delicatamente una mano sul braccio, come a dargli supporto.
Era stanco, il Padre degli Dei, e si sentiva più vecchio del dovuto.
«Hai il mio permesso, figlio», decise.
Thor raddrizzò le spalle.
«Non vi deluderò».

Erano passati quasi tre anni dalla scomparsa di Loki.
Normalmente Thor non si sarebbe nemmeno accorto di un lasso di tempo tanto breve, ma da quando la sua vita si divideva tra Asgard e Midgard era inevitabile che i costumi umani, tra cui il conto dei mesi e degli anni, gli fossero ormai familiari quanto quelli di Asgard.
All'inizio lo aveva cercato, ordinando ad Heimdall di frugare in ogni angolo più sperduto dell'universo. Aveva setacciato le biblioteche, sì aveva perfino letto dei libri*, interrogato i saggi e suo padre, ma ogni sforzo era stato vano. Per mesi aveva vagato nei pianeti più desolati e dispersi, senza trovare una sola traccia di Loki.
Dopo l'ultimo estenuante viaggio, durato quasi un anno intero, era stata Jane, con il suo solito candore, a ricondurlo alla ragione. Era evidente che Loki non voleva essere trovato, e cercare di forzare la cosa gli avrebbe solo creato frustrazione e tristezza. In più, rimanere lontano da Asgard per periodi così lunghi avrebbe dato una cattiva impressione al popolo, oltre a non essere d'aiuto ad Odino che, a poco a poco, aveva iniziato a non stare affatto bene.
Ormai erano mesi che Thor non lasciava Asgard se non per pochi giorni, che sfruttava per stare con Jane, oppure per salutare il resto dei suoi amici terrestri.
Quell'improvviso attacco, arrivato dopo anni di immobilità, turbava il figlio di Odino.
Anche se il solo pensiero gli faceva venire voglia di distruggere qualcosa a colpi di martello, niente poteva togliergli dalla mente il sospetto che dietro quell'aggressione in piena notte potesse esserci proprio Loki.
Nei suoi ricordi, l'unica persona che gli aveva parlato degli Elfi Oscuri era proprio il fratello.
E ormai Thor aveva smesso di credere nelle coincidenze.
Il mantello rosso danzava dietro di lui, mentre scendeva in fretta le scale che lo avrebbero portato all'ingresso del palazzo, dove un drappello di soldati lo attendeva.
Passi affrettati si accodarono ai suoi.
«Cosa succede Thor?», gli domandò la voce di Sif.
La guerriera lo affiancò, era già vestita per la battaglia e in mano stringeva la sua lancia a doppia lama. Fandral e Volstagg li raggiunsero pochi istanti dopo.
Hogun doveva essere già sul posto.
«Gli Elfi Oscuri ci stanno attaccando», spiegò il principe.
«Avranno scoperto la mia riserva di idromele», scherzò Volstagg.
«Sono anni che quegli insetti se ne stanno rintanati nel loro buco di pianeta!», esclamò invece Fandral. «Cosa vogliono ora?».
Thor aggrottò le sopracciglia, era una buona domanda. «Non lo sappiamo», ammise, poi si lasciò sfuggire un sorriso. «Cercate di non ammazzarli tutti, avremo bisogno di interrogarli», ordinò, prima di dedicare un lungo sguardo alla fila di soldati schierati accanto alle loro cavalcature.
Un grido ed un boato squarciarono la notte. Un lampo di luce intensa si alzò dal Bifrost.
Heimdall stava combattendo.
Thor iniziò a far ruotare il martello. «Sif, prendi il comando! Io vi anticipo», decise, prima di sollevarsi in volo.
La guerriera non perse tempo. «Avete sentito il Principe! In sella», arringò i soldati, accettando le briglie che uno scudiero le stava porgendo.
«Per Asgard!», urlò, lanciandosi al galoppo.

L'angusta camera del Bifrost era ingombra di corpi affannati, il pavimento scivoloso per il sangue di decine di Elfi Oscuri. Thor atterrò nel mezzo del combattimento, facendosi spazio intorno a colpi di martello. Con gli occhi, scrutò intorno a lui per scorgere Heimdall. Lo vide poco dopo, quasi sommerso da un'orda di quelle creature immonde e selvagge. Riuscì a raggiungerlo contemporaneamente all'arrivo di Sif e degli altri soldati.
La cacofonia del combattimento oscurò la ragione di tutti e per qualche minuto non vi spazio che per sangue e morte.
«Chi li comanda?», domandò Thor ad Heimdall, mentre sosteneva il Guardiano che perdeva sangue da una ferita profonda al fianco.
«All'apparenza nessuno. Sembrano attaccare senza ragione, non hanno cercato di dirigersi verso il palazzo», spiegò l'alieno, vibrando un fendente con la grande spada e troncando di netto un braccio ad un Elfo troppo invadente.
Thor rifletté freneticamente. Cosa potevano mai volere quel contingente così piccolo, di certo insufficiente a conquistare qualsiasi cosa?
Erano in netta minoranza, la battaglia avrebbe tenuto impegnati per qualche tempo i soldati, ma alla fine la guardia di Asgard avrebbero avuto la meglio.
Un lampo di consapevolezza fece tremare le mani di Thor.
«È un diversivo», mormorò, con un improvviso terrore sul volto.

Con il corpo premuto contro il parapetto della terrazza, Frigga scrutava accigliata i lampi della battaglia che accendevano il Bifrost. Il suo cuore di madre temeva ogni volta che suo figlio scendeva in battaglia. Benché confidasse nelle sue capacità, e in quelle dei compagni fedeli che lo accompagnavano, non poteva impedire a sé stessa di sperare che quello fosse l'ultimo scontro cui Thor partecipava.
Frigga comprendeva la necessità della guerra, ma anelava la pace con forza disperata.
Ma esistevano cose che nemmeno gli dei potevano cambiare.
Odino, accanto a lei, le cinse il fianco. «Siete preoccupata, mia Regina», osservò.
«Voi non lo siete?», replicò lei, tenendo gli occhi fissi.
Odino le concesse un breve sorriso. «Confido nell'abilità di Thor. Gli invasori sono pochi, in confronto alle nostre forze».
«Io temo i nostri nemici», ammise Frigga. «Ci hanno attaccato a casa nostra, nel pieno della notte... cosa gli impedirà di rifarlo, con forze più potenti?**», domandò.
Odino osservò la moglie con ammirazione. Per quanto la maggioranza degli asgardiani considerassero le donne solo begli ornamenti, grazie a Frigga, Odino aveva imparato ad apprezzarne la perspicacia e la lungimiranza, oltre che la forza emotiva.
«Capiremo cosa vogliono, li staneremo, e li elimineremo», replicò Odino, con sicurezza.
Ma Frigga non riuscì a tranquillizzarsi.
Qualcosa che non andava.
Un rumore improvviso, come di stoffa che viene lacerata, interruppe il dialogo.
Odino strinse le dita sulla lancia, facendo un passo avanti.
Oltre l'arco ogivale della finestra si intravedeva solo l'immobilità placida della loro stanza.
Un singolo passo, pesante come quello di un gigante, fece tremare la pietra sotto i piedi di Frigga.
Una figura imponente, alta più di due metri e coperta da un'armatura di metallo color oro scuro e placche violacee, che sembrava un tutt'uno con la pelle accartocciata d'un grigio spento, avanzò lentamente. I passi aprivano crepe nel pavimento della terrazza.
Due occhi crudeli, accesi di bagliori azzurro intenso, si appuntarono in quelli di Frigga.
Un grido si fece strada nella gola della Regina.

Un urlo familiare e lacerante giunse alle orecchie di Thor mentre, abbattendo nemici su nemici, cercava di raggiungere Hogun che faticava a tenere a bada alcuni Elfi.
Il Dio del Tuono si bloccò, pietrificato.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, l'avrebbe sentita anche attraverso l'universo a mondi di distanza.
“Madre”, formarono le sue labbra, senza voce.
«Thor!», lo chiamò Sif, affiancandolo ed abbattendo un Elfo davanti a lui, passandolo da parte a parte con la sua lancia. «Che ti prende?», domandò, mentre fermava l'assalto di un altro aggressore.
Un terrore freddo come il ghiaccio corse lungo la schiena del dio. «Siamo stati ingannati», disse, guardando gli occhi chiari di Sif.
La guerriera aggrottò le sopracciglia perplessa. «Cosa intendi?».
Thor non rispose. «Resta qui!», le ordinò, mentre con una sola rotazione di Mjolnir si sollevava in aria e spariva lontano, in direzione del palazzo.
Anche se inquieta, Sif si riprese in fretta, urlando nuovi ordini.

Odino puntò Gungnir verso l'invasore ma quello fu rapido, con un gesto afferrò l'arma leggendaria e la strappò dalla mani del Padre degli Dei, rendendolo indifeso.
L'essere mostruoso non aveva detto una parola, e all'apparenza sembrava armato solo della propria forza.
«Chi sei tu, che osi sfidare Asgar...», iniziò Odino, ma l'essere lo zittì, colpendolo con un manrovescio che scagliò il Padre degli Dei contro il parapetto.
Un sottile filo di sangue sgorgò dalle labbra di Odino, mentre con fatica tentava di rimettersi in piedi. Heimdall aveva di sicuro già sentito il suo allarme, e i rinforzi stavano per arrivare.
Eppure il Padre degli Dei era spaventato.
Quell'essere sconosciuto era al di là delle sue forze e della sua conoscenza.
Non era un Elfo Oscuro, non assomigliava a nessuna creatura che avesse mai visto, in tutta la sua lunga vita.
L'essere tornò a fissare Frigga, che tremava di terrore, immobile, aggrappata al parapetto come se fosse la sua unica salvezza.
Quando il guerriero fece un passo avanti, lei soffocò un sussulto di spavento.
«Io sono Thanos», annunciò la creatura, con una voce antica come le stelle. Sembrava crepitare come fuoco, e sgorgare come veleno da quelle labbra spaccate.
Un ghigno indistinto tra la soddisfazione e il divertimento gli accese il volto impassibile.
«Sono venuto a reclamare ciò che è mio», annunciò, mentre con un movimento fluido, quasi aggraziato, trafiggeva il petto di Frigga usando la stessa lancia del marito.
«No!», urlò la voce trasfigurata dal dolore di Odino, coperta dal grido identico di Thor, giunto appena in tempo per assistere alla scena.
L'essere si beò della sofferenza, respirandola a pieni polmoni, osservando gli occhi della Regina spegnersi lentamente, mentre il sangue e la vita scivolavano via.
Un fulmine di potenza inaudita lo colpì alle spalle, ma sulla pelle resistente come un'armatura fu più simile ad una carezza.
Ghignando, Thanos lasciò Gungnir e affrontò Thor, che gli si era scagliato contro, accecato dal dolore e dalla rabbia. Come farebbe un cane con una pulce, Thanos si scrollò di dosso il possente Dio del Tuono. Lo costrinse a terra con una sola mano, stringendogli il collo in una morsa ferrea.
Gli occhi azzurri del Dio si socchiusero, appannati dalle lacrime e dal dolore improvviso che il tocco della creatura diffondeva in tutto il suo corpo. Si sentiva come se ogni nervo della sua carne fosse in fiamme.
«Dì a tuo fratello che lo sto aspettando», sibilò Thanos.
Sul palmo della sua mano libera, fluttuava un piccolo globo azzurro, del tutto simile al Tesseract.
Fu l'ultima cosa che gli occhi di Thor videro, prima di sprofondare in un oblio acceso di urla e con l'odore del sangue.

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* Vaga citazione di un dialogo tra Loki e Thor nel capitolo nono di "A series of unfortunate events" di Alkimia187, se non l'avete ancora letta, FATELO

**Citazione di quello che Loki dice a Thor nel film "Thor" dopo la mancata incoronazione

Ok, con le citazioni ho terminato, si fa per dire, ne metto sempre un sacco XDXD

So che avete voglia di ammazzarmi doppiamente dopo questo capitolo, ma comprendete, avevo bisogno di qualcosa di veramente grosso per smuovere le acque, e d'altrone ormai Thanos doveva fare qualcosa di decisamente cattivo, dato che finora non gli ho fatto fare niente.

Anche se da alcune foto del set di Thor 2 si intuisce l'aspetto degli Elfi Oscuri, io ho voluto ingnorare la cosa e me li sono inventati di sana pianta ;)
Le descrizioni di Asgard si basano sul poco che abbiamo visto in Thor e sulla mia fantasia.

ancora un capitolo senza Loki e senza sapere il destino di Khalida, mi perdonerete?
Forse tra un po'...

intanto grazie alle persone che hanno letto il prologo, tantissime, e quelle che hanno recensito e già inserito la storia nei preferiti o nelle seguite.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Come un buco nero ***


Ringrazio le persone che stanno seguendo questo terzo capitolo. So già che per me sarà molto sofferto da scrivere, dato che è gia due settimane che sono in blocco quasi totale, ma per vostra fortuna alcuni li avevo già scritti, per cui non vi lascio a secco.
Il vostro supporto è fondamentale, e vi ringrazio di nuovo.
Per il resto, ci vediamo in fondo.




Il braciere fumava appena, ormai morente.
La stanza era immersa nella penombra, una lieve brezza faceva danzare l'orlo delle tende candide.
Con gli occhi colmi di lacrime, Thor osservò il volto della madre nascosto dal velo cerimoniale che sarebbe stato tolto solo al momento del funerale. Per il momento, il Principe aveva dato ordine che fosse rimandato a tempo indeterminato, fino a che Odino, precipitato nuovamente nel suo Sonno, non si fosse risvegliato.
I saggi avevano tentato di dissuaderlo, facendo presente che il risveglio di Odino non era così imminente, ma Thor non aveva ascoltato.
Stava affrontando la perdita di sua madre, accettare anche quella di Odino era troppo.
Fino a che suo padre continuava a respirare, aveva intenzione di agire come se stesse per svegliarsi da un momento all'altro.
Thor portò le mani al volto, togliendosi i capelli dal viso, sperando di poter cancellare anche quelle lacrime che non riusciva a fermare.
Nel corso della sua lunga vita, non si era mai sentito smarrito.
Perfino durante l'esilio su Midgard, quando Loki gli aveva mentito comunicandogli la morte di Odino, Thor sapeva che ad Asgard era rimasto qualcuno che lo amava incondizionatamente, che avrebbe sempre cercato il suo bene, qualsiasi cosa avesse fatto. Aveva sempre bramato l'ammirazione del Padre degli Dei, la sua stima, ma dentro di lui era a conoscenza che l'amore di Frigga non era condizionato e non sarebbe svanito mai.
Ora l'assenza di quella certezza era pesante come un macigno di rimorsi e sensi di colpa dritto sul petto, che gli impediva di respirare liberamente.
Il fatto che non l'avrebbe mai più vista sorridere, né alzare gli occhi al cielo ad una sua uscita un po'spaccona, gli faceva tremare la terra sotto i piedi.
La morte era una cosa cui non poteva rimediare.
Come un buco nero, aveva inghiottito tutto ciò che rimaneva della sua infanzia, e Thor si sentiva improvvisamente solo ed adulto.
Chissà se era la stessa sensazione che aveva provato Loki, quando aveva scoperto che la sua famiglia era solo una menzogna. Improvvisamente sentiva di poterlo comprendere meglio di prima, anche se immaginava che lui non gli avrebbe mai creduto.
Ricordava ciò che il fratello gli aveva detto, troppo tempo prima.
Il peso del trono, è ricaduto su di me.
Aveva sempre immaginato il momento in cui sarebbe diventato re come una festa, qualcosa che l'avrebbe riempito di gioia ed orgoglio. E invece Loki aveva ragione, quella responsabilità era solo un peso insopportabile, ora che l'aveva ricevuta a spese della vita della madre e del destino incerto del padre.
Forse Loki aveva avuto ragione anche su molte altre cose.
«Thor», lo chiamò piano la voce di Sif, entrando con cautela nella stanza.
Dietro di lei, i Tre Guerrieri, ombre silenziose, attendevano sulla soglia.
Sif sorrise appena, quando Thor le restituì uno sguardo rassegnato e triste. Si sedette accanto al compagno, sfiorandogli appena la mano.
«Le persone che hai convocato sono arrivate», annunciò.
Thor annuì.
«Cosa hai intenzione di fare?», chiese nuovamente la guerriera.
Il Dio del Tuono dedicò un lungo sguardo al corpo della madre.
Si alzò, lentamente.
«Quello che è giusto», affermò con forza, sollevando Mjolnir.
Sif scambiò uno sguardo con i Tre Guerrieri. «Qualsiasi cosa deciderai, saremo con te».
Thor osservò i suoi compagni uno ad uno.
Per quanto potesse sentirsi perso, almeno aveva la certezza di non essere realmente solo.
«Grazie, amici miei».

Heimdall era a capo scoperto, un segno di rispetto nei confronti del corpo della Regina che giaceva nella stanza accanto. Appoggiato alla sua spada, serio come sempre, scrutava Thor con i suoi occhi capaci di vedere ben al di là di ciò che semplicemente appare.
Benché cresciuto, il principe era ancora un bambino in confronto alla sua millenaria esperienza, ma il Guardiano di Asgard confidava che avrebbe preso la decisione più corretta.
Anche se provato, il volto del Dio del Tuono era fiero e deciso, mentre accoglieva Heimdall con un semplice e rispettoso cenno del capo.
Voltandosi verso il secondo ospite, si lasciò sfuggire un breve sorriso.
«Vi ringrazio di essere venuta con così poco preavviso, Lady Amora», mormorò, prima di sfiorare la mano della Dea con un delicato baciamano.
«Comprendo l'urgenza, mio Principe. Per quanto le trattative con Vanaheimr siano importanti, la mia presenza era necessaria» rispose lei, togliendosi l'elmo e rivelando una folta capigliatura color rame. «Vi prego di accettare le mie sentite condoglianze. La morte della Regina è un duro colpo per tutta Asgard, ma non è paragonabile alla vostra perdita», aggiunse.
Thor accettò le parole della donna con cenno della testa. «Vi ringrazio».
«Cosa avete intenzione di fare?», domandò Heimdall.
Il Dio del Tuono sospirò. «Credo che tu lo sappia già», ammise.
Heimdall sembrò respirare profondamente. «Non sono stato in grado di trovare Loki per molto tempo, cosa ti fa credere che ora potrei farlo?».
«Cosa?», esclamò Sif. «È questo il tuo piano? Andare a cercare Loki, di nuovo?», aggiunse, sbalordita.
Thor si era preparato a quella reazione. «È l'unico che può aiutarci. Conosce il nostro nemico meglio di noi».
«Loki è l'unica ragione per cui abbiamo questo nemico», osservò Fandral. «Se non fosse per la sua follia, tutto questo non sarebbe mai accaduto».
«Il Principe Loki non avrebbe mai desiderato la morte della Regina», li interruppe Amora.
I Tre Guerrieri ammutolirono a quell'affermazione così ferma, e Thor provò un'inaspettata fitta al cuore nel sentire che non era il solo a credere ancora in Loki, o nel ricordo che era rimasto di lui.
«Come osa chiamarlo Principe?», sibilò Sif, con fare oltraggiato.
Amora la freddò con un'occhiata color smeraldo, cristallina ed affilata. «Non mi risulta che il Padre degli Dei l'abbia mai rinnegato. Fino a quando non accadrà, Loki sarà ancora il mio Principe».
«Lady Amora è nel giusto», la sostenne Heimdall. Benché personalmente non provasse simpatia, né comprensione, per quel generatore di caos che era Loki, le decisioni di Odino non andavano contestate.
Sif strinse le labbra, sconfitta, dato che non poteva certo inveire con persone di così alto rango. Guardò Thor.
«Come hai intenzione di trovarlo? Tutti gli altri tentativi si sono dimostrati vani», chiese, con fare più pratico.
Il Dio del Tuono fissò nuovamente Heimdall, e ancora una volta il Guardiano anticipò i suoi pensieri.
«L'umana».
Volstagg, perplesso, si grattò la testa ispida. «Ma non era morta?», chiese, rivolto a Thor.
Lui scosse la testa. «È quello che gli umani vogliono farci credere, ma è viva. So che lei può rintracciare Loki. Me l'aveva promesso».
Fandral sbuffò. «E ti fidi della promessa di una terrestre?».  
Thor fissò il compagno negli occhi, e Fandral mostrò subito un'espressione rammaricata. Si era ricordato troppo tardi del legame sentimentale di Thor con Jane. «Perdonami, sono stato avventato», aggiunse.
Thor accettò le scuse con un cenno. «Mi fido di Khalida», aggiunse poi, come a scongiurare altri interventi sgradevoli. «Heimdall, voglio che la rintracci», ordinò poi.
«Non l'ho mai persa di vista», ammise il Guardiano.
«Prepara il Bifrost, allora», incalzò, poi guardò i suoi compagni. «Preparatevi, partiremo immediatamente».
Lady Amora si schiarì brevemente la voce.
«Se permettete, mio Principe», iniziò. «Non sarebbe saggio che anche voi vi allontanaste da Asgard. Con la morte della Regina e il Padre degli Dei sprofondato nel Sonno, il popolo si aspetta che voi ascendiate al trono».
Thor strinse i pugni. «Non permetterò che qualcun altro vada in cerca di Loki. È una faccenda di cui devo occuparmi personalmente».
Amora chinò il capo con fare rispettoso. «Lo comprendo. Dovreste designare un reggente, che possa fare le vostre veci durante il viaggio su Midgard», propose la Dea, diplomatica.
Thor comprese perché Odino la considerasse la migliore ambasciatrice di Asgard, aveva una dote davvero notevole nel far apparire vera ogni parola che pronunciava. Non a caso la chiamavano l'Incantatrice.
«Heimdall, sarai tu ad occupartene», annunciò Thor, dopo una breve riflessione. «Lady Amora, desidero che lo aiutiate, come consigliera».
La Dea si lasciò sfuggire un sorriso lusingato.
«Voi mi onorate, mio Principe».
Thor le dedicò un sorriso leggermente più rilassato.
Ora che la decisione era stata presa, si sentiva meglio.
Abbracciò con lo sguardo i suoi compagni, che lo accompagnavano sin dall'infanzia.
«Miei amici, andremo su Midgard».

Thanos avanzò lentamente, affacciandosi sulla distesa desolata della landa spazzata dal vento gelido. Nella conca, miliardi di anni prima, c'era un lago, di cui rimaneva solo una spessa lastra di ghiaccio crepata in più punti.
La pallida luce delle stelle danzava sulla superficie riflettente, creando un cielo parallelo e distorto. Thanos tese lentamente la mano e il ghiaccio tremolò come se fosse tornato liquido.
La luce venne risucchiata in un vortice e una finestra di buio si aprì, rivelando una figura sottile ed elegante immersa nella penombra. Era chiaramente una donna, ma il volto era celato da un'impenetrabile velo candido.
Thanos la scrutò con attenzione.
Le informazioni erano la fonte di potere più affidabile che possedeva, e la sua capacità di procurarsele non conosceva limiti, né confini.
Cercare alleati ad Asgard, da sempre grembo di traditori e voltafaccia, era stata una delle prime mosse del suo piano. Poco importava se quella pedina desiderava proteggersi celando la sua identità. Non aveva affatto bisogno di vederla in faccia per sapere chi era, ma preferiva lasciarle in mano un briciolo di illusorio potere. L'avrebbe resa più motivata.
«Il vostro piano sta producendo i frutti sperati», disse una voce di donna, leggermente distorta dal canale di comunicazione inusuale, per una della sua razza.
«Ne dubitavi?», osservò Thanos.
«Ovviamente no», si affrettò ad aggiungere lei. «Come da voi previsto, Thor si è precipitato a cercare Loki. Pare che conosca un modo per farlo. Qualche ora fa si è recato su Midgard in cerca di un'umana», la voce della donna assunse una sfumatura di disprezzo, e Thanos ne godette. Ogni razza che si crede migliore delle altre, pur non essendolo, disprezza le forme di vita inferiori.
L'arroganza era il maggior difetto degli asgardiani e presto gliela avrebbe fatta rimpiangere.
«Non mi avete ancora detto cosa avrò in cambio per le mie informazioni», azzardò l'asgardiana, probabilmente incoraggiata dal suo silenzio.
Thanos fece un sorriso dall'aria melliflua. «Tutto ciò che desiderate», concesse.
Il corpo della donna fu scosso da un fremito. «Quando avrete piegato la Città Eterna al vostro volere, voglio un posto accanto al Re che voi designerete», dichiarò lei, con fermezza. Nella voce traspariva la risolutezza dei sogni a lungo accarezzati e alimentati. Desideri così forti da spingerla ad architettare la rovina della città che bramava così tanto.
«E se quel Re fossi io?», fece Thanos.
Lei non vacillò. «Ne sarei incredibilmente lusingata, mio signore», disse.
Bugiarda e adulatrice, una perfetta asgardiana, non c'era nulla da dire. Sarebbe stata una regina più che adeguata per quel regno fondato nel sangue e alimentato da bugie.
«Avrai ciò che vuoi», promise Thanos.
«Quando desiderate che vi contatti nuovamente?», chiese la donna, incapace di controllare l'improvvisa emozione che gli scosse la gola.
Un basso ringhio nacque in fondo alla gola del titano. «Quando saprai dirmi qualcosa che non so già», replicò gelido, mentre con un gesto della mano lasciava svanire il portale così come era apparso.
Avere a che fare con la gretta ambizione della feccia asgardiana provava la sua pazienza. Improvvisamente era tentato di abbandonare il piano e liberare l'universo da quel foruncolo infetto seduta stante. Gli sarebbe bastato un solo ordine.
Una mano candida gli si posò sul braccio e lo percorse lentamente.
«Controllati», sussurrò una voce a pochi millimetri dal suo orecchio. «Non è così che deve andare», aggiunse.
Thanos voltò il capo e si beò di Lei. La sua crudele bellezza, con quei capelli di tenebra che si avvolgevano in spirali seducenti sulle spalle nude, gli scatenava dentro una tempesta di sentimenti misti tra adorazione e sofferenza. Ad una sua sola parola, sarebbe potuto anche cadere in ginocchio, talmente si sentiva sopraffatto dalla sua perfezione.
«Lo so», mormorò, mentre Lei gli dedicava un lungo sguardo delicato.
Gli passò una mano sulla guancia e lui socchiuse gli occhi.
«Ricordi cosa mi avevi promesso?», domandò Lei, mentre gli occhi turchesi lampeggiavano.
«Che Asgard ti avrebbe implorato e adorato, tu sola Dea tra tutti», rispose prontamente Thanos.
Lei sorrise, la bella bocca piegata in un ghigno perverso e malvagio. «E così sarà. Li sfiancherai, li abbatterai proprio lì, nelle loro patetiche certezze. E non appena crederanno di aver vinto, tu li spezzerai», illustrò, con voce suadente. «Ogni singolo abitante mi chiamerà, vorrà il mio sollievo, mentre brucerà», concluse, facendo un passo avanti.
Prese il volto deforme del titano tra le mani sottili e delicate, leggere come farfalle.
L'alieno la osservò, soggiogato.
Le sue labbra si mossero insieme a quelle di Lei, pronunciando la sentenza.
«Asgard invocherà la Morte».
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Allora, iniziamo a capire qualcosa di più dei piani di Thanos, e conosciamo meglio la Morte, anche se, come ho già detto, è tutto nella testa di Thanos.
Facciamo anche la conoscenza di Amora. è un personaggio che ultimamente va di moda nel fandom, sinceramente, ma spero che la mia versione avrà qualcosa di nuovo da dire.
nell'originale Amora è una maga, innamorata di Thor, che danza da un lato all'altro, a volte con i buoni altre con i villains di turno. Nella mia versione è una delle ambasciatrici di Asgard, diplomatica e tenuta in grande stima dal padre degli dei. con la magia non centrerà niente, in più anche fisicamente mi sono allontanata dai canoni. Non so ancora quanto sarà importante il suo ruolo nel corso della storia, immagino che lo scopriremo insieme.

Ancora grazie per essere arrivati fin qui,
a presto,
Nicole

PS: se comincio ad andare OOC con Thor, avvisatemi, che trovo un modo per ucciderlo XD

PPS: Khalida è viva, siete contenti? come avrà fatto a sopravvivere? ditemi le vostre teorie! 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Come un terremoto ***


Lo so, sono in tremendo ritardo, a mia discolpa posso dire che sono appena uscita da una brutta crisi da pagina bianca che si sta finalmente risolvendo in questi giorni. Non volevo postare prima di essere certa di non poter proseguire con la storia in tempo relativamente brevi. Vi chiedo comunque perdono.
Vi lascio al capitolo, per le note finali ci vediamo in fondo.
Enjoy!



I grilli frinivano rumorosamente nell'aria immobile e umida.
Lungo la strada sterrata che costeggiava la spiaggia, un Land Rover decelerò bruscamente, infilandosi in un vicolo stretto e cieco, che terminava davanti ad una modesta abitazione di legno. Il motore si spense borbottando, ma i fari rimasero accessi, illuminando a giorno il piccolo cortile ordinato. Sulla sinistra, un folto roseto dava bella mostra di sé mentre sulla destra un piccolo orto rigoglioso diffondeva un leggero odore di menta e basilico.
«È stata una bella serata», mormorò l'uomo alla guida, slacciandosi la cintura di sicurezza.
«Anche per me», rispose la donna, lisciandosi con il palmo della mano la minigonna.
L'uomo le dedicò un lungo sguardo consapevole.
«Immagino che non ce ne saranno altre», disse.
Lei si mostrò sorpresa. «Perché dici così?».
Lui sorrise. «Keira, sei una bugiarda di grande talento*, ma sono abbastanza esperto per capire quando una donna vuole tenermi a distanza».
Smascherata, lei abbassò gli occhi. «Francois...», iniziò.
«Ora non iniziare con la solita storia “non sei tu, sono io”. So ammettere una sconfitta Keira, e so anche accettarla», la fermò l'uomo, posandole un dito sulle labbra.
Lei stirò un poco la bocca, in un accenno di sorriso. «Sei un brav'uomo Francois».
Lui sbuffò. «Sì, lo sono proprio. Un altro ti sarebbe saltato addosso immediatamente, per colpa di quel vestito», scherzò, spostando la mano in una carezza sulla guancia.
Keira si sporse in avanti e gli posò un leggero bacio sulle labbra, slacciandosi contemporaneamente la cintura di sicurezza.
«Grazie. Ci vediamo in paese».
«Salutami Ivy», replicò lui, accendendo il motore.
Keira lo lasciò con un ultimo sorriso più rilassato, mentre scendeva dalla Land Rover.
«Sarà fatto», replicò, prima di voltarsi e dirigersi verso il piccolo portico.
Prima di infilare la chiave nella serratura, si voltò un momento, osservando i fanali rossi dell'auto sparire oltre il vialetto.
Si lasciò sfuggire un sospiro misto di delusione e sollievo.
Spinse l'uscio di legno pesante con la spalla, aiutandosi con il piede, in una studiata sequenza di gesti che serviva a sbloccare la chiusura difettosa della porta.
Non appena dentro, la donna si appoggiò alla parete, passandosi le mani tra i capelli lunghi, che le arrivavano fino alla vita. Davanti a lei un grande specchio le rimandò la sua immagine.
Era invecchiata in quei tre anni, quasi ne fossero passati dieci, e lei ne sentiva il peso dritti sulle spalle. Poteva vestirsi da ventenne, con i tacchi alti, le gonne corte e i capelli lunghi da bambina, ma sulle pelle i segni stavano diventato troppi e troppo profondi. Si accigliò, notando come la pelle si accartocciava malamente in mezzo alla fronte e agli angoli degli occhi.
Non era mai stata vanitosa, ma forse non si trattava di mera apparenza.
Il tempo stava passando, in fretta, e quelle nuove cicatrici, molto diverse da quelle che portava più in profondità, ne erano una testimonianza palese.
In tutte le sue decine di coperture, Khalida aveva sempre mantenuto l'iniziale del suo nome. Era una piccolezza, ma l'aiutava a mantenere il senso della realtà nella ragnatela di bugie in cui aveva sempre vissuto e in cui viveva tutt'ora.
Anche se non aveva avuto voce in capitolo nella scelta del suo nuovo nome, la tradizione era stata comunque mantenuta. Ora la carta d'identità recitava Keira Rushman**, nata in un sobborgo di New York da genitori pakistani, ufficialmente giornalista di cronaca nera in “pausa di riflessione”.
Fury si era dato un gran da fare per costruirle una copertura più che perfetta, inventando perfino una spiegazione per le numerose cicatrici causate da proiettili che le solcavano il ventre.
Con un gesto quasi arrabbiato, Khalida scalciò via le scarpe scomode, mentre quel pomeriggio gelido le tornava alla mente.
Nei pochi secondi che lei aveva impiegato per accorgersi dell'enorme scatola di C4 sospesa sopra di lei, in quel maledetto elicottero, l'agente al suo fianco aveva indossato alla svelta un piccolo zaino con all'interno uno di quei paracadute ultraleggeri di ultima generazione. Senza dire una sola parola, l'aveva afferrata e legata a lui attraverso una cinghia così stretta da toglierle il fiato. Si era gettato giù dal velivolo una manciata di secondi prima che la bomba esplodesse.
La detonazione li aveva mandati fuori rotta e per un attimo Khalida aveva temuto che sarebbe morta sul serio, poi l'agente aveva stabilizzato il paracadute e l'aveva diretto sul tetto di un vicino edificio.
Lì l'aspettava l'agente Hill.
In poche parole le aveva spiegato che Fury aveva previsto quella mossa da parte del consiglio, che la voleva morta, ed aveva organizzato un piano d'emergenza.
Khalida era già stata dichiarata ufficialmente deceduta, giustiziata come traditrice, e quindi avevano un raggio d'azione abbastanza ampio.
Mentre si dirigevano verso un Hummer blindato con i vetri oscurati, Maria Hill le aveva consegnato un altro borsone, identico al primo, con dentro la sua nuova identità.
Il patto di Fury era semplice. Khalida avrebbe potuto decidere dove andare a vivere, purché fosse un luogo isolato. Sarebbe stata libera di condurre una vita relativamente normale, sotto la costante sorveglianza dello S.H.I.E.L.D. Se lei fosse stata buona e tranquilla, l'agenzia non l'avrebbe disturbata oltre.
L'alternativa non esisteva, e se c'era Khalida non era disposta a prenderla in considerazione.
Aveva accettato e scelto senza nemmeno pensarci un secondo.
«Haiti», aveva detto e l'agente Hill aveva sollevato un sopracciglio, sorpresa. Dopo aver comunicato la destinazione al suo contatto, la donna l'aveva guardata con una lunga occhiata penetrante.
«Perché?».
Khalida si era stretta nelle spalle. «Mi piace il caldo», aveva detto, salendo in auto senza aggiungere nient'altro.
In realtà la ragione era ben più profonda e complicata, ma lei non era certo disposta a condividerla con Maria Hill.
Durante tutta la sua esistenza Khalida era stata considerata compromessa, progenie di traditori e indegna di fiducia. Sul suo fascicolo ormai c'erano più annotazioni negative che altro.
Era stata definita instabile, egoista, bugiarda, doppiogiochista e manipolatrice.
In realtà, se lei avesse dovuto definirsi con una sola parola avrebbe scelto danneggiata***.
Aveva scelto Haiti perché era un paese danneggiato quanto lei, un posto dove forse si sarebbe potuta sentire a casa.
Inutile dire che le prime settimane erano state difficili. Non riusciva a dormire, tormentata da incubi di ogni genere, e le sue interazioni sociali erano pressoché nulle. Aveva passato molto, troppo tempo, nella nebbia acquosa di vari liquori e qualche farmaco.
Si era concessa esattamente tre settimane per piangersi addosso, poi una mattina si era alzata, si era truccata con cura e aveva iniziato a cercare lavoro.
L'aveva trovato senza troppo sforzo, grazie al curriculum falso da giornalista fornito dallo S.H.I.E.L.D., e in breve tempo era diventata un nome abbastanza conosciuto nella comunità del piccolo paesino del nord dell'isola dove si era rifugiata. Lavorando per un paio di testate locali di media diffusione, scriveva di un po' di tutto, da fatti di cronaca internazionale, ai resoconti degli eventi locali. Tutto sommato, era un lavoro che le piaceva, e attraverso la scrittura, da buona psicologa, aveva trovato una valvola di sfogo con cui stava affrontando a poco a poco tutte le sue ferite e i suoi traumi.
Si era crogiolata in quella nuova tranquillità, convinta che ormai il peggio fosse passato.
Era stato un pomeriggio di due anni prima, caldo e assolato, che un terremoto aveva stravolto la sua nuova vita, con la stessa devastante potenza del sisma che aveva scosso l'isola nel duemiladieci.
Mentre camminava lungo la stradina isolata che dalla sede del giornale portava a casa sua, una ragazzina le era venuta incontro a passo svelto, il capo chino e il volto celato dal cappuccio della felpa di molte taglie più grandi. Khalida non le aveva dato molto bado, concentrata sul cellulare, e quando la ragazzina le era venuta addosso, apparentemente per distrazione, si era limitata a rimbrottarla senza convinzione.
Pochi passi più in là, si era accorta che la borsa era diventata improvvisamente troppo leggera. Si era voltata giusto in tempo per vedere la ragazzina scappare con il suo MacBook tra le braccia. L'istinto aveva agito per lei, e Khalida aveva immediatamente mollato la borsa in terra inseguendo la ladra e raggiungendola dopo pochi minuti di affannato inseguimento. Senza pietà, l'aveva atterrata con un calcio mirato agli stinchi e l'aveva bloccata a terra sedendosi a cavalcioni su di lei.
Solo allora, quando l'aveva finalmente guardata negli occhi si era accorta di quanto fosse giovane, dimostrava sedici anni, ma ne aveva sicuramente di meno.
La ragazzina si era ribellata a lungo, anche quando Khalida, tenendola per un gomito, l'aveva costretta ad alzarsi e l'aveva portata a forza al primo posto di polizia.
Lì, aveva appreso la sua storia.
Si chiamava Ivy, nessun cognome conosciuto. Semplicemente una delle migliaia di orfane del terremoto.
I poveretti che cercavano le loro famiglie l'avevano tirata fuori dalle macerie tre giorni dopo il sisma, aveva solo dieci anni e a malapena riusciva a parlare, per colpa dello choc.
Nella devastazione del terremoto c'erano troppe cose di cui occuparsi e Ivy era diventata una dei tanti bambini senza famiglia che avevano imparato a sopravvivere grazie ad espedienti di ogni tipo.
L'agente di polizia le aveva raccontato che era un'ospite fissa della centrale, ma che in fondo non faceva male a nessuno, se non per qualche scippo e qualche furto minore. Nessuno infatti aveva avuto il cuore di denunciarla, nel paese la conoscevano più o meno tutti.
Khalida aveva guardato a lungo quella ragazzina, di appena quattordici anni, magra come un chiodo, sprofondata nella poltroncina e in vestiti troppo grandi per lei.
Aveva già gli occhi di una donna, una donna arrabbiata e disillusa.
Khalida aveva riconosciuto quello sguardo, come se si stesse guardando allo specchio.
Aveva chiesto all'agente di parlare con lei, si era presentata e aveva fatto la sua proposta.
Non l'avrebbe denunciata se lei fosse venuta a vivere con lei.
Dapprima Ivy l'aveva derisa, credendola una stupida, e poi un'imbrogliona, ma Khalida aveva insistito, e la ragazzina aveva ceduto, probabilmente allettata dalla prospettiva di un pasto caldo, un bagno vero e un letto decente.
La convivenza non era stata affatto facile. Nei primi tempi Khalida aveva dovuto rincorrerla in giro per tutto il paese e mettere sotto chiave ogni cosa che la ragazzina avrebbe potuto rubarle, ma Khalida era testarda e, con molta calma, aveva costruito un rapporto con quella ragazzina, portandola ad aprirsi, facendo sì che si fidasse di lei.
Ormai, dopo due anni, Khalida la considerava sua figlia in tutto e per tutto, e si stupiva ancora dell'intensità del sentimento che provava per lei. In un certo qual modo la rassicurava, convincendola che quel muscolo che le batteva nel petto non serviva solo a tenerla in vita.
Ivy si era trasformata, aveva preso peso e abbandonato l'espressione perennemente arrabbiata. Era un'adolescente come tante altre certo, più matura, più dura e meno ingenua, ma ribelle e insopportabile tanto quanto le sue compagne di scuola.
Era un successo enorme, considerando da dove era partita.
«Hai intenzione di rimanere nell'ingresso ancora per molto?», la rimbrottò la voce canzonatoria di Ivy, dal salotto.
Aggrottando le sopracciglia, Khalida si incamminò verso l'interno della casa.
Ivy era seduta sulla poltrona davanti alla porta finestra che dava sul mare, le lunghe gambe magre ripiegate sotto il corpo, i capelli castani crespi arruffati come al solito e le belle labbra carnose piegate in una smorfia di disappunto.
«Ti avevo detto di non aspettarmi alzata», fece presente Khalida, posando la borsa sul divano.
Ivy sbuffò, roteando i grandi occhi scuri. «È prestissimo! Non vado a letto a quest'ora da anni», replicò, incrociando le braccia al petto. «Immagino che la serata non sia andata molto bene. Quando ti deciderai a divertirti sul serio?», aggiunse, con tono di rimprovero.
Stavolta fu Khalida a sbuffare. «Avevamo stabilito che in questa casa sono io la madre, e tu la figlia, non il contrario».
Ivy fece un sorrisino divertito. «Non sei ancora mia madre», fece, con fare strafottente.
Khalida gettò un'occhiata al grande orologio da parete alla sua destra. «A dir la verità sì. È passata la mezzanotte da pochi secondi. Da oggi sono ufficialmente tua madre, secondo lo stato».
Un lieve tremito percorse il volto di Ivy. «È successo allora. Ho ufficialmente un cognome», mormorò, mentre gli occhi si spegnevano appena.
Khalida la raggiunse, posandole una mano sulla spalla sottile. «Mi dispiace che sia qualcosa di mediocre come Rushman», scherzò, per farle fuggire quel buio improvviso dallo sguardo.
Benché avesse un passato difficile alle spalle, anche al suo peggio Ivy possedeva una luce viva e sfrontata negli occhi, quasi a prendersi gioco di tutti gli ostacoli che la vita le aveva messo davanti.
I pochi attimi in cui quella luce si spegneva, impensierivano Khalida.
Se fossero diventati più frequenti, Ivy sarebbe stata troppo simile alla donna che era stata lei alla sua età. E non era quello che desidera per lei.
«Già», annuì lei. «Che poi mi sembra un cognome ridicolo, per una di origini pakistane», commentò, alzandosi dalla poltrona.
Khalida era alta, ma Ivy la sovrastava comunque. Ad un'occhiata distratta, qualcuno poteva scambiarle davvero per parenti, avevano una corporatura simile, anche se Khalida possedeva una figura più androgina e spigolosa. La ragazza era molto più bella di lei, con i lineamenti tipici da sudamericana, curve morbide e proporzionate, la pelle mulatta vellutata, la bocca larga e carnosa e gli zigomi alti. Ivy solitamente non amava mettersi in mostra, l'essere di bell'aspetto le aveva creato molti problemi quando viveva per strada e preferiva nascondere il fisico in abiti troppo grandi per lei ed evitava il trucco. A volte, in modo infantile, dimostrava un'avversione persino per il pettine.
«Te l'ho detto, i miei genitori lo hanno americanizzato quando si sono trasferiti a New York», replicò Khalida, distogliendo gli occhi. Quelle bugie che era costretta a dire, continuamente, la turbavano più di quanto volesse ammettere.
«E com'era prima?», la incalzò Ivy.
Khalida si strinse nelle spalle. «Non me l'hanno mai detto. Non avevano dei bei ricordi della vita in medio oriente, volevano solo lasciarsi tutto alle spalle».
A volte detestava la sua capacità di mentire così bene, perché, come tutte le cose in cui era brava, non riusciva a fare a meno di farlo.
Ivy accettò la spiegazione con un lieve sorriso, e Khalida le scompigliò i capelli con fare affettuoso.
«Forse è meglio che andiamo a dormire», osservò, vedendola nascondere uno sbadiglio.
La ragazza si stiracchiò a lungo. «Già, sarà una giornata impegnativa... devo trovarti un altro fidanzato, uno che non scappi al primo appuntamento», scherzò, facendo una linguaccia a Khalida.
Lei scosse lentamente la testa, senza replicare.
Al di là delle finestre, il silenzio della notte fu squarciato dal boato di un tuono che fece tremare i vetri della casa.
Gli occhi di Khalida saettarono al cielo nero, in cui si stavano ammassando nuvole inquiete e strane, illuminate da lampi di un colore a metà tra il bianco e l'azzurro.
«C'è un temporale», osservò Ivy, dubbiosa. «Strano, non è la stagione delle piogge».
Khalida si irrigidì allo scoppiare di un secondo tuono.
Non era solo un temporale.
«Ivy, vai in camera tua, e restaci, qualsiasi cosa succeda», ordinò, con voce improvvisamente incrinata.
«Keira cosa...», protestò lei.
«Ubbidisci», la zittì Khalida. «Fidati di me», aggiunse, guardandola negli occhi.
Ivy annuì lentamente.
«Va bene, mamma», mormorò.
E Khalida sentì un improvviso nodo in gola al suono di quella parola così rara sulle labbra della ragazza.
Il suo nuovo mondo stava per andare di nuovo in pezzi, troppo fragile per resistere ad un altro terremoto, e stavolta lei aveva qualcosa, qualcuno, da perdere.
Per la prima volta da quando era arrivata ad Haiti, provò un terrore strisciante e sottile.
Il suo passato stava per presentarle il conto, e Khalida sapeva già che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo elevato.
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* non vi dico da dove viene questa citazione, fatelo voi, tanto è semplice XD

** ho voluto riciclare il cognome di copertura di Natasha Romanoff in Iron Man 2, sono un disastro ad inventarmi i cognomi.

*** ecco, per spiegare questo concetto devo fare una doverosa premessa. Adoro il modo in cui la parola in questione suona in inglese (damaged) ed usandola qui ho voluto trasmettere lo stesso concetto con cui è usata nel telefilm Dexter, in cui il protagonista la usa spesso per definire sè stesso. In parole povere, Khalida si considera rovinata, impossibile da migliorare e segnata per sempre da come ha vissuto. Non crede di potere essere migliore di ciò che è e nemmeno si sforza di farlo.

Spero di non avervi annoiato con queste note...

Ok, adesso sappiamo come Khalida è sfuggita a morte certa e cosa ha fatto in questi tre anni, dove si è nascosta e chi ha conosciuto.
Ivy è un personaggio che avrà un ruolo importante nella storia e a cui tengo davvero molto, perché già le voglio bene ;)
ve la presento:


Ok, ho terminato, lascio a voi.
Un bacio
Nicole

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Come l'acciaio ***


Eccomi qua, vi avevo promesso che sarei tornata presto, ed ecco il quarto capitolo.
So che le cose stanno andando un pochino a rilento, e credetemi, Loki manca più a me che a voi.
E, prima che qualcuno me lo faccia notare, so che l'immagine di Khalida nel banner è troppo giovane, rispetto all'immagine che ho dato nei capitoli, ma non ne avevo altre della modella che ho scelta, per cui, perdonatemi :P
Ci vediamo per le note finali, ma prima...
AVVERTENZA SPOILER!
Nel capitolo c'è un grande spoiler, non molto segreto a dir la verità, sul nuovo serial targato Marvel intitolato SHIELD che uscirà, credo, in questo autunno.
Io vi ho avvisato, leggete a vostro rischio e pericolo.



Heimdall aveva avuto un senso dell'umorismo fuori luogo, oppure una mira pessima, pensò Thor, mentre si sollevava a fatica dall'acqua salata. Il mantello inzuppato d'acqua pesava come un macigno e gli stivali affondavano nella sabbia morbida rendendogli difficoltoso camminare. Il Bifrost li aveva materializzati a una decina di metri dalla riva di un mare placido, appena mosso da una leggera brezza.
«Accidenti ad Heimdall», brontolò Fandral, scuotendo i capelli fradici.
Sif ed Hogun, appena dietro di lui, stavano impedendo a Volstagg di annegare, reggendolo l'una per il braccio, l'altro per il colletto della casacca.
Ignorando gli sbuffi di fastidio dei compagni, Thor scrutò il paesaggio intorno a lui. La spiaggia di sabbia era deserta, e pochi metri più in là si vedevano le luci di una piccola abitazione, isolata. Doveva essere lì che Khalida viveva.
«Andiamo», decise, incamminandosi con decisione verso la spiaggia.
Il gruppo di asgardiani si avvicinò lentamente alla casa, dividendosi: Hogun, Sif e Volstagg da una parte, Thor e Fandral dall'altra.
La finestra illuminata lasciò intendere un lieve movimento all'interno e Thor fece un cenno agli altri, per farli fermare.
In mezzo al frinire dei grilli e delle cicale si sentì lo scatto secco di un'arma da fuoco che viene caricata.
Nella luce flebile Thor vide una figura femminile avanzare lentamente, scendendo gli scalini del portico. Imbracciava un fucile a canne mozze e non sembrava avere intenzioni amichevoli.
«Se mi calpestate le rose, sparo. Per quanto resistenti sono sicura che uno di questi vi fa male», minacciò Khalida, guardando verso Thor. Anche nel buio, la figura imponente dell'alieno era facilmente riconoscibile, per non parlare del mantello rosso intenso.
Alle spalle della donna, Sif uscì allo scoperto. Allarmata dalla minaccia si preparò a colpirla, ma Khalida fu più svelta e, voltandosi, sparò un colpo davanti ai piedi dell'asgardiana.
La deflagrazione si sparse nel silenzio come cerchi concentrici nell'acqua, mettendo a tacere i numerosi insetti notturni.
«Vedo che hai portato gli amici, Thor», mormorò la donna.
«Khalida non siamo qui per farti del male», iniziò il Dio del Tuono, uscendo allo scoperto, seguito da Fandral.
Hogun e Volstagg affiancarono Sif. Ancora agitati per il suono dello sparo, spostavano lo sguardo tra il fucile e Thor.
Khalida valutò i suoi avversari, anche se era armata, se l'avessero attaccata non avrebbe avuto scampo. «Dì quello che devi, in fretta. Abbiamo mezz'ora prima che Coulson si precipiti qui con una squadra di agenti», disse, abbassando lentamente il fucile. Forse lo S.H.I.E.L.D. ci avrebbe messo un po' più di mezz'ora ad arrivare, ma era meglio che credessero di avere poco tempo.
Thor la osservò con attenzione, prima di rispondere. Non era cambiata di molto, anche se il tempo aveva lasciato sulla sua pelle più segni di quanti ricordasse.
«È lui a sorvegliarti?», domandò Thor.
Khalida annuì. «Lo S.H.I.E.L.D. gli ha concesso una vacanza premio. Fury non sarà affatto contento di sapere che sei venuto qui».
Thor avanzò di un passo. «Puoi abbassare quell'arma, per favore?», chiese, e solo allora Khalida si accorse di avere ancora il fucile puntato contro di lui. Lo abbassò lentamente, respirando a fondo.
«Cosa vuoi, Thor?».
«Ricordi la promessa che mi avevi fatto?», iniziò il Dio del Tuono.
Khalida arricciò il naso. «Il fatto che tu sia piombato nel mio giardino in assetto di guerra non mi rende molto propensa a credere che tu sia cambiato...», iniziò, sarcastica, ma lo sguardo improvvisamente cupo di Thor le fece passare la voglia di infierire. «Cosa diavolo è successo?», chiese.
Thor sospirò pesantemente. «Thanos ha attaccato Asgard. Forse pensava di trovarci Loki, questo ancora non l'abbiamo capito», spiegò, poi un improvviso nodo in gola gli fece morire la voce sulle labbra. «Ha ucciso mia madre», riuscì a dire, in un sussurro.
Khalida sbarrò gli occhi, sbalordita. E il ricordo di una conversazione sepolta nella sua memoria bussò lentamente alle porte della sua mente. Scacciò il disagio, e si sforzò di riflettere.
Fino ad allora Thanos non si era mai fatto vedere di persona. Più volte aveva preferito mandare qualcun altro a fare il lavoro sporco. Il cambio di strategia era preoccupante.
Forse significava che il Titano era pronto a portare la sua assurda guerra senza senso ad un altro livello.
«Perché vuoi che rintracci Loki?», chiese Khalida, conoscendo già la risposta.
«Thanos ha detto chiaramente di star cercando lui...».
«E tu da bravo fratello glielo vuoi consegnare», concluse lei, con un punta di amarezza nella voce.
Thor strinse gli occhi, ferito da quell'ipotesi tanto vile. «Non lo farei mai! Voglio solo che ci aiuti nel combatterlo. Lui lo conosce meglio di tutti noi».
«Loki potrebbe non essere interessato ad aiutare Asgard, ci hai pensato?», lo frenò Khalida, pratica.
Thor strinse le labbra. «Questo lo so. Ma credo sia interessato a vendicare la morte di mia madre».
Khalida ammutolì.
Thor aveva probabilmente ragione.
Durante la breve convivenza con Loki aveva avuto modo di comprendere le ragioni dell'odio che provava per Thor ed Odino. Frigga non era mai stata inclusa in quel sentimento forte e devastante che lo aveva consumato.
Forse, nei riguardi della madre adottiva, Loki aveva provato più delusione, che vero e proprio astio.
«Khalida, mi aiuterai?», la incalzò Thor, avvicinandosi e allungando la mano, per toccarle il braccio.
«Se osi toccarla sparo!», strillò la voce di Ivy alle loro spalle.
Khalida si voltò sorpresa e, quando vide che la ragazza impugnava la pistola che di solito teneva nel cassetto del comodino, si maledisse per averle insegnato ad usarla.
Thor, confuso, spostò lo sguardo tra Khalida e la nuova arrivata. Non si aspettava che la donna vivesse con qualcuno, tanto meno con una ragazzina.
«Ivy, metti via la pistola», le intimò Khalida, facendo un passo verso di lei.
«Chi diavolo sono questi? Cosa vogliono da te? E perché ti chiamano Khalida?», chiese lei a voce alta e acuta, visibilmente terrorizzata.
Khalida sospirò. «Sono amici, non ci faranno del male», disse.
Ivy fece una smorfia dubbiosa, continuando a tenere Thor sotto tiro. «Perché quello è vestito come un cosplay* di quel supereroe con il martel...», iniziò, poi la voce svanì mentre notava nuovi particolari, tipo che anche gli altri tizi erano vestiti come se fossero usciti da un festival del gotico di serie B, e quel martello sembrava decisamente vero.
Realizzò in un attimo che quelli non erano cosplay.
«Oh. Mio. Dio», sillabò, un attimo prima di svenire.

«Ivy, svegliati», mormorò la voce di Keira, scuotendola leggermente per una spalla.
La ragazza mugolò qualcosa, socchiudendo gli occhi.
Che sogno assurdo, aveva fatto! Di certo sua madre non poteva conoscere uno dei Vendicatori e fare meeting segreti con lui nel loro giardino.
Doveva aver mangiato qualcosa che le aveva fatto decisamente male.
La ragazza sbatté un paio di volte le palpebre, mettendo a fuoco il soggiorno.
Sussultò, quando vide che quegli stramaledetti cosplay erano ancora lì, e la fissavano come si guarda una scimmia attraverso le sbarre di una gabbia.
Quello biondo, grosso come un armadio, era accanto a lei e quando se ne accorse trattenne a stento un singulto di paura involontario.
«Calmati Ivy. Non ti faranno nulla», fece Keira, con tono tranquillo.
Ivy la fissò come se la vedesse per la prima volta.
Aveva un'espressione concentrata che assumeva solo quando lavorava ai suoi articoli, e in mezzo a quella combriccola assurda sembrava così a suo agio che la ragazza provò la sgradevole sensazione di non conoscerla affatto.
«Chi diavolo sei tu?», domandò, con un filo di voce.
Khalida si accucciò alla sua altezza. «Tesoro, lo so che sei confusa», iniziò, parlando in francese, sapendo che il suono della sua lingua madre tranquillizzava sempre Ivy. «Mi dispiace che tu l'abbia dovuto scoprire così», aggiunse.
«Chi sei!?», ripeté di nuovo Ivy, con più forza.
La rabbia in quella domanda ferì Khalida, ma in qualche modo la fece sentire sollevata, perché ora poteva smettere di mentire.
«Il mio nome non è Keira Rushman, ma Khalida Sabil», iniziò. «Per qualche tempo sono stata un'agente dello S.H.I.E.L.D.».
«E qui cosa diavolo stavi facendo? Tenevi d'occhio qualche criminale locale?», domandò di nuovo Ivy. Conosceva vagamente la fama dello S.H.I.E.L.D. e non aveva sentito cose molto positive su quella misteriosa agenzia, a parte il fatto che aveva messo insieme il gruppo dei Vendicatori.
«Diciamo che sono in pensione, adesso», spiegò Khalida, allungando una mano per toccarle la guancia.
Ivy non si ritrasse.
Per quanto sconvolgenti, quelle rivelazioni avevano senso.
Aveva sempre sospettato che Keira nascondesse parte del suo passato, i suoi racconti aveva sempre qualcosa di estremamente perfetto e logico, qualcosa che puzzava di finzione. Non aveva mai indagato oltre perché non le ci era voluto molto per capire che Keira nascondeva molte più ferite di quante ne custodisse il suo corpo, e ora quelle nuove informazioni spiegavano tanti lati misteriosi della donna che da due anni le faceva da madre.
«Cosa vogliono da te?», domandò Ivy, accennando con gli occhi a Thor, appena un passo dietro Khalida.
«Hanno bisogno del mio aiuto per ritrovare una persona».
Ivy sollevò un sopracciglio, dubbiosa. Aprì la bocca per protestare ma la voce di Sif la fermò.
«Dobbiamo fare in fretta. Gli umani potrebbero arrivare da un momento all'altro», fece presente, guardando nervosamente fuori dalle finestra.
Thor annuì, posando una mano sulla spalla di Khalida.
Lei socchiuse gli occhi, sospirando, poi fissò Ivy dritto negli occhi.
«Ivy, non posso darti molte altre spiegazioni. Ma ho bisogno che tu mi ascolti molto attentamente», iniziò, con voce calma.
La ragazza annuì.
«Tra pochi minuti arriveranno degli agenti dello S.H.I.E.L.D. Tra loro ci sarà un uomo che si chiama Coulson**. Ti farà delle domande. Rispondi sinceramente, e andrà tutto bene».
«Cosa mi faranno?», chiese Ivy, con la voce appena incrinata. «Mi sparaflesceranno come in Man in Black***?».
Khalida sorrise, accarezzandole la guancia. «Tu fai come ti dicono, e non succederà niente di spiacevole», la rassicurò, probabilmente più rivolta a sé stessa che ad Ivy.
Lei era forte, e gli agenti dello S.H.I.E.L.D. non l'avrebbero impressionata più di tanto, forse nemmeno Fury in persona l'avrebbe fatto. Ne aveva viste troppe per lasciarsi abbattere da qualcosa di così banale come un gruppo di super spie armate.
Non temeva per la sua sorte, Ivy non centrava niente con tutto quello che stava accadendo.
Aveva paura di ben altro.
Si prese un minuto per riordinare le idee.
«Verrai a sapere molte cose su di me, e la maggioranza non saranno lusinghiere», disse infine, scegliendo con cura le parole.
Ivy deglutì. «Cosa intendi?».
Khalida sorrise mestamente, alzandosi. «Non lo so. Forse ti sto solo chiedendo di non odiarmi troppo, per averti mentito».
Ivy si alzò di scatto dalla poltrona, piantando gli occhi scuri in quelli di Khalida, tormentati come non mai. «Quando dicevi di volermi bene, mentivi?», le domandò.
«No», replicò lei, senza lasciar trapelare la sua sorpresa.
«Allora non ho motivo di odiarti. Tu mi hai salvato la vita», affermò Ivy con la sicurezza genuina che la contraddistingueva, la forza indiscussa del suo animo che l'aveva salvata tante volte.
D'istinto Khalida l'abbracciò, stringendosela forte al petto.
«Ti voglio bene, Ivy»,  le mormorò all'orecchio.
La ragazza ricambiò l'abbraccio, deglutendo un improvviso nodo alla gola.
«Quando ritornerai?», chiese.
«Presto, te lo prometto», le assicurò Khalida, sciogliendo l'abbraccio.
Il Dio del Tuono era spiazzato dalla scena a cui aveva appena assistito.
Quella donna così tenera, materna quasi, aveva poco a che fare con l'agente fredda e dura come acciaio che aveva conosciuto.
Eppure anche l'acciaio si riscalda, se tenuto in mano abbastanza a lungo.
Khalida cercò gli occhi di Thor. «Proverò a trovare Loki, non ti prometto di riuscirci», disse, stringendo le labbra come a trattenere altre parole.
Thor chinò leggermente il capo. «Te ne sono grato, Khalida».
In lontananza, risuonò il rombo di un motore.
«È ora di andare», annunciò Hogun.
Khalida recuperò la piccola calibro nove che aveva portato via dalla mani di Ivy quando la ragazza era svenuta e la infilò oltre il bordo dei jeans, dietro la schiena.
Solo allora Ivy notò che si era cambiata, abbandonando la mise sexy, per una molto più comoda.
«Dove ci dirigiamo, Khalida?», chiese Thor.
Lei gettò un'occhiata distratta ai compagni di Thor, incrociando quella ostile di Sif, che ricambiò d'istinto.
Il metallo della pistola le aveva lasciato un freddo familiare sul palmo della mano, lo vedeva come se fosse una delle sue tante cicatrici. Una vampata di rabbia le crebbe sotto lo sterno.
Per quanto l'avesse rinnegata, per quanto ci avesse provato, la sua vecchia vita non l'avrebbe mai lasciata in pace.
Ma in fondo l'aveva sempre saputo che era solo questione di tempo, ci era scesa a patti molto tempo prima, poco tempo dopo il suo trasferimento ad Haiti, quando Coulson era venuto a trovarla per la prima volta.
Poteva seppellirsi in qualsiasi paese polveroso e sperduto volesse, sarebbe sempre stata un'agente dello S.H.I.E.L.D. fino alla sua morte.
Era condannata per sempre ad essere qualcosa che non era.
Ma era colpa sua, aveva scelto di lasciarsi alle spalle la ragazzina con le ginocchia sbucciate che divideva il suo pane con i cani randagi per diventare un soldato, una macchina per uccidere.
Non poteva semplicemente resettare tutto, né far finta di essere di nuovo quella bambina.
Significava mentire a sé stessa, e per quanto fosse una bugiarda, non era mai stata un'ipocrita.
Khalida raddrizzò le spalle. «I tuoi amici possono pure tornare ad Asgard. Io e te, dobbiamo fare una visita a Stark», illustrò, ritornata in fretta nei panni dell'agente efficiente.
«Da Stark?», domandò Thor, sorpreso.
Il tonfo di una portiera che si chiudeva interruppe bruscamente la discussione.
«Non c'è tempo per le spiegazioni!», tagliò corto Khalida, avvicinandosi a Thor. «Sarebbe un buon momento per usarlo, quel martello», ammiccò e Thor, una volta tanto, colse al volo il suggerimento, afferrandola per la vita e iniziando a roteare Mjolnir.
«Amici, ci vediamo ad Asgard», disse, un attimo prima di sollevarsi in volo, sfondando il tetto e poi sparendo in mezzo alle nuvole che avevano ripreso ad ammassarsi.
Quando gli agenti dello S.H.I.E.L.D. fecero irruzione nella casa pochi istanti dopo, rimasero interdetti, trovandosi davanti solo una ragazzina scarmigliata, ricoperta di schegge di legno che fissava il soffitto distrutto a bocca aperta.
Coulson si tolse gli occhiali da sole, fissando lo squarcio sopra di lui.
«Asgardiani», masticò, trattenendo un sorriso.
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*se non lo sapete, i cosplay sono quelle persone che si travestono da personaggi dei fumetti, dei manga, oppure anche dei film o dei telefilm, in occasione, di solito, di fiere a tema.

**Colpo di scena! Coulson è vivo. è uno dei grossi spoiler rivelati riguardo al nuovo serial televisivo di Whedon, se volete i dettagli, vi do il link articolo

*** Bè, questa nota credo sia un po' inutile, ma la metto lo stesso, in Man in Black gli agenti usano un concegno per far dimenticare alle persone di aver avuto contatti con gli alieni e gli agenti in nero, non so l'equivalente in inglese, ma in italiano usano il verbo inesistente che ho usato XD

Ed eccoci alla fine di questo capitolo.
Perché Khalida ha accettato di aiutare Thor?
bè, glielo aveva promesso, ma i veri motivi li capiremo più avanti.
Spero che vi piaccia il modo in cui Khalida è cambiata, se si può dire così.
Rassicuratemi, vi prego, anche su Thor, perché, nonostante mi piaccia come mi sta venendo, ho sempre paura di dimenticarmi il personaggio originale...
la domanda di rito: cosa ci vanno a fare da Stark???
chi indovina vince una miniatura in scala 1:30 di uno a scelta degli Avengers XD.... oppure (seriamente) uno sfondo per il pc fatto da me su chiunque vogliate.

Ok, la smetto.
A presto!!
Nicole

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Come il vento ***


Allora, siamo arrivati al capitolo che io, amorevolmente, definisco "il bastardo" sì, perché mi ha costretto ad una pausa di quasi tre settimane, non ho ricordi di una crisi da pagina bianca così lunga.
La soluzione è stata, manco a dirlo, la duplice visione di "Iron Man 3", che mi ha dato la carica necessiaria per completare la sequenza di eventi di questo capitolo.
Il perché è presto detto, dato che il capitolo è incentrato particolarmente su Tony e Pepper.
Inutile dire che il capitolo è pieno zeppo di SPOILER, riguardo Iron Man 3, non vi dico quali sono, ma comunque se non avete ancora visto il film... bè, correte a farlo e poi leggete il capitolo XD
Ci vediamo alla fine!



La notte di New York era gelida, in confronto al quieto tepore di Haiti, ma Khalida non era in vena di lamentarsi, scossa com'era dal volo turbolento. Benché avesse tenuto gli occhi serrati per la maggioranza del tempo, aveva lo stomaco completamente rovesciato per le vertigini. Non sapeva nemmeno capire se il fatto che il volo fosse stato incredibilmente breve, in rapporto alla distanza percorsa, fosse un bene o un male.
«Ti senti bene?», le domandò Thor, sciogliendo la presa ferrea intorno alle spalle della donna.
Khalida si scostò e fece un cenno con le mani, per poi crollare immediatamente seduta a terra, il volto premuto sulle ginocchia strette al petto.
Thor, allarmato, fece per dire qualcos'altro, ma Khalida gli gettò uno sguardo che lo fece desistere, mentre un crampo di nausea le squassava lo stomaco. Non aveva mai visto Thor battersi, ma se il suo modo di volare era anche solo similare al suo stile di combattimento, allora pregava di non averlo mai come nemico.
«Mi serve solo un minuto», mormorò, raccogliendo le idee.
Davanti a loro, la Stark Tower sfavillava nella notte, cometa luminosa tra le stelle di New York.
Dopo qualche minuto, Khalida rilassò gambe e braccia e cercò nelle tasche il cellulare, aprendo il browser.
Thor la scrutò senza capire.
«Perché siamo qui?», le chiese, quando un po' di colore tornò sulle guance della donna.
Khalida digitò un indirizzo preciso, e lasciò che la pagina si caricasse.
Sospirò profondamente, alzandosi in piedi. La testa le girò appena, ma si riprese, stringendo i denti.
«Quando fui catturata in Israele, avevo con me un'arma», rispose.
Thor annuì, come a dire che ricordava. Fury gliela aveva mostrata, chiedendogli cosa potesse essere, ma lui non aveva mai visto niente del genere, e non aveva saputo aiutare il direttore.
Khalida cliccò qualche icona sullo schermo del cellulare. «Ho bisogno di quell'arma, per rintracciare Loki», continuò.
«E pensi che l'abbia Stark?».
«Se Fury non l'ha affidata a lui, saprà sicuramente dove è custodita», annuì Khalida, osservando la piantina che il cellulare aveva appena finito di caricare.
Fece cenno a Thor di avvicinarsi.
«Sul sito delle Stark Industries, Tony ha messo a disposizione una sorta di tour virtuale della Stark Tower. I laboratori di Ricerca e Sviluppo sono a quel piano, è probabile che l'arma si trovi lì...», illustrò, indicando una fila di vetri oscurati. «Mentre Stark vive a quello immediatamente sopra», aggiunse, spostando l'indice verso uno dei tanti balconi.
Thor annuì, esattamente dalla parte opposta della torre, c'era la piattaforma sulla quale lui e Loki avevano combattuto durante la battaglia di New York.
«Qual'è il tuo piano?», chiese, con fare pratico, scacciando i ricordi con una lieve scrollata di spalle.
Khalida lo guardò negli occhi. «Tu attirerai l'attenzione di Stark».
«E tu?», domandò l'asgardiano.
La donna sogghignò, e finalmente Thor la riconobbe, in quella sua tipica espressione di supponenza.
Khalida estrasse la pistola dalla cintura e la caricò con un gesto secco ed esperto.
«Io mi assicurerò la sua collaborazione».

“Signore, abbiamo ospiti”.
Tony si rigirò nel letto, mugolando qualcosa.
“Può ripetere signore?”, domandò con cortesia la voce robotica di Jarvis.
«Ti ho detto di mandarlo al diavolo, chiunque lui sia», borbottò il miliardario.
“L'ospite non è alla porta, signore”.
«E dove allora?», domandò Tony, nascondendo il volto nel cuscino.
Pepper, accanto a lui, si mosse appena.
“Nel salotto dell'ala est, signore”, rispose Jarvis. “Si tratta di Thor”.
Tony si mise seduto, scostando le coperte. Appoggiò i pieni nudi a terra rabbrividendo appena per il freddo del pavimento. Nel buio della camera la sveglia sul comodino diffondeva un vago bagliore. Sullo schermo lampeggiavano le cifre 1:21.
«Cosa c'è?», mormorò Pepper, rigirandosi.
«Pare che il nostro turista spaziale preferito sia venuto a trovarci», rispose Tony, alzandosi. «Niente di preoccupante, me ne libero subito», aggiunse, voltandosi e rassicurando Pepper con un lieve sorriso.
Lei ricambiò, socchiudendo gli occhi e affondando la testa di nuovo nel guanciale, i capelli biondi scarmigliati sparsi tra il lenzuolo e la coperta.
Tony le dedicò un lungo sguardo.
Era passato da poco il peggior anno della sua vita, aveva rischiato più volte di perdere tutto.
La sua identità, Pepper... la sua stessa vita.
Era risorto dalle ceneri in cui era quasi soffocato, più forte di prima, un uomo nuovo, come gli piaceva dire, eppure ogni volta che osservava Pepper troppo a lungo, come in quel momento, ritornava a sentirsi fragile, inconsistente come vento.
E il respiro si faceva improvvisamente corto, accompagnato da un familiare peso al centro del petto, esattamente dove si trovava il reattore Arc fino a poco tempo prima.
“Signore, i suoi ospiti...”, iniziò Jarvis, interrompendo il filo dei pensieri di Stark.
Tony raddrizzò la testa. «Ospiti? Avevi parlato solo di Thor».
“Con lui c'è un'altra persona”, spiegò l'intelligenza artificiale. “Il mio software di riconoscimento facciale non riesce ad identificarla”.*
«Sarà uno dei suoi amici asgardiani...», brontolò il miliardario, alzandosi e uscendo dalla stanza in punta di piedi.

La figura imponente di Thor creava una lunga ombra sulla moquette del soggiorno.
Tony la osservò per un momento, e un brutto presentimento lo prese alla gola.
Non si trattava di una mera sensazione, sapeva di avere ragione.
Avanzò fino ad entrare nel rettangolo di luce della finestra.
Non appena incrociò gli occhi azzurri del Dio del Tuono, quasi blu cobalto nella fioca luce, Tony ebbe la certezza che sarebbe stato molto meglio per lui rimanere a letto e ordinare a Ferro Vecchio di cacciare l'alieno.
Incrociò le braccia al petto.
«Perché ho la sensazione che tu non sia qui per chiedermi consigli su dove portare Jane per l'anniversario?», domandò, sollevando un sopracciglio.
Nonostante tutto, Thor accennò un sorriso. Aprì la bocca per ribattere, ma un movimento alla loro destra lo fece desistere. Con un gesto abituale sollevò Mjolnir, troppo teso per ricordarsi della presenza di Khalida.
«Perché è un genio, Stark», affermò la voce della donna, mostrandosi finalmente nella luce.
Con prese ferrea, stringeva un braccio intorno alla gola di Pepper, puntandole con apparente noncuranza la piccola pistola alla tempia.
Era stata fortunata, perché la donna le era venuta praticamente incontro, dato che si era alzata qualche istante dopo che Stark era uscito dalla stanza. Non voleva realmente farle del male, non le andava di attirarsi il rancore di Stark, ma dovevano agire in fretta, e sperava che quella minaccia fosse sufficiente a far collaborare il miliardario senza troppe storie e spiegazioni.
Riconoscendo Khalida, Stark ingoiò un imprecazione spontanea e si concesse un solo secondo per stupirsi, per poi indossare nuovamente la sua maschera strafottente. Cercò gli occhi di Pepper, in un muto codice che ormai avevano stabilito. Anche se aveva gli occhi spalancati e lucidi, lo sguardo della donna non era spaventato. La rassicurò accennando un sorriso.
«Sei sempre troppo lusinghiera, dolcezza», replicò, facendo un passo avanti.
D'istinto Khalida avvicinò la canna della pistola alla testa di Pepper, una muta minaccia che sortì l'effetto sperato. Tony si fermò, stringendo i pugni lungo i fianchi, unico segnale di nervosismo.
Thor, ancora con Mjolnir mezzo sollevato, non riuscì a dire nulla, sorpreso dal comportamento improvvisamente violento di Khalida. Non negava che quel modo di agire fosse più rapido, ma non si aspettava che lei intraprendesse quella strada. Quella luce umana che le aveva visto negli occhi nella sua casa vicino al mare sembrava essere stata fagocitata dalla solita aurea feroce, e Thor quasi si sentì in colpa. Aveva risvegliato vecchi demoni che probabilmente avrebbero dovuto rimanere dov'erano.
«Non ti vedo molto sorpreso, Stark», disse Khalida, sorridendo.
Purtroppo per lei, si stava divertendo un mondo.
Amava ed odiava in egual misura quel lato di sé stessa.
Anche se sapeva che era ciò che l'aveva mantenuta viva fino a quel momento, era cosciente del prezzo che aveva pagato molti anni prima per diventare la donna che era. Ed era una sorte che non avrebbe augurato a nessuno.
Tony stette al gioco, mentre con la coda dell'occhio cercava il familiare luccichio metallico dell'armatura. «Dopo la resurrezione di Phil, sono pronto ad ogni evenienza», ammiccò, spostando lo sguardo tra Khalida e Thor, soffermandosi solo qualche istante su Pepper, strizzandole appena l'occhio.
Lei annuì appena. Certo, non era piacevole essere stretta contro quella donna che non aveva mai visto, ma si fidava di Tony, e sapeva che non avrebbe permesso mai più che qualcuno le facesse del male.
«Thor», iniziò Khalida. «Non pensi sia il caso di spiegare a Tony la nostra presenza?», chiese,  spostando il peso da una gamba all'altra.
«Già Thor», la scimmiottò Tony, mentre con un breve gesto attivava i sensori che erano nascosti sotto la pelle del suo avambraccio.
Pepper colse il movimento e irrigidì i muscoli involontariamente.
Chiamato in causa, il Dio del Tuono esitò per un attimo, poi guardò Khalida. «Lasciala», disse, riferendosi a Pepper. «Non abbiamo bisogno di comportarci così».
Khalida si accigliò, risentendosi per il tono implicito di superiorità che aveva assunto Thor.
Il momento di distrazione fu breve, ma sufficiente.
Pepper ruotò su sé stessa con forza, colpendo Khalida allo stomaco che, colta di sorpresa, incassò la gomitata con un gemito di dolore.
Contemporaneamente, Tony torse il polso, attivando parte dell'armatura. Un globo di metallo rosso sfrecciò da un punto lontano della stanza e si arrampicò sul suo avambraccio, rivestendolo di lucide placche. Sul palmo fiorì un cerchio di luce azzurra, che sibilò minaccioso.
Khalida, d'istinto, puntò la pistola in direzione del miliardario che, con fare protettivo, aveva afferrato Pepper e se l'era portata dietro la schiena. La donna aveva un'espressione tra lo sconvolto e l'inorridito. Si guardava le mani quasi per convincersi che l'aveva fatto davvero, di nuovo.
Per un attimo nella stanza ci furono solo i respiri agitati di Tony e Khalida.
«Meglio che l'abbassi, dolcezza», intimò Stark.
Khalida strinse le labbra. «Ho una pessima mira, non vorrei colpire per sbaglio la sua fidanzata, Stark», minacciò.
Tony ridacchiò. «Posso disintegrarti ancora prima che tu riesca a pensare di premere il grilletto. Abbassala».
«Adesso basta!», tuonò Thor, mettendosi in mezzo ai due e fulminando Khalida con un'occhiata penetrante.
La donna colse il rimprovero, e ingoiò la voglia di ribattere. Non le piaceva che Thor si ritenesse, inconsciamente, migliore di lei, quando era stato per anni un guerriero impulsivo e sanguinario, e aveva di certo ucciso decine di persone più di lei, ma abbassò comunque la pistola. Se Thor non era con lei, combattere contro Stark, per quanto ne avesse voglia, non l'avrebbe portata da nessuna parte.
Tony studiò lentamente Thor, che raddrizzò le spalle, gonfiando il petto. «Perdonami Stark, per i modi, ma ho bisogno del tuo aiuto», iniziò.
Il miliardario lasciò cadere la mano lungo il fianco. «Ti ascolto, Riccioli D'Oro», disse, continuando a tenere Pepper stretta a sé.
L'asgardiano prese un respiro profondo. Non era abituato a parlare per convincere qualcuno, preferiva, come aveva appena fatto Khalida, usare la forza. Ma ora era un re, e non era più un ragazzo da molto tempo.
In breve riassunse ciò che era accaduto su Asgard, e solo una lieve contrazione delle sopracciglia animò il volto di Tony quando apprese della nuova mossa di Thanos, e della morte di Frigga. Pepper invece, si portò una mano alle labbra, in silenzio.
Al termine del resoconto, Tony si grattò pensieroso il pizzetto.
«Pensi che in tutto questo centri Loki?», chiese.
Thor fece una faccia perplessa. «Perché dici così?».
Tony accennò a Khalida dietro le spalle del Dio. «Altrimenti non mi spiego la presenza della sua ragazza», spiegò.
Khalida fece per ribattere, ma Thor la anticipò. «Loki non ha nulla a che fare con l'attacco ad Asgard. Sono anni che non ho sue notizie».
«Cosa ci fai qui, allora?», chiese finalmente Tony.
Thor aprì la bocca ma, consapevole che il tempo stringeva e che molto probabilmente lo S.H.I.E.L.D. li aveva già rintracciati, Khalida tagliò corto.
«Vogliamo l'arma che lo S.H.I.E.L.D. mi ha portato via quando sono stata catturata in Israele», disse.
Tony dovette ammettere di essere nuovamente sorpreso.
A cosa mai poteva servigli quel pezzo di ferro inutile?
In tutti i test che aveva eseguito su quella sottospecie di bastone tecnologico non era riuscito a ricavare nemmeno un minuscolo frammento d'informazione. Nel suo rapporto definitivo a Fury aveva detto che, con molta probabilità, l'oggetto si era irreparabilmente danneggiato nello scontro tra Khalida e gli agenti S.H.I.E.L.D. e il Direttore si era ben presto dimenticato della sua esistenza, lasciandolo nelle mani di Stark il quale, non sapendone che farsene, l'aveva relegato in uno dei tanti laboratori della torre.
Probabilmente era finito a tenere in piedi qualche tavolo traballante, oppure l'aveva usato come appendiabiti di fortuna.**
Una fame familiare scosse i nervi del miliardario.
Forse era vicino a scoprire qualcosa in più su quel misterioso oggetto.
«Sai dove si trova, Stark?», lo incalzò Thor, speranzoso.
«Sì, è al piano di sotto», ammise lui.
Pensò per un attimo alla faccia che avrebbe fatto Fury la mattina dopo.
Un sorriso sornione gli affiorò sul volto. «Vi faccio strada».

Il laboratorio era in subbuglio, come se al suo interno fosse esplosa una bomba.
Annusando l'aria, Khalida immaginò che non fosse solo una metafora azzeccata, ma una verità relativamente plausibile.
Stark avanzò nella stanza, scrutandone gli angoli con attenzione. Aveva tenuto indosso il guanto dell'armatura e Khalida era riuscita a leggere la sigla Mark-50 sul metallo all'interno dell'avambraccio. Inutile precisare che il miliardario si era dato da fare, nonostante il periodo difficile che aveva attraversato.
Per quanto considerasse Stark un insopportabile egocentrico, Khalida doveva ammettere che era un grande ingegnere e un inventore di indiscusso talento. Per quanto l'involucro fosse irritante, considerava il cervello di quell'uomo estremamente affascinante.
Stark esaminò la confusione con le sopracciglia aggrottate. «Jarvis, rintraccia l'oggetto con denominazione “oggetto-di-nessuna-utilità137”», ordinò all'intelligenza artificiale.
Khalida trattenne un sorriso. Quindi nemmeno il grande genio era riuscito a ricavare niente da Match, in un certo qual modo era orgogliosa che l'arma le fosse rimasta fedele.
Una luce azzurra nacque in un angolo, e scandagliò la stanza scorrendo velocemente dall'alto verso il basso e viceversa, per poi condensarsi in un unico raggio sottile, puntato verso una teca ingombra di vari pezzi di metallo.
“Oggetto identificato, signore”, annunciò Jarvis. “Anche se le ho già detto che i codici alfanumerici di sei caratteri sono decisamente migliori per la catalogazione...”.
Khalida riconobbe immediatamente la forma longilinea di Match illuminata dal filo di luce e scattò del tutto inconsciamente.
«Hey», la richiamò Tony, ma si zittì immediatamente quando la vide stringere le dita intorno all'arma. Match rispose con un bagliore azzurro intenso e una scarica d'energia che divampò all'interno del cristallo oblungo.
Tony sgranò gli occhi. «Come diavolo hai fatto?», chiese, facendo qualche passo avanti.
Khalida gli rivolse uno sguardo altezzoso, i lineamenti affilati evidenziati dalla luce fredda dell'arma tra le sue mani. «Loki l'aveva fatta per me. Solo io posso usarla», spiegò.
Tony fece un'espressione vagamente disgustata. «Non voglio sapere cosa gli hai dato in cambio», borbottò.
Khalida ammiccò. «Oh, non posso dire che mi sia dispiaciuto», disse, passando accanto al miliardario.
Thor non nascose uno sguardo sorpreso e quasi deluso. Aveva sospettato che il rapporto tra Khalida e Loki fosse più profondo di quello che la donna aveva dato a vedere, ma sentirla ammetterlo con tanta noncuranza, l'aveva spiazzato.
Forse aveva preso un abbaglio, credendo che lei tenesse in qualche modo alla sorte di suo fratello.
Forse nell'universo non esisteva più una sola persona a cui importasse sinceramente di Loki, ora che Frigga era morta.
Nemmeno tu. Lo avvisò una voce crudele dentro di lui. Lo cerchi solo perché credi di aver bisogno di lui.
Thor scacciò quei pensieri stringendo la presa su Mjolnir.
Khalida lo guardò negli occhi. «Possiamo andare», annunciò, incolore.
Si stava sforzando di non far trapelare il suo disagio.
Match, come una sanguisuga affamata, si stava nutrendo della sua energia, colmandosi dopo che per anni era rimasto privato della propria fonte di sostentamento.
«Voi due non andate da nessuna parte», li fermò Tony, afferrando Khalida con il braccio fasciato dall'armatura. «Cosa ci dovete fare con quella?», chiese, guardando prima Thor e poi lei.
La donna strinse i denti, non che si aspettasse collaborazione da parte di Stark, ma sperava almeno che Thor fosse più reattivo. Invece l'asgardiano sembrava turbato e inquieto, come se pensieri troppo ingombranti gli affollassero la mente.
Toccava a lei.
«Thanos vuole Loki, è per questo che ha attaccato Asgard. Forse pensava di trovarlo lì, ma così non è stato. Thor è venuto a cercarmi per chiedermi di rintracciarlo», spiegò.
Stark osservò sorpreso Thor, evitando di chiedere a Khalida come potesse essere in grado di fare una cosa del genere. Evidentemente, quell'arma non era solo ciò che sembrava. «Vuoi consegnarglielo?», domandò, sollevando le sopracciglia. Per quanto approvasse una scelta del genere, non era nello stile di Thor.
Il Dio del Tuono si trovò preso in contropiede, ma l'occhiata penetrante che Khalida gli scoccò, straordinariamente somigliante a quelle che Loki gli lanciava quando voleva che lo supportasse in una delle sue tante bugie, lo costrinse ad annuire. «È ora che Loki raccolga i frutti della sua follia. Troppi innocenti ne hanno già fatto le spese», disse, e la rabbia nella sua voce non era del tutto simulata. In fondo, una parte di lui, la stessa parte che lo aveva portato all'esilio sulla terra, lo pensava davvero.
Stark soppesò per qualche momento le parole del compagno, poi sembrò arrivare ad una conclusione, e diede una pacca sulle spalle di Thor con la mano fasciata nell'armatura. «Non sarò certo io ad impedirti di fare una mossa tanto saggia», disse.
«Ti ringrazio, Stark», disse Thor, sentendosi improvvisamente a disagio. Quella bugia che Khalida aveva imbastito gli pesava come un macigno sulle spalle.
Ansioso di andarsene, guardò Khalida, che annuì e si lasciò afferrare nuovamente per la vita. Thor alzò gli occhi al cielo, pronto a chiamare Heimdall.
«Non ci pensare nemmeno!», esclamò Tony, attirandosi lo sguardo perplesso del Dio del Tuono.
«Vai fuori a farti teletrasportare dal vostro Guardone asgardiano», ordinò, indicando le vetrate che davano sul balcone.
«Sono stanco di farmi distruggere casa da tutti i psicopatici di passaggio».

L'apertura del Bifrost causò un tremito che scosse la Stark Tower, facendo sobbalzare una già nervosa Pepper, che aspettava il ritorno di Tony torcendosi le mani.
Dopo gli ultimi eventi che avevano sconvolto la sua vita e quella di Tony, molte cose erano cambiate dentro di lei. Ma di sicuro quell'ansia per la sorte dell'uomo di cui era, suo malgrado, innamorata, non sarebbe svanita mai. Era sempre stata parte di lei, da ancora prima che Tony Stark diventasse Iron Man, quando era solo un'efficiente assistente barra madre a tempo pieno.
L'ascensore emise un dlin e le porte di metallo si aprirono.
Dall'espressione di Tony, Pepper capì che la vicenda spiacevole era conclusa, e anche in modo relativamente pacifico.
Aspettò che Tony la raggiungesse sul divano, e si strinse a lui, affondando il volto nell'incavo tra collo e spalla, respirando a fondo.
«Non posso credere di averla colpita», mormorò.
Tony soffocò una risata.
«Tesoro, meno di un anno fa hai fatto a pezzi un terrorista con le tue mani, direi che stai facendo progressi».
Pepper colpì con un lieve schiaffo il petto dell'uomo. «Sei un cretino», mugugnò, offesa.
«Lo so, me lo dici spesso», stette al gioco Stark, lasciando un lieve bacio tra i capelli della donna.
“Il GPS ha perso il segnale, signore”, annunciò Jarvis, interrompendo il momento di intimità.
Tony abbandonò la testa contro lo schienale del divano, sbuffando. «Bé, ci abbiamo provato», brontolò.
Pepper gli fece una carezza sul volto. «I tuoi nuovi trasmettitori non resistono ancora ai viaggi spaziali?», chiese. Sapeva che, da qualche tempo, Tony si stava adoperando per rendere le proprie armature in grado di viaggiare nello spazio, o quantomeno di resistere per qualche tempo. Aveva iniziato creando dei piccoli trasmettitori GPS che inviava regolarmente fuori dall'atmosfera. Evidentemente ne aveva messo uno anche sulla misteriosa arma che Thor voleva, ma ancora una volta non aveva funzionato.
«No. Domani chiamerò Bruce. Dobbiamo rivedere i calcoli e i materiali», sbuffò di nuovo Tony.
“Signore, l'agente Coulson in linea per lei”, disse Jarvis.
Tony nascose il volto in un cuscino, masticando un'imprecazione. «Digli che sto dormendo».
Pepper gli batté amorevolmente una mano sul ginocchio.
«Vado a prepararti un caffè», sussurrò, alzandosi.
“Signore, il mio firewall è stato bypassato”, comunicò Jarvis, e il suo tono robotico sembrò quasi nascondere una risata.
“Stark, abbiamo bisogno di lei”, iniziò Phil, serioso come al solito.
«Fammi indovinare, è un codice cinque», scherzò Tony, ancora nascosto dietro il cuscino.
“No, stavolta è un codice otto”, replicò l'agente.
«E che significa?», sbottò il miliardario.
La scala ufficiale dello S.H.I.E.L.D. non andava oltre il sette***.
“Significa: 'non sappiamo che diavolo sta succedendo ma non ci piace per niente'”, rispose pacatamente Coulson ma nelle sue parole c'era l'ombra di una battuta. “Adesso alzati da quel divano, e porta le chiappe sull'Elivelivolo, prima di subito”, concluse, chiudendo la conversazione con un lieve clic.
Stark sbuffò per l'ennesimo volta.
«Tesoro, quel caffè è meglio che lo fai diventare un whisky, doppio!».

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* Non so se questa cosa posse essere credibile, dato che Stark conosce Khalida, e i dati della sua memoria probabilmente vengono scaricati in quella di Jarvis, prendetela un po'come una licenza poetica

** Riferimento ad una scena di Iron Man 2, in cui si vede Tony usare una specie di prototipo dello scudo di Captain America per reggere l'accelleratore di particelle home made con cui sintetizza il nuovo nucleo del reattore Arc.

*** Non so se questa cosa esista, nel senso che in Avengers, Fury parla di un codice sette e presuppongo che l'attacco di Loki sia quanto di peggio si possa immaginare, per cui ho immaginato quel numero come massimo della scala di emergenze.... se qualcuno vuole contraddirmi, è libero di farlo.

Ok, lentamente la storia prosegue. Mi piace molto la parte introspettiva di Thor in questo capitolo, perché mi apre la strada per una conversazione tra lui e Khalida a cui tengo molto che si svolgerà, se non cambio piani, nel capitolo 7. Ci sono accenni importanti che verranno sviluppati nel corso di tutta la storia.
E così Khalida voleva Match, l'arma che Loki le aveva dato. Cosa ne vuole fare esattamente lo scopriremo sempre nel capitolo 7.
Tengo molto alle vostre impressioni su questo capitolo, dato che è la prima volta che do così tanto spazio a un personaggio che non sia Khalida o Loki. Spero che non venga fuori un pastrocchio XD

Sono soddisfatta dal fatto che, finalmente, la storia sta diventando corale come volevo sin dall'inizio e forse riuscirò a dare spazio un po'a tutti i Vendicatori.

Come ultima cosa, complimenti vivissimi a Black_Moody che ha indovinato il motivo della visita a Stark di Khalida e Thor! Ha vinto un banner per la sua divertente FF The Majest Tale, che vi consiglio caldamente!

Ed è tutto.
Ora lascio a voi!
A presto,
Nicole

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Come un incubo ***


Non vi faccio attendere molto per questo capitolo, e non vi annoio oltre, ci vediamo alla fine!
Buona lettura.



Ivy non era mai salita su un aereo, in vita sua non ne aveva mai visto nemmeno uno a distanza ravvicinata, e la prospettiva di affrontare un viaggio di durata imprecisata a bordo di un jet mastodontico, con i motori grossi quanto la sua stanza, la impensieriva, ma solo un po'.
Come le piaceva dire a se stessa, aveva visto la terra aprirsi sotto di lei e sbuffare fumo, inghiottendo tutto ciò che conosceva, aveva trascorso tre giorni interi all'inferno, e ne era uscita viva per miracolo.
Non c'era niente sulla Terra che potesse farle paura.
Più che timore, provava una sensazione di profonda inquietudine, come in quegli incubi che non lo sono realmente, ma ti lasciano addosso un'ansia difficile da cancellare.
Aveva fatto come Keira le aveva chiesto, e quando uno degli agenti, il capo presumeva, le aveva detto di radunare le sue cose e seguirlo, lei aveva ubbidito.
Strinse al petto l'orchidea preferita della madre, un raro esemplare bianco screziato di blu*, e deglutì a vuoto dedicando un lungo minuto a studiare il mezzo mastodontico i cui rotori emettevano un lieve ronzio costante.
Aveva il fascino delle cose potenti, ma assomigliava più ad un caccia d'assalto che a un mezzo di trasporto, e quel particolare la diceva lunga sulla natura dell'agenzia per cui quegli uomini lavoravano.
Coulson le aveva preso i bagagli dalle mani con fare quasi galante dopo averla vista combattere per qualche minuto per tenere la valigia e la pianta in equilibrio, e adesso la aspettava a pochi metri dal jet, lo sguardo ben nascosto dagli occhiali da sole, nonostante mancassero ancora ore all'alba.
«È sicuro signorina, non deve avere paura», le disse, ma l'assenza di sorriso sulle sue labbra non riuscì a dare alla frase il tono rassicurante che le parole sottintendevano.
Ivy scosse la testa. «Non ho paura», disse con orgoglio, «Solo che non ho mai lasciato l'isola», aggiunse, riuscendo finalmente ad identificare il motivo del suo disagio.
Keira, anzi no, Khalida, le aveva promesso molte volte di portarla a visitare New York, o un'altra delle tante città di cui scriveva nei suoi articoli, ma alla fine quelle promesse erano rimaste tali, e ora la ragazza ne comprendeva la ragione.
Benché avesse davanti l'opportunità di evadere finalmente da Haiti, la prospettiva di lasciarsi alle spalle l'isola, senza sapere quando sarebbe tornata, le sembrava più un azzardo che un avventura eccitante. Quel lembo di terra in mezzo al mare le aveva portato via tutto, ma era casa sua.
Coulson non fece commenti, con un cenno le comunicò di procedere prima di lui.
Ai piedi del jet, l'agente lasciò i bagagli ad un ragazzo dall'aria servizievole che dedicò ad Ivy un'occhiata più lunga del necessario. La ragazza si sentì arrossire, in mezzo a tutti quegli uomini vestiti di tutto punto, il suo pigiama di Winnie Pooh stonava come una sasso in mezzo a un bel prato, ma si sforzò di non abbassare lo sguardo.
Era una regola che si era auto imposta quando ancora viveva per strada.
Non sopportava che qualcuno la giudicasse, o che pensasse di poterle tenere testa.
«Vuole lasciare anche quella?», le domandò Coulson accennando all'orchidea che Ivy ancora stringeva.
«Assolutamente no», sbottò con aria quasi offesa.
L'uomo sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, ed Ivy si sentì in dovere di chiarire. «Se le succede qualcosa, Khalida mi ammazza».
Inaspettatamente, Coulson si lasciò scappare una lieve risata che venne interrotta dal suo cellulare ultra piatto e ultra tecnologico. Coulson ritornò serio e premette l'auricolare, richiamando l'altro agente solo con un lieve movimento degli occhi.
Il ragazzo che poco prima aveva fissato Ivy la affiancò e le cinse le spalle senza toccarla. «Venga con me, le faccio strada», si offrì sorridendo.
Lei gettò un'occhiata a Coulson, ma l'uomo si era già voltato per rispondere.
Sospirando, Ivy si lasciò accompagnare sul jet, continuando a guardarsi alle spalle a intervalli regolari, come ad accettarsi che Coulson fosse sempre lì.
“Cosa sa la ragazza?”, domando Fury all'altro capo del telefono.
Phil si massaggiò la radice del naso con fare stanco. «Quello che ha visto e sentito. Ci dirà tutto senza problemi, Khalida le ha raccomandato di collaborare», rispose l'uomo. «Cosa ha intenzione di fare con lei?», chiese poi.
Fury respirò profondamente. “Lei la porti qui e basta, agente”, dal suo tono, Phil intuì che il Direttore era irritato.
Verosimilmente il fatto che Thor avesse preso quella deliberata iniziativa, senza nemmeno avvisarli, lo aveva indispettito, oltre che averlo messo in pericolo.
Se il consiglio fosse venuto a conoscenza che Khalida era ancora viva, il direttore rischiava grosso.
«Nick è solo una ragazza**», si sentì in dovere di dire Coulson.
“No, è una risorsa. E ora faccia il suo dovere, e chiami a raccolta la squadra”, concluse Fury, lasciando cadere la connessione bruscamente, tanto che un fastidioso fischio penetrò l'orecchio dell'agente.
Phil brontolò sottovoce, componendo il numero di Stark.

L'Elivelivolo era la cosa più maestosa e impressionante che, Ivy ne era certa, avrebbe mai potuto vedere in tutta la sua vita. Benché potesse essere definita un'astronave, la gigantesca portaerei volante era decisamente terrestre, anzi palesemente americana, anche se nessuna bandiera sventolava in bella vista.
«Si sieda signorina, e allacci la cintura, stiamo per atterrare», la avvisò Coulson seduto di fronte a lei.
Suo malgrado, Ivy ubbidì e volto le spalle all'oblò, obbligandosi a chiudere la bocca.
Si allacciò la cintura tenendo sempre d'occhio la sua preziosa orchidea.
Cercò gli occhi di Coulson, trovandoli attenti a lei, ma non con sguardo invadente. Nonostante la freddezza e professionalità che l'uomo emanava, c'era un che di gentile nei suoi occhi.
«Da quanto tempo conosci Khalida?», gli chiese, dandogli automaticamente del tu.
Non era abituata a parlare in tono formale, dato che nel suo villaggio la conoscevano tutti.
Lui sembrò non notarlo. «Da un po'», replicò.
«Lavoravate insieme?», incalzò Ivy.
Stavolta l'occhiata di Coulson si fece penetrante. «Sono informazioni riservate, signorina», la freddò, con tono incolore. L'agente sembrò esitare per un attimo, valutando la reazione della ragazza. «Cosa sa del precedente lavoro di Khalida?».
Ivy raddrizzò le spalle e si mise sulla difensiva. «Niente. Ho scoperto solo stasera il suo vero nome. Ma dovreste saperlo, dato che ci controllavate».
«Lei non è mai stata sotto sorveglianza, signorina Rushman», precisò Coulson, ben sapendo che non era del tutto vero. Nella casa dove la ragazza viveva c'erano telecamere e cimici dovunque e, anche se il suo telefono non era controllato, tutto il resto della sua vita insieme a Khalida Sabil si era svolto sotto gli occhi attenti dello S.H.I.E.L.D.
«Chiamami Ivy», sbottò lei, irritata al suono del suo nuovo cognome, che aveva scoperto essere solamente una copertura. L'ennesima finzione, in una vita che ormai credeva reale.
Il jet sobbalzò violentemente, mentre atterrava sulla pista ingombra di velivoli similari.
Ivy non fece una piega, mascherando l'inquietudine con un'espressione apatica e chiusa.
Coulson nascose un sorriso.
«Seguimi Ivy».

Bruce era nervoso, come dimostrava il continuo tintinnare della matita che stringeva tra l'indice e il medio contro il tavolo di metallo.
Anche se lo S.H.I.E.L.D. aveva già chiesto il suo aiuto in diverse occasioni negli ultimi tre anni, l'ultima volta in cui era salito a bordo dell'Elivelivolo risaliva a quando l'aveva quasi fatto precipitare, e quell'ambiente lo metteva a disagio.
Davanti a lui, Steve Rogers sembrava scrutare le sue reazioni con malcelato interesse.
Da quando erano stati accompagnati in quella sala riunioni si erano scambiati solo poche parole di cortesia, e ora il silenzio stava diventando lievemente imbarazzante.
Da diversi mesi non si vedevano, e Bruce osservò che non aveva niente di cui parlare, nonostante sapesse che il periodo appena trascorso doveva essere stato difficile per il compagno***.
Non era mai stato molto bravo a farsi, né a tenersi, degli amici, anche prima dell'arrivo dell'Altro.
«Ha idea del perché di questa convocazione?», domandò improvvisamente Steve, cambiando posizione sulla sedia.
Bruce si tolse gli occhiali e li appese al taschino della camicia. «No. Era qualche mese che Fury non si faceva sentire».
Rogers incrociò le braccia al petto. «Questa cosa non mi piace. Perché qui ci siamo solo noi due?», domandò di nuovo, più rivolto a sé stesso che all'uomo davanti a lui.
La porta alle spalle del Capitano si aprì e l'agente Hill fece qualche passo all'interno della stanza. «Perché Stark è sempre in ritardo, e gli agenti Romanoff e Barton hanno già l'autorizzazione per conoscere quello che vi sto per comunicare», disse, rivolta al Capitano Rogers.
Questi la guardò con fare lievemente sospettoso.
«A cosa si riferisce, agente Hill?», chiese Bruce, con un familiare fastidio alla punta delle dita.
Era come se avesse sviluppato una sorta di reazione allergica agli atteggiamenti da cospirazione che molti agenti dello S.H.I.E.L.D. ostentavano, quando si rivolgevano a lui. Quel parlare inutile di autorizzazioni e informazioni riservate lo irritava, e non poco. E ormai ogni agente di quella base avrebbe dovuto sapere che irritarlo non era affatto una mossa intelligente.
L'agente Hill guardò lo scienziato negli occhi. «Respiri Dottore», gli intimò, impassibile ma un luccichio nei suoi occhi rivelava un sorriso nascosto. «Per adesso non c'è nessuna emergenza», aggiunse, poggiando sul tavolo i fascicoli che teneva in mano. Con un gesto fluido ne porse una copia ad entrambi gli uomini, sedendosi contemporaneamente sull'unica sedia rimasta libera.
Con cautela, quasi si trattasse di un ordigno da disinnescare, Steve aprì il fascicolo.
Sorpreso, lo sfogliò in fretta, imitato da Bruce.
Il Dottore mostrò, con le sopracciglia aggrottate, la foto che ritraeva Khalida Sabil nella sua divisa dell'esercito israeliano. «Cosa c'entra lei, ancora?».
«Non è morta, Bruce», rispose Steve, continuando a leggere superficialmente i documenti che aveva di fronte.
Stark l'aveva detto subito che la scomparsa di Khalida puzzava, ma lui non lo aveva ascoltato, nessuno di loro lo aveva fatto. L'idea che almeno un capitolo di quella storia da dimenticare fosse stato chiuso per sempre, era una convinzione troppo allettante per essere scacciata.
Ad un certo punto, chiuse di scatto la cartellina, e fissò Maria Hill negli occhi azzurri. «Quando pensavate di dircelo?», chiese, anche se in realtà stava parlando solo per sé stesso.
Credeva sinceramente che, dopo tutto quel tempo, Fury si fidasse di lui. Era sempre stato un soldato diligente, fedele e pronto ad eseguire gli ordini, e non credeva di meritarsi di essere escluso.  
“Lui è LA spia, i suoi segreti hanno segreti”.
Per quanto detestasse ammetterlo, Stark aveva avuto dannatamente ragione.
Non importava quanto poteva essere leale, Fury non l'avrebbe mai considerato suo pari.
Steve provò un'improvvisa voglia di massaggiarsi le tempie.
Ormai non era più nemmeno un soldato, lo sapeva bene.
Ciò che era stato, i suoi valori, erano ancora congelati in quei ghiacci che l'avevano custodito per decine di anni.
Eppure, per quanto potesse sentirsi ferito, avrebbe continuato a fare il suo dovere.
Senza quelle missioni, veniva meno lo scopo stesso della sua esistenza. Senza Captain America, Steve Rogers era solo uno scherzo della natura, trapiantato in un luogo che non era suo e non lo sarebbe mai stato.
Negli occhi fermi dell'agente Hill passò un lampo veloce di comprensione. «Probabilmente mai. Ma l'iniziativa di Thor ci ha costretto a farlo», ammise, senza rimorsi, o aria di scusa.
«Thor?», fece Bruce, che iniziava a capire, molto lentamente, in che storia lo S.H.I.E.L.D. l'aveva infilato, di nuovo.
Per quanto provasse simpatia per quel grosso armadio dal cuore d'oro che era Thor, aveva già capito che quando c'entrava Asgard i problemi si trasformavano in potenziali catastrofi universali.
Lo dimostrava il fatto che una lite tra fratelli aveva raso al suolo una cittadina, e poi distrutto mezza New York.
In quel pianeta dovevano avere un concetto molto relativo della misura.
L'agente Hill annuì appena.
«Poco dopo la mezzanotte, Thor si è presentato in compagnia dei suoi compagni asgardiani presso l'abitazione di Khalida Sabil. Non sappiamo ancora i motivi precisi della sua visita, né quali siano le sue intenzioni...», iniziò, ma un familiare sferragliare le fece morire la voce in gola.
Subito dopo, Tony Stark fece la sua comparsa, sfavillante nell'armatura.
«Avete iniziato la festa senza di me?», domandò, ammiccando, mentre l'armatura iniziava a ritirarsi a partire dai polpacci.
Steve alzò gli occhi al cielo. «Come può essere una festa, senza di te?», fece, con sarcasmo.
Il miliardario batté le mani e le sfregò l'una sull'altra. «Lo vedi che stai imparando?», esclamò, con allegria, salutando Bruce solo con un cenno della mano. Tra cigolii e schiocchi metallici, la Mark-50 si condensò in una sfera poco più piccola di un pallone da basket. Con un lieve movimento del piede, Tony la fece rotolare in un angolo.
Maria Hill fece una smorfia, irritata come al solito dall'egocentrismo del miliardario.“Agente Hill, Stark è arrivato”, le comunicò uno dei suoi sottoposti all'auricolare. “Me ne sono accorta”, masticò, a bassa voce. “Grazie per il tempismo”, aggiunse, chiudendo la comunicazione.
«Immagino sia per lei, che mi avete chiamato», iniziò Stark, accennando ai fascicoli aperti.
L'agente Hill lo fissò aggrottando le sopracciglia. «Sapeva che è viva?».
«Oh, certo, dato che si è presentata a casa mia meno di un'ora fa, e non per bere un tè, se capite quello che intendo», replicò Stark, con fare colloquiale.
Steve e Bruce si scambiarono un'occhiata a metà tra il perplesso e il preoccupato.
«Cosa voleva da lei?», domandò l'agente Hill.
Stark si guardò intorno poi, notando l'assenza di sedie o sgabelli, si sedette direttamente sul tavolo, dando le spalle a Steve e ammiccando in modo scherzoso verso l'agente Hill.
«Quello che vogliono tutte le donne, da me», scherzò.
Steve si lasciò sfuggire un gemito frustrato. «Se sei venuto qui a dare mostra del tuo ego invece che fare chiarezza su questa storia assurda, io me ne vado», sbottò, facendo il gesto di andarsene.
Tony sollevò un sopracciglio. «Nervoso, Capitan Simpatia?», infierì.
«Basta, Tony!», esclamò Bruce. «Sii serio per una volta», aggiunse, e la sua voce era molto meno diplomatica del solito.
Stark incrociò le braccia al petto, dedicando un lungo sguardo ai suoi compagni.
Avevano bisogno di una donna, tutti e due. Ancora un po' e rischiavano di annegare nel loro stesso testosterone. Appuntandosi mentalmente di provvedere al più presto, Stark si lanciò in un dettagliato resoconto di ciò che era avvenuto alla Stark Tower.
«Quindi Riccioli D'Oro e la Sposa di Satana sono partiti alla ricerca del Piccolo Cervo, mano nella mano, verso la seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino», concluse Stark, sorridendo per la sua stessa battuta.
Maria Hill ignorò la voglia improvvisa di usare la pistola di ordinanza in modi impropri per togliere quell'espressione dalla faccia di Stark. Premette un tasto sull'auricolare. “Ha sentito Direttore?”, chiese.
La voce di Fury suonò lontana. “Proceda come stabilito. Io mi occuperò della ragazza, Coulson degli scienziati”.
“Ricevuto”, mormorò l'agente Hill.
Sospirando appena, la donna afferrò un piccolo tablet molto sottile.
«La prego, signor Stark, potrebbe ripetere dall'inizio? E se lo facesse senza l'ausilio di soprannomi improbabili, gliene sarei molto grata».

Jane si strinse nel golfino, cercando di scacciare il gelo che le si era insinuato sotto la pelle.
Il bocchettone dell'aria condizionata alle sue spalle continuò a buttarle addosso folate di aria fredda, incurante del suo fastidio.
«Jane, cara. Rilassati», le mormorò Erik, seduto accanto a lei.
Lei sbuffò, passandosi una mano tra i capelli castani. «Siamo in questa stanza da quasi un'ora. Cosa diavolo vogliono ancora da me?», sbottò, irritata.
Era stanca che agenti dello S.H.I.E.L.D. si sentissero in diritto di svegliarla a qualsiasi ora e di metterla su un'auto, o su un aereo, a loro piacimento.
«Ma come fai a lavorare per loro?», continuò la scienziata, brontolando un'imprecazione in norvegese che aveva imparato nel periodo in cui aveva lavorato a Tromso.
Erik Selvig ridacchiò. «Oh, se avessi visto il nuovo laboratorio, capiresti immediatamente il perché», scherzò, poi osservò con tenerezza Jane mordicchiarsi un'unghia con insistenza.
«Cosa ti preoccupa veramente?».
Jane scrollò le spalle. «È solo una sensazione», si schermì.
«Pensi che tutto questo abbia a che fare con Thor?», indagò Selvig.
«È l'unica cosa che mi rende interessante agli occhi dello S.H.I.E.L.D.», ammise controvoglia la donna, continuando a mordicchiare a sangue la pellicina che era riuscita a sollevare.
Selvig la fissò negli occhi. «Non sminuirti. Gran parte del mio lavoro qui è basato sulle tue teorie. Sei un'astrofisica di grande talento».
Jane abbozzò un sorriso imbarazzato, che interruppe a metà appena vide un movimento al di là della porta di vetro smerigliato che aveva di fronte. Pochi secondi dopo, Phil Coulson fece il suo ingresso nella stanza.
«Buonasera signorina Foster, Dottor Selvig», salutò educatamente l'uomo, prima di sedersi davanti ai due scienziati.
Jane fece un involontario sospiro di sollievo. Phil non le stava esattamente simpatico, ricordava ancora troppo bene quando le aveva portato via tutte le sue ricerche senza nemmeno battere ciglio, ma almeno era l'agente S.H.I.E.L.D. che più sopportava.
Cercando di mantenere un contegno algido e offeso, Jane incrociò le braccia al petto. «Di cosa ha bisogno, agente Coulson?».
Phil, divertito dall'espressione ostentatamente scocciata della donna, nascose un sorriso togliendosi gli occhiali da sole. «Da quanto non ha notizie di Thor, signorina Foster?».
Jane scoccò un'occhiata ad Erik come a dire “cosa ti avevo detto?”, ma rispose subito. «Ormai sono tre mesi».
Coulson annuì, come a confermarle che la risposta era corretta. «Ha modo di contattarlo?».
Jane aggrottò le sopracciglia. «Ovviamente no, come non l'avete voi», l'irritazione di Jane si trasformò ben presto in ansia. «Cosa è successo?».
Phil esitò solo un attimo, poi riferì brevemente quello che sapevano essere accaduto ad Asgard.
Jane ci mise qualche minuto a tornare a respirare normalmente, sentiva gli occhi pizzicare e non riusciva a capire esattamente per cosa.
Forse era rimpianto di non poter essere accanto all'uomo che amava in un frangente così difficile, ma ben presto comprese che quel groppo in gola derivava dalla frustrazione. Thor non l'aveva cercata in un momento simile, non si era nemmeno fatto vedere, e questo l'aveva ferita.
Immediatamente dopo, si sentì un'egoista per averlo anche solo pensato.
Ma il groppo in gola rimase lì.
Erik le prese una mano, sciogliendole il pugno contratto.
«Possiamo fare qualcosa?», chiese lo scienziato.
Phil annuì. «Il Direttore vorrebbe che proseguiste con il progetto “Terra-Asgard”».
Selvig mostrò la sua sorpresa sgranando gli occhi. «Non era stato definitivamente accantonato?».
«Ora potrebbe esserci davvero molto utile per capire ciò che sta succedendo», spiegò Phil, poi guardò Jane negli occhi. «Abbiamo bisogno anche delle sue competenze, signorina Foster».
Per un attimo, il cervello di Jane rimase fermo, incantato in una sorta di loop, in cui senso di colpa e delusione si rincorrevano. Erik le strinse leggermente la mano, come a darle coraggio, e qualcosa scattò nella sua testa, la stessa cosa che l'aveva spinta ad accompagnare Thor a recuperare il Mjolnir tempo prima.
Poteva fare qualcosa, forse di insignificante, ma pur sempre qualcosa, per aiutarlo, e se lo sarebbe fatto bastare.
Ricambiò lo sguardo di Phil con determinazione.
«Quando cominciamo?».****

La porta si chiuse con uno scatto secco.
Il suono rimbalzò sulle pareti di metallo e si fermò al centro del petto di Ivy, aumentando la sua ansia. Sforzandosi di contenerla, sollevò gli occhi dalle proprie mani intrecciate in grembo e scrutò il nuovo arrivato.
Era un uomo a cui non avrebbe saputo dare un'età precisa, completamente vestito di nero, pantaloni di pelle, maglietta aderente a maniche corte e una fondina ben in mostra sotto l'ascella sinistra. Particolare interessante, uno degli occhi era nascosto da una benda, sempre nera.
Di sicuro l'allegria non era il suo forte, pensò Ivy, ma si morse la lingua, imponendosi di assumere un'aria seria e composta, nonostante l'assurdità della situazione.
La sensazione di essere sprofondata in un brutto sogno fuori dagli schemi aumentò improvvisamente.
«Signorina Rushman...», iniziò l'uomo, portando le mani davanti allo stomaco. Reggeva un voluminoso fascicolo carico di fogli e carta più spessa che poteva essere fotografica, dal modo in cui rifletteva la luce.
«Ivy», lo interruppe lei, istintivamente. «A quanto pare, nemmeno quello è il mio cognome», non riuscì a trattenersi e la sua voce risuonò più accusatoria di quanto volesse.
L'uomo non si scompose. «Il suo cognome è perfettamente legale, signorina Rushman», precisò, prima di scostare la sedia e accomodarsi di fronte a lei.
Il fascicolo rimase chiuso, ma lo stesso Ivy tentò di sbirciarlo. Riuscì solo a cogliere un nome, “Khalida Sabil”, e alcune cifre, 01325, forse un numero di matricola.
Realizzò immediatamente che, dentro quella cartellina, c'erano le risposte che desiderava.
La vita della donna a cui voleva bene come una madre e che le aveva insegnato molto di più di quello che un genitore normalmente faceva, la spiegazione agli incubi che tormentavano Khalida quasi ogni notte e a cui lei assisteva spesso impotente.
Tutto era dentro quei pochi centimetri di carta.
Fury intercettò il suo sguardo famelico e allontanò il fascicolo, freddandola con uno sguardo penetrante.
«Sono il Direttore Nick Fury», si presentò l'uomo.
Ivy aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di ricordare dove avesse già sentito quel nome.
Oh. Porca. Vacca. Sillabò tra i pensieri, quando i neuroni giunsero ad una conclusione.
Quello era l'uomo più misterioso, e probabilmente potente, dell'intera nazione, se non del pianeta. Colui che conosceva ogni più piccolo e sporco segreto di ogni persona che contasse qualcosa sulla Terra. Ma che diceva, probabilmente anche nell'universo intero.
Si impose di rimanere indifferente. Mai fare capire ad una persona del genere di Fury che sai chi è e cosa potrebbe farti e, soprattutto, che venderesti l'anima per farti raccontare anche solo un aneddoto divertente sugli Avengers, anche se dubitava che Fury conoscesse il significato esatto della parola divertimento.
«Cosa posso fare per lei?», domandò Ivy, con fare educato e distaccato al contempo.
«Solo rispondere a qualche domanda, signorina».
Ivy incrociò le braccia al petto. «Spari».
Fury sembrò leggermente sospettoso, ma per uno che faceva il suo mestiere doveva essere l'espressione d'ordinanza. «Bene, iniziamo dai motivi della comparsa di Thor».
Ivy sospirò. «Non so molto. Quando ho visto quella combriccola assurda nel mio giardino, sulle mie rose, sono svenuta. Quando ho ripreso i sensi Khalida aveva già deciso di aiutare Thor a trovare una persona».
«Chi?», chiese Fury, conoscendo già la risposta, ma volendo avere conferma.
«Un certo Loki», rispose Ivy.
Fury annuì appena. «Ha sentito altro?».
«Thor ha fatto un altro nome, Thanos. Ha detto che questo tizio ha ucciso sua madre, e che Loki avrebbe potuto essere interessato a vendicarla», ricordò Ivy, fermandosi spesso, incerta sulle parole esatte, seguendo il filo della conversazione smozzicata che aveva ascoltato nascosta dietro la finestra.
Fury sospirò pesantemente. Non c'era voluto molto per smontare la storia improbabile che Khalida e Thor avevano raccontato a Tony.
Altro che consegnare Loki a Thanos, Thor era ancora intenzionato a proseguire nella sua filosofia natalizia “siamo tutti più buoni, compreso il fratello adottato omicida e latitante”.
«Tutto bene, Direttore?», chiese Ivy, con tono lievemente sarcastico.
Non era possibile che avesse turbato Fury con le sue rivelazioni, qualcosa le aveva fatto intuire che l'uomo le aveva posto domande di cui conosceva già la risposta, ma si concesse comunque un breve momento per crogiolarsi nell'idea.
Fury la guardò come se fosse diventata improvvisamente invisibile. «Chiamerò un agente che la scorterà al suo alloggio, signorina», concluse, alzandosi.
Improvvisamente Ivy sentì un brivido freddo lungo la schiena. «Cosa ne sarà di me?», chiese, in un filo di voce appena udibile.
Fury non la guardò. «Resterà qui finché non faremo chiarezza su questa storia. L'agente Coulson si occuperà di lei». La porta si aprì inondando la stanzetta della luce al neon intensa del corridoio. «Non si muova da questa stanza, finché non verranno a prenderla», intimò Fury, con un tono che ad Ivy parve quasi una minaccia.
Questa volta la porta si chiuse senza emettere un suono.
Sospirando, Ivy si mosse incerta sulla sedia.
Naturalmente Fury si era riportato dietro il fascicolo e con esso anche l'ultima speranza di sapere di più su quella storia.
Stropicciò con foga il bordo della maglietta, cercando freneticamente una soluzione.
I suoi pensieri vennero interrotti da alcune voci che, attraverso le pareti, penetrarono il pesante silenzio della stanza.
Istintivamente, Ivy si alzò e con cautela avvicinò la porta, tendendo l'orecchio.
Le voci rimasero confuse, per cui la ragazza decise di aprire la porta, giusto qualche centimetro, per sentire meglio.
Ciò che vide, la lasciò senza fiato per un lungo momento, tanto da farle credere di avere le allucinazioni per la stanchezza.
Tony Stark, sì quel Tony Stark, Steve Rogers, alias Captain America, e Bruce Banner, al secolo Hulk, erano solo a pochi metri da lei.
Discutevano tra loro, sicuramente di Khalida e Thor, perché riuscì a cogliere i nomi di entrambi.
«Questa faccenda riguarda Asgard», stava dicendo Steve Rogers.
«Non ci metterei la mano sul fuoco. Ultimamente la famiglia reale asgardiana ha la brutta abitudine di lavare i panni sporchi sulla Terra», osservò Stark.
«Anche se fosse, da qui possiamo fare molto poco», commentò il Dottor Banner, passandosi una mano sulla nuca, con fare stanco.
Solo allora Ivy notò che tutti e tre tenevano in mano un fascicolo del tutto identico a quello di Fury.
Un pensiero allettante e pericoloso le si affacciò alla mente.
Per anni era stata una scippatrice provetta, le erano riusciti colpi al limite dell'impossibile, e quella nuova opportunità era semplice come bere un bicchiere d'acqua, per una della sua esperienza. Nessuno dei tre uomini l'aveva vista ed avevano tutti l'aria di essere appena stati buttati giù a calci dal letto, a parte Captain America che appariva riposato come una rosa.
Le ci sarebbero voluti esattamente cinque secondi per scattare in avanti, sfilare il fascicolo dalla mani di uno di loro e poi correre verso il fondo del corridoio dove intravedeva le porte metalliche di un ascensore aperto. Avrebbe potuto infilarsi lì dentro e concedersi almeno qualche minuto per leggere in pace, prima che qualcuno venisse a prenderla per i capelli.
Una familiare scarica di adrenalina le comunicò che aveva già deciso.
Mentre riempiva i polmoni d'aria e determinazione, sperò solamente che non mandassero Hulk a riprenderla.

Un lieve spostamento d'aria sbuffò sulla nuca di Tony.
Il miliardario si voltò appena e contemporaneamente le sue mani si alleggerirono dal peso del fascicolo di Khalida. Con la coda dell'occhio, appena un presentimento, intuì un forma minuta vestita di giallo canarino e con i capelli scarmigliati. Ci mise pochi istanti a realizzare, insieme ai suoi compagni, che quella sottospecie di pulcino gli aveva appena sfilato un documento top secret dalle mani con incredibile naturalezza.
«Hey, fermati!», esclamò Rogers, il primo a reagire di loro tre.
Il ladro era incredibilmente veloce, e Tony e Steve partirono con qualche secondo di ritardo, dovuto alla sorpresa. Quando la ragazza, sì perché i capelli erano decisamente femminili, era quasi giunta in fondo al corridoio, Natasha Romanoff sbucò inaspettatamente dalla curva a gomito che portava all'area adiacente della base.
«Natasha, fermala», urlò istintivamente Steve.
La Vedova Nera non ci pensò più di tanto, con un semplice movimento del busto si intromise tra l'ascensore e la ragazza, afferrandole gli avambracci. Nella foga della corsa, le due finirono all'interno dell'ascensore, e nonostante Ivy si dibattesse come un'anguilla, Natasha la tenne ferma contro la parete senza apparente sforzo.
Solo quando si accorse della freccia che un altro uomo le puntava contro il viso, smise di muoversi.
Improvvisamente spaventata, spostò lo sguardo velocemente sui volti perplessi che la fissavano come se fosse appena uscita da un circo di fenomeni da baraccone.
I Vendicatori per un attimo non seppero che fare, con quella ragazzina spaventata e con gli occhi lucidi tra le mani.
«E tu chi diavolo sei?», sbottò Tony.
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* riferimento al capitolo 4 di Spie, in cui Khalida paragona Loki alle orchidee

** qualcuno (Sayuri XD) mi ha fatto notare che normalmente Coulson si rivolge a Fury chiamandolo "capo", ma qui, presuppongo un avanzamento di grado di Coulson nei ranghi dello SHIELD, dopo la sua mancata "morte" e quindi anche una confidenza maggiore tra Fury e Phil.

***
nel mio immaginario, questi eventi, si svolgono sia dopo Iron Man 3 che Captain America: The Winter Soldier

**** immancabile citazione del trailer di Thor: The Dark World. Far citare Loki a Jane è un giochino che aspettavo di fare da tempo, ed adesso mi sono tolta una soddisfazione.

Ci sono capitoli che mi fanno penare, altri invece, come questo, che si scrivono da soli, e che vanno un po'dove vogliono. all'inizio questo "triplo interrogatorio" non doveva svolgersi così, ma poi la penna è partita, Tony ed Ivy hanno iniziato a fare come volevano e io li ho lasciati andare.
Spendo solo qualche parola per Jane. Non è un mistero che sia un personaggio antipatico alla maggioranza del fandom. Io al contrario, la ritengo un personaggio interessante, penalizzato dalla sceneggiatura frettolosa del film Thor. per quanto, personalmente, consideri stupida la storia d'amore tra Jane e Thor (stupida perché non credo che abbia basi solide o futuro) non posso dire che non la ritenga comunque una scelta molto coraggiosa, e Jane, nonostante tutto, è un personaggio coraggioso, nella sua umanità. Un personaggio a cui sicuramente darò più spazio in futuro.

Ok, questo è un capitolo un po'di passaggio, insieme al prossimo sarà l'ultimo di "introduzione", poi dall'8 cominceremo a fare sul serio, e si cominceranno ad intuire di più le motivazioni che spingono Khalida.
Ormai posso affermare con sicurezza che Loki tornerà nel capitolo 9, e vi prometto che dopo non ce le leveremo più di torno XD

A presto,
Nicole


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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Come il veleno ***


Sono in ritardissimo, ma questo capitolo ci ha messo molto a delinearsi nella mia mente. Stiamo per avvicinarsi al clou della storia, e quindi sentivo la necessità di delineare con chiarezza tutte le sottotrame che intendo affrontare (quanti paroloni per dire che ho avuto poco tempo per scrivere XDXD)
Comunque spero che sia valsa la pena, buona lettura, ci vediamo alla fine...




La nebbia si avviluppava lentamente intorno alle gambe dei soldati, solida e concreta come centinaia di serpenti traslucidi, rendendoli inquieti e rumorosi.
Malekith dedicò un lungo sguardo alle proprie truppe, stipate nella gola il cui nome ormai era stato dimenticato nei lunghi anni di degrado, l'angolo più buio di tutto il pianeta. Uno dei pochi luoghi dell'universo in cui lo sguardo dorato di Asgard non poteva giungere.
Un sorriso inquietante e soddisfatto ferì il volto dalla pelle scura, rendendo più evidenti le cicatrici ornamentali che lo solcavano.
«Non essere così compiaciuto, Elfo», sibilò la voce cavernosa del Chitauro alle sue spalle.
Malekith non si voltò.
«Perché affermi ciò, mostro?», chiese, calcando sull'epiteto che amava utilizzare, per riferirsi al comandante in carica dell'esercito di creature a metà tra macchine ed esseri viventi.
Per un guerriero come Malekith, che affondava le radici del proprio potere nella forza bruta e nella semplicità della violenza, diavolerie tecnologicamente avanzate come i Chitauri e le loro armi erano semplicemente fonte di preoccupazione.
Più un grattacapo che un reale vantaggio.
Eppure aveva dovuto accettare l'alleanza con il Signore Rosso e il suo esercito di macchine.
Dopo anni di tirannia, Asgard aveva reso il suo popolo l'ombra di ciò che era stato, vicino alla più umiliante delle estinzioni.
L'Elfo Oscuro trattenne un ringhio di rabbia e disprezzo.
Odino aveva ripagato anni di servizio fedele, di sangue versato e vite spezzate con un governo duro e spietato.
E per ripagare quale torto?
Solo la legittima richiesta di indipendenza di un popolo fiero che meritava qualcosa di più di una vita all'ombra ingombrante di Asgard. Era stato lo stolido rifiuto del Padre degli Dei a trasformare quella richiesta in una cruenta rivolta che gli eserciti di Asgard avevano affogato nel sangue degli Elfi, sterminando la famiglia reale.
L'unico sopravvissuto era stato il suo antenato, che portava il suo stesso nome. Lui, che insieme alla sua forza, gli aveva trasmesso anche l'odio più puro e viscerale per qualsiasi cosa che provenisse da Asgard, desiderando solamente cancellare per sempre quella luce perfetta che ne proveniva.
E adesso, grazie anche a quell'esercito di mostri, aveva la possibilità di rendere il suo desiderio, la sua brama, realtà.
Non capiva proprio perché non avrebbe dovuto essere soddisfatto.
«Perché è stata la spavalderia, a far crollare il tuo predecessore», rispose con calma serafica il Chitauro, l'espressione di scherno nascosta dall'ingombrante elmo dorato.
Lo spadone ricurvo di Malekith minacciò la gola della creatura, costringendola contro il muro.
«Come osi paragonarmi a quella feccia asgardiana?», sibilò, spuntando le parole come un cobra sputa il veleno.
«È ciò che sei», intervenne la voce cavernosa di Thanos, alle loro spalle.
I suoi passi, pesanti come macigni, risuonarono per la conca, acquietando la massa agitata dell'esercito. Malekith lasciò andare il Chitauro con un scatto e, schiumando di rabbia, fronteggiò il Titano, ancora con la spada in pugno.
Lo sguardo di ghiaccio di Thanos spense in fretta il suo furore.
Un mezzo sorriso affiorò sulle labbra del Titano. «Devi imparare, giovane Principe, dagli errori di chi è venuto prima di te», lo ammonì, con il fare saggio di un mentore che rimbrotta un allievo cocciuto.
Malekith ingoiò le proteste, e si affrettò a fare un cenno d'assenso.
«Che novità mi porta, mio signore?», domandò, senza adulazione, ma con reale rispetto.
Gli Elfi Oscuri non erano esseri privi di onore, e sapeva riconoscere i meriti di guerrieri capaci. Thanos era il primo individuo che si interessava alla sua sorte, e di questo gli era, intimamente, riconoscente.
«Il nostro contatto non ci ha ancora comunicato alcun cambiamento», espose tranquillamente il Titano.
Malekith trattenne la delusione. «Quando agiremo?».
«Non appena il Portatore sarà giunto ad Asgard», replicò Thanos, poi gettò un lungo sguardo penetrante alla massa informe dell'esercito, che aveva ripreso a muoversi, agitata come onde del mare. «Allora, potrete placare la vostra sete di vendetta», esclamò a voce alta, scatenando un boato d'esultanza tra i soldati, che picchiarono le lance sul terreno e le spade contro gli scudi di metallo. «Ora vai dai tuoi soldati, Elfo», concluse Thanos, congedando il Principe con un vago gesto della mano.
Quando Malekith si fu allontanato abbastanza, il Chitauro soffiò tra i denti, in un sibilo simile a quello di un gatto infastidito. «Quando avrò il permesso di ucciderlo?», chiese.
Thanos ghignò. «Non ne avremo bisogno. Ci penserà la sua vendetta a spingerlo tra le braccia della Morte», mormorò, poi accennò all'esercito radunato sotto di loro. «Sono sempre di più», commentò.
«Continuano ad arrivare», confermò il Chitauro. «Saranno perfetti per distrarre Asgard dal vostro vero obiettivo».
«Taci», intimò Thanos, improvvisamente solenne. «Non è ancora il momento. Per prima cosa, il Tesseract», precisò.
La Morte pochi passi avanti a lui, sorrise, felice e spietata.
«L'universo sarà mio, per sempre».

Asgard non era cambiata da come Khalida la ricordava.
L'improvvisa e violenta dipartita della sua Regina non aveva scalfito la bellezza immutabile della Città Eterna. Per i suoi abitanti, invece, le cose erano decisamente differenti.
A parte il Guardiano, Heimdall, sfavillante nella sua armatura dorata, ogni singolo asgardiano che incrociava la sua strada e quella di Thor era vestito a lutto, dal più nobile all'umile serva.
Il mantello scarlatto del Dio del Tuono feriva quell'assenza di colore come una macchia di sangue troppo indelebile per essere lavata via.
Per la prima volta Khalida si fermò a riflettere sui motivi che avevano spinto Thanos ad agire in quel determinato modo.
Era ovvio che volesse stanare Loki, scatenando la sua ira, privandolo dell'unica persona per cui il Dio non provasse l'odio viscerale che riservava ad Odino, Thor e all'intera corte di Asgard. Ma l'intento del Titano era più profondo.
Attaccando Asgard, ferendola in profondità, provando la vulnerabilità del suo stesso sovrano, Thanos puntava anche a mettere in ginocchio l'intera Città Eterna.
Per cui era ovvio che il primo attacco si sarebbe presto ripetuto, e questa volta l'esercito di Elfi di Thanos non si sarebbe limitato ad una scaramuccia.
Khalida fissò la schiena di Thor, diversi passi avanti a lei.
Il Dio del Tuono non si poteva certo definire un tipo brillante, ma la donna era certa che avesse compreso il piano del suo nemico, dato che la lingua della guerra era quella con cui era cresciuto, e proprio per quello in quel frangente sapeva di potersi fidare di lui.
Khalida accelerò il passo, faticando a stare al passo con l'asgardiano.
Al loro arrivo, Heimdall aveva comunicato, non senza un'ombra di sollievo nella voce monocorde, che Odino si era risvegliato dal suo Sonno e che, sebbene ancora troppo debole per sedere sul trono, attendeva entrambi nei suoi alloggi.
Thor si stava trattenendo a stento dal correre, animato da un sollievo purissimo.
Ora che Padre era nuovamente in salute, si sentiva più sicuro, e quel peso sul petto diventava di minuto in minuto più leggero. La sua decisione gli appariva migliore, più giusta, certo che Odino sarebbe stato fiero di lui.
La mano di Khalida scattò all'improvviso, afferrandogli un polso con vigore. «Non sono veloce come te», lo ammonì, costringendolo a fermarsi.
Come risvegliandosi da un sogno, Thor annuì, sentendosi nuovamente in colpa.
Non era mai stato bravo a comprendere i sentimenti dei propri compagni.
Osservò Khalida. Ansimava leggermente, la pelle coperta di sudore nonostante la temperatura gradevole. Le dita della mano destra stringevano convulsamente l'arma, che emetteva un vago bagliore azzurro lungo i contorni affilati.
«Stai bene?», le domandò d'istinto.
Khalida inarcò le sopracciglia. «Non importa, muoviamoci», tagliò corto.
Thor non accennò a muoversi.
Quell'umana aveva il potere di farlo sempre sentire inadeguato.
Era sempre stato così, sin dal loro primo incontro.
Una sensazione che gli ricordava incredibilmente Loki che, con il suo acume e la scioltezza di lingua, l'aveva sempre affascinato e spaventato in ugual modo. Forse per questo a volte era stato crudele con lui, definendo le differenze tra loro con il sarcasmo pungente dei bambini.
«Khalida io...», iniziò.
«Thor», lo fermò immediatamente lei. «Qualunque discorso tu voglia affrontare, non è il momento. Tuo padre ti aspetta».
Il Dio del Tuono strinse un pugno.
Lo stava rifacendo, forse la sua era solo una tattica per fargli perdere il controllo, o semplicemente la divertiva metterlo in difficoltà, ma non aveva intenzione di cedere alla provocazione.
Khalida aveva ragione, non era il momento. «Seguimi», le intimò.
Tenendo un passo più calmo, Thor la condusse all'interno del palazzo.
Mormorii sorpresi rimbalzarono sulle pareti, man mano che si diffondeva la notizia del ritorno di Thor, accompagnato da quella donna strana, vestita in modo inusuale e con quell'arma dall'aria pericolosa impugnata con disinvoltura, quando solo i membri della famiglia reale erano autorizzati a presenziare armati davanti al Padre degli Dei.
Le orecchie di Khalida non potevano cogliere ogni mormorio, ma alla base della nuca una fastidiosa sensazione di pericolo la tormentava. Non avrebbe mai potuto sentirsi a suo agio in quel luogo troppo perfetto per essere vero.
Due guardie in armatura stanziavano accanto all'ingresso della camera di Odino, impugnando lunghe lance affusolate. Scattarono sull'attenti non appena riconobbero Thor, ma esitarono un minuto di troppo quando si accorsero della presenza di Khalida.
«È con me», si affrettò a specificare il Dio del Tuono. «Ora conducetemi da mio Padre», ordinò, ammantandosi di un'aura improvvisamente altera e autoritaria che Khalida non riconobbe.
Benché non si fosse comportata in modo diverso dal solito nei suoi confronti, aveva constatato immediatamente un cambiamento in Thor. Gli anni passavano anche per lui, e stava maturando. Probabilmente la morte di Frigga gli aveva scaricato addosso una valanga di improvvise responsabilità e consapevolezze che lo avevano reso più conscio del suo ruolo all'interno della corte.
Mormorando un “sì maestà”, le guardie ubbidirono e spalancarono gli alti battenti rivestiti di metallo lucido.
La camera era più piccola di quanto Khalida si aspettasse. Il grande letto dalla struttura imponente, di un metallo lucido che assomigliava al platino, la occupava quasi per intero, e il Padre degli Dei appariva un qualunque vecchio malato, sprofondato nelle lenzuola candide, con la schiena appoggiata ai cuscini.
Insieme a Sif e i Tre Guerrieri, un'altra donna dall'aspetto imponente e dalla bellezza voluttuosa scrutò con interesse il suo arrivo e quello di Thor. Khalida non aveva ricordi di averla vista, nel suo breve soggiorno ad Asgard, e istintivamente la esaminò con attenzione.
Era vestita come i soldati che presidiavano l'ingresso della stanza, di rosso ed oro, ma qualcosa nei suoi abiti aveva un indubbio taglio femminile, sotto braccio teneva un elmo dorato decorato da due grandi corna di montone e al fianco cingeva una lunga spada dall'elsa finemente lavorata, il pomolo era una testa di serpente impreziosita da grossi smeraldi. Benché fosse vestita come tale, Khalida dubitò immediatamente che quella donna fosse una semplice guerriera come Sif. Il suo portamento era troppo fiero e i suoi occhi accesi di un'intelligenza feroce e indagatrice.
La donna ricambiò a lungo il suo sguardo, poi fece un breve sorriso, senza dire niente.
Khalida rabbrividì istintivamente, ma ignorò la sensazione, concentrandosi sulla conversazione, di certo complicata, che la attendeva.
Thor accennò un inchino. «Padre, vederti finalmente in salute mi riempie di sollievo», esclamò, dirigendosi verso il capezzale del padre.
Questi sollevò lentamente una mano, in un gesto di saluto.
«I tuoi amici mi hanno già spiegato», iniziò Odino, fissando immediatamente Khalida, che era rimasta nei pressi della porta, quasi a volersi accertare di avere una via di fuga. «Avevo sperato di non rivederti più umana», disse.
Khalida strinse le labbra e decise che quella volta non avrebbe rivolto nessun segno di rispetto nei confronti del sovrano di Asgard.
«Sono qui solo su richiesta di Thor. Anche io speravo di non doverci tornare mai più», replicò, con voce dura.
Odino accettò le sue parole con un cenno del capo. «Quindi, vuoi trovare Loki?», domandò, rivolto al figlio.
Thor si sedette sul materasso, a rispettosa distanza dal padre. «Può aiutarci, Padre. Lui conosce il nemico», disse, ripetendo la stessa spiegazione che aveva già dato a Khalida.
Odino scosse la testa. «La sorte di Loki ormai appartiene a lui soltanto. Non hai diritto di andare a cercarlo».
Thor si irrigidì improvvisamente. «State dicendo che non approvate la mia decisione?».
«La tua è una speranza labile e infantile», iniziò Odino. «È trascorso troppo tempo, e Loki non è più la persona che conoscevi. Ed ora è potente».
Khalida era confusa quanto Thor da ciò che udiva.
C'era un logica di fondo nelle parole del Padre degli Dei, ma Odino sembrava provato, affaticato perfino, e nei suoi occhi brillava una luce sinistra. Un luccichio che la donna riconobbe immediatamente. «Perché non dice chiaramente di cosa ha paura?», intervenne.
L'insinuazione velenosa di Khalida provocò la reazione della guerriera che non conosceva, che portò la mano alla spada. «Come osi, midgardiana?», sibilò.  
«No, Lady Amora, ha ragione», disse Odino, fissando l'unico occhio in quelli di Khalida. «Ho paura, umana, di ciò che Loki potrebbe fare all'unico figlio che mi è rimasto. Ha già causato indicibile sventura alla mia famiglia».
Thor, sconvolto da quella prospettiva, lasciò cadere improvvisamente il Mjolnir a terra. «Loki non mi ucciderebbe», affermò con sicurezza. «Tutte le volte che ne ha avuto l'occasione non l'ha mai fatto».
«Tuo fratello ci ha rinnegati!», esclamò Odino, alzando improvvisamente la voce.
«Ma io non ho rinnegato lui», replicò Thor, sullo stesso tono, scattando in piedi. I pugni stretti lungo i fianchi come a trattenere gesti inconsulti.
Khalida fece un passo avanti, la luce nel cristallo di Match brillò più intensamente e i Tre Guerrieri si allarmarono, portando le mani alle armi. «Lei teme il Tesseract, l'ha sempre temuto. Per questo l'aveva nascosto sulla Terra».
Odino la fissò come se volesse ucciderla. «Non hai il diritto di giudicarmi, umana».
«Né lei ha il diritto di giudicare Loki, quello l'ha perso la prima volta che gli ha mentito», calcò Khalida, senza pietà.
Odino fece un gesto improvviso, come se si volesse alzare in piedi, ma la donna che aveva chiamato Amora gli mise una mano sulla spalla, mormorando qualcosa che Khalida non udì. «Quel potere corromperebbe il più nobile degli asgardiani», continuò Odino. «Non possiamo sapere cosa ne ha fatto di Loki».
«Loki non è un asgardiano», precisò Khalida.
Un silenzio glaciale serpeggiò tra i presenti, fino a che Thor non ruppe la propria immobilità.
Affiancò Khalida, allontanandosi dal giaciglio del padre. «Desidero scoprirlo, Padre. Non possiamo sapere quando Thanos attaccherà di nuovo e noi abbiamo il dovere di proteggere il popolo. Ad ogni costo».
«Non mi ingannerai facendomi credere che vuoi trovare Loki per il bene del popolo. Lo fai unicamente per te stesso. Non sei molto diverso dal ragazzo egoista che esiliai sulla Terra poco tempo fa», infierì Odino, cedendo subito dopo a un colpo di tosse secco che venne seguito subito da molti altri.
Lady Amora si affrettò a porgere una coppa colma di liquido trasparente al Padre degli Dei, mormorando ancora qualcosa che Khalida non riuscì a sentire. Odino sembrò ascoltarla con attenzione, e annuì un paio di volte, abbandonando il capo contro i guanciali alle sue spalle.
«Cosa succede?», chiese Thor con ansia, forse per il litigio, forse per l'improvviso pallore che si era fatto strada sul volto rugoso del padre.
Amora raddrizzò le spalle. «Vostro Padre ha bisogno di riposare, è ancora debole», spiegò, voltandosi. «Andiamo a discutere in un luogo più consono», li incitò, accennando con il capo alla porta.
Tentennando, Thor spostò più volte lo sguardo tra l'Incantatrice e il Padre, ma questi sfuggì il suo sguardo e, dopo pochi secondi, parve assopirsi definitivamente.
Ad un gesto secco di Amora, i soldati di guardia chiusero i pesanti battenti sul volto preoccupato di Thor, che rimase imbambolato per qualche secondo, risucchiato in pensieri troppo oscuri, per il solare Dio del Tuono.
«Cosa diavolo succede?», domandò a mezza voce, quasi rivolto a sé stesso.
Amora gli posò delicatamente una mano sulla spalla.
«Vostro padre è molto provato, Principe. Si è risvegliato troppo presto dal suo Sonno, e ora il suo giudizio sembra annebbiato. A volte chiama ancora il nome della Regina, come se non rammentasse gli ultimi avvenimenti», spiegò, con voce calma, venata di preoccupazione sincera.
«Cosa dicono i guaritori?», chiese Thor.
«Stanno facendo ciò che la loro arte gli consente di fare», sospirò la donna. «Ma il Padre degli Dei ha molti anni sulle spalle e, per quanto longevi, non siamo immortali».
Il Dio del Tuono si voltò improvvisamente, fronteggiando la donna con un'espressione improvvisamente piena di rabbia. «Cosa sta cercando di dirmi, Lady Amora?».
La donna non sembrò turbarsi. «La responsabilità è su di te, Thor», disse, passando improvvisamente al tu, con una naturalezza che Khalida notò immediatamente. «Odino non è in grado di guidarci in questo momento, e ora Asgard conta solo su di te. Le tue decisioni avranno effetti diretti su tutti i Nove Mondi».
Reagendo con una solidità che Khalida non gli aveva mai attribuito, Thor raddrizzò le spalle e gonfiò il petto. «Ne sono consapevole».
«Ritieni che cercare Loki sia il miglior modo di agire?», domandò Amora.
«Sì», replicò immediatamente il Dio del Tuono.
Gli occhi verdi della Dea lampeggiarono. «Allora ti appoggerò. Penso come te che le conoscenze del Principe Loki possano aiutarci a comprendere la situazione. In più, se è ancora in possesso del Tesseract, il suo potere ci darà un grosso vantaggio».
«Thanos vuole Loki, portandolo qui ce lo attireremo addosso», protestò Fandral.
Lady Amora lo fulminò con un'occhiataccia. «È proprio questo il piano. Se sappiamo dove attaccherà, e perché, sarà più facile creare una controffensiva efficace».
Thor annuì. «Desidero che richiami i nostri alleati, Lady Amora. Avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile», disse, con tono solenne. «Thanos potrebbe attaccare da un momento all'altro».
«Li convocherò con la scusa delle esequie della Regina», annuì l'Incantatrice.
Volstagg colpì Fandral con una gomitata. «Avevo proprio voglia di una bella guerra. Mi mettono appetito», ridacchiò, sottovoce.
Khalida si schiarì rumorosamente la voce, attirando l'attenzione su di sé.
«State dimenticando una cosa», disse.
«Cioè?», domandarono Thor e i Tre Guerrieri in coro.
Khalida sorrise, con fare quasi conciliante. «Prima dobbiamo riuscire a trovare Loki».
Gli asgardiani si guardarono a vicenda, come cercando qualcosa da dire.
Fu Amora a rompere gli indugi. «Come hai intenzione di farlo, umana?».
Khalida picchiò lentamente un dito sull'estremità luminosa di Match. «Con questa. Quando me la diede, Loki disse che avrebbe potuto rintracciarmi finché l'avessi tenuta con me. Presumo che valga anche il contrario».
Amora strinse leggermente gli occhi, come se dubitasse delle parole di Khalida, ma non disse niente.
«Cosa ti serve, Khalida?», domandò Thor.
La donna ammiccò. «Un letto, e del cibo... tanto cibo».
Volstagg si animò dondolando sui talloni, sfregando il ventre prominente con le mani. «A quello ci penso io! Vedrai umana, nessuno è più esperto di me su Asgard».
Le risa di Thor e dei suoi compagni riecheggiarono tra le pareti dorate, scacciandone via, almeno per qualche attimo, tutto il dolore e il rimpianto.

Chiusa in quella stanza che le ricordava drammaticamente una scatoletta di sardine, il tempo sembrava non passare mai. Solo un lieve attenuarsi delle luci alogene segnava la differenza tra giorno e notte e, con una buona dose d'intuito, Ivy immaginava che fuori il sole stesse per sorgere. Immobile, seduta al centro del materasso a gambe incrociate, respirava a fondo, come le aveva insegnato Khalida, per calmarsi ed espandere i polmoni.
Non aveva dormito molto, tormentata da mille interrogativi.
Naturalmente, dopo averla acciuffata, i Vendicatori non avevano voluto darle una sola risposta.
In compenso, le avevano rivolto un milione di domande inutili, ma lei era rimasta muta.
Non vedeva perché avrebbe dovuto degnarli di maggiore considerazione di quella che loro mostravano a lei.
Esasperati e sfiniti, i Vendicatori si erano limitati a consegnarla nella mani di Coulson e a sparire.
Solo Steve Rogers aveva esitato un attimo, rivolgendole uno sguardo intenso, vagamente intenerito. Quasi si fosse reso conto solo in quel momento che quella che avevano bistrattato in fondo era solo una ragazzina, le aveva domandato se si sentisse bene.
Ed Ivy era scoppiata a piangere come una bambina, in modo incontrollato.
Phil, di solito sempre presente e puntuale si era ritrovato completamente spiazzato, ed era stato Steve a prendere in mano la situazione, mettendo una mano sulla spalla della ragazza e accompagnandola in silenzio lungo il corridoio, mentre Coulson gli faceva strada.
Anche se gli era stata grata per quella considerazione, Ivy era un tale concentrato di rabbia e delusione, che non era riuscita a dire una parola. Si era chiusa la porta metallica della stanza alle spalle, gettandosi sul letto e affogando le urla e gli insulti nelle piume del cuscino.
A distanza di qualche ora, si sentiva più calma, ma lo stesso quella rabbia pungente la tormentava da quando aveva smesso di essere una bambina e che in quegli anni credeva di aver sconfitto, le pungeva sottopelle, pronta ad uscire.
Scalciò con decisione la coperta dalle gambe e si alzò, indossando in fretta un paio di pantaloni da yoga neri e una canotta larga dello stesso colore. Aveva bisogno di muoversi, e questo nemmeno Fury poteva impedirglielo.
Aprì la porta di scatto e, senza capire bene come, qualcuno le rovinò addosso, lanciando imprecazioni a caso.
In un groviglio di braccia e gambe, Ivy tentò di alzarsi, inutilmente.
«Ma che diamine fai?», la rimproverò una voce profonda ma con qualcosa di adolescenziale, come i ragazzi che sono appena entrati nella pubertà.
«Eri tu che dormivi appoggiato alla porta, idiota!», scattò Ivy, rabbiosa, fulminando il malcapitato con un'occhiata assassina.
Lo riconobbe quasi immediatamente.
Era l'agente che le aveva sorriso, prima di accompagnarla sul jet ad Haiti. Ora che lo vedeva da vicino, sembrava davvero giovane, forse non aveva più di venti o ventidue anni.
Il giovane agente si schiarì la voce, sottolineando con un movimento delle sopracciglia il fatto che Ivy era praticamente seduta sul suo braccio.
Arrossendo, Ivy si scostò, pur mantenendo l'espressione irritata. «Che diavolo ci facevi davanti alla mia porta?», domandò alzandosi in piedi, imitata in fretta dal giovane.
«È il mio lavoro», si difese l'agente, spolverandosi i pantaloni della divisa.
Ivy aggrottò le sopracciglia. «Cioè?».
Il ragazzo si passò una mano tra i corti capelli rossicci. «Bé... sono la persona più giovane di questa base. E l'agente Coulson ti ha affidata a me, mentre lui è impegnato con questioni più... urgenti», spiegò, nascondendo un lieve sorriso furbo.
Ivy sbuffò. «Quindi sei il mio baby sitter», concluse, con tono acido, ravvivandosi i capelli. Fissò il ragazzo in tralice, poi rilassò le spalle.
«Come ti chiami?».
«Agente Whedon», replicò, ma all'occhiataccia della ragazza, si affrettò ad aggiungere. «Drew».
Ivy incrociò le braccia. «Bene Drew. Ora, se non ti dispiace, io vado a correre», annunciò, facendo il gesto di uscire dalla stanza.
L'agente Whedon la fermò per il braccio. «Non puoi andartene in giro da sola», protestò.
«Allora vieni con me», ammiccò Ivy, provocando un lieve rossore tra le lentiggini rosate del giovane agente.
Il ragazzo recuperò in fretta un contegno. «È meglio che tu non vada in giro a correre per i corridoi. Alcuni di noi sono... suscettibili».
Ivy ripensò al modo in cui la Vedova Nera l'aveva sbattuta contro le pareti dell'ascensore. «L'ho notato», masticò, a mezza voce.
Drew sembrò non capire, ma preferì tacere. Precedette Ivy fuori dall'alloggio. «C'è una palestra su questo livello. Se proprio ci tieni, posso accompagnarti», propose, con una sorta di cautela educata che Ivy apprezzò immediatamente.
«Fammi strada», annuì, ritrovando, almeno per un attimo, qualcosa di cui sorridere.

Per la maggior parte della sua vita Ivy non aveva avuto nessuno accanto, nessuno che le dicesse cosa era meglio fare, come comportarsi e come interpretare ciò che le accadeva.
Come la maggioranza delle persone cresciute completamente abbandonate a sé stesse, Ivy aveva un carattere diffidente, aggressivo e solitario. Con la cocciutaggine dell'adolescenza, aveva respinto tutte le persone che aveva tentato di aiutarla, ferendole per convincerle che non meritava niente di buono, dato che la vita aveva scelto di toglierle tutto.
Solo Keira, con la sua pazienza e l'incredibile realismo con cui affrontava la vita, era riuscita a farla aprire, facendo emergere la sua vera indole, trasformando quel grumo di rabbia che Ivy portava sempre con sé in una forza d'animo che non avrebbe mai creduto di possedere.
La gratitudine che la ragazza provava nei confronti di Khalida, nonostante la delusione iniziale che aveva provato scoprendo la verità su di lei, non conosceva nessun confine, perché senza di lei non aveva idea di dove sarebbe finita.
Probabilmente morta ammazzata, oppure invischiata in qualcosa di addirittura peggiore.
Haiti non era certo un paradiso, e per una ragazza di strada come lei, le probabilità di sopravvivenza non erano mai state molto elevate. Ivy se l'era cavata bene, inventandosi i modi più disparati per sopravvivere, ma lei aveva sempre avuto la sensazione di camminare su un filo molto sottile, costantemente indecisa su quale fosse il limite da non attraversare mai.
Khalida, invece, le aveva insegnato un modo diverso di vivere, qualcosa di più che il semplice continuare a respirare e quel filo sottile era diventato improvvisamente una strada sicura, fatta per essere percorsa in due.
Durante lunghe conversazioni, e anche con il suo esempio, Khalida le aveva trasmesso una filosofia di vita che scrutava il significato profondo delle azioni senza classificarle secondo un concetto canonico di bene e male, ma basandosi su qualcosa al di là, qualcosa che era più correlato al rispetto di sé stessi, e della propria natura.
In fondo non era riuscita ad odiare Khalida per averle mentito perché, in modo viscerale, sapeva che niente di tutto quello che le aveva insegnato era una falsità, che l'unica cosa che le aveva davvero nascosto era stata il proprio nome, mentre tutto il resto, in un modo e nell'altro, glielo aveva trasmesso sinceramente.
Per cui, anche ora che erano separate per la prima volta, Ivy aveva intenzione di onorare tutto ciò che Khalida le aveva insegnato, a cominciare dall'allenamento mattutino che facevano insieme, che consisteva in cinque chilometri di corsa. Avrebbe preferito correre nuovamente sulla spiaggia, con la rilassante risacca dell'oceano nelle orecchie, piuttosto che farlo su uno sterile tapis roulant sotto la sorveglianza vigile, e anche un po' divertita, dell'agente Whedon, che non le staccava gli occhi di dosso, ma poteva accontentarsi.
L'attrezzo sotto di lei emise un lieve bip, annunciando la fine della sessione di allenamento ed Ivy rallentò il passo a ritmo con il nastro, respirando profondamente e godendosi la sensazione del sudore che le colava lungo il viso e la schiena. Si sentiva meglio ora, più lucida.
Massaggiandosi la nuca per sciogliere il nodo rigido di tensione che si era accumulato durante la notte insonne, scrutò Drew da sotto le ciglia. Forse era un bene che le avessero messo alle calcagna un ragazzo tanto giovane, che più di una volta l'aveva guardata dove non avrebbe dovuto.
Se giocava bene le sue carte, avrebbe potuto ottenere da lui parte delle informazioni che voleva. «Cosa fai, quando non sei impegnato a fare il baby sitter?», chiese, con tono leggero, concedendogli un sorriso.
L'agente esitò un attimo, ed Ivy lo incalzò. «Lavori con Coulson?».
«No. Lui è un pezzo grosso. Io sono solo un ingegnere informatico», replicò Drew, muovendosi nervosamente da un piede all'altro.
Ivy si pettinò i capelli con le dita. «Suona noioso», brontolò.
Lui sorrise. «Non sempre», ammiccò.
Lei gli si fece più vicina.
«Che ne dici di raccontarmelo mentre mi accompagni a fare colazione?».

Qualche metro sopra Ivy e l'agente Whedon, Clint Barton osservava la scena con un lieve sorriso sulle labbra.
Seduto a cavalcioni di una delle travi che sostenevano le grosse lampade a led che illuminavano la palestra, riprese a giocherellare con una delle sue frecce, facendola ruotare nel palmo della mano solo con dei lievi movimenti delle dita.
Alle sue spalle, passi leggeri annunciarono l'arrivo di Natasha lungo la passerella di metallo.
Clint ormai ne sapeva riconoscere la camminata, e provava uno strano misto tra orgoglio e gratitudine per il fatto che solo con lui Natasha si concedeva di essere rumorosa.
Per il resto del mondo, la Vedova Nera era perfettamente invisibile, silenziosa e letale.
Aspettò che lei gli si accomodasse accanto, prima di voltarsi.
Era in borghese, stretta in un'anonima tuta scura, i capelli rossi sciolti sulle spalle in onde confuse, agitate come le onde del mare.
Qualcosa si mosse all'altezza del suo stomaco.
All'inizio aveva associato i suoi sentimenti per Natasha, anche se forse sarebbe stato più corretto parlare di pulsioni, ad una naturale conseguenza della sua glaciale bellezza. Qualcosa di puramente fisico, quasi biologico, che sarebbe svanito con l'abitudine, man mano che si sarebbe assuefatto alla sua presenza.
Ma l'assuefazione non era mai arrivata, presto rimpiazzata da una sorta di dipendenza venefica.
Nel corso del tempo era dovuto ricorrere a vari espedienti per passare lunghi periodi lontani da Natasha, come accettare missioni dall'altra parte della pianeta ed evitarla del tutto nei momenti in cui si sentiva più vulnerabile.
Avere una relazione con una collega non era proibito dalla regole dello S.H.I.E.L.D., ma fortemente sconsigliato*, e Clint, benché non si ritenesse una cima, era in grado di leggere tra le righe.
Ciò che provava gli avrebbe solo intralciato il lavoro, e la sua stessa vita di conseguenza, per cui si era adoperato per soffocare ogni briciolo di attrazione che sentiva per Natasha.
Poco importava se lei lo ricambiasse o meno, quei sentimenti andavano decisamente accantonati, per il bene di entrambi.
Poi era arrivata Budapest, e le cose erano diventate improvvisamente chiare come il sole.
Da diversi mesi era lontano dalla base, rimasto confinato nel sud est asiatico per più del necessario, quando Fury l'aveva richiamato per fornire supporto tattico all'agente Romanoff, rimasta impantanata in un operazione sotto copertura finita male.
La sparatoria che avevano scatenato per coprire la loro fuga era degenerata, e si erano ritrovati in trappola, stretti tra due ali di fuoco ostile. Per uscire dalla situazione ingarbugliata in cui erano finiti Clint aveva fatto una valutazione troppo frettolosa ed avventata.
Arrogante, l'avrebbe definita la Vedova Nera, nel successivo rapporto.
Per coprirlo Natasha si era esposta al fuoco nemico ed era stata colpita alla schiena.
La squadra di supporto era arrivata giusto in tempo per evitare il peggio.
Benché la ferita di Natasha non fosse grave, poco più di un graffio, vederla sanguinante per un suo errore, gli aveva scatenato una girandola di sentimenti che erano sfumati velocemente da un bruciante senso di colpa ad una una rabbia feroce, violenta e incontrollata.
Gli agenti più giovani di lui l'avevano dovuto tenere fermo, impedendogli di scagliarsi su uno dei responsabili del ferimento di Natasha.
Quando era riemerso dalla nebbia rossa della furia, Clint si era sentito svuotato, consapevole che tutti quei mesi di lontananza non erano serviti a niente.
Lui, considerato uno degli agenti di punta dello S.H.I.E.L.D., aveva una debolezza, una di quelle che prima o poi finisce per ucciderti.
In un lampo di lucidità, quasi un'illuminazione, aveva realizzato cosa fosse davvero quel groviglio di sensazioni che Natasha era in grado di scatenargli dentro.
E l'unica soluzione gli era sembrata, paraddosalmente, la fuga.
Si era eclissato in nuove missioni e prima degli avvenimenti di New York, non l'aveva più rivista.
Dopo il suo ricalibramento cognitivo fra loro si era instaurata nuovamente una confidenza appena superiore a quella normalmente esistente tra semplici colleghi, ma entrambi erano consapevoli del nuovo muro che l'arciere aveva eretto fra loro e Natasha sembrava rispettarlo, se non addirittura apprezzarlo.
Apparentemente, la tecnica stava funzionando.
Durante la battaglia di Los Angeles, quando aveva rischiato di perderla di nuovo, la pietosa scena di Budapest non si era ripetuta, anche se solo lui sapeva quanto aveva dovuto combattere per non far trapelare ciò che stava passando durante le lunghe ore d'attesa, in cui la vita di Natasha sembrava appesa ad un filo.
La risata acuta della ragazzina, Ivy, salì fino a loro, interrompendo i pensieri di Clint.
Natasha stirò lentamente le labbra in un sorriso freddo. «Sembra che l'abbia presa abbastanza bene», commentò.
Clint gettò uno sguardo indifferente verso il basso, seguendo l'uscita di scena di Ivy e dell'agente Whedon. «Non capisco perché Fury abbia deciso di tenerla qui», disse invece.
Natasha scrollò il capo, e la punta dei suoi capelli sfiorò la spalla di Occhio di Falco.
«Tu ragioni da combattente, come al solito», lo rimbrottò, con fare pigro. «Fury è uno stratega, e sa perfettamente come tratte il maggior vantaggio possibile da ogni circostanza», espose, con logica disarmante.
Su una cosa non c'era dubbio, Natasha sapeva sviscerare le persone con una sola occhiata. «Cosa intendi?», le chiese.
«La ragazza è merce di scambio. Finché Fury l'avrà in pugno, lo sarà anche Khalida Sabil».
L'agente Barton aggrottò le sopracciglia.
Il ragionamento non faceva una piega, era spietatamente lucido e limpido, pericoloso come un veleno potente. Ma era inumano, e nonostante la sua lunga carriera piena di ombre, Clint si sentiva ancora un essere umano in tutto e per tutto. Ed era fiero che quell'umanità lo portasse ad avere ancora un minimo di sensibilità.
«Non ti riferisci solamente al ricattare Khalida, vero?», indagò.
Natasha raddrizzò la schiena, impassibile lo guardò in volto. «Hai visto come ha sfilato quel fascicolo dalle mani di Stark? Ha talento. Con un po' di lavoro, diventerebbe una brava agente».
Qualcosa dentro Clint si ribellò. «Ho letto il suo fascicolo, quella ragazza merita di essere lasciata in pace. La sua storia è orribile».
La Vedova Nera lo freddò con un'occhiata gelida.
«Non lo è quella di tutti noi?».
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* questo concetto non è mio ma viene dalla bellissima One Shot di Evilcassy Washing The Spider Out, leggetela, anche se non siete fan dei Clintasha, perché merita davvero.

Qualcuno probabilmente storcerà il naso di fronte alla mia interpretazione di Malekith, ma ho preferito rappresentarlo così, accumunandolo, almeno per situazione di partenza, a Loki.
La spiegazione sulla natura dei Chitauri è completamente di mia invenzione e personale.
Per la parte asgardiana... so che Odino sembra un vecchietto con la demenza senile... tutto sarà chiaro con il tempo.

L'agente Whedon, naturalmente il cognome è un tributo a Joss Whedon regista di The Avengers, nel mio immaginario è il giovane agente che gioca a Gallaga e che viene sgamato da Tony in The Avengers. è un personaggio di "riempimento" volevo dare ad Ivy una controparte giovane con cui confrontarsi.

La parte finale... adoro letteralmente Clint, è stata il personaggio di Avengers che più mi ha colpito, quello di cui mi è rimasta la curiosità di sapere di più, e sono contenta di essere riuscita a dargli questo piccolo spazio. non sono una fan accanita della clintasha, ma ho voluto mantenermi fedele ai fumetti, in cui comunque Clint è innamorato di Natahsa, almeno per un periodo. Ho preferito mantenermi sul vago per quanto riguarda la vedova nera, forse affronterò in seguito l'argomento, forse no...

Ok, è tutto, spero che il capitolo vi piaccia, al prossimo capitolo!! (che spero non arrivi fra un mese!)

PS: dimenticavo, il 27 luglio sarà un anno che ho iniziato questa trilogia, volevo ringraziare tutti quelli che mi seguono dall'inizio, chi si aggiunto nel frattempo e chi continua a sostenermi, Red Sayuri!
Un bacione!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Come una madre ***


Eccomi qui, stavolta sono stata veloce... purtroppo non vi posso assicurare che il capitolo nove arriverà entro breve, tra poco partirò per le vacanze e non so quanto tempo avrò per scrivere, perdonatemi :(
Con questo capitolo si chiude la prima parte della storia, in cui ci sono tutte le carte in tavola (????) e ci avviciniamo al cuore dell'intera vicenda.
Spero che il capitolo vi piaccia.
A presto!
Nicole



La brezza del mattino muoveva delicatamente le impalpabili tende traslucide, producendo un gradevole fruscio simile allo stormire delle foglie.
Nei giardini di Asgard l'aria era calda e afosa, sospesa come prima di un temporale estivo.
La luce dell'alba illuminava le lenzuola disfatte, risalendo pigramente lungo il corpo seminudo di Khalida, seduta al centro del materasso a gambe incrociate, nella tipica posizione di meditazione yoga. Si era svegliata da pochi minuti e, come sua abitudine, stava facendo dei semplici esercizi di respirazione.
Di primo mattino la aiutavano a riordinare le idee, e in quel frangente ne sentiva particolare bisogno.
Socchiudendo gli occhi, sbirciò il profilo di Match, appoggiata sul materasso davanti a lei.
Aveva un'idea piuttosto vaga di come estrarre le informazioni di cui aveva bisogno dall'arma, a patto che ne contenesse.
Si era dovuta concedere quel che restava della notte per riposare, recuperando le forze che Match le aveva strappato, ma ora non aveva motivi per rimandare ciò che doveva fare.
Prima riusciva a trovare Loki, prima sarebbe tornata da Ivy.
Il ricordo della ragazza le fece stringere le labbra, in un moto inconsueto di malinconia.
Sapeva che il rapporto tra lei ed Ivy era solido, e non aveva paura che ciò che stava accadendo lo rovinasse, ma nei due anni in cui aveva vissuto insieme non si erano mai allontanate l'una dall'altra, e ora provava uno strano misto tra gelosia e preoccupazione, nel saperla lontana, chissà dove e chissà con chi.
Prima che l'ansia la inondasse, Khalida tese le mani e strinse le dita sull'asta di Match, concentrandosi.
Il metallo si modellò alla forma della sua mano, confortevole come un guanto.
Era nuovamente tiepido, come lo ricordava.
Come se fosse satura, l'arma non le sottrasse ulteriore energia, ma una sensazione strana le rimbombò nei nervi, quasi una vertigine.
Scacciando l'ondata di nausea, Khalida chiuse gli occhi e riprese a respirare profondamente, provando ad imitare i gesti che aveva visto fare a Loki durante le sue sedute di meditazione.
Il silenzio si fece di piombo, e per lunghi secondi, nulla lo turbò.
Lento e impercettibile come il salire della marea, un basso ronzio le giunse alle orecchie, simile al rumore della corrente che scorre nei fili dell'alta tensione.
Aprì la mano e il ronzio svanì.
Incoraggiata dal progresso, Khalida riprovò e, quando le sue orecchie colsero nuovamente il ronzio, si concentrò su di esso, continuando a respirare in modo regolare e profondo.
Ben presto la percezione del tempo e degli oggetti intorno a lei svanì completamente, e il lieve rumore di fondo diventò più intenso, cambiando ritmo.
A poco a poco, i cambiamenti di volume e di frequenza si chiarificarono, e Khalida riuscì ad udire distintamente dei suoni simili a parole, in varie lingue che non comprendeva.
Parla.
Sillabò improvvisamente una voce metallica.
Khalida si stupì talmente tanto per quel cambiamento repentino che sussultò, aprendo di scatto gli occhi. Fortunatamente, ebbe la prontezza di spirito di non mollare la presa su Match.
Parla. Ripeté la voce.
Questa volta, più che nelle orecchie, Khalida la sentì risuonare distintamente nella mente.
Non credeva alle esperienze mistiche, per cui era certa che ci fosse una spiegazione scientifica del tutto plausibile per ciò che stava vivendo, ma non era certo quella l'occasione per scoprirlo.
Chi sei? Domandò tra sé e sé.
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte. Replicò la voce.
Khalida rifletté per un secondo sulla frase, poi corresse la domanda. Cosa sei?
L'ultimo lascito del mio popolo.
Khalida trattenne un sospiro di sollievo. La sua speranza non era stata del tutto vana.
In Match era veramente custodita una sorta di copia di backup di ciò che il Tesseract conteneva.
Come posso trovare Loki? Domandò, con più entusiasmo.
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte.
Khalida strinse i denti, frustrata. Evidentemente quella voce era una sorta di intelligenza artificiale, programmata per rispondere a stimoli prestabiliti. Una specie di Jarvis alieno.
Sperava solo di non metterci troppo tempo per giungere alle informazioni che le servivano.
Era probabile che Thanos non avrebbe attaccato fino a che non fosse stato certo della presenza di Loki ad Asgard, ma era meglio non provocare inutilmente la sorte.
Rifletté con calma.
Match era stato creato con il Tesseract, e Loki le aveva detto che grazie all'arma avrebbe potuto rintracciarla. Se era vero, ciò con cui stava conversando doveva essere direttamente collegato con la fonte primaria di quelle informazioni. Un po' come un computer può essere connesso ad un server distante centinaia di chilometri.
Come posso rintracciarti? Provò a chiedere.
Segui l'energia. Rispose la voce.
Quale energia?
Questa volta la voce ci mise qualche secondo ad elaborare la risposta e non la espresse a parole, ma attraverso una serie di immagini, in cui la familiare luce blu del Tesseract si mescolava a galassie e costellazioni che Khalida non aveva mai visto.
Non esistono varie fonti d'energia, ma solo l'energia. Ogni cosa si muove grazie ad essa.
Una nuova immagine le mostrò, in un ultimo sprazzo di colore, la camera del Bifrost.
Khalida si morse le labbra, pensierosa.
Aveva già sospettato che il Bifrost potesse essere il mezzo più adatto per trovare Loki, ma era Heimdall ad indirizzarlo e lo sguardo del Guardiano si era dimostrato più volte cieco, quando si trattava di rintracciare il Principe perduto di Asgard.
Ma forse...
Come posso guidare il Bifrost? Chiese Khalida
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte.
Khalida soffiò un gemito di frustrazione tra i denti, si morse ancora le labbra, concentrandosi di più.
Come posso indirizzare l'energia? Provò, quando ormai aveva vagliato tutte le varianti grammaticali e semantiche che riusciva ad imbastire.
Non puoi. Dovrai lasciare fare a me.
Khalida era sospettosa, la faccenda le sembrava troppo semplice.
Potrebbe essere pericoloso?
Non so calcolare gli effetti dell'energia sul tuo corpo a lungo termine, ma al viaggio sopravvivrai.
L'entità non si preoccupò di aggiungere altro e un'improvvisa stanchezza cadde sulle spalle di Khalida, quasi schiacciandola contro il materasso.
Sfinita, lasciò andare Match e il contatto mentale svanì così come si era creato.
Si stese sul materasso, per prevenire eventuali svenimenti e, nel portarsi le mani al volto, intercettò qualcosa di strano.
Si fissò le mani, sorpresa, più che spaventata.
Sulla pelle aveva sottili ustioni, del tutto identiche alla trama della filigrana sull'impugnatura di Match. Probabilmente, stando a quanto aveva detto la voce, quella piccola ferita era solo l'inizio. Anche Loki glielo aveva detto, tempo prima.
Non poteva sperare di usare l'energia di Match, senza subire conseguenze a livello fisico.
Lo stomaco le brontolò rumorosamente, distogliendole la mente da quelle riflessioni cupe.
Con gli occhi frugò intorno a lei.
A pochi passi dal letto, un tavolino basso era stato imbandito con svariate tipologie di cibo, alcune non troppo diverse da quelle terrestri.
Khalida sorrise appena. Volstagg era stato di parola.
Facendo leva sui gomiti, si mise seduta.
Il tempo di mangiare e recuperare le forze, poi avrebbe nuovamente ritentato di conversare con quella strana entità.
Non poteva commettere errori, era consapevole che non avrebbe avuto una seconda occasione.

Khalida non aveva mai considerato l'opportunità di diventare madre, nemmeno da bambina.
Una certezza impressa a fondo nel suo cervello, quasi un imprinting, le suggeriva che non aveva alcuna possibilità di essere brava in un mestiere che nessuno le aveva insegnato.
Per questo non aveva battuto ciglio quando i servizi segreti israeliani le avevano messo davanti l'opportunità di sottoporsi ad una piccola ed innocua operazione chirurgica che le avrebbe impedito per sempre di avere figli.
Era una decisione di cui non si era affatto pentita, nonostante l'entrata in scena di Ivy.
Per quanto la definisse sua figlia, Ivy era qualcosa di diverso da un figlio biologico, forse addirittura qualcosa di meglio. Tra loro non esistevano rivalità di nessun tipo, e le tipiche problematiche madre/figlia che aveva studiato sui testi di psicologia non avevano ragione di esistere.
Questo non significava che prendersi cura di lei fosse stato semplice, ma il loro rapporto assomigliava più a quello tra un insegnante e il proprio allievo, fondato su un rispetto e un affetto guadagnato nel tempo, piuttosto che su un principio di dovere dovuto al legame di sangue.
Poteva definirsi la madre di Ivy perché le voleva bene, non le voleva bene perché era sua madre.
Anche se poteva sembrare solo un giro di parole, in realtà tra le due cose c'era una sostanziale differenza, quasi abissale.
Khalida si massaggiò lentamente una tempia, tentando di scacciare il mal di testa incipiente.
Aveva passato tutto il giorno chiusa nella sua camera, parlando con l'entità dentro Match, fino a che non era stata certa di aver compreso cosa fare per rintracciare Loki. La cosa, benché istruttiva, non era stata piacevole, e si sentiva stanca e debole. Probabilmente, aveva anche qualche linea di febbre, ma non era certo il momento di commiserarsi.
Quella faccenda andava chiusa in fretta.
Un'ora prima aveva mandato a chiamare Thor, dandogli appuntamento alla fine del Ponte dell'Arcobaleno.
Era arrivata da pochi minuti, ma già iniziava ad annoiarsi e la testa ultimamente le giocava brutti scherzi, indugiando troppo spesso in pensieri ancora nuovi per lei.
Cercando di distrarsi, voltò gli occhi intorno, osservando la cupola del Bifrost, attraversata da pigre scariche di luce bianca, lungo venature simili a radici. Al centro, nel punto più alto, un foro largo circa cinque metri di diametro lasciava filtrare appena la luce rossastra del tramonto infinito di Asgard.
La grande camera era immersa nella penombra, e la lieve luce opalina della pavimentazione traslucida segnava gli oggetti di ombre cupe e profonde.
Alle sue spalle, Khalida sentì i passi pesanti di Heimdall avvicinarsi.
Non aveva dubbi che il Guardiano intuisse già il motivo della sua presenza lì, per cui non si sorprese troppo quando l'immenso asgardiano l'affiancò. «Può funzionare», disse, con la sua voce profonda e monocorde. «Ma potrebbe essere pericoloso».
Khalida incrociò le braccia al petto. «Comprendo i rischi».
«Ma sei disposta a correrli?».
La donna non rispose.
Spostò lo sguardo verso il palazzo reale, che si intravedeva appena in una delle strette finestre.
«Ho dato la mia parola», mormorò, tra sé e sé.

Khalida aveva congedato le ancelle con voce brusca, quasi tagliante.
Probabilmente le donne si erano risentite per il modo irrispettoso con cui le aveva apostrofate, ma non le importava più di tanto. Non vedeva l'ora di lasciare quel pianeta, o qualunque cosa diavolo fosse quel posto. Per quanto Asgard fosse affascinante, era aliena, lo percepiva fin sotto la pelle, e lei si sentiva ogni minuto di più fuori posto.
Perfino il modo in cui l'avevano vestita provava la sua umanità.
Anche se era abbigliata esattamente come Sif, nemmeno un cieco l'avrebbe mai scambiata per un'asgardiana.
L'aveva chiesta a gran voce, ma la sua uniforme dello S.H.I.E.L.D. non le era stata restituita, così come le sue armi.
Poteva affermare con sicurezza di non essersi mai sentita così indifesa.
Un lieve bussare alla porta interruppe i suoi pensieri.
Pensò immediatamente che fosse una delle ancelle, e sbuffò, brontolando un invito a mezza voce. Chiunque fosse, non aveva nessuna voglia di essere gentile.
«Vi chiedo perdono per la mia intrusione», mormorò una voce delicata alle sue spalle.
Khalida si voltò e scrutò la giovane ragazza che, a capo chino, sembrava attendere una sua parola.
Non era una delle ancelle che l'avevano vestita.
«Cosa vuoi?», domandò, diretta.
«La Regina desidera parlarvi».
Khalida si irrigidì visibilmente. Non aveva nessun desiderio di invischiarsi ulteriormente con quella famiglia, ma non poteva nemmeno rifiutare un ordine così diretto.
Sospirando, raddrizzò le spalle. «Ti seguo».

La Regina Frigga, prima di essere una sovrana e una moglie, era una madre.
Khalida l'aveva capito subito, non appena l'aveva vista seduta ai piedi del trono del marito. L'aveva letto dentro lo sguardo che aveva dedicato ai suoi figli, naturali e non, e lo vedeva anche ora, mentre la fissava avanzare nella luce sfavillante del primo mattino. Possedeva quella ferma dolcezza, quella certezza data dall'amore più puro e incondizionato, che solo le madri per vocazione possiedono.
Qualcosa di cui Khalida ammetteva l'esistenza, ma non capiva, né conosceva, come un cieco dalla nascita che non è in grado nemmeno di immaginare i colori.
Il portico era immerso in un giardino apparentemente isolato dal resto del palazzo, e Khalida intuì immediatamente che l'incontro con la Regina non era ufficiale.
Chissà perché, l'aveva immaginato.
Frigga le dedicò un lungo sguardo attento.
«Questo abbigliamento vi dona», osservò.
«Vi ringrazio maestà», replicò Khalida, pur non nascondendo un'espressione scettica.
Frigga sorrise, con fare più naturale. «Voi umani siete così diffidenti», mormorò, quasi tra sé e sé.
«È il nostro modo di sopravvivere», fece presente Khalida. «Perché ha chiesto di vedermi?», aggiunse.
La Regina la soppesò con lo sguardo per qualche istante, poi si avvicinò di un passo. «Cosa sai delle leggende che il tuo popolo narra su di noi?».
«Nulla», ammise Khalida, confusa dalla domanda.
Frigga accennò un nuovo sorriso, adombrato da una serietà improvvisa. «Non solo Loki sa padroneggiare quella che voi chiamate magia. Altri asgardiani, creature rare e preziose, possiedono abilità simili, benché non così varie e potenti», la voce di Frigga si affievolì per un istante, e gli occhi antichi della dea si persero in ricordi troppo remoti, perché Khalida potesse intuirli.
«Io sono una di loro», concluse la Regina. «Di tanto in tanto, i miei occhi sono in grado di vedere oltre, tra le pieghe del tempo e dello spazio. Non sono altro che brevi scintille, spiccioli di futuro a volte incomprensibili, altre drammaticamente chiari».
Khalida si sentì invadere dalla nausea. «Cosa sta cercando di dirmi?».
Frigga si avvicinò ancora, e Khalida si ritrovò a fissare la fitta rete di sottili rughe d'espressione che circondavano gli occhi della dea. Con un lieve sussulto dei muscoli facciali, lo sguardo della Regina si affilò.
«Arriverà un momento, umana, in cui mio figlio avrà bisogno del tuo aiuto», dichiarò, con solennità. «Ho convinto mio marito a salvarti solo in vista di quel momento».
Khalida strinse i denti. «Cosa si aspetta che faccia?», sibilò.
Ogni sentimento positivo che aveva provato per la sovrana di Asgard era stato fagocitato da un'ondata di rabbia.
Ancora una volta, qualcuno si stava arrogando il diritto di manovrare la sua vita.
Frigga fece il gesto di allungare la mano, ma lo interruppe a metà, intuendo il disagio di Khalida.
«Ti darò qualcosa in cambio», disse infine la Regina, come in una tacita scusa.
«E cosa potreste mai avere, per me?», sbottò Khalida, aggressiva.
«Risposte», fece laconica Frigga. «Dimmi umana, quante persone hai ucciso?».
Khalida sgranò gli occhi, sentendo qualcosa pungere all'altezza dello sterno, ma il suo orgoglio, l'unica cosa che nessuno le avrebbe mai strappato, le impose di non eludere la domanda.
Non aveva mai fatto mistero con nessuno del suo passato, e benché potesse non andarne fiera, non l'avrebbe mai rinnegato.
«Molte».
«Eppure una sola di quelle vite ti pesa sulla coscienza», osservò placidamente Frigga.
Khalida fece istintivamente un passo indietro, improvvisamente terrorizzata da ciò che la sovrana sembrava sapere di lei. Forse cose che nemmeno lei riusciva ad ammettere con sé stessa. «Lei non può osare...», iniziò, ma Frigga la interruppe.
«So che c'è una domanda che ti tormenta, e posso darti la risposta di cui hai bisogno, se mi prometterai che farai ciò che ti chiedo».
Quella conversazione era la più strana che Khalida avesse mai sostenuto, ma non aveva dubbi che la Regina dicesse sul serio.
Se così non fosse stato, la paura non l'avrebbe afferrata in modo tanto violento.
Ma quella domanda che da anni la tormentava, e la sua risposta, che ancora non aveva afferrato, erano un chiodo doloroso nella sua mente. E per strapparlo via, avrebbe dato qualsiasi cosa, nonostante sapesse che in futuro se ne sarebbe pentita.
«Prometto», le scivolò di bocca, in un sospiro spezzato.
Frigga stavolta le posò le mani sulle spalle, fissandola dritto negli occhi. La sua espressione era seria, ma una sottile dolcezza trasparì dai suoi lineamenti.
«Ce la farai. Troverai la pace che brami, se permetterai al tuo cuore di amare nuovamente», dichiarò Frigga, non riuscendo a trattenere un sorriso nello scorgere le lacrime in bilico tra le ciglia della donna di fronte a lei.
Khalida le ricacciò orgogliosamente indietro e chinò appena il capo.
«Mi dica cosa vuole che faccia».
«Resta vicino a mio figlio, ad ogni costo».

Alla Bocca del Demone, Khalida aveva creduto che il suo estremo sacrificio per permettere a Loki di fuggire adempisse il volere della Regina, e che la pace che aveva tanto agognato sarebbe arrivata attraverso la morte.
Si era sbagliata, perché la sua redenzione era Ivy, e ciò che tutto lei rappresentava.
Una rivincita sul suo destino di assassina e il riscatto per la vita di Mannar che non era riuscita a salvare.
Probabilmente, se non fosse stato per le parole di Frigga, non avrebbe mai accettato di prendersi cura di quell'ammasso di guai e rabbia che era la ragazza quando l'aveva incontrata.
Per questo aveva acconsentito subito alla richiesta di Thor.
Era giunto il momento che pagasse il suo debito.
Anche se aveva previsto le circostanze che avrebbero portato alla sua morte, Frigga non si era preoccupata di proteggersi, pensando unicamente al bene dei propri figli, e Khalida da lei stava imparando cosa significava davvero essere madre.
Nonostante questo, la Regina l'aveva delusa.
Credeva che con la sua richiesta Frigga volesse proteggere Loki, invece le circostanze le suggerivano che la dea, parlando di suo figlio, si riferisse a Thor, e che ciò che intendeva davvero assicurare era la sua ascesa al trono di Asgard. Non immaginava come tutta quella situazione avrebbe mai potuto giovare a Loki, anzi.
In piedi accanto a lei, Heimdall scrutava nel vuoto, immobile.
«Hai molte domande, dentro di te», osservò il Guardiano, dopo minuti di silenzio.
Khalida strinse le braccia intorno al petto. «Come molti della mia razza», replicò, incolore.
Heimdall si lasciò sfuggire un debole sorriso, che incuriosì Khalida. Di certo per lui, che da ere incalcolabili osservava tutto l'universo, la natura umana era qualcosa di semplice, quasi elementare.
Dedicò un lungo minuto a scrutare la figura immutabile dell'enorme alieno, prima di dare libero sfogo ai suoi dubbi.
«Vorrei chiederti un'informazione».
«Parla».
Khalida deglutì un nodo di ansia. Aveva deciso di non porre quella domanda, ma adesso, ora che stava per partire e forse non tornare, aveva bisogno di saperlo. «La ragazza, Ivy, dove si trova?».
«Sulla vostra fortezza volante. Con i tuoi compagni», rispose il Guardiano, dopo un solo istante di concentrazione.
Khalida tornò a fissare ostinatamente davanti a sé, apparentemente incurante della notizia.
Una bufera, invece, era in corso nel suo cuore.
Aveva previsto che Coulson avrebbe interrogato Ivy e che una volta che lei avesse detto tutto, l'avrebbe lasciata andare. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto tenerla sotto sorveglianza per qualche tempo.
Non si aspettava che Fury, perché non aveva dubbi che fosse stata un'idea del Direttore, la portasse sull'Elivelivolo, né che la mettesse in contatto con i Vendicatori.
Questa non ci voleva proprio.
Un sottile fulmine ferì il cielo plumbeo, annunciando l'arrivo di Thor, che atterrò pesantemente alla spalle di Khalida ed Heimdall.
«Amici miei!», esclamò, allegro come al solito, affiancandoli.
Batté con fare fraterno la mano sulla spalla di Khalida. «Ero certo che ci saresti riuscita», affermò.
La donna non se la sentì di ricambiare il suo entusiasmo.
Ora che possedeva ancora un vantaggio su Thor, era il momento di sfruttarlo.
La lunga meditazione attraverso Match l'aveva resa conscia degli estremi pericoli che stava per affrontare e, anche se era disposta a correrli, non poteva accettare che Ivy ne facesse le spese.
E la vita che si era impegnata a costruire per lei, una vita normale, andava protetta ad ogni costo.
«Prima di partire, ho bisogno di parlarti», disse, voltandosi per fissare gli occhi azzurri di Thor.
Il Principe di Asgard aggrottò le sopracciglia, perplesso, ma annuì comunque.
Khalida aspettò che Heimdall li lasciasse soli. Anche se era inutile, dato che occhi e orecchie del Guardiano erano sempre in allerta, la donna apprezzò comunque il gesto.
«Parla liberamente Khalida» la incoraggiò Thor, con un velo di impazienza nella voce.
Ora che le cose stavano finalmente procedendo per il verso giusto, lo infastidiva la possibilità di nuovi ostacoli.
«Ho trovato il modo per rintracciare Loki, ma prima di incamminarci ho bisogno che tu accetti alcune condizioni», iniziò Khalida, e pur immaginando che l'asgardiano avrebbe avuto da ridire, non gli diede il tempo di ribattere. «Se lo S.H.I.E.L.D. non fosse intervenuto in Israele, sono certa che Loki mi avrebbe uccisa, prima o poi. Ho accettato di imbarcarmi in questa missione solo perché tu me lo hai chiesto, e pretendo che mi assicuri la tua protezione, se Loki cercherà di farmi del male».
Thor le strinse la spalla, quasi fino a farle male.
«So che non nutri fiducia nella mia razza», iniziò, con voce grave. «Ma non devi dubitare di me. Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerti».
Khalida si scrollò la mano di Thor dalle spalle, con un gesto apparentemente casuale.
«Ti credo», annuì la donna, anche se i suoi occhi sembrarono suggerire qualcosa di diverso.
Thor non sarebbe mai stato in grado di capire che lei non era più capace di fidarsi di nessuno, non solo degli asgardiani.
«C'è dell'altro», mormorò Khalida. «Se mi dovesse succedere qualcosa, voglio che tu impedisca ad Ivy di arruolarsi nello S.H.I.E.L.D. o di fare qualsiasi altra sciocchezza».
Thor strinse i pugni. «Non ti succederà niente», affermò con aria quasi oltraggiata.
Khalida scosse la testa, con fare quasi sconsolato. «Non sono sciocca, Thor. Ci sono decine di modi in cui questa storia potrebbe finire male, per me, nonostante il tuo aiuto».
Il Principe intuì immediatamente che non era il caso di insistere oltre e riconosceva che Khalida non aveva tutti i torti. Anche se la loro missione era una semplice ricerca, nessuno di loro aveva la più pallida idea di cosa avrebbero potuto trovare.
Aveva fiducia nei suoi compagni e nelle sue capacità ma, anche se poteva avere delle lacune in molti campi, la guerra gli era familiare quanto il suo volto, e non era ingenuo. Prepararsi al peggio era un atteggiamento saggio, per un guerriero, e Khalida, anche se non in modo tradizionale era una guerriera, alla pari dei soldati di Asgard più addestrati.
«Rispetterò il tuo volere, Khalida. Lo giuro sul mio onore», annuì Thor.
Khalida chinò leggermente la testa. «Ti ringrazio», mormorò, muovendo nervosamente le dita intorno all'asta di Match, che mandò lampi intermittenti attraverso il cristallo azzurro.
Thor prese un respiro profondo.
C'erano molte domande che avrebbe voluto rivolgere a quella strana donna che ogni giorno di più lo lasciava confuso, ma non era certo che porle sarebbe stata una mossa saggia.
Le risposte avrebbero potuto non piacergli.
«Sputa il rospo, Thor, o finirai per strozzartici», lo rimproverò Khalida, non nascondendo un lieve sorriso sarcastico. Si voltò per guardarlo negli occhi, aspettando che lui parlasse.
L'asgardiano raddrizzò le spalle e gonfiò la cassa toracica. «Credi davvero che Loki tenterà di ucciderti, quando ti vedrà?».
Khalida strinse gli occhi. «Prevedere le azioni di Loki non è semplice», ammise solamente, neutra.
«Pensi che provi qualcosa per te?», azzardò Thor.
Khalida inaspettatamente rise di gola. «Certo. Prova la stessa cosa che prova per te. Mi odia».
Colpito, Thor rimase muto per un lungo momento, per poi ritentare. «E tu, cosa provi per lui?».
Le dita di Khalida si serrarono con più forza intorno a Match, e un fulmine bianco saettò lungo la superficie del manufatto. Sollevando il mento, la donna fissò Thor dritto negli occhi. «Dovresti imparare a porre con più accortezza le tue domande, figlio di Odino», sibilò, poi si allontanò a lunghi passi, voltando le spalle al Principe.
Sulla soglia della camera del Bifrost, Khalida si fermò, come se si fosse ricordata improvvisamente qualcosa di importante.
«Cosa ti spinge a cercare Loki?», domandò, alzando la voce per farsi udire bene.
Thor fece un gesto d'impazienza. «Ho già risposto molte volte a questa domanda. Perché me la poni di nuovo? Credi che stia mentendo?».
La donna si voltò appena. «No, non lo credo. Ma ricordati che, quando Loki ti farà questa domanda, non si accontenterà di un semplice “avevo bisogno di te”. Pensaci, perché dalla tua risposta potrebbe dipendere la tua vita e la salvezza di Asgard», disse, rivolgendo nuovamente lo sguardo al panorama di Asgard al di là del Ponte dell'Arcobaleno.
«Chiamami quando saremo pronti a partire. Prima lascerò questo posto, meglio sarà», la voce di Khalida perse di volume man mano che si allontanava lungo la strada sospesa di madreperla, e Thor credette di aver solo immaginato l'ultima frase che aveva pronunciato.
Rientrando nella stanza, Heimdall lo guardò a lungo con serietà.
«Chiama Fandral, Hogun Volstagg e Lady Sif. Partiamo all'alba», ordinò Thor, e contemporaneamente un gracchiare di corvi ferì il silenzio immobile della notte, quasi a ricordargli nuovamente che in quell'impresa sarebbe stato solo, privato ancora una volta del sostegno di suo Padre.

La sala ristoro del terzo livello dell'Elivelivolo, quello riservato agli alloggi e alle sale per l'addestramento, era completamente deserta, a quell'ora della mattina.
Ivy si sedette pesantemente su una delle prime sedie che riuscì ad agguantare e posò il volto sui palmi delle mani, sbadigliando sonoramente. Si era svegliata alla solita ora, prima dell'alba, e il sonno non le si era scollato di dosso, nemmeno dopo i consueti cinque chilometri di corsa.
Drew, in piedi accanto a lei, trattenne un sorrisetto divertito.
«Vado a recuperarti un caffé?», le chiese.
Ivy gli concesse un sorriso sincero. «Sei un angelo», mugugnò, nascondendo l'ennesimo sbadiglio dietro le dita.
In un solo giorno, tra i due giovani si era instaurato un rapporto naturale, quasi confidenziale, condito da un pizzico di malizia. Ivy, anche se di solito non amava avere ragazzi attratti da lei intorno, non aveva cercato di allontanarlo, né si era mascherata dietro la sua solita freddezza. La compagnia del giovane agente la faceva sentire meno sola, su quell'enorme macchina volante.
Certo, a volte l'intelligenza di Drew, che si era laureato all'MIT alla sua età, la faceva sentire incredibilmente ignorante, ma spesso il ragazzo si rivelava una compagnia gradevole, adatta a farle passare piacevolmente le lunghe ore vuote sulla base aerea.
Era riuscita, con pazienza, ad estorcere qualche informazione riguardo Khalida e il suo ruolo nello S.H.I.E.L.D. ma aveva ottenuto poche briciole in confronto a ciò che voleva realmente sapere. Iniziava a sospettare che in realtà il ragazzo ne sapesse veramente poco, al riguardo.
L'agente Whedon l'aveva lasciata sola da pochi istanti, diretto al bancone del bar, quando nella sala entrò una giovane donna, con l'aria di chi non ha chiuso occhio tutta la notte.
Invece che dirigersi al bancone, la donna si trascinò fino ad un tavolino, pochi metri a destra di Ivy, e si sedette, iniziando a spulciare da un quaderno rigonfio di carte ed appunti di ogni tipo. Mordicchiandosi l'unghia dell'indice, la donna leggeva assorta, scostando continuamente i capelli scuri che le ricadevano davanti agli occhi.
Per pigrizia e curiosità, Ivy si prese il tempo di osservarla con attenzione.
Non era un'agente, non ne aveva l'aria, né indossava la tipica uniforme blu che Drew aveva sempre addosso. Indossava un paio di jeans consunti e una delle magliette più assurde che avesse mai visto, adatta più ad una bambina di cinque anni che ad una donna sulla trentina.
Era molto carina, ma aveva l'aria affaticata e trascurata, gli occhi cerchiati da pesanti occhiaie e il viso pallido, la classica abbronzatura da monitor di chi passa molto tempo davanti al computer.
L'agenda che sfogliava aveva le pagine scritte fittamente e, aguzzando la vista, Ivy riuscì a scorgere quelli che le sembrarono segni aritmetici o algebrici.
Doveva essere una scienziata, o qualcosa del genere.
Drew le si sedette di fronte, coprendole la visuale e nascondendo la donna che era talmente assorta in ciò che stava facendo, da non averli nemmeno notati.
Ivy stirò il collo, per continuare a sbirciarla indisturbata, ignorando il suo caffè fumante.
L'agente Whedon seguì il suo sguardo.
«Chi è?», domandò infine Ivy, afferrando il bicchiere di plastica che aveva davanti.
«La dottoressa Jane Foster, un'astrofisica», rispose il giovane.
Ivy fece una leggera smorfia come a dire che il nome non le diceva niente, mentre prendeva un sorso di caffè.
«È la ragazza di Thor», aggiunse Drew.
Ivy tossì, evitando per un pelo che il caffè le andasse per traverso. «Dici sul serio?», domandò, asciugandosi le labbra con la mano. «E cosa ci fa qui?».
Drew scrollò le spalle. «Immagino qualche ricerca per conto dello S.H.I.E.L.D. Se ne sta rintanata da ieri nel laboratorio insieme agli altri scienziati».
Un piccolo sospetto si fece strada nella mente della ragazza. «Lavora qui da molto?».
«A dir la verità no, è comparsa la stessa notte che sei arrivata tu».
Ivy strinse gli occhi.
No, non poteva essere una coincidenza che quella donna si fosse materializzata sull'Elivelivolo insieme a lei. Jane Foster era un tassello importante del puzzle che stava tentando di comprendere, ed era proprio lì, a pochi passi da lei.
Senza rifletterci troppo, Ivy scattò in piedi e raggiunse il tavolo della scienziata, piazzandosi davanti alla donna.
«Jane?», la chiamò, senza troppi giri di parole.
L'altra scattò come se fosse stata scottata, e guardò Ivy sbattendo gli occhi. «Sì... ci conosciamo?», domandò, con aria confusa.
«Non proprio», ammise Ivy, senza perdere l'aria battagliera. «Volevo solo chiederti se sai perché il tuo ragazzo alieno è piombato nel mio giardino portandosi via mia madre per andare a cercare un criminale intergalattico», snocciolò, quasi senza respirare.
Jane aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando indecisa se offendersi o mettersi a ridere per come quella ragazzina l'aveva apostrofata. Ma il riferimento a Thor le fece capire che non c'era nulla di divertente, in quella situazione.
«Chi sei tu?», domandò.
Ivy sollevò il mento, con aria fiera.
Jane, ancora prima di sentire la risposta, la intuì.
«La figlia di Khalida Sabil».
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La parte in corsivo è ovviamente un ricordo di Khalida, si colloca a livello temporale subito dopo il capitolo 11 di Prigioni.
Le capacità di chiaroveggenza di Frigga provengono direttamente dalla mitolgia norrena, ma ho comunque rimaneggiato quello che avevo letto in giro, per cui diciamo che mi sono inventata tutto quanto XD

Non posso dire che mi sia divertita a scrivere questo capitolo, però mi ha permesso di esplorare in modo approfondito la psicologia di Khalida, sia quella pre, che quella post, Ivy. I motivi che la spingono a cercare Loki adesso sono più chiari, e mi dispiace deludervi, hanno poco a che fare con eventuali sentimenti verso Loki.

L'incontro tra Ivy e Jane è stato un po'inaspettato anche per me, volevo che accadesse più in là con la storia, poi mi sono accorta che non avrebbe avuto molto senso farlo succedere più tardi, per cui, ecco qua.
Spero che vi siate divertite,

Spero a presto, nel frattempo vi rimando al mio Twitter, per avere anticipazioni e informazioni sull'andamento della scrittura.

Bacio, Nicole

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Come la neve ***


Eccomi qui, sono riuscita a pubblicare nonostante le ferie...
C'è una premessa doverosa che devo fare.
Ho fatto una scelta narrativa piuttosto netta per questo capitolo, scegliendo volutamente per ignorare la maggioranza dei pensieri di Khalida, ed escludere completamente quelli di Loki. 
In questo capitolo c'è più una parte molto descrittiva, concentrata soprattutto su Thor.
Scopriremo i pensieri di Loki nel prossimo capitolo, in cui ci sarà una parte d'introspezione consistente. All'inizio il capitolo nove e il dieci dovevano essere uno solo, ma poi mi sono resa conto che sarebbe diventato veramente troppo lungo e pesante da affrontare tutto insieme, e ho preferito dividere.

Detto questo, vi lascio al capitolo, buona lettura.




Lo schianto fu tale che Thor sentì stridere i denti. Le vibrazioni attraversarono i muscoli, come una scossa, causandogli una fitta acuta nella schiena e nelle spalle.
Aprì gli occhi lentamente, scrutando a fondo il terreno erboso segnato da solchi profondi almeno cinque centimetri.
L'energia proveniente dalla strana arma di Khalida doveva essere notevole, normalmente il Bifrost non lasciava segni tanto netti sulle superfici su cui materializzava i viaggiatori di Asgard.
Stringendo Mjolnir nella mano destra, il Principe si rimise in piedi.
«State tutti bene?», domandò, scrutando a fondo la radura in cui erano giunti.
Lo spiazzo era largo cinque metri, e lungo poco più.
Intorno a loro grossi alberi dai tronchi scuri e nodosi, avvitati su sé stessi, formavano una giungla fitta e dall'aria pericolosa. Versi di animali e ronzii di insetti saturavano l'aria umida e fredda.
Il cielo era coperto da una coltre di nubi bianchissime, che si estendevano oltre l'orizzonte. La luce intensa feriva gli occhi, anche se la sua fonte non era visibile.
«Tutti interi», rispose Fandral, controllando con una rapida occhiata i suoi compagni.
«Khalida?», insisté Thor.
«Sto bene», replicò la donna, ma la sua voce allarmò il Principe, che si voltò di scatto.
La donna era in piedi a un passo da lui, con le spalle dritte e Match piantato nel terreno. L'arma era illuminata da scariche d'energia azzurro intenso: decine di piccoli fulmini scorrevano dall'asta alla mano di Khalida e viceversa.
Ciò che spaventò di più Thor furono gli occhi della donna, accessi da un sinistro luccichio azzurro, simile a quello che aveva visto negli occhi dell'agente Barton, quando era in potere dello Scettro.
«Cosa c'è?», chiese Khalida, con voce infastidita.
«I tuoi occhi...», iniziò Thor.
«Non è nulla, sto bene», replicò lei, secca. «È un effetto dell'energia di Match», aggiunse, come per tranquillizzare gli altri asgardiani che, anche se silenziosamente, avevano portato le mani alle armi.
Thor abbassò Mjolnir. «Dove ci dirigiamo?», le domandò, facendo contemporaneamente un lieve cenno a Sif, che annuì con un movimento della testa.
In anni di combattimento, lei e Thor avevano sviluppato un codice di comunicazione che entrambi sapevano leggere al primo sguardo. In quel momento il Principe desiderava che lei tenesse d'occhio l'umana, pronta ad ogni evenienza.
Per quanto Thor potesse aver fiducia nella terrestre, Sif era consapevole che non si fidava affatto di niente che avesse a che fare con la magia, o qualsiasi cosa fosse quella strana luce blu.
Khalida parve non notare lo scambio di sguardi, concentrata nello scrutare i dintorni, come alla ricerca di qualcosa.
All'improvviso, il cristallo sulla punta di Match brillò più intensamente, sfrigolando. Un sottile fulmine ne percorse la superficie, per poi scattare in avanti, dirigendosi verso est e sparendo nel folto della foresta.
Khalida osservò per un attimo la strada di luce, con aria quasi stupita. «Da quella parte», disse, facendo il gesto di incamminarsi.
Thor la fermò, prendendola per un braccio. «Andiamo avanti noi», ordinò, richiamando Hogun e Fandral con un cenno della testa.
In pochi istanti, i guerrieri asgardiani si disposero in fila. Thor, Hogun e Fandral in prima linea, Sif e Khalida al centro e Volstagg come retroguardia.
Thor strinse le mani lungo il manico di Mjolnir, per darsi coraggio. Scambiò uno sguardo d'intesa con Hogun al suo fianco, poi fissò la foresta davanti lui.
«A noi due Loki», mormorò.

Il sottobosco emanava un forte odore di muschio misto all'acre della decomposizione.
I pesanti stivali di Khalida affondavano fino a metà polpaccio negli strani arbusti simili a felci, dalle foglie larghe e carnose, che quando si spezzavano lasciavano gocciolare una linfa biancastra.
Il terreno era sconnesso, ferito e spaccato dalle radici ritorte di quegli alberi che le ricordavano vagamente i lunghi filari di vigne che aveva visto in Europa.
Per il resto, quella giungla non assomigliava a niente di terrestre.
L'aria era gelida, ma l'umidità tale che ben presto tutti si ritrovarono a corto di fiato e coperti di sudore.
I rami erano bassi e coriacei, e più di una volta Fandral dovette fare strada al gruppo tranciandoli con la sua lunga spada a due mani, spargendo sul gruppo le lunghe foglie sottili, pungenti come aghi di pino, color verde marcio. In mezzo ad esse fiori grossi come la mano di Thor, con quattro petali blu intenso screziati di nero, si richiudevano di scatto non appena i rami venivano toccati, spruzzando nell'aria nuvole di polline biancastro. Il profumo non era propriamente gradevole, forte e speziato, sembrava un misto tra menta e pepe che faceva pizzicare gli occhi.
Volstagg starnutì sonoramente più volte, facendo levare in volo alcuni insetti simili ad enormi cavallette, lunghe più di trenta centimetri.
Il sottile fulmine che li guidava ronzava sommessamente, appeso al cristallo di Match che pulsava, illuminando la vegetazione di inquietanti riflessi blu.
«Quanto ci vorrà ancora?», domandò Thor, in testa al gruppo. Non poteva esserne certo, perché la luce non era minimamente cambiata, ma doveva essere passata poco più di un'ora dal loro arrivo.
Quel luogo lo metteva a disagio.
Non conoscendone i pericoli, non poteva proteggere né sé stesso, né i suoi compagni.
«Non molto», disse Khalida.
La voce dell'entità le rombava nelle tempie, mormorando informazioni dettagliate su ogni forma di vita su cui posava gli occhi, e il mal di testa stava diventando sempre più intenso, ma si sforzava di non darlo a vedere.
Alla fine Loki c'era riuscito davvero.
Aveva trovato il pianeta dei creatori del Tesseract, e l'aveva fatto rifiorire, riportando il Tesseract nel luogo che l'aveva visto nascere.
L'avrebbe capito anche senza la voce aliena che snocciolava dati biologici e biometrici senza sosta.
Una terribile certezza si fece strada nella sua mente.
Non avrebbe mai dovuto portare Thor in quel posto.
Finalmente uno dei progetti di Loki era andato a buon fine.
I suoi inganni avevano prodotto qualcosa, qualcosa di vivo e meraviglioso.
E proprio ora che forse aveva trovato la sua strada e lasciato perdere i suoi tanti tormenti, arrivava lei a riaprire le ferite e a gettarci sopra sale.
Forse ora conosceva la risposta alla domanda che Thor le aveva rivolto la sera prima.
Loki l'avrebbe di certo uccisa, anche solo per far finta che niente fosse cambiato nel paradiso in cui si era rinchiuso.
Match sfrigolò e il cristallo si spense, insieme alla pista di luce che li aveva guidati fin lì.
Dovunque fossero, erano arrivati.
La giungla si aprì davanti a loro, spalancandosi come le fauci affamate di una belva.
La luce ferì le pupille di Khalida ormai abituata alla penombra piacevole degli alberi e subito non riuscì ad identificare perché Thor e Fandral sembravano paralizzati, alle soglie di uno spiazzo privo di alberi di una decina di metri di diametro.
Poi sentì i ringhi, cupi e rombanti.
Due enormi lupi, alti quasi quanto cavalli, schiumavano e sbavano, minacciosi, con il pelo ritto sulle schiene incurvate. Uno era nero come la notte, con gli occhi d'ambra, l'altro era color argento, gli occhi bianchi come neve. Il destro era socchiuso, tagliato a metà trasversalmente da una lunga cicatrice spessa.
Entrambe le bestie erano maestose, magnifiche e pericolose, come lo sono solo le cose letali.
«State indietro», ordinò Thor, sollevando Mjolnir.
Per quanto imponenti, quei lupi non sarebbero stati una minaccia troppo grande, insieme ai suoi compagni aveva affrontato di molto peggio.
Un lieve vento si alzò nella radura, spazzando le fronde e scatenando una pioggia di foglie sottili e taglienti. Gli aghi danzarono nell'aria e all'improvviso i lupi smisero di ringhiare.
In mezzo a loro, nel cono d'ombra proiettato da un albero particolarmente imponente, una figura comparve dal nulla.
Era alta ed imponente, un lungo mantello ondeggiava sulle sue spalle.
Sul capo indossava un elmo sormontato da lunghe corna ricurve.
Fandral si irrigidì e Thor strinse i denti, mentre Loki avanzava nella luce.
Nella mano destra teneva lo scettro, con l'estremità piantata nel terreno. Il Tesseract sulla sommità brillava, emettendo scariche d'energia azzurre.
Indossava l'armatura dorata che aveva adottato sin dalla prime battaglie, e Thor riconobbe che non sembrava minimamente cambiato, ad eccezione dei capelli, che portavano nuovamente corti e pettinati indietro, come quando erano ragazzi.
Qualcosa di misto al rimpianto e alla nostalgia gli strinse il cuore in una morsa dolorosa nel vedere il solito sguardo sprezzante e astioso che Loki rivolse nei suoi confronti.
Nemmeno il suo rancore era mutato.
Sif fece istintivamente un passo avanti, ma Hogun la trattenne per un braccio, ad intimarle di stare calma.
I lupi ripresero a ringhiare.
«Fareste meglio a tornarvene da dove siete venuti», esordì Loki, con voce calma.
Fece un altro passo avanti e Khalida trattenne istintivamente il fiato.
Quel qualcosa che di Loki l'aveva sembra attirata, era ancora lì, forse più forte di prima.
Il potere che emanava lo sentiva scorrere attraverso sé stessa. Pulsava direttamente nell'asta di Match, ormai bollente.
Una nuova fitta alla testa la colse di sorpresa, e per un attimo la vista le si offuscò. Sentì qualcosa di caldo colarle sul labbro. In fretta, sperando che nessuno lo notasse, si asciugò il sangue con la mano  e tornò a rivolgere l'attenzione a Loki.
«Sono venuto a cercarti per un motivo», iniziò Thor.
Il dio dell'inganno strinse gli occhi, e il lupo nero fece un passo avanti.
«Non mi interessa. Tornate, prima che ordini a Fenrir e Hela di sbranarvi», minacciò di nuovo Loki, più seriamente.
Fandral sguainò la spada. «Affrontaci di persona, vigliacco», sputò, con disprezzo.
Il vento mosse di nuovo le fronde degli alberi, e le ombre danzarono sul terreno.
Khalida affilò lo sguardo e qualcosa scatto nella sua mente, resa più acuta dall'energia di Match.
Fandral sembrava pronto a scattare da un momento all'altro, e Khalida decise di agire, prima che finisse sbranato inutilmente da una di quelle bestie.
Portandosi in piena luce, Khalida affiancò Fandral, abbassandogli la spada con un gesto brusco. «È solo un'illusione», spiegò, accennando alla figura di Loki. «Se proverete ad attaccarlo, sarete alla mercé dei lupi».
Come se potessero ustionarla, la donna percepì immediatamente gli occhi ardenti di Loki addosso, ed ebbe solo pochi istanti per rendersi conto del suo errore.
Il fatto che quella fosse una proiezione non significava affatto che il dio dell'inganno fosse lontano.
Accadde tutto in attimo.
I lupi scattarono contemporaneamente, gettandosi l'uno su Thor, l'altro su Fandral.
Khalida si sentì sollevare da terra, e solo quando il suo corpo impattò violentemente contro il terreno, si rese conto che Loki era lì, sopra di lei, che le premeva l'asta dello Scettro sulla giugulare. Proprio come nella Bocca del Demone, una vita prima.
Con gli occhi pieni di lacrime, Khalida scrutò il volto del dio degli inganni.
Sorrideva, di una gioia feroce e violenta, come quella del cacciatore che ha finalmente tra le mani la propria, agognata, preda.
Le mani di Khalida artigliarono l'asta di Match. Provò a condensare l'energia, per respingere l'assalto di Loki, ma lo Scettro premuto sulla gola le toglieva l'ossigeno, e il suo corpo era già esausto, consumato dalla fatica del viaggio.
Capì immediatamente di non aver scampo.
Sentì la voce di Thor, sopra i ringhi feroci dei lupi, chiamare il suo nome, ma le sembrò che provenisse da decine di chilometri di distanza.
Loki spinse di più lo Scettro, e Khalida boccheggiò violentemente.
Le mani le si aprirono in uno spasmo involontario, e Match scivolò a terra.
«Aspettavo questo momento dalla prima volta che ti ho vista», mormorò Loki, quasi suadente, con la stessa dolcezza di un serpente che cinge la propria preda in un abbraccio mortale.
In un disperato istinto di sopravvivenza, Khalida sollevò le mani, afferrando i bordi della casacca di Loki. Lo spinse contro di lei, avvicinando la bocca al suo orecchio.
«Frigga è morta. Thanos ti sta cercando», riuscì a sospirare, in un filo di voce.
Loki esitò solo un'istante, ma fu sufficiente.
Scrollatosi di dosso il lupo bianco a colpi di martello, Thor li raggiunse con due lunghe falcate. Urlando, caricò Loki e lo tolse di peso da Khalida, afferrandolo per il mantello.
Il Tesseract emise un lampo di luce che accecò gli occhi di Thor, e Loki ne approfittò per prendere il sopravvento, ma l'asta dello Scettro di scontrò con Mjolnir, emettendo un ventaglio di scintille.
Ringhiando, Thor spinse il fratello lontano, riguadagnando una certa distanza da lui.
«Non sono venuto per battermi con te, Loki», disse, lasciando cadere il martello sul terreno morbido.
Loki osservò con la testa piegata di lato il Mjolnir. «Questa...», iniziò, mentre una bolla di energia saettante si sollevava da sopra lo Scettro. «...è stata una mossa davvero stupida», sottolineò, con un sorriso sghembo.
«Thor!», esclamò Sif, e la paura nella sua voce, così rara, allarmò immediatamente il Principe, che si voltò di scatto, volgendo le spalle a Loki.
Frandral, Hogun e Volstagg, impegnati a tenere a bada i due lupi, erano disposti a cerchio intorno a Sif, chinata su Khalida.
Poi Thor vide il sangue.
Ruggendo, si gettò a testa bassa di nuovo su Loki, senza curarsi della potenza del Tesseract.
I due impattarono contro il tronco dell'albero più imponente, provocando uno schianto preoccupante che risuonò nella radura. L'ennesima pioggia di foglie taglienti si riversò sul terreno.
«Cosa le hai fatto?», tuonò Thor, premendo Mjolnir sul petto di Loki, così forte che riuscì a sentire lo scricchiolio delle costole.
«Cosa le hai fatto tu... vorrai dire», tossì Loki, senza perdere il sogghigno.
Thor sentì un fremito di terrore correre nei nervi, e Loki rise più forte, scuotendo appena il capo.
«È umana, Thor. E tu l'hai portata qui, dove morirà... in modo o nell'altro».
«Le tue minacce non mi spaventano, Loki», sibilò Thor.
«Oh, non sono minacce», precisò il dio dell'Inganno. «Ma semplici constatazioni».
Thor strinse la presa su Mjolnir, indeciso su come procedere.
Un silenzio innaturale era sceso nella radura, i lupi tacevano, stranamente tranquilli.
«Come sta Khalida?», urlò, rivolto ai suoi compagni.
«Respira a fatica, ma non sanguina più», riferì Sif.
Thor guardò di nuovo Loki negli occhi. «Puoi aiutarla?».
L'altro piegò la testa di lato, con aria quasi affascinata. «No», rispose. «Sopravvivere dipende solo da lei», aggiunse.
Mjolnir si sollevò lentamente dal petto di Loki, fino a che l'alieno non riuscì a respirare più liberamente.
Thor sospirò a fondo. «Sono venuto a cercarti per chiedere il tuo aiuto», disse, finalmente.
Loki annuì appena, mascherandosi dietro un'espressione neutra. L'ira violenta che l'aveva animato fino a pochi istanti prima sembrava essere scomparsa come neve al sole.
Qualcosa nei suoi occhi, che Thor riconobbe, fece esplodere una bolla di sollievo nel petto del Dio del Tuono. Anche se dentro di lui aveva sempre sperato che il Loki che era ancora suo fratello non fosse completamente scomparso, riuscire a vederlo nel fondo di quei gelidi occhi azzurri era una sensazione che lo riempiva di gioia e lo confondeva allo stesso modo.
Si rese conto solo dopo qualche istante che lo Scettro e il Tesseract erano scomparsi.
«Fandral, prendi Khalida», ordinò, e il modo in cui Loki mosse appena la testa, gli diede conferma della sua intuizione.
Mentre l'asgardiano prendeva delicatamente la donna esanime in braccio, Hogun recuperò Match, che nella confusione generale era rotolato a qualche metro dal gruppo.
Brontolando sommessamente i due lupi affiancarono Loki, che si accertò con una breve occhiata che i due animali non fossero feriti.
Non usò la stessa premura nei confronti dei Tre Guerrieri e di Sif.
La guerriera, anche se tentava di nasconderlo, aveva un brutto taglio sul fianco e le braccia ricoperte di segni di morsi, più o meno profondi.
Thor se ne accorse e fece per raggiungerla, ma lei intercettò il suo gesto e scosse la testa, con fare orgoglioso, come a dire che stava bene.
Loki osservò lo scambio muto con aria di scherno, ma non commentò.
«Seguitemi», ordinò, con tono monocorde.
Dal cielo bianco iniziarono a cadere piccoli fiocchi di neve, che graffiarono l'aria.
I numerosi rumori della foresta si spensero a poco a poco, lasciando posto ad un silenzio profondo ed insondabile.
Thor fece un breve sorriso al resto del gruppo come per rassicurarli.
«Dove ci porti?», chiese a Loki, incamminandosi dietro di lui.
Il Dio dell'Inganno rimase in silenzio per lunghi minuti, fino a convincere Thor che anche quella risposta gli sarebbe stata negata.
Quando Loki aprì finalmente la bocca, non disse ciò che si aspettava.
«Dimmi come è morta».
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So che avete molte domande, fatele nelle recensioni, farò del mio meglio per rispondervi.

A presto!
Nicole

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Come un fratello ***


Per la serie, chi non muore si rivede, ecco il decimo capitolo.
Chi mi segue su Twitter conosce già in parte le mie disavventure informatiche di questo periodo, quindi ve ne faccio solo un riassunto.
Il mio povero amato portatile è passato a miglior vita durante le ferie di agosto, per cui ho avuto serie difficoltà a completare il capitolo. Se ci aggiungiamo che nell'ultimo mese ho lavorato di più e sono stata occupata con l'organizzazione di un viaggio che farò prossimamente, ho avuto davvero poco tempo per occuparmi di questo capitolo che, come vedrete, è piuttosto consistente.

Non voglio illudervi, da ora in poi è probabile che la frequenza di aggiornamento si assesti su un capitolo al mese, perché ora la trama si fa davvero tosta per me da affrontare, considerando il tempo che posso dedicare alla sua elaborazione.

Questo non significa che Similitudini rimarrà incompiuta, ma solo che mi prenderò il tempo che mi occorre per concluderla in modo degno dell'affetto che provo per essa e per i miei personaggi, oltre che per voi lettori.

Ok, la pausa confessionale è terminata, vi lascio al capitolo...


PS: la targhetta mancante è arrivata!

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Anni di allenamento mandati in fumo in pochi attimi.
Loki respirava profondamente mentre i suoi passi leggeri sfioravano lo strato di neve che ricopriva il terreno.
A malapena lasciava impronte, come se non fosse davvero in quel luogo, ma solo una proiezione distorta, il debole riflesso di un ricordo.
E forse era così, perché la persona che Loki sentiva di essere in quel momento avrebbe dovuto essere morta molto tempo prima, precipitata in un abisso senza fine, inseguita da una negazione violenta e mortale come una coltellata.
Era al punto di partenza, gli anni in cui si era nutrito del potere del Tesseract ed era stato l'unica speranza di vita di quel pianeta in rovina avevano perso improvvisamente significato, solo un sogno, l'illusione di un ragazzo troppo ottimista.
La sola visione di quella donna aveva mandato in frantumi l'autocontrollo che aveva dolorosamente conquistato.
Le ferite antiche erano state riaperte, ed ora sanguinavano copiosamente, stillando rabbia e veleno.
Avrei dovuto ucciderla molto tempo fa.
Si disse Loki, con un vago accenno di rimpianto.
In realtà, prima di quel giorno, non aveva mai provato il reale desiderio di mettere fine alla vita dell'umana, benché fosse stato tentato di farlo.
Gli era sempre costato ammetterlo, ma la donna aveva avuto una sua utilità, un preciso scopo nei suoi piani, che aveva puntualmente portato a termine.
Tuttavia avrebbe preferito di gran lunga continuare a crederla morta, confinata in ricordi labili e insignificanti, piuttosto che dover affrontare nuovamente la sua inopportuna presenza e quello che comportava.
In quel tempo trascorso da solo Loki aveva compreso molto su sé stesso e su ciò che desiderava.
In fondo, poco era cambiato da quando era ragazzo: essere riconosciuto per ciò che era restava in cima alle sue ispirazioni.
Non si considerava più un asgardiano, ma era un Dio, un essere superiore che meritava timore e rispetto.
Essere amato e compreso non rientrava nell'equazione, ma l'aveva accettato da tempo.
Gli Dei non erano fatti per essere amati, ma temuti.
C'era qualcosa di tonificante in quei pensieri e probabilmente Loki vi aveva indugiato più del dovuto, ebbro del potere del Tesseract. Eppure in quei lunghi anni, il Dio dell'Inganno era cambiato, forse in modo troppo sottile perché lui stesso se ne rendesse conto.
Ora comprendeva che la rabbia non era la soluzione, né la violenza uno strumento utile ed efficace, se non in determinati casi e con specifici soggetti.
Sapeva che non sarebbero stati né l'una né l'altra a portarlo al suo scopo.
Come quando era più giovane, poteva contare solo sulla sua conoscenza e sul potere della sua mente e della sua lingua.
In fondo, erano sempre state quelle le sue armi, le migliori che avesse mai posseduto, si concesse di pensare, accarezzando lentamente il pugnale che portava alla cintura.
Quel periodo di relativa pace appena terminato l'aveva passato interamente ad affilare i coltelli che custodiva nell'anima, rendendoli lucidi e letali, raggiungendo vette di sapere che nei suoi sogni più folli non avrebbe mai potuto immaginare.
Era conscio che quella solitudine non sarebbe potuta durare in eterno, prima o poi il potere emanato dal Tesseract avrebbe attirato qualcuno, ma non avrebbe mai immaginato che il primo a piombare giù dal cielo di neve sarebbe stato proprio colui che un tempo chiamava fratello e tutto ciò che aveva tentato faticosamente di accantonare fino a tempo debito.
Essere impreparato era qualcosa che non poteva permettersi, né in quel momento, né in futuro.
Ed era stato il suo unico errore.
Qualcosa di peggiore della rabbia, più forte dell'odio, l'aveva spinto a tentare di uccidere l'umana.
Una paura viscerale che tutto il sapere del Tesseract non era riuscito a lavare via, né a rendere meno potente.
Non aveva mai compreso fino in fondo le motivazioni che animavano la donna e non immaginava cosa potesse averla spinta a rischiare la vita, cercandolo.
Perché i suoi occhi scuri, che si era riscoperto incapace di dimenticare, glielo avevano detto subito, che lei era consapevole di cosa stava accadendo, e qualcosa nell'abbandono del suo copro aveva confessato una sorta di rassegnazione, di accettazione.
E questo, Loki proprio non riusciva a comprenderlo.
Detestava non capire, ma detestava molto di più ciò che la conoscenza avrebbe comportato, perché i sentimenti erano un veleno a cui il suo cuore non era ancora immune.
Nonostante avesse tentato con tutte le sue forze di purificarsi, li sentiva pulsare sotto lo sterno in un vortice di rabbia, insofferenza e delusione che lo confondeva e lo rendeva ancora più vulnerabile di quanto volesse ammettere.
E poi c'era Thanos.
Non si era mai illuso che l'Eterno l'avrebbe lasciato in pace, ma il modo in cui aveva scelto di agire lo lasciava particolarmente perplesso.
L'omicidio di Frigga aveva il chiaro scopo di stanarlo, ma era una mossa azzardata anche per il folle Titano.
Anche se assopita, Asgard era una bestia pericolosa, e la sua rabbia era da temere, soprattutto dopo che il fallito attacco alla Terra aveva decimato l'esercito di Chitauri.
In soli tre anni le forze dell'Eterno non potevano essere tornate al considerevole numero originale, dato il tempo e l'energia che erano necessari per la maturazione di macchine complesse come i Chitauri.
Quella sicurezza, ostentata, quasi arrogante, e l'insolita alleanza con un popolo grezzo e violento come gli Elfi Oscuri, allarmava Loki.
Thanos era pericoloso, e aveva deciso di ricordarglielo in modo chiaro ed inequivocabile.
I passi pesanti di Thor interruppero i pensieri di Loki, e l'alieno li lasciò andare a malincuore. Immaginava che il Dio del Tuono avrebbe cercato di parlargli, ma non significava che ne avesse voglia.
Thor si fermò un passo dietro di lui, e scrutò le spalle dritte del fratello, che continuava a scrutare la foresta innevata con apparente disinteresse.
No, non sembrava cambiato, eppure in lui c'era qualcosa di molto diverso e familiare insieme, come se stesse guardando il riflesso del fratello che Loki sarebbe diventato se solo lui avesse onorato in modo degno la loro parentela.
«Khalida sembra stare meglio», esordì, senza una ragione precisa, per scacciare quel silenzio gelido quanto la neve che ancora scendeva dal cielo bianco e immutabile.
Non aveva mai potuto sopportare il silenzio, soprattutto quello in cui Loki amava rifugiarsi.
«Ti inganni, se credi che m'importi della sua sorte», replicò Loki, con fare assente.
«Perché hai tentato di ucciderla?», chiese Thor.
Loki si voltò, sul viso un sogghigno tagliente. «Hai sempre avuto un talento particolare per fare domande inutili».
Thor strinse i denti, deciso a non cogliere la provocazione.
Gli tornò in mente ciò che Khalida aveva detto nella camera del Bifrost, il giorno prima.
«Non puoi paragonarla a me», iniziò, e Loki gli lanciò uno sguardo curioso e sospettoso. «Lei ha fatto tanto per proteggerti. Oltre ad aver messo in pericolo la sua vita per darti il tempo di fuggire dallo S.H.I.E.L.D., ha rischiato di essere uccisa dalla sua stessa gente, per tradimento», Thor fece un passo avanti, convinto che il silenzio di Loki fosse sintomo del fatto che le sue parole l'avessero colpito. «E anche se ha sempre saputo come rintracciarti, non l'ha mai detto a nessuno».
«L'ha detto a te», replicò Loki, con astio.
La filippica di Thor non lo toccava più di tanto. Conosceva la donna, e se si era comportata in un determinato modo era stato per proteggere sé stessa, non certo lui.
«Solo perché le ho dato un buon motivo per farlo», ribatté Thor, stringendo i pugni.
«Sarebbe?».
Ci siamo. Si disse Thor, respirando a fondo.
«Loki, io so di non essere mai stato un buon fratello per te. Non ho mai capito quanto tu fossi diverso, ma ho comunque agito in modo da fartelo pesare», le parole diventavano via via più facili, man mano che Thor se le levava dal petto, dove erano rimaste per troppo tempo. «Nel Bifrost mi dicesti che avresti voluto essere solo mio pari e sono venuto per offrirti questa possibilità. Io non sono tuo fratello di sangue e Odino non è tuo padre, ma Frigga ti ha sempre amato come una madre, e so che le volevi bene».
Un impercettibile fremito scosse la guancia di Loki, unico segno del tumulto che le parole di Thor stavano scatenando nel suo petto.
«Aiutami a vendicarla, ne hai diritto quanto me, forse di più», concluse Thor, posando una mano sulla spalla di Loki. «Permettimi finalmente di comportarmi come un fratello, dato che non l'ho mai fatto quando avevo ancora la tua stima e il tuo affetto».
Loki scacciò la mano di Thor, pesante come un macigno. Gli occhi si fecero freddi e taglienti. «Ti ha detto lei cosa dirmi?».
Thor aggrottò le sopracciglia, perplesso, e anche deluso.
Sperava che la sua sincerità lo convincesse, ma forse ormai il cuore di Loki era troppo gelato, perché una semplice carezza lo sciogliesse.
Khalida doveva averlo ferito più profondamente di quanto immaginava, per renderlo tanto astioso. Forse non si era sbagliato e Loki provava, o aveva provato, qualcosa per lei.
Fece un mezzo sorriso. «Non so mentire, Loki, né recitare. Lo sai».
«Oh, ne sono consapevole», sputò il Dio dell'Inganno. «Ma lei sì. Non so cosa abbia fatto o detto per incantarti, ma non fidarti di lei. Quando non avrà più bisogno di te, ti volterà le spalle».
Un silenzio carico di molte cose non dette scese tra gli sguardi intensi dei due alieni.
Fu Loki il primo a riscuotersi, probabilmente per evitare che Thor proseguisse l'argomento scomodo che aveva iniziato. Con un cenno della mano destra, richiamò il lupo nero, che era rimasto in attesa qualche metro più in là, al margine della foresta.
Thor istintivamente strinse Mjolnir, pronto a difendersi.
«Fenrir * non ti attaccherà senza un mio ordine», disse Loki, allungando una mano verso il lupo che si avvicinò, abbassando leggermente le orecchie.
«Porta qui gli altri», ordinò il Dio dell'Inganno, con voce autoritaria.
L'animale sembrò annuire e, dedicando una sguardo a Thor come a tenerlo d'occhio, si allontanò da loro con passo leggero.
Il Dio del Tuono seguì i passi dell'animale fino a che non sparì dietro una delle colonne diroccate che sorgevano dal terreno, come denti smussati di una terribile fiera ormai domata.
«Dove sta andando?», domandò, tornando a fissare Loki.
L'altro si lasciò sfuggire un breve sorriso di scherno. «A recuperare il resto dell'improbabile esercito che ti sei portato dietro».
«È ad Asgard il mio esercito», precisò Thor.
«Lo spero per te», ribatté ferocemente Loki. «Perché ne avremo bisogno».

Lo stupore non era un sentimento utile ad un guerriero, e Sif aveva imparato da tempo ad eliminarlo dalla gamma di emozioni che si concedeva di provare. Tuttavia, quello strano viaggio stava mettendo a dura prova la sua abilità nell'ignorare ciò che non era utile.
Non sapeva identificare se l'avesse lasciata più perplessa il comportamento volubile di Loki o lo strano luogo in cui il Bifrost li aveva materializzati.
La foresta aveva lasciato spazio a delle imponenti rovine, fuse in modo equilibrato con la vegetazione, quasi ne avessero sempre fatto parte. Un tempo, quell'ammasso di pareti senza senso doveva essere un palazzo maestoso, più imponente dell'attuale reggia di Asgard.
Alti pinnacoli di metallo e pietra svettavano verso il cielo, formando torrette di forma squadrata, simili a lunghi parallelepipedi di varie lunghezze stretti intorno ad un unico corpo centrale cilindrico. Alcuni arrivavano così in alto che la guerriera faticava a vederne la sommità. **
La forma originaria della struttura era a stella, con almeno venti punte, a giudicare dal numero e dalla disposizione delle torrette.
Anche se spezzate o deformate dai tronchi ritorti degli alberi, molte pareti erano pressoché intatte.
Sif scostò con le mani le grandi foglie rotonde della pianta rampicante che decorava come un arazzo il muro di pietra che stava esaminando. Seguì con la punta delle dita i disegni geometrici che formavano un decoro complesso ed affascinante. Alcuni dei segni le ricordavano la foggia più antica delle rune asgardiane, anche se non riusciva ad associarli a nessuna in particolare.
Qualunque popolo avesse costruito quel palazzo, doveva essere molto avanzato, forse più degli stessi asgardiani.
«Che posto è mai questo?», mormorò la guerriera, tra sé e sé.
Hogun la guardò. «Non mi piace», commentò, riassumendo il sentimento di tutti i Tre Guerrieri, come era solito fare le poche volte che apriva bocca.
Fandral annuì.
«Non c'è nulla da mangiare», rimarcò Volstagg.
Sif trattenne uno sbuffo. «Seriamente, voi ricordate di aver mai letto di un pianeta come questo? Non fa parte dei Nove Mondi», insisté, battendo la punta della sua lancia bilama sulla parete. La pietra tintinnò come se fosse fatta di metallo, con una nota argentina.
Quel posto sembrava avere millenni, eppure era conservato straordinariamente bene. Le strutture più antiche di Asgard al confronto erano fatiscenti e traballanti.
Fandral si grattò la nuca. «Hem... non è che stessi molto attento alle lezioni di geografia», ammise.
«Questo pianeta non esiste nelle mappe di Asgard», confermò invece Hogun.
«Perché sei così sorpresa? Ti aspettavi che Loki si nascondesse in un posto facile da trovare?», osservò Volstagg.
Sif strinse le belle labbra, ignorando il commento del compagno. «Non mi piace questa storia».
Una lieve risata interruppe lo scambio di battute degli asgardiani.
Khalida si girò su un fianco, scostandosi di dosso il pesante mantello di pelliccia che Fandral le aveva cavallerescamente prestato per difenderla dal gelo pungente mentre era incosciente.
«Voi asgardiani non imparate proprio mai...», mormorò, sarcastica, nonostante la voce affaticata.
I Tre Guerrieri la fissarono con la stessa espressione che avrebbero riservato ad un pentapalmo parlante.
Khalida rise, con l'isterismo di chi è sorpreso di essere ancora vivo.
Si guardò intorno, registrando in fretta i dettagli.
All'appello mancavano Thor, Loki e i due lupi.
«Vedo che ti senti meglio», osservò Sif, velenosa.
Quella donna non gli era mai piaciuta, sin dalla prima volta che l'aveva vista. Era come un cavallo selvaggio che, anche se accetta di essere domato, potrebbe disarcionarti quando meno te lo aspetti, solo perché scorge la possibilità di tornare ad essere libero.
Eppure Thor si fidava di lei, e Sif non capiva come né perché, dato che la donna non aveva mai fatto nulla, dal suo punto di vista, per meritare tanta considerazione.
Sapeva dare una motivazione precisa a tutti quei sentimenti negativi, ma era troppo degradante ammetterli, e Sif preferiva nasconderli sotto spiegazioni più o meno logiche, ma sicuramente più comode.
Come ogni bravo soldato, sapeva annullarsi al momento più opportuno.
Khalida annuì lentamente, ingoiando la voglia di ribattere al sarcasmo malcelato di Sif. L'antipatia che la Dea le dimostrava la infastidiva e stimolava in ugual misura, perché riusciva a vedere dentro di essa una realtà interessante, che poteva volgere a suo vantaggio. Ma quello non era il momento di occuparsi di Sif, era già felice di riuscire a respirare e pensare in modo coerente, non aveva voglia di attaccare briga con l'asgardiana. Non avrebbe mai iniziato una guerra che non era certa di vincere.
Non poteva dire di stare bene, la testa le girava e aveva perso molto sangue, come le ricordava il fastidioso odore ferroso nelle narici, tuttavia si sentiva piuttosto in forze, se non considerava il tremore diffuso nei muscoli delle gambe e delle braccia.
Ma a quello, aveva ormai fatto l'abitudine.
Sin dalla prima volta che aveva utilizzato Match si era resa conto che il suo fisico si assuefaceva in fretta all'energia aliena che lo attraversava.
All'inizio i sintomi erano gestibili, solo un prurito o una lieve contrazione delle dita o dei muscoli del braccio uniti a un mal di testa trascurabile. Quando lo S.H.I.E.L.D. le aveva strappato l'arma, non ne aveva risentito più di tanto, il dolore per le ferite era stato soverchiante e non aveva lasciato spazio a nient'altro, ma quando era entrata in contatto con l'entità, le cose erano rapidamente peggiorate.
Per usare termini terrestri, in quel momento si sentiva prossima ad una vera e propria crisi d'astinenza, e la cosa non le piaceva affatto.
Con le mani tastò intorno a lei, lottando contro la nausea che le squassava lo stomaco. Sospirò di sollievo quando trovò il familiare metallo di Match e lo strinse, lasciando l'energia libera di scorrerle nei tendini, dando sollievo ai tremiti sempre più forti.
Sperò vivamente che gli asgardiani li scambiassero per brividi di freddo, non aveva nessuna voglia di mentire.
Il sospetto che Match la stesse cambiando, era ormai una dolorosa certezza, ma se voleva avere una chance di tornare sulla Terra, aveva l'obbligo di restare lucida, accondiscendendo a quella situazione assurda e intollerabile.
«Per quanto tempo sono rimasta incosciente?», domandò, tentando di mettersi in piedi.
Fandral, con il solito fare da gentiluomo, le prestò volentieri una mano cui aggrapparsi, e Khalida non rifiutò.
«È difficile stabilire lo scorrere del tempo, in questo posto», replicò Hogun.
«Sono affamato, per cui sono passate almeno due ore da quando siamo arrivati», osservò Volstagg.
«È mai possibile che niente riesca a farti passare l'appetito?», sbottò Sif, nervosa.
Fandral scrutò la compagna. «Cosa ti inquieta, Sif?».
La guerriera gli rivolse uno sguardo fermo, quasi arrogante. «Thor manca da troppo tempo».
Un rumore lieve, poco più di un fruscio, fece scattare i sensi vigili degli asgardiani.
Un sibilo di lame spezzò il placido silenzio della radura, rimbalzando sinistro sulle pareti di pietra.
Khalida reagì più lentamente e, dopo essersi voltata, osservò con curiosità il lupo nero comparso a pochi metri da loro.
L'animale appariva tranquillo. Con le orecchie basse, li scrutava di lato, senza muoversi, quasi ad attendere una loro reazione.
Un mormorare teso passò tra Fandral e Volstagg, indecisi su come comportarsi nei confronti della creatura.
Infine, dopo aver scrutato a fondo la posa e gli occhi dell'animale, Khalida fece un passo avanti.
«Cosa pensi di fare?», la rimbrottò Sif, come si fa con un bambino testardo.
Khalida si limitò ad indicare il lupo.
Come lei si era mossa aveva avanzato, spostandosi verso destra, apparentemente nel punto più interno delle rovine.
«Vuole che lo seguiamo».

Il passaggio era stato graduale, tanto che Khalida aveva notato la scomparsa degli alberi solo dopo diversi minuti di cammino. Più si inoltravano nelle rovine, più la foresta lasciava il passo a quella che doveva essere stata una vera e propria città, formata da decine di edifici connessi tra loro da passerelle sospese di metallo e vetro, di cui restavano solo poche schegge sparse sul pavimento sconnesso e moncherini aggrappati alle pareti.
«Questo posto doveva essere enorme», osservò Volstagg, schivando un masso squadrato che ostruiva l'accesso al corridoio in cui il lupo nero, Fenrir, era scomparso.
Khalida, sempre Match stretto nel pugno, si concesse un breve sorriso. «Non mi sarei aspettata niente di meno, dai creatori del Tesseract».
I Tre Guerrieri la fissarono confusi, e Sif avanzò di un passo verso di lei, con aria intimidatoria. «Come fai a saperlo?», chiese la Dea, indecisa se credere alle parole dell'umana.
Khalida sollevò il mento. «Me l'ha detto Loki***».
«Prima o dopo aver tentato di ammazzarti?», incalzò Sif.
Khalida si voltò e fronteggiò l'asgardiana faccia a faccia. «Mi vuoi spiegare che problema hai, Sif?».
La Dea fece un altro passo avanti, i nasi delle due donne quasi si sfioravano, tanto erano vicine. «Non mi fido di te».
«No, quello che ti infastidisce davvero, è che Thor si fidi di me», la provocò Khalida, stringendo la presa su Match che scintillò più vigorosamente. Anche se aveva deciso di non litigare con Sif in quella circostanza, adesso ne aveva improvvisamente voglia.
«Quel tuo bastone non mi fa paura», fece presente la guerriera, sfoderando la corta spada che portava alla cintura.
«Dovrebbe», ribatté Khalida, sprezzante.
Non sapeva nemmeno lei di preciso perché stesse provocando Sif in modo tanto sfacciato. La guerriera le era superiore sotto ogni aspetto e avrebbe potuto ucciderla con una mano sola, ma qualcosa dentro di lei stava crescendo sempre di più, alimentata da una rabbia che reprimeva da troppi anni. Khalida conosceva abbastanza se stessa per sapere che quella sete si sarebbe placata solo con il sangue. Suo o di Sif poco importava.
Il metallo di Match incontrò quello della lama di Sif sventagliando scintille, e subito dopo una scarica d'energia azzurra saettò vicino alla testa dell'asgardiana, producendo uno sgradevole odore di piume bruciate.
Benché in svantaggio, Khalida non aveva intenzione di risparmiarsi, e Sif era intenzionata a dare fondo a tutta la sua abilità per mettere in difficoltà la donna, pur non colpendola mai direttamente, sfiancandola senza aver bisogno di ferirla.
Voleva umiliarla, non certo ucciderla.
Khalida intuì ben presto la tattica dell'asgardiana e la torse a suo vantaggio, fingendosi più provata di quanto fosse in realtà.
Sif cadde presto nella trappola, e Khalida riuscì a colpirla di piatto con Match. Un'escoriazione fiorì sulla pelle della Dea, provocata dell'affilata filigrana dell'impugnatura.
Sif perse definitivamente il controllo, abbandonò la spada e si gettò a testa bassa su Khalida, aggredendola nel modo più primitivo che conosceva: graffiandola e tirandola per i capelli.
Fandral, Hogun e Volstagg assisterono alla scena talmente perplessi dal comportamento delle due donne, da non riuscire a reagire, né a fermare la compagna, che ben presto avrebbe finito con l'ammazzare l'umana, anche involontariamente.
«SIF!», tuonò la voce di Thor, accorrendo dalla stanza adiacente, attirato dal trambusto.
Imponendosi a forza tra le due, tenendo Khalida per una spalla e puntando il Mjolnir contro il petto di Sif, il Dio del Tuono fissò entrambe con sguardo deluso e confuso insieme.
La risata di scherno di Loki si fece strada nel silenzio pesante. «Vedo che ti circondi sempre di notevoli elementi», insinuò, sbucando dal fondo del corridoio, accompagnato dalla lupa bianca.
Nella mente di Khalida, lucida nonostante il corpo affaticato, un collegamento apparve improvvisamente nitido. Proprio come aveva utilizzato lo Scettro per far emergere la rabbia latente nel neonato gruppo degli Avengers, così Loki aveva sfruttato Match per farle perdere il controllo sulle proprie emozioni nei confronti di Sif, e viceversa.
«Tu!», sibilò, stringendo di più Match, la cui asta era diventata bollente. «Qual'era il tuo obiettivo? Speravi che io uccidessi lei o lei uccidesse me?», sputò, insieme ad un grumo di sangue coagulato. Aveva qualche graffio superficiale, ma fortunatamente niente di grave. L'energia di Match la rendeva più resistente, almeno finché si manteneva in contatto con il manufatto.
Loki sorrise, portando le mani dietro la schiena. «Devo ammettere che entrambi i risultati mi avrebbero soddisfatto».
Thor osservò in volto prima Sif, che sembrava confusa e quasi imbarazzata, e poi Khalida, che annuì impercettibilmente. Si voltò verso il fratello. «Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti Loki».
«Non credere che non comprenda la gravità della situazione. Ciò che faccio non è mai senza scopo», affermò Loki, raddrizzando le spalle. Indicò con un gesto rapido Khalida e Sif. «Questo è un problema tuo», aggiunse.
Thor lo fissò in attesa di ulteriori spiegazioni, che però non arrivarono.
Scambiò qualche sguardo d'intesa con i Tre Guerrieri, che si occuparono di affiancare Sif, la quale non aveva osato aprire bocca.
Khalida precedette il gruppo, incamminandosi dietro Loki e i due lupi, che lo affiancavano come due fedeli guardie del corpo.
«Ti fidi di lui?», mormorò Volstagg, rivolto a Thor.
«No, ma credo che sia disposto a darci ascolto. Il perché credo non lo sappia nemmeno lui», ammise il Dio del Tuono.

Il pavimento era pianeggiante, privo di crepe. Sembrava formato da lastre di roccia vulcanica, nera ed opaca, che risuonava come metallo quando veniva calpestata.
Al centro della sala di modeste dimensioni, molto ben conservata rispetto al resto dell'antico palazzo, troneggiava un tavolo su cui davano mostra di sé cibi di vario genere.
«Che non si dica che non sono ospitale», fece presente Loki, accennando alle vivande.
Volstagg non se lo fece ripetere due volte, e anche Khalida si arrischiò. Fidarsi di Loki era l'unica opportunità che aveva, avevano, per riuscire a tornare indietro e, se lui non li avesse aiutati, necessitava comunque di nutrimento, per riuscire ad affrontare di nuovo l'entità e capire come tornare su Asgard.
Loki osservò con attenzione i suoi sgraditi ospiti.
«Quindi ritieni che l'esercito di Asgard abbia una possibilità contro quello di Thanos...», iniziò come proseguendo un discorso lasciato in sospeso, volgendo lo sguardo verso Thor.
Il Principe aggrottò le sopracciglia. «I nostri alleati risponderanno all'appello», replicò.
Loki scosse la testa. «I tuoi alleati potrebbero non essere tali», osservò.
«Prima di parlare degli alleati, sarebbe il caso di parlare del nemico», si intromise Khalida.
Loki la fissò in tralice, ma sulle labbra passò l'ombra di un sorriso. «Speri sul serio che io abbia informazioni su di lui?».
Era la prima volta che Loki le si rivolgeva direttamente, e Khalida non seppe spiegare la strana sensazione di familiarità che si impadronì del suo corpo.
Il modo in cui la sua mente e quella di Loki si inseguivano, a volte quasi completandosi, l'aveva sempre stupita in modo genuino.
La sensazione, oltre a confonderla, era riuscita a rassicurarla, in qualche modo, della sua umanità.
All'interno della Gabbia aveva scoperto, dopo anni passati in un limbo emotivo di totale indifferenza, di essere ancora in grado di provare qualcosa, nonostante la ferita profonda della morte di Manaar.
Ciò l'aveva stordita e confusa di primo acchito, ma successivamente quella convinzione era diventata una motivazione potente, che l'aveva condotta fino ad Haiti e ad Ivy.
Khalida era giunta a queste conclusioni impegnandosi costantemente in un analisi approfondita di se stessa, nei lunghi mesi di solitudine sull'isola. Dopo aver dato fondo alle sue conoscenze di psicologia, poteva finalmente ammettere di sentirsi serena, quasi in pace.
Almeno finché Thor non era precipitato nuovamente giù dal cielo, distruggendo il suo piccolo mondo.
Ora, aveva paura di perdere tutto quanto, per colpa di quella ritrovata complicità malsana con un'alieno che non si sarebbe fatto molto scrupoli ad ucciderla, non appena gli si fosse ripresentata l'occasione. Ma era costretta, perfino da se stessa, a cedervi.
«Sei l'unico che pare conoscerlo», osservò Khalida, fissando Loki negli occhi.
«Sarebbe presuntuoso fare una simile affermazione, da parte mia», replicò lui. «Comunque posso dire di poter immaginare quali siano le sue intenzioni», proseguì, muovendo qualche passo in avanti.
«Cioè?», incalzò Thor.
«Thanos ha scopi molto semplici, punta ad avere il pieno controllo dell'universo in modo da esserne l'unico padrone. Suppongo che intenda cominciare da Asgard».
«Se il suo scopo era questo, perché attaccare solo ora?», intervenne Fandral.
Loki gli scoccò un'occhiata quasi di compatimento. «Thanos non misura il tempo come noi, oppure come i mortali. Per uno che esiste da migliaia di anni, pochi anni sono equiparabili a pochi istanti», spiegò, seppur con una certa riluttanza.
«Intendi quindi aiutarci?», si azzardò a domandare Thor.
Loki strinse le labbra, e qualcosa simile allo smarrimento lo spinse ad aggrottare appena le sopracciglia. Ad una prima occhiata, Khalida immaginò che si fosse appena pentito di ciò che aveva detto, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
La donna spostò lo sguardo tra i due fratelli, fermandosi infine sul Dio dell'Inganno. «Thanos vuole te, e il Tesseract. Se tornerai ad Asgard ti metterai nelle sue mani. Probabilmente non aspetta altro, per attaccare», disse, attirandosi un'occhiata risentita e sospettosa da parte di Thor.
Khalida si voltò verso di lui. «Ti avevo promesso di trovarlo, ma non ho mai detto di essere d'accordo con te».
Loki ridacchiò. «Vedo che non hai perso la cattiva abitudine di difendermi, nonostante tutto», disse, ironicamente, anche se in realtà era piuttosto confuso dal modo di agire della donna.
L'aveva quasi uccisa, di nuovo, eppure lei sembrava essersene completamente dimenticata.
Avrebbe dovuto continuare a tenerla d'occhio, non gli piaceva affatto quel fastidioso prurito dietro la nuca che il pensiero della donna gli provocava. Nascondeva qualcosa, come aveva sempre fatto.
Ma il momento di affrontale il problema sarebbe giunto al tempo opportuno, per adesso aveva grattacapi ben più gravi, da risolvere.
Loki prese un profondo respiro, materializzando lo Scettro nelle sue mani.
Tra gli sguardi allarmati dei presenti, ne puntò un'estremità nell'aria davanti e lui e, con un semplice movimento rotatorio, spalancò un portale di saettante energia azzurra, identico a quello che aveva portato i Chitauri a New York.****
Thor osservò gli occhi del fratello. «Ti ringrazio», disse, con solennità.
«Non farlo», replicò Loki, infastidito. «Parteciperò al funerale della Regina, perché non sono privo di onore. Per ora, ti basti questo», aggiunse, prima di varcare il portale e sparire al di là di esso.
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Yes, #LokiIsBack!

Ok, adesso passiamo alle note:

*Non l'ho specificato nel capitolo precedente, ma ho solo "preso in prestito" i nomi di Fenrir e Hela dalla mitologia, per creare questi due lupi che sono dei normali animali, niente di più. Loki ci dirà qualcosa di più su di loro prossimamente.

** L'ipirazione per questa descrizione viene dalla città volante/galleggiante di Atlantide di "Stargate Atlantis", vi lascio un link
Immaginatela immersa in una foresta, tre volte più grande.

*** Capitolo 3 di Spie.

**** Questo gesto di Loki è preso direttamente dalla puntata 1x10 di Avengers Assemble, cartone animato attualmente in onda negli USA, in cui come guest star compare proprio il Dio degli Inganni che come arma utilizza proprio lo Scettro di Thanos. Naturalmente tenete conto che qui stiamo parlando della forma mutata dello Scettro, che non ha più l'aspetto del film Avengers, ma quello di una lunga lancia dall'asta avvitata su se stessa con il Tesseract in cima.

A presto!
Nicole

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Come il ghiaccio ***


E ce la fece!
Ecco il capitolo 11, è moooolto lungo e si alternano veramente moltissimi punti di vista diversi, spero che vi piaccia perché io... lo ADORO!
è pienissimo di spoiler su Thor: The Dark World per cui, se siete tra quella milionesima parte di essere umani che ancora non l'ha visto, fatelo e poi leggete il capitolo :)

Sono ancora un po'sconvolta e sorpresa per le somiglianze tra alcuni passaggi della mia storia (prima fra tutte la conversazione tra Thor e Loki nelle prigioni e le circostanze della morte di Frigga) e il secondo capitolo di Thor, che lo ammetto, mi ha fatto regredire all'età di dieci anni XD
Ok, la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo, che avete aspettato mooolto a lungo XD
ci vediamo in fondo per alcune note.

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«Un penny per i tuoi pensieri».
Jane sollevò di colpo lo sguardo dal fumo che saliva dalla tazza di caffè che teneva tra le mani, ormai da diversi minuti.
Al di là del vapore, la accolse il sorriso solare di Ivy che, senza attendere un invito, si era già accomodata di fronte a lei, sorseggiando latte al cioccolato da un bric di tetrapak.
Jane fece una smorfia, massaggiandosi gli occhi. «Te li direi volentieri, ma dubito che la fisica quantistica ti possa interessare davvero».
Ivy succhiò rumorosamente dalla cannuccia. «Problemi con i tuoi esperimenti?», chiese.
La scienziata si morse le labbra. «Non credevo che sarei mai arrivata al punto di dirlo, ma... è un argomento riservato. Non sono autorizzata a parlarne».
«Oh, andiamo Jane! Sono dentro questa storia, non puoi tenermi all'oscuro», insisté la ragazza, mordendo la cannuccia di plastica. «Khalida è mia madre, per quanto ti sembri strano, e mi ha salvato la vita. Voglio sapere come sta».
Jane sospirò. «Credimi, lo vorrei sapere anch'io», ammise, prima di capitolare. «Lo S.H.I.E.L.D. vuole che apriamo una connessione con Asgard, in modo da capire che sta succedendo lassù, ma fino ad adesso ogni tentativo è stato inutile».
Ivy arricciò le labbra. «Quelli sono praticamente dei... e non hanno un cellulare?», sbottò quasi sconvolta.
«Meglio se non ti racconto come ha reagito Thor la prima volta che ne ha visto uno», replicò Jane, sorridendo.
Ivy le era simpatica. Su quell'immensa scatola volante era una delle poche persone normali con cui aveva a che fare, escludendo Erik, ed era tutto dire, dati i problemi psichici che l'amico aveva affrontato subito dopo i fatti di New York*.
In più le ricordava Darcy, e l'amica-barra-stagista un poco le mancava. Più di una volta il suo umorismo scanzonato le era stato utile per affrontare alcuni momenti di sconforto. E, doveva ammetterlo, negli ultimi tempi, aveva avuto diversi  di quei momenti.
Per quanto le sarebbe piaciuto dire il contrario, la maggioranza di essi aveva a che fare con Thor, e la loro pseudo relazione.
Ormai Jane non sapeva più definire nemmeno con precisione cosa ci fosse tra lei e il Dio del Tuono, e il pensiero stava diventando sempre più inquietante. Lo amava, ma iniziava a sospettare che quella scusa non avrebbe retto ancora per molto.
Osservò per qualche istante il volto crucciato di Ivy, che con impegno continuava a masticare la cannuccia, immersa nei suoi pensieri.
Aprì la bocca, ma le parole si rifiutarono di uscire.
Era davvero così patetico che una donna della sua età si rivolgesse a una ragazzina di quanti? Sedici anni?
«Cosa c'è, Jane?», chiese Ivy, fissandola negli occhi. «Lo vedo che hai qualcosa sulla punta della lingua», aggiunse, per chiarire.
La scienziata non trattenne un nuovo sorriso. «Sei una ragazza intelligente», osservò.
Ivy scrollò le spalle. «Non più di tanto. Ma so leggere abbastanza bene le persone. Quando cresci come sono cresciuta io, impari a farlo».
Jane aggrottò le sopracciglia. Aveva già immaginato che la ragazza non avesse una storia piacevole alle spalle, d'altronde all'interno di quella specie di portaerei volante ognuno aveva la propria storia strappalacrime sul groppone, però non si aspettava che lei l'ammettesse con tanto candore.
«Perché, come sei cresciuta?», domandò, curiosa.
Ivy sogghignò, con un'espressione molto simile a quella tipica di Khalida Sabil, e fece segno di no con il dito indice. «Non cambiare discorso, tu mi stavi per fare un'altra domanda».
La scienziata incassò il colpo con un breve cenno delle mani, poi respirò a fondo. «Si tratta di Thor...», iniziò, ed Ivy raddrizzò la schiena ed assunse un'aria attenta. Aveva già intuito che l'argomento Thor era molto delicato per Jane. Si capiva perfino da come pronunciava il suo nome.
«Quando è venuto a casa tua... Come ti è sembrato?», concluse Jane, sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Ivy rifletté per qualche secondo sulla risposta. «Non lo conosco, e quando ho visto lui e gli altri asgardiani ero molto perplessa, ma lui mi è sembrato... tormentato. Solo quando Khalida ha acconsentito ad aiutarlo si è concesso un sorriso», descrisse la ragazza, tentando di essere precisa.
Jane si pizzicò una pellicina del pollice destro. «E tra di loro... hai notato nulla di strano?», chiese, con la voce solo di un tono più bassa.
Ivy ci mise tre secondi netti a capire il senso di quella domanda e, per quanto indelicato, non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «Tu sei gelosa!», esclamò, coprendosi la bocca con la mano per soffocare l'ilarità poi, rendendosi conto di essere stata maleducata, si affrettò a riparare il danno, ricomponendosi. «Non ne hai alcun motivo, te lo assicuro. Conosco mia madre, e non ha mostrato nessun interesse di quel tipo per Thor. Lui le ha parlato un po' come se lei fosse... che ne so... una collega? Ecco, sì direi che rende l'idea», concluse Ivy, soddisfatta della propria spiegazione.
Jane annuì lentamente. Sapeva che il suo timore era quantomeno ridicolo ma la consapevolezza non l'aveva reso meno doloroso, né aveva soffocato quell'irrazionale gelosia.
«E poi lei preferisce i mori», aggiunse Ivy, a mo' di battuta, passando in rassegna mentalmente i vari uomini, non molti in effetti, che Khalida aveva frequentato da quando vivevano insieme.
Jane, che aveva finalmente deciso di bersi il suo caffè, ormai freddo, si lasciò sfuggire un sorriso sornione. «Eh già».
Ivy drizzò immediatamente le antenne. «E tu come lo sai? Khalida aveva qualcuno qui allo S.H.I.E.L.D.? Mi va bene praticamente chiunque ma, ti prego, non Coulson!», esclamò, eccitata.
Forse Khalida l'avrebbe ammazzata per essersi impicciata in quel modo, tra l'altro molto sleale, nella vita che aveva cercato di rendere segreta, e forse anche di dimenticare, ma lei non poteva farne a meno. Per quanto alcune cose della sua vita precedente l'avessero lasciata perplessa, o quasi sconvolta, era decisa ad andare in fondo alla storia. Credeva di meritarselo, ed era certa che nessuna notizia potesse cambiare il suo affetto per Khalida.
Jane, mentre tentava mentalmente di arrampicarsi sugli specchi, si stava pentendo amaramente di essersi lasciata scappare l'unica cosa di cui aveva scelto di non parlare alla ragazza.
Non tanto perché avesse premura di proteggere la reputazione di Khalida agli occhi della ragazza, quanto perché non era certa della veridicità di ciò che Thor le aveva raccontato.
Per come la vedeva lei, Thor credeva ciò che sperava fosse vero, senza curarsi di quanto fosse improbabile la cosa.
«Jane? Mi daresti una spiegazione?», la incalzò Ivy, con gli occhi scuri che brillavano.
«Non avrei dovuto dirlo, sono solo voci di corridoio», premise la scienziata, mordendosi l'interno della guancia. «Secondo Thor, tra Khalida e Loki c'era qualcosa».
«Qualcosa cosa?», insisté Ivy.
Jane si sentì arrossire. «Probabilmente una relazione».
Ivy immediatamente considerò le reticenze di Jane sull'argomento una sorta di pudore del tutto ipocrita. Era una donna adulta, e anche lei aveva una relazione con un uomo non propriamente umano. Tuttavia, comprese immediatamente dopo che il motivo dell'imbarazzo della donna non derivava da ciò che poteva aver fatto o meno Khalida. «Tu non pensi sia vero», osservò. «Perché?».
Jane si morse le labbra. «Ho visto Khalida in poche occasioni, e di sicuro tu sai meglio di me quanto sia difficile capire quello che pensa», iniziò, ed Ivy annuì, a darle ragione.
Conosceva Khalida, ma questo non significava che lei fosse in grado di capirla al volo, il miglior modo in cui lei e Khalida comunicavano era sempre a parole. Per il resto, Khalida era imperturbabile, spesso era in grado di mantenere la stessa espressione facciale per un giorno intero, che stesse correndo lungo la spiaggia o guardando una commedia in TV.
Jane prese il gesto di Ivy come un incoraggiamento. «Per quanto io sia in grado di fare alcune similitudini tra Khalida e Loki, credo che ipotizzare un legame sentimentale tra loro sia azzardato. Non ci sono le basi. È una teoria che non sta in piedi».
Ivy incrociò le braccia al petto. «Non penso che Thor crederebbe una cosa del genere, senza averne avuto qualche sentore».
«Non nego che sin dall'inizio è stato chiaro a tutti che tra Khalida e Loki c'era un... legame, ma io credo che tra loro si possa parlare di un'alleanza dettata dalle circostanze, non certo dall'affetto», continuò Jane.
Ivy sollevò appena un sopracciglio. «Sei molto pragmatica», per essere una che ha una relazione a distanza con un dio norreno, aggiunse mentalmente, ma con il buon senso di non esprimere i suoi dubbi ad alta voce.
Rimase in silenzio qualche istante, rimuginando su ciò che aveva saputo da Jane.
«Eppure credo che Thor possa avere ragione», esordì, alla fine.
Questa volta fu Jane a sollevare le sopracciglia. «Cosa te lo fa pensare?», indagò.
«Vivo con Khalida da poco più di un anno, e so con certezza che in tutto questo tempo non ha mai voluto avere una relazione con nessuno degli uomini che si sono interessati a lei. Mi sono sempre domandata se nel suo passato non ci fosse stato qualcuno che forse non era ancora riuscita a dimenticare. Forse adesso ho la risposta», raccontò.
Jane sorrise. «Sei giovane, Ivy, ed ottimista. Raramente le cose sono così semplici. Khalida ha avuto una vita complicata, forse semplicemente non voleva nessun legame».
«E io? Io sono un legame molto più pericoloso di un uomo», la contraddisse la ragazza.
In effetti, ragionò Jane, Ivy non aveva tutti i torti.
Gli occhi le caddero sul quadrante dell'orologio, la sua pausa era finita da un pezzo, e Selvig ormai doveva essere sull'orlo di una crisi di nervi, in balia di quella simpatica, e asfissiante, scienziata dal singolare accento che Fury gli aveva appioppato, insieme al suo compare che, neanche fossero una coppia di uccelli inseparabili, erano tutt'uno anche nel nome: Fitz-Simmons**.
«Non ti offendere, Ivy, ma sei veramente giovane. Forse quando Khalida tornerà, potrai avere chiarezza», fece, con fare conclusivo.
Ivy fece il broncio. «Io quella la vorrei adesso. Già non ci capisco niente di questi dei norreni, martelli e Ponti dell'Aurora dei miei stivali!».
Jane ridacchiò. «Sarebbe Ponte dell'Arcobaleno», la corresse, bonariamente, poi frugò per qualche istante nella grande borsa che portava sempre con sé, estraendone un piccolo libro formato tascabile che aveva comprato una vita prima, poco dopo i fatti del New Mexico. «Tieni, questo potrebbe aiutarti», disse, porgendolo ad Ivy che, con aria confusa, lo prese, leggendo contemporaneamente il titolo.
«Miti e leggende del nord... un libro di mitologia? Seriamente?», fece, scettica.
Jane annuì. «Ti darà qualche risposta. Adesso perdonami ma devo tornare al mio lavoro».
Ma Ivy si era già buttata a capofitto nella lettura del libricino, e Jane dovette accontentarsi del suo lieve sorriso, come ringraziamento.

La morte era sempre stata accanto ad Odino.
A cominciare dalla terribile guerra contro Jotunheim, il Padre degli Dei l'aveva percepita addosso, un velo di ghiaccio sulla pelle, una condanna dettata dal suo ruolo, dispensatore tanto di vita quanto di giudizi di morte.
Ed ora la sentiva respirargli sul collo con più forza. Vittoriosa, incombeva in quella piccola stanza, gettando la sua ombra sul corpo esanime di chi, per tempo immemorabile era stata il suo posto in cui tornare, colei che lo lavava dalla morte, purificandolo. Frigga era sempre stata la parte migliore di essere Re, di essere padre... forse addirittura di essere vivo, ed ora se n'era andata.
Molte volte in precedenza la mente di Odino si era soffermata sul futuro.
Era consapevole, ed accettava, che la morte sarebbe giunta col tempo, ma non aveva mai contemplato la possibilità che lei se ne andasse prima di lui.
Il grande Padre degli Dei ora non sapeva cosa fare, fermo immobile accanto al feretro della propria sposa, che non aveva saputo proteggere. Il senso di colpa era solo poco inferire all'ira, e Odino sentiva che i confini tra l'uno e altra erano pericolosamente labili.
Si sentiva fragile e vecchio oltremisura.
Osservò il corpo della sua Regina stringendo le mani sulla propria lancia, come a cercare un modo per non crollare a terra, sopraffatto.
Frigga era abbigliata come nel giorno in cui l'aveva sposata, il volto immobile e sereno celato da un velo candido, le mani giunte sull'elsa dalla spada che le aveva donato per la nascita di Thor.
Odino chiuse l'occhio, lasciando scivolare sulla guancia una sola lacrima, l'unica che si sarebbe concesso.
Le altre le avrebbe lasciate al popolo, a chi poteva permettersi di mostrarsi debole.
Un capogiro lo colse impreparato e dovette cercare a tastoni un sostegno, finendo per appoggiarsi alla parete poco distante da lui.
«Mio Re», intervenne prontamente Amora, accorrendo al suo fianco, senza toccarlo. «Non dovreste affaticarvi», aggiunse.
Odino strinse i pugni, raddrizzando le spalle.
«Devo farlo», mormorò, quasi a sé stesso, poi guardò negli occhi l'asgardiana al suo fianco. «Avevo chiesto di non essere disturbato», aggiunse.
Amora chinò gli occhi. «Perdonatemi, ma sono giunte notizie, ed ero impaziente di comunicarvele».
Odino intuì immediatamente di che cosa si trattasse. «Quindi Thor è tornato».
«Sì, e ha condotto con sé Loki», spiegò Amora.
Odino sospirò pesantemente. «Così sia». Gungnir picchiò leggermente a terra e due Falchi Rossi comparvero dal fondo della sala. «Preparate tutto per il funerale», ordinò il Padre degli Dei, ammantandosi per un istante del potere di un tempo.
«Diremo addio alla Regina questa notte».

La superficie del ghiaccio tremò, e una lieve crepa si formò in corrispondenza del piede destro di Thanos.
Sotto di lui, la luce riflessa delle stelle scomparve, assorbita dalla familiare finestra di tenebra che si spalancò come una bocca affamata, con i contorni che ondeggiavano lievemente.
La figura bianca e sfocata dell'asgardiana apparve, lontana e poco riconoscibile, indice della fretta con cui la sua interlocutrice aveva aperto il portale.
Thanos sorrise, significava che aveva buone notizie.
«È qui», annunciò la donna.
Benché distorta dalla grande distanza, l'Eterno riconobbe la sfumatura impaziente in quelle parole e ne godette. La fretta, la brama, era sempre stata una nemica degli asgardiani, e lui era un maestro nel manipolare i difetti dei propri avversari, in modo che fossero sconfitti da se stessi, oltre che da lui.
«Bene. Hai preparato tutto come ti ho ordinato?».
«Sì, mio signore», annuì la dea, con referenza. «La riconoscerete, porta con sé un'arma dalla fattura insolita, creata dal potere del Tesseract».
«Dove la troveremo?».
«Quando inizierà l'attacco, ritengo che Thor tenterà di proteggerla portandola via attraverso il Bifrost. Potrebbe affidare a me il compito di scortarla. Se così fosse, feritemi, in modo che non possano sospettare di me», pianificò con precisione l'asgardiana, celando sotto il velo un sorriso compiaciuto.
Thanos accettò la condizione con un debole cenno. «La tua devozione verrà ricordata dovutamente, asgardiana», promise, lasciando svanire il collegamento bruscamente.
«Come procediamo?», domandò la voce graffiante di Malekith, alle spalle del Titano.
«Prepara la tua flotta», replicò Thanos, fissando gli occhi su qualcosa che lui solo sembrava vedere. «Questa notte ha inizio la caduta di Asgard».

Uno sbuffo d'aria fredda sulla nuca.
Khalida si voltò di scatto, pronta a difendersi, le mani alzate in posizione di guardia.
Niente, dietro di lei solo il letto coperto da lenzuola candide e lo specchio, che le rimandava la sua immagine, in modo innocente e beffardo al tempo stesso.
La donna storse il naso, osservando il ricco vestito che indossava con un fastidioso senso di deja-vú.
Il corpetto di pelle dorata, rivestito di placche metalliche intarsiate riccamente con l'immagine di un grande albero, le stringeva dolorosamente la cassa toracica, e la stoffa verde scuro dell'abito, dai riflessi oro cupo, pizzicava sulla pelle.
In un'altra situazione forse si sarebbe potuta sentire bella, quasi lusingata, ma era stanca, e sul suo viso le tracce del lungo viaggio e della pericolosa dipendenza da Match erano evidenti, nonostante l'impegno delle ancelle per farla apparire al meglio.
Le tre ragazze, fortunatamente silenziose, l'avevano lasciata da pochi istanti, dicendole di attendere di essere convocata per l'inizio della cerimonia.
Aveva deciso di partecipare al funerale per rispetto nei confronti di Frigga e perché, in ogni caso, prima del mattino seguente non le sarebbe stato permesso di utilizzare il Bifrost, dato che il dispositivo era stato blindato per ordine di Odino, dopo l'arrivo di tutti gli ospiti che avrebbero partecipato al funerale.
Khalida sospirò forte.
Ogni secondo passato su Asgard le pesava. Non vedeva l'ora di poggiare nuovamente piede sulla Terra, anche a costo di affrontare Fury, o la rabbia di Ivy.
Un nuovo sussurro freddo tra i capelli la costrinse a voltarsi nuovamente in direzione della porta.
Si sforzò di non sussultare, per non dare a Loki la soddisfazione di vederla spaventata.
«Mi domandavo quando saresti venuto a finire il lavoro», disse, accertandosi con la coda dell'occhio che Match fosse sul letto, dove l'aveva lasciato.
Loki sogghignò. «Mi piace avere un pubblico, ormai dovresti saperlo. Non hai nulla da temere, per ora».
«Questo mi rassicura molto», replicò lei, sarcastica. «Che cosa vuoi?».
Loki incrociò le mani dietro la schiena, facendo qualche passo avanti. «Ti conosco abbastanza per sapere che non fai mai niente per niente», iniziò. «Perché hai aiutato Thor? Che vantaggio ne trai?».
Khalida si morse le labbra, «Perché ti interessa?», domandò per prendere tempo.
Loki sapeva di averle fatto esattamente l'unica domanda a cui lei non voleva rispondere e sentiva il bisogno di qualche minuto per elaborare una mezza verità soddisfacente. Non avrebbe mai potuto, né voleva, mentirgli come aveva fatto con Thor.
«Non sapere mi... indispone. E non credo che ti piacerebbe vedermi irritato», replicò Loki, avvicinandosi ancora.
Khalida sorrise, prendendo un breve respiro. «L'ho fatto per onorare una promessa che avevo fatto a Frigga, durante il mio primo soggiorno ad Asgard», iniziò, trattenendo a stento un ghigno per l'espressione attonita che era passata e svanita in un lampo sul volto solitamente impassibile di Loki.
Khalida si sedette sul bordo del letto, lasciando che le mani sfiorassero la superficie di Match, per alleviare un poco il malessere che le provocava la lontananza dal manufatto.
Non ebbe bisogno che Loki la incoraggiasse, era decisa ad essere sincera con lui, almeno in parte.
«Lei lo sapeva», proseguì, «Sapeva che Thanos sarebbe venuto per cercarti e che l'avrebbe uccisa. Quel giorno, poco prima della partenza per la Terra, mi mandò a chiamare e mi fece promettere che, quando uno dei suoi figli avrebbe avuto bisogno del mio aiuto, io glielo avrei dato», Khalida si interruppe, lisciando con la mano la stoffa della manica dell'abito, notando solo in quel momento che era dello stesso colore del mantello che indossava Loki.
Dubitava che fosse un caso, ma preferì sorvolare. «Quando Thor è venuto a cercarmi, ho capito che era arrivato il momento di mantenere quella promessa. Era desiderio di Frigga che entrambi i suoi figli le dicessero addio. Se non da fratelli, almeno da alleati».
Loki sollevò le sopracciglia, ostentando stupore e ignorando il peso di quella confessione. Ci avrebbe riflettuto quando la cosa sarebbe stata profittevole, se mai lo fosse diventata. «Hai rischiato la tua vita per mantenere una promessa... ti sei ammorbidita parecchio, Khalida».
Lei incrociò le braccia al petto. «Anch'io, per quanto ti sembrerà strano, non sono priva d'onore».
Loki fece un cenno del capo, come per accettare quella spiegazione. «E cosa ti avrebbe dato la Regina, in cambio della tua promessa?», domandò, con il sorriso di chi ha appena risolto un enigma particolarmente difficile.
Khalida si alzò dal letto, portando con sé Match. Guardò Loki dritto negli occhi. «Non voglio mentirti, Loki, per cui non costringermi a rispondere a questa domanda», ammise, sentendosi nuovamente vulnerabile come quel maledetto giorno alla Bocca del Demone, quando aveva ammesso di lavorare ancora con lo S.H.I.E.L.D.
Loki sembrò accettare senza problemi le reticenze di Khalida, ma la donna immaginò che stesse solo rimandando la questione ad un tempo più conveniente. Seguì gli occhi dell'alieno mentre, con un'occhiata sommaria, passava in rassegna ogni centimetro del suo corpo.
«Vedo che la porti sempre con te», commentò, riferendosi a Match.
Khalida storse la bocca. «Vuoi davvero fingere di non sapere il perché?».
Loki ammiccò. «Non puoi dire che non ti avevo avvisato».
Khalida ingoiò la risposta tagliente che aveva sulla punta della lingua, e anche la scarica di energia danzante sul cristallo di Match. «Quanto tempo mi rimane?».
Loki piegò la testa di lato.
Era interessante, illuminante quasi, il modo in cui Khalida aveva posto la domanda. Per come la conosceva, avrebbe dovuto chiedere un modo per rimediare, invece sembrava aver accettato il suo destino.
Ormai era palese che qualcosa in quegli anni aveva prodotto un cambiamento nell'animo dell'umana e, sebbene conoscere cosa non fosse rilevante, Loki sapeva già che in qualche modo l'avrebbe scoperto.
L'ignoranza era l'unica cosa che non poteva sopportare.
«Saresti dovuta morire solo per lo sforzo di trovarmi», rispose.
«Ma non è successo», concluse per lui Khalida.
Loki la guardò di nuovo da capo a piedi. «Evidentemente», affermò, sarcastico.
«Perché?», chiese Khalida.
Loki assottigliò gli occhi. «Appoggiarsi all'energia del Bifrost è stata una mossa intelligente, ti ha risparmiato la maggioranza delle energie».
«Non è stata una mia idea», ammise Khalida, scatenando un nuovo sorriso di condiscendenza sul volto dell'alieno. «La... voce, dentro Match mi ha spiegato come fare».
Loki sollevò un sopracciglio. «Fiammifero? La chiami davvero così?», domandò, sogghignando.
«Rende l'idea», si giustificò Khalida.
«Voi umani dovreste smetterla con questo vizio dei nomi», ridacchiò Loki, sinceramente divertito.
Khalida si unì alla risata, riscoprendosi nostalgica nei confronti della complicità, benché effimera, che era riuscita a costruire con lui nei momenti in cui era prigioniero.
Il pensiero le fece morire il sorriso sulle labbra. Quel legame che sentiva con Loki era pericoloso, tanto quanto giocare alla roulette russa.
Anche se finora le era andata bene, questo non significava che il colpo non fosse lì, nella canna, pronto ad ucciderla.
Qualcuno bussò discretamente alla porta della stanza.
«Lady Khalida, la cerimonia sta per iniziare», annunciò la voce di un'ancella.
Loki sollevò teatralmente un sopracciglio. «Lady, eh? Noto con piacere che hai fatto carriera», commentò sarcastico.
«Finiscila, da fastidio più a me che a te», lo freddò lei, scostandolo e avvicinandosi alla porta.
Loki la osservò di lato, lasciando scorrere gli occhi lungo l'abito regale. Le donava, e vederle addosso quel colore, nonostante tutto, non lo lasciava indifferente. Lo divertiva il modo in cui Thor tentava ancora, disperatamente, di suscitare in lui sentimenti che non erano nella sua natura.
Match, come lo chiamava lei, emise un lampo intenso, quando Khalida ci serrò le dita intorno.
«Non guardarmi così», lo ammonì, senza voltarsi.
Loki si avvicinò, lentamente. «Perché?», le sospirò a pochi millimetri dall'orecchio. «Hai paura che ti piaccia?».
Khalida strinse gli occhi, colpita ma non disposta ad ammetterlo, soprattutto perché non ce n'era alcun bisogno.
«Lady Khalida...», chiamò di nuovo l'ancella.
«Arrivo!», la interruppe Khalida, aprendo la porta.
Loki la fissò negli occhi. «Questa conversazione non è finita», avvisò, prima di scomparire così come era arrivato.
Khalida fissò il vuoto per un secondo, poi si riscosse e uscì dalla stanza senza voltarsi.
 
Il funerale era stato solenne, ma a suo modo commovente.
Khalida si era resa conto, con un senso fastidioso di stupore e un sentimento che assomigliava al rimpianto, che quella era, di fatto, la prima volta che assisteva ad una cerimonia funebre.
Il pensiero l'aveva irritata, forse perché le aveva rammentato le tante vite che aveva tolto. Per quanto non rinnegasse il suo passato, spesso preferiva non soffermarsi su quei ricordi, che rimanevano comunque amari e dolorosi.
Era rimasta in disparte, mentre il popolo diceva addio alla propria Regina, ma non abbastanza. Molti asgardiani l'aveva squadrata in malo modo, sussurrandole alle spalle in merito ad una mancanza di rispetto. Se fosse dovuto al suo abbigliamento, che non aveva certo scelto lei, o per il bagliore costante di Match, Khalida non lo sapeva e non le interessava.
Uno schiamazzo di risa le fece storcere la bocca.
Come nella maggioranza delle culture, ad Asgard il trionfo della morte era seguito dalla celebrazione della vita.
Il banchetto era nel vivo, e Khalida aveva accettato di parteciparci solo per educazione, ma se ne stava rapidamente pentendo.
Il cibo non la allettava, e preferiva non bere. Essere lucida era la sua unica difesa.
Si guardò intorno cercando volti familiari nelle lunghe tavolate imbandite, ma non riuscì a scorgere nessuno a lei noto.
Come Thor aveva disposto, tutti gli alleati di Asgard erano giunti per rendere omaggio a Frigga, e gli ospiti erano innumerevoli.
Sperando di non attirare troppo l'attenzione, Khalida si alzò, dirigendosi verso i corridoi bui e deserti della reggia.
Non aveva mai avuto modo di visitarla a dovere e un poco le dispiaceva.
Vagò per le stanze, sbirciando attraverso ogni porta che trovò aperta, fino a che la luce danzante di un braciere non attirò la sua attenzione.
Si appiattì contro la parete, allungando lentamente il collo per spiare al di là dell'angolo. Due soldati, sostavano di fronte ad un piccolo fuoco, chiacchierando sottovoce fra di loro.
Khalida aggrottò le sopracciglia. Tutti i membri dei Falchi Rossi, le guardie reali, stavano partecipando al banchetto, e l'intero palazzo era, apparentemente, non sorvegliato.
Tranne quella stanza.
Un brivido di curiosità percorse la schiena di Khalida, che aguzzò la vista, portandosi più vicina.
Anche ad un osservatore distratto, sarebbe stato evidente che i due soldati non avevano alcuna voglia di fare il loro dovere.
«Non so che darei per un sorso di quella birra. Dicono che il Padre degli Dei abbia aperto le botti più pregiate, per salutare degnamente la Regina. Erano dai tempi della vittoria su Jothuneim che non accadeva», brontolò quello che tra i due sembrava più giovane.
L'altro, dall'aria più seria, non commentò, anche se un brillio nei suoi occhi suggerì che non fosse in disaccordo con il compagno.
Khalida dedicò un lungo sguardo alla grande porta alle spalle dei due asgardiani, domandandosi cosa potesse celare di così prezioso da meritare sorveglianza quando persino il Bifrost era rimasto incustodito.
I due battenti sembravano di legno massiccio, rivestiti di spesse placche di metallo color ottone brunito decorate con un bassorilievo molto elaborato.
Raffigurava una scena di battaglia cruenta, in cui scintillanti guerrieri asgardiani trionfavano platealmente contro un esercito i cui soldati indossavano maschere da combattimento che ne celavano i lineamenti. Ai lati del cranio sporgevano lunghe orecchie a punta.
Khalida non aveva bisogno di altri elementi per capire che quelli dovevano essere i famosi Elfi Oscuri.
Esaminò con più interesse la porta, interessata a cogliere indizi sull'antico nemico che minacciava Asgard nuovamente.
I cadaveri degli Elfi erano a decine, sparsi su un terreno roccioso aspro e brullo. Nel cielo non c'erano stelle, né luna, né sole. Il paesaggio non sembrava appartenere alla scintillante Asgard, per cui immaginò che quel deserto di rocce fosse sul pianeta natale degli Elfi, di cui non ricordavano il nome.
Al centro della scena una figura in piedi reggeva Gungnir, la lancia di Odino, il capo ornato da un imponente elmo decorato da corna di montone***. Lo stesso che aveva visto indosso ad Amora quando l'aveva incontrata la prima volta.
Forse non era un particolare rilevante, ma Khalida se lo segnò mentalmente, avrebbe chiesto delucidazioni a Thor il giorno dopo, prima della partenza.
Una folata di vento fece ondeggiare le pesanti tende di una delle grandi finestre, impedendo ai due soldati di guardia la visuale sul corridoio buio dove Khalida si era nascosta. Il suo corpo agì per lei e in pochi istanti sgusciò dietro la porta, più leggera di quanto si aspettasse, chiudendosela alle spalle senza fare rumore.
Le sfuggì un sorriso compiaciuto.
Anche se era fuori allenamento, se la cavava ancora.
Non appena si guardò intorno, riconobbe la stanza: era la sala delle armi, la stessa che aveva visto nelle illusioni di Loki.
Improvvisamente seppe identificare il motivo che l'aveva spinta a gironzolare per i corridoi di Asgard e ad intrufolarsi in quella stanza, e la cosa la infastidì non poco, perché era l'unico aspetto del suo carattere che non sapeva controllare.
La curiosità era sempre stata uno dei suoi peggiori difetti.
Tutti i suoi supervisori dell'esercito l'avevano detto un'infinità di volte: un soldato non chiede mai perché un soldato esegue gli ordini, punto.
Tuttavia, Khalida, aveva accettato quella sua pecca, diventando qualcosa di più di un semplice soldato, una donna d'azione con un lavoro in cui i perché erano importanti quasi quanto le azioni.
Ma ben presto anche nell'Intelligence il perché aveva perso importanza, sostituito dai numeri, dai risultati, dai nomi spuntati da una lista. E Khalida era diventata un peso, un'agente scomodo, troppo intelligente per poter essere controllata.
Mentre scendeva i gradini, lasciandosi avvolgere dal pesante silenzio della sala, la donna per la prima volta realizzò che probabilmente il caso di Manaar le era stato assegnato con la precisa intenzione di provarla, forse addirittura per dare un valido motivo ai suoi superiori per liberarsi di lei.
Ma in fondo non era importante, ragionò Khalida, cercare i perché di quegli eventi. Oltre che impossibile, era pressoché inutile.
Il passato non sarebbe cambiato, né la morte della ragazza sarebbe diventata più leggera da sopportare.
Lasciando vagare gli occhi sugli alti soffitti ad ogiva, segnati da sottili scanalature, fiocamente illuminate da un bagliore diffuso, Khalida respirò lentamente, cercando di carpire più particolari che poteva.
Il piccolo camminamento di marmo nero era costeggiato da piccoli fossati, larghi pochi metri, in cui galleggiava dell'acqua nera che non rifletteva la luce.
Al di là di questi, piccole nicchie ospitavano circa una decina di manufatti, alcuni erano di forme piuttosto riconoscibili – una spada, un guanto di placche di metallo, un bastone lungo circa due metri diviso in tre parti**** – mentre altri erano decisamente insoliti, come quell'occhio di metallo dorato che, benché immobile, la faceva sentire osservata.
Il fondo della stanza era formato da una griglia di metallo, le cui sbarre erano larghe come il braccio di Khalida, alta fino al soffitto. Se al di là ci fosse qualcosa, gli occhi della donna non erano in grado di vederlo.
Al centro della stanza, su un piedistallo, c'era il manufatto dall'aspetto più ordinario: un parallelepipedo che a prima vista appariva molto leggero, di metallo e vetro.
All'interno si muoveva un vapore bianco e azzurro, che si spingeva contro le pareti, avvolgendosi in continui mulinelli senza fine.
La superficie era coperta da un sottile strato di brina, anche se nella stanza non faceva affatto freddo.
Khalida allungò la mano lentamente, decisa a verificare l'effettiva temperatura del manufatto.
«Non hai perso nemmeno la cattiva abitudine di toccare ciò che potrebbe ucciderti», la fermò la voce di Loki, divertita, eppure incrinata da una freddezza glaciale che a Khalida fece correre un brivido lungo la schiena. Si sforzò comunque di conservare la apparenze, anche se involontariamente era trasalita. «Tu non hai perso quella di comparirmi alle spalle», osservò, voltandosi.
Loki sollevò un angolo della bocca, accennando una smorfia che non assomigliava per niente ad un sorriso.
Per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, Khalida poteva intuire che fosse quantomeno turbato. L'aveva osservato, durante il funerale e sapeva che l'addio a quella che, lo ammettesse o meno, era stata sua madre per lunghissimi anni, non poteva averlo lasciato indifferente. Ed ora Khalida la vedeva, la sentiva, la fredda rabbia sotto i suoi occhi chiari, la stessa rabbia venefica che l'aveva già condotto alla rovina una volta.
Non aveva intenzione di affrontare l'argomento. Loki era padrone delle sue azioni e ciò che pensava lei non l'avrebbe di certo fatto desistere dai piani che già gli frullavano in mente, in più teneva davvero ad arrivare tutta intera al mattino seguente.
Tuttavia il fatto di aver colto quella piccola briciola dell'anima di Loki, che lui celava con ostentata superbia, la faceva sentire una privilegiata, gettandole contemporaneamente addosso una responsabilità che forse era troppo pesante, e che sicuramente non era disposta a portare ancora a lungo.
Doveva pensare ad Ivy. Tornare da lei era il suo unico desiderio, l'aveva promesso, e non aveva nessuna intenzione di deluderla ancora, come già aveva fatto andandosene per quell'avventura che, fortunatamente, era al suo epilogo.
«Che cos'è?», domandò, posando gli occhi di nuovo sul piedistallo.
La nebbia azzurra aveva preso a vorticare più rapidamente, ma sembrò acquietarsi quando Loki avvicinò con grazia una mano, posando la punta delle dita su una delle decorazioni di metallo.
«Lo Scrigno degli Antichi Inverni», rispose.
Khalida sollevò le sopracciglia. «In effetti siete più bravi voi, con i nomi», osservò.
Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, ma la voce le morì improvvisamente sulla labbra, quando la pelle di Loki mutò gradualmente, sopraffatta da una ragnatela di inchiostro blu e venature di ghiaccio.
In pochi secondi, davanti a lei non c'erano più i trasparenti occhi verdi che aveva imparato a leggere, a capire e a temere, ma solo due pozze di sangue, rosso vivo, screziato di nero e morte: due occhi che non conosceva.
Chiuse ripetutamente le palpebre, come a controllare che quella non fosse solo l'ennesima illusione, un semplice inganno, ma Loki rimase lì, immobile a scrutare la sua reazione.
Aveva già visto l'aspetto originario di Loki, ma allora era solo un neonato, e non poteva certo paragonare le due cose.
Era una prova.
Loki aveva sempre amato testare il suo carattere e la sua sincerità, giocando con i suoi sentimenti, spiandoli con l'intensa determinazione di utilizzarli a suo piacimento.
Aveva sempre affrontato quei test con dignità e fierezza, convinta di ciò che sentiva, e non vergognandosene; ma allora non c'era Ivy da difendere, e l'ultima cosa che voleva era che Loki intuisse la sua esistenza e l'importanza che la ragazza aveva per lei.
Deglutì, decisa a non mostrare il disagio.
«Così è questo il tuo vero aspetto», commentò.
Loki sorrise, mostrando i denti. «Non fingere di non avere paura».
Khalida sollevò il mento. «Non serve la pelle blu, per quello, Loki», gli fece notare, ammettendo ciò che, in un altro momento non gli avrebbe concesso, nel tentativo estremo di celare il grande segreto di Ivy.
Se l'amore e l'affetto erano sentimenti che Loki disprezzava, la paura la comprendeva e sapeva dargli il giusto valore.
Confessare di provarla, era forse la più grande lusinga, e verità, che Khalida potesse fare nei confronti di Loki.
Stava giocando a carte sempre più scoperte, bluffando senza sosta con il maestro degli inganni.
Era pericoloso, non lo negava.
Ciò nonostante, Khalida era abbastanza obiettiva per ammettere che, mostrandosi a lei nel suo vero aspetto, qualunque fosse la sua motivazione, Loki stava facendo un importante passo verso di lei.
Poteva nascondersi dietro scuse blande, ma loro due avevano sempre camminato su strade parallele, distanti, eppure allo stesso passo.
Ora era il suo turno.
Avanzò piano, ed esitò solo un attimo, prima di sollevare le mani verso il volto di Loki.
Lui reagì in modo repentino, bloccandole i polsi con un movimento quasi invisibile.
Khalida irrigidì i muscoli, e si lasciò sfuggire una breve esclamazione di dolore mentre la pelle di ghiaccio le ustionava la carne.
«Credevi che toccare me fosse meno pericoloso?», sibilò Loki, accennando brevemente allo Scrigno con la testa.
Khalida ingoiò il dolore, che scemava, man mano che la pelle di Loki tornava al colore abituale.
«No, ma questo non mi ha mai impedito di farlo», mormorò in risposta, sollevando il viso con fierezza.
Non si diede il tempo di pensare oltre, e proseguì spingendosi in avanti con tutto il peso del corpo, fino a posare le labbra su quelle di Loki.
Come nella Bocca del Demone, il gesto aveva molti significati, e l'affetto non era sicuramente tra i più rilevanti.
La bocca di Loki era fredda e immobile.
Sapeva di neve, rabbia e sangue e, quando finalmente si ammorbidì per ricambiare il bacio, Khalida sentì il suo respiro di gelo tra le labbra, e parte di quella rabbia la condivise, ed accettò, comprendendo quanto profondo dovesse essere il dolore che stava dilaniando il cuore di Loki, la grandezza della sua solitudine ora che anche l'ultima persona per cui provava un minimo di calore se n'era andata.
Quando Loki si allontanò impercettibilmente, Khalida poggiò istintivamente la fronte sulla sua, socchiudendo le palpebre, trovando di nuovo quegli occhi chiari a scrutarla con intensità.
«Cosa mi stai nascondendo, Khalida?», domandò Loki, in un filo di voce doloroso tanto quanto un pugnale nel cuore.
Khalida abbassò lo sguardo, sconfitta.
Con la coda dell'occhio, percepì un lampo rosso filtrare da sotto i battenti della pesante porta.
Poi rimasero solo rumore e polvere.
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...suspance...

Lo so, sono cattiva, ma non è difficile immaginare cosa sia accaduto :P ho dato qualche indizio qua e là...
ok, veniamo alle note:

* alzi la mano chi non ha adorato Selvig fuori di cucuzza in TDW! "avevo un Dio nel mio cervello" e io gongolavo come una scema XD ok, ho fatto un piccolo riferimento a questo fatto, dato che le immediate conseguenze del dopo NY nella prima parte di Similitudini non erano state spiegate e potevo permettermi la lieve digressione.

** Cross-over con Marvel Agent's of SHIELD, per chi non lo segue, Fitz-Simmons sono due scienziati del team capitanato da Coulson. Lui Fitz, lei Simmons sono adorabili, e si completano le frasi a vicenda come se fossero, appunto, una coppia di inseparabili

*** Quella descritta non è altro che la stessa identica scena iniziale di TDW in cui si vede la prima battaglia contro gli Elfi scuri. Lo devo ammettere, a livello di battaglia e/o armamenti avevo la testa piuttosto vuota, per cui, dato che comunque noi tutti abbiamo nella testa le immagini fresche di TDW, farò molti riferimenti alla mitologia degli elfi, al loro modo di vestire e di combattere per come ce l'hanno mostrata nel film. ci sarà anche una versione riveduta e adattata dei Dannati *sì si chiama pigrizia, lo so*

**** altro cross-over con Agent's of SHIELD, nella 1x09 compare un'arma asgardiana che viene ritrovata sulla terra, il bastone qui citato. se volete saperne di più, guardatevi la puntata :P

Il capitolo è lungo e articolato e, anche se sembra inutile, la conversazione tra Ivy e Jane avrà una sua utilità tra poco, in particolare una cosa, ma non vi dico quale XD
Le due conversazione tra Loki e Khalida possono sembrare forse un po' ripetitive, ma tenete presente dello stato d'animo di Loki nella seconda, avevo bisogno che fosse in uno stato d'animo più fragile della precedente per riuscire a sciogliere qualche nodo.

Direi che ho finito, attendo i commenti!! *e i pomodori in caso*

Dal prossimo capitolo si balla!

A presto
Nicole

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Come la guerra ***


Ed eccoci qui.
Probabilmente leggendo il capitolo riuscirete ad intuire perché ho impiegato così tanto tempo ad aggiornare.
Da questo momento in poi, le cose precipitano e i piani di tutte le parti in gioco iniziano a prendere forma.
Spero che riusciate ad apprezzare e a perdonare l'attesa.
Vi lascio alla lettura, fate molta attenzione, ci sono indizi importanti.

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Il Carrousel du Louvre era affollato come sempre, meta ambita tanto dai parigini quanto dai turisti, immancabili nella capitale francese. Le gallerie scintillanti dei negozi esclusivi offrivano un ottimo intrattenimento prima e dopo la visita al celebre museo sotto il quale sorgeva il centro commerciale. Lottando contro la calca, una giovane donna tentava di allontanare la propria bambina dalla vetrina di giocattoli davanti alla quale si era incantata da diversi minuti.
«Ma petite», la richiamò dolcemente la donna, tentando di prenderla in braccio, ma la bimba protestò, divincolandosi dalla presa della madre.
Intenerita, la donna si abbassò all'altezza della piccola, cercando di farla ragionare con promesse che probabilmente non avrebbe mantenuto, dato che mai e poi si sarebbe potuta permettere quei balocchi tanto costosi e tecnologici.
Una vibrazione scosse il vetro davanti a loro e il pavimento di lucido marmo.
La donna sussultò, sorpresa e spaventata e, quando riprovò a prendere tra le braccia la figlia, questa non fece resistenza, inquietata dallo strano fenomeno.
Raddrizzandosi sulle gambe instabili, la giovane madre si guardò intorno ma nessuno degli affannati passanti sembrava aver notato la piccola scossa.
Un terremoto? A Parigi? Si domandò incredula la donna, poggiando il palmo della mano sul vetro, come a controllare di non essersi immaginata tutto.
In risposta, una seconda vibrazione, più forte, lo fece tremare violentemente, e questa volta non fu solo lei ad accorgersene.
Lo scalpiccio dei passanti si acquietò improvvisamente, in un inquietante fermo immagine.
Un basso rombo crebbe tra le pareti del centro commerciale.
Un sussulto repentino, un singhiozzo della terra stessa, fece perdere l'equilibro alla madre, che crollò in ginocchio.
«Maman», strillò la bambina, aggrappandosi più forte a lei e nascondendo il visino sulla sua spalla.
«Va tutto bene», tentò di tranquillizzarla la donna, ma la sua voce venne ingoiata dal fragore della vetrina che esplose in mille pezzi, prima che un roboante tuono sovrastasse ogni suono.
L'ennesima scossa di terremoto, questa volta violentissima, squassò la città di Parigi come mai prima nella sua storia.
Per le strade, l'asfalto si crepò in più punti, fino a spalancarsi in decine di bocche fameliche che, in pochi istanti, fagocitarono persone, auto, negozi e la stessa normalità.

La sirena squarciò il silenzio nella palestra del terzo livello, interrompendo gli esercizi dei pochi agenti presenti. Era da poco passata l'ora di pranzo e nel locale vi erano appena sei persone, tra cui Ivy, che stava tentando di persuadere Drew a darle qualche lezione di judo, dopo aver scoperto che il ragazzo era un discreto dilettante nella disciplina.
Dapprima, quasi spaventata dall'intensità del suono, la ragazza si guardò intorno spaesata, cercando sul volto di Drew una spiegazione.
Il giovane agente le fece cenno di aspettare, sollevando il dito indice.
«Tutti gli agenti di livello sette a rapporto alla plancia di comando», disse la voce del Direttore Fury, da uno dei numerosi altoparlanti sparsi per la base.
Dopo l'annuncio, solo due degli agenti presenti, Triplett e May, se Ivy non ricordava male, lasciarono di tutta fretta la palestra.
«Cosa significa?», chiese Ivy, tornando a fissare il giovane tecnico informatico al suo fianco.
«Guai», replicò Drew, spegnendo con un gesto il tapis roulant che aveva appena acceso.
«Sei stato convocato anche tu?».
Drew scosse la testa. «No, io sono appena un livello quattro. Ma è meglio che ti accompagni alla tua stanza, potrebbero convocarmi a breve», spiegò, facendo cenno alla ragazza di seguirlo.
«Ma cosa può essere successo?», insisté Ivy, mentre camminavano lungo il corridoio che portava alla maggioranza degli alloggi.
«Una cosa grossa, per richiedere tutti gli agenti di un livello così alto... Triplett, May e Barton sono schizzati come molle non appena hanno sentito l'annuncio».
Ivy annuì distrattamente, evitando di domandare dove diavolo fosse Barton, dato che non l'aveva visto nella palestra. Immaginava che fosse appollaiato da qualche parte sopra di loro, facendo onore al suo soprannome, evidentemente meritato.
All'interno dello Helicarrier c'era una tensione palpabile da giorni. Da Asgard non erano giunte notizie di nessun tipo e le ore si consumavano nell'attesa e nell'inattività, almeno fino a quel momento.
«Forse ci sono notizie da Asgard». Ipotizzò tra sé e sé la ragazza, mordendosi le labbra.
Drew la fissò. «Non credo. Se fosse stato così non avrebbe senso convocare tutti gli agenti di alto livello della base, ma solo alcuni, più i Vendicatori... no, qualsiasi cosa stia succedendo, riguarda il nostro piane...», il ragazzo si interruppe improvvisamente, bloccandosi nel bel mezzo del corridoio.
«Drew?», lo chiamò Ivy, indecisa se ridere o preoccuparsi per l'espressione del giovane.
Lui la ignorò. «Vieni con me», le intimò, afferrandole la mano.
«Drew!», squittì lei, sorpresa, ma in parte eccitata per quell'improvvisa agitazione.
Per quanto potesse fingere, iniziava ad annoiarsi immensamente, parcheggiata lì a far nulla.
Lungo i corridoi non incontrarono nessuno, e la cosa apparve strano ad Ivy, normalmente c'era sempre un sacco di gente in giro a quell'ora.
«Drew, dove mi stai portando?», chiese la ragazza, strattonando la mano per convincere il ragazzo a lasciarla ed affiancandolo nella corsa.
«Alla mensa», replicò lui, con il fiatone.
Ivy aggrottò la fronte. «Abbiamo appena mangiato, nel caso te lo fossi scordato».
Drew sbuffò. «Non per mangiare!», esclamò, rallentando il passo fino a fermarsi.
«Illuminami», lo incitò Ivy, sarcastica.
«Un'emergenza tale da richiamare solo gli agenti di alto livello deve per forza essere qualcosa di grosso... molto grosso», spiegò Drew.
«Ok, c'ero già arrivata, stiamo per morire tutti, ma ancora non mi è chiaro cosa diavolo ci andiamo a fare in mensa? Un ultimo pasto?», lo interruppe Ivy, sempre con tono polemico.
«La televisione!», cedette Drew tra il divertito e l'esasperato. «Qualsiasi cosa stia succedendo, certamente i giornali ne staranno parlando».
Ivy sembrò confusa solo per un attimo poi, senza proferire parola, di voltò e riprese a correre.
«Che fai?», la rimproverò bonariamente Drew, rincorrendola.
«Voglio un posto in prima fila!», scherzò la ragazza, accelerando il passo.

L'agente Whedon non era stato l'unico a fare l'ovvio collegamento tra la televisione e l'annuncio di Fury. La sala ristoro era gremita di persone, ma il silenzio, quando Ivy e Drew vi entrarono, era pesante come un macigno.
Facendosi largo a gomitate, la ragazza riuscì ad avere finalmente una visuale del grande schermo al plasma appeso alla parete sopra la caffetteria. Quando i suoi occhi riuscirono ad interpretare ciò che stava vedendo, le passò di colpo tutta la voglia di scherzare.
Sgranò gli occhi, mentre qualcosa tra lo stomaco e lo sterno si agitava, come una serpe capricciosa. Un fiotto di bile le salì nella bocca, mentre i suoi occhi osservavano i palazzi distrutti, accartocciati come fogli di carta, l'asfalto pieno di crepe e canyon profondi, simile alla terra inaridita di un deserto.
La figura familiare della Tour Eiffel pendeva obliqua, semi sommersa da ciò che restava della Senna.
Improvvisamente anche le pareti intorno a lei iniziarono a tremare, ed Ivy era di nuovo una bambina, sola nel fragore del mondo che le precipitava intorno.
Come allora, si coprì le orecchie ed iniziò ad urlare.

Un secondo colpo centrò la torretta, tranciandone di netto la cima e minandone la stabilità.
Per un secondo rimase in bilico, poi si riavvolse su sé stessa, precipitando lungo la piazza sottostante, sommergendo asgardiani ed Elfi Oscuri.
Il crollo diede tempo all'esercito asgardiano, completamente colto impreparato dall'attacco nel cuore della notte, di riorganizzassi, almeno in parte.
Thor, ricoperto di polvere e sangue non suo, richiamò a sé Amora e Sif, entrambe provate ma illese.
«Lady Amora, i nostri alleati e mio padre sono al sicuro?», chiese Thor.
«Il padre degli Dei è ben protetto. I sovrani di Alfheim, Muspelheim, Hel e Vanaheim ci hanno assicurato il loro appoggio, in questo drammatico frangente. Hanno declinato l'offerta di lasciare Asgard attraverso il Bifrost», asserì la Dea, brandendo la spada e finendo con un colpo preciso al petto un Elfo ferito ai suoi piedi.
Thor annuì. «Rintraccia il generale Tyr, capite da dove stanno arrivando e fermatene l'avanzata, con ogni mezzo».
Amora annuì, con una lieve riverenza. «Come ordinate».
Sif, con la guardia alta, si guardò velocemente intorno.
Il crollo aveva sterminato gran parte dei nemici, ma anche del contingente sotto il suo comando, i pochi ancora in vita sembravano feriti troppo gravemente per continuare a combattere.
Gli occhi le si riempirono di lacrime di frustrazione. L'attacco era iniziato nel bel mezzo del banchetto di addio alla Regina, proprio mentre la maggioranza dei soldati erano vulnerabili.
La maggioranza di loro era caduta senza avere nemmeno la possibilità di difendersi in modo onorevole.
Immediatamente la confusione non aveva permesso loro di comprendere da dove il nemico fosse giunto, poi era divenuto lampante che interi contingenti di Elfi Oscuri erano come comparsi dal nulla in molte parti della città e, lasciando una scia di panico e morte per le strade di Asgard, ora stavano puntando dritti al palazzo reale.
Quando l'allarme era scattato, era ormai tardi e troppe vite si erano perdute in modo irreparabile.
Ora la situazione stava rapidamente peggiorando con l'arrivo delle navi da guerra degli Elfi, potenti e numerose, simile ad uno stormo di corvi neri dagli occhi di fiamma.
«Sif», la chiamò la voce di Thor.
La donna si affrettò a nascondere le lacrime, fingendo di asciugarsi dell'immaginario sudore dalla fronte rigata di polvere scura. «Cosa ordini?», domandò, con voce meno limpida di quanto avrebbe voluto.
«Trova Khalida e portala via da qui, Heimdall ha ordine di lasciarla passare», iniziò il Principe, prendendo la compagna per una spalla, stringendo appena per incoraggiarla. «Tu andrai con lei, a Midgard devono sapere cosa sta accadendo».
«Anche qui c'è bisogno di me», protestò Sif, quasi incredula. «Questa è la mia città, la mia gente, Thor. Non posso abbandonarli».
«Non è ciò che ti chiedo. Dopo aver informato lo S.H.I.E.L.D. di ciò che sta succedendo, farai ritorno, portando i Vendicatori con te », replicò Thor.
Sif aprì la bocca per protestare, ma Thor la fermò, prendendola per le spalle e fissandola negli occhi. «Ho bisogno del tuo aiuto in questo. Sei l'unica di cui mi fidi».
Nuove lacrime salirono agli occhi di Sif, perché sapeva che Thor le stava mentendo.
Benché il Principe si fosse dimostrato, in più occasioni, ignaro dei sentimenti che la guerriera provava per lui, non aveva mai esitato ad utilizzare l'ascendente che aveva su di lei, spesso in modo piuttosto meschino, convincendola a fare cose che non riteneva né giuste né sagge.
Eppure la consapevolezza di essere usata non aveva affatto diminuito i suoi sentimenti, n'è quel potere di Thor su di lei.
Arrendendosi per l'ennesima volta a quel sentimento che disprezzava, la guerriera più forte di Asgard chinò il capo. «Come ordini», mormorò, portando lo scudo al petto.
Thor accennò un sorriso. «Grazie Sif», disse.
Ma lei non lo stava più ascoltando.

Nell'aria c'era odore di polvere, mischiato all'aspro sentore della carne bruciata.
Khalida chiuse gli occhi, scacciando le lacrime.
Non sapeva dire quanto tempo fosse passato dall'esplosione, potevano essere pochi minuti, ma anche molte ore, per quanto riusciva ad intuire.
Sollevandosi a sedere con cautela, Khalida osservò le proprie braccia e il resto del corpo, in cerca di ferite. L'abito prezioso che indossava era ricoperto di polvere e schegge di metallo, lacero e ormai irriconoscibile, ma fortunatamente era illesa.
Esplosioni e sibili riempivano il silenzio, illuminando l'oscurità di lampi cremisi. Benché dallo squarcio aperto nella grande porta davanti a lei non riuscisse a vedere nient'altro che fumo nero e denso, era chiaro che Thanos aveva fatto la sua mossa.
Khalida strinse le labbra, serrando la mano sull'asta di Match, che ancora stringeva in mano; in quel momento l'innaturale energia dell'arma le sarebbe stata utile, ed eventuali preoccupazioni sulla sua salute non avevano senso.
Usando l'arma come un bastone, si tirò a sedere sui talloni, guardandosi intorno con circospezione.
Il fumo le oscurava la visuale ma, per quanto riusciva a vedere, era sola e la cosa la confortò. Gemendo per una fitta al braccio destro, Khalida strappò con decisione gran parte della lunga gonna che l'avrebbe solo impicciata durante la fuga. Sperava di essere in grado di passare inosservata e riuscire ad arrivare al Bifrost senza dover ingaggiare battaglia.
Non era un codarda, ma non aveva intenzione di affrontare nessun Elfo.
Quella non era la sua guerra.
Il fragore della battaglia si intensificò, e Khalida comprese che non era tempo di indugiare oltre.
Quando fu in piedi, si ricordò di Loki.
Fu in parte sorpresa di riconoscerne la familiare figura acquattata nei pressi della porta, in una posizione di favore che gli permetteva di scrutare l'esterno senza però essere visto da eventuali nemici.
Lui le dedicò solo un breve sguardo, e le fece cenno di non fare rumore.
Khalida annuì, lasciando morire la flebile luce di Match, per evitare di svelare la sua posizione.
Raggiunse Loki appena in tempo per vedere spuntare in fondo al lungo corridoio un manipolo di circa una decina di Elfi.
Erano tutti a volto coperto, con le lunghe orecchie dalla pelle bruciata che spuntavano ai lati delle maschere inespressive. Alcuni portavano lunghe spade ricurve al fianco e cinture cui erano appese piccole sfere nere, la maggioranza imbracciava armi che le ricordavano i fucili alimentati dal Tesseract. In mezzo al drappello di soldati, svettava un Elfo dalla statura nettamente superiore rispetto ai suoi simili, che erano piuttosto bassi e tarchiati. Al contrario dei compagni, indossava un'armatura nera come cenere, e la pelle stessa delle sue braccia sembrava ustionata e spaccata. Dietro il grande elmo, un luccichio rosso vivo faceva intuire la presenza degli occhi, in quell'oceano di oscurità. Quando gli elfi passarono proprio all'esterno della sala delle armi, Khalida istintivamente trattenne il fiato, anche se sapeva che Loki avrebbe potuto facilmente nasconderli alla vista dei soldati.
Loki attese qualche minuto, prima di azzardarsi a muoversi.
Khalida valutò per un'istante se fosse il caso di seguirlo o meno, poi l'istinto ebbe la meglio. Forse Loki non l'avrebbe protetta, ma con lui accanto aveva più possibilità di non venire uccisa.
L'esplosione aveva aperto un foro nella possente porta di metallo, largo poco più di un metro e mezzo, dai bordi frastagliati e taglienti.
Quando Khalida provò a fare leva con le mani per scavalcarlo e oltrepassare l'uscio, riuscì solo a ferirsi le mani.
Trattenendo un imprecazione tra le labbra, la donna si preparò ad un secondo tentativo, ma Loki non gliene lasciò il tempo. Senza proferire parola, si sporse dall'apertura, le circondò i fianchi con le braccia e dopo pochi istanti la depose nuovamente a terra.
«Grazie», mormorò Khalida, sorpresa dal gesto.
Si guardò intorno, e il fiato le fuggì dai polmoni.
Aveva vissuto gran parte della sua vita in zone di guerra, devastate e sventrate da conflitti feroci e logoranti, eppure niente l'aveva mai toccata tanto come la vista della splendente città di Asgard accesa dai fuochi della distruzione. Caccia affilati come lame, virgole nere nel fumo, solcavano il cielo, scaricando sugli edifici raffiche di proiettili luminosi, che sembravano possedere una potenza inaudita. Ognuno di essi era in grado di fare a pezzi intere torrette.
La donna intuì che doveva essere stato uno di quei colpi a perforare la porta e devastare il bel balcone dove fino a poco prima ardeva il braciere. Solo allora, notò il sangue sulle pietre, e ciò che restava dei due soldati di guardia alla sala delle armi.
Cercando di distogliere lo sguardo, incrociò gli occhi di Loki, fissi e attoniti nell'osservare la città, che tanto aveva disprezzato quando bramato, ora in fiamme, prossima al collasso.
Un luccichio di lacrime fece capolino nei suoi occhi, ma svanì immediatamente dopo.
Nervosamente, si guardò intorno. «Siamo troppo esposti, dobbiamo spostarci», constatò.
Khalida annuì.
Nonostante ciò che aveva pensato poco prima, qualcosa dentro di lei bramava la battaglia, anelando a vendicare la bellezza violata di un luogo eterno come Asgard che mai, in millenni di storia, aveva conosciuto la guerra sul proprio suolo.
Si accorse, dopo un breve secondo di stupore, che il desiderio non proveniva da lei, ma dall'entità dentro Match.
La cosa la spaventò ed eccitò in egual misura, rendendola consapevole che Match la rendeva effettivamente qualcosa di più, rispetto ad un normale essere umano.
Un caccia saettò poco lontano da loro, scaricando una nuova raffica di colpi sugli edifici sottostanti. Una delle torrette più alte del palazzo reale tremò, poi collassò su sé stessa, facendo vibrare il pavimento sotto i piedi di Khalida.
Istintivamente strinse i denti e la presa su Match, che si riaccese sfrigolando.
L'energia pulsava e premeva per uscire e la donna non era più sicura di avere un motivo per trattenerla.
Quella scintilla di incertezza venne spazzata via da un pesante rumore di passi, metallo contro il marmo lucido della terrazza.
Un drappello di Elfi, probabilmente lo stesso che era passato poco prima, comparve alle spalle di Khalida e Loki e, dopo una rapida esitazione, puntò le armi contro di loro, caricandoli.
Loki rilassò le braccia lungo il corpo.
In ognuna delle mani teneva un pugnale dalla lama sottile, lunga circa venti centimetri. Dello Scettro non c'era traccia e la donna immaginò che, dato che lui era l'obiettivo di quell'invasione, non volesse farsi riconoscere tanto facilmente.
«Se fossi intelligente, ora scapperesti», mormorò Loki, osservandola mettersi in posizione di difesa, con i piedi piantati a terra, le gambe divaricate, Match stretto in entrambe le mani.
Un sorriso feroce salì alle labbra di Khalida. «Sono umana, non intelligente», replicò, formando con la mente una sfera d'energia grande quanto un pallone da calcio.
Stava diventando sempre più facile, man mano che smetteva di resistere alla forza di Match. Come se l'entità fosse un muscolo, che si rassodava con il costante esercizio.
Lo trovava spaventoso ed affascinante al contempo.
Espirando con forza, Khalida scagliò il proiettile d'energia e Loki si lanciò contemporaneamente all'attacco, moltiplicando la sua immagine per confondere gli avversari.
Propagandosi in fulmini azzurri sui primi due Elfi del gruppo, la sfera s'infranse, sfrigolando e scaraventando le sue vittime indietro di diversi metri, intralciando l'avanzata degli altri.
Loki colse l'occasione per finire rapidamente gli altri sei Elfi, tagliandogli di netto la gola, alle spalle.
Khalida si aggrappò forte a Match, mentre l'arma reclamava altra energia da lei.
Un fiotto caldo di sangue le uscì dal naso e lei non si prese il disturbo di asciugarlo.
Nonostante l'utilità dell'arma fosse indubbia, se voleva farsi strada con la forza fino al Bifrost doveva trovare un modo alternativo di difendersi, altrimenti sarebbe morta nel tentativo.
Sforzandosi di apparire stabile sulle gambe, Khalida avanzò di qualche passo, esaminando i cadaveri.
I fulmini di Match avevano disegnato una ragnatela nera sul metallo delle armature.
Con la punta del piede rigirò il cadavere più vicino. Del sottile fumo si levava dal corpo.
Un forte odore di carne bruciata le salì alle narici, facendole arricciare il naso.
Il metallo del fucile che l'alieno ancora imbracciava, nell'ultimo spasmo di vita, rifletté la luce di un'esplosione lontana.
Khalida si cucciò a terra, afferrando l'arma con entrambe le mani, strappandola senza sforzo alla presa inerte dell'Elfo.
La soppesò, trovandola più leggera di quanto si aspettasse: riusciva a sostenerla tranquillamente con entrambe le mani. Il suo funzionamento sembrava elementare; accanto all'impugnatura c'era una piccola leva che poteva raggiungere facilmente con la punta delle dita.
Incuriosita, Khalida sollevò le braccia e mirò al fondo del corridoio, flettendo appena l'indice.
Un proiettile di luce rossa si staccò dalla punta dell'arma, producendo un lieve sibilo, e andò a colpire una delle colonne.
Khalida si lasciò scappare un sorriso.
Il rinculo era praticamente nullo e la potenza dei colpi solo poco inferiore alle armi caricate con l'energia del Tesseract. La sua mira era ancora pessima, ma quella non dipendeva certo dall'arma.
Con un ultimo sguardo analizzò le armi dell'Elfo e decise di prendere anche la cintura con le sfere nere, ognuna di circa sette centimetri di diametro.
Ne sfiorò una con cautela, seguendone il profilo fino ad incontrare un lievissimo rilievo, una sorta di pulsante. Stando attenta a non premerlo, agganciò la cintura alla vita, alzandosi in piedi.
Infilò Match dentro la cintura, facendo modo che il metallo tiepido dell'arma le sfiorasse la schiena, in gran parte scoperta dall'abito.
Ora che aveva le mani libere, ed era armata, cominciava a vedere le cose più chiaramente.
Non era mai stata in una guerra vera, ma forse in quel momento tutto l'addestramento cui era stata sottoposta le sarebbe servito.
Non aveva un'idea precisa di in che punto del palazzo fosse ma, oltre il fumo, ogni tanto baluginava l'oro della cupola del Bifrost. Doveva trovare il modo di raggiungere la piazza sotto di lei, e poi correre in quella direzione, sperando di non venire ammazzata nel frattempo.
Una passeggiata.
Non fece in tempo a pensarlo che dal fondo del corridoio sbucò un nuovo gruppo di Elfi.
Erano in otto, cinque di essi erano alti almeno il doppio di lei, neri come carbone.
Un brivido di terrore ed eccitazione percorse la schiena di Khalida. «Cosa sono quelli?», sibilò.
Loki la osservò di lato. «Finalmente una reazione intelligente», ridacchiò.
«Divertente», masticò Khalida, voltandosi per osservarlo in volto, in attesa di una risposta.
«Li chiamano Dannati. Sono i loro migliori guerrieri, vengono addestrati al combattimento sin dall'infanzia», spiegò Loki, stringendo un poco le mani sull'impugnatura dei pugnali.
Muggendo qualcosa in una lingua aspra, che aveva il suono del vetro infranto, gli Elfi avanzarono con passo pesante.
Il pavimento vibrò con violenza.
Solo allora Khalida si accorse, con una fitta di panico, che altrettanti Elfi erano alle loro spalle.
Una dannata morsa di corpi ardenti e puzzolenti di cenere.
Nervosamente, spostò le dita fino al grilletto del fucile. «Sarebbe un buon momento per teletrasportarsi», dichiarò, prendendo di mira l'Elfo più vicino.
Una luce brillò negli occhi chiari di Loki. «E perdere tutto il divertimento?», rise, prima di lanciarsi all'attacco a testa bassa.
«Già, stupida io a chiederlo», brontolò Khalida, piegando le dita e scagliando il primo colpo.
Colpì un Elfo al ginocchio, e subito dopo al petto, gettandolo a terra.
Il Dannato subito dietro di lui lo calpestò senza curarsi se il compagno fosse ancora vivo.
Khalida deglutì a vuoto, indecisa su come comportarsi.
Loki era riuscito già ad abbattere tutti gli Elfi Oscuri, trafiggendoli dritto nei bulbi oculari con dei pugnali da lancio sottili poco più di uno spillo.
Ora erano circondati da sette Dannati, che li guardavano con i grossi crani inclinati da un lato. Avevano un aspetto spaventoso, con quegli occhi rossi, brillanti come braci.
Benché Loki fosse sempre apparso imponente agli occhi di Khalida, accanto a quelle masse di metallo e pelle bruciata sembrava esile come un giunco.
Affrontarli appariva come una missione suicida.
Loki indietreggiò fino al suo fianco, mentre Khalida sparava all'impazzata intorno a loro, ma i proiettili non facevano altro che provocare piogge di scintille, senza fare danni.
Un sudore gelido copriva la fronte della donna, e l'aria iniziava a mancarle.
I Dannati, armati di lunghe spade che, con un solo colpo, avrebbero potuto dividerla in due, odoravano di morte e fuliggine.
«Loki, lo Scettro», gemé, a corto di idee.
Non aveva abbastanza energie per utilizzare Match, ma lo Scettro avrebbe potuto salvarli facilmente.
«Non ancora», replicò lui, concentrato sull'avanzata dei nemici.
Khalida tentò di imitarlo.
I passi dei Dannati erano pesanti, lenti, e qualcosa nei loro movimenti dava l'impressione che fossero forti, certo, ma non particolarmente intelligenti.
La mano di Loki le sfiorò il fianco, posandosi poi su una delle sfere.
Ormai i Dannati erano a meno di un metro da loro.
Quello di fronte a Khalida sollevò la spada, pronto a calarla sulla sua testa.
Anche se provò l'istinto di chiudere gli occhi, si costrinse e tenerli aperti.
«Ora», sibilò Loki, lanciando avanti una delle sfere, su cui brillava una lucina rossa.
I Dannati la osservarono per un momento, con aria stolida, e Khalida immaginò che la sua espressione non forse molto diversa.
Loki le strinse le braccia intorno alle spalle, schiacciandola contro il suo corpo.
In un lampo freddo scomparirono apparendo subito dopo, cinque metri più in là.
Gli Elfi riuscirono a malapena ad emettere un grugnito di sorpresa, poi la piccola sfera detonò, con un'onda d'urto che lasciò un vuoto nello stomaco di Khalida.
Al centro del drappello di Elfi l'aria tremò, come arricciandosi su sé stessa.
Una folata di vento arrivò dalle spalle di Khalida, sollevandole i capelli e precipitandosi verso i Dannati.
Una voragine invisibile si aprì e risucchiò, pezzo per pezzo, tutti i nemici.
Durò così poco che Khalida non riuscì nemmeno a sbattere le palpebre.
Realizzò cosa era accaduto solo quando il corpo di un Dannato, da cui mancava gran parte del busto e la testa, precipitò sul pavimento, fumando e schizzando sangue denso e nero.
La cintura intorno alla sua vita divenne improvvisamente pesante come piombo.
Quelle piccole sfere erano in grado di generare un buco nero in miniatura.
Se ne avesse attivata una per errore, lei sarebbe completamente scomparsa.
Il cielo sopra di loro vorticò, solcato da fulmini che si raccolsero in uno solo, in un punto non troppo distante da loro.
Khalida ne seguì il percorso. «Dovresti raggiungere Thor», disse, cercando gli occhi di Loki.
Allontanandosi da lei, Loki fece una smorfia, come se avesse ingoiato improvvisamente qualcosa di acido. «Cosa ti fa credere di sapere cosa dovrei fare?», replicò, riducendo gli occhi a due sottili fessure.
Khalida alzò gli occhi al cielo. «Loki, so che non ti fidi di me, e fai bene. Al tuo posto nemmeno io lo farei», iniziò, respirando a fondo. «Ma non sono tua nemica, non lo sono mai stata».
Loki non aveva alcuna intenzione di crederle, eppure dentro di lui percepì la sincerità di quelle parole, non tanto nel tono della donna, quanto nei fatti.
La cosa, tuttavia, non aveva alcuna importanza.
Anche se Khalida non era mai stata direttamente sua nemica, i sentimenti che lei era in grado di risvegliare lo erano eccome e, nonostante ci avesse provato, non era in grado di separarli dall'esistenza stessa di lei.
Non era riuscito a lasciarla semplicemente morire, quando l'opportunità si era presentata per l'ennesima volta, e quella debolezza, che non riusciva ad estirpare, era un veleno cui temeva di assuefarsi, tanto da non accorgersi del momento in cui l'avrebbe ucciso.
Sarebbe successo, prima o poi, a meno che lui non si decidesse a fare per primo la mossa che avrebbe spento per sempre quella luce irriverente dallo sguardo della donna.
Ora, l'inaspettata sincerità nell'affermazione di lei era pericolosa, tagliente e insidiosa.
Nonostante avesse spesso messo in dubbio i suoi motivi, e la sua intelligenza, Loki aveva imparato a non sottovalutare mai le capacità di Khalida. Era una brava oratrice ed una fine stratega e, anche se faticava ad accettarlo, lo conosceva molto meglio di quanto volesse.
In quel frangete, Loki era disposto ad ammettere che l'umana aveva ragione.
Khalida aveva sempre giocato per sé, ma non aveva mai voluto intenzionalmente fargli del male, non l'aveva mai odiato, né sottostimato.
L'unica persona di cui poteva dire lo stesso era ormai solo polvere di stelle nell'universo.
Un rumore di passi, troppo lieve per appartenere ad un Elfo Oscuro, li sorprese alle spalle.
Khalida e Loki si voltarono, lei con il fucile imbracciato, le dita flesse sul grilletto, lui con i pugnali insanguinati nelle mani e un'illusione pronta sulla lingua.
Sif avanzò con passo fiero, scavalcando i cadaveri come se nemmeno li vedesse.
Anche se l'asgardiana non sembrava ferita, qualcosa nelle sue labbra strette e nella piega accentuata delle sopracciglia lasciava intendere una sofferenza più profonda di quella fisica.
I suoi occhi si posarono per un'istante su Loki, e una lieve scintilla intercorse tra i loro sguardi.
Fu breve, ma Khalida riuscì comunque ad intuirla, ed un sospetto prese forma nella sua mente.
«Khalida», la chiamò la Dea, guardandola negli occhi. «Vieni con me. Thor mi ha ordinato di scortarti al Bifrost».
Il sollievo nel cuore della donna, venne immediatamente fagocitato dal fastidio.
Ricordava ancora bene il suo scontro con Sif e, benché sapesse che lei non avrebbe mai trasgredito un ordine diretto di Thor, temeva il risentimento che correva tra loro.
Riconosceva che era fomentato solo da gelosia e invidia, perché erano sentimenti che le risultavano familiari; aveva impiegato molti anni della sua vita ad estirpare entrambi dalla propria natura; eppure, non conoscendo i veri motivi dietro quei sentimenti, si sentiva incerta su come rapportarsi con la guerriera.
Eppure, che le piacesse o meno, Sif rappresentava la miglior occasione per riuscire a lasciare Asgard sulle sue gambe.
Fece un passo avanti, annuendo.
Inconsciamente, si voltò verso Loki, e per un attimo sentì il fragore della guerra intorno a loro svanire, fagocitato da un'altra guerra, quella che entrambi stavano combattendo dentro di loro.
Loki strinse le labbra. «Ci rivedremo», mormorò, un sibilo che aveva più il sapore di una minaccia che di una promessa.
Khalida non si aspettava altro da lui.
«Lo spero», replicò lei, prima di voltargli le spalle ed affiancare Sif.
Loki le osservò a lungo la schiena, prima di rilassare le spalle.
Svanì senza rumore, in un bagliore di smeraldo.

Sif camminava svelta, rasente le pareti.
Dietro di loro avevano già seminato una scia considerevole di corpi, e Khalida si sentiva più sicura ora che conosceva l'esatta funzione delle piccole sfere che portava alla cintura.
Aveva perso l'orientamento dopo una decina di svolte senza senso, nei corridoi a pezzi del palazzo, ma la sua richiesta di spiegazioni era stata ignorata.
Sif sollevò il pugno chiuso di scatto, intimandole di fermarsi.
Khalida ubbidì, guardandosi intorno.
Dovevano essere vicini ad una finestra, o a quel che ne rimaneva. Brandelli di tende sporche di sangue e polvere svolazzavano nell'aria,, sospinte dall'aria fredda della notte.
Soddisfatta dal silenzio, Sif le fece cenno di avanzare, svoltando l'angolo.
Le due donne si ritrovarono su un balcone, piuttosto intatto.
Accanto alla balaustra una piccola nave, che a Khalida ricordava vagamente una gondola veneziana, solo più corta, fluttuava a mezz'aria.
Sif si lasciò sfuggire un breve sorriso e con un agile salto scavalcò il parapetto, gettandosi nella piccola imbarcazione.
Un basso ronzio annunciò l'accensione dei motori e grandi ventagli di lamine metalliche si aprirono ai due lati della scialuppa, simili ad ali di un uccello meccanico.
Khalida valutò per un'istante l'altezza. Esitò solo un attimo, mentre un vuoto familiare le aggrediva lo stomaco. Scavalcò la balaustra del balcone guardando fisso davanti a sé, ringraziando il suo scarso appetito. Almeno si sarebbe risparmiata l'umiliazione di dare di stomaco davanti a Sif.
Il terreno sotto di loro non era visibile, coperto dal fumo dei svariati incendi che ardevano la città eterna.
Irritata dalla sua incertezza, Sif le tese la mano e Khalida si affrettò a stringerla, lasciandosi trascinare al sicuro sulla navicella.
L'asgardiana le dedicò uno sguardo duro, probabilmente sprezzante, afferrando con entrambe le mani il timone.
La piccola nave si impennò con la prua verso il basso, e Khalida afferrò i cuscini della seduta con forza, conficcando le unghie nella stoffa.
Sif accennò un mezzo sorriso. «Cerca di non gridare», la schernì, lanciando la navicella a tutta velocità nella coltre di fumo.
Dopo alcuni interminabili secondi di caduta libera, la navetta si riposizionò in assetto orizzontale e Khalida ricominciò a respirare.
Aveva sempre detestato volare.
Sif guidò con precisione, rimanendo immersa nel fumo, nascosta ai numerosi caccia nemici che solcavano il cielo. Ogni tanto gettava lo sguardo dietro di loro, per assicurarsi che nessuno li stesse inseguendo.
«Non devi fidarti di lui», disse improvvisamente, guardando Khalida negli occhi.
La donna aggrottò le sopracciglia. «Cosa ha fatto di preciso Loki, per renderti così astiosa nei suoi confronti?».
Sif strinse i begli occhi, riducendoli a piccole fessure. «È un bugiardo. Ha tradito Thor e tutto il popolo asgardiano», la guerriera fece un gesto ampio con il braccio. «La morte della Regina, e tutto questo, è colpa sua, e della sua incapacità di comprendere il suo posto».
Khalida intravide qualcosa, un rancore molto diverso dalla fiducia tradita, nella voce incrinata di Sif. «Non fingere che la cosa riguardi Asgard. Tu lo odi da molto prima che Thor venisse bandito sulla Terra».
Sif strinse le labbra, colpita.
Quella donna era acuta, non lo negava, ma in quel caso si sbagliava di grosso.
Non aveva mai odiato Loki, non ci era mai riuscita, per quanto ci avesse provato.
Anche in quei frangenti drammatici, dentro di lei esistevano ricordi precisi di chi era stato, solo per brevi attimi, il Dio dell'Inganno al suo fianco, quando erano ancora solo due ragazzi adombrati dalla sfavillante luce di Thor.
Erano giovani e diversi dal mondo che li circondava, lei unica fanciulla in un esercito di uomini, lui unico ragazzo non fatto per la guerra in una nazione di guerrieri.
Entrambi avevano cercato quella diversità comune, usandola per sfamare la propria fame di affetto e riconoscimento. Per un breve periodo Sif aveva creduto di essere felice, anche se qualcosa sembrava sempre mancarle.
Poi era arrivato Haldorr e la guerriera aveva imparato un affetto diverso, un amore diverso.
Loki le aveva riconosciuto il suo essere un vero soldato, ma Haldorr l'aveva vista nella sua interezza, una donna guerriera che cercava solo una carezza sincera, non un modo per convincersi di essere come tutti gli altri, una semplice affermazione del proprio potere.
L'amore di Loki sapeva essere implacabile tanto quanto il suo rancore, mentre Haldorr era come balsamo sulle ferite che il mondo aveva già lasciato sul giovane cuore di Sif.
Il confronto aveva reso la sua scelta fin troppo ovvia.
In quell'occasione Sif aveva imparato a temere Loki e il suo modo sottile di odiare e vendicarsi. Non ne aveva mai avuto le prove, ma era certa che ci fosse stato il suo zampino nel modo in cui Haldorr era morto, anche se la diretta responsabile era stata Lorelei e la sua ricerca disperata del potere.
Sif premette leggermente sul timone, correggendo la rotta.
Forse c'era qualcosa di sbagliato in lei.
Non aveva mai amato Loki, questo l'avevano sempre saputo entrambi. Tuttavia, ripensando al giovane Falco Rosso, Sif riconosceva che aveva amato più il modo in cui lui l'amava, che Haldorr stesso.
E questo la rendeva un mostro alla pari di Loki, indegna di qualsiasi sentimento d'amore.
Forse per questo si ostinava a provare un amore che non sarebbe mai stato ricambiato.
Sif concentrò lo sguardo davanti a sé, cercando di fendere la nebbia e il fumo.
Sulla sua destra, un brillio annunciò che il Bifrost era vicino.
«È incapace di essere leale», si lasciò sfuggire, non sapendo più se stava parlando di Loki o di sé stessa. «Non è nella sua natura».
Khalida non replicò, qualcosa dietro di loro si era mosso.
Un bagliore rosso, appena accennato, rivelò il profilo affilato di una delle navicelle elfiche.
«Sif!», strillò la donna, allarmata.
L'asgardiana si voltò appena in tempo per veder partire un colpo, lo evitò con una manovra fluida, sollevando la prua verso il cielo.
«Tieniti forte», sibilò a denti stretti, emergendo dalla coltre di fumo.
La navetta era in posizione praticamente verticale e, contro il sole nascente, si stagliava netta, nei cieli eterni di Asgard.
Khalida cercò il Bifrost roteando gli occhi e trattenendo la nausea.
Quando lo trovò, un gemito le salì alle labbra.
Il Ponte dell'Arcobaleno era ingombro di Elfi.
Heimdall, davanti all'ingresso della camera del Bifrost, spiccava nella sua armatura dorata. Qualsiasi elfo che si avvicinasse troppo veniva decapitato o mutilato ma il Guardiano era ormai accerchiato da ogni lato e non avrebbe potuto resistere ancora per molto.
Sif valutò la traiettoria migliore, poi afferrò uno dei suoi pugnali e lo conficcò in modo da bloccare il timone. La navetta accelerò bruscamente, schiacciando Khalida e Sif contro una delle sponde.
«Al mio tre, salta», ordinò la Dea a Khalida, che annuì, stringendo di più il fucile.
Il caccia dietro di loro scaricò una raffica di colpi che sibilarono sulla loro testa.
Uno colpì la poppa e la navicella sbandò pericolosamente, inclinandosi su un fianco, per poi fare un brusco testa coda.
«Tre!», urlò Sif, afferrando Khalida per un braccio.
Entrambe le donne caddero nel vuoto, il sibilo del vento nelle orecchie.
La navetta, definitivamente abbattuta da un secondo colpo, precipitò davanti a loro, spazzando il ponte in una nuvola di scintille. Decine di Elfi vennero falciati e altrettanti, nel tentativo di evitarla, precipitarono nel vuoto, inghiottiti dalla violenta mareggiata che infuriava sotto il Ponte.
Khalida rotolò su sé stessa, nel tentativo di frenare la sua scivolata. Il pavimento sotto di lei era liscio come vetro e non forniva alcun appiglio.
Nel panico, annaspò con le mani, cercando l'impugnatura di Match, riuscì a sfiorarla e poi a stringerla.
In un disperato impeto di rabbia, ne conficcò la punta nel pavimento.
Con i piedi già oltre il margine del Ponte, Khalida emise un gemito di paura e sollievo.
Le braccia le tremavano e faceva fatica a respirare.
Probabilmente nell'impatto si era incrinata qualche costola.
Facendo leva su Match si mise a sedere, esausta.
Sif, pochi metri più in là, era già in piedi, la spada a doppia lama sguainata.
Gli Elfi superstiti si stavano riorganizzando, erano poco più di una dozzina, comunque troppi per le forze di Khalida.
Tastandosi la vita, la donna incontrò l'ultima sfera appesa alla cintura e tirò le labbra in una specie di sorriso, stringendola nel palmo.
Guardò Sif, che sembrava aver intuito il suo piano; la guerriera si accucciò dietro il suo scudo e le fece un cenno di assenso.
Alzarsi in piedi costò a Khalida più dolore di quanto credeva, ma ci riuscì.
Gli Elfi la fissarono e, anche se i loro volti erano nascosti dalle maschere, a Khalida parve che sorridessero di lei, così piccola, in confronto a loro.
Premette il pulsante sulla granata.
«Crepate, bastardi», urlò, lanciandola davanti a sé, proprio nel mezzo dei nemici.
Non rimase ad osservare l'effetto dell'arma, sollevò Match davanti e sé e chiuse gli occhi, acquattandosi a terra, implorando di essere abbastanza distante dal fulcro del buco nero.
Ascoltò i battiti del proprio cuore, ad occhi chiusi, contando i secondi.
«Ben fatto, umana», la ridestò la voce profonda di Heimdall.
Sbattendo le palpebre, Khalida mise a fuoco la figura imponente del Guardiano, l'oro dell'armatura brillava debolmente, insudiciato dal sangue. L'asgardiano aveva un accenno di sorriso sulle labbra carnose e per un attimo Khalida si sentì al sicuro, come se tutto fosse finito.
L'aveva già notato, ma solo in quel momento gli diede peso.
Quando Heimdall la chiamava umana, non lo faceva con la sfumatura dispregiativa che molti ad Asgard avevano utilizzato.
L'asgardiano le porse la mano e lei l'accettò volentieri.
Strinse i denti quando le costole protestarono e gli occhi le si riempirono di lacrime, ma nel compenso era felice di poter ancora sentire dolore.
Sif rinfoderò la spada con un gesto che denotava impazienza. «Sbrighiamoci, ne arriveranno altri», disse, incamminandosi verso il Bifrost.
Heimdall era riuscito a non far penetrare nessuno degli Elfi all'interno della grande cupola dorata e, al suo interno, quasi ci si poteva dimenticare della devastazione e della guerra al di fuori.
«Dove desideri andare?», chiese Heimdall a Khalida.
A casa, pensò immediatamente lei, trattenendo un sorriso. «Portami da lei».
«Dobbiamo raggiungere i Vendicatori. Thor mi ha affidato il compito di informarli di quanto sta avvenendo e di chiedere il loro aiuto», la contraddisse Sif, non trattenendo un'occhiata di sfida nei confronti di Khalida.
Gli occhi di Heimdall ebbero un lieve guizzo divertito. «Fortunatamente, i vostri obiettivi coincido», commentò, salendo i gradini che portavano al piedistallo al centro della camera.
Nell'istante in cui la spada del Guardiano scivolò nella sua sede, un colpo improvviso fece tremare il pavimento sotto i loro piedi.
Heimdall spalancò gli occhi. «Giù!», urlò.
La parete alla loro destra esplose in una nube di schegge affilate, di metallo e pietra.
Il muso di una delle navi nere degli Elfi Oscuri spuntò, invadendo la grande stanza con la sua mole.
L'occhio rosso al centro pulsava, quasi ammiccando in modo ironico.
Khalida strisciò sul pavimento, cercando Match ma non trovandolo.
L'impatto doveva averglielo strappato di dosso.
Un singhiozzo le strozzò il respiro.
Heimdall si alzò in piedi, anche lui disarmato, la sua grande spada spezzata, per metà conficcata nel piedistallo del Bifrost.
Una fessura si aprì nella nave di fronte a loro, sputando fuori due Dannati e un Elfo Oscuro imponente, a volto scoperto.
Era la prima volta che Khalida riusciva a vederne uno in viso e si accorse di quanto i suoi lineamenti fossero simili a quelli degli asgardiani, se escludeva la pelle nera scarnificata e coperta di segni simili a tatuaggi.
Gli occhi bianchi dell'Elfo si posarono su di lei e un ghigno di trionfo affiorò sulle sue labbra.
Abbaiando un ordine ai due Dannati, la creatura si mosse verso di lei.
Khalida tastò il terreno accanto a lei, fino a stringere le dita su un grosso frammento di metallo affilato come una lama. Non appena quell'essere le si fosse avvicinato, glielo avrebbe piantato nel collo, o almeno ci avrebbe provato.
Era in svantaggio, ma non aveva intenzione di arrendersi facilmente.
L'Elfo era a soli tre passi da lei, quando Sif, abbandonando lo scontro con uno dei Dannati, le si parò davanti, la spada a doppia lama pronta a colpire il suo avversario.
L'Elfo rise, in modo sguaiato.
Era apparentemente disarmato, ma questo non sembrava affatto preoccuparlo.
Sif menò un fendente, ma la creatura bloccò il colpo con la mano, stringendo la punta della spada tra le dita. Sangue scuro colò sulla lama, nero come la notte. L'Elfo, insensibile al dolore, non ci badò. Con la mano destra afferrò Sif per il collo, sollevandola a diversi centimetri da terra, i piedi della Dea scalciarono a vuoto e Khalida trattenne il fiato.
«Io sono Malekith», sibilò la voce di vetro dell'Elfo, aumentando la presa sulla spada di Sif.
Incapace di contrastare la sua forza, le dita della Dea persero presa sull'elsa.
La voce di Sif si levò alta, in un grido di dolore e rabbia, quando la sua stessa spada le trafisse la spalla, trapassando l'armatura e le ossa.
Heimdall gridò, ma i due Dannati lo incalzavano troppo da vicino per permettergli di intervenire.
Sorridendo, Malekith lanciò Sif sul pavimento e guardò Khalida negli occhi.
Il bianco ghiaccio delle sue pupille si illuminò e un terrore ancestrale prese la donna alla gola, ma nelle sue corde vocali non c'era più voce per urlare.
Paralizzata, le sue mani persero forza e lasciò andare il pugnale improvvisato che stringeva.
Quando Malekith la colpì alla tempia, a mano aperta, l'oblio fu un sollievo.

Aveva la netta sensazione di aver dormito decine di ore.
Nei suoi sogni antiche leggende si erano sovrapposte a ricordi recenti e remoti.
Ad Ivy sembrava di essere invecchiata e ringiovanita un'infinità di volte.
Sbattendo le palpebre, gli occhi feriti dalle forti luci al neon sopra di lei, la ragazza prese lentamente coscienza di sé stessa, delle lenzuola sotto le mani e della presenza di un'altra persona.
Osservò Drew per un attimo, notando quanto sembrasse giovane.
Era seduto con la testa tra le mani, i capelli rossicci spettinati.
Scalzo, con la tuta sbottonata fino all'ombelico, dava l'idea di una persona esausta.
«Hey», mormorò Ivy, sollevandosi sui gomiti. «Che ore sono?», domandò.
L'agente Whedon sollevò di scatto lo sguardo dal pavimento, un sorriso largo e sincero fiorì sul suo volto. «Neanche le nove», rispose, a voce bassa.
Per un secondo sembrò incerto su come comportarsi, poi mandò all'aria i dubbi e si sedette sul letto accanto ad Ivy. «Come ti senti?».
«Mi fa male la gola», ammise lei. «Devo aver urlato parecchio».
Drew annuì appena. «Hanno dovuto darti un calmante per tranquillizzarti».
Ivy si sentì pizzicare gli occhi. «Mi dispiace».
«Non è stata colpa tua... quella scena avrebbe spaventato chiunque», disse Drew, massaggiandosi la nuca. «Soprattutto te».
Ivy stava per chiedergli come facesse a conoscere la sua storia, poi ricordò che si trovava nello S.H.I.E.L.D., dove probabilmente esistevano fascicoli anche sulle persone non ancora nate. Alla faccia del “lei non è mai stata sotto sorveglianza” di Coulson.
La ragazza si mise a sedere, pettinandosi i capelli con le dita, riuscendo solo a scarmigliarli ancora di più. «Cosa sta succedendo?», chiese.
Drew sospirò. «Non è una cosa che ti deve preoccupare», disse, poco convinto.
«Stai scherzando, vero?», sbottò Ivy. «Ti ricordo che ci vivo, sulla Terra».
Drew arrossì e annaspò per qualche secondo. «Coulson mi ha detto che è meglio non farti sapere niente per... non turbarti», capitolò infine, arrendendosi allo sguardo duro della ragazza.
Ivy sbuffò. «Sveglia Drew! Io sono già turbata. Ciò che dirai non cambierà nulla».
Il giovane agente esitò un momento, poi si lasciò scappare un sorriso. «L'avevo detto a Coulson che non avrebbe funzionato come scusa», borbottò.
La ragazza trattenne un sorriso compiaciuto. La lusingava che Drew pensasse che fosse una persona difficile da convincere, determinata. Era ciò che aveva sempre cercato di essere.
«Allora, che sta accadendo? Una nuova invasione aliena?», chiese, con fin troppo entusiasmo, per celare l'ansia.
«No, almeno che io sappia. Il terremoto che ha colpito Parigi era di magnitudo 8.9, ha raso al suolo la maggioranza della città e deviato il percorso della Senna. Poche ore dopo un altro terremoto, sempre di magnitudo 8.9, ha distrutto gran parte della periferia sud-ovest di Londra», spiegò Drew, con voce fredda, da analista. La maschera che gli piaceva indossare quando il suo lavoro allo S.H.I.E.L.D. lo metteva di fronte ad eventi che riteneva inconcepibili.
Ivy deglutì a vuoto. Aveva voluto sentire la verità, e ne avrebbe portato il peso, ma questo non la rendeva meno terribile.
Khalida le aveva insegnato che la maggioranza delle persone che subiscono un grave trauma si possono dividere in due categorie. Chi esorcizza i propri ricordi analizzandoli e non reprimendoli, inserendoli in contesti freddi e scientifici, oppure chi rimuove l'esperienza, seppellendola nel subconscio.
Ivy entrava decisamente nella prima categoria.
Già prima di vivere con Khalida, Ivy era diventata una grande esperta di terremoti.
Ricordava con precisione tutto quello che era accaduto quando era una bambina. Aveva passato lunghe ore a leggere libri che aveva rubato dalla biblioteca o da qualche villa nei dintorni del suo paese, nella speranza di capire ciò che era successo.
La terra, e la sua potenza sotterranea, era il suo nemico, e lei lo conosceva meglio di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non ha alcun senso», rifletté la ragazza, picchettandosi il mento con l'indice. «Quella zona dell'Europa non è a rischio sismico, in più è staticamente impossibile che due terremoti così potenti si verifichino in un lasso di tempo tanto breve».
Drew la guardò come se lei avesse appena parlato in greco antico.
«Che c'è? Non sei l'unico che sa leggere un libro, sai?», sbottò lei scherzosamente.
Drew arrossì. «Già, ma credevo che avessi gusti diversi», si giustificò, afferrando il libricino di leggende nordiche che Jane aveva prestato ad Ivy e sventolandolo davanti al naso della ragazza.
Lei sbuffò. «È studio anche questo, anche se di altro tipo», si difese Ivy, stringendosi nelle spalle. «Comunque è affascinante vedere come le antiche popolazioni spiegavano i fenomeni naturali attraverso la mitologia...», una luce si accese improvvisamente nella mente di Ivy, una rivelazione repentina come un fulmine.
In preda alla frenesia, la giovane scattò, scalciando il lenzuolo e cercando di alzarsi. Le coperte le si attorcigliarono alle lunghe gambe, facendola inciampare e finire diretta tra le braccia di Drew, che divenne di un'inedita sfumatura color cremisi.
«Che diavolo fai?», balbettò il giovane agente, cercando di rimettere Ivy sulle sue gambe, ma lei era talmente agitata che nemmeno se ne rendeva conto.
«Chiama Coulson! So cosa sta succedendo!», esclamò lei.
«Cosa?».
Ivy si leccò le labbra, negli occhi aveva una luce vivace, ma preoccupata.
«Qualsiasi cosa stia accadendo ad Asgard, sta succedendo anche qui».
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Facciamo un giochino.
Nel capitolo ci sono moltissime citazioni, più o meno esplicite.
Chi ne indovina per primo/a almeno due, avrà un premio.
Per chi è scrittrice, potrebbe essere un banner per la propria storia, per chi invece non lo è, oppure sa farsi i banner da solo XD, sarà una OS su un momento non raccontato di Similitudini che la persona in questione desidera approfondire.

Spero apprezziate l'iniziativa.

Confido che il prossimo capitolo arrivi in meno tempo di questo, ma non posso assicurarvelo, mi dispiace ;-(.
A presto,
Nicole

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Come una promessa ***


Buonaseraaaaaa,
So che avevo promesso aggiornamenti più frequenti ma la vita è piena di impegni, e purtroppo la scrittura è solo un hobby per me e non posso dedicarci troppo tempo.
Detto questo, vi lascio al capitolo, spero vi piaccia abbastanza da perdonarmi la lunga assenza. ;)

La colonna sonora per questo capitolo e il prossimo sono due canzoni che adoro e ho ascoltato molto, durante la scrittura di questo capitolo: Powerless, Linkin Park e I'm Your Sacrifice di Ozark Henry.

Buona lettura!


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Il fumo della distruzione di Asgard aleggiava come uno spettro nella piccola stanza, incombendo sulle teste dei presenti.
Passandosi una mano sul volto, ancora rigato di cenere, Thor prese un grosso respiro.
«Qual'è la situazione, generale Tyr?», domandò.
Tyr era uno dei generali più esperti dell'esercito di Asgard. Aveva ricevuto il suo grado durante la grande guerra contro Jotun e in molte battaglie successive aveva dato prova di essere un fine stratega, oltre che un valente guerriero. Anche se la lunga barba grigia tradiva la sua età, il corpo era massiccio e forte tanto quanto quello di asgardiani molto più giovani di lui.
Il generale valutò con attenzione la risposta da dare al Principe, scambiando un'occhiata rapida con il Padre degli Dei, seduto a capotavola. «L'esercito nemico si è ritirato oltre i confini della città, nelle pianure. Per il momento, sembrano in attesa. Una guarnigione delle mie migliori spie tiene d'occhio la situazione».
«A quanto ammontano le nostre perdite?».
Tyr incrociò le braccia al petto, evidenziando i bicipiti muscolosi lasciati scoperti dall'armatura. «Difficile fare una stima precisa. Prima dell'attacco le nostre forze contavano circa diecimila unità. Ora non superano le ottomila».
«Potete contare su tutti gli uomini della mia scorta», intervenne la sovrana di Hel che, come voleva la tradizione della sua gente, portava lo stesso nome del suo pianeta. «Sono appena un centinaio, ma ben addestrati».
«Tutto l'aiuto è ben accetto», annuì il generale Tyr.
Probabilmente timorosi di apparire codardi, i sovrani di Alfheim, Muspelheim e Vanaheim offrirono a loro volta i servigi della propria scorta.
Loki, ancora in armatura, assisteva al consiglio di guerra con aria annoiata, appoggiato con la schiena alla parete subito alle spalle di Thor. Quando la regina di Vanaheim, Freya, ebbe terminato la sua prolissa offerta di aiuto, non riuscì a trattenere una lieve risata.
Tutti i presenti, si voltarono verso di lui, molti di loro con aria oltraggiata, come a chiedere spiegazioni.
Odino si raddrizzò sul suo scranno.
Il Padre degli Dei all'inizio dell'attacco aveva avuto una nuova crisi. I guaritori sembravano molto incerti sulla sua sorte e gli avevano raccomandato di ritirarsi immediatamente nel Sonno, per preservare l'equilibrio mentale, che sembrava sempre più labile.
Con uno dei suoi fedeli corvi appollaiato sulla cima di Gungnir, Odino era visibilmente provato, ma aveva preteso comunque di partecipare a quella riunione d'emergenza, nonostante Lady Amora avesse sottolineato il fatto che Thor fosse perfettamente in grado di gestire tutto da solo.
«Hai qualcosa da dire, Loki?», lo apostrofò il sovrano di Asgard, osservandolo con l'unico occhio.
Nonostante il tempo trascorso, il rancore di Loki verso chi per anni si era definito suo padre, non era affatto diminuito. I giorni, le settimane, i mesi e gli anni lo avevano esacerbato e logorato, rendendolo sempre più simile all'odio più profondo e distruttivo.
Nelle sue gesta compiute per conto di Thanos c'era ancora un'ingenuità dettata dal desiderio di compiacere Odino, di mostrarsi degno di essere suo figlio.
Ormai, di quei sentimenti era rimasta solo la cenere.
La morte di Frigga aveva spazzato via ogni tipo di legame che lui poteva avere con Asgard, o con quella che ancora aveva l'ardire di definirsi la sua famiglia.
«Se hai suggerimenti, saranno bene accetti», intervenne a sorpresa Amora, spostando lo sguardo tra Odino e Loki. «Tu conosci bene il nostro nemico».
«Lui è nostro nemico», sibilò Hel. «Ha attaccato Midgard sotto il comando di Thanos, come facciamo ad essere sicuri che non è ancora suo alleato?».
«Non potete», annuì Loki, scoprendo i denti in un sorriso feroce. «Eppure non è di me che dovete preoccuparvi. Avete poco più di ottomila uomini e là fuori c'è un esercito di almeno quindicimila Elfi pronti a massacrare ogni uomo, donna e bambino di Asgard, senza contare che Thanos in persona potrebbe facilmente annientare tutta la città».
Le parole di Loki riecheggiarono a lungo nella stanza, rendendo l'atmosfera più pesante di quanto già non fosse.
«Perché non lo fa?», chiese all'improvviso Thor, osservando in volto ognuno dei presenti, soffermandosi più a lungo su Loki.
«Cosa intendi?», chiese Surtur, Re di Muspelheim.
«Thanos avrebbe potuto facilmente annientarci, eppure si è limitato a ferirci, senza ucciderci. Cosa vuole veramente? Se capiamo questo, sapremo come fermarlo», spiegò Thor.
«Non avete torto, Principe Thor. Ma come potremmo ottenere un'informazione del genere?», intervenne Hel.
«Malekith comanda l'esercito degli Elfi. Basterebbe catturarlo e torturarlo per farci dire ciò che sa. Uno dei miei soldati potrebbe facilmente infiltrarsi nell'accampamento nemico», propose Surtur, chiudendo il pugno grosso quando la testa di Thor.
Loki scosse lentamente la testa, staccandosi dalla parete. «Thanos non mette nessuno a parte dei suoi piani. Qualunque cosa Malekith pensi di sapere sarà solo una piccola goccia di verità, in un mare di promesse vuote».
Odino fissò a lungo il volto di Loki. «Perché Malekith ha preso l'umana?», domandò all'improvviso.
Loki sollevò le sopracciglia, ostentando sorpresa. Rimase muto, anche se Thor, accanto a lui, notò una lieve contrazione della guancia, come se avesse trattenuto una smorfia.
«Forse credeva che la sua strana arma fosse il Tesseract», azzardò Freya, non troppo convinta.
«Gli Elfi Oscuri non brillano per il loro fine intelletto, ma non sono così stupidi», replicò Amora e Tyr annuì, a darle ragione.
«Volevano lei», intervenne Heimdall per la prima volta. «Malekith l'ha guardata fisso, ed è andato a colpo sicuro. Non cercavano un semplice ostaggio, ma Khalida».
Odino contrasse il volto in una breve smorfia di dolore, che Amora immediatamente notò. La dea fece per avvicinarsi ma il Padre degli Dei la freddò con un'occhiata rabbiosa.
«Qualunque fosse lo scopo, la donna è irrilevante per noi. Thanos ha fatto male i suoi calcoli», disse, come a chiudere il discorso. «Ecco cosa faremo: ci raggrupperemo nel palazzo reale e li aspetteremo. Siamo meno di loro, ma i nostri soldati sono ben addestrati e possediamo armi più avanzate. Se restiamo uniti, possiamo sconfiggerli con una buona strategia».
Thor scambiò uno sguardo perplesso con Loki, ma l'altro non colse, sembrava essersi completamente estraniato dalla conversazione.
«Padre, radunandoci in un unico posto saremo in trappola. Se ci attaccassero dall'alto con le loro navi saremo completamente vulnerabili. L'attacco di oggi ha danneggiato la maggioranza dei nostri sistemi di difesa», obiettò il Principe. «Anche se dovessimo avere la meglio, sacrificheremmo inutilmente centinaia di vite».
«Ogni goccia di sangue asgardiano versata con onore sarà ricordata dovutamente. Ma non si vince una guerra senza sacrificio», ribatté risoluto Odino, con uno strano luccichio folle nell'unico occhio.
Thor strinse i pugni. Aveva quasi perso Sif e Fandral nel corso del primo attacco. Mai, nemmeno nella sua folle incoscienza di pochi anni prima, aveva pensato che le loro vite fossero sacrificabili. «Le guerre non si vincono nemmeno nascondendosi come conigli», si lasciò sfuggire il Principe.
Il silenzio si fece di piombo.
Odino scoprì i denti. «La guerra è fatta per i Re, figlio. Ed è evidente che tu ancora non lo sei».
Thor incassò l'offesa con dignità, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Il dolore per la morte della Regina offusca il vostro giudizio e...», iniziò.
«Taci!», tuonò Odino, scattando improvvisamente in piedi. Il volto già pallido del Padre degli Dei divenne cinereo, ed Amora corse a sostenerlo, afferrandolo per un braccio.
L'unico occhio di Odino fiammeggiò verso Thor. «Non sei più il benvenuto in questo consiglio».
Ferito ed umiliato, Thor fece per aprire la bocca, ma un'occhiata di Amora lo fece desistere.
L'Incantatrice era dalla sua parte, ne era certo, ed anche Heimdall lo stimava. La cosa lo confortò un poco e gli permise di mantenere la calma.
Dare in escandescenze non l'avrebbe aiutato, in più non voleva sminuirsi ulteriormente agli occhi degli altri sovrani.
Raddrizzò le spalle e si voltò, congedandosi dai presenti solo con un cenno del capo.
Un secondo dopo, Loki si incamminò dietro di lui, in silenzio.
Dopo qualche minuto, Thor cercò gli occhi del fratello. «Perché mi hai seguito?».
Loki sollevò la bocca in un lieve sorriso. «Stai tramando qualcosa», osservò.
Smascherato, Thor ricambiò il sorriso di Loki. «È bello sapere che certe cose non cambiano mai», disse, come tra sé e sé.
Loki strinse gli occhi. «Non ti illudere che sarà come una volta, troppo è cambiato. Non mi trattare come un tuo alleato, non lo sono».
Thor non si lasciò toccare dal rancore nella voce del Dio degli Inganni, ormai anche quello gli era familiare. «In questo lo sarai», affermò, con forza. «Andrò a cercare Khalida».
Loki aspettò qualche secondo, prima di scoppiare in una risata fredda ed aspra. «E perché mai? Mi pareva che avessi già la tua umana. Una non ti basta più?».
Thor incrociò le braccia al petto. «Non si tratta di questo, e lo sai. Le ho fatto una promessa, ed intendo mantenerla».
Loki non abbandonò il sorriso canzonatorio. «Non dovresti fare promesse che non sei in grado di mantenere», chiosò. «Non saresti in grado di trovarla, in ogni modo. Sprecheresti solo tempo prezioso».
«Tu puoi, allo stesso modo in cui lei ha potuto trovare te».
Loki strinse gli occhi. «Presumo che tu abbia ragione», fece, con fare misterioso.
«Potremmo non essere fratelli, Loki. Ma io ti conosco. So che vuoi trovarla», insisté Thor.
Loki accennò un breve sorriso, esitante, che eruppe in una nuova risata, più sguaiata e amara. «Se la trovassi, credo che la tua promessa verrebbe meno comunque», ammise, candidamente.
«Non me la dai a bere, fratello».
La maschera di Loki cadde, e la sua voce si affilò. «Non c'è nulla che tu possa fare Thor. Lascia che me ne occupi io». Benché la frase fosse rassicurante, nelle intenzioni, qualcosa nello sguardo di Loki turbò Thor. «C'è bisogno di te qui, ad Asgard», aggiunse Loki, a voce bassa.
I due si fronteggiarono per qualche secondo, gli occhi azzurri del Dio del Tuono tentarono invano di cogliere i segreti celati in quelli immobili di Loki.
«Asgard ha bisogno anche di te», disse infine Thor.
Loki scosse la testa, con fare demoralizzato. «Ancora non l'hai capito, vero?».
«Capito cosa?».
«C'è un traditore ad Asgard e, tanto per chiarire, non sono io», ammiccò il Dio degli Inganni.
Thor sbatté le palpebre. «Un traditore? E da cosa lo deduci?».
«È il modo di fare di Thanos. Prima di distruggere, mira a creare divisioni, in modo che il suo nemico si annienti in parte da solo», spiegò Loki.
Thor annuì in modo assente, improvvisamente concentrato. Poi finalmente parve ricollegare le fila del ragionamento del fratello. «Lo ha fatto anche sulla Terra, vero?».
«Ero nella testa di Selvig molto prima di attaccare la Terra. Ho raccolto informazioni, minato i vostri legami, previsto in che modo avrei potuto dividervi. Solo quando ho ritenuto di essere pronto, ho fatto la mia mossa», spiegò Loki, in modo chiaro e freddo. «Sono certo che Thanos abbia agito nello stesso modo anche ora».
«E cosa ti fa essere tanto sicuro?», lo incalzò Thor.
Loki aggrottò le sopracciglia e una vaga espressione di rabbia corse sui suoi lineamenti. «Sapevano quando si sarebbe svolto il funerale di Frigga, il momento preciso in cui saremmo stati più vulnerabili. Sapevano chi era Khalida, come trovarla e cosa avrebbe scatenato il suo rapimento», la voce di Loki salì di un tono sull'ultima frase, ad evidenziare il fatto che stava mentendo, ma Thor non ci fece troppo caso.
«Stai dicendo che Thanos vuole che tu vada a cercarla?».
Loki sollevò gli occhi al cielo, con fare esasperato. «Sto dicendo che Thanos vuole che tu vada a cercarla. Non so se l'hai notato, ma tuo padre non è al massimo delle sue facoltà mentali al momento. Alla sua guida l'esercito di Asgard verrebbe spazzato via».
Thor osservò il fratello. Aveva indossato nuovamente l'elmo, che brillava debolmente nella luce del giorno morente. «Mi stai chiedendo di fidarmi di te, Loki», precisò.
Loki sorrise, ammiccando lievemente. Un lieve bagliore verde serpeggiò lungo il bordo del mantello, agitato appena dalla brezza serale. «Non ho bisogno del tuo permesso, Thor», affermò, un minuto prima di svanire in un baluginio di smeraldo.
Thor rimase con le mani sospese a mezz'aria, poi si lasciò andare ad un gemito di frustrazione, scagliando un pugno a vuoto. Poi scoppiò a ridere, debolmente.
«In ogni modo, sappi che mi fido, fratello», mormorò all'aria, sapendo che nessuno poteva sentirlo.

Il vento sibilava forte, spingendo tra le fessure polvere, cenere, sabbia e poche scintille di luce velenosa.
Khalida aveva lacerato ciò che restava del suo abito per tentare di fermare gli spifferi feroci, improvvisando delle bende intorno alla bocca, tentando di ostruire le sottili crepe nelle pareti.
Era stato inutile, la polvere era troppo sottile e trapassava ogni ostacolo.
Quel pulviscolo irritante le faceva lacrimare gli occhi, infiammando la gola ad ogni respiro. Sulla pelle ambrata delle gambe completamente nude, fiorivano numerose piaghe, del diametro di una moneta da un dollaro. All'inizio erano simili ad un lieve arrossamento, ma ben presto la pelle si era come consumata, corrosa, esponendo il derma vivo e pulsante.
Come tortura, era geniale, doveva ammetterlo.
Veloce, dolorosa, silenziosa, pressante.
Esasperante.
La stanzetta in cui era confinata doveva essere posizionata a diversi metri d'altitudine, altrimenti il vento non avrebbe potuto essere così forte; buia, a parte qualche sprazzo di debole luce notturna, e completamente spoglia.
Grazie al tatto aveva intuito che le pareti erano di un metallo ruvido e poroso, caldo.
L'unica cosa terrestre cui poteva paragonarlo era la roccia vulcanica, ma era un'affinità forzata, neanche troppo calzante.
Ancora non aveva visto anima viva, dopo essersi risvegliata.
La tortura dei suoi carcerieri era già iniziata.
Essere un'esperta del campo, tuttavia, non l'aiutava affatto ad affrontare ciò che le stava capitando.
Gli Elfi avevano cominciato con le forme più violente e logoranti di tortura: il dolore costante, dovuto a quella polvere velenosa che continuava a posarsi in continuazione su ogni centimetro della sua pelle, e la privazione del sonno, per colpa del sibilo assordante del vento.
Dovevano avere molta fretta.
Erano agguerriti, disperati, crudeli.
Non aveva molto tempo per pianificare una fuga, o anche solo una strategia di resistenza.
Innanzitutto non aveva idea di cosa volessero da lei.
Thanos aveva dichiarato di volere Loki, ma la donna dubitava che il Titano mirasse solo a quello. Da ciò che sapevano di lui, Thanos era una personalità manipolatrice, che assoggettava menti più fragili per costringerle a seguire il suo volere, qualunque fosse.
Il suo scopo non poteva essere la semplice vendetta, anzi, avrebbe anche potuto non interessargli più di tanto.
Una fitta di dolore più acuto la costrinse a gemere, tra i denti stretti.
Qualcuno, da qualche parte, la stava osservando, se lo sentiva, valutando il momento opportuno per spezzarla, e lei non era intenzionata a dargli alcuna soddisfazione.
Ma era davvero troppo difficile.
Khalida avrebbe voluto sentirsi forte, ma era terrorizzata, come mai nella sua vita.
Quel luogo, alieno nel senso più pieno del termine, le toglieva il raziocinio e minava la sua stabilità emotiva. Non aveva Match con sé, e l'astinenza stava già reclamando il suo prezzo, togliendole le poche forze che il dolore le lasciava.
Si era scarnificata le mani e strappata le unghie, cercando di ricavare una qualche arma dalle pareti, e poi si era graffiata le braccia, tentando di sovrastare il prurito delle ustioni e la nausea che la mancanza di Match le causava.
Era sull'orlo dell'incoscienza.
Tra le palpebre socchiuse, allucinazioni danzavano nella sua mente.
Vedeva Ivy, nelle mani dello S.H.I.E.L.D., diventare ciò che anche lei era stata, uno strumento di morte, un burattino nella mani di un'organizzazione più grande di lei. Una semplice macchina, che quando avrebbe smesso di funzionare a dovere, sarebbe stata semplicemente sostituita.
Vide il volto solare di Ivy scomparire, fino a diventare indistinguibile da quello di sé stessa, per poi confondersi e mescolarsi a quello di Manaar.
Le lacrime le salirono agli occhi, seguite da un nuovo gemito che le graffiò la gola, insieme a quella polvere urticante.
Il pianto fu un sollievo e uno strazio al contempo.
Khalida, che per anni era stata padrona di ogni sua singola emozione, adesso si sentiva di nuovo una bambina orfana, gettata in un mondo di cui non conosceva le regole. L'unica differenza era che questa volta non sarebbe mai arrivato nessun reclutatore dell'esercito a salvarla da quel buco nero.
Le sue forze erano palesemente insufficienti per tirarla fuori da quella situazione.
Le mancava perfino il coraggio per arrendersi, per abbracciare l'unica via d'uscita che poteva avere. La Morte non era mai stata sua amica, benché avesse lavorato al suo fianco per anni, e non le avrebbe permesso di vincere.
Avrebbe sopportato qualsiasi cosa, pur di non darle presa su di lei.
Tornare da Ivy, mantenere quella promessa, era la motivazione più forte che trovava per vivere.
E avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di riuscirci.
Non c'era niente di più importante, niente che non potesse essere sacrificato.
Passi pesanti risvegliarono Khalida dal torpore allucinatorio in cui si era lasciata scivolare.
Strisciando, si mise seduta, raccogliendosi in un angolo per apparire il più indifesa possibile.
Se i suoi carcerieri l'avessero sottovalutata, avrebbe avuto più chance di impadronirsi di un'arma, e quindi di difendersi, se non addirittura di fuggire.
I passi proseguirono, e Khalida capì che provenivano da sopra di lei.
Sferragliando, il soffitto si aprì, dividendosi longitudinalmente.
Le pareti di fronte a Khalida tremarono appena, poi si deformarono, fino a comporre una scala larga
circa tre metri, che si fermava a poche decine di centimetri dai suoi piedi.
Istintivamente, la donna sollevò lo sguardo, cercando l'inizio di quella salita, oltre a possibili indizi su dove si trovava.
Il buio sopra di lei era pressoché assoluto.
Grazie all'udito riuscì ad intuire che ci fossero almeno cinque Elfi in attesa.
Il brusio della lingua aspra degli Elfi si azzittì improvvisamente, per poi risollevarsi in un grido assordante.
Le pareti tremarono, mentre Malekith, con calma glaciale, scendeva i gradini.
Immediatamente dietro di lui veniva una creatura simile al Kriss che Khalida aveva affrontato molti anni prima. Indossava un elmo dorato, che ne celava in parte il volto deforme, sulle spalle portava una sorta di mantello, dello stesso azzurro malato della pelle squamata dell'essere. Qualcosa nella memoria della donna sfarfallò, e la parola Chitauro le salì alla mente.
Se uno di quegli esseri era lì, significava che anche Thanos stesso non era lontano.
Khalida cercò di sollevare le spalle, per apparire il più vigile possibile, anche se sentiva la testa piena di cotone. «Il tuo padrone è così pigro da non avere nemmeno il tempo di farmi visita di persona?», gracchiò, e la sua voce le suonò estranea come se fosse uscita dalle labbra di un Elfo Oscuro.
Malekith, impassibile nel volto, gettò uno sguardo al Chitauro dietro di lui, il quale si fece avanti silenziosamente. «Non ho bisogno di essere qui di persona, bimba», dichiarò la creatura, fermandosi di fronte a Khalida.
La voce che scaturì dalle labbra del Chitauro era troppo potente, troppo antica e troppo spaventosa perché provenisse esclusivamente da lui.
Un brivido di terrore le percorse il corpo, fino alla punta della dita, che contrasse sui pochi brandelli di stoffa che ancora le coprivano le gambe.
«Cosa vuoi da me?», domandò, deglutendo la bile che le era salita tra i denti.
Malekith, ad un gesto impercettibile del Chitauro, si avvicinò così tanto che se solo Khalida avrebbe voluto, avrebbe potuto toccarlo con la punta dei piedi.
Gli occhi privi di colore dell'Elfo si accesero per un'istante, un baluginio impercettibile, simile al riflesso della luce negli occhi di un gatto.
Come nella Camera del Bifrost, un terrore senza nome salì nella membra di Khalida, mozzandole il fiato e facendole fischiare le orecchie.
A livello clinico, era conscia di essere nel bel mezzo di un vero e proprio attacco di panico; ma il saperlo non lo rendeva meno spaventoso.
Per qualche motivo, non era in grado di staccare lo sguardo dagli occhi di ghiaccio di Malekith.
«Interessante vero?», la sorprese la voce di Thanos, attraverso la bocca del Chitauro. «La tua razza è così sensibile, fragile... vittima della vostra mente debole ed infantile».
Ad un nuovo cenno del Chitauro, Malekith chiuse gli occhi, spezzando l'incantesimo di terrore in cui aveva precipitato Khalida.
La donna respirò affannosamente, tenendosi il petto con entrambe le mani, scacciando le lacrime con un rapido battito di palpebre. Era esausta e si domandava come fosse possibile che, con una semplice occhiata, quell'essere fosse in grado di spogliarla di ogni forma di resistenza e volontà. Pensava di aver provato ogni tipo di sentimento, ma niente nella sua vita l'aveva resa così inerme.
«Cosa vuoi?», ripeté nuovamente Khalida, in un soffio sfinito.
Capì subito le ragioni di quell'ulteriore tortura.
Nella sua precedente domanda, c'era ancora un barlume di forza, di sfida.
Ora era completamente svuotata.
«Il Tesseract, e il suo Portatore», espose semplicemente il Chitauro. «Conducilo a me, e risparmierò ciò che rimane della tua vita».
Khalida fissò gli occhi vacui della creatura, cercandovi un riflesso dell'essere con cui stava realmente parlando, ma le iridi erano opache e lattiginose, inespressive.
Uno specchio cieco, aperto su un abisso incomprensibile.
«Loki non verrà mai a cercarmi», protestò Khalida. «Per lui non valgo niente».
Un sospiro roco filtrò attraverso la griglia dell'elmo, una risata raccapricciante. «Conosco il cuore dell'asgardiano molto meglio di te, umana».
«E se mi rifiutassi?», mormorò Khalida. Un ultimo, necessario, moto di ribellione.
Malekith sollevò il braccio, pronto a colpirla, ma il Chitauro afferrò prontamente il polso dell'Elfo, bloccando a metà il gesto.
«Verrai condotta al mio cospetto, bimba. E allora non ci sarà nulla di segreto», iniziò il Chitauro, abbassandosi all'altezza del viso di Khalida. Il suo fiato era freddo e non aveva odore, se non un lievissimo sentore metallico. «Ogni singola parola che tu abbia mai udito, pronunciato, o anche solo pensato... tutto diventerà di mia proprietà, compresa ogni persona che tu abbia mai amato...», la mandibola del Chitauro schioccò. «...compreso chi stai tentando di proteggere».
Promessa e minaccia erano la stessa faccia della medaglia, in quelle parole fredde e taglienti come roccia stellare.
Khalida seppe immediatamente di non aver alcuna possibilità di scelta.
Proteggere i suoi segreti era più importante di qualsiasi cosa.
Perfino della sua vita.

Coulson era poco convinto a sua volta di ciò che aveva appena detto, ma lo stesso si stupì degli sguardi perplessi davanti a lui.
Diavolo, in quella stanza c'erano le menti più brillanti della Terra, e nessuno di loro riusciva a stare dietro alle teorie fantasiose di una ragazzina di sedici anni!
Non c'era più religione.
«Cosa stai cercando di dire, Phil?», chiese Steve Rogers, chinandosi in avanti sul tavolo.
«Io niente. Sto provando a farvi capire quello che Ivy crede di aver capito», spiegò l'agente, per l'ennesima volta.
Selvig in piedi accanto ad un pannello interattivo spento, insieme a Fitz-Simmons e Jane Foster, si grattò la testa con fare pensieroso.
«La ragazza ipotizza che possa esserci un collegamento diretto tra la dimensione di Asgard e la nostra?», fece, cercando con gli occhi quelli di Jane.
«È possibile?», li incalzò Fury, dal centro della stanza.
Fitz alzò la mano, come se fosse in un aula e lui dovesse dar prova di essere lo studente migliore. Fury alzò l'unico occhio al cielo, sfibrato dalla situazione e da quello che non capiva, cui di conseguenza non sapeva reagire.
«Parli Agente Fitz».
Il ragazzo prese un fiato profondo. «Teoricamente è possibile collegare due oggetti che si trovano in due realtà diverse a livello molecolare se la materia degli oggetti appartiene ad entrambe le realtà e...».
«Frena pappagallino», lo interruppe Stark. «Qui non stiamo parlando di universi paralleli. Asgard è un altro pianeta».
«Non è corretto, signor Stark», intervenne Selvig, e Jane annuì a sua volta. «Studiando le interazioni tra la Terra ed Asgard abbiamo compreso che Asgard non è semplicemente in un'altra Galassia, ma in una vera e propria Dimensione diversa dalla nostra, separata e con leggi differenti. Per questo è così difficile riuscire a comunicare con loro da qui. Durante gli studi sul Tesseract siamo riusciti a capire che il ponte di Einstein-Rosen che l'energia del manufatto riesce a creare non è solo un portale in grado di farci viaggiare in maniera spaziale, ma anche in modo dimensionale e temporale».
Intercettando lo sguardo perplesso di Rogers e Barton, Jane si affrettò ad intervenire. «Il portale creato dal Tesseract ci permette non solo di spostarci da un punto all'altro della Terra, ma anche in un tempo diverso, nella stessa collocazione geografica, oppure in una dimensione completamente nuova, aliena».
Tony Stark annuì brevemente, accarezzandosi il pizzetto. «Quindi teoricamente potrebbe esistere una correlazione quantica tra il nostro mondo ed Asgard».
Banner scosse la testa. «È del tutto ipotetico. Non abbiamo mai avuto prove dell'esistenza di una simile connessione».
Il volto pensieroso di Jane si accese. «Invece sì! Quando Thor distrusse il Bifrost durante la battaglia con Loki, nel deserto del New Mexico ci furono degli eventi atmosferici inspiegabili», ricordò.
Il volto di Selvig si adombrò. «Se la distruzione del Bifrost aveva provocato solo qualche fulmine... cosa può essere accaduto di così grave da aver scatenato una simile distruzione qui sulla Terra?», ragionò, tra sé e sé. 
«Vi dispiace parlare la nostra lingua, prego?», sbottò Occhio di Falco.
«Mai stato più d'accordo», intervenne Captain America.
«Significa che quello che accade ad Asgard può avere dirette conseguenze su di noi, sulla nostra dimensione», spiegò Simmons.
«In poche parole, se Odino scoreggia sul suo trono, qui potrebbe esserci un alluvione?», chiese Barton, sogghignando.
Selvig annuì. «Non avrei usato queste parole esatte, però sì».
Coulson, che stava seguendo la conversazione solo con un orecchio, nel frattempo teneva d'occhio le ombre sottili che vedeva allungarsi da sotto la porta di vetro opaco.
Non si stupiva affatto, anche se in modo molto diverso, entrambi erano due ribelli, però quella situazione poteva metterli nei guai sul serio, se non interveniva subito.
«Mi perdoni Direttore», si scusò, avvicinandosi con due lunghi passi alla porta a vetri. Con un gesto secco, la spalancò.
Ivy e Drew precipitarono a terra, l'uno sull'altro, in modo scomposto e comico.
Solo Stark ebbe il coraggio di fare una battuta di spirito. «Bè, Nick. Almeno sei sicuro che ha la stoffa della spia, adesso», scherzò, indicando Ivy che era, se possibile, ancora più scarmigliata del solito, mentre tentava in modo goffo di rialzarsi senza pestare nessuno degli arti di Drew. L'agente era diventato paonazzo, così tanto che le efelidi evidenti sul suo viso erano praticamente scomparse.
«Mi dispiace noi... io...», balbettò, tentando di giustificarsi.
«Lei cosa?», lo incalzò Coulson, fissandolo negli occhi con espressione seria.
«È colpa mia!», intervenne Ivy, rassettandosi in qualche modo la maglietta e i capelli. «È stata una mia idea», ripeté, guardando il Direttore Fury.
L'uomo si massaggiò la radice del naso, con fare esasperato. Forse non era solo Asgard ad essere in una dimensione parallela, ma anche lui ci era capitato dentro per sbaglio, quella mattina, alzandosi dalla parte sbagliata della branda.
«Signorina Rushman, ora che è qui, tanto vale che ci esponga lei, la sua teoria», si arrese il Direttore, facendo un cenno a Coulson che prontamente richiuse la porta. Drew si ricompose, e si nascose in un angolo. Nonostante l'imbarazzo, e la lavata di capo che lo aspettava da parte di Coulson, era emozionato di poter assistere ad una riunione dei Vendicatori.
Ivy d'altro canto, ritrovandosi al centro dell'attenzione, si schiarì la voce, cercando gli occhi di Jane, che le fece un piccolissimo cenno d'incoraggiamento.
«L'idea mi è venuta dal tuo libro, Jane», iniziò. «Una delle leggende norrene più conosciute narra che per espiare i suoi crimini Loki venne incatenato ad una roccia, costretto a soffrire in eterno per il veleno di una serpe che gli gocciolava senza sosta sul volto. I suoi spasmi di dolore, nella leggenda, sono identificati come la causa dei terremoti, qui sulla terra».
«Bè, se questo è vero, mi dispiace per Parigi, ma sono felice che quel bastardo stia soffrendo come merita», la interruppe Clint, incrociando le braccia al petto.
«Non credo che la leggenda sia così fedele alla realtà», commentò Ivy. «Però penso che ciò che sta accadendo ad Asgard stia causando tutti questi terremoti».
«E che motivazione hai per pensarla così?», la stuzzicò Stark.
Ivy sollevò il mento, e improvvisamente tutti i Vendicatori ebbero un flash di Khalida che faceva lo stesso identico gesto, nella stessa stanza. «Gli Dei norreni esistono, anche se non sono Dei ma alieni. Ormai mi pare evidente che tutte le leggende hanno un fondo di verità. Anche questa deve averlo».
Fury fece un passo avanti, scrutando con sguardo indagatore Selvig, Jane, Banner e Stark. «Ritenete che possa avere ragione?», domandò.
«I fatti sono a favore della sua teoria», rispose Jane. «E anche il mio istinto. Thor tentò di spiegarmi questo concetto descrivendomi Ygdrasill, l'Albero del Mondo, come qualcosa che collega tutti i nostri mondi. Non si può tagliare un ramo, senza che l'intero albero ne soffra».
Selvig annuì. «Se Asgard dovesse essere distrutta, per la Terra le conseguenze sarebbero devastanti».
Fury annuì brevemente. «Dobbiam...», iniziò, ma la voce morì, inghiottita dal fragore metallico e meccanico dell'Elivelivolo che sbandava pericolosamente, inclinandosi di quarantacinque gradi verso destra e ritornando di colpo nella posizione di partenza.
Una sirena stridula fece tremare i vetri, mentre le luci si abbassavano e tutti i reparti del primo livello entravano in modalità emergenza.
«Che diavolo...», sbottò Stark, tentando di uscire dal groviglio di braccia e gambe in cui era intrappolato. Si sentiva come se qualcuno l'avesse appena tirato fuori da uno shaker.
«Togli quella mano da lì, Stark, prima che te la stacchi di netto con una freccia esplosiva!», sbraitò Clint, sgomitando tra Steve e Bruce.
«Quella non è la mia mano», si difese Tony, sollevando entrambi i palmi.
«Clint, toglimi il sedere dalla faccia», ordinò Natasha, con voce perentoria, anche se soffocata.
Occhio di Falco, paonazzo in volto, si affrettò ad alzarsi e a liberare la Vedova Nera.
La stanza era un marasma di gente che si lamentava sotto voce e, vista dal di fuori, la scena doveva sembrare abbastanza esilarante.
Fury, che imprecava sottovoce ma sembrava integro, stava porgendo una mano a Jane, che si teneva un braccio, mordendosi le labbra. Fitz e Simmons, inseparabili anche nel farsi male, avevano sbattuto la testa l'uno contro l'altra e adesso si tenevano le tempie a vicenda, per controllare di non essere feriti troppo gravemente.
Selvig era semplicemente finito a gambe all'aria, insieme a Coulson. Entrambi illesi, se non si considerava il largo strappo che si apriva nella giacca elegante di Phil.
Ivy era precipitata tra Selvig e Fitz-Simmons, picchiando forte la testa contro lo schermo a parete. Strofinandosi la fronte, la ragazza si considerò fortunata, almeno aveva la testa abbastanza dura per rompere una TV da migliaia di dollari senza fracassarsi anche il cranio.
«Ivy! Stai bene?», le domandò Drew correndole incontro.
Il giovane agente aveva un graffio sulla guancia, ma niente di più. «Bene», mormorò Ivy, sbattendo le palpebre.
Drew le premette la mano sulla fronte. «Dobbiamo andare in infermeria».
Solo allora Ivy si accorse di avere le mani piene di frammenti di vetro e sangue.
«Non è niente», cercò di dire.
Drew la guardò negli occhi. «Lasciamo che sia un medico a dirlo, ok?», propose, con una calma che sorprese la ragazza. Forse era quello che ti insegnavano allo S.H.I.E.L.D., a come non dare di matto quando la stanza in cui ti trovi si trasforma improvvisamente nel cestello di una lavatrice.
«Che diavolo succede!?», sbraitò la voce di Fury all'auricolare.
“C'è stata un'esplosione sulla pista che ha mandato l'Elivelivolo fuori asse”, rispose la voce di Maria Hill, dagli altoparlanti nella stanza. “È comparsa dal nulla una donna. Dall'abbigliamento sembra un'asgardiana”.
«Portatela nella stanza degli interrogatori», ordinò Fury.
“Dice che parlerà solo con il 'figlio di Coul'”*, replicò la voce dell'agente.
Un lieve sorriso affiorò sulle labbra di Coulson. «Deve essere Lady Sif. Lascia che ci parli io, capo».
Nick annuì distrattamente.
La presenza di una dei compagni d'armi di Thor complicava ulteriormente le cose, ma forse sarebbero riusciti a sgarbugliare quell'abnorme matassa di problemi che stava diventando quella situazione.
«Chi ha bisogno di cure vada in infermeria, tutti gli altri vengano con me», decise Fury, scrutandosi intorno.
I suoi occhi si fermarono in quelli di Ivy per un'istante di troppo, e la ragazza trattenne involontariamente il fiato.
Negli occhi del Direttore aveva letto la risposta alla domanda che le passava per la testa.
Se Thor voleva mandare un messaggio ai Vendicatori, perché mandare Sif e non Khalida? Se poteva utilizzare il Bifrost, perché non l'aveva rimandata a casa?
Lacrime improvvise le corsero sulle guance, mescolandosi al sangue delle ferite, diventate ormai insignificanti.
Era successo qualcosa di terribile alla donna che amava come una madre.
Era di nuovo sola.
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*In lingua originale, nel finale di Thor, Coulson viene chiamato proprio così da Thor. Come Thor è chiamato Odinson, così viene diviso il cognome di Coulson in Coul-son, cioè "figlio di Coul".

Tutte le teorie pseudoscientifiche che snocciolo sono inventate e opinabili.

Non vi dico a presto perché mi sembra di prendervi in giro, spero però che passi meno tempo tra questo capitolo e il prossimo.

Un bacio,
Nicole

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Come una finzione ***


Buonasera.
Lo so, ormai di questo passo pubblico un capitolo ad ogni uscita di un film Marvel XD ma spero sul serio di concludere la FF entro il 2019 :-P

Vi lascio immediatamente al capitolo, senza tante parole.
Grazie mille a chi continua a leggere, nonstante gli aggiornamenti lenti.

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Viaggiare attraverso i portali creati dal Tesseract era estremamente facile, come un respiro profondo, un battito di ciglia. Non era nemmeno paragonabile ai sentieri tortuosi tra i mondi che Loki aveva scovato, esplorato e percorso in più occasioni, nella sua vita.
Più volte, per il solo gusto di scoprire dove il percorso l'avrebbe condotto, aveva rischiato la vita, precipitando negli angoli più oscuri dei Nove Mondi.
Gli mancava quel senso di trionfo che lo scuoteva dentro quando si trovava improvvisamente dall'altra parte, ennesima conferma della sua intelligenza, del suo valore.
Loki aveva la sfrontatezza di chi si era dovuto accontentare per anni della propria autostima, e non sentiva mai il bisogno di approvazione da parte di qualcuno che non fosse se stesso. Aveva smesso di illudersi al riguardo molto prima.
Per questo era certo che tutto sarebbe andato come previsto.
Aprendo gli occhi nella penombra, Loki prese un profondo respiro dal naso.
Fino a quel momento era stato semplice ma ora, su Svartalfheim, iniziava la parte più complessa del piano.
Ne aveva studiato ogni minima variabile, sin dal momento in cui aveva saputo della morte di Frigga.
Thanos, Malekith, lo loro pretese, le aspettative di Thor, Odino, il traditore misterioso ad Asgard... ogni singolo elemento era una piccola parte di un complesso ingranaggio perfetto, oliato, che si muoveva all'unisono con la sua volontà.
Nonostante gli enormi poteri in gioco, solo una piccola parte insignificante, una variabile infinitesimale, lo impensieriva davvero.
No, impensieriva non era la parola più adatta.
Infastidiva... ecco il termine più calzante.
Fastidio era decisamente la parola più consona a descrivere quella variabile del tutto fuori dal suo controllo.
«Loki?», soffiò una voce, quasi impercettibile, da un punto imprecisato dietro di lui.
Eccola, quella variabile infinitesimale, eppure così ingombrante.
Khalida.
Voltandosi, Loki sfoderò un sorriso enigmatico.
«Credevi che non sarei venuto?», la sfidò, squadrandola da capo a piedi.
Nonostante le situazioni complicate in cui l'aveva vista, Khalida aveva sempre mantenuto una dignità invidiabile, per una della sua razza. Era una donna solida, a tratti impenetrabile e fredda come le nebbie eterne di Niflheim.
Ore le gelide nebbie si era dissolte.
Khalida aveva un aspetto terribile.
Pallida, con l'abito a brandelli, i capelli sporchi e scarmigliati, sembrava appena uscita dalle profondità di Hel. Ogni centimetro della sua pelle era ricoperto da ferite recenti, ustioni tondeggianti che in più punti esponevano la carne viva, sulle guance aveva lunghi graffi incrostati di sangue rappreso.
Conosceva i metodi di tortura degli Elfi Oscuri, violenti ed efficaci.
Era prevedibile che Khalida sarebbe stata una loro vittima; tuttavia non si aspettava di trovarsi davanti una Khalida spezzata, con le labbra tremanti e gli occhi lucidi per le lacrime celate a malapena.
Il tempo di un respiro e la donna si gettò in avanti, coprendo a lunghi passi i pochi metri che la separavano da Loki, circondagli il petto con le braccia sottili.
Confuso ed incredulo, l'asgardiano ci mise un minuto interminabile a reagire.
Con cautela, posò le mani sulle sue spalle. Aveva la pelle gelida, ma coperta di sudore.
Khalida sollevò appena il volto, incrociando il suo sguardo perplesso.
«Non avevo nemmeno osato sperarlo», mormorò, in un flebile respiro.
Accennando un sorriso, si sollevò sulle punte, cercando la bocca di Loki.
Quando le loro labbra si toccarono, Khalida emise un lieve gemito, di gola.
Istintivamente Loki approfondì il bacio.
Capì subito che qualcosa non tornava.
Sulle guance sentiva le lacrime di Khalida, e lei non piangeva mai.
Un sapore insolito, dolciastro, gli grattò la gola.
Khalida gli sfiorò le labbra appena, un'ultima volta.
E Loki capì.
Avrebbe sorriso, se la potente droga non gli avesse già paralizzato i muscoli facciali.
“Mi dispiace”, mimarono le labbra di Khalida, silenziosamente.
La piccola variabile insignificante aveva fatto esattamente ciò che doveva.

Seduto sul suo scranno; al riparo nella camera più profonda della sua astronave ammiraglia, Santuario II, sospesa sui cieli bui di Svartalfheim, Thanos rigirava pensoso tra le dita massicce una delle centinaia di sfere simili al Tesseract che possedeva.
Dopo molti anni di ricerca, aveva trovato finalmente le rovine del pianeta che i creatori del Tesseract avevano utilizzato per i loro esperimenti. La sua pazienza era stata premiata con un bottino di grande valore. Certo, nessuna di quelle sfere possedeva il potere del Tesseract, ma in quegli anni di ricerca gli erano state molto utili.
Gli occhi azzurri del Titano si posarono distrattamente sul corpo dell'asgardiano, abbandonato al centro della grande sala. Si sarebbe risvegliato a momenti dalla potente droga che l'umana gli aveva somministrato.
La sfera azzurra, dal diametro di pochi centimetri, ruotò più velocemente nella mano del Titano.
Lei, ancora più bella dell'ultima volta che l'aveva vista, seguì con la punta delle dita la curva del suo braccio, con fare languido. Gli occhi accesi di malizia seguirono lo sguardo di Thanos. «Ho proprio voglia di assaggiarlo», mormorò, mordendosi le labbra.
«A suo tempo, mia cara», la rabbonì Thanos.
«Sangue Jotun, con un retrogusto di Asgard... una vera rarità», insisté Lei, leccandosi lentamente gli incisivi superiori.
Thanos le prese la mano, e Lei si voltò a guardarlo.
«Avrai tutto ciò che desideri, mia Signora», le disse, fissandola con sguardo adorante.
I recenti doni che gli aveva portato, sacrifici di asgardiani ed Elfi Oscuri in uguale quantità, le avevano accesso gli occhi azzurri di una nuova vitalità. La pelle splendeva, color delle stelle, nella notte immensa dei suoi capelli.
Lei fece un sorriso sottile. «Me lo prometti?».
«Ti darei la mia vita, se tu la volessi», giurò Thanos.
«Un giorno forse accadrà», gli fece notare Lei, ammiccando.
«Così sia», mormorò Thanos.
«Vedo che parli ancora da solo», lo interruppe la voce di Loki.
Era roca, flebile, quasi irriconoscibile; ma conservava quella punta di irriverenza che tanto piaceva a Thanos.
Amava quando le sue vittime si ribellavano.
Rendeva tutto molto più divertente.
Thanos girò gli occhi e squadrò lentamente l'asgardiano.
Forse da qualcuno la sua presenza poteva essere definita imponente, perfino inquietante, ma di fronte a lui Loki si rivelava per ciò che era davvero: un infante in mezzo ad un mondo enormemente più grande di lui.
Loki raddrizzò la schiena, appoggiandosi al bastone del Tesseract. La sua mente era vigile, ma il suo corpo era ancora scosso dagli effetti collaterali della droga paralizzante. Faticava a percepire la punta delle dita di mani e piedi e le corde vocali erano insolitamente rigide.
«Tu hai ancora la tua Lingua d'Argento», osservò il Titano, lasciando trapelare un sorriso dalle labbra solitamente inespressive.
Loki aggrottò le sopracciglia. «Suppongo di doverti ringraziare per non aver tenuto fede alla tua minaccia».
Una risata roca vibrò nella gola di Thanos. «Per essere un bimbo, sei sempre stato piuttosto intelligente».
«Non giriamoci intorno, Eterno», tagliò corto Loki. «Cosa vuoi da me?».
«Sorprendimi asgardiano».
Loki serrò le labbra, inspirando forte dal naso.
L'aria della sala era gelida, e il fiato si condensò in una piccola nuvola di vapore. Tutto ciò che vedeva intorno a lui; le rocce, il cielo trapuntato di migliaia di stelle, le pozzanghere di acqua gelata; erano solo un ologramma, una simulazione del pianeta natale del Titano, ormai scomparso per sempre. Quel luogo lo metteva a disagio, e non solo perché custodiva il ricordo del primo incontro con l'Eterno.
L'insinuazione di Thanos era corretta. Raramente sbagliava, quando decideva di parlare.
Loki possedeva un'idea piuttosto precisa del suo ruolo nei suoi piani, e la cosa lo spaventava.
Aveva già visto come andava a finire a quelli che credevano di aver capito i giochi di potere del Titano. Di loro non era rimasto molto più di qualche granello di polvere.
Fingere di non sapere sarebbe stato inutile, per cui la sua unica speranza era quella di riuscire a sostenere l'ennesima finzione abbastanza a lungo.
«Il Guanto dell'Infinito», dichiarò Loki, senza esitazione. «È l'unica cosa celata nella Sala delle Armi di Odino che possa avere un qualche valore per te».
L'espressione di Thanos rimase impassibile, ma qualcosa nel suo sguardo trasudava compiacimento. «Quel manufatto appartiene alla mia stirpe. È tempo che io sfrutti il suo potenziale», la voce di roccia di Thanos si colorò appena di una nota più calda, e Loki ormai aveva imparato a riconoscerla.
Era bramosia. Fame di potere.
Quel genere di ambizione che si lascia dietro solo cenere e morte.
Loki aveva già imparato a sue spese che con Thanos non esisteva una parte da cui stare, una scelta. Ubbidire al suo volere era puro istinto di sopravvivenza.
E se esisteva una verità universale riguardo al Dio degli Inganni era che non aveva mai desiderato morire.
«Cosa ne ottengo in cambio?», chiese, immaginando le vuote promesse con cui Thanos lo avrebbe allettato.
Thanos fece una carezza distratta ai capelli di Lei, che continuava ad osservare l'asgardiano con ingordigia. «Dentro di te c'è ancora una luce, figlio di Laufey. Porta a termine il tuo compito e ti permetterò di estinguerla per sempre».
A stento Loki riuscì a calmare il proprio battito cardiaco, improvvisamente accelerato.
Era trascorso troppo tempo dall'ultima volta che era stato al cospetto di Thanos, aveva dimenticato quanto il Titano Pazzo lo conoscesse.
L'Eterno sorrise, pregustando sulla lingua la resa di Loki. «Avrai a disposizione l'intero esercito di Malekith. Lui ha avuto ordine di assisterti. Ora va», ordinò, con la sua solita voce calma e allo stesso tempo crudele. «Questa guerra è già durata abbastanza».
Loki fece solo un cenno con il capo, percependo la presenza dell'Altro, il chitauro, alle sue spalle.
«Questa volta, non fallire», gli disse la creatura, con la voce di Thanos. «Non saremo clementi una seconda volta».
Quando l'asgardiano lasciò la stanza, Lei passò le braccia intorno alle spalle di Thanos. «Davvero intendi lasciargli uccidere l'umana?».
Thanos soffiò una risata, tra i denti stretti. «No. Quella luce dentro di lui lo rende debole. E io ho bisogno che lui rimanga tale».

L'inattesa ospite asgardiana non era Lady Sif, ma un'imponente e giunonica donna, con i capelli color rame, che si era presentata come Amora.
Era vestita come un soldato, e non aveva la tendenza a sorridere.
In modo irriverente, Stark aveva fatto notare a Fury che sembrava fatta apposta per lui.
Clint aveva annoverato l'occhiataccia rivolta al miliardario dal Direttore tra le cinque peggiori che avesse mai visto. Le altre quattro erano state tutte rivolte a lui, seguite immediatamente da missioni in cui aveva rischiato puntualmente la pelle.
Lady Amora parlava con autorità e decisione, mentre descriveva ciò che era accaduto ad Asgard solo poche ore prima, mentre quegli strani terremoti squassavano Parigi e Londra. L'aspetto della Dea incuteva un certo timore. Perfino Steve Rogers al suo fianco appariva come un ragazzino che giocava al supereroe con un il coperchio di un bidone della spazzatura al posto dello scudo di vibranio.
«La situazione ad Asgard è critica», concluse Amora. «Il Principe Thor mi ha inviato in sua rappresentanza a chiedere il vostro aiuto, in quanto Eroi della Terra e suoi compagni. Le nostre spie hanno riportato del movimento tra le file dell'esercito nemico. Ci aspettiamo un attacco nel giro di poche ore».
La mente addestrata di Rogers aveva già elaborato in fretta le informazioni fornite dall'asgardiana. «L'inferiorità numerica è notevole», osservò. Per quanto eroi più forti della Terra, loro erano solo cinque, e non riusciva ad immaginare come la loro presenza potesse cambiare realmente qualcosa in un esercito così avanzato come quello asgardiano.
«Non è stata un problema a New York», gli ricordò Tony, per il solo gusto di contraddirlo.
«Se escludiamo il fatto che sei finito con un missile sulla schiena nella versione 2.0 dello Stargate», lo punzecchiò Clint, giocherellando con la cinghia del parabraccio.
«Piantatela», tagliò corto Steve, rivolgendo di nuovo la sua attenzione ad Amora.
«Cosa sta accadendo di preciso ad Asgard? Che ruolo hanno Khalida e Loki in tutto questo?», domandò.
Amora posò la mano destra sulla spada. «Il Principe Thor aveva richiesto l'aiuto dell'umana solo per rintracciare il fratello, il quale era ragionevolmente in possesso di molte informazioni riguardo l'essere chiamato Thanos. Subito dopo le esequie della Regina, era previsto che Khalida tornasse a casa».  Sospirò profondamente. «Sfortunatamente l'umana è stata attaccata dal comandante degli Elfi Oscuri, mentre tentava di fuggire attraverso il Bifrost. Lady Sif, incaricata della sua protezione, si trova ancora nella Camera di Guarigione in seguito alla ferite riportate nello scontro. Non conosciamo la sorte di Lady Khalida».
«Starà bene?», domandò l'agente Coulson.
«Vivrà», replicò Amora. «Se vinceremo la battaglia che incombe all'orizzonte».
«E Loki? Si trova anche lui ad Asgard?», chiese Fury.
«Non al momento. Il Principe Thor gli ha affidato un incarico».
Un silenzio imbarazzante calò sul gruppo.
«Che diavolo...», iniziò Clint.
«Ha perso completamente la testa?», sbottò Coulson.
«Non ha mai brillato per intelligenza...», rincarò Tony.
«Che tipo di incarico?», la voce di Natasha sovrastò quella di tutti gli altri, mettendo a tacere a poco a poco le proteste.
Amora sostenne lo sguardo della Vedova Nera. «Non mi è stato detto. Solo il Principe conosce la risposta».
«Si fida di Loki?», intervenne Bruce, sorpreso, quasi parlando tra sé e sé.
«Il Principe Loki è un asgardiano, per quanto a lui piaccia pensare il contrario. Thor sa che combatterà per la sua città», rispose Amora. «E ora, se avete terminato con le domande, posso avere la vostra risposta?».
Steve, Tony e Bruce si scambiarono una lunga occhiata.
Clint, istintivamente guardò Natasha, che a sua volta scrutava le reazioni del Direttore Fury.
Nick Fury si massaggiò la radice del naso. «Questa decisione spetta a voi. Lo S.H.I.E.L.D. può solo tentare di rimediare ai danni qui sulla Terra», iniziò, incrociando le braccia al petto. «Fermare ciò che sta succedendo è compito vostro. Salvare Asgard è difendere la Terra».
Steve Rogers strinse appena il pugno al fianco. Cercò il consenso negli occhi dei suoi compagni, ottenendo da ognuno di loro un cenno d'assenso.
«Preparate l'armatura. Andiamo ad Asgard».

Seduta a gambe incrociate sul letto, Match in bilico sulle ginocchia, Khalida si sforzava di riflettere, respirando profondamente.
Aveva tentato di raggiungere l'entità all'interno del manufatto, ma era stata una pessima idea. Ci aveva guadagnato solo un attacco violento di epistassi e un mal di testa mai provato prima.
Il suo fisico era troppo debilitato per sostenere quel tipo di sforzo, e forse non ne sarebbe più stato in grado.
Aveva dormito per diverse ore, ma ugualmente si sentiva stremata.
Non aveva la minima idea di dove si trovasse.
Dopo aver somministrato la droga a Loki, e averne subito a sua volta gli effetti, un Elfo l'aveva prelevata dalla sua cella e trasportata in quella stanza. Era stato un tragitto piuttosto lungo, e Khalida sospettava di non essere più sul pianeta natale degli Elfi Oscuri, o dovunque fosse quel buco in cui l'avevano rinchiusa.
La ricompensa per il suo tradimento era una vera stanza, ammobiliata con gusto eccentrico e singolare, ma pur sempre con un letto vero, del cibo e la possibilità di cambiarsi d'abito e fare un bagno.
La prima volta che l'aveva vista, risvegliandosi dalla paralisi indotta dalla droga, aveva soffocato un conato di vomito.
Non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, eppure non possedeva altra scelta se non quella.
Non era la sua vita che stava tentando di difendere, né quella di Loki.
Non più.
Ivy non aveva armi in quello scontro intergalattico, e doveva restarne fuori in ogni modo.
Se Thanos avesse scoperto la sua esistenza, non se lo sarebbe mai perdonata.
Involontariamente, Khalida aveva stretto le dita intorno all'impugnatura di Match, stampandosi la trama della filigrana sul palmo della mano. Sciogliendo le spalle contratte, si alzò in piedi, misurando la stanza a lunghi passi.
La meditazione non stava funzionando, la sua mente era un caos di preoccupazioni, rimorsi e rimpianti. Non aveva nessun piano, né alcuna possibilità di sfuggire da dovunque fosse.
Era del tutto in balia degli eventi, e questo significava che doveva giocare ogni singola carta che aveva ancora nel mazzo.
Un fruscio leggerissimo la sorprese alle spalle.
Khalida non sentì il bisogno di voltarsi.
La partita decisiva della sua vita era appena cominciata.

In piedi sulla soglia della stanza, attorniato da un manipolo di Dannati, Loki la fissò a lungo.
Fece un lieve cenno con la mano. «Lasciateci», ordinò agli Elfi Oscuri, che ubbidirono senza emettere alcun suono.
Una scintilla di rabbia divampò nel petto di Khalida. «Vedo che Thanos non ha faticato molto a convincerti», disse.
Gli occhi di Loki si strinsero. «Sicuramente molto di più che per convincere te», la pugnalò con quella frase, in modo freddo e spietato, guardandola poi sanguinare.
E con il sangue, svanì anche al rabbia di Khalida, così come era comparsa.
«Non implorerò perdono», mormorò, stringendosi le braccia al petto. «Ho fatto ciò che dovevo per sopravvivere», aggiunse, voltandosi.
Impercettibili rughe si formarono agli angoli della bocca di Loki, una smorfia appena celata.
«Per me, eri disposta a morire».
Khalida sollevò il mento. «È vero», ammise. «Ma ora ho un motivo per continuare a vivere», concluse, rabbrividendo, quando incrociò gli occhi verdi dell'asgardiano.
Loki indossava l'armatura completa, scintillante e letale, come lei l'aveva sempre percepito.
Per l'ennesima volta, ebbe la sensazione di guardare in faccia la propria morte.
Poi accadde.
In un battito di ciglia e di cuore, il volto di Loki passò dall'apatia al divertimento, e nella testa di Khalida la sua risata risuonò come un gong foriero di distruzione.
«Cosa c'è di così divertente?», chiese, risentita e inquieta.
Loki si prese ancora qualche secondo per sfogare la sua ilarità, muovendo qualche passo nella stanza. «Sei sempre stata così ridicola nelle tue convinzioni».
Qualcosa scattò nella mente di Khalida, una consapevolezza che fino ad allora era rimasta ai margini della sua mente.
«Perché sei qui, Loki? Cosa stai architettando?».
«La mia redenzione», rispose lui, in modo sibillino.
«Parla chiaro Loki!», esclamò Khalida, irritata, facendo istintivamente un passo verso di lui.
Loki non fece caso al tono autoritario della donna. «Pensa a come tutto suoni armonioso. Il cattivo rapisce la donzella in difficoltà, il povero eroe sfortunato accorre in suo soccorso, ma per salvarle la vita deve sottostare a un terribile ricatto, che lo costringerà a tradire la sua città e l'amato fratello da poco ritrovato».
Il fiato scappò dai polmoni di Khalida. Era quasi ironico, a guardarlo dall'esterno.
«Intendi sul serio usarmi come scusa per giustificare il fatto che hai deciso di collaborare con Thanos?», domandò. Non era arrabbiata, né offesa, anzi.
Si domandava come avesse fatto a non arrivarci prima.
Era una strategia valida, a tratti geniale.
Una finzione elaborata, ragionata, da chissà quanto tempo.
«Asgard ama le storie tragiche, e i martiri ancor di più», assentì Loki, sorridendo.
Annuendo, con fare distratto, Khalida si sedette sul bordo del letto.
«Mi aspettavo di vederti più... alterata», ammise Loki, scrutandola a fondo.
Khalida si strinse nelle spalle. «A cosa servirebbe?», chiese, ironica. «Probabilmente funzionerà. Conoscendo Thor farà di tutto per crederci. E tu sei un attore convincente».
Un barlume di sorpresa brillò negli occhi di Loki.
Intuendone il motivo, Khalida gli sorrise in modo stanco. «Sul serio credevi che fossi dalla sua parte? Ormai dovresti conoscermi».
«E da che parte saresti?», per una volta, la scintilla di curiosità nella voce di Loki sembrava genuina.
Khalida sospirò. «Mi piacerebbe davvero dire che sono dalla mia parte, ma non voglio mentirti», una breve pausa, in cui la donna fissò gli occhi neri in quelli di Loki. «Sono sempre stata dalla tua parte, e probabilmente lo sarò sempre».
«E questo dovrebbe significare qualcosa?», la derise Loki.
«È la verità, Loki. Puoi farne ciò che vuoi», replicò Khalida poi, senza aspettare una risposta da parte dell'asgardiano lo incalzò. «Cosa vuole Thanos da te?».
«Ti aspetti che ne parli con te?».
Khalida alzò un sopracciglio. «Mi hai coinvolta tu in questa storia. Almeno fammi il favore di essere onesto sulla posta in gioco».
Loki forse ebbe l'onestà di ammettere che la donna non aveva tutti i torti. «Thanos vuole che recuperi per lui un manufatto dalla Sala delle Armi su Asgard».
«Lo Scrigno degli Antichi Inverni?», ipotizzò Khalida.
«No. Un oggetto antichissimo chiamato Guanto dell'Infinito».
«Il nome non promette bene», commentò lei, lasciandosi sfuggire un breve sorriso, che Loki ricambiò. «A cosa serve?».
«Centinaia di anni prima della creazione dei Nove Mondi, gli esseri più potenti dell'Universo, gli Antichi, crearono sei Gemme e in esse racchiusero il controllo assoluto su spazio, tempo, anime, realtà, potere e mente. Con la loro estinzione, l'ubicazione delle Gemme venne dimenticata. Fino a quando gli Eterni; loro diretti discendenti, anche se inferiori; non ritrovarono la Gemma della Mente. Grazie all'immensa sapienza celata al suo interno, costruirono il Guanto dell'Infinito, un dispositivo in grado di controllare e utilizzare il potere di ognuna di queste Gemme, perfino di localizzarle, in alcuni casi».
«Gli Eterni? Quindi il popolo a cui appartiene Thanos», commentò Khalida.
«Thanos non possiede più un popolo. È l'ultimo della sua razza, dato che ha sterminato ogni singolo Eterno vivente, cominciando dalla propria madre».
Khalida rabbrividì, ma evitò di concentrarsi troppo su quel dettaglio. «Se Odino possiede questo Guanto, perché non l'ha mai usato?».
«Fu il padre di Odino, Bor, a stabilire che il Guanto non dovesse mai essere utilizzato, ritenendolo troppo pericoloso. Nessuna creatura vivente può sostenere a lungo un potere del genere senza bruciare».
«E le Gemme? Dove si trovano?», domandò ancora Khalida, ora sinceramente curiosa.
«Nel corso degli anni a volte sono giunte notizie ad Asgard del loro ritrovamento. Odino si è sempre preoccupato di accertare la verità di quelle voci e poi di nascondere nuovamente la Gemma. L'ultima notizia del genere risale a quando ero poco più di un bambino».
«Thanos ne possiede qualcuna?».
Loki gettò uno sguardo impercettibile allo Scettro e al Tesseract che brillava sulla sua cima. «Se è così, ha tenuto l'informazione per sé, ma non credo che cercherebbe il Guanto, se non fosse in possesso di almeno una delle Gemme».
Khalida si passò una mano tra i capelli, accarezzando l'asta di Match con la punta delle dita. «Se il potere di questo manufatto è così immenso, come farà Thanos ad utilizzarlo?».
«Lui appartiene alla razza che l'ha creato. È in grado di resistere al suo potere per un tempo ragionevole».
«Ma alla fine anche lui verrà consumato da quel potere», concluse Khalida, seguendo il ragionamento di Loki. «Non possiamo semplicemente darglielo ed aspettare che si uccida da solo?», domandò.
Loki sorrise. «Non è così semplice. Se Thanos completasse il Guanto, sarebbe in grado di distruggere l'intero universo con un semplice gesto. Niente gli sarebbe impossibile».
Khalida strinse le labbra, raggelata da una simile prospettiva. Lei teneva solo ad una vita, in tutti i Nove Mondi, ma questo non significava che il resto delle persone gli fosse indifferente.
Qualcuno bussò forte alla porta della stanza, spezzando il caos calmo di quella conversazione piena di sottintesi. Il rumore risuonò a lungo nelle pareti, e per la prima volta Khalida ebbe il sospetto di trovarsi a bordo di una sorta di astronave, e non su un pianeta.
«Asgardiano, il nostro signore attende», annunciò una voce di cenere e fuoco.
«Sono io il tuo signore, Elfo», replicò Loki, assumendo un tono quasi feroce.
Khalida cercò il suo sguardo, ma lui sfuggì i suoi occhi, indossando l'elmo dorato.
Con uno sfarfallio verde, sulle sue spalle comparve il solito mantello oro cupo.
Un nodo alla gola costrinse Khalida a deglutire.
«Dimmi solo una cosa, Loki», iniziò, attirando finalmente lo sguardo del Dio degli Inganni. «Nel tuo piano è previsto che io sopravviva?».
Loki sollevò un angolo della bocca, dando poi le spalle alla donna.
Ad un suo gesto, la porta della stanza scivolò sui cardini, spalancandosi senza fare rumore.
«Credo che tu conosca già la risposta a questa domanda», disse Loki, prima di scomparire nel corridoio buio.
Khalida sentì le lacrime premere agli angoli degli occhi.
«Dopotutto, Asgard ha sempre amato i martiri».
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La colonna sonora dell'intero capitolo è "Final Masquerade" dei Linkin Park.

Aspetto con ansia le vostre impressioni.


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Nicole :***

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