In the name of love

di Revysmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Sympathy for the devil ***
Capitolo 2: *** 02. Rock the casbah ***
Capitolo 3: *** 03. Come together ***
Capitolo 4: *** 04. Baba O'Riley ***
Capitolo 5: *** Ode to my Family ***
Capitolo 6: *** 06. Solitary Man ***
Capitolo 7: *** 07. Know your enemy. ***
Capitolo 8: *** 08. Dear doctor ***



Capitolo 1
*** 01. Sympathy for the devil ***


 

ATTENZIONE: Ovviamente tutti i personaggi presenti appartengono ad Himayura Hidekazu, tranne gli OC che sono miei.

Alcuni personaggi durante la storia forse diventeranno leggermente OOC, anche se mi impegnerò affinchè ciò non accada, comunque il raiting non riflette questo capitolo ma proseguendo la storia tratterà alcune tematiche per le quali la fascia arancione è la più indicata.

Inoltre in questo capitolo, non conoscendolo, ho chiamato Taiwan Mei Mei seguendo il consiglio di una mia amica, tuttavia c'è qualcuno che conosce il suo vero nome? Io non l'ho trovato...

Che altro posso aggiungere? Ah già, per alcune spiegazioni (scelta dei pairings) guardate a fondo pagina!

Buona lettura!

 

 

01.Sympathy for the devil.

 

 

Nel mio attuale stato d'incoscienza sento... dei tamburi? E' possibile?

Mi sembra anche di sentire una specie di urlo che mi ricorda... ma che cazzo ne so! L'unica cosa che voglio è che smetta!

E invece non la smette, però intanto la mia coscienza prende possesso del mio corpo: non riesco ad aprire i miei occhi ma sento caldo e morbido attorno a me, come se fosse un abbraccio materno...

Un abbraccio...

A questa sensazione si unisce improvvisamente un ricordo vago e sbiadito, assieme ad una voce che mi sussurra qualcosa.

"Please allow me

to introduce myself..."

No. Sono sicuro che la voce non diceva così, ma ormai è troppo tardi. Questa parvenza di sogno svanisce in fretta ed io mi accorgo solo adesso di essere completamente avvolto nelle coperte di un letto, anzi del mio letto, in uno squallido appartamento, mio anch'esso, mentre la mia sveglia gracchia "Sympathy for the devil" dei Rolling Stones.

Con sommo sforzo alzo una mano per spegnere l'apparecchio, ma con scarsi risultati, e alla fine riesco solo a farlo cadere dal comodino, non senza prima aver visto l'ora che segnava.

Le 7:00.

Perchè fra tutti i musicisti, che normalmente sono soliti alzarsi a mezzogiorno, io sono l'unico che deve svegliarsi alle 7:00?

Non faccio nemmeno in tempo a sedermi decentemente che mi assale un'ondata di nausea, procurandomi un violento mal di testa e soprattutto riportandomi alla mente pochi

e confusi ricordi della serata precedente.

Scavando fra quel poco che rammento di ieri sera, mi basta solo qualche attimo per realizzare di chi fosse la colpa del mio stato di post sbornia, ovvero di Ivan Braginski e di quel suo maledetto "Dai Arthur! Beviamo un altro bicchiere!"

Possibile che quello riesca a trangugiare la vodka come se fosse acqua minerale?!

Dopo aver spento la sveglia e raccolto i vestiti, che non ricordo di essermi tolto e di aver buttato per terra, mi dirigo pigramente in bagno nella speranza che una bella doccia migliori le mie attuali condizioni psicofisiche.

Mentre l'acqua colpisce il mio viso e scorre velocemente sul mio corpo mi ritrovo ancora a pensare a quel maledetto russo, che altro non è che il mio chitarrista.

Di certo le strane correnti della musica che hanno portato Ivan a suonare nel mio gruppo costituiscono una storia alquanto strana e interessante.

Ma ora non ho tempo di rimurginare riguardo alla biografia della mia band, e se non mi affretto, rischio di perdere il treno e di non fare colazione.

Una volta terminata la doccia, mi ritrovo con tutte le mie vaghe speranze deluse: infatti l'acqua tiepida (quella calda è un'utopia a casa mia) non solo ha peggiorato la mia nausea e mi ha infreddolito, ma mentre mi lavavo mi sono accorto di avere non uno, ma ben due succhiotti sul collo.

Cristo santo, che cazzo ho fatto ieri sera?

Non ricordo...

Comunque chiudo in fretta il capitolo nella mia mente sulla serata precedente e corro a vestirmi ed a recuperare la mia tracolla.

Appena prima di uscire dal mio appartemento mi guardo allo specchio, e rimango in dubbio se siano peggio quelle due grandi occhiaie che mi adornano il viso oppure i miei capelli, che hanno un moto di ribellione ed avversione verso il concetto di costituire una testa ben pettinata.

Alla fine, con un moto di delusa rassegnazione, lascio in pace la mia pettinatura e, dopo essermi munito di sciarpa per coprire i segni rossi, mi fiondo fuori.

Prima di dirigermi verso la stazione faccio rotta verso il bar Eliotropilaki, che è gestito da una di quelle poche persone che oso definire amici, per una colazione che mi permetta di continuare questa giornata iniziata già nel peggiore dei modi.

Appena varco la porta del locale un aroma di caffè mi assale, anche se, nelle mie attuali condizioni, non fa altro che incrementare la mia nausea.

-Buongiorno. Come ti senti stamattina?- mi chiede Herecles, il padrone del bar, mentre pulisce un bicchiere.

Nel locale c'è poca gente ma decido comunque di sedermi al bancone, più che per parlare con il greco, per interrogarlo riguardo alla serata precedente di cui io non conservavo che pochi e frammentari ricordi.

- Non molto bene- biascico in modo apatico rispondendo alla domanda.

-Lo vedo... Dovresti evitare di bere come Ivan, non puoi raggiungere il suo livello.- dice con una punta d'ironia mentre traffica con delle tazzine.

-Era ubriaco?-

-Era sobrio, e ti ha portato praticamente in spalla fino a casa tua.-

Penso che la mia espressione di puro disgusto per le mie condizioni, di imbarazzo per essere stato preso in braccio da Ivan, e di pura irritazione per tutto ciò sia particolarmente buffa perchè come risposta il greco si mette a ridere sguaiatamente.

-Oh sì... Molto divertente Heracles. Grazie davvero.- rispondo in tono acido.

-Non ti arrabbiare.- dice recuperando la sua solita espressione -Ti è andata bene la serata.- aggiunge armeggiando con una caffettiera.

-Vorresti essere un po' più chiaro, sai com'è, non ricordo molto.- il mio modo di parlare in questo momento sembra quello di una vecchia zitella inacidita dall'età.

-Ti rispondo con una minaccia- mi dice porgendomi una tazza di the. Ormai sono anni che vengo qui tutti i giorni, non c'è nemmeno più bisogno che ordini.

-Ovvero?-

-Lascia ancora un presevartivo usato sul pavimento del bagno e sei finito.- all'apparenza sembra che scherzi, ma se Heracles Karpusi dice una cosa è pronto a metterla in pratica.

Meglio non farlo arrabbiare.

E qui mi sorge un altro dubbio.

-Heracles... Chi era?- ora la ia voce ha un tono più nervoso.

Il greco non mi risponde subito, ma indugia come pregustandosi la mia reazione.

-Effettivamente questa è una storia alquanto interessante.- dice con molta lentezza mentre prepara un piatto con sopra delle calde brioches, appena sfornate.

Io intanto, attendendo la risposta un po' preoccupato, inizio a sorseggiare il mio the.

-Credo che troverai piuttosto buffo il fatto che, nonostante l'odio atavico che dici di provare per l'intera stirpe Wang, ieri sera ti sei trombato la Mei Mei.-

E così il the, che a dirla tutta ha uno strano retrogusto, prende la via sbagliata nel mio esofago ed andandomi tutto di traverso mi ribalto dallo sgabello tossendo e sputacchiando ovunque, anche sulla gamba del cliente a fianco.

-Cioè, tipo, ma stai bene?- mi chiede Feliks, ovvero il cameriere polacco assunto da Heracles.

Io non rispondo, mi limito a rantolare qualcosa mentre il greco mi guarda con aria indifferente nonostante io sia sull'orlo dell'asfissia.

Comunque la storia che riguarda le nostre avversità con la famiglia Wang, e con tutti gli avventori del suo locale, è conosciuta da queste parti come “La guerra dei due fiori”.

Il tono è molto epico, ma di fatto è una faccenda che sfora nel demenziale.

Risale a qualche anno fa quando la mia band era ancora agli albori e fummo praticamente adottati da Heracles, che spesso e volentieri ci faceva suonare per lui.

Le cose sembravano procedere in modo tranquillo e pacifico, infatti ,grazie al nostro amico greco che ci faceva non poca pubblicità, anche altri iniziarono ad ingaggiarci e gli affari per noi andavano discretamente.

La situazio iniziò a peggiorare quando un'altra band cominciò ad emergere, sostenuta anch'essa da un locale che risiedeva nella nostra stessa città, di conseguenza creandoci non poca concorrenza.

Ovviamente fra noi due scoppiò una sana rivalità e avversione (anche perchè, musicalmente parlando, eravamo proprio incopatili: noi rock, loro emo) ma il vero problema era rappresentato dai nostri sostenitori.

Difatti Heracles aveva, fra i tanti, nemici dichiarati ai primi posti della sua classifica personale Yao Wang, gestore del Fiore di loto e sostenitore degli Asian Tigers, ovvero la band sopracitata.

Inoltre, a peggiorare ulteriormente la situazione, c'era anche l'ubicazione di questi due locali, infatti erano esattamente uno davanti all'altro, divisi solo da una strada di periferia larga pochi metri.

Le conseguenze possono essere facilmente immaginabili.

Questo è più o meno il riassunto della “Guerra dei due fiori”.

Il fatto che io ieri sera sia andato con Mei Mei, ovvero la cantante del suddetto gruppo, è una cosa abbastanza piuttosto malfamante.

Okay, tralasciando la faida dei bar, gli Asian Tigers ci odiano a morte soprattutto per un altro motivo. Infatti io e la mia band gli avevamo buttati fuori da una delle più importanti competizioni musicali organizzate negli ultimi anni; è da allora che covano delle tremende vendette.

Tuttavia preferisco interrompere i miei ricordi qui, continuare aprirebbe un capitolo della mia vita in cui appare un emerito pezzo di merda che al momento non ho voglia di ricordare.

Anche se attualmente di merda si tratta.

Infatti per colpa di quel bastardo vendicativo di un greco, mentre sono al rinchiuso nel gabinetto del treno, ho imparato a mie spese che cos'era lo strano retrogusto del mio the.

Che vada al diavolo! Ieri non ero in me, altrimenti non sarei mai e poi mai andato con Mei Mei, quindi non vedo perchè abbia dovuto aggiungere del lassativo alla mia colazione per vendicarsi.

-Signore, è lì dentro da molto. Si sente bene?- mi chiede qualcuno.

-Sì. Ora esco!-

E invece no che non va bene, idiota! Sono appena stato drogato da un greco e ho ancora addosso tutti i sintomi del post sbornia!

Mentre io cago l'anima, mi sto dirigendo in una cittadina dove forse riesco a ricavare un mezzo ingaggio presso un locale abbastanza carino.

Dopo venti minuti passati in quel cubicolo torno al mio posto, nonostante abbia ancora lo stomaco in subbuglio, e mi siedo davanti a un vecchio con la barba che legge un giornale.

Mi lascio cadere sul sedile ed intanto mi immergo alla ricerca di un stupido pezzo di carta e di una matita.

Probabilmente non riuscirò a scrivere niente di nuovo, ma non si sa mai dato che devo assolutamente partorire nuove canzoni.

-Wow! Hai visto?- sento urlare una voce femminile dal sedile dietro al mio.

-Nooo! Ma è lui?- risponde un'altra.

Per un attimo sento il rossore avvampare sulle mie gote, che qualcuno mi abbia riconosciuto?

-E' un articolo su Alfred F. Jones! Il cantante!-

A queste parole, per la rabbia, strizzo il foglio che ho finalmente trovato insieme alla matita.

Detesto quel quattrocchi con tutte le mie forze.

-Io lo adoro, è bello e bravissimo!- dice una.

E qui avrei qualche obbiezione.

-Lo sai che ha iniziato la sua carriera proprio qui in Inghilterra? -

E' frustante il fatto che io sia qui ad ascoltare la discussione di queste due ragazzine.

-Ovvio! Suonava con un gruppo detto Underdogs, ma poi si sciolsero.-

Brutta ignorante, il gruppo di cui stai parlando non si è mai sciolto! Semplicemente hanno buttato fuori Jones, anche se era il loro cantante e primo chitarrista.

-Già, però è un bene! Così ha scritto “A sad story”-

CRACK. Mi ritrovo con in mano la matita spezzata, mentre il signore che ho davanti mi guarda con cipiglio severo.

Tuttavia è colpa di queste due qui dietro, non si dicono certe eresie in mia presenza!

Dopotutto tutti lo sanno che non fu lui a scrivere quella canzone.

Okay, forse lo sanno tutti.

Comunque ne ho sentite abbastanza e, siccome non posso cambiare posto dato che nel vagone non ce ne sono altri liberi, mi infilo gli auricolari del mio mp3, isolandomi dal resto del mondo.

Ho abbandonato da tempo l'idea di scriverre canzoni traendo ispirazione dai discorsi della gente, chiudo gli occhi e mi lascio semplicemente cullare dalla musica, aspettando l'arrivo della mia stazione.

 

 

 

Ahem... Penso sia il caso di spiegare alcune cose riguardo a questa storia...

Come i pairings ad esempio...

Ci tengo a specificare, a mia discolpa, che mentre ADORO il pairing della FrUk, mentre quello della RussiaXGrecia sono stata assolutamente obbligata a metterlo in seguito ad una scommessa persa con Lyn91.

Difatti, un giorno, eravamo insieme al Burger King e lei dichiarò di aver così fame che sarebbe stata capace di mangiare due panini, le patatine più un dessert. Ovviamente io sostenevo che non ci sarebbe mai riuscita, fu così che partì una scommessa : se lei fosse riuscita ad ingurgitare tutto quello che aveva dichiarato, io avrei inserito il suo pairing preferito nella mia storia.

Ebbene, ci riuscì.

 

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Capitolo 2
*** 02. Rock the casbah ***


 “Rockin the casbah,

rock the casbah!”

Sì cazzo: i Clash sì che sanno cosa vuol dire suonare!

Dopo aver distrutto i miei unici utensili per scrivere, tra l'altro a causa di un discorso fra ragazzine, ho abbandonato l'idea di tentare di comporre qualcosa, scegliendo di starmene buono, ad ascoltare la mia musica.

But as the wind

changed direction”

Tuttavia, mentre canticchio a bassa voce, un improvviso movimento proveniente dai miei pantaloni mi fa sobbalzare, strappandomi alle melodie della band inglese.

Mi sfilò celermente gli auricolari ed estraggo, non senza qualche difficoltà, il mio cellulare dalla tasca dei miei jeans, sul display lampeggia un numero sconosciuto, ma non mi pongo tanti problemi e rispondo con voce professionale.

-Pronto?-

-Arthur? Mi senti?-

Il suono di queste poche e semplici parole mi riscaldano l'animo, facendomi dimenticarmi della mia attuale, drammatica, situazione e riportandomi ad un'atmosfera casalinga.

-Ciao mamma. Come stai?- rispondo guardando fuori dal finestrino.

-Oh che bello sentirti! Vuol dire che sono riuscita a far funzionare questo aggeggio! Tu come stai?-

-Io sto bene, com'è il Belgio?- è la verità, sto bene, tralasciando le fitte allo stomaco, a causa di Heracles, e il mal di testa, a causa dei postumi della sbornia.

-E' molto bello! Dovresti venire almeno una volta!-

Mi piacerebbe mamma, ma al momento sono completamente al verde.

Questa è la risposta che vorrei darle ma decido che è meglio lasciar perdere, tende ad essere apprensiva riguardo alcuni aspetti.

Era partita per un viaggio in solitaria in Belgio qualche settiamana fa, a molti potrebbe sembrare una follia per una donna gironzolare sola e senza un motivo apparente per una nazione straniera, ma trattandosi di mia madre tutto ciò rientra nella norma.

-Dimmi, come va il lavoro?-

Ecco, questo è un colpo basso.

-Bene, al momento sto andando in un locale per trattare riguardo ad un ingaggio.-

-Roderich e Ivan non sono con te?-

-No, Roderich è al lavoro ed Ivan l'ho lasciato a casa. Temevo che avrebbe sparato qualche frase delle sue da pazzo psicotico e-

Ma non faccio in tempo a finire di parlare che lei conclude al posto mio la frase.

-E voi avete bisogno di quel lavoro perchè siete sul lastrico, giusto?-

Ogni volta che accade qualcosa di simile mi lascia interdetto.

-Hai i superpoteri, mamma? Mi leggi nel pensiero?-

-No Arthur, sono semplicemente tua madre.- mi risponde sospirando.

La discussione non dura ancora molto, mi racconta qualcosa del Belgio e mi chiede di me, del gruppo e delle mie giornate passate tra l'Eliotropilaki e la sala prove.

Inoltre mi informa anche che ha chiamato mio fratello Sean a Cardiff, il quale le ha detto che presto sarà il papà di una bambina, mentre mia sorella è stata licenziata per l'ennesima volta.

La chiamata termina presto e quando arrivo alla mia stazione ho già riattaccato.

Mi ha reso felice sentire la voce di mia madre, che a mio parere è la donna più straordinaria che io abbia mai incontrato, infatti in una piccola casetta di periferia riuscì a crescere, completamente da sola e senza aiuti, me ed i miei cinque fratelli.

E' da tanto che non li vedo, hanno tutti cambiato città ed inoltre i nostri rapporti non sono così rosei da permetterci viaggi di piacere per ritrovarci. Ripensandoci è una cosa un po' triste, ma ormai mi sono abituato ad essere solo.

Con questi pensieri arrivo finalmente al locale e intavolo le trattative con il gestore, il quale sembra molto entusiasta di farci suonare per lui.

Non mi trattengo ancora a lungo, giusto il tempo di mangiare qualcosa, anche se in realtà si tratta di un misero pasto data la mia nausea persistente, per poi fiondarmi in stazione a prendere il primo treno per tornare alla mia città per un orario decente visto l'impegno che avevo quel pomeriggio.

Il viaggio di ritorno procede senza intoppi e incazzature varie, anche perchè praticamente entro in coma sul sedile, risvegliandomi giusto cinque minuti prima dell'arrivo alla mia fermata.

Il grigiore del cielo accompagna i miei spostamenti attraverso la città mentre mi dirigo a casa mia per recuperare i miei strumenti e in seguito per raggiungere una sala prove dove gli altri, due, componenti della band mi stanno aspettando.

Sinceramente, piuttosto che andare lì ed apprestarmi a fare quello che abbiamo stabilito preferisco prendermi a martellate i mignoli dei piedi, tuttavia le nostre condizioni sono disastrose e non ho altra scelta.

Questo pomeriggio avremmo indetto delle audizioni per trovare un nuovo bassista.

 

Quando finalmente arrivo nel luogo prestabilito trovo un discreto gruppo di persone in fila, tutte rigorosamente con il proprio strumento in spalla, per iniziare l'audizione. Appena mi vedono, carico della mia chitarra, in molti mi stringono la mano e si presentano calorosamente, forse nella speranza di avere qualche possibilità in più di essere scelti.

Superando non qualche difficoltà riesco a farmi largo fra la folla e ad entrare nella sala che per ora è ancora chiusa agli aspiranti.

-Sei in ritardo Kirkland.- mi accoglie la voce antipatica di Roderich, il mio batterista.

Se la storia che ha portato Ivan a suonare nel mio gruppo è senz'altro interessante, la sua sfiora il demeziale, o il patetico, che dir si voglia.

-Hai una faccia orribile Arthur- aggiunge il russo con il suo solito sorriso glaciale – Risenti ancora dei postumi di ieri sera? Eppure ti sei divertito.-

-Vai a cagare.- la mia risposta acida sembra divertirlo ancora di più, infatti mi risponde sorridendo.

Lo conosco fin troppo bene, per la storia con Mei Mei mi ricatterà almeno per un mese.

-Allora, sei riuscito ad avere l'ingaggio o hai mandato a monte tutto con il tuo solito caratteraccio?- mi chiede l'austriaco guardandomi in modo torvo e con le braccia incrociate.

-Sei così antipatico perchè oggi è il tuo primo giorno di ciclo, Roderich? Comunque ci assumono, poi vi do' le date.- rispondo mentre accordo il mio strumento.

Con questa mia frase lapidatoria chiudo in fretta la discussione, sono ancora a pezzi e prima finiamo queste audizioni prima posso andare a casa e diventare una sola entità con il mio comdo, accogliente, amato divano.

Passiamo almeno un'ora a suonare insieme ed ascoltare musicisti mediocri o assolutamente scarsi ed io comincio ad avere i nervi a fior di pelle.

Ad un certo punto entra nella sala un ragazzo alto, con gli occhiali e lo sguardo gentile, di origine estoni e con un grosso talento musicale.

Per me la scelta è fatta, ce lo vedo benissimo come nostro bassista, ormai è già uno della band.

Con la coda dell'occhio osservo Ivan e Roderich, uno sorride e l'altro è serio, niente di strano, tuttavia un l'espressione del russo è libera da quella sua solita aurea spaventosa e lo sguardo corruciato dell'austrico... beh lo è meno del solito.

Li conosco bene e posso tranquillamente basarmi su queste loro poche reazioni per capire una cosa, l'estone ormai è con noi.

Comunque decidiamo di continuare le audizioni, anche se ormai non sono altro che una farsa, la nostra decisione l'abbiamo già presa.

Dopo il nostro futuro bassista, varca la soglia una delle figure che ci auguravano di non vedere, si capisce dalle spille sul gilet, dal passo altezzoso, dalla finta montatura vintage degli occhiali e soprattutto da quell'aria di puzza sotto il naso. Si tratta di uno dei cosidetti insopportabili “professorini del rock”.

Non importa se suoni da poco tempo o da una vita, lui supporrà di saperne sempre più di te e non perderà occasione per dimostrartelo.

Appena fa il suo ingresso ci squadra da cima a fondo ed in particolare si sofferma su di me ed Ivan, poi, aggiustandosi gli occhiali sul naso, comincia a presentarsi.

Dice di chiamarsi Brian, Brian e basta, niente cognomi, non siamo degni di saperlo, noi, band non da prima classifica, e poi continua decantando le sue doti da chitarrista.

Simultaneamente, appena le nostri menti colgono questo particolare, ci voltiamo gli uni verso gli altri, guardandoci con occhi alquanto sgranati.

-Questa è un'audizione per trovare un bassista, non un chitarrista.- gli fa notare Ivan con un sorriso deliziato, già pregustandosi la sua prematura fine.

-Lo so, ma non penso che voi abbiate bisogno di un bassista, ma di un chitarrista.- esordisce Brian squadrandomi.

-Mi sono informato riguardo a voi, tu- dice puntandomi – suoni il basso e canti mentre ora vorresti ritornare alla chitarra, giusto? Io invece penso che dovresti rimanere così come sei, invece lui- questa volta indica Ivan- farebbe meglio a passare alla seconda chitarra, e poi dovreste farmi entrare nella formazione come chitarrista principale, chiaro? Perchè un sound come il mio non lo possiede nessuno e così, saliremo in testa alle hit parade.

Ma questo lo potete fare solo con me, anche perchè, sinceramente, alcune tonalità canore riesco a raggiungerle solo io e come seconda voce sarei perfetto. Inoltre..-

Ma non tace neanche per respirare questo?

-con questo nuovo approccio potremmo salire in alto, mi capite no? Intendo in alto. Così facendo finalmente raggiungereste lo stesso livello di cantanti tipo Jones. Riuscite a comprendere vero? Perchè, in effetti vi seguo da un po' ed ho sempre pensato che tu, Kirkland, abbia sempre tentato di emularlo, ma, ora come ora, sei lontano anni luce da lui, mentre con me riusciresti ad avvicinarti almeno di una spanna, tutto cristallino?-

 

Aveva sentito l'annuncio per cercare il nuovo bassista di una band, che normalmente risiedeva in città, da un suo amico, musicista anche lui, e senza pensarci due volte aveva deciso di tentare.

Era in Inghilterra ormai da una settimana e non aveva ancora trovato un offerta di lavoro soddisfacente, mentre questa appariva senz'altro interessante.

Arrivato alla sala prove, tuttavia, si era trovato ultimo di una fila lunghissima, dopotutto erano un gruppo misicale abbastanza in vista, e quindi non aveva potuto far altro che mettersi seduto, a malincuore, ad aspettare il proprio turno con le speranze di esser scelto ormai dimezzate.

Era appena uscito un ragazzo con gli occhiali e il viso senz'altro soddisfatto, di chi ha suonato benissimo ed ha ottime possibilità di passare.

Subito dopo di lui era entrato un tizio tronfio che trasportava una chitarra, cosa di cui non si capacitava dato che era un'audizione per un bassista.

Era dentro da qualche minuto nella sala e si sentiva parecchia confusione.

Improvvisamente la porta si spalancò ed uscì l'aspirante musicista con gli occhiali storti ed il volto stralunato e terrorizzato, dietro di lui il seggiolino della battaria compiva un perfetto moto parabolico, ed atterrava esattamente a pochi centimetri da lui.

-Kirkland fermati, altrimenti fai scappare tutti.- si sentì una voce, marcata da un accento che sembrava tedesco, rompere il silenzio causato dallo sgomento dei presenti.

Non fece in tempo a capire la dinamica dell'accaduto che tutti sparirono, più velocemente della luce, anche il ragazzo con gli occhiali che sicuramente aveva suonato bene, e rimase lui, da solo.

-Il prossimo.- si sentì solamente chiamare dall'altra stanza.

 

Sento ancora il fiato pesante causato dalla recente esplosione di adrelina.

Senza pensare, avevo afferrato il seggiolino di Roderich, e l'avevo scagliato contro il professorino, non solo, sarei riuscito benissimo a colpirlo se non fossi inciampato in un cavo degli amplificatori.

-Tanto me lo ripaghi.- sentenzia semplicemente l'austriaco incrociando le braccia, intanto Ivan ha una smorfia imbronciata.

Sicuramente avrebbe voluto fare per primo quello che avevo fatto io.

L'unica cosa di cui mi pento è di aver fatto scappare tutti i presenti, anche il mio futuro bassista, sì, perchè ormai il suo ingresso è già deciso, o meglio era.

Sconsolato emetto un flebile -Il prossimo- con ben poche speranze di vedere qualcuno varcare quella soglia.

Dopo pochi attimi di silenzio, destando la mia sorpresa, sento dei passi avvicinarsi ed un uomo si affaccia sulla stanza.

-Vedo che non tutti si sono fatti intimorire da te, Kirkland- sentenzia ancora una volta Roderich.

-Qual'è il tuo nome?- chiede Ivan in modo cortese ma pur sempre imbronciato come un moccioso deluso.

Un biondino, alto e dalle eleganti movenze, avanza verso di noi e mi fissa sorridendomi.

-Mi chiamo Francis, Francis Bonnefoy.-

 

 

 

 

Ecco finalmente pubblicato il secondo capitolo, giusto il giorno del mio compleanno, interamente dedicato a mio fratello e alla sua smodata passione per i Clash.

Inoltre il sopracitato Sean Kirkland altri non è che Galles, un mio OC.

P.S. Ringrazio tutti quelli che hanno letto, seguito o recensito questa storia! Grazie davvero!

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Capitolo 3
*** 03. Come together ***


03. Come together.

 

I cavi sono collegati, i plettri in mano, Roderich è seduto su uno scatolone e noi siamo tutti pronti per iniziare a suonare.

Mentre stringo il manico della mia chitarra non posso fare a meno di osservare il nuovo venuto, Francis. Si era presentato in modo cortese e gentile, aveva detto di essersi trasferito da poco da una cittadina della Normandia, dopo aver prima abitato alcuni anni in Inghilterra, e di essersi interessato alla nostra proposta dopo averne sentito parlare da un suo amico, una volta tornato.

E' un tipo senz'altro strano e, sorvolando sulla mia naturale avversione, lo ammetto, spesso ingiustificata, per tutto quello che riguardi la Francia, c'è qualcosa nei suoi comportamenti che mi infastidisce particolarmente. Penso sia principalmente a causa del suo modo di comportarsi, infatti, non conosco l'opinione degli altri riguardo a lui, ma a me, appare semplicemente come un tipo vanitoso a cui piace darsi un sacco di arie al fine di essere fascinoso, pensando sia figo enfatizzare in modo assurdo i gesti pacati e lenti, il modo di parlare adagio o il scostarsi i capelli con fare teatrale. Che nervi! Mi bastano pochi attimi per inquadrarlo come il tipico bamboccio, cresciuto nella bambagia che per fingersi figo assume attegiamenti da prima donna melodrammatica e quindi

assolutamente incopatibile con persone come me, o come Ivan. Paragonandolo a Roderich invece la situazione non cambierebbe molto comunque, lui è incompatibile con l'umanità.

Tuttavia è da almeno una decina di minuti che ho abbandonato, temporaneamente, i miei atteggiamenti vagamente bellici, infatti realizzato che prima riesco a fargli suonare qualcosa, prima riesco a sbattergli in faccia la dura realtà, ovvero che i fighetti come lui non c'entrano nulla col nostro gruppo, e prima riesco a togliermelo dai piedi.

Abbandonando quindi i dissapori, inizialmente, gli avevamo fatto strimpellare qualcosa, per poi decidere di suonare un pezzo insieme.

Ora è esattamente al mio fianco, sorridente e leggermente curvo sul il suo strumento, giusto giusto, in modo che i suoi capelli biondi gli nascondano parzialmente il viso, donandogli, però, una posa senz'altro affascinante.

Ma cosa cacchio vado a pensare! E' un narcisista e basta!

-Allora, cosa volete fare?- chiede acido Roderich, sicuramente poco contento di essere seduto su uno scatolone vuoto, rimediato in modo fortuito dallo sgabuzzino degli attrezzi della sala prove.

Tutti stavamo tentando ormai da dieci minuti di non fare battutte sul fatto che il suo nuovo sgabello, un tempo, conteneva cartigenica, ma con scarsi risultati.

-Sei sicuro di volere un nuovo seggiolino? Direi che quello ti dona.- domanda sorridendo in modo fanciullesco Ivan.

Come risposta Roderich, per manifestare la sua massima irritazione decide di non insultare pesantemente il russo, ma, di “deliziarci le orecchie” con una melodia di Mozart che, tuttavia, avendo abbandonato il piano da anni, intona canticchiando a bocca chiusa.

Passati altri minuti in gaia demenzialità per poi finalmente fare le persone serie, per modo di dire, finalmente decidiamo di riprendere a suonare.

-Facciamo qualcosa dei Beatles.- propongo, girandomi verso il francese -Tu li conosci?- chiedo.

-Certamente.- risponde sorridendomi.

Certamente dice lui, adesso lo voglio vedere. Lo trovo assolutamente insopportabile, rimpiango già l'estone.

E poi perchè continua a sorridermi, non ho parole! Solo perchè è l'unico rimasto non vuol dire che lo prendiamo.

Okay, devo aggiungere però che finora non era stato male, anzi. Tuttavia deve guadagnarselo il posto!

Lo guardo con aria di sfida ed avanzo - Suoniamo “Yesterday”.-, anche se, detto così, il mio, più che una proposta sembrava un ordine.

Roderich è sul punto di darci il via ma veniamo interrotti da un -No, non mi piace.-

Appunto.

-Cosa intendi con “non mi piace”, Ivan? Prima iniziamo prima finiamo.- dico voltandomi verso di lui.

-Non mi piace e quindi non la suono.- sentenzia sorridendo.

Ma quanti anni ha? Cinque?

-Ho cambiato idea, non la voglio suonare nemmeno io.- aggiunge l'autriaco incrociando le braccia.

-Sei un bugiardo! Lo so benissimo che ti piace!- sbotto girandomi verso la batteria -Vuoi darmi contro solo per partito preso, perchè ho rotto il tuo sgabello.-

-Si chiama seggiolino, e tanto me lo ripaghi.- replica semplicemente.

-Potremmo suonare “Yellow Submarine”?.- propone il francese guardandoci divertito.

-Va bene.- acconsente Roderich mentre Ivan si prepara.

-Assoulutamente no.-

Se pensi di poter proporre qualcosa sei sulla strada sbagliata, stupido tizio che parla come se fosse una rana. Una rana? Mpf, carina questa, giuro che me la ricorderò per momenti futuri.

-Non puoi proporre qualcosa tu, magari ti sei preparato a casa.- sentenzio incrociando le braccia e fulminandolo con lo sguardo.

Tuttavia Francis non si scompone, anzi, tranquillissimo alza le braccia e dice -Come vuoi. Scegli tu Mon Cher.-

-Mon cher tua sorella! Avanti, facciamo “Come Together”.- okay, nonostante io mi sforzi di comportarmi il più delle volte come un vero gentleman inglese, alcune miei uscite non sono proprio fini, ma, dopotutto, sto per avere una crisi di nervi e se qualcuno osa ribattere faccio una strage.

-Avec plaisire.- dice semplicemente inarcando le sopracciglia, ignorando, con gran classe, il mio insulto.

Dio, quanto lo odio! Ci mancava solo il francese!

Almeno per questa volta nessuno ha da ridire sulla mia scelta e quindi, dopo le battute del batterista, iniziamo a suonare.

Mentre i nostri strumenti creano le prime melodie della canzone della band di Liverpool io non stacco gli occhi da Francis, sono intenzionato a valutare con la massima serietà ogni suo gesto e conoscenza musicale.

-“Here come old flattop

he come grooving up

slowly”-

Mentre canto, realizzo che almeno una cosa devo ammertela: è bravo.

Nonostante sia la prima volta che suoniamo insieme e stiamo improvvisando alla grande, quello che salta fuori non è poi così male.

Per un attimo, mi incanto a guardare le sue lunge dita danzare sulle corde del basso, vengo risvegliato solo dal piede di Ivan che schiaccia il mio, avvertendomi che sono in ritardo con la voce per cantare il ritornello.

-”Come together

right now

over me”-

Okay, ammesso e non concesso, è bravo.

Tuttavia, io preferivo l'estone! Peccato che non abbia la più pallida idea di dove sia finito e, soprattutto, non so come rintracciarlo, considerando il fatto che non avevamo chiesto il suo numero di cellulare. Inoltre, ad essere sinceri, non mi ricordo nemmeno il nome.

In ogni caso pensavo di trovarlo alla fine dell'audizione aspettando il verdetto, il fatto che si spaventasse facilmente non l'avevo considerato.

Per colpa sua adesso mi ritrovo a suonare con un maledetto francese...

-“He got feet down below

his knee”-

Il mio modo di cantare è assolutamente apatico ma non mi importa, sono troppo impegnato ad osservarlo, per concentrarmi, invece Francis sembra completamente a suo agio, rendendomi ancora più nervoso, come se già non lo fossi di mio.

Sento il bisogno impellente di picchiarlo, o almeno, di staccargli, uno a uno, tutti i fottuti peletti della sua curata barba da frocetto di città.

Continuo con questi pensieri per tutta la durata della canzone, finchè, finalmente, smettiamo di suonare.

-Allora, come sono andato?- chiede con fare innocente.

Maledetto, vuoi proprio sentirtelo fare il complimento, vero? Come se tu non lo sapessi di aver suonato bene.

-Ci riuniamo un attimo.- rispondo liberandomi dalla mia chitarra e trascinando lontano Ivan e Roderich.

-Allora? Che cosa facciamo?- chiedo bisbigliando.

-A me non dispiace.- risponde il russo grattandosi il mento.

-Come se avessimo molta scelta Kirkland, quanti altri bassisti vedi?- sentenzia il batterista in modo antipatico.

-A me invece non piace.-

-Conoscendoti, Arthur, non ti piace semplicemente come persona. Come musicista è più che valido e, come dice lui- avanza Ivan, puntando l'austriaco -Non abbiamo molta scelta. Soprattutto, ci manca il tempo, quindi, dato che la colpa della nostra scarsità di alternative è in parte tua, non essere infantile.-

Questo è troppo.

-Tu che dai dell'infatile a me?! Ma se la tua età mentale è, più o meno, sui cinque anni! Inoltre...- ma lascio in sospeso la frase e tento di cambiare in fretta il discorso, Ivan comincia ad inquietarmi. – Non mi piace come parla! Ha l'accento francese!-

-E io ho quello russo. Problemi?- Mi interroga, proponendomi quel suo sorriso in apparenza cortese, ma che io so celare una serissima minaccia nei miei confronti.

Okay, forse mi sto lentamente scavando la fossa con le mie mani.

Mi gratto la testa, scompigliando i miei corti capelli biondi, ed intanto tento di pensare e prendere una decisione.

-Un'ultima cosa.- bisbiglio ai miei compagni alzando l'indice, come se volessi chiedere tempo.

-Hey tu!- urlo verso Francis che mi guarda sornione.

-Ouì?-

-Smettila di parlare francese! Comunque, ti piace il cantante statunitense Alfred F. Jones?- chiedo incrociando le braccia.

Come risposta il francese estrae con molta calma un elastico dalla tasca dei pantaloni, con il quale comincia a farsi una coda, per poi dire -Sinceramente non molto. Penso che i testi di alcune sue canzoni siano molto belli, come, per esempio, “A sad story”. Tuttavia non mi convince molto come canta.-

Bravo francese, almeno una qualità positiva ce l'hai.

-Per me, è preso.- sentenzia Ivan ad alta voce.

Io e il russo, oltre al mondo musicale, non abbiamo molti interessi ed opinioni in comune, ma di certo, una di queste, è il nostro odio verso Jones.

Roderich mi guarda e mi fa un cenno con la testa, raddrizzandosi i suoi occhiali, come a significare che anche lui è d'accordo.

Ci avviciniamo a Francis e, controvoglia, mi sento obbligato a tendergli una mano.

-Beh, benvenuto nel nostro gruppo, gli Underdogs.-

 

Era stata una serata tranquilla, o almeno, così pensava Heracles Karpusi, gestore dell'Eliotropilaki, mentre cominciava a pulire un tavolo sporco di birra.

Il locale era deserto e silenzioso, visto la tarda ora di chiusura, tranne per il canticchiare sommesso di Feliks, che asciugava diligentemente un bicchiere.

Non aveva visto nessuno dei ragazzi degli Underdogs quella sera, tranne ovviamente Ivan, che, ormai, lì vi aveva dimora fissa. Il greco, ripensando alle visite del ragazzo russo, era giunto alla conclusione che forse altro non erano che un pretesto per non rimanere da solo. Improvvisamente fu distolto dai suoi pensieri dal rumoroso squillo del telefono, posto dietro al bancone.

-Prontooo?- rispose Feliks con voce melensa mentre attorcigliava il dito attorno al filo, come una quattordicenne dal viso devastato dall'acne che telefona al ragazzo che le piace. Tuttavia anche il volto del cameriere polacco era abbastanza devastato, ma non di certo da brufoli, difatti si potevano scorgere delle piccole macchiette rosse, che ben presto sarebbero diventati lividi, causati dal lancio continuo di bacchette di legno da parte di Yao e Im Yong Soo, un batterista coreano, che avevano scambiato il ragazzo per un bersaglio mobile.

-Pronto? Cioè, tipo, non ti sento.- disse Feliks aggrottando la fronte, mentre tentava di decifrare le parole provenienti dall'apparecchio.

Heracles gli si avvicinò, facendo un cenno con la testa come per chiedere l'identità dello sconosciuto, ma, come risposta, il polacco fece solo le spallucce, per poi dire ancora una volta -Tipo, ho detto che non ti sento. Ma che rumore è? Sembra, tipo, un aereo. Pronto?-

Fece un attimo di silenzio, per poi dire -Non ho capito il tuo nome, che hai detto? Pronto? Che hai detto?-

Fu allora che Feliks spalancò gli occhi, come un pesce che si trova fuori dall'acqua, ed allontanando il più possibile la cornetta dal proprio orecchio, lasciò diffondere una voce dal tono increbibilmente alto, come se stesse parlando con uno stupido.

-...DETTO CHE MI CHIAMO EILEEN O'RILEY, STO CHIAMANDO DA UNA CABINA TELEFONICA DA DUBLINO, CERCO ARTHUR KIRKLAND!-

Feliks, riprendendosi dallo spavento, riavvicinò la cornetta e disse- Mi dispiace, ma non c'è.-.

Tuttavia, dalla cornetta non giunse la risposta scontata, e il ragazzo riattaccò giustificandosi -E' caduta la linea. Che tipo, vero Heracles?-

Ma il greco non rispose, perso nei suoi pensieri e ricordi, rievocati da una voce conosciuta ed un nome familiare.

 

Uno squillo distante mi strappa dal mio sonno leggero.

Apro gli occhi, ma non riesco a scorgere nulla, solo qualche contorno offuscato dall'oscurità della mia casa. Allungo una mano verso il comodino alla ricerca dell'interruttore della bajour, trovandolo infine, ma non con poca fatica. La luce si accende improvvisamente e mi trafigge le pupille con violenza, obbligandomi ad abbassare le palpebre di scatto, facendomi desiderare il ritorno delle tenebre.

Intanto il mio telefono continua a squillare dal corridoio imperterrito, nonostante siano le... Le quattro? Appena realizzo che ore sono, guardando la sveglia, mi rizzo a sedere di scatto sul letto, facendo volar via le coperte. Chi è che mi chiama alle quattro del mattino?

Con estrema goffaggine, quasi degna di un ippopotamo con le anche anchilosate, mi alzo dal materasso, dirigendomi celermente verso l'apparecchio in corridoio.

Tendo prontamente la mano verso la cornetta, ma, improvvisamente, mi blocco, vedendo il numero familiare lampeggiare sul display. Il telefono squilla ancora, ma io non riesco decidermi a rispondere, una forma di orgoglio, a me ben conosciuta, blocca ogni mio movimento.

Intanto l'avviso di chiamata termina e scatta la segreteria telefonica, dopo le frasi di routine registrate in memoria, sul fatto che non sia in casa, di lasciare un messagio o richiamare, la voce profonda di mio fratello William riempie il silenzio di casa mia.

-Richiamami coglione appena ti svegli, tanto lo so che non hai una vita sociale e che sei in casa.-

Lo farò sicuramente, intendo richiamarlo.

Appena l'inferno gelerà.

-Che cosa è successo?- la comparsa improvvisa di questa voce, non familiare eppure ben conosciuta, fa la sua comparsa nella stanza.

Cazzo, per un attimo mi sono dimenticato di lui e,soprattutto, degli avvenimenti delle ultime ore che hanno portato Francis a vivere nel mio misero appartamento.

 

 

 

 

Okay, lo so. E' passato un sacco di tempo dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo, indi per cui, mi scuso. Comunque, finalmente si è scoperto il nome della band di Arthur e se vi ricorda qualcosa, ma non sapete cosa, appunto perchè sono lenta come la fame a scrivere, andate a vedere nel capitolo 1.

Inoltre volevo ringraziare tutti, ma proprio tutti, quelli che hanno recensito questa storia, aggiunta nelle preferite o seguite, oppure semplicemente letta, grazie! :)

Tornando a questo capitolo, che non mi piace come è venuto ma la mia creattività ha deciso di andare in vacanza, si vede la comparsa di altri due miei OC che ci tengo a presentare. La prima è Eileen O'Riley e rappresenta l'Irlanda, intesa come Eire però, non tutta l'isola! Per il secondo siete liberi di insultarmi pesantemente, ma la mia fantasia ha deciso di andare assieme alla creattività, accompagnate da “non ho voglia di cercare un altro nome su google come ho fatto per Irlanda”, quindi, ovviamente, William altri non è che Scozia.

E per oggi chiudo qui, grazie ancora di tutto!

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Capitolo 4
*** 04. Baba O'Riley ***


ATTENZIONE! QUANDO VEDETE UNA l SOSTITUITELA CON UNA R.

04. Baba O'Riley

 

Come la scorsa mattina il suono di tamburi e l'urlo di Mick Jagger spezzano il silenzio presente in camera mia, tuttavia vengono bruscamente interrotti da un movimento brusco e preciso della mia mano, essendo io sveglio da parecchio tempo.

Non avevo certamente trascorso una bella notte: vuoi per colpa dell'inspiegabile telefonata di mio fratello alle quattro del mattino, vuoi perchè non mi sono ancora abituato a quell'estraneo, che al momento è confinato a dormire sul divano in soggiorno, ho avuto un sonno molto agitato e tormentato. Tuttavia, sedendomi sul letto, rilego prontamente in un angolo del mio cervello questi pensieri mattutini, per concentrarmi meglio sui rumori che sento provenire dall'altra stanza, causati da quell'intruso francese.

Mi alzo stiracchiandomi e, dopo aver passato diversi minuti nell'ardua ricerca delle mie ciabatte con l'Union Jack ricamata sopra, mi dirigo verso il soggiorno.

Una volta giunto sulla soglia ritrovo Francis intento nella ricerca di un qualcosa nella credenza presente nella mia cucina che, insieme al soggiorno, formano un'unica stanza.

-Che cosa stai facendo?- chiedo irritato appoggiandomi allo stipite.

-Oh, bounjour Arthur, sto cercando qualcosa per fare colazione.- dice con quel suo fastidioso accento da rana sorridendomi.

-Non ho nulla, normalmente vado al bar.-

Come risposta, il francese sospende rassegnato la sua ricerca ed allontanandosi mi guarda divertito. -Tu hai un rapporto conflittuale con la cucina, vero?- più che una domanda, la sua, è un'affermazione, oltremodo corretta.

Dannazione, è così lampante?

-Ti sbagli, io sono bravo a cucinare!- ovviamente sto mentendo spudoratamente e, in qualche modo, Francis lo intuisce subito, reagendo alla mia frase con una risatina ironica.

Lo odio quando fa così. Cioè, penso di odiarlo anche normalmente, ma sono in questi momenti che il mio sentimento negativo raggiunge l'apice.

-Comunque, per quanto tempo intendi rimanere qui?- gli chiedo saltanto inutili giri di parole e, soprattutto, sviando il discorso dalle mie inesistenti doti culinarie.

-Pensavo di approfittare della tua gentilezza finchè non avrò il mio primo stipendio e non troverò una bella casetta in cui trasferirmi, mon cher.- risponde raggiungendomi vicino allo stipite.

-Mon cher chiami tua sorella.- sibilo incrociando le braccia e fulminandolo con lo sguardo.

-Spiacente sono figlio unico ed, in ogni caso, non potrei comunque chiamarla così, a meno che non sia transessuale.-

-Transessuale?- non riesco a capire la battuta.

-Mon chere è usato per i maschietti.-

-Oh.-

-Non conosci il francese?-

-Dovrei?-

-E' una delle lingue più parlate al mondo.-

-Lo spagnolo è una delle lingue più parlate al mondo, assieme all'inglese, la mia lingua madre.-

-E dimmi, lo parli lo spagnolo, o conosci solo l'inglese?-

A questa sua uscita non so bene che cosa rispondere per giustificare le mie scarsi abilità linguistiche, difatti oltre alla mia lingua conosco solo il gaelico, ma è alquanto inutile in un qualsiasi paese straniero che non sia l'Irlanda.

-No, ma...- tento di giustificarmi venendo però subito interrotto dal bastardo, contento dalla sua vittoria verbale -Dove andiamo a fare colazione?-

-Io vado all'Eliotropilaki- dove avrò la mia vendetta su Herakles per la simpatica storiella del lassativo -Tu vai dove vuoi.- rispondo voltandogli le spalle e dirigendomi verso il bagno.

-Ma come, non facciamo colazione insieme?- mi chiede seguendomi.

-No, mi rovineresti il sapore del cibo.- dichiaro guardandolo con aria di sfida.

-Tu dici? Invece lo migliorerei!-

-Migliorare? E come?- rispondo in tono beffardo- Anzi no, non dirmelo, sono certo di non volerlo sapere.-

-La mia compagnia è insuperabile- afferma con tono plateale- E comunque non dovresti essere così antipatico, Arthur, dopotutto siamo coinquilini.-

Aspetta un attimo brutto vinofilo, precisiamo una cosa.

-Tecnicamente- dico alzando un dito, come un professore che sta spiegando qualcosa ad un alunno particolarmente stupido -Sei un ospite indesiderato, che sono costretto ad ospitare per colpa di un energumeno russo.-

Francis ridacchia e, passandomi un braccio sulle spalle, dice- Oh andiamo, ti tengo compagnia in questo misero appartamento in cui vivi tutto da solo.-

Con un gesto seccato, mi scrollo il suo arto di dosso, scostandomi bruscamente da lui, non vorrei darlo a vedere per nulla al mondo ma le parole “da solo” mi hanno fatto male, andando a sfiorare un argomento, per me, alquanto dolente.

-Non sono affari tuoi, e poi, sbaglio, o ti sei lasciato sfuggire un “misero”. Guarda che, se non ti va bene, c'è sempre il marciapiede.- pateticamente cambio discorso nel tentativo di focalizzare la sua attenzione sulla battuta, pronunciandola con finta sicurezza, al fine allontanarlo da una delle mie debolezze.

-Non merci, il tuo divano è particolarmente comodo, mon cher.-

-Basta con questo mon cher!-

Non ne posso più.

Dopo questo mattutino scambio, demenziale, di battute, ci dividiamo per prepararci rispettivamente alla giornata.

Mi chiudo in bagno e, mentre mi lavo, come mi succede tutti i giorni mi soffermo a guardare la mia immagine riflessa nello specchio. Con attenzione vaglio tutto il mio viso, soprattutto soffermandomi sui miei occhi verdi, al fine di risalire all'aspetto dei miei genitori biologici, i quali non ricordo di aver mai conosciuto a causa della tenera età.

-Arthur, dove tieni i bicchieri?- la voce squillante di Francis mi riporta alla realtà, richiamandomi dal flusso dei miei pensieri.

-Cercateli, e comunque- continua finalmente obiettando riguardo ad una cosa che mi sempre infastidito riguardo al suo modo di pronunciare il mio nome -dato che sono inglese ed il mio nome è inglese, smettila di pronunciarlo alla francese!-

-Che male c'è se utilizzo il mio accento? Inoltre, come lo dico io, è più carino, e se proprio vogliamo essere pignoli anche tu sbagli nella pronuncia del mio, chiamandomi all'inglese- urla dalla cucina.

I miei vicini di casa non gioiranno di questa diatriba riguardo l'uso degli accenti, immagino.

-Non è carino, è errato! E poi non vedo che cosa cambia con il tuo nome! E' la stessa cosa!-

Accidenti a lui, la prima volta che ci siamo parlati non era così loquace; tenevi a freno la lingua perchè avevi paura di non essere accettato, vero?

-No! Sbagli l'accento! E' Francìs, non Francis.-

Dio, non lo sopporto più.

Come se non mi bastassero i miei problemi, ci mancava pure la rana francese.

Davvero, accidenti a Ivan e Roderich, vi auguro che un giorno, non molto lontano, venga anche a voi una cagarella cronica grazie ad Herakes. Galeotte furono quelle parole del russo, poste con tanta innocenza.

 

Siamo tutti seduti attorno ad un tavolo della sala prove, dove si sono appena svolte le audizioni per scegliere un nuovo bassista, e, finalmente, abbiamo appena finito di compilare quell'odiosa mole di documenti che sancivano l'annessione di Francis al nostro gruppo.

-Dove alloggi?- chiede improvvisamente Ivan al ragazzo francese strimpellando il suo strumento e non dedicando particolarmente attenzione alle scartoffie che aveva davanti.

-Al momento sono in una piccola pensione, sono ancora in cerca di casa.- risponde Francis emergendo dai fogli. Tuttavia il russo è particolarmente in vena di conversare e, continuando a pizzicare le corde con le sue bianche mani, insiste chiedendo- Non hai qualcuno da cui stare?-

Intanto, mentre firmo le ultime pratiche, ascolto distrattamente la discussione chiedendomi se ad Ivan interessi particolarmente la situazione del ragazzo francese o stia recitando la sua ennesima maschera.

-No, ho un amico che vive in questa città, ma il suo appartamento è molto piccolo ed abita già con una persona.- risponde scostandosi dal volto i capelli sfuggiti alla coda.

-Allora puoi venire ad abitare da uno di noi- risponde Ivan con tono tranquillo, come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo, fermando le corde vibranti con le dita e facendoci stupire tutti.

-Ad esempio Arthur.- aggiunge indicandomi.

-Che cosa?!- esclamo con voce stridula.

-Suvvia, potresti aspitarlo senza problemi.- Che cosa stai dicendo cosacco? Questa è una bugia!

-No e no! La proposta è la tua, ergo ospitalo tu.- rispondo difendendo la mia posizione, forse con i miei modi sto offendendo Francis, ma non è a causa della naturale antipatia che provo nei suoi confronti che sono così restio all'idea di ospitarlo. Anzi, lo faccio per il suo bene.

Non posso sottoporre una persona al supplizio di incontrare QUELL'UOMO, che altri non è che il padrone di casa mia.

-Il mio appartamento è troppo piccolo per due persone.- sigiustifica Ivan.

-Casa mia è grande a sufficienza solo per me e mia moglie.- sentanzia Roderich aggiustandosi gli occhiali sul naso.

-Se è un problema posso stare alla pensione.- questa frase detta da Francis con quell'espressione stampata sul volto mi fa un po' di compassione.

-Figurati, per Arthur non è assolutamente un problema, vero?- si affretta a dire Ivan, sorridendo apparentemente con fare fanciullescomentre, in realtà, mi invia una concreta minaccia di morte.

 

E fu così che dovetti ospitare il francese a casa mia.

Ecco la fine della mia specie di flashback, sentenziata mentre mi stringo la sciarpa attorno al collo per coprire i, ben visibili, segni rossi. Almeno Francis ha avuto la decenza di non farci battute al riguardo, per ora.

Lancio un occhiata all'ora segnata sulla sveglia, le 10:00.

Ho ancora parecchio tempo prima dell'incontro con Ivan all'Eliotropilaki, ma, in ogni caso, intendo andarci subito. Difatti, ormai, il locale del greco è diventato come una seconda casa per noi ed è usato impropriamente e senza un esplicito permesso come ufficio. Inoltre spero, nel frattempo, di avere finalmente la mia vendetta su Herakles, anche se di fatto, non ho ancora deciso in che cosa consisterà. Forse, potrei lasciargli, di nuovo, un bel profilattico nel bagno.

Appena esco da camera mia, mi dirigo verso la porta d'ingresso situata in soggiorno dove trovo Francis vestito di tutto punto ed appoggiato allo stipite della porta, mentre guarda fisso nel vuoto.

-Esci?- chiedo fingendo di non capire che, non solo sta per andare fuori, ma mi sta anche aspettando.

-Ouì, dobbiamo ancora far colazione, no?- mi risponde riemengendo dai suoi pensieri e fissando con aria scettica il mio vestiario.

-Io non faccio colazione con te.-

-Allora mettiamola così, io vado all'Eliotropius e, coincindenza, ci vai anche tu.- risponde apprestandosi ad uscire.

-Si chiama Eliotropilaki, e non voglio che mi segui.- rispondo bloccandolo sull'uscio.

Lui non lo sa, e io sto fingendo che sia tutto tranquillo, ma non deve uscire sul pianerottolo incautamente. Può rischiare la vita!

-Non essere antipatico: io non ho la più pallida idea di dove si trovi, e ci siamo dati appuntamento lì con Ivan e Roderich!-

Ripensandoci non ha tutti i torti, se lo lasciassi da solo non ci saprebbe arrivare per le undici e trenta, essendo un locale inculato per le vie periferiche, e quindi dovrei sorbirmi il disappunto dell'austriaco degno di una zitella vecchia e acida.

-Okay- accosento, e come ringraziamento ottengo un “merci”, -Ma aspetta ad uscire.- gli ordino trattenedolo ancora per un braccio.

Lo sposto con poca delicatezza dalla porta e guardo, allarmato nello spioncino.

Il pianerottolo sembra deserto.

Con estrema cautela sporgo la testa dalla soglia e, come un ladro in fuga mi guardo attorno con estrema cautela.

Via libera.

Butto fuori il francese, che mi guarda perplesso e forse anche un po' preoccupato per le mie condizioni mentali, e poi, chiudendo in fretta e furia, lo trascino giù per le scale. Come un fulmine mi precipito nell'atrio del condomigno tirando il ragazzo per un gomito e non mollandolo finchè non siamo in strada e non svoltiamo l'angolo.

Mi fermo guardandomi attorno ma non colgo particolari intenti omicidi.

Perfetto, per ora sono salvo.

Tiro un gran sospiro di sollievo e poi, fischiettando, mi incammino tranquillo verso la nostra meta.

-Mi spieghi il perchè di questo tuo comportamento?- mi chiede Francis camminando al mio fianco.

-Anche ieri sera è stata la stessa cosa.-

-Sopravvivenza.- spiego non degnandolo di uno sguardo e rimanendo sul vago.

-Ovvero?-

-Non sono affari tuoi.-

Alla mia risposta secca non avanza altre domande e comincia a ciarlare del più e del meno, fortunatamente il locale è situato vicino a casa mia e la passeggiata in compagnia del francese è breve.

Appena arriviamo davanti all'Eliotropilaki, mentre Francis ammira quanto il locale sia carino visto esternamente, io sento rinascere, nel mio animo, la rabbia per la storia della purga e, con gesto degno della più banale e scontata clichè da manga, spalanco la porta, incurante degli eventuali avventori, e urlo con tutto il fiato che ho in gola -Herakles, brutto stronzo, come cazzo ti sei permesso di drogarmi il the, permaloso che non sei altro.-

Fra lo stupore e la paura dei presenti, il greco, che stava spazzando per terra, alza semplicemente lo sguardo dal suo lavoro, e, con voce lenta e calma risponde- Ah ciao, mi serve che suoniate il mese prossimo.-

Mi sento svuotato da queste sue uscite.

Non faccio nemmeno in tempo a rispondergli per le rime, davanti ad un sbalordito Francis, che Herakles aggiunge- Ieri sera comunque, verso il tardi, mentre stavamo chiudendo il locale, dopo mesi che non la sentivo, ha chiamato tua sorella da una cabina pubblica chiedendomi di te.-

Io, che di primo acchito ero pronto ad insultarlo pesantemente, ci metto parecchio tempo a comprendere il significato della frase.

-Eileen ha chiamato?- chiedo incredulo, era da tantissimo tempo che non la sentivo.

-Sì, ha detto tipo di essere a Dublino- si intromette Feliks parlando a raffica - E di star chiamando da una cabina del telefono. Inoltre mi ha tipo rotto un timpano talmente urlava. Cioè piuttosto, tu hai una sorella?-

-Sì.- rispondo sovrappensiero, o forse sarebbe meglio dire avevo?-Che cosa ha detto?- chiedo sedendomi ad un tavolo, seguito a ruota da Francis, stranamente in silenzio.

-Niente, è tipo caduta subito la linea- risponde il cameriere polacco -Cioè piuttosto, tu, tipo, chi sei?- aggiunge indicando il francese.

-Mi chiamo Francis, Francis Bonnefoy. Suono con Arthur.- rispose in modo cortese, sorridendo e porgendo una mano.

-Davvero?! Herakles guarda! E' tipo il nuovo bassista!- sbraita Feliks rispondendo al saluto con un po' troppo entusiasmo.

-Piacere.- risponde il greco avvicinandosi e dandogli la mano, per presentarsi atono. – Io sono Herakles Karpusi, il tuo futuro unico datore di lavoro.-

-Non sei l'unico che ci assume!- tento di protestare.

-Quasi.- risponde allontanandosi verso il bancone per riprendere il lavoro.

Francis non sembra accorgersi dell'insinuazione del barista e con fare allegro, come un bambino che è stato portato in negozio di balocchi, si guarda continuamente attorno divertito. Dopo aver fatto colazione estraggo i miei fogli, accomondandomi come se fossi a casa mia, al fine di tentare, in qualche modo, di comporre qualcosa. Difatti non siamo messi molto bene e di canzoni nuove ne abbiamo bisogno come il pane, tuttavia la mia testa si rifiuta categoricamente di produrre qualcosa di decente, distratta dai ricordi che mi affiorano alla memoria e dagli occhi di Francis che mi guardano curiosi.

-Non sapevo che avessi una sorella.- dice il francese dopo quasi un'ora di piacevole mutismo.

Siccome fingo di non averlo sentito e quindi non ottenendo una mia risposta mi chiede-Che tipo è?-

-Non ho voglia di parlarne.- rispondo atono guardando il foglio bianco e chiudendo il discorso, tuttavia è in questo momento che tutti veniamo distratti da un picchiare ritmico sul vetro del locale.

Yao Wang, gestore del locale situato esattamente di fronte al mio ufficio abbusivo, come mi piace definirlo, sta bussando sulla porta, aspettando di ricevere il permesso di entrare, in un luogo, che per lui è un tabù, a causa della faida in corso. Herakles, cambiando improvvisamente atteggiamento e facendosi stranamente minaccioso, gli fa un cenno con la testa, dandogli l'opportunità di varcare la tanto rispettata soglia.

Appena dentro il cinese, senza tanti convenevoli, si dirige a testa bassa verso di me, mentre alla radio trasmettono Baba O'Riley degli Who, rendendo molto teatrale la sua entrata in scena, e mi posa davanti agli occhi un foglio scritto fitto.

-E' allivata.- dice semplicemente incrociando le braccia e guardando male il greco, che, nel frattempo, sta tentando di ucciderlo con lo sguardo.

-Che cos'è?- domando perplesso prendendolo in mano.

-La fattula della vetlina che mi hai lotto.- sentenzia riportando la sua attenzione su di me.

-Oh.- è tutto quello che riesco a dire, sentendo un brivido attraversarmi la spina dorsale.

-Hai rotto una vetrina?- chiede stupito Francis.

-Taci.- rispondo secco guardando con terrore la cifra.

Intanto la canzone dice “...Don't cry.

Don't raise your eyes...”

Mi sembra molto appropriato, considerando il mio stato d'animo al momento.

-Sì, ha lotto la mia. Con una glancassa.- sentenzia Yao con odio.

-Tecnicamente non è andata proprio così- tento di spiegare.

-A no? Come?- il cinese mi fa paura.

-Mi avete provocato!- rispondo alzandomi in piedi.

Yao è sul punto di rispondere qualcosa ma la nostra attenzione viene attirata da alcuni schiamazzi che provengono dalla strada, interrompendo la nostra discussione.

-Hey bambola, vieni con me nell'angolo che ti piego a 90° gradi e ci divertiamo un po'.- urla una voce maschile dall'esterno, ci giriamo ma attraverso la vetrina non riusciamo a vedere chi è stato a pronunciarla.

Non che ci voglia una fervida immaginazione.

-Voi occidentali siete semple così assatanati?- chiede in tono di scherno Wang, facendo seguire alla frase una lunga sequela di commenti in cinese.

-Non mettermi sul loro stesso piano.- ribatto mentre il greco, sfilandosi il grembiule ed affiancandosi al nostro tavolo.

Dato che molti, qua in periferia, non ci vanno leggeri, mi alzo e mi dirigo verso la porta seguito a ruota da Yao, Herakles e Francis, che, pur non essendo cresciuto in questi quartieri come noi tre capisce a perfezione la situazione, ci segue in soccorso della ragazza.

Ma una voce ci inchioda, bloccando la nostra marcia sulla soglia della porta.

-Ma crepa sfigato, anzi no, se proprio ci tieni vai a fottere con l'unica persona che non ha schifo di toccarti, ovvero te stesso, brutta pezza da culo!- risponde di rimando una, conosciuta, voce femminile.

Per la strada alzano cori di ammirazione e di scherno, suscitati dalla reazione della ragazza, qulacuno si mette addiruttura a fischiare.

-Brutta troia, come ti permetti?!- sbraita il tizio, irato ed umiliato dalla frase a tono.

La preoccupazione mi fa finalmente muovere e, con mano tremante dall'emozione, mi decido finalmente ad aprire la porta per precipitarmi in strada seguito dagli altri ragazzi.

Sulla sinistra del locale, a distanza di qualche metro troviamo l'epicentro della scena che ha frantumato la tranquillità apparente della via.

C'è un energumeno, che sembra provenire direttamente dal set “Il pianeta delle scimmie”, assieme ad una cricca di deficienti, ancora più idioti di lui e pronti a spalleggiarlo, i quali hanno avuto la brillante idea, per rendersi fighi, di importunare una ragazza che passava.

Tuttavia, quei cretini, hanno commesso un grave errore ma probabilmente, di questo, siamo al corrente solo io, Herakles e Yao, conoscendo alquanto bene il loro obiettivo.

-Ohoh! Vedo che ho avuto un repentino cambiamente, da bambola a troia, pazienza, meglio così. E' meglio cambiare che essere continuamente una lurida pezza da culo come te!- ribatte la ragazza incrociando le braccia e guardandolo con aria di sfida, senza il minimo timore. Mi avvicino senza pensare e la prendo per una spalla, dimenticandomi momentaneamente la scena che sta avvendo, troppo distratto dall'improvvisa comparsa di quella persona dotata di grandi occhi verdi scuro, contornati da lentigini, e ricoperta di capelli color rame, tagliati cortissimi, che altri non è che mia sorella Eileen.

 

 

 

 

Okay, ecco il quarto capitolo dove compare di persona il mio primo OC, Irlanda, Eileen O'Riley e per l'occasione, volevo dedicare questo capitolo alle due persone che continuano a recensirmi: Lyn91 e NoireNeige, grazie di tutto!

Inoltre voglio spiegare una cosa: quell'onnipresente aru posto alla fine di ogni frase di Cina è una storpiatura usata dai Giapponesi per scimmiottare il modo di parlare dei Cinesi che in italiano non ha assolutamente senso e corrisponderebbe al nostro sostituire la r con la l.  

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Capitolo 5
*** Ode to my Family ***


05. Ode to my family

 

Sembra una di quelle scene penose di uno squallido film americano di serie B, ci sono tutti i componenti: il gruppo dei bulletti cattivi, la ragazza in pericolo e i prodi eroi dei quartieri popolari pronti a difenderla a spada tratta.

Il mio arrivo viene accolto simpaticamente con fischi e grida di scherno assieme ad un educato "E tu che cazzo vuoi?" ma, sinceramente, non potrebbe fregarmene di meno.

L'unica cosa su cui è focalizzata la mia attenzione è mia sorella, che è qui, nella città dove siamo cresciuti, dopo quasi due anni che non ci vedevamo.

-Ciao ragazzi! Ciao Arthur, come va?- mi risponde semplicemente voltando la testa verso la mia direzione e salutando i ragazzi alle mie spalle.

Per un attimo il tempo mi sembra essersi fermato ed il mio cervello entra in uno stato di stallo simile al vuoto assoluto, incapace di interdere e volere.

Sono allibito, vedo che la sua faccia tosta non è cambiata.

-Oh ciao Arthur come va?- ripeto incredulo con un tono di voce penoso.

-Non ci vediamo da due anni, dopo tutto quello che è successo, e questo è quello che mi dici?- chiedo incredulo prendodola per entrambe le spalle, dimentico dell'attuale situazione.

Il mio stomaco si sta contorcendo in modo strano e spiacevole ora che mi trovo a vivere quel momento che temo e che ho paura di affrontare da tantissimo tempo.

Io mi immaginavo fiorfiori di insulti, parolacce destinate alla mia persona e, conoscendola, anche qualche pugno o schiaffo.

Certamente non un saluto cortese come questo!

-Tecnicamente sono solo diciasette mesi.- precisa lasciando trapelare un discreto astio che, certamente, mi sembra più consono alla nostra situazione - E in ogni caso come vuoi che ti saluti? Ave Sir Kirkland?-aggiunge inarcando le sue sopracciglia e scostandomi con una spinta.

Io la odio. Lei e la sua ironia che mi impedisce di capire le sue vere emozioni.

-Eilenn.- la voce mi trema dalla rabbia e dallo sconforto. - L'ultima volta che ci siamo visti-

ma non riesco a finire la frase che una voce sgradevole mi interrompe, rimandando evidentemente la chiaccherata con mia sorella ad un altro momento.

-E tu chi cazzo sei? EH?- mi chiede il tizio brutto come il culo di una scimmia.

Mi ricordo solo ora della presenza dei tizi che stavano importunando Eileen.

Sento la sensazione spiacevole albergante nel mio stomaco mutare velocemente, per trasformarsi in una forma di astio puro. Il mio primo impulso è quello di chiudere a pugno le dita della mano destra, alzare il suddetto pugno e picchiare questi emeriti coglioni.

Ma non lo farò. Ho chiuso con le risse ormai già da un po' e quindi tenterò di risolvere la situazione in maniera educata e civile, come si addice ad ogni vero gentleman inglese.

-Ehi! Io quello lo conosco!- urla indicandomi improvvisamente un tizio che non riesco a capire se in faccia abbia più piercing o brufoli.

-Uh? E chi sarebbe?- chiede quello che aveva urlato contro Eileen e che, nella mia mente, ho deciso di chiamare Scimmia.

- Ma sì! E' quel musicista! Quello che è stato arrestato per la storia della Chiesa Punk!- tenta di spiegarsi gesticolando come un cretino.

Porca puttana, sento il sangue gelarmi nelle vene mentre le mie gote si infiammano.

Fra tutti i motivi per cui il brufoloso poteva conoscermi, doveva proprio essere questo?

Mentre il rossore divampa sul mio volto, mia sorella ridacchia al mio fianco dicendo - AhAh, mi ricordo. Ti abbiamo recuperato in centrale.-

-Sei stato arrestato?- mi chiede immprovvisamente Francis che si è posizionato al mio fianco.

Mi ero totalmente dimenticato di lui.

-Taci, storia vecchia.- gracchio irato mentre il rossore sulle mie gote aumenta.

Non ricordo quella storia con piacere, anzi, è per me motivo di imbarazzo.

Per fortuna che questa notizia non ha fatto molto scalpore ma è rimasto uno scandalo a livello locale.

Intanto la cricca di deficienti, fiera di avermi riconosciuto, comincia a ridere al fine di schernirmi, dandosi gomitate, spintonate e pacche, emettendo dei versi che hanno ben poco di umano.

Tutti tranne uno.

Non ho la più pallida idea di chi sia, eppure mi guarda con fare terrorizzato, e nel frattempo, continua a voltare la testa a destra ed a sinistra, come se fosse impaurito da un eventuale arrivo di qualcuno.

-Aspettate ragazzi!- dice avvicinandosi ai suoi amici e tentando di calmarli con fare titubante e con scarsi risultati, suscitando ancora più ilarità, ci sono alcuni che quasi si stanno rotolando dal ridere.

-Non avrai paura di quel moccioso!- sentenzia Scimmia indicandomi mentre l'altro mugugna qualcosa tentando di spiegare il motivo dei suoi timori.

Tuttavia non è su questo che si focalizza la mia attenzione che si è fermato su una parolina che ha detto.

Okay che, da quel che posso dedurre dai suoi lineamenti, è più grande di me, ma chiamarmi moccioso è davvero troppo.

Solo una persona è solita chiamarmi così, e mi basta e avanza.

-Io lo disfo se lo voglio!- urla ancora Scimmia ridendo sguaiatamente.

Smette improvvisamente quando sente lo sputo, che ovviamente proviene dalla mia bocca, impattargli contro la sua guancia destra.

-Provaci.- dico semplicemente pulendomi il labbro sporco di saliva e alzando le braccia, pronto per fare a pugni, mettendomi in guardia e trasudando istinti omicidi.

-E' spacciato.- dice Eileen con una tono rasegnato ma allo stesso tempo con un ghigno divertito-Chiamandolo moccioso ha firmato la sua condanna a morte.-

-Ecco che licomincia con le vecchie abitudini.- sentenzia Yao, mentre Heracles ha la sua solita aria da perenne estraniato dalla realtà, al contrario di Francis, che continua a guardare in modo compulsivo me e la cricca, incredulo sugli avvenimenti che stanno per avere luogo.

E' evidente che non si è mai ritrovato coinvolto in una rissa lui, fighetto da centro-città!

-Ragazzi fermatevi!- urla improvvisamente, con una decisione inaspettata, il tizio impaurito di prima mettendosi in mezzo fra me e Scimmia, il quale sta letteralmente bollendo dalla rabbia.

Subito dopo lo vedo accostarsi a lui, abbassandolo alla sua stessa altezza, e sussurrandogli qualcosa nell'orecchio, che, tuttavia, non riesco a sentire.

Intercetto solo qualcosa come "Kirkland... fratello.... quello là... il mio naso" e poco altro.

Un vago sospetto comincia a farsi strada nella mia mente mentre vedo Scimmia lentamente sbiancare sussurrando -Oh cazzo, non sono solo omonimi.-

Superando l'iniziale stupore sulla scoperta che un tizio come lui conosca il significato di una parola come "omonimi", rimango certamente basito quando urla -Tuo fratello è William Kirkland!?-

Bastano quelle due semplici parole che compongono il nome di mio fratello a far capovolgere completamente la situazione. I bulli, che prima si atteggiavano a ganster professionisti, ora sono sbiancati ed impauriti, quasi come degli scolaretti del primo anno quando affrontanto per la prima volta un ballo scolastico.

-Sì perchè?- rispondo acidamente mentre sui loro volti si disegnano espressioni piene di paura.

-Cazzo, andiamo via!- dice uno allontanandosi, seguito da altri.

-Non finisce qui.- mugugna Scimmia mentre io non faccio in tempo ad abbassare le braccia che la cricca,batte in ritirata, correndo a più non posso, e sparendo alla nostra vista, lasciandoci allibiti, in mezzo alla strada.

Ecco un altro avvenimento da film, americano, scadente di serie B.

E' in momenti come questi che vengono a galla i pochi lati positivi di avere William, l'uomo che probabilmente ha partecipato, durante la sua adolescenza, a più risse di tutto il Regno Unito, come fratello maggiore.

-Ma che cosa gli è preso?- mi domanda Francis con tono perplesso e stupito.

-Mio fratello, ha una certa fama.-

Taglio corto, di certo non ho ne voglia, ne intenzione di raccontare vita morte e miracoli della mia famiglia a Francis, anche se, già posso immaginarlo, mi farà un interrogatorio di terzo grado per scoprirne di più. Ne sono certo.

Mi sto già preparando una sfilza di insulti da dire al francese per farlo desistere dai suoi intenti indagatori mentre invece, per l'ennesima volta, quell'uomo mi lascia allibito, dato che si è prontamente dimenticato della mia esistenza e, più veloce di un fulmine, si è spostato di fianco a mia sorella, prendendole le mani fra le sue e cominciando a chiaccherare amichevolemente con lei.

-Piacere io mi chiamo Francis Bonnefoy, immagino tu sia la famosa sorella di Arthur, giusto?- dice parlando in modo lento e tetrale.

-Sì, mi chiamo Eileen O'Riley.- risponde arrossendo, basita dalla socievolezza del francese.

Francis intanto, con un'espressione stupita, tenta di continuare il discorso, ma io, che mi sono stufato, li interrompo allontando il francese da Eileen. Tentando di richiamare tutta la calma e la diplomazia di cui sono capace, ignoro Francis bellamente, che tenta di dire qualcosa, per rivolgermi direttamente a mia sorella -Mi vuoi spiegare perchè sei tornata in Inghilterra?-

Lei, come risposta, sgrana gli occhi e mi guarda stupita, come se avessi detto una bestemmia.

-Arthur, cosa intendi? Pensi seriamente che sarei rimasta a Dublino dopo quello che è succeso?-

La sua voce è quasi un sussurro, e, improvvisamente, abbandona il solito timbro solare che la contraddistingue, per assumere una tonalità che mi sembra affranta.

Non riesco a capire -Intendi il tuo, ennesimo, licenziamento?- chiedo perplesso, mi sembra strano, non è il tipo da rifugiarsi a casa quando si trova in difficoltà, anzi, la sua testardaggine e determinazione per farcela da sola in qualsiasi situazione tende talvolta a portarla in situazioni quasi di autolesionismo.

-Ma che cosa stai dicendo? Non dirmi che William non ti ha avvertito?- mi chiede basita.

Il ricordo della chiamata di mio fratello alle quattro del mattino torna prepotente nella mia mente, scombussolando il mio animo -Mi ha chiamato ma non sono riuscito a rispondere, che cosa doveva dirmi?- tento di mantenere un tono neutrale ma con scarsi risultati.

Come reazione alla mia risposta, Eileen mormora qualcosa e si passa stancamente una mano sul volto, mi accorgo solo ora delle occhiaie che contornano i suoi occhi.

-Quindi non sai ancora niente?- la sua voce è rotta, affranta. Che cosa è successo che dovrei sapere?

-Eileen, che cosa doveva dirmi William?- ora il mio tono è evidentemente preoccupato.

Come risposta la ragazza guarda i ragazzi attorno a noi, che nel fratempo sono rimasti in silenzio, rispettando la nostra conversazione, per poi rivolgersi a loro, con un sussurro -Ragazzi, è da tanto che non ci vediamo, ma potete, per favore, lasciarci soli un attimo?-

-Non c'è nessun problema, ci vediamo dopo.- dice Heracles, tornando finalmente sul pianeta Terra.

Yao, dopo aver rivolto un cenno di saluto a Eileen e un'occhiataccia al ragazzo greco, si dirige verso il suo locale, imitato da Heracles, seguito a ruota da Francis, lasciandoci soli sul marciapiede.

 

La vetrina del locale contornava in modo particolare quelle due figure, in piedi oltre al vetro, quasi come se fossero i protagonisti di un quadro di un realista trasportato ai giorni odierni.

Questo, almeno, fu quello che pensò Francis mentre rientrava all'Eliotropilaki insieme ad Heracles senza distogliere lo sguardo da Eileen e Arthur, visibili attraverso la superficie vetrata.

Tornò stancamente a sedersi al tavolo che fino a poco tempo prima occupava assieme all'inglese, con la testa affolata da mille pensieri e domande.

Heracles lo seguì in silenzio fino al suo posto per riprendere il grembiule che vi aveva abbandonato, fissando con i suoi occhi verde oliva, in modo fintamente apatico, il pensieroso ragazzo francese.

-Immagino tu sia rimasto sorpreso dalla scaramuccia avvenuta qui fuori- ipotizzò il greco, assicurandosi i lembi di stoffa ai fianchi -Però se stai con Arthur dovrai abituartici. Come hai potuto vedere è un tipo tremendamente irascibile.- aggiunse incominciando a ritirare le stoviglie abbandonate sul tavolo.

-Ahah- ridacchiò senza ironia Francis -L'avevo capito la prima volta che l'ho incontrato.-

Il greco sorrise appena e lanciò un'occhiata preoccupata verso la vetrina. Non riusciva a scorgere il volto ne di Arthur ne di Eileen, infatti il primo era girato di schiena verso la seconda, nascondendola quasi completamente.

-In realtà, però, non stavo pensando alla rissa mancata.- disse il ragazzo francese richiamando l'attenzione di Heracles.

-Eileen è la sorella di Arthur, giusto? Ma perchè allora ha un cognome diverso?-

Il greco sospirò, sapeva che una domanda simile sarebbe sorta, prima o poi, nel pensiero di Francis.

Guardò ancora una volta le figure rimaste sulla strada, dove c'era Arthur che gesticolava in modo spasmodico, per poi voltarsi verso il ragazzo ancora in attesa della risposta.

-Feliks, io faccio una pausa.- disse a voce alta riferendosi al cameriere polacco che stava servendo ad un tavolo.

-Cioè, tipo, ma è la quarta che predi questa mattina!- protestò inutilmente, ignorato completamente da Heracles che si era seduto di fronte a Francis.

-Forse dovresti chiederlo direttamente ad Arthur, ma non sono sicuro che ti risponderebbe. Comunque, dato che suoni nel suo stesso gruppo, lo scopriresti prima o poi, quindi, tanto vale che te lo dica io.- disse il ragazzo molto lentamente, prendendosi frequenti pause.

-Devi sapere che Arthur, in tutto, ha cinque fratelli, ma non tutti hanno gli stessi legami di sangue.-

-Che intendi dire? Ci sono state delle adozioni?- chiese perplesso Francis e sinceramente stupito.

-Più o meno- rispose Heracles pacatamente, come se stesse ponderando le parole - I tre maggiori: Sean, William e Arthur sono realmente fratelli, ma sono rimasti orfani molto piccoli e vennero adottati tutti e tre da una donna che abitava qui, in questa città, Claire Kirkland. Era una donna d'oro. Non si limitò solo ad occuparsi di quei bambini, ma, qualche anno dopo, si incaricò anche dell'affidamento di due gemelli irlandesi, gli O'Riley. Una è Eileen, mentre suo fratello si chiama Patrick.- disse alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso il bancone.

Il ragazzo francese rimase in silenzio, non sapendo che cosa dire ma sentiva un sincero moto di compassione e tenerezza verso Arthur e pura ammirazione verso sua madre.

-E il quinto fratello?- chiese Francis seguendo il greco fino al bancone dietro al quale era scomparso alla ricerca caotica di qualcosa. Gli aveva detto chi erano i primi quattro fratelli di Arthur, ora ne mancava solo uno all'appello. Tuttavia la risposta di Heracles non arrivò, e il francese si limitò sconsolato a guardare le due figure fuori dal locale; questa volta era Eileen che era girata di schiena mentre Arthur parlava animosamente al telefono. Che stessero litigando?

-L'ho trovata- disse improvvisamente il greco richiamando l'attenzione su di se -Non dire ad Arthur che la conservo, altrimenti mi dovrei subire un sacco di polemiche- aggiunse porgendogli una polverosa foto incorniciata.

Francis la prese con la stessa cautela che avrebbe adoperato per una reliquia e, con un pollice, scostò dal vetro la polvere che vi si era posata.

Era una foto scattata all'Eliotropilaki, ne riconosceva gli interni, ed, esattamente al centro davanti all'obiettivo, vi riconobbe un sorridente Arthur, di un paio di anni forse più giovane.

Successivamente, la sua attenzione venne attratta da una massa di capelli fulvi posta alla sinistra dell'inglese, vi riconobbe subito Eileen che teneva un braccio attorno alle spalle di Arthur e l'altro attorno a quelle di un ragazzo che sfoggiava dei tratti somatici in tutto e per tutto simili ai suoi.

-Questo è Patrick, il gemello di Eileen.- disse Heracles come se riuscisse a cogliere i pensieri del francese -Questo invece si chiama William.- aggiunse indicando un ragazzo alle loro spalle: dimostrava qualche anno di più di Arthur, aveva i capelli rossi come il fuoco e gli stessi occhi e, soprattutto, le stesse assurde sopracciglia del fratello.

-Questo è Sean, il maggiore.- indicò questa volta un ragazzo dal volto sorridente e gentile che assomigliava molto di più all'inglese che all'altro fratello.

Francis trattene a malapena una risata nel constatare che, oltre ai bellissimi occhi verdi, le sopracciglia disumane erano carattere genetico maschile indelebile nella loro famiglia.

Vicino a Sean si trovava un giovane Heracles, con lo sguardo apatico di sempre e i capelli raccolti in una maldestra coda, e a fianco a lui, vide con stupore una figura ben nota.

-Scusa ma questo non è...?- chiese lasciando in sospeso la domanda, preso alla sprovvista da quel volto.

-Sì, è Alfred Jones, il cantante statunitense. Non so se l'hai mai letto sui giornali ma Jones è orfano di madre e, fino a qualche anno fa, non fu mai riconosciuto da suo padre. Quando la sua mamma morì venne dato in affidamento alla famiglia Kirkland, essendo Claire una sua prima cugina.-

Francis non sapeva ne cosa dire ne cosa pensare, ripensò al suo primo incontro con Arthur, a tutto l'astio che quest'ultimo aveva dimostrato per il cantante statunitense e alle storie lette sue giornali.

Aveva sentito dire semplicemente che Jones, cantante e primo chitarrista degli Underdogs aveva lasciato il gruppo in seguito ad un litigio avvenuto con il bassista di allora Arthur Kirkland, ma non aveva mai sentito affermazioni riguardo ad una parentela fra i due.

-Non lo sapevo. Avevo solo sentito dire che viveva in Inghilterra assieme ad una famiglia di origine inglese e che poi, a causa di scontri, aveva lasciato quel gruppo per entrare nel suo attuale, The Heroes, e che insieme a loro era tornato in America.-

-Già, nessun giornale ha mai scritto riguardo ai loro legami di sangue, ed entrambi non hanno mai insistito perchè vi scrivessero a riguardo.- rispose il greco armeggiando con dei bicchieri.

-Qual è stato il motivo del litigio? Non l'hanno mai reso pubblico.- chiese Francis, approfittando della presenza di Heracles sul pianeta Terra.

Inaspettatamente gli occhi del ragazzo si velarono di un velo di malinconia, per poi dire con voce laconica -E' un po' complicato, dovresti chiederlo ad Arthur.-

-Non mi rispoderebbe mai.- rispose Francis con un sospiro di rassegnazione.

Questa volta il greco non rispose, si limitò appena ad incurvare gli angoli della bocca accennando un sorriso, guardandolo con simpatia e complicità, come a volergli dar ragione con lo sguardo. -Cambiando discorso- disse improvvisamente facendo ridestare Francis dai suoi pensieri-Questa è Claire Kirkland.- aggiunse indicando una donna dai capelli corvini e da un largo sorriso che si trovava fra Sean e Arthur.

Bonnefoy rimase per un po' a fissare quella foto, pensando a quei volti sorridenti e paragonando quella strana e particolare famiglia con la sua, così diversa e distante.

"Understand the things I say

Don't turn away from me

Cause I spent half of my life out there

You wound't disagree"

Proprio in quel momento la radio recitò i primi versi di una malinconicissima canzone dei Cranberries intitolata "Ode to my family". Francis sorrise amaramente, guardando prima la foto che aveva in mano, poi la cassa della radio.

"Do you see me?

Do you see?

Do you like me?

Do you like me standing there?"

Era ironico come questi due semplici elementi gli avevano fatto tornare, prepotente nella mente, il ricordo, doloroso, della sua attuale condizione familiare. Sorridendo amaramente ridiede la foto ad Heracles, che si immerse dietro al bancone per riporla nel suo nascondiglio, ma solo dopo aver fissato, per un'ultima volta, gli occhi smeraldini dell'inglese.

- Eccoli che tornano, incrocia le dita e spera che non inizino a litigare qui dentro.- disse improvvisamente il greco, non ancora competamente emerso.

-Ci sono tipo dei guai in vista, Heracles?- chiese Feliks sedendosi su uno sgabello e incrociando le gambe con la degna teatralità di una diva di Hollywood e non di un cameriere di un locale di periferia.

-Se va tutto bene no, altrimenti titanici.-

La porta si aprì e il primo a varcarla fu Arthur, eccessivamente trafelato, che, con il volto chino, si fiondò verso il tavolo che avevano occupato e, il più velocemente possibile, raccolse tutte le sue cose lanciandole alla rinfusa nella sua tracolla e infilandosi con foga la giacca.

Eileen, invece, entrò più lentamente ma non di certo con più calma, aveva gli occhi rossi e tentava di tenere lo sguardo fisso a terra, aspettando impazientemente il fratello.

Francis non fece tempo a proferir parola che l'inglese gli si parò davanti lanciandogli un mazzo di chiavi - Ascoltami ranocchio vinofilo, quelle sono le chiavi di casa, tornaci da solo. Io farò molto tardi. Non fare casini e, soprattutto, non farti vedere per nessuna ragione al mondo da un tizio biondo, svizzero e armato, intesi? Ciao!- disse tutto d'un fiato, ed, in fretta com'era entrato, se ne andò.

-Scusa Heracles ma dobbiamo rimandare ancora la nostra rimpatriata, ti spiegherò tutto successivamente.- disse Eileen rivolgendo un sorriso al greco che, tuttavia, sembrava alquanto forzato, non di certo solare come quello che aveva nella foto.

- Penso che dovremmo rimandare anche la nostra presentazione- aggiunse rivolta a Feliks e Francis, prima di voltarli le spalle e seguire il fratello.

Francis li guardò in silenzio allontanarsi, mentre passavano celermente, come due ombre, oltre al vetro e chiedendosi se quella che aveva visto scivolare lenta e silenziosa sul viso di Arthur fosse stata proprio una lacrima.

 

 

 

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Chiedo umilmente perdono!

E' da una vita che non pubblico più un nuovo capitolo ed ho accumulato un enorme ritardo... E' che ci sono stati dei contrattempi, alcuni piacevoli come la vacanza a Budapest, altri molto meno come il temporaneo decesso della mia creattività.

In questo capitolo citano Patrick O'Riley (lo so, il nome è banalissimo) ed è un mio OC che corrisponde all'Irlanda del Nord, ed insieme a sua sorella rappresentano l'intera isola. Ho scelto di presentare i due irlandesi come gemelli perchè, principalmente, mentre ora sono due stati divisi, per secoli la loro storia si è sviluppata su binari paralleli ed in modo analogo.

Mi piacerebbe, un giorno scrivere una fanfiction riguardo alla loro storia ma, per adesso, è solo un progetto.

Inoltre lo aggiungo qui perchè mi sono dimenticata di farlo nei capitoli predenti, le eventuali frasi in lingua straniera sono ricavate da Google Translate, ergo se sono sbagliate non linciatemi! :)

Comunque la cricca di teppisti che si vede all'inizio non sono personaggi di Hetalia, sono dei tizi così, a caso.

Ringrazio tutte le persone che hanno letto, recensito o aggiunto questa storia fra le preferite o seguite, grazie davvero!

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Capitolo 6
*** 06. Solitary Man ***


06. Solitary Man

 

I miei passi rimbombano sinistri, propagando il loro suono, ritmico e sordo, per l'intera rampa delle scale mentre salgo svogliatamente gli scalini, sentendomi la testa pesante, gli occhi ancora irritati ed un immane senso di vuoto atto a divorarmi ogni sentimento presente nel mio spirito. Successivamente l'incontro con mia sorella, avvenuto all'Eliotropilaki, gli avvenimenti si sono svolti in fretta ed in modo caotico, portandomi a incontrare di nuovo volti che non vedevo da tantissimo tempo.

Il primo è, appunto, quello di Eileen, che, a quanto pare, ha deciso di sorvolare temporaneamente sul litigio avvenuto mesi fa che ha portato alla nostra attuale allontananza. Poi è stato il turno di Sean che ci aspettava in lacrime a casa di mia madre, dove ci ha abbracciati come non accadeva da tantissimo tempo, ovvero come durante la nostra infanzia, quando eravamo ancora piccolini e lui si sentiva figo nel ruolo di fratello maggiore. Ed infine, dopo Sean, è stato il turno di incotrare nuovamente William che, come sempre del resto, ci ha salutato con le sue solite battute sarcastiche, chiamandomi moccioso, con tono sprezzante da uomo duro e forte qual'è, che, al contrario nostro, noi mammolette, non si fa prendere assolutamente dalle emozioni, anzi, le domina assoggettandole al suo volere.

L'unico che non era presente all'appello era Patrick, infatti, l'idiota, è riuscito a perdere l'aereo che da Belfast avrebbe dovuto portarlo qui, in Inghilterra, tuttavia, ci telefonato più e più volte assicurandoci che sarebbe arrivato l'indomani.

Giunto sul mio pianerottolo appoggio stancamente la fronte alla superficie liscia del legno della porta di casa mia.

Mi sento stanchissimo, sfinito, sia fisicamente che mentalmente.

Ho passato, in seguito alla dura notizia ricevuta da mia sorella fuori dal locale del greco che andava a spiegare il vero motivo per cui tutti erano tornati nella nostra città natale, gran parte del tempo cercando di trattenermi dal piangere, soprattutto davanti a William, per poi scoppiare una volta sceso in strada da solo, prima di rincasare. Tuttavia quelle lacrime, più che sfogarmi e rinfrancarmi, mi hanno solamente stravolto l'animo e fatto precipitare il mio umore.

All'improvviso, a ridestarmi in modo brutale dai miei pensieri, sento un chiavistello scattare alle mie spalle, nonostante l'ora tarda.

Un brivido sinistro mi percorre la schiena e tutta la mia vita mi passa davanti agli occhi mentre tento di aprire febbrilmente la porta di casa. Con sommo piacere mi accorgo che è già aperta e, solo in questo momento, realizzo che, essendo molto tardi, probabilmente la rana è già rincasata. Mentre mi fiondo oltre l'uscio mi sento, per la prima ed ultima volta, sia chiaro, contento della presenza di quel intruso francese.

Richiudo la porta appena un attimo prima che quella del mio vicino si apra, rimanendo per alcuni secondi in silenzio, appoggiato al legno, e, colmo di paura, in attesa di sentire l'altro uscio chiudersi. Quando finalmente accade mi concedo un sospiro di sollievo, lasciandomi scivolare lentamente fino a sedermi sul pavimento.

Anche oggi ce l'ho fatta.

Arthur Kirkland 13- Vash Zwingli 2

Rimango per un po' seduto sul pavimento, al buio, mentre il piacere per la mia ennesima vittoria viene lentamente divorato dal senso di vuoto che mi opprime.

-Arthur?-

Queste parole abbinate ad un movimento indistinto mi fanno sussultare, facendo perdere alcuni battiti al mio povero cuore.

Porca troia, mi sono dimenticato che il francese dorme in soggiorno!

Ripensandoci mi dimentico di troppe cose ultimamente, comincio seriamente a preoccuparmi...

-Francis! Cazzo! Non emergere dal buio così all'improvviso!- la mia voce sembra quella di una liceale che assiste per la prima volta alla vivisezione di un anfibio durante il corso di biologia.

-Pardon- dice spostandosi ed accendendo la luce -Come mai sei seduto per terra?-

-Perchè sono appena sfuggito alla morte.- la mia risposta viene sentenziata in modo seccato mentre mentre mi si avvicina, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, anche se, pensandoci bene, così proprio non è. E'un concetto chiaro solo nella mia povera mente traumatizzata in seguito a spiacevoli incontri avvenuti soprattutto durante gli ultimi mesi.

Nel giro di un secondo la mia attenzione si sposta su altri dettagli e particolari che mi riguardano, facendomi scegliere un nuovo obiettivo: sparire il più in fretta possibile.

E' evidente che ho pianto, ho gli occhi rossi, lucidi e gonfi, e non voglio quindi che il francese mi veda in questo stato.

-Lo svizzero?- mi chiede tuttavia, dimostrando enormi doti deduttive e memore del mio avvertimento di stamane.

-Lo svizzero.-

-Mi spieghi il perchè di questa guerra?- mi chiede divertito offrendomi una mano per aiutarmi nel rialzarmi.

-Mah, un giorno, forse.- rispondo ignorando il suo gesto gentile, come solo l'idiota che sono saprebbe fare pur di apparire un duro.

Tuttavia, vuoi perchè sono stanchissimo, vuoi perchè c'è un qualche spirito che, per la mia maleducazione, vuole punirmi, mi cede inaspettatamente il ginocchio sinistro e mi ritrovo pericolosamente sbilanciato in avanti ed in procinto di cadere.

E' questione di un attimo e sorprendentemente, invece di ritrovarmi spiaccicato sul pavimento, mi accorgo di essere fra le braccia di Francis, che mi regge sviando la mia caduta

-Ops, attento.- mi dice ridacchiando mentre io avvampo come un fesso.

Mugugno qualcosa e, vergognandomi come un ladro, tento di staccarmi da lui.

Dopo qualche iniziale momento di stupore e imbarazzo mi accorgo che il francese, il quale mi sta reggendo tenendomi un braccio avvolto attorno alle spalle, non ha la minima intenzione di lasciarmi.

-Lasciami.- protesto io.

-Non se prima non mi dici la parolina magica.- afferma in tono scherzoso ma ben deciso a non mollarmi, nonostante le mie proteste violente, sfoggiando una forza nelle braccia che, apparentemente, non sembra possedere.

-Che parolina magica? Lasciami andare!-

-No- e detto questo e mi fa compiere una torsione con il busto, bloccandomi il collo sotto alla sua ascella e tenendomelo stretto con un braccio.

Mi ritrovo esattamente nella stessa posizione a cui mi costringeva William quando, per indispettirmi, mi strofinava la testa con le nocche.

Ed infatti un terribile presentimento mi assale.

-Lasciami! Subito!-

Tento di divincolarmi, inutilmente.

Dannazione, dove la tiene tutta questa forza?

-Allora, mon chere, sto aspettando.- dice profondamente divertito mentre mi tiene immobilizzato.

Merda, comincio a temere per la mia persona, le sue parole ed il suo tono assomigliano a quello utilizzato da un maniaco che si sta rivolgendo alla sua vittima in procinto di violentarla.

-Che diavolo dovrei dirti, idiota?!-

-Ci puoi arrivare, gr..-

-Gr..?

-Grazie.-

-Eh? Grazie?-

-Ouì. Grazie Francis, sei proprio gentile, senza di te mi sarei ritrovato con il naso e le mie orride sopracciglie spiacciacate sul pavimento.- dice simulando una mia improbabile vocina.

-Cosa?! Primo: non sarei caduto! E secondo: non permetterti di offerndermi riguardo le mie sopracciglia, vinofilo dal cervello avariato!-

Tuttavia non faccio nemmeno in tempo a finire di parlare che il mio più grande timore si avvera e le sue nocche cominciano a sfregare implacabili contro il mio povero cuoio capelluto.

-Le tue sopracciglia sono orrende e, personalmente, sono stufo della tua maleducazione ed avversione nei miei confronti.- dice in tono assolutamente calmo continuando la sua tortura.

-Aaaaaargh! Lasciami!-urlo tentando di sfuggirgli, invano.

-Ringrazia.-

-No! Dopo questa mai!-

Mentre il mio cervello è occupato a reagire al dolore che sento al cranio i mie pensieri, per un attimo, riflettendo sulle parole appena udite, sono indirizzati al mio comportamento verso il francese. La verità è che io sono negato per i rapporti interpersonali e, reagisco così, quando c'è qualcuno che mi turba e certamante Francis rientra in questa categoria

- Allora, ti arrendi?- la voce di Francis, così allegra e solare, mi riporta alla realtà, dove ritrovo la mia povera testolina fumante ed indolenzita.

-Mai-

-Sei un testardo.-

-Mai quanto te, rana!-

-Rana?- mi chiede stupito- E questa da dove salta fuori?-

-Dal tuo modo assurdo di parlare.-

-Non è assurdo, e , certamente, suona molto più elegante del tuo!- afferma trattenendomi ancora nella sua morsa.

-Seriamente, lasciami.- dico in tono seccato ed alquanto alterato battendogli una mano sulla coscia.

-Ringrazia.-

Cedere ora sarebbe come dichiararsi sconfitto, e non ho intenzione di lasciare perdere, il mio orgoglio non me lo permetterebbe.

Ridacchio pensando che il mio futuro rapporto di convivenza, forzata, con Francis sarà una continua lotta.

Tuttavia lui avrà anche una discreta forza fisica ma io ho un asso nella manica che certamente lui ignora.

Gli cingo, con una certa fatica, vista la mia posizione, i fianchi, facendolo sussultare.

-Che cos'è un abbraccio?- chiede divertito ed incurisito allo stesso tempo.

Povero illuso, non immagina nemmeno la mia prossima mossa.

-No! E' un placcaggio!- affermo con tono sfrontrato puntando i piedi e facendo forza con tutto il mio corpo, così come mi è stato insegnato. Ovviamente, il francese, non può nemmeno immaginare, vista la mia scarsa fisicità, che io ho passato moltissimi anni a giocare a rugby dopo la scuola, assieme a compagni "docili" come i miei fratelli William e Patrick. In seguito alla mia spinta, come due idioti, cadiamo a peso morto sul pavimento, picchiando gomiti, ginocchia e quant'altro, e soprattutto facendo un casino colossale.

Domani sarò sulla lista nera dei miei vicini.

-Ahia! Sei ben irruento!- si lamenta Francis, che finalmete mi ha mollato, massaggiandosi un gomito.

-Ma taci.- sospiro sedendomi ed intanto, mi accorgo, con un certo imbarazzo, che il ragazzo francese mi sta fissando, sfoderando un sorriso che fa risaltare enormemente i suoi occhioni azzurri che ben presto però si trasforma in una improvvisa e spontanea risata -Non sembra ma ne hai di forza.- aggiunge sornione in seguito a quella che sembra una strana rivalutazione del mio essere.

-Ho fatto rugby, con i miei fratelli.- mi giustifico grattandomi la testa con fare distratto e rievocando alcuni ricordi, più o meno belli, riguardo alla mia infanzia.

-Con i tuoi fratelli?- mi chiede Francis, ormai abbiamo abbandonato ogni proposito di guerra e siamo ancora seduti per terra , io appoggiato al divano e lui ad una gamba del tavolo.

-Sì, ci eravamo tutti iscritti nella stessa squadra che raccoglieva molti dei ragazzi del quartiere.- rispondo stancamente, in modo atono.

Il biondo, come risposta, mi fissa, sorridendo appena e giocherellando con le proprie affusolate dita e, per un attimo, mi incanto nell'osservarle.

-Dimmi...- mi dice improvvisamente distogliendo la mia attenzione dalle sue mani - Hai risolto con tua sorella?-

Sapevo che, prima o poi, mi avrebbe fatto questa domanda e, speravo in cuor mio che questo momento sarebbe arrivato il più tardi possibile.

-No, non ho risolto un cazzo.- dico alzandomi di scatto dal pavimento, con l'intenzione di dirigermi verso camera mia, bloccandomi però subito, appena sento una mano di Francis trattenermi per un braccio.

-Ne vuoi parlare?- mi chiede guardandomi negli occhi con tono....gentile?

Apro la bocca per rispondere, pronto a urlargli contro una lunga serie di insulti riguardo al fatto che, questi non sono assolutamente affari suoi, ed invece non dico parola.

Mi accorgo che ho un grandissimo bisogno di parlarne con qualcuno e, forse, con un ragazzo come Francis, che per me è quasi uno sconosciuto, potrei riuscirci. Non sono abituato a confidarmi con la gente e, sinceramente, non saprei nemmeno da dove iniziare.

-Io...- biascico mentre Bonnefoy si alza dal pavimento lasciandomi il braccio, facendolo però in modo strano, con movimenti molto lenti e delicati i quali mi ricordano una carezza.

-Heracles mi ha detto che avete litigato e poi ti ho visto piangere.- a queste parole il mio viso avvampa, facendomi rimangiare i miei pensieri precedenti.

-Dannazione, non piangevo mica! Mi lacrimava un occhio!- comincio a blaterale in modo poco convincente, arrossendo sempre di più e cercando una via di fuga verso camera mia.

-Aspetta, guarda che con me ne puoi parlare! Non ti giudico mica.- mi dice mentre mi allontano nel corridoio, senza accennare a seguirmi.

Mi fermo un attimo davanti alla porta di camera mia, indeciso su che cosa fare.

-E' morta mia madre.- e dicendo questo varco la soglia, chiudendo la porta alle mie spalle.

 

Era coricato immobile sul divano, al buio, con gli occhi chiusi ma incapace di prendere sonno a causa della notizia che gli aveva appena proferito Arthur. Senz'altro non poteva dire di conoscere il ragazzo da molto tempo e l'impressione che gli aveva dato era quella di un tipo estremamente orgoglioso e quasi antipatico, ma soprattutto solo. Era strano, Arthur gli faceva tenerezza, molta tenerezza, e gli ricordava incredibilmente la sua stessa situazione. Forse era questa loro negativa comunanza , ma sentiva per il ragazzo musone dagli occhi verdi una strana attrazione, quasi come se fossero due calamite.

Improvvisamente, sentì provenire dalla stanza di Arthur una melodia di una chitarra, poi, delle parole fluire attraverso la porta chiusa fino al soggiorno.

-"Melinda was mine

'til the time

that I found her

holding Jim

loving him..."

Francis si mise a sedere sul divano ascoltando la voce dolce del ragazzo inglese cantare una canzone che riconobbe subito come Solitary Man.

"then Sue come along

love me strong

that's what I thought

me and Sue

but that died too"-

Si alzò dal suo giaciglio per dirigersi verso la camera da letto, insicuro se fosse stato giusto invedere la sua privacy, violando anche la sua solitudine.

Tuttavia non potè fare a meno di andare da lui anche se, quando arrivò ad impugnare la maniglia della porta si fermò, rimanendo un attimo in ascolto, per inebriarsi di quella voce che sicuramente avrebbe smesso di cantare una volta entrato.

Aveva sentito la voce di Arthur spesso alla radio o attraverso le casse di vari lettori musicali e l'aveva sempre trovata bella, attraente, tuttavia, sentirla del vivo, donava tutta un'altra emozione!

"Don't know that I will

But until I can find me

The girl who'll stay

And won't play games behind me

I'll be what I am

A solitary man, solitary man"

 

Ho appena finito di cantare il primo ritornello che avverto la porta aprirsi alle mie spalle, facendomi sobbalzare e scomponendo la mia tipica posizione che assumo quando suono in casa, ovvero con le gambe incrociate, seduto sul letto e con la chitarra in grembo.

Francis apre appena la porta e scivola nella mia stanza rivolgendomi un sorriso fugace mentre io lancio uno sguardo alla sveglia sul mio comodino segnante quasi le due e realizzando che devo migliorare le mie doti di coinquilino.

-Scusa non sono abituato ad avere gente in casa, mi sono dimenticato che è tardi.-

Come risposta, il ragazzo francese non proferisce una parola e si siede ai piedi del mio letto con fare stanco, ma pur sempre conservando una certa eleganza nei movimenti.

-Non ti preoccupare, non stavo dormendo.- dice guardando davanti a se per poi aggiungere, dopo una pausa -Hai pianto?-

Semplicemente avvampo, per l'ennesima volta -E' così evidente?- chiedo issandomi con le braccia per assumere una posizione decente.

-E' facilmente immaginabile.- risponde con una voce dolce.

Rimaniamo in silenzio per un po' di tempo, immobili, senza sapere bene che cosa dire, stando rispettivamente seduti per terra e sul letto.

-Vuoi parlare?- mi chiede improvvisamente.

Aiuto.

Non so bene che cosa rispondergli.

Se da un lato vorrei parlarne dall'altro mi vergogno troppo di farlo, rivelando le mie debolezze mi sentirei vulnerabile e questa è una cosa che il mio orgoglio non mi perdonerebbe.

-Penso di sapere come ti senti.- dice improvvisamente attirando la mia attenzione su di lui.

-Ti è morto un genitore?-

-No ma..-

La mia risata roca lo interrompe, non lasciandogli continuare la frase, mentre la mia voce è caricata di disprezzo -Ed allora risparmiami queste frasi di circostanza che ne faccio volentieri a meno.-

Non ottengo una risposta immediata, Francis semplicemente continua a guardare dritto, dandomi le spalle.

-Non è una frase di circostanza- quando pronuncia queste poche porole noto qualcosa di diverso nella sua voce, sembra quasi una carica di tristezza.

-Posso capire più o meno quello che provi perchè mi trovo nella stessa situazione ma...- ora sembra quasi imbarazzato, come se dire quelle parole gli costasse una fatica indicibile - All'incontrario.-

-All'incontrario? - chiedo dubbioso ma altrettanto curioso, voglio proprio vedere se sta parlando seriamente oppure a sproposito.

-Già- ora mi sembra quasi in imbarazzo e spesso sospira o si sposta qualche ciocca di capelli dietro le orecchie con fare nervoso-Vedi i miei genitori sono vivi, entrambi, ma è come se io fossi morto per loro.-

Queste parole mi inchiodano come se fossi stato colpito da un macinio -Cosa? Perchè?- riesco a mormorare in modo idiota.

-I miei sono dei tipi molto conservatori, tradizionalisti diciamo, con la mente poco aperta e quando hanno scoperto, quattro anni fa, di chi mi ero innamorato mi hanno cacciato di casa diseredandomi e non riconoscendomi più come figlio loro.-

- E perchè di grazia? Che cosa aveva di male?- chiedo, incredulo che Francis abbia un passato simile.

-Di male? Assolutamente niente.- risponde emettendo un lungo sospiro -Semplicemente era un uomo.-

Non so che reazione si aspetti da me ma quando gli appoggio una mano su una spalla lo sento sobbalzare, per poi voltarsi di scatto verso il sottoscritto.

Vedendo il suo volto stupito deduco che non si è neppure accorto che mi sono avvicinato a lui e, sinceramente, quasi non l'ho fatto nemmeno io.

-Cazzo Francis, mi dispiace.- dico con estrema sincerità.

-Di nulla, c'est la vie.-mormora tenendo gli occhi bassi e, dopo un po', mi chiede con voce leggermente preoccupata - Per te non è un problema se sono...-

-Omosessuale? No, alcuno.- rispondo io -Non sei mica il primo che conosco, lo sono anche Ivan e Heracles.-

L'altro, superato l'iniziale stupore per la mia rivelazione, non mi sembra molto convinto dai miei, per una volta, buoni propositi e continua a guardarmi con un'aspressione dubbiosa.

-Penso non ci sia nulla di sbagliato, ecco- continuo io, tremendamente imbarazzato e col viso completamente rosso- Quelli che realmente sbagliano sono quegli emeriti coglioni che si mettono a fare delle discriminazioni gratuite, credendosi nella posizione di poter criticare gli altri!- più continuo a parlare più aumenta la foga con cui lo faccio e, se non avessi fra le mani le corde della mia chitarra che sto distrattamente strimpellando, starei sicuramente gesticolando come un cretino o come Feliks, il che, forse, è ancora peggio.

-Anche uno dei miei fratelli è omosessuale eppure noi in famiglia non abbiamo mai fatto niente per farglielo pesare, anzi, abbiamo conosciuto anche il suo fidanzato. Non capisco proprio quelle famiglie che allontano i figli per questo motivo, sono degli insensibili, degli ottusi con delle menti aperte come quelle delle formiche. Dovrebbero prendere loro e le loro progenie e..- il mio confuso e demenziale chiacchericcio viene interrotto da Francis.

-Arthur. Io sono uno di quelle progenie.- dice ostentando una faccia da "pocker" imbattibile e lasciando trasparire solo un leggero tono irato dalla sua voce, facendomi comprendere l'enormita della mia gaffe commessa nei suoi confronti e della sua famiglia.

-Ehm, no, cioè.. io non volevo insultare te o la tua famiglia- biascico tentando di scusarmi con il biondo, il quale, fortunatamente, interrompe il mio tentavo di arrampicarmi sugli specchi con un gesto della mano e facendomi intuire che non è rimasto offeso.

-Allora, parliamo di te.- dice improvvisamente Francis sedendosi sul letto accanto a me.

Oh no, proprio come temevo.

Allunga una mano verso la mia spalla, stringendola appena, giusto come avevo fatto io con lui poco prima e guardandomi di con il viso leggermente di sbieco mi chiede- Come ti senti?-

Non so se sia per la voce calda con cui ha pronunciato questa domanda, se sia per la mia stanchezza, se sia per quel calore che sento provenire dal suo tocco o per il mio enorme bisogno di parlare con qualcuno ma avverto un nodo sciogliersi nella mia gola e le lacrime tentano di aprirsi un passaggio per percorrere le mie guance, ostacolate solo dalla mia volontà e dal mio orgoglio.

-Male.- mormoro sincero guardandomi i piedi -Sono cresciuto con mia madre. Lei è sempre stata l'unico genitore che io abbia mai avuto, anche se non avevamo legami di sangue, lei mi aveva adottato.- comincio a raccontare.

-Lo so, me ne ha parlato Heracles.- dice soavemente.

-Ah! Bene, lo immaginavo. In ogni caso, prima o poi, lo saresti venuto a sapere.- mi interrompo alzandomi dal letto e muovendo qualche passo dando le spalle a Francis, non voglio che veda quella lacrima solitaria che mi sta correndo lungo la pelle.

-E' che... E' stato così improvviso. Stava bene ed io e i miei fratelli eravano convinti che avremmo potuto far affidamento su di lei ancora per molto ed invece... è andata in vacanza in Belgio e lì è morta per un infarto fulminante.-

Mi sento triste, non solo per mia madre ma anche per i miei fratelli: Sean ha appena scoperto di essere un futuro padre, avrebbe avuto bisogno di lei, Eileen invece ha bisogno di una figura materna a cui fare riferimento, siccome non può contare su quelle bestie che sono i suoi genitori naturali, e poi Patrick, lui ha avuto guai con la droga, gli serve qualcuno che gli stia accanto, ed anche William, in fondo, so che ha sempre avuto bisogno di una casa dove tornare per leccarsi le ferite. Come faranno d'ora in poi, anzi, come faremo?

Improvvisamente un tocco gentile mi sfiora nuovamente le spalle, sento Francis che, lentamente, mi volta verso di lui e, con delicatezza, mi cinge fra le sue braccia sussurandomi -Mi dispiace.-

La mia prima reazione è quella di allontanarlo e convinto appoggio le mie mani sul suo petto per spingerlo via, ma poi, mi fermo e realizzo tristemente che non è ciò che voglio.

Mostrarsi deboli non è dignitoso, mi dice il mio orgoglio.

E' vero, però ora io ne ho così bisogno, dopotutto, cedere per una volta non è un male, no?

Lentamente, e soprattutto impacciatamente ricambio l'abbraccio e, affondando il volto in una sua spalla e lascio, forse per la prima volta, libere le mie lacrime, abbandonandomi in un pianto a dirotto.

 

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Ciao a tutti! Sono tornata!

Scusate per l'ENORME ritardo ma questo capitolo proprio non voleva essere scritto e il tempo certo non giocava a mio favore.

Che dire?

Questo è stato il capitolo più difficile da scrivere e non riuscivo mai a rendere bene la tristezza di Arthur... comunque tranquilli! Dal prossimo si torna a ridere!

Un'altra cosa... la canzone apparsa è Solitary Man secondo la versione di Neil Diamond, un cantautore statunitense e, anche se non è spiegato, c'è un perchè celato dietro a questa scelta ma questo sarà rivelato solo in futuro....

Inoltre da questo capitolo la pubblicazione diventerà ancora più turbolenta, ma io mi impegnerò al massimo per aggiornare con regolarità!

Grazie a tutti e recensite! Anche solo per dire che è uno schifo! Le critiche sono ben accette!

Rebecca

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Capitolo 7
*** 07. Know your enemy. ***


07. Know your enemy.


Sospiro rassegnato arrossendo come un idiota.
Sono acquattato dietro alla porta del bagno e sto spiando attraverso il buco della serratura lo stretto corridoio di casa mia per assicurarmi che la via sia libera da qualsiasi francese ambulante.
Dio quanto mi vergogno. Dopo la morte di mia madre ho pianto per tutta la sera come se fossi un bambino anche se, ovviamente, non è questo il motivo per cui provo questo sentimento. Infatti quello che veramente mi fa vergognare di me stesso non é di averlo fatto ma come l'ho fatto, ovvero abbracciato a Francis con la testa appoggiata alla sua spalla.
Dio, quanto devo esser sembrato patetico!
-Arthur!-
La sua voce proveniente dal soggiorno mi fa sobbalzare, facendomi sfuggire una maledizione.
-Almeno oggi c'è qualcosa per fare la colazione in casa tua?-
-No!- urlo di rimando, alzandomi e arrossendo.
Sento dei passi avvicinarsi e mi accorgo di essere in trappola, imprigionato nel mio bagno ed incapace di evadere senza incrociare Francis, il quale si ferma davanti alla porta.
-Andiamo fuori a farla? Te la senti o ti porto qualcosa?- mi chiede gentilmente. dannazione perchè deve esserlo? Mi fa senire un debole...
-Non ho fame.- rispondo asciutto non accennando ad aprire l'uscio.
-Arthur, dovresti mangiare qualcosa.-
-Non sono affari tuoi.- come appare tuonante la mia voce paragonandola con il mio stato attuale: ho i pugni chiusi, le gote arrossate e sono appoggiato alla parete opposta alla porta.
Dannazione al mio orgoglio! Non riuscirò mai più a guardare il francese in faccia per il resto della mia vita.
-Arthur, stai bene?-
-Benissimo.-
-Aspetta!Arthur, uh, dovresti uscire da lì!- sento la sua voce alzarsi di volume e farsi più agitata. Ma che cosa vuole?
-No, non rompermi le palle Francis.-
-Ma Arthur...-
-Non ho bisogno dei tuoi consigli.-
-Arthur...-
-Ho detto che non ti voglio come baglia, sto benissimo e lasciami lavare in santa pa-
-Arthur!- mi interrompe urlando -Lasciami parlare.-
Sbuffo spazientito, incrociando le braccia ed acconsento ad ascoltarlo-Okay, che cosa vuoi? - ma che scena stupita, lui sta provando a convicermi di uscire dal bagno ed io mi ostino a non farlo.
-Ti squilla il cellulare.-
-Eh?- rispondo stupito. Di tutte le frasi che avrebbe potuto pronunciare il francese questa é certamente l'ultima che mi aspettavo di sentire.
-Il cellulare!-
-Francis è una scusa?- chiedo scettico.
-Conosco medoti molto più pratici e piacevoli per farti uscire da lì- dice con voce quasi...maliziosa?
Titubante esco dal bagno e trovo Francis con le braccia incrociate, la fronte corrucciata e lo sguardo serio che però, non appena incrocia i miei occhi, si illumina grazie alla complicità del suo sorriso -Il cellulare.- dice semplicemente e, come a confermare le sue parole, la mia suoneria riempie l'aria. Io invece distolgo subito imbarazzato lo sguardo e, borbottando qualcosa, mi avvio verso la mia stanza, dalla quale, sento provenire l'avviso di chiamata.
Mentre corro verso il mio comodino mi accorgo, con immenso stupore, che fra me ed il francese non ci sono stati ancora scambi di frecciatine e battutine idiote come invece normalmente accade. Dannazione, questo è un evento da segnare sul calendario!
Appena raggiungo il cellulare lo alzo celermente e, mutando la mia espressione da imbarazzata ad incazzata, rispondo con poco garbo a mio fratello William.
-Pronto?-
-Caccola, perchè ci metti sempre degli anni a rispondere?-
-Vaffanculo William.-
-Ohoh, vedo che oggi è il tuo primo giorno di ciclo, Alice.-
-William, cazzo- quando parlo con mio fratello tutta la mia finezza perisce inesorabilmente per lasciare il posto ad un ricco vocabolario di insulti, ampliato nel corso degli anni- Smettila di trattarmi come se fossi una ragazzina del liceo e vedi di fartelo entrare in quella testaccia rossa che il mio nome è Arthur!-
-Come vuoi Alice. In ogni caso non rompermi i coglioni e vedi di essere a casa della mamma per le undici. Abbiamo l'appuntamento dall'avvocato e dobbiamo andarci tutti insieme- risponde con la sua solita voce canzonatoria, intervallando le parole a piccole pause, segno che sta fumando.
-Okay. Tu adesso dove sei?-
-Attualmente? Sul cesso, sto cagando. Parlare con te mi da la giusta ispirazione.-
-William sinceramente fottiti.-
-Ma come sei acida Alice, non apprezzi nemmeno un po' di sano umorismo...-
-Ascolta stronzo, non mi hai ancora detto dove sei. Sei a casa della mamma, no?- la mia già scarsa pazienza si sta seriamente esaurendo.
-Tecnicamente sono a casa di una morettina che ho conosciuto ieri al pub. Sai com'è, non ho la tua vita dissipata da rockstar alternetiva.-
Sgrano gli occhi per la sorpresa e comincio ad urlare -Sei coglione?! Ieri ci hanno avvertito che è morta la mamma e tu passi le sarate a caccia di donne!?- la mia voce, rasentante l'isteria, preoccupa comprensibilmente Francis che lo vedo affacciarsi alla porta della mia camera.
-Sapevo che avresti reagito così, Suor Alice. Ovvio che sono a casa della mamma, dove vuoi che sia? Anzi ti dirò di più...- sento una piccola pausa ed il rumore dello sciaquone che viene tirato. Diamine ma allora è veramente al cesso!!
Rozzo maleducato....
-... Se non porti il tuo culo in questa casa al più presto giuro che decapito Sean e uso la sua testa per giocare a bocce, ovviamente dopo aver chiuso la piccola irlandese in uno sgabuzzino e gettato la chiave nel Mare Polare Artico.-
Bene. Tutto ciò non mi sorprende.
Se c'è una una caratteristica fra i rapporti di noi fratelli che rimane invariata nel tempo è sicuramente quella di essere costantemente sul sentiero di guerra uno con l'altro, quindi non fatico per niente ad immaginare i litigi fra quei tre.
-Cosa state combinando?- la mia voce è monocorde, di chi, ormai, ha perso da tempo la speranza.
-Il solito. Eileen... beh è Eileen. Al momento però non è lei il mio principale problema visto che sta uscendo per andare a prendere quel cretino di Patrick, che, finalmente, é atterrato sul suolo inglese.- risponde mentro lo sento espirare.
-E' Sean che giuro che lo ammazzo.- aggiunge acido con la sua voce profonda.
Sospiro rassegnato, non fatico a comprendere i vari istinti omicidi di William. Normalmente Sean è un tipo abbastanza freddo e riservato, tranne quei momenti in cui si comporta da paranoico, ossessivo fratello maggiore.
-Lasciami indovinare... Ti continua a fare cazziatoni per il fumo.- tento di indovinare.
-Magari fosse solo quello, Caccola. Rimpiango quasi i momenti in cui mi rompeva le balle su quanto fa male il tabacco. Adesso è entrato nella sua consueta modalità "fratello apprensivo" mischiata a quella nuova di "neopapà supermega ossessivo compulsivo".-
-Non chiamarmi caccola, stronzo. Comunque, sua figlia non dovrebbe nascere fra quattro mesi o giù di lì?-
-Se riesci a farglielo capire mi complimenterò con te, Caccola. Hai idea di quante volte ha già chiamato la sua compagna?-
-Sono certo di non volerlo sapere...- per una volta nella mia vita nutro una certa compassione per William.
Sean è l'unico fra noi ad essersi sistemato in pianta stabile, infatti ha trovato un bel posto di lavoro come infermiere all'Ospedale dell'Università del Galles, a Cardiff, dove vive con la sua compagna che io, Will, Eileen e Patrick definiamo normalmente come "La stronza" o "La fredda", donna però per cui lui stravede. Noi personalmente la troviamo alquanto terrificante. L'unico a cui appare invece bella e buona come una dea è, appunto, Sean che in sua presenza abbandona la sua freddezza per diventare peggio di allupato innamorato durante il giorno di San Valentino, insomma, una cosa vomitevole. Il fatto che anche William sia intimorito da lei e che le ceda il passo ogni qualvolta la incrocia è tutto dire; forse questo deriva solamente dal fatto che, una volta, lui aveva fatto una delle sue solite battute acide su Sean e lei, per difendere l'orgoglio di quello che allora era il suo neo fidanzato, dalla parte opposta della cucina gli scagliò un coltello che per poco non lo evirò.
Il nome di questa temibile donna è Natalia Arlovskaija, viene da Klimovichi, una citta bielorussa, e, non so per quale strana ragione, ha scelto come sua dolce metà proprio mio fratello, rendendo in questo modo le nostre già rare e tese riunioni di famiglia un vero e proprio film horror.
-Beh lascia che te lo dica sono più meno-
-WILL!!!- la voce di Eileen è così forte che riesco a sentirla attraverso il telefono.
-CHE COSA VUOI?- urla di rimando mio fratello lessandomi il timpano dell'orecchio sinistro.
-DOVE HAI MESSO LE CHIAVI DELLA MACCHINA?-
-QUALI?- perchè William deve urlare al telefono se sta parlando con Eileen? Non pensa alle mie povere orecchie?
-E' OVVIO, LE TUE!-
A questo punto non aspetto nemmeno la risposta di William lancio il telefono sul mio letto, senza interrompere la conversazione, e mi siedo mollemente sul materasso sentendo intanto le urla dei miei fratelli che, come da copione, hanno incominciato a litigare.
Alzo lo sguardo e, spalanco gli occhi nel vedere Francis sulla porta che mi guarda con fare stupito e preoccupato. Nel massimo del silenzio, interrotto solo dal brusio proveniente dal cellulare, aggrotto le mie sopracciglia nel tentativo di incenerirlo con lo sguardo per il suo origliare, anche se è perfettamente giustificato visto il casino che stiamo facendo. Normalmente non mi darebbe così fastidio però forse se per uno spettatore esterno le chiamate ed i bisticci fra noi fratelli possono costituire uno spettacolo divertente, io mi vergogno un po' dei miei rapporti familiari, caratterizzati sempre da un'estenuante e sana rivalità.

Alcune volte mi chiedo come sia avere una famiglia normale, dove tutti vanno d'amore e d'acccordo.
Il francese tuttavia, al contrario delle mie previsioni, non si fa intimidire e notando che ho ancora la chiamata aperta, con strani gesti, mi fa capire che vuole sapere se è tutto okay e se sto bene.

Oh meglio, questa mi sembra la coretta interpretazione, l'alternativa è che lui si stia trasformando in una farfalla, cosa che non credo proprio.
Maledetto... Perchè si deve sempre proccupare per me?
Con un gesto secco ed impacciato alla fine gli rispondo che va tutto bene ma deve andarsene, ovviamente il tutto mentre le mie gote avvampano.
Dannazione, mi sento un idiota.
Prima, ogni volta che incontravo il ragazzo francese, mi sentivo assalito da un sentimento molto simile all'irritazione ed all'insofferenza mentre ora, dopo esser stato almeno un paio d'ore fra le sue braccia, sento una sorta di groviglio allo stomaco e di strano e persistente imbarazzo.
Improvvisamente un brusio più forte, proveniente dal mio cellulare, richiama la mia attenzione e celermente prendo l'apparecchio.
-William?- chiedo dubbioso e speranzoso che abbiano smesso di urlare.
-Caccola, ascolta. Smettila di cazzeggiare e vieni qui, al massimo alle undici.-
-Fottiti.-
-Lo prendo per un sì, bene, se non ti presenti sei morto.-
E subito, a seguire le sue parole, sento il click che sanziona definitivamente la fine della nostra conversazione telefonica.
Rimango qualche attimo perso nelle mie riflessioni mentre guardo l'ora segnata sul display del mio cellulare ovvero le 9:15, poi, dopo un sospiro veloce, torno in bagno per finire veramente di prepararmi e non per scappare da vinofili francesi.


Francis si grattò distrattamente la testa sospirando e ripensando al suo scorbutico coinquilino inglese.
Se proprio doveva ammetterlo provava una gran pena per lui, non poteva dirlo di conoscerlo bene, anzi, c'erano un'infinità di cose che non sapeva di lui, riguardo alla sua vita, alle sue passioni ed ai suoi interessi, le cose che odiava e le cose che gli piacevano, però dopo l'altra sera pensava di aver capito il suo vero io. In quel momento, nella massima tristezza causata dalla morte della madre, l'aveva visto veramente per quello che era, disarmato della solita maschera che tendeva ad indossare ed, in quel momento, aveva capito due cose.
La prima era che Arthur si sentiva irrimediabilmente solo e nascondeva certamente una serie di dolori passati e, nonostante lui non l'avrebbe mai ammesso, aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino.

La seconda deduzione invece apparteneva alla sfera emotiva del francese, ovvero aveva capito di essere irrimediabilmente e profondamente attratto da Arthur.
Non capiva esattamente il perchè e soprattutto non capiva che cosa ci trovasse in lui.
Razionalmente parlando, fisicamente, aveva conosciuto uomini molto più belli ed invece per quanto riguardava il carattere... beh, forse era decisamente la parte peggiore e non servivano nemmeno paragoni per accertarsene. Eppure non riusciva a dimenticare quei bellissimi occhi verdi, specchio della sua anima, e nemmeno quella strana empatia inaspettata emersa nei suoi confronti dopo la confessione del suo passato in Francia.
Forse, in fondo, riflettendoci, Arthur di fascino un po' ne aveva.

Certo, quest'ultimo non doveva essere ricercato utilizzando i canoni comuni, quali la bellezza o il comportamento, ma in fondo ne era dotato.
Ammaliato da un successo velocemente nato ed altrettando velocemente tramontato, quel passato leggermente oscuro da dargli quell'aria leggermente misteriosa, eppure, allo stesso tempo, la sicurezza che in fondo fosse una brava persona gli conferiva uno spessore unico.
Si ricordava bene la prima volta che l'aveva visto: era stata su una rivista.
Era ancora in Inghilterra, erano tempi felici per lui, aveva una schiera di amanti lunga come la Muraglia Cinese e suonava con i suoi due migliori amici di sempre, Antonio Fernandez Carriedo e Gilbert Beilschmidt ed insieme costituivano il Bad Touch Trio, un gruppo innovativo ed abbastanza apprezzato nell'ambito dei piccoli pub. Non erano molto famosi però come secondo lavoro era perfetto.

Un giorno era nella metropolitana di Londra, città in cui allora risiedeva, in particolare stava raggiungendo la fermata di Russel Square per raggiungere Wakefield Street dove lavorava come cameriere in una tavola calda e stava leggendo una rivista musicale sulla quale era stato pubblicato un interessante articolo su un nuovo gruppo emergente che aveva sfondato, contro ogni previsione, le classifiche inglesi. Il nome era Underdogs e la canzone che li aveva portato il successo si intitolava Ordinary life. C'erano solo una foto del gruppo, mentre stavano suonando, e mostrava quattro persone: in primo piano c'era il cantante e chitarrista Alfred F. Jones, poi, appena dietro sulla destra, si trovava un secondo chitarrista di nome Ivan Braginski mentre, alle loro spalle, c'era un ragazzo danese di nome Mathias Kierkegaard tutto sorridente alla batteria.
Eppure lo sguardo di Francis venne catturato dalla persona più in ombra del gruppo, alla sinistra di Jones, con la testa china e le spalle leggermente incurvate, gli occhi chiusi ed un leggero sorriso sul volto, come se non stesse suonando per il pubblico ma per un suo proprio mondo interiore, c'era il bassista del gruppo. Quel ragazzo era Arthur Kirkland.
Da allora Francis, per tutto il periodo che rimase in Inghilterra, non aveva mai perso di vista gli Underdogs.
Nonostante il suo interesse fosse catalizzato sull'inglese, la loro musica non era per niente banale e non aveva le solite tonalità commerciali, presentando talvolta dei testi di difficile comprensione. Nonostante ciò, però, avevano un pubblico che variava da indie ed intenditori musicali ad orde di adolescenti innamorate perdutamente del cantante dai bei occhi azzurri.
Aveva comprato i loro dischi ed aveva seguito i loro sviluppi attraverso le riviste musicali fino a quando non si era deciso a comprare un biglietto per assistere ad un loro concerto che si teneva a Liverpool, la città dove il gruppo risiedeva, che si sarebbe tenuto alcuni mesi dopo.

Tuttavia Francis non riuscì mai ad assistere a quella esibizione.
Qualche giorno dopo ricevette una chiamata da Eugéne, ormai il ragazzo francese non usava più l'appellativo "padre" per lui da molto tempo, dove lo supplicava di tornare al più presto in Francia.
Volevano rappacificarsi con lui, così aveva detto, ed aveva giurato di esser cambiato, assieme alla moglie, e soprattutto di aver accettato la sua sessualità.
Forse condizionato dalla voce sull'orlo del pianto dell'uomo o per il dispiacere che gli causava quella situazione decise di tornare nella sua terra natia, esattamente alcuni giorni prima del concerto degli Underdogs.
Tornó nella tenuta paterna dopo mesi di assenza, solo per scapparvi dopo pochi giorni.
Si dice che solitamente il tempo e gli avvenimenti tristi cambiavano i cuori delle persone e, sicuramente, questi due fattori avevano cambiato quelli suoi genitori ma in peggio.

Nonostante le promesse, alla fine, erano sempre rimasti gli stessi intolleranti fondamentalisti che erano sempre stati.
Tuttavia, dopo la sua fuga, decise di non tornare in Inghilterra, ma di intraprendere un viaggio per l'Europa. Dopotutto ora era libero da qualsiasi vincolo e giusto una settimana prima Antonio aveva lasciato il gruppo per tornare in Spagna.
Decise di partire da lì.
Andò a Riola, dal suo vecchio amico, e partendo da quella cittadina cominciò a girare la penisola Iberica, poi andò in Costa Azzurra, dopodiché salì fino al Belgio e poi fu il turno dell'Olanda.
Viaggiava utilizzando tutti i suoi risparmi e, quando non bastavano, guadagnava qualcosa con la sua musica o lavorando in qualche bar o tavola calda, sfruttando le sue innate doti culinarie.
Dopo i Paesi Bassi avrebbe voluto andare in Germania e poi discendere in Italia ma i soldi scarseggiavano e sapeva bene che non avrebbe potuto continuare a viaggiare così a lungo.
Tuttavia, per una volta, la sorte gli sorrise, indicandogli la giusta strada.
Mentre sostava in un alberghetto fuori Harleem, incerto sul cosa fare, ricevette una prodigiosa chiamata da Gilbert, il quale abitava ancora nel loro vecchio appartamento di Londra. Il ragazzo tedesco tentò di convincerlo a tornare sul suolo britannico usando come metodo di persuasione una notizia che un suo amico gli aveva detto di aver sentito da un conoscente risiedente a Liverpool, che, a sua volta, conosceva un musicista il quale, una sera mentre era ubriaco in un locale gestito da un greco, si lamentava di essere in cerca di un bravo bassista e di non essere riuscito a trovarne uno.
Francis non aveva mai pensato di tornare a Londra, dopotutto lì non aveva più nessuno oltre a Gilbert e non esistendo più nemmeno i Bad Touch Trio.Tuttavia la sua prospettiva cambiò in fretta quando scoprì che quel musicista ubriaco altri non era che Arthur Kirkland stesso, il quale cercava un nuovo bassista per gli Underdogs.
Fu così che Francis Bonnefoy, ventisettenne di origini francesi, rimise piede in Inghilterra dopo quasi due anni di assenza.
Immerso com'era a rivangare i suoi pensieri non si accorse nemmeno dei passi frettolosi che percorrevano il corridoio in direzione della porta.
-Ma come, esci?-chiese Francis stupito, guardando Arthur mentre si accertava che le scale fossero libere da ogni minaccia svizzera.
-Si perchè? Non posso?- rispose acido, come sempre.
In risposta il francese, dal canto suo, si limitò a mettere le mani in tasca e ad alzare le spalle, la sera precedente si era ripromesso di essere gentile con l'inglese per i prossimi giorni, visto il suo lutto. Eppure gli risultava così difficile!
Tuttavia, come pentito dalla sua risposta antipatica, Arthur aggiunse -Devo andare dall'avvocato con i miei fratelli per sistemate le cose di nostra madre.-
-Capisco- disse il francese avvicinandosi a lui - Ci sei per pranzo?- chiese mentre notava divertito il rossore propagarsi sulle guance dell'inglese.
-No, non credo.-
Francis tuttavia non fece in tempo ad aggiungere un alcunché che Arthur, dopo aver brontolato un "ci si vede", si smaterializzò giù per le scale.


 

-E SPEGNI QUELLA CAZZO DI SIGARETTA! CI STAI AFFUMICANDO!-

-Questa è la mia auto e sono libero di fare quello che voglio, pittosto moccioso, se non ti va bene, scendi.-

-Ragazzi smettela.-

-NON SAI QUANTO MI PIACEREBBE.-

-Io non ti trattengo di certo, Alice.-

-Dai William, Arthur, calmatevi.-

-Ehi! Eileen! Su chi scommetti questo giro?-

-Non saprei Pats, secondo me si uccidono a vicenda coinvolgendo anche Sean...-

-Eileen! Patrick! Non state lì a fare stupidi commenti ed aiutatemi a farli ragionare!-

-Impossibile Sean. Questi due non sono dotati di alcuna capacità di logica razionale.-

-Oooh! Detta da te questa frase non mi sembra molto coerente, Eileen, visto che sei conosciuta anche come la regina delle incazzature facili!-

-Fottiti William.-

Siamo in macchina da venti minuti in tutto e questo è il nostro quarto litigio.

Sono attualmente imprigionato con quattro psicopatici, il fatto che siano tutti miei fratelli trovo sia un dettaglio irrilevante, di cui: due sono idioti, uno è una camera a gas e l'altro è peggio di una baby-sitter petulante.

-Che finezza per essere una signorina, carrot-top.-

-Non voglio sentire critiche di questo genere da te che sei peggio di un rozzo maiale! E poi parli tu che hai i capelli ancora più rossi dei miei!?-

-Ehi! Ora mi sento anch'io chiamato in causa!-

-Taci Patricia. Non intendevo criticare i due capelli spendidi splendenti quindi perchè ora non continui a farti la manicure e stai zitta.-

-Ragazzi andiamo! Non litigate! Patrick! Eileen! Non iniziate pure voi!-

Stringo con forza le mani, tentando di far scemare la rabbia che provo in questo momento causata dall'ingorgo nel quale siamo finiti, dal continuo fumare di William, dal continuo urlare dei due gemelli e dalla voce fastidiosa di Sean. Devo assolutamente trovare il modo di fuggire da qui prima che mi venga una crisi di nervi!

Normalmente non staremmo mai tutti e cinque in un'auto sola ma, attualmente, non abbiamo altra scelta visto che ci stiamo dirigendo dall'avvocato per la lettura del testamento di nostra madre, del quale, nessuno di noi, aveva la più pallida idea della sua esistenza.

Il suddetto testamento è venuto alla luce quando mio fratello William ricevette una telefonata da un'infermiera di nome Silviet VanHoller, la quale gli ha spiegato della morte di nostra madre, avvenuta in seguito ad un infarto fulminante.

Subito dopo a telefonate di vario genere se ne sono sommate altre fra cui quella all'avvocato di nostra madre il quale ha esordito dicendo che tempo prima la signora Kirkland aveve scritto un testamento e lo aveva affidato a lui.

E fu così che ci venne dato apputamento a questa mattina, alle dodici, per la lettura del documento, peccato che la nostra missione sia, al momento, bloccata a causa di un ingorgo stradale, peggiorato dalla pioggia.

Adesso le voci dei due gemelli sono sovrapposte, in modo indistinguibile, con quella di William causando un casino colossale che, oltre ai nervi, mi sta frantumando anche i timpani avvendo i due irlandesi alle spalle e mio fratello maggiore al fianco.

-BASTA! NON VI REGGO PIU'!- urlo al limite della sopportazione accendendo la radio con un gesto di rabbia ed alzando a tutto volume la musica che, al momento, stanno trasmettendo.

Un improvviso pizzicotto alla guancia mi fa sobbalzare mentre gli autoparlanti riproducono il suono di tamburi, seguiti da una chitarra elettrica -Non ci sopporti più?! Sarai simpatico tu!- dice Eileen scocciata continuando a schiacciarmi la pelle del viso.

-Lhashiami.- rispondo seccato afferrandole il polso.

Dannazione, la lontananza mi ha fatto dimenticare quanto siano temibili i suoi pizzicotti e, di certo, la posizione in cui mi trovo non gioca a mio favore.

"Do you know the enemy?

Do you know your enemy?

Well gotta know the enemy

Wah Hey!"

-Non ci penso nemmeno, brutto antipatico scorbutico di un inglese! Sono stufa di te!- e, dopo aver decantato queste dolci parole riferite alla mia persona, con una rapità degna di una praticante di arti marziali, mi afferra da dietro anche l'altra guancia, duplicando ora la potenza dei suoi pizziccotti.

"Do you know the enemy?

Do you know your enemy?

Well gotta know the enemy

Wah Hey!"

-Lhashiami lhentigginosha!-

-Non ci penso nemmeno, pezza da culo!- ribadisce facendomi ancora più male e continuando la sua tortura.

Okay, ha dei buoni motivi per avercela con me, ma così è giocare sporco! Io sono legato al sedile anteriore da questa stupita cintura di sicurezza e non posso difendermi!

"Do you know the enemy?

Do you know your enemy?

Well gotta know the enemy

Wah Hey!"

-Hey! Sfotti per le lentiggini?- sento proferire da dietro le mie spalle con tono minaccioso accompagnato da un lieve, ma mal celato, istinto omicida.

Accidenti a me! Mi sono dimenticato che le piccole macchie cutanee sono un tabù essendo che oltre, ad Eileen e Patrick, anche Sean ne fa sfoggio sul volto.

"Violence in an energy,

Against the enemy,

Well,violence is an energy,

Wah Hey!"

-Se dovete pestarvi fatelo pure ma non sulla mia auto.- interviene William con tono apatico e del tutto indifferente davanti ai suoi fratelli che sono sul punto di picchiarsi.

Dannazione, è sempre stato così!

Perchè non posso avere una famiglia normale!?

Non possiamo avere dei rapporti, non dico rosei, ma decenti fra noi fratelli?

Dovremmo essere uniti nel dolore comune della morte per nostra madre eppure eccoci qui, pronti ad attaccarci l'un l'altro, io compreso, come stiamo facendo in questo momento e come abbiamo sempre fatto.

"Bringing on the fury,

The choir infantry,

Revolt against the honor to Obey"

-Ahem! Ragazzi!- ci chiama improvvisamente Patrick che, scorgendolo appena con la coda dell'occhio, lo vedo fissare stranito la radio, come se gli avesse dato un'illuminante rivelazione.

-Che cosa c'è?!- rispondimo, seccati in coro, mentre, finalmente, Eileen mi lascia le guance, stanca di tormentare il mio povero viso.

-Stavo pensando...-

-Oh questa è una novità!- esclama William ridacchiando per la sua stessa battuta.

-Fanculo William.- risponde acido continuando- Dicevo questi sono i Green Day, no?-

"Overthrow the effigy,

The vast majority,

Well, burning down

The foreman of control"

Mi basta un attimo di ascolto per riconoscere immediatamente Know your enemy dei Green Day ma ancora non riesco a capire a che conclusione voglia arrivare Patrick.

-Sì e allora?- chiede William perplesso, come me del resto, mentre guarda l'irlandese tramite lo specchietto retrovisore.

-Beh, mentre stavamo litigando mi sono messo ad ascoltare la radio e mi sono ricordato di una cosa che subito mi ha fatto sorgere una domanda-

-Ovvero?- chiede Eileen manifestando una certa perplessità ingigantita dalla consapevolezza di avere un gemello che naviga a vele spiegate sui mari della follia.

Infatti la mente di Patrick è peggio di un cubo di Rubik, insolvibile, e, ad esempio, tornando ad adesso non riesco proprio a capire che cosa centrino i Green Day con noi.

-Beh mi sono ricordato che Alfred ascoltava i Green Day, e qui sorge la mia domanda... Qualcuno lo ha...?- ma la sua questione rimane sospesa nel vuoto guardando le nostre facce che, lentamente, sbiancano per lasciare posto a quattro espressioni, soprendentemente uguali, mostranti tutto il nostro imbarazzo per una simile dimenticanza, lasciando il silenzio regnare nell'abitacolo.

"Silence is the enemy,

Against your urgency,

So relly up the

demons of your soul"

Oh merda. E ora che cazzo si fa?

 

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Ed eccomi qui! Tornata!

Fra esami e studi sono riuscita a ritagliarmi, con le unghie e con i denti, piccoli brandelli di tempo per scrivere questo capitolo ed ecco il risultato così difficilmente partorito.

Beh, non ho cose di rilievo da aggiungere...Se non che carrot-top, per chi non lo sapesse, è un tipico modo di deridere usato in Inghilterra per quelli che hanno i capelli rossi. Inoltre, ebbene sì, la belga è ovviamente Belgio.

In questo capitolo si viene a sapere più nel dettaglio di Sean e della sua vita e tutto il passato di Francis viene completamente messo nudo, inoltre (finalmente direte voi, ebbene sì avete ragione) si scopre dove scapio è ambientata questa storia ovvero nella città di Liverpool.

Bene e con questo penso di aver detto tutto... Come sempre ringrazio quelle anime pie che seguono questa fic ed, in particolare, quelle che l'hanno aggiunta fra le preferite, seguite etc e soprattutto chi ha recensito!

Grazie davvero!!! :D

Rebecca.

P.S. Per il cognome di Mathias ho scelto Kierkegaard perchè era un filoso danese (ma dai!) e perchè mi aveva fatto dannare. Non l'ho affibiato al caro Danimarca perchè lo trovo antipatico (anzi, io ADORO Danimarca) ma per fare un tributo ad un mio vecchio nemico...

E con questo è davvero tutto!

Alla prossima!

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Capitolo 8
*** 08. Dear doctor ***


08. Dear doctor

 

-Sasso, carta forbici.-

-Estraiamo.-

-Per alzata di mano! Io voto tutti tranne me!-

-Puoi essere serio per una volta? Lanciamo una monetina.-

-Siete quattro deficenti.-

Eccola la sentenza glaciale di Sean.

Attualmente siamo tutti e cinque pigiati in un minuscolo ascensore, in attesa di giungere al piano dove dovrebbe trovarsi l'avvocato di nostra madre.

Mentre ognuno, con gomitate e spintonate, tenta di trovarsi un piccolo spazio vitale in cui stare, stiamo affrontando una questione spinosa: decidere chi avvertirà Alfred della nostra perdita.

Io, però, non voglio farlo di certo. Anzi, da quel che posso vedere nessuno aspira a svolgere tale compito.

- Lo faremo tutti assieme. Nonostante tutto rimane nostro fratello.- dice Sean incrociando le braccia, con tono serio e severo.

Per un secondo cala una pesante cappa di silenzio fra noi, mentre tutti, inevitabilmente, scivogliamo nei ricordi riguardo a ciò che è successo quasi due anni fa.

- Non credo che lui la pensi ancora così.- sentenzio io, infine, incapace di starmene zitto.

-Non vuol dire un cazzo.- dice William, sbuffando, tenendo fra le labbra una sigaretta spenta -Anch'io spesso non ti considero mio fratello. Eppure ti rivolgo la parola.- aggiunge guardandomi con aria impassibile. William ha esattamente lo stesso colore delle iridi miei e di Sean, eppure lui riesce sempre ad assumere uno sguardo così glaciale, come adesso, che sembra ripudiare tutte le nostre somiglianze somatiche.

-Non sei obbligato a farlo.- rispondo con tono freddo.

- Penso che seguirò allora il tuo consiglio.- dice voltandosi verso di me senza mutare espressione.

-Stop!- sono sul punto di replicare ma un urlo improvviso interrompe la nostra lite.

-Che cosa vuoi?- rispondiamo in coro voltandoci verso Patrick che, nel frattempo, si è messo fra noi due.

-Non degeneriamo ragazzi!- dice prendendoci sottobraccio con un sorriso che gli va da un orecchio all'altro -Vi conosco bene, vecchi miei, e riesco a prevedere come andrà a finere il vostro scambio di battute.-

-Staccati.- pronunciamo all'unisono. Riflettendoci, è impressionante come io e William riusciamo a rispondere con le stesse parole quando abbiamo a che fare con Patrick.

- Tu Will risponderai qualcosa di acido. Tu Arts farai altrettanto.- continua imperterrito, come se non avesse udito le nostre parole - Poi Will ti avvicinerai ad Arts e comincerai a spintonarlo, poi tu Arts comincerai a fare altrettanto e poi... Boom! Farete scoppiare una rissa.- spiega sorridendo con voce allegra mentre compie ampi gesti con le mani.

Un muro di silenzio di muta compassione verso questo pazzoide cala nell'ascensore.

Tuttavia Patrick sembra non accorgersene e continua a tenerci sottobraccio. Sorvoliamo, inoltre, sul fatto che per riuscire a cingere William sia penosamente in punta di piedi da mezz'ora.

-Staccati.- rispondiamo imperterriti, ancora una volta in coro.

-Suvvia ragazzi!- si lagna, finalmente mollandoci - Eileen! Digli qualcosa!- aggiunge girandosi verso la gemella che, stranamente, non ha ancora fatto battute ciniche volte ad offendere la mia persona o quella di William.

Eileen, di risposta, sembra scendere dal mondo delle nuvole e, dopo un secondo di silenzio, sfoderando un sorriso quasi angelico, sentenzia -Oh, ma fate pure. Anzi, già che ci siete, fate le cose in grande e fatte bene, quindi, fatevi molto male. Però aspettate almeno di scendere dall'ascensore altrimenti coinvolgereste anche me, Pats e Sean.-

Ecco appunto. Come non detto.

Mi domando come talvolta faccia a dire certe cattiverie con quel viso sorridente.

-Acida. Vai a cagare.- William non importa con chi stia parlando, riesce sempre a conservare il suo solito linguaggio da scaricatore di porto.

-Dopo di te, scimmione rosso.- Ecco, ora sono loro due da fermare.

-Non ho intenzione di sentire delle critiche sui miei capelli da parte tua, carrot-top.- ribadisce, non senza ragione, William.

Fra i capelli rosso fuoco di uno ed i capelli rosso-ramato dell'altra rappresentano una bella scala cromatica.

Eileen fa per ribadire qualcosa ma, proprio in quel momento, un suono acustico richiama la nostra attenzione, segnalando l'arrivo al nostro piano.

Grazie a dio i litigi si interrompono e, finalmente, scendiamo da quel maledetto e lentissimo trabicolo nel quale eravamo tutti stipati.

Io sono l'ultimo a scendere e, mentre sto per varcare la soglia mi accorgo che la radio è accesa e, proprio in quel momento, riconosco una strofa di una canzone familiare.

"So help me, please doctor, I'm damaged

There's a pain where there once was a heart..."

Per un attimo mi fermo e riconosco nelle note la canzone dei Rollin Stones.

Mi ricordo che quando gli Underdogs erano ancora una scassissima e pessima cover band la suonavamo spesso questa canzone!

Adesso,invece, siamo una band vera e propria, anche se rimaniamo comunque pessimi ed io non sono altro che il pessimo membro fondatore.

Sospiro esasperato e finalmente mi decido a seguire rassegnato i miei fratelli.

 

 

Francis aveva tanti difetti.

Una moltitudine.

Ma uno non gli si poteva certamente attribuire: la pigrizia.

Da quando Arthur era uscito, il francese aveva compiuto una moltitudine di cose che andavano dall'esplorazione della casa, trovando oltretutto cose tremendamente inaspettate come un set da ricamo, a gironzolare per i ditorni, cucinare qualcosa commestibile, cosa mai avvenuta su quei fornelli, fino provarci col commesso del discount sotto casa.

Tuttavia, ora di sera, non vedendo rincasare ancora Arthur, dopo non aver ricevuto nemmeno una sua notizia, aveva deciso di concludere la giornata andando nell'unico locale frequentato dalle persone che conosceva. Non che intrecciare nuove relazioni risultasse poi difficile al francese, tuttavia aveva una gran voglia di conoscere meglio quei ragazzi che, da poco, erano entrati nel suo mondo.

Appena varcate le porte, oltre al barista ed al cameriere, aveva trovato il sorriso inquietante di Ivan, seduto al solito tavolo riservato ai membri della band.

Ormai erano quasi le dieci e, nonostante nessuno avesse ricevuto alcuna notizia dai Kirkland, secondo Ivan infatti si erano tutti uccisi a vicenda, la serata stava trascorrendo in modo piacevole.

Nello slavo, sotto l'eterno sorriso infantile, Francis aveva trovato una persona con la quale parlare era assai piacevole.

Dopo poche frasi aveva capito che Ivan possedeva una cultura non da poco ed aveva risvegliato nel francese alcune delle sue immutabili passioni come la poesia e la letteratura, che da sempre si affiancavano a quella musicale.

Infine lo stupore di Francis, per le conoscenze di Ivan, raggiunse il massimo quando quest'ultimo cominciò a parlare fluentemente un francese perfetto.

Inoltre il bell'aspetto ed il fatto che fosse gay conferivano al russo ancora più punti nella scala mentale personale, amorosa di Francis.

Okay, il francese si era promesso di rispettare la regola di non avere intrallazzi amorosi con gli stessi membri della band ma, dopotutto, una cosetta da una notte non poteva portare alcun danno.

Inoltre non esiste un divieto senza qualche eccezzione, ed un'avventura con il russo e l'inglese scorbutico lo erano appieno.

Anche la logorroica telefonata di Gilbert, la quale lo stava tenendo incollato all'apparecchio ormai da venti minuti, non era riuscita a scalfire il suo buon umore. Solo qualche senso di colpa, ogni tanto, faceva capolino nel suo cervello visto che lui stava gongolando e divertendosi nella sua nuova città mentre Arthur affrontava un lutto.

- Comunque Franz, alla faccia di voi antipatici, il mio fascino ha colpito ancora!-

-Lasciami indovinare... Una botta e via in una discoteca. Dimmi, era uomo o donna?- la voce di Francis era canzonatoria, votata a spegnere la vanagloria dell'amico tedesco ma allo stesso tempo curiosa. Francis amava i pettegolezzi, soprattutto se piccanti.

-Ehy! Di quelle ne ho bizzeffe, questa volta ti sto parlando di una cosa che potrebbe diventare seria!-

-Tu? Una relazione seria? Mon dieu... Temo che da domani splenderà un sole inesauribile su quest'isola e, nel frattempo, i suoi abitanti diventeranno tutti dei simpaticissimi cuochi provetti!-

-Molto spiritoso Franz, davvero molto spiritoso... Soprattutto perchè, lo sappiamo, fra noi tre il trombatore incallito sei tu!-

-Amore Gilbert, la mia è la sottile arte dell'amore. Anche se dura solo per cinque minuti per me non è semplicemente del movimento fisico è...-

-Okay, Francis taglia. Le tue teorie sull'amore me le hai già illustrate centinaia di volte. Inoltre, se non sbaglio, stavamo parlando di me!-

Non che con te si possa parlare di molti altri argomenti.

Questo Francis lo pensò ma non lo disse. Sapeva che con Gilbert era una partita persa, così come fargli pronunciare il suo nome alla francese.

-Allora, dicevi di questa nuova conquista... Parlamene, sono curioso.-

-Bene, è un ragazzo ed ha circa la nostra età...-

-E' bello?- lo interruppe il francese.

-Bello? Stiamo parlando di sangue mediterraneo Franz! Molto più che bello! Vorrei ricordarti che ho ottimi gusti io!-

-Mediterraneo... Questo porta dei punti a suo favore! Dimmi che è francese ed avrai i miei complimenti.-

-Nah! Non è un tuo compatriota. Viene dalla bella Italia!-

-Ciò porta comunque dei punti a suo favore... Dimmi, come lo hai conosciuto?-

-Storie di fratelli... Roba complicata!-

-In che senso, scusa?- chiese il francese perplesso, voltandosi verso i suoi amici. Ivan stava parlando con Heracles al bancone che, come sempre, non stava lavorando. Intando Roderich, che nel frattempo era entrato nel locale, si stava sistemando su uno sgabello, leggermente in disparte.

-Ti spiegherò, è una storia un po' complicata! Non vuoi sentirtela raccontare dalla mia magnifica bocca?-

-Gilbert, tecnicamente anche quando sei al telefono parli con la bocca...-

-Andiamo! Mi hai capito, francese!- lo interruppe Gilbert. Tuttavia il tedesco, o prussiano, come amava definirsi quando flirtava con le sue future conquiste, visto che era nato nella odierna Kaliningrad o, come sottolineava ogni volta, Koeninsberg, non continuò la frase e, dall'apparecchio, giunse la voce distorta ed ovattata di un'altra persona.

-Arrivo!- urlò il tedesco rivolto all'altro interlocutore. -Scusa Franz ma adesso ti devo lasciare. La mia nuova conquista sta per uscire ed andare al lavoro.- disse Gilbert tornando a rivolgersi al francese.

-Oh, vedo che la cosa è seria! Siete già a vivere assieme?-

-Non è proprio così, diciamo che ha accetto di ospitarmi a casa sua per qualche giorno.-

-Conoscendoti Gilbert ti sei autoinvitato, ed il poveretto di turno non è riuscito a rispedirti in strada.- disse il francese con tono canzonatorio.

-Ehy! Qualsiasi persona sarebbe contenta di accogliermi nella sua dimora!- la voce estranea giunse ancora alle orecchie di Francis -Ja! Arrivo!- altre esclamazioni seguirono le parole del tedesco.

-Franz, ora ti lascio.-

-Okay mon amì. Ci sentiamo.- al francese sarebbe piaciuto raccontargli più nel dettaglio della sua nuova vita a Liverpool ma, allo stesso tempo, sapeva benissimo che con Gilbert era quasi impossibile avere altri argomenti che non riguardassero il tedesco stesso.

Avrebbe chiamato Antonio, il suo confidente di fiducia, anche a costo di spedere un patrimonio. Riola, infatti, non si trovava certo dietro l'angolo.

-No Franz, vedrai, molto meglio! Preparati psicologicamente ad incotrare la mia magnifica persona in un futuro prossimo. Molto prossimo.-

-Che intendi?-

-Tschüss Francis!-

Il francese non fece tempo ad aggiungere altro che una sequenza di "tut" gli fece capire che la conversazione era terminata per sempre.

Non sapeva se essere preoccupato o felice per l'ultima frase di Gilbert. Probabilmente avrebbe fatto meglio ad essere entrambi. Dal tedesco ci si poteva aspettare di tutto.

Infatti Gilbert Beilschmidt era una delle persone più strane che Francis avesse mai incontrato e forse, proprio per questo, insieme ad Antonio era in assoluto il suo migliore amico.

Secondo il francese il destino aveva giocato un ruolo fondamentale nel farli incotrare nella cucina di quel scadente ristorante di Covent Garden. Era tutti e tre giovani, musicisti, squattrinati ed assolutamente folli quindi, com'era ovvio che fosse, avevano subito legato.

Non solo, alla fine si erano ritrovati anche a convivere per tentare di sopravvivere alla vita cara di Londra.

Gilbert aveva i proprio natali a Koninsberg, cosa di cui andava molto fiero. Innumerevoli volte infatti aveva annoiato Francis ed Antonio con l'ennesima storia riguardo la sua città natale e quel suo antenato generale dell'esercito prussiano.

Inutili si erano rivelati i tentativi di ricordare a Gilbert che ormai la sua città era in pieno territorio russo e che la Prussia era ormai morta da decenni.

Si era trasferito poi con la famiglia in Germania, dove era nato suo fratello minore, e dove tutt'oggi risiedevano ancora i suoi genitori. Successivamente era emigrato in Inghilterra per costruirsi la sua fortuna.

Quella chiamata, tuttavia aveva piacevolmente stupito Francis.

Infatti era da quando, anni prima, una bella ragazza ungherese conosciuta a Londra aveva spezzato il suo cuore che non lo sentiva così carico per una relazione.

Gilbert, infatti, era stato follemente innamorato di Elizabetha ma alla fine lei scelse un altro.

Nessuno sapeva bene chi fosse questo fatidico contendente, nemmeno Gilbert. Sapevano solo che era stato un pianista austriaco e che, successivamente, si erano trasferiti insieme via da Londra.

Francis aveva conosciuto la ragazza e non le era sembrata particolaremente attraente, troppo mascolina per lui, eppure per il tedesco lei fu sempre il suo grande amore perduto.

- Era un tuo amico?- la voce dolce ed infantile di Ivan fece tornare alla realtà il francese, perso nel mondo dei ricordi.

- Già. Non lo sentivo da tempo.-

-Come si chiama?- il russo si accomodò sulla panca davanti a Francis, mentre beveva un liquido trasparente da un bicchiere. Dall'odore si sarebbe definito vodka.

-Gilbert. Gilbert Beischmidt.- rispose Francis riprendendo a sorseggiare il vino che aveva abbandonato a causa della telefonata.

- E' tedesco?-

-Ha la cittadinanza tedesca ma, in realtà, è originario di Koeninsberg...- Francis tuttavia lasciò in sospeso la frase notando il cameriere polacco agitare convulsamente la mano nel tentativo di attirare l'attenzione del russo.

- Ha poca importanza in quel caso. Quasi tutti gli abitanti di Kaliningrad si considerano ancora tedeschi.- rispose duro Ivan correggendo il nome della città.

-Penso... Che Feliks ti stia chiamando.- chiese perplesso Francis.

Ivan, come risposta, si girò con aria annoiata verso il cameriere per poi voltarsi nuovamente verso il suo bassista -Giusto, mi ero dimenticato che cosa mi aveva detto di chiederti quell'inutile essere polacco.- Il russo sorrideva, come sempre, ma, aldilà della frase, anche un cieco avrebbe potuto vedere l'odio puro che correva fra i due. - Mi chiedevano se, per caso, Kirkland ti avesse contattato.-

-No, non ho notizie di Arthur da questa mattina.- davvero, ormai erano quasi le undici. Che cosa era successo ai Kirkland?

Era inquietante questo silenzio.

-Francis dice di non aver notizie. Mettetevi il cuore in pace, si sono uccisi a vicenda.- urlò il russo al cameriere.

-Non penso siano giuste queste tue parole.- disse improvvisamente Heracles, sedendo al loro tavolo.

-Direi inappropiate.- fece eco l'austriaco unendosi a loro.

- Scusami, ma dopo anni che li conosco penso sia un futuro plausibile.- disse Ivan con voce innocente.

-Li conoscete da molto?- chiese curioso Francis ai due.

-Già. Conosco Arthur e la sua famiglia da quando ero piccolo. Claire Kirkland era la vicina di casa di mio padre, quindi da piccoli giocavamo spesso insieme. Inoltre questo locale- e detto questo il greco fece un gesto ampio ad indicare tutto l'Eliotropilaki - Venne venduto proprio da lei a mia madre.-

-Io invece li ho conosciuti al tempo delle scuole superiori.- si limitò semplicemente a rispondere Ivan, non aggiungendo altro.

-Io invece non posso dirli di conoscerli bene. Non ho mai incontrato la sua famiglia e conosco Kirkland da quando, l'anno scorso, ho cominciato a suonare con loro.- disse Roderich accomodandosi gli occhiali.

- Comunque- riprese la parola il greco, cambiando discorso - Ti ho chiesto se avessi sentito il nostro caro inglese perchè mi ha telefonato Eileen chiedendomi se avessimo visto Patrick e Arthur. A quanto ha detto, si sono separati dopo la visita dall'avvocato e da allora non si sono più visti.- nessuno rispose alle parole del greco, mentre ognuno era perso nei proprio pensieri e congetture pessimiste.

Intanto la radio gracchiava:

"Oh help me

Please doctor, I'm damaged

There's a pain

where there once was an heart"...

 

-It's sleepin, it's a beatin'
Can't ya please tear it out, and preserve it
Right there in that jar? -

-Patrick, maledetto! Invece che cantare cammina dritto!-

Sono bagnato fradicio, puzzo di alcool, la mia faccia è un dolore unico, mentre la mia camicia è sporca di sangue, ed inoltre sono costretto a reggere quel cretino ubriaco di mio fratello. Decisamente un pomeriggio ed una serata da dimenticare.

-Andiamo Artie, la facevano sentire in ascensore!- biascica barcollando. Lo osservo per un attimo, giusto per notare che il suo sopracciglio comincia a gonfiarsi. Dio, è la volta buona che Eileen mi ammazza. Guai a toccare il suo gemello.

Sospiro esasperato, tentando di ignorare la pioggia gelida che percorre la mia schiena ed il labbro spaccato che pulsa tremendamente.

Grazie al cielo vedo la familiare e rassicurante vetrina dell'Eliotropilaki e, con pochi, malmessi passi scivoliamo davanti ai vetri illuminati del locale fino a raggiungere la porta.

Aprirla invece rappresenta una sfida, siccome ho le mani impegnati a reggere il cretico irlandese ma, dopo diversi tentativi, riesco a spalancarla con un calcio, rendendo ancora più epica la nostra entrata.

Fermandola con un piede varco la soglia assieme a mio fratello, facendo calare all'istante una pesante, ed estremamente imbarazzante, cappa di silenzio. E' ormai mezzanotte e siamo nel bel mezzo della settimana, tuttavia ciò, non ci risparmia dal farci vedere in queste pessime condizioni dai pochi avventori che nacora si trovano al locale oltre che da Heracles, Ivan, Feliks ed, infine, dalla maledetta rana francese.

Tutti si voltano verso di noi, ammutoliti, mentre al greco cade un bicchiere per lo stupore mentre ci guarda avanzare verso il bancone, ed a ben ragione.

L'ultima volta che ci hanno visti stavamo andando alla lettura del testamento di nostra madre mentre ora siamo in condizioni pessime.

Patrick è ancora ubriaco fradicio, avvolto nel suo parka completamente bagnato. La pioggia non è stata certamente clemente con noi, ed inoltre ha un graffio su una guancia, il naso che sanguina ed un sopracciglio malmesso.

Inutile dire che io non sia messo molto meglio.

Dopo essermi vomitato, circa, sui piedi ho smaltito l'alcool della mia epocale sbronza, tuttavia la cravatta che indossavo è andata persa per sempre, il mio cappotto è ancora più bagnato di quello di Patrick, se possibile, ed inoltre domani avrò un fantastico occhio nero mentre il mio labbro sarà bello gonfio, violaceo e spaccato.

-Cioè! Ma! Tipo! Che cosa vi è successo!?- chiede Feliks con voce stridula ed isterica, uccidendo il silenzio formatosi.

-Io ed Artie ci siamo picchiati in mezzo ad una strada!- sentenzia Patrick con orgoglio, alzando un dito.

Io di mio non dico niente e copro gli ultimi passi che ci separano dal bancone, lasciando il rosso accasciarsi su uno sgabello.

-Mon dieu!-

Eccolo...

-Ma state bene, che cosa vi è successo?- chiede la rana avvicinandosi con fare preoccupato.

-Non hai sentito il rosso ubriaco? Ci siamo picchiati.- sentenzio glaciale sedendomi su un altro sgabello.

-Visto, io l'avevo detto che si uccidevano a vicenda.- dice Ivan con la sua odiosissima voce angelica.

- Vi comportate ogni volta come dei barbari.- sentenzia con sdegno invece l'austriaco, aggiunstandosi i suoi occhiali.

Giuro che prima o poi glieli spacco.

Nel giro di pochi secondi di stupore la sala, prima completamente silenzio, diventa un brusio unico, formato dalle parole dei clienti che continuano a guardarci curiosi additandoci.

Che nervi. Non hanno mai visto due persona bagnate e sanguinanti?

-Come vi sieti picchiati? Che cosa è successo?- mi chiede il francese senza abbandonare il suo volto estramamente preoccupato.

-Niente, tizio che non conosco, ordinaria amministrazione. Questo è ciò che accade quando hai un fratello stronzo come il biondino.- biascica Patrick rispondendo a Francis. Le sue parole potrebbero anche sembrare scherzose ma il suo sguardo rivolto a me è così gelido e carico d'odio che mi fa male. Persino più delle botte.

-Francis non ascoltarlo.- replico mentre mi allungo oltre il bancone a prendere una bottiglietta di plastica abbandonata su un vassoio.

Se la condensa non mente dovrebbe essere bella fredda, ottima per il mio povero labbro.

-Inoltre non sono affari tuoi e ti pregherei di starne fuori... Anzi. Voi tutti.- aggiungo qusi con fare stanco scrutando uno ad uno i miei amici attorno a noi.

-Esatto, non ascoltarmi "tizio che ho appena compreso chiamarsi Francis".- replica mio fratello scendendo dallo sgabello e rimanendo in piedi, in maniera barcollante -Devi sapere che Arthur non è molto pratico nell'arte dell'ascoltare. Non ascoltava nemmeno nostra madre.-

Questo è troppo. Come se non fosse già stata una tragedia quella lettura del testamento ora devo sentirmi continuamente dire dagli unici miei familiari rimasti al mondo che è colpa mia.

Con un gesto di ira ed esasperazione lanciò per terra la bottiglietta, colpendo quasi Feliks che per schivarla spicca un balzo indietro.

-Lei non me l'aveva detto! Io non lo sapevo!- urlo puntando un dito contro Patrick -Ed inoltre non accusarmi di nulla! Non ne hai il diritto! Tu e tutti gli altri! Ve ne sieti andati tutti fregandovene di noi! Io sono l'unico che è rimasto!-

Sento le lacrime premere contro i miei occhi. Se siano di rabbia, frustazione o dolore non saprei dire. Forse tutte e tre messe assieme.

Il dolore patito adesso ed in questi due anni sta esplodendo dentro di me.

Come risposta mio fratello non dice nulla, ma il suo volto è sconvolto come se lo avessi colpito con un pugno.

I miei amici intanto sono ammutoliti e guardo increduli alla nostra lite, non capendo niente di quello che è successo. Soprattutto Francis. Lui non conoscete il mio passato ed i miei scheletri nell'armadio come gli altri, chissà che cosa pensa di noi in questo momento.

Sicuramente che siamo una famiglia di pazzi.

-E voi che cazzo guardate?- urlo invece rivolto agli altri del locale che in silenzio assistono alla scena come se fosse una soap opera.

Non faccio in tempo a girarmi che sento gli altri esclamare mentre qualcosa di dirige a tutta velocità verso il mio volto.

Il pugno di Patrick mi colpisce in pieno sullo zigomo sinistro mandandomi a terra.

Mentro sento la mia schiena impattare contro il pavimento non posso fare a meno di pensare che Patrick fino a qualche anno fa era il piccolo di famiglia!

Adesso è più alto di me e senza difficoltà riesce a stendermi!

Non faccio in tempo a rialzarmi che me lo vedo addosso, mentre Francis ed Heracles tentano inutilmente di bloccarlo.

Tuttavia, se spera che io sti qui a farmele suonare si sbaglia di grosso.

Nel giro di un secondo la rissa inizia.

 

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Chiedo scusa per l'enorme ritardo con cui pubblico i capitoli.

Tecnicamente questo faceva parte di un unico grande capitolo ma ho deciso di pubblicarlo subito giusto pe far vedere che sono ancora viva!

Grazie per chi leggerà, recensirà ed aggiungerà questa fic fra i suoi preferiti, odiati etc...

Grazie anche solo per averci dedicato 5 minuti!

Rebecca

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