Strano il mio destino.

di VeraNora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning - Chiuso nel silenzio, sono andato via. ***
Capitolo 2: *** Rose - Ma fa male non pensare a te. ***
Capitolo 3: *** Katherine - via dagli occhi, dalle mani, da te. ***
Capitolo 4: *** Elena - Che donna sarò se non sei con me. ***
Capitolo 5: *** Stanze - Forse sentirai la mia voce che ti chiama. ***
Capitolo 6: *** Di_stanze - A un passo dal tuo cuore. ***
Capitolo 7: *** Broken - più vicino a te. ***
Capitolo 8: *** Pictures - Al cuore gli parlerò di me. ***
Capitolo 9: *** Bugie - Io ti raggiungerò. ***
Capitolo 10: *** Jessica - Proverò ad urlare. ***
Capitolo 11: *** Equilibri - Se ti amerò, ancora e di più. ***
Capitolo 12: *** Memories - Io non ti perderò. ***
Capitolo 13: *** Cenere - Ferma a non capire dove voglio andare. ***
Capitolo 14: *** Verità - oltre il tempo e le distanze. ***
Capitolo 15: *** Meta - A un passo dal tuo amore. ***
Capitolo 16: *** Famiglia - Resterò, per non lasciarti più. ***
Capitolo 17: *** La matassa - Strano il mio destino. ***
Capitolo 18: *** The end - È chiaro il mio destino. ***



Capitolo 1
*** The beginning - Chiuso nel silenzio, sono andato via. ***


A mammaesme,
per la sua disponibilità a supervisionare questo piccolo progetto.
Se si rivelerà essere un buon lavoro, sarà soprattutto grazie a LEI.

 
 
Damon era seduto nel salotto dell’appartamento di Denver in cui si era trasferito da un paio d’anni. Si rigirava il paletto di legno tra le mani mentre pensava al suo passato, 20 anni da quando se lo era lasciato alle spalle: Mystic Falls, Stefan, Elena.
A questo si riducevano i suoi ricordi. Un posto e due persone, le più importanti della sua vita.
Stefan era sicuramente in giro per il mondo, anche lui costretto a lasciare Elena, non avrebbe potuto starle accanto per troppo tempo
ma almeno le è stato accanto
pensò con dolore.
 
Damon era andato via due giorni dopo la fine di quella guerra:  Klaus era mummificato nella sua bara in fondo all’oceano, gli originali spariti ed Alaric chiuso nella cripta ad aspettare che Elena morisse per terminare la sua esistenza.
Con Stefan il patto era che, chiunque Elena avesse scelto, l’altro sarebbe andato via.
Damon lo aveva trovato stupido, ma aveva acconsentito. Quando lei scelse di stare con Stefan, questo si presentò alla porta della stanza di Damon dicendogli che il patto poteva essere revocato
«Ma dai! Ora che lei ha scelto te, ti sei reso conto che in fin dei conti sono tuo fratello?»
gli aveva detto sarcasticamente. Stefan abbozzò qualche scusa, ma a Damon non importava, la verità era che aveva così bisogno d’affetto che avrebbe accettato di fare da testimone di nozze, se questo avesse significato avere ancora la sua famiglia accanto e la possibilità di vedere lei, ogni giorno.
Quello con cui non aveva fatto i conti era il dover vivere all’ombra della loro felicità.
Due giorni dopo la scelta, ed uno dopo la proposta di rimanere di Stefan, Damon era tornato a casa dopo una serata passata a bere da solo al Grill.
Appena messo piede in casa il suo udito da vampiro carpì un suono delizioso: la risata di Elena.
Un sorriso gli si stampò in automatico in faccia, tramutandosi  in smorfia di dolore quando alla risata di lei si sovrappose quella del fratello. I due erano in camera da letto a viversi ed amarsi, mentre lui era lì, sull’uscio, ubriaco, solo. La misura era colma.
Damon salì in camera  e prese le cose essenziali, tornò in macchina ed andò via. Nessun biglietto, nessun addio.
A qualche chilometro fuori da Mystic Falls frenò bruscamente.
Una specie di angoscia lo colse improvvisa. Scese dall’auto e si sentì perso.
 
Era già accaduto, si trovava quasi nelle stesse condizioni. Quella volta aveva dovuto uccidere Rose che si era parata tra lui ed il lupo che lo stava attaccando. Si era sacrificata per lui.
Una donna che lo aveva conosciuto poco e per poco, ma che lo aveva ritenuto meritevole a sufficienza per morire al posto suo. Anche quella sera finì con lui ubriaco e disperato, perso in mezzo alla strada.
Si era sdraiato a terra, in attesa che il mondo smettesse di traballare. Una ragazza si era fermata a soccorrerlo.
 
«Jessica…»
disse Damon ricordando quel volto terrorizzato, e si sdraiò nuovamente a terra.
Jessica aveva pagato con la vita l’essersi preoccupata per lui, uno sconosciuto
«Ne hai fatte fuori due in un giorno, bel record, amico!»
si disse con gli occhi chiusi e le braccia spalancate. Pensò a quella notte di poco tempo prima e si sentì bloccato in un deja-vù. Poi il rumore di una macchina attirò la sua attenzione, aprì gli occhi e vide qualcuno scendere da un pik-up, osservò delle gambe femminili avvicinarsi a lui
«Signore? Sta bene? Le serve un’ambulanza?»
disse una voce gentile. Damon sorrise amaramente
«Come ti chiami?»
le chiese. La donna lo osservò stranita, non ebbe il tempo di rispondere che Damon scattò in piedi sfruttando la sua velocità da vampiro e gli si piazzò davanti
«Lascia stare, non lo voglio sapere. Non ho bisogno di un altro nome da ricordare… perché io voglio solo dimenticare… ci sono già passato, so come va a finire… perdonami, questa volta mi risparmierò lo sfogo esistenziale!»
la donna non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che Damon si avventò sulla sua carotide e ne succhiò il sangue, che caldo fluì nella sua bocca, scendendo vellutato nella sua gola. Bevve da lei finché non sentì la vita abbandonare quel corpo poi  la lasciò cadere a terra. Si sentì sazio e vuoto al contempo.
Per un secondo la sua mente pensò a cosa avrebbe detto Elena
«Si fotta! Lei ha il suo principe azzurro pronto a non deluderla»
sbottò cercando di convincersi che non gliene importava. Un suono strano attirò la sua attenzione, un vagito… sembrava provenire dal pik-up, si avvicinò lento con il viso sporco di sangue.
Sul sedile posteriore, sveglia e sorridente, c’era una bambina, lo guardava con occhi grandi e privi di quell’ombra che solo il conoscere il mondo dà. Damon si sentì spezzato in due, guardò il corpo esanime della donna che aveva ucciso e di cui non sapeva il nome, ed un dolore inaspettato gli esplose nel petto. La bambina fece un altro verso ed il vampiro tornò a guardarla sconvolto, poi agì senza quasi pensare: prese il seggiolino con dentro la bambina e lo mise in macchina, recuperò il borsone con dentro il necessario per accudirla e partì. Guidò per ore prima che il pianto della piccola lo riportasse alla realtà. Accostò in un’area di servizio e guardò quella creatura quasi come se si fosse materializzata accanto a lui dal nulla. La piccola piangeva, forse aveva fame, Damon recuperò il borsone che aveva preso dall’auto della sua vittima, scese dall’auto e poggiandolo sul cofano si mise a cercare qualcosa di utile: trovò un biberon e due confezioni di latte in polvere. Non ne sapeva assolutamente niente di bambini ed un principio di terrore si impossessò di lui
che diavolo ho fatto?”
Continuò a ripetere nella sua testa mentre cercava di capire come preparare quell’intruglio per placare il pianto sempre più acuto della bambina
«Le sarà difficile preparare quella roba qui»
disse una voce maschile alle sue spalle, Damon si voltò tenendo in mano biberon e latte in polvere
«Cosa?»
chiese ancora lontano da se stesso
«Dicevo… non le sarà possibile preparare quella roba qui per la sua bambina… le conviene usare le pappe pronte, ne avrà in quella borsa no?»
disse un uomo panciuto e con il volto gentile. Poi si avvicinò e Damon continuò a fissarlo intontito.  Lo sconosciuto si mise a cercare nel borsone, rovistò un attimo e tirò fuori degli omogeneizzati, li mise in mano al vampiro e disse:
«Ho dovuto crescere da solo la mia bambina, mia moglie è morta durante il parto… mi sono trovato nella stessa situazione ai tempi… avrei voluto che qualcuno mi dicesse cosa fare»
L’uomo sorrise e si congedò da Damon che riuscì a stento a ricambiare il sorriso. Il vampiro si guardò le mani per un po’, poi la piccola tornò a piangere e lui tornò in sé. Aprì il vasetto di pappa e sperò la piccola non facesse troppe storie, e non ne fece, anzi, si rivelò essere molto collaborativa. Appena finito di mangiare si addormentò. Damon la osservò a lungo, poi disse:
«Se non ti rovino la vita prima, un giorno ti racconterò tutto e tu sarai libera di vendicare tua madre»
La bambina fece una strana smorfia col naso continuando a dormire, il che strappò un sorriso a Damon
«Jessica…»
disse piano il vampiro osservandola
«Ti chiamerò Jessica»
 
Fu così che Damon si ritrovò a fare prima da padre, e poi da fratello maggiore alla piccola.
La crebbe cercando di dare a lei quello che a lui era mancato: amore, fiducia, possibilità.
A causa del suo essere vampiro furono costretti a trasferirsi spesso, ma Jessica non diede mai a vedere di provare dispiacere per quella vita nomade, anzi. Era eccitata da tutti quei cambiamenti ed ogni volta che vedeva Damon sfogliare un atlante chiedeva entusiasta: «Fai scegliere a me dove andare?»
Damon puntualmente le rispondeva di no, che era troppo piccola, e lei metteva il muso per un po’, almeno finché lui non le portava una tazza di latte caldo e dei biscotti.
Inoltre la bambina dimostrò sin da subito di possedere una mente elastica: qualsiasi altro bambino si sarebbe stranito nel vedere il proprio ‘genitore’ non invecchiare mai, avrebbe spifferato la cosa in giro. Jessica no. Fece qualche domanda, certo, ma qualsiasi cosa Damon le dicesse, per lei andava bene. Anche il fatto di averlo sempre chiamato “D” non fu per lei un problema.
Agli amichetti, agli insegnanti, agli altri, ripeteva la storia imparata a memoria: «lui è il mio papà, è un uomo d’affari, ci spostiamo spesso a causa del suo lavoro. La mia mamma è morta di parto, siamo solo io e lui».
Tutti ci credevano e chiunque facesse troppe domande, veniva soggiogato a non avere problemi. Una vita che filò liscia fino a quando non fu il momento di decidere per il college, Damon le lasciò scegliere il posto in cui vivere e quando lei indicò sulla mappa “Denver” a lui quasi scoppiò il cuore.
 
Le aveva parlato vagamente della sua vita a Mystic Falls:  Jessica sapeva solo di avere uno zio in giro per il mondo di nome Stefan.
Di Elena non sapeva nulla, o quasi… era riuscita a scoprire che una donna aveva spezzato il cuore a Damon, ma nient’altro. Di Katherine, invece,  sapeva tutto: il vampiro non si risparmiò nei dettagli, l’unica cosa che le fu omessa era il suo essere la copia spiccicata di Elena… quel particolare Damon lo tenne per sé.
Quando Jessica disse entusiasta: «Denver! Voglio andare a Denver!»
Lui non poté spiegarle perché trasferirsi lì non lo avrebbe reso felice, non poté raccontare della notte in cui, per la prima volta, Elena gli era saltata addosso  accendendolo di una elettricità che strideva con i neon di un motel scassato. Fu costretto ad ingoiare il rospo, ed inoltre si era ripromesso di non permettere al suo passato di rovinare il futuro di Jessica. Così accettò Denver come destinazione, premurandosi di non passare mai nei pressi di quel motel.
 
Dopo due anni in quel posto, con Jessica quasi in odore di laurea, decise che era giunto il momento per lei di sapere e per lui di morire. Attese il ritorno della ragazza pensando a tutto quello che lo aveva condotto lì, cercò di arginare il pensiero di Elena il più a lungo possibile e quando fu sull’orlo del ricordo di loro due insieme, Jessica aprì la porta di casa, scaraventandolo via da quel dolce dolore
«Sono a casa!»
urlò gettando lo zaino per terra
«Hey?»
chiese lei, Damon si schiarì la gola e rispose:
«Sono qui, in salotto»
Dopi pochi istanti, la testa bruna e riccioluta di Jessica, sbucò dal corridoio
«E cosa ci fai lì? Sto morendo di fame! Mangiamo fuori  o mi hai fatto una sorpresa cucinandomi una delle tue specialità?»
fece lei sorridendo sorniona. Damon pensò a quanto le sarebbe mancato tutto questo una volta detta la verità. Anche se Jessica non lo avesse ucciso, sicuramente non avrebbe più voluto vederlo.
«Jess, devo dirti  una cosa»
fece lui calmo, la ragazza inclinò la testa e capì che si trattava di qualcosa di serio, uscì completamente dal corridoio ed avanzò nel salotto
«Tutto bene D?»
Damon provò a sorridere, ma riuscì solo a fare una smorfia. Lui a cui non erano mai mancate le parole, tranne in rarissime occasioni che riguardavano una certa doppleganger, si ritrovò a non sapere come iniziare. Ci pensò attentamente e tutto quello che riuscì a dire fu:
«Hai presente quel che ti dico sempre?»
«Non importa quanto ti sembra fantastico, è sicuramente un imbecille?»
fece lei incrociando le braccia sul petto
«L’altra cosa…»
disse il vampiro riuscendo a sorridere davvero
«Uhm… hanno tutti 15 anni quando si tratta di donne?»
«Aaaah… sono serio… la cosa che ti dico sempre… quella seria…»
disse lui sentendo la tensione salirgli in gola, Jessica lo guardò, lasciò cadere le braccia lungo il corpo e disse
«D, non serve…»
Damon si mise dritto sulla sedia
«Sì, serve… è il momento»
Jessica indicò il paletto che lui stringeva tra le mani
«A cosa dovrebbe servire quello?»
chiese, il vampiro abbassò lo sguardo sull’oggetto e riguardandola rispose:
«Potresti volerlo usare dopo che ti avrò detto la verità»
Jessica sollevò la testa ed espirò
«Credo mi siederò sul divano allora»
disse sedendosi, poi poggiò i gomiti sulle gambe e fissò Damon con i suoi enormi occhi verdi
«Allora? Dimmi tutto»
lo incitò. Il vampiro prese coraggio ed iniziò:
«Saprai che c’è stato un periodo della mia vita di cui non parlo volentieri… e che in quel periodo è successo qualcosa… qualcosa che mi ha portato a fare tante cose buone, ma altrettante brutte…»
Jessica lo fissò in silenzio, lui continuò:
«Ecco... una sera... la sera che decisi di andare via… non ero in ottima forma e quando non sono in ottima forma faccio cose stupide… quella volta ho fatto una cosa orribilmente stupida… io… io ho… »
«Hai aggredito mia madre uccidendola,  e  poi hai rapito me che dormivo nel mio seggiolino sul sedile posteriore del pik-up?»
lo interruppe lei. Damon si sentì gelare, spalancò la bocca senza riuscire a dire nulla, provò ad articolare un pensiero ma riuscì soltanto a fissarla, poi finalmente riuscì a sputare fuori qualcosa:
«C-come… quando…»
«Come lo so? Beh, internet è fantastico! Puoi scoprire di tutto se sai come usarlo… ed io lo so usare benissimo! Quando? Direi quattro anni fa, una sera di particolare noia mentre tu ti ubriacavi al piano di sopra…»
Damon continuò a guardarla sbalordito, Jessica sorrise e continuò:
«Sul serio pensavi avrei aspettato che tu mi ritenessi pronta per sapere la verità? Tu che mi hai ritenuto grande abbastanza da poter scegliere il posto in cui vivere solo quando ho compiuto 18 anni, e solo perché la scelta del College spettava a me? Andiamo Damon, mi hai cresciuta molto più furba di così»
Il vampiro continuò a tacere pensando ai quattro anni in cui lei non si era mossa dal suo fianco nonostante sapesse la verità, Jessica proseguì:
«Così ho preso il computer, ho cercato notizie interessanti di quel periodo ed ho trovato una storia molto particolare: estate 2010 “Tragedia sulla route 126, alle porte di Mystic Falls - donna aggredita e bambina scomparsa” e si parlava di questa povera donna, Ally Jane Smith, uccisa da qualcuno o da una bestia, non sono mai riusciti a capirlo, e della sua bambina, Rose Lea Smith: 11 mesi, occhi verdi, scomparsa nel nulla. Tu sei scappato da Mystic Falls quell’estate e sei un vampiro. Ho fatto due più due e… »
«E non mi hai detto niente…»
disse Damon con un filo di voce
«Cosa avrei dovuto dirti? “Hey Damon, per caso hai ammazzato la mia madre biologica e mi hai rapita?” Andiamo!»
«E non mi odi? Non vuoi vendetta?»
Jessica sospirò, si poggiò contro lo schienale del divano e guardò il soffitto
«Non lo so se ti ho odiato… forse sì, appena l’ho scoperto, appena l’ho capito… ma, mentre una parte di me moriva dalla voglia di venire da te ed urlarti contro, l’altra non riusciva a capire perché avrei dovuto farlo. Hai ucciso una donna di cui non ho ricordi e non mi hai mai fatto mancare niente…  sei sempre stato onesto con me, non mi hai mai mentito e quando ti chiedevo di mia madre mi hai sempre detto che un giorno mi avresti detto la verità… ed è stato così, o meglio, sarebbe stato così, a prescindere dall’averlo scoperto da sola. Insomma, non so perché, ma non ho ritenuto necessario avercela con te, sei l’unica famiglia che ho, l’unica famiglia che conosco. A che pro odiarti? Ucciderti? L’unica cosa che non so, che non ho scoperto, è perché lo hai fatto… quella è l’unica parte della tua vita che mi hai sempre taciuto. Ecco! Questo voglio sapere, cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto quella notte… ma so che non ne vuoi parlare, so che una donna ti ha spezzato il cuore… per questo non insisto, ma è l’unica cosa che vorrei sapere»
Damon l’ascoltò in religioso silenzio e pesò ogni sua parola come se da ognuna dipendesse il loro destino… ed era così in un certo senso. Jessica voleva sapere qualcosa che lui tentava, senza riuscire, di dimenticare.
«Tutto qui? Vuoi solo sapere cosa mi è successo? Non vuoi spezzarmi un braccio, tagliami un dito… ficcarmi questo paletto almeno nello stomaco? Io ti ho privato della tua vita!»
esclamò lui ancora un po’ confuso da quella situazione surreale
«Au contraire, D! Me ne hai regalata una ricca, piena di avventure! Voglio dire, ho fatto più cose io in soli 20 anni di vita che tutti quei professori vecchi e smunti che si ostinano a volerne sapere più di me!»
Damon le lanciò un’occhiataccia
«Non posso credere tu stia prendendo il discorso proprio ora. Non lascerai il college, non a meno di un anno dalla laurea!»
Jessica sbuffò
«Ci ho provato!»
disse guardandolo con un espressione di falsa ingenuità così tipica di Damon
«E non ci sei riuscita, nemmeno questa volta… ma… sul serio, non sei arrabbiata neanche un po’?»
Insisté lui un’ultima volta
«Perché dovrei esserlo? Me lo hai insegnato tu che non ha senso piangere sul latte versato… cosa dovrei rimpiangere? Una vita che non so come sarebbe stata? Una famiglia che non ho idea di cosa avrebbe potuto offrirmi? Non sono arrabbiata… però…»
«Ti racconterò tutto, prima o poi… ma non ora… te lo prometto»
la interruppe lui, pensando che quell’ultima obiezione fosse riferita a quel discorso, ma Jessica lo spiazzò di nuovo:
«No, no. Lo so che mi dirai tutto prima o poi… non è quello… volevo solo proporti una cosa»
Damon la fissò curioso
«Così, per curiosità… mi sono messa a cercare tutti i parenti che ho… da quelli che non hanno mai smesso di cercarmi a quelli che non sanno nemmeno che esisto e…»
«E?»
la incalzò lui
«E sono sparsi qua e là… e vorrei conoscerli, non dico di presentarmi  tipo “piacere, sono Jessica ma voi potreste pensare a me come la piccola Rose Lea”, no… però vorrei andare in giro a conoscerli, vederli, sapere come sono fatti»
«Certo… se è quello che vuoi…»
fece lui con una nota di tristezza. Era pronto a morire per mano sua ed ora non riusciva ad accettare l’idea di vederla andare via, ma Jessica non aveva finito di sorprenderlo:
«Non capisci… io voglio tu venga con me! Voglio fare un viaggio! Voglio andare a trovare  quello che abita più lontano ed arrivare a…»
Jessica  ingoiò il resto della frase mentre Damon la guardava avido
«Continua, ti prego»
disse quando il silenzio di lei si prolungò. La ragazza sembrò dosare le parole; poi, finalmente, disse:
«Damon… mia zia, la sorella di mia madre, e mio padre, quelli che ancora vanno in giro con ricostruzioni al computer della mia faccia come potrebbe essere ora… abitano a Mystic Falls»
Damon deglutì
«Ascolta, hai detto tu che mi avresti raccontato tutto, no? Sei stato tu a dirmi che, prima o poi, lo avresti fatto… bene! È giunto il momento! Partiamo dai parenti che abitano più lontano e, durante i viaggi, mi racconterai tutto quel che c’è da sapere. per quando dovremo andare a Mystic Falls, tu avrai esternato la tua storia e magari capirai che non hai più nulla da temere, no? Ed io avrò conosciuto tutta la mia famiglia, compreso te»
Il vampiro valutò la proposta e, benché sentisse un dolore fisico al solo sentir nominare il luogo da cui era scappato, provò anche una forte voglia di fare quel viaggio con lei. Per la prima volta, da 20 anni, ebbe sul serio voglia di raccontarle tutto.
Forse aveva ragione lei, magari raccontando, a distanza di anni, si sarebbe reso conto che era più la paura dei ricordi a fargli male che non i ricordi stessi.  
Jessica vide il suo volto cambiare espressione e capì di averlo convinto, prima ancora che lui dicesse  sì o no, si alzò saltando dal divano e si mise ad esultare, Damon la placò subito:
«Prima ti laurei! Poi partiremo!»
Jessica si bloccò dal suo saltellare e le braccia, tese in aria in segno di vittoria, caddero penzoloni lungo i fianchi
«Ma…»
iniziò ad obiettare lei, Damon si alzò gettando il paletto sul tavolo:
«Niente ma. Si fa così e basta»
Poi si diresse verso l’uscita
«Dove stai andando?»
chiese lei
«Stavi morendo di fame no?»
rispose lui facendole un sorriso storto, poi aggiunse:
«Andiamo a pranzo fuori, e prima di tornare a casa ci fermiamo a comprare gli ingredienti per il chili… stasera festeggiamo»
E le sorrise, Jessica rispose al sorriso e lo seguì.

 

                  disegno By Chiara Zappia

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Capitolo 2
*** Rose - Ma fa male non pensare a te. ***


Le giornate si erano fatte torride ed il clima umido di Denver aumentava la sensazione di caldo
«È in momenti come questo che vorrei essere come te»
esclamò Jessica mentre si liberava della toga viola e gettava tocco e pergamena  nel retro della decappottabile di Damon
«Sì, direi che non soffrire il caldo ed il freddo sono ottime ragioni per voler morire»
rispose il vampiro sedendosi al posto di guida. La ragazza si guardò intorno allarmata, Damon fece un sorriso storto e disse:
«Tranquilla, non ci ha sentiti nessuno»
«Scusa, è che sono abituata a parlarne solo tra le nostre quattro mura»
rispose lei salendo in macchina. Con un movimento fluido delle mani Jessica si tirò su i capelli per trovare un po’ sollievo da quella calura
«Sei sicura di non voler andare con i tuoi amici?»
chiese lui
«Naaaah… ora saranno tutti impegnati con i parenti. Te l’ho detto, ci vediamo nel pomeriggio e poi alla festa stasera»
disse lei, buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi cercando di far acclimatare il suo corpo
«Mmmh… e tutto questo non ha a che fare con un certo patto vero?»
La ragazza aprì un solo occhio e girò la testa verso Damon:
«Cooosa? No! Nemmeno ci pensavo! Ma ora che ne parli… questo pranzo potrebbe essere un ottima occasione per iniziare a dirmi un po’ di cose, no?»
gli fece un sorriso finto scoprendo i denti. Il vampiro scosse la testa e mise in moto la macchina
«Inizio a capire come ci si sente ad essere circuiti da me»
disse lui partendo.
 
Erano passati 7 mesi dal pomeriggio in cui Damon decise di dire la verità a Jessica su come aveva ucciso sua madre e rapito lei. Era pronto a morire quel giorno, per mano della stessa ragazza che aveva cresciuto e tirato su come una figlia, come una sorella… come la sua famiglia. Niente andò come previsto: l’unica esigenza di Jessica era di sapere perché aveva lasciato Mystic Falls così sconvolto da portarlo ad uccidere sua madre e cosa gli era successo in quel periodo della sua vita che evitava accuratamente di menzionare, al punto da farlo ubriacare  quasi ogni sera.
La ragazza espresse anche un altro desiderio: conoscere la sua famiglia reale, quella di sangue.
Li aveva rintracciati  e voleva andare a trovarli tutti: da quello più lontano, geograficamente e geneticamente parlando, ai due più vicini, la zia ed il padre, entrambi residenti a Mystic Falls.
Il patto era di intraprendere il viaggio insieme.
«Durante i viaggi tu mi racconterai tutto quel che c’è da sapere, per quando dovremo andare a Mystic Falls tu avrai esternato la tua storia, magari capendo che non hai più nulla da temere no? Ed io avrò conosciuto tutta la mia famiglia, compreso te»
gli aveva detto lei,  lui ci aveva pensato su un secondo di troppo per poterle far credere che non avrebbe mai acconsentito
«Prima ti laurei! Poi partiremo!»
fu la condizione posta da Damon. La ragazza più volte nel corso degli anni aveva espresso il desiderio di lasciare la scuola per dedicarsi ai viaggi e alla scoperta del mondo,  ma lui si dimostrò sempre rigido a riguardo:  per nessuna ragione al mondo le avrebbe concesso di andarsene in giro come una persona qualunque  quando poteva avere in tasca una qualifica che, insieme alla sua mente brillante, le avrebbe garantito la vita che meritava.
 
Ed ora erano lì: lei con la laurea in tasca e lui con il suo passato da rivelare.
Per tutti e 7 i  mesi che li separarono da quel momento, i due vissero secondo un tacito accordo in cui lei non avrebbe chiesto e lui non avrebbe bevuto. L’unica attività inerente al “patto” era quella di fare ricerche sui parenti di Jessica:  due sere a settimana erano dedicate a costruire l’itinerario per il grande viaggio.
La ragazza si dimostrò più eccitata per questo che non per la laurea, conseguita col massimo dei voti.
Arrivati al locale Jessica si aprì in un sorriso malizioso
«Ma questo è…»
iniziò a dire
«Già»
la interruppe Damon
«Non ti facevo così sentimentale»
lo canzonò lei
«Per favore! Non essere ridicola! Veniamo sempre qui, e si mangia benissimo»
«Quindi non c’entra niente col fatto che ci siamo venuti a mangiare per la prima volta 7 mesi fa»
ribatté lei sempre ghignando. Il vampiro sbuffò
«È qui che abbiamo deciso il da farsi, è qui che inizieremo…»
disse lui senza guardarla; lei scrutò quel profilo e riconobbe in quell’espressione un po’ imbronciata l’imbarazzo di quando si lasciava andare al suo lato più… umano
«Quindi stasera a cena, suppongo, mangeremo chili»
scherzò lei. Lui la guardò con i suoi occhi di ghiaccio e sorridendo rispose:
«Esattamente. E se ridi ancora, puoi stare certa che porterai tu le buste della spesa fino a casa»
Jessica tentò di assumere un'espressione il più seria possibile.  Lui indicò con la testa il locale dicendo:
«Andiamo, telespalla Bob! Ho prenotato e siamo già in ritardo»
«Hey! Odio quando mi chiami così»
esclamò lei, mentre lui avanzava verso l’entrata
«Tienilo a mente la prossima volta che ti andrà di prendere in giro me!»
disse Damon senza fermarsi e senza voltarsi, lei gli corse dietro
«Signor Salvatore! Il tavolo per due è pronto… oh! Ma c’è anche la signorina con lei»
disse René, il capo sala del ristorante etiope
«Ciao René! Oggi festeggiamo!»
esclamò Jessica attaccandosi al braccio di Damon
«E cosa? Se posso chiedere signorina?»
«La mia libertà!!!»
fece lei ridendo. Il capo sala dalla pelle scura, rise di gusto e, guardando il vampiro, disse:
«Devo presumere la sua sorellina si sia finalmente laureata!»
Damon fece roteare gli occhi mentre René continuava a ridere
«E con il massimo dei voti René! La migliore del mio corso! Dimmi, non avevo ragione a dire che era inutile sprecarci tempo?»
L’uomo sorrise e disse:
«Adesso, però, ha la prova su carta! Sa come si dice: verba volant scripta manent!»
«Bravo René! Dillo a questa testona!»
fece il vampiro. Il capo sala rise ancora e poi li condusse al loro tavolo. Dopo aver ordinato due porzioni di wot,  attesero bevendo del vino rosato. Jessica continuò a guardarlo con la coda dell’occhio mentre fingeva di interessarsi al rinnovo del locale, Damon la osservò qualche minuto ed alla fine disse:
«Ti prego! Smettila e chiedi!»
Lei quasi cadde dalla sedia ma si ricompose subito, non tentò nemmeno di far finta di non sapere cosa stesse dicendo
«Posso davvero?»
chiese eccitata con gli occhioni verdi, brillanti d’entusiasmo. Lui annuì
«Era questo il patto, no? Hai diritto ad una domanda oggi… pensaci bene e chiedi»
disse lui. Jessica aprì la bocca ma la richiuse subito
«Cosa intendi per una domanda? E bada bene che questa non è “una” domanda, solo un chiarimento sulle condizioni!»
chiese. Lui rise per l’arguzia con cui evitò di farsi fregare
«Beh… abbiamo tanta strada da fare e non vorrei ritrovarmi col non aver niente da dire. Quindi ti sarà concessa una sola domanda al giorno: se la domanda sarà buona, avremo di che parlare per tanto tempo, in caso contrario, la mia risposta sarà secca. Nessun secondo tentativo»
rispose Damon. Arrivarono i piatti e Jessica iniziò a mangiare persa nei suoi pensieri. Dopo un po’ finalmente  alzò la testa e chiese:
«Il mio nome: Jessica… perché mi hai chiamata così? Ha un qualche significato?»
Damon aprì la bocca per rispondere quando lei lo bloccò per dire:
«Ti avverto, D! Se è il nome della tizia che ti ha ridotto così, pretenderò di venire chiamata Rose Lea da domani! Sappilo!»
Il tono allarmato con cui fece quell’appunto divertì Damon,  che mai per un istante si era sognato di dare ad un’altra persona il nome di Elena. A stento resisteva quando lo sentiva dalla bocca di altri. Vedendo la tensione non abbandonare il volto di Jessica, si affrettò a tranquillizzarla:
«No… tranquilla, non c’entra niente… lei»
Si fermò a bere un sorso di vino e poi continuò:
«Paradossalmente il tuo vero nome, Rose intendo, ha molto più a che fare con il nome che ti ho dato»
E sorrise. Continuò:
«Non ci avevo fatto caso fino ad ora… curioso! Comunque, Jessica è il nome di una mia vittima»
Jessica si fece cadere dalle mani il pezzo di pane con dentro la carne di pollo che si stava portando alla bocca. Il vampiro sollevò le sopracciglia
«Se hai cambiato idea…»
fece lui
«No, no! Continua! Ti prego!»
Damon mandò giù un altro sorso di vino e proseguì:
«Mi trovavo in una situazione simile, per certi versi, alla sera in cui ho… preso te. Rose, una vampira mia amica… non proprio mia amica, la conoscevo da pochi giorni… comunque, si parò tra me ed un lupo mannaro che mi stava aggredendo e si è fatta mordere al posto mio»
«Aspetta… i morsi di lupo non sono… letali per voi?»
chiese Jessica abbassando la voce. Il vampiro annuì
«Già. Il veleno di lupo entrò in circolo e la fece soffrire atrocemente»
«L’hai vista morire e ti sei sconvolto quindi»
Damon la fissò gelido
«No… l’ho uccisa io»
disse secco. La ragazza smise di far finta di voler mangiare, guardò il vampiro con il volto teso. Iniziò a sentirsi in colpa: solo ora iniziava a capire che se le aveva taciuto il suo passato per tutto quel tempo, probabilmente,  aveva una buona ragione. Ma oramai il danno era fatto, e lui continuò:
«Ma non fu quella la ragione… non solo… vedi, c’era questa… ragazza…»
«Quella che ti ha spezzato il cuore?»
chiese lei d’istinto. Damon la fulminò
«Scusa, una sola domanda. Sto zitta!»
si affrettò a dire Jessica. Lui si prese qualche secondo per capire come riferire la storia
«Non sono stato una bella persona per molto, molto tempo. E mentre ero ancora quella brutta persona ho incontrato lei…»
Pensò se pronunciare quel nome, ma ancora non si sentì pronto
«Lei era umana, buona, pura… me ne sono innamorato senza nemmeno accorgermene e quando ho realizzato quel sentimento, mi sono trovato bloccato nel mio ruolo, vedi… una cosa che dovresti sapere è che lei… lei era fidanzata con… Stefan…»
Jessica piantò i palmi sul tavolo e si sporse in avanti
«Aspetta… mi stai dicendo che è successo come con Katherine? Senti, al diavolo la domanda singola! Dimmi di no e basta!»
Damon indurì la mandibola e ci pensò su, poi disse:
«No… no! Lei e Katherine non avevano niente da spartire. Lei stava con Stefan e basta, Katherine usava me mentre amava Stefan... In questo caso ero io quello di troppo. Comunque, non è questo il punto. Lei stava con Stefan ed io me ne sono innamorato, ma sapevo di non meritarla, sapevo di non avere nessun diritto su di lei. Conobbi Rose perché l’aveva rapita… cielo! Questa storia è più complicata di quanto non pensassi!!!»
fece lui finendo il vino nel bicchiere che si rigirava nelle mani. Attese ancora un attimo e poi proseguì:
«Questa Rose l’aveva rapita per ottenere la libertà. Non ti dirò altro per il momento, sappi solo che è così che l’ho conosciuta. Poi lei è passata dalla nostra parte e ha dimostrato molta empatia per me, ci siamo… trovati…»
«Oh-mio-dio! Se mi dici che siete andati a letto insieme potrei fare la ola! Oramai mi ero convinta che voi vampiri non poteste, sai… con quella storia della circolazione ed il resto…»
Damon la guardò confuso
«A parte il fatto che se mi interrompi di nuovo la smetto qui… ma quando mai ti ho dato l’impressione di non poter… sai…»
Jessica lo guardò con diffidenza e poi cautamente disse:
«Posso rispondere o la considereresti un’interruzione?»
Il vampiro alzò gli occhi al cielo e le fece segno con la mano di rispondere
«Beh, non ti ho mai visto con nessuna donna, e tutte quelle che ti morivano dietro le guardavi come se fossero mobili… mobili brutti, di quelli pacchiani che critichi tanto»
Damon fece una smorfia e poi mosse la mano come a dire che stavano perdendo tempo. Non gli andava anche di pensare allo stato di castità a cui si era ridotto e riprese il suo racconto:
«Comunque, sì, io e Rose abbiamo… fatto… quel che tra un uomo  e una donna, adulti e consenzienti, è normale si faccia, vampiri o non. Ad ogni modo, più di quello, ci fu una specie di intesa tra di noi e, che lo volessi ammettere o meno, mi fece stare bene. Poi però quel lupo mi attaccò e lei morì. In tutto ciò, la ragazza di Stefan mi dimostrò la sua amicizia ed io mi sentii perso. Rose era morta al posto mio e lei era mille volte meglio di me. Io meritavo di morire, ed invece ero lì, sano e salvo a sbavare su una donna che non avrei mai avuto e che non mi avrebbe mai amato, per la quale non sarei mai stato quello giusto. Ah, e la cosa più divertente è che il lupo mi aveva attaccato perché l’avevo istigato io! Capisci? Era colpa mia e non avevo pagato io… e l’amore per… la ragazza di Stefan mi aveva avvicinato a quel lato di me che mi ero tanto impegnato a seppellire, quindi sentivo, sentivo il dolore, il senso di colpa… ed io non volevo. Così mi ubriacai e finii in mezzo alla strada a cercare di diventare come il battistrada su cui mi ero sdraiato: freddo e privo di vita, di sentimenti. Fu allora che arrivò Jessica: una ragazza innocente. Si era fermata preoccupata per le mie condizioni. Lei è stata la mia crisi esistenziale… è stata il mio ultimo pasto prima di decidere che persona volessi diventare… se tornare a non sentire nulla o essere l’uomo che…»
«La ragazza di Stefan voleva che fossi?»
finì Jessica per lui. I suoi grandi occhi verdi erano lucidi, Damon la guardò per un istante ed annuì
«Ma… l’hai uccisa… sei tornato a non sentire?»
Il vampiro scosse la testa
«Sai cosa mi disse Rose? Che il non sentire è una favola, un’illusione… funziona con i vampiri giovani… ma non per quelli adulti… ed aveva ragione. Uccisi Jessica sperando di ritrovare pace dal mio tormento, ed invece… La uccisi, ed il mio dolore, la mia frustrazione restarono lì, a ricordarmi ogni giorno quanto fossi sbagliato, quando non meritassi niente»
concluse lui
«E mi hai chiamata come una tua vittima per ricordarti che non meriti niente?»
disse lei, con la voce rotta per lo sforzo di trattenere il pianto
«Ti ho chiamata come “la” vittima a cui ho tolto ogni possibilità, illudendomi di poter trovare pace. Ti ho chiamata come la mia ultima opportunità di fare la cosa giusta… ti ho chiamata come il mio punto di svolta... e per oggi è tutto»
disse lui alzandosi
«Finisci il tuo pasto, vado a pagare »
Ed andò via. Jessica rimase a fissare il piatto a lungo, poi René si avvicinò e chiese:
«Signorina Jessica, tutto bene?»
La ragazza alzò la testa e sorrise all’uomo che la guardò preoccupato
«Tutto bene René… mio fratello aveva da fare ed io non ho più fame… la libertà fa brutti scherzi!»
Si alzò e salutò il capo sala. Uscì dal ristorante e si incamminò verso lo store dove era sicura di trovare Damon: dovevano comprare gli ingredienti per il chili ancora.
Il vampiro, infatti, uscito dal ristorante,  era andato al market dietro l’angolo cercando di distrarsi con gli ingredienti necessari per preparare la cena. Riportare a galla la storia di Rose e di Jessica,  fu una cosa buona da una parte, ma dall’altra…
Fu costretto ad ingoiare il nome di Elena così tante volte che si sentì sazio solo di lei. Controllò il carrello e si accorse di aver preso tutto, andò a pagare e sperò Jessica lo raggiungesse presto.
Uscì dal negozio con due buste di carta talmente piene che quasi gli caddero, quando si ritrovò davanti l’ultima delle persone che avrebbe mai pensato di incontrare
«Damon…»
disse la visione mentre una ragazza riccioluta si attaccava al braccio del vampiro esclamando:
«Eccoti! Sapevo di trovarti qui!»
Lui pronunciò:
«Katherine»
quasi fosse il suo ultimo respiro.

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Capitolo 3
*** Katherine - via dagli occhi, dalle mani, da te. ***


             disegno By Chiara Zappia



Jessica vide Damon uscire dal negozio di alimentari con due buste di carta piene.

 
L’aveva lasciata sola al ristorante per darle il tempo di digerire, non il pasto appena sfiorato, ma la storia. Le era stata concessa una domanda per scoprire qualcosa sul passato del vampiro,  e lei partì con quella che le era sembrata la più sicura: «Il mio nome: Jessica… perché mi hai chiamata così? Ha un qualche significato?»  chiese, mossa dalla paura di portare il nome di colei che aveva ridotto l’uomo con cui era cresciuta ad uno straccio.
La storia che ne seguì fece capire alla ragazza che nulla nella vita dell’uomo era mai stato facile: i lunghi silenzi, le serate chiuso in camera a bere, la reticenza a lasciarsi andare anche ad un abbraccio, iniziarono ad avere senso.  Nel corso degli anni ne aveva sentiti di aneddoti, tutti precedenti o successive a quel capitolo che lei, nel segreto dei suoi pensieri, chiamava “Mystic Files”.
Era stata esaudita, avrebbe saputo.
Dopo solo un racconto  già si era fatta venire i lucciconi “Stupida! Stupida idiota! Hai l’occasione di sapere tutto, e dico tutto!, e che fai? Ti metti a frignare??? Idiota! Raggiungilo e rimedia!” pensò pochi istanti prima che René, il capo sala del ristorante, si avvicinasse per chiederle se andava tutto bene. Sorrise per rassicurarlo e lo congedò con un'impazienza malcelata.Si alzò talmente in fretta che quasi rovesciò la sedia, tanto era impaziente di raggiungere  Damon.
 
Vedendolo fermo sul marciapiede di fronte allo store,  fece uno scatto per avvicinarglisi e si aggrappò al suo braccio, stando attenta a non fargli cadere a terra le buste.
«Eccoti! Sapevo di trovarti qui!»
esclamò. Nello stesso istante lui pronunciò un nome:
«Katherine»
Jessica non capì subito, poi lanciò uno sguardo alla donna che stava immobile di fronte al vampiro:
alta poco più di lei, magra, lunghi capelli castani, carnagione olivastra ed occhi nocciola.
Una bellezza oscura, maliziosa. La sua mente pensò a tutte le storie di Damon su quel personaggio, che nella sua immaginazione era munito di corna e grossi porri sul naso. Lui aveva parlato spesso della sua bellezza,  ma Jessica si era si era convinta che lui esagerasse. Constatò a malincuore che si sbagliava di grosso. C’era qualcosa in quella donna che attraeva: splendeva di una luce propria.
«Katherine? Quella Katherine?»
fece, pentendosi subito di aver aperto bocca. Il vampiro iniziò a connettere solo dopo pochi istanti: aveva ingoiato il nome di Elena talmente tante volte quel giorno che ritrovarsi di fronte il suo viso, seppur sul volto di un'altra e ben diversa creatura, lo mandò in uno stato di shock.
«Vedo che tu sai tutto di me ed io niente di te…»
disse la vampira guardando gelida la ragazza, ancora appesa al braccio di Damon.  Jessica si sentì in preda al panico. Si domandò se quella fosse la sensazione che si provava quando si incontrava qualche personaggio famoso.
«Ehm… io…»
iniziò a dire la ragazza, ma Damon la bloccò:
«Non credo ti riguardi con chi vado in giro Kath, addio!»
sibilò, trascinando via Jessica ancora aggrappata a lui.
«Hey! Aspetta! Non si trattano così i vecchi amici»
disse la vampira correndo e parandosi davanti ai due.
«Hai per caso paura che la tua ragazza si ingelosisca?»
commentò sprezzante.
«Oh! No… io…»
provò a dire Jessica, ma Damon la interruppe di nuovo:
«Sa tutto di te, e sa anche che non ha assolutamente niente di cui essere gelosa»
 
«La prima regola del manuale di sopravvivenza a Katherine Pierce è “non dire mai niente che possa darle un vantaggio. Meno cose sa, più le tue probabilità di fregarla aumentano”» era solito ripetere Damon a Jessica.
 
La ragazza accolse il segnale e la lasciò nella sua convinzione errata.
«Bene! Allora possiamo passare un po’ di tempo insieme!»
disse Katherine
«Ho di meglio da fare»
rispose lui. Lei allungò lo sguardo sulle buste ed intravide gli ingredienti principali per preparare il chili.
«Mmmh… adoro il messicano!»
esclamò.
«Buon per te, c’è un ristorante qui dietro, buona serata»
la liquidò lui e mosse qualche passo in avanti. La vampira lo fermò e disse:
«Andiamo, Damon! Non ti ricordavo così sgarbato»
«È  un dato di fatto che non hai mai capito niente di me»
fece lui sarcastico. Lei mise il broncio.
«Prometto che farò la brava, sono solo curiosa di sapere un po’ come te la passi…»
Poi si avvicinò maliziosa:
«Una chiacchierata e poi ognuno per la sua strada»
mormorò seducente. Sentendosi osservata, abbassò lo sguardo su Jessica che la stava fissando con gli occhi sgranati e la rimproverò:
«Non ti hanno insegnato che è da maleducati fissare le persone?»
La ragazza scosse la testa  provando a giustificarsi:
«Io… io… cioè…»
Damon intervenne in suo soccorso:
«La devi perdonare, ma non ha mai visto il diavolo da così vicino»
La vampira fiutò qualcosa, spalancò gli occhi ed esclamò:
«Ma è umana!»
«Che ti importa?»
chiese lui. Lei ponderò se rispondergli o meno, ma decise di tacere. Era appena riuscita ad ammansirlo, non si sarebbe giocata così la sua occasione.
«Nulla! Era solo una constatazione»
rispose sorridendo.
«Visto che ti sei autoinvitata, porterai tu queste a casa»
Damon le mollò le buste della spesa tra le braccia e si incamminò.  Jessica, ancora attaccata a lui, non riusciva a togliere gli occhi da dosso alla donna di cui aveva sentito tanto parlare.
Arrivati all’appartamento, Damon e Jessica entrarono, lasciando la vampira bloccata sulla soglia.
«Divertente! Davvero divertente!»
disse lei da dietro le buste di carta.
«Sì, scusa… entra pure!»
la invitò Jessica.
«La cucina è di là»
indico la ragazza, da brava padrona di casa.
«E tu non mi aiuterai vero?»
disse la vampira passando accanto a Damon che osservava ghignando.
«Perché dovrei? Sei un vampiro da più tempo di me, non ti manca certo la forza»
«Mai sentito parlare di cavalleria?»
«Quel modo di comportarsi con delle “signore”? Certo! Ma non vedo signore con cui sfoggiare il mio registro di galanteria»
rispose caustico lui. Jessica si schiarì la gola.
«Tu sei esclusa mia cara!»
disse Damon facendole il baciamano. La vampira sbuffò,  si diresse nella direzione indicata dalla ragazza, posò le buste sul tavolo e si guardò intorno. Tutto aveva un’aria così normale, tutto sapeva di famiglia. Si affacciò nel corridoio che dava sul salotto e notò un certo gusto nell’arredamento che riconobbe essere di Damon. Avanzò osservando le pareti su cui erano state appese delle foto:  ritraevano la ragazza in diverse occasioni, alcune risalienti alla sua infanzia. In due, recenti forse di un paio di anni, compariva anche il vampiro.
«Hai già iniziato a ficcare il naso?»
chiese Damon. Mentre Kath era in cucina, aveva mandato Jessica a liberarsi di tutte le cose che avrebbero potuto darle informazioni  sul loro legame.
 
La ragazza corse in salotto. Prese la foto del suo 5° compleanno,  in cui spegneva le candeline seduta sulle gambe di Damon; staccò il poster, appeso sul muro dietro il televisore, che li ritraeva a Disneyland e, senza una ragione precisa, decise di portare in camera sua anche tutti i libri su vampiri e creature soprannaturali che le aveva regalato Damon nel corso degli anni. Nella pila di grossi volumi, c’era un libricino dalla copertina logora, di colore verde,  che scivolò accanto alla Tv facendo fuoriuscire un pezzo di carta sgualcito. Sentendo la voce di Damon parlare con Katherine non perse tempo a raccoglierlo.
 
«Volevo solo vedere la casa»
rispose la vampira.
«Questa è la cucina, questo il corridoio e quello il salotto, soddisfatta?»
disse Damon, indicando gli ambienti fermo sotto l’arco che separava la cucina dal corridoio che portava al salotto. La vampira incrociò le braccia e sbuffò.
«Andiamo! Non mi sembra il caso di essere così scontroso! Non ho cattive intenzioni»
fece in un tono volutamente infantile.
«Questa sì che sarebbe una novità! Andiamo, se vuoi mangiare qui, mi aiuterai a preparare la cena»
ribatté lui. Con un cenno della testa indicò la cucina e lei lo seguì con una smorfia.
«Scusate…»
disse Jessica affacciandosi in cucina dopo aver eseguito gli ordini di Damon
«Io avrei quell’impegno … ma se è un problema rimando…»
 
Già. Era successo tutto così in fretta che il vampiro aveva completamente rimosso che giorno fosse e cosa stessero festeggiando: la laurea, il pranzo, la storia di Rose riportata a galla e poi… Katherine.
Non si era mai sentito così confuso riguardo allo scorrere del tempo.
Quanto ne era passato da quando René li aveva condotti al tavolo?
Quanto da quando aveva lasciato sola Jessica?
Quanto da quando si era ritrovato davanti Kath?
Non lo sapeva, non riusciva a quantificare.
 
«No, vai pure… so tenere a bada le mosche… per quanto fastidiose possano essere»
disse tornando in sé. La ragazza sorrise ed aggiunse:
«Sarò a casa per cena»
«Offri tu?»
fece spavalda la vampira.
«Sei a tanto così dal ritrovarti con un paletto in gola»
la minacciò Damon. Katherine  alzò gli occhi al soffitto e spalancò le braccia.
«Non si può neanche scherzare ora! Eri molto più simpatico un tempo!»
sentenziò andando a svuotare le buste. Jessica rimase immobile a fissarli, il vampiro la congedò con un gesto della mano.
«Tranquilla, divertiti!»
«Neanche un bacino?»
commentò sprezzante la vampira. Lui si voltò e la gruadò male, ma lei aveva già alzato una mano per fermarlo:
«Ultima battuta! Promesso!»
Poi fece il segno di serrarsi le labbra con una zip immaginaria. Jessica, prima di uscire, rivolse a Damon l'ennesimo sguardo interrogativo , chiedendo in silenzio se poteva andarsene tranquilla . Lui annuì. Rimasti soli, i due vampiri, tacquero a lungo. Lui iniziò ad affettare la carne e lei si occupò delle verdure.
Travolto da un vortice di ricordi, ripensò all’ultima volta che si era trovato a preparare chili insieme ad un’Elena in negazione.
 
Lui era lì per assicurarsi non crollasse: Stefan era andato via con Klaus, si era sacrificato per salvargli la vita dopo che Tyler Lockwood lo aveva morso. Suo fratello si era offerto all’ibrido in cambio di una cura.
Fu proprio Katherine a portargliela, sdebitandosi con lui che, a sua volta, le aveva fornito la verbena per proteggersi dal soggiogamento di  Klaus.
 
Il circolo vizioso dei ricordi iniziò a condurlo in diversi luoghi: in quasi tutti c’era Elena. Ogni immagine di lei era una ferita, e ripensare alle circostanze che avevano portato via Stefan lo collegò inevitabilmente a quel bacio: il primo bacio che Elena gli aveva dato.  “Per pietà, perché stavi morendo” pensò.
«Allora! Volevi fare due chiacchiere… inizia a parlare! Che ci fai qui?»
disse bruscamente. Doveva distrarsi. La vampira alzò gli occhi dal tagliere e disse:
«Sei diverso… strano…»
Lui la guardò un secondo: quel viso gli faceva ancora male.
«Certo, Katherine. Cambia discorso, sposta l’attenzione su di me»
Lei sbuffò.
«Ho da fare delle cose, vedere amici, riscuotere debiti… sai, il solito! Contento?»
disse. Lui sorrise e commentò:
«“Vedere amici”  come se tu possa averne»
«Tu invece? Che ci fai con un’umana non soggiogata? Hai intenzione di trasformarla o questa messinscena dell’allegra famigliola ha una data di scadenza?»
ribatté lei, posando pesantemente il coltello sul tavolo. Damon fece spallucce.
«Non so di cosa tu stia parlando»
le disse.
«Oh! Andiamo, Damon! Non sono stupida… si riconosce il tuo tocco in giro, ed anche se non ho visto molto, si capisce che abiti da un bel po’ qui… direi un paio d’anni… e quell’umana… »
«Jessica»
fece lui
«Sì, Jessica… si capisce che non vi siete conosciuti proprio ieri»
Il vampiro continuò a tagliare a cubetti la carne, stava concedendo a Katherine un vantaggio ed era davvero l’ultima cosa da fare.
«Sul serio  Damon? Non ti fidi ancora?»
«Beh, ne ho ben donde»
ribatté lui mentre svuotava il tagliere nella pentola.
«Te l’ho detto! Vengo in pace! Sono solo curiosa… sai, dopo Elena credevo avresti rinunciato alle umane…»
Damon non controllò il suo corpo: in un secondo fu addosso a Katherine puntandole il coltello alla gola
«Non osare…»
disse con rabbia, digrignando i denti. Lei sentì la lama fredda affondare nella sua carne ed un rivolo di sangue scese rapido lungo il collo.
«O-ok… colpa mia!»
fece lei con voce soffocata. Lui ritornò lucido e si allontanò, la guardò con rabbia e tornò alla sua pentola di carne.
«Non sono l’unica a sfuggire alle risposte, vedo»
disse mentre si asciugava il sangue sul collo.
«Quando, e se,  avrò voglia di risponderti saprai. Fino ad allora cucina… o vattene. Non mi importa»
Lei rimase. Passarono le successive due ore in silenzio.
Lui cercò di non cadere nel baratro dei ricordi e lei provò a carpire più dettagli possibili della vita di Damon da quell’appartamento.
Katherine si diresse verso il frigorifero e, trovando uno scomparto pieno di sacche di sangue, ruppe il silenzio:
«Posso usufruire?»
Damon si voltò, la vampira teneva penzolante una sacca tra due dita
«Miss Katherine che chiede qualcosa… forse è finito il mondo e non me ne sono accorto»
rispose lui caustico. Lei si limitò a togliere il tappino alla sacca e fece un gran sorso.
«Mmmh… ci voleva proprio!»
Lui la guardò incuriosito.
«Cosa?»
chiese lei sentendosi osservata. Lui piegò verso il basso gli angoli della bocca e sollevò le sopracciglia.
«Nulla… solo non ti facevo tipo da apprezzare una sacca di sangue»
le rispose.
«Te l’ho detto che sono cambiata»
«No, non l’hai detto, e non sei cambiata»
Lei fece spallucce e disse:
«Come ti pare! Quando ti sarai stancato di farmi la guerra mi troverai nel salotto, vado a finire comoda il mio drink»
Ed imboccò il corridoio. Damon rimase in cucina, non voleva apparire sospetto. Era sicuro che Jessica si fosse liberata delle prove sul loro legame. Si concesse qualche istante prima di raggiungerla.
La vampira, appena entrata nell’ambiente che prima era riuscita solo a scorgere,  fu invasa da quella sensazione di casa che l’aveva colta appena arrivata. Si guardò intorno e non faticò ad immaginare il vampiro e la ragazza passare le loro serate sdraiati sul divano a leggere o a guardare la tv. C’era un pianoforte: sicuramente lo suonava Jessica, non ce lo vedeva Damon a strimpellare.
Cercò indizi su chi fosse la ragazza, ma non trovò niente. Sulla parete sopra la tv c’era un alone chiaro, come se fosse stato tolto un quadro da poco. Dai buchini ai quattro lati dell’alone, stabilì dovesse trattarsi di un poster; si avvicinò per guardare meglio e la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro. Prima che potesse approfondire arrivò lui.
«È questa la tua idea di bere un drink comodamente?»
disse Damon. Lei si voltò di scatto.
«Dato che tu non ha intenzione di dirmi nulla, faccio da me»
gli rispose. Il vampiro si sentì stanco, non aveva più né la voglia, né la forza di controbattere: qualunque cosa volesse sapere Katherine gliel’avrebbe detta, cercando, però, di occultare il più possibile la verità su lui e Jessica.
«Ok, cosa vuoi sapere?»
Lei restò stupita dall’improvvisa disponibilità a risponderle, ma non perse l’occasione:
«Beh, la mia domanda resta la stessa… che intenzioni hai con lei?»
«Cosa intendi?»
«Non essere stupido, lo sai cosa intendo… è umana, hai intenzione di trasformarla?»
Damon fece una faccia disgustata.
«Non le rovinerò così l’esistenza!»
Disse. Lei parve colpita.
«È questo che pensi abbia fatto? Ti ho rovinato l’esistenza?»
«Vediamo… ho accettato di diventare un mostro per te;  ho  passato 150 anni ad inseguirti e solo per scoprire che tu non hai mai voluto me; ho perso mio fratello e…»
Prima di dire qualcosa di impronunciabile tacque, lei però non mollò la presa:
«E? Avanti, Damon, dillo!»
Lui si indurì.
«Sono stato chiaro prima»
Lei sollevò le mani e disse:
«Ok, ok… come vuoi… quindi non hai più notizie di Stefan?»
Damon scosse la testa in segno di diniego e si sedette sul divano.
«Sono andato via non appena sistemati Klaus ed Alaric. L’ho lasciato a vivere la sua vita e non mi sono più voltato indietro. Lui non mi ha mai cercato ed io non mi sono mai fatto trovare»
La vampira mosse qualche passo verso di lui
«E non ti sei mai chiesto cosa ne è stato di…»
Damon alzò un dito in segno di avvertimento, lei non continuò.
«No, mai. Sono andato avanti»
disse mentendo a se stesso. Lei indicò una foto sulla libreria continuando ad avvicinarsi.
«Solo con lei? Oppure ogni paio d’anni cambi distrazione?»
chiese procedendo lenta. Lui inclinò la testa e chiese:
«Distrazione? È questo che credi faccia?»
«Non lo so, dimmelo tu»
rispose lei,  vicina.
«Usare le persone è tua prerogativa Kath, non mia»
disse lui.
«Beh… da come la vedo io…»
fece lei sempre più vicina:
«Stai con una ragazza che dici di non aver intenzione di trasformare»
ormai ferma  a contatto con le gambe di lui:
«Affermi di essere andato avanti»
continuò,  calando il tono ed iniziando a salire a cavalcioni sul vampiro:
«E ti crederei anche, non fosse per la foto sgualcita che spunta da quel libro vicino la Tv»
Damon corse con gli occhi a cercare il libro. Intanto la vampira gli era sopra: le mani poggiate sul petto ed il viso a pochi centimetri dal suo.
«Ora, dimmi, Damon… sei andato avanti o non riesci a liberarti del passato?»
sussurrò accostando la bocca a quella di lui. Il vampiro la afferrò dal collo e la ribaltò di lato sul divano:
«Te lo dissi ai tempi Katehrine, te lo ripeto oggi: non fai più per me»
Lei spalancò gli occhi ed indicando la Tv disse:
«E lei? Elena? Ha mai fatto per te?»
Lui strinse di più.
«Nessuna fa per me»
Ringhiò. Gli occhi di lei si inumidirono.
«E Jessica? Lei fa per te?»
chiese con la voce ridotta ad un soffio. Un pensiero terribile si fece strada in Damon, un pensiero inaccettabile… ma quegli occhi umidi…
E come faceva a sapere che tipo di foto era quella nel volume di “via col vento”?
Non era possibile avesse avuto il tempo di vederla, non l’aveva lasciata da sola così a lungo e non l’aveva sentita rovistare…
Nello sguardo di lei apparve una supplica e lui si ritrasse, come se quegli occhi lo avessero scaraventato via con la sola forza del pensiero. Rimase immobile, tremante.
Lei si sollevò tenendosi il collo. Senza la pressione delle proprie mani a deformarne i tratti, la riconobbe.
«Elena…»
disse. Poi la sua anima esplose in infiniti frammenti.

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Capitolo 4
*** Elena - Che donna sarò se non sei con me. ***


Damon interdetto, continuò a fissare quella che, fino a poco prima, era convinto fosse Katherine, in un misto di gioia e terrore. Lei lo guardò in silenzio, massaggiandosi il collo nel punto in cui lui glielo aveva stretto.
Aveva deciso di recitare il ruolo di Katherine nell’istante in cui vide Jessica aggrapparsi con tanta naturalezza al braccio di Damon.
 
Denver. Quella città. Quei ricordi. Quell’assaggio di una passione mai esplosa. L’aria e la notte le avevano parlato di lui. Ma incontrarlo così, casualmente, con la spesa tra le braccia, come un comune mortale, era proprio l’ultima cosa che potesse aspettarsi quel giorno … nella sua vita.
Appena lo vide uscire dal negozio, il suo corpo la guidò a pararglisi davanti, mentre la sua testa urlava di scappare, di allontanarsi da lui. Non era pronta a rivederlo, non così all’improvviso.
Camminò finché anche lui non si accorse di lei. Quando la chiamò col nome della sua antenata capì che doveva essere all’oscuro di tutto: la totale assenza del  dubbio che potesse non essere Katherine, la convinse che il vampiro era sparito dalla vita di tutti da tempo, che non aveva tenuto i contatti con nessuno.
Stava per dirgli la verità, ma si trovò spiazzata da quella ragazza. Non si aspettava di vederlo con un’altra donna. Ogni volta che si era ritrovata a pensare a lui, lo aveva immaginato solo, chiuso in qualche stanza di motel ad ubriacarsi. Era una visione egoista e cattiva, ma era l’unica che potesse darle pace nella condizione in cui si trovava. Il solo modo di sopportare la sua “fuga”, con relativa sparizione,  era immaginarselo a soffrire senza nemmeno la forza di chiamare qualcuno.
Ed invece, l’uomo  di fronte a lei, era sereno e pulito, con una donna che lo toccava come se gli appartenesse. Non fu in grado di pensare a niente, seguì semplicemente l’istinto e si finse la stronza manipolatrice sperando di non tradirsi, avrebbe ottenuto qualche risposta e poi lo avrebbe lasciato alla sua vita… e ci  riuscì,  finché lui non la rifiutò in tutte le sue forme.
«Nessuna fa per me
le aveva urlato stringendole il collo.
 
«Come… tu… non puoi… io… tu…»
Damon provò a dire qualcosa, ma non fu in grado di formulare un pensiero  coerente. Lei continuò a tacere mentre lui ingoiò tutte le parole che non riusciva a pronunciare. Esasperato la prese per le braccia e la scosse.
«Perché? Perché sei così? Che hai fatto?»
le urlò disperato. Vedendolo tanto sconvolto lei non fu più in grado di resistere e si mise a piangere. Lui lasciò subito  la presa, temendo di averle fatto male: ancora non riusciva a pensare a lei come ad un vampiro. Le si riavvicinò piano e posò una mano sulla sua spalla, con cautela, quasi come temesse di romperla. Sotto quel tocco, si accartocciò: lui era il fuoco e lei la pellicola.
«Elena… io…»
Lei si girò stringendolo. In quell’istante gli anni vennero cancellati, i dubbi fugati: era tornata a casa … ma durò solo un attimo. Nella sua testa si mise a fuoco il volto di una giovane ragazza dai capelli ricci.
La vampira lo liberò dalla stretta posizionando il suo viso di fronte a quello di lui. Damon guardò quegli occhi imperlati di lacrime e non si capacitò di non averli riconosciuti subito.
«Alaric …»
disse lei piano.
«Alaric? Era chiuso nella cripta… come… chi…»
chiese confuso Damon. Elena rispose:
«Rebekah. Ha fatto la sua ultima mossa per vendicare Klaus… il giorno dopo che sei sparito ci siamo ritrovati Ric tra i piedi, più agguerrito di prima…»
Damon faticò a starle dietro.
«Elena… cosa stai dicendo?»
Lei lo fissò cercando il coraggio per dirgli quello che voleva sapere:
«Damon… lui doveva morire e c’era solo un modo…»
Lui scosse la testa incredulo:
«No! Bonnie! Lei lo ha rinchiuso nella cripta! Lei poteva fermarlo! »
Elena sorrise amaramente.
«Bonnie è quasi morta per chiuderlo nella cripta, non aveva potere e forza a sufficienza per rispedirlo lì»
spiegò  quasi con rabbia.
Il vampiro non riuscì a dire nulla: Elena, la sua Elena, non poteva essere un vampiro, non poteva!
«Ma… come… »
provò ancora a chiedere, ma lei lo fermò:
«Mi conosci no?»
Poi aggiunse:
«Ho pensato che…»
«Cosa? Che sacrificarti era l’unico modo? Perché, Elena! Perché non sei mai riuscita a lottare per la tua vita! Perché?»
sbottò. Un giorno … un giorno solo senza di lui ed era sopraggiunta l’apocalisse!
Lei abbassò lo sguardo.
«Avresti potuto soggiogarmi a combattere anche per quello…»
buttò lì lei con gli occhi ancora fissi sul tappeto.
Il vampiro ci mise un attimo prima di capire a cosa lei si stesse riferendo: il loro primo incontro, quello vero.
Erano solo due ragazzi smarriti nella notte.
 
Anche quella volta l’aveva scambiata per Katherine, nonostante ai tempi era convinto fosse chiusa in una cripta: stava studiando da secoli il modo per riportarla indietro. Gli bastarono poche battute per capire quanto diverse fossero le due, non solo perché Elena era umana,  ma anche per la purezza che traspariva dai suoi occhi. Lei disse di chiamarsi Elena e lui si scusò per l’equivoco, presentandosi a sua volta.
«Ho litigato con il mio ragazzo»
aveva detto lei.
«E perché? Se posso chiedere…»
domandò lui.
«La vita, il futuro… sembra aver già pianificato tutto
rispose la giovane, rapita da una strana  voglia di dire tutto a quel misterioso ragazzo.
«E tu non vuoi le stesse cose
«Non so cosa voglio»
confessò lei con semplicità.
«Beh, quello non è vero…  vuoi quello che vogliono tutti
sentenziò lui con il tono di chi la sapeva lunga.
«Cosa? Un misterioso sconosciuto con tutte le risposte
ribatté maliziosa. Lui rise stuzzicato da quello sguardo vispo:
«Beh, diciamo solo che sono in giro da un po’ di tempo, ho imparato un paio di cose…»
«Allora, Damon… Dimmi, cos’è che voglio
chiese  curiosa ed intrigata. Lui la osservò nella pallida luce dei lampioni e sentì il bisogno impellente di liberarla da quell’alone di paura e repressione che l’avvolgeva indebolendone il fulgore.
«Tu vuoi un amore che ti consumi, vuoi passione… e avventura… ed anche un po’ di pericolo»
le disse  avvicinandosi. Elena trasformò il sorriso malizioso in un’espressione rapita. Quelle parole le entrarono in testa solleticando una  parte di lei a cui sentiva di non poter dar retta, una parte che non andava bene mostrare, perché non andava bene a Mystic Falls: la cittadina in cui niente di brutto accadeva mai. Una parte che,  solo successivamente, avrebbe scoperto essere soprannaturale: lei era una doppleganger.
Cercando di riprendere il controllo della situazione sfidò il misterioso ragazzo chiedendogli cosa lui volesse, ma Damon non ebbe il tempo risponderle: arrivarono i genitori di lei. Decise di soggiogarla  affinché si dimenticasse di lui, ma prima si assicurò trovasse il coraggio di prendere in mano la sua vita:
«Io voglio che tu abbia tutto ciò che cerchi, ma ora vogli che dimentichi tutto questo sia successo, non posso permettere ancora che la gente sappia che sono in città»
E sparì dalla sua vita fino a qualche mese dopo, quando si ripresentò a lei di nuovo, uguale e diverso da quello sconosciuto incontrato una notte in mezzo alla strada.
 
Ma diventando vampiro tutto ciò che lui l’aveva soggiogata a dimenticare era tornato a galla… tutto.
«Elena…»
Tentò di obiettare lui, ma lei scosse la testa e lo interruppe:
«Lascia stare, Damon… non è importante ora…»
«E Stefan? Come ha potuto permetterlo?»
chiese lui confuso. Lei lo guardò cercando il coraggio di dirgli la verità.
«Damon… non c’entra niente lui, è stata Rebekah…»
lo scusò in un filo di fiato
«Cosa? Di  cosa parli?»
esclamò  lui incredulo.
«Il piano di Rebekah era uccidermi… sapeva che mi sarei sacrificata per far morire Alaric, ma all’ultimo decise che non sarebbe stato abbastanza soddisfacente…»
Il vampiro la guardò inorridito.
«Mi ha fatto bere il suo sangue e poi mi ha gettata nel Wickery…»
«E cosa? Hai disimparato a nuotare?»
ribatté il vampiro incapace di trovare un senso a quella storia.
«Damon… mi ha spezzato il collo prima…»
A quelle parole rimase pietrificato, non riuscendo a dire nulla. Si sentì in colpa per essere andato via, magari se fosse rimasto.
«Elena io… non sarei dovuto andare via…»
disse guardandola distrutto. Nella sua mente, nel suo cuore, iniziarono ad esplodere mille sentimenti contrastanti: non riusciva a darsi pace. Vedendo la sua pena, Elena gli mise una mano sul volto e lui parve trovare la via per uscire dalle rapide che tormentavano la sua anima: quella carezza guadò il fiume di quei pensieri vorticanti disciplinandone il corso permettendo a lui di fluire verso di lei.
«Non essere stupido… non avresti potuto fare niente comunque…»
gli disse dolcemente.
«Ma, forse…»
«Ssshhh…»
lo zittì:
«Ho avuto 20 anni per pensare ai “forse”, ed ho capito che il destino non si evita. Niente e nessuno avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, niente e nessuno avrebbe potuto evitare di farci trovare qui e ora, così. Nemmeno tu»
concluse lei.
«E Stefan?»
chiese lui, cercando di non naufragare nell’oceano del suo tocco.  Elena aprì la bocca per rispondere ma fu interrotta dall’arrivo di Jessica.
 
La ragazza era rientrata e, salendo le scale, fu colpita dall’odore della cena che impregnava l’aria. Trovò la cucina  vuota ma sentì dei rumori arrivare dal salotto ed andò a controllare se il vampiro e la sua nemica numero uno erano riusciti a non uccidersi a vicenda. Damon e  cole che lui, più volte, aveva definito “il diavolo” erano seduti sul divano e si guardavano intensamente, tenendo i loro visi vicinissimi. Lei aveva una mano posata dolcemente sulla guancia di lui e l’elettricità che scaturiva dai loro sguardi era palpabile.
 
Di fronte a quel quadretto inaspettato Jessica restò impietrita, incapace di avere una qualsiasi reazione. Damon la scorse con la coda dell’occhio e si girò di scatto, Elena ritrasse la mano fulminea.
La giovane ricordò all’improvviso di dover interpretare il ruolo della fidanzata:  provò ad inscenare una piazzata di gelosia.
«Tu! Come hai osato! Che succede! Oh! Tu… io…»
recitò nel tono più pomposo e melodrammatico che le riuscì, puntandogli contro un dito, goffamente. Lui si portò una mano in fronte prendendo mentalmente nota di insegnarle a mentire.
«Jess… smettila… non serve»
asserì lui, tra il divertito e l’imbarazzato.
La ragazza fece cadere il braccio, ancora teso nell’atto di additarlo, ed espirò. Non capiva cosa stesse succedendo,  ma il solo fatto di non doversi fingere gelosa fu per lei un sollievo. Elena, turbata, li guardò entrambi.
«Cosa siete voi due?»
Chiese incapace di capire quale legame unisse i due.  Jessica la guardò sempre più confusa.
«Elena… è complicato»
tentò di spiegare lui.
«Elena?»
intervenne Jessica,  completamente spiazzata da quel nome sconosciuto:
«Chi diavolo è Elena?»
«Sa tutto di Katherine… ma non di me?»
domandò la vampira un po’ interdetta. Damon alzò gli occhi al cielo e pensò che non ne sarebbe uscito vivo.
«Aspetta! Non sarà lei quella che ti ha spezzato il cuore vero?»
si affrettò a chiedere Jessica. Il viso di Damon fu più eloquente delle sillabe con cui stava cercando di comporre una frase.
«Oh mio dio! Ma non era un umana? E perché l’hai scambiata per Katherine?»
chiese ancora Jessica.
Elena si accodò alle domande:
«Io ti avrei spezzato il cuore?»
Il vampiro sollevò una mano per zittirle.
«Basta! Smettetela! Datemi tempo!»
urlò alle due donne che si guardarono confuse. Lui si alzò tentando di recuperare la calma, poi provò a spiegare:
«Jess, a quanto pare oggi avrai più di una risposta… dunque, sì! Lei è Elena… anche io credevo fosse una felice quarantenne, madre di dolcissimi pargoli dagli occhi azzurri e con sogni di gloria nel gioco del football…»
«Matt? Mi credevi sposata con Matt?»
lo interruppe la vampira, ma lo sguardo che le lanciò Damon la fece tacere. Si voltò verso Jessica e continuò:
«Beh! A quanto pare mi sbagliavo. E sì, l’ho scambiata per Katherine perché è la sua doppleganger, è un particolare che ti ho taciuto per evitare di doverti parlare di lei… e sì, Elena…»
Rivolgendosi alla vampira, proseguì:
«…mi hai spezzato il cuore, è per questo che sono andato via, per evitare di farmelo triturare mentre tu e mio fratello vivevate felici il vostro amore… e le ho detto tutto di Katherine perché è bene preparare una figlia ai mali del mondo!»
Appena finì la frase, Damon si rese conto di aver dato troppe informazioni, tutte insieme.
Elena restò a bocca aperta e Jessica si morse l’interno della guancia.
«Figlia?»
chiese la vampira, sbalordita. Damon buttò indietro la testa e sbuffò. Jessica intervenne cercando di togliere un po’ di oneri a colui che amava come un vero genitore:
«Non è il mio vero padre, ovviamente… mi ha cresciuta lui… mi ha presa con sé quando è scappato da Mystic Falls, da te…»
«Presa?»
«Ehm… sì, è una lunga storia… Hey! Che ne dite se ci mettiamo a tavola e facciamo le cose con calma? Sto morendo di fame!»
propose Jessica. Gli altri due Annuirono e si diressero in cucina, desiderosi di allentare un po’ la tensione che impregnava l’aria, insieme al profumo del chili. Apparecchiarono in religioso silenzio e quando furono tutti seduti , con i piatti fumanti sotto al naso, Damon disse:
«Se iniziamo a parlarne ora, finiremo col non mangiare. Jess è tutto il giorno che non tocca cibo, e sento l’odore dei daiquiri che si è scolata con i suoi amici fino a qui, le serve avere lo stomaco pieno. Quindi… o rimandiamo tutto dopo la cena, o ci ritroveremo a parlare in 4: noi tre ed il suo stomaco »
Le ragazze si guardarono e annuirono.
«Posso aspettare»
ammise a fatica Elena.
Consumarono la cena scambiandosi solo qualche rapido sguardo di tanto in tanto.
Ognuno aveva un universo di pensieri a cui dare retta, e tutti cercavano di concentrarsi sui discorsi da fare, sulle domande e sulle risposte.
Nella testa di Jessica frullavano una serie di informazioni che cercò di incastrare con le cose scoperte nel corso degli anni; Elena non riuscì a pensare ad altro che ad un Damon versione papà, sereno e felice;  lui continuò a sbattere contro parole che non prendevano una consequenzialità logica per formare una frase.
Quando finirono di cenare, il discorso fu ripreso da Jessica:
«Quindi… se ho capito bene…  sei un vampiro da quando D. è andato via da Mystic Falls, ed in tutto questo tempo sei stata con zio Stefan o no?»
Elena pensò a lungo a cosa dire, come dirlo… e finalmente si espresse.
«Stavo con Stefan…»
iniziò, causando in Damon un sussulto che sperò non fosse stato notato.
«Sono stata innamorata di lui, molto … però capita di stare insieme ad una persona con cui, semplicemente, si esaurisce l’amore, no? Resta l’affetto, l’amicizia… ma nient’altro. Quando sono diventata vampiro, invece di amplificarsi l’amore che credevo di provare…»
«Si  è amplificata la tua consapevolezza di non amarlo…»
concluse per lei Damon fissando il vuoto. Elena annuì.
«E perché non hai cercato Damon in tutti questi anni?»
La interrogò Jessica.
«Già… perché Elena?»
incalzò lui. La vampira non fu in grado di dare una risposta.
«Ok, ok… basta con questa storia… passiamo ad altro! Va bene? Concentriamoci sulle altre domande, abbiamo tempo per i dettagli, no?»
fece Jessica. Elena colse la palla al balzo.
«Esatto… parliamo di te? Ti va? Come sei diventato un papà?»
chiese pungente a l vampiro. Lui boccheggiò un paio di volte prima di trovare le parole giuste per raccontare ciò che accadde quella notte, perché accadde:
«La sera in cui sono andato via… non ero proprio in me, non stavo benissimo… ed avevo anche bevuto…»
«Ti prego, dimmi che non muore nessuno in questa storia!»
esclamò la vampira sapendo che tipo di esperienze accomunavano Damon, l’alcool e la disperazione.
Come al solito, il volto di lui, fu più chiaro di una risposta esplicita; lei sospirò e gli fece cenno di continuare.
«Diciamo che una donna ci ha rimesso la vita ed io mi sono ritrovato con lei in mezzo ai piedi…»
concluse indicando con la testa la ragazza, che li guardava tenendosi il viso tra le mani.
«Aspetta… quella donna morta sulla route 126… sei stato tu? E lei è la bambina scomparsa?»
«Rose Lea Smith, a rapporto!»
proruppe Jessica facendo il saluto militare. Elena la guardò interdetta.
«E a te sta bene? »
domandò sconvolta.
«Singolare tu me lo chieda! Guarda, è una storia pazzesca che inizia 7 mesi fa, anche se in realtà era da 4 anni che sapevo tutto… dunque, praticamente sono tornata a casa un pomeriggio dopo l’ennesima inutile lezione sulla poesia neoclassica, e ti trovo D. intento a rigirarsi un paletto tra le mani e…»
Jessica parlò per più di mezz’ora: raccontò del giorno della verità, del patto, delle loro ricerche e di quel pranzo al ristorante etiope in cui venne a conoscenza della storia di Rose.
«… e quindi ho scoperto perché mi ha chiamato Jessica»
concluse quasi senza più fiato. La vampira non seppe cosa dire. Non poté fare a meno di notare nella ragazza tanti aspetti tipici di Damon: il suo sarcasmo, il suo pragmatismo e qualche espressione che la rendevano deliziosamente buffa.  Era in tutto e per tutto sua figlia, non lo si poteva negare.
«Questa è la nostra storia… la tua?»
incalzò Damon. Elena si risvegliò dal torpore in cui era sprofondata  ascoltando il racconto di Jessica . Sentir dire al vampiro la parola “nostra” la ferì in un modo strano, che non seppe spiegarsi.
«La mia storia? Dopo che Stefan, Caroline e Tyler lasciarono Mystic Falls sono rimasta per un paio di anni ad occuparmi di Jeremy. Quando fu abbastanza adulto da sembrare più grande di me, ho iniziato a girare il mondo: sono partita dai viaggi che avevo sempre sognato di fare fino a seguire il destino… prendevo un mappamondo, chiudevo gli occhi e puntavo il dito. Pochi giorni fa  ho fatto lo stesso esercizio e…»
«Ed è uscita Denver»
indovinò lui. Lei annuì.
«E sarei fortunato se facessi un’ipotesi su dove alloggi?»
Elena arrossì.
«Mi sono persa qualcosa, non è vero?»
chiese Jessica,  sentendosi fortemente di troppo in quella stanza. Damon la guardò e le sorrise:
«Ci siamo persi tutti qualcosa, tranquilla…»
«Damon… io… non è che non ti ho cercato! Ero sicura Stefan ti avesse trovato… mi aveva detto che avrebbe provato a raggiungerti, pensavo che… io credevo…»
«Cosa? Che una volta saputo che eri diventata un vampiro sarei tornato di corsa da te?»
Quelle parole la ferirono e Damon provò un sadico piacere.
«No… io… ho creduto fossi andato avanti… e così ho fatto pure io! Ero stanca di vivere in funzione di qualcuno. Ho preso la mia nuova vita e le mie possibilità e sono partita»
Con quella frase fu lei a ferire lui.
«Hey! Ho un’idea geniale!»
esclamò all’improvviso Jessica per tentare di uscire da quella situazione di gelo polare:
«Che ne dite se…»
«Non ci pensare nemmeno»
la interruppe Damon senza nemmeno guardarla.
«Non sai neanche cosa volevo dire»
rispose lei piccata.
«Oh, sono sicuro sarebbe finita con “partiamo tutti insieme per questo viaggio”?»
Jessica abbassò la testa ed incrociò le braccia sul petto. Elena si illuminò sentendo quella proposta,  ma lesse sul volto di Damon il disappunto, quindi non osò mostrarsi entusiasta.
«Però, se ci pensi, sarebbe una grande idea! Noi faremmo il nostro viaggio mantenendo il patto… ed in più voi due vi chiarireste e, ultima cosa ma non meno importante, io avrei il quadro completo della situazione… sì, insomma, entrambi i rintocchi della campana, no? »
disse la ragazza aprendo le braccia sul tavolo. Elena era già mentalmente in viaggio, mentre Damon cercò una valida ragione per opporsi. Come al solito ci pensò un secondo di troppo, e Jessica prese quell’attesa per  un sì.
Come 7 mesi prima si alzò saltellando dalla sedia:
«Fantastico! Questa laurea mi sta portando più risultati del previsto! Se non ti avessi dato retta e non avessi finito gli studi non saremmo qui ora! Grandissimo!»
Ottenuto ciò che voleva si scaraventò su Damon ed Elena dando ad entrambi un bacio sulla guancia.
«Noi tre, ci divertiremo un sacco! Buonanotte! Domani sarà una lunga giornata!»
cinguettò congedandosi. I due vampiri restarono soli.
Elena posò lo sguardo sul volto di Damon, gli occhi inteneriti da tanta giovane esuberanza.
«È sempre così entusiasta? »
gli domandò.
«Credimi, sa essere molto più fastidiosa»
rispose lui. Per un momento si lasciarono coinvolgere dalla scia di allegria che Jessica aveva lasciato in quella stanza; guardandosi, si sciolsero in un sorriso, per un momento di nuovo sulla stessa lunghezza d’onda.
«Dovrei andare ora»
annunciò lei. Covò in fondo al cuore la speranza di non essere mandata via, non ancora.
«Puoi restare se vuoi»
propose tentennando lui.
«Passeremo domani mattina a prendere le tue cose al motel… se ti va…»
Lei annuì cercando di nascondere la strana gioia che le causò quella proposta.
«Vado a prepararti la stanza degli ospiti»
«Damon… ti volevo cercare… davvero…»
«Non ha più importanza… siamo andati avanti, no?»
affermò lui alzandosi. A quelle parole lei non seppe cosa rispondere: l’equivoco era palese ma sentiva di non essere nelle condizioni di potersi spiegare.
Damon la invitò a seguirlo al piano di sopra, le consegnò un pigiama di Jessica e degli asciugamani puliti.
«Se ti serve qualcosa, la mia stanza è in fondo al corridoio»
le comunicò.
«Sono a posto così, grazie»
rispose lei sorridendo. Quindi entrò nella stanza e si chiuse la  porta alle spalle.

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Capitolo 5
*** Stanze - Forse sentirai la mia voce che ti chiama. ***



Elena, immobile nel letto della stanza per gli ospiti, fissava il buio.
 
Era stato un pomeriggio assurdo, iniziato nei panni di Katherine e finito senza maschere da indossare. Damon l’aveva riconosciuta, aveva scoperto il suo inganno. 
«Elena…»
l’aveva chiamata in un filo di fiato. Riconobbe in quel tono gioia e terrore. Le ricordò di quando, in preda alle allucinazioni per il morso di Tyler, l’aggredì  scambiandola per la sua antenata. Quando rinsavì, riconoscendola, si fece sfuggire il suo nome con lo stesso tono. 
 
Sorrise pensando alle analogie tra le due situazioni, smise valutando gli esiti delle stesse.
 
Vent’anni anni prima si stava preparando a perderlo,  ma poi Katherine gli portò la cura, salvandolo; quel pomeriggio pensò di averlo ritrovato, ora invece le sembrava di averlo perso.
« Non ha più importanza… siamo andati avanti, no
le aveva detto  alzandosi da tavola. Questo era quello che lui aveva capito, questo quello che lei gli aveva fatto capire. 
 
Improvvisamente si risentì la Elena Gilbert umana: quella che scappava dalle verità, quella che non aveva visto il mondo e che, anzi, lo temeva…
Una rabbia latente le montò dentro. Chiuse gli occhi cercando un sonno che non giunse a placare la sua irrequietezza. L’angoscia sormontò la rabbia e non riuscì più a trattenersi dal sussurrare quel nome:
«Damon…»
Attese in silenzio, in bilico tra il desiderio ed il timore che  lui l’avesse sentita.
Non era sicura di quello che voleva dirgli… non era sicura di voler dire qualcosa. Dopo qualche istante di assoluto silenzio, si convinse che la sua richiesta si era dispersa nella notte e si girò su un fianco.
«Va tutto bene?»
domandò nel medesimo bisbiglio Damon. Elena sentì il sangue ribollire nelle vene. Non riuscì a pensare a nulla di sensato da dire, seguì solo l’istinto.
«Credevo dormissi»
rispose.
«Ed io credevo tu stessi sognando»
disse lui piano. Elena si lasciò scappare un sorriso.
 
La sua mente volò ad un risveglio, di una vita ormai lontana, in cui si ritrovò il petto di lui a farle da cuscino. Quella volta si ritrasse spaventata ed un po’ imbarazzata. Dovevano recuperare Stefan, lei era ancora innamorata di lui… o così le sembrava. Le capitava sempre più spesso di ripensare al periodo in cui era convinta che ci sarebbe stato sempre e solo Stefan: ogni volta quei sentimenti le sembravano sempre più sbiaditi, lontani nella memoria e dal cuore. 
Avrebbe potuto accettare l’idea che era solo colpa del tempo trascorso,  del suo essere, in quegli anni, solo una ragazzina impaurita … ma qualcosa non quadrava … qualcosa le diceva che erano solo scuse: allora perché alcuni sentimenti,  provati allora,  li sentiva ancora vividi, scorrerle nelle vene come non fosse passato un solo istante da quando aveva tentato di reprimerli?
 
Si ritrovò a desiderare di essere ancora in quella vita, di poter recuperare quei momenti, poter stringere nuovamente quel corpo e dormirci sopra per l’eternità.
«No… volevo solo…»
balbettò. Damon la interruppe:
«Avremo un sacco di tempo per parlare, credimi. Jessica non vorrà fare altro! Ti do un consiglio: goditi il silenzio e riposati finché puoi, quella ragazza non ti darà scampo da domani»
Elena ingoiò le parole che stavano sgorgando dalle sue labbra e queste risalirono agli occhi sotto forma di lacrime amare. Prima che lei scoppiasse a piangere, lui aggiunse:
«Non prenderla  male… non mi va di affrontare nessun discorso così… sottovoce e a distanza. Avremo il nostro tempo, il nostro momento. Non ora però, non così»
«Potrei venire in camera tua se guardarmi negli occhi è tanto importante»
suggerì Elena prima di riuscire a soffocare quelle parole che lasciavano trasparire il suo desiderio.
Il silenziò che ne seguì la fece sprofondare nella paura di aver fatto il passo più lungo della gamba.
«Non stanotte»
concluse lapidario lui. Lei affondò la faccia nel cuscino rimanendo in attesa:  non ci furono più comunicazioni sulle frequenze audio da vampiri e, senza accorgersene, si addormentò.
Damon, invece, rimase sveglio tutta la notte, aggrappandosi al materasso con tutta la volontà per impedirsi di correre da lei, buttare giù la porta che li separava e annegare in lei.
Ma non poteva. Ci era già passato ed era sopravvissuto a stento: non avrebbe rischiato più.
Quando il sole sorse di nuovo, Damon si alzò dal letto e scese in cucina. Trovò Jessica super eccitata: stava preparando la colazione con la musica nelle orecchie, ballando al ritmo di “Enjoy The Silence”.
Era loro abitudine svegliarsi così: musica a palla e qualche balletto ad accompagnare la preparazione delle frittelle dolci. Evidentemente la giovane si era premurata di non disturbare l’ospite quella mattina optando per gli auricolari, invece delle casse ipertecnologiche.
Le si avvicinò di soppiatto sfilandole le cuffie dalle orecchie.
«Devi lavorare su quel colpo di bacino. Un tronco risulterebbe più fluido»
scherzò lui. Lei sussultò, colta alla sprovvista.
«Beh, la colpa è del mio maestro di danza»
ribatté lei, puntandogli contro la paletta con cui stava girando i pancakes. Il vampiro assunse un’espressione di superiorità e disse:
«Hey! Non faccio miracoli! Non posso piegare il ferro… o meglio, posso, ma … hai capito vero?»
Jessica rise.
«Elena?»
si informò.
«Presumo stia ancora dormendo»
rispose lui. La ragazza fece una faccia incuriosita.
«Supponi?»
Damon la guardò confuso.
«Non sono entrato a controllare»
disse come se fosse ovvio.
«Scusa… credevo… »
farfugliò lei.
«Cosa? Che avremmo dormito insieme?»
finì per lei. Jessica alzò le spalle e scosse la testa:
«Ieri mi sveli che non sei anatomicamente e fisiologicamente incapace di… fare… sai… sesso! Poi ti trovo a sprizzare scintille con la donna che ti ha ridotto uno straccio… insomma… ho fatto due più due e…»
«E cosa? Credi sia così facile? Quando qualcuno ti spezza il cuore così tante volte, impari a preservarti… non importa quanta elettricità produci!»
la interruppe lui. Jessica spalancò gli occhi e guardò oltre le sue spalle, facendolo cadere nel terrore che Elena fosse lì, ad ascoltare quella confessione sofferta … inaspettata! Si voltò piano ma non trovò nessuno.
«D, guarda che è un vampiro… se non abbassi la voce ti sente lo stesso»
gli ricordò lei, bisbigliando.
«Comunque è prestissimo, magari ancora dorme e non ti ha sentito»
aggiunse in fretta.
«Non mi importa»
disse secco lui. La ragazza sollevò le sopracciglia e fece scoccare la lingua contro il palato:
«Sì, certo. Come se non ti conoscessi…»
E si girò a finire di preparare la colazione. Il pensiero che Elena avesse potuto sentire le sue parole iniziò a tarlare Damon. Passò qualche minuto  cercando di convincersi che anche se così fosse stato, a lui non importava.
Quando Jessica gli mise sotto al naso una tazza piena di sangue, si ridestò dalle sue inutili elucubrazioni.
«Non ti ha sentito, sono sicura»
cercò di consolarlo. Gli mise una mano sulla spalla accarezzandola, lui le sorrise ed annuì.
«Buongiorno»
disse Elena spuntando improvvisamente in cucina.
 
Si era svegliata mezz’ora prima sentendo in lontananza una canzone dei Depeche Mode. Era rimasta a fissare il soffitto e a pensare alla chiacchierata notturna con Damon: dubbi e domande la tormentavano. Aver lasciato che lui intuisse la sua ansia, un barlume dei suoi reali sentimenti, la faceva sentire imbarazzata. Dalla  cucina sentì i due farsi battute e ridere.  Non poteva perdersi tutto questo … questa avvolgente familiarità, questo nuovo aspetto di Damon. Aveva deciso di scendere ed unirsi a loro quando captò una parte del discorso che aveva, fino a quel momento, seguito distrattamente:  «…Poi ti trovo a sprizzare scintille con la donna che ti ha ridotto uno straccio» e decise di non ascoltare oltre. Anche il giorno prima era venuto fuori  il discorso che ‘lei’ aveva spezzato il cuore a ‘lui’. “Non mi sembra tanto uno straccio” pensò arrabbiata. Si mise di fronte allo specchio appeso in camera: “io sono stata uno straccio! Ma lui non lo sa, non c’era… era qui a fare il paparino felice” si  disse, con la rabbia che montava sempre di più. Le tornarono in mente le parole che lui le aveva detto quella notte: «Avremo un sacco di tempo per parlare, credimi». “Sì, è inutile arrabbiarsi. Prima parleremo, poi si vedrà” cercò di calmarsi  aggrappandosi a quel pensiero.
 
Quando fu definitivamente sicura che non avrebbe avuto scatti d’ira, si vestì e scese di sotto. Jessica toccava Damon su una spalla e lui le sorrideva. Quella rabbia, dovuta ad una strana gelosia e che si era sforzata di mandare via, tornò violenta. Cercò la forza per non fare qualcosa di stupido ed entrò in cucina salutando.
«Hey! Buongiorno! Dormito bene? Quel letto non è  il massimo, ma non abbiamo spesso ospiti… ogni tanto qualche collega universitario si è fermato a dormire dopo le nostre nottate di studio, ma è quasi sempre stata vuota!»
esclamò entusiasta Jess.
«Hey! Mangi qualcosa o sei come D, che prende solo una tazza di sangue?»
chiese senza cambiare tono. Elena puntò gli occhi sul vampiro che beveva guardandola divertito.
«Te l’ho detto che sa essere… intensa!»
le ricordò dopo aver mandato giù un sorso di sangue. Lei sorridendo disse alla ragazza:
«Vorrei anche dei pancake grazie!»
In realtà anche lei faceva colazione solo con del sangue, ma il fastidio inspiegabile di vederlo  così sereno, la spinse a voler ridurre al minimo le cose che avevano in comune. “Quanti anni hai? 12?” pensò, portandosi in bocca un pezzo di dolce ricoperto di sciroppo d’acero.
«Allora? Programma di oggi? Io devo vedere il mio professore… ma poi possiamo partire!»
«Un attimo! Perché devi vedere il tuo professore?»
chiese Damon. Elena si infastidì ancora di più: perché gli importava con chi si doveva vedere sua ‘figlia’?
«Se te lo dico ti arrabbi. O peggio, se te lo dico romperai e farai saltare il nostro patto!»
rispose Jessica. Lui posò la tazza sul tavolo e la guardò serio:
«Se non me lo dici, allora sì che farò saltare il patto»
La ragazza sbuffò. Dopo un paio di tentativi di inventarsi  qualcosa, finalmente svelò:
«Mi ha proposto di tenere delle lezioni e vuole mettermi in contatto con un suo amico editore… dice che potrebbe farmi avere uno stage retribuito e che, con le mie capacità, potrebbe diventare un lavoro serio entro la fine dell’anno»
Lui la fissò per qualche minuto trattenendosi dall’insultarla. Quando trovò la calma necessaria disse:
«Ed io lo vengo a sapere ora, perché…»
Lei buttò indietro la testa, si poggiò al lavello ed incrociò le braccia sul petto.
«Perché quando 7 mesi fa sono rientrata per dirtelo… tu avevi qualcosa di più importante da dire a me»
ribatté lei.
«Ascolta! Mi sono informata, ok? Non è una grande occasione, e lo sai che non ho la pazienza necessaria per tenere lezioni! E poi, se sono così intelligente come tutti si ostinano a dire, rifiutare una proposta di lavoro farà sentire loro indegni della mia persona!»
disse tutto d’un fiato, sfoggiando il suo sorriso finto. Damon espirò e chinò la testa.
«Stai attenta che la presunzione ammazza l’intelletto»
sentenziò lui. Ad Elena venne spontaneo fare una risata, l’umana ed il vampiro si voltarono a guardarla come se si fossero appena accorti di lei.
«Scusate… ma sentirti denigrare la presunzione, mi ha fatto uno strano effetto»
si giustificò lei. Jessica la guardò curiosa.
«Ok! Questa me la dovrai spiegare! Quindi prepara la storia mentre io vado a sbrigare i miei impegni! Dove ci vediamo?»
«Ahm… dipende da quanto tempo ci metti»
le rispose lui.
«Non so, ne avrò per un’ora…»
«Elena deve recuperare le sue cose al motel… chiamami appena hai finito e ti dico dove raggiungerci»
«Ok! Vado a prepararmi allora!»
Jessica sorrise e corse al piano di sopra. I due vampiri rimasero soli e lui andò a mettere la tazza nella lavastoviglie… ancora un gesto quotidiano … un gesto umano.
«Posso andarci da sola… al motel intendo. Ci metterò poco. Tu puoi sbrigare le tue cose…»
disse con un groppo in gola. Damon, senza voltarsi, rispose:
«Certo, non c’è problema… se vuoi andarci da sola»
Cercò di reprimere il disappunto che si stava impossessando della sua espressione continuando ad armeggiare con l’elettrodomestico.
«Non ho detto questo…»
tentò di giustificarsi Elena, ma lui decise di mettere fine a quel gioco stupido.
«Bene, allora ti accompagnerò al motel, prenderai le tue cose e torneremo qui»
disse risoluto. Salì al piano di sopra per prepararsi lasciandola in cucina a finire la sua colazione.
Nel corridoio incontrò Jess pronta per uscire.
«Hey! Ci vediamo al motel, ok? Mi mandi l’indirizzo?»
gli ricordò lei di fretta, giusto per sottolineare che non avrebbe avuto via di scampo dalle promesse che gli aveva strappato.
«Guarda che puoi fare con calma, non scappiamo mica»
cercò di tranquillizzarla lui.
«Calma? Io sono calma! Non so se ti sei reso conto che ora ho il doppio delle cose da scoprire! Non posso perdere tempo! Ed ora fammi andare!»
Si alzò sulle punte,  gli diede un bacio sulla guancia e si fiondò giù per le scale.
Quando sia Damon che Elena furono pronti uscirono insieme di casa senza scambiarsi una parola. Elena vide la Camaro celeste parcheggiata di fronte all’ingresso e  fu pervasa dal ricordo del loro primo viaggio insieme:  lei scappava da Stefan e lui inseguiva Katherine. Cercò di non pensarci e chiese:
«Ricordi la strada?»
Lui non rispose...lo sguardo era fisso sul cruscotto.  Accese il motore e partì. Durante tutto il tragitto lui non fece che scacciare il ricordo che lo legava a quel motel… lei non riusciva a smettere di pensarci. Vedendo da lontano la sagoma del motel un pensiero si insinuò nella mente di Elena “glielo hai spezzato sì, il cuore… eccome! Più d’una volta. In più modi”
«Eccoci qui!»
disse lui distraendola da quella nuova consapevolezza.
Scesero dall’auto e lui si incamminò sicuro per le scale.
«Dove stai andando?»
domandò lei.
«Non stai nella 236?»
rispose lui confuso. Elena restò interdetta.
Si ricordava il numero della stanza in cui erano stati: forse non era andato così avanti.
«No…»
disse sorridendo. Aggiunse:
«Purtroppo era già presa»
E prima di farsi sopraffare dall’imbarazzo, si incamminò verso la stanza.
«119»
commentò lui. Elena aprì la porta ma, prima che Damon mettesse un piede dentro, la richiuse violentemente.
«Ahm… io avevo dimenticato… cioè, non aspettavo nessuno… dentro è un caos… dammi solo un istante»
si giustificò. Entrò lasciando il vampiro fuori a fissare il legno scrostato.
Ricorse alla sua super velocità per staccare tutti i fogli appesi alle pareti e la cartina geografica su cui era tracciato il suo itinerario. Raccolse gli appunti sparsi sulla scrivania e mise tutto dentro il diario che si portava dietro da 20 anni, riponendolo poi dentro il borsone gettato ai piedi del letto.
«Ora è un po’ più presentabile»
disse aprendo la porta all’uomo che aspettava fuori.
Damon entrò nella stanza e si guardò intorno.
«La tua roba?»
si informò.
«Ho poche cose… ti ho detto che avrei fatto in fretta…»
rispose lei. Lui annuì e si diresse verso il borsone per raccoglierlo. Elena scattò e glielo tirò via dalle mani.
«Ci penso io a questo! Tu puoi prendere lo zaino dentro l’armadio»
esclamò lei cercando di apparire il meno sospetta possibile. Lui sollevando le sopracciglia andò verso il vecchio armadio a muro.
«Non mi avevi mai parlato di Jessica…»
cominciò a dire lei, poi precisò:
«La vittima, intendo…»
Il vampiro rimase di spalle tenendo le ante dell’armadio aperte. Pensò all’ultima volta che erano stati in quel motel: anche allora lei gli fece una domanda simile, su Rose. Di colpo, ogni tentativo di tenere la mente lontana da quella notte, fu spazzato via. Il sapore dei baci di Elena si propagò sulle sue labbra, facendolo fremere di desiderio. Strinse le mani sul legno logoro che iniziò a scricchiolare, lei si accorse della tensione che lo faceva vibrare e tacque,  sperando di non aver detto niente di sbagliato.
«Lo sai come la penso sul parlare di me»
disse lui, secco.
Solo in quel momento Elena interpretò quella rigidezza, quel suo apparire scostante.
 
Il ricordo di quella notte, che non l’aveva abbandonata un attimo da quando si erano messi in macchina, sbocciò in ogni suo particolare: l’odore del sapone  con cui lui si era fatto la doccia, il rumore dei suoi stivali sulla moquette, i suoi occhi di cielo che brillavano nel buio, il respiro affannato  al suo tocco, la fuga sul pianerottolo, il modo in cui aveva  sospirato il suo nome “Elena”, la tensione al limite, l’abbandono,  il sapore di bourbon…  le stelle. 
 
Si rese così conto che quella famosa notte era iniziata nello stesso modo. Guardò il letto uguale a quello dove anni prima si torturò tentando di dormire, cercando di non seguire quel filo di pensieri e sensazioni che l’avrebbero condotta a scoprire il suo cuore. Niente più fiori sulla trapunta, solo un verde smorto a tinta unita. Osservò il vampiro ancora intento a fissare un armadio quasi vuoto e sentì di non voler più resistere a quella forza magnetica che la spingeva inesorabilmente verso di lui: come quella notte desiderò solo cedere, abbandonarsi … lasciarsi guidare dalla passione … dal cuore.
«Damon…»
lo chiamò.
«Hai solo questo?»
domandò ignorandola. Lei lasciò cadere il borsone a terra e gli si avvicinò. Mise una mano sulla spalla ripetendo il suo nome con voce tremante :
«Damon…»
Le dita di lui spezzarono il legno, Elena fece scivolare i polpastrelli lungo la stoffa scura della sua camicia. Chiuse le sue mani su quei fasci di nervi convincendolo a mollare la presa.
«Guardami»
gli sussurrò. Lui iniziò a tremare.
«Ti prego, guardami»
lo implorò. Lui si voltò ritrovandosi a pochi centimetri dal suo viso. Rimase immobile, prendendo a pugni il proprio istinto. Elena si sollevò sulle punte e si avvicinò lenta alla sua bocca… lo chiamò invocandolo un’ultima volta:
«Damon…»
Attese una sua mossa.

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Capitolo 6
*** Di_stanze - A un passo dal tuo cuore. ***




Damon rimase immobile, con il viso a pochi centimetri da quello di Elena. Le labbra di lei era tanto vicine che ne percepiva la presenza, quasi fossero posate sulle sue. Ma non era così, c’era spazio tra lui e lei. C’era una distanza impercettibile, uno graffio tra due esistenze che avrebbero dovuto far parte dello stesso mondo, ma che lui sentiva distinte, separate.
 
Erano arrivati in quel motel in silenzio, senza dirsi nulla.
Lui non  aveva fatto altro che distrarsi mentalmente per evitare i ricordi legati a quel posto.
Viveva a Denver da quasi tre anni e mai una volta si era ritrovato lì, nemmeno per sbaglio. Nemmeno nelle sue serate più nere, quando vagava per la città con l’alcool che gli usciva dalle orecchie. Un istinto di sopravvivenza inconscio lo aveva sempre fatto girare al largo. Lo stesso istinto che, durante il tragitto, lo portò a pensare a tutto, fuorché al motel… fuorché a lei.
Giunti in quel luogo si mosse meccanicamente verso la stanza che li aveva ospitati 20 anni prima. Lei lo fermò chiedendogli dove stesse andando e lui con naturalezza rispose: «Non stai nella 236?».
Si era sentito così stupido dicendo quella frase che quando lei lo aveva momentaneamente chiuso fuori dalla stanza per chissà quale ragione, se non la banale scusa del disordine, si mise a tirare pugni in aria dandosi mentalmente dell’idiota. Si convinse che l’ultima cosa da fare era dimostrarsi ancora attaccato al passato. Le sue parole  erano inequivocabili:  era andata avanti.
Mentre lui cresceva una bambina col terrore di rovinarle la vita più di quanto non avesse già fatto, Elena era in giro per il mondo, in cerca di se stessa. Aveva provato un moto d’orgoglio nel sentirla così risoluta e sicura, ma l’aveva anche profondamente odiata: era un vampiro da 20 anni, aveva lasciato Stefan da altrettanto e non si era mai premurata di contattarlo. “Di cosa ti meravigli? Non ti aveva scelto da umana … figuriamoci da vampira, più chiaro di così! Non ti doveva niente, men che meno la sua eternità” pensò con dolore. Dopo qualche istante lei gli aprì  la porta ed entrò nella stanza. Aveva guardato furtivamente il letto, rincuorato nel non vedere la stessa coperta di ‘quella volta’, si era abbassato a prendere un borsone e lei glielo strappò di mano, nervosa.  Damon era confuso, non capiva i suoi atteggiamenti. Anche quella mattina a colazione aveva faticato a capirla, ed ora, in quella stanza, lei era tornata ad essere un’incognita. Alternava momenti in cui era ancora la ‘sua Elena’, ad altri in cui sembrava essere una persona totalmente nuova, mai conosciuta prima.  Lei gli aveva indicato l’armadio in cui c’era uno zaino da recuperare e mentre lui si accingeva a prenderlo, se n’era uscita con una domanda tipica della ‘sua Elena’: «Non mi avevi mai parlato di Jessica… la vittima, intendo». L’incipit di quella domanda lo aveva fatto precipitare in quel maledettissimo ricordo.
Anche quella volta  gli aveva  chiesto come mai lui non le avesse raccontato qualcosa che aveva fatto.
Arresosi  all’idea di non poter più uscire fuori da quei pensieri  decise di trascinarla con lui.
«Lo sai come la penso sul parlare di me» le aveva risposto. Dal silenzio che ne seguì, capì  di essere riuscito nel suo intento:  adesso anche lei era tornata indietro nel tempo,  in quel letto con la trapunta fiorata. Ma la soddisfazione era durata solo un attimo. Ora erano in due ad essere bloccati nel  passato, adesso erano in due incapaci di uscirne. Damon strinse le ante del vecchio armadio senza riuscire a controllare la propria forza. Il legno logoro stava iniziando a cedere e le sue dita affondarono tra le fibre di quel materiale inconsistente.
Si stava aggrappando in qualche modo al presente per non fronteggiare il  passato.
Poi lei lo aveva chiamato per nome e lui sentì accendersi la fiamma. Aveva cercato di uscire da quel ricordo tornando a parlare di cose pratiche, di cose presenti. Le aveva chiesto se lo zaino fosse tutto ciò che doveva prendere, ma lei si era avvicinata mettendogli una mano sulla schiena... non ci sarebbe stato tempo al mondo in grado di farlo resistere alla potenza di quel tocco. Lei era tornata ad invocare il suo nome, solo il suo nome: tanto gli era bastato per tremare. Non c’era supplica nel suo tono, ma lui sentiva di volerla esaudire. Strinse ancora di più le vecchie ante spezzandole. Le mani di lei scivolarono come pattini sul ghiaccio che era diventato per spegnere l’incendio  che lei aveva fatto divampare… che lo stava divorando. Raggiunsero le sue mani: due blocchi di cemento che lei trasformò in argilla fresca. Gli chiese di guardarla, lo pregò di voltarsi… e lui si arrese.
 
Si trovò così a dover decidere se seguire il desiderio o l’orgoglio. La fissò vibrante di passione, per un tempo che a lei sembrò infinito. Nessuno dei due, però, si arrese: lei continuò ad aspettarlo e lui a resisterle.
Damon sprofondò nel nero degli occhi di lei e schiuse la bocca… forse per dire qualcosa, forse per non dire nulla. Nell’atto di aprirsi, le sue labbra divennero tessere di un puzzle e si incastrarono in quelle di lei. Quel bacio involontario divenne un lungo assaggio del tempo passato lontani: Elena riprese confidenza con quel sapore che conservava dentro, in un angolo nascosto; lui sentì di aver corso su un tapis roulant per 20 anni, sforzandosi inutilmente di  scappare da una vita e da un amore che aveva radicati dentro lui.
Il vampiro capì solo in quel momento che non ci sarebbe stata distanza al mondo che poteva mettere tra se stesso  ed il suo cuore. Tutto quello che aveva fatto era stato fuggire, quando invece avrebbe dovuto vomitare: il dolore, le paure, il passato… Elena.
Ma lei non era solo dentro lui, lei era parte di lui. Era il suo sangue, il suo calore… il battito di un cuore fermo dal 1864.
L’assaggio finì ed il sapore di qualcosa di sublime invase i loro palati. Spalancarono le bocche pronti a saziarsi l’uno dell’altra. Lei si aggrappò al colletto della sua camicia e lo tirò a sé;  lui affondò una mano nel fianco di lei, spingendo le sue forme contro il suo corpo mentre con l’altra le afferrava il viso.  Provò a staccarlo dal suo riuscendo solo ad incollarsi ancora di più a lei. Elena gli fece scivolare le mani dietro la nuca, le fece scorrere tra i suoi capelli spettinandolo, poi le fermò sulla testa, quasi a volerla proteggere.
Damon abbandonò ogni tentativo di resisterle e si lasciò trasportare dal desiderio: la mano sul viso, che inutilmente aveva tentato di usare per staccarla da lui, scivolò sul collo di lei, esitando un istante prima di scendere sul seno, strappandole un gemito di piacere quando glielo strinse. Proseguì la discesa fino al ventre e poi deviò il suo percorso verso schiena. Scese sul gluteo, afferrandolo un attimo prima di risalire sul fianco, fece presa con l’altra mano e la sollevò. Con naturalezza lei seguì quell’ordine spiccando il volo. Incrociò le gambe intorno alla vita di lui e buttò indietro la testa mentre lui ripercorreva il tragitto, fatto prima dalla sua mano, con le labbra. Gustò ogni centimetro di pelle piano, con calma. Lei tornò a cercarne la bocca ed un nuovo bacio accompagnò la loro corsa contro il muro. I due iniziarono a far scorrere le proprie mani sul corpo dell’altro senza itinerario. Avidi solo di toccare… di sentire…
Un suono giunse da lontano a risvegliarli dall’estasi di quel sogno. Non fecero caso alle prime note, ma il suono diventò insistente. Entrò nella testa di lui riportandolo ad una semi-lucidità. Il volto di Jessica si insinuò nella sua mente richiamandolo all’ordine.
«Jessica…»
ansimò.
«Cosa?»
chiese lei terrorizzata.
«Potrebbe essere Jess… devo rispondere…»
chiarì lui sciogliendosi dal suo abbraccio. Elena gli scivolò giù dal corpo mantenendosi in equilibrio solo grazie alla parete contro cui lui l’aveva spinta. Damon cercò il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, ma si accorse che il suono non proveniva dal suo apparecchio.
«Non… non è il mio»
la informò. La vampira, Non ancora del tutto in sé , si raddrizzò assumendo un’espressione tesa, guardò verso il borsone che aveva lasciato cadere prima, e corse a rovistarlo. Trovato il telefono rispose senza nemmeno guardare chi fosse:
«Pronto?»
«Elena?»
fece eco una voce femminile.
«Hey!»
disse lei nervosa. La voce femminile esclamò agitata:
«Dove diavolo eri finita??? Non ti sei fatta più sentire dopo…»
«Sì, sì! Lo so! Ma non crederai mai a chi ho incontrato!»
la interruppe lei prima di proseguire:
«Damon! Ci crederesti mai? Chi se lo aspettava eh?»
La voce all’altro capo tacque. Damon credette di riconoscere quel timbro e quando finalmente lo udì di nuovo ebbe la sua conferma:
«Oh… ma… ma è magnifico! E siete insieme ora?»
«Sì, sì. Siamo nel motel dove alloggio… sai, faremo un viaggio insieme… ma è una storia lunga... vuoi salutarlo?»
«Sicuro! Ehm… passamelo pure»
Elena porse il cellulare a Damon che la guardò stranito.
«Barbie… da quanto tempo!»
esclamò sarcastico.
«Oh mio dio! Allora sei veramente tu!»
«Più bello e in salute di sempre! E tu che mi dici, Care?»
chiese.
«Beh… 20 anni sono tanti da raccontare per telefono… dovremmo fare una rimpatriata e parlarne di persona… Elena ha detto che state per partire, dove andrete? Passerete da Woodstock?»
rispose Caroline impacciata.
«Beh… sì… dovremmo passarci… non so quando... ma… tu non mi odiavi? Com’è che ora vuoi addirittura organizzare un meeting?»
domandò lui insospettito da quello strano atteggiamento.
«Coooosa? Odiarti? Ma non essere ridicolo! Certo, non sono mai stata una tua fan… però, è passato tanto tempo… e poi viaggi con la mia migliore amica… se vedere lei significherà vedere te… me ne farò una ragione, no?»
provò a convincerlo.
«Mmmh… sarà… ora ti ripasso la tua migliore amica… stammi bene Caroline»
E consegnò il telefono in mano ad Elena che lo guardava ansiosa. Smise di ascoltarle, distratto da pensieri assordanti che gli impedivano di ragionare con lucidità. Quando lei concluse la chiamata, l’aggredì urlandole contro:
«Vuoi dirmi che diavolo succede?»
«C-cosa vuoi dire?In che senso? »
balbettò lei.
«Voglio dire… cos’è questa storia? Mi sembrava di aver capito che avevi perso i contatti con tutti… invece Caroline sembra  conoscere ogni tuo movimento e, anzi, si preoccupa se non ti sente per un giorno! E questo motel, questo bacio… siamo sempre allo stesso punto! Questa volta cosa volevi provare a te stessa? O ti ha di nuovo mandato Stefan?»
ringhiò lui senza avere il controllo delle parole che gli uscivano dalla bocca: non c’era filtro. Era un mare in tempesta e lei restò a subirne l’onda d’urto senza avere il tempo di rispondere.
«Allora, Elena? A che gioco stai giocando? Cosa vuoi da me? Dimmelo! Ti prego! Dimmi cosa vuoi!»
la supplicò disperato. Si odiò per essersi mostrato a lei in quello stato, non voleva scoprire la sua debole natura di uomo innamorato… ma non fu  più in grado di fingere.
Non aveva più la forza, l’aveva usata tutta per crescere una figlia che si era preparato a perdere.
«Non sto giocando con te…»
disse Elena con voce spezzata.
«Pensavi che avrei tagliato fuori tutti dalla mia vita? Mi spiace, ma al momento sei l’unico ad esserci riuscito»
sentenziò lei con un pizzico di rabbia. La durezza di quelle parole contrastava con le grosse lacrime che le scendevano ai lati del viso. Lui si sentì annientato… desiderò solo un po’ di pace, ma più la guardava, più l’inferno gli si scatenava nel petto.
«Se non volevi baciarmi… dovevi solo spingermi via… come mi hai spinta via ieri, quando mi credevi Katherine! Sai, Damon… forse non c’è sempre Stefan dietro quello che faccio… forse non c’è più Stefan e basta!»
quasi urlò l’ultima frase. Lui era ancora in preda ad una confusione di pensieri ed emozioni e non seppe seguire il senso di quelle parole. Provò a dire qualcosa ma un nuovo suono li interruppe: questa volta era il suo cellulare, e sul led brillava il nome di Jessica.
«Hey… hai fatto?»
le chiese con voce roca rispondendo alla chiamata.
«Oh, sì… ho fatto… ma, a meno che tu non sia diventato nel frattempo un trippone puzzolente e maniaco, direi che non ti trovi nella stanza 236»
gli comunicò Jessica. Il vampiro non capì subito, poi gli venne in mente che aveva mandato le coordinate alla ragazza secondo le sue convinzioni, stanza 236 compresa.
«Cielo! Scusami… ho dimenticato di avvertirti… la stanza è la 119»
«Arrivo!»
E chiuse la chiamata. Damon ed Elena rimasero in silenzio a fissarsi per tutto il tempo che ci mise Jessica ad arrivare alla stanza.
«Cielo! Questo posto fa proprio schifo! Elena, fattelo dire, bel coraggio a stare qui visti i porci che lo frequentano»
esclamò entrando nella stanza.
«Cosa è successo?»
domandò Damon, tenendo gli occhi fissi su Elena.
«Oh, niente di che! Il tizio della 236 mi ha scambiata per ‘un’amichetta’ e ha provato a mettermi le mani addosso…»
Lui si girò di scatto a guardarla e disse preoccupato:
«Cosa? E stai bene? Ti ha fatto qualcosa?»
Jessica spalancò le braccia dicendo:
«Ti sembra che stia male?»
Poi, intercettando il suo sguardo gli si parò davanti e mettendogli una mano sul petto aggiunse:
«Hey! È solo un porco… non si merita il disturbo. Inoltre, credo di avergli causato qualche danno morale insultandolo un po’»
Lui abbassò gli occhi sul suo volto e parve trovare la calma. Elena osservò tutto sentendosi di troppo. Il modo in cui la ragazza riconobbe le intenzioni di Damon, il modo in cui era riuscita a calmarlo, le causarono un dolore maligno: una volta era lei “quella” ragazza.
«Voi invece? Che succede qui? Non avrete tirato fuori qualche storia senza di me, vero?»
si informò la giovane, carpendo le energie che fluttuavano in quella stanza.
«Non è successo assolutamente nulla»
disse lui e senza distogliere lo sguardo dalla ‘figlia’ continuò:
«Abbiamo preso tutto. Possiamo andare, vero Elena?»
La vampira annuì ed uscì dalla stanza. Lui si mosse ma Jessica lo trattenne.
«D, che succede? Dimmelo!»
Lui serrò la mandibola.
«Ok… ascolta… non voglio sapere niente, dimmi solo se stai bene»
cercò di calmarlo. Lui espirò e provò a sorriderle.
«Andrà meglio… prima o poi»
la superò, lasciandola nella stanza. Jessica pensò di dargli un po’ di tempo: si sedette sul letto e si guardò intorno.
Elena lasciò la stanza che stava per esplodere. Troppe emozioni  le inondavano la testa e non riusciva a gestirle. Camminò a passo spedito fino alla macchinetta per il ghiaccio e ci poggiò sopra una mano. Chiuse gli occhi e posò la testa sulla mano che si spingeva contro il freddo del metallo.
Perché stava diventando tutto così difficile? Perché niente stava andando come lo aveva immaginato mille volte nella sua mente? Due occhi verdi e una cascata di ricci parvero darle una risposta.
“Jessica! Lei non c’era quando immaginavo tutto… lei non ci doveva essere” pensò cercando di non piangere.
«Elena…»
La voce di Damon la tirò fuori da quel limbo di dolore.
«Damon… io… ti giuro che…»
Cercò di dire qualcosa senza sapere, effettivamente, cosa.
«Ascoltami… è stato uno shock per entrambi ritrovarci... è tutto molto confuso… ma stanotte dicevo sul serio: avremo tempo di parlare, di chiarire… diamine! L’unica cosa che non ci manca è il tempo! Facciamo le cose con calma, vuoi? Parliamo prima. Diciamo tutto quello che c’è da dire e poi…»
«E poi cosa, Damon?»
Lo interruppe lei. Sollevò la testa continuando a dargli le spalle. Lui rimase in silenzio e si avvicinò a lei.
«E poi mi dirai quello che mi stai nascondendo… ed io ti dirò quello che non ho la forza di dirti ora»
concluse sereno. Dopo qualche istante, finalmente lei si voltò. I loro occhi non si fuggirono più e la notte incastonata nei suoi si stese sui brandelli di cielo che aveva di fronte. Damon le sorrise ed indicando la stanza in cui avevano lasciato Jessica disse:
«C’è una ragazzina che ci farà uscire pazzi con le sue chiacchiere, non facilitiamole il compito, ok?»
Elena guardò in direzione della stanza ed il pensiero della ragazza la ferì, di nuovo. C’era qualcosa in lei, nel rapporto che aveva con lui, che la rendeva insofferente. Non riuscì a definire la sensazione che provava, ma si rese conto che stava camminando su un terreno minato. Guardò seria l’uomo che ancora le sorrideva e chiese:
«La ami?»
Quella domanda lo lasciò spiazzato. La guardò confuso, incapace di capire cosa volesse sapere. Cercò qualche indizio in quel volto teso senza trovarne nessuno; decise di rispondere col cuore:
«Certo che la amo. È mia figlia»
Lei sollevò le sopracciglia.
«Non è tua figlia»
obiettò.
«Le ho dato da mangiare, le ho cambiato i pannolini, ho accudito le sue notti insonni, l’ho curata, l’ho consigliata, l’ho difesa! Le ho insegnato a camminare, a parlare, a farla nel vasino… le ho insegnato a ballare, a guidare, a difendersi… sono stato lì quando ha pianto per la prima delusione d’amore, quando ha riso di felicità, quando ha urlato di rabbia. Ero lì mentre progettava il suo futuro, ho contribuito a renderla una persona forte, l’ho sgridata, l’ho premiata… abbiamo litigato ed abbiamo fatto pace, l’ho mantenuta sulla retta via e mi sono preoccupato dei suoi bisogni prima dei miei. È mia figlia, eccome se lo è!»
Quelle parole colpirono la donna che sentì la vergogna imporporarle il viso.
«Non volevo dire…»
iniziò lei. Lui la interruppe:
«Lo so cosa volevi dire. Ma fammi essere chiaro su una cosa: mi hai schiantato il cuore. Se vuoi arrogarti qualche diritto su chi dovrò amare da ora in avanti, dovrai dimostrare di meritarlo»
La fissò gelido. Disse quelle parole senza pensare a che tipo di reazione volesse suscitare. Lei lo ascoltò sentendo la nebbia, che permeava la sua mente da tempo, diradarsi. D’improvviso tutto le fu chiaro:
«Faremo le cose con calma. Parleremo, ci chiariremo... ti dirò quello che ti nascondo e tu quello che non hai la forza di dire ora…»
Si avvicinò al viso di Damon e sussurrò:
«Spero mi lascerai entrare… come una volta… altrimenti le parole saranno inutili»
Si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra, aggiunse:
«Andiamo da Jessica… abbiamo un lungo viaggio da fare!»
Lui sorrise annuendo. Non era certo di cosa fosse successo, ma per la prima volta da anni sentì il suo inferno placarsi. Tornarono in camera trovando la ragazza seduta sul letto intenta a fissare il soffitto. Vedendoli si alzò sorridendo:
«Ditemi che possiamo iniziare quest’avventura… tipo, subito!»
I due vampiri si guardarono e sorrisero complici: si erano appena riconosciuti.
Jessica iniziò a saltellare di gioia, poi si lanciò sui due abbracciandoli.
«Sarà l’esperienza più bella di tutta la mia vita!!!»
gioì.
Liberi dall’abbraccio e ristabilito l’ordine, recuperarono i bagagli di Elena e si prepararono a lasciare il motel.
«Vado a pagare il conto… ci vediamo alla macchina!»
fece Elena, dirigendosi verso la reception.
«Signorina Gilbert… ci lascia di già? Si è trattenuta pochissimo questa volta!»
Chiese il vecchio gestore del motel.
«Sì, Alain… prima del previsto!»
rispose lei sorridente.
«E la rivedrò presto?»
si informò il vecchio.
Elena si avvicinò all’uomo e catturò il suo sguardo.
«Dimenticherai tutto di me… smetterai di cercare l’uomo della foto che ti ho dato, la brucerai e cancellerai i miei recapiti. Torna a vivere tranquillamente la tua vita… io ho finalmente trovato quel che cerco da anni»
lo soggiogò. Si voltò a guardare le due persone sedute nella Camaro ed uscì sorridendo.

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Capitolo 7
*** Broken - più vicino a te. ***


Mentre Elena si occupava di saldare il conto del motel, Damon e Jessica si diressero alla macchina, ferma nel parcheggio. La ragazza camminava saltellando tanta era l’eccitazione per l’avventura che le si prospettava davanti.
«Mi sembra tu abbia fatto presto col tuo professore… considerando anche la distanza tra l’università e questo posto…»
esordì lui, bloccandola con un piede ancora in aria. La ragazza lo poggiò a terra con cautela e si girò lentamente, sfoggiando un sorriso di plastica. Il vampiro fece roteare gli occhi e buttò indietro la testa.
«Jess… che ti sei messa in testa?»
sospirò lui.
«D… credevo solo vi servisse un po’ di tempo… non ho intenzione di iniziare questo viaggio con voi due che  vi fate la guerra!»
si giustificò.
«Ho sbagliato forse?»
gli chiese con malizia. Lui scosse la testa e sorrise, allungò il passo e salì in macchina.
«Ti avverto ragazzina, non ci riprovare più!»
la redarguì lui. Jessica sollevò le mani e disse:
«Se non mi darete ragioni di pensare che vi servono 5 minuti da soli, non lo farò»
Damon corrugò la fronte e chiese:
«E la storia del professore? Era falsa?»
Lei sorrise e salendo in macchina rispose:
«Non sarò brava nelle improvvisazioni, ma se ho il tempo di pensarci su, so essere credibile anche io! Comunque non era proprio una bugia… il professore l’ho silurato 7 mesi fa!»
Lui cercò di non apparire troppo orgoglioso. Elena li raggiunse.
«Mi sono persa qualcosa?»
disse sedendosi in macchina, accanto a Damon.
«Niente che non scoprirai da te…»
rispose lui. Jessica batté le mani e li incitò impaziente:
«Dai su! Andiamo! Abbiamo i bagagli da preparare e non voglio tardare oltre!!!»
Arrivati all’appartamento la ragazza corse in camera a raccogliere le sue cose mentre lui si diresse in cucina. La vampira lo seguì.
«Tu non ti vai a preparare?»
si informò. Damon le lanciò una sacca di sangue presa dal frigorifero che lei afferrò al volo
«Quella ragazza ci metterà 5 minuti netti a preparare le sue cose… se avessi aspettato l’ultimo minuto a preparare le mie, non mi avrebbe dato tregua facendomi dimenticare qualcosa… ed io posso usufruire della super velocità»
le rispose. Elena sorrise.
«Mi fa strano… vederti così…»
gli disse. Lui inclinò la testa e la osservò curioso.
«Nella mia testa sei ancora il Damon che è sparito una notte all’improvviso… non ti ho mai immaginato complice di qualcuno. Anche vederti così a tuo agio…»
spiegò lei. Lui continuò  a guardarla cercando le parole giuste da dire.
«Con un’altra donna… o in generale?»
volle sapere. Lei sentì di aver intrapreso un argomento delicato:  stava camminando su una sottile lastra di vetro… che iniziò a scricchiolare.
«In generale…»
rispose.
L’uomo storse le labbra ed annuì.
«Capisco… mi immaginavi a macerarmi il fegato in qualche bar puzzolente…»
insinuò. Lei posò la sacca di sangue sul tavolo e lo raggiunse  veloce. Gli posò le mani sul petto e lo fermò:
«Non ha  importanza come ti immaginavo… importa come sei diventato… importa che voglio conoscere questo nuovo te!»
Damon ingoiò parole e rabbia. Per la seconda volta quel giorno, il solo tocco di lei, accese nuove emozioni, cancellando le sue intenzioni di discutere ancora. Abbassò la testa  e cercò di schiarirsi le idee. Lei gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi.
«ci parleremo, ci chiariremo… con calma… era questo il patto, no?»
gli ricordò con dolcezza. Gli occhi di ghiaccio si illuminarono e la sua bocca si piegò in un sorriso malizioso. Poi la spiazzò chiedendole:
«E mi hai immaginato tante volte?»
Lei spalancò la bocca sorpresa, in bilico tra l’imbarazzo e la voglia di essere complice di quel gioco.
«Ci parleremo, ci chiariremo… con calma…»
ripeté lei, lasciandogli il volto.  Tornò  verso la sacca di sangue che aveva abbandonato sul tavolo: tolse il tappo, succhiò il contenuto e lo guardò languida.
«Pronta! Sono pronta!»
irruppe Jessica. I due si voltarono a guardarla sentendo addosso l’imbarazzo di essere stati colti in fallo. La ragazza li osservò, spalancò le braccia, chiuse gli occhi e li avvertì:
«Ok! Vi concedo due ore! Non ho intenzione di fare nessun viaggio con questa carica sessuale insoddisfatta!»
«Jessica!»
la rimproverò Damon.
«Ah-ha! Non ci provare! Fino a due giorni fa ero convinta fossi una specie di monaco di clausura ed ora sei tutto fuoco e fiamme! Dico sul serio, è imbarazzante! Diamine! Sono tua figlia! Due ore! Non un minuto di più e, soprattutto, non uno di meno! A dopo!»
Ed uscì lasciandoli senza parole. Rimasero qualche istante immobili per smaltire la vergogna evitando di guardarsi.Quando fu sicura che la voce le fosse ritornata Elena domandò:
«Cosa intendeva dire con la storia della clausura?»
Lui serrò la mandibola e fece una smorfia, lei lo guardò e,  percependo il suo imbarazzo, spalancò gli occhi.
«Non ci credo! Damon Salvatore… casto?»
esclamò incredula.
«Disinteressato è la parola giusta. Se ti sembra così assurdo, presumoche tu invece ti sia divertita un mondo»
constatò lui serio. Dal  volto di lei sparì il divertimento.
L’idea del ‘suo’ Damon aveva iniziato a striderecontro quella che si stava delineando dopo ogni affermazione di quella ‘figlia’ che continuava a sentire come una minaccia. In poche ore si era trovata a scoprire un uomo che denigrava la presunzione, preparava la cena per festeggiare i successi di un’altra e si era votato alla castità… ma che ancora si scioglieva sotto il suo tocco.
“L’ho rotto. Ho rotto il suo cuore, ho rotto lui” pensò,  sentendo le lame di quella consapevolezza graffiarle l’anima. In tutti quegli anni aveva pensato solo  al proprio dolore, alla propria solitudine. Non si era mai soffermata ad analizzare il perché lui l’avesse lasciata così, senza una spiegazione. Non che non se lo fosse mai chiesta, ma perché conosceva già, inconsciamente, la risposta a quella domanda.
 
Lui le aveva chiesto di scegliere, e lei non era stata in grado di esaudirlo. Gli aveva detto di voler stare con Stefan, gli aveva fatto credere che quella fosse la sua scelta: la verità era che aveva scelto di non scegliere.
Decidere di amarlo sarebbe stato un salto nel buio e lei non  era pronta. Aveva bisogno di certezze. Stefan lo era, insieme alla sicurezza che  Damon sarebbe rimasto lì, a guardare. Perché lui glielo aveva promesso, le aveva detto «Non ti lascerò mai più!» la sera in cui il suo mondo era crollato. Lui aveva giurato e lei ci aveva creduto. Le era bastato solo quello per decidere di non rischiare.
 
«Quando sei andato via senza dire niente… senza avvertire nessuno… »
iniziò a spiegare. Si fermò a pensarci meglio, poi riformulò:
«La tua scomparsa è coincisa con il ritorno di Ric…»
Lui la guardò senza capire il senso delle sue parole. Lei continuò:
«Insomma… tu eri sparito nel nulla e lui era fuori dalla cripta…»
Gli lasciò qualche minuto per ponderare. Scorgendo la consapevolezza farsi strada nei suoi occhi, continuò:
«Prima di poter dissipare le nostre paure, interrogando Alaric, Rebekah mi ha fatta fuori, uccidendo lui di conseguenza… mi sono risvegliata vampiro, senza risposte e con quell’angoscia moltiplicata all’infinito...»
«Dovrei sentirmi in colpa adesso?»
la interruppe lui. Lei chiuse gli occhi e cercò le parole per spiegarsi meglio prima di rotolare di nuovo in qualche incomprensione. Ci pensò su e finalmente disse:
«Sto cercando di dirti cosa è successo. Sto provando a chiederti scusa»
Aprì gli occhi trovando quelli di lui incorniciati dalla confusione.
«Sono quasi impazzita temendo di averti perso per sempre… quando Bonnie recuperò un po’ di forze fece un incantesimo di localizzazione; riuscì solo a scoprire che ti trovavi da qualche parte in Australia… Non era molto ma bastò per  farmi tornare in me: la certezza che eri vivo… ma poi…»
prese altro tempo prima di continuare:
«Ho passato anni ad odiarti… ho passato davvero molto tempo a detestare ogni ricordo di te: ogni giorno mi svegliavo sperando stessi marcendo in qualche squallida bettola ed ogni sera andavo a dormire sperando di sbagliarmi…»
Tacque cercando il filo di quel che voleva dire, senza riuscire a trovarlo. Lui intervenne:
«Ok… sei stata male anche tu… in che modo questo dovrebbe essermi d’aiuto?»
«In nessun modo, Damon. Non te l’ho detto per farti stare meglio…»
protestò lei.
«Ed allora perché?»
sbottò lui.
«Per farti capire che abbiamo entrambi sbagliato a valutare l’altro. Abbiamo entrambi peccato di egoismo nel giudicare la nostra situazione»
«Egoismo? Ti ho lasciata a ridere tra le braccia di mio fratello! Ti ho lasciata felice con l’uomo che avevi preferito a me! Non parlarmi di egoismo… non osare…»
le urlò contro.
«Ed io ti sto dicendo che non mi hai lasciata felice! Mi hai lasciata e basta!»
inveì lei di rimando. Lui chiuse la bocca da cui si stavano preparando ad uscire parole di lava. Cercò di resistere, ma alla fine eruttò:
«Ma tu hai scelto lui! Io ti ho chiesto con chi volevi stare e tu hai scelto lui!»
Negli occhi di lei comparvero lacrime che provò con tutta se stessa a ricacciare indietro.
«Ed ho mentito! A te… ma soprattutto a me stessa»
«Cosa… cosa stai dicendo? Tu hai detto…»
«Lo so cosa ho detto!»
urlò lei.
«Ma tu non me lo dovevi chiedere! Io non ero pronta! Avevo bisogno di tempo!»
finì senza più riuscire a trattenere il pianto.
Damon sentì qualcosa dentro lui frantumarsi.
«Dobbiamo chiarire, dobbiamo parlare… Bene! Iniziamo con l’ammettere i nostri errori»
finì lei.
«Avrei sbagliato a cercare di vivere una vita meno miserabile e patetica di quella che mi aspettava se fossi rimasto? Additato da tutti come il cattivo, giudicato da chiunque e senza mai il beneficio del dubbio… guardato dall’alto in basso solo perché mi ero innamorato di te, la dannatissima ragazza di mio fratello?!?  Dove ho sbagliato, Elena? Dimmelo!»
ringhiò lui.
«Hai sbagliato ad arrenderti, Damon. Hai sbagliato a considerarmi persa!»
Damon le si scagliò addosso sbattendola contro il frigorifero.
«Tu mi hai detto che non importava cosa provassi per me! Non ti saresti mai disinnamorata di lui! MAI! Cosa dovevo fare ancora? Per chi dovevo lottare? Per cosa? Quanto pensavi fossi forte, Elena? Quanto dolore credevi avrei potuto ancora sopportare?»
urlò. Elena oramai era un fiume di lacrime.
«Questo è il motivo per cui non mi hai più cercato? Perché pensavi avessi sbagliato io? Perché eri convinta fossi io quello che doveva rimediare?»
Lei scosse forte la testa senza riuscire a parlare.
«Dimmi, Elena! Dimmi quali fottutissimi errori ho fatto! Dimmi quando cazzo ho sbagliato!»
continuò ad inveire lui.
«Rispondimi! Mi merito una risposta!»
La ragazza aprì gli occhi che aveva chiuso per impedirsi di assistere alla rabbia che tuonava in quella voce, ma l’unica cosa che si trovò a fonteggiare furono due occhi di cielo che piovevano lacrime. Mise una mano su quel volto in tempesta e sussurrò:
«Perdonami»
Damon le tappò la bocca con un bacio. La passione interrotta al motel risbocciò lambendo i loro corpi come lingue di fuoco su un ceppo di legno secco. Lei lo spinse contro il tavolo e gli strappò la camicia facendo schizzare i bottoni come proiettili sul pavimento. Lui le cinse i fianchi sollevandola, invertì le loro posizioni  e la mise a sedere sul tavolo. Le sfilò la maglia e la fece stendere sul legno laccato, accarezzandole i seni. Si abbassò sul ventre e risalì verso il collo facendosi strada con la bocca. Le loro labbra si ritrovarono e le loro mani si mossero rapide, eliminando l’impedimento dei vestiti. Si ritrovarono a scivolarsi dentro ansimando e gemendo: erano un mare agitato, il tavolo sotto di loro scricchiolava ad ogni ondata.
Lui rotolò sulla schiena e lei gli fu sopra senza interrompere la corrente di risacca.
Raggiunsero l’apice del piacere stremati, sudati, sfiniti, suggellando quel momento con un bacio lungo, tenero… chiaroscuro di un amplesso tanto vigoroso.
Elena attese qualche istante poggiata in quel bacio, poi gli scivolò di fianco. Tenne la testa poggiata sulla sua spalla e con una gamba si arpionò al corpo nudo di lui, ancora vibrante di piacere. Abituato a sognarla, tenne gli occhi chiusi, temendo il risveglio. Lei gli accarezzò il petto convincendolo che era tutto reale. Aprì adagio le palpebre, la luce del neon lo accecò per un istante. Spostò lo sguardo di lato, trovando il castano dei capelli di lei, affondò il naso in quella seta e la respirò per assicurarsi quell’odore come ricordo in eterno. Lei sollevò la testa e i loro occhi si trovarono a sorridersi a vicenda.
«Damon… io…»
sospirò lei. Lui le mise un dito sulle labbra ancora calde dei suoi baci.
«Parleremo, ci chiariremo… con calma…»
la interruppe con dolcezza. Le labbra di lei si piegarono in un sorriso, ancora appuntate sotto il suo dito.
«Direi che la calma è uscita dai giochi…»
scherzò lei. Lui rise e la strinse a sé.
«Un motivo in più per non avere fretta di dire…»
finì lui. Elena annuì, si sollevò su un gomito e cercò ancora il suo  sguardo. Tutte le parole che aveva pensato di dire sparirono e riuscì solo a sentirsi aquilone in quegli occhi di cielo. Lui si limitò a bearsi di quel viso che per  troppo tempo aveva allontanato dalla sua memoria cosciente, accarezzandola  tutta, senza trovare la forza di staccare le sue mani da quella pelle vellutata.
«Se Jessica dovesse tornare ora…»
azzardò Elena.
«Non farei proprio la figura del bravo padre, vero?»
giocò lui. Lei sorrise e dopo averlo baciato dolcemente chiese:
«La consideri davvero solo tua figlia, non è vero?»
Lui la guardò stranito.
«È davvero molto bella »
considerò lei. L’imbarazzo corse a colorarle le gote. Il vampiro vedendola così umanamente preda delle sue insicurezze provò uno strano divertimento. Le sfiorò il viso dicendo:
«Ovvio che lo è… è mia figlia»
Elena sorrise accettando una volta per tutte quella realtà: Jessica era sua figlia e basta.
Trovato il coraggio di separarsi,  Damon salì in camera sua a cercare un’altra camicia: Elena aveva fatto saltare tutti i bottoni a quella che indossava. Mentre si sistemava i polsini sulla soglia della camera spuntò la vampira, cambiata e rinfrescata. Entrò e si  sentì come la prima volta in cui era entrata in camera sua a Mystic Falls.
 
Fu quando Rose stette male in seguito al morso del lupo. Anche quella volta si sentì spettatrice di una collezione rara e privata.
 
«Ci sono molte cose che non sai…»
esordì guardando le file di libri, incastonati nella libreria di legno accanto al letto.
«Cosa?»
domandò lui, distratto da quella visione che troppe volte era stata un fantasma.
«Dico… che ci sono mote cose che dovresti sapere…»
Lui si limitò a fissarla.
«Cose che vorrei dirti e basta… ma non so perché non riesco…»
concluse voltandosi a guardarlo.
«Stiamo per fare un viaggio apposta… Jessica ci tirerà fuori quello che nemmeno crediamo di pensare»
scherzò lui. Elena annuì mentre lui tornava al piano di sotto. Lei restò dietro bloccata nei suoi pensieri: sarebbe stato tutto molto più semplice se si fosse limitata a raccontargli la verità nuda e cruda. Ma l’uomo che si era ritrovato davanti non sembrava lo stesso con cui aveva fatto le prove nella sua testa, quello di cui aveva previsto ogni azione e reazione… no, l’uomo che aveva di fronte non lo conosceva abbastanza. E lei non era brava a fare salti ne buio: umana o vampira che fosse.
Gettò un ultimo sguardo alla stanza e si procurò un ricordo, nel caso in cui il salto si fosse rivelato letale. Scese e lo trovò intento a raccogliere i bottoni sparsi sul pavimento. Lo aiutò.
«Ragazzi! Vi avverto! Se siete nudi potrei non rispondere delle mie azioni!»
urlò dall’ingresso Jessica. Elena rise.
«Smettila di fare l’idiota e vieni in cucina!»
la riprese bonariamente Damon. La ragazza si presentò con una mano schiacciata sugli occhi.
«Posso guardare?»
Damon le si avvicinò e le diede uno scappellotto sulla testa riccioluta.
«Ti avverto: continua così e sarò poco incline al dialogo!»
la minacciò ridendo. La ragazza si tolse di scatto la mano dagli occhi e lo supplicò:
«No! Ti prego! La smetto! Giuro che non scherzo più!»
Poi si girò verso Elena.
«Giuro che non farò nessuna osservazione sul fatto che entrambi mi sembrate più puliti rispetto a prima! E giuro che non vi farò notare che siete entrambi vestiti in modo differente rispetto a quando vi ho lasciati! Lo giuro!»
E sfoggiò il suo solito sorriso finto. I vampiri si guardarono divertiti e imbarazzati al contempo; Elena non poté fare a meno di pensare che quella ragazza sembrava molto di più il “Damon” che lei aveva conosciuto, diverso da quello con cui aveva fatto l’amore poco prima.
«Sei sicura di aver preso tutto?»
chiese impaziente lui.
«Signorsì! Possiamo partire!»
esclamò eccitata. I tre recuperarono i bagagli e si diressero verso l’uscita, sulla porta Jessica li fermò:
«Un attimo! Stavo per dimenticare una cosa!»
Corse dentro casa tornando poco dopo, sventolando un libricino dalla copertina verde e logora.
«A questo ci sono affezionata! Non saprei prendere sonno senza leggerne qualche pagina!»
Disse ficcandolo nello zaino che aveva mollato ai piedi dei vampiri.
Il pensiero di Elena volò a qualcosa contenuto dentro quel libro, qualcosa che aveva riconosciuto intravedendone solo un angolo sgualcito. Guardò verso Damon e capì che lo stesso pensiero aveva toccato anche lui. A quel punto un dubbio le sorse spontaneo: se Jessica era solita leggere quel libro, doveva anche essere a conoscenza di ciò che conteneva… allora perché si dimostrò tanto stupita nel vedere Elena? Perché non l'aveva riconosciuta?
La risposta a quelle domande arrivò cruda e dolorosa.  

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Capitolo 8
*** Pictures - Al cuore gli parlerò di me. ***


Elena si morse il labbro inferiore e si diresse verso l’auto parcheggiata  davanti all’appartamento. Cercò di non pensare alla fotografia dentro al libro.
Jessica guardò Damon, stranita.
«Ma fa sempre così?»
bisbigliò. Lui sorrise alla ragazza.
«Stavolta potrebbe avere un valido motivo»
la giustificò lui. La bocca della giovane si allargò in un sorriso sornione.
«Sento odor di storiella! Bene! Sbrighiamoci!»
ridacchiò eccitata. Raggiunsero la vampira e si misero in macchina. La tensione nel veicolo era  palpabile. Partirono e nessuno azzardò a rompere quel muro di silenzio, perfino Jessica decise di tacere: non avrebbe sprecato domande se mai quei due fossero stati  in procinto di parlare di propria sponte.
Dopo un’ora di viaggio, finalmente Elena sbottò.
«Jessica… leggi spesso quel libro?»
chiese. Damon strinse le mani sul volante  e s’irrigidì. La giovane, che nel frattempo si era messa comoda sul sedile posteriore, scattò a sedere e rispose:
«Quasi ogni sera»
Elena annuì guardando fuori dal suo finestrino.
«E c’è una foto in quel libro, non è vero?»
incalzò.
«Sì! La uso come segnalibro!»
«E da quanto tempo è lì?»
continuò Elena.
«Da che ne ho memoria…»
«Ti spiacerebbe se le dessi un’occhiata?»
domandò.
«Elena…»
provò ad intervenire Damon, ma lei lo fulminò con uno sguardo e lui tornò a fissare la strada. La giovane intanto si era tuffata nello zaino a cercare di recuperare il libro. Trovatolo, lo aprì e tirò fuori la foto, allungò il braccio tra i due sedili e la mise di fronte al viso della vampira  commentando:
«È uno schianto non è vero? Anche se a me, l’onore di vederlo in smoking, non l’ha mai dato! »
Ovviamente la fotografia era stata tagliata di netto. Lei annuì e si voltò a guardare di nuovo fuori dal finestrino tentando di nascondere le lacrime che scendevano  a bagnarle il viso.
Non era arrabbiata, lui aveva tutto il diritto di tagliarla via dalla sua vita come meglio credeva… ma quella era la loro foto, l’unica loro foto. Nemmeno lei ne possedeva un’altra. Era l’unico loro ricordo di un tempo che non esisteva più se non nelle loro memorie… o forse nemmeno lì.
Chiuse gli occhi e poggiò la testa al finestrino. Si sentì invadere  da una stanchezza strana, ingiustificata: in soli due giorni il suo universo era stato scosso dall’uomo che era scomparso dalla sua esistenza per vent’anni.  La spossatezza iniziò ad acquistare un senso: quando realizzò cosa volesse dire averlo affianco. La gamma di emozioni che un individuo comune poteva provare nell’arco di una vita, erano all’ordine del giorno con Damon accanto. Si passava dalla gioia al dolore, dall’amore all’odio, dalla rabbia alla passione senza tregua. Ricordò in maniera tangibile, quale fosse l’aspetto che più l’aveva spaventata ai tempi in cui lui le chiedeva una ‘possibilità’: la costante paura di non sapere cosa l’attendesse. Era tutto una sorpresa, una sfida. Lui la metteva in discussione impedendole di crogiolarsi nelle sue sicurezze, la spronava a superare i suoi limiti… la spaventava. Col  passare degli anni, lontana da lui, aveva capito che quella era semplicemente vita, libertà… opportunità. Ora che non ne aveva più paura… lui si era trasformato in un nuovo enigma. L’unica persona che sembrava in grado di risolverlo, era seduta sul sedile posteriore e li guardava come se fossero oracoli:  con occhi sognanti e le orecchie tese, pronte ad ascoltare qualsiasi cosa avessero da dire.
Ma Elena non sapeva cosa dire. Sapeva che se avesse provato ad arrabbiarsi per la foto,  lui si sarebbe arrabbiato ancora di più, con ragione. Se avesse pianto disperata, lui avrebbe chiesto spiegazioni  che ancora lei non aveva capito come dare. Se avesse finto indifferenza… l’avrebbe perso definitivamente.
Damon fino a quel momento aveva lottato tra la situazione scomoda in cui si era ficcato ed il ricordo di quanto accaduto quella mattina: prima al motel e poi sul tavolo della cucina.
 
Provò a concentrarsi, a dedicarsi alla storia della foto, ma pur volendo lui non sapeva che dire. Non sentiva di doversi giustificare, ma sapeva di aver in qualche modo ferito Elena. Una parte sadicamente godeva di quel dolore, una parte di sé che ancora la detestava per non averlo cercato in tutti quegli anni. Un’altra, però, avrebbe solo voluto fermare la macchina, mandare al diavolo tutto e ricominciare da zero… quella era la parte che lui temeva di più, la parte che lo aveva costretto a scappare vent’anni prima, che lo aveva annientato: il suo cuore. Jessica, inconsapevolmente, venne in loro soccorso esclamando:
«Oh insomma! A quanto pare siete due ossi duri! Ok, sprecherò la mia domanda… ma vi avverto! La considero una domanda ad Elena… questo significa che dopo ce ne sarà una anche per te, D!»
La vampira capì che non poteva rimandare oltre le sue spiegazioni; si asciugò lesta gli occhi e si voltò a guadare colui che le sedeva al fianco. Per un breve istante lui ricambiò quello sguardo, riportando però subito l’attenzione sulla strada, con l’espressione corrucciata di un tempo. Nello spazio di un secondo ebbe la sensazione di  non averlo perso, ma una testa riccioluta la riportò alla realtà, ricordandole che tante cose erano cambiate e non sarebbe bastata un’espressione familiare, in cui riconoscere uno stato d’animo, a risolvere le cose.
«Cosa vuoi sapere?»
domandò alla giovane. Jessica riallungò la foto sotto al naso di lei e chiese:
«Parlami di questa… come ci è finita in questo libro?»
«Ce l’ho messa io… anni fa…
 
…Erano passati due mesi da quando Stefan si era allontanato con Klaus. Da quando era sparito.
Era un pomeriggio piovoso d’aprile, mancava un mese esatto al compleanno di Elena che si era incaponita a volerlo festeggiare con Stefan accanto, sano e salvo. Non faceva che cercare notizie e seguire piste, aiutata dallo sceriffo e contrastata da Damon. Ogni volta che correva da lui con un  nuovo indizio,  lui lo demoliva nel giro di pochi minuti. Non sapeva nemmeno lei perché si ostinava a renderlo partecipe, ma non poteva fare a meno di affidarglisi. Anche quel pomeriggio era andata da lui con notizie su alcuni avvistamenti. Non solo:  aveva riportato al vampiro alcuni libri che aveva preso in prestito per distrarsi. Bussò alla porta e lui le aprì col solito sorriso di circostanza.
«Elena! Presumo Stefan si sia fatto vedere in qualche circo nei pressi di Greenville… oppure abbia fatto sfoggio delle sue tecniche per non perdere la piega del ciuffo al meeting L’Oreal di Tulsa»
la canzonò. Lei roteò gli occhi ed entrò spingendolo di lato, dirigendosi verso il salotto e prendendo posto sul divano. Aprì la borsa e tirò fuori un plico di carta gialla e due libri che poggiò sul tavolino di fronte al divano.
«Ti ho riportato questi»
gli disse. Damon si avvicinò e prese tra le mani il libro più piccolo.
«Ecco dov’era finito! L’ho cercato dappertutto!»
esclamò. Elena fece una faccia sorpresa.
«Scusa… non credevo lo stessi leggendo…»
si giustificò.
«Non lo stavo leggendo infatti… ma ci sono affezionato e temevo d’averlo perso…»
spiegò lui. La ragazza ponderò se fosse il caso o meno di approfondire la questione, ma si convinse che comunque lui non le avrebbe risposto mai… non seriamente almeno. Prese il plico e lo aprì.
«Cos’è quella roba?»
volle sapere lui. Lei scosse la testa e disse:
«Non lo so ancora. Me lo ha consegnato il postino mentre uscivo di casa… non ho avuto tempo di aprirlo…»
La ragazza tirò fuori dalla busta delle foto.
«Sono le foto che mi hanno fatto al concorso… oh…»
si bloccò lei.
«Ci sei anche tu…»
gli comunicò. Il vampiro posò il libro sul tavolino e si avvicinò a guardare la foto incriminata. Era stata scattata durante il loro ballo al concorso di Miss Mystic Falls: li ritraeva intenti a guardarsi con intensità mentre le loro mani si sfioravano appena.
«Sono davvero contento che la  storia dell’impossibilità di fare foto ai vampiri sia solo una favola… voglio dire… sarebbe stato un vero peccato, sono splendido!»
commentò ironico. Elena lo guardò male.
«Tranquilla! Anche tu, anche tu…»
cantilenò lui con gli occhi socchiusi ed un sorriso storto. Lei tacque e continuò a fissare  la foto.  Lui andò a versarsi da bere un po’ di whiskey e la osservò a sua volta.
«Va tutto bene?»
chiese premuroso. Lei sollevò le sopracciglia e fece spallucce.
«Anche quella volta era sparito…»
rispose.
Damon poggiò il bicchiere pieno del liquido ambrato.
«Era solo nel parcheggio…»
le ricordò.
«Sì… solo nel parcheggio…»
ripeté lei, distante.
Si era smarrita in un ricordo che la vedeva recuperare il suo uomo dal baratro in cui stava cadendo. Era riuscita a riportarlo indietro quella volta, e Damon l’aveva aiutata.
«Non mi arrenderò con lui, lo sai vero?»
disse risoluta. Lui annuì.
«Lo so… ma non voglio nemmeno che  tu ti illuda! Credimi, se vorrà essere trovato, lo sapremo»
ribatté lui in tono comprensivo.
«Questa te la lascio»
disse mostrandogli la foto, per poi riporla dentro il libricino dalla copertina verde logora.
«Magari ti ricorderai che una volta mi hai aiutata a riportarlo indietro… e la smetterai di fare il cretino»
aggiunse. Elena  tirò fuori dalla borsa un altro foglietto,  lo mise sul tavolo accanto ai libri, si alzò e disse:
«Qui ci sono le informazioni dello sceriffo sugli avvistamenti di questa settimana… leggile, bruciale… fai come ti pare… solo,  fammi sapere se continuare a perdere il mio tempo informandoti o se posso risparmiarmi il disturbo»
Esasperata,  si girò per andarsene ma lui le corse davanti, bloccandola.
«Non ti ho mai chiesto di perdere il tuo tempo… ma è quello che stai facendo. Controllerò, come ho sempre fatto, e come sempre  sarà un buco nell’acqua. Ma non riversare su di me la tua frustrazione, lo sai che voglio ritrovarlo tanto quanto lo vuoi tu»
sibilò lui. Lei aprì la bocca per ribattere ma non riuscì a dire nulla: aveva ragione. Non era giusto incolparlo per la sua natura pragmatica. Quindi gli sorrise e andò via.
 
…questo è quanto»
concluse. Jessica tacque un attimo e poi disse:
«Ok… mi mancano troppi pezzi! D, è il tuo turno! Parlami del concorso Miss bla bla bla e spiegami perché Stefan era sparito»
«Non mi sembra una domanda, Jess»
le fece notare lui. La ragazza sbuffò e riformulò la domanda:
«Potresti parlarmi del concorso Miss qualcosa spiegandomi perché zio Stefan era sparito?»
Damon sorrise mentre Elena tornò a sentirsi gelosa della complicità tra i due. Cercò di ricordarsi la sensazione provata sul tavolo, poche ore prima, quando aveva accantonato l’idea che la ragazza potesse essere una minaccia. Era chiaro che una figlia non fosse una minaccia… ma si contendevano lo stesso cuore. In un modo diverso, forse, ma il premio della contesa era lo stesso. Smise di dare retta a quei pensieri tornando ad ascoltare quello che stava dicendo Damon:  aveva iniziato illustrando a Jess cosa fosse il concorso di Miss Mystic Falls e stava raccontando come mai Elena si era ritrovata a partecipare. Sentirgli spiegare che lo aveva fatto perché era l’ultima promessa fatta a sua madre prima che morisse, la spiazzò. Nemmeno ai tempi si era mai resa conto che lui ne conosceva le ragioni: pensava si trovasse lì per controllare Stefan e basta, per assicurarsi che il consiglio e John non  scoprissero la loro natura di vampiri. Invece stava scoprendo che lui sembrava sapere tutto. Ascoltò in religioso silenzio le parole che gli uscivano dalla bocca iniziando a capire che, forse, non lo aveva mai conosciuto davvero.
«… quindi ero preoccupato che Stefan potesse fare qualcosa di stupido. Ho parlato con lei, cercando di metterla in guardia…
 
si era presentato nel camerino di lei, spaventandola. Voleva avvertirla dei problemi del fratello con il sangue. Lei rispose che ci era già passato e che stava bene. Ma non era così.
Pochi giorni prima Stefan era stato preso in ostaggio e torturato dai vampiri fuggiti dalla cripta. Damon ed Elena lo avevano salvato ma la prigionia … e il supplizio subito lo avevano indebolito molto, lei per aiutarlo gli aveva fatto bere il suo sangue rigettandolo così nella sua dipendenza. Nei giorni seguenti le mentì,  assicurandole che era riuscito a dominare il suo desiderio di sangue umano. Damon lo scoprì dopo che aveva derubato la banca del sangue dell’ospedale. Pensò di godere della caduta dell’eroe, ma John gli stava col fiato sul collo e lui non voleva problemi. Provò a convincerlo a farsi aiutare, ma, come ogni drogato, negò la sua dipendenza. La sua ultima speranza era Elena, solo lei avrebbe potuto convincerlo. Per questo la informò e quando il fratello lo scoprì diede di matto: rapì una concorrente e lasciò Elena da sola. Al momento di scendere per il ballo, il sindaco Loockwood annunciò il suo nome e quello del suo accompagnatore. Damon guardò teso la postazione dove avrebbe dovuto esserci Stefan, vuota;  si voltò  e la vide scendere le scale, bellissima nel suo vestito blu. La sala era gremita di gente e lei arrivando senza il suo accompagnatore, si sarebbe ritrovata in una situazione imbarazzante… stava facendo tutto per sua madre, non poteva fare una figura così meschina. Lui non poteva permetterlo: corse quindi a prendere il posto del fratello. Lei stringendo  la sua mano ad accoglierla, gli chiese preoccupata cosa stesse accadendo;  lui le sussurrò  che avrebbero dovuto prima superare quel momento e solo dopo avrebbero pensato a cosa fare con Stefan. Lei lo seguì titubante. Era in agitazione per le sorti del fidanzato e si sentiva in colpa per averlo messo in quella situazione. Poi la musica partì e Damon la guidò nella danza. Ballarono: occhi negli occhi, sfiorandosi prima, cingendosi poi. Durò poco ma fu un assaggio di eternità. Tutti i problemi, le paure, le preoccupazioni furono spazzate via al ritmo di un valzer. Quando si separarono lei tornò a respirare e lui sentì una scintilla in fondo al cuore accendere una luce in quell’oscurità che si portava dentro
 
...tutto qua»
concluse lui. Jessica rise.
«Così tipico di te!»
esclamò con entusiasmo.
«Cosa?»
si incuriosì Elena.
«Oh, andiamo! Damigella in pericolo e D. corre in suo aiuto!»
«Io rimasi  molto colpita, invece… non mi aspettavo un gesto tanto galante»
obiettò lei.
«Andiamo! Sul serio pensi che ti avrebbe lasciata lì a macerare nella vergogna?»
ribatté la giovane. Elena si rese conto che la differenza tra  le due ‘versioni’ di Damon stava nel fatto che lei lo ricordava nel passato, Jessica viveva  il suo presente. “Chi sarà il suo futuro?” pensò improvvisamente. Cercò di  distrarsi e disse:
«Beh… se lo avessi conosciuto ai tempi, non penseresti così»
«Senza offesa… ma a me non pare lo conoscessi poi tanto bene nemmeno tu, “ai tempi” eh»
fece notare Jess. Damon soffocò una risata. Si era limitato ad ascoltarle, convinto che sarebbe stato interessante scoprire cosa pensava davvero, “ai tempi”, Elena.
«Può darsi… ma non era di certo colpa mia…»
fece piccata lei.
«Cosa dovrebbe voler dire?»
chiese lui, richiamato in causa da quella frecciatina..
«Solo quello che ho detto… a te piaceva far credere agli altri di essere un bastardo, menefreghista… non ti sei sforzato tanto per cercare di convincerci del contrario»
«Bastava mio fratello a farvi credere che i vampiri erano esseri buoni, capaci di amore ed altruismo… io ero l’eccezione a confermare la regola»
puntualizzò lui.
«E voi ci credevate?»
domandò Jessica.
«Non ti è mai venuto in mente che, magari, c’era qualcosa dietro?»
Elena boccheggiò senza trovare una risposta.
«Ok! Basta! Per oggi il processo è finito…»
intervenne lui.
«Guarda che parlo anche con te! Perché diavolo lasciavi credere a tutti che eri un bastardo? Ho sentito solo due… anzi, tre storie che riguardano il tuo passato, ed in tutte emerge solo un dettaglio: eri un mostro. Ma insomma... con chi sono cresciuta io?»
esplose lei. Lui scosse la testa e disse:
«Credo questa sia un’altra domanda… nonché un’altra storia… e tu ne hai già avute due per oggi…»
Jessica sbuffò e si poggiò allo schienale del sedile. Calò il silenzio.
«Non ho capito solo perché ti sei liberata della foto…»
domandò  Jessica.
«Te l’ho detto… volevo che…»
iniziò a rispondere Elena.
«Sì, sì… ho capito… il monito e bla bla bla… »
la interruppe lei.
«Quello che non ho capito io è: perché proprio quella foto?»
Elena tornò a muovere la bocca senza riuscire a formulare una frase, cercò aiuto in Damon, ma lui fece spallucce incapace di capire cosa intendesse la figlia.
«Insomma… se ho capito bene quella foto raffigurava voi due che ballavate mentre il tuo fidanzato era in giro a fare uno spuntino a base di “concorrente sparita”… non capisco in che modo avrebbe dovuto ricordare a D. qualcosa avvenuto ‘dopo’ quel ballo. Cioè, tu volevi lui si ricordasse che in un’occasione ti aveva aiutata a riportare indietro Stefan… ma quell’occasione non era il ballo…»
ragionò Jessica.
«Di’ quello che devi dire, Jess… e smettila di fare giri di parole»
la riprese Damon.
«Beh… per come la vedo io ti sei liberata di una foto che ti faceva sentire in colpa. Insomma, il tuo fidanzato era in preda alla scimmia di sangue e tu ballavi con tuo cognato. Poi ti sei ritrovata in una situazione simile, con Stefan disperso chissà dove, e tu a fare la detective con D. che, non solo ti dava dell’illusa, ma ti faceva anche capire di non avere, poi, tutta questa voglia di seguire ‘ogni’ pista,  senza prove per giunta.  E, nonostante tutto, tu tornavi da lui, in cerca della sua approvazione. Poi ti sono arrivate quelle foto e le hai tenute tutte… tutte tranne l’unica che ti ricordava che c’erano  stati altri momenti in cui avresti dovuto stare lontana da Damon… è solo una mia ipotesi, eh… ma io ci penserei un po’ su»
E tornò a stendersi sul sedile, lasciando i due ad inghiottire il silenzio.
Arrivarono ad una stazione di servizio e ne approfittarono per mangiare qualcosa e sgranchirsi le gambe. Elena andò in bagno e Damon e Jessica rimasero soli.
«Mi vuoi dire cos’era quel numero, prima in macchina?»
bisbigliò con rabbia lui. La ragazza, intenta a bere il suo milk-shake, rispose senza togliere le labbra dalla cannuccia:
«hon sho hi hosa harli»
Lui le tirò uno scappellotto. Lei si raddrizzò lasciando la bibita.
«La storia della foto… cosa volevi dimostrare?»
l’aggredì lui. Lei roteò gli occhi e disse:
«Ah… quello… beh, questo viaggio dovrà servire a tutti, no? Io a conoscere te, tu a conoscere lei, lei a conoscere noi e così via… ho pensato che se vi sono serviti SOLO vent’anni per ritrovarvi non siete dei gran comunicatori. Quindi ho deciso di dire io quello che vi ostinate solo a pensare… o, in questo caso, quello che vi ostinate a non pensare. La mia permanenza su questa terra ha la data di scadenza, non farò l’errore che fate voi immortali di credere che, tanto, c’è sempre tempo»
Damon la guardò cercando qualcosa con cui contraddirla. Non trovò assolutamente niente da dire; quella schiettezza gliel’aveva insegnata lui: l’allieva aveva superato il maestro.
La sua mente volò senza ragione ad una frase detta da Elena qualche ora prima.
«Per caso ti ricordi quando siamo stati in Australia?»
chiese, colto da uno strano dubbio. Lei sollevò le sopracciglia e fece un rapido calcolo mentale.
«Ffff… saranno passati secoli… io potevo avere… 5 anni… perché?»
si informò. Lui scosse la testa e la sua mente iniziò a ribollire di pensieri.
«5 anni…»
ripeté. Elena tornò e si prepararono a ripartire.

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Capitolo 9
*** Bugie - Io ti raggiungerò. ***


Elena andò in bagno a sciacquarsi il viso.
 
Era stata una giornata intensa e la schiettezza di Jessica l’aveva lasciata spiazzata: «Beh… per come la vedo io ti sei liberata di una foto che ti faceva sentire in colpa» le aveva detto. Sorrise mettendo le mani sotto l’acqua corrente. Non riusciva a fare a meno di pensare a quella frase. Era la parola “colpa” quella che più di tutto l’aveva messa in crisi: “ne sai qualcosa di sensi di colpa, eh?” pensò. Ma non era il momento di lasciarsi andare a certe elucubrazioni. Avevano un lungo viaggio da fare,  tante altre storie da raccontare, e quella ragazza sembrava intenzionata a sapere quanto più possibile. Si guardò nello specchio sporco del bagno, sospirò e si fece forza dicendosi mentalmente: “il peggio è passato!”. Quindi  tornò dai due che la aspettavano ancora seduti al tavolo dell’autogrill.
 
«Siamo pronti?»
chiese avvicinandosi.
«Sono nata pronta! Oh! Ho sempre sognato di poterlo dire! Andiamo!»
esclamò Jessica. Si alzò di scatto e si fiondò fuori; Damon guardò la vampira.
«Tutto bene?»
le chiese preoccupato.
«Sì… perché me lo domandi?»
«Non so… mi sembri strana… stanca»
osservò lui. Elena sentì il bisogno fisico di baciarlo, ma si trattenne. Si limitò a stringergli la mano e lo rassicurò:
«Sto bene… Non mi aspettavo sarebbe stato così…»
«Intenso?»
concluse lui. Lei annuì sorridendo.
«Sì… intenso…  Adesso andiamo, o tua figlia rientrerà per  trascinarci in macchina tirandoci per i capelli…»
lo incitò. Damon rise.
«Cosa?»
si incuriosì lei.
«Hai appena detto “tua figlia” come se ci credessi »
ribatté lui, alzandosi.
«Perché ci credo»
affermò.
«Sono contento»
commentò lui.
Raggiunsero Jessica che si era poggiata alla macchina e batteva nervosamente il piede  contro l’asfalto. Quando li vide sollevò le sopracciglia e spalancò le braccia, in un gesto d’impazienza. I due vampiri si guardarono complici ed affrettarono il passo.
«Dove siamo diretti?»
chiese Elena. Damon guardò Jess e lei tirò fuori dalla borsa a tracolla un quaderno blu. Lo aprì e lesse la prima riga della pagina, piena di numeri e nomi:
«Dallas – cugini Smith, da parte di madre. Tre individui: Lorna, anni 45, Jeremiah, anni 67 e Carlton, anni 32. Tutti residenti nel Ranch ‘Smith&Soon’s ‘ di Jeremiah»
«Dallas? Ci vorrà almeno un altro giorno…»
fece notare Elena.
«Questa è una delle ragioni per cui vi mettevo fretta! Comunque ci  fermeremo a dormire da qualche parte lungo la strada più tardi… ed ora… in macchina!»
li spronò  Jessica.  Si rimisero in viaggio rimanendo  a lungo in silenzio con i loro pensieri, ognuno trasportato in luoghi diversi.
«Allora, Elena… hai viaggiato molto?»
chiese improvvisamente la giovane.
«Credevo le domande fossero esaurite per oggi»
«Hey, era un pour parler»
si giustificò Jess. La vampira si girò a guardare fuori dal finestrino e rispose:
«Sono stata in tanti posti, sì… »
Damon cercò di mettere a dormire la rabbia latente che gli pizzicava il fianco quando pensava ai vent’anni in cui Elena era andata in giro per il mondo a vivere la sua vita, fregandosene di lui.
«Dove di preciso?»
domandò con indifferenza la ragazza.
«Mmmh… un po’ ovunque… Europa, Asia, Africa… tanti posti…»
le rispose distratta.
«Sei mai stata a Parigi?»
«Sì, due volte…»
«A maggio si dice sia bellissima!»
«Io ci sono stata in agosto e in febbraio…»
«Beh, sarà stata bella uguale… e in Italia?»
«Sì… ho visto Roma, Firenze, Venezia…»
«Le grandi città insomma»
la interruppe Jessica. Elena annuì.
Damon cercò  di intervenire il meno possibile: ogni luogo visitato gli ricordava del tempo passato a non cercare lui. Provò a calmarsi pensando che lei non gli doveva niente, ma quel pensiero faceva a pugni con quanto  iniziato al motel e finito sul tavolo, in cucina. Non riusciva a fare a meno di ricordare che avevano fatto l’amore, che lei si era concessa a lui. Cercò di distrarsi più volte, ma la sua mente tornava sempre lì: la sensazione provata ad essere contenuto da colei che per una vita si era portato dentro, si era attaccata alla sua pelle. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva flash di lei nuda, gemere sotto di lui. Il suo odore si era insinuato dentro le narici e gli sembrava di non poter annusare altro che non fosse lei. Anche quando si era allontanata per andare in bagno, non era riuscito a sentire altro profumo  che quello dei suoi capelli, della sua pelle. Anche la percezione dei sapori era stata compromessa  da quello di lei. Aveva il gusto di quei baci intriso sulle labbra e si trattenne dal leccarsele convinto di trovarne ancora un po’ agli angoli della bocca.
«Hey D! Dovresti passarle la tua guida per girare il mondo… a quanto pare la ragazza fa l’errore di seguire la guida verde Michelin»
proruppe Jessica, riportandolo in quella macchina. Lui rise distrattamente mentre ritornava in possesso dei suoi sensi.
«C-cosa? Di cosa parli?»
si incuriosì la vampira.
«Beh… la prima cosa che mi ha insegnato D. è che le persone fanno l’errore di girare il mondo seguendo “i grandi itinerari”, quando in realtà è pieno di posti che, magari, non saranno veri e propri porti turistici, ma che comunque restano i più belli, i più ricchi di storia, di cultura…»
spiegò Jessica.
«Il prossimo viaggio mi farò prestare i suoi appunti allora…»
disse piccata. Non riuscì a trattenersi, c’era qualcosa nel loro rapporto che la feriva. Non le importava che lui la considerasse ‘solo’ una figlia, non era quello il problema: le dava fastidio che avessero passato vent’anni insieme, mentre lei si era persa tutto.
«Ma di che diavolo parli! Lo stai già facendo “il prossimo viaggio”! E fidati di me… sarà il migliore della tua esistenza!»
esclamò gioiosa la ragazza.
«Ti rendi conto che siamo vampiri e la nostra esistenza è molto lunga, vero?»
ribatté lei.
«Uhm… ok, allora sarà il migliore della tua esistenza finché sarò viva io»
« Jess hai intenzione di fare così per tutto il viaggio?»
si informò Damon.
«Hey! La regola di una domanda al giorno l’hai posta tu! Lo sai che ti avrei fatto uscire di testa fossimo stati da soli… immagina la cosa moltiplicata per due… voi due! Per di più passate il tempo a pensare a chissà cosa… ed io mi annoio!»
piagnucolò. Lui sbuffò e disse:
«Cosa consigli di fare allora?»
«Beh! Sarebbe più facile se voi due parlaste di più!»
E tornò a sdraiarsi sul sedile posteriore.
«Potresti raccontare tu qualcosa… io di ‘voi’ non so niente…»
propose timidamente Elena. La ragazza scattò a sedere ed esclamò sorridendo:
«Sicuro! Da dove vuoi che parta?»
Damon rivolgendosi alla vampira sospirò:
«Non sai in che guaio ti sei appena cacciata!»
Lei lo guardò con la bocca spalancata intuendo l’entità del danno.
«Oh! Non fare l’idiota, D! Sarà davvero divertente! Ho un sacco di cose da dire!»
iniziò Jessica. Per due ore fu un fiume in piena. Raccontò dei vari luoghi dove avevano vissuto, parlò delle varie persone incontrate, di amici, maestri, vicini di casa particolari. Tutto nei suoi racconti era molto ordinario. A chi non avesse saputo cosa fosse Damon, sarebbe sembrata la storia di un padre single in carriera, costretto a spostarsi e impossibilitato a mettere radici. Invece qualcosa nel racconto la disturbò: era tutto troppo normale.
«Scusa un attimo…»
la interruppe ad un certo punto.
«Quando hai scoperto che era un vampiro?»
domandò alla ragazza.
«In realtà qualcosa me l’ha sempre detta… mi ha sempre parlato di vampiri, lupi mannari, streghe… quando ero piccola prendevo tutto come ‘favole’ delle buona notte. Crescendo ho iniziato a fare 2+2 e…»
lascio in sospeso la frase.
«È sempre stata molto intuitiva»
intervenne lui.
«Ad onor del vero, i libri che mi hai regalato hanno avuto la loro parte nelle mie scoperte… mentre le altre bambine di dieci anni imparavano lo spirito del sacrificio e delle famiglia con “Piccole Donne”, io mi documentavo sulla storia del vampirismo e della magia attraverso i secoli. Quello che i libri non spiegavano o riportavano male, mi veniva chiarito da lui… non ci è voluto molto prima che gli chiedessi di dirmi la verità»
aggiunse lei. Elena fece un’espressione incuriosita e domandò:
«Tutto qui? Gli hai chiesto di dirti la verità e basta?»
Jessica annuì con un’espressione innocente.
«Ogni volta che gli ho chiesto di dirmi qualcosa l’ha sempre fatto… e se non era il caso che la sapessi, rimandava, semplicemente, al momento che  riteneva opportuno…»
«Beh, sì… questo non mi sorprende»
commentò lei. L’espressione incuriosita, ora, l’assunsero il vampiro e l’umana.
«Cosa non ti sorprende?»
disse lui.
«Che tu le abbia sempre detto la verità… nel bene o nel male, lo hai sempre fatto anche con me… poteva non piacermi, ma almeno era la verità»
spiegò lei. Quelle parole lo colpirono, non si sarebbe mai aspettato un’ammissione del genere.
«Qualche volta ti ho mentito»
le disse, senza riuscire a trattenersi. Lei strinse gli occhi e lo osservò cercando di interpretare quella sua frase. La sua mente volò a tutte le volte in cui lui le aveva detto qualcosa che entrambi sapevano non pensasse sul serio.
 
Pensò a quando le aveva fatto credere che Bonnie era morta, invece aveva organizzato tutto per farlo credere a Klaus e mettere in salvo la strega.
Pensò a quando le aveva fatto credere di non essere sulle tracce di Stefan, mentre nel suo armadio nascondeva una mappa con appuntati tutti i suoi appostamenti…
…Pensò ad un ballo finito male.
Le bare erano state aperte e tutta la famiglia Mikaelson si era riunita. La strega originale Esther aveva indetto un ballo invitando Elena, perché voleva parlarle, da sola.  Damon si era opposto, era troppo pericoloso, ma lei si era presentata lo stesso.
Anche Stefan aveva partecipato… era ancora in piena fase umanità  off, ma almeno era dalla loro parte.
Fu  proprio con la sua complicità che riuscì a circuire Damon, mettendolo fuori gioco ed andando ad incontrare la strega. Questo scatenò una discussione molto aspra che la portò a pronunciare parole di fuoco.
 
«Ora sei arrabbiato con me perché ho coinvolto Stefan
gli aveva chiesto irritata.
«No! Sono arrabbiato con te perché ti amo
aveva risposto lui con voce tremante.
«Beh… forse è questo il problema…»
 
Si pentì l’esatto istante dopo aver pronunciato quelle atroci parole, ma era comunque un istante di troppo. Il rumore del suo cuore spezzato fece eco in quegli occhi di ghiaccio. Avrebbe voluto rimediare, ma sapeva che non sarebbero bastate delle banali scuse e prima di poter trovare le parole furono interrotti. Lui andò via furioso. Provò a chiamarlo tutta la notte,  ma lui si si negò e quando finalmente le rispose  il mattino seguente, fu per dirle una bugia.
 
«Ascolta, Damon… se ti ho ferito vedi di fartela passare»
«Oh, mi è passata… ora ho da fare»
 
Presentandosi alla sua porta qualche ora più tardi, per parlargli del piano di Esther e per cercare di chiarire, trovò Rebekah che sgattaiolava via dopo aver passato evidentemente la notte con lui.
Non seppe spiegarsi nemmeno lei cosa stesse provando, sentì  solo che avrebbe voluto prenderlo a schiaffi… ma razionalmente sapeva non averne nessun diritto. Cercò di dialogare con lui ed arrivò l’altra bugia.
 
«Quindi sarà così da ora in poi? Io ho ferito i tuoi sentimenti e tu ferisci me
«Forse, per una volta, quello che faccio non ha niente a che vedere con te
 
Infine pensò all’ultima bugia, la più recente:
 
«… siamo andati avanti, no
 
No, non erano andati avanti. Lui non era andato avanti. La forza dirompente della passione con cui si erano amati quella mattina, era “qualcosa” rimasto con lui, sempre, intrappolato in qualche anfratto del suo essere, passato e presente.
 
«Sarebbero state bugie  se ti avessi creduto… e nel profondo non l’ho fatto… mai!»
affermò. Lui la guardò con occhi brillanti mentre nel suo petto si sprigionava una nuova sensazione, mai provata prima… non seppe dargli un nome, pensò che forse avrebbe potuto essere felicità. Lei arrossì lievemente.
«Non farete partire una storia vero?»
chiese Jessica. I due vampiri si sorrisero e tornarono a guardare la strada. La giovane sbuffò e tornò a mettersi comoda, si infilò gli auricolari e si addormentò ascoltando musica.
Quando arrivarono nei pressi di un motel si fermarono.
«Jess! Hey, Jess! Sveglia!»
disse Damon scuotendola. La ragazza aprì gli occhioni verdi stropicciandoseli.
«Dove siamo?»
chiese con la voce impastata dal sonno.
«Da qualche parte lungo la strada… vuoi andare a dormire in un letto o ti lascio qui?»
la provocò. Lei scosse la testa e si trascinò fuori dall’auto, guardandosi intorno con aria disgustata.
«Questo posto è l’inferno»
commentò. Lui le diede piano una gomitata dicendo:
«Il fascino dei viaggi on the road è anche questo! Motel fatiscenti, in mezzo al nulla, frequentati da gente losca ed esseri soprannaturali!»
«Hey! Dov’è Elena?»
domandò cercandola con lo sguardo.
«È andata ad occuparsi della stanza… dice che si diverte a soggiogare i proprietari»
Jessica lo guardò stupita.
«Hey! Ti ci ho pagato l’istruzione così!»
si giustificò lui. La ragazza sollevò le sopracciglia ed abbassò gli angoli della bocca dandogli ragione.
Elena arrivò con le chiavi di una stanza in mano.
«314! È la più grande che aveva…»
«Andrà bene»
disse lui incamminandosi. La stanza aveva due letti matrimoniali.
«Mi chiedo che razza di pervertiti frequentano questo posto se in una stanza ci mettono due letti matrimoniali»
osservò Jessica. Damon sospirò e andò a sdraiarsi su un letto.
«Non mi importa chi lo frequenta, mi importa solo che finalmente posso stendere gambe e schiena… sono distrutto!»
«Io vado a fare una doccia, mi sembra di non lavarmi da mesi…»
disse Elena, dirigendosi verso il bagno.
«Io credo darò fuoco alle lenzuola, invece…»
comunicò con tono disgustato la giovane.
«Esagerata! Non eri così schizzinosa quando siamo stati in quel safari…»
la riprese lui.
«Agh… non mi ricordare quella settimana terribile!»
Elena aveva acceso l’acqua nella doccia, ma sentiva comunque le chiacchiere di sottofondo. Ancora complicità, ancora avventure… chiuse gli occhi e cercò di non ascoltare. Si mise sotto il getto dell’acqua bollente e chiuse gli occhi. Milioni di pensieri vorticavano incessanti senza darle il tempo di rilassarsi. Cercò di concentrarsi su qualcosa di positivo: occhi di cielo. Il volto di Damon iniziò ad emergere da quel mare di pensieri, poi i suoi capelli, le sue labbra, il suo naso, il suo profumo, il suo sapore… il suo corpo nudo scorrerle addosso.
Sorrise e si portò le mani sugli occhi, voleva toccare quel pensiero in qualche modo.
Finì di fare la doccia e si rivestì; uscendo dal bagno  con i capelli ancora umidi, trovò Damon intento a cambiare canale distrattamente, nel vano tentativo di resistere al sonno.
«Jessica?»
si informò, ridestandolo. Lui si guardò intorno e rispose:
«Ehm, è andata a prendere qualcosa da bere al distributore… ma ci sta mettendo tanto… forse è meglio che vada a controllare…»
Elena alzò una mano per fermarlo  e propose:
«Vado io! Tu sciacquati il viso e mettiti a dormire, hai un aspetto…»
«Io sono sempre bellissimo, ricordalo!»
la interruppe lui, ridendo. Lei gli sorrise senza contraddirlo ed uscì dalla stanza. Lui si girò su un fianco cercando di trattenere il sorriso da ebete che sentiva tirargli gli angoli della bocca. Guardò in direzione del bagno e  ponderò se fare anche lui una doccia o se, invece, chiudere gli occhi e rimandare al mattino seguente. Decise di andare a sciacquarsi almeno i denti. Entrò in bagno ed aprì il rubinetto. Qualcosa attirò la sua attenzione: un rumore lontano. Tese l’orecchio e sentì la voce di Jessica urlare:
«No! Elena, no! Fermati! Ti prego!»

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Capitolo 10
*** Jessica - Proverò ad urlare. ***


Mentre Elena faceva una doccia, Jessica decise di lasciar perdere le sue lamentele per le lenzuola e  andò a sedersi sul letto, accanto a Damon che aveva chiuso gli occhi infastidito dal neon della stanza. Sentendosi osservato li aprì trovando il volto vispo e allegro della ragazza che lo scrutava con uno strano interesse.
«Jess, sono distrutto… non ho voglia di parlare»
le disse stancamente. Lei sorrise continuando a fissarlo, lui fece roteare gli occhi e sbuffò.
«Cosa vuoi?»
chiese esasperato. La giovane si limitò a mettergli una mano sul viso. Senza smettere di sorridergli disse:
«Mi piace questa tua nuova faccia»
Lui corrugò la fronte chiedendole spiegazioni con lo sguardo.
«C’è qualcosa… non ti ho mai visto così… anche i tuoi occhi. Da quando Elena…»
Lui si portò un dito sulla bocca per suggerirle di abbassare il tono della voce, indicando con la testa la porta del bagno. Lei annuì e continuò bisbigliando:
«Dicevo… da quando Elena è tornata nella tua orbita sei diverso»
Tolse la mano dal viso e gli passò un dito sulla fronte.
«Persino la ‘tua’ ruga non c’è più»
Il vampiro restò in silenzio.
«Mi dici perché sei così spaventato?»
gli chiese sottovoce. Lui scosse la testa.
«Spaventato?»
chiese. Lei annuì.
«Ci sono dei momenti in cui la guardi come se non ci fosse altro al mondo, altri sembri lottare con il tuo istinto… sembri… spaventato»
spiegò. Damon abbassò lo sguardo e pensò a quelle parole. Avrebbe voluto risponderle, dirle quel che voleva sapere, ma non trovava le giuste parole. Una parte di sé era spaventata a morte dal ritorno di Elena, e quella parte stava prendendo il sopravvento sull’incontenibile gioia che lo coglieva quando era realmente conscio della sua presenza, lì, accanto a lui … reale. Guardò la figlia che gli aveva messo la mano sul petto e le sorrise.
«Ci posso pensare un po’ su?»
le propose. Jessica fece ballare i ricci castani annuendo con vigore.
«Se ti serve aiuto per capirci qualcosa, non hai che da raccontare…»                                                                 
iniziò a dire lei. L’uomo le puntò contro un dito e la guardò di sbieco.
«Ah-ah signorina! Non ci provare nemmeno! Una domanda per persona  al giorno. Non avrai niente di più!»
la redarguì ridendo. Lei sbuffò, mise il broncio ed incrociò le braccia sul petto: una bimba offesa.
«Ti devo portare latte e biscotti?»
scherzò lui. Jessica rise non riuscendo a mantenere l’espressione fintamente risentita.
«Aaah… quel trucchetto non funziona più da quando avevo tredici anni! Ma apprezzo il tentativo…»
Si guardò intorno, sospirò e aggiunse:
«Agh… questa stanza non ha nemmeno un frigo-bar… ho visto un distributore di bibite nel parcheggio. Vado a prendere qualcosa, vuoi niente?»
«Se hanno dello 0 negativo, ne prenderei volentieri due sacche»
la canzonò lui.
«Ah-ah-ah. Avete il contenitore termico pieno di tutto il sangue che vi serve, anzi, se poteste rifocillarvi  mentre sono di sotto mi fareste cosa gradita. Lo sai che mi impressiona il sangue!»
«Che brutto colpo per la figlia di un vampiro!»
ribatté divertito lui. La ragazza gli diede un colpetto sul petto  quindi uscì dalla stanza.
Scese nel parcheggio male illuminato e si diresse verso il distributore di bibite. Non c’era molto tra cui scegliere, sicché optò per una coca-cola. Inserì le monete e selezionò D-12, ma non accadde nulla.
«Oh! Andiamo! Non ci credo! Questo posto è l’inferno! Confermo!»
imprecò, dando colpi al vetro del macchinario.
«Ogni tanto fa i capricci… »
La voce apparteneva ad un uomo che, avvicinandosi, diede uno scossone al distributore.
«Ma basta saperla maneggiare e… voilà!»
concluse, prendendo la bibita dal cassetto di recupero. La porse alla ragazza che allungò la mano titubante, ringraziandolo.
Poco prima che Jessica chiudesse le dita sulla lattina, però, l’uomo ritrasse la mano.
«Solo “grazie”?»
domandò con fare viscido. La giovane indurì la sua espressione.
«Non fare così, bambolina! Era una domanda legittima dato che ti sono venuto in soccorso»
sussurrò  avvicinandosi al suo viso. La ragazza rimase immobile guardandolo con aria di sfida. Pensò alle 3 regole che Damon le aveva insegnato per fronteggiare situazioni di pericolo:
 
Regola n° 1:«Certi uomini godono a vedere la paura negli occhi delle persone. Se gli dai questa soddisfazione,  avranno già vinto. Non cedere e aspetta che arrivi io».
 
«Non sono una bambolina. Ma puoi stare certo che se continui così, il soccorso servirà a te»
gli disse freddamente lei.
«Uuuh-uh! Abbiamo un tipetto tosto… »
la schernì lui.
 
Regola n° 2: «Se non sono nei paraggi, non essere stupida. Non fare la stupida. Lascia stare l’orgoglio, non sei fisicamente più forte di un uomo. Vai via! Ci penserò io più tardi, ma non metterti in situazioni di pericolo!».
 
Fece due passi indietro continuando a guardare duramente l’uomo, ma quando si girò per andarsene lui la afferrò per un braccio tirandola a sé. Si avvicinò di nuovo al suo viso alitandole sulla guancia.
«Te ne vai di già? Io stavo iniziando a divertirmi… bambolina!»
disse mellifluo. Lei gli lanciò uno sguardo di fuoco.
 
Regola n°3«Comunque sia, ricorda: sono un vampiro… se mi trovo entro il tuo raggio d’azione, non hai che da urlare, arriverò prima possibile!».
 
Jessica si preparò ad urlare il nome del vampiro, ma prima che potesse emettere un qualsiasi  suono,  la voce di Elena risuonò alle sue spalle:
«Hey! Che succede qui?»
L’uomo alzò gli occhi sulla ragazza appena apparsa, allentò la presa sul braccio di Jessica e se la tirò vicino.
«Niente… discussioni tra innamorati, solite cose… nulla di cui preoccuparsi»
rispose l’uomo. La vampira inclinò la testa e fece un’espressione stupita.
«Jess, non mi avevi parlato del tuo fidanzato! E dove lo hai tenuto  nascosto per tutto il viaggio? Mi sembra un po’ grandicello e decisamente al di sotto del tuo livello… mmmh, non credo tuo padre approverebbe...»
commentò sarcastica. L’uomo fece una smorfia, tirò fuori un coltello dalla tasca dei Jeans logori, e lo puntò al collo della giovane.
«Ok! Ascoltami bene! Fai come ti dico o qualcuno, qui, si ritroverà uno squarcio in gola!»
minacciò lui. Elena si fece scappare una risata e, continuando con lo stesso tono sarcastico, disse:
«Mmmh … stavo per dire la stessa cosa»
Spalancò gli occhi iniettati di sangue e la bocca, in cui si erano spuntate due lunghe zanne. In un secondo fu sull’uomo, lo spinse contro il muro e lo sollevò da terra utilizzando una sola mano.
«Ed ora assaggiamo quanto sei disgustoso!»
Si avventò sulla sua gola ed iniziò a succhiarne il sangue. Jessica, caduta a terra nello scontro, rimase a guardare terrorizzata. La sua mente tornò alla prima volta che aveva visto Damon aggredire un uomo che l’aveva importunata.
 
Aveva tredici anni  e stava tornando da scuola attraversando il parco. Un anziano signore  si avvicinò con la scusa di volere delle indicazioni. Aveva modi affabili ed un sorriso… ‘strano’. Lei  si sentì subito a disagio: c’era qualcosa in lui che le dava i brividi. Provò ad andare via, ma il sorriso ‘strano’ si trasformò in una smorfia famelica, minacciosa. Anche quella volta seguì le regole di Damon: non si fece intimidire; provò ad andare via; urlò. Il vecchio scappò via. Quando arrivò il vampiro,  era già sparito. Lei gli raccontò l’accaduto e  lui non esitò un istante: corse nella direzione indicata da Jessica a super velocità. Quando lei lo raggiunse, lo trovò con le zanne affondate nella gola del vecchio. Sconvolta  restò a guardarlo succhiargli via la vita, senza trovare il coraggio o la forza di parlare. Il vampiro gettò di lato il corpo esanime e solo allora si accorse di lei. Rimase immobile, con il viso sporco di sangue, a fissarla.
«D-Da-am-mon…»
balbettò terrorizzata: quello era suo padre e …non poteva, non doveva. Incapace di trattenersi oltre, iniziò a piangere a dirotto; lui la prese in braccio e la portò a casa. La mise a letto e le preparò una tazza di latte caldo, pensando di soggiogarla affinché dimenticasse tutto. Prima che potesse agire lei gli disse:
«Quell’uomo… avrebbe fatto del male a qualche altra ragazzina se tu non l’avessi fermato. Non hai salvato solo me… ma non è giusto, capito? Non puoi uccidere chiunque si riveli una minaccia. Non funziona così, devi pensare! Devi ragionare! Avresti potuto usare i tuoi poteri per cambiargli la testa, avresti potuto soggiogarlo a non fare più cose brutte… uccidere è sbagliato D! Non importa per chi lo fai, è sbagliato e basta»
Lui guardò quegli occhi verdi, lucidi e arrossati dal pianto, ma completamente privi di un qualsiasi tipo di giudizio nei suoi confronti. Lei lo stava amando nonostante lo avesse visto compiere un omicidio.
«Sono un vampiro… è quello che faccio…»
provò a scusarsi lui.
«No! Sei un uomo,  sei mio padre! Non sei una bestia
obiettò con veemenza lei.
«Jess… posso farti dimenticare la cosa…»
«Non ci provare… »
sibilò lei. Lui annuì.
 
Jessica si sentì imprigionata nella stessa situazione: era di nuovo quella bambina terrorizzata, incapace di dire niente. Guardava Elena succhiare via la vita al suo aggressore esattamente come era accaduto nella sua infanzia “Se non intervieni morirà! Un'altra persona morirà perché tu non hai fatto niente!” si disse. Trovò in quel pensiero la forza di urlare:
«No! Elena, no! Fermati! Ti prego!»
Ma la vampira continuò a succhiare il sangue dell’uomo,  avida. La ragazza scoppiò a piangere, nella sua testa l’immagine del vecchio con gli occhi privi di vita, si sovrappose a quella dell’uomo tra le fauci di Elena.
Damon sentì l’urlo di Jessica e corse nel parcheggiò. Trovò la ragazza sdraiata a terra con la testa fra le mani, piangente. Più in là, contro un muro, c’era Elena intenta a dissanguare una persona.
L’immagine di una bambina di tredici anni, terrorizzata, gli si figurò in testa:  corse a staccare la vampira dalla sua preda.
Elena sentì la frenesia, causata dal sapore di sangue caldo, abbandonarla. Si risvegliò da un momentaneo black-out:  fu come aprire gli occhi dopo un incubo fatto di dolore e oscurità. Un uomo in fin di vita giaceva a terra, Jessica piangeva con la testa riccioluta stretta tra le mani e Damon, al centro di tutto,  guardava confuso prima lei, poi sua figlia. Provò a parlare, ma troppe cose erano venute a galla, ricordi che esplosero nella sua testa lasciandole solo la confusione dopo il boato.
«I-io… I-o… oh m-mio... N-non… Io…»
singhiozzò. Lui provò ad avvicinarsi per farla calmare.
«Elena…»
le disse premuroso. Si mosse lento con le mani tese in avanti, lei lo guardò  tremante, la bocca ancora sporca di sangue. Elena si portò le mani alla testa ed urlò:
«No! No! No! Non ancora! Non di nuovo! Io non posso…»
E scappò via. Il pianto di Jessica gli impedì di inseguirla subito. Prima andò veloce verso la ragazza, si inginocchiò e gli mise una mano sulla spalla, cauto. Lei alzò la testa e vedendolo scattò ad abbracciarlo. Lui la strinse forte, cullandola.
«Cosa è successo?»
domandò tenendola stretta contro il petto.
«Q-quell’uomo… mi ha… mi… oh mio dio! È vivo?»
esclamò staccandosi da lui. Damon gli lanciò un’occhiata e la rassicurò:
«Si riprenderà… mi vuoi dire cosa è successo per favore?»
La ragazza lo guardò con gli occhi ancora pieni di lacrime.
«Io… lui… è… lui mi ha…»
farfugliò lei.
«Jess! Calmati! Fai un respiro… è tutto finito… dimmi con calma cosa è successo»
le disse pacatamente lui. Lei annuì e dopo qualche istante rispose:
«Quel tizio mi ha aggredita… Elena è arrivata per difendermi, mi ha salvata… e poi… non so… non si fermava… è stato… lei…»
Lui la strinse ancora di più a sé e cercando di farla calmare.
«Andrà tutto bene… tu stai bene? Ti ha fatto qualcosa?»
si preoccupò. Lei scosse la testa in segno di diniego e si asciugò le lacrime.
«Ma lui…»
«Ssshhh… mi occuperò io di lui…»
«Non devi ucciderlo! Tu non…»
«Jess! Non lo ucciderò… gli darò un po’ del mio sangue per farlo riprendere e lo soggiogherò affinché dimentichi, ok? Ora, vai in camera e restaci… devo trovare Elena…»
le ordinò.
«Lei… cosa le è successo?»
«Non lo so… ora vai in camera»
la esortò. La giovane si alzò e corse via; lui si avvicinò all’uomo che si lamentava tenendosi una mano sul collo da cui perdeva copiosamente sangue. Il vampiro lo guardò con disgusto combattendo l’impulso di finire il lavoro di Elena. Si abbassò, si procurò un taglio sul polso mordendosi e gli fece ingerire il suo sangue. Quindi lo sollevò e lo soggiogò:
«Sei scivolato e ti sei procurato la ferita alla gola. Dimenticherai quanto accaduto e ti dimenticherai di noi… e la prossima volta che avrai l’impulso di importunare qualche ragazza… dai una testata al muro! Ed ora sparisci!»
L’uomo annuì con espressione vacua e si allontanò.
Damon cercò una pista per trovare Elena, sentì il suo odore e ne seguì la traccia fino al bosco dietro il motel.
«Elena? Dove sei?»
la chiamò. Non rispose nessuno. Tese l’orecchio per catturare un qualsiasi segnale : la sentì piangere. Camminò seguendo la fonte del suono e la trovò accovacciata contro un albero, si teneva la testa tra le mani e dondolava sui talloni. La chiamò di nuovo:
«Elena?»
Lei lo ignorò continuando a piangere e dondolare.
«Hey… Elena… sono io, Damon»
ripeté lui con premura. Lei smise di dondolare e si voltò a guardarlo.
«Damon… io… oh mio dio…»
«Hey, va tutto bene… parlami, sono qui…»
«No, no, no… Damon, no… io non…»
«Elena… guardami! Va tutto bene, è tutto finito»
Le si inginocchiò accanto e posò adagio le mani sulle sue spalle. I muscoli di lei si rilassarono all’istante mentre i suoi occhi lo guardavano disperati.
«Damon? Sei tu? Io… mi dispiace… io non volevo…»
singhiozzò.
«Non è successo niente… Jessica mi ha detto che le hai salvato la vita…»
la rassicurò lui. A quelle parole lei lo strinse forte.
«Io non volevo! Io pensavo… Damon… io…»
si interruppe scoppiando a piangere. Lui la strinse di rimando, annientato da quella disperazione. C’era qualcosa nella sua reazione che gli ricordò qualcosa di già visto nel suo passato. Cercò di calmarla, provò a farla parlare: Elena disse cose senza senso, farfugliò nomi che lui non aveva mai sentito prima, ma, soprattutto, pianse. Un pianto che divenne sempre più disperato, come se fosse stato imbottigliato in lei per tanto tempo. La lasciò sfogare tutta la notte, finché non svenne, sfinita, tra le sue braccia. Quando iniziò ad albeggiare, la prese in braccio e tornò al motel.  Durante il tragitto verso la camera la osservò dormire; guardandola, pensò a tutte le volte che si era ritrovato a portarla così, come una bambina, nella loro vecchia vita: sorrise e la strinse a sé. Arrivato in camera trovò Jessica seduta con le gambe incrociate sul letto che si mordeva l’interno della guancia mentre torturava un ricciolo, aggrovigliandoselo intorno a un dito. Dalle occhiaie scure capì che non aveva dormito per niente. Quando la ragazza lo vide entrare con Elena svenuta tra le braccia, scattò in piedi.
«Cosa… che… sta bene?»
domandò ansiosa.
«Sì… è solo svenuta dopo aver passato la notte a piangere… E tu? Stai bene?»
si informò lui.
«Un fiore! Non si vede? Ma perché è svenuta? Perché ha pianto?»
«Vorrei saperlo… ha delirato per quasi tutto il tempo… »
«Cosa? Ma perché? Non capisco…»
«Jess… hai bisogno di dormire… tutti abbiamo bisogno di dormire…»
disse lui. Andò verso il letto e ci adagiò sopra la vampira, le tolse le scarpe e la ficcò sotto le coperte.
«Avanti Jess, a letto anche tu…»
bisbigliò lui. La giovane fece una risata isterica.
«No… credo andrò in cerca di una farmacia… magari le servirà un’aspirina… o qualcosa contro i reflussi gastroesofagei…»
sbottò nervosamente.
«Jessica Salvatore. Calmati e vai a dormire. È un vampiro, non le servono medicine!»
la sgridò bonariamente lui.
«Sì, che è un vampiro credo di averlo visto bene stanotte… Io non ho sonno. Uscirò a prendere un po’ d’aria e se incontrerò una pasticceria mi ci fionderò dentro per fare incetta di zuccheri! Se vuoi scusarmi…»
Uscì dalla stanza ma lui scattò e la raggiunse sul pianerottolo.
«Jess… ti prego…»
la implorò. Lei chinò la testa e dopo qualche secondo gli mise le mani sul viso e disse con calma:
«D., sul serio… non dormirei comunque. Ti ricordi la prima volta? Hai passato tutta la notte a leggermi ‘Via col vento’… lo sai come affronto queste cose. Ho bisogno di aria, di dolci e, possibilmente, di una chiacchierata con qualche amico… fammi andare… ti prometto che tornerò non appena mi sentirò… più serena… vai da lei… riposati… abbiamo ancora un lungo viaggio da fare. Non mancheranno occasioni per parlare anche di questa storia. Ok?»
E gli sorrise. Lui annuì e la lasciò andare. Tornò in camera, si sdraiò sul letto e si girò a guardare Elena: si addormentò con l’immagine del suo viso finalmente sereno.
Quando aprì gli occhi, due ore più tardi, Jessica non era ancora rientrata e la vampira continuava a dormire.
Prese il telefono e trovò un messaggio: “Trovata gelateria fantastica! Sto depauperando il tuo conto in coppe gelato! Sto meglio, ma farò un giro in questa landa desolata, fammi sapere quando sarete svegli”. Sorrise e digitò una risposta : “Attenta che è tutta roba che finisce sui fianchi! Io mi sono svegliato ora, lei ancora dorme… torna presto”.
Tornò a sedersi sul letto mentre Elena iniziava a svegliarsi. Lui si irrigidì, terrorizzato al pensiero di ritrovare quegli occhi spiritati: fortunatamente, quando lei aprì le palpebre, ritrovò il suo sguardo  di sempre.
«Hey…»
la salutò lui.
«Hey…»
fece eco lei sorridendogli. Poi  scattò a sedere toccandosi la testa.
«Io… Damon…»
iniziò a dire. Lui sollevò una mano per fermarla.
«È stata una lunga notte… facciamo le cose con calma… come ti senti?»
«Bene… io… sto bene»
«Si può sapere che ti è preso?»
Lei lo guardò con occhi lucidi, si morse il labbro inferiore e scosse la testa.
«Dovrei… io ti dovrei dire delle cose… tu dovresti sapere…»
provò a spiegare.
«Sono per caso delle cose che riguardano i 5 anni in cui non riuscivi ad avere mie notizie?»
la spiazzò lui. Elena spalancò la bocca senza riuscire a rispondere.
«Cos’è successo in quei 5 anni, Elena?»


(*Disegno By Vesper)

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Capitolo 11
*** Equilibri - Se ti amerò, ancora e di più. ***


“Sete di te m'incalza nelle notti affamate.
Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.
Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.
Sete di metallo ardente, sete di radici avide.
Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano
in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora[…]”

-da Venti poesie d'amore e una canzone disperata- Sete di te m'incalza
Pablo Neruda-

 
 
 
Damon fissava in silenzio Elena. Lei teneva gli occhi bassi, smarrita in una tempesta di ricordi, di urla e oscurità. «Cos’è successo in quei 5 anni, Elena?» le aveva chiesto. Quella domanda le rimbalzava in testa, scontrandosi con tutto il resto, causandole dolore fisico. Spesso si era ritrovata a chiedersi la stessa cosa senza trovare una risposta adeguata, se non quella che gli scivolò fuori, osservata da quegli occhi di ghiaccio:
«È successo che sono morta… e tu non c’eri più»
Quelle parole tagliarono l’anima dell’uomo già ridotta a brandelli. Entrambi tacquero senza aggiungere altro. Lei sapeva di averlo ferito con quelle parole, ma si era ferita a sua volta. Quella risposta l’aveva annientata la prima volta che l’aveva trovata dentro di sé, e continuava ad abbatterla ogni volta che le ritornava in gola.
Finalmente trovò il coraggio di guardarlo, trovando ciò che più temeva: dolore.
Non solo quello di lui, ma anche il proprio, riflesso in quei cristalli che spesso, troppo spesso, dicevano più delle parole. Cercò di non piangere, era stanca di piangere, odiava piangere.
«Damon… io…»
«Perché non riesci semplicemente a dirmi cosa è successo?»
disse lui in un filo di voce. Elena chiuse la bocca ingoiando parole che non avrebbero acquistato nessun senso se fossero uscite allo scoperto. Il vampiro la stava supplicando di dirgli la verità, se la meritava… ma non meritava le conseguenze.
«Damon… se io te lo dico… se io ti dicessi la verità… tu…»
si interruppe.
«Cosa? Cosa, Elena! Dimmelo! Ne ho sentite tante di storie nella mia vita… perché questa dovrebbe fare la differenza? Ho passato gli ultimi vent’anni a cercare di strapparti via dalla mia pelle, dalla mia carne! Ed ora sei tornata e mi sembra non sia passato un giorno… mi sembra non sia passato un solo maledetto giorno! E tu… tu sei tu, a tratti. A volte sei la ragazza che ho lasciato a vivere la sua vita… altre sei un’incognita, un mistero che non riesco a svelare, perché mi impedisci di sapere! Dimmi… ti prego… dimmi perché! »
la supplicò lui.
«Nemmeno tu sei più lo stesso… è per quello che non posso… io…»
«Cosa mi rende diverso, Elena?»
domandò sfinito. Lei lo guardò a lungo, aprì la bocca e disse una sola parola:
«Jessica…»
Lui scosse la testa confuso. Provò a capirne il senso ma non fu in grado.
«Te l’ho detto… è mia figlia, è “solo” mia figlia»
Lei annuì e sorrise.
«Già. È proprio quello il punto…»
gli disse con dolore. La confusione in lui si amplificò, non riusciva a capire il suo ragionamento.
«Elena…»
sospirò.
«Io ero sicura fossi in giro per il mondo a rovinarti la vita, a rovinarla agli altri… ero sicura stessi macerando nel tuo dolore… capisci? Era l’unica cosa a tenermi in piedi: sapere che avresti potuto capirmi… che avresti condiviso quello che ho fatto, che mi avresti salvata… perché tu mi salvi sempre! Ma mi sbagliavo… tu stavi facendo il padre, stavi facendo del bene… stavi salvando qualcun altro… sei diventato l’uomo che ti chiedevo di essere, mentre io… io non sono più degna di te. Tu sei quello che io volevo fossi… purtroppo  io non sono più quella di cui tu ti sei innamorato: io non ti merito più!»
sbottò lei. Quelle parole si ficcarono nella testa di lui, come spilli. C’era qualcosa di già sentito, qualcosa di già provato. Guardò quegli occhi scuri e  riconobbe il dolore: non si sentiva abbastanza.
Lui non era stato abbastanza per tutta la sua vita: non per il padre, non per Stefan, non per gli amici, non per Katherine, non per Elena… ma lo era stato per Jessica.
Aveva dato tutto quello che poteva ad una creatura a cui aveva compromesso il futuro, lei se lo era preso, e, più di tutto, lo aveva ricambiato. «Mi piace questa tua nuova faccia» gli aveva detto Jessica la sera prima. Tutto ciò non era dovuto al solo ritorno di Elena, non sarebbe stato sufficiente; il cambiamento era dovuto ad un altro aspetto: dopo anni “lei” lo aveva amato. In quel motel, su quel tavolo in cucina, non era stata solo passione, loro avevano fatto l’amore. Nella sua mente si materializzò un ricordo.
 
Stava morendo e lei lo accudiva. Le aveva aperto il suo cuore, si stava scusando, si stava confessando… le stava dicendo addio. Lei piangeva, soffriva per lui, il cattivo ragazzo, colui che l’aveva  minacciata di farla diventare un vampiro, quello che c’era quasi riuscito.  Sentiva di non meritare lei, il suo affetto, il suo perdono, e, nonostante ciò, lei gli aveva concesso tutto. In quelli che credevano essere gli ultimi istanti di un’esistenza tormentata, lei gli stava regalando la pace prima dell’oblio…  lo aveva baciato.
«Grazie» le aveva sussurrato con le ultime forze.
 
Adesso lei aveva quello sguardo  lo stesso che lui le porse dopo quel primo bacio sul letto di morte.
Cosa era successo a quella ragazza  da farle credere di essere diventata peggio di lui?
Nessuno era peggiore, nemmeno “Lo squartatore di Monterey”. Nessuno… perché lei stava vestendo quei panni? Cosa aveva potuto fare di tanto tremendo in soli 5 anni?
«Per questo hai paura di dirmelo? Perché credi che smetterò d’amarti?»
chiese incredulo.
«Perché so che non potrai più amarmi…»
rispose lei.
«Perché per vent’anni non ho distrutto la vita a nessuno? Elena! Ho ucciso la madre di quella bambina, ho ucciso tua madre, ho ucciso la madre di Bonnie… ho ucciso persone per 150 anni! Credi che vent’anni di espiazione possano bastare a rendermi migliore? Pensi che io abbia anche solo in parte rimediato al male che ho fatto? Jessica… lei… lei pagherà per sempre la mia impulsività! Non conoscerà mai sua madre! Non ha importanza la bella vita che le ho concesso… io le ho tolto sua madre! Le ho rovinato l’esistenza!»
urlò lui. Si rese all’improvviso conto che una figura stava in piedi, ferma sulla soglia, si voltò nella sua direzione scoprendo due occhioni verdi colmi di lacrime. Corrugò la fronte e sospirò:
«Jess…»
La ragazza alzò una mano per zittirlo, si prese qualche istante e poi disse:
«Se ti sento dire un’altra volta… solo un’altra volta che mi hai rovinato l’esistenza, giuro che ti spacco la faccia!»
Lui aprì la bocca per provare a dire qualcosa ma lei spostò lo sguardo su Elena e chiese:
«Come stai?»
La vampira rispose:
«B-bene… io… bene… Jessica… ahm… volevo chiederti scusa, io so che…»
La giovane chiuse la porta ed entrò in camera, andò a sedersi sul letto, di fronte a lei dicendo:
«Lo so, siete vampiri… è il vostro istinto. Non me lo devi spiegare e non ti devi scusare. Ho già affrontato questo discorso quando ero più piccola. Ti dirò le cose che ho detto a lui: c’è una linea sottile tra quello che è giusto e quello che è sbagliato, la differenza la fai tu.  Cause di forza maggiore mi hanno fatto rivedere il mio assolutismo nel ritenere un omicidio sbagliato… ma in linea di massima resto dell’idea che se puoi evitare, evita. Non sei una bestia, sei un essere pensante… quindi pensa! Tutto qui»
Elena spalancò la bocca per dire qualcosa ma non trovò assolutamente nulla da dire. Guardò il volto sereno di quella ragazza così speciale, che le chiedeva solo di essere ‘responsabile’ e capì. In un certo senso le ricordava se stessa, l’Elena Gilbert umana. Ci aveva visto tanto di Damon in quei giorni, ma in quelle parole riconobbe un aspetto che, da tempo, lei aveva dimenticato di possedere: l’umanità.
Quella era la differenza tra la ragazza che era prima di morire e quella che era diventata dopo.
Il problema non era sentirsi in colpa, ma assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Damon non era cambiato perché aveva salvato qualcuno o perché aveva deciso di fare ‘il buono’… lui era cambiato perché si era assunto le responsabilità delle sue azioni. Aveva iniziato vent’anni prima, quando ancora era nella sua vita. Si era preso colpe e insulti, anche immeritati, non per far colpo su di lei o per dimostrare di poter essere migliore, ma perché si era fatto carico delle proprie responsabilità. A volte ci era riuscito meglio, altre peggio… ma non si era tirato indietro, mai.
Al contrario di lei, che fuggiva il suo passato e lo nascondeva pur di non affrontarlo. Non era per paura di spaventarlo, era per paura di spaventarsi.
Alzò gli occhi sul viso teso dell’uomo che la guardava con lo stesso amore di sempre, e non poté fare a meno di sorridergli.
«Ti dirò tutto quello che vuoi sapere… non ti nasconderò più niente…»
promise, finalmente serena. Lui si mise a sedere pesantemente sul letto, accanto a Jessica ed espirò.
«Che bello! Una storia ed io non ho nemmeno sprecato la mia domanda giornaliera!»
esclamò la giovane. Scoppiarono tutti a ridere e Damon l’abbracciò baciandole la testa riccioluta.
«Mi dispiace tardare il tuo viaggio…»
si scusò la vampira. La giovane la guardò confusa.
«Beh… ci vorrà un po’ per raccontare la mia storia…»
le disse.
«Quindi? La macchina cammina anche se parli…»
ribatté lei con il medesimo tono. I due vampiri si guardarono sorpresi.
«H-hai intenzione di metterti n viaggio?»
le domandò Damon.
«Mica devo camminare!»
«Jess… non hai dormito nemmeno un’ora… »
«In realtà ho dormito 3 ore prima di arrivare in questo luogo infernale… ed IO ho dormito la scorsa notte, non come voi due che vi siete alzati con le occhiaie che vi arrivavano alle ginocchia! Quindi, hop-hop! In macchina! Guido io! Perché voi sarete vampiri ed immortali, ma io no, ed ho ancora un sacco di cose da scoprire, non metterò in pericolo la mia vita perché voi due siete stanchi! Vi concedo mezz’ora per darvi una ripulita, nel frattempo ascolterò buona musica sdraiata su questo covo di germi»
I due eseguirono gli ordini e mezz’ora più tardi lasciarono quel posto sventurato.
Jessica si mise al posto di guida con il vampiro seduto di fianco, il posto sul sedile posteriore fu preso da Elena.
«Dunque… se non erro, qualcuno doveva raccontare una storia senza che nessuno, e per nessuno intendo “io”, chiedesse nulla… avanti, il viaggio è lungo!»
proruppe la ragazza. La vampira rise, prese coraggio ed iniziò la sua storia:
«Come sapete, Rebekah fece uscire Alaric dalla cripta, mettendo tutti in pericolo…
 
Elena aveva passato un giorno intero a cercare di contattare Damon. Era irraggiungibile al cellulare e non si trovava da nessuna parte. Le cose in camera sua sembravano esserci tutte, l’unica cosa sparita era l’auto. Era uscito la sera prima e né lei né Stefan sembravano averlo sentito rientrare.
«Sono sicuro sia andato a fare un giro, lo sai com’è…»
cercò di tranquillizzarla Stefan. Lei sorrise e lo abbracciò cercando di nascondere la sua preoccupazione.
«Sì, probabilmente hai ragione… tornerà tra un paio di giorni e ci prenderà in giro per esserci preoccupati»
confermò lei.
«Caroline ci aspetta per andare da Bonnie… non ha ancora recuperato tutte le forze, sei pronta?»
«Sì, certo. Fammi prendere la borsa e andiamo»
Un attimo dopo essere usciti di casa, il cellulare di Elena iniziò a squillare e quasi lo fece cadere nella fretta di rispondere.
«Pronto!»
esclamò.
«Hey, a che punto siete?»
rispose la voce di Caroline.
«Oh, Care… stiamo arrivando…»
disse cercando di celare la delusione. Stefan colse quell’espressione e si stranì, ma prima di poter commentare, il cellulare della ragazza tornò a squillare. Lei provò ad apparire più calma e guardò tremante il display prima di rispondere. La scritta “anonimo” sullo schermo le fece quasi scoppiare il cuore ma sentendo gli occhi del fidanzato puntati addosso cercò di non darlo a vedere.
«Pronto?»
«Ciao, Elena!»
disse una voce che la gettò nel panico.
«R-Rebekah»
balbettò.
«Da quanto tempo! Oh, no, aspetta… sono passati solo tre giorni da quando avete buttato il corpo di mio fratello chissà dove nell’oceano, come fosse un rifiuto tossico!»
ringhiò l’originale.
«Rebeakh… era l’unico modo…»
provò a giustificarsi.
«No! Non era l’unico modo! Potevi consegnarmi il corpo, me ne sarei occupata io!»
«Certo! Perché c’è da fidarsi di te!»
«Vedi, mia cara, è questo il problema… credete di essere quelli dalla parte del giusto… ma non è così! Non sono io quella che ha “ripetutamente” tradito l’altra! Ma… lasciamo perdere certe schermaglie… ho in mente una cosa per equilibrare la situazione…»
«C-cosa… di cosa parli?»
«Mmmh… diciamo che ho aperto una certa cripta… liberando un certo professore…»
«N-no… tu… tu non puoi… ti ucciderà!»
«Non se prima lo uccidete voi…»
«Perché dovremmo farti questo favore?»
«Beh… per come la vedo io, Alaric deve avercela parecchio con voi… certo, se non lo uccidete verrà a cercare anche me, ma chissà quanta gente farà fuori prima… sempre che non l’abbia già fatto… manca nessuno all’appello da voi?»
chiese con voce malefica. Ad Elena mancò il fiato. Il suo pensiero volò a Damon, alla sua scomparsa.
Non poteva essere! Non era possibile!
Avrebbe voluto rispondere ma le mancò la forza, Stefan le strappò il telefono dalle mani e parlò con Rebekah:
«Rebekah! Che hai fatto? Dov’è Damon?»
«Oooh… il bel Damon… mi mancheranno quegli occhioni azzurri… ora scusa, devo scappare lontano da Mystic Falls. Sai, c’è un professore pazzo che mi dà la caccia!»
E prima che il vampiro potesse ribattere interruppe la chiamata. Impietrito, si girò verso Elena che aveva iniziato a piangere.
«Che ha detto? Stefan! Che ha detto!!!»
urlò disperata. Lui scosse la testa.
«No! No, è un bluff… è un bluff… Damon sta bene, vedrai che sta bene! Vado da Bonnie, avverti Caroline, ci vediamo là!»
Le mise il cellulare e le chiavi della macchina in mano e corse via veloce. La ragazza rimase a tremare ed un terrore incontrollabile le impedì di respirare.
 
Stefan arrivò a casa della strega. In poche parole cercò di aggiornarla sull’accaduto e  le propose di fare un incantesimo di localizzazione per Damon.
«Stefan … non ho abbastanza potere per fare entrambi gli incantesimi … se cerco tuo fratello non avrò la forza per chiudere Alaric nella cripta»
confessò Bonnie. Contattarono tutti: Tyler, Jeremy, Matt, lo sceriffo Forbes, il sindaco e la dottoressa Fell. Chiunque fosse in pericolo per accertarsi che stessero bene. Caroline andò a prendere Elena talmente sconvolta da non riuscire a fare altro che  chiamare piangendo l’amica.
Gli altri si diressero al Grill dove discussero il da farsi. Si resero conto che la strega non aveva abbastanza forze per interrogare Alaric e poi rinchiuderlo, bisognava scegliere tra le due.
«Una volta che lo rinchiuderò lì, farò in modo che nessuno al mondo possa riaprire quel luogo… nemmeno io… non possiamo rischiare altre sorprese…»
spiegò Bonnie.
«Ma se sprechi le tue energie per sapere la verità…»
iniziò ad obiettare Tyler.
«Fallo!»
irruppe Elena, arrivata insieme a Caroline.
«Chiedigli se ha fatto del male a Damon… costringilo a dire la verità…»
continuò perentoria.
«Elena… poi non avrò più poteri per combatterlo…»
fece notare Bonnie.
«Lo so… fallo e basta»
«Elena… »
supplicò Stefan.
«È Damon, Stefan! Dobbiamo sapere se è vivo!»
disse lei trattenendo le lacrime.
«E se scopriamo che è morto? Avremo sprecato la possibilità di farlo fuori… e morirai anche tu!»
intervenne Jeremy.
 “Se lui è morto… non mi importa di vivere” Elena strinse tra i denti quella  risposta salita sulle sue labbra. Tacque.
Il gruppo decise decise di allontanarla mentre si occupavano di Alaric. Lo avrebbero rinchiuso senza dirle niente. Caroline e Stefan si opposero:
«Non possiamo farle questo! Ci odierà per sempre!»
disse la bionda.
«Ha ragione! Senza contare che è di mio fratello che stiamo parlando… se c’è una possibilità di sapere se è vivo…»
la supportò il vampiro.
«Bene! Allora lasciamo che muoia mia sorella per avere delle notizie che potremmo scoprire da soli!»
sibilò Jeremy.
Alla fine decise la maggioranza.
Arrivate sul Wickery Bridge, Elena, insospettita dallo strano silenzio dell’amica, la costrinse a dirle la verità. La vampira le confessò che Bonnie non avrebbe interrogato Alaric: questo la fece infuriare tanto da costringerla a fermare la macchina. Le ordinò di riportarla indietro,  ma Caroline si oppose. Furente scese intenzionata a ritornare a piedi. L’altra cercò di bloccarla e iniziarono a litigare
«Riportami indietro,  Care! Giuro che mi ammazzo ora, altrimenti!»
urlò disperata.
«Quanta fretta!!!»
esclamò la voce di Rebekah.
«C-cosa ci fai qui?»
chiese la ragazza.
«Mi sembrava scortese partire senza salutare… in fondo siamo state quasi amiche… sai, prima che mi pugnalassi alle spalle e facessi fuori mio fratello!»
Caroline si parò di fronte all’amica
«Elena… scappa»
la incoraggiò. L’originale rise di gusto e le torse il collo prima che potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo.
«Bene, siamo solo io e te… dimmi, Elena, cosa potrebbe impedirmi di ucciderti ora?»
La ragazza non rispose, la guardò con aria di sfida. Lei voleva sapere solo se Damon era vivo.
«Che è successo a Damon, dimmelo!»
le intimò. Rebekah rise e la raggirò in un secondo, le mise in bocca il suo polso su cui aveva aperto una ferita e le fece bere il suo sangue mentre le sussurrava nell’orecchio:
«L’ho ucciso! Gli ho strappato il cuore con le mie mani! Sopra c’era inciso il tuo nome… romantico vero? Ma tranquilla… Avrai l’eternità per pensarci su!»
Le spezzò il collo e la buttò di sotto.
Quando si svegliò in camera sua il giorno seguente, trovò Stefan seduto sul letto.
All’inizio era confusa, non aveva ricordi chiari di quel che era successo. Quando la nebbia si diradò,  lei ricordò tutto: la scomparsa di Damon, le parole di Rebekah… il volo dal Wickery.
L’idea di Damon morto diventò un angoscioso assillo.
 
… Non so nemmeno io quanto tempo ho passato a piangere…»
«E la tua amica strega perché non è intervenuta? Perché non ha fatto un incantesimo di localizzazione?»
la interruppe Jessica.
«È la tua domanda di oggi?»
scherzò Elena.

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Capitolo 12
*** Memories - Io non ti perderò. ***


“[…]Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.
Mi segui come gli astri seguono la notte.
Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.
Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.
Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.
Solco per il torbido seme del mio nome.
Esista una terra mia che non copra la tua orma.
Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove[…]”

-da Venti poesie d'amore e una canzone disperata - Sete di te m'incalza
Pablo Neruda-

 
Il momento tanto temuto era arrivato. Elena era ad un passo dallo svelare parte di quella verità che proprio non si sentiva in grado di dire. Lo sguardo di cielo di Damon le aveva concesso una pausa, era rivolto altrove, sensibile al bisogno di lei di sentirsi libera di parlare. Cercò le parole giuste con cui iniziare senza trovarle. Decise, quindi, di partire da dove le faceva meno male.
«Quando aprii gli occhi, molte cose erano ancora confuse nella mia testa. Realizzai quasi subito di essere morta con il sangue di Rebekah in circolo, quello che feci fatica ad accettare, furono le parole che lei mi aveva sussurrato all’orecchio prima di condannarmi a questa esistenza…
 
…...Il primo giorno fu quello più difficile: doveva bere del sangue per completare la transizione e fino all’ultimo si rifiutò. Non era tanto la condizione di  vampiro a spaventarla, ma l’idea di dover convivere con quell’assenza che si faceva sentire fredda e pesante. «L’ho ucciso! Gli ho strappato il cuore con le mie mani! Sopra c’era inciso il tuo nome… romantico vero? Ma tranquilla… Avrai l’eternità per pensarci su!» le aveva detto Rebekah,  prima di spezzarle il collo. Ma era la verità? Non poteva crederci, non poteva accettarlo. Stefan le fu accanto, incapace di rompere il suo  muro di silenzio. Si sentiva in colpa a tenerlo così sulle spine, ma era più forte di lei: se avesse ripetuto quelle parole sarebbe morta di nuovo. Lui la fissava, cercando un punto di contatto, ma lei era lontana. Tenersi dentro quella paura,  però, iniziò a farle male. “Damon è suo fratello! Tu glielo devi dire! Tu devi dirgli cosa sai… cosa temi!” pensò.
«Stefan…»
gli disse, interrompendo il mutismo.
«Dovresti sapere… Rebekah… lei mi ha detto di aver ucciso Damon»
Disse quelle parole tenendosene a distanza, non lo guardò nemmeno in faccia. Se si fosse girata avrebbe visto gli occhi verdi del vampiro riempirsi di disperazione e incredulità.
«N-no… Elena… era una bugia… lei non… vedrai che Damon tornerà…»
balbettò. Lei iniziò staccarsi  dal proprio corpo:  la sua pelle era lava fumante e lei non riusciva più a vestirla.
«Non capisci, Stefan? Lui non se ne sarebbe mai andato. Se non è qui, ora, è perché non può esserci»
obiettò freddamente.
«Elena… non dire così! Ti sbagli, sono sicuro! Lui si è allontanato… sì, si è allontanato… magari è solo a casa di qualche ragazza conosciuta al bar… vedrai che…»
Quelle parole, quelle insinuazioni, la accesero di un livore che iniziò a divorarle la carne. L’idea di Damon con qualche altra donna era per perfino più inaccettabile della sua morte. Quel pensiero, però,  la fece rabbrividire: “no! No! Meglio con cento altre donne che morto! Con chiunque! Ma vivo! Io voglio che sia vivo”.
«Bonnie… lei… lei farà un incantesimo di localizzazione! Lei lo troverà!»
suggerì lui. Una speranza si accese in Elena che  tornò in sé per poter sperare con lui. Non aveva pensato a Bonnie, lei poteva ancora  trovarlo! Perché non era morto, non poteva essere morto. Si voltò a guardare il fidanzato e sorrise.
«Sì! Bonnie! Rebekha lo ha detto per torturarmi… per farmi altro male!»
esclamò. Lui annuì e lei gli si gettò al collo stringendolo.
 
Quando Elena morì, Bonnie aveva appena iniziato il suo incantesimo per rinchiudere Ric nella cripta. A metà dell’incantesimo lui era caduto a terra, morto. Ci misero un po’ a realizzare cosa potesse essere successo, ma nessuno volle crederci. La chiamata di Caroline li mise tutti di fronte alla verità.
Jeremy cadde contro la parete della caverna e si prese la testa tra le mani, sentendo il vuoto invadergli l’anima.
«C’è una cosa che dovreste sapere…»
continuò la vampira ancora in vivavoce.
«Prima di ucciderla… lei… lei le ha fatto bere il suo sangue…»
Il silenzio calò tra gli amici, incapaci di capire se fossero contenti o meno di quella notizia. Jeremy sollevò il capo e farfugliò:
« È v-viva? Lei…»
Stefan gli si sedette accanto e disse in tono greve:
«Sarà un vampiro Jer…»
Il ragazzo annuì nervosamente.
«Sarà viva però! Non è morta! Lei … lei sarà viva!»
Nessuno si sentì di opporsi a quel flebile entusiasmo. In fondo, sì, sarebbe stata viva.
 
Quando giunsero a casa di Bonnie la trovarono a letto, pallida. Trovò la forza di alzarsi per abbracciare l’amica.
«Mi dispiace così tanto…»
singhiozzò. Elena le sorrise.
«Non devi… andrà tutto bene…»
la rassicurò.
«Bonnie… Rebekah ha detto ad Elena di aver ucciso Damon… tu te la senti…»
iniziò a dire Stefan.
«No… è debole, aspetteremo… noi aspetteremo…»
lo interruppe lei.
«Devi completare la transizione entro stasera…»
le ricordò lui, gelido.
«Cosa? Ancora non ti sei nutrita? Sei impazzita?»
si agitò la strega. Lei posò una mano sulla sua spalla e l’accarezzò rassicurandola:
«Era solo paura… non posso lasciare Jeremy… ho solo lui ora…»
Nel pronunciare l’ultima frase sentì il cuore di Stefan spezzarsi. Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo.
Tornarono a casa, lui la salutò con un bacio sulla fronte ed andò via senza dire niente. Entrò in casa e trovò Jeremy seduto in cucina ad aspettarla.
«Avete scoperto niente?»
domandò. Lei scosse la testa.
«Bonnie è troppo debole per fare incantesimi… aspetteremo che sia in forma…»
spiegò lei.
«E nel frattempo?»
«Nel frattempo imparerò a sopravvivere… Caroline mi porterà del sangue… così completerò la transizione…»
Il ragazzo annuì senza dire nulla, abbracciò la sorella ed uscì per incontrare Matt. Lei andò in camera e, arrivata sulla soglia,  si pietrificò. Damon era lì, seduto sul muretto della finestra, sorridente. Si sentì sciogliere per il calore che quella visione le procurò.  Corse felice in camera.
«Io… io credevo che tu… »
«Bel pigiama»
disse lui, senza guardarla. Lei si bloccò stranita.
«Sono stanca, Damon»
Sentì qualcuno rispondergli usando la propria voce. Si voltò e vide se stessa in piedi, di fronte al vampiro. Scosse la testa e si guardò intorno: non c’era più nessuno. Il terrore che stesse impazzendo iniziò a farsi strada nella sua mente, ma le immagini  degli ‘altri due’ tornarono. Capì che si trattava di ricordi nascosti che stavano riaffiorando.
Il Damon-ricordo diceva all’Elena-ricordo di averle riportato indietro qualcosa,  le mostrò la collana di Stefan. L’Elena-ricordo si sorprese e, come se fosse collegata da qualche cavo immaginario a quella visione, l’Elena del presente iniziò a provarne i sentimenti: gioia e timore.
«Credevo di averla persa… Grazie…»
Il ricordo allungò la mano per riprendere il gioiello, ma il vampiro ritrasse la sua.
«Ho solo da dirti una cosa prima…»
«Perché la devi dire con la mia collana in mano
chiese spaventata l’altra Elena.
«Perché la cosa che ti devo dire è… probabilmente la cosa più egoista che abbia mai detto
«Damon… non farlo…»
supplicò.
«No… devo solo dirla una volta… e tu devi sentirtela dire…»
L’altra sé rimase in silenzio ad ascoltare pervasa da una strana sensazione.
«Ti amo, Elena…»
Il ricordo trasmise alla Elena spettatrice, una sensazione di vertigine allo stomaco.
«… Ed è perché ti amo che… non posso essere egoista con te. Per questo non puoi saperlo… Io non ti merito, ma mio fratello sì
A quelle parole ricordo e presente unirono le proprie emozioni, provocandole uno squarcio nel cuore.
«dio… vorrei non dovessi dimenticare tutto questo… ma devi»
Una lacrima piovve da quegli occhi di cielo; lui si avvicino a baciarle la fronte e l’Elena spettatrice ne percepì il calore. Le due versioni di sé tornarono ad essere una, e le vecchie emozioni si scontarono con le nuove: gioia, dolore, rimpianto, rabbia e speranza le esplosero dentro. Si sentì mancare il fiato e le gambe cedettero. Inginocchiata a terra, si afferrò la testa tra le mani. Ricordò l’accaduto  come se quel giorno fosse appena trascorso: Rose l’aveva rapita,  Damon  e Stefan l’avevano salvata.
Quante maschere aveva quell’uomo? Quante altre non era riuscita a svelare?
Il pensiero orribile della sua morte tornò a galla improvviso, schiantandosi su quel cuore che perdeva battiti ogni istante. Sentì l’urgenza di piangere ma se avesse iniziato, non avrebbe più smesso. Il campanello suonò e lei scese di sotto, quasi volando  sulle scale. Sperava che quel ricordo riaffiorato avesse richiamato indietro anche lui: per qualche strana ragione si era convinta che le cose dovevano essere collegate. Aprì la porta con il cuore in gola. Vedendo il volto della sua amica Caroline sentì il dolore e la paura tornare prepotentemente a galla.
«Caroline… sei tu…»
«Ti ho portato … sai…»
E sollevò una sacca di sangue. Lei annuì e si fece da parte per farla entrare. Andarono in cucina, levò il tappo che sigillava il suo ‘primo pasto’ di sangue,  si portò alla bocca quel calice di morte e succhiò. Il sangue le invase la bocca con la sua vischiosa  consistenza. Non riuscì a trattenere oltre quel sapore in bocca e sputò tutto.
«Agh… ha il sapore… sa di… spazzatura!»
disse tossendo.
«Sì… il primo assaggio è… difficile… è diverso con il sangue caldo di una vena… quello scende giù naturalmente… ma questo… ti devi abituare… riprova…»
la esortò l’amica. Titubante ci riprovò ed effettivamente  fu più sopportabile. La transizione fu completa. Sentì tutti i suoi sensi amplificarsi con il passare delle ore e, man mano che il suo cuore cessava di battere, una nuova energia cresceva in contrappunto. Era come rinascere morendo.
Andò a dormire, stremata da una giornata assurda. Si sdraiò e chiuse gli occhi. Un nuovo ricordo le inondò la testa facendola scattare in piedi: era la sera dell’incidente in cui persero la vita i suoi genitori, lei era sola in mezzo ad una strada. Quel che avvenne dopo le levò il terreno da sotto i piedi. Un Damon diverso, mai conosciuto prima, le si era avvicinato chiamandola con un altro nome: il loro primo vero incontro. Lui l’aveva soggiogata a dimenticarlo, a dimenticare che lui le aveva mostrato il suo vero volto, che  le aveva predetto il loro futuro: amore che consuma, passione, avventura… pericolo. Se ne rendeva conto solo ora… troppo tardi.
No! Non poteva pensare così, non doveva!
Bonnie si sarebbe rimessa in forze e avrebbero scoperto che Damon era andato via di sua volontà, lontano da quell’amore negato. Lei gli avrebbe chiesto scusa e lui l’avrebbe perdonata. Perché quando ami, perdoni!
Rimise la testa sul cuscino e si aggrappò ai suoi nuovi ricordi, li strinse forte e li considerò come del tempo in più passato con lui.
Passò la notte senza sogni, risvegliata dal suono del cellulare. Quel rumore amplificato dal nuovo udito da vampiro, le trapanò il cervello. Rispose in fretta, per far cessare quella tortura:
«Pronto…»
«Elena…»
La voce di Stefan era tesa, si raddrizzò sul materasso e chiese:
«Cosa è successo? Perché quel tono?»
Lui non rispose subito.
«Stefan! Si tratta di Damon? Hai scoperto qualcosa?»
incalzò lei, ansiosa. Il vampiro sospirò:
«No… è Bonnie… si tratta di Bonnie…»
 
La strega aveva deciso di provare a  farle l’anello diurno. Pensava di riuscire a cavarsela con un incantesimo così semplice, ma il suo fisico non era ancora pronto. Un’emorragia interna la mandò in coma…
 
… e ci è rimasta per 5 anni… ecco perché non abbiamo potuto fare nulla…»
concluse. Damon continuò a guardare fuori dal finestrino, mentre Jessica rimuginava sulla storia appena sentita.
«Questo non è tutto però… vero? Cioè, in quei 5 anni… che hai fatto? E sì, considerala la mia domanda di oggi, non mi importa…»
sbottò la giovane.
«No… risparmiatela… era questa la parte che avrei dovuto raccontare fin dall’inizio…ma…»
rispose Elena.
«Possiamo aspettare»
disse lui con freddezza. Aveva ascoltato quella storia con un unico pensiero che gli martellava il cervello “se solo tu fossi rimasto!”. Ripensò a quegli occhi terrorizzati, disperati, lontana eco di un periodo in cui lei doveva aver toccato il fondo: “E tu dov’eri? Dove ti trovavi mentre lei cadeva giù?” pensò tramortito dai sensi di colpa. Magari non l’avrebbe salvata dalla vendetta di Rebekah, ma ora non era sicuro di voler sentire le conseguenze del suo gesto. Strinse gli occhi cercando di liberarsi di quei pensieri velenosi, perfino tutta la rabbia provata all’idea che lei se ne fosse andata in giro per il mondo per 15 anni non gli bastò. Iniziò, anzi,  a dirsi che aveva fatto bene, che avrebbe dovuto continuare a girargli a largo. Lei proseguì  la sua storia:
«No… ho detto che avrei raccontato tutto e lo farò… Con Bonnie in quelle condizioni, ogni speranza di sapere qualcosa di te era andata in fumo…
 
...L’idea di non sapere e  la paura che l’originale avesse detto la verità, iniziarono a logorare Elena giorno dopo giorno. Provò a fingere di stare bene, di non stare impazzendo.
Il suo tempo con Stefan divenne un balletto danzato indossando scarpette di cristallo: ogni passo avrebbe potuto essere quello che le avrebbe frantumate. Iniziarono a parlarsi di meno, ognuno col timore di dire la frase sbagliata al momento sbagliato. Smisero di condividere le proprie paure o le proprie speranze. Smisero di toccarsi: ogni carezza era un tradimento verso se stessi. Elena andava a dormire ogni sera con il volto di Damon impresso negli occhi chiusi, ogni suo sogno era dominato da lui, dai momenti vissuti insieme. Iniziò a sentire il suo odore in giro, la sua voce nella notte, a scorgerne la figura tra la folla. I suoi sensi da vampiro iniziarono ad annientarla: sentiva di più, amava di più… odiava di più.
L’idea che “se solo avesse detto la verità” iniziò a tormentarla. Un mare di “se” e di “ma” annegò ogni suo istante. Il circolo vizioso delle supposizioni la trascinò in un baratro di tormento: dicendo la verità non lo avrebbe perso di vista mai, lo avrebbe avuto stretto tra le braccia, al sicuro. Lui non si sarebbe allontanato, avrebbe avuto un piano per sconfiggere Rebekah, ed anche se non fosse riuscito a salvarla, almeno avrebbe trascorso l’eternità accanto a lui… con lui.
Non ricordava quando lo aveva visto l’ultima volta:  forse la mattina dopo la ‘scelta’, quando distrattamente lo aveva salutato, troppo impegnata a civettare con Stefan. Oppure il  pomeriggio, tornata sorridente dal  pic-nic con il suo fidanzato?
Il pensiero di non ricordare le ultime parole scambiate le spezzò il cuore. “Forse non vi siete proprio parlati dopo quella chiamata” insinuò una voce maligna mai sentita prima, nuova, ma che sarebbe diventata,  da lì a poco, la sola voce nella sua testa.
Una sera d’inverno, a mesi di distanza da quegli eventi nefasti, mentre lei e Stefan fingevano un’inesistente normalità  guardando un film, lui le disse improvvisamente:
«Voglio cercarlo»
Quelle parole la riportarono indietro da un universo fatto di occhi azzurri, capelli scuri e sapore di whiskey.
Si voltò a guardarlo chiedendo chiarimenti con lo sguardo.
«Damon…lo voglio cercare… e lo vuoi anche tu…»
Sentire quel nome le provocò un sussulto che Stefan colse con dolore.
«Sai… c’è stato un tempo in cui ho creduto di essere io la causa dei tuoi sentimenti per lui… mi illudevo che era colpa mia… colpa della mia decisione di essere… di spegnere l’umanità … ma ora capisco che non c’entro niente io»
spiegò con tristezza. Senza guardarla continuò:
«Ho creduto… mi sono illuso che le cose potessero tornare come agli inizi… ma la verità è che il nostro è un viaggio in avanti. Non si torna indietro, mai. Ho mentito a me stesso…»
rise amaramente, proseguì:
«Quando è sparito sapevo che il mio tempo con te aveva le ore contate»
«I-io… io non capisco…»
farfugliò lei. Stefan la guardò con gli occhi umidi.
«Sì che lo capisci… solo che non vuoi ammetterlo…»
Lei sentì calde lacrime rigarle il viso.
«Ti aiuterò a cercarlo…»
ripeté lui.
«Non devi…»
provò ad obiettare, ma lui scosse la testa e disse:
«È mio fratello, Elena. È sparito mio fratello… non sei l’unica ad impazzire al pensiero…»
Quelle parole la colpirono in pieno viso. Guardò il volto del ragazzo che si era intestardita ad amare e sentì dolore per lui. Anche lui aveva perso Damon, anche lui stava macerando nella sua paura e lei non lo aiutava di certo. Avrebbe dovuto essere la sua ragazza, avrebbe dovuto dargli conforto. Non aveva dimenticato la disperazione nel suo tono quando gli aveva comunicato le parole di Rebekah. Cercò di sorridergli e si asciugò le lacrime.
«Mi dispiace, Stefan… io…»
provò a dire. Lui la fermò.
«Non devi. Se fossimo stati tutti un po’ più onesti… forse …»
«Lo so»
disse lei, con la voce rotta dal pianto.
«Allora cerchiamo di fare in modo che questa eternità non si concluda in solitudine… né per te, né per me»
sorrise lui. Le asciugò le lacrime che continuavano a scendere,  si abbracciarono:  primo gesto di vero affetto da una lontana mattina d’estate.
Si  misero a contattare  streghe che potessero fare l’incantesimo di localizzazione. Nessuna sembrava essere in grado di soddisfare la  loro richiesta. Lo sceriffo si mise a cercare in lungo e in largo senza risultati. Tutti provarono a contribuire, ma ogni volta era un fallimento. Damon sembrava essere sparito dalla faccia delle terra. Contattarono perfino una strega di New Orleans, molto potente, la quale chiese, per poter localizzare il vampiro,  un oggetto che li legasse a lui: più significativo era l’oggetto, più le possibilità di capire che fine avesse fatto aumentavano. Stefan si vergognò ad ammettere di non possedere nulla del genere; Elena, però, si ricordò di una cosa che aveva conservato distrattamente , e che con il tempo,  era diventata un tenero ricordo di un momento di spontaneità.
 
… Andai in camera e presi la scatola in cui conservavo i ricordi di una vita troppo lontana e la trovai lì, dove l’avevo lasciata…»

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Capitolo 13
*** Cenere - Ferma a non capire dove voglio andare. ***


“[…]Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.
Come poter non amarti se per questo devo amarti.
Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.
Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa.
Sete di te, sete di te, ghirlanda atroce e dolce.
Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.
Gli occhi hanno sete, perché esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete, perché esistono i tuoi baci.
L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge come l'acqua nel fuoco”

-da Venti poesie d'amore e una canzone disperata- Sete di te m'incalza-
Pablo Neruda.

 
 
Elena si fermò per cercare l’ultimo sprazzo di coraggio per raccontare quel che aveva rimandato anche troppo. Il silenzio del suo pubblico si era propagato a tutto il resto: si sentiva dentro una bolla d’aria.
Espirò e si addentrò nel cuore del suo passato:
«Tra la mia vecchia divisa da Cheer-leader e delle fotografie di un passato che non ricordo neanche più, avevo conservato una rosa… me l’avevi data distrattamente, altrettanto distrattamente l’avevo tenuta con me…»
Nella testa di Damon si materializzò il ricordo: lui discuteva con lei per via delle domande poco opportune che Jeremy faceva allo sceriffo sulla morte di Vicky.
 
Erano alla veglia organizzata per la morte di Vicky Donovan, a casa dei Loockwood. Stefan era all’inizio della sua ricaduta nel tunnel del sangue e dava i primi segni di squilibrio.
 «Hai visto che sta combinando tuo fratello
chiese lei, avvicinandosi al bar dove lui stava ordinando qualcosa di forte.
«No… ero troppo impegnato a tenere d’occhio il tuo»
rispose, prendendo il drink preparato dal barista.
«Jeremy fa domande sulla morte di Vicky Donovan»
le spiegò.
«Sa che è morta per overdose»
disse serena.
«Davvero? “Oh, ma sceriffo… qualcuno l’ha seppellita! Chi sarà mai stato?”»
scimmiottò lui.
«Lo so! Lo so! IO! »
Lei lo guardò confusa. Lui proseguì:
«Potrei soggiogarlo, ma ha della verbena addosso…»
«No! Niente soggiogamento»
lo interruppe lei.
«Se continua a fare domande…»
minacciò lui.
«No, Damon! Sul serio, non voglio fargli di nuovo una cosa simile… ci penserò io…»
lo redarguì lei. Il vampiro sospirò:
«Ok…»
Si girò verso la composizione di fiori poggiata sul bancone , fu colpito dal rosso velluto di una rosa;  la prese sovrappensiero e la annusò:  qualcosa dentro lui sussurrò il nome di Elena. Distrattamente gliela consegnò dicendo:
«Non dire che non ti ho avvertita…»
E la lasciò sola.
 
Ed ora scopriva che quel gesto spontaneo, inconscio, era diventato per lei un ricordo, un legame con lui: lo aveva conservato. Tornò ad ascoltare la storia di Elena:
«… la portai a Nandi, la strega, che aspettava in salotto e gliela consegnai…
 
…Stefan guardò prima lei e poi la rosa senza capire. La strega la prese tra le mani chiudendo gli occhi.
«Sì… sento delle energie potenti. C’è una forte traccia su questa rosa! C’è un’essenza…»
sentenziò. Elena prese posto sul divano, accanto al vampiro. Nandi  recuperò dalla sua borsa una ciotola e due ampolle piene di liquido scuro. Mise la rosa dentro la ciotola, ci versò sopra qualche goccia da ognuna delle ampolle, chiuse gli occhi e vi  pose sopra le mani. Iniziò a recitare delle formule nella lingua in cui avevano spesso sentito parlare Bonnie. Un vento improvviso si levò intorno a loro, i due controllarono se avevano lasciato qualche finestra aperta, ma la casa era sigillata. La strega continuò a recitare le sue formule, fino a quando la ciotola iniziò a tremare e, improvvisamente,  il suo contenuto prese fuoco.
Il vento cessò e la fiamma  si spense. Al posto della rosa secca, ora,  c’era un cumulo di polvere grigia. Elena spalancò gli occhi terrorizzata: il suo ricordo era diventato cenere.
Nandi crollò sullo schienale della poltrona su cui era seduta, ansimando. Aprì gli occhi e disse:
«Mi dispiace… chiunque fosse impresso su quella rosa… è morto… di recente…»
 
«Ma… non capisco…»
intervenne Jessica.
«Nemmeno noi… non al tempo…»
rispose.
«Sulla rosa c’era la tua essenza, non la mia… io l’avevo regalata a te, avevo pensato a te… c’eri tu sulla rosa… e tu eri morta… da poco…»
disse Damon, da un’altra dimensione. Nella sua testa iniziò a capire cosa fosse successo dopo, voleva fermare Elena, non era più sicuro di voler sentire. Ripensò al suo dolore la notte prima… quegli occhi disperati tornarono a tormentarlo. Strinse i pugni e continuò ad ascoltarla:
«Sì… ma non lo potevo sapere… e prima di poter capire…
 
…Elena recepì le parole di Nandi sentendo squarciarsi l’anima. Guardava i resti inceneriti dell’unico ed ultimo ricordo di Damon.
Nient’altro che cenere. Ecco cosa le era rimasto di lui: non un saluto, non un bacio, non un abbraccio… cenere.
Sentì un rumore secco rimbombarle per tutto il corpo, mentre la strega la guardava con aria contrita. Provò una rabbia improvvisa: quella donna, quella portatrice di morte, aveva ucciso anche il suo ultimo ricordo. Prima di potersene rendere conto le saltò addosso, le strinse il collo con una forza che non fu in grado di controllare. Stefan si mosse troppo tardi: Nandi morì con la trachea schiacciata. La vampira restò in piedi a fissare quel corpo senza vita, aspettando che la rabbia e il dolore andassero via.
Aveva ucciso la fonte di quei sentimenti d’odio, aveva eliminato il problema: perché allora non si sentiva meglio? Perché non arrivava la serenità?
«E-Elena… cosa…»
balbettò lui.
«Ha bruciato la rosa, Stefan! Ha bruciato la mia rosa!»
gli urlò. Grosse e calde lacrime iniziarono a sgorgarle dagli  occhi,  in cui tornava a comparire l’iride. Il velo che le aveva ottenebrato la mente si abbassò e la visione nitida di un corpo senza vita la investì con violenza. La consapevolezza di quello che aveva fatto iniziò a bruciarle in testa. Indietreggiò tremante, scuotendo la testa.
«N-n-no… io… no… oh mio dio! Stefan! C-cosa… oh… cosa ho fatto!»
Lui le andò vicino e provò ad abbracciarla ma lei si scostò. Non voleva essere toccata, non voleva sentire niente. Jeremy rientrò in casa insieme a Matt, rimasero  immobili ad osservare la scena. I due ragazzi non capirono subito cosa fosse accaduto, ma la donna che giaceva sulla poltrona con la testa penzolante non lasciò spazio a dubbi.
«Cosa è successo? Chi è quella?»
domandò Matt.
«Io… I-io… io non volevo… io… lei ha bruciato la rosa… io…»
singhiozzò Elena.
Riuscirono a calmarla dopo ore e, quando finalmente  la convinsero a dormire un po’,  Stefan spiegò ai due l’accaduto: comunicò loro ciò che la strega aveva detto, prima che la vampira la aggredisse. Jeremy scosse la testa.
«No… non è possibile… Elena non lo farebbe mai! Lei non è un’assassina»
si oppose.
«Ma è anche un vampiro ora… ogni sua emozione è amplificata… tutto quello che prova…»
cercò di spiegare Stefan.
«No! Ti sbagli… non aveva motivo di reagire così… perché avrebbe dovuto? Non è stata lei! No!»
obiettò il ragazzo.
«Cosa vorresti dire con questo?»
domandò il vampiro.
«È di tuo fratello che stiamo parlano! Tu hai perso tuo fratello!  Che c’entra lei?»
lo accusò. Le recriminazioni di Jeremy lo marchiarono a fuoco. Stefan abbassò la testa e cercò di trattenere le lacrime. Non poteva lasciarsi andare, non poteva cedere in quel momento. Non poteva accettare  l’idea che Nandi  avesse ragione.
«Jeremy…»
disse piano, Matt.
«Lascialo stare… non è il momento…»
Poi, rivolgendosi al vampiro, aggiunse:
«Vai! Resto io con loro»
Stefan annuì e scappò via da quella casa. Andò da Caroline e trovò rifugio nella sua amicizia.
Con l’aiuto dello sceriffo cercarono di insabbiare la vicenda, ma nulla tornò più come prima.
 
Fu una caduta libera verso il fondo. I sensi di colpa di Elena non si limitavano al solo omicidio di Nandi, lei non riusciva a darsi pace per la morte di Damon. Provarono a dirle che, forse, c’era un’altra spiegazione, che magari la strega si sbagliava o che la rosa non era l’oggetto giusto, ma lei non ascoltava alcuna ragione.
Tutti provarono a starle vicino a turno, nessuno di loro, però, riusciva a trovare l’accesso al suo cuore, alla sua mente … alla sua umanità.
Ognuno giocò le proprie carte: Matt l’amico di sempre, Stefan l’amore che avrebbe dovuto conoscerla, Caroline l’amica che ne condivideva l’esistenza da vampiro, Jeremy la famiglia da proteggere.
Fu solo per quest’ultimo  che riuscì a mantenersi ‘normale’, ma qualcosa in lei si era rotto: a scuoterla,  si sarebbero sentiti i cocci suonare una marcia funebre.
Passarono le stagioni ed Elena si sentì sempre più in balìa del suo male. Nei suoi sogni c’era solo il volto della strega che, stretta tra le sue mani, si trasformava in quello di Damon: «Ci hai uccisi» diceva svegliandosi urlando. Iniziò a covare rabbia verso tutti quelli che la circondavano:  con il loro voler  andare avanti, la irritavano. Ogni sorriso sulle labbra degli amici, era per lei un’iniezione di veleno, ogni giorno che passavano a non piangere per Damon, era una coltellata nel petto, ogni tentativo di non pensare che aveva ucciso una persona, era una goccia in quel vaso colmo d’ira.
Non ci volle molto prima che perdesse completamente il lume della ragione, il colpo finale arrivò all’anniversario della scomparsa del vampiro.
 
Nella testa di  Elena il tempo si era eliso: nella sua nuova dimensione era passato un solo giorno dalla scelta, e  si era convinta di aver detto a Damon la verità al telefono.  Le cose erano andate esattamente come se le era immaginate milioni di volte nel corso di quell’anno: alla domanda del vampiro su chi lei volesse scegliere, aveva risposto: «Damon… ho una paura folle… ma io ti amo! Ti amo! Se avrai pazienza imparerò a starti accanto…».
Lui  era rimasto senza parole ed era corso da lei, spinto dalla sola urgenza di baciarla e farla sua.
Aprì gli occhi e guardò il posto vuoto nel letto. Sorrise e scosse la testa, prese il telefono,  compose il numero di Damon; quando partì la segreteria lasciò un messaggio: «Complimenti, signor Salvatore! Non ti hanno insegnato che non si lascia una donna sola nel letto? Ti perdono solo se torni presto da me… ti amo!».
Si fece una doccia e canticchiò felice, scese in cucina dove c’era il fratello.
«Buon giorno Jer!»
cinguettò lei. Il ragazzo la guardò stranito.
«Cosa? Che è quella faccia!»
chiese sorridendo.
«I-io… solo… è successo qualcosa?»
disse titubante.
«Dove sei stato fino ad ora? Abbiamo vinto! Abbiamo sconfitto i cattivi! Non vedi che bella giornata ci attende?»
rispose lei, gioiosa. Jeremy non capì.
«Hai parlato con Stefan?»
si informò lui. Il vampiro aveva organizzato una veglia per Damon. Lei lo guardò e cambiò espressione.
«Lo hai sentito? Non deve stare bene, vero? Ma non potevo fargli questo, non potevo mentirgli… al cuor non si comanda»
esclamò.
«D-di cosa parli?»
«Di me e Damon! Lo amo, mi ama… »
Il ragazzo si trattenne dallo spalancare la bocca.
«Lo so, lo so… non avete una grande considerazione di lui… ma mi ha promesso che proverà a comportarsi meglio… o quantomeno a far vedere anche a voi le ragioni  per cui me ne sono innamorata! Anzi, è meglio che lo chiami… quello sbadato chissà dov’è finito!»
Andò via, lasciando il fratello basito e terrorizzato.
Provò a chiamare Damon altre volte, all’ennesimo messaggio in segreteria decise di andare a casa Salvatore. Salì in camera del vampiro e non trovandolo tentò nuovamente con il telefono:
«Hey… sono io, ancora! Mi sto preoccupando, per favore, chiamami appena puoi!»
Guardò il letto e si immaginò dormire abbracciata a lui, un sorriso le sbocciò sulle labbra illuminandole gli occhi. Andando via, incrociò Stefan sull’uscio. Si bloccò imbarazzata.
«Elena… ciao…»
la salutò.
Jeremy lo aveva chiamato poco prima,  informandolo della stranezza di Elena. Lei ricambiò il saluto abbassando lo sguardo.
«Come mai qui?»
le chiese. Continuando a non guardarlo ripose:
«Io… cercavo… sono venuta a cercare Damon… lo hai visto?»
Il vampiro spalancò gli occhi intuendo la gravità della situazione. Lei interpretò quell’espressione come dolore.
«Perdonami… io… non avrei dovuto…»
si scusò.
«Elena… Damon non è qui… non c’è più…»
provò a dirle.
«Sì, lo so… sono stata in camera sua… proverò al Grill… ciao!»
Scappò via.
Trascorse il resto della giornata a cercarlo ovunque mentre gli altri si riunirono per capire cosa fare con lei.
L’ultimo luogo in cui Elena andò a cercare Damon, fu a casa di Alaric, ma non lo trovò nemmeno lì. Si sedette sul divano, scoraggiata, e riprovò a chiamarlo:
«Damon… sul serio… dove sei? Mi sto preoccupando… sono a casa di Ric, vieni qui! Mi manchi!»
Si abbondonò  sullo schienale e cercò di mandare via i brutti pensieri che incominciavano a formarsi nella sua mente. Il telefono squillò e saltò in piedi per rispondere:
«Pronto! Damon! Sei tu?»
«Ehm… Elena… sono Stefan… dove sei?»
«Oh, Stefan… sono a casa di Alaric…»
«Posso venire? Devo parlarti… si tratta di Damon…»
«Hai sue notizie? Lo hai sentito???»
«Sì… ci vediamo tra poco»
La ragazza terminò la chiamata stranita.
Perché Damon aveva chiamato Stefan e non lei? Che si fosse pentito? Che non avesse il coraggio di dirle che non la amava più?
Non ebbe il tempo di crollare in quel terrore che qualcuno bussò alla porta. Nonostante la chiamata ricevuta da poco, corse sperando di trovare Damon. Aprì e sulla soglia non c’era solo il suo ex, ma  tutto il gruppo. Elena li guardò incuriosita.
«Che succede?»
domandò. Entrarono tutti in casa e quando vide anche lo sceriffo e la dottoressa Fell , si sentì mancare il fiato.
«Perché sono qui? Dov’è Damon?»
urlò spaventata. Nessuno degli amici trovò il coraggio di parlare. Lei continuò a guardarli terrorizzata, chiedendo spiegazioni con gli occhi colmi di lacrime. Matt trovò il coraggio di dire qualcosa:
«E-Elena… Damon non c’è più… è un anno che è… sparito…»
La ragazza scoppiò in una risata isterica.
«Sei impazzito? Ma se ieri sera siamo stati insieme!»
Tutti si guardarono sconvolti. La situazione era peggio del previsto. La dottoressa Fell si avvicinò ad Elena e, mettendole una mano sulla spalla, la invitò a sedersi.
«Elena… è passato un anno da quando Damon è scomparso»
«Ok, questo scherzo non è divertente!»
proruppe lei. Stefan si avvicinò.
«Elena, cerca di ricordare… è sparito l’anno scorso… noi lo abbiamo cercato ma…»
«Ma? Cosa diavolo stai dicendo? Ok, sei ferito perché ho scelto lui, perché amo lui… ma non è divertente questo scherzo!»
gli ringhiò contro.
«Elena…»
la richiamò Meredith.
«Guardami… cerca di ricordare… Non ricordi Rebekah? Quello che ti ha fatto sul ponte?»
Flash di immagini confuse iniziarono a bombardarle la mente. Scosse la testa rifiutando di accettare quella verità che stava riemergendo. Si alzò di scatto, liberando le mani dalla presa della dottoressa, ed urlò:
«No! Che mi avete fatto! Cosa mi avete fatto!»
Stefan si avvicinò e provò a calmarla. Non appena le sue mani si posarono sulle sue spalle il ricordo dell’uccisione di Nandi l’aggredì violenta. Spinse il vampiro contro il muro a super velocità, infilzandolo con un paletto che stava sulla cassettiera che aveva di fianco.
«Tu! Cosa gli hai fatto! Dov’è!!!»
gridò con quanta forza aveva in corpo. Si allontanò tremando. Stefan si sfilò il paletto dallo stomaco e la guardò piangendo, lei si voltò e vide tutte quelle persone accorse lì, per lei, fissarla impaurite. Meredith si avvicinò cauta.
«Elena… ricorda…»
la invitò. Lei chiuse gli occhi e le immagini di quel che era accaduto, dalla sera sul Wickery fino a quel momento, iniziarono a scorrere veloci: macabro film di un dolore senza voce.
Iniziò a scuotere la testa, cercò di liberarsi di quella consapevolezza senza riuscirci.
Fissò Meredith: lei, come Nandi, aveva fatto morire Damon, di nuovo…
 
…non ci ho più visto e…»
«Basta così!» la interruppe brusco Damon «Ho capito…»
«No…» obiettò lei «Non è tutto… devi sentire tutto…
 
… dopo aver ucciso la dottoressa, Elena impazzì di dolore. Il senso di colpa per aver tolto la vita, di nuovo, ad un altro innocente divenne per lei insopportabile. Chiunque provasse ad avvicinarsi veniva attaccato: aggredì due persone quando provò a scappare ed uccise Jeremy due volte in preda alle allucinazioni.
Consapevoli che stava diventando un pericolo per tutti, decisero di rinchiuderla nella cantina di casa Salvatore, dove vi rimase per 4 anni: alternò momenti di calma ad altri di disperazione. Dovettero ricorrere alla verbena in più di un’occasione per placare le sue urla e per nutrirla, onde evitarne la mummificazione. Non fu più in grado di riconoscere nessuno, ogni persona che provava a parlarle,  si trasformava in Damon ma non appena l’illusione iniziava a sfumare,  la furia e la rabbia riprendevano il sopravvento.  Arrivarono a legarla quando iniziò a farsi del male da sola.
Poi, miracolosamente, Bonnie si svegliò dal coma. I suoi amici aspettarono un po’ prima di dirle la verità su quanto accaduto durante il suo ‘sonno’. La strega ci mise poco a spiegare l’inghippo della rosa e facendosi aiutare da sua madre, trovò un altro modo per rintracciare Damon. Corsero da Elena appena scoprirono che era vivo.
«Elena…»
la chiamò dolcemente.
«Bonnie?»
sospirò stremata.
«Sono io… come stai?»
«Come ti sembra?»
rispose sarcastica.
«Sto immaginando anche te? Ultimamente tendo a parlare solo con i morti…»
aggiunse amaramente. Bonnie le toccò la mano e si asciugò le lacrime.
«No… sono viva, sono reale. Mi sono svegliata dal coma il mese scorso… gli altri hanno aspettato che mi riprendessi prima di dirmi tutto… sai, per evitare un altro crollo…»
spiegò. Elena annuì fissando il  vuoto.
«Sono felice tu stia bene…»
disse distante. La strega le mise le mani sul viso e la costrinse a guardarla. Non appena guadagnata la sua attenzione, disse:
«Elena, devi ascoltarmi molto attentamente… Damon non è morto. So dov’è… la strega aveva letto la tua essenza sulla rosa! Non era lui quello morto… eri tu! Hai capito? Damon è vivo!»
La vampira spalancò gli occhi e provò a mettersi seduta, ma le cinghie che la legavano alla brandina glielo impedirono.
«C-cosa? Tu non stai mentendo, vero? Non me lo sto immaginando!»
farfugliò. Bonnie sorrise e scosse la testa in senso di diniego.
 
… ci misi un po’ per riprendermi, ma la certezza che eri vivo mi fece tornare in me… non bastò a farmi stare meglio per quello che avevo fatto,  non mi sollevò dalla colpa di aver abbandonato  Jeremy… ma almeno quel dolore era andato via… il resto lo sapete…»
concluse.
«Ferma la macchina»
sbottò Damon.
«Cosa?»
chiese la giovane.
«Ferma la macchina, Jess… ti prego»
supplicò lui. La ragazza accostò: il vampiro scese e si allontanò sparendo nella boscaglia. Elena si portò le mani sul viso cercando di non piangere.
«Hai intenzione di dirgli la verità quando torna, o pensi che non la meriti?»
proruppe Jessica. Lei alzò la testa trovando due occhioni verdi, che la fissavano con durezza. 

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Capitolo 14
*** Verità - oltre il tempo e le distanze. ***


“Ti vorrei sempre addosso, anche se pesi”
V.

 
Non appena Elena ebbe finito di raccontare la sua storia, Damon scese dalla macchina e si allontanò. Il suo più grande timore era diventato realtà: “Ecco! Se ne va! Non sei più la sua Elena… ti ha vista per quello che sei diventata: un mostro!” pensò cercando di non piangere. «Hai intenzione di dirgli la verità quando torna, o pensi non la meriti?» si era informata Jessica, distraendola dai suoi incubi.
 
La vampira sollevò il volto guardandola confusa. La ragazza ribadì:
«Gli hai promesso di dire tutto… non solo quello che avresti ritenuto necessario sapesse»
Elena boccheggiò senza capire, Jessica fece roteare gli occhi e sbuffò.
«I-io… non… di cosa parli?»
chiese.
«Oh, lo sai di cosa parlo! Dei 15 anni passati a cercarlo!»
sbottò la ragazza. Lei spalancò la bocca sentendosi spogliata ed esposta nella pubblica piazza.
«T-tu… c-come… i-io…»
balbettò.
«Deve esserti sfuggito il commento di D. sul mio essere molto intuitiva. Sul serio volevi far credere che, dopo aver passato più di 4 anni legata ad un lettino a piangere ed urlare, tu sia semplicemente tornata in te, e basta? Ti sei alzata, ti sei fatta una doccia e sei partita per il mondo, a scoprirne tesori e cultura come se nulla fosse mai accaduto?»
la canzonò. Il suo silenzio fu più eloquente di una qualsiasi scusa; la giovane proseguì:
«Non hai retto un solo giorno senza averlo intorno, sei impazzita di dolore al solo pensiero di averlo perso. Dopo anni di sofferenza hai scoperto che era  vivo, da qualche parte nel mondo,  ed io dovrei bermi la storia che hai scrollato le spalle e ti sei detta “forza, Elena! Pensa a te!”? Perdonami, ma devi aver frequentato solo imbecilli se sul serio speravi di darla a bere a qualcuno. Onestamente non so come quel testone non abbia fatto 2+2… o meglio, lo so, ma gli voglio troppo bene per insultarlo in questo momento…»
«Jess… io… ma come hai…»
farfugliò.
«Mmmh… vediamo: sei stata due volte a Parigi, in agosto e in febbraio… scommetto: la prima volta 12 anni fa, la seconda 7, giusto?»
Lo sbalordimento sul volto della vampira divertì la giovane che continuò con gli indizi:
«Puta caso, io e D., ci siamo stati negli stessi anni e nello stesso periodo… ci hai mancati per una manciata di giorni o non ci hai proprio trovati?»
Lei scosse la testa non sapendo cosa rispondere.
«E poi l’Italia, l’Africa… andiamo!»
commentò la giovane. Elena trovò finalmente il coraggio di parlare:
«Ti è bastato così poco? L’elenco dei posti visitati?»
«Quello… ed il fatto che il tizio del motel avesse una foto di D. a cui ha dato fuoco… l’ho trovata a terra ieri mattina, accanto al cassonetto dei rifiuti… non si vedeva granché, ma si riconosceva…»
spiegò.
«Per caso sei andata in tutti i motel, gli alberghi e gli hotel con la sua foto, soggiogando i proprietari affinché ti avvertissero se il tizio raffigurato si fosse fatto vivo?»
le chiese. Elena arrossì.
«Non potevo certo immaginare girasse con un’umana che poteva garantirgli di stare in una casa di proprietà…»
rispose timidamente. Jessica annuì e fece un gran sospiro.
«Perché non glielo dici e basta?»
«N-non… non credo sia… voglio dire… non puoi capire…»
«Cosa? Che pensavi di trovare l’uomo scomparso dalla tua vita vent’anni fa, ed invece ti sei ritrovata di fronte una sua versione rivisitata e corretta? Che non ti senti più all’altezza di poter stare con lui? Che se gli dicessi che hai girato il mondo in lungo e in largo, solo per ritrovarlo, lui potrebbe concederti una possibilità mosso solo dal senso di colpa?»
Elena la guardò basita e provò ad articolare una frase senza riuscirci. La giovane fece un sorriso storto, che la rese tremendamente uguale a Damon.
«Intuitiva… sì, è un eufemismo!»
scherzò Jessica.
«Allora, mi vuoi raccontare questa storia? Ho ancora una domanda, no? Tranquilla, non gli dirò nulla… lascerò a te l’onore»
Elena la guardò pensando se raccontarle tutto. Si spostò sul sedile anteriore, sospirò e le parole presero il corso dei suoi ricordi:
«Non è stato facile riprendermi… 4 anni e più passati al limite della follia… non è stato proprio come risvegliarsi da un brutto incubo. In più, quando mi hanno liberata, ho dovuto ricominciare da capo:  la parte peggiore è stata riprendere contatto con il mio essere vampiro… finché ero rinchiusa, venivo nutrita per impedire che mi mummificassi. Ho dovuto, quindi, reimparare tutto. Per non parlare dei sensi di colpa: le persone che avevo ucciso o ferito… non riuscivo neppure a guardare Jeremy senza leggergli negli occhi paura …»
Si fermò a pensare a cosa dire.
«Da una parte sapevo che dovevo restare lì, recuperare al male fatto… dall’altra, però…»
«Non facevi che pensare a Damon»
intervenne la ragazza. Elena annuì.
«Sì! L’idea che lui fosse vivo, in giro… non riuscivo a pensare ad altro. Inizialmente fu un salvagente, mi permetteva di non annegare in quella colpa che mi si era appiccicata addosso… poi, però…»
«Hai iniziato a pensare che lui ti aveva lasciata… che era andato via senza voltarsi più indietro»
concluse di nuovo per lei Jessica.
«Io… lo so che è brutto ed egoistico ma… se l’idea di lui vivo mi aveva tenuto a galla, l’odio nei suoi confronti mi fece uscire da quelle torbide acque. Iniziai a dare a lui tutte le colpe delle mie sventure. Se lui non fosse andato via avremmo sconfitto Rebekah… o comunque io sarei stata al sicuro, nessuno avrebbe dovuto organizzare piani alternativi per tenermi lontana da Bonnie. Non sarei diventata un vampiro, non avrei ucciso… non sarei impazzita…»
«No… non è brutto ed egoistico… è atroce!»
proruppe la giovane.
«Lo so… non mi ci è voluto molto per capire che l’errore a monte, non era la scomparsa di Damon… ma il fatto che io l’avessi costretto a scappare. Così, alle colpe passate si aggiunse la consapevolezza di averlo costretto a tornare a soffrire… io ero un vampiro e lui non lo sapeva. Era andato via convinto di avermi lasciata a vivere i miei ultimi anni d’amore con Stefan… non poteva sapere che… ma non è questo il punto…  dovevo abbandonare Mistyc Falls, non potevo rimanere lì, senza invecchiare mentre il mio fratellino diventava un uomo»
«Ti sei trasferita? »
«L’idea era quella… poi… non avevo legami, non avevo limiti. Damon era là fuori ed io dovevo solo trovarlo!»
«Ma non sapevi come fare…»
«No… chiesi aiuto a Bonnie. Non è più stata la stessa dopo il coma, non ha più riacquistato tutta la sua potenza. Però è riuscita comunque ad indicarmi tutti i suoi spostamenti nel corso degli anni. Il margine di tempo era sicuramente un ostacolo… ma ora capisco che, pur trovandoci nello stesso luogo, lo stesso giorno lo avrei cercato nei posti sbagliati…»
«Bettole e motel…»
«Mentre avrei dovuto cercare tra musei e zoo, probabilmente…»
Elena rise, immaginandosi Damon fare il papà.
«Continuo a non capire perché non dirglielo»
le disse Jessica.
«Perché… perché lo hai visto… la ragazza di cui si è innamorato è morta tanto tempo fa… averlo cercato non fa di me una persona degna del suo amore. Sono rotta, capisci? Sono diventata un mostro, mentre lui è diventato un padre… avrei potuto sperare nell’amore del Damon che aveva lasciato Mistyc Falls… ma quello che è scappato via da questa macchina, quel Damon non potrà mai… amare questa me…»
La ragazza guardò la vampira con un’espressione confusa.
«Sei davvero tanto idiota?»
Lei la guardò colpita da quell’accusa.
«Il ricordo… quello che è riemerso il giorno della tua transizione, ricordi cosa ti ha detto lui? “io non ti merito, mio fratello sì”…»
«Jess… ero diversa io… ed era diverso lui…»
Jessica fece una risata sarcastica.
«Oh, ma davvero? Lui era diverso? E perché? Perché faceva il gradasso e lo spocchioso? Hai mai sentito parlare di maschere? Sai, quelle che una persona indossa quando teme di esporsi… e tu… cielo! Come fai ad essere così cieca? Ma non lo capisci? Lui non si sentiva alla tua altezza, eppure, da quel che so io, e da quel che mi avete raccontato voi, a me non sembra affatto! Insomma, lui ti ha incontrata una notte e ti ha augurato di ottenere tutto dalla vita, e non ha MAI utilizzato quel ricordo per avere la tua approvazione! Ma, anche volendo lasciar perdere questo gesto… stiamo parlando di un uomo che ha lottato 150 anni per una stronza che gli ha preso il cuore e lo ha usato come punta spilli… che razza di mostro potrebbe essere uno che ama così? Per non parlare di quello che ha fatto per Rose! O di come, nel pieno del suo essere… come lo hai chiamato? Ah! Sì! “bastardo, menefreghista”, si sia prestato a fare da cavaliere ad una ragazzina spaventata all’interno di un concorso ridicolo! E non lo ha fatto per ottenere qualcosa, ma solo per regalarti un buon ricordo di un’occasione che ti legava a tua madre! Sei sicura lui non fosse alla tua altezza? O forse era il contrario? Forse eri tu… voi, a non meritarvi un uomo del genere accanto!»
La ragazza iniziò a piangere.
«Ha passato vent’anni a crescermi, finendo ogni sera a fottersi  un fegato sempre nuovo, attaccato ad una bottiglia… e tutto per te! Una codarda! Credi di essere diventata un mostro dopo la tua trasformazione? Beh, notizia flash! Lo eri già prima! Lo sei stata tutte le volte che gli hai schiacciato il cuore senza problemi! Lo sei stata quando hai preferito mentirgli piuttosto che ammettere di temere il suo amore! E pretendevi  anche restasse lì a guardarti! A vederti vivere la tua favoletta con suo fratello… gli hai tolto tutto! Ed ora gli vuoi togliere anche la soddisfazione di sapere che hai girato il mondo cercandolo, sperando di riaverlo indietro solo perché pensi di non essere migliore di lui?»
Si asciugò gli occhi con rabbia, iniziò a tirare pugni contro il volante. Elena la fermò e la strinse a sé, lei continuò ad agitarsi per qualche istante prima di cedere al suo abbraccio e scoppiare in singhiozzi.
«Lo so… lo so…»
le sussurrò, cercando di calmarla.
«Mi dispiace…»
disse Jess dopo un po’, continuando a piangere. Si liberò dall’abbraccio di Elena e la guardò negli occhi.
«Io… io lo amo… e vederlo soffrire per tutta la mia vita è stato devastante… ed ora capisco che la sua felicità è legata indissolubilmente a te… e tu… tu continui a temerlo… lui ha affrontato l’inferno per molto più di 4 anni… lui si sveglia e si addormenta nel dolore. Tu lo puoi sollevare, capisci? Credi sia scappato da questa macchina spaventato da quello che sei diventata? Credi che sia là fuori ad urlare per aver perso la donna di cui è innamorato? Lui è lì ad accumulare altro odio verso se stesso… per averti condannata a quel martirio! Sai quale è stato, probabilmente, il suo unico pensiero da quando ti ha incontrata? “Se fossi rimasto! Se solo fossi rimasto”… perché avrebbe preferito morire dentro, vedendo la tua felicità, piuttosto che sapere che non ne hai avuta nemmeno un po’. È questo che lo ha fatto scappare da qui… non tu, non quello che sei diventata. Se ti odi, se gli dimostri di detestare ciò che sei…  lui si sentirà colpevole… e non importa quante volte gli dirai “non ti azzardare a pensarlo o ti spacco la faccia!”… lui sarà sempre quello convinto di averti rovinato l’esistenza. Capisci perché gli devi dire che per lui affronteresti tutto di nuovo? Che non c’è tempo che non aspetteresti o distanza che non percorreresti per lui? Lo capisci?»
la supplicò. La disperazione brillava insieme alle lacrime in quegli occhi così trasparenti. Mentre  Elena li guardava  si sentiva bruciare la pelle. Damon era riuscito a trasmettere alla figlia anche la capacità di amare attraverso uno sguardo. Annuì e l’abbracciò di nuovo.
«Glielo dirò… ma sei sicura a te stia bene?»
domandò. I ricci castani danzarono per dire di sì.
«Io voglio sia felice… e la sua felicità sei tu! Dovrai lottare ogni secondo per il suo amore, senza mai darlo per scontato…»
«Perché lui ne vale la pena…»
finì per lei, Elena. Jessica si allontanò per guardarla in viso e sorrise entusiasta.
«Se ti aspetti che ti chiami “mamma”, però, inizi davvero male!»
le intimò. Le due scoppiarono a ridere.
«Sono contento vi stiate divertendo»
La voce di Damon risuonò improvvisa.
 
Damon era sceso dalla macchina sentendo il bisogno di stare in uno spazio aperto. Messi i piedi a terra capì che non era lo spazio ristretto dell’abitacolo a farlo sentire schiacciato, era il suo corpo: non riusciva più a starci dentro. Ribolliva di così tanti sentimenti contrastanti che si guardò la pelle per assicurarsi non si stesse lacerando. Camminò senza meta, sentiva solo di non potersi fermare. Si illudeva, ad ogni passo, di potersi liberare di quella storia, di quella colpa: lui era andato via ed il mondo era crollato.
La donna che amava, la donna a cui aveva detto:  «Io sceglierò sempre te!», aveva passato l’inferno perché lui non era stato in grado di accettare la sua scelta: Stefan. Non era stato capace di essere felice per la sua felicità. Aveva scelto se stesso, aveva optato per salvaguardare il suo cuore. “Egoista! Sei stato un egoista!” si rimproverò. La immaginò, legata e disperata ad un lettino, al buio di una cantina umida. Sarebbe dovuto restare, tenerla al sicuro per un altro paio d’anni e poi andare via, lasciarla alla sua vita piena di opportunità: crescere, avere figli, realizzare i propri sogni.
L’aveva uccisa lasciandola sola… l’aveva distrutta.
Camminava con il dolore a guidarne i passi e la colpa e gestirne i sentimenti.
Si guardò la mano e fissò il suo anello di lapislazzuli blu. Alzò la testa al cielo,  un timido sole pomeridiano rendeva d’ambra la natura circostante. Mise le dita sull’anello e fece pressione per tirarlo via. Due occhi verdi ed una cascata di ricci lo fermarono: “hai rovinato la vita anche a lei” disse una voce perfida.
Ricominciò a sfilare l’anello; quando la fascetta argentata arrivò sull’ultima falange, gli venne in mente una frase detta da Elena: « Ed ho mentito! A te… ma soprattutto a me stessa». Gli aveva detto così prima di concedersi a lui. Bugie, menzogne… quante volte lui si era trovato a dire una cosa per un’altra?
Elena aveva mentito non scegliendolo, aveva mentito facendogli credere di non amarlo abbastanza… gli aveva mentito…
La sua mente uscì dal torpore causato dal dolore:  si infilò nuovamente l’anello, si voltò e tornò verso la macchina. Man mano che si avvicinava tutti i pezzi di quel puzzle scomposto e disordinato iniziarono a mettersi a posto da soli… mancava ancora qualcosa, certo, ma avevano l’eternità per rimediare!
Arrivò all’auto e trovò le ragazze intente a ridere di gusto. Quel suono gli scaldò il cuore e gli fece esplodere un sorriso sulla faccia.
 
«Posso sapere che cosa c’è di tanto divertente?»
Jessica scese dalla macchina ed andò ad abbracciarlo.
«Le stavo raccontando di quando hai dovuto interpretare l’albero della saggezza nella mia recita di 5^ elementare»
lo prese in giro lei. Lui la strinse forte e disse:
«Non hai mai fatto recite in vita tua… sei un’attrice pessima! Ed io sono troppo bello per interpretare un arbusto»
Elena scese dall’auto e lo guardò timorosa. Damon si liberò della stretta della figlia e si girò verso di lei.
«Hey…»
sospirò. Lei gli si avvinghiò addosso ed affondò i polpastrelli nella sua schiena.
«Mi dispiace…»
iniziò a dire lui.
«Sono solo felice che tu sia tornato»
lo interruppe lei.
«Magnifico! Ora possiamo ripartire! Se continuiamo così, mi verranno i capelli bianchi prima di arrivare a Dallas!»
I vampiri la guardarono ridendo, salirono in macchina e ripresero il viaggio.
Dopo qualche ora si fermarono lungo la strada per riposarsi un po’. Trovarono un pub e decisero di concedersi un po’ di svago. Presero dei panini e delle birre e quando misero della musica country, Jessica trascinò Damon a ballare:
«Andiamo! Vediamo questo famoso movimento di bacino e constatiamo chi è più bravo»
Si rivolse ad Elena e, puntandole contro un dito, disse:
«Elena! Tu sarai giudice imparziale! Mi raccomando!»
Lei annuì ridendo e li osservò ballare. Tutta la gelosia provata per la ragazza e per il suo rapporto con il vampiro si trasformò, di colpo, in un profondo senso di gratitudine: lo aveva salvato, lo aveva amato.
Dopo un paio di balli Jessica si avvicinò al tavolo tenendo Damon per mano.
«Ok, D.! Hai vinto! Sei il maestro supremo delle danze… ora porta la tua ragazza a fare quattro salti, se no quel panino le si depositerà sui fianchi!»
esclamò. Elena lo guardò con un filo di imbarazzo: sentirsi definire “la sua ragazza” le procurò un attimo di pace interiore e capì di non desiderare altro che poterlo amare senza segreti sulla coscienza. Lui le porse la mano, lei lo guardò maliziosa e lo seguì in mezzo alla pista. La musica cambiò: una ballata lenta, romantica rallentò il ritmo delle danze.
Guardarono in direzione di Jessica che spalancò le braccia facendo intendere di non averne alcun merito: era solo il destino. Quando tornarono occhi negli occhi, sembrò loro di non essersi guardati da secoli. Iniziarono a dondolare tenendo i piedi incollati al pavimento, entrambi con la paura di precipitare se solo avessero azzardato un passo.
I loro corpi aderirono prendendo l’uno la forma dell’altra, accogliendosi, ed il desiderio di essere soli, senza mondo intorno e vestiti addosso li invase violento. Lui la strinse di più a sé e lei sentì la forza magnetica di quelle labbra morbide e definite, dispensatrici di scariche elettriche. La musica lenta finì prima che uno dei due cedesse al proprio istinto e una nuova sincopata melodia ruppe quel momento così perfettamente sintonizzato sui loro desideri, riportandoli alla realtà. Una realtà in cui molte cose erano ancora da dire.
Ripresero il viaggio e si fermarono in un motel poco più avanti.
«Ti occupi tu della stanza, Elena… o questo proprietario non è nel tuo itinerario?» 
chiese con malizia, Jessica. La vampira scosse la testa e la ragazza andò ad occuparsi della camera.
«Cosa voleva dire?»
si incuriosì lui. Lei fece spallucce ed ingoiò un po’ di imbarazzo. Gli avrebbe detto la verità, ma non in uno squallido parcheggio di un motel. Prima che lui potesse indagare oltre, Jessica tornò con due mazzi di chiavi.
«Incredibile! Pare che solo il motel all’inferno possedesse una camera con due letti matrimoniali! Assurdo, vero? Comunque, ci dovremo dividere per stanotte… D. tu dormi nella singola, ok?»
L’espressione dei due a quella dichiarazione la fece scoppiare a ridere di gusto.
«Vi dovreste proprio vedere!»
Lanciandogli un mazzo di chiavi aggiunse:
«La 408 per voi…»
Strizzò loro l’occhio e si diresse verso la sua stanza. Rimasti soli, si scambiarono uno sguardo vagamente impacciato ed andarono  verso la camera. Entrarono silenziosi e poggiarono le loro cose.
«Io mi faccio una doccia»
la informò. Lei annuì, trattenendosi a fatica dal seguirlo: doveva “prima” parlargli. Lui andò in bagno e si sforzò di non tornare indietro per afferrarla e trascinarla sotto l’acqua con lui, si aggrappò addirittura al lavello… ma cedette. Tornò nella stanza e la trovò seduta sul letto con una camicia premuta contro al viso. Lei abbassò l’indumento sussultando. Damon guardò meglio e disse:
«Quella è…»
«Sì… l’ho presa nel tuo appartamento a Denver… »
confermò lei. La fissò sorpreso.
«Damon… ti devo dire una cosa…»
Il suo tono lo mise in agitazione. Si avvicinò e, sedendosi accanto a lei, la ascoltò raccontare dei suoi viaggi all’inseguimento delle sue tracce. Lui assorbì rapito ogni sua parola e quando la voce di Elena si spense, si sentì incapace di formulare un qualsiasi pensiero. Dal vuoto che regnava nella sua testa, però,  uscì fuori una domanda:
«Denver… come mai eri lì?»
Lei rispose sorridendo:
«Il primo posto in cui ti ho cercato è stato il motel: ogni volta che tornavo da un viaggio fallito, andavo lì… sperando che un giorno o l’altro saresti tornato a… non so… a bruciare il motel, uccidere chiunque si trovasse lì… o semplicemente a dormire nello stesso letto… »
Damon le scostò una ciocca di capelli dal viso, incastrandogliela dietro un orecchio, la contemplò come faceva un tempo e lei non si sentì più in grado di resistere: lo baciò con dolcezza, assaporandolo come fosse il suo primo pasto dopo mesi.
Lui si alzò e se la tirò contro. Incapaci di resistere oltre, si spogliarono e, rimasti nudi, si avvicinarono per mischiarsi la pelle. Lui le baciò ogni centimetro del viso con perizia: sulla fronte, sul naso, sugli zigomi, sul mento, sugli occhi, sulle labbra. Le loro mani si intrecciarono e ripresero il ballo lasciato in sospeso sulla pista. Non c’era musica ad accompagnarne i lenti volteggi, ma una melodia tutta loro aveva appena iniziato a suonare al ritmo dei loro cuori: fermi da anni ma mai così palpitanti. Mossero qualche passo verso il letto e planarono sul materasso, incastrandosi come pezzi di un ingranaggio che tornava a funzionare dopo anni di abbandono. Il vigore del mare in tempesta espresso sul tavolo della cucina, lasciò il posto alla calma placida del fiume che scorre lento, costante.
Si guardarono negli occhi per tutto il tempo e quando fu il momento di esplodere di piacere, lei si aggrappò a quella schiena possente, sincronizzandosi a lui; occhi negli occhi si guardarono scoppiare come fuochi artificiali.
Lui le crollò addosso e lei lo abbracciò forte, trovando nel peso del suo corpo la gravità necessaria per tornare sulla terra. Si addormentarono ridendo e si svegliarono sognanti.
Con la testa ancora immersa nello stesso cuscino lo osservò toccandogli il viso.
«Cosa?»
chiese lui. Lei continuò a far scorrere i polpastrelli su quell’isola di indicibile bellezza.
«La tua faccia… è diversa… è come se la vedessi oggi per la prima volta… perché?»
disse. Lui deglutì, sperando di far tornare indietro quella risposta che lo terrorizzava da morire, ma non ci riuscì:
«Sono felice…»
Negli occhi di lei si accese una luce e lui desiderò di esserne illuminato per sempre. Lo baciò prima di alzarsi splendida e nuda, raccolse la camicia appallottolata ai piedi del letto e se la infilò tenendola chiusa con le mani: a Denver ne aveva fatto saltare tutti i bottoni. Lo guardò maliziosa e lo invitò a fare la doccia con lei. Lui scivolò dal letto fluttuando come una nuvola e sotto l’acqua si accesero di nuova passione, lavando via i resti di un dolore che non aveva più motivo d’essere.
Più tardi, mentre provavano a tenersi i vestiti addosso, Jessica bussò alla porta. Aprirono e lei entrò reggendo in mano una busta di carta.
«Ho portato la colazione… avete lasciato a me le vostre scorte di sangue! Avete parlato?»
volle sapere; i due si guardarono languidi.
«Agh… cielo! Un po’ di decenza! La mia era una domanda seria! Elena… avete “parlato”?»
Elena annuì.
«Sì, gli ho detto “tutto”»
la rassicurò.
«Bene! Allora possiamo partire!»
Batté le mani, nel suo tipico gesto di impazienza.  A malincuore finirono di prepararsi e caricarono i loro bagagli in macchina. Jessica si mise di nuovo al posto di guida.
«Che hai intenzione di fare?»
la richiamò Damon.
«Guido io!»
«Questo lo vedo… ma… perché?»
«Voi salite in macchina… prima dobbiamo passare in un posto»
comunicò sorridente. I due vampiri ubbidirono guardandosi confusi.

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Capitolo 15
*** Meta - A un passo dal tuo amore. ***


Ad Isa B.
buon compleanno!!!


Jessica guidò per un paio d’ore in silenzio, con uno strano sorrisetto sulla faccia. I due vampiri, credendola incapace di tacere tanto a lungo, attesero fosse lei a parlare per prima. Quando fu chiaro che lei non avrebbe aperto bocca, Damon sbottò:
«Ok, Jess! Ci puoi dire dove stiamo andando?»
«Oh, lo vedrete presto… non manca molto. Due, tre ore al massimo»
rispose lei continuando a ghignare. Il vampiro si voltò a guardare Elena, seduta sul sedile posteriore, per capire se, almeno lei, ne sapesse qualcosa.
«Sei sicura non ti abbia detto niente?»
domandò. Lei scosse la testa in segno di diniego:
«Brancolo nel buio più totale… Jess, un indizio?»
La ragazza rise, sospirò e disse:
«Visto come ci si sente quando una persona non parla? Comunque, non vi dirò dove siamo diretti… ma… se la memoria non mi inganna, “qualcuno” ieri non ha rispettato il nostro patto… ne deduco che le domande a mia disposizione, oggi, saranno 3»
Damon corrugò la fronte.
«Perché mai 3? Ieri una domanda, oggi un’altra… sono 2»
obiettò. Jessica lo guardò di sguincio.
«Una domanda di ieri ed una di oggi a te, e sono 2, una alla tua ragazza… fanno 3! La matematica non è un’opinione, mio caro D.»
ribatté lei. Lui sbuffò scuotendo la testa.
«Ok… fai la tua domanda!»
disse esasperato.
«Dunque, perché l’hai soggiogata a dimenticare il vostro primo incontro?»
La domanda lasciò spiazzati i due, che si scambiarono una rapida occhiata. Lui sollevò le sopracciglia e rispose:
«Avevo il mio piano per liberare Katherine, non potevo permettere che nessuno sapesse della mia presenza a Mystic Falls…»
Jessica annuì abbassando gli angoli della bocca.
«Sì, ora mi dici il vero motivo? E bada bene, non mi hai risposto davvero, quindi questa non vale come seconda domanda!»
lo redarguì. Lui spalancò la bocca senza riuscire a dire niente.
«Andiamo, D.! Vorresti farmi credere che temevi veramente che una ragazzina avrebbe potuto andare in giro a dire… cosa? Che aveva incontrato un affascinante ragazzo nel cuore della notte?»
lo canzonò lei.
«Beh… sembra tu ne sappia più di me… dimmelo tu, allora…»
la istigò lui.
«Mmmh… ok! Ricorda che mi restano ancora due domande però»
lo avvertì, e proseguì:
«Per come la vedo io, ti sei aperto con questa ragazza così uguale a Katherine ma, in un modo che non riuscivi a capire, totalmente diversa da lei. Avete fatto due chiacchiere e ti sei reso conto che avresti desiderato passare tutta l’eternità a parlarle. Questo ti ha spaventato: dopo 150 anni hai sentito la fede per il tuo grande amore chiuso nella cripta, vacillare. Lei ti guardava come avevi sperato facesse Katherine: con curiosità, malizia… interesse. Di colpo hai realizzato che anche zio Stefan era lì, che probabilmente l’avrebbe vista e avrebbe voluto incontrarla… perché tu conosci tuo fratello. Il tuo cervello ha iniziato a viaggiare veloce: hai pensato che l’immagine mostrata alla dolce sconosciuta, si sarebbe scontrata con quella che avresti dovuto indossare per approcciarti a Stefan o a chiunque si fosse messo sul tuo cammino per arrivare  a Katherine. Hai deciso, quindi di cancellare quel ricordo e ti sei liberato dell’incombenza di non deludere quegli occhi… fermami se sbaglio, eh!»
Damon restò a guardarla elaborando le sue parole. Elena, dal sedile dietro, ascoltava rapita. Quel modo diretto e schietto di aggirare ogni scoglio, era ciò che sarebbe servito per risparmiarle 20 anni di dolore. 
«Ora… torniamo alla mia domanda… non differisce molto da quella a cui non hai risposto: perché l’hai soggiogata a dimenticare di averle detto “ti amo”?»
«A che gioco stai giocando, Jess?»
«Nessun gioco, solo voglia di capire un po’ di cose…»
rispose lei, serena.
Lui alzò le spalle ed espirò.
«Non volevo metterla in imbarazzo… era una cosa che le volevo confessare per puro egoismo. Ero io ad aver bisogno di dirglielo… se avesse ricordato avrebbe vissuto il disagio di doverlo riferire a Stefan»
«Ah! Sono felice di constatare che le mie domande restano due!»
Lui corrugò la fronte.
«Questo cosa vorrebbe dire?»
«Quello che ho detto. Ti ho fatto una domanda e tu non mi hai risposto, non sinceramente almeno…»
«A quanto pare oggi hai già tutte le risposte… illuminaci di nuovo, ti prego!»
la stuzzicò lui.
«Beh… il problema è sempre lo stesso! Se le avessi fatto ricordare quella parte di te, vulnerabile, capace di amare e piangere… avresti anche dovuto giustificare l’altra, quella che mostravi a tutti, quella che facevi passare per il tuo “vero” modo di essere. Non si trattava di egoismo, ma di codardia. Ti eri reso conto di amarla, di voler essere alla sua altezza, ma temevi di non riuscirci e, peggio, temevi di non essere comunque ricambiato. Il tuo sentirti perennemente in difetto verso tutto, ti ha messo nella condizione di credere di non meritare nulla, tantomeno lei. Quando lei ha scelto, di nuovo, zio Stefan, il dubbio che potesse averlo fatto per paura non ti ha nemmeno sfiorato.  Hai dimenticato con chi stavi parlando ed hai preso la cosa per buona, anzi, ti sarai detto “ovvio che ha scelto lui! Lui la merita”... ed ecco che torno, di nuovo, alla mia domanda. Spero questa volta risponderai onestamente: che ha fatto Stefan per meritarsela più di te?»
Damon si sentì confuso e smarrito. Non si era mai posto quella domanda, perché nella sua mente la risposta era ovvia: solo ora si rendeva conto di non averne una.
«Io… io non lo so…»
rispose con un filo di voce. La mente di Elena iniziò ad elencare tutte le cose che i fratelli avevano fatto per lei, al modo in cui si erano prodigati per salvarla o per tenerla al sicuro. Erano sempre corsi in suo soccorso, anche quando lei non voleva essere salvata. Ma c’era una differenza tra i due, una differenza nel loro modo di soccorrerla: Stefan era condizionato da ciò che lei decideva, la salvava rispettando le sue scelte; Damon era succube del suo amore per lei, e la salvava ad ogni costo, mettendola davanti a tutto… perfino a se stesso.
Il ricordo di quando,incauta, aveva accettato di sacrificarsi a Klaus, con la sola garanzia di un elisir che “forse l’avrebbe tenuta in vita”, la portò indietro nel tempo, nella stanza di Damon.
 
Lui era furioso: con lei, con Stefan, con Elijah. Lei voleva calmarlo, voleva fargli accettare il suo piano. Ma l’idea di perderla non era accettabile, e la garanzia di un “forse” non era abbastanza, non per lui.
Gli aveva detto che era una sua scelta e che lui doveva accettarla, ma come si può accettare di perdere la persona amata? Lui, Damon, non poteva.
 
«Non posso perderti»
le aveva detto, disperato.
«Non lo farai»
lo confortò lei. Rimase immobile a guardarla allontanarsi. Osservò la sua schiena, ed il terribile pensiero che potesse essere l’ultima volta che la vedeva, gli avviluppò le interiora, in una morsa dolorosa. La sua mente corse a cercare soluzioni inesistenti. Poi, la più terribile, la più atroce, fece capolino annientando tutto il resto.
Scattò e gli si parò davanti, lei si bloccò confusa.
«Forse c’è un altro modo»
le disse. Prima che lei potesse capire cosa stesse accadendo, il suo viso diventò una maschera da predatore, si morse il polso e glielo spinse contro le labbra.
Costringendola a bere il suo sangue : se fosse morta, sarebbe tornata vampiro. L’aveva condannata, ma almeno sarebbe stata viva!
 
In passato non aveva capito  la sua disperazione e, nemmeno quando lei stessa l’aveva provata sulla propria pelle, aveva colto le motivazioni di un amore così estremo: “Meglio con cento altre donne che morto! Con chiunque! Ma vivo! Io voglio che sia vivo” si era trovata a pensare, pur di non arrendersi all’idea di non rivederlo più. Aveva addirittura riscritto la storia pur di fuggire una realtà inaccettabile, eppure nemmeno allora aveva compreso: solo adesso riusciva a capire…
 
Ora che una ragazza senza peli sulla lingua li aveva costretti, entrambi, a parlare, a tirare fuori tutto quello che loro, per chissà quale ragione, avevano deciso di tacere.
«Jess… ci sono un sacco di cose che non sai… che dovresti sapere. Io non sono sempre stato così, come mi conosci tu. Se le persone mi odiavano, non era solo perché io facevo credere loro di essere pessimo… io ERO pessimo. E per molto tempo ho voluto esserlo, ho provato piacere ad esserlo… »
disse Damon, riportando indietro Elena dal suo viaggio nel passato.
La giovane, a quelle parole, annuì nuovamente.
«No, no… ho capito… sei stato cattivo, hai fatto del male… bla bla bla, le conosco queste storie. Quello che non so, quello che non mi hai mai detto è: cosa ha fatto Stefan più o meglio di te, tanto da convincerti che essere un mostro fosse l’unico vestito a starti bene addosso? Cioè, a me pare che lei si sia innamorata di te, nonostante tu fossi “pessimo”…  perché lei si è innamorata di te ‘prima’ di tutto quel macello, non durante i 4 anni in cui ha vaneggiato… questo ti è chiaro, spero! Quindi, torniamo alla questione: cosa ha fatto Stefan per convincerti che lui la meritasse e tu no? Questo voglio sapere… non dirmi “non lo so” come fosse una risposta… raccontami! Non è forse questo lo scopo del patto? Io faccio domande e tu racconti storie… bene! Raccontami la storia di come zio Stefan si è dimostrato migliore di te…»
Il vampiro tacque. Non poteva rispondere a quella domanda, avrebbe dovuto parlare di cose di cui lui si sentiva responsabile: di come lo aveva abbandonato  facendolo diventare un mostro, di come era rimasto a guardare mentre si faceva controllare dalla sua sete… di come, tornando puntualmente nella sua esistenza, lo ributtava nella disperazione.
«Jessica… io non posso…»
iniziò a dire. Elena si sporse in avanti e gli mise una mano sulla spalla, fermandolo.
«Lui non ti può rispondere perché lui non può saperlo. Quella domanda dovresti farla a me…»
«Bene, Elena… dimmi: cos’ha fatto Stefan più di Damon?»
chiese Jess, senza togliere gli occhi dalla strada.
«Niente… non ha fatto niente in più. È questo il punto»
rispose. Damon si voltò a guardare il profilo della vampira senza riuscire a capire la sua risposta.
«Stefan è arrivato in un momento della mia vita in cui avevo  bisogno di certezze, di normalità»  spiegò Elena «Quando ho scoperto che era un vampiro, mi sono spaventata. Poi, però, il pensiero che lui fosse immortale, assicurò solo la sua presenza nella mia vita. Qualcosa che avrebbe dovuto scuotere il mio mondo, spaventarmi, si era rivelato essere il terreno più solido sul quale camminare. Prima della morte dei miei genitori stavo scappando dal classico ragazzo normale, che voleva cose normali, mentre io sognavo l’avventura, la passione, il brivido. Se da un lato Stefan era tutto questo, era buono e mi manteneva legata alla persona che ero prima di affrontare la perdita dei miei, dall’altra, con la sua natura sovrannaturale, soddisfaceva la mia voglia di emozioni forti… almeno in parte. In più, non mi avrebbe mai potuta lasciare, non sarebbe mai morto: non avrei dovuto affrontare quel trauma di nuovo. Stefan è stata la mia scialuppa di salvataggio. Non ha fatto “di più”… »
«Semplicemente non ti ha spaventata»
intervenne Jessica. Elena annuì. Damon ascoltò quelle parole assimilandone inconsciamente il reale significato. Guardò la figlia ridersela e, da qualche parte dentro di lui, iniziò a sorgere un dubbio, un sospetto… quel ghigno sul viso rotondo della giovane: “e se…” pensò prima di sbottare:
«Jessica dove ci stai portando?»
La ragazza lo guardò un attimo, la scaltrezza che guizzò in quegli occhi di giada gli diede conferma dei suoi sospetti.
«Oh! Rilassati, tra poco lo vedrai… ma ora, se non sbaglio, ho ancora due domande per te…»
«Posso sapere che succede?»
si informò la vampira.
«Niente… credo solo che mia figlia abbia un itinerario tutto suo da seguire… non è vero Jess?»
«Beh… me lo hai insegnato tu che bisogna preparare le cose nei minimi dettagli, quando si tratta di viaggiare…»
rise lei. Sospirò, stampandosi in faccia un sorriso gongolante.
«Ma… passiamo alle domande… non vorrei arrivare a destinazione prima di aver saputo quel che mi interessa… perché non hai cercato zio Stefan in questi anni?»
Damon ci pensò un po’ . Conosceva Jess, qualunque cosa si fosse messa in testa, non avrebbe desistito finché non avesse ottenuto la risposta che voleva. Decise di stare al gioco e rispose:
«Avrei finito col fargli pagare il fatto di essere stato scelto, di nuovo.  Non mi andava di tornare a quel tipo di rapporto… pensai che finché avessi avuto te, non avrei sentito la mancanza di una famiglia…»
«Ma tu eri convinto ti avrei ucciso, una volta scoperta la verità su mia madre… saresti morto senza trovarlo… salutarlo, sapere come stava?»
«Oh, sono convinto che senza di me stia meglio…»
Elena fece una risatina, lui si girò a guardarla interrogandola con lo sguardo.
«Scusa… è che… tu… sul serio lo pensi? »
Il vampiro riportò i suoi occhi di ghiaccio sulla strada.
«È stato lui a proporre l’allontanamento del ‘non scelto’… non io»
disse glaciale.
«Ed è stato lui a venirti a dire che era stato un patto stupido…»
gli ricordò lei.
«Era stato scelto, che altro avrebbe dovuto fare?»
ribatté lui.
«Se avessi scelto te, quindi, l’avresti fatto andare via?»
«No! Ovvio che no!»
«Però, visto che lo ha fatto lui…»                             
«Elena, non è questo il punto! Anche se gli avessi detto di restare se ne sarebbe andato!»
«Tu, invece, sei rimasto…»
disse lei, sentendo quelle parole bruciale la lingua. Lui tornò a puntare i suoi occhi di cielo su di lei, aprì la bocca per rispondere ma nessun suono uscì a formulare una frase.
Lei gli sorrise e si avvicinò a quel  volto confuso, mise una mano sulla sua guancia e sussurrò:
«Eri… sei l’unica famiglia che ha! Sei suo fratello maggiore! Ha girato mezzo mondo per trovarti! Quando non potevo arrivare io in un luogo indicato da Bonnie, partiva lui. Io sono stata ‘assente’ per 4 anni, lui ha vissuto ogni singolo giorno con l’angoscia di averti perso… ed aveva perso anche me… »
Il vampiro abbassò lo sguardo ma lei lo costrinse a mantenere il contatto visivo, continuò:
«Non te lo dico perché voglio tu ti senta in colpa. Non si tratta di colpe… è tuo fratello e ti ama! Non pensare mai, mai!, che senza di te potrebbe stare meglio, capito?»
Quelle due gocce di petrolio si insinuarono nel mare cristallino di quegli occhi spalancati su una verità ineluttabile, e lui provò di nuovo una sensazione di pace, calata nell’altro inferno che tormentava la sua anima.
«Lo chiameremo finito il nostro viaggio, chiariremo… abbiamo tutto il tempo del mondo»
gli propose Elena. Lui annuì e sorrise.
«Quanto amo i lieti fine!»
esclamò Jessica.
«Ora ci dirai dove stiamo andando?»
volle sapere lui.
«Non vedo perché sprecare parole quando… eccoci qui! Arrivati!»
Jessica imboccò un vialetto in terra battuta, arrivò in fondo e si fermò di fronte ad una casa azzurra, con la staccionata bianca ed un giardino immenso. Parcheggiarono l’auto e scesero.
«Dove diavolo siamo?»
domandò Damon, guardandosi intorno. Elena corrugò la fronte avvicinandosi alla cassetta delle lettere, si voltò verso gli altri due indicando il nome dipinto sulla latta.
«Come diavolo…»
iniziò a dire, ma una voce femminile interruppe la sua esternazione:
«Elena?»
Una bionda, alta e snella, li fissava con espressione basita.
«Caroline»
sospirò Elena. Il tempo di realizzare che non si trattasse di un sogno e le due amiche si corsero incontro abbracciandosi. Lui guardò Jessica sbalordito, la ragazza incrociò le braccia sul petto e sorrise sorniona sollevando le sopracciglia.
Dopo un lungo momento le due vampire si sciolsero dall’abbraccio e Caroline guardò in direzione di Damon.
«Sei veramente tu»
disse lasciando Elena. Si mosse verso il vampiro. Lui allargò le braccia e cercò di sorridere.
«Come ti ho detto al telefono: più bello ed in forma che mai!»
La bionda spostò lo sguardo sulla testa riccioluta accanto all’uomo e, inclinando la testa, domandò:
«E tu… saresti…»
Jessica scattò in avanti, le porse la mano e rispose:
«Jessica Salvatore! Molto piacere!»
Caroline boccheggiò, scioccata da quella presentazione. Si voltò a guardare Elena e chiese:
«Salvatore… tipo… parente?»
La giovane, che stringeva ancora la mano alla vampira, disse:
«Tipo figlia, sì! D. è mio padre!»
La vampira tornò a fissare quel viso vispo e spalancò la bocca, sentendosi vittima del vuoto cosmico che le invase la testa. Riuscì a farfugliare:
«F-figlia… tipo… figlia… padre… lui… tuo padre… come… cosa…»
Elena, rimasta a guardare divertita la scena, si avvicinò all’amica, cingendole le spalle con un braccio.
«Care… è una storia lunga… lunghissima… ma sì, lei è la figlia di Damon… se ci fai entrare ne parliamo con calma…»
Lei annuì con espressione vacua.
I quattro si incamminarono verso casa, e Caroline li fece accomodare in salotto: portò a Jessica una limonata fresca e agli altri due, delle tazze di sangue. Bevvero tutti in silenzio, guardandosi intorno.
«Allora… come… come è possibile che tu abbia una figlia?»
proruppe la bionda. Damon espirò e raccontò tutta la storia: da quando uccise la madre di Jessica a quando le aveva raccontato tutta la verità a riguardo. La vampira ascoltò tutto con un’espressione  incredula e, terminato il racconto, ne cercò conferma nel volto di Elena.
«Tutto vero, dall’inizio alla fine…»
asserì.
«Io… ma… scusa ma proprio non ti ci vedo a fare il papà… e a te sta bene? Voglio dire, ha ucciso tua madre!»
disse rivolgendosi alla ragazza.
«Non è facile da spiegare… ma no… non ce l’ho con lui. Ha sbagliato, lo sa… l’importante è quello»
spiegò con semplicità Jessica.
«Ma… ha ucciso tua madre…»
insisté lei. La giovane strinse gli occhi ed inclinò la testa di lato.
«Sei un vampiro, giusto?»
chiese. Caroline annuì titubante.
«Non hai mai ucciso nessuno?»
«Sì… beh… ma…»
«Bene… magari anche tu hai fatto fuori il padre o la madre di qualcuno… ma al contrario di D. non ti sei presa cura degli eventuali figli fornendogli una vita perfetta… quindi gradirei non giudicassi né me, né lui, non essendo tu nella posizione di poterlo fare»
E sfoggiò il suo sorriso di plastica. La bionda vampira sentì il calore della vergogna, colorarle le guance. Damon soffocò una risata ed Elena si morse le labbra guardando divertita la giovane.
«I-io… non… non era mi intenzione giudicare… solo… volevo capire…»
si giustificò Caroline.
«Oh, non ti preoccupare… te l’ho detto solo per mettere in chiaro la questione ORA, ed evitare spiacevoli situazioni DOPO…»
Le sorrise di nuovo, ma con più genuinità.
«Ok…  bando alle ciance… dov’è il tuo lupacchiotto?»
chiese Damon, per uscire da quella situazione.
«Io e Tyler… ci siamo… lasciti… anni fa…»
ripose timidamente. Lui fece una smorfia di imbarazzo.
«Oh… scusa… pensavo foste, sai, per sempre, per l’eternità… quelle cose lì…»
«Beh… lo pensavo anche io… ma evidentemente ci sbagliavamo… meglio così… ho avuto modo di incontrare…»
«Care! Care! La macchina qua fuori…»
urlò, interrompendola, una voce maschile. Damon scattò in piedi.
«Damon…»
disse l’individuo entrando in salotto.
«Stefan…»
sussurrò lui di rimando.

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Capitolo 16
*** Famiglia - Resterò, per non lasciarti più. ***


Damon rimase impietrito nel vedere suo fratello entrare nel salotto. Trovò a malapena il fiato per pronunciare il suo nome,  poi sentì la gola seccarsi e chiudersi.
 
Stefan arrivò sul vialetto della casa di Caroline e, vedendo la Camaro celeste parcheggiata, corse veloce dentro casa. La macchina era uguale a quella di Damon, ma lui non poteva essere lì, non dopo tutti quegli anni passati a cercarlo ovunque. Entrò chiamando la vampira e tenne gli occhi fissi sull’auto, temendo che, distogliendo lo sguardo,  sarebbe sparita. Si mosse verso il salotto, sicuro di non avere allucinazioni e rivolse la sua attenzione all’interno, trovandovi  quattro individui:  due cristalli di ghiaccio sbiadirono tutto il resto catturando la sua attenzione:  «Damon» disse in un filo di voce. Credette di sentire il cuore rientrargli in funzione. «Stefan» aveva risposto quella visione, eliminando l’ipotesi che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
 
Stefan perse il controllo sul proprio corpo: la bocca si spalancò in un sorriso, gli occhi si riempirono di lacrime, i piedi si mossero veloci e le sue braccia si strinsero intorno all’apparizione. Spinse le mani sulle spalle del fratello godendo di quella consistenza: aveva bisogno di sentirlo reale, tangibile.
Damon rimase immobile, incapace di reagire, ma quando sentì la forza dirompente di quell’abbraccio, sollevò le mani e ricambiò la stretta. Un calore sconosciuto lo invase e chiuse gli occhi sentendo i ghiacciai che gli avvolgevano il cuore sciogliersi.
«Sei vivo!»
esclamò Stefan. Il fratello provò a sorridere, ma anche lui non era più padrone dei suoi muscoli. Gli ci volle qualche secondo per riprendersi da quella sensazione di torpore. Scosse la testa e provò a parlare:
«Sì… io…»
Tornato completamente in sé e collegò l’ultima frase pronunciata da Caroline all’arrivo del fratello. Si liberò  dalla stretta e guardò prima lui e poi lei.
«Tu… lei… voi..»
Farfugliò. Caroline, rimasta a guardare stringendosi la maglia in un gesto di tensione, si affrettò a rispondere:
«Oh! No! Noi… no… lui…»
Ma prima che potesse finire di formulare la frase, un grosso pastore maremmano, dal pelo bianco e lungo, entrò correndo in casa, si fermò a guardare gli ospiti e decise di andare a fare le feste a Jessica. La ragazza cadde a sedere sul divano sotto il peso di quel cucciolone, e cominciò a ridere accarezzando quella valanga di affetto. Una donna entrò correndo dietro al cane esclamando:
«Tesoro! Ma che ti è preso? Il cane mi ha quasi fatta cadere a terra per inseguirti!»
si bloccò vedendo gli ospiti inattesi.
«…Damon»
Anche lei pronunciò quel nome in bilico tra incredulità e gioia.
Il vampiro, con le mani ancora sulle spalle di Stefan, la guardò con la bocca spalancata.
«C-credevo… io … non dovresti essere morta?»
domandò stupito.
«Tecnicamente lo sono»
rispose lei. Lui si voltò verso Elena che fece spallucce.
«Avevo così tante cose da dire che mi è sfuggito quel particolare»
rispose imbarazzata.
«Ti è sfuggito di dirmi che è diventata un vampiro?»
ribatté scioccato.
«Beh… con tutte le mie ricerche per curare le persone in modo “alternativo”, ti aspettavi che non facessi qualche esperimento su di me?»
cercò di giustificarsi la donna. Damon boccheggiò, di nuovo la sua testa si collegò a quanto aveva sentito dire alla donna: si era rivolta al fratello chiamandolo “tesoro”.
«Tu e… Meredith? Complimenti… non ti facevo tipo da panterone!»
commentò.
«Hey! Non ho nemmeno 30 anni!»
esclamò risentita la dottoressa Fell.
«E lui nemmeno 18!»
replicò.
«Tecnicamente ne avrei quasi 200»
Si giustificò Stefan.
«Hey! Mi sono fatto la mamma di Elena e quella di Matt… non sono la persona giusta per giudicare! Solo… mi sorprende…»
lo tranquillizzò, Damon.
«Agh… non mi abituerò mai a saperti “attivo” sotto quel punto di vista… ma la storia della mamma di Elena mi intriga parecchio! Credo di aver appena trovato la mia seconda domanda di oggi… tranquillo, tranquillo… non ora… più tardi!»
proruppe Jessica, libera dalle feste del cane. Stefan guardò la ragazza confuso: chi era? Perché si rivolgeva a Damon in quel modo? Cosa ci faceva lì?
Decise di dare voce ai suoi dubbi e chiese:
«Lei… chi è ?»
Caroline fece una risata isterica attirando l’attenzione di tutti.
«Cosa? Voglio vedere la sua reazione quando lo saprà»
si difese.
«S-sapere…c osa?»
«Sono sua figlia!»
esclamò divertita la ragazza.
«T-tu… c-cosa? Lei… che significa? Figlia?»
balbetto il più piccolo dei fratelli Salvatore.
«Oh… per farla breve: ho ucciso sua madre andando via da Mystic Falls e ho deciso di crescerla come mi figlia»
«Proprio così!»
squittì Jessica.
Stefan rimase a bocca aperta, sconvolto da quella marea di informazioni da metabolizzare. Il cane saltò sulle spalle della ragazza che si era rimessa in piedi, facendole perdere momentaneamente l’equilibrio.
«Tyeler! Fai il bravo!»
lo richiamò, Caroline.
Damon scosse la testa.
«Lo hai… chiamato come il tuo ex?»
chiese. Jessica, inginocchiata a giocare con il cagnolone, disse:
«Che c’è di male? Scommetto che lui ha comprato una gatta e le ha dato il nome di lei!»
«Jess!»
la riprese il vampiro.
«Cosa? Era una constatazione! Oh, ma se ho offeso chiedo scusa… potete dare la colpa alla sindrome di Tourette»
svicolò.
«H-ha… la sindrome di Tourette?»
si informò Caroline.
«No! Le manca solo un filtro tra cervello e bocca!»
sibilò il vampiro.
«Beh… allora deve essere proprio figlia tua»
commentò Stefan. Jessica rise, si alzò in piedi e disse:
«Ah! 1 a 0 per zio Stef! »
poi si girò verso il cane e, battendosi le mani sulle ginocchia, lo chiamò a sé:
«Hey, bel cagnone! Che ne dici se lasciamo i vampiri a parlare di cose noiose ed andiamo a giocare fuori? Eh?»
Il cane cominciò a saltellarle intorno e la seguì, continuando a muoversi frenetico.
«Andiamo anche noi… è meglio che voi due stiate un po’ da soli…»
propose Meredith, accarezzando una spalla al fidanzato. Lui le sorrise ed annuì. Le tre vampire raggiunsero Jessica in giardino mentre i fratelli andarono a sedersi sul divano.
«La dottoressa, eh?»
disse Damon.
«Già… le sono stato vicino dopo… sai… la sua morte, e lei è stata vicina a me…»
rispose lui, timido.
«Ascolta, Stefan… io… non potevo… non avrei mai immaginato sarebbe successo tutto questo…»
«Lo so, nessuno di noi poteva… sono… io sono solo felice che tu sia vivo»
Gli occhi verdi del vampiro si inumidirono.
«Ti ho cercato ovunque… ora capisco perché non ti trovavo… giravi con un’umana… una figlia…»
«Sì, beh… appena ha iniziato ad avere la facoltà di invitarmi in casa, abbiamo lasciato perdere la vita negli alberghi…»
«Scommetto dopo che ha compiuto 5 anni…»
Damon sospirò, inclinò la testa e disse:
«Stefan… io… vorrei poter rimediare… non sarei dovuto andare via»
«Di che parli? Rimediare a cosa?»
«Se non fossi andato via… o se mi fossi fatto sentire… avrei risparmiato a te e ad Elena anni di sofferenza…»
«Credimi, Damon… se c’è qualcuno che deve rimediare non sei tu… se fossi stato sincero, non egoista nel volere una donna che non mi amava… non più… e se non avessi avuto fretta di… se…»
Stefan si prese del tempo per chiarire il concetto e riformulò la frase:
«Tu avevi tutto il diritto di andartene, lo avrei fatto anche io… ma se Elena è stata in quelle condizioni non è stata certo colpa tua… è solo mia la colpa…»
Il fratello maggiore corrugò la fronte non capendo il senso di quelle parole.
«Bonnie…»
«È stata in coma dopo aver provato a fare l’anello ad Elena, cosa c’entri tu?»
Gli occhi verdi di Stefan dissero più di quanto Damon non volesse sapere.
«Io… io avevo paura… credevo che, nelle condizioni in cui stava, Elena, avrebbe fatto una sciocchezza… Andai da Bonnie e la pregai di farle l’anello… io…»
«”Il gioco delle colpe è stupido e non vince mai nessuno”. C’è una ragazza lì fuori che me lo dice spesso… e credo di aver appena capito cosa intendesse …»
lo confortò. Stefan lo guardò incuriosito.
«Una figlia… Damon, che ti è saltato in mente?»
gli domandò. Damon sollevò le sopracciglia e raccontò anche al fratello la storia di come Jessica era entrata nella sua vita.
«E a lei sta bene?»
commentò lui.
«A quanto pare… senti, non lo capisco nemmeno io. Ero pronto a farmi uccidere il giorno che le raccontai la verità, invece… lei, semplicemente mi ama, come un padre… un padre vero»
spiegò.
«No… io lo capisco… il fatto che non abbia mai dato il giusto valore al nostro legame ti ha convinto che sia impossibile amarti… ho dovuto crederti morto per capire che sei tutto quello che mi resta della mia famiglia… vorrei averlo capito prima ma… come dice mia nipote “il gioco delle colpe è stupido e non vince mai nessuno” »
Damon sorrise.
«È una ragazza eccezionale… non so davvero come sono riuscito a tirarla su così. Magari è merito dei geni dei suoi genitori naturali…»
«Dal poco che ho visto, hai molti più meriti di quel che credi… e con Elena?»
«Ci servirà un po’ di tempo… ma ora che il destino me l’ha riportata non la lascio più!»
esclamò deciso. Stefan si alzò dal divano.
«Le raggiungiamo? Voglio proprio conoscere meglio questa Jessica!»
propose. Damon annuì e lo seguì in giardino, dove trovò Elena, seduta accanto a Caroline, osservare Meredith e Jessica giocare con Tyler. Le posò le mani sulle spalle e lei sollevò la testa trovando gli occhi di lui illuminati da una nuova luce. Gli sorrise e chiese:
«Stai bene?»
 
Caroline, Elena e Meredith lasciarono ai fratelli un po’ di tempo per ritrovarsi. Raggiunsero Jessica in giardino, intenta a lanciare una palla di gomma al pastore maremmano che correva felice intorno alla ragazza.
«Damon-papà… fatico a crederci»
commentò la bionda.
«È davvero bravo… e lei… lei è una forza della natura…»
«N-non volevo giudicare… io…»
si affrettò a difendersi l’amica. Elena sorrise e la fermò con un gesto della mano.
«Lo so, lo so! Ho faticato anche io a… capire… ma lei lo ha salvato… ha tirato fuori il meglio di lui e lotta con tutte le sue forze perché lo accetti anche lui. Lei… lei… è sua figlia…»
Meredith sorrise e le accarezzò la schiena.
«Io sono solo felice di vederti così serena… vi lascio un po’ sole…»
Le salutò prima di raggiungere Jessica. Le due amiche si sedettero.
«Elena… io… volevo dirti che mi dispiace… non avrei dovuto…»
«Caroline… va tutto bene… l’importante è averlo trovato…»
sospirò Elena.
 
Due anni prima, le due amiche si trovavano in Connecticut, sulle tracce di Damon. Dopo giorni passati a setacciare tutti i motel, gli alberghi, gli hotel, le case pignorate dello stato senza risultato, la bionda vampira azzardò a dire:
«Elena… forse non vuole farsi trovare… torniamo a casa! Prima o poi tornerà e tu gli dirai tutto!»
«Spero tu stia scherzando
le ringhiò di rimando.
«Elena, stiamo girando il mondo da 13 anni senza nemmeno un avvistamento! Una traccia! Magari lui sa che lo stai cercando e si nasconde
urlò disperata,  Caroline. Elena, sentendo quelle parole, si fece prendere dall’ira e si scagliò contro l’amica, stringendole il collo.
«Non… osare! Io lo devo trovare! Devo chiedergli scusa! È colpa mia se è andato via! Solo colpa mia! Tu l’hai sempre odiato! Non ti è mai andato giù che ti abbia solo usata! Lui mi ama, capito? Lui mi ama! Non si nasconderebbe mai da me! »
urlò. Caroline le afferrò i polsi cercando di liberarsi dalla presa senza però riuscirci: sentì le ossa del collo scricchiolare e la guardò supplichevole. La rabbia defluì dal suo corpo, riportando Elena alla lucidità. Esterrefatta la lasciò di scatto, tremando.
«C-Care… scusa… io… oh mio dio! Non volevo… io…»
La bionda si massaggiò nel punto in cui, fino a poco prima, le mani dell’amica, come pinze letali, l’avevano attanagliata. Sentì il suo corpo rigenerarsi  e, riacquistate le forze, si avvicinò cauta alla vampira in stato di shock tentando di calmarla.
«Elena… va bene… non avrei dovuto… non è successo niente…»
Le accarezzò i capelli e lei crollò, piangente, tra le sue braccia.
«I-io… io lo devo tro-o-vare, Caroline… io… io non posso stare senza lui…»
singhiozzò.
«Lo so, scusa… ero solo stanca… non avrei dovuto dirti quelle cose… domani ritorneremo a cercarlo, lo troveremo
Elena scosse la testa, si asciugò le lacrime e le disse:
«No… non scusarti… questa è la mia ricerca… ti sto sottraendo alla tua vita… torna a casa, vai a trovare tua madre… io continuerò da sola
Caroline la guardò con la bocca spalancata. Moriva dalla voglia di tornare a casa, di pensare alla sua vita, ma era terrorizzata da quel che avrebbe potuto combinare l’amica da sola, senza la supervisione di qualcuno.
«Magari Stefan… lui potrebbe sostituirmi»
propose timidamente.
«No… non posso rubarvi altro tempo… lui e Meredith sono stati separati anche troppo a causa mia… non succederà nulla… ti chiamerò ogni giorno finché non lo troverò… te lo prometto!»
E così era stato finché non lo aveva trovato, fuori da un negozio di alimentari, a fare la spesa, come un comune mortale.
 Anche quel mattino aveva sentito l’amica al telefono.
 
«Dove sei, Elena
«A… Denver»
le aveva risposto, titubante.
«Ancora? Non tornerà mai a Denver! Perché non torni un po’ a casa? Jeremy vorrebbe vederti! Ed anche Bonnie… ed io… vieni a trovarmi! Ho trovato una casa bellissima! Ed ho preso un cane
«Care… non posso… non così. Senza di lui sono una mina vagante… starò qui finché Bonnie non avrà una nuova traccia…»
«Elena…»
«Caroline, non ne voglio parlare più. A domani!»
 
Terminata la chiamata guardò le pareti della stanza,  tappezzate di articoli di giornale che trattavano di “attacchi sospetti” e  di appunti sui vari luoghi visitati. Sopra la scrivania aveva appeso la cartina geografica,  una miriade di “x” rosse segnalavano i luoghi che erano stati un fallimento. Un mare di sangue in cui risaltava un’unica zona bianca: Denver.
Le tornarono in mente, velenose,, le parole di Caroline : la rabbia cominciò a montare e  sentì che stava per impazzire. Uscì dalla stanza  e camminò a zonzo,  cercando di distrarsi dal pensiero fisso di Damon, senza riuscirci. I suoi piedi la guidarono sulla strada del destino e quando inaspettatamente lo vide, cuore e mente si scissero in due entità: uno la spinse a piazzarglisi davanti, l’altra cercò di farla scappare via… vinse l’amore.
 
E lo aveva trovato, l’aveva amato… ma ancora non gli aveva detto tutto. Quando le mani di lui le si posarono sulle spalle lei fu percossa dalla stessa energia che l’accendeva ogni volta che lui la sfiorava. Sollevò il viso trovando gli occhi di cielo dell’uomo che aveva inseguito per anni,  e che avrebbe cercato per secoli,  se fosse stato necessario. Gli chiese se stesse bene…
 
«Sono in pace»
le rispose, sorridendo. Il corpo di lei vibrò e l’intera struttura delle sue ossa parve sbriciolarsi: lui era stato un terremoto e l’aveva rasa al suolo. Non restava loro che ricostruirsi a vicenda.
«Caroline… ti andrebbe di andare a fare due chiacchiere con mia nipote?»
chiese Stefan, offrendo il braccio alla vampira. La bionda annuì sorridente e si allontanò con il vampiro.
Damon ed Elena rimasero soli e lui le sedette accanto.
Finalmente serena,  lo guardò con occhi adoranti mentre lui osservava la sua famiglia conoscersi.
«Ti ricordi cosa mi hai detto quella volta… quando stavi per morire dopo il morso di Tyler?»
domandò lei, distraendolo dalla sua visione.
«Ho detto un sacco di cose… deliravo…»
Lei sorrise e aggiunse:
«Beh… tra le tante cose… mi hai detto che se ti avessi conosciuto nel 1864 mi saresti piaciuto…»
Lui annuì.
«Ora penso di capire a cosa ti riferissi…»
Incuriosito la guardò. Lei gli indicò la figlia.
«Jessica… ti somiglia tantissimo, caratterialmente intendo…  credo lei rappresenti quello che eri da umano, senza secoli di dolore nel cuore: la osservo e vedo te… sì,  credo proprio mi saresti piaciuto nel 1864»
Damon ridusse gli occhi a due fessure ammiccanti.
«Credevo di piacerti… così come sono ora…»
la punzecchiò lui.
«No… ti amo… così come sei ora…»
gli confessò in un sussurro lei. Negli occhi del vampiro si diradarono le nuvole e nel suo petto esplose il sole. Lei si alzò dalla sua sedia e prese posto sulle gambe di lui, gli mise le braccia intorno al collo e perdendosi nel cielo terso del suo sguardo ripeté:
«Ti amo, Damon… ed ho intenzione di amarti per sempre!»
Lui trovò la forza solo per prenderle il viso tra le mani e baciarla teneramente.
Si sentì catapultato indietro di anni, sul portico di casa di lei, quando lui la baciò e, per la prima volta, lei non si ritrasse.
«Ti amo anche io, Elena… ti ho sempre amata e, che io sia dannato… non smetterò mai…»
«Questo vuol dire che possiamo tornare?»
esclamò Jessica. I due si voltarono verso la giovane.
«C-cosa? Dove?»
farfugliò Damon.
«Ma a Mystic Falls! Mi sembra ovvio!»
«E Dallas? L’itinerario?»
le chiese.
«Ahm… forse è il caso che ti riveli una cosuccia…»
rispose lei, mordendosi l’interno della guancia.

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Capitolo 17
*** La matassa - Strano il mio destino. ***


Jessica giocava con il grosso pastore maremmano, correndo e lanciandogli una palla di gomma. Pochi istanti dopo fu raggiunta da quella che aveva capito essere la dottoressa Fell, ovvero l’ultima vittima di Elena. Il particolare sfuggito nella storia della vampira era che, al momento della morte, la donna aveva del sangue di vampiro in circolo. Era quindi diventata un essere soprannaturale a sua volta e, a quanto pareva, stava con suo zio.
 
Il momento in cui lo vide entrare in salotto le fece, letteralmente, fermare il cuore. I suoi occhi corsero veloci ad osservare Damon. Stefan non perse tempo e corse ad abbracciarlo. Lei osservò la scena con una gioia inconsulta nel cuore. Per fortuna il cagnolone, che l’aveva presa subito in simpatia, la distrasse impedendole di iniziare a piangere.
 
«Io sono Meredith, comunque… piacere!»
si presentò la dottoressa.
«Jessica… Jessica Salvatore!»
rispose la giovane. La vampira le sorrise stringendole la mano e, con un’espressione curiosa, disse:
«Ho sempre saputo che c’era molto di più dietro quella maschera da strafottente… ma un padre… questa è stata una sorpresa»
Jessica si illuminò e si trattenne dall’abbracciare la donna.
«Ti sei appena guadagnata tutta la mia simpatia… e credimi, è un gran vantaggio! Chiedi alla bionda!»
disse la giovane, indicando con un cenno del capo Caroline.
«Non è male… se la conosci bene…»
la difese, Meredith.
«Ne sono sicura… ma tu parti comunque in vantaggio!»
«Posso sapere il perché?»
«Perché hai dimostrato di conoscere mio padre, nonostante ai tempi non avesse molti fan…»
La dottoressa annuì.
«Beh… era molto amico di… un uomo speciale,  che mi ha parlato bene di lui…»
Jessica la interrogò con lo sguardo.
«A-Alaric… loro… loro erano molto amici…»
spiegò Meredith.
«Alaric il professore pazzo?»
domandò sconvolta Jess.
«Beh… prima di impazzire… è una storia lunga e complicata…»
sospirò la vampira. La giovane incrociò le braccia sul petto, chiuse gli occhi e sollevò le sopracciglia.
«Fortuna vuole che io abbia tempo da vendere!»
affermò. Il cane spinse il muso sulla gamba della ragazza, cercandone l’attenzione.
«Sì, sì, bel cagnolone… giochiamo!»
Le due si dedicarono a far divertire l’animale.
mentre ancora giocava con Tayler , Jessica  vide Damon e Stefan uscire dalla casa e raggiungere Elena e Caroline, sedute a parlare poco distante. Capendo di essere di troppo Lo zio e la bionda lasciarono soli i novelli fidanzati e le raggiunsero.  Jessica smise di giocare con il cane e si voltò a guardare il volto dell’uomo che aveva immaginato infinite volte.
Era completamente diverso da come se lo era prefigurato, eppure somigliava in modo strano a Damon. Non avevano gli stessi colori e non avevano la stessa struttura fisica, ma c’era qualcosa nelle loro espressioni che li rendeva simili, come quella particolare ruga sulla fronte. Entrambi sembravano tormentati dallo stesso dolore.
«Così… tu saresti mia nipote…»
disse avvicinandosi, Stefan.
«Eh già! Hai intenzione di stupirti anche tu per Damon-papà?»
chiese lei. Lui ci pensò su e rispose:
«No… affatto… in un modo un po’ contorto, è sempre stato una specie di padre…»
«Per te?»
«Per tutti…»
Il viso della ragazza tornò ad illuminarsi e,  nuovamente, dovette sopprimere l’istinto di abbracciare qualcuno.
Caroline la guardava con circospezione, temendo di dire qualcos’altro che avrebbe potuto irritarla. Jessica se ne accorse e decise di tenerla un po’ sulle spine osservandola di sottecchi.
«Posso chiederti come siete arrivati qui?»
volle sapere, Stefan. La giovane si morse un labbro e guardò in direzione dei due vampiri che si avvicinavano per scambiarsi un bacio.
«La storia è un po’ lunga… e vorrei non doverla ripetere… andiamo dai piccioncini, credo sia giunto il momento di dire la verità a D. su un paio di cose…»
rispose. Insieme si diressero verso Damon ed Elena.
 
Damon osservava la figlia mentre si mordeva l’interno della guancia. «Ahm… forse è il caso che ti riveli una cosuccia…» aveva detto. Egli aveva intuito che la figlia aveva escogitato qualche intrigo, ne aveva avuto il sentore. Non si stupì, in fondo glielo aveva insegnato lui: «Ricorda, se vuoi che un piano riesca, devi prepararne uno di scorta, e, comunque , averne approntato un terzo nascosto!».
La giovane provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì.
«Dimmi solo se hai mai avuto intenzione di trovare i tuoi parenti»
chiese lui, per darle un punto di partenza. Jessica scosse la testa in segno di diniego, continuando a torturarsi il labbro. Il vampiro chiuse gli occhi, sospirò e poggiò la testa sul braccio di Elena, ancora seduta sulle sue gambe.
«Jess… ti prego… dimmi che non mi hai fatto passare mesi a fare ricerche per nulla!»
disse esasperato.
«Per nulla? L’ultima volta che ho controllato il tuo albero genealogico contava un fratello ed una fidanzata in meno! Non direi “nulla”!»
replicò lei.
«Aspetta… tu… hai… hai organizzato tutto?»
domandò confuso.
«B-beh… l’apparizione di Elena è stata una mano santa nel mio piano… ad essere onesta…»
«Del tuo piano? Quale, quello condiviso con me o quello di scorta?»
«Il … terzo nascosto…»
disse esitante lei. Il vampiro fece una smorfia indurendo la mandibola.
«Posso sapere di che piano si tratta?»
«Beh… io non avevo puntato così in alto… mi ero limitata a rintracciare il posto dove sarebbe potuto essere zio Stefan… ma non sputo in faccia al risultato…»
Damon spalancò la bocca incapace di realizzare quello che gli stava rivelando la figlia.
«Rintracciato… ma… che…»
«Ho… conosciuto… una strega… un po’ di tempo fa… abbiamo… noi abbiamo fatto delle prove… e alla fine abbiamo trovato sue tracce in questa parte dello stato e…»
«Cosa? Ma di che parli? Strega? Quando! Dove!»
proruppe lui. Jessica fece un gran respiro e si sedette. Pensò a lungo a cosa dire ed iniziò:
«La storia è lunga e contorta… è iniziato tutto qualche anno dopo aver scoperto la verità su… sì, su mia madre…
 
…Jessica aveva ricostruito il suo passato in maniera sommaria. Sapeva chi era e da dove veniva, ma tanto altro ancora non le era chiaro. L’uomo con cui era cresciuta, fuggendo, aveva ucciso la donna che l’aveva messa al mondo e poi aveva preso lei, l’aveva cresciuta, le aveva offerto una vita perfetta: viaggi, avventure, affetto. Si era sempre ritenuta una bambina fortunata, speciale. Quando scoprì  la verità,  molte delle sue certezze vacillarono. “È un vampiro, Jess! Da oltre un secolo! Cosa ti aspettavi? Che avesse messo incinta un’umana utilizzando qualche arcana magia?” aveva pensato.
L’incompatibilità dell’immagine dell’uomo con cui era cresciuta, con la sua natura soprannaturale, la misero in crisi. Dopo ore passate a macerare nel tormento decise di salire al piano di sopra, a parlargli: le aveva sempre detto la verità, lo avrebbe fatto anche quella volta.
Si avvicinò alla porta della sua camera da letto e lo sentì piangere.
«Ha scelto lui… lei… Stefan… il mio fratellino… Agh! Che si fottano! Si fottano tutti!»
vaneggiò lui, ubriaco.
 
Non era la prima volta che lo trovava in quelle condizioni e spesso tutto quello che gli sentiva dire riguardava  Stefan, lo zio scomparso.
Ma c’era dell’altro. C’era qualcun altro con cui inveiva in quelle crisi alcooliche: una donna.
Una donna che gli aveva spezzato il cuore in frammenti tanto minuscoli, che non riusciva a nominarla nemmeno quando si riduceva in quello stato. Il pensiero che potesse trattarsi di sua madre l’aveva sfiorata un paio di volte, ma qualcosa lasciava intendere che quella misteriosa donna fosse ancora viva.
 
Decise di lasciar perdere. Ci sarebbe stata occasione per chiedergli la verità, ma non quella sera. Il tempo passò e Jessica capì che c’era qualcosa, un tassello mancante, per comprendere l’uomo che amava come un padre. Le successive crisi di pianto e rabbia, nelle altre occasioni in cui si riduceva come una pezza da piedi, la convinsero che la chiave, per risollevarlo da quel tormento, fosse Stefan. Lo doveva trovare, doveva capire perché i due si erano allontanati, perché Damon non ne parlava volentieri e, soprattutto, doveva assolutamente scoprire cosa fosse successo in quei due anni passati a Mystic Falls: “se non me lo dirà lui, me lo farò raccontare da Stefan!” si era ripromessa. Quando si trasferirono a Denver,  incontrò  una strega che le dimostrò di saperne abbastanza del  mondo sovrannaturale guadagnandosi la sua fiducia. Jessica le spiegò il suo piano per ritrovare lo zio: la strega spiegò quanto fosse difficile l’incantesimo di localizzazione che le stava chiedendo. Sarebbe servito un oggetto legato alla persona da cercare, e lei sapeva che Damon non aveva niente di tutto ciò.
Lo sconforto fu sovrastato dalla sua ostinazione : voleva a tutti i costi trovare  una scappatoia. Dopo  due anni di vani tentativi con oggetti a caso, sangue e ciocche di capelli di Damon, ebbe un’illuminazione :“il libro!”. Quante volte gli aveva sentito dire: «Jess! Tratta bene quel libro… è un ricordo di famiglia… ci tengo!»?
Di quale famiglia parlava? Da quel che ne sapeva la madre morì dando alla luce Stefan ed il padre non dimostrò mai di amarlo… l’unico a rimanere in gara era…
 
Decise di giocarsi il tutto per tutto e chiese al vampiro, con finta  indifferenza:
«Chi te lo ha regalato questo libro? Dimmi la verità!»
Quella era la formula con cui lui era costretto a rispondere sempre onestamente. La guardò e pensò che quella storia non avrebbe comportato nessun trauma, né in lui, né in lei, quindi rispose sinceramente:
«Stefan… era in partenza per la seconda guerra mondiale… avremmo dovuto partire insieme, ma all’ultimo momento io ci ho… ripensato… lui mi  regalò il libro la sera prima, dicendo che i protagonisti gli ricordavano noi due…»
 
Il cuore quasi le scoppiò per la gioia. Corse dalla sua amica strega con il libro e la pregò di non rovinarlo.
L’incantesimo funzionò e scoprirono che il vampiro doveva trovarsi da qualche parte in Canada. La magia non poteva essere più precisa, ma era qualcosa  in più rispetto al nulla assoluto. Non restava che convincere Damon a partire e,  quando tornò a casa quel pomeriggio,  lo trovò in salotto, intento a rigirarsi un paletto tra le mani. Il vampiro aveva deciso di dirle la verità. La storia di come lei fosse stata strappata alla sua vita da un gesto impulsivo e disperato, si rivelò essere propizia: quale migliore occasione per proporgli un viaggio in cerca di quella famiglia a cui era stata tolta? Pensò in fretta a qualcosa per giustificare la sua richiesta, seguì l’istinto. Lui pose la condizione della laurea, lei si finse scocciata dalla cosa ma in cuor suo gioì al pensiero di poter aver 7 lunghi mesi in cui affinare il suo piano. Passarono il tempo a fare ricerche sui vari parenti e lei cercò di pilotare , senza farsi troppo notare, l’itinerario, creando un percorso che li avrebbe avvicinati alla sua meta. Le prese il panico quando si rese conto che non sarebbe stato facile per niente: “cosa ti sei messa in testa? Il Canada è immenso! Come pensi di trovare un vampiro che, probabilmente, è un genio nel mimetizzarsi? Farai bene a pregare in una botta di fortuna!” pensò disperata. Ma il racconto che lui le fece il giorno della laurea, le diede nuova carica. In quel momento più che mai, pensò che la felicità di suo padre era legata a quella parte di vita che fuggiva da anni. Doveva assolutamente ricongiungere i due fratelli. L’incontro con quella che si era finta Katherine, però,  le fece pensare che il suo piano sarebbe andato in fumo. Se era vero quello che soleva ripeterle Damon, quella donna avrebbe portato sventure e disgrazie. Ma la buona stella della ragazza aveva continuato a splendere, rivelando la vera identità della vampira: Elena. La donna misteriosa, l’innominabile era sbucata dal nulla, e sembrava intenzionata a non sparire nel buio. Chi meglio di lei avrebbe potuto aiutarla? Non era forse lei la causa di tutto quel marasma? Non era forse lei quella che aveva ridotto suo padre ad uno straccio? Non era lei che aveva scelto Stefan, condannando Damon a quella vita miserabile?
Passò la notte prima della partenza da Denver, a  pensare a come avrebbe potuto condurre il gioco. Sicuramente si sarebbe dovuta mettere alla guida ad un certo punto,  per  dirottarli senza farli accorgere. Li avrebbe stremati utilizzando la sua lingua lunga, augurandosi che bastasse.
Un nuovo giro della ruota a suo favore era arrivato il giorno dopo, quando fu lasciata momentaneamente sola nella camera di motel di Elena.
 
Il contenuto di un borsone gettato ai piedi del letto attirò l’attenzione di Jessica. Si mosse veloce per indagare, ma la paura di essere scoperta la fece desistere dall’approfondire. Si limitò a registrare quella che sembrava una cartina geografica,  degli articoli di giornale ed un diario vecchio e logoro. Sentendoli tornare, si sedette lesta sul letto e fissò il soffitto cercando di apparire meno sospetta possibile.
L’occasione d’oro per riuscire a ficcanasare meglio, le si presentò un’ora più tardi, quando tornarono a casa a fare i bagagli. I due vampiri giocavano al gatto col topo e lei decise di lasciarli soli, approfittando delle due ore concesse loro,  per andare ad indagare nel borsone,  lasciato incustodito in macchina. Quello che trovò fu una vera miniera d’oro. Non solo sembrava che la vampira avesse girato il mondo sulle loro tracce, ma c’era un diario in cui era scritto un tormento lungo  15 anni. Il nome di Stefan compariva diverse volte: l’aveva aiutata per un periodo a cercare Damon. L’instabilità dovuta all’assenza del vampiro, però, l’aveva portata ad allontanare tutti e, nel corso degli anni, si era ritrovata sola a proseguire le sue ricerche. Il tempo a sua disposizione terminò e dovette rientrare in casa, ma ora sapeva che se avesse giocato bene le sue carte avrebbe potuto ottenere informazioni  utili per rintracciare Stefan.
Partirono, ma stare tutti nella stessa stanza non avrebbe reso le cose facili a nessuno. Un farabutto , poi, aveva deciso di importunare la ragazza sbagliata, la sera sbagliata.  La situazione tragica si rivelò essere un’ulteriore colpo di quella sfacciata sfortuna che la stava accompagnando in quell’impresa: “Jess, mia cara… tutto questo ti si rivolterà contro, in un modo o nell’altro” si disse, ma non ebbe tempo di dar retta al pessimismo. Quando Damon corse dietro ad Elena sconvolta, lei si chiuse in camera,  scossa per quanto successo; poi la calma prese il sopravvento,  facendole capire che ghiotta occasione le si era appena presentata. Controllò dalla finestra che i due non fossero già di ritorno e rovistò nel borsone: recuperò il diario e tornò a cercare indizi tra quelle pagine colme di parole. Non trovò nulla di nuovo o di interessante ma il cellulare di Elena iniziò a suonare, sul led brillava un nome : “Caroline”. Quel nome era comparso nel diario più volte: anche lei l’aveva aiutata nella ricerca ed anche lei era stata allontanata.  Fu quasi tentata di rispondere, ma non poteva rischiare di essere scoperta. Sbuffò pensando all’occasione persa, ma quel vento di ponente non aveva smesso di soffiare sulla sua buona sorte: Caroline mandò un messaggio che lei si affrettò a leggere: “Hey… sono contenta tu abbia trovato Damon… che ne dici di venire a farmi visita? C’è anche Stefan! Sono sicura che muore  dalla voglia di vederlo… non gli dirò nulla se non mi prometti che passerete, non posso fargli sapere che l’hai trovato se lui non vuole vederlo… sarebbe atroce. Ti mando l’indirizzo di casa mia… aspetto tue notizie, C.”.
Jessica baciò il cellulare invasa da una gioia incontrollabile. Saltò sul letto e quasi pianse dalla felicità. Ritrovò lucidità, e si ricompose : mise a punto un nuovo piano. Aveva l’indirizzo e la certezza che Stefan si trovasse a Woodstock. Le serviva solo di poter tracciare le nuove coordinate. Perciò,  quando i due tornarono,  li lasciò soli ed andò in cerca di un internet-point in cui fare le sue ricerche. Tornata  al motel non fu difficile riprendere le redini della situazione, e la storia di Elena fu un ottimo diversivo per non far notare la deviazione presa…
 
…e mentre voi pensavate parlavate e rimuginavate… io ho guidato... Ed eccoci qui!»
concluse. Il gruppo di vampiri la guardò esterrefatto.
«E-e t-tutta quella storia… dell’intuitività?»
chiese Elena, ancora sconvolta dal racconto.
«Sono più furba che intuitiva… voglio dire, ci sarei arrivata sicuramente da sola… ma aver scoperto tutto prima di partire ha dimezzato i tempi… e comunque la foto bruciata l’ho trovata sul serio»
«Jess… ma… non capisco… e i tuoi parenti? Non volevi saperne di più?»
le disse, Damon. Jessica sospirò.
«La mia unica famiglia sei tu… e ne ho saputo decisamente di più…»
«Perché vuoi tornare a Mystic Falls, allora?»
incalzò lui.
«Beh… ci sono comunque un padre biologico ed una zia a cui dire che la loro ricostruzione digitale della mia faccia non rende giustizia alla mia bellezza… e poi… perché sei scappato da quel posto per troppo tempo… tutti voi lo avete fatto, è ora di tornare indietro e sconfiggere questo ultimo mostro…»
spiegò lei. Elena si irrigidì e scosse la testa.
«N-no… non posso! Jeremy mi odia… io… io non posso tornare lì»
«Jeremy non ti odia»
la consolò, Caroline.
«Sì che mi odia! Tu non c’eri quando mi ha mandata via… tu non eri lì quando mi ha urlato che sarebbe stato meglio senza avermi avuta intorno!»
«Era disperato nel vederti ridotta in quello stato… non poteva vederti soffrire… ma non ti odiava… e sono sicura desidera vederti  e abbracciarti tanto quanto lo desideri tu»
continuò la bionda.
«I-io… non posso…»
Jessica le si avvicinò e le prese una mano.
«Elena… ricordi cosa hai detto in macchina a D.? “è tuo fratello e ti ama! Non pensare mai, mai!, che senza di te potrebbe stare meglio”…»
La vampira guardò quegli occhi verdi fiammeggiare ed annuì. Sul volto della giovane sbocciò un sorriso soddisfatto ed esclamò:
«Bene! Ora però datemi da mangiare qualcosa! E poi un letto… voglio dormire! Ho bisogno di dormire, in un letto vero, con delle lenzuola vere… Caroline… che ne dici di riscattarti offrendomi ospitalità?»
disse rivolgendo a Caroline il suo sorriso di plastica. La vampira scattò .
«S-si certo… ma certo… io… certo!»
farfugliò nervosa. La giovane scoppiò a ridere e le porse la mano.
«Tregua!»
La bionda gliela strinse ripetendo:
«Tregua…»
Passarono il resto della giornata aggiornandosi sugli ultimi vent’anni, dicendosi tutto quello che avevano rimandato per troppo tempo, conoscendo meglio Jessica, la quale non chiuse bocca un solo momento, intrattenendo tutti con i dettagli della sua vita con Damon. Arrivò la sera ed andarono finalmente a dormire.
Caroline sistemò tutti nelle varie stanze della grande casa in cui era andata a vivere.
Damon ed Elena si chiusero nella loro camera, guardandosi intorno.  
«L’hai cresciuta bene, tua figlia…»
scherzò lei. Il vampiro annuì, ancora incredulo.
«Non credevo avrei incontrato qualcuno in grado di spiazzarmi così…»
rispose. Lei fece un sorrisino storto e gli si avvicinò cingendogli i fianchi.
«Nessuno, nessuno…»
sussurrò maliziosa.
«Non ci provare nemmeno… siamo in una casa di vampiri! Orecchie dappertutto!»
le ricordò lui, bisbigliando. Lei mise il muso e lo guardò con gli occhi accesi dal desiderio, lui sentì la forza irrefrenabile dell’attrazione spingerlo ad esaudirla.
«Forse però…»
iniziò lui…
«Forse?»
si incuriosì lei. Damon si portò la mano alla bocca e la morse, procurandosi un taglio da cui iniziarono ad uscire gocce di sangue, Elena lo guardò confusa.
«Fidati di me… bevi…»
la invitò. Lei sentì l’odore del sangue mischiarsi con il desiderio, esitò solo un istante prima di affondare i  denti nel palmo di lui e succhiarne avidamente il sangue.
Sentì il fluido riempirle la bocca e scendere in gola, setoso, corposo. Ogni parte del suo corpo iniziò a vibrare ed ogni centimetro di pelle fu percorso da brividi di piacere. Il sangue di Damon la riempiva quasi fosse lui stesso ad esserle entrato dentro, vestendola. Lo spinse contro la parete, incapace di trovare un limite alla voglia che aveva di contenerlo. Lui socchiuse gli occhi in preda all’estasi, la abbracciò affondando la mano libera nei suoi capelli. Lei sollevò lo sguardo su quella maschera di godimento e gli avvicinò il polso alle labbra, lui percepì l’odore della sua pelle ed aprì automaticamente la bocca, affondò le zanne nella carne di lei e ne succhiò la linfa vitale. Stelle e scintille gli invasero la mente interrompendone  le sinapsi. Furono trascinati da un uragano fino all’esplosione finale: una supernova di piacere.
Scivolarono sfiniti a terra. Lei, ancora adagiata contro il suo petto, con gli occhi chiusi, rapita dal suo sapore, ansimò:.
«Cosa… cosa è stato?»
«Vorrei poterlo spiegare…»
sospirò lui. Le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardarlo.
«Non devi avere paura»
le disse. Elena strinse gli occhi senza capire.
«Jeremy… non devi aver paura… è tuo fratello, la tua famiglia… può averti detto di odiarti, di non volerti più attorno… ma resti comunque  tutto ciò che ha di più caro. Ci sarò io con te… e se dovesse comportarsi male, lo soggiogherò!»
scherzò lui. Lei sorrise e si perse nei suoi occhi trasparenti, si strinse a lui e gli sussurrò sulle labbra:
«Ti amo!»
E lo baciò teneramente.
Nel frattempo, nella sua stanza, Jessica tormentava le lenzuola ansiosa di tornare a Mystic Falls: “Un'ultima verità da svelare… e finalmente il mio lavoro sarà finito…” pensò. 

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Capitolo 18
*** The end - È chiaro il mio destino. ***


GRAZIE:
a   Mammaesme, per il tempo e la passione dedicati;
a Chiara, che con i suoi disegni ha reso completa la mia storia;
a Vesper,  che ha regalato un volto alla mia  "bambina";
a chiunque si sia appassionato a  questo progetto, ispirandomi...
senza di voi, questo 'viaggio' non sarebbe stato tanto bello!
V.


Damon aprì gli occhi e,  non trovando Elena nel letto, fu colto dall’assurdo terrore di aver sognato tutto.
Si mise a sedere sul materasso, guardò quella stanza sconosciuta e si calmò: erano a casa di Caroline, non poteva aver sognato tutto.
«Ti sei svegliato»
disse Elena, spuntando dalla porta del bagno. La vampira balzò sul letto e gli diede un bacio.
«Speravo di tornare in tempo per guardarti aprire gli occhi…»
sussurrò. Lui rimase in silenzio a godersi quel momento. Se avesse parlato, se avesse emesso un solo suono, si sarebbe svegliato, ne era sicuro.
«Sei a corto di parole questa mattina?»
chiese scherzando lei. Il vampiro scosse la testa e sorrise.
«È … solo che…»
«Hai paura sia tutto un sogno?»
«Un bel sogno, però…»
Elena si mise a cavalcioni sopra di lui ed affondò in nuovo bacio.
«E-Elena…»
«Ssshhh… sono tutti fuori… Jessica li ha trascinati a fare rifornimenti per il viaggio…»
sospirò lei. Damon si lasciò andare al desiderio e la strinse a sé, la plasmò sul proprio corpo e la amò come se fosse la prima volta, e l’ultima a loro disposizione.
Tornati da quel viaggio nel piacere, rimasero stesi, a guardarsi… silenziosi.
«Non si direbbe…»
gli disse.
«Cosa?»
chiese lui, confuso. Lei si morse il labbro e titubante rispose:
«Che… che non… hai… in questi anni… sai… la castità…»
Damon annuì chiudendo gli occhi, si girò a guardare verso il soffitto e sospirò.
«Ci ho provato… all’inizio… ma… non era niente. Non mi dava niente, se non rabbia… e poi c’era Jess. Odiavo gli sguardi delle donne quando scoprivano che mi prendevo cura di una bambina…»
«Che avevano i loro sguardi?»
«Loro… loro mi guardavano come… se…»
«Valesse la pena provare ad amarti?»
Lui riportò i suoi occhi di cielo sul viso di lei, fornendole la risposta. Elena gli toccò la guancia e disse:
«Mi dispiace… ti ho fatto tanto male…»
«Non ha più importanza… mi stai guarendo»
la confortò. Le prese la mano e la tirò a sé, facendola scivolare su un bacio.
Sentendo gli altri rientrare, si prepararono e scesero di sotto.
«Hey»
li salutò, Stefan. I due ricambiarono il saluto e Damon, guardandosi intorno, chiese:
«Jess?»
«Con Caroline»
rispose il fratello. L’espressione stupita del vampiro lo fece sorridere e aggiunse:
«Le ha detto qualcosa come “ti offro la possibilità di starmi simpatica per sempre!” e l’ha trascinata via dicendoci di tornare a casa…»
«La perdonerà mai?»
si informò Meredith.
«Non ce l’ha proprio con lei… ma sa essere sadica …»
«Chi mi ricorderà mai…»
commentò Elena. Si guardarono tutti ridendo.
«Allora… emozionati di tornare a casa?»
domandò la dottoressa Fell. Damon mise istintivamente una mano sulla schiena alla fidanzata.
«Sto… io sto bene… andrà tutto bene…»
assicurò lei.
«Comunque avremo altro di cui preoccuparci…»
disse lui.
«Di che parli?»
volle sapere, Stefan.
«Di mia figlia… ha qualcosa in mente… ma non so cosa…»
Come richiamata da quel pensiero, la ragazza entrò esclamando:
«Heilà!»
Arrivò in cucina sorridente, Caroline le stava dietro con una strana espressione, sembrava eccitata per qualcosa.
«Cosa… che…»
farfugliò Damon, vedendo le due così esaltate.
«Ho un regalo… per voi due…»
rispose Jessica . I due fidanzati si guardarono preoccupati.
«Dai! Dai! Fagli vedere!»
la incitò Caroline. Jessica si morse un labbro e tirò fuori dalla borsa una busta di carta, guardò entusiasta il padre e la sua fidanzata e la consegnò loro. Elena  la prese esitando e si accinse ad aprirla.
«Ho pensato tanto a quello che mi hai detto il primo giorno di viaggio…»
iniziò a dire la giovane.
«E poi, l’altra sera al pub mi è sembrato…  ho colto l’occasione e… ho pensato fosse carino…»
La vampira si ritrovò tra le mani una foto che ritraeva lei e Damon ballare. Si sentì invadere il petto di gioia e guardò quegli occhi verdi e lucenti. Corse ad abbracciarla.
«Grazie… è… è bellissima… davvero, Jess… io… grazie!»
Jessica ricambiò l’abbraccio arrossendo lievemente.
«Beh… prego… io… sono contenta ti sia piaciuta…»
Damon osservò tutta la scena completamente sopraffatto da un senso di irrealtà: se si fosse svegliato in quel momento sarebbe morto per il dolore. Ma non era un sogno, era tutto reale.
Il gruppo finì di preparare i bagagli.
«Posso viaggiare io con Care»
propose Elena.
«Elena, davvero… non ti preoccupare! Io e Stefan ci vediamo ogni giorno… viaggiare separati non sarà un problema»
la rassicurò Meredith.
«Senza contare che nelle camere di motel ognuno starà con i rispettivi partner!»
proruppe Jessica. Scoppiarono a ridere e salirono sulle auto.
«Quindi… direi che a questo punto zio Stefan rientra tra le persone a cui fare le mie domande giornaliere!»
esclamò la ragazza.
«Non ci provare neanche! Hai perso ogni diritto di fare domande, vista la trappola in cui mi hai cacciato!»
la riprese Damon. La ragazza chiuse la bocca mettendo il muso, si appoggiò allo schienale del sedile posteriore, guardò fuori dal finestrino e disse in tono greve:
«Bel modo di ringraziare! Ti riporto fratello, amici e fidanzata…»
«Jess, non ti ringrazierò mai abbastanza per quello… ma resta il fatto che mi hai preso in giro… per cui il patto è saltato…»
sentenziò serafico il vampiro.
«Beh… dovrete pur parlare! Non avrete intenzione di fare un viaggio muti!»
I vampiri si scambiarono uno sguardo d’intesa e Jessica sbuffò.
Fortunatamente per la ragazza, nessuno tacque. Stefan e Damon si raccontarono vent’anni di vita scoprendosi cambiati e cresciuti. Elena dimostrò la sua gratitudine raccontandole degli altri balli a cui aveva partecipato insieme a Stefan e suo padre.
Le parlò del primo disastroso ballo scolastico, in cui un vampiro la cercava per ucciderla .
Raccontò di un altro ballo, in cui Klaus, nel corpo di Alaric, le diede la caccia e quasi uccise Bonnie; di quello in cui avrebbero dovuto uccidere Klaus e di quello a casa dei Mikaelson, con la lite tra lei e Damon ed il complotto di Esther.
Infine arrivò anche la storia del più doloroso, in cui persero Alaric.
«Direi che i balli non fanno per voi…»
ironizzò.
«Sì, beh… l’ultimo non è andato tanto male…»
ribatté  Elena.
«Agh… ti prego… sei quasi mia madre! Evita questo tipo di commenti!»
La battuta li fece ridere, ma Damon sentì uno strano dolore. Il pensiero che Jessica non avesse una madre a causa sua, tornò a logorarlo. Per il resto del viaggio fu sottotono. Man mano che si avvicinavano a Mystic Falls il senso di colpa aumentava: la figlia avrebbe conosciuto la famiglia a cui l’aveva strappata per più di vent’anni. Non c’era modo di rimediare a quello.
Giunti a destinazione andarono direttamente alla pensione dei Salvatore.
Elena ebbe un brivido al pensiero degli anni passati rinchiusa in quelle cantine, Stefan si sentì a casa e Damon ebbe la sensazione di non essersene mai andato: “ma lo hai fatto… sei uscito da quella porta da solo… e stai tornando con un famiglia” pensò. Jessica rimase colpita dalla maestosità della casa, la visitò tutta con l’espressione rapita di una bambina alla sua prima gita al museo. Quando arrivò nella cantina fissò la cella in cui era stata rinchiusa Elena per 4 anni. Sentì lo stomaco torcersi al pensiero della vampira legata alla brandina che era lì a prendere polvere. Damon la raggiunse e rimase pietrificato, le immagini della sua amata sofferente presero corpo nella sua mente e di nuovo il senso di colpa iniziò a  tormentarlo. Qualcuno intrecciò le dita alle sue, risvegliandolo da quell’incubo ad occhi aperti: Elena era comparsa al suo fianco.
«Non mi farò sconfiggere da questo posto, e non lascerò che sconfigga te… noi!»
disse fiera. Prese anche la mano di Jessica e li trascinò dentro quello spazio umido e ristretto.
«Me lo ricordavo peggio»
commentò. Guardò prima lui, poi la giovane e sorrise: il primo mostro era stato sconfitto.
Tornarono al piano di sopra.
«Tutto ok?»
si preoccupò Stefan. I tre annuirono.
«Allora… cosa facciamo adesso?»
chiese Damon.
«Mi sembra ovvio… prima porterai la tua ragazza da suo fratello… poi porterai me dai miei parenti»
rispose Jessica. Il vampiro si voltò verso Elena che annuì.
«Sono pronta!»
«Posso venire con voi? Casa di mia madre è di strada dopo quella di Jer»
fece Caroline.
«Certo che sì! Ti devo chiedere un paio di cose riguardo a quel Klaus… mi sembra di aver capito che ve la intendevate un po’!»
esclamò la giovane. La bionda sorrise e Damon si premette una mano sulla fronte.
Si incamminarono arrivando ad una grande casa in mattoni rossi e Damon chiese:
«Cos’è successo a casa vostra?»
Le due vampire si guardarono imbarazzate.
«In… in uno dei miei… attacchi… le ho… dato… fuoco…»
spiegò Elena.
Scesero dall’auto ed andarono a bussare alla porta. Aprì una bambina piccola, mulatta.
«Chi siete?»
domandò.
«Devi… tu devi essere Jenna… ciao… io sono…»
«Io lo so chi sei… ho le tue foto  in casa… papà! Papà!»
chiamò a gran voce la piccola. Pochi istanti dopo arrivò sulla porta un uomo alto: ancora riconoscibile, sotto una barba incolta, spuntava il viso di un ragazzino che più d’una volta si era scontrato con Damon. Nel vedere le 4 persone sul portico, l’uomo, spalancò la bocca.
«Hey, Jer…»
salutò con voce tremante Elena. Jeremy superò la figlia e corse ad abbracciare la sorella, la strinse forte ed iniziò a piangere.
«Credevo non ti avrei più rivista! Mi sei mancata così tanto!»
«Jer… anche tu… io… mi dispiace… »
«Non essere stupida! L’importante è che stai bene»
disse sciogliendosi dalla stretta. Rivolgendosi a Damon aggiunse:
«Credo di doverti ringraziare…»
Il vampiro lo guardò confuso, l’uomo si avvicinò e gli tese la mano.
«Hai riportato indietro mia sorella… grazie!»
Sulla porta, richiamata dalla figlia, comparve anche Bonnie.
«Damon… Elena…»
disse in un filo di voce, prima di lanciarsi ad abbracciarli: il secondo mostro era stato sconfitto.
Passarono le successive ore a ritrovarsi. Ascoltarono la storia di Jessica e Damon,e, come sempre, la ragazza conquistò tutti con la sua  verve.
«Elena… io accompagno Caroline a casa e Jessica dai… suoi… parenti. Prima che si faccia troppo tardi. Ti passo a prendere dopo, ok?»
propose il vampiro. Lei annuì e i tre si incamminarono.
«Mia madre sarebbe felice di vederti… perché non entrate un attimo?»
li invitò Caroline.
«Sì! Voglio assolutamente conoscere lo sceriffo!»
si entusiasmò Jessica.
«Non starai cercando di evitare i tuoi, vero?»
la stuzzicò Damon.
«Pfff… non essere ridicolo! Mi hanno aspettata per vent’anni, un’ora in più non cambierà nulla, né a me, né a loro!»
Liz Forbes era invecchiata, ma nel rivedere il vampiro riacquistò una luce che parve eliminare dal viso quegli anni trascorsi. Lo abbracciò forte.
«Care mi aveva detto che ti avevano ritrovato, ma non credevo avrei fatto in tempo a rivederti…»
gli disse, con voce rotta dall’emozione.
Entrarono in casa e Caroline portò Jessica a vedere camera sua. Damon trovò quell’improvvisa amicizia sospetta ma non ebbe tempo di approfondire.
«Allora… cosa ti offro?»
chiese la donna.
«Qualcosa di forte… di molto forte!»
«Uh… c’entra per caso la ragazza che è venuta con voi, Jessica?»
«Liz… ti confesserò un crimine…»
«Damon, sono in pensione da anni…»
«Meglio per me…»
Liz si sedette accanto all’amico e lo ascoltò raccontare della sua ultima notte a Mystic Falls vent’anni prima. L’ex sceriffo ascoltò rapita ogni parola e quando lui terminò, inclinò la testa e disse:
«Rose Lea Smith… chi l’avrebbe mai detto…»
«Beh… potevi immaginarlo… insomma, io ero sparito e una donna era morta dissanguata…»
Lei lo guardò confusa.
«Di… di cosa… che stai dicendo?»
«Di sua madre… l’ho uccisa… l’ho… sbranata… ho ucciso la madre di quella ragazza… io… io le ho rovinato la vita…»
ribadì lui. Liz si alzò e si allontanò, lasciandolo solo per qualche minuto. Tornò con una scatola marrone stretta tra le braccia.
«Questo è il caso “route 126”, questo il fascicolo della vittima. Ally Jane Smith era una drogata in crisi post-partum. Tentò il suicidio in più di un’occasione: la sera in cui è morta, era andata a farla finita. Aveva deciso di portare con sé la figlia, di soli 11 mesi. Non so cosa credi di aver fatto… ma noi abbiamo trovato la donna in fondo ad un dirupo, morta per il volo di 322 metri… credevamo la bambina fosse morta con lei, ma, non avendo trovato il corpo, sua zia e suo padre non hanno mai perso le speranze…»
«Ma… il giornale… parlava di… nel giornale… c’era un attacco da parte di animali, parlava di un omicidio…»
«Ally Jane Smith, figlia di Robert Gale Smith, della “R.G. Industries”… un magnate dell’alta finanza nonché membro del Consiglio di Mystic Falls… credi avrebbe permesso ai giornali di rovinare la sua immagine facendo pubblicare la storia della figlia, pecora nera e drogata, morta suicida? Ha pilotato la notizia in modo tale che, né la sua azienda, né il suo posto nel Consiglio fossero a rischio… non so cosa ricordi tu… ma non hai sicuramente rovinato l’esistenza a quella ragazza… l’hai salvata da morte certa… ecco, leggi…»
L’ex sceriffo allungò a Damon una lettera stesa dentro una busta di plastica trasparente.
 
Cari papà, Sean e Diana,
io ci ho provato… lo giuro. Ma non posso, io non ce la faccio. Questo mondo è un posto orribile, porta solo dolore e sofferenza… io non resisto! Non ne posso più… e la piccola Rose sorride ingenua, lei non sa! Non sa che mostri ci sono là fuori! Io la devo salvare! Le devo impedire di venire divorata! Perdonatemi… devo salvarla… devo salvarmi!
Addio,
A.J.”
 
Il vampiro rilesse quelle poche righe più volte, la mano iniziò a tremargli e la sua mente iniziò a ripercorrere quella notte. Gli era già capitato di vedere quel film, un vecchio horror in bianco e nero, ma in quel momento, le immagini erano nitide e a colori…
 
Damon si fermò di colpo, cercando di capire cosa fare. Scese dalla macchina e ripensò ad una notte di molto tempo prima, in cui uccise un’innocente, solo perché si era fermata a soccorrerlo. Si sdraiò sul battistrada ed attese di non sentire più dolore.
Arrivò una macchina grossa, scura. Si fermò poco distante, attirando la sua attenzione. Due gambe femminili scesero dal pick-up, lui le osservò muovere passi incerti. La donna piangeva e farfugliava qualcosa, ma non capì cosa. Mise a fuoco l’immagine e la figura sembrava portare qualcosa in braccio, la osservò camminare fino al parapetto, tese l’orecchio e cercò di capire cosa stesse dicendo:
«M-m-mi di-i-ispia-ace… R-Ro-se, piccola mia… v-vedrai… la tua mamma ti salverà… sa-a-rà me-e-glio c-così…»
Con chi parlava? Chi era Rose?
Il vampiro capì le sue intenzioni e desiderò poterla seguire nel suo gesto… ma lui si sarebbe salvato. Il pensiero che quella donna sarebbe morta lo fece sollevare e correre veloce da lei.
«Hey! »
la chiamò. La donna si voltò di scatto facendo volare nel vento i suoi capelli ricci. Due grandi occhi verdi, disperati, vuoti, lo fissarono.
«Io… devo salvarla, capisci? Io… non posso permetterle di conoscere i mostri!»
disse la donna. Damon non capì di chi stesse parlando finché il fagotto che lei stringeva tra le braccia, non fece rumore. Guardò meglio e scorse una manina che spuntava dalle coperte.
«Hey! Andiamo! Non puoi farle questo!»
«E dovrei permettere al mondo di farle di peggio? Credimi… starà meglio… le risparmierò il dolore…»
«Oh … ne so qualcosa di dolore… la vita fa schifo… ma non puoi negarle l’opportunità di averne una migliore… non puoi privarla di questa opportunità! Andiamo… torna indietro…»
La donna chiuse gli occhi e si preparò a spiccare il volo, il vampiro scattò e riuscì ad afferrare la bambina un attimo prima che la donna si lanciasse nel nulla. Rimase immobile mentre la notte inghiottiva la sconosciuta. Una mano piccola gli si posò sul viso, lui fissò i suoi occhi di cielo in quel mare di giada e tutto il resto sparì: due orfani del destino.
 
Era così distrutto che si era vietato di considerarsi un eroe. Un eroe non avrebbe avuto motivo di scappare, un eroe sarebbe tornato indietro a dimostrare alla sua dama di valere qualcosa. Lui non poteva, e la sua mente lo trasformò in quello che riconosceva essere il suo vestito più adatto: un mostro.
«I-io… i-io… c-come…»
balbettò.
«Hai visto? Non mi hai rovinato la vita… mai…»
La voce di Jessica, giunse alle sue spalle. Si girò e la vide poggiata contro lo stipite della porta. Il viso di lei era bagnato dalle lacrime, ma continuava a sembrare felice, più felice.
«T-tu… tu lo sapevi?»
La ragazza scosse la testa.
«No… sapevo che c’era qualcosa… qualcosa di nascosto… ma… io non sono riuscita a scoprire niente… sapevo che qualcosa non tornava nella storia e nelle versioni… e sapevo che dovevo tornare qui per scoprilo… poi… l’altra mattina, quando sono andata con Caroline a far stampare la foto per te ed Elena… è uscito fuori che lei era la figlia dello sceriffo che si era occupato di questo caso. Mi ha detto che ai tempi si lamentava delle insabbiature da parte di… di mio nonno, credo… e mi ha aiutata a portarti qui…»
«E… se… se avessi scoperto che l’avevo uccisa davvero io?»
«Non ti ho portato qui per poterti perdonare… l’ho fatto perché ti perdonassi tu... perché capissi che il destino non si evita… pensa se non avessi incontrato mia madre quella notte… pensa a dove staresti… a dove starei  io!»
scoppiò a piangere.
Lui si alzò e la strinse forte, ancora incapace di metabolizzare quella storia. L’inferno dentro di lui si era spento: terzo ed ultimo mostro sconfitto.
«Quindi… ti devo portare dai tuoi?»
«Li ho contattati tempo fa… ricordi il viaggio che ho fatto in primavera? Sono venuta qui e li ho conosciuti… ho spiegato loro che avrebbero dovuto avere pazienza ma che sarei tornata… ci siamo sentiti ogni giorno da allora e mi stanno aspettando per passare l’estate insieme… starò un po’ con loro… tu hai una fidanzata ed un fratello con cui passare del tempo… »
«Jess…»
«D. l’ho fatto solo per te… per dirti grazie… Ci rivedremo prima di quanto pensi… e ricomincerò a farti venire le rughe!»
«Sono un vampiro… è impossibile!»
«Lo stai dicendo alla ragazza che ti ha restituito una famiglia in meno di una settimana?»
Si sorrisero e si abbracciarono.
Damon ringraziò Liz e Caroline, accompagnò Jessica dai suoi parenti e tornò da Elena. Nel tragitto, la sua attenzione fu catturata da un oggetto.
Ricongiunto alla ragazza, raccontò tutta la storia scoperta a casa di Liz; quando lui terminò lei disse:
«Questo è quello che fai, Damon… tu salvi le persone…»
Lui la baciò teneramente.
«Ti ho preso una cosa…»
disse, consegnandole una scatolina . Elena l’aprì emozionata: all’interno c’era una spilla d’argento, a forma di rosa.
«Questa non diventerà mai cenere…»
Lei lo guardò con occhi  pieni di lacrime e lo baciò.
«Mai… come noi…»
sussurrò lei, abbracciandolo.
«Finché terremo i nostri anelli, almeno…»
scherzò lui.
«ssshhhh…»
lo zittì, poggiando le labbra sulle sue.


 
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Family Buisness (Dal 4 aprile)
 
Il telefono di Damon squillò, si liberò dal bacio di Elena e, vedendo il nome di Jessica brillare sul led, rispose:
«Oh! Andiamo! È passata solo un’ora! Non possono essere così noiosi! »
«Ma chi l’avrebbe mai detto… Damon papà…»
disse una voce che riaccese l’inferno del vampiro, bruciandogli l’anima.
«Rebekah…»
sospirò.

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