Sorry About The Dirty Clowns

di LostHope
(/viewuser.php?uid=196630)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diario N° 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Purple Clown ***



Capitolo 1
*** Diario N° 1 ***


Giorno 1, 16 febbraio 20xx
 
Dopo una camminata di due minuti nell’oscurità, passando per un lungo corridoio attraverso un passaggio segreto, ero arrivato davanti ad una gigantesca porta in ferro, con un G4 rosso e sbavato scritto sopra. Un odore di muffa che riempiva la poca aria respirabile.
Dietro quella porta, il mio futuro.
Se quella lettera nera con il simbolo del Governo, un iris scarlatto, non fosse mai arrivata per assumermi, non avrei mai creduto nell’esistenza di un laboratorio segreto, ne sottosuolo della Capitale.
Eppure, ero lì.
“Ehi, tu ! Tu sei quello nuovo, vero ?”
L’odore di muffa fu coperto da un odore acido che vacillava tra sigaro e rhum.
Un uomo tozzo, con una barba nera che copriva la pelle abbronzata, uscì dall’oscurità del corridoio.
Indossava un camice come me, ma non nero, bensì verde, macchiato di scuro e che emanava un forte olezzo.
Sembrava uno di quei ribelli che infestavano Cuba …
Gli dissi di sì e mi presentai.
“Finn Shellvine ? Che onore, il brillante tirocinante che ha lasciato a bocca aperta tutti i dottori del distretto Cancri ! Che fortuna, abbiamo un vero e proprio giovane genietto … che acquisto spettacolare sei, tigre.” Si complimentò, ironico, poi mi porse una mano piena di calli “Io sono Korn Wayseeh, tuo supervisore, piacere mio. Ora tigre, siamo in ritardo pazzesco e dovrei dirti le cose principali. Sei fortunato, mi hai preso in un buon momento, quindi in due minuti ti dirò il minimo indispensabile. Prima di tutto, un piccolo quiz: perché abbiamo i camici diversi, noi due ?”
Tirai ad indovinare.
“Esatto, abbiamo mansioni diverse: tu controlli e dai medicine, io opero e testo. Seconda domanda, hai stomaco di ferro, malattie varie o preferenze di qualunque tipo ?”
Non avevo nemmeno fatto in tempo a rispondere alla domanda, che Korn lo fece per me.
“Non importa che tu risponda, le risposte che avresti dato sono tutte irrilevanti. Ultima domanda …”
Tirò fuori da una tasca sudicia una carta magnetica e sogghignò, fissandomi.
“Sai, vero, quello che facciamo qui ?”
Abbassai la testa e feci di sì con la testa, pentito.
“Ottimo, lezione finita.”
Utilizzò la chiave e la porta si aprì.
 Lasciando libero un odore di marcio e morte che per poco non mi fece vomitare.
“Ci  farai l’abitudine, tigre.”
L’odore era solo una parte dell’orrore che si trovava dietro quella porta: doppia file di celle,con sbarre di ferro arrugginite, scure e sporche, il pavimento è lurido con macchie di sudicio e sangue secco, nessuna finestra, per cercare di liberarsi dall’odore c’era una piccola grata per il condotto per l’aria, ma era inutile e sudicia anch’essa.
E dentro le celle: bambini.
Di tutte le razze ed età.
“Sei proprio fortunato, qui si trovano i migliori esperimenti, la crème de la crème del nostro laboratorio. Ehi, tigre … ti vedo triste, cos’hai ? Non avrai dei figli, vero ?”
Sorrido, triste. Sì, un maschietto, quattro anni a giugno.
La mia risposta fece rabbuiare Wayseeh, che mi lanciò uno sguardo scioccato. “Ero sarcastico … ma guarda, bambini che crescono altri bambini, come è caduta in basso la nostra società ! Meno male che c’è il programma Perfect, mi fa credere in un futuro migliore !”
Parlare di quello che facevano qui come futuro mi fa pensare.
Sì … la società è caduta veramente in basso.
Non avrei mai accettato, se non sapessi cosa succede a chi non rispetta gli ordini dell’Ordine Dell’Iris.
Osservai le ‘cavie’: smunti e bendanti alla bene e meglio,che comunque non riuscivano a nascondere le loro ferite lo stesso, nascosti nei loro camicioni sudici un tempo bianchi, rannicchiati per terra,mentre cercavano di nascondersi nei loro camicioni sudici un tempo bianchi, di rendersi invisibili.
“Ci credi che questa spazzatura ha un’utilità, a conti fatti ? Stamattina abbiamo fatto una scoperta eccezionale !” sorrise, quell’uomo, avvicinandosi a me e sussurrandomi poi nell’orecchio “Le bambine dai capelli rossi … scoppiano che è un piacere !”
La mia faccia lo fece letteralmente sbellicare.
“Eh sì, come un fuoco d’artificio: uno splendido spettacolo di colori vermigli, peccato per l’odore ! Una cosa del genere è un grande passo per la scienza: un metodo originale per togliere lavoro ai musi gialli e per riciclare questa spazzatura immonda !”
Spazzatura.
Chi vive per strada, chi passa la propria vita legato ad un letto d’ospedale o di un manicomio, riformatorio e prigione.
Spero di non diventare come lui …
“Tornando a noi” l’uomo tornò serio e mi diede qualche pacca alla spalla “Il tuo lavoro è controllare queste cavie e somministrargli le medicine che ti daranno i miei colleghi. Non devi toccarli senza guanti o altre protezioni: alcuni sono tossine viventi. Non curarti delle loro condizioni: se la devono cavare da soli, pure i più piccoli. E, prima di tutto, occhio a Lei.”
… Lei ?
“Lei, Lei ! La Veterana, è qui da quando aveva tre anni, l’unica tra tutta ‘sta feccia che mostra grandi progressi. Ora ne ha sei anni, compiuti un mese fa. Abbiamo festeggiato, mancavano solo qualche bambina dai capelli rossi e sarebbe stato un vero party…” rise alla sua battuta e mi indicò l’unica cella con una porta vera e propria, lanciandomi un mazzo di chiavi arrugginite.
Deglutii e cercai di aprire la porta.
Quando ,all’improvviso, la mano di Korn mi bloccò il braccio, ringhiando un “Sei per caso impazzito ?!”
Aveva uno sguardo che traboccava odio e rabbia allo stesso tempo.
“Mettiti questa” mi porse una maschera colorata di blu e con un naso rosso.
Un clown …?
“Non voglio dover raccattare il tuo corpo freddo e decomposto, tigre.”
La indossai, incerto, e gli chiesi il perché di questa paura.
“Paura ? Mi fa solo fatica andare a dire alle alte sfere che un altro novellino ha tirato le cuoia. Meglio non farla arrabbiare, quella … non guardarla negli occhi … mai !”
Poi sorrise, facendo sparire la rabbia dal volto e andandosene, sparendo nell’oscurità.
“Buon primo giorno, clown !”
Rimasi in silenzio.
Se io ero un clown, Korn doveva essere l’Uomo Nero, perché, quandò sparì, i bambini cominciarono a piangere ed a gemere. Ma molti erano silenziosi, come bambole buttate per terra.
Rimanere lì, con quella maschera ridicola, bloccato dalla paura, mi faceva sentire un vero e proprio schifo.
Aprii la cella.
Notai subito tre cose: la prima era che la stanza non era affollata come le altre, anzi,vuota. La seconda è che quella stanza era illuminata al centro e gli angoli erano bui, come se non esistessero. La terza cosa mi fissava con due occhi verdi e con uno sguardo vuoto, dormiente.
La camicia che indossava era troppo lunga, un cappuccio cucito male le copriva la testa, lasciando sfuggire qualche ciocca fulva.
… Non poteva essere lei. Troppo piccola.
Il ricordo delle bambine -fuoco d’artificio mi fece salire la nausea.
“Sei qui per Shadow ?”
Parlava di Lei ?
La sua voce era melodiosa, ma anche metallica.
Mi tolse il fiato.
“La vuoi portare al Parco Giochi ?”
Dico di sì.
Era incredibile come avevano trasformato un crudele esperimento in qualcosa che poteva essere comparato ad un gioco come l’altalena o lo scivolo.
La bambina si era messa a strisciare verso un angolo buio, mostrandomi le sue gambe nude e impallidire.
Non credo di aver mai visto una cosa del genere: delle vene rosse che si ramificavano per le gambe, come grosse radici, inumane.
Sparì nel buio e un rumore metallico riempì il silenzio della cella e la bimba riapparve, attaccata ai fianchi di una sua coetanea più grande.
Capelli lunghi e neri come ali di corvo, l’occhio sinistro bendato con stracci lerci e l’occhio destro scuro come una notte senza luna, che lo fissava, mentre faceva strisciare ad ogni passo le catene che l’abbracciavano come una camicia di forza.
“Sei quello nuovo ?”
Feci segno di sì.
“Bene … devi condurmi nella stanza COD, secondo piano verso il basso, terza porta sul corridoio ovest. Devi aprire le catene dalla parte del muro, ti puniranno se non sono legata. Non fissarmi mai l’occhio sinistro e devi tenermi sotto controllo costante, quando sono fuori dalla cella: molti novellini hanno fatto una fine orrenda per colpa di queste cazzate.”
Rimasi a bocca aperta: una bimba di soli sei anni, in un posto del genere, di solito diventava come uno di quei bambini simili più a bambolotti. Invece lei era adulta, seria.
Come se fosse una cosa totalmente normale.
Seguii le sue istruzioni e mi misi a sganciare le catene dal muro, mentre lei appoggiò la sua fronte su quella della compagna, per farla smettere di piangere.
“Fiore, tornerò, non ti preoccupare. Asciugati le lacrime, tra qualche minuto verranno anche per te. Testa alta e comportati bene.”
“S-Si …”
Uscimmo e chiusi la porta, mentre la ragazza mi fissava, curiosa.
Perché non si ribella se è così forte ?
Perché non scappa, perché non fugge ?
“Sono solo un povero clown” la ragazza canticchia e risponde alle mie domande, facendo tintinnare le catene “uno sporco clown, nato per far divertire. Camminare sul filo, ballare come una matta, darmi fuoco per sbaglio e fare trucchi scadenti. Il mio lavoro è questo. Li farò divertire, saranno così impegnati a ridere e a godersi la loro vita, che nessuno si accorgerà di nulla, quando aprirò le gabbie dei famelici leoni …”
Aveva sospirato e, con un tono malinconico, mi chiese chi ero.
Le dissi il mio cognome.
Le piacque.
“Mi piace molto … è un cognome libero … spero di rivederla : mi piacciono molto i clown blu !”
Non ce la posso fare.
Mi trema la mano mentre scrivo, l’inchiostro e la penna non seguono più il mio volere.
Il lavoro del clown … non credo di riuscirlo a fare, di riuscirlo a sopportare.
Ho paura che la corda si spezzi, di scivolare, di diventare cenere e sbagliare il trucco.
E di finire divorato.
Mi chiedo … se riuscirò a fare quello che ho progettato.
Ho paura di fallire.
Ho forse … ho più paura per quella ragazza, Shadow.
Non posso rimanere a lungo a scrivere, la luce potrebbe svegliare Ardisia …
Non deve scoprire né il mio lavoro, né il mio diario.
Non voglio mettere in pericolo lei e il mio bambino …
Meglio chiudere qui.
Lo sporco clown ha bisogno di dormire.
 
 
 
Ecco qui, cominciata un'altra fiction ... mamma mia che fatica -.-"" Quando mai l'ho fatto, eh ?
Spero vi piaccia, mi sono mooolto impegnata per questo ^^ !
Un bacio a chi legge, a chi commenta, alle mie amiche e alla mia sempai che ha paura dei clown !
Ciao ciao :o)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Purple Clown ***


14 anni dopo ~
 
“AITHER, ALZATI ! FARAI TARDI A SCUOLA, MUOVI QUELLA CARCASSA IGNORANTE CHE TI RITROVI !”
Aither Shellvine mugugnò qualche parola da sotto il cuscino quando sua madre gli strappò le coperte di dosso.
“Mamma … non mi sento molto bene …”
“Suvvia, ogni lunedì dici le stesse cose … oggi non cambierà n… SANTO CIELO !” la donna fece un balzo indietro, appena vide il volto del figlio spuntare fuori dal cuscino “AITHER, CHE DIAVOLO HAI FATTO AI CAPELLI ?!”
Prese il suo cellulare da sotto il cuscino e si specchiò: dall’attaccatura fino alle punte strambe e piene di gel, i suoi capelli sfoggiavano una eccentrica gradazione, dal rosso granato al rosso vermiglio.
“Ma nulla ma’, è solo uno scherzo cretino …”
“SCHERZO CRETINO ?! TI LASCIO DA SOLO LA DOMENICA PER ANDARE A TROVARE TUA NONNA E TI TROVO RIDOTTO IN QUESTO STATO !”
“Mhè, non esagerare … sarei potuto tornare con un braccio rotto e invece …”
“INVECE HAI DUE OCCHIAIE CHE SEMBRANO DUE PRUGNE, DEI CAPELLI SCHIFOSI, PALLIDO COME UN FANTASMA E CON DUE LIVIDI ! Aither, capisco che sei bravo a scuola e stai vivendo la tua adolescenza, ma non puoi comportarti come uno di quei poco di buono che girano per Castor e fare quello che ti pare !”
Il ragazzo mugolò, facendo le labbra a cuore e gli occhioni verdi da cucciolo “Ma’ … mi sento malissimo sul serio, non riesco ad alzarmi. E per i capelli, non ti preoccupare: è una tinta lavabile. I compiti li ho fatti e ho già avvertito la scuola. Domani vado in classe, giuro.”
La donna borbottò qualcosa, poi gli diede una pacca sulla spalla e sospirò, arrendendosi.
Uscì dalla stanza e Aither aspettò, contando i secondi che la madre ci metteva a prendere la borsa e uscire.
Appena sentì la porta d’ingresso chiudersi, saltò fuori dal letto e corse in bagno.
Si lavò il cerone dalla faccia e si ravvivò i capelli rossi, sorridendo.
Non era stato uno scherzo cretino, bensì una decisione presa alle tre del mattino.
E quelli sul collo non erano lividi … Francesca ? Giulia ? Laila ?
Chi se lo ricordava.
Si lavò velocemente e uscì dal bagno, afferrando un paio di jeans e la sua maglietta rossa preferita.
Si infilò i suoi anfibi sporchi di vernice verde senza legarli e uscì di casa, chiudendo a chiave.
Era in ritardo per l’appuntamento, non glielo avrebbero perdonato.
Corse per il vialetto del distretto Leonis verso la metropolitana.
Si bloccò solo davanti ad un giardino.
Una delle sue vicine aveva piantato degli iris scarlatti, il simbolo del loro governo. Ringhiò e li strappò, infilando le mani attraverso il cancello in ferro battuto, con foga.
Odiava quel simbolo.
Per colpa di quell’Ordine degli Iris del cavolo, suo padre era sparito, due anni prima.
Non lo aveva più visto, da quando i Punitori vennero a informarci della sua sparizione.
E non avevano fatto nulla per lui e sue madre.
Terminata la sua distruzione, il giovane si alzò e corse verso la metropolitana.
Non si accorse della figura che lo seguiva, silenziosa.
---
Scendendo dalla metro, si sentiva orgoglioso della sua capigliatura.
Tutti quelli seduti vicino a lui lo guardavano schifati come un rifiuto.
Chi non indossava vestiti normali, chi aveva i piercing o i capelli tinti era ritenuto un abitante di Castor, un orrendo rifiuto.
Era l’unico distretto che i Purificatori controllavano poco, dato che era la discarica di tutti quelli che erano inutili per l’Ordine.
Lì, giovani fanciulle diventavano lucciole nella notte, rispettabili uomini diventavano orribili porci, alla pari di capi mafiosi.
Ma tanto, era solo uno dei pochi distretti dove la perfezione non era sovrana.
Tutti i distretti, poi, si incontravano nella gigantesca metropoli, la Capitale,
“Un gigantesco alveare pieno di api dove l’Ordine e i suoi schiavetti lavorano per garantirci un ‘futuro migliore’.”
Suo padre l’aveva definita così una volta.
Un'altra volta aveva definito la Capitale un tumore, che si diramava ovunque.
In effetti, si trovava precisamente tra America e Canada, anche se ormai non si chiamavano così da un sacco di tempo.
Nessuno degli stati di adesso aveva un’organizzazione simile e un tale potere.
Un potere che influenzava tutto, persino l’istruzione e gli altri paesi.
Aither si ricordò, con disgusto, quegli orrendi temi in classe dove scriveva di quanto fosse perfetta la loro vita grazie all’Ordine, soffrendo di claustrofobia per colpa della divisa, troppo stretta.
Camminò per quel distretto, pieno di negozi poco raccomandabili e uomini che tornavano a casa, dopo una notte di follie.
A pensarci bene, tutti i distretti avevano un compito e una mansione: quella di Castor doveva essere preservare quel poco di ribellione che rimaneva nel cuore della gente.
Entrò a far parte di quel mondo a quattordici anni. Poi, passando lì più tempo, adorava le notti passate tra quella gente diversa dai soliti compagni perfettivi o cercando file e notizie, utilizzando vecchi computer.
Ed ora, che di anni ne aveva diciotto, passava notti tra donne o feste ed era il miglior hacker che la Capitale non aveva ancora arrestato.
Il suo nickname era Red Hawk, lavorava per chiunque avesse abbastanza grana per permetterselo (non era economica, la sua bravura !).
Certo, non poteva saltare la scuola più di tre giorni alla settimana, o i Punitori lo avrebbero preso a forza , insegnandogli un paio di lezioncine.
Andava tutte le notti a Castor, solo qualche volta faceva una visitina lì la mattina, tanto per vedere se c’era qualche lavoretto.
Entrò nel suo bar preferito, il “Nameless Island”.
Era praticamente vuoto, a parte il gruppo che ormai conosceva da quattro anni.
Uno di loro era concentrato al biliardo, grattandosi la cresta verde e sbuffando, non trovando la posizione dove mettere la stecca.
Appena vide Aither, sbufò contrariato e si sistemò gli occhiali da sole, cercando di fare il serio.
“Ehi Ciccio, hai saltato ancora la scuola ? Se continui per questa strada, mi costringerai a prenderti a calci in culo fino alla New China !”
“Comincerò a fare lo studente modello quando tu smetterai di bere la mattina !”
“Non vuoi un bel lavoro ed una bella famiglia ? Vuoi ridurti come questo vecchio ?”
“Suvvia, Monkey, hai solo dieci anni più di me e ti dai già del vecchio senza futuro ? Sai che queste cose interessano a te, non ha me !”
Monkey era un uomo muscolo, vestito di pelle e che sembrava uno di quei motociclisti che infestavano i film violenti proibiti. Eppure, era un ottimo meccanico e con i soldi che guadagnava, manteneva sua sorella, suo padre e il condominio collegato al negozio del suo vecchio, nel distretto Spica. Lo avevano ristrutturato da cima a fondo.
“Che brutto imbecille che sei … Ah, già, Lizard deve dirti una cosa.”
Dalla porta dietro il bancone, uscì un uomo dai capelli bruni e con un ciuffo scuro, con le sopracciglia coronate da dei vistosi piercing blu.
Lizard era proprietario del bar e conosceva tutti i più famosi e pericolosi tipacci di Castor e dintorni.
Con due birre in mano, salutò Aither e lanciò una delle birre a Monkey, che la prese al volo.
“Eccoti, Falchetto del cazzo … c’è un nuovo incarico per te, ma …”
“Già, già, già !!! Diglielo Lizard, ti prego, diglielo !”
Un ragazzino con una felpa rossa spuntò da dietro il bancone, con una macchina fotografica istantanea al collo e un sorriso folle, con gli occhi azzurri coperti dal cappuccio.
Fox aveva solo cinque anni, ma faceva parte del gruppo i, dato che era stato adottato da Lizard.
Ad Aither faceva paura il suo sorriso … c’era qualcosa di malato, in lui.
“Novellino, fortunato ! Grande lavoratore, grande, grande !”
“Un altro ? Stavolta devo cercare la pianta di una banca ? Qualche segreto compromettente ?”
“Nah … il cliente è molto, molto più interessante dei precedenti …” Monkey si grattò il mento, con gli occhi socchiusi e un sorriso sghembo, un po’ perverso.
Aither conosceva bene quel volto.
Stava ricordando una ragazza.
Una bella ragazza.
“Un'altra pomposa puttanella d’alto borgo che vuole informazioni per il suo pappone ?”
“Tutt’altro, tutt’altro !”
“Pochi minuti dopo che te ne sei andato, ieri sera è arrivata al bar una tipa” cominciò a spiegare Lizard, tirando una pacca non molto amichevole dietro la testa dell’amico con la cresta “di solito ti chiamano con il tuo nickname, ma questa sapeva chi eri, il tuo nome. Insomma, chiedeva espressamente di Aither Shellvine per un incarico importante.”
Alla notizia, il ragazzo si morse un pollice, frustrato.
“Gli avete detto qualcosa ?”
“Che te n’eri andato. Lei ha lasciato un numero di telefono, dicendo che doveva parlarti e se né andata … veramente inquietante …”
“Ehi Fox, hai la foto ?”
Alla domanda di Monkey, il sorriso malato del ragazzino si allargò, sparendo di nuovo sotto il bancone.
Aither continuò a mordersi il pollice, mangiandosi la pelle e assaporando il suo sangue.
Chi cavolo conosce la mia identità di hacker ?!
Fox ricomparve, sventolando la foto come una bandiera, fiero.
“Buffa tipa, calze colorate, lacrime e stelle !”
La foto di Fox era ben fatta, Aither lo notò subito quando la ebbe in mano: una ragazza vestita solo con un felpone nero, che gli copriva metà delle cosce. Le calze erano a righe viola e nere, le scarpe spaiate, come se fosse una barbona qualunque, colta nell’atto di entrare nel bar.
Ma Aither era rimasto stupito davanti al suo volto: anche se la parte sinistra era coperta dal cappuccio, l’occhio destro e nero era attento, una stella tatuata sulla guancia rosea, la bocca dischiusa e le labbra rosse, sottili. Immortalata proprio nell’atto in cui chiudeva la porta, lasciandosela dietro.
Il suo corpo mostrava dodici, tredici anni, ma la sua postura e la serietà degli occhi erano quelli di una donna matura.
“… Dov’è il numero ?”
Lizard sospirò, tirando fuori un biglietto dai jeans “Sei sicuro di volerlo fare ? La cosa puzza.”
Aither lo strappò dalle mani dell’amico e compose il numero, in fretta e furia.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
Un uomo risponde al telefono, in lingua straniera.
Che cazzo è ? Cinese ?
“Pronto ? Sono Red Hawk …”
“Ooh, finalmente. Molto piacere, falchetto.”
L’uomo all’altro capo del telefono, era asiatico, l’accento era marcato.
Sembrava rilassatissimo.
Starà fumando oppio …
“Ecco … volevo sapere per quel lavoro …”
“Certo, certo, il nostro capo ha chiesto espressivamente di te.”
“E cosa … dovrei fare?”
“Il nostro capo vuole parlarne faccia a faccia … perché non viene qui da noi ? Se tra ventiquattro ore non si presenterà, lo prenderemo come rifiuto e faremo finta che non sia successo nulla.”
“Ok, ma dove …”
“Hotel Sax’n’Bed, distretto Lyncis, dopo il ponte. Devi venire da solo e se hai qualche ricetrasmittente o altro … bhè … diciamo che le conseguenze non sarebbero molto piacevoli.”
“Ah … v-va bene, ci penserò …”
“Allora, arrivederci, signor Shellvine” l’uomo ridacchiò e sussurrò, divertito, prima di riagganciare “Ti sta da dio il rosso !”
Il giovane rimase con il telefono in mano, sconcertato.
“Merda …”
“Visto ? Te lo dico io, qui c’è qualcosa di grosso !”
Lizard era visibilmente contrariato, ma gli altri due erano di tutt’altra idea: lo fissavano eccitati, come se li avessero appena ingaggiati per un film.
Aither guardò ancora la foto.
La ragazza gli era stranamente familiare.
“Bhè … non ho mai rifiutato un lavoro, fin’ora …”
“NO !” Lizard tirò un pugno al tavolo e puntò un dito contro il volto di Aither “Tu non ci andrai, hai capito ?”
---
“Hotel Sax’n’Bed … eccolo qui”.
Il ragazzo dai capelli rossi alzò il suo sguardo, ammirando il più grande e ben messo motel che avesse mai visto.
Devono avere abbastanza soldi per permettersi di stare qui … questo posto è secondo solo al Gran Plaza … ed è un hotel a cinque stelle !
Salì le scale e il telefono gli vibrò.
Un messaggio.
“Stanza 320, piano 3 …” Aither si guardò attorno.Come sanno che sono entrato ?
Prese l’ascensore fino al piano e rimase sorpreso.
Anche se era un Hotel, non aveva visto nessuno alla reception  e nemmeno un cliente.
Sembrava un film dell’orrore.
Bhè … uno di quelli vietati, si intende.
Arrivato, non ci mise molto a capire qual’era la stanza.
Una porta si aprì e un uomo venne scagliato contro il muro.
“Ehi, si è fatto male ?”
Il ragazzo si avvicinò ma si bloccò, terrorizzato: l’uomo, accasciato conto il muro, aveva il volto sporco di sangue.
Gli erano esplosi gli occhi.
Indietreggiò.
Indossava un uniforme nera e rossa, con un iris ricamato sul petto.
Un Purificatore.
Deglutì ed entrò nella stanza.
Altri due Purificatori erano riversi sul letto, con gli occhi esplosi e la bocca spalancata dal terrore.
E, ad ammirare la sua opera, una figura incappucciata e con un paio di calse a righe era davanti al letto, a fissare i cadaveri.
“MA CHE CAZZO …”
La figura si voltò e il ragazzo mugolò.
Che … cazzo è quel coso ?!
La ragazza tornò a fissare il letto, coprendosi la cosa. “L’hai visto … vero ?”
Non successe nulla. Poi, un colpo.
Davanti agli occhi del rosso, degli spettri in bianco e nero lo circondavano.
Immagini su immagini si muovevano e prendevano vita davanti ai suoi occhi, ma non capiva cosa stesse succedendo. Sentiva un dolore atroce al petto.
Sembrava che qualcosa gli stesse tirando il cuore.
Ogni strappo gli faceva pulsare la testa.
Si voltò e cercò di uscire, ma la porta era chiusa. La graffiò con le unghie, mentre scivolava a terra.
Le sue dita erano rosse e l’odore era dolciastro.
Il suo cuore era come un pezzo di stoffa che veniva strappato a poco a poco.
Come se ,da un momento , avrebbe ceduto.
Mentre cadeva nel buio, Aither assaporò il gusto ramato del suo sangue in bocca e sentì qualcuno prenderlo per una spalla.
Una voce maschile, giovane.
 “L’HAI UCCISO !”
“Non credo,amico, c’è polso. Gli ha solo fatto prendere un grosso spavento …”
Il cinese del telefono.
“Oddio, che facciamo ? Abbiamo combinato un casino !”
“Lasciamo tutto alle donne della pulizia, se vogliono la mancia se la devono guadagnare !”
“E con … il capo ?”
“Amico mio, faremo quello che ci dice, ovvero …”
Il buio inghiottì il ragazzo, prima che potesse capire di cosa stavano discutendo i due uomini.


... Piaciuto ? 
Giorni che aspetto e poi rileggo questo ... mamma mia come sto diventando filosofica xD !
Comunque spero vi sia piaciuto, un bacio alla mia sempai e alle mie amice !
Commentate se vi è piaciuto ^^ !
Baciii :o) !

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1560816