Darklight

di Moon Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO

Il suono acuto della vecchia campanella della scuola risvegliò Sophie dalla trance in cui era caduta nell’ora di matematica. Si stropicciò gli occhi e diede un’occhiata all’orologio. Era la una e un quarto, l’ultima ora era appena finita.
–Ragazzi, ricordate i compiti per domani e buona giornata– disse la professoressa raccogliendo i propri libri dalla cattedra e avviandosi verso l’uscita. Come sempre Sophie rimase l’ultima ad uscire dalla classe, accompagnata dal suo migliore amico Lorenzo.
–Noiosa come sempre, non cambierà mai quella professoressa. Dico bene?– ma Sophie non lo ascoltò, assorta nei suoi pensieri.
–Ma ci sei?– chiese l’amico scuotendole le spalle. –Sì, scusa, non ti stavo ascoltando– rispose togliendo le mani di Lorenzo dalle proprie spalle.
–Ma che strano…– disse sussurrando ironico. Era abituato all’indifferenza dell’amica, da ormai sedici anni. Si conoscevano da quando erano in fasce, nati nello stesso ospedale, nel medesimo giorno. Scesero le scale cercando di non essere travolti dalla massa dei ragazzi dell’ultimo anno.
–Che fai ora? Vieni a casa mia a studiare?– chiese appena uscirono Lorenzo. Lei non lo guardò, il suo sguardo era perso nel vuoto.                                                  
“ No, penso di andare al lago, e preferirei andarci da sola” pensò fredda, mentre Lorenzo era in attesa della risposta.
Sophie scese velocemente la scale, e si affrettò verso la stradina che l’avrebbe condotta a casa.

–Che c’è per pranzo?– chiese appena entrata alla donna che stava armeggiando davanti ai fornelli.
 –Ciao zia, come stai? Cosa ci sarebbe per pranzo? Se me lo chiedessi così ti risponderei volentieri, cara– la ragazza fece una smorfia e roteò gli occhi.
–Sempre all’antica– bisbigliò per non farsi sentire.
 –Comunque c’è della pasta al sugo. Come è andata a scuola?– chiese la donna. Ma non ottenne risposta, perché la giovane si era rifugiata in camera sua sbattendo la porta. Si tolse scarpe e giacca, e si buttò sul letto esausta. Sapeva cosa  l’avrebbe fatta stare meglio: un nuotata nel lago. Como era bella, ma era il lago quello che la rendeva speciale. Era una bellissima sensazione farsi accarezzare la pelle dall’acqua gelata, che le trasmetteva ogni volta una potente scarica di adrenalina. Era il suo modo per isolarsi, nuotare tra quelle tranquille acque scure, dove le preoccupazioni, come la luce, non potevano penetrare. La voce squillante della zia la riprese per la seconda volta, avvisandola che era pronto.
–Sbrigati, o la pasta si fredda!
Consumò di malavoglia il suo piatto di spaghetti, mentre rispondeva a monosillabi alle domande della sua interlocutrice.
–Potresti anche ampliare le tue amicizie, invece di restare tutto il giorno in camera– le ripeteva ogni volta la donna. Sophie ascoltava disinteressata, passandosi continuamente le mani tra i lunghi capelli scuri. Finito il pasto, tanto per cambiare, entrò in camera sua, e si mise il costume da bagno. Era l’unico ricordo che avesse della madre, deceduta in un incendio quando lei era ancora bambina.
 Il capo era bianco, con del pizzo nero e delle decorazioni argentee che sembravano ricordare vagamente un motivo a piume. Si coprì con una t-shirt azzurra e dei jeans scuri. Così, in punta di piedi, sgattaiolò fuori dalla porta d’ingresso.
La neve aveva formato uno sottile strato di ghiaccio sui ciottoli che coprivano il terreno. Si guardò attorno, poteva scorgere il lago, sempre misterioso e perfettamente familiare. Lo sentiva come suo, ne conosceva ogni angolo. Era il suo piccolo segreto, non l’aveva mai confidato a nessuno, nemmeno al suo migliore amico Lorenzo. Percorse la stradina che conduceva al gigantesco specchio d’acqua, dove l’inverno stava prendendo il sopravvento. Si fermò a contemplarlo per una manciata di secondi, catturata dalla bianca oscurità che sembrava lui stesso emanare. Si tolse i vestiti, rimanendo in costume. Il freddo non la infastidiva, era come se la sua pelle fosse fatta per vivere in quelle condizioni di gelo. Una volta raggiunta la scogliera, piegò leggermente le ginocchia e protese le mani sopra la sua testa. Leggiadra saltò nell’acqua ghiacciata, rompendo la lieve patina di neve che ricopriva la superficie del lago. Con la coda dell’occhio intravide un’ombra scura seminascosta dietro il tronco ghiacciato di un cipresso. Poteva sentire il suo sguardo fisso su di lei. Ma non ci pensò più tanto, perché le acque gelide l’avevano già avvolta nel loro abbraccio.

Da lontano, gli occhi magnetici di un ragazzo videro Sophie che si slanciava verso le acque del lago. L’aveva riconosciuta subito.
Era lei.
Ne era sicuro. Sapeva che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Ormai l’aveva vista, poteva andarsene. Così si voltò e camminò lentamente verso il cancello da cui era entrato, mentre le sue orme scomparivano dalla neve.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE

 
 Un brivido scosse la schiena di Sophie, facendole aprire gli occhi. Si guardò intorno: riusciva a vedere tutto nitidamente. Ora, anche le profondità più oscure del lago non avevano segreti per lei. Batté le palpebre un paio di volte. Un senso di inquietudine la attanagliò. Si sentiva diversa, ma non sapeva cosa era cambiato in lei. Sentì l’impellente bisogno d’aria e di vedere la superficie cristallina delle acque che la circondavano. Si protese verso l’alto inarcando la schiena e allargando le braccia. Senza il minimo sforzo, si ritrovò a fare un salto che spaccò la superficie gelida dell’acqua in moltissime goccioline che brillarono alla fredda luce di quel pomeriggio d’inverno. Respirò a pieni polmoni l’aria che le riempiva gli organi tagliando come lame. Si rimmerse e nuotò verso la scogliera da cui si era tuffata. Appena appoggiò le mani sugli scogli , le vide più bianche del solito. Si tirò su dalle acque e si alzò in piedi. Si passò una mano sul viso per asciugarlo e una sensazione di morbidezza seguì le sue dita come una scia.
Sentiva un brutto presentimento, di li a poco le sarebbe accaduto qualcosa di importante.
Represse l’istinto di rituffarsi nel lago e ritornò al cipresso dove aveva lasciato i suoi vestiti. Si rivestì, incurante del costume bagnato.
***
La sveglia riscosse Sophie dai suoi sogni e lei allungò una mano per fermare quel maledetto trillo che, ogni mattina, la costringeva ad alzarsi dal suo letto. Ma un pensiero prese il sopravvento sulla sua mente, per la precisione un ricordo in particolare: nel giro di tre settimane avrebbe compiuto diciassette anni. Niente feste di compleanno, solo la solita cioccolata calda con la zia e un film con Lorenzo. Così, come sempre, si vestì, fece solazione e s’incamminò verso la scuola. Il rumore dei suoi stivali rimbombava nella piccola viuzza davanti a casa sua. Era la sola quella mattina a percorrere quella strada. D’un tratto sentì altri passi avvicinarsi a lei, una mano le toccò la spalla, costringendola a voltarsi. Ad attenderla vi erano due occhi verdi ed un viso familiare.
–Lorenzo, mi hai fatto spaventare– disse con un velo di paura.
–Ma che dici, sei proprio strana, ultimamente. Ti ho chiamata urlando ma sembrava che fossi in trance– il rumore di un camion interruppe la loro conversazione, con un rimbombo assordante. Una folata di vento fece cadere della neve da un tetto dietro di loro. Formando una leggera cortina bianca sulle loro teste. Sophie si aggrappò al giubbotto di Lorenzo, poggiandogli la testa sul petto. Anche il minimo rumore la spaventava. Un profondo silenzio scese sui due adolescenti, creando un certo imbarazzo tra i due. Non erano mai stati così vicini, il loro rapporto era molto distaccato, nonostante si confessassero ogni loro segreto. La candida carnagione di Sophie si tinse di rosso sulle guance.
Abbassò lo sguardo da quello intenso dell’amico. 
–Sarà meglio andare a scuola…– balbettò lui. Per tutta la giornata non si rivolsero più la parola, quell’episodio li aveva entrambi turbati.
Le due settimane successive passarono molto velocemente e ripetitive. Fino a quando, una mattina di gennaio, un incontro la turbò profondamente. Quella mattina, infatti, era uscita di casa molto presto, per evitare Lorenzo e la sua amicizia, che stava cambiando in qualcosa di più grande. Così, approfittò dell’ora per andare a fare una nuotata. Appena mise la mani sul ferro battuto del cancello, sentì una voce chiamarla. Ma non era familiare, anzi, del tutto estranea alle sue memorie. Voltò il viso, una sagoma maschile le stava a pochi passi. Era alto, lineamenti marcati, e grassoccio.
Una macchia di fuliggine gli segnava una parte del volto, accentuandogli gli zigomi. Le si avvicinò lentamente, guardandola negli occhi, come un avvoltoio che si appresta ad uccidere la sua preda. Tirò fuori da uno stivale infangato un piccolo coltello arrugginito. Sophie cominciò a correre senza sapere dove andare. D’un tratto le venne un’idea.
–Non mi farai del male, vero?– gli chiese Sophie, sapendo già la risposta.
–Certo che no, perché dovrei fare del male a una povera ragazza come te?– rispose l’uomo avvicinandosi ancor di più, girandole in torno –vieni con me– riprese lui –o ti ammazzo–. A questo punto Sophie si girò verso il lago e corse, corse pregando che quell’uomo fosse lento come aveva sperato. Non voleva che la sua vita finisse così, in un modo così stupido. Voleva lottare, per la zia, che l’aveva allevata senza mai farle mancare nulla. Doveva combattere per Lorenzo, per i suoi sguardi sinceri e per la loro “amicizia”. E voleva vincere a tutti i costi, per avere un futuro, si promise. Se fosse rimasta viva, magari le cose sarebbero cambiate. Chiuse gli occhi mentre correva con l’acqua alle caviglie. Si tuffò nell’acqua sperando che quel luogo tanto amato fosse la sua salvezza. Si slanciò verso il lago, pensò a tutta la sua vita, di come fosse stata monotona fino a quel momento, voleva che qualcosa cambiasse. E così stava per accadere. Sentì un mano toccarle la gamba e trascinarla verso la riva. Era lurida e unta, ma al contempo aveva una presa molto forte. Le mise il pugnale alla gola,
–Alzati, o la tua vita finirà qui, e non penso che un’allettante giovane come te desideri una vita così breve– . La costrinse ad alzarsi, e la portò verso un albero. La sbatté sulla sua ruvida corteccia, cercando di sfilarle la maglietta. Poi tutto fu buio.
 
–Ci sei?– un sagoma slanciata la sovrastava.
–Sì… ma, chi sei?– chiese Sophie frastornata.
–Non è cortese rispondere ad una domanda con un'altra domanda. Non credi?–
–No, ma non mi hai risposto, chi sei?– chiese la ragazza, passandosi una mano tra i capelli ricci nero-pece.
–Sei ostinata eh? Comunque io sono Erik, tu?–
–Non sono affari tuoi– rispose fredda. Non le andava di parlare con un estraneo, specialmente dopo quello che le era appena accaduto.                      
–Strano, ti ho salvato la vita, e non posso sapere nemmeno il tuo nome?
–No– tagliò corto lei –ed ora, se non ti spiace, vorrei alzarmi ed andare a casa– concluse Sophie rapidamente, tirandosi in piedi. Barcollò per qualche istante, prima di cadere tra le braccia di Erik.
–Non ti sono così indispensabile, a quanto pare– disse lui, ironico, mettendole le mani sulla vita. Lei si voltò, fulminandolo con lo sguardo di quei bellissimi occhi azzurri.
–Tu mi avresti salvato? Nei miei ricordi non c’eri– si staccò dalla sua presa e cercò di mantenere l’equilibrio, senza però riuscirci. Ma non voleva mostrarsi debole, soprattutto davanti ad un maschio, così si tirò su attaccandosi alla corteccia dell’albero a fianco del quale era caduta.
–Sei testarda, non preferisci farti aiutare?– chiese avvicinandosi.
–Posso fare da sola– bofonchiò, secca. Questa volta riuscì a camminare, e si avviò verso il cancello.
–Ma dove vai?– lei tacque.                                                                                            
–Ci rincontreremo, ne sono certo…– sussurrò lui, consapevole di essere rimasto solo. Sophie si voltò un’ultima volta, per vedere il viso angelico del suo salvatore. Ma il paesaggio era deserto, eccetto per una piccola macchia scarlatta sul manto innevato. Sophie le si avvicinò, cercando di capire cosa fosse. Si chinò su di essa.
Una rosa rossa, come se quel ragazzo, entrato ed uscito in un attimo dalla sua vita volesse lasciarle un segno, le volesse dire qualcosa.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***




CAPITOLO TRE

 
Sophie riuscì ad entrare nel cortile della scuola un attimo prima che la campanella suonasse. Quella mattina era iniziata, per un verso, in modo sbagliato, ma l’incontro con quel ragazzo era stata come vedere un raggio di sole invadere il buio di una stanza vuota, apparentemente insignificante. Si sistemò lo zaino sulle spalle, e si avviò, con la neve scricchiolante sotto le scarpe, verso le scale dell’edificio. Percorse la prima rampa, e si ritrovò nel lungo corridoio del monotono marrone, invaso dalla folla di liceali. Guardò passivamente la folla, in cerca di Lorenzo; il viso le si illuminò appena vide i capelli scuri di Lorenzo. Li avrebbe riconosciuti tra mille. Gli si avvicinò, scostando le persone che intralciavano la sua via. Voleva il suo conforto, la sua comprensione, ma soprattutto il suo appoggio morale. Gli toccò la spalla, e si avvinghiò al suo braccio. Aveva disperatamente bisogno di lui. Doveva pur raccontargli ciò che le era accaduto quella mattina. Gli occhi verdi del ragazzo incrociarono quelli azzurri di lei. Una sensazione strana l’attanagliò, facendola percuotere da un grande brivido. Lo stesso che aveva provato quando gli si era attaccata addosso. Che stava succedendo tra lei e Lorenzo?
Ma preferiva non scoprirlo, voleva lasciare che rimanesse un mistero, per entrambi.
–Ciao, come mai sei arrivata così tardi?–Chiese lui, premuroso come sempre. lei abbassò lo sguardo.
–Ti hanno tagliato la lingua?–disse lui, scherzoso. Ma capì che il suo umorismo non era stato gradito, così le scostò una ciocca di setosi capelli neri dietro le orecchie. Sophie rialzò lo sguardo verso di lui, anzi, dietro di lui. Dei capelli del color dell’oro attrassero il suo sguardo come dei magneti. La figura dai capelli biondi s voltò di scatto, interrompendo la trance in cui era caduta. Aveva l’impressione di averlo già visto. Scosse la testa, per scacciare quel pensiero assurdo. Ma, come al solito, Lorenzo se ne accorse.
–Ehi, che ti è successo? Mi sembri più strana del solito...
–Strana io?–disse, prima di sprofondare in una fragorosa risata. L’amico era certo che la ragazza stava cercando di cambiare argomento. Lorenzo sapeva che c’era certamente qualcosa di diverso in Sophie, qualcosa era cambiato, ma non sapeva cosa. –Buon giorno ragazzi–sentenziò il Prof. di italiano entrando dalla porta.                 
–Spero che abbiate studiato, perché oggi c’è un’interrogazione ad arazzo–disse, pensando di sdrammatizzare l’incombente volo di quattro con una battutina. I ragazzi si lanciarono occhiate interrogative, inarcando le sopracciglia. Sophie non fu da meno. L’humor del prof era stato un mistero sin dal primo giorno di scuola. Era un uomo di mezza età, con i capelli bianchi corti sul cranio. Due occhi consumati dal tempo erano accerchiati da occhiali dorati fin troppo simili a quelli di Harry Potter. Anche il suo senso estetico era un grande mistero, pensandoci bene. Metteva sempre quelle odiose polo o maglioncini stinti, tutti uguali tra loro. Nonostante sembrava avere raggiunto i cent’anni era ancora ad insegnare nella loro classe i medesimi argomenti.
L’uomo si sedette sulla cattedra, e prese dal tavolo il registro. Lo aprì a caso, e disse il verdetto finale. L’interrogato o l’interrogata–disse enfatizzando la “o” e la “a”.
–È…–  prosegui creando molta ansia e suspense                    
 –Il numero quindici–Un sospiro di sollievo si alzò dalla classe, mentre il professore guardava ardentemente l’innocente viso dell’interrogata.                                                                                                            
 –Signorina Sophie, credo proprio che questa volta tocchi a lei. E credo che non ci possano essere scusanti–. Sophie avrebbe voluto sprofondare nel pavimento. Sentiva lo sguardo di tutti i suoi compagni seguire ogni suo minimo movimento. Nonostante ciò continuò a fissare negli occhi il professore, anche quando la voce di Lorenzo spezzò il silenzio attanagliante che la circondava.
–Mi offro io come volontario–disse Lorenzo, alzandosi in piedi.
–Non avevo accennato al fatto che non accetto volontari?–chiese il prof, con quella domanda retorica.
–A dire il vero, no–Commentò il ragazzo, freddo.
–Okay, adesso lo sapete–gli rispose il vecchio, acido, facendo cenno a Lorenzo di sedersi. A mala voglia ,il giovane gli obbedì.
–E, adesso, se non ci sono altre interruzioni, che il divertimento cominci!” disse, con fare maligno, facendo un mezzo sorrisetto che aveva un non so’ che di sinistro. Sophie camminò titubante verso la sedia che il professore di italiano aveva preparato appositamente per il o la condannata. Si sedette lentamente, voleva guadagnare ogni secondo possibile. Ma non le fu dato neanche il tempo di sedersi che il professore l’aggredì con una domanda:                                      
 –Allora, parlami dell’ultimo brano che abbiamo fatto–Sophie ci pensò un attimo. Sentì un suggerimento alle sue spalle, ma era troppo distante per poter capire appieno tutte le parole.                                                                                           
–Ehm… può ripetere la domanda?–chiese. Ma non fece in tempo a darle una risposta che il fischio leggero ma esistente dell’allarme anti-incendio distolse l’attenzione dei ragazzi dall’interrogazione.
–Maledizione!–gridò il professore, sbattendo il registro sulla cattedra
–Su, usciamo…, disse rassegnato
–Ma ricordi, Signorina Sophie, se non sono riuscito ad interrogarla questa volta, stia pure certa che lo farò la prossima


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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO
 


Il rumore dei passi  dei ragazzi risuonava per tutti i corridoi e le scale della scuola. La massa informe di adolescenti si dirigeva verso il cortile, in attesa che qualche professore spiegasse cosa stesse accadendo. Quando la prima orda di ragazzi riempì l’ampio cortile innevato, iniziarono a raggrupparsi in piccoli gruppi che aumentavano a pari passo dei pettegolezzi sulle ultime novità.
  Lorenzo, appena arrivato nel cortile, andò verso il gruppo del terzo anno, cercando di infilarsi nell’ampio cerchio di compagni. Appena vi si inserì trovò i visi degli amici.
«Ciao! Lore»­­ era stato un ragazzo dai folti capelli neri e qualche mèches verde a parlare.                                    
«Ciao Marco, hai visto Sophie? L’ho persa di vista al suono della campanella anti-incendio» chiese, abbottonandosi il piumino blu fino alla gola.                                      
«No, non l’ho vista nemmeno io» disse Marco «Ma non preoccuparti, arriverà a momenti» aggiunse.                                                                                                                  
«Okay, aspetterò» disse Lorenzo, cercando di sopprimere l’immagine martellante dell’amica dai suoi pensieri. Marco gli disse qualcos’altro, ma la sua mente si era già persa a fantasticare su dove potesse essere finita Sophie.  
 Lorenzo era sempre stato iperprotettivo nei confronti di Sophie, nonostante non ci fosse alcun sentimento oltre alla profonda amicizia che li legava.
O forse sì…
********
Sophie, intanto, si era fermata sulle scale, bloccata da una sensazione sgradevole. L’aveva sentita appena uscita dall’aula, ma l’aveva associata a un sentimento di liberazione dalla presa malefica delle interrogazioni del Prof. Ma ora sapeva che non era così, perché la sensazione persisteva, nonostante fosse già uscita dalla classe da ben dieci minuti buoni. Si appoggiò al corrimano, che sentiva inspiegabilmente troppo caldo, per essere un semplice pezzo di metallo. Un leggero odore di bruciato le punzecchiò il naso, facendola starnutire. Aggrottò la fronte, disgustata da quell’odore malsano. Tolse la mano dalla ringhiera, poiché la temperatura di quest’ultima stava aumentando in continuazione. Guardò davanti a se, aveva ancora due rampe di scale da scendere per arrivare al cortile. Quella prova anti-incendio stava diventando fin troppo verosimile per i suoi gusti. Cominciò a scendere le scale, sempre più velocemente, impaurita da cosa potesse trovarsi alle sue spalle.
 Non osò voltarsi, continuando a saltare gli scalini due a due. Voleva al più presto tirarsi fuori da quella situazione, diventata troppo insidiosa. Mancò uno scalino, e i suoi piedi rimasero sospesi per alcuni attimi che le sembrarono interi minuti. Il tempo sembrava andare a rallentatore come in certi film d’azione con effetto rallenti fin troppo accentuato. Un solo istante le bastò per cadere rovinosamente a terra, sul pavimento freddo e usurato dal tempo. Si sentì sfiorare da un’ondata di calore improvvisa, che la fece uscire dal leggero effetto di trance che l’aveva accompagnata per tutta la caduta.
 Scattò in piedi, con i riflessi pronti e i sensi attivati dalla sensazione di pericolo che iniziava ad avvertire. Ma il calore che aveva percepito pochi istanti prima sembrava non volerla abbandonare. Si girò di scatto, e un’intensa fiammata la fece paralizzare nella posizione in cui si ritrovava. Le si raggelò il sangue nelle vene, facendola tremare nonostante la temperatura continuasse ad aumentare pericolosamente. Non riusciva più a staccare gli occhi dalle fiamme, che continuavano a divorare ogni ostacolo si trovassero davanti.
 Aveva sempre avuto paura del fuoco, orrenda creatura senza consistenza, che trasformava tutto in cenere. Un flash-back prese possesso dei suoi occhi, costringendola a ricordare fin troppo nitidamente quelle scene che aveva relegato nell’angolo più remoto della sua mente.
Rivide gli occhi azzurri di sua madre e la sua figura venire inghiottiti dalle fiamme, mentre lei stava, paralizzata, ad osservare quell’immagine crudele, senza aiutare in alcun modo i suoi genitori a svicolare da quella fine certa.
 Vide la morte guardarla negli occhi, cercando di inghiottire anche la sua vita. Se non fosse stata lì la zia a salvarla, sarebbe morta da tempo. E adesso la morte stava cercando di prendersi la sua rivincita. Ma quella volta non c’era nessuno pronto a salvarla.
 La sua vita, ora, dipendeva da cosa avrebbe fatto nell’arco di soli cinque minuti. Si riscosse, e iniziò a correre ovunque il fuoco non lambisse le pareti. La sagoma scarlatta di un estintore la stava aspettando alla fine delle scale,  un barlume di speranza le si accese nel cuore. Ruppe il sottile strato di plexiglass giallastro che la divideva dalla sua unica via di salvezza. Svelta prese l’oggetto, e si girò di scatto, guardando le fiamme in segno di sfida. Brandì l’estintore come arma, e lo puntò verso il fuoco, che si avvicinava ogni istante di più. premette la leva nera, pregando che funzionasse. In pochi istanti dall’oggetto fuoriuscì una leggera schiuma biancastra, che placò l’avanzare delle fiamme.
“ Funziona!” pensò esultante, continuando a intrappolare la vampata di calore. Ma la lotta per la sua salvezza non era ancora conclusa, il destino doveva ancora giocare la sua ultima carta.
 Una lingua di fuoco le si avvicinò pericolosamente alla mano, facendola scattare all’indietro. Involontariamente lasciò cadere l’estintore, che prese a rotolare giù per le scale. Si guardò attorno, in cerca di un altro estintore pronto a salvarle la pelle.
 Ma non ce n’era nemmeno l’ombra. A quel punto c’era solo una cosa da tentare per rimanere ancora vivi. Prese a correre per il corridoio vicino alle scale, incurante delle fiamme che le lambivano la schiena. E vide ciò che si aspettava: luce. Era quella abbagliante del sole che veniva riflessa dalla neve e attraversava senza fatica la lastra di vetro che fungeva da finestra. Ci si abbatté contro, frantumando lo strato trasparente e rompendolo in mille pezzetti che brillarono alla fioca luce del sole. Sophie allargò istintivamente le braccia, come se si fosse dovuta tuffare nel suo amato lago. Sotto di lei, il giardino innevato sul retro della scuola, visto da tre piani d’altezza. Improvvisamente avvertì un leggero dolore attanagliarle le scapole.
 Sentì qualcosa perforarle dolorosamente la pelle della schiena, e il suo grido di dolore riecheggiare nel freddo vento d’inverno.
Cadde con un tonfo nella neve, con la certezza di essersi rotta qualcosa, nonostante la caduta fosse stata meno rovinosa del previsto. Del sangue le sporcò il tessuto dei jeans. Bianco, solo il bianco riusciva a vedere, quello della neve, macchiato di rosso.
Poi tutto fu buio.
 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE
 
L’acqua del lago era calma, mossa soltanto da impercettibili soffi di vento. Lunghe alghe fluttuavano nell’immensità sempre più scura di quelle acque gelate. Delle figure leggiadre, dipinte di nero dalla luce del tramonto screziata di oro, si muovevano eleganti sulla superficie ghiacciata del lago.
Nell’esatto momento in cui l’ultimo raggio di sole si immerse nelle acque eternamente scure, le nuvole, che fino a poco tempo prima sovrastavano innocue la città di Como, divennero scure e pesanti, come se volessero cadere dalla volta celeste.
Le figure rivolsero la testa verso l’alto, verso il cielo, spalancando quelle che sembravano immense ali bianche. I loro occhi si accesero dello stesso bagliore che emanava la luna in cielo nel cuore di quella notte tenebrosa, mentre i loro cuori presero a battere all’impazzata. Sembrava di poter sentire ogni singola pulsazione scuotere impercettibilmente il loro petto bianco ricoperto di piume.
***
Sophie sfiorò con la punta dei piedi la neve che avvolgeva le rive del lago e guardò verso l’orizzonte, dove la notte inghiottiva lentamente l’enorme sagoma impotente del sole, mentre alcuni astri iniziavano a comparire in cielo. Gettò l’occhio sui suoi abiti: era vestita con un leggero abitino a strati di seta bianco che faceva un forte contrasto con il cielo plumbeo di quella sera d’inverno. Due eleganti guanti di pizzo le sfioravano i polsi. Ai piedi aveva leggiadre scarpette da danza color carne, che le infondevano una sensazione di benessere; come se fossero un’estensione del suo piede. Inspiegabilmente avanzò verso l’acqua, come attratta da un senso di appartenenza.
 Appena i suoi piedi toccarono le fredde acque un’innata voglia di danzare l’attanagliò. Si alzò sulle punte e si diresse verso il centro del lago, piroettando. Degli animali bianchi come la neve le si avvicinarono, quasi emergendo dalle acque. I loro becchi affusolati le sfiorarono le caviglie, facendole accorgere del fatto che stava camminando sul lago. Ma le sembrò una cosa naturale: come se non fosse la prima volta. I cigni le girarono attorno, aprendo le loro eleganti ali. Sembravano vanitosi pavoni esporre orgogliosi le loro ruote colorate.
 Sophie guardò le loro ali deformarsi ed assumere una forma allungata. Osservò come le zampe palmate degli animali si allungavano e di ventavano muscolose gambe avvolte da un sottile strato di calzamaglia. Ora ne era sicura, quegli non erano più puri cigni: bensì avvenenti ballerini. Ognuno aveva una diversa tonalità di capelli. Dal biondo platino stile Marylin Monroe a il più scuro dei neri corvini.
 Ogni ballerino aveva due chiarissimi occhi azzurri color ghiaccio, mentre la carnagione era sempre chiara come la neve. Il più vicino, un ragazzo oro, le porse la mano e sprofondò in un galante inchino. Sophie restò allibita mentre gli occhi maliziosi dell’uomo e scrutavano il viso titubante. Come mossa da una forza ignota la ragazza fece, a sua volta, un inchino e poggiò la sua mano su quella del cavaliere. Cominciarono a danzare alla melodia di una musica immaginaria ma che tutti sembravano sentire. I loro corpi si muovevano sempre più velocemente, volteggiando sopra l’acqua scura del lago.
 Sophie passava da un cavaliere all’altro provando con ognuno passi di danza differenti e sconosciuti. In un unico istante gli uomini volsero la testa verso la luna. Piccole sagome scure vennero illuminate dalla luce flebile dell’astro, oscurandone una parte.
  Cominciarono a volteggiare il cielo in cerchio in un’altra danza sempre più frenetica come per fare concorrenza a Sophie. Ben presto le sagome, rivelatesi essere maliziosi corvi neri, fendettero l’aria volando ad ali spiegate verso Sophie e gli altri uomini. Gli uccelli li avvolsero in una nube nera che non permetteva di guardarvi attraverso. I ballerini cominciarono ad allarmarsi ed i corvi beccavano l’aria in cerca della carne di questi ultimi. Erano troppi, nessuno sarebbe mai riuscito a sfuggirgli. Sophie guardava gli uomini cercare di scappare in qualsiasi posto da quello stormo assassino. L’attenzione degli uccelli neri non era rivolta in alcun modo a lei. nonostante ciò la nube continuava ad avvicinarsi sempre più pericolosamente a Sophie e lei cercava invano di scappare. Ma una forza ignota la teneva attaccata alla superficie dell’acqua. Chiuse gli occhi per quello che le sembrò essere un secolo.

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