Metallo

di S t r a n g e G i r l
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto Primo - Un nuovo Dio. ***
Capitolo 2: *** Atto Secondo - Battiti. ***



Capitolo 1
*** Atto Primo - Un nuovo Dio. ***


*A Emi, Vì, Maria, Eryca, Ellina e tutte quelle persone che credono in me e mi sostengono, senza smettere mai.*


*Che cos'è che ci rende umani? Qualcosa che non si può programmare, che non si può mettere in un chip.
E’  la forza del cuore umano, la differenza tra noi e le macchine.
[Terminator Salvation]*

Metallo

Tum-tum
Tum-tum.

Il battito del cuore di Blake rallenta, come un corridore che si ferma a prendere fiato, dopo una corsa lunga ed estenuante, piegato con le mani sulle ginocchia.
Jenna gli bacia la fronte sudata con gli occhi chiusi e tampona la ferita al fianco, che continua a sputare sangue senza sosta.
Trema lui e trema anche lei, mormorando a bocca stretta parole di conforto che suonano false anche alle sue orecchie.
Gli raccontava le stesse balle illusorie anche quando erano bambini e gli tendeva il suo chupa-chups per confortarlo: le punture non facevano poi così male.
E difatti non erano gli aghi a dolere, entrando nella pelle sottile della piega del gomito, bensì il chip di rilevazione satellitare che veniva loro impiantato sottocute.
Un bozzo che avevano portato per diciott’anni, prima di farselo asportare, senza anestesia con un bisturi sporco, dai ribelli.
Blake le sorride debolmente e le accarezza le labbra.
Jenna bacia le sue dita e poi gli pizzica la guancia, cercando di tenerlo sveglio.
Lui ha le mani che sanno di ferro, di ruggine e olio per giunture metalliche.
Morte.
I suoi polpastrelli hanno il sapore dei suoi assassini, degli carnefici della stragrande maggioranza della popolazione del pianeta.

***

16 Marzo 2015

Caro diario,
oggi Jason mi ha portato al lago.
C'era il sole che brillava sulla superficie e creava l'illusione che fosse fatta della stessa materia delle stelle.
Polvere caduta e sparsa come sale.
Mi ha abbracciato stretta e poi ha messo in acqua una piccola barca a remi.
Sapeva quanto avessi sempre voluto imparare a vogare.
Mi ha baciato sulle labbra e sapeva di sole, di limone e spighe di grano.
E sorrideva, sorrideva solo per me del suo sorriso più bello.
Mi sono innamorata di lui ancora una volta, come fosse la prima.
Jason mi ha teso la mano e mi ha invitato a salire sulla piccola imbarcazione oscillante ed io l'ho accontentato, ridendo per l'instabile equilibrio su cui oscillavamo.
Una volta seduta, ho preso i remi con determinazione...e abbiamo cominciato a girare in tondo.
Lui rideva, rideva con le lacrime fra le ciglia chiare, mentre io sbuffavo, tiravo su le maniche larghe del maglione e m'impegnavo per farci spostare.
< Sei una frana, piccola. > ha detto e io non ci ho capito più nulla.
Ho iniziato a balbettare e sono arrossita come se i raggi caldi mi avessero bruciato le guance.
Jason mi ha scompigliato i capelli e, così facendo, è riuscito a distrarmi il tempo sufficiente a rubarmi i remi.
Ho protestato qualche istante, finchè non ho visto il suo sguardo concentrato, i suoi muscoli tesi sotto la maglietta fina e le mani salde attorno al legno.
Mi sono sentita al sicuro.
Non ho imparato a vogare: sono una frana, come dice lui, ma mi piace esserlo se poi lui è con me.
L'unica pecca della giornata è stato mio padre: sono rientrata un po' abbronzata, con le lentiggini in evidenza sulla pelle scura all'attaccatura del naso, i capelli annodati e le labbra gonfie di baci dolci e lui mi ha fissato corrucciato per un po', scuotendo la testa con disapprovazione.
< Perchè ti fai del male in questo modo, tesoro? > ha chiesto, sfiorandomi la fronte con le sue mani callose.
< Sei tu che credi che non mi faccia bene. Io sono felice, papà! Ti ricordi ancora che significa? Amo Jason e anche lui mi ama! Dovresti essere contento per me! > ho urlato, allontanando la sua carezza.
Mio padre, Richard Collins, mi ha scrutato come se avessi infilzato un coltello nel suo cuore e mi fossi divertita a rigirare la lama nella ferita.
Ha chiuso gli occhi stanchi e mi ha lasciato andare.
Ma io l'ho sentito; ho sentito l'ultima frase che mi ha rivolto in un sussurro debole, quasi avesse paura di dargli consistenza.
< La felicità, purtroppo, non ti farà guarire, figlia mia. >

Brenda Collins.

***
articolo di giornale

***

12 Aprile 2015

Caro diario,
Sono stata poco bene oggi.
I dolori al fianco sinistro e dentro le ossa erano più accentuati e mi hanno costretto a letto.
Jason ed io abbiamo dovuto rinunciare al cinema. Davano un film sugli zombie di cui era entusiasta.
Sono molto dispiaciuta di non averlo potuto vedere e aver costretto lui a trascorrere una giornata in casa a mangiare pop corn vedendo la replica di Alien.
Lui non si è lamentato, anzi è stato più premuroso del solito.
Ciò che continua a stupirmi è la sua forza e determinazione. Non una sola volta, da quando ha scoperto della mia malattia, ho letto nelle sue iridi qualcosa che vagamente somigliasse a pena o rassegnazione.
E’ tenace, anche quando non lo sono io.
Mio padre ha lavorato tutto il tempo nello studio e ne è riemerso solo a sera, quando Jason stava andandosene.
Si sono salutati a mezza bocca con uno sguardo poco amichevole ed io ho sbuffato.
Jason mi ha abbracciato forte e baciato la fronte, prima di andar via, sussurrando un < Ci vediamo domani, Bree. > che mi ha riempito il cuore di speranza.
Un giorno in più con lui è sempre un dono, come un regalo inaspettato il giorno di Natale che si scarta con trepidazione.
Papà mi ha preparato la cena con impegno ed io mi sono sforzata di mandar giù qualche boccone d’arrosto, giusto per non farlo rimaner male.
La nausea non si è attenuata affatto nel corso del pomeriggio, ma non volevo darglielo a vedere.
Il problema è che non sono riuscita a tenere il cibo nello stomaco a lungo: quando mio padre mi ha confessato di essere vicino alla cura, sono corsa in bagno e ho rigettato ogni cosa, persino la speranza di godermi quel poco che mi resta da vivere in una banale normalità.
Richard Collins, pluripremiato scienziato, non si rassegna e ha deciso di trasformare la sua unica figlia nella sua cavia prediletta.

Brenda Collins.

***

< Sta piovendo, Jen? > chiede Blake, con la stessa voce che ha anche non appena si sveglia.
Lei scuote la testa rossa ed i corti capelli, sporchi di polvere, le frustano le guance.
< No, non ancora. Ci sono soltanto delle nuvole grosse e minacciose che si avvicinano e promettono tempesta. >
Lui inclina un po’ la testa all’indietro, cercando di vedere il cielo dalla finestrella dell’ospedale da campo.
< A me piace la pioggia. Lava via il sangue dalle strade e per un attimo mi sembra tutto pulito come una volta. > abbozza una smorfia nostalgica e respira più affannosamente.
Jenna bagna di nuovo la pezza nell’acqua fredda e la passa sul viso del ragazzo.
< A me piace perchè mi ricorda il giorno che avevamo litigato a causa tua, che avevi preferito vedere la partita di baseball piuttosto che uscire con me. Io sono venuta sotto casa tua senza ombrello, mentre veniva giù un tremendo acquazzone. > sussurra con dolcezza, facendogli una piccola linguaccia.
Blake ride, ma ben presto le risa si trasformano in grossi colpi di tosse.
Ansima.
< E perchè ricordi con tanta felicità quel giorno? Ti sei beccata la polmonite. > le fa notare lui, col labbro inferiore tra i denti per non mostrare il tremore.
Jenna si stringe nelle spalle. < Vero, ma non sono stata la sola. Ci siamo trovati a metà strada, no? Stavi venendo da me per chiedermi scusa e mi hai baciato sotto l’acqua che scendeva impietosa. >
Distoglie lo sguardo da quello di giada del ragazzo e cerca di ingoiare le lacrime.
Quant’è passato da allora? Sei? Sette anni? Chi li conta più...
Un giorno di grazia vale come una vita intera in quei tempi cupi.
< Sei assurda, Jen. >
< Probabile, ma mi ami per questo, no? >
La risposta di lui è un gemito.
Chiude gli occhi, sofferente, e stringe i pugni sulla coperta ispida sopra cui è adagiato.
A perdita d'occhio, sia a destra che a sinistra, altre persone giacciono supine; alcune solo sole, altre hanno la fortuna di avere ancora qualche caro che le conforti al loro capezzale.
A molti mancano degli arti; decine sono ragazzi giovani e inesperti, mandati ad affrontare la devastata New York city troppo presto.
< Come sta? >
Jenna alza gli occhi e ne incontra un paio identici a quelli che Blake le ha appena nascosto.
Scuote ancora la testa e si passa le mani sul viso, sconsolata.
Sente il respiro del ragazzo graffiare l'aria e reclamare ossigeno, che tra quelle mura friabili, provate dalle bombe inizia a mancare.
Deve fare qualcosa, non vuole perdere anche lui. Non vuole rimanere sola.
< Carter, sta tu qui con lui. Io devo fare una cosa, ma torno presto, ok? >
Dichiara, improvvisamente risoluta, lasciando soli i due fratelli.

***
articolo di giornale

***

Jenna marcia decisa verso la tenda cerata che funge da biblioteca e, all’occorrenza, da sala riunioni dei capi dei ribelli, durante i periodi in cui le incurisioni del Metallo sono più frequenti.
L'accampamento provvisorio della Tenacia viene spostato di continuo e di solito è posizionato su alture facilmente difendibili, dove possibilmente ci sia una struttura stabile in cui curare i feriti. Sono in troppi e vulnerabili per essere ammassati dentro una tenda.
I più sani della resistenza, invece, si sistemano come possono; all'aperto, dentro qualche scanalatura di roccia, in edifici abbandonati e non pericolanti o stretti l'uno all'altro per entrare
anche in cinque in tende omologate per due, sottratte all'esercito.
Indirizza un paio di saluti a dei conoscenti, Jenna, ed ad ogni nuovo passo si sforza di ricordare il titolo o la copertina del libro dentro cui, l’ultima volta, ha trovato per caso dei ritagli di giornale del periodo che ha preceduto la quasi totale estinzione della razza umana.
Ha un piano ben preciso in testa, ma per attuarlo necessita della colleborazione di una persona che, spera con tutto il cuore, sia ancora viva.
Di lei non si hanno notizie dal 2016, anno della scomparsa del padre, ma Jenna è sicura di non aver letto in alcun necrologio il suo nome.
La sua morte avrebbe suscitato un tale scalpore che tenerla segreta sarebbe stato impossibile, perciò deve solo leggere con attenzione gli articoli che la riguardano e ricostruire i suoi movimenti prima che venisse data per dispersa.
Tra le righe, ne è sicura, è nascosto il luogo esatto in cui Brenda Collins si è rintanata durante l’ascesa al potere del Metallo.

***

22 Gennaio 2016

Mi chiamo Brenda Collins, per gli amici Bree.
Compirò diciassettene anni il prossimo ventidue Settembre.
Ho i capelli castano scuro, come la cioccolata fondente, e gli occhi chiari.
Mio padre, Richard Collins, ha sempre sostenuto che sono della stessa tonalità delle acque dell’oceano che bagna le Seychelles; ci ha vissuto qualche anno, lavorando come biologo marino.
Mi chiamo Brenda Collins, per gli amici Bree.
Il mio colore preferito è il rosso scarlatto e adoro il gelato alla fragola.
Ho una voglia di cappuccino dietro l’orecchio destro e sono un’appassionata di Jules Verne.
Mi chiamo Brenda Collins, per gli amici Bree.
Sono innamorata di Jason, il ragazzo che da un annetto e mezzo è venuto ad abitare nella casa accanto la mia.
Mio padre lo detesta –credo sia più che altro geloso -; mia madre, se fosse viva, sono sicura lo adorerebbe.
Mi chiamo Brenda Collins, per gli amici Bree.
Sono malata di leucemia da...non so, non ho mai contato il tempo che è trascorso dal giorno in cui ho scoperto che non sarei arrivata a compiere vent’anni.
Jason lo sa e mi ama lo stesso.
Ha coraggio da vendere e una forza di volontà che mi tira su, anche quando io sprofondo nella più nera autocommiserazione.
Mi chiamo Brenda Collins, per gli amici Bree.
Due giorni fa sono morta.
Mio padre mi ha uccisa e poi resuscitata.

Brenda Collins.

***

Jenna ripone in fretta il raccoglitore tra gli altri, posti in modo sbilenco in colonne traballanti, ed esce dalla tenda minuscola e soffocante un po' più sollevata.
Attraversa in fretta metà campo e raggiunge il parcheggio dove sono piazzate le auto e i pochi aerei sopravvissuti alla furia dei Metalli.
Salta agile su un fuoristrada corazzato color verde menta e mette in moto con impazienza, togliendosi ciocche fastidiose da davanti al naso.
Nella tasca posteriore dei suoi pantaloni neri sono infilati tutti gli articoli di giornale, che è riuscita a trovare sulla giovane Brenda, ripiegati in fretta.
Arriva davanti l’entrata dell’ospedale da campo con uno stridore di pneumatici, che richiama l’attenzione delle infermiere che ne stanno uscendo in quel momento con delle garze insanguinate in mano.
Lascia il motore gorgogliante acceso e corre dentro, cercando con occhi avidi la figura di Blake.
Carter gli è accanto e gli sta parlando sottovoce, premendo un panno cremisi sulla ferita.
Qualcuno piange, in fondo. L'ennesima fossa che si riempie giù a valle, accanto a quella di Meredith, la più cara amica di Jenna.
Stringe le mani a pugno e poi le riapre di scatto. Non riesce a dominare bene la rabbia che ancora l'invade se pensa al modo in cui tutti quelli che ha amato le sono stati strappati via.
Scansa un cieco per non farlo cadere ed evita la manina sudicia di una bambina piena di tagli ed ustioni da plasma.
Si avvicina ai due fratelli e questi alzano gli occhi su di lei insieme.
Si sforza di apparire incoraggiante e sorride.
Blake non se la beve.
Lei si china, lo bacia con dolcezza e poi intreccia le dita con le sue.
< Te la senti di affrontare un piccolo viaggio? > gli domanda, con l’ansia ed il timore che le fanno vibrare la voce come corde d’arpa pizzicate.
Carter sembra avere da ridire sulla richiesta della ragazza, ma il gemello lo anticipa, alzando una mano per farlo tacere.
< Dove andiamo? > Blake cerca la risposta nello sguardo di Jenna e annuisce prima ancora che lei abbia parlato.
< Al vecchio Coler Memorial Hospital. >

***
articolo di giornale





 

L'angolo di Ellie:
Se vi state chiedendo cosa ci faccio in questa sezione, premetto che la vostra è una domanda lecita.
Avevo voglia di spaziare, cambiare genere.
Jenna, Bree, Jason, Blake e il dottor Richard sono nati in un momento in cui avevo il cervello intasato dal lavoro che necessitava d'aria e svago.
Non hanno alcuna pretesa e quindi perdonate se il mondo post-apocalittico che vi viene presentato non vi soddisferà appieno.
Ho scelto di concentrarmi più sui protagonisti che le dinamiche che li hanno portati ad essere quel che sono e sullo scenario di contorno.
"Metallo", inizialmente, era stata progettata come OS, ma data la lunghezza sarà divisa in due capitoli.
Gli articoli di giornale che inframmezzano questo Primo Atto sono indispensabili per la comprensione della storia, quindi se non li visualizzate, fatemelo cortesemente sapere.
Ci ho speso ore intere per crearli e ne sono particolarmente fiera.
Cos'altro mi resta da dirvi?
Che la storia è ispirata a "Terminator Salvation", credo sia abbastanza chiaro, ma nel qual caso meglio specificare.
Credo sia tutto, spero di leggere qualche vostro parere, anche per sapere se una volta conclusa "Metallo" sia meglio tornare al mio solito genere e lasciar perderegli "Originali".
Un forte abbraccio.

Ellie.

 

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Capitolo 2
*** Atto Secondo - Battiti. ***



*A chi ancora riesce ad emozionarmi, a farmi vivere, sorridere e battere il cuore in modo incontrollato.*


Metallo

E’ difficile per Jenna guidare senza distrarsi.
Blake, al suo fianco, si lamenta ad ogni buca, pur  tenendo le labbra serrate, ed il suo colorito sfuma sempre più nel grigio.
Passa lo sguardo ansioso dal parabrezza sporco allo straccio insaguinato che lui stringe con le dita incrostate di rosso e prega di non trovare ostacoli indesiderati.
Le pare di vedere la vita di Blake scivolare granello a granello come polvere in una clessidra ed il tempo è insufficiente.
Teme di non farcela, di doverlo sepellire tra le macerie dell’ospedale in cui, invece, spera di salvarlo.
< Rimani sveglio. Dimmi qualcosa. Parla! > lo esorta, pigiando frustata sull’acceleratore.
Le vie di New York sono cosparse di crateri e palazzi afflosciati su se stessi come palloncini sgonfi.
Tra i resti dei marciapiedi, corpi in decomposizione e ossa umane fanno da lugubre monumento alla memoria.
Finestre esplose, edifici mozzati, veicoli accartocciati.
Ciò che è stato, non sarà più.
< Ho le mani ghiacciate. > Blake spinge fuori dalle labbra screpolate quelle parole come fossero proiettili.
Tossisce e sobbalza quando Jenna sterza bruscamente per evitare un semaforo che altrimenti sarebbe crollato loro addosso.
< Come quando volevi acciuffare a tutti i costi quella trota a mani nude in pieno inverno? Hai rischiato l’ipotermia, incosciente che non sei altro! > lo canzona lei, indirizzandogli un mezzo sorriso.
Poi inchioda di colpo e impreca, colpendo con entrambe le mani il volante.
< Dobbiamo proseguire a piedi, Blake. Ce la fai? Non posso passare col fuoristrada sull’ex Ed Koch Queensboro Bridge perchè... >
< ...è in parte crollato, lo so, Jen. > lui termina la frase di lei e armeggia con la maniglia dello sportello per scendere.
Lei appende distrattamente alla cinta un paio di pistole melta per sicurezza e corre ad aiutarlo, passandosi un suo braccio sulle spalle.
< Una volta eri più leggero. > finge di lamentarsi per farlo ridere e s’incamminano, stando ben attenti a mettere i piedi su quell’unica striscia di ponte ancora intatta.
E’ larga un metro ed è parecchio instabile, con pezzi di parapetto mancanti e buchi profondi qui e lì.
Blake inciampa più volte sui piedi stanchi e rischia di farli cadere entrambi, ma Jenna lo sostiene e avanzano lentamente.
Poi un rumore.
Uno stridore di lamiere ripetuto più volte e infine un colpo.
Un fragore assordante, seguito dal tonfo di qualcosa che affonda.
Blake e Jenna si voltano orripilati e osservano inabissarsi nelle acqua torbide dell’East River la lingua sottile di collegamento, che hanno appena passato, tra la Roosvelt Island e la terraferma.
Indietro non è più possibile tornare e a riva, accanto al fuoristrada che hanno abbandonato dieci minuti prima, due membri del Metallo stanno ricaricando i loro Javelin al plasma.

***

25 Marzo 2016

Caro diario,
Non so perchè continuo a tenere un diario.
E’ una cosa sciocca e infantile.
E’ una cosa da umani.
Cosa sono?
Non so darmi una risposta. Credevo di conoscermi, di sapere ogni cosa di me, persino il modo in cui sarei deceduta.
Invece no; sono diventata un’incognita persino per me stessa.
Mi aspetto di chiudere gli occhi e non riaprirli più, di avere un rigetto che mi stronchi, ma non succede.
Perchè non succede?
Non sono più Brenda Collins.
Lei non esiste più, sono rimasti giusto viso, gambe e braccia.
Sono viva, eppure preferirei trovarmi sotto terra, dentro una bara ad ascoltare i passi di chi si avvicina alla mia lapide e lascia un fiore.
Ho un cuore che batte in un petto di freddo acciaio per colpa merito di chissà quale diavoleria inventata da mio padre.
Non ho mai visto la documentazione del suo esperimento sfortunatamente riuscito.
Lui sembra aver riacquistato vent’anni di vita: è entusiasta e si comporta come se io fossi ancora io.
Ma non lo sono.
Un ibrido, ecco cosa vedo allo specchio: metà cyborg e metà ragazza.
...
Jason è sparito.
Non lo vedo da settimane, ma non lo biasimo.
Continuava a ripetere di amarmi anche dopo l’operazione, poi metteva le mani sui miei fianchi di ferro e si ritraeva subito, con faccia disgustata.
Vorrei morire, ma sono troppo codarda.
Vorrei tornare ad essere la Bree imbranata con i remi sulla barchetta al lago.
Cosa sono?
Cosa sono senza Jason?

Brenda Collins.
La creatura di metallo.

***

Jenna sente le gambe cedere e –inutilmente- si guarda intorno alla ricerca disperata di un qualcosa dietro cui ripararsi.
Ma di fronte a lei c’è solo un baratro costellato di detriti affondati nell’acqua sporca di fango, mentre alle sue spalle la striscia di ponte che ancora regge non offre alcuna forma di protezione.
Lei e Blake, per salvarsi, dovrebbero correre -e pregare- per raggiungere la riva della Roosvelt Island prima di essere inceneriti, ma lui è troppo debole e l’isola troppo lontana.
I Javelin al plasma impiegano un minuto e mezzo a ricaricarsi, tempo che Jenna sente di star sprecando nel vano tentativo di trovare una via di fuga.
I Metalli fissano i ragazzi, appesi l’uno all’altra, con i loro occhi bionici e poi raccolgono da terra pietre della dimensione di una testa e prendono la mira.
Blake arretra e cerca di trascinare con sè la compagna, che sembra aver avuto un’idea.
< C’è un buco abbastanza grande dentro cui puoi nasconderti, mentre io li distraggo. Devi arrivare al Coler e cercare Brenda Collins. >
Lui la fissa sgomento, quasi dimenticandosi del dolore al fianco.
< Sei pazza? Non ci arriverò mai da solo, Jen, e quelli prima ammazzeranno te, poi daranno il colpo di grazia a me. Usciremo da questo pasticcio entrambi vivi o entrambi morti! > esclama convinto, stringendo la presa sulla spalla di lei.
Non fa in tempo a sorriderle, che lei si butta all’indietro di schiena, mentre un masso si schianta fragoroso nel punto esatto in cui si trovavano i suoi piedi solo un attimo prima.
Atterrano doloranti su un pezzo d’asfalto dissestato e cercano di rimettersi in piedi alla svelta.
Il tempo scorre: mezzo minuto e il Javelin sparerà un’altro globo di plasma che farà crollare la parte di ponte dove Jenna e Blake stanno impalati ed esposti.

***

7 Maggio 2016

Caro diario,
Jason è morto.
L’ho scoperto alla fine del mese scorso e ancora fatico a crederci.
Stavo facendo zapping in tv, quel giorno, quando avevo sentito l’improvvisa voglia di uscire all’aria aperta per un po’.
Da quando ero stata trasformata in un mostro mio padre mi aveva operato, raramente avevo messo piede fuori casa.
Per strada c’era sempre qualcuno che mi additava, che gridava il mio nome come fosse una bestemmia e faceva voltare altri passanti, che mi soffocavano di domande o sputavano ingiurie nei miei confronti.
C’erano tante altre persone malate di leucemia al mondo e veniva reputato ingiusto che io fossi l’unica ad essere stata salvata.
Ma quel maledetto pomeriggio sentivo la necessità di ingoiare quintali d’aria fredda, seppur inquinata, più forte di qualsiasi altra cosa.
C’era il sole in cielo –lo vedevo dalla finestra- e sembrava chiamarmi.
Senza avvisare mio padre –rinchiuso nuovamente nel suo studio- avevo indossato un cappotto, una sciarpa fin sotto gli occhi, un cappello ed ero scesa in cantina, col preciso intento di trovare la mia vecchia mountain-bike.
Volevo distrarmi da tutto ciò che mi ricordava Jason, per il quale avevo versato lacrime ininterrottamente per settimane, e stando chiusa in casa non l’avrei di certo fatto.
Lo scantinato era piccolo e puzzava di muffa; ovunque guardassi c’erano ragnatele e scatoloni bagnati accatastati malamente.
In un angolo, appoggiata ad un vecchio congelatore che ronzava, c’era la mia bicicletta tutta impolverata.
Aveva le ruote un po’ sgonfie, ma contavo di riuscire a scovare anche un vecchio compressore nascosto da qualche parte.
Mi ero appoggiata al congelatore, strizzando gli occhi per riuscire a rintracciare quel che cercavo, quando mi ero resa conto che era freddo e vibrava.
Mi era sembrato strano, dato che per quel che ricordavo non era mai stato acceso.
Incuriosita, l'avevo aperto, chiedendomi cosa ci conservasse mio padre a mia insaputa.
Vorrei non averlo mai fatto.
L’urlo che era uscito dalla mia gola non aveva nulla di umano: davanti a me, illuminati da una luce bianca opalescente, c’erano gli occhi vitrei di Jason.

Brenda Collins.

***

La seconda pietra sfiora le teste dei ragazzi, che si sono prontamente abbassati, e fa svolazzare in aria i capelli di Jenna.
I Metalli scrocchiano le giunture ferrose dei loro colli e poi imbracciano meglio le loro armi, lasciando perdere i massi.
Blake inghiotte aria a vuoto e spera in un miracolo, non tanto per sè, quanto per la compagna, di cui è innamorato sin da quando ha iniziato a interessarsi al genere femminile.
Jen è stata la sua prima cotta, il suo primo bacio, la sua prima volta ed ora sarà anche l’ultima cosa che vedrà prima di saltare in aria.
Poi lo sguardo gli cade sul corpo snello di lei e la strozzerebbe giocosamente, se la situazione non fosse così tragica.
< Bambola, sbaglio o sono pistole melta quelle che hai appese alla cinta? > la stuzzica con il tono strafottente che usa sempre quando deve farle un appunto e che la irrita da morire.
Jenna-Miss-Perfezione detesta essere chiamata “bambola” e non sopporta l’idea di sbagliare, soprattutto se è Blake a farle notare i suoi errori –cosa che lui, invece, adora-.
< Cazzo, sono un’idiota. > sbotta, arrabbiata con se stessa.
I ragazzi prendono un’arma ciascuno e, qualche attimo prima che il Javelin dei Metalli sia pronto a sparare, loro premono il grilletto delle pistole quasi in simultanea.
Una scarica d’aria tremula e bollente sprizza verso i corpi dei robot all’altezza dell’addome lucente e, con un cigolio di ingranaggi rotti e pezzi d’acciaio accartocciati, i Metalli si sciolgono e si sfaldano in una pozza di ferro fuso.
Jenna esulta impercettibilmente e poi crolla a terra, schiacciata dal peso di Blake che ha definitivamente perso i sensi.

***

8 Maggio 2016

Caro diario,
ieri le emozioni hanno avuto la meglio e ho dovuto abbandonare il resoconto del giorno in cui ho trovato Jason col collo spezzato da mio padre morto.
Adesso sono più calma, ma non sto meglio.
Il dolore ed il senso di colpa mi stanno divorando dall’interno anche se non c’è più niente da divorare e il passare del tempo non guarisce le mie ferite.
Le cicatrizza, ma restano lì, visibili.
Continuo a chiedermi, tutt’ora, se ad ammazzare Jason sia stata io, indirettamente.
Se non mi avesse conosciuto, se non si fosse innamorato di me, se io non l’avessi ricambiato, se non fossi stata malata, se mio padre non mi avesse reso uno scarto umano  ciò che sono ora e se, infine, Jason non l’avesse affrontato sarebbe ancora vivo?
Sì.
Non voglio dare una risposta a queste domande. Non vivo che di rimorsi e rimpianti e sono una compagnia poco gradevole.
Vorrei solo riavere Jason.
Vorrei solo che Richard Collins non mi avesse costretto a fare quel che ho fatto.
Gli ho chiesto di salvare il ragazzo che amavo.
L’ho implorato di renderlo come me o anche simile ad un moderno Frankstein –non m’importava-, ma lui mi ha negato il suo aiuto.
Ha accampato scuse sulla sua ignoranza in campo di criogenesi e ha sostenuto di non poter riportare in vita i morti.
Gli era stato affibbiato il ruolo di Dio dai media, ma non lo era davvero.
Tuttavia si è rifiutato anche solo di mostrarmi i progetti con cui mi aveva ridato la vita.
Aveva paura che scoprissi qualcosa che non dovevo sapere e per questo li teneva legati attorno al suo corpo; non se ne separava mai.
Ed io non avevo davvero intenzione di spaccargli le costole e bucargli i polmoni...
Volevo solo che mi desse quei dannati fogli: se lui non voleva salvare Jason, l’avrei fatto io.
Ma non ho saputo regolare la mia forza e lui era troppo gracile e minuto.
Io, però, non sono mio padre.
Io non sono un Creatore.
Non so salvare vite umane, nemmeno quella che mi sta più a cuore.
Io so solo creare mostri.

Brenda Collins.

***

Archivio Settimo delle Cronache dei ribelli.

Il Coler-Goldwater Specialty Hospital era una struttura specializzata nella riabilitazione, ma forniva servizi sanitari ottimi in tutti gli altri ambiti e contava circa 2016 posti letto.
I registri dell’epoca riportano che erano praticamente tutti occupati il giorno in cui la cosiddetta Banda di Metallo –che sarà in seguito abbreviata solo con l’ultima parola- fece irruzione.
1980 furono le vittime, di cui 169 dispersi.
250 erano bambini e 347 anziani.
L’inaudita violenza degli aggressori non lasciò scampo a nessuno.
I pochi testimoni dell’episodio erano parenti di vittime, riusciti a mettersi in salvo perchè nel parcheggio.
I soccorritori non rinvenirono un solo corpo riconoscibile e, qualche ora dopo l’incursione, la struttura dell’ospedale crollò, impedendo così l’estrazione dei cadaveri.
Tutt’oggi essi giacciono sotto le macerie.
La banda del Metallo –perlomeno quei pochi membri che avevano compiuto la strage- scomparve nel nulla per mesi, lasciando credere al mondo che fosse stato un caso isolato.
Era solo l’inizio, in realtà: un test per misurare le loro capacità.
Obama si appellò alla popolazione mondiale e riportò un relativo stato di calma, ma nel frattempo ordinò l’incremento della produzione di armi missilistiche e nucleari.
A metà del 2017, alla loro seconda comparsa ufficiale, i Metalli erano diventati già più di cinquecento e si erano sparpagliati in Europa ed Asia.
Fu un bagno di sangue in diretta televisiva.
Carri armati, missili e bombe atomiche servirono a poco: erano robot e le armi progettate per abbattere muri o persone erano inefficaci.
Il genere umano ottenne solo l’effetto contrario a quello desiderato: facilitò il compito agli automi, distruggendo metà della propria razza con le radiazioni.
Loro, al contrario, si rafforzarono e moltiplicarono: erano dotati di un’intelligenza artificiale che gli permetteva di adattarsi in fretta a qualunque tipo di situazione.
Ben presto la Terra cadde in ginocchio e i pochi superstiti si unirono in gruppi sporadici e mal organizzati, che cercavano più che altro di sopravvivere, rinunciando a combattere.
Il nucleo più corposo e meglio armato è dislocato a New York, conta ad oggi cinquemila persone ed è chiamato “Tenacia”.

***

Jenna trascina il corpo esanime di Blake a fatica davanti quello che era l’ingresso dell’ospedale.
Ha la pistola stretta fra le dita tremanti ed è esausta: prima di riuscire a raggiungere la sua meta ha dovuto abbattere altri tre Metalli ed ha una ferita alla coscia sinistra che brucia come se ci fosse colata dentro lava liquida.
Cerca con gli occhi un ingresso, un buco in cui calarsi, ma non riesce a scorgere nulla e la luce del giorno si è ormai esaurita.
Il panorama lugubre che percorre con sguardo angosciato è omogeneo e tetro: macerie, detriti, aste di metallo sporgenti ed aguzze, vetri infranti e cemento sbriciolato.
E’ al capolinea.
Si accascia a terra e depone Blake accanto a sè, chiedendogli scusa con le lacrime: non è riuscita a salvarlo e, sebbene il suo battito debole sia ancora percepibile, è sicura che quel suono non durerà ancora a lungo.
Lui è freddo e lei gli tiene una mano fra le sue, cercando di scaldarlo.
Poi, l’ennesimo rumore di lamiere strascicate la fa balzare.
Brandisce la sua arma davanti a sè e cerca la fonte dello stridore fastidioso.
Alla sua destra, una pesante trave di piombo si sta sollevando e Jenna spara un colpo, mancando il suo bersaglio di un soffio.
Poi, però, abbassa le braccia, un misto di incredulità e speranza nello stomaco.
< Brenda Collins? > sussurra, rivolta più a se stessa che all’essere che avanza verso di lei.
Ha il viso di una ragazza all’incirca della sua età, occhi chiari, capelli scuri tagliati male e l’addome d’acciaio.
Sembra quello della corazza di una di quelle armature medievali che Jenna ha visto nel suo libro di scuola superiore prima della presa di potere delle macchine.
L’essere si avvicina senza parlare, con lentezza.
Tiene gli occhi fissi su Blake e quando arriva a meno di dieci passi, Jen rialza la sua arma e la punta alla tempia della figlia del Dottor Collins.
< Non t’avvicinare a lui. > le intima in un sibilo, ma quella non si ferma: è ipnotizzata dal ragazzo.
< Vi ho visti con le telecamere, mentre arrivavate. >
Jenna nota che la voce della giovane è delicata come carta velina e sembra essere stata inutilizzata troppo a lungo.
A tratti si spegne.
Si inginocchia con le mani leggermente alzate, davanti a Blake, e poi, finalmente, rivolge uno sguardo anche a Jen: è carico di domande e aspettativa, di disagio e tristezza.
< Salvalo. Rendilo come te! > le ordina lei, in quella che sembra più una supplica.
Brenda scuote la testa e accarezza una guancia del ragazzo svenuto.
< Ci ho già provato. Non sono capace. > una goccia cola dai suoi occhi cristallini e Jenna ha voglia di farla a pezzi.
Non ha fatto tutta quella fatica per veder morire Blake e non crede ad una sola parola del cyborg.
Testarda, non si rassegna e sposta la pistola laser all'altezza della gola della giovane bionica.
< Provaci, non m’importano i rischi! > ringhia e si asciuga una lacrima col dorso della mano con cui non impugna l’arma.
Brenda allora scatta in piedi e le sue urla rimbalzano sui resti marcenti del Coler e persino addosso al petto di Jen.
< L’ultima volta che ci ho provato ho creato i Metalli! Volevo salvare il ragazzo che amavo e che mio padre aveva ucciso, ma il suo cuore era fermo e ho ottenuto solo un macabro puzzle di rottami e pezzi umani che alla fine ha sviluppato una coscienza e si è ribellato, creando cloni di se stesso, uccidendo senza remore chiunque gli capitasse a tiro. Io...non puoi chiedermi di fallire ancora. Non voglio creare un altro mostro. >
E’ sua, dunque, la colpa di quel mondo in decadenza e di tutti quei morti.
Anche se ha le mani piccole e bianche, a Jenna sembra che quelle di Brenda Collins siano macchiate di sangue innocente.
La odia perchè le Macchine le hanno portato via ogni cosa che aveva: i genitori, la casa, la migliore amica...
Le è rimasto solo Blake e non le importa delle lacrime e della sofferenza dell’altra: lei è responsabile della rovina del genere umano ed il minimo che possa fare è cercare di ricostruire qualcosa, lì dove è stato distrutto tutto.
Una vita, quella di Blake. Non chiede tanto, no?
< Meglio come te che morto. Io lo amo e voglio che viva, qualunque sia il prezzo. > dichiara decisa Jenna, inginocchiandosi anche lei di fronte al ragazzo e baciando le sue dita gelide.
< Come vuoi. >

***

Tum-tum
Tum-tum.
Il battito del cuore di Blake è forte e stabile.
Jenna china la testa sul petto d’acciaio del giovane, che sembra una cassa di risonanza, e sorride, ricacciando via le lacrime.
Non vuole che siano la prima cosa che lui veda quando aprirà gli occhi.
Gli accarezza i capelli ed il viso, come a volersi sincerare che sia ancora lui in ogni sua parte.
< Ti ringrazio. > sussurra con voce strozzata a Brenda Collins, che sta riordinando i fogli del padre con una ruga di concentrazione sulla fronte ampia.
Sono in una specie di bunker nascosto al mondo dalle macerie del Coler-Goldwater Specialty Hospital; lì dove tutto era iniziato e nessuno aveva mai pensato potesse esserci altro che memoria di morte.
Il viso della ragazza si illumina di nostalgia e un pizzico di contentezza.
Annuisce piano e si avvicina a Jenna, stringendole un braccio in segno di comprensione.
< Il tuo Blake era forte e ancora in vita. Sono contenta di aver salvato almeno lui... > mormora in un sospiro.
< Il tuo Jason sarebbe fiero di te e sono sicura che non ti accuserebbe della fine che ha fatto. Tu hai provato a salvarlo in ogni modo. Esiste prova d’amore più profonda? > la rassicura l’altra, continuando a sfiorare le guance del ragazzo come se non potesse farne a meno.
Brenda rimane in silenzio qualche istante, poi asserisce decisa un qualcosa che lascia Jen senza parole.
< Voglio unirmi ai ribelli. In questi anni ho progettato delle armi in grado di fermare gli esseri che io stessa ho creato, ma non ho mai avuto sufficiente materiale per creale. Tenacia, sì. Voglio aiutarvi a riprendervi il mondo. >
Gli occhi della prima ragazza bionica sono sinceri e limpidi.
A Jenna ricordano il cielo nelle mattine d’estate che lei e Blake avevano speso in giardino a giocare a pallone.
Sorride alla nuova alleata e sta per replicare, quando un gemito la distrae.
Si volta e incontra lo sguardo canzonatorio del suo Blake. Gli sorride commossa e lo bacia.
< Sei un disastro, bambola, ed i tuoi capelli sono inguardabili. > sogghigna,osservando incerto il suo addome di lucente argento.
< Prego, amore. > replica lei, fregandosene per una volta dei dettagli.
Non c’è niente di più importante, adesso, del cuore di lui che batte e del nuovo germoglio di speranza per il mondo appena sotterrato.


L'angolo di Ellie:
"Metallo" è arrivato alla fine e prima di quanto avessi pensato.
Tenerlo nella pen-drive però non aveva senso e così ho deciso di accogliere la richiesta delle poche lettrici che ha avuto di concluderlo.
Spero che il finale sia stato di vostro gradimento e che se, vorrò ancora sperimentare, voi ci sarete.
Vi abbraccio forte, attingendo ad un po' del vostro calore e della vostra forza.
Me ne serve parecchia in questo periodo.
Un bacio.

Ellie.

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