さよなら涙 – Sayōnara namida di Rhaenyra17 (/viewuser.php?uid=191171)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I will love you forever ***
Capitolo 2: *** Happy birthday! ***
Capitolo 3: *** Castore and Polluce. ***
Capitolo 4: *** Explosive evening! ***
Capitolo 5: *** 18 years... and then? ***
Capitolo 6: *** Suffering. ***
Capitolo 7: *** The last act. ***
Capitolo 1 *** I will love you forever ***
Autore: Giacopinzia17
Titolo: さよなら涙
– Sayounara namida
Fandom: Naruto
Personaggi: Itachi
Uchiha, Sasuke Uchiha, Naruto Uzumaki, altri
Genere/i: angst,
triste
Rating: arancione
Disclaimers: i personaggi
non sono miei, ma di Masashi Kishimoto. Io mi limito a scrivere un
mucchio di stronzate... e mi piacerebbe che le disegnasse lui *-*
Note burocratiche: QUESTA
FANFICTION PARTECIPA AL CONTEST "FAMMI INNAMORARE! MIGLIOR COPPIA
YAOI/SLASH" INDETTO DA FAFFINA SUL FORUM DI EFP.
Note dell'autrice:
Salve, salvino, bel popolo popolino! (?) La rompipalle è
tornata con una long di sette capitoli scritta in cinque giorni *-*
Sono o non sono potente?? ... *scende dal piedistallo* No, è
che, sono un po' esaltata, visto che non è mai accaduto che
riuscissi a scrivere così tanto e in poco tempo. Ciancio
alle bande. Il titolo significa "lacrime d'addio" e l'ho estrapolato
dall'ending
n°24 di Naruto Shippuden!
Reputo questa storia un prototipo, sicché è la
prima volta che tratto "ampiamente", in un certo senso, di un rapporto
incestuoso tra i fratelli Uchiha. Sappiate che ci sono anche accenni
NaruSasu u_u perché questa storia è nata con
l'intenzione di essere una Naruto/Sasuke... e poi mi è
uscito un papiro Itachi/Sasuke grazie anche ad alcune immagini...
Posterò col settimo capitolo anche l'immagine che ha dato
vita a tutta la storia! Troverete capitolo per capitolo delle note
aggiuntive, nelle quali ci saranno dei chiarimenti su alcune mie scelte
e così via discorrendo. Il rating arancione ha penalizzato
un po' la mia voglia di straziarvi con tutto l'angst del mondo, quindi
sappiate che ho intenzione di rimettere la fic in cantiere e
rielaborarla con altri dettagli e scene che, a causa di tempo, non sono
riuscita ad aggiungere. Evito di sproloquiare oltre (alla giudiciA ho
inviato delle note lunghe una pagina intera, quindi...) e vi lascio a
questa sorta di introduzione, che è il primo capitolo. Nella
speranza che vi piaccia...
Ringrazio
il mio miglioer amico PunkDario per il giappo-aiuto e l'aver sopportato
i miei sproloqui in diretta ç_ç
Bacioni, Giacos.
Capitolo 1 – I will
love you forever.
[ Naruto
Shippuden Soundtrack n°7 ]
«Otouto».
Silenzio.
«Otouto», ritentò un ragazzo di tredici
anni, i capelli neri, lisci e lunghi
dapprima ordinati in una coda bassa, ora colmi d’acqua e
sciolti, «se continui
a stare sotto la pioggia, ti verrà un accidente».
Un lampo.
«Sasuke», Itachi si avvicinò con
accortezza al fratello minore, posandogli con
delicatezza una mano tra i capelli corvini, «non voglio che
ti ammali. Torniamo
a casa».
Un tuono.
«Nii-san, li ho persi».
«Otouto, io sono ancora qui», tentò di
rassicurarlo il più grande, cingendogli
la snella vita e stringendolo forte a sé.
«Lo so», il più piccolo girò
il capo fino ad incontrare lo sguardo intenerito
del fratello maggiore, «tu non mi lascerai mai,
vero?»
«No, otouto, non ti lascerò».
«È una promessa, nii-san?».
«Lo è», lo rassicurò Itachi,
baciandogli la fronte e accarezzandogli con
estrema delicatezza i capelli zuppi d’acqua, «ma
adesso andiamo via».
In silenzio, Sasuke si strinse al busto del più grande e lo
seguì.
**
«Sasuke, sicuro di non dimenticare
nulla?», domandò Itachi al fratello minore,
mentre quest’ultimo si allacciava le scarpe
sull’uscio della porta di villa
Uchiha.
«Itachi! Non ho più sei anni!», lo
richiamò Sasuke, mentre un adorabile broncio
si dipingeva sul volto niveo, le sopracciglia nere si corrucciavano e
pochi
ciuffi di capelli corvini gli infastidivano le palpebre.
«Vieni qui, dai».
Per quanto il più piccolo dei due continuasse a ricordargli
che non era più un
bambino e che ormai aveva tredici anni, Itachi proprio non riusciva a
perdere
quelle vecchie ed infantili abitudini, né risultava facile
privarsi della
propria indole iperprotettiva nei confronti di Sasuke. Per quanto la
morte dei
loro genitori avesse cambiato radicalmente il minore, sapeva che dietro
quella
corazza c’era il cuore tenero del bambino che conosceva.
Purtroppo, però, la
sofferenza aveva giocato un brutto ruolo in quella faccenda e quella
perdita
era stata traumatica per entrambi; per quanto Itachi non lo desse a
vedere e si
mostrasse sempre quieto e forte, soffriva tanto quanto il minore.
Sasuke si alzò e avvicinò al fratello,
togliendosi e lasciando le scarpe sul
parquet ben volentieri; orgoglioso com’era, non avrebbe mai
ammesso che le
attenzioni di Itachi lo rendevano dannatamente felice, né
che non poteva
assolutamente farne a meno.
Il maggiore picchiettò con delicatezza la fronte del
più piccolo con l’indice e
il medio, poi la inumidì con la saliva di un casto bacio
appena accennato; al
che il minore rabbrividì e le proprie guance
s’imporporarono infantilmente.
«Dai il meglio di te in accademia, otouto», si
raccomandò Itachi, lasciando che
il fratellino, sbuffando, tornasse ad allacciarsi le scarpe; lo vide
afferrare
frettolosamente la borsa beige a tracolla, la tuta blu scuro che gli
fasciava
le gambe snelle e la felpa bianca con lo stemma della famiglia Uchiha
che
spiccava dietro la schiena, le manine che aggiustavano i capelli appena
un
attimo prima di uscire.
«Ci vediamo!», disse, poi chiuse la porta
scorrevole in legno.
In
religioso
silenzio, Sasuke Uchiha camminava con pacatezza per le viottole
ghiaiose del
quartiere del proprio clan, le mani nelle tasche della tuta,
l’espressione
fiera e dura, alzando di tanto in tanto un velo di polvere che si
apprestava a
dileguarsi; si guardava attorno, salutando cugini di gradi lontani o
parenti di
primo e secondo grado, con un cenno del capo e niente più.
Anche i membri del
clan si erano ormai abituati al carattere scontroso e distante del
fratellino
di Itachi Uchiha e non vi davano più molta importanza; lo
compativano, anzi:
come biasimare il suo comportamento dopo la morte dei suoi genitori?
La consapevolezza che le persone la pensassero così e
provassero pena per lui
faceva imbestialire non poco il ragazzino, tenuto sempre a bada dal
tono dolce
ma perentorio di Itachi. Possibile che suo fratello avesse un qualche
potere
magico? La sua influenza su Sasuke era esasperante, eppure
quest’ultimo si
rifiutava di ribattere e talvolta adorava udire le parole serie, ma
piene
d’amore, di Itachi.
Pensando a ciò, lasciò che un sorriso quasi
malinconico si facesse spazio sul
suo volto, mentre dagli occhi non traspariva altro se non un profondo
senso di
solitudine. Non era mai stato fortunato sul fronte
dell’amicizia, vuoi per il
suo indissolubile legame col fratello, vuoi per il carattere schivo e
il
sarcasmo ben evidente e prorompente in ogni sua frase; era capace di
usarlo
anche pronunciando non più di due semplici parole. Peccato
che la maggior parte
delle persone scambiasse il sarcasmo per cattiveria; la famiglia Uchiha
era una
delle più potenti di Konoha e del Giappone intero, incuteva
timore ad ogni
possibile rivale scacciando quasi in automatico ogni vano tentativo di
sopraffazione. Ogni Uchiha era dotato di abilità
estremamente particolari che
venivano affinate e perfezionate oltremisura col tempo, sin dalla prima
infanzia. Per questo ottenevano senza alcun problema
l’invidia pura di chiunque
e la gioia sincera, e forse nemmeno così tanto onesta, di
una cerchia ristretta
di persone; ovviamente quelle che, in un qualche modo, erano affiliate
agli
Uchiha.
Dopo la morte dei suoi genitori, Sasuke aveva covato dentro
sé una rabbia che
non aveva mai tentato di sfogare in alcun modo, se non con delle
lacrime che,
di tanto in tanto e con una prepotenza sovraumana, scendevano copiose
sul suo
viso e finivano per bagnare le lenzuola del letto e la federa del
proprio
cuscino. Accadeva sempre di notte, contribuendo in modo tale che il
giovane
potesse trascorrerne di insonni, una dopo l’altra.
Puntualmente Itachi si
ritrovava a prendere il fratello in braccio e, con delicatezza, lo
poggiava sul
letto nella sua stanza, s’infiltrava sotto le coperte e lo
stringeva forte al
petto, finché Sasuke non si fosse calmato e addormentato.
Solo quando dormiva con il fratello, il minore riusciva a riposare
senza incubi
né sogni; un sonno tranquillo, cullato dalle braccia del
più grande.
Persosi in questi pensieri, Sasuke si accorse a stento di essere giunto
dinanzi
all’Accademia di Konoha: il giardino che contornava la
struttura era ricolmo di
bambini della sua età, la maggior parte con ambedue i
genitori, alcuni solo con
uno dei due e uno, come lui, completamente solo. Impossibile non notare
una
chioma dorata, il capo chino e il corpo gracilino poggiato
sull’altalena
penzolante da un albero robusto.
Da parte sua, quel bambino alzò il capo, evidentemente per
la pressante
sensazione di sentirsi osservato da qualcuno e incrociò lo
sguardo di Sasuke,
mostrando le proprie iridi cristalline, splendenti come due zaffiri,
colme
della stessa tristezza che gremiva l’animo del piccolo
Uchiha.
Lo vide accennare un sorriso e mordicchiarsi il labbro inferiore, prima
di
scendere svogliatamente dall’altalena ed avviarsi, le mani
posate nelle tasche
dei pantaloni beige che indossava, verso l’ingresso.
E per la prima volta Sasuke desiderò che qualcuno fosse suo
amico; per la prima
volta, sentì che esisteva la possibilità che
qualcuno, oltre a Itachi, si
affezionasse a lui.
**
«Otouto,
guarda che non c’è nulla di male se per una volta
ti fai un amico», sentenziò
Itachi, non trovando una ragione plausibile per la quale il suo
fratellino non
volesse avvicinarsi a qualcuno per instaurare almeno un rapporto
pacifico. Era
consapevole che ne soffriva tanto, eppure non sapeva come fare; non
poteva mica
avvicinarsi lui stesso a qualche bambino per presentargli Sasuke? Non
aveva più
sei anni, glielo aveva ripetuto quella mattina il minore stesso, eppure
certi
atteggiamenti lasciavano tranquillamente pensare il contrario.
«Ma… Itachi…»,
provò a lamentarsi il più giovane, ma ogni
tentativo di replica
fu smarrito nelle braccia del maggiore attorno alle sue spalle, una
mano sulla
nuca e il mento poggiato sul capo del più piccolo.
«Promettimi che ci proverai domani», lo
impetrò in un sussurro, un tono di
supplica misto ad una dolcezza che sgorgava dal proprio animo solo
quando si
trattava del fratellino. «Allora?»
«E va bene!», asserì con tono lagnoso
Sasuke, abbandonandosi alle coccole di
Itachi. «Nii-san, posso farti una domanda?»
«Certo che puoi, Sasuke».
«Ma tu ce l’hai una fidanzata?», lo
interrogò il tredicenne, scrutandolo con
sguardo pensieroso e speranzoso al tempo stesso, per poi chinare
nuovamente il
capo; cosa che Itachi non seppe spiegarsi e che decise di accantonare
immediatamente.
«Perché mi domandi una cosa simile,
otouto?», indagò l’Uchiha più
grande,
corrugando la fronte e approfittando del fatto che l’altro
non lo stesse
guardando in viso.
«Io…», cominciò, poi scosse
la testa e riprese: «Lascia stare, nii-san… Posso
dormire con te, stanotte?»
«Solo se mi dici cosa ti passa per la testolina».
Uno sbuffo esasperato.
«Fa nulla, oyasumi, Itachi-san», detto
ciò, si staccò dal fratello e si avviò
verso le scale, che l’avrebbero condotto al piano superiore e
alla sua
cameretta.
«Quanto resisterai, otouto?», pensò
intenerito il maggiore, per poi apprestarsi
a spegnere il televisore e andare a farsi una doccia.
Era
da
circa mezz’ora che Sasuke si rigirava in continuazione nel
letto,
aggrovigliandosi spesso con le lenzuola e imprecandogli contro
sottovoce; l’aria
settembrina era un misto tra caldo e freddo, eppure il ragazzino pareva
avvertire più il calore che la freschezza
nell’aria. Decise di alzarsi e andare
in bagno, per rinfrescarsi un po’ la faccia: magari il calore
si sarebbe
dileguato e lui avrebbe potuto tentare di dormire; nella speranza che
quei
maledetti pensieri lo lasciassero in pace.
Strusciando i piedi coperti da calzini blu, si accinse a raggiungere il
bagno
mentre sbadigliava, più annoiato che assonnato, e
l’aprì tranquillamente,
giacché la serratura non era chiusa a chiave. Si
passò le mani sugli occhi, poi
chiuse la porta a chiave e si voltò verso il lavabo; si
bloccò di colpo.
«Ancora sveglio, otouto?», chiese Itachi, aprendo
di un paio di centimetri
l’anta della cabina-doccia, in modo da poter guardare il
fratellino; le sue
guance ormai tiziane lo rendevano più carino di quanto non
fosse già. Il
maggiore aprì completamente la cabina, afferrando un
asciugamano e
arrotolandolo attorno alla vita, così da coprire la propria
intimità; poggiò i
piedi su un telo steso dinanzi alla doccia e si avvicinò
pericolosamente al
fratellino. Quest’ultimo s’irrigidì e si
voltò bruscamente, chinando il busto
sul lavandino e aprì il getto d’acqua gelida, per
poi congiungere le mani,
riempirle e aspergere il viso dalla fronte al mento, dal quale alcune
goccioline scesero dispoticamente sulla gola, sino a morire nel tessuto
leggero
della maglietta bianca.
«Sì».
«E come mai?»
«Fa caldo», espirò il minore,
inumidendosi i polsi e sfregando le mani.
«Non così tanto, otouto. Sei agitato?»
Per tutta risposta, il tredicenne sbuffò.
Quell’innata abilità di Itachi di
scovare anche il minimo dettaglio fuori posto metteva in soggezione
Sasuke; lo
faceva sentire nudo, privo di ogni barriera che gli oscurasse la
visuale. Era
tremendamente imbarazzante essere costantemente osservato e compreso,
per
quanto potesse invidiare ed elogiare la capacità del
maggiore.
«Puoi ancora dormire con me, se vuoi», gli
rimembrò mestamente, accarezzandogli
una guancia e sorridendo, addolcito dalla tenerezza di Sasuke che,
quasi come
se fosse un animaletto domestico in vena di coccole, aveva iniziato a
strusciare la gota contro la mano grande e irrorata del nii-san.
Corrucciandosi, il ragazzino, edotto del fatto che lui stesso stava
contribuendo
a denudarsi dinanzi a Itachi, si accostò al suo busto
austero, appoggiandoci
contro la fronte ancora umidiccia.
«Voglio dormire con te, nii-san…»,
confessò trepidante, «ma ciò significa
che
dovrò dirti quella cosa».
«Solo se vuoi, Sasuke», placò il suo
lieve timore Itachi, «non voglio
obbligarti a fare qualcosa che non vuoi».
Quando il tredicenne alzò il viso e incrociò lo
sguardo premuroso del maggiore,
si sentì palesemente rincuorato e, in contemporanea, in una
parte di sé stava
sbocciando la cupidigia di metterlo al corrente di ciò che
aveva scaturito quel
quesito. Nei suoi occhi brillava un fulgore diverso, gremito di
indulgenza e
purezza, che scaldò il cuore di Itachi.
«Grazie, nii-san».
Le labbra del maggiore, di un rosa pallido e dai lineamenti delicati,
si
accostarono con bramosia alla pelle del fratellino, che dal canto suo
sentì il
battito cardiaco accelerare, rintronando i sensi raggelati e
surriscaldati in
contemporanea. Le dita smilze di Sasuke si mossero celermente, sino a
posarsi
tra la clavicola e la scapola del diciottenne, le punte delle dita dei
piedi
adagiate sul pavimento e i talloni rialzati, il busto eretto e il collo
che si
protendeva verso quella fonte di incomparabile calore e cedevolezza.
Fu grazie ai pronti riflessi di Itachi, o all’incuria di
Sasuke, che le loro
bocche non si unirono in un casto ma illecito bacio; infatti, le labbra
del più
grande deviarono la propria traiettoria, così come quella
del minore, andando a
poggiarsi agli angoli delle rispettive fauci. Suo malgrado ed
ingollando a
fatica, il tredicenne si disgiunse dal piacente corpo da novello uomo
del
fratello e, a capo chino, anelò.
«Ti aspetto… in camera tua».
Sebbene fosse opportuno non guardare Itachi mentre si affrancava dal
canovaccio,
il più giovane non resistette e il suo sguardo cadde sul
posteriore del
fratello, che si apprestava ad afferrare dei boxer bianchi ed
attillati,
infilandoseli con estrema placidità. Trattenendo il respiro,
il minore si voltò
e s’instradò verso la soglia del bagno.
Girò la chiave nella serratura,
facendola scattare e in men che non si dica si fiondò fuori
da quella stanza,
precipitandosi nel confortevole giaciglio del nii-san.
Nemmeno un paio di minuti dopo, vide affiorare dall’uscio la
sua figura
slanciata e ben proporzionata e non la perse di vista finché
non gli fu
possibile ammirare solo i pettorali delineati attraverso la maglietta
aderente
che indossava, i capelli neri ancora madidi d’acqua, di nuovo
le sue labbra e
il suo viso minuto.
Tacquero per una manciata di attimi, prima che Sasuke desse voce ai
propri
pensieri.
«Nii-san», lo appellò.
«Cosa c’è, otouto?», lo
sollecitò ad esprimersi Itachi.
«Ecco, vedi…», in preda allo sconforto,
il tredicenne prese a morsicchiarsi il
labbro inferiore, «È… Riguarda quello a
cui ho accennato prima».
Il maggiore ridacchiò: sapeva che il suo otouto avrebbe
sputato il rospo; lo
conosceva troppo bene per potersi sbagliare.
«Io… ho paura. Ecco, l’ho
detto», nascose il viso nell’incavo del collo del
maggiore, stringendosi forte a lui, tremolante ed insicuro, impaurito
e…
geloso?
«E perché mai dovresti averne, Sasuke?»,
domandò esterrefatto il diciottenne,
inarcando un sopracciglio e avvicinando maggiormente il fisico asciutto
del più
piccolo a sé, in un’ambigua manifestazione di
conforto.
«Perché poi lei ti porterebbe via da
me!», lo accusò furibondo e sgomentato,
«Io
non voglio che tu mi lasci solo, mai!»
«Non accadrà, mio stolto fratellino», lo
schernì gioiosamente Itachi, «credi
davvero che ti lascerei solo per una qualunque?»
«Beh, se è la tua fidanzata, non è
proprio “una qualunque”»,
puntualizzò
stizzito l’altro.
«Che ti sia ben chiara una cosa: tu sei la cosa
più importante, per me. Questo
non lo cambierà mai niente e nessuno. Io ti
proteggerò e amerò per sempre».
Cullato dal dolce suono di quelle rassicuranti parole, il tredicenne
sorrise
contro la pelle profumata del più grande, accoccolandosi
sereno.
«Anche io, Itachi».
Da allora, l’argomento non fu più accennato
nemmeno minimamente.
«Peccato che tu non lo interpreti come faccio io,
nii-san…», pensò inappagato
il minore, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo… e
di Itachi Uchiha.
______________________________________________________________________________________________________________
Glossario:
Oyasumi: buonanotte.
Otouto: fratello minore.
Nii-san: fratello maggiore.
NB:
“Io ti proteggerò”: lo dice
Itachi a Sasuke quando quest’ultimo è appena un
neonato e il fratello ha cinque anni.
“Ti amerò per sempre”: Itachi lo dice a
Sasuke nel capitolo 590.
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Capitolo 2 *** Happy birthday! ***
CAPITOLO 2 – Happy
birthday!
[ Ludovico
Einaudi - Le onde ]
«Sasuke,
sei insopportabile!», ringhiò Naruto, dopo esser
stato deriso per l’ennesima
volta dal compagno.
«Dobe, non
è colpa mia se sei una schiappa a rimbalzello».
«Sei
odioso!», sbraitò, gettando i sassolini che aveva
tra le mani e
lanciandosi in acqua. Sasuke scosse la testa divertito e decise di
seguirlo; si
accostò al mare con grazia e lentezza, mentre il biondino
urlava e rimaneva in
apnea di continuo.
«È
il momento buono, forse», lo schernì il moro non
appena il compagno risalì a
galla, celando con accortezza il suo sguardo lascivo nel delineare i
muscoli
accennati del compagno: il costume pareva d’un tratto troppo
largo per lui,
mentre si abbassava sino a lasciare lembi di pelle chiara e poco
abbronzata, al
confronto col resto dell’epidermide morbida del biondo,
dell’inguine, un boxer
nero s’intravedeva appena e gli occhi cristallini erano la
cosa più bella che
l’Uchiha avesse mai visto.
No: Naruto era la
visione più bella di cui potesse godere, si corresse
mentalmente, scuotendo il capo e fissando l’orizzonte,
assorto.
«Non quanto
Itachi, ma era ovvio», stimò, sospirando.
«Il momento
buono per cosa?»
«Per
affogarti», annunciò, prima di scagliarsi sul
corpo del compagno e
bloccarlo sott’acqua. Una serie di bollicine salì
sino alla superficie della
marea, mentre Naruto si agitava e tentava di calciare le gambe pallide
del
compagno.
Sasuke decise di
lasciarlo stare, così mollò la presa e si
tuffò sott’acqua, uscendo
soltanto quando fu certo di essersi allontanato di qualche metro da
quell’uragano di compagno che si ritrovava.
«TEME!»,
urlò l’Uzumaki, nuotando a più non
posso, muovendo ritmicamente
braccia e gambe, gestendo con maestria la respirazione al tempo giusto
e
raggiungendo finalmente il moro, che se ne stava tranquillo
fischiettando e
fissando i cumulonembi che si ergevano nel cielo azzurro.
«Smettila di
urlare come un tacchino impazzito, usuratonkachi», lo
richiamò
Sasuke, atono come al solito, mentre le mani si muovevano con lentezza
esasperante nell’acqua, spostandone dapprima poca, poi sempre
più sino a
schizzare il biondino.
«Baka! Baka,
baka, baka!»
«Taci,
dobe», sbuffò l’Uchiha, nuotando verso
riva.
«Già
te ne vai?!», domandò Naruto che, non ricevendo
risposta, continuò ad
urlargli contro: «Sas’ke!»
Quest’ultimo
continuò ad ignorarlo, finché non raggiunse la
riva e, facendo
poco caso alla sabbia cocente, si avviò verso gli
asciugamani posati sotto
l’ombrellone. Si voltò finalmente verso Naruto,
facendogli un cenno per
avvertirlo che sarebbe andato a fare una doccia e, afferrata
l’asciugamano e il
costume puliti, assieme alla borsa contenente un bagnoschiuma e uno
shampoo, si
apprestò a raggiungere le cabine.
I capelli ondeggiavano
e venivano sgarbugliati dalla brezza estiva, il sole
cocente batteva sull’epidermide eburnea del giovane Uchiha,
colma di protezione
dai raggi UV, la più alta che Itachi avesse trovato al
supermercato, il respiro
si sentiva appena e dinanzi ai suoi occhi aveva ben chiaro il colore
ceruleo di
quelli del compagno.
Scosse il capo,
beffeggiando persino se stesso per quella debolezza che non
avrebbe mai ammesso ad alta voce, poi inserì un gettone nel
comparto doccia e
lasciò che l’acqua gelida gli portasse via tutti i
residui del sale. Afferrò la
boccetta di bagnoschiuma e la schiacciò, facendone
fuoriuscire un liquido
verdognolo che ben presto non diventò altro se non bollicine
di schiuma
candida. Effettuò lo stesso procedimento con lo shampoo,
insaponandosi i capelli
e sciacquandosi poi completamente, massaggiando la cute e accarezzando
la
sofficità infantile della propria pelle.
«Eccoti qui,
Uchiha Sasuke».
Una voce roca e
possente risuonò per l’abitacolo, attirando
l’attenzione di un
sorpreso Sasuke; non si era nemmeno reso conto della presenza di altre
persone,
specialmente per il fatto che la spiaggia era… deserta. E
allora cosa ci faceva
quell’uomo lì e soprattutto, chi era?! Una parte
di lui aveva timore di
scoprirlo, una minima porzione del suo animo tentennava e
un’altra ancora
fremeva per fuoriuscire e mostrare a quel bastardo qualcosa, anche se
l’Uchiha
non sapeva esattamente cosa.
«E tu chi
saresti?», domandò stralunato, voltatosi verso la
persona alla quale
apparteneva la voce. La figura longilinea gli ricordò
vagamente qualcuno… una
persona piuttosto familiare. Qualcuno con cui era solito trascorrere il
suo
tempo, gente che vedeva molto spesso se non sempre.
«La mia
popolarità parla prima di me, di solito, mi stupisco che tu
non conosca
la mia identità».
I capelli
dell’uomo erano folti e lunghi, un nero corvino con riflessi
blu,
notabili solo grazie alla luce, del sole o dei neon che fosse, occhi
neri e
cipiglio severo, tono gagliardo e perentorio, un’immane
freddezza che spuntava
da ogni millimetro di quel corpo robusto e coperto da
un’attillata tuta nera,
sulla quale pendeva un’armatura rosso scuro e lo stemma del
clan Uchiha a sua
volta ciondolava da quest’ultima. Un Gunbai era poggiato
sulla schiena rigida e
si ergeva dietro le sue spalle imponenti.
«Tu sei un
Uchiha», osservò, «ma non ti ho mai
visto a Konoha».
Una risata malvagia
risuonò prepotentemente in quel minuscolo spazio e fece
rabbrividire addirittura l’imperscrutabile moro, che
sbarrò gli occhi e
digrignò i denti, infastidito dalle sensazioni che stava
provando.
«Certo che
non mi hai mai visto, ho lasciato Konoha molto tempo fa».
«Ah,
sì? E perché mai?», Sasuke cercava
disperatamente di prendere tempo, senza
che attraverso la sua voce o il suo volto trasparisse alcuna emozione e
specialmente non si intravedesse neanche un minimo barlume di timore.
«Perché
io sono Uchiha Madara».
Il giovane
rabbrividì e lo sconcerto s’impadronì
di ogni singola parte del suo
corpo, le viscere gli ribollivano e un lieve tremolio
trasparì dalle mani
serrate in pugni.
Naruto si
era stancato di guizzare nell’acqua come un pesce e, dopo
aver fatto
un ultimo paio di tuffi, decise che era giunta l’ora di
tornare all’ombrellone
ed asciugarsi un po’. A sostegno della sua decisione,
c’erano le sue mani, la
cui pelle era terribilmente spugnata e raggrinzita; proprio non poteva
rimanere
ancora in acqua. D’altronde, l’estate era
relativamente appena cominciata e
aveva ancora un bel po’ di tempo da trascorrere sulla
spiaggia, di mattina, di
pomeriggio ed eventualmente avrebbe convinto i compagni ad organizzare
un falò;
anche solo per una o due notti.
Arrivato sotto
l’ombrellone, afferrò il proprio asciugamano dalla
sedia a
sdraio e lo scosse un po’, così che la sabbia
fosse scacciata via dallo stesso
vento che ce l’aveva portata.
«Che bella
giornata, dattebayo!», urlò gioioso, mentre
stiracchiava i propri
muscoli e tentava di riabituarsi alla terraferma. Aveva nuotato
decisamente
troppo. «Che fine avrà fatto Sasuke? È
da mezz’ora che se ne sta nelle docce!»
Decise così
di attendere un’altra manciata di minuti e, se Sasuke non
fosse
tornato nel frattempo che si asciugava un minimo, sarebbe andato a
tirarlo per
le orecchie e l’avrebbe interrotto dalla doccia
restauratrice… Che poi
l’Uzumaki era perfettamente consapevole del fatto che le
docce sulle spiagge fossero
gelide!
«Tsk,
proprio come quel teme!», ghignò, soddisfatto del
sillogismo che gli era
appena apparso nella mente: «L’acqua delle docce
sulla spiaggia è gelida,
Sasuke è gelido: Sasuke è una doccia sulla
spiaggia!»
Sorridente, il
biondino decise di raggiungere il compagno e farsi lui stesso
una doccia, dopo aver appurato di essere appiccicaticcio da far paura.
Notò che
la borsa nella quale erano riposti shampoo e bagnoschiuma mancava,
quindi
Sasuke l’aveva portata con sé;
«meglio», pensò, «meno roba da
portare con me!»
Afferrò con
rapidità le ciabatte, pur di non ustionarsi i piedi a causa
della
sabbia rovente, che comunque batteva imperterrita sui piedi umidi
dell’Uzumaki
mentre camminava, direzione cabine-doccia.
Si affacciò
leggermente, poggiando le mani sulle mattonelle unte e scivolose a
causa dell’acqua e sbirciando Sasuke: era sconcertato, rigido
come l’acciaio e
nemmeno l’acqua congelata pareva scalfire la sua superficie
di indifferenza ed
imperscrutabilità.
Peccato che si
curò poco di quei pensieri e lasciò subito cadere
eventuali
riflessioni o tesi di qualsivoglia tipo, impegnato com’era a
fissare
languidamente il suo corpo come non aveva mai pensato, né
osato fare prima. E
per la prima volta gli parve bello, bello da morire; perfetto, il
candore della
sua pelle che s’intersecava alla perfezione con il nero delle
sue pupille
dilatate, le sopracciglia scure e i capelli con riflessi bluastri, le
dita
lunghe e affusolate, il fisico asciutto ma tonico, il costume blu con
il
ventaglio Uchiha stampato sul lato sinistro, i lacci slegati e,
paradiso
terrestre, le labbra socchiuse e bagnate. Il suo sguardo vagava
dall’alto al
basso, irrefrenabile, incurante del fatto che nemmeno lontanamente
avrebbe
dovuto pensare una cosa simile; eppure non riusciva a smettere. Ma da
quando
quel teme era così attraente?!
Deglutendo a fatica e
stringendo pugni e denti, si decise a poggiare su di uno
sgabello il proprio asciugamano, assieme a quello del compagno, ed
entrò nel
comparto doccia, catturando l’attenzione di Sasuke. Il
giovane Uchiha si
apprestò a scuotere il capo e voltarsi verso le piastrelle,
mentre le mani
impugnavano i bordi del costume e si accingevano a sfilarlo.
L’Uzumaki
trattenne il fiato, estasiato e spaventato dal vortice di emozioni che
si stava
impossessando di lui, poi si decise ad aprire l’acqua e
rabbrividì.
«Cazzo se
è fredda!», imprecò irosamente,
maledicendo chiunque avesse deciso di
concedere ai bagnanti una doccia fredda dopo essersi abituati al calore
solare
e marittimo.
«Ma ti
lamenti sempre, Naruto?!»
Il volto bronzeo del
biondino scattò in un rapido movimento e, voltatosi verso
l’Uchiha, rimase fermo, gli occhi che lo scrutavano
visibilmente incuriositi da
quella inaspettata carenza: da quando lo chiamava per nome? Non
l’aveva mai
fatto prima d’allora; sin da quando avevano spiccicato parola
per la prima
volta, Sasuke l’aveva battezzato come
“dobe” o al massimo
“usuratonkachi”, ma
mai in precedenza Naruto si era reso conto di quanto fosse bello il suo
nome,
né aveva potuto bearsi del suono idilliaco fuoriuscente
dalle labbra del
compagno.
«Cos’hai
da guardare, dobe?»
Il moro, dal canto
suo, si era reso conto di quella terribile figuraccia che
aveva fatto, anche se di brutta figura non c’era proprio un
bel nulla. Sarà
stato forse a causa dell’agitazione momentanea e lo scudo
abbassato per pochi
attimi, però le sue corde vocali avevano fatto
ciò che più le aggradava e le
labbra si erano mosse in automatico. Probabilmente gli sarebbe bastato
non
parlarne e far finta di nulla; peccato che Naruto non fosse dello
stesso
avviso.
«T-tu...
mi…», balbettò, in preda allo stupore
più puro e all’assuefazione
totale, quell’annebbiamento mentale che non gli consentiva di
sparare meno
cavolate del solito; sicuramente molte di più.
«Cosa,
usuratonkachi? Ti piaccio, per caso?», lo dileggiò
l’Uchiha, pensando
che magari i pensieri poco casti fatti mentre erano in acqua poco prima
si
sarebbero dileguati, o almeno gli avessero procurato un rivoltante
senso di
puro disgusto, tanto da farlo tornare immediatamente sulla retta vita.
«Teme!»,
inveì l’Uzumaki, arrossendo di vergogna.
«Ma che cosa ti salta in
mente!»
Di sicuro il tremolio
nella propria voce l’aveva tradito e di certo il moro non
se l’era fatto sfuggire; ciononostante, Sasuke non lo
canzonò, né proferì
ulteriori parole. Si limitò ad un’alzata di
sopracciglia, mentre si calava
anche l’intimo e si liberava con i piedi di quelle
costrizioni.
Naruto si
apprestò a guardare altrove, ma si trovò
costretto a parlare ancora con
l’altro, sforzandosi di non fissare… lì.
«Mi
passeresti bagnoschiuma e shampoo?», inghiottì
faticosamente la propria
saliva, quel poco che gli restava, mentre si passava la lingua sulle
labbra nel
tentativo di assorbire un po’ d’acqua e rifornire
le proprie ghiandole
salivari.
«Sei un
rompipalle, dobe», sibilò il più
grande, porgendogli i due contenitori
e fissando il solito adorabile broncio dell’Uzumaki.
«“Adorabile”,
tsk», ponderò l’Uchiha, ringhiando e
mordendosi a sangue il
labbro inferiore, «guarda un po’ tu cosa vado a
pensare».
«Oh Kami,
Sas’ke!», esordì Naruto, le sopracciglia
corrucciate e la bocca
semichiusa, gli occhi lucidi e le palpebre aperte a fatica a causa del
getto d’acqua,
le mani impegnate ad impugnare la mandibola
dell’Uchiha… e il sangue che colava
lungo il mento dalle labbra. Quasi come se fosse la cosa più
naturale del
mondo, il più piccolo tra i due accostò la
propria bocca alla mascella tinta di
rosso sbiadito, grazie all’acqua che lo diluiva in fretta.
Fu la sua lingua a
fare tutto il resto: leccare via il sangue e poi, con
altrettanta disinvoltura, prese a succhiare il labbro inferiore,
laddove vi era
il taglio. Sasuke, invece, era completamente immobile, incapace di
riflettere o
parlare, così da allontanare la cavità orale del
biondino dalla sua. Ma ogni
millimetro di sé non desiderava altro che quel tocco, e
quella sensazione
contribuì a farlo innervosire più di quanto non
fosse già a causa dell’incontro
con quel Madara.
Preso dalla foga del
momento, Naruto nemmeno si accorse di aver spinto e
bloccato Sasuke con la schiena sulle mattonelle gelide; con una mano
gli teneva
i polsi, mentre con l’altra aveva iniziato ad accarezzargli
il petto, facendolo
fremere sotto il tocco bollente e gelido in contemporanea.
«Sas’ke…»
Il suono della sua
voce riscosse parzialmente Sasuke.
«Kami, solo
ora mi rendo conto di quanto ti desidero…»
Gli schizzi
dell’acqua sulla superficie di ceramica bianca della doccia
erano
superflui e, sino a quel momento, l’Uchiha non ci aveva
nemmeno badato tanto;
eppure in quel preciso attimo avrebbe rivolto la propria attenzione a
qualunque
cosa, pur di risvegliarsi da quella sorta di trance ipnotica indottagli
dal
biondino.
E una dannatissima
parte di lui continuava a resistere al suo raziocinio.
«Naruto,
fermati».
«È
davvero quello che vuoi, Sasuke?», postulò
l’Uzumaki, leccando con fervore
quelle labbra invitanti; con decisione, chinò il capo e
notò con piacere che il
membro del compagno era eretto. «A me sembra che lui non
voglia che io smetta…»,
lo provocò, portando una mano sull’erezione e
massaggiandola con decisione. La
frizione che scaturì da quel tocco scosse non poco Sasuke,
che ne approfittò
per sbraitargli contro e spingerlo dall’altro lato della
cabina, rosso dalla
vergogna.
«Cosa cazzo
ti passa per la testa, neh, Uzumaki?!», berciò il
moro, tentato
dallo spiattellare sul viso del biondo le proprie nocche,
già strette e tirate,
bianche per lo sforzo a cui sottoponeva i tendini.
«Teme,
io…»
L’Uchiha non
udì mai le parole che sarebbero fuoriuscite dalla bocca del
compagno.
**
Correva.
Il fratello minore di
Itachi Uchiha correva.
Erano appena passate
le cinque e trenta del pomeriggio e lui correva a
perdifiato sino alla villa di famiglia. Affannato, sudato,
l’asciugamano
poggiato sulla spalla e una borsa da spiaggia tra le mani, le ciabatte
da mare
alle quali erano appiccicati granelli di sabbia. Giunto a destinazione,
il
giovane aprì la porta e si guardò attorno;
indugiò qualche istante,
aspettandosi che il maggiore gli desse il bentornato come era solito
fare ogni
volta che tornava a casa.
Constatando che non
sarebbe andato a salutarlo, si preoccupò e istintivamente
salì gli scalini a due a due sino al piano superiore.
«Itachi!»,
strillò Sasuke, precipitandosi sbrigativamente nella stanza
del
nii-san, la cui porta era socchiusa e un anomalo silenzio si
disseminava
nell’intera abitazione. Inquieto com’era, il minore
non poté fare a meno di
lasciarsi andare al sentore di spavento che s’impadroniva di
lui e spalancò la
porta con dispnea.
E se ne
pentì all’istante.
La visione che si
presentò dinanzi ai suoi occhi stralunati e inviperiti era
la
più uggiosa che potesse ispezionare con le pupille dilatate
e le iridi
traballanti.
Era sconcertato,
eccome se lo era.
Incredulo.
Invidioso.
Dannatamente geloso e
indispettito.
Come osava…?
«Sasuke…?
Sei già tornato?», Itachi parve non scomporsi
minimamente, disteso
supino e le mani poggiate sui fianchi di una deliziosa ragazza dai capelli rosati e
gli occhi verdi, il volto
pallido e le guance colorate di un rosso porpora; le mani curate, sulle
cui
unghie risaltava uno smalto viola lucido con decori neri, puntellato di
bianco
e in alcuni tratti brillantinato, massaggiavano impetuose il petto nudo
del
fratello.
Nudo.
E la maglietta di lei
era alzata sino al seno esiguo, lasciando libera la
visuale del ventre piatto e pallido e di un piccolo tatuaggio di un
fiore di
ciliegio e una “S.” minuscola, marchiata al di
sotto, su di un fianco.
«Lui
è il tuo fratellino?», chiese la ragazza, nel
tentativo di nascondere
l’imbarazzo e coprendosi, abbandonando la posizione a
cavalcioni sull’inguine
gonfio di Itachi.
Gonfio…
«Sì,
Sakura…», replicò atono Itachi, lo
sguardo fisso sul fratellino irrigidito
sul posto e coi pugni serrati. «Se vuoi scusarmi».
Fece per alzarsi, ma
Sasuke ribatté prima che potesse fare qualunque altro
movimento.
«Non
aspettarmi per cena, sarò con Naruto»,
dichiarò il più giovane, «anzi,
probabilmente trascorrerò proprio la notte fuori».
«Ma domani
è il tuo compleanno, otouto… Lo sai che ci tengo
che tu spenga le
candeline a mezzanotte in punto», persistette il maggiore,
cogliendo quel
fastidio immane e la confusione nelle parole del più piccolo.
«Sì,
per l’appunto», rantolò Sasuke,
«è il mio compleanno e voglio fare ciò
che
più mi aggrada».
La voce sicura del
ventiduenne si affievolì gradualmente, mentre appurava che
la figura snella del neo-diciassettenne si era ormai allontanata e i
suoi
timpani percepirono il suono dissipato dei suoi passi e della porta
della sua
camera chiusa con violenza.
Sbigottito,
Sasuke si era chiuso in camera, intento a spogliarsi
dell’abbigliamento da
spiaggia e ad indossare un jeans a sigaretta con una cintura in pelle
nera, una
maglietta bianca con uno scollo a V esaltato dalle pieghettature del
colletto,
una giacca sportiva color grigio scuro, un bracciale con borchie
abbottonato al
polso destro e due collane: una in oro bianco regalatagli dal nii-san
l’anno
precedente, una in argento con un ciondolo a forma di spirale arancione
-
rossastra, anch’essa donatagli il giorno del suo sedicesimo
compleanno da
Naruto.
Gli era piaciuto
pensare che le due persone più importanti per lui sembravano
quasi essersi consultate prima di scegliere dei regali azzardati ma
azzeccati
come quelli, lo ricordava bene. Il presentimento di un legame
inenarrabile con
ambedue i ragazzi lo lasciava senza fiato, sconvolgendo in maniera
più che
positiva i sentimenti che fasciavano con garbo l’animo e il
cuore infranti del
ragazzino.
Aveva continuato ad
indossarle assiduamente, senza staccarsi mai se non per il
mare, per la doccia e per dormire; giusto per non rovinarle o romperle.
Afferrato lo stretto
necessario e ripostolo frettolosamente in uno zaino,
Sasuke si era avviato verso la porta e, uscendo, si era guardato
indietro,
nella speranza che tutto quello che aveva visto al piano superiore, di
Itachi e
quella Sakura, fosse soltanto frutto della sua immaginazione, fonte di
paura e
disprezzo, bramosia di ogni singolo millimetro dell’altro del
tutto
inaspettata; perché stava ammettendo a se stesso di desiderare Itachi in quel
senso?
«Sarà
meglio che io non ci pensi…», giudicò,
estraendo dal pantalone il proprio
cellulare. Pigiò i tasti con estrema celerità
mentre lo sguardo vagava da una
parte all’altra dello schermo illuminato.
«Sei a
casa?», inviò l’sms e si
bloccò in strada, in attesa di una risposta che
non tardò ad arrivare.
«Sì,
perché?», leggendo la risposta, ghignò
divertito e mordendosi le labbra,
scrisse la sua successiva affermazione.
«Io e te
abbiamo una questione in sospeso».
Accelerò il
passo e in meno di quindici minuti giunse all’appartamento
del
compagno; cercò di velocizzarsi quanto più gli
fosse possibile, giusto per non
ripensarci e tirarsi indietro. Ormai aveva preso quella decisione e non
avrebbe
rinunciato per nulla al mondo. Inoltre il biondino pareva
più che consenziente
ed estremamente voglioso quella mattina, quindi non ci sarebbe nemmeno
stata la
necessità di convincerlo a stargli sotto…
Suonò il
campanello, mettendo le mani in tasca dopo essersi sistemato i
capelli, il cipiglio scuro e libidinoso al contempo che sorprese Naruto
non appena
gli aprì la porta, le labbra socchiuse e la frenesia nei
movimenti; un
impercettibile spostamento d’aria e i due si trovarono chiusi
all’interno
dell’abitazione, senza l’esigenza di proferire
alcun quesito o di parlare.
Gli unici suoni che
colmarono l’atmosfera concupiscente in
quell’appartamento
furono gli ansimi e i gemiti smorzati, il crepitio del letto e le pelli
struscianti, gli schiocchi di baci a fior di labbra e approfonditi,
l’odore di
sesso che trasudava dai corpi madidi di Naruto e Sasuke.
Bzz.
Bzz, bzz.
«Sasuke, ti
supplico, rispondi a questo dannatissimo telefono prima che io lo
lanci contro un muro e lo distrugga».
«Da’
qua, dobe».
Sullo schermo appariva
il nome “Itachi”.
«Sì?»
«Si
può sapere che fine hai fatto? Sono le due di notte e non ti
sei ancora
fatto vivo!», lo ammonì Itachi, cercando di
placare la sua ira e la
preoccupazione a causa del minore.
«Ricordo di
averti avvertito della mia assenza di stanotte, prima»,
rispose a
tono Sasuke.
«Torna
immediatamente a casa», ordinò perentorio il
maggiore, mordendosi
furiosamente il labbro inferiore; perché diavolo si stava
comportando così?
«No».
Silenzio.
Per la prima volta,
Sasuke aveva resistito al tono inflessibile di Itachi
Uchiha; certo, si sentiva male, un lurido verme che arditamente andava
contro
l’unico che non l’avesse mai abbandonato e ferito.
«No, lui mi
ha ferito», sentenziò nel suo cervello,
«non si è curato di me ed è
stato con quella».
«Sasuke, non
farmi ripetere e torna qui», scongiurò il
maggiore, al limite
della propria apparentemente illimitata pazienza, «subito. E
chiariremo, se è
quello che vuoi».
Colto in fallo; di
nuovo. Arrotando i denti e stringendo i pugni, il minore
sbuffò.
«N…
Accidenti! Sto arrivando, va bene?!».
«Molto
meglio», sospirò rincuorato il ventiduenne.
Approdato a
casa propria dopo aver abbandonato un dormiente Naruto Uzumaki, Sasuke
stringeva forte le nocche e batteva ripetutamente il piede sul terreno,
indeciso se irrompere in casa come una furia o varcare la soglia con la
sua
imperscrutabile ed imperturbabile indifferenza; optò alla
fine per la seconda
ed entrò nella villa, togliendosi rapidamente le scarpe e
stiracchiando i
propri muscoli. Gettò a terra il proprio zaino, stufo di
quel senso di
oppressione e pesantezza donatagli anche solo dagli abiti che ancora
aveva
indosso; stancamente si rese conto di dover comunque andare in camera
sua e lo
riprese, con un sonoro sbuffo e uno scricchiolio di ossa delle mani.
Deciso, si
avviò verso il piano superiore, spogliandosi di giacca e
maglietta,
sbottonandosi i pantaloni e scombinandosi i capelli. Aperta la porta
della
propria stanza, decise di chiuderla a chiave, giusto per prendere un
po’ di
tempo prima di fronteggiare Itachi. Poggiò la fronte ad essa
e poi accese la
luce, si massaggiò le tempie e poi si voltò verso
il proprio letto,
sobbalzando.
«Itachi?!
C-che ci fai qui?!», pronunciò stizzito, portando
una mano al petto
come per calmare il battito cardiaco accelerato.
«Evidentemente
ti aspettavo. Tu cosa pensi?»
«Divertente,
Itachi. Davvero spassoso», sputò amaro il
più piccolo, mentre il
più grande batteva il palmo della mano a fianco a
sé, in un esplicito invito a
sedersi lì.
Il diciassettenne
desistette, poi acquiescente si avvicinò al letto, ma invece
di sedersi accanto al fratello, andò dal lato opposto e
poggiò il dorso al muro
adiacente alla grande vetrata che dava sul giardino ben curato della
villa.
«Che vuoi,
Itachi?», lo sollecitò il minore, lo sguardo
tagliente e le braccia
incrociate al petto nudo; il maggiore non poté fare mica a
meno di notare quel
dettaglio e, prima di parlare, squadrò il busto del
fratello, partendo dal
basso, soffermandosi sui pettorali, sul collo, sulle labbra e solo
infine
incrociò i suoi occhi d’ossidiana.
«Tu,
piuttosto, cos’è che vuoi, otouto?»
«Volevo
passare la notte con Naruto, ma tu l’hai reso
impossibile», lo arpionò
volitivo, «è il mio diciassettesimo compleanno e
ancora non sono libero di
trascorrere la giornata come mi pare e piace!»
«È
davvero questo che vuoi?», si accertò il
ventiduenne, contraendo la mascella
e stringendo le lenzuola. Sasuke lo notò, ma si
sforzò di non commentare la
scena. Piuttosto avrebbe dovuto trovare in fretta una risposta adatta a
zittire
il fratello, ma si trovò a chiedersi se effettivamente ne
avesse qualcuna. Era
consapevole di ciò che voleva e di certo non era trascorrere
quella notte
facendo quelle
cose con
Naruto;
almeno l’oggetto delle fantasie erotiche di Sasuke non era
quell’uragano
biondo.
«Ma che
cazzo stai pensando, Sasuke?!», si richiamò,
dandosi uno schiaffo sulla
fronte e sbuffando infastidito.
«Sì»,
ammise infine, voltandosi a contemplare il cielo stellato mentre
ascoltava i martellanti pensieri creatisi nella propria testa;
asfissianti,
erano maledettamente assillanti.
«Ce
l’hai con me per via di Sakura?»,
domandò con innocenza il maggiore,
avvicinandosi pericolosamente a lui e sfiorandogli i fianchi snelli;
Sasuke si
voltò di colpo, non essendosi reso conto di quella
imprudente vicinanza e si
trovò sommerso dal profumo preferito di suo fratello, Calvin
Klein Obsession
Night, misto al profumo di mele che
sicuramente apparteneva a quella sgualdrina…
Irrigidito e con gli
occhi spalancati, il diciassettenne sentì l’aria
venir
meno e appoggiò le proprie mani diafane sulle braccia
d’avorio del nii-san,
chinando il capo e socchiudendo le labbra.
«No»,
palesò, «non ce l’ho con te per via
di… Sakura».
«No? Allora
vuoi dire che il tuo sguardo omicida è stato solo frutto
della mia
immaginazione, e che tu non hai pensato nemmeno lontanamente di
strozzarla?»
Beccato. Ancora.
«Ma la
smetti?!», s’infervorò il festeggiato,
«A me non interessa per nulla
della tua vita sessuale, mi hai capito?!»
In religiosa quiete,
Itachi prese ad accarezzargli guance e capelli. Non una
parola fuori posto esalò dalle sue labbra, non uno sguardo
pieno d’astio fu
donato a Sasuke; nulla di nulla, se non tutto l’affetto che
provava per il più
piccolo attraverso quei minimi tocchi.
«Itachi…
s-smettila…», lo implorò il
neo-diciassettenne, portando le mani sul
petto del fratello e stringendo spasmodicamente tra le dita la soffice
stoffa
della maglietta di cotone nera, che fasciava il modellato colpo
marmoreo, quasi
scultoreo, del nii-san.
«Non sto
facendo nulla di male, otouto…», gli fece notare,
chinandosi per
baciargli una tempia e accarezzargliela con una guancia.
«Ti
prego…»
«Hai paura,
otouto?»
«Mh…
Nii-san, basta…»
«Non devi
averne…»
«Lasciami,
ti scongiuro…», le lacrime, con arroganza,
forzavano le palpebre
affinché le concedessero di uscire, le ghiandole lacrimali
continuavano a
produrle, la testa percuoteva i neuroni, il cervello, le tempie e tutto
ciò che
trovava sulla sua strada tramite i vasi conduttori dall’alto
al basso.
«Va bene,
Sasuke», acconsentì Itachi.
Quest’ultimo
sollevò il capo di Sasuke con gentilezza, sfiorando appena
il mento
scarno e avvicinando le loro labbra. Fu un tocco leggero, quasi
impercettibile,
appena accennato, eppure ricco di sentimenti assopiti e sensazioni
proibite,
delle quali i due si erano sempre privati. Il maggiore voltò
il capo alla sua
sinistra, individuando sul comodino al lato sinistro del letto una
candelina
azzurra e l’accendino posativi in antecedenza; li
afferrò rapidamente, senza
annullare il tocco con il fratellino, e si apprestò ad
accenderla. La pose
dinanzi al viso del diciassettenne, stringendogli la mano e chinando
leggermente il busto.
«Esprimi un
desiderio, Sasuke».
Lo fece, eccome se lo
fece. Ripose tutte le speranze in un unico soffio, che
fece sparire quella fiammella della candelina di compleanno, nonostante
non
fosse scaramantico; ma gliel’aveva chiesto Itachi, come
poteva dissentire?
«Tanjoubi
omedetou, otouto».
__________________________________________
Glossario:
Dobe: idiota.
Teme: bastardo.
Usuratonkachi:
imbecille.
Baka: idiota.
Kami:
divinità giapponese.
Tanjoubi omedetou:
buon compleanno.
NB:
Okay, mi
prendo tutta la responsabilità per lo squallidissimo
sillogismo,
ma lo reputavo adatto ad un tipetto come il nostro Naruto!
Il
riferimento al "rimbalzello" è un piccolo onore al "perfido"
Madara, giusto perché è tanto cucciolotto e
merita di essere pres.. per i fon... *coff
coff* Dicevo, perché stimo che egli meriti d'esser ricordato
per le sue eroiche gesta!
La scelta della
ragazza è ricaduta su Sakura perché, andando per
esclusione, è
l’unica che si può avvicinare ad
Itachi… in un certo senso. Ma in questa storia
è solo un’amica. E lo sarebbe in qualunque caso
è_è
La scelta del profumo
del carissimo Itachi-san è stata presa sotto consiglio di
mio fratello u_u e perché io amo quel profumo!
ETA' DEI PERSONAGGI:
Ve le
chiarisco perché per me è stato un vero e proprio
travaglio determinarle:
-
Itachi, 18 anni primo capitolo, 22 dal secondo fino al capitolo 4, dal
quinto capitolo ha 23 anni;
-
Sasuke, 13 anni primo capitolo, 17 dal secondo fino al capitolo 4, dal
quinto capitolo 18 anni;
-
Naruto, 13 anni primo capitolo, 16/17 dal secondo fino al capitolo 5,
dal sesto capitolo 18 anni;
-
Sakura, 20 anni secondo capitolo fino al capitolo 5.
Note dell'autrice:
Siccome il
mio umore oggi non è dei migliori e la mia solita
loquacità scarseggia, approfitto di queste note solo per,
innanzi tutto, ringraziare le persone che hanno inserito la storia
nelle seguite e nelle preferite, e coloro che l'hanno recensita. Grazie
di cuore, spero che vi possa piacere anche se non è il
massimo! Inoltre, vi informo che posterò i capitoli ogni
cinque giorni. Ci si sente il giorno 12 marzo!
ps: ne approfitto per augurare
a tutte le donne una buona giornata per domani! Per quanto io odi che
le donne vengano "apprezzate" solo l'otto marzo e mai ogni giorno,
voglio che passiate tutte un'ottima giornata. E anni ed anni composti
solo da giorni felici nelle quali veniate (e dovrei includermi
anch'io...) rispettate come dovuto.
Bacioni, Giacos.
|
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Capitolo 3 *** Castore and Polluce. ***
Capitolo 3 – Castore
and Polluce
Nove
agosto.
Esattamente due mesi
prima, quella stessa notte, Sasuke festeggiava assieme ad
Itachi il suo ventiduesimo compleanno.
E a proposito di
compleanni, il minore dei due desiderò come non mai che
sparissero per sempre dalla circolazione, o che almeno potesse
addormentarsi la
sera prima e svegliarsi il giorno seguente, pur di non rivivere le
sensazioni
che i ricordi di compleanni precedenti gli donavano.
Se ne stava steso
sull’erba fresca, guardando il cielo cosparso di stelle.
Erano circa un paio d’ore che se ne stava lì a
contemplarlo, non pentendosi
della mancata partecipazione al falò organizzato da Naruto e
altri compagni.
Non se la sentiva proprio di stare in compagnia, in una serata
così malinconica
nella quale avrebbe celato a malapena il pessimo umore e di certo non
voleva
rovinarla anche al compagno.
L’immensità
di quella distesa oscura e puntellata di meteore luccicanti
estasiava i sensi dell’Uchiha e lo rilassavano profondamente.
Non ci volle
molto prima che decidesse di mettersi a cercare qualche costellazione.
Da piccoli, lui e
Itachi trascorrevano molto tempo a sfogliare libri con le
illustrazioni di insiemi di stelle che formavano delle figure umane,
animali, o
altro, e avevano imparato a distinguerle nelle notti in cui il cielo
era
gremito di stelle.
Decise di fare lo
stesso quella sera, mentre con una mano strappava steli
d’erba al prato costantemente innacquato, alcuni boccioli di
rosa nelle vicinanze,
gli alberi a contornare quella distesa verde: un melo, un pero
e… un ciliegio.
Ringhiò
sommessamente e strappò altri fili, gettandoli con forza sul
terriccio
umido e ridonando la propria attenzione al cielo stellato.
Con l’indice
indicava delle stelle, tracciando dei segmenti immaginari e
congiungendole mentalmente, così che gli apparisse vivida
l’immagine della
costellazione riscontrata.
«Orsa
Maggiore», segnalò la prima; «Orsa
Minore», trovò anche la seconda.
«Polluce,
Alhena, Castore, Tejat Posterior e Mebsuta…»,
elencò, «La
costellazione dei Gemelli… Regolo, Algieba, Denebola, Zosma,
Ras Elased
Australis e Coxa… La costellazione del
Leone…»
«Sapevo che
ti avrei trovato qui», lo interruppe qualcuno alle proprie
spalle.
«Nii-san?»
«Sono
qua».
«Tsk»,
sbuffò, «che perspicacia».
«Noto con
piacere che le mie parole sono ancora impresse dentro te,
otouto», pronunciò
con fierezza, ignorando l’ironia dell’altro,
«quindi sai ancora parlarmi di
queste costellazioni?»
Sasuke
annuì e, dopo aver preso un respiro profondo,
iniziò a parlare.
«La
costellazione del Leone si trova tra quella della Vergine e del Cancro,
sull’eclittica solare. Secondo il mito di Eratostene e Igino,
il leone fu posto
nel cielo perché re degli animali e si ritiene che sia il
leone nemeo,
sconfitto da Ercole nella prima delle sue dodici fatiche. Nemea si
trovava a
sud est della città di Corinto e le persone lì
sparivano a vista d’occhio a
causa di questo leone che si nascondeva in una caverna dotata di due
aperture.
Un giorno uscì e si addentrò nel bosco, dove vi
trovò Ercole: riuscì a
distruggergli l’armatura con i propri artigli e a strappargli
un dito, ma
Ercole lo afferrò per la criniera e il re di Nemea fu
sconfitto. Da allora, fu
posto da Zeus nei segni zodiacali e formò la costellazione
del Leone. Al giorno
d’oggi, invece, questa costellazione può essere
interpretata come l’avvento di
una primavera, di un periodo particolarmente sereno della vita di una
persona.
La stella più luminosa della costellazione è
Regolo, che emana una luce
azzurrina e raggiunge l’apoteosi della sua
luminosità ogni diciassettemila anni».
«E
Gemelli?»
«La
costellazione dei Gemelli è attraversata
dall’eclittica e si trova tra le
costellazioni del Toro, del Cancro, dell’Auriga, della Lince,
dell’Unicorno e
del Cane Minore. Nella mitologia i Gemelli erano Castore e Polluce, i
Dioscuri,
cioè i figli di Zeus; i due crebbero insieme e nessuno dei
due agiva senza
prima consultarsi con l’altro, né litigarono mai.
I due gemelli si unirono alla
spedizione di Giasone e degli Argonauti per la conquista del vello
d’oro,
riuscendoci dopo che Polluce, grazie alla sua bravura
nell’arte del pugilato,
riuscì a sconfiggere Amico, lo sbruffone più
sbruffone di tutti. Tante furono
le avventure che li resero i gemelli inseparabili e invincibili, ma
durante lo
scontro contro un’altra coppia di gemelli, Castore fu
trafitto da una spada e
morì. Polluce pianse la morte del gemello e poi decise di
chiedere a Zeus
l’immortalità per entrambi; il dio li
accontentò, ponendoli nel cielo. Vengono
raffigurati abbracciati, indivisibili per
l’eternità. Le orbite delle stelle di
Castore e Polluce s’intersecano solo una volta ogni mille
anni e solo allora…
Ma, Itachi…»
«Sì,
otouto: quelle sono le stelle Castore e Polluce, i due
gemelli».
Due stelle, una bianca
e una arancione, si avvicinavano sempre più e mancava
poco ormai prima che la più piccola si trovasse tra le
braccia della più
grande, coprendone la parte centrale e lasciando che la luce arancione
si
intensificasse attorno alla propria forma.
«Che
spettacolo…»
«Un doppio
spettacolo», lo corresse il maggiore, sedendosi al suo fianco
e
cingendogli la vita con un braccio; poi
prese a carezzare un lembo di pancia e il fianco destro, alzandogli di
poco la
maglietta che indossava e lasciando che il più piccolo gli
si accoccolasse tra
le braccia, estasiato dalla magnificenza di quello spettacolo galattico.
«Doppio
spettacolo, già».
«Per me sei
tu la stella più bella di tutte, otouto».
Il diciassettenne
alzò lo sguardo e incontrò quello sincero del
fratello. Se
una parte di lui era colma di disprezzo per quello che aveva visto un
paio di
settimane prima, prevaleva comunque quella pregna d’amore;
quel lato di lui che
amava Itachi come un fratello non
dovrebbe fare. E il batticuore aumentò notevolmente e la
percezione sensoriale
calò in maniera drastica: non esisteva più nulla,
se non la figura di Itachi, i
suoi occhi, il suo profumo, il suo respiro sulla pelle del minore, i
capelli
lunghi legati in una coda bassa e alcune ciocche che cadevano
deliziosamente
sul viso, il colorito eburneo, le mani grandi e le braccia forti.
«Nii-san…»,
tentò Sasuke, ma fu interrotto dall’indice di
Itachi posato con
leggiadria sulle proprie labbra, l’intenzione di farfugliare
qualche parola
sconnessa del più piccolo disintegrata
in un battito di ciglia.
Rimasero in silenzio
per un tempo indefinito, il più piccolo disteso tra le
braccia del più grande che gli carezzava i capelli in
maniera soave, il
bisbigliare di Itachi trasformatosi in un canticchiare canzoni
ugualmente
sottovoce, il fiato che solleticava la cartilagine delle orecchie del
diciassettenne,
il calore che gli infondeva, delle stelle cadenti e desideri espressi,
nella
speranza che fossero esauditi. O delle richieste telepatiche
all’unica persona
che poteva intendere qualunque cosa di sé senza bisogno di
parlare, sbuffare di
continuo, gesticolare né niente.
«Non sono
fidanzato, otouto», affermò il maggiore, assorto
nei propri pensieri
e perso nell’immensità del cielo. Sasuke, dal
canto suo, si voltò
immediatamente verso di lui e lo guardò in maniera
stralunata.
«E questo
cosa c’entra adesso, Itachi?»
«Eri tu a
volerlo sapere, quattro anni fa», rammentò,
«e io non ti ho mai tolto
il dubbio».
«Non
sembravi tanto single, il ventidue luglio scorso con Sakura», sputò
con amarezza.
«Hai una
visione solo sentimentale del sesso, otouto?»,
domandò incuriosito
dall’affermazione convinta del fratellino. «A
pensarci bene, non ne abbiamo mai
parlato prima d’ora».
«Di certo
non farei sesso col primo che mi capita davanti!»
Due furono le domande
che piombarono nella mente di Itachi, ma avrebbe dato
tempo al tempo e avrebbe riservato la domanda cruciale a qualche minuto
più
tardi.
«Credi che
abbia pescato dal ciglio della strada Sakura?»
«Non mi
sorprenderei», sbuffò stanco il minore.
«Lo dici
solo perché l’hai beccata in
atteggiamenti… ambigui e l’hai conosciuta
come “la ragazza che vuole scoparsi mio
fratello”».
«NON
È VERO!», ribatté sicuro Sasuke,
lanciando uno sguardo inceneritore al
fratello che, nello stesso istante, gli prese una mano e
iniziò a giocherellare
con le sue dita.
«Sì,
invece, se tu la conoscessi, concorderesti con me: è una
brava ragazza,
disponibile e intelligente».
«Non mi
interessa, Itachi».
«E cosa ti
interessa? O meglio, chi
ti interessa?», il ventiduenne colse la palla in balzo e
rigirò la frittata,
ponendogli il fatidico secondo quesito; al che il fratellino
impallidì ancor di
più di quanto non fosse già di suo e trattenne il
respiro per qualche istante,
la bocca spalancata mentre sicuramente era alla ricerca di una risposta
plausibile.
«N-nessuno».
«Menti a tuo
fratello?»
«Non ti sto
mentendo».
«E io sono
solo un’illusione: il vero me è a casa».
«Plausibile».
«Impossibile,
otouto. Dimmi, per caso ti piacciono i ragazzi?»
Beccato.
«Fatti gli
affaracci tuoi!»
«Ti
piacciono i ragazzi».
«Taci!»
«Hai
già avuto rapporti?», Itachi
s’irrigidì, capendo solo dopo che la risposta
di Sasuke avrebbe potuto cambiare le carte in tavola; voleva davvero
saperlo?
«Ribadisco:
fatti gli affari tuoi, Itachi!», Sasuke sembrava
già più calmo,
mentre si ridestava controvoglia; il maggiore se ne rese conto e lo
forzò a
rimanere, e l’altro non ribatté.
Calò di
nuovo un pesante silenzio attorno a loro, interrotto soltanto dal
fievole rumore delle onde in lontananza, le foglie degli alberi mosse
dalla
brezza d’agosto, i loro respiri, gli steli d’erba
mossi dai piedi del diciassettenne
e il bubolare di un gufo.
[ Shayne
Ward - No promises ]
«Vieni con
me, Sasuke», lo invitò il ventiduenne dopo un
po’, alzandosi e
porgendogli una mano; dal canto suo il minore, mordendosi le labbra e
indispettito dall’eccessiva premura di Itachi,
poggiò stancamente le mani sul
terreno e facendo leva sulle proprie braccia, si rialzò. Si
pulì distrattamente
i pantaloni e la maglietta, sistemò la corta chioma corvina
e si limitò a seguire le orme invisibili lasciate
dal
nii-san; non avrebbe mai ammesso che, più che guardare i
suoi passi o ricordare
a memoria la strada di casa, il più piccolo si affidava
all’olfatto,
inebriandosi dell’odore mascolino del fratello.
Il più
grande rallentò un po’, permettendo al suo otouto
di raggiungerlo e
rimanere al passo. Camminarono così, fianco a fianco in
perfetto silenzio, sino
a quando non giunsero nella propria dimora; in un tacito accordo, si
sfilarono
con lentezza spossante le scarpe e Sasuke fu il primo a raggiungere la
scalinata.
Salì appena due scalini, poi si voltò verso il
fratello che lo stava
raggiungendo. Itachi sostò dapprima sullo scalino
più in basso, poi attirò il
minore a sé facendolo scendere e abbracciandolo forte, quasi
stritolandolo;
senza però fargli male. Le mani calde del ventiduenne si
adagiarono sul viso
mingherlino e d’alabastro del minore, adattandosi alle forme
delle guance
lievemente arrossate e alzandogli il capo; remissivo, il ragazzino
issò il viso
di sua spontanea volontà, lasciandosi andare alle docili
blandizie degli arti
carnosi e morbidi del maggiore. I loro occhi s’incrociarono,
s’incatenarono per
davvero dopo tanto tempo trascorso ad evitarsi, effetto scaturito
perlopiù
dall’incertezza di Sasuke; e fu allora che Itachi
intuì la concreta realtà dei fatti.
Senza alcuna fretta e
con una rincarata dose di assoluzione, avvicinò piano la
propria fauce a quella dischiusa e desiderosa del fratellino;
cercò un
qualunque cenno di marasma o titubanza, ma non ve ne scovò
nemmeno in minima
parte. Una delle sue mani si posò sulla nuca
dell’altro, attirandolo a sé con
un lieve tocco e delle carezze appena accennate, senza smettere nemmeno
quando
finalmente, dopo la separazione forzata e necessaria, congiungendo le
loro
labbra, si ritrovarono.
E quel bacio fu il
simbolo del ricongiungimento più agognato e strepitoso che
potesse esistere sulla faccia della Terra. Un’invasione
perpetua di emozioni
contrastanti, uno scambio reciproco di affetto fraterno e amore puro;
un amore
sbagliato, condannato per la consanguineità,
perché erano due semplici fratelli
e non potevano assolutamente pensare nemmeno
ad anni luce di distanza di
potersi lasciar andare in una maniera del genere.
Eppure una forza
maggiore rispetto alle proprie li induceva a stare uniti,
permettendo alle loro lingue di incontrarsi, rincorrersi, leccarsi,
assaporarsi, lasciare scie roventi sulle labbra dell’uno e
segni di denti su
quelle dell’altro, le mani diafane di Sasuke che stringevano
con forza il collo
e carezzavano con dolcezza i capelli ordinati del più
grande; quella voglia
matta di marchiare l’uno e l’altro e poter dire:
«Lui è mio».
E la libidine del
momento, capace di scacciar via il più assurdo e doloroso
pensiero, che diede la forza ad Itachi di prendere in braccio il
fratello, unendo
le proprie mani tra i glutei e il posteriore dell’altro, e a
Sasuke di
agganciare le proprie gambe lunghe al bacino del fratello, le braccia
attorno
alle spalle e le labbra instancabilmente in collisione.
Il ventiduenne
concluse la scalinata e si apprestò a raggiungere la propria
stanza, incoraggiato dagli ansimi del più piccolo e dagli
«Itachi…» sussurrati
al proprio orecchio, mentre con maestria leccava e succhiava il lobo.
Stesisi sul letto,
Sasuke non perse tempo e liberò il petto del fratello da
quell’ingombro che era la maglietta e poi scese a carezzargli
la pancia; si
alzò a sedersi per accarezzare la schiena del fratello e
baciargli il petto,
succhiandogli i capezzoli e giocherellando, lasciandosi andare a
ciò che il
proprio istinto lo induceva a fare. Il più grande senza
fatica attuò lo stesso
procedimento con la maglietta del fratellino, accarezzandolo con
frenesia e
baciando e leccando il busto, lasciando scie roventi di saliva al suo
passaggio.
«Otouto…»
«Nii-san…»
«Perché
non me l’hai mai detto?»
Sasuke
arrossì vistosamente e, nonostante il buio della camera, il
fratello lo
intuì.
«Itachi…»
«Non devi
vergognarti di me, Sasuke».
«Mh».
«Otouto, ti
prego, parlami», Itachi gli lasciò un dolce bacio
a fior di labbra,
che venne ben presto approfondito dal più piccolo, che aveva
tutta l’intenzione
di far cadere il discorso; ma il più grande non
gliel’avrebbe data vinta.
«Nii-san!»,
protestò il diciassettenne non appena il fratello si
staccò da lui,
insistendo con lo sguardo a voler sapere tutto ciò che
taceva… da ormai troppo
tempo.
In effetti nemmeno
Sasuke stesso sapeva da quanto provava tutto ciò, era
semplicemente qualcosa covato dentro sé, sopito ancor prima
che potesse
sbocciare, ignorato e ricordato in determinati istanti della propria
vita e
riemerso un paio di settimane prima; grazie
a quella brava ragazza di Sakura.
«Ti
ascolto», ribadì il maggiore.
«Mpf, non
c’è niente da dire!», lo
aggredì Sasuke, scostandosi con poco garbo e
spalancando gli occhi, non appena lucidamente rielaborò
ciò che stava accadendo
tra loro; ma c’era anche qualcosa in basso che lo induceva a
non sconvolgersi e
a non tirarsi indietro.
«Oh,
sì invece. Ad esempio, da quand’è che
ti sei accorto di, come dire…
provare certi sentimenti per me?», lo provocò.
«M-ma cosa
vai blaterando!»
«Sasuke,
smettila di fare il bambino», lo richiamò Itachi.
«Non lo so!
Non ne ho idea, okay? So solo che… argh!»,
sbuffò esasperato il
minore, «So solo che…»
«Otouto,
guardami», lo pregò il nii-san, «va
tutto bene, sono sempre io».
«So solo che
tu sei perfetto, Itachi e che ti…»,
tossì, «Che ti voglio e non
sopporto il pensiero che qualcun altro possa toccarti, baciarti, averti
per sé…»,
digrignò i denti e a stento trattenne un ringhio, le mani
serrate attorno al
tessuto dei jeans che aveva indosso, quelle di Itachi tra i suoi
capelli.
«L’hai
fatto con Naruto?», domandò al fratellino,
accarezzandogli una guancia e
nascondendosi nella penombra della propria imperscrutabilità
e la pacatezza
invidiata da chiunque.
Silenzio.
«Io…»
«Rispondi,
Sasuke», ordinò con fermezza.
«…
Sì», ammise controvoglia il più
giovane, non trovando la forza di mentire
ancora.
Itachi
sospirò.
«Non sei
arrabbiato con me, vero, nii-san?», si premurò di
domandargli Sasuke,
avvicinandosi sul letto e mettendosi a cavalcioni sul corpo rigido del
maggiore. Deglutì a fatica e continuò a fissarlo,
ma ogni suo respiro, ogni
espressione era così indecifrabile; il che era avvilente,
data l’ottima capacità
di intuizione di Itachi quando si trattava del fratellino.
Senza emettere alcun
suono, il ventiduenne ribaltò le posizioni, coprendo
il fratello e fungendo quasi da protezione al suo
corpo in fase di sviluppo,
carezzandogli il petto e rubandogli un bacio lento e profondo,
successivamente
trasformatosi in uno pieno di libidine, passione e rudezza.
«Tu sei solo
mio», ribadì, «lo sei sempre stato e
sempre lo sarai».
«Allora
fammi tuo…», Sasuke spalancò gli occhi
e si coprì il viso con le mani,
mordendosele con forza, «Ah, ma che cavolo mi fai dire,
nii-san!»
«Lo vuoi
davvero?», chiese Itachi.
Il diciassettenne si
prese qualche attimo prima di sentenziare, estremamente
imbarazzato: «Sì».
«Otouto,
svegliati», Itachi scosse con leggerezza il fratellino, che
si ridestò
quasi in automatico e con un sorriso sincero stampato sul volto,
«vieni con me».
Ancora mezzo
addormentato, il più piccolo lasciò che il
maggiore lo issasse dal
caldo giaciglio, senza curarsi di dove lo stesse portando e per quale
ragione;
semplicemente gli si concesse di nuovo. Avrebbe potuto fare tutto
ciò che
voleva: lui non si sarebbe opposto.
«Itachi…»,
soffiò il suo nome appena sul collo del fratello,
rannicchiandosi
contro il suo corpo caldo, il suo porto sicuro.
«Siamo
arrivati, Sasuke», così dicendo, il minore si
trovò seduto tra le gambe
lunghe del fratello, i loro piedi nudi che si strusciavano e
solleticavano, i
capelli del più piccolo sul mento di Itachi, le mani del
più grande attorno al
petto nudo del fratello.
«Da quanto
tempo…», osservò il ragazzo dai capelli
corti, guardando in estasi
il turbinio di colori chiari e caldi nel cielo rischiarato dalle prime
luci del
sole, il silenzio più idilliaco di tutti nell’arco
delle ventiquattro ore della
giornata.
«Mi sembrava
opportuno farlo, otouto».
«Portarmi
qui?»
«Sì»,
disse, carezzandogli una guancia e girandogli il viso, così
da lasciargli
un bacio sulle labbra, «ohayougozaimasu».
«Ohayougozaimasu»,
rispose il minore.
Il sole sorse con
lentezza, infondendo tranquillità nei cuori scalpitanti dei
due fratelli, immobili e abbracciati, le mani congiunte, le menti perse
in vari
pensieri.
«Non
sarà mai facile, vero?»
«No, otouto.
Nessuno dovrà mai sapere di noi».
«Cosa
c’è di sbagliato?!», Sasuke capiva,
eccome se lo faceva, eppure non se ne
capacitava; perché non doveva essere libero di amare la
persona che lo faceva
stare bene, che gli stava sempre accanto nonostante i suoi modi
discutibili, il
suo pessimo carattere, la sua infantilità che veniva fuori
specialmente nei
momenti meno opportuni e, cosa più significativa di tutte,
che ricambiava il
suo amore profondo?
«Siamo
fratelli, Sasuke, un rapporto del genere è malsano e
proibito».
«Ma non mi
pare tu ti sia tirato indietro, questa notte!», lo
assalì Sasuke,
ferito dalla freddezza riscontrata in quelle parole, l’atonia
del maggiore a
ghiacciare il paesaggio circostante nonostante fossero in pieno agosto
e il
sole sempre più alto in cielo.
«Nemmeno tu,
otouto».
«Non ne ho
mai avuta l’intenzione, se è per
questo!», si trovò a confessare.
«Credo tu
abbia frainteso le mie parole».
«Oh, no,
Itachi, io ho capito benissimo! Ti stai pentendo di ciò che
è successo
perché ero lo sfizio di una nottata, mentre quella Sakura
è la persona che vuoi
veramente! E per chissà quale ragione non l’hai
riportata qui e non te la sei
scopata! Fallo, sentiti pure lib…»
«Sasuke,
ricordi le mie parole di quattro anni fa?», lo interruppe con
tono
quieto Itachi, carezzandogli le braccia e prendendo a fargli rilassanti
grattini.
«Smettila di
ignorarmi!»
«Non ti
lascerei mai per una qualunque, tu sei la persona più
importante per
me; ti proteggerò e ti amerò per sempre…»,
marcò le ultime quattro parole baciando il collo del
fratello e stringendo la
presa del suo abbraccio, appoggiando poi il mento sulla sua spalla e
cercando
uno sguardo che il più piccolo si rifiutò di
donargli; almeno per il momento.
«Io
non…»
«Aishiteru,
otouto».
«Nii-san!»
«Non
dimenticarlo».
___________________________________________________________________________________________________________________________
Giappo-glossario:
Ohayougozaimasu:
buongiorno.
NB:
La mia
intenzione iniziale era quella di stabilire un anno di nascita per
Sasuke e Itachi, così da ritrovarmi ad assegnare loro il
segno zodiacale
giapponese. Siccome non ho dato una collocazione annuale precisa,
nonostante
sia un’Alternative Universe ai giorni odierni, e non solo
avrei dovuto
intersecare i loro anni di nascita con l’uscita, ad esempio,
del profumo
Obsession Night eccetera, ho preferito usare i segni zodiacali nostri.
E
aggiungerei anche il fatto che ci sono le costellazioni di questi due.
L’argomentazione
e la descrizione delle due costellazioni l’ho scritta
ricavando informazioni da Wikipedia; per esigenza, ragioni di trama, mi
sono
permessa di inventare dei dettagli. Ad esempio: la stella
più luminosa della
costellazione del Leone raggiunge l’apice del proprio
splendore ogni 17.000
anni, o che le stelle di Polluce e Castore saranno ferme sullo stesso
punto
ogni 1.000 anni; il buon augurio dato dalla prima costellazione citata:
aggiunta mia. Anche il vederle in agosto, durante la notte di San
Lorenzo, è
una licenza che mi sono concessa per ragioni di trama: la costellazione
dei
Gemelli si vede soltanto in febbraio (circa il 20), mentre quella del
Leone in
aprile (il 15). Anche il vedere determinate cose ad occhio nudo
è una mia
scelta per riferimenti ai due fratelli, come infatti si nota
l’intersecazione
tra le stelle dei Gemelli.
I battibecchi tra i
due fratelli rendono una vaga idea di come sarebbe stato il
loro rapporto se non fosse stato Itachi ad uccidere i genitori e se
Sasuke non
fosse diventato un decerebrato idiota.
“Aishiteru,
otouto” è sempre tratto dal capitolo 590 del manga.
Note dell'autrice:
Hello, dear readers! How r u? ... Okay, scusate, torno a
parlare in italiano. Come state? Vi sono mancata? °-°
Sto dando di matto ultimamente *ç*
Comunque sia, il mio umore nemmeno oggi è dei migliori
(direte voi: ma ci sarà una cazzo di volta in cui stai bene?
ebbene (?) è un evento raro!) per cui non sarò
particolarmente loquace. Ma approfitto ancora per ringraziare coloro
che hanno recensito e aggiunto la storia tra le preferite e le seguite
^^
Pubblicherò il prossimo capitolo il giorno 17
marzo!
*regala abbracci a chiunque e si chiude nel suo mutismo*
Bacioni, Giacos.
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Capitolo 4 *** Explosive evening! ***
Capitolo 4 – Explosive
evening!
Test
d’inglese.
Naruto era una schiappa in inglese!
Sasuke, invece, era l’indiscusso genio che riusciva a
beccarsi tutte “A” dal
primo all’ultimo giorno di scuola. Fortuna, per
l’Uzumaki, avercelo come amico.
Nemmeno quarantacinque minuti dopo l’inizio del test,
l’Uchiha aveva già
concluso e si apprestava a consegnare. Un’ora e quindici
minuti per riuscire a
covare qualcosa dalla testa vuota e poi Naruto avrebbe dovuto beccarsi
l’ennesima “F” alla sua lunga lista di
voti.
Il più grande, dal canto suo, sapeva di dover fare qualcosa
prima che quella
testa quadra ne combinasse un’altra delle sue e, se non
voleva che perdesse
l’anno e trascorressero anche il successivo insieme,
l’ultimo peraltro, doveva
darci dentro.
«Mei-sama», appellò la docente
alzandosi, il busto eretto e la solita
imperscrutabile espressione fissa sul volto, «posso andare al
bagno?»
«Certo, Sasuke, va’ pure», rispose lei,
non mancando di fare gli occhi dolci al
suo studente modello, l’alunno prediletto.
«Arigatou gozaimasu», il moro la
ringraziò accennando ad un inchino, poi si
avviò fuori dall’aula, lanciando rapidamente un
foglietto ripiegato al biondo.
«Tranquillo, dobe, ti salverò il culo anche questa
volta. Tieni il telefono a
portata di mano senza farti sgamare!»
Entrato
nell’isolato bagno dei ragazzi, l’Uchiha si mise
nel punto cieco della sala e
prese a scrivere le risposte ai quesiti di letteratura straniera al
proprio
compagno, cercando di variare le parole usate sostituendole con quelle
meno
ricercate che conosceva; così magari la professoressa
avrebbe pensato che,
ahimè, almeno una volta nella vita, Naruto si stava
impegnando in qualcosa.
«È più difficile scrivere cose semplici
per quel dobe dei miei stivali, che
sostenere un esame di livello C2», realizzò, dopo
dieci minuti di continuo
scrivere e, infine, dopo aver premuto il tasto d’invio,
decise di sciacquarsi
il volto; poteva anche rimanere sino alla fine del test, sicuramente,
il
problema era che si annoiava a morte.
Sciabordandosi il viso, si rese conto di essere davvero felice per la
prima
volta dopo nove anni interi nascosto nella penombra di una falsa gioia.
E
doveva tutto alla pazienza infinita del fratello, e perché
no anche alla
solarità dell’uragano biondo che si era scelto
come compagno. Non si erano mai
trovati a parlare del proprio passato, anche se qualche volta era
capitato che,
melanconicamente, Naruto si trovasse a fissare delle foto dei genitori,
dimenticandosi totalmente della presenza di Sasuke in casa propria. Ma
parlare
di ciò che fa male è una cosa troppo intima ed
entrambi concordavano su quel
punto; ragion per la quale avrebbero lasciato passare tutto il tempo
necessario
prima di concedersi una confessione tale.
«Ci ritroviamo, finalmente, Uchiha Sasuke», di
nuovo quella voce e di nuovo il diciassettenne sobbalzò
udendola così all’improvviso. Possibile che quel
tizio
adorasse apparire nei momenti meno opportuni e soprattutto mentre era
distratto?
Si voltò verso quell’uomo e di nuovo la figura
autoritaria, tuta nera, stemma
del clan Uchiha e armatura rossastra fasciavano il corpo di Madara, i
capelli
del medesimo colore e della stessa lunghezza dell’ultima, e
d’altronde anche
della prima volta che l’aveva visto. Possibile che non si
cambiasse mai?
Sembrava immutato, nonostante fossero trascorsi tre mesi da allora.
Sarà che
una volta diventati uomini, non si sarebbe più cambiati?
Eppure Itachi cambiava
a vista d’occhio, giorno dopo giorno era sempre
più mascolino, la sua bellezza
sfigurava quella del minore che non riusciva a far altro se non bearsi
di
cotanta magnificenza e abbracciarlo e baciarlo e desiderare di poter
urlare al
mondo che sì, quel ragazzo era suo; suo cosa?, avrebbero
chiesto. Suo fratello,
suo amato, suo “ragazzo”?, suo punto di
riferimento, o semplicemente tutto, per
quanto potesse sembrare scontato?
«Che ci fai qui, Madara? Non dovresti stare nascosto
nell’ombra e soprattutto
alla larga da Konoha? Sei un ricercato oppure ho capito male?»
«Cos’è la vita senza un po’ di
pazzia?», ghignò sadicamente,
«D’altronde, sono
diventato uomo libero da quando ho mandato a quel paese la
giurisdizione di questi
ipocriti di Konoha».
«Cosa ti hanno fatto?», o forse avrebbe dovuto
chiedere cosa LUI avesse fatto a
Konoha, per indurre i tre Kage ad esiliarlo?
«Sas’ke!», strillò Naruto,
abbracciando il moro, «Mi hai salvato la vita,
grazie!»
Stranito, il più grande abbracciò il compagno,
fissando Madara che ghignava
vittorioso.
«Naruto, tu non vedi niente?», sibilò
sorpreso.
«C’è qualcosa che dovrei
vedere’ttebayo?»
«Guardati le spalle, Sasuke».
Cosa voleva dire?!
Il mondo parve scomparire, il buio sembrò risucchiare via
l’Uchiha ed isolarlo
da tutto il resto, la paura impossessarsi di lui.
«…uke!»
Solo.
«’ke!»
Naruto…
«…ka!»
Itachi!
«Teme!», imprecò il biondo,
«mi hai fatto prendere uno spavento!»
«Cosa…?»
L’Uzumaki spalancò gli occhi.
«Mi sei praticamente svenuto tra le braccia per qualche
secondo, mentre mi
abbracciavi e dicevi: “Ma tu non vedi
niente?”… Si può sapere che ti
è preso e
cos’avrei dovuto vedere?!»
«Nulla, mi girava la testa e non ci ho capito
nulla», si rialzò a fatica,
barcollando lievemente e trovando subito la mano bronzea del biondino a
supportarlo, pur di non farlo finire col sedere per terra.
«Grazie», mormorò, imbarazzato da quel
tocco. Da quando si era lasciato andare
con Itachi, aveva evitato ogni contatto possibile con il biondo, a
parte un
battito di cinque, lo scombinarsi i capelli o affogarlo a mare durante
l’estate; per il resto zero. Aveva la sensazione che avrebbe
potuto infastidire
il maggiore, anche se quest’ultimo non lasciava trapelare
nulla dalle
espressioni e si comportava come al solito: frequentava Sakura
più assiduamente
di quanto Sasuke volesse, ma ogni volta gli assicurava che tra loro non
c’era
altro che una semplice amicizia e che aveva chiarito la situazione,
anche se
non spiegò cosa intendesse con
“chiarito”; il loro rapporto andava a gonfie
vele e alla fine non si era modificato più di tanto, al
massimo i due si erano
avvicinati più di prima ed erano più uniti che
mai. Rimanevano sempre Itachi e
Sasuke, con la sola differenza che si amavano non solo fraternamente,
ma anche
passionalmente, col corpo, col cuore, con l’anima, con tutti
se stessi.
Insomma, il più piccolo degli Uchiha sapeva che non ci
sarebbe stato niente di
male nel riavvicinarsi a Naruto come amico, ma una parte di lui lo
induceva a
pensare che fosse meglio stargli lontano; aveva la netta sensazione che
sarebbero potuti saltarsi addosso a vicenda e il pensiero di Itachi si
sarebbe
dileguato nel nulla, non consentendogli di pensare con
lucidità e compiere atti
di cui si sarebbe poi pentito. Il fratello aveva chiarito che ormai
Sasuke
apparteneva solo a sé e il minore sentiva che
l’altro avesse capito che la
stessa cosa valeva per lui; anche se non aveva avuto il coraggio di
dirlo.
Quelle parole erano davvero troppo per lui,
specialmente dopo le
confessioni piccanti ed imbarazzanti fatte quella notte.
«Sas’ke, posso farti una domanda?»,
Naruto lo colse alla sprovvista e fu per
questa ragione che, con pacatezza, il moro gli fece un cenno
d’assenso col
capo, stringendo la presa delle loro mani e cercando di riprendere
fiato.
«Sono passati mesi ormai da quella
notte, ma non ne abbiamo più parlato. Forse questo non
è il momento più adatto
per discuterne, ma io ci terrei che tu mi dicessi qualcosa a riguardo;
qualunque cosa», rivelò con un bisbiglio
l’Uzumaki, portando la mano libera sul
fianco del compagno e attirandolo a sé; gli posò
un bacio sulla fronte e lo
abbracciò nuovamente, stringendo al proprio petto il capo
corvino e
accarezzando la nuca eburnea e scarna. Fu proprio in quel momento che
notò
qualcosa di insolito per la pelle pallida del compagno: sul lato destro
vi era
un segno rosso – violaceo, nascosto grazie ai capelli, che si
erano allungati,
e al colletto della camicia.
«Naruto», incominciò Sasuke,
«io…»
«Ci ho ripensato, teme, non dire niente»,
annunciò staccando i loro corpi,
grattandosi il capo dorato come al solito e sorridendo incoraggiante,
convinto
che l’altro non percepisse il senso di disagio che si era
appropriato di sé e
quanto forte fosse la stretta di quella morsa ferrea al proprio
stomaco, «non
mi devi alcuna spiegazione. Scusa… Io torno in classe e
faresti bene a fare lo
stesso, altrimenti Mei-sama si preoccuperà e ti
verrà a cercare… e magari
violenterà, dattebayo!».
«Ma cosa ti salta in mente, dobe!», la risata
cristallina dell’uragano biondo
risuonò per il bagno e per il corridoio
dell’Accademia, sparendo e zittendosi
non appena il più piccolo tra i due si era allontanato dai
bagni.
Sasuke sospirò: «Che gli sarà
preso?»
«Itachi, sono a casa!», si annunciò, non
appena un’altra giornata scolastica
giunse al termine. Si liberò delle scarpe, provando un senso
di libertà e
scricchiolando le dita dei piedi, sgranchendosi le ossa di tutto il
corpo,
schiena, braccia, gambe e collo.
«Bentornato, Sasuke», lo salutò il
maggiore, avvicinandosi a lui e sbucando
dalla cucina, «com’è andata
oggi?», si premurò di domandare, come faceva ogni
sera.
«Bene…», rispose poco convinto il
giovane, «te all’università?»
«Bene», pronunciò con decisione il
nii-san, «torno a cucinare, raggiungimi
quando sei pronto».
Annuendo, il diciassettenne si apprestò a raggiungere la sua
camera, varcando
la soglia e gettandosi a capofitto sul letto, annusando il profumo di
lavanda
emanato dalle lenzuola pulite, sostituite quella mattina stessa prima
di andare
a scuola e di cui non si era potuto beare, poi prese a spogliarsi con
estrema
lentezza.
«Forse potrei…», sghignazzò
l’Uchiha, indossando solo i pantaloni della tuta e
scendendo al piano inferiore a torso nudo. Era una sorta di complessa
provocazione al fratello, che aveva colpito fulminea i pochi neuroni
disponibili di sera del ragazzo.
«Non hai freddo così, Sasuke?», aveva
chiesto Itachi vedendolo camminare
tranquillo per la cucina, prendere il suo posto e accendere
distrattamente la
tv, mentre sorseggiava del succo d’arancia.
«No», aveva sentenziato, ridendo sotto i baffi e
nascondendo l’espressione
soddisfatta e mezza corrucciata, in un vago tentativo di sviare il
percorso di
pensieri del maggiore, nella tazza scura.
«Come vuoi», si era arreso il fratello.
Trascorse una mezz’ora, il religioso silenzio stroncato dalle
voci stridule di
alcune concorrenti di un reality show musicale. Quando il fratello
aveva posato
sul tavolo la cena, il minore aveva prestato poca attenzione, chinato
il capo e
si era morsicato il labbro inferiore. Avrebbe dovuto parlare al
fratello di
Madara? Improvvisamente tutte le ulteriori intenzioni che aveva per la
conclusione di quella serata gli parvero superflue e quasi inutili, un
ripiego
per non pensare a quell’assillante sensazione di pesantezza
che aveva arcuato
il proprio animo.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi,
otouto?»
Eh, certo, il minore non aspettava altro che essere incitato dalla voce
magnetica del nii-san.
«In effetti sì», bisbigliò,
«ma non saprei…»
«Ti ascolto», Sasuke non ricordava una volta in cui
aveva saputo resistere, se
non quel vano tentativo la notte del suo compleanno… ma che
problemi aveva?
«Conosci un certo… Madara Uchiha?»
Il fratello s’immobilizzò, le bacchette in bilico
tra le sue dita, la bocca
chiusa e lo sguardo fisso sul cibo.
«Sì, otouto. Perché me lo
chiedi?», Itachi sperò davvero che i suoi
presentimenti fossero errati, che il fratellino avesse curiosato in
giro per
casa marinando la scuola una di quelle mattine e si fosse infiltrato
nel
passaggio sotterraneo di villa Uchiha, scovando vecchi libri con la
storia di
famiglia e beccando proprio la pagina di Madara.
«Forse ti sembrerà strano, ma io l’ho
visto».
Proprio come temeva.
«Quando?», inutile chiedere il luogo: era risaputo
che Madara non varcasse due
volte la stessa soglia, che non sostasse per più di un paio
di minuti in un
posto e svanisse nel nulla, lasciando un’evanescente scia di
menzogne ed
illusioni.
«Beh, l’ho incontrato per la prima volta il giorno
prima del mio compleanno,
mentre ero nelle docce», Itachi sospirò.
«Otouto, sono passati mesi, perché non me
l’hai detto prima?», poi ripeté nella
propria mente le parole pronunziate dal suo otouto. «Aspetta,
hai detto “la
prima volta”? Quindi significa che l’hai
rivisto».
«Esatto», assentì Sasuke,
«oggi a scuola, mentre ero in bagno».
Avrebbe potuto fargli del male. Ha avuto
due occasioni e non gli ha torto un capello. Che maledette intenzioni
ha quel
criminale?
«Cosa ti ha detto, Sasuke?»
«In spiaggia si era presentato a me come Madara Uchiha, poi
è stato… strano»,
tentò di spiegare. «Vedevo le
sue labbra muoversi e sono certo che stesse parlando, ma non riuscivo
ad udire
le sue parole. Sorrideva di tanto in tanto e le uniche parole scorte
dal suo
labiale sono state “Uchiha” e
“assassino”».
«Oggi?», lo incitò monocorde il
maggiore, cercando di sembrare a suo agio e
posando le bacchette nel piatto.
«Che da quando ha lasciato Konoha è un
uomo libero e di guardarmi le spalle»,
disse, «ma la cosa che mi ha lasciato perplesso non
è questa».
«Cos’altro è successo?»
«Ecco, vedi, gli avevo chiesto cos’era successo per
avercela così tanto con
Konoha e in quel momento è entrato Naruto. Il fatto bizzarro
è che lui non lo vedeva,
eppure era davanti a noi!
E dopo avermi detto di guardarmi le spalle, Madara è
scomparso e a quanto pare
sono svenuto per qualche secondo», spiegò,
gesticolando a causa dell’ansia che
s’impossessava di lui e mordicchiandosi le labbra.
«Itachi, che significa? Chi
è Madara Uchiha?»
«È un criminale, otouto, è un assassino
spietato che fu esiliato da Konoha
molto tempo fa».
«Ha ucciso qualcuno qui?»
«Sì», assentì il maggiore.
«E gli Hokage non potevano semplicemente arrestarlo invece di
lasciarlo in
libertà?», domandò, come se fosse la
cosa più sensata da fare.
«Lo pensarono, ma Madara è un
po’… diverso
dagli altri assassini. È l’essere più
spietato che possa esistere e non basta
la prigione a fermarlo».
«Perché non ucciderlo, allora?»
«Nemmeno questo è possibile».
«Per quale ragione? Non dirmi che ha la forza di Hulk e
l’immortalità dei
vampiri, per piacere!»
«È più complicato di così,
otouto, ma non c’è nulla di cui tu debba
preoccuparti», lo rinfrancò Itachi, allungando un
braccio per scombinargli i
capelli e sorridendogli incoraggiante, «ora mangiamo, okay?
Dopo verrà a
trovarmi un amico».
«Un amico?»
«Deidara, ricordi il biondo con la fissa per i fuochi
d’artificio ed ogni tipo
di esplosivi?», sorrise il maggiore, grato alla
volontà dell’altro di cambiare
discorso.
«Come dimenticarlo!»
[ Benny Hill
Theme Song ]
Dopo
cena,
i due fratelli si erano appollaiati sul divano e avevano trascorso il
tempo
scambiandosi delle tenere coccole. Alla fine, sgamato come al solito da
Itachi,
Sasuke aveva dovuto confessare di volerlo
“provocare” rimanendo senza
maglietta, dopo che il fratello l’ebbe bloccato sotto il peso
del proprio
corpo, facendogli il solletico e poi baciandolo e provocandolo a modo
suo.
«Basta chiedere, otouto; e ciò che vuoi ti
sarà dato», aveva assentito
vittorioso, prima di ristendersi supino sul divano e attendere che il
fratello
tornasse da lui, accoccolandosi al suo petto e giocherellando con le
dita,
disegnando simboli immaginari o gli ideogrammi dei propri nomi.
Verso le otto e trenta circa, una chioma lunga e bionda si era
affacciata dalla
porta di casa Uchiha, invitandosi di propria spontanea
volontà ad entrare e non
sospettando nemmeno minimamente che all’interno
dell’abitazione i due fratelli
potessero essere beccati per caso in atteggiamenti compromettenti.
«Itachi-senpai!», aveva urlato, fiondandosi tra le
braccia del maggiore degli
Uchiha e mordendogli una guancia, «Ne è passato di
tempo!»
«Ti trovo bene, Deidara», aveva risposto Itachi,
scombinandogli la folta
zazzera bionda, «Sasori?»
«Eh, Sasori…», il biondo
sbuffò e si sedette a gambe incrociate sul parquet,
limitandosi ad un’alzata di sopracciglia; dal canto suo, il
ventiduenne rise e
annuì divertito.
Sasuke sentiva qualcosa di strano. Era come se qualcosa gli stesse
solleticando
la pelle, eppure quando si era grattato non c’era nulla fuori
posto, né aveva
sfiorato in alcun modo il divano. Voltatosi di colpo, aveva scrutato
per bene
dietro di sé, ma non aveva intravisto nemmeno un movimento,
un minimo
spostamento d’aria che lo facesse sembrare meno matto di
quanto non credette
fosse sul serio.
«Tu credi nei fantasmi… Sasuke?», il
giovane Uchiha si voltò di scatto,
gli occhi spalancati e la bocca
socchiusa, verso Deidara che si era avvicinato pericolosamente a lui;
di scatto
indietreggiò e bloccò la propria schiena al
divano.
«BU!»
«AHHHH!», urlò il minore degli Uchiha,
scatenando le risate a stento soffocate
dei presenti.
«Stronzi!», sbraitò, poi una chioma
rossa apparve dal pavimento, una scrollata
di spalla e un sorriso appena accennato, gli occhi color cioccolato
malinconici, la pelle chiara.
«Io sono Sasori, è un piacere conoscerti,
Sasuke».
Il minore, di scatto, si alzò dal divano e
fulminò Itachi con lo sguardo, che
ancora se la rideva, mentre Deidara era steso, quasi morto stecchito
per le
risate.
«Nii-san!», sbraitò e poi, irritato
dalla risata isterica del biondo, strepitò:
«Ti faccio ridere io adesso, bastardo!»
Itachi e Sasori iniziarono a ciarlare del più e del meno,
con la massima
tranquillità, mentre Deidara scherniva Sasuke e
quest’ultimo lo rincorreva; ad
un certo punto, stanco della corsa, finse di tornare dal fratello, che
notò
ogni suo movimento ma tacque.
«Ti sei stancato! HA! Ho vinto!»
«Un paio di palle!», e così dicendo, il
minore degli Uchiha gli lanciò due
shuriken; di poco, il giovane dai capelli dorati e lunghi li
scansò e mostrò il
medio al piccolo.
«Guarda che Itachi ha insegnato anche a me ad usarli! E poi
non conosci il mio
ragazzo», indicò con un cenno del capo il rossino,
«è una bomba! Esplosivo non
solo a letto, ma anche…»
«AH! Non sento! Non mi interessano i dettagli!»
«L’astinenza dagli esplosivi gli fa un
po’ male, scusatelo», dichiarò Sasori,
scrutando incuriosito il fratello di Itachi e il ventiduenne stesso.
«Comunque
siete due gocce d’acqua».
«Che intendi con “astinenza dagli
esplosivi”?», chiese il moro dai capelli
lunghi.
«Ah! Voleva che impiegassi il mio tempo con
“l’arte che resta nel tempo”, sai
com’è, Sasori non concorda con la mia definizione
di arte», il compagno annuì, «e
allora mi sono messo a scrivere!»
Silenzio.
«Scrivere, uhm?»
«Sì», annunciò fiero.
«E cosa scrivi?»
«Sto acquisendo una discreta dimestichezza nello scrivere
poesie!», ridacchiò, «Vuoi
sentirne una?»
Sasori scosse il capo in direzione di Sasuke, speranzoso.
«Credi davvero che a qualcuno interessi delle tue stupide
“poesie”?», lo derise
Sasuke, fintamente schifato. «Ma che
diavolo…?!»
Ignorandolo, Deidara afferrò una sedia e ci salì
sopra, sciolse i capelli e
abbassò la testa, li mosse con celerità e poi si
rialzò; sistemò il ciuffo alla
sua sinistra e, schiarendosi la voce, cominciò a poetare.
«Oh tu mia esplosiva argilla
che m’impastocchi le mani;
oh, argilla che al sole brilla
senza di te non vedo il domani.
Oh se mi piace costruire dardi
d’argilla bianchi e belli duri
co’ste rime mi mangio pure Leopardi!
Tu, mia fedele compagna di vita
so che non mi faresti mai del male,
ma semmai mi portassi via le dita
ti farei mangiare da un animale.
Una buona idea è anche il mare
e sai la ragione?
Perché lì ti potrei affogare!»
Silenzio.
Solo silenzio.
«PERCHÉ?!
SASORI, SPIEGAMI PERCHÉ!»,
urlò Sasuke.
«Sasuke, calmati…»
«Ah, calmarmi un corno! È la vergogna della
letteratura, delle persone, degli
uomini e dei gay! Fanculo!»
«Ma chi ti credi di essere, neh, bimbetto!»
«Ma prima di “poetare”, almeno informati
su com’è formato un sonetto!»
«Lo so! Due quartine e due terzine!»
«E tu hai rispettato questa regola?!»
«Certo! Devo per caso ripetertela?»
«NO!», urlarono i tre all’unisono, poi
Sasuke battendosi un palmo sulla fronte,
si avvicinò a Deidara nel vano tentativo di tenere la calma.
«Deidara, quartina, quartina, terzina, terzina: ecco
com’è composto un sonetto.
E la tua poesia, se così possiamo definirla, è
incredibilmente squallida e
insensata!»
«Ma come osi!», il biondo frugò nelle
tasche e poi strepitò sulla sedia, «Voglio
la mia argilla! Ti farò esplodere, bastardello!»
«Mi sfidi conoscendo il nome degli Uchiha? Scoprirai a tue
spese cosa vuol dire
questo nome!», Sasuke provò a correre verso
Deidara per stenderlo, ma Itachi lo
bloccò.
«Basta, otouto».
«Ma… nii-san!»
Il fratellone scosse la stessa sorridendo e il minore annuì,
lasciando che il
più grande prendesse la sua mano e lo portasse al suo
fianco, seduto sul
divano, come prima che quel biondo poeta, artista o quel che era, da
strapazzo
rovinasse la quiete di villa Uchiha.
La serata trascorse tra l’ilarità generale, dei
battibecchi tra Sasuke e
Deidara e chiacchierate tranquille, finché non giunse
l’ora che i due ragazzi
se ne andassero. Li salutarono con un sorriso e uno sbuffo sprezzante
tra i due
litiganti; poi, rimasti soli, Itachi e Sasuke andarono a letto.
«Dormiamo, otouto?»
«Io avevo altre idee…»
_______________________________________________________________________________________________________________________________
NB:
Ho cercato di rendere il capitolo un po’
più “soft”, giusto perché i
drammi
dal capitolo cinque in poi si susseguiranno fino alla fine…
Inoltre ci tenevo a dare un po’ di spazio a Sasori e Deidara,
una coppia che
shippo u_u e mi piacciono troppo, per cui non ho potuto farne a meno! E
ridicolizzare il nostro artista esplosivo era una cosa che sognavo di
fare da
un sacco xD Quindi non potevo proprio non approfittarne! Ovviamente la
composizione del “sonetto” in maniera errata e lo
squallore posto in esso è del
tutto voluto e non è scandito dalla mia ignoranza in
materia!
Pian piano comunque si vengono a scoprire determinate cose su Madara,
ma tutti
i chiarimenti ci saranno poi!
Note dell'autrice:
Hello! Posto alle due di notte
il capitolo perché domani sarò assente per tutta
la giornata e non avrò assolutamente tempo di
farlo. "Domani", pf, più tardi, diciamo così.
Comunque è 17 e non volevo tardare. Almeno quando ho le
storie complete vorrei essere puntuale ç_ç
Posterò il prossimo capitolo il giorno 22.
Ringrazio tutte le persone che seguono, preferiscono e recensiscono la
storia.
Bacioni, Giacos.
|
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Capitolo 5 *** 18 years... and then? ***
Capitolo 5 – 18 years… and
then?
Sei
mesi dopo.
«Sasuke,
manca una settimana al tuo diciottesimo compleanno», fece
notare Itachi mentre
preparava il pranzo.
«Mh, e con ciò?»
«Cosa vuoi fare?»
«Mmm… vediamo un po’», finse
di riflettere Sasuke, alzandosi e avvicinandosi al
fratello; gli cinse con le braccia i fianchi e posò la
fronte dietro la sua
nuca dopo averla baciata e accarezzata, «magari stare con
te… E fare l’amore
ancora, ancora e ancora…», così
dicendo, gli morse il lobo e mimò un ansito
sulla pelle del ventitrenne.
«Carina come idea…»
«Mh… Hai fame, Itachi?»
«Mica così tanta…»,
sussurrò, «Potrei volentieri farne a
meno…»
Sasuke lo spostò dai fornelli e, poggiando le proprie spalle
al muro, lo
avvicinò a sé per baciarlo.
«Peccato che tu abbia bisogno di mangiare e di diventare
bello, grande e grosso…
Rawr!», il fratello mimò il verso di un dinosauro
e, dopo averlo baciato per
farsi perdonare, tornò ai fornelli.
«Stronzo», sibilò il minore, una voglia
matta di strozzarlo che si impossessava
di lui… o forse di fare qualche strano giochino e sentirlo
supplicare di
smetterla…
«Ah, ma che diavolo vado a pensare!», si
schiaffeggiò mentalmente, poi tornò a
sedersi e guardare la televisione.
«Otouto», lo chiamò Itachi, posando sul
tavolo le pietanze ed accomodandosi di
fronte a lui, «sono certo che me lo diresti se accadesse,
ma… Hai più rivisto
Madara dopo quella volta sei mesi fa?»
«No, Itachi, non l’ho più
rivisto», affermò il più piccolo,
boccheggiando, «ma
meglio così».
«Infatti».
**
«Sasuke!»
«Che cosa ti manca, dobe?»
«Domani compi diciotto anni! Stai invecchiando,
neh?!»
«Mh», sbuffò l’Uchiha,
«ma perché siete tutti così felici?
Solo perché compio
diciotto anni?»
«Non si fanno tutti i giorni i diciotto!»
«Se è per questo compi una sola volta tutte le
età, usuratonkachi», gli fece
notare il neo-diciottenne.
«Ma i diciotto sono i più importanti! Da domani
sei maggiorenne!»
«Non vedo ragioni per essere così iperattivo,
dobe».
«Festeggiamo!»
«Scherzi, vero?»
«No, domani si festeggia», disse convinto il biondo.
«Mi spiace, ho già da fare domani».
«Ah… Ho trovato!»,
s’illuminò Naruto, «Disdici,
è semplice!»
«Dici cose strane».
«E dai!»
«No. E concludiamo questo discorso».
«Ma…»
«Niente ma», ordinò perentorio Sasuke,
facendo tacere dispiaciuto il compagno.
**
«Sicuro di non voler organizzare nulla, otouto?»,
si rassicurò Itachi, mentre
spegneva la luce della propria stanza e si apprestava a distendersi
accanto al
corpo seminudo del fratello.
«Sì», rispose l’ormai
diciottenne Sasuke, «voglio stare con te».
«Naruto ci è rimasto male, sai?»
«Prego?»
«È venuto qui perché voleva che ti
convincessi ad organizzare qualcosa con
tutti i tuoi compagni; vuole davvero che tu sia felice,
Sasuke».
«Lo so, Itachi, lo so bene. Ma voglio stare solo con
te», ribadì il concetto
facendo stendere il fratello e sedendosi a cavalcioni su di lui.
Il ventitreenne si voltò verso la sveglia poggiata sul
proprio comodino:
segnava le 00.00.
«Buon diciottesimo compleanno, otouto».
**
«Buongiorno,
Sasuke», cantilenò Itachi, in piedi a fianco al
letto dove suo fratello era
stravaccato e dormiva con la bocca dischiusa. Era già la
seconda volta che
tentava di svegliarlo e il fratellino non ne voleva sapere di alzarsi.
«Ti ho
portato la colazione…»
«Mh».
Sospirando intenerito, il maggiore posò il vassoio sul
comò lì vicino e si
sedette accanto al fratello, prendendogli la mano diafana tra le sue
eburnee e
poi, dolcemente, la baciò.
«Sono già arrivati questi
maledetti…», mormorò, «Mi
dispiace, otouto…»
Trascorse una manciata di minuti, prima che Itachi si ridestasse da
quello
strano stato in cui era caduto, perso nei propri pensieri e nei ricordi
di ogni
attimo trascorso con Sasuke; improvvisamente pareva che il tempo fosse
propenso
a passare in maniera rapida e che diciotto anni fossero passati in un
batter
d’occhio. Aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua
vita godendosi ogni
istante, tenendo sempre impresse nel cuore e nella mente le parole dei
suoi
genitori, la loro premura nei suoi confronti e in quelli del suo
otouto,
l’amore e la paura, il timore di lasciarlo solo a
fronteggiare qualcosa di gran
lunga più enorme di lui.
Deglutendo a fatica e scuotendo la testa, nel tentativo di riaversi
prima che
il neo-diciottenne aprisse gli occhi, Itachi si alzò e
stiracchiò, riprese il
vassoio tra le mani e ritentò: «Sasuke, svegliati,
c’è la colazione».
Un mugolio contrariato: «Lasciami dormire, Itachi!»
«È l’ultimo avvertimento, Sasuke:
svegliati».
«No! Voglio dormire! È il mio compleanno e decido io
cosa fare d’ora in
poi!»
«Io ti avevo avvisato», sentenziò
l’Uchiha più grande, posando nuovamente il
vassoio e alzando di peso il fratello, che era tornato amabilmente a
ronfare.
Aperta la porta del bagno, Itachi la richiuse a chiave, così
che Sasuke non
avesse opportunità di scappare; e per essere sicuro al
massimo che l’avrebbe
tenuto lì finché fosse stato necessario, tolse la
chiave della serratura e la
mise nella propria tasca. Aprì l’anta della
cabina-doccia e appoggiò Sasuke al
muro. Girò la manopola dell’acqua da fredda a
tiepida, proprio per non
ammazzarlo, poi aprì l’acqua che
schizzò sul corpo del fratello.
«ARGH! Itachi, ma sei impazzito!»,
ringhiò il minore scrollandosi il nii-san di
dosso, guardandosi attorno e scoprendosi nudo, nella doccia, il
fratello a
torso nudo e un inspiegabilmente fastidioso durello mattutino a
tenergli
cortesemente compagnia. Non aveva mai odiato tanto quanto quella
mattina il suo
corpo.
«Era proprio necessario?!», strigliò
stizzito, parendo isterico a causa
dell’imbarazzo e tentò di coprirsi i gioielli di
famiglia, arrossendo di
vergogna ancor di più quando constatò che
voltandosi, il maggiore aveva una
libera vista del suo posteriore.
«Sì, Sasuke, lo era. Non volevi svegliarti ed
è necessario che tu stia sveglio,
oggi».
«Certo, vuoi ribadire ancora che è il mio fottutissimo
diciottesimo compleanno e che è un giorno importante e
speciale che non posso
assolutamente perdermi, per nessuna ragione al mondo?»,
recitò inviperito,
scuotendo il capo e approfittando di essere già nella doccia
per lavarsi.
Ripensando alla sera precedente, d’altronde,
appurò che ci fosse proprio
bisogno di sciacquarsi; le gote gli s’imporporarono al
pensiero e si trovò a sorridere
con tenerezza, mordicchiarsi il labbro inferiore e una voglia matta di
perdonare il fratello si spaziò dentro sé.
«Non è per quello», disse
frettolosamente il ventitreenne, voltandosi di spalle
e pentendosi quasi di aver preso quella maledetta decisione; ma andava
fatto e
lui ne era consapevole.
«E per cosa, allora?»
«Finisci di docciarti e poi ne parliamo», Itachi
tentò di temporeggiare, nella
speranza che almeno quella volta il fratellino semplicemente lo
ascoltasse e
tacesse; desiderio esaudito, visto che il più piccolo
scrollò le spalle e
sibilò: «Come vuoi».
«Bene».
«Mi daresti una mano a lavarmi la schiena, Itachi?»,
chiese in sussurro malizioso il più piccolo; il
più grande sorrise
malinconicamente e, tentando per la prima volta invano di nascondere
quella
maledetta paura e la tremenda tristezza, si avvicinò al
fratello, proferendo:
«Passami il bagnoschiuma».
Detto, fatto.
Itachi spremette la boccetta e poi insaponò la schiena del
fratello, beandosi
di ogni tocco e della sua pelle d’avorio; gli sarebbe
mancata. Da morire.
Sorrise a quell’ultimo pensiero e quasi in automatico si
chinò a leccare la
nuca del fratello, succhiarla, baciarla, poi avvicinarsi ai lembi di
collo e
mordicchiarli e succhiarli ancora, imprimendo per l’ultima
volta segni che gli
sarebbero rimasti per poco tempo; troppo poco, specialmente per i gusti
del
fratello.
«Itachi…», bisbigliò Sasuke,
portando una mano dietro al collo del fratello e
inumidendogli in parte i capelli; poi si voltò e fece per
trascinare nella
cabina anche il maggiore, ma quest’ultimo scosse il capo e si
limitò a
baciarlo.
«Vieni qui…», lo pregò, ma di
nuovo il più grande rifiutò il suo invito e fece
per indietreggiare, ma la mano nivea del diciottenne trattenne la sua e
l’accarezzò, la strinse e gli trasmise tutto il
desiderio che provava nel
sentire la sua pelle a
contatto con la
propria.
«Ti prego…»
«Dannazione…», mormorò
Itachi, prima di accontentarlo.
«Dobbiamo
farlo più spesso nella doccia, nii-san»,
ridacchiò il più piccolo tra i due,
attirando a sé le labbra del più grande e
baciandolo con passione.
«A tal proposito, Sasuke, dobbiamo parlare».
«Wowo, incuti timore se lo dici così»,
sghignazzò Sasuke, stendendosi sul letto
e annusando il profumo delle lenzuola; lavanda, pulito, amore, lui ed
Itachi.
Avrebbe volentieri voluto trovare un modo per non far sparire mai quel
profumo
inebriante da lì.
«Non voglio spaventarti, ma è ora che tu sappia
determinate cose».
«Cazzo», pensò il minore,
«perché fa così, adesso?»
«Mh», soffiò, «ti
ascolto».
«Non lasciar mai andare Naruto per nessuna ragione al mondo;
tienilo stretto a
te, anche se sono certo che lui stesso insisterà sempre per
starti accanto»,
iniziò. «Adesso, Sasuke, cosa ricordi della notte
in cui i nostri genitori sono
morti?»
«Ricordo che li salutammo prima di andare al parco, dove
trascorremmo l’intera
giornata… Non ricordo proprio tutto alla perfezione,
ma… Quello che ricordo con
nitidezza, sono i loro corpi martoriati e madidi di sangue, i tagli sul
viso
che sfiguravano il volto di nostra madre e la gola sgozzata di nostro
padre…»
«Capisco».
«Itachi, chi ha ucciso i nostri genitori?»
«Io… o tu?», una risata malvagia
risuonò nella stanza da letto di Itachi,
facendo voltare di scattò il maggiore e spalancare gli occhi
al minore. «Tu,
Itachi? O Sasuke? Io, Madara Uchiha? Chi lo sa?»
«Itachi, è qui!»
«Lo vedo, otouto».
«Ma Naruto non lo vedeva!», protestò,
incredulo.
«È quello che avevo intenzione di spiegarti,
Sasuke, ma credo non ci sia più
tempo».
«Nii-san, ma che cosa vai farneticando?»
«Quindi tu sai…»
Itachi annuì.
«Sai cosa, nii-san?!»
«Di’ addio al tuo fratellone, Uchiha
Sasuke»
«Ti amo, otouto».
«Ma che caz…»
Il buio.
Il freddo.
La solitudine.
Il cuore infranto.
Un tremolio.
Sangue.
Quando
Sasuke riaprì gli occhi, ebbe bisogno di guardarsi
attorno più volte
prima di capire dove si trovasse.
«Che diavolo ci faccio qui?», la sabbia dorata
adornava il suo pantaloncino
corto e nero, una maglietta blu scuro gli fasciava il busto, i capelli
erano
scombinati e pieni di granelli dorati. Una fitta al petto ed una allo
stomaco,
si sentì quasi affogare e la sensazione di vomito
aumentò di secondo in
secondo, un capogiro; il diciottenne vomitò persino
l’anima, sputacchiando
sangue e macchiandosi le mani.
«Che schifo», si spogliò della maglietta
e cercò di coprire quella schifezza
con altra sabbia, allontanandosi disgustato e lo stomaco ancora
traballante.
«Che cavolo sarà successo?», si chiese,
mentre attraversava dei boschi,
prendendo una scorciatoia per giungere al quartiere degli Uchiha.
Quando arrivò,
notò un accalcarsi di gente nei pressi della sua casa, il
che lo sorprese non
poco e la preoccupazione ben presto s’impossessò
di lui.
«Itachi… Oh, porca puttana, fatemi
passare!», corse a perdifiato facendosi a
stento spazio tra la folla, che si divagò per lasciarlo
entrare in casa
propria.
Un silenzio assordante gli pervase i timpani, assestandogli il colpo di
grazia;
il corpo sembrò raggelarsi, tanto che gli assiderati muscoli
non volevano in
alcuna maniera lasciarlo camminare, salire quelle maledette scale e
cercare suo
fratello.
«Itachi?», tentò con voce tremolante, un
mormorio silente che si udì comunque
attraverso le pareti di ogni stanza sia del piano inferiore, sia di
quello
superiore.
«Nii-san?», riprovò, mentre forzava le
proprie gambe a muoversi; decise di
poggiare anche le mani a terra e farsi forza in questo modo e i dolori
aumentarono. Doveva farcela. Aveva una paura tremenda che fosse
accaduto
qualcosa a suo fratello e non avrebbe potuto sopportare una cosa simile.
«Itachi, ti prego, rispondimi…»
La voce iniziava a mancare. Il fiato smorzato lasciava aloni sul
parquet
lucido, le mani sudaticce esercitavano una grande pressione sugli
scalini e
l’attrito diminuiva, quasi scivolava, ma sapeva che doveva
farcela e non poteva
rimanerci secco; magari stava solo riposando, oppure era venuta Sakura
e
avevano litigato, per cui udendo le grida della ragazza tutti quanti si
erano
preoccupati, perché era una cosa insolita.
Sì, doveva essere andata così.
Non c’era altra spiegazione.
A Itachi non poteva esser successo nulla di male; era il suo nii-san,
forte,
coraggioso, dolce, deciso… suo fratello. Eppure quei
pensieri non riuscivano
proprio a consolarlo, ogni scalino che saliva gli donava la
consapevolezza che
la visione di cui avrebbe goduto di lì a poco sarebbe stata
la peggiore della
sua esistenza; peggiore persino di quella dei suoi genitori assassinati
brutalmente.
Strusciò ancora, ancora ed ancora, lasciando aloni di sudore
e graffi lievi a
causa delle unghie, lo stomaco prese di nuovo a vorticare
selvaggiamente, le
tempie si agitavano convulsamente e l’emicrania non fu restia
ad arrivare.
«Nii-san…», sussurrò,
«Questo è solo un brutto sogno… Ma
sembra così reale…
Cazzo se fa male, dove sei, Itachi?»
Dove
sei?
«Nii-san»,
voleva piangere, Sasuke, eppure le lacrime non volevano proprio uscire
dai suoi
occhi d’ossidiana sbarrati, il fiatone e la pressione troppo
alta, la paura e
una sconfinata rabbia dentro sé.
Abbracciami ancora.
Il
silenzio assordante.
Baciami ancora.
La porta della camera di Itachi spalancata e folate di vento
facevano
ondeggiare le tende sottili, così che ombreggiassero il
pavimento.
È ancora presto per andare via.
Uno sforzo immane per alzarsi e poggiarsi al muro.
Abbiamo una vita intera davanti a noi.
Deglutì a fatica. E poi entrò.
Siamo in estate oppure in inverno?
«No… Non ci credo».
Ti amo, Itachi. Resta qui con me.
«Non
è possibile».
Nii-san…
«Sasuke…»
Si è risvegliato?
«Vieni via di qui…», una voce
femminile ovattata lo incoraggiò a privarsi
di quella visione sconvolgente; rosso, rosso ovunque, il verde degli
occhi di
Sakura e il rosa dei suoi capelli, il profumo pungente di mele misto
allo
Chanel n°5 applicato sul collo e sui polsi. Le vene pulsavano.
Sasuke non seppe
dire se il suo cuore si fosse fermato o stesse battendo troppo forte.
Urlò.
Diede libero sfogo a tutto il suo dolore, gridando e graffiandosi le
braccia,
ferendo in parte anche Sakura.
E poi una presa salda, pelle bronzea, mani curate, capelli biondi ed
occhi
cerulei.
«Sono qui, Sasuke».
Sì, non te ne andare.
«Non sei solo».
«Noi siamo qui».
«Ci saremo sempre».
Menzogne! Ve ne andrete come ha fatto
lui!
Le braccia di Naruto si attorcigliarono alle spalle scarne e
incredibilmente pallide del diciottenne; «bel compleanno del
cazzo», pensò l’Uzumaki,
trattenendo a stento una crisi di nervi.
Questo dolore non lo posso sopportare.
_______________________________________________________________________________________________________________________________________
NB:
Questo è stato il capitolo più brutto
da scrivere D: Far morire il mio
personaggio preferito è uno strazio,
però… No, non posso parlare, altrimenti
spoilero e rovino tutto come mio solito!
Qui mi apro una piccola parentesi sull’IC di Sasuke: come si
è potuto notare
anche nel manga, per quanto Sasuke affermasse di odiare a morte suo
fratello e
volerlo veder crepare per mano sua, alla fine il dolore è
più grande… e ha
fatto tutto per amore. Certo, se Itachi fosse stato meno stupido e
Sasuke
avesse saputo tutto dall’inizio, sarebbe stato
diverso… però…
Spero che condividerete la mia scelta. Anche perché, per
quanto il piccoletto
voglia sembrare un orgoglioso, un uomo forte di prima categoria,
è pur sempre
un ragazzino di appena diciotto anni, che ha perso il fratello nel
giorno che,
anche non volendolo ammettere, è uno dei più
importanti.
A questo proposito: in Giappone si diventa maggiorenni
all’età di 20 anni, ma è
in corso un dibattito per abbassare la soglia ai 18. Spero mi
perdonerete per
questo ç_ç Ma non potevo tirare troppo a lungo,
come ho già accennato!
Note dell'autrice:
*si guarda attorno e cammina silenziosamente* Okay, non
dovrebbe esserci nessuno... *scansa giusto in tempo una sedia volante*
Eh, no, però! Non iniziate a lanciare oggetti... per favore!
ç_ç Suvvia, mi sono già autolesionata
scrivendo, pensando questo capitolo... Comunque sapevate che sarebbe
arrivato il momento del dolore e questo è uno dei tre
capitoli finali. Dolore a tutto spiano ç_ç anzi,
minimo, perché mi sono limitata a causa del rating. Le
descrizioni dovevano essere più ampie, volevo suscitare
davvero molte più cose, ma... a quel punto il rating sarebbe
scattato a rosso!
Lo so che mi adorate, non mi odierete mai... Cavolo, so che cosa
provate, anch'io desidero ancora fare tanto male fisico e mentale al
sensei, però io sono tanto buona ç_ç
*cerca di arruffianarle, ma vede tutti lanciare oggetti appuntiti,
infuocati e urlare "Questa è Sparta"* Okay, è la
mia fine...
Beh, ne approfitto per ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato
delle bellissime recensioni, ricche di bellissime parole, e a tutti
coloro che hanno seguito, ricordato e preferito.
*abbraccia coccolosamente tutti* Bacioni, Giacos.
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Capitolo 6 *** Suffering. ***
Capitolo 6 – Suffering.
Cinque
mesi dopo.
[ Naruto
Shippuden OST - Loneliness ]
Gli sguardi colmi
di pietà della gente avevano sempre infastidito da morire
l’Uchiha. Non voleva
compassione, non desiderava niente di niente, se non tornare a quel
maledetto
giorno di cinque mesi prima per cambiare le cose.
Ma non si può.
Doveva andare avanti, gli dicevano. Era comprensibile che
perdere il
proprio fratello, l’unico che aveva, fosse distruttivo e le
smanie di
autolesionismo che opprimevano i sensi di Sasuke stentavano a diminuire
e
lasciarlo in pace. Per quanto “pace” potesse essere
definita quella spaventosa
quiete ricca di sofferenza; un destino crudele, il suo, ecco come tutti
gli
altri giustificavano le perdite che aveva subito. Prima i genitori e
poi anche
Itachi. La morte sarebbe arrivata a tutti, prima o poi, avrebbe
afferrato via
l’anima della persona e avrebbe goduto nel vederla
agonizzare, ghignato e poi
si sarebbe dimostrata l’unica compagnia restante, tanto che
il morto l’avrebbe
poi pian piano apprezzata. Accettata.
L’unica compagna… di morte?
O della vita nell’aldilà?
Esisteva un aldilà, come dicevano tutti, o semplicemente
c’era il vuoto? Un
buio pesto nel quale non si era capaci nemmeno di distinguere se
stessi? Delle
tenebre alle quali non ci si sarebbe mai abituati? O forse la vita
sarebbe
finita nel momento esatto in cui il cuore avesse cessato di battere.
C’era la
possibilità, l’amara
eventualità che
tutto sarebbe finito laddove era cominciato: su quello schifo chiamato
“pianeta
Terra”.
E con quel pensiero sarebbe potuta sparire anche la speranza di
rincontrare
Itachi.
Eppure lui continuava a credere di poterlo rivedere, mentre si
abbandonava
all’odio e a quell’irreprimibile voglia di
vendicarsi. Di ammazzare quel
bastardo di Madara.
Perché ormai era certo che non fosse solo un sogno, una mera
illusione o
scherzi di qualsivoglia genere della sua mente; Itachi stesso
l’aveva visto.
Lui esisteva.
Tutti sapevano che c’era, ma nessuno osava proferire parola.
Nemmeno gli Hokage avevano voluto parlarne e avevano deviato ogni
quesito posto
da Sasuke, rispondendo ad insulti vari e agli sfoghi di rabbia
difficilmente
repressa e custodita quasi con gelosia dall’Uchiha con il
silenzio.
La quiete, ad un certo punto, fu reputata pletorica.
La calma prima della tempesta.
Sarebbe arrivata la pioggia dopo la siccità.
Il cuore di Sasuke sarebbe tornato a battere preda
dell’eccitazione mentre
vedeva la luce abbandonare gli occhi neri di Madara, mentre quel
sorriso
strafottente e vittorioso svaniva con una lentezza entusiasmante dal
suo volto
cereo e a tratti spigoloso. Avrebbe voluto torturarlo in ogni maniera
possibile
ed immaginabile, oppure lasciarsi andare alla casualità e
alla spontaneità di
cui non aveva mai fatto uso; o forse mai disposto. A prescindere da
ciò che
aveva e ciò che non possedeva, Sasuke Uchiha si sarebbe
presto preso la
vendetta che gli spettava.
Madara deve soffrire.
«Farei di tutto pur di vendicare la morte di mio
fratello», aveva asserito
con convinzione e perentorietà quando Sakura, che si era
rivelata davvero deliziosa e non la
poco di buono che
credeva fosse, gli aveva domandato cosa credeva di fare. Era davvero
fermamente
convinto che dopo ci avrebbe guadagnato qualcosa, ma né la
giovane né il
compagno Naruto avevano la sfacciataggine di urlargli in pieno volto:
«Uccidere
Madara non ti darà indietro Itachi!»
Naruto più di tutti poteva comprendere lo stato in cui si
trovava, pur non
avendo mai avuto un fratello, i genitori li aveva comunque persi pochi
anni
prima. Giusto prima di entrare in Accademia e avvicinarsi a
Sas’ke.
«Non mi hai mai parlato della tua famiglia», gli
aveva fatto notare,
aggiungendo in seguito: «né io ti ho parlato della
mia, ovviamente».
«Mh».
«Ti va se lo facciamo?»
«Non c’è nulla da dire. Avevo una madre,
un padre e un fratello. Sono morti.
Fine della storia».
«Se è per questo anch’io avevo una madre
e un padre, non avevo fratelli né
sorelle, ma comunque anche i miei sono morti».
«Mh».
«Esistono anche altre parole nel dizionario, lo sai,
vero?»
«Mh».
«Sas’ke, mi stai ascoltando davvero?»
«Mh».
«Che ore sono, teme?»
«Mh».
«TEME!», strepitò il biondo, scuotendo
con veemenza per le spalle il compagno
estatico, imbambolato a fissare davanti a sé; anche se,
Naruto ne era certo,
dinanzi a lui non aveva altro che un incolmabile vuoto.
Questa volta lui non sarebbe stato abbastanza, in cuor suo lo sapeva.
Eppure
credeva fermamente in se stesso, nella decisione, nel poter cambiare lo
scorrere del ciclo vitale e modificare il proprio destino; era certo
che Sasuke
non sarebbe stato triste per sempre. Mentre il compagno non voleva
saperne di
essere recuperato da quel profondo baratro di odio, quel circolo
vizioso
creatosi per amore. L’amore generava odio, l’odio
generava amore. I due
sentimenti si contendevano
la supremazia
e nessuno dei due
accennava a lasciar
che l’altro prevalesse su di sé.
Un po’ come quell’uragano biondo amico di Sasuke:
non si sarebbe mai arreso.
«Lasciami stare».
«No».
«Voglio stare da solo».
«Teme, sei un bugiardo!»
Silenzio.
«Teme», ritentò l’Uzumaki.
«Non ricominciare».
«Da quant’è che non mi chiami dobe o
usuratonkachi?»
«Ti manca essere preso per il culo da me?»
«Parli nel senso letterale?»
Un’occhiataccia.
«Scherzavo,
scherzavo», lo rassicurò, «comunque
sì».
«Che cosa “sì”?»
«Mi manca più di ogni altra cosa».
A me è Itachi che manca
più di ogni altra
cosa, lo volete capire?!
«Mh».
È quel senso di appagamento di cui
non
posso fare a meno, che mi fa sentire vuoto.
«Teme…»
È tutto ciò che mi resta.
«Io sono qui», gli rimembrò
accarezzandogli i capelli corvini,
scombinandoglieli come ai vecchi tempi e poggiando il capo sulla spalla
ossuta.
«Mh».
«Di’ qualcosa, qualunque cosa».
«Ucciderò Madara, rassegnati a volermi
riavere».
«Io ti accetterei così come sei! Perché
sei sempre il mio teme… Non importa
quanto gli avvenimenti possano cambiarti e la sofferenza possa
irrigidirti. Tu
sei stato, sei e sempre sarai il mio Sasuke Uchiha, il teme
più baka che possa
esistere’ttebayo!»
«Dobe».
«Ce l’hai fatta!»
«Sparisci».
«L’hai detto!»
«Evapora».
Un bacio.
«Teme, teme, teme!»
Un abbraccio.
«Non sarai mai completamente solo».
**
Ventuno marzo.
Ed era andata via anche lei.
Sasuke non aveva avuto nemmeno la forza di canzonare Naruto urlandogli:
«Avevo
ragione, dobe; di nuovo. Prima o
poi
se ne vanno tutti».
L’ennesima morte sospetta di una persona che si era
avvicinata ed affezionata a
Sasuke. La seconda persona che aveva accennato a
quell’argomento tabù, quella
cosa importante che Itachi fu sul punto di dirgli il giorno del suo
diciottesimo compleanno, ma che tacque per sempre.
Sakura sapeva qualcosa. E quando stava per dirglielo lui aveva di nuovo
perso i
sensi e lei era morta; lui, impotente, si era ritrovato sulla spiaggia
e di
nuovo aveva vomitato e sputato sangue.
La storia che si ripete.
Percepiva l’odore di morte nell’aria ogni
giorno che passava e temeva che
potesse avvicinarsi a lui. Ma non per il timore di morire, tanto quanto
perché
al suo fianco c’era Naruto.
Il ventotto di marzo aveva deciso di tornare nel suo
posto. La compagnia del cinguettio degli uccelli sarebbe stato
utile, l’avvento della primavera era passato da appena una
settimana e la
stagione dei ciliegi era stata inaugurata con la morte di Sakura.
Bella merda.
Si aspettava che il ciliegio desse presto i suoi frutti,
mostrando i fiori
rosati e bianchi, puri, candidi come la neve d’inverno, ma
portatrici di un
tepore che solo la primavera era in grado di donare; i boccioli di
ciliegie che
presto sarebbero fruttate e diventate rosse e saporite. Uno dei pochi
frutti
rossi che l’Uchiha ingeriva senza fare troppe polemiche.
Ma quando arrivò su quel prato e si distese, lanciando
un’occhiata dietro di
sé, notò che l’albero era appassito,
quasi completamente spoglio e le foglie
raggrinzite, i fiori di ciliegio di un bianco evanescente e la brezza
d’inizio
primavera li faceva staccare con facilità dai rami e
appollaiare sul terriccio,
assieme ai suoi gemelli e alle foglie.
Era morto con lei.
La natura, in qualche modo, riusciva a percepire i sentimenti
nell’aria e
seguiva passo, passo l’andamento delle vite nel paesaggio
circostante; asseriva
ed era presente nei momenti di bisogno, taceva e donava
un’atmosfera intensa e
romantica negli attimi opportuni. Era la più grande fonte di
energia e vitalità
che potesse esistere ed era solo grazie ad essa che gli uomini potevano
permettersi di vivere sul pianeta.
Un’altra persona.
Un altro nome finito su quella lista.
Quella delle persone da vendicare.
E
solo una
rimaneva su quella un po’ più importante
dell’altra.
Quella delle persone da proteggere, nella quale vi era scritto ormai un
solo
nome, che racchiudeva però il mondo intero di Sasuke; anche
se non l’avrebbe
mai ammesso ad alta voce né a se stesso, nonostante la
consapevolezza.
Naruto.
{**}
«Lo sai
dove sei, Sasuke?»
«Ma
cosa…»
«Sei
all’Inferno…»
___________________________________________________________________________________________________________________________________
NB:
È dovuta una piccola parentesi per il rapporto descritto da
me Sasuke/Naruto.
Per una volta non ho voluto vederli come rivali. Ci deve essere sempre
un
distacco che non consenta ad entrambi di aprirsi davvero, cosa che nel
manga
accade durante una battaglia e per manifestazione di rabbia
dell’Uchiha. La
tenacia dell’Uzumaki ho cercato di tenerla, per non renderlo
OOC era più che
dovuto; mentre ho trovato l’appiglio per collegare il volersi
vendicare del
manga con la vendetta che ricerca qui Sasuke: Konoha e Madara. Tutto
gira
attorno a loro.
Sakura tradotto significa davvero “ciliegio”, era
più che dovuto il rimando
alla natura.
In un certo senso ho dato una personificazione,
un’umanità alla natura in un
certo senso come il Petrarca: la presenza taciuta nei momenti di
bisogno e la
comprensione di stati d’animo. Cosa che si può
tranquillamente vedere in ogni
situazione del manga: presagi di sventure e quant’altro.
Note dell'autrice:
Posto con un po' di anticipo il sesto capitolo, sia
perché è piuttosto corto, sia perché
ho un bel po' di cose da fare e non vorrei rimanere indietro con gli
aggiornamenti. Ne approfitto per avvertirmi di essermi (non so
assolutamente come!) dimenticata un pezzettino nello scorso capitolo.
Non l'ho inserito nell'html e non so perché
ç_ç Ho comunque provveduto a modificare, magari
andate a leggere l'ultima parte... *arrossisce* sono proprio idiota
ç_ç
Bah, non saprei che altro dire... penso che pubblicherò il
capitolo tra due - tre giorni, tanto è l'ultimo e non mi va
di tenervi tanto sulle spine u_u
Grazie a tutti coloro che seguono, ricordano, preferiscono e
recensiscono questa storia! Vi informo, comunque, che l'ho rimessa in
cantiere per elaborarla come avrei voluto già fare!
Bacioni, Giacos.
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Capitolo 7 *** The last act. ***
Capitolo 7 – The last act.
Sette
agosto.
L’Uchiha spalancò gli occhi, allibito e seriamente
spaventato. Era morto e
nemmeno se n’era accorto?
«Ci hai creduto, stronzetto».
Attonito, Sasuke si guardò attorno e cercò di
capire da dove provenisse
esattamente quella voce; aveva la sensazione di conoscerla e anche
piuttosto
bene, ma era piuttosto arrochita e non riuscì a definire
all’impatto a chi
appartenesse.
Tentò di alzarsi da quello che sembrava essere un letto,
lenzuola bianche e
macchie rosse… Il diciannovenne si guardò le mani
e le scoprì madide di sangue.
Controllò ogni punto del suo corpo che poteva dolergli, ma
non ve ne trovò.
«Non è il tuo sangue quello che hai sulle
mani».
«Madara?!», il moro gridò quel nome
nella speranza che fosse davvero Madara
l’uomo che parlava, anche se la voce lasciava intendere
altro; almeno in parte.
Era dannatamente confuso e stordito, le vene pulsavano e sembravano
voler
scoppiare, s’ingrossavano e gonfiavano come il petto per ogni
respiro del
giovane, gli occhi erano fuori dalle orbite e insanguinati, il bisogno
di
esternare la frustrazione e la rabbia che aveva covato per
così tanto dentro sé
era prepotente ed impellente.
«Vieni da me, Sasuke…»
«Puoi starne certo, bastardo!»
Traballante, il giovane si issò e, guardandosi attorno e
tremando, cercò di
scovare l’altro Uchiha.
Era circondato da rocce. Quel posto sembrava non avere vie
d’uscita.
«Non spaventarti, giovane e… innocente
Sasuke Uchiha».
«Ma che ca…»
«Vieni, vediamo se sarai in grado di farmi
divertire».
E fu allora che lo vide.
Non era solo, ma la compagnia sembrava innocua e tutt’altro
che preoccupante.
Era solo un anziano signore deperito attaccato con uno strano tubo ad
una
roccia molleggiante… Ma le rocce sono dure e non sono
morbide! Non possono
fluttuare!
«È… materiale organico,
diciamo».
Ti uccido.
«Tu provaci».
E Sasuke si trovò un kunai tra le mani, anch’esso
macchiato di sangue.
Cercò di non badarci troppo e corse verso
l’avversario, ricordando tutte quelle
storie raccontategli da Itachi, quegli insegnamenti giusto per
divertimento di
cui aveva fatto un prezioso tesoro.
«Ma poi potresti perdere l’opportunità,
l’unica che hai, di conoscere la verità».
E il diciannovenne si bloccò.
Bastardo.
«Non sei curioso di sapere chi ha ucciso i tuoi genitori, la
ragazzina dai
capelli rosa, Itachi?»,
sghignazzò
con cattiveria, sospirando di piacere nel vedere
l’espressione sconcertata del
ragazzo di fronte a sé, nel quale s’era avviata la
battaglia tra cosa fosse più
importante tra le due cose.
«Oh, quasi dimenticavo il tuo amichetto biondo… Uzumaki Naruto».
«CHE COS’HAI FATTO A NARUTO?!»
«Cosa “ho” fatto?»,
sibilò quasi incredulo l’uomo, «Cosa hai fatto, giovane Uchiha».
«Io non gli farei mai del male!»
«Così come non ne avresti mai fatto ai tuoi cari
genitori, alla nuova amichetta
che ti eri fatto e soprattutto al tuo nii-san»,
pronunciò le ultime due parole marcando tutto il
risentimento che albergava
dentro sé, sorridendo.
«Io non ho mai fatto del male ai miei cari, taci!»
«Nessuno
può essere sicuro che
ciò che chiama realtà non sia solo una illusione.
In fondo, non è forse vero
che le persone vivono immerse nel torpore dei propri preconcetti?»
Itachi.
«Sì, tuo fratello era un vero saggio, non
c’è che dire», ammise, «un
abile
oratore».
«Non osare parlare di Itachi», minacciò
l’Uchiha, «sei un uomo morto!»
«Non puoi ammazzarmi, ragazzino, rassegnati», lo
disilluse Madara, con cipiglio
severo e una serietà disarmante, «io e te siamo
uguali».
«Io non sono un criminale, Madara», rise amaramente
il diciannovenne, scuotendo
il capo incredulo e continuando a fissare le sue mani e il kunai che
impugnava.
E i dubbi sorsero nonostante a parlare fosse quello stesso uomo che era
apparso
poco prima che suo fratello morisse. Quello stesso criminale che fu
cacciato da
Konoha e che gli Hokage non furono in grado di imprigionare o
neutralizzare.
Quante possibilità aveva di poter cambiare le
cose…?
Eppure doveva ucciderlo.
Doveva.
Madara sorrise.
«Vuoti di memoria, Sasuke?»
Il suddetto rabbrividì.
«Vuoi ricordare, ragazzino?»
Voglio ricordare ciò che non so di
aver
vissuto?
«Lo vivrai…», gli
assicurò, «di nuovo».
Fu il più anziano dei due ad alzare le mani e stendere le
braccia davanti a sé,
i palmi aperti e la pelle raggrinzita, color bianco-grigiastro, gli
occhi
sorprendentemente neri con riflessi violacei nelle sclere; li richiuse
dopo
poco e Sasuke sentì le proprie forze scemare: la vista
abbagliarsi ed
offuscarsi, uno stridio improvviso e poi il silenzio totale, un vuoto
sotto di
sé al posto delle rocce e non sentiva più il
kunai tra le mani, così com’era
sparito il senso di fastidio causato dal sangue; era scomparso anche il
suo
odore pungente e la saliva insapore mista al sapore di sangue e vomito
spariva
dalle sue papille gustative.
Era diventato il nulla.
Si sentiva esattamente come quando aveva visto Madara.
Forse non sta mentendo.
Forse ho mentito a me stesso.
Si possono cancellare davvero i ricordi sgraditi?
E
rivide se
stesso da bambino nel buio dinanzi ai suoi occhi, nonostante la
certezza che le
sue palpebre fossero aperte; qual
è la
verità?
E le grida ovattate che pian piano riuscì ad
udire, le lacrime, la rabbia e
il sangue, i suoi genitori stesi sul pavimento, morti, e Itachi dietro
immobile.
Statuario.
E vide Sakura. La sua femminilità risaltata dai movimenti
sinuosi nonostante la
corporatura esile di cui godeva, i tentativi di spiegare tutto in
parole
semplici e in maniera lineare, la perdita di coscienza e di nuovo urla,
lacrime, rabbia e sangue. Un altro corpo senza vita.
E vide Itachi.
Il suo nii-san.
Gli aveva detto che l’amava e lui, orgoglioso
com’era, non aveva mai avuto il
coraggio di dirgli lo stesso più di due volte nel giro di un
anno trascorso in
balìa del loro rapporto amoroso e non più
soltanto fraterno.
Madara era lì e lo guardava.
E le mani di Sasuke si destreggiavano con maestria sul corpo ormai
coperto del
fratello maggiore; non per accarezzarlo, denudarlo e farci di nuovo
l’amore
come se fosse la prima volta. Stava tracciando la linea dei pettorali
sino a
giungere al suo cuore, disegnandoci degli invisibili cerchi concentrici
e riuscendo
addirittura a vedere oltre lo strato di epidermide chiara di Itachi.
Vedeva il
suo cuore battere furiosamente e il sangue circolare, i muscoli
tutt’attorno e
come pian piano i battiti del suo muscolo cardiaco andavano
affievolendosi. E
una lama che penetrava attraverso quella pelle bianca chiazzandola di
rosso,
gli occhi spalancati del ventitreenne, che ormai sarebbe stato un
ventiquattrenne, ancora sangue che fuoriusciva dalla sua bocca.
Il sorriso sadico di se stesso scandalizzò il giovane Uchiha
che fissava
paralizzato la scena, in bilico tra l’essere felice di non
potersi ammazzare
sul serio e il bisogno fisico e mentale di farlo il prima possibile.
«Non ci saranno prossime volte, otouto».
Udì la voce del fratello per la prima volta dopo tanto
tempo, che coincideva
anche con l’ultima.
E poi vide Naruto.
«No, Naruto no», riuscì a pensare
spalancano fauce e occhi, tremando nonostante
non riuscisse a percepire le scosse sul suo corpo. Sentì il
suo cuore
incrinarsi, nonostante avesse constatato
l’impossibilità del sentirsi così e
poi, chinando il capo, aveva scorto l’oscurità che
circondava se stesso e in
lontananza il vecchio signore appoggiato alla roccia e Madara
impassibile.
Una forza invisibile lo costrinse a fissare la scena di se stesso che,
sedendosi a cavalcioni sul biondo, ammazzava anche lui.
E rivisse il suo risveglio in quel luogo roccioso senza uscite.
«Addio, Uchiha Sasuke».
Il vuoto e l’oscurità ancora.
Poi un temporale.
Realtà o finzione?
Un tempo sapevo qual era il mio
vero io, ma ora non ne sono più tanto sicuro. Adesso mi
sembra quasi che non ci sia nessun vero io.
**
Grondante di pioggia, un giovane uomo camminava per le strade deserte
di Konoha
durante una notte invernale. Lasciava che quelle gocce
d’acqua delineassero con
esaustiva tranquillità il suo volto d’alabastro,
gli occhi color nero pece
vuoti e persi, fissi sull’asfalto lucido su cui strusciava
stancamente i piedi.
I capelli corvini bagnati erano attaccati al volto e alla nuca, due
solchi
profondi e oscuri erano posti sotto i suoi occhi; le labbra violacee a
causa di
quel freddo ed impregnate d’acqua erano socchiuse, lasciando
che nuvolette di
fumo candido fuoriuscissero attraverso esse.
I tuoni ovattavano il suono delle scarpe strusciate
sull’asfalto, delle
pietricciole calciate via dalle suole gommose, quasi anche dello
scroscio
impetuoso dell’acqua piovana. Eppure il giovane sembrava
estraniato da quella
realtà così concreta che gli si manifestava in
tutta la sua maestosità e
potenza. La luce di un lampione in lontananza illuminava vagamente ad
intermittenza, fino a spegnersi ed oscurare maggiormente
l’isolata via.
«Naruto, dove sei?»
Un fulmine.
«Itachi, sei tu?»
Un tuono.
«Dove siete finiti, voi tutti?»
L’intensità dell’acquazzone
aumentò di gran lunga, il corpo inzuppato tremava,
la vista del ragazzo si offuscava passo dopo passo, i sussurri
fuoriuscivano
appena, la voce strascicata gli moriva in gola, il vuoto si faceva
spazio
dentro sé.
Sasuke Uchiha aveva la netta sensazione che un uragano gli fosse
piombato
dentro, trascinando via con esso ogni speranza, desiderio, emozione.
Tutto ciò
che era rimasto di quell’uomo era un corpo che fungeva da
guscio della propria
solitudine e al tempo stesso gli impediva di crogiolarsi.
Perché, per quanto
ormai contasse, lui era ancora quel Sasuke Uchiha forte, vendicativo ed
orgoglioso, pieno di sé, con delle ambizioni alquanto
raccapriccianti e una
scarseggiante personalità. Anche se quest’ultima
era venuta fuori, col tempo,
grazie all’unica persona che avesse contato qualcosa per lui;
non quanto
l’amato fratello, ma un individuo che era stato importante.
Un’importanza
vitale dato che, senza di esso, il giovane Uchiha non si sarebbe
ridestato da
quello stato di noncuranza nel quale si era amabilmente abbandonato
tempo
addietro.
«Mi sentite?», aveva proferito, «Io sono
qui, non me ne sono mai andato».
Una mano diafana si protese dinanzi al proprio busto, nel vano
tentativo di
afferrare qualcosa di solido e non di certo l’aria; non aveva
la più pallida
idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a
camminare, né gli
interessava davvero. La pesantezza dell’atmosfera
circostante, però, iniziava
ad essere asfissiante e quasi insopportabile.
«Questo scherzo è di pessimo gusto»,
disse, «e il gioco è bello quando dura
poco!»
Stava iniziando a perdere la pazienza, Sasuke. Nonostante la sua stima
nei
confronti della solitudine superasse ogni tipo di confine, in quel
momento
l’essere isolato dalle persone che l’avevano fatto
sentire vivo lo distruggeva.
Quella consapevolezza di non avere al suo fianco Naruto e Itachi gli
corrodeva
l’animo e gli organi, gli trascinava via le funzioni vitali,
gli perforava i
polmoni e ostruiva le vene, così che il sangue si coagulasse
e smettesse di
circolare. Il cuore avrebbe smesso di pompare, la scarsità
d’ossigeno si
sarebbe fatta sentire a breve e il peso che opprimeva il petto del moro
si
sarebbe dileguato nel nulla. Sarebbe stato libero.
In lontananza scorse l’appartamento di Naruto Uzumaki. Il
pensiero che la
distanza tra loro era ormai minima lo rincuorò, anche se
poco; le labbra si
curvarono in un sorriso appena accennato, ma le iridi
d’ossidiana rimasero vuote
ed imperscrutabili.
Le gambe slanciate salirono le scale meccanicamente, le braccia
pendevano lungo
i propri fianchi, gli occhi si strabuzzarono quando Sasuke, di
malavoglia, notò
che la porta dell’appartamento di Naruto era leggermente
aperta.
Le pallide dita lunghe e affusolate si posarono con grazia e
delicatezza sul
legno scuro della porta, spingendola e aprendola; il cigolio diede
un’insolita
aria spettrale e cupa a quella casa solitamente colma della
solarità
caratterizzante il compagno.
Poco gli importò di essere intriso d’acqua,
semplicemente si fece strada
all’interno dell’appartamento, constatando che
nessuna luce era accesa; l’unico
spiraglio luminoso che lo irraggiava s’intravedeva attraverso
i vetri delle
finestre e la porta.
«Naruto?», ritentò l’Uchiha,
insicuro come non era mai stato prima. Non udendo
alcuna risposta, si avviò verso la cucina: non lo
trovò; optò così per il
bagno: non era nemmeno lì; nel salone: non c’era.
L’ultima stanza che gli restava da perlustrare era la camera
da letto.
Deglutì a fatica, prima di varcare la soglia e fissare il
letto pregno di…
«Sangue…», sibilò incredulo.
Le ginocchia presero a tremare incessantemente e l’aria
gelida gli assiderò i
muscoli, impedendogli la fluidità nei movimenti;
ciononostante riuscì a
giungere a fianco al corpo privo di qualsivoglia essenza vitale,
ricoperto
rigorosamente di liquido rosso intenso, il cui acre odore inebriava con
prepotenza le narici di Sasuke.
Con estrema lentezza, ignorando la fastidiosa sensazione donatagli dai
pantaloni zuppi che indossava, si sedette sul letto, poggiando le mani
gelide e
diafane su quelle abbronzate di Naruto. L’indice e il medio
si posarono sul
polso molle, cercando un qualunque segno che lo inducesse a pensare
alla
possibilità che l’altro fosse ancora vivo. Non
trovandovene, insisté
toccandogli la vena carotidea e sussultando a causa di un tuono che
parve quasi
voler spaccare in due il cielo notturno.
Nemmeno in quell’occasione un battito casuale gli
rischiarò quella speranza
offuscata, così come inspiegabilmente le gocce che dal volto
gli giunsero sulle
labbra avevano un sapore dannatamente salato e familiare.
I suoi occhi neri si posarono sulla chioma dorata chiazzata di rosso
del
giovane disteso e istintivamente l’Uchiha strinse la presa
della sua mano.
Digrignando i denti e fremendo, il moro avvicinò il suo
volto a quello di
Naruto, socchiudendo le labbra e sfiorando quelle morbide e rosse
dell’altro;
non curandosi affatto del sangue rinsecchito, posò un casto
bacio con
l’intenzione di infondergli un po’ di calore, di
trasportare ossigeno al suo
interno e rianimarlo. Gli fosse costato sanguinare incessantemente pur
di
rimettere in moto l’apparato circolatorio
dell’altro, lui l’avrebbe fatto senza
alcuna esitazione; così come l’avrebbe fatto per
il suo nii-san.
Un’altra perdita di quel calibro non l’avrebbe
accettata mai e poi mai.
Non poteva capacitarsene.
«Preferisco morire, a questo punto…»,
zufolò caustico, spalancando le palpebre
e sperando che gli occhi cerulei del compagno presto si aprissero e
incrociassero i suoi.
«Naruto, svegliati!», gridò, per quanto
la voce glielo consentisse. «Non anche
te… Non posso perdere anche te! Apri i tuoi fottutissimi
occhi!»
Il silenzio fu l’unica disarmante risposta che ricevette.
I ricordi, constatò, erano tutto ciò che gli
restava.
«È un vero peccato, era davvero un bel
ragazzo».
A scatti, Sasuke si alzò dal volto del biondo e
tentò con le poche forze che
gli erano rimaste di voltarsi verso la persona che aveva pronunciato
quelle
parole, gli occhi ridotti a due fessure colme d’odio, le mani
tremavano dalla
rabbia, ormai impossibile da reprimere.
Solo quel verme poteva aver fatto una cosa simile; soltanto quel
bastardo
avrebbe goduto nel guardare il giovane Uchiha avvilirsi per
l’ennesima perdita
da accettare. Aveva perso il conto di quante persone care lui gli
avesse
portato via ed era riuscito a privarlo anche delle ultime due persone
che
contassero qualcosa per lui.
«Cosa farai ora, Uchiha Sasuke?»
«Sparisci, Madara».
{**}
L’ennesima
notte di pioggia.
Forse era una coincidenza, forse semplicemente era tutto
premeditato e posto secondo la volontà di
un’entità superiore; all’incirca
poteva essere una strana concordanza tra le sensazioni
dell’Uchiha e il clima.
Ogni volta pareva che quest’ultimo lo comprendesse a pieno e
manifestasse ogni
sentimento che irradiava il corpo di Sasuke.
Il giovane nemmeno ricordava l’ultima volta che si era goduto
una splendida
giornata di sole, guardandolo sorgere al mattino, donando
così sfumature di
colori caldi. Era da tanto tempo che non fissava il sorgere del sole,
ammirando
estasiato il cielo azzurrino privo di nuvole e doveva ammettere che gli
mancava
più di ogni altra cosa al mondo.
Era una delle abitudini che accomunavano lui ed Itachi: diventando
più grandi,
non sempre avevano l’occasione di svegliarsi molto presto per
lodare il giorno
che stava per cominciare, abbracciati, mano nella mano, un bacio appena
accennato e poi la colazione che li aspettava. Certo, dopo essersi
dichiarati
l’uno all’altro, bearsi di quella visione
paradisiaca era diventata una cosa
piuttosto romantica, che rispecchiava in parte la loro percezione del
proprio
rapporto. Quella calma e quel silenzio che potevano esser compresi da
loro, e
da loro soltanto; quella purezza caratterizzante i sentimenti che
l’uno provava
per l’altro; i colori più vivaci mano a mano che
il sole si ergeva più in alto
in cielo, che palesavano la vita intesa dal punto di vista del minore
dopo che
si era concesso a Itachi, senza indugi, né rimpianti
riguardanti la propria
scelta; e d’altra parte anche la visione di Itachi stesso:
Sasuke colorava le
giornate e la propria vita, con dei sorrisi o una semplice carezza, uno
sguardo
o un bacio.
Le loro vite si erano intrecciate sin da quando il minore era venuto
alla luce,
sotto lo sguardo vigile di Fugaku e quello premuroso di Mikoto; il
maggiore era
rimasto a casa con gli zii, perché un bambino di appena
cinque anni non avrebbe
potuto assistere ad un parto. Ma non appena i genitori tornarono a casa
e poté
tenerlo in braccio, il legame tra loro venne classificato come
inscindibile.
Gli mancava. Gli mancava efferatamente.
Avrebbe dato qualunque cosa pur di avercelo di nuovo accanto. Anche
solo un
istante gli sarebbe bastato, pur di non provare ancora quel dolore che
lo
logorava fino a spazzare via ogni essenza che lo caratterizzasse.
Avrebbe
sacrificato qualunque cosa pur di accarezzare quel giovane viso da
uomo,
fissare i suoi lineamenti a tratti femminei e perdersi negli occhi neri
come i
suoi, ma decisamente più intensi e intrisi di sentimenti
ineffabili, scombinare
i capelli lisci e lunghi, ingarbugliarglieli, sentire la sua voce
chiamarlo
“otouto” o semplicemente per nome; udire un silente
sussurro, essere richiamato
all’ordine e riposto sulla retta via al momento giusto.
Aveva nostalgia anche di ogni discussione per ragioni banali, quelle
più
corpose e importanti; voleva litigare ancora, per poi trovarsi steso
supino
sotto il corpo imponente e virtuoso di Itachi, la sua pelle morbida e
bollente
a contatto con la propria, candore su candore, neve su neve sciolta al
sole
tramite un atto impregnato d’affetto, fare ancora
l’amore per ore ed ore, non
stancarsi mai di sentire la presenza del fratello dentro sé.
«Ridatemi Itachi… Vi prego…»,
sul volto era tinteggiato il riflesso della
disperazione, l’odio puro smarrito nel momento in cui aveva
compreso di non
aver più ragioni per vivere e la solitudine tanto agognata
sparire nel proprio
desiderio di ricongiungersi in tutto e per tutto a Itachi Uchiha, suo
fratello,
suo punto di riferimento, il suo amore, il suo tutto.
Sasuke sbottonò la zip della propria felpa, quel poco che
bastava per scoprire
mento e gola, per poi lasciare che l’acquerugiola lo
bagnasse, curandosi poco
della sensazione di disturbo causatagli. La sua mano finì
nella tasca destra
della tuta, rigorosamente blu, uguale a quella che indossava il suo
primo
giorno di Accademia; solo adattata all’attuale statura e
lunghezza delle gambe.
Lo sguardo era perso nel nulla, mentre con lentezza esacerbante tirava
fuori
dal pantalone un coltello in metallo: un kunai, per la precisione, uno
di
quegli aggeggi delle leggende metropolitane riguardanti il mito dei
ninja. Un’altra
delle tante scelte fatte adeguatamente a ciò che ricordava
di Itachi: tante volte,
quando era bambino, il maggiore gli aveva raccontato di questi esperti
delle
tattiche militari, i ninjutsu; erano vestiti con abiti neri di notte e
marroni
di giorno, combattenti di alto rango ferrati nelle arti marziali,
spionaggio,
omicidio mirato, sabotaggio e tortura. Non era stato di certo a
quell’età che
Itachi gli aveva spiegato tutto nel dettaglio, bensì si
limitava a parlare di
questi coraggiosi personaggi che si occupavano del mantenimento
dell’ordine
pubblico per conto della polizia giapponese, e della protezione dei
daimyo, i
signori feudali locali.
I kunai erano utilizzati come dardi da lancio o per scavare fosse nei
momenti
di necessità, ed erano parte fondamentale
dell’attrezzatura ninja. Itachi era
particolarmente affascinato da tale arma, tanto da averne una
collezione
propria stipata su uno scaffale nella propria camera, assieme alla
naginata,
alla kusarigama, agli shuriken e alla kusanagi.
Impugnato il kunai, Sasuke lo portò all’altezza
della clavicola, poi più in
alto, all’altezza del collo. Strinse la presa attorno
all’impugnatura in
metallo, scivolosa a causa del piovasco, mentre lo sguardo giaceva
morente
nell’immensità del mare che si estendeva di fronte
a sé.
«Otouto».
Un lampo.
«Otouto», ritentò Itachi, «se
continui a stare sotto la pioggia, ti verrà un
accidente».
Un tuono.
«Sasuke», Itachi si avvicinò con
accortezza al fratello minore, posandogli con
delicatezza una mano tra i capelli corvini, «non voglio che
ti ammali. Torniamo
a casa».
«Io non ho più una casa, Itachi», gli
rammentò amaro Sasuke, «la mia dimora è
dove sei tu».
Itachi tacque, continuando ad accarezzarlo.
«Me lo avevi promesso!», era il dolore a parlare,
il lato infantile sopito in
lui che non aveva mai accennato ad abbandonarlo; si era limitato a
tacere. «Avevi
detto che non mi avresti mai lasciato…»
«Lo so, Sasuke», il tono dispiaciuto sciolse il
cuore del minore, «non ti
lascerò più».
«Sei già andato via», affermò
solerte, «mi hai abbandonato un anno fa».
«Ne sono consapevole, otouto; ma ho dovuto»,
tentò di spiegare.
«Perché?»
«Non posso chiarirti questo dubbio, mi dispiace. Dovevo
farlo, era
semplicemente arrivato il mio momento».
«Ma io avevo bisogno di te! Avevi ancora una vita intera
davanti, avevi ancora…
me… E quello che ho fatto, io…», il
più piccolo digrignò i denti e soffocò
a
stento un pianto isterico, anche se le lacrime scendevano lo stesso in
abbondanza sulle gote pallide e fredde.
«Non ti lascerò più, otouto»,
promise solennemente Itachi.
«Mai più?», mormorò il
diciannovenne.
«Mai più».
«È una promessa?»
«È una promessa», rinfrancò
il ventiquattrenne, «ma adesso andiamo via».
Sasuke annuì, in silenzio.
«Chiudi gli occhi, otouto».
Il minore ubbidì.
Il tepore che contraddistingueva Itachi da tutti gli altri: lo sentiva;
erano
proprio le sue mani, quelle che si erano poggiate sui suoi occhi e
sulla sua
mano destra. La pioggia era sparita di colpo, il buio si era dissipato,
il
minore degli Uchiha poteva percepire la luminosità candida
della luce rischiarare
il proprio corpo; e piume nere gli carezzavano il volto, mentre il
fratello
impugnava al posto suo il kunai. Il pugno del più giovane si
aprì, l’altra mano
si erse all’altezza del proprio sterno, la voglia matta di
toccare il suo
nii-san che s’impossessava di lui.
E le lacrime. Diverse da qualunque altre avesse versato da quattro anni
addietro sino a quel giorno. Lacrime di gioia, l’avvedutezza
di raggiungere
quella quiete tanto auspicata, la speranza di riavere Itachi tra le
proprie
braccia e potersi accoccolare tra le braccia
di Itachi; stava imprimendo dentro sé
ogni sensazione con somma cautela,
pur di non dimenticare il sentore di compiacenza di quegli attimi
eterei.
«Ti amo, otouto».
«Ti amo, nii-san».
The end
__________________________________________________________________________________________________________
Glossario:
Naginata: alabarda.
Kusarigama: falcetto con catena.
Kusanagi: la spada di Sasuke, dalla lama perfettamente dritta, una
chokuto per
la precisione; proprio per la lama si differenzia da una normale katana.
NB:
Oh, beh, non so mai cosa dire quando giungo alla fine di una
storia.
Posso iniziare dicendoti che la parte in cui Sasuke trova Naruto morto
doveva
essere il prologo, e quest’ultima di Sasuke sulla spiaggia
con Itachi
l’epilogo… Ma poi messa così era
più leggibile e comprensibile, anche
perché è
una cosa piuttosto contorta
questa che ho scritto, quindi…
Vi lascio i link delle immagini:
1) http://i50.tinypic.com/2iiy3wz.jpg
: è
questa che mi ha ispirata all’abbigliamento di Sasuke quando
va a casa di
Naruto ^^
2) http://i48.tinypic.com/23k3gas.jpg
: gli
abbracci coccolosi di Naruto quando l’Uchiha è
perso nel vuoto della
disperazione
3) http://i46.tinypic.com/116rsjl.jpg
:
l’immagine dalla quale mi sono ispirata per il finale
4) http://i46.tinypic.com/2hyiff4.jpg
: the
last, but not the least,
l’immagine che mi ha ispirata per tutta la storia.
Note dell'autrice:
Ehm, salve... Già, questo è il
finale. Non so se ve lo sareste mai aspettato, non so se ci avete
pensato per un solo secondo, non so praticamente niente. È
solo uscito così e non sono mai riuscita a pensare ad un
modo più adeguato di concluderla. Tutto a causa
dell'immagine che vi ho citato sopra per quest'ultimo capitolo. Cavolo,
non so mai cosa dire quando posto l'ultimo capitolo di una fanfiction,
e non sono stata in grado di dire chissà che nemmeno alla
giudiciA stessa xD Sicuramente molte cose che non ho potuto
approfondire in questa versione saranno ampiamente spiegate nella
prossima, e spero davvero che vi interesserà. Saranno 21
capitoli, compresi di questi 7 già scritti, tra cui alcuni
anche rielaborati ed ampliati u_u Insomma, un lavoro piuttosto corposo,
ma vi confesso che mi è piaciuto tanto scrivere questa
storia e soprattutto non ringrazierò mai abbastanza le
persone che mi hanno seguita in questo mese. Mi ha fatto un piacere
immenso e ne approfitto per ringraziarvi singolarmente!
Grazie a chi ha seguito, preferito, ricordato e recensito, ovvero
Aki_12, alicey_y, casapi74, cola23, darkellina, EchoRosenrot_, Gol D
Roger, GoodGoneGirl, Gun, Jooles, JunoEFP, Lady Minorin Lovelace,
Lidja, littlefairy92, maty93, Mente libera, Micchi_Chan,
MocciosaMalfoy, moment 4 life, Noiz, ohtomlinson, PunkDario,
Sakurachan2326, Shikalove, ShoKey89, SuperSakura22, Tomohachiable, u s
h i o, valepassion95.
Grazie davvero.
Prima di lasciarvi in santa pace, vi informo che ci sarà
l'inserimento di alcune colonne sonore per tutti i capitoli, dato che
ho deciso di partecipare anche al contest "Red carpet" indetto da
clalla97.
Ed ora posso anche sparire.
Bacioni, Giacos.
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