さよなら涙 – Sayōnara namida

di Rhaenyra17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I will love you forever ***
Capitolo 2: *** Happy birthday! ***
Capitolo 3: *** Castore and Polluce. ***
Capitolo 4: *** Explosive evening! ***
Capitolo 5: *** 18 years... and then? ***
Capitolo 6: *** Suffering. ***
Capitolo 7: *** The last act. ***



Capitolo 1
*** I will love you forever ***


Autore: Giacopinzia17
Titolo:
さよなら – Sayounara namida
Fandom:
Naruto
Personaggi:
Itachi Uchiha, Sasuke Uchiha, Naruto Uzumaki, altri
Genere/i:
angst, triste
Rating:
arancione
Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Masashi Kishimoto. Io mi limito a scrivere un mucchio di stronzate... e mi piacerebbe che le disegnasse lui *-*
Note burocratiche:
QUESTA FANFICTION PARTECIPA AL CONTEST "FAMMI INNAMORARE! MIGLIOR COPPIA YAOI/SLASH" INDETTO DA FAFFINA SUL FORUM DI EFP.

Note dell'autrice: Salve, salvino, bel popolo popolino! (?) La rompipalle è tornata con una long di sette capitoli scritta in cinque giorni *-* Sono o non sono potente?? ... *scende dal piedistallo* No, è che, sono un po' esaltata, visto che non è mai accaduto che riuscissi a scrivere così tanto e in poco tempo. Ciancio alle bande. Il titolo significa "lacrime d'addio" e l'ho estrapolato dall'ending n°24 di Naruto Shippuden!
Reputo questa storia un prototipo, sicché è la prima volta che tratto "ampiamente", in un certo senso, di un rapporto incestuoso tra i fratelli Uchiha. Sappiate che ci sono anche accenni NaruSasu u_u perché questa storia è nata con l'intenzione di essere una Naruto/Sasuke... e poi mi è uscito un papiro Itachi/Sasuke grazie anche ad alcune immagini... Posterò col settimo capitolo anche l'immagine che ha dato vita a tutta la storia! Troverete capitolo per capitolo delle note aggiuntive, nelle quali ci saranno dei chiarimenti su alcune mie scelte e così via discorrendo. Il rating arancione ha penalizzato un po' la mia voglia di straziarvi con tutto l'angst del mondo, quindi sappiate che ho intenzione di rimettere la fic in cantiere e rielaborarla con altri dettagli e scene che, a causa di tempo, non sono riuscita ad aggiungere. Evito di sproloquiare oltre (alla giudiciA ho inviato delle note lunghe una pagina intera, quindi...) e vi lascio a questa sorta di introduzione, che è il primo capitolo.
Nella speranza che vi piaccia...
Ringrazio il mio miglioer amico PunkDario per il giappo-aiuto e l'aver sopportato i miei sproloqui in diretta ç_ç
Bacioni, Giacos.






Capitolo 1 – I
will love you forever.

[ Naruto Shippuden Soundtrack n°7 ]

«Otouto».
Silenzio.
«Otouto», ritentò un ragazzo di tredici anni, i capelli neri, lisci e lunghi dapprima ordinati in una coda bassa, ora colmi d’acqua e sciolti, «se continui a stare sotto la pioggia, ti verrà un accidente».
Un lampo.
«Sasuke», Itachi si avvicinò con accortezza al fratello minore, posandogli con delicatezza una mano tra i capelli corvini, «non voglio che ti ammali. Torniamo a casa».
Un tuono.
«Nii-san, li ho persi».
«Otouto, io sono ancora qui», tentò di rassicurarlo il più grande, cingendogli la snella vita e stringendolo forte a sé.
«Lo so», il più piccolo girò il capo fino ad incontrare lo sguardo intenerito del fratello maggiore, «tu non mi lascerai mai, vero?»
«No, otouto, non ti lascerò».
«È una promessa, nii-san?».
«Lo è», lo rassicurò Itachi, baciandogli la fronte e accarezzandogli con estrema delicatezza i capelli zuppi d’acqua, «ma adesso andiamo via».
In silenzio, Sasuke si strinse al busto del più grande e lo seguì.


**


«Sasuke, sicuro di non dimenticare nulla?», domandò Itachi al fratello minore, mentre quest’ultimo si allacciava le scarpe sull’uscio della porta di villa Uchiha.
«Itachi! Non ho più sei anni!», lo richiamò Sasuke, mentre un adorabile broncio si dipingeva sul volto niveo, le sopracciglia nere si corrucciavano e pochi ciuffi di capelli corvini gli infastidivano le palpebre.
«Vieni qui, dai».
Per quanto il più piccolo dei due continuasse a ricordargli che non era più un bambino e che ormai aveva tredici anni, Itachi proprio non riusciva a perdere quelle vecchie ed infantili abitudini, né risultava facile privarsi della propria indole iperprotettiva nei confronti di Sasuke. Per quanto la morte dei loro genitori avesse cambiato radicalmente il minore, sapeva che dietro quella corazza c’era il cuore tenero del bambino che conosceva. Purtroppo, però, la sofferenza aveva giocato un brutto ruolo in quella faccenda e quella perdita era stata traumatica per entrambi; per quanto Itachi non lo desse a vedere e si mostrasse sempre quieto e forte, soffriva tanto quanto il minore.
Sasuke si alzò e avvicinò al fratello, togliendosi e lasciando le scarpe sul parquet ben volentieri; orgoglioso com’era, non avrebbe mai ammesso che le attenzioni di Itachi lo rendevano dannatamente felice, né che non poteva assolutamente farne a meno.
Il maggiore picchiettò con delicatezza la fronte del più piccolo con l’indice e il medio, poi la inumidì con la saliva di un casto bacio appena accennato; al che il minore rabbrividì e le proprie guance s’imporporarono infantilmente.
«Dai il meglio di te in accademia, otouto», si raccomandò Itachi, lasciando che il fratellino, sbuffando, tornasse ad allacciarsi le scarpe; lo vide afferrare frettolosamente la borsa beige a tracolla, la tuta blu scuro che gli fasciava le gambe snelle e la felpa bianca con lo stemma della famiglia Uchiha che spiccava dietro la schiena, le manine che aggiustavano i capelli appena un attimo prima di uscire.
«Ci vediamo!», disse, poi chiuse la porta scorrevole in legno.


In religioso silenzio, Sasuke Uchiha camminava con pacatezza per le viottole ghiaiose del quartiere del proprio clan, le mani nelle tasche della tuta, l’espressione fiera e dura, alzando di tanto in tanto un velo di polvere che si apprestava a dileguarsi; si guardava attorno, salutando cugini di gradi lontani o parenti di primo e secondo grado, con un cenno del capo e niente più. Anche i membri del clan si erano ormai abituati al carattere scontroso e distante del fratellino di Itachi Uchiha e non vi davano più molta importanza; lo compativano, anzi: come biasimare il suo comportamento dopo la morte dei suoi genitori?
La consapevolezza che le persone la pensassero così e provassero pena per lui faceva imbestialire non poco il ragazzino, tenuto sempre a bada dal tono dolce ma perentorio di Itachi. Possibile che suo fratello avesse un qualche potere magico? La sua influenza su Sasuke era esasperante, eppure quest’ultimo si rifiutava di ribattere e talvolta adorava udire le parole serie, ma piene d’amore, di Itachi.
Pensando a ciò, lasciò che un sorriso quasi malinconico si facesse spazio sul suo volto, mentre dagli occhi non traspariva altro se non un profondo senso di solitudine. Non era mai stato fortunato sul fronte dell’amicizia, vuoi per il suo indissolubile legame col fratello, vuoi per il carattere schivo e il sarcasmo ben evidente e prorompente in ogni sua frase; era capace di usarlo anche pronunciando non più di due semplici parole. Peccato che la maggior parte delle persone scambiasse il sarcasmo per cattiveria; la famiglia Uchiha era una delle più potenti di Konoha e del Giappone intero, incuteva timore ad ogni possibile rivale scacciando quasi in automatico ogni vano tentativo di sopraffazione. Ogni Uchiha era dotato di abilità estremamente particolari che venivano affinate e perfezionate oltremisura col tempo, sin dalla prima infanzia. Per questo ottenevano senza alcun problema l’invidia pura di chiunque e la gioia sincera, e forse nemmeno così tanto onesta, di una cerchia ristretta di persone; ovviamente quelle che, in un qualche modo, erano affiliate agli Uchiha.
Dopo la morte dei suoi genitori, Sasuke aveva covato dentro sé una rabbia che non aveva mai tentato di sfogare in alcun modo, se non con delle lacrime che, di tanto in tanto e con una prepotenza sovraumana, scendevano copiose sul suo viso e finivano per bagnare le lenzuola del letto e la federa del proprio cuscino. Accadeva sempre di notte, contribuendo in modo tale che il giovane potesse trascorrerne di insonni, una dopo l’altra. Puntualmente Itachi si ritrovava a prendere il fratello in braccio e, con delicatezza, lo poggiava sul letto nella sua stanza, s’infiltrava sotto le coperte e lo stringeva forte al petto, finché Sasuke non si fosse calmato e addormentato.
Solo quando dormiva con il fratello, il minore riusciva a riposare senza incubi né sogni; un sonno tranquillo, cullato dalle braccia del più grande.
Persosi in questi pensieri, Sasuke si accorse a stento di essere giunto dinanzi all’Accademia di Konoha: il giardino che contornava la struttura era ricolmo di bambini della sua età, la maggior parte con ambedue i genitori, alcuni solo con uno dei due e uno, come lui, completamente solo. Impossibile non notare una chioma dorata, il capo chino e il corpo gracilino poggiato sull’altalena penzolante da un albero robusto.
Da parte sua, quel bambino alzò il capo, evidentemente per la pressante sensazione di sentirsi osservato da qualcuno e incrociò lo sguardo di Sasuke, mostrando le proprie iridi cristalline, splendenti come due zaffiri, colme della stessa tristezza che gremiva l’animo del piccolo Uchiha.
Lo vide accennare un sorriso e mordicchiarsi il labbro inferiore, prima di scendere svogliatamente dall’altalena ed avviarsi, le mani posate nelle tasche dei pantaloni beige che indossava, verso l’ingresso.
E per la prima volta Sasuke desiderò che qualcuno fosse suo amico; per la prima volta, sentì che esisteva la possibilità che qualcuno, oltre a Itachi, si affezionasse a lui.

**

«Otouto, guarda che non c’è nulla di male se per una volta ti fai un amico», sentenziò Itachi, non trovando una ragione plausibile per la quale il suo fratellino non volesse avvicinarsi a qualcuno per instaurare almeno un rapporto pacifico. Era consapevole che ne soffriva tanto, eppure non sapeva come fare; non poteva mica avvicinarsi lui stesso a qualche bambino per presentargli Sasuke? Non aveva più sei anni, glielo aveva ripetuto quella mattina il minore stesso, eppure certi atteggiamenti lasciavano tranquillamente pensare il contrario.
«Ma… Itachi…», provò a lamentarsi il più giovane, ma ogni tentativo di replica fu smarrito nelle braccia del maggiore attorno alle sue spalle, una mano sulla nuca e il mento poggiato sul capo del più piccolo.
«Promettimi che ci proverai domani», lo impetrò in un sussurro, un tono di supplica misto ad una dolcezza che sgorgava dal proprio animo solo quando si trattava del fratellino. «Allora?»
«E va bene!», asserì con tono lagnoso Sasuke, abbandonandosi alle coccole di Itachi. «Nii-san, posso farti una domanda?»
«Certo che puoi, Sasuke».
«Ma tu ce l’hai una fidanzata?», lo interrogò il tredicenne, scrutandolo con sguardo pensieroso e speranzoso al tempo stesso, per poi chinare nuovamente il capo; cosa che Itachi non seppe spiegarsi e che decise di accantonare immediatamente.
«Perché mi domandi una cosa simile, otouto?», indagò l’Uchiha più grande, corrugando la fronte e approfittando del fatto che l’altro non lo stesse guardando in viso.
«Io…», cominciò, poi scosse la testa e riprese: «Lascia stare, nii-san… Posso dormire con te, stanotte?»
«Solo se mi dici cosa ti passa per la testolina».
Uno sbuffo esasperato.
«Fa nulla, oyasumi, Itachi-san», detto ciò, si staccò dal fratello e si avviò verso le scale, che l’avrebbero condotto al piano superiore e alla sua cameretta.
«Quanto resisterai, otouto?», pensò intenerito il maggiore, per poi apprestarsi a spegnere il televisore e andare a farsi una doccia.

Era da circa mezz’ora che Sasuke si rigirava in continuazione nel letto, aggrovigliandosi spesso con le lenzuola e imprecandogli contro sottovoce; l’aria settembrina era un misto tra caldo e freddo, eppure il ragazzino pareva avvertire più il calore che la freschezza nell’aria. Decise di alzarsi e andare in bagno, per rinfrescarsi un po’ la faccia: magari il calore si sarebbe dileguato e lui avrebbe potuto tentare di dormire; nella speranza che quei maledetti pensieri lo lasciassero in pace.
Strusciando i piedi coperti da calzini blu, si accinse a raggiungere il bagno mentre sbadigliava, più annoiato che assonnato, e l’aprì tranquillamente, giacché la serratura non era chiusa a chiave. Si passò le mani sugli occhi, poi chiuse la porta a chiave e si voltò verso il lavabo; si bloccò di colpo.
«Ancora sveglio, otouto?», chiese Itachi, aprendo di un paio di centimetri l’anta della cabina-doccia, in modo da poter guardare il fratellino; le sue guance ormai tiziane lo rendevano più carino di quanto non fosse già. Il maggiore aprì completamente la cabina, afferrando un asciugamano e arrotolandolo attorno alla vita, così da coprire la propria intimità; poggiò i piedi su un telo steso dinanzi alla doccia e si avvicinò pericolosamente al fratellino. Quest’ultimo s’irrigidì e si voltò bruscamente, chinando il busto sul lavandino e aprì il getto d’acqua gelida, per poi congiungere le mani, riempirle e aspergere il viso dalla fronte al mento, dal quale alcune goccioline scesero dispoticamente sulla gola, sino a morire nel tessuto leggero della maglietta bianca.
«Sì».
«E come mai?»
«Fa caldo», espirò il minore, inumidendosi i polsi e sfregando le mani.
«Non così tanto, otouto. Sei agitato?»
Per tutta risposta, il tredicenne sbuffò. Quell’innata abilità di Itachi di scovare anche il minimo dettaglio fuori posto metteva in soggezione Sasuke; lo faceva sentire nudo, privo di ogni barriera che gli oscurasse la visuale. Era tremendamente imbarazzante essere costantemente osservato e compreso, per quanto potesse invidiare ed elogiare la capacità del maggiore.
«Puoi ancora dormire con me, se vuoi», gli rimembrò mestamente, accarezzandogli una guancia e sorridendo, addolcito dalla tenerezza di Sasuke che, quasi come se fosse un animaletto domestico in vena di coccole, aveva iniziato a strusciare la gota contro la mano grande e irrorata del nii-san. Corrucciandosi, il ragazzino, edotto del fatto che lui stesso stava contribuendo a denudarsi dinanzi a Itachi, si accostò al suo busto austero, appoggiandoci contro la fronte ancora umidiccia.
«Voglio dormire con te, nii-san…», confessò trepidante, «ma ciò significa che dovrò dirti quella cosa».
«Solo se vuoi, Sasuke», placò il suo lieve timore Itachi, «non voglio obbligarti a fare qualcosa che non vuoi».
Quando il tredicenne alzò il viso e incrociò lo sguardo premuroso del maggiore, si sentì palesemente rincuorato e, in contemporanea, in una parte di sé stava sbocciando la cupidigia di metterlo al corrente di ciò che aveva scaturito quel quesito. Nei suoi occhi brillava un fulgore diverso, gremito di indulgenza e purezza, che scaldò il cuore di Itachi.
«Grazie, nii-san».
Le labbra del maggiore, di un rosa pallido e dai lineamenti delicati, si accostarono con bramosia alla pelle del fratellino, che dal canto suo sentì il battito cardiaco accelerare, rintronando i sensi raggelati e surriscaldati in contemporanea. Le dita smilze di Sasuke si mossero celermente, sino a posarsi tra la clavicola e la scapola del diciottenne, le punte delle dita dei piedi adagiate sul pavimento e i talloni rialzati, il busto eretto e il collo che si protendeva verso quella fonte di incomparabile calore e cedevolezza.
Fu grazie ai pronti riflessi di Itachi, o all’incuria di Sasuke, che le loro bocche non si unirono in un casto ma illecito bacio; infatti, le labbra del più grande deviarono la propria traiettoria, così come quella del minore, andando a poggiarsi agli angoli delle rispettive fauci. Suo malgrado ed ingollando a fatica, il tredicenne si disgiunse dal piacente corpo da novello uomo del fratello e, a capo chino, anelò.
«Ti aspetto… in camera tua».
Sebbene fosse opportuno non guardare Itachi mentre si affrancava dal canovaccio, il più giovane non resistette e il suo sguardo cadde sul posteriore del fratello, che si apprestava ad afferrare dei boxer bianchi ed attillati, infilandoseli con estrema placidità. Trattenendo il respiro, il minore si voltò e s’instradò verso la soglia del bagno. Girò la chiave nella serratura, facendola scattare e in men che non si dica si fiondò fuori da quella stanza, precipitandosi nel confortevole giaciglio del nii-san.
Nemmeno un paio di minuti dopo, vide affiorare dall’uscio la sua figura slanciata e ben proporzionata e non la perse di vista finché non gli fu possibile ammirare solo i pettorali delineati attraverso la maglietta aderente che indossava, i capelli neri ancora madidi d’acqua, di nuovo le sue labbra e il suo viso minuto.
Tacquero per una manciata di attimi, prima che Sasuke desse voce ai propri pensieri.
«Nii-san», lo appellò.
«Cosa c’è, otouto?», lo sollecitò ad esprimersi Itachi.
«Ecco, vedi…», in preda allo sconforto, il tredicenne prese a morsicchiarsi il labbro inferiore, «È… Riguarda quello a cui ho accennato prima».
Il maggiore ridacchiò: sapeva che il suo otouto avrebbe sputato il rospo; lo conosceva troppo bene per potersi sbagliare.
«Io… ho paura. Ecco, l’ho detto», nascose il viso nell’incavo del collo del maggiore, stringendosi forte a lui, tremolante ed insicuro, impaurito e… geloso?
«E perché mai dovresti averne, Sasuke?», domandò esterrefatto il diciottenne, inarcando un sopracciglio e avvicinando maggiormente il fisico asciutto del più piccolo a sé, in un’ambigua manifestazione di conforto.
«Perché poi lei ti porterebbe via da me!», lo accusò furibondo e sgomentato, «Io non voglio che tu mi lasci solo, mai!»
«Non accadrà, mio stolto fratellino», lo schernì gioiosamente Itachi, «credi davvero che ti lascerei solo per una qualunque?»
«Beh, se è la tua fidanzata, non è proprio “una qualunque”», puntualizzò stizzito l’altro.
«Che ti sia ben chiara una cosa: tu sei la cosa più importante, per me. Questo non lo cambierà mai niente e nessuno. Io ti proteggerò e amerò per sempre».
Cullato dal dolce suono di quelle rassicuranti parole, il tredicenne sorrise contro la pelle profumata del più grande, accoccolandosi sereno.
«Anche io, Itachi».
Da allora, l’argomento non fu più accennato nemmeno minimamente.


«Peccato che tu non lo interpreti come faccio io, nii-san…», pensò inappagato il minore, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo… e di Itachi Uchiha.

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Glossario:
Oyasumi: buonanotte.
Otouto: fratello minore.
Nii-san: fratello maggiore.

NB:
“Io ti proteggerò”: lo dice Itachi a Sasuke quando quest’ultimo è appena un neonato e il fratello ha cinque anni.
“Ti amerò per sempre”: Itachi lo dice a Sasuke nel capitolo 590.

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Capitolo 2
*** Happy birthday! ***


CAPITOLO 2 – Happy birthday!

[ Ludovico Einaudi - Le onde ]

«Sasuke, sei insopportabile!», ringhiò Naruto, dopo esser stato deriso per l’ennesima volta dal compagno.
«Dobe, non è colpa mia se sei una schiappa a rimbalzello».
«Sei odioso!», sbraitò, gettando i sassolini che aveva tra le mani e lanciandosi in acqua. Sasuke scosse la testa divertito e decise di seguirlo; si accostò al mare con grazia e lentezza, mentre il biondino urlava e rimaneva in apnea di continuo.
«È il momento buono, forse», lo schernì il moro non appena il compagno risalì a galla, celando con accortezza il suo sguardo lascivo nel delineare i muscoli accennati del compagno: il costume pareva d’un tratto troppo largo per lui, mentre si abbassava sino a lasciare lembi di pelle chiara e poco abbronzata, al confronto col resto dell’epidermide morbida del biondo, dell’inguine, un boxer nero s’intravedeva appena e gli occhi cristallini erano la cosa più bella che l’Uchiha avesse mai visto.
No: Naruto era la visione più bella di cui potesse godere, si corresse mentalmente, scuotendo il capo e fissando l’orizzonte, assorto.
«Non quanto Itachi, ma era ovvio», stimò, sospirando.
«Il momento buono per cosa?»
«Per affogarti», annunciò, prima di scagliarsi sul corpo del compagno e bloccarlo sott’acqua. Una serie di bollicine salì sino alla superficie della marea, mentre Naruto si agitava e tentava di calciare le gambe pallide del compagno.
Sasuke decise di lasciarlo stare, così mollò la presa e si tuffò sott’acqua, uscendo soltanto quando fu certo di essersi allontanato di qualche metro da quell’uragano di compagno che si ritrovava.
«TEME!», urlò l’Uzumaki, nuotando a più non posso, muovendo ritmicamente braccia e gambe, gestendo con maestria la respirazione al tempo giusto e raggiungendo finalmente il moro, che se ne stava tranquillo fischiettando e fissando i cumulonembi che si ergevano nel cielo azzurro.
«Smettila di urlare come un tacchino impazzito, usuratonkachi», lo richiamò Sasuke, atono come al solito, mentre le mani si muovevano con lentezza esasperante nell’acqua, spostandone dapprima poca, poi sempre più sino a schizzare il biondino.
«Baka! Baka, baka, baka!»
«Taci, dobe», sbuffò l’Uchiha, nuotando verso riva.
«Già te ne vai?!», domandò Naruto che, non ricevendo risposta, continuò ad urlargli contro: «Sas’ke!»
Quest’ultimo continuò ad ignorarlo, finché non raggiunse la riva e, facendo poco caso alla sabbia cocente, si avviò verso gli asciugamani posati sotto l’ombrellone. Si voltò finalmente verso Naruto, facendogli un cenno per avvertirlo che sarebbe andato a fare una doccia e, afferrata l’asciugamano e il costume puliti, assieme alla borsa contenente un bagnoschiuma e uno shampoo, si apprestò a raggiungere le cabine.
I capelli ondeggiavano e venivano sgarbugliati dalla brezza estiva, il sole cocente batteva sull’epidermide eburnea del giovane Uchiha, colma di protezione dai raggi UV, la più alta che Itachi avesse trovato al supermercato, il respiro si sentiva appena e dinanzi ai suoi occhi aveva ben chiaro il colore ceruleo di quelli del compagno.
Scosse il capo, beffeggiando persino se stesso per quella debolezza che non avrebbe mai ammesso ad alta voce, poi inserì un gettone nel comparto doccia e lasciò che l’acqua gelida gli portasse via tutti i residui del sale. Afferrò la boccetta di bagnoschiuma e la schiacciò, facendone fuoriuscire un liquido verdognolo che ben presto non diventò altro se non bollicine di schiuma candida. Effettuò lo stesso procedimento con lo shampoo, insaponandosi i capelli e sciacquandosi poi completamente, massaggiando la cute e accarezzando la sofficità infantile della propria pelle.
«Eccoti qui, Uchiha Sasuke».
Una voce roca e possente risuonò per l’abitacolo, attirando l’attenzione di un sorpreso Sasuke; non si era nemmeno reso conto della presenza di altre persone, specialmente per il fatto che la spiaggia era… deserta. E allora cosa ci faceva quell’uomo lì e soprattutto, chi era?! Una parte di lui aveva timore di scoprirlo, una minima porzione del suo animo tentennava e un’altra ancora fremeva per fuoriuscire e mostrare a quel bastardo qualcosa, anche se l’Uchiha non sapeva esattamente cosa.
«E tu chi saresti?», domandò stralunato, voltatosi verso la persona alla quale apparteneva la voce. La figura longilinea gli ricordò vagamente qualcuno… una persona piuttosto familiare. Qualcuno con cui era solito trascorrere il suo tempo, gente che vedeva molto spesso se non sempre.
«La mia popolarità parla prima di me, di solito, mi stupisco che tu non conosca la mia identità».
I capelli dell’uomo erano folti e lunghi, un nero corvino con riflessi blu, notabili solo grazie alla luce, del sole o dei neon che fosse, occhi neri e cipiglio severo, tono gagliardo e perentorio, un’immane freddezza che spuntava da ogni millimetro di quel corpo robusto e coperto da un’attillata tuta nera, sulla quale pendeva un’armatura rosso scuro e lo stemma del clan Uchiha a sua volta ciondolava da quest’ultima. Un Gunbai era poggiato sulla schiena rigida e si ergeva dietro le sue spalle imponenti.
«Tu sei un Uchiha», osservò, «ma non ti ho mai visto a Konoha».
Una risata malvagia risuonò prepotentemente in quel minuscolo spazio e fece rabbrividire addirittura l’imperscrutabile moro, che sbarrò gli occhi e digrignò i denti, infastidito dalle sensazioni che stava provando.
«Certo che non mi hai mai visto, ho lasciato Konoha molto tempo fa».
«Ah, sì? E perché mai?», Sasuke cercava disperatamente di prendere tempo, senza che attraverso la sua voce o il suo volto trasparisse alcuna emozione e specialmente non si intravedesse neanche un minimo barlume di timore.
«Perché io sono Uchiha Madara».
Il giovane rabbrividì e lo sconcerto s’impadronì di ogni singola parte del suo corpo, le viscere gli ribollivano e un lieve tremolio trasparì dalle mani serrate in pugni.



Naruto si era stancato di guizzare nell’acqua come un pesce e, dopo aver fatto un ultimo paio di tuffi, decise che era giunta l’ora di tornare all’ombrellone ed asciugarsi un po’. A sostegno della sua decisione, c’erano le sue mani, la cui pelle era terribilmente spugnata e raggrinzita; proprio non poteva rimanere ancora in acqua. D’altronde, l’estate era relativamente appena cominciata e aveva ancora un bel po’ di tempo da trascorrere sulla spiaggia, di mattina, di pomeriggio ed eventualmente avrebbe convinto i compagni ad organizzare un falò; anche solo per una o due notti.
Arrivato sotto l’ombrellone, afferrò il proprio asciugamano dalla sedia a sdraio e lo scosse un po’, così che la sabbia fosse scacciata via dallo stesso vento che ce l’aveva portata.
«Che bella giornata, dattebayo!», urlò gioioso, mentre stiracchiava i propri muscoli e tentava di riabituarsi alla terraferma. Aveva nuotato decisamente troppo. «Che fine avrà fatto Sasuke? È da mezz’ora che se ne sta nelle docce!»
Decise così di attendere un’altra manciata di minuti e, se Sasuke non fosse tornato nel frattempo che si asciugava un minimo, sarebbe andato a tirarlo per le orecchie e l’avrebbe interrotto dalla doccia restauratrice… Che poi l’Uzumaki era perfettamente consapevole del fatto che le docce sulle spiagge fossero gelide!
«Tsk, proprio come quel teme!», ghignò, soddisfatto del sillogismo che gli era appena apparso nella mente: «L’acqua delle docce sulla spiaggia è gelida, Sasuke è gelido: Sasuke è una doccia sulla spiaggia!»
Sorridente, il biondino decise di raggiungere il compagno e farsi lui stesso una doccia, dopo aver appurato di essere appiccicaticcio da far paura. Notò che la borsa nella quale erano riposti shampoo e bagnoschiuma mancava, quindi Sasuke l’aveva portata con sé; «meglio», pensò, «meno roba da portare con me!»
Afferrò con rapidità le ciabatte, pur di non ustionarsi i piedi a causa della sabbia rovente, che comunque batteva imperterrita sui piedi umidi dell’Uzumaki mentre camminava, direzione cabine-doccia.
Si affacciò leggermente, poggiando le mani sulle mattonelle unte e scivolose a causa dell’acqua e sbirciando Sasuke: era sconcertato, rigido come l’acciaio e nemmeno l’acqua congelata pareva scalfire la sua superficie di indifferenza ed imperscrutabilità.
Peccato che si curò poco di quei pensieri e lasciò subito cadere eventuali riflessioni o tesi di qualsivoglia tipo, impegnato com’era a fissare languidamente il suo corpo come non aveva mai pensato, né osato fare prima. E per la prima volta gli parve bello, bello da morire; perfetto, il candore della sua pelle che s’intersecava alla perfezione con il nero delle sue pupille dilatate, le sopracciglia scure e i capelli con riflessi bluastri, le dita lunghe e affusolate, il fisico asciutto ma tonico, il costume blu con il ventaglio Uchiha stampato sul lato sinistro, i lacci slegati e, paradiso terrestre, le labbra socchiuse e bagnate. Il suo sguardo vagava dall’alto al basso, irrefrenabile, incurante del fatto che nemmeno lontanamente avrebbe dovuto pensare una cosa simile; eppure non riusciva a smettere. Ma da quando quel teme era così attraente?!
Deglutendo a fatica e stringendo pugni e denti, si decise a poggiare su di uno sgabello il proprio asciugamano, assieme a quello del compagno, ed entrò nel comparto doccia, catturando l’attenzione di Sasuke. Il giovane Uchiha si apprestò a scuotere il capo e voltarsi verso le piastrelle, mentre le mani impugnavano i bordi del costume e si accingevano a sfilarlo. L’Uzumaki trattenne il fiato, estasiato e spaventato dal vortice di emozioni che si stava impossessando di lui, poi si decise ad aprire l’acqua e rabbrividì.
«Cazzo se è fredda!», imprecò irosamente, maledicendo chiunque avesse deciso di concedere ai bagnanti una doccia fredda dopo essersi abituati al calore solare e marittimo.
«Ma ti lamenti sempre, Naruto?!»
Il volto bronzeo del biondino scattò in un rapido movimento e, voltatosi verso l’Uchiha, rimase fermo, gli occhi che lo scrutavano visibilmente incuriositi da quella inaspettata carenza: da quando lo chiamava per nome? Non l’aveva mai fatto prima d’allora; sin da quando avevano spiccicato parola per la prima volta, Sasuke l’aveva battezzato come “dobe” o al massimo “usuratonkachi”, ma mai in precedenza Naruto si era reso conto di quanto fosse bello il suo nome, né aveva potuto bearsi del suono idilliaco fuoriuscente dalle labbra del compagno.
«Cos’hai da guardare, dobe?»
Il moro, dal canto suo, si era reso conto di quella terribile figuraccia che aveva fatto, anche se di brutta figura non c’era proprio un bel nulla. Sarà stato forse a causa dell’agitazione momentanea e lo scudo abbassato per pochi attimi, però le sue corde vocali avevano fatto ciò che più le aggradava e le labbra si erano mosse in automatico. Probabilmente gli sarebbe bastato non parlarne e far finta di nulla; peccato che Naruto non fosse dello stesso avviso.
«T-tu... mi…», balbettò, in preda allo stupore più puro e all’assuefazione totale, quell’annebbiamento mentale che non gli consentiva di sparare meno cavolate del solito; sicuramente molte di più.
«Cosa, usuratonkachi? Ti piaccio, per caso?», lo dileggiò l’Uchiha, pensando che magari i pensieri poco casti fatti mentre erano in acqua poco prima si sarebbero dileguati, o almeno gli avessero procurato un rivoltante senso di puro disgusto, tanto da farlo tornare immediatamente sulla retta vita.
«Teme!», inveì l’Uzumaki, arrossendo di vergogna. «Ma che cosa ti salta in mente!»
Di sicuro il tremolio nella propria voce l’aveva tradito e di certo il moro non se l’era fatto sfuggire; ciononostante, Sasuke non lo canzonò, né proferì ulteriori parole. Si limitò ad un’alzata di sopracciglia, mentre si calava anche l’intimo e si liberava con i piedi di quelle costrizioni.
Naruto si apprestò a guardare altrove, ma si trovò costretto a parlare ancora con l’altro, sforzandosi di non fissare… lì.
«Mi passeresti bagnoschiuma e shampoo?», inghiottì faticosamente la propria saliva, quel poco che gli restava, mentre si passava la lingua sulle labbra nel tentativo di assorbire un po’ d’acqua e rifornire le proprie ghiandole salivari.
«Sei un rompipalle, dobe», sibilò il più grande, porgendogli i due contenitori e fissando il solito adorabile broncio dell’Uzumaki.
«“Adorabile”, tsk», ponderò l’Uchiha, ringhiando e mordendosi a sangue il labbro inferiore, «guarda un po’ tu cosa vado a pensare».
«Oh Kami, Sas’ke!», esordì Naruto, le sopracciglia corrucciate e la bocca semichiusa, gli occhi lucidi e le palpebre aperte a fatica a causa del getto d’acqua, le mani impegnate ad impugnare la mandibola dell’Uchiha… e il sangue che colava lungo il mento dalle labbra. Quasi come se fosse la cosa più naturale del mondo, il più piccolo tra i due accostò la propria bocca alla mascella tinta di rosso sbiadito, grazie all’acqua che lo diluiva in fretta.
Fu la sua lingua a fare tutto il resto: leccare via il sangue e poi, con altrettanta disinvoltura, prese a succhiare il labbro inferiore, laddove vi era il taglio. Sasuke, invece, era completamente immobile, incapace di riflettere o parlare, così da allontanare la cavità orale del biondino dalla sua. Ma ogni millimetro di sé non desiderava altro che quel tocco, e quella sensazione contribuì a farlo innervosire più di quanto non fosse già a causa dell’incontro con quel Madara.
Preso dalla foga del momento, Naruto nemmeno si accorse di aver spinto e bloccato Sasuke con la schiena sulle mattonelle gelide; con una mano gli teneva i polsi, mentre con l’altra aveva iniziato ad accarezzargli il petto, facendolo fremere sotto il tocco bollente e gelido in contemporanea.
«Sas’ke…»
Il suono della sua voce riscosse parzialmente Sasuke.
«Kami, solo ora mi rendo conto di quanto ti desidero…»
Gli schizzi dell’acqua sulla superficie di ceramica bianca della doccia erano superflui e, sino a quel momento, l’Uchiha non ci aveva nemmeno badato tanto; eppure in quel preciso attimo avrebbe rivolto la propria attenzione a qualunque cosa, pur di risvegliarsi da quella sorta di trance ipnotica indottagli dal biondino.
E una dannatissima parte di lui continuava a resistere al suo raziocinio.
«Naruto, fermati».
«È davvero quello che vuoi, Sasuke?», postulò l’Uzumaki, leccando con fervore quelle labbra invitanti; con decisione, chinò il capo e notò con piacere che il membro del compagno era eretto. «A me sembra che lui non voglia che io smetta…», lo provocò, portando una mano sull’erezione e massaggiandola con decisione. La frizione che scaturì da quel tocco scosse non poco Sasuke, che ne approfittò per sbraitargli contro e spingerlo dall’altro lato della cabina, rosso dalla vergogna.
«Cosa cazzo ti passa per la testa, neh, Uzumaki?!», berciò il moro, tentato dallo spiattellare sul viso del biondo le proprie nocche, già strette e tirate, bianche per lo sforzo a cui sottoponeva i tendini.
«Teme, io…»
L’Uchiha non udì mai le parole che sarebbero fuoriuscite dalla bocca del compagno.

**

Correva.
Il fratello minore di Itachi Uchiha correva.
Erano appena passate le cinque e trenta del pomeriggio e lui correva a perdifiato sino alla villa di famiglia. Affannato, sudato, l’asciugamano poggiato sulla spalla e una borsa da spiaggia tra le mani, le ciabatte da mare alle quali erano appiccicati granelli di sabbia. Giunto a destinazione, il giovane aprì la porta e si guardò attorno; indugiò qualche istante, aspettandosi che il maggiore gli desse il bentornato come era solito fare ogni volta che tornava a casa.
Constatando che non sarebbe andato a salutarlo, si preoccupò e istintivamente salì gli scalini a due a due sino al piano superiore.
«Itachi!», strillò Sasuke, precipitandosi sbrigativamente nella stanza del nii-san, la cui porta era socchiusa e un anomalo silenzio si disseminava nell’intera abitazione. Inquieto com’era, il minore non poté fare a meno di lasciarsi andare al sentore di spavento che s’impadroniva di lui e spalancò la porta con dispnea.
E se ne pentì all’istante.
La visione che si presentò dinanzi ai suoi occhi stralunati e inviperiti era la più uggiosa che potesse ispezionare con le pupille dilatate e le iridi traballanti.
Era sconcertato, eccome se lo era.
Incredulo.
Invidioso.
Dannatamente geloso e indispettito.
Come osava…?
«Sasuke…? Sei già tornato?», Itachi parve non scomporsi minimamente, disteso supino e le mani poggiate sui fianchi di una deliziosa ragazza dai capelli rosati e gli occhi verdi, il volto pallido e le guance colorate di un rosso porpora; le mani curate, sulle cui unghie risaltava uno smalto viola lucido con decori neri, puntellato di bianco e in alcuni tratti brillantinato, massaggiavano impetuose il petto nudo del fratello.
Nudo.
E la maglietta di lei era alzata sino al seno esiguo, lasciando libera la visuale del ventre piatto e pallido e di un piccolo tatuaggio di un fiore di ciliegio e una “S.” minuscola, marchiata al di sotto, su di un fianco.
«Lui è il tuo fratellino?», chiese la ragazza, nel tentativo di nascondere l’imbarazzo e coprendosi, abbandonando la posizione a cavalcioni sull’inguine gonfio di Itachi.
Gonfio
«Sì, Sakura…», replicò atono Itachi, lo sguardo fisso sul fratellino irrigidito sul posto e coi pugni serrati. «Se vuoi scusarmi».
Fece per alzarsi, ma Sasuke ribatté prima che potesse fare qualunque altro movimento.
«Non aspettarmi per cena, sarò con Naruto», dichiarò il più giovane, «anzi, probabilmente trascorrerò proprio la notte fuori».
«Ma domani è il tuo compleanno, otouto… Lo sai che ci tengo che tu spenga le candeline a mezzanotte in punto», persistette il maggiore, cogliendo quel fastidio immane e la confusione nelle parole del più piccolo.
«Sì, per l’appunto», rantolò Sasuke, «è il mio compleanno e voglio fare ciò che più mi aggrada».
La voce sicura del ventiduenne si affievolì gradualmente, mentre appurava che la figura snella del neo-diciassettenne si era ormai allontanata e i suoi timpani percepirono il suono dissipato dei suoi passi e della porta della sua camera chiusa con violenza.

Sbigottito, Sasuke si era chiuso in camera, intento a spogliarsi dell’abbigliamento da spiaggia e ad indossare un jeans a sigaretta con una cintura in pelle nera, una maglietta bianca con uno scollo a V esaltato dalle pieghettature del colletto, una giacca sportiva color grigio scuro, un bracciale con borchie abbottonato al polso destro e due collane: una in oro bianco regalatagli dal nii-san l’anno precedente, una in argento con un ciondolo a forma di spirale arancione - rossastra, anch’essa donatagli il giorno del suo sedicesimo compleanno da Naruto.
Gli era piaciuto pensare che le due persone più importanti per lui sembravano quasi essersi consultate prima di scegliere dei regali azzardati ma azzeccati come quelli, lo ricordava bene. Il presentimento di un legame inenarrabile con ambedue i ragazzi lo lasciava senza fiato, sconvolgendo in maniera più che positiva i sentimenti che fasciavano con garbo l’animo e il cuore infranti del ragazzino.
Aveva continuato ad indossarle assiduamente, senza staccarsi mai se non per il mare, per la doccia e per dormire; giusto per non rovinarle o romperle.
Afferrato lo stretto necessario e ripostolo frettolosamente in uno zaino, Sasuke si era avviato verso la porta e, uscendo, si era guardato indietro, nella speranza che tutto quello che aveva visto al piano superiore, di Itachi e quella Sakura, fosse soltanto frutto della sua immaginazione, fonte di paura e disprezzo, bramosia di ogni singolo millimetro dell’altro del tutto inaspettata; perché stava ammettendo a se stesso di desiderare Itachi in quel senso?
«Sarà meglio che io non ci pensi…», giudicò, estraendo dal pantalone il proprio cellulare. Pigiò i tasti con estrema celerità mentre lo sguardo vagava da una parte all’altra dello schermo illuminato.
«Sei a casa?», inviò l’sms e si bloccò in strada, in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
«Sì, perché?», leggendo la risposta, ghignò divertito e mordendosi le labbra, scrisse la sua successiva affermazione.
«Io e te abbiamo una questione in sospeso».
Accelerò il passo e in meno di quindici minuti giunse all’appartamento del compagno; cercò di velocizzarsi quanto più gli fosse possibile, giusto per non ripensarci e tirarsi indietro. Ormai aveva preso quella decisione e non avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Inoltre il biondino pareva più che consenziente ed estremamente voglioso quella mattina, quindi non ci sarebbe nemmeno stata la necessità di convincerlo a stargli sotto…
Suonò il campanello, mettendo le mani in tasca dopo essersi sistemato i capelli, il cipiglio scuro e libidinoso al contempo che sorprese Naruto non appena gli aprì la porta, le labbra socchiuse e la frenesia nei movimenti; un impercettibile spostamento d’aria e i due si trovarono chiusi all’interno dell’abitazione, senza l’esigenza di proferire alcun quesito o di parlare.
Gli unici suoni che colmarono l’atmosfera concupiscente in quell’appartamento furono gli ansimi e i gemiti smorzati, il crepitio del letto e le pelli struscianti, gli schiocchi di baci a fior di labbra e approfonditi, l’odore di sesso che trasudava dai corpi madidi di Naruto e Sasuke.


Bzz.
Bzz, bzz.

«Sasuke, ti supplico, rispondi a questo dannatissimo telefono prima che io lo lanci contro un muro e lo distrugga».
«Da’ qua, dobe».
Sullo schermo appariva il nome “Itachi”.
«Sì?»
«Si può sapere che fine hai fatto? Sono le due di notte e non ti sei ancora fatto vivo!», lo ammonì Itachi, cercando di placare la sua ira e la preoccupazione a causa del minore.
«Ricordo di averti avvertito della mia assenza di stanotte, prima», rispose a tono Sasuke.
«Torna immediatamente a casa», ordinò perentorio il maggiore, mordendosi furiosamente il labbro inferiore; perché diavolo si stava comportando così?
«No».
Silenzio.
Per la prima volta, Sasuke aveva resistito al tono inflessibile di Itachi Uchiha; certo, si sentiva male, un lurido verme che arditamente andava contro l’unico che non l’avesse mai abbandonato e ferito.
«No, lui mi ha ferito», sentenziò nel suo cervello, «non si è curato di me ed è stato con quella».
«Sasuke, non farmi ripetere e torna qui», scongiurò il maggiore, al limite della propria apparentemente illimitata pazienza, «subito. E chiariremo, se è quello che vuoi».
Colto in fallo; di nuovo. Arrotando i denti e stringendo i pugni, il minore sbuffò.
«N… Accidenti! Sto arrivando, va bene?!».
«Molto meglio», sospirò rincuorato il ventiduenne.

Approdato a casa propria dopo aver abbandonato un dormiente Naruto Uzumaki, Sasuke stringeva forte le nocche e batteva ripetutamente il piede sul terreno, indeciso se irrompere in casa come una furia o varcare la soglia con la sua imperscrutabile ed imperturbabile indifferenza; optò alla fine per la seconda ed entrò nella villa, togliendosi rapidamente le scarpe e stiracchiando i propri muscoli. Gettò a terra il proprio zaino, stufo di quel senso di oppressione e pesantezza donatagli anche solo dagli abiti che ancora aveva indosso; stancamente si rese conto di dover comunque andare in camera sua e lo riprese, con un sonoro sbuffo e uno scricchiolio di ossa delle mani.
Deciso, si avviò verso il piano superiore, spogliandosi di giacca e maglietta, sbottonandosi i pantaloni e scombinandosi i capelli. Aperta la porta della propria stanza, decise di chiuderla a chiave, giusto per prendere un po’ di tempo prima di fronteggiare Itachi. Poggiò la fronte ad essa e poi accese la luce, si massaggiò le tempie e poi si voltò verso il proprio letto, sobbalzando.
«Itachi?! C-che ci fai qui?!», pronunciò stizzito, portando una mano al petto come per calmare il battito cardiaco accelerato.
«Evidentemente ti aspettavo. Tu cosa pensi?»
«Divertente, Itachi. Davvero spassoso», sputò amaro il più piccolo, mentre il più grande batteva il palmo della mano a fianco a sé, in un esplicito invito a sedersi lì.
Il diciassettenne desistette, poi acquiescente si avvicinò al letto, ma invece di sedersi accanto al fratello, andò dal lato opposto e poggiò il dorso al muro adiacente alla grande vetrata che dava sul giardino ben curato della villa.
«Che vuoi, Itachi?», lo sollecitò il minore, lo sguardo tagliente e le braccia incrociate al petto nudo; il maggiore non poté fare mica a meno di notare quel dettaglio e, prima di parlare, squadrò il busto del fratello, partendo dal basso, soffermandosi sui pettorali, sul collo, sulle labbra e solo infine incrociò i suoi occhi d’ossidiana.
«Tu, piuttosto, cos’è che vuoi, otouto?»
«Volevo passare la notte con Naruto, ma tu l’hai reso impossibile», lo arpionò volitivo, «è il mio diciassettesimo compleanno e ancora non sono libero di trascorrere la giornata come mi pare e piace!»
«È davvero questo che vuoi?», si accertò il ventiduenne, contraendo la mascella e stringendo le lenzuola. Sasuke lo notò, ma si sforzò di non commentare la scena. Piuttosto avrebbe dovuto trovare in fretta una risposta adatta a zittire il fratello, ma si trovò a chiedersi se effettivamente ne avesse qualcuna. Era consapevole di ciò che voleva e di certo non era trascorrere quella notte facendo quelle cose con Naruto; almeno l’oggetto delle fantasie erotiche di Sasuke non era quell’uragano biondo.
«Ma che cazzo stai pensando, Sasuke?!», si richiamò, dandosi uno schiaffo sulla fronte e sbuffando infastidito.
«Sì», ammise infine, voltandosi a contemplare il cielo stellato mentre ascoltava i martellanti pensieri creatisi nella propria testa; asfissianti, erano maledettamente assillanti.
«Ce l’hai con me per via di Sakura?», domandò con innocenza il maggiore, avvicinandosi pericolosamente a lui e sfiorandogli i fianchi snelli; Sasuke si voltò di colpo, non essendosi reso conto di quella imprudente vicinanza e si trovò sommerso dal profumo preferito di suo fratello, Calvin Klein Obsession Night, misto al profumo di mele che sicuramente apparteneva a quella sgualdrina…
Irrigidito e con gli occhi spalancati, il diciassettenne sentì l’aria venir meno e appoggiò le proprie mani diafane sulle braccia d’avorio del nii-san, chinando il capo e socchiudendo le labbra.
«No», palesò, «non ce l’ho con te per via di… Sakura».
«No? Allora vuoi dire che il tuo sguardo omicida è stato solo frutto della mia immaginazione, e che tu non hai pensato nemmeno lontanamente di strozzarla?»
Beccato. Ancora.
«Ma la smetti?!», s’infervorò il festeggiato, «A me non interessa per nulla della tua vita sessuale, mi hai capito?!»
In religiosa quiete, Itachi prese ad accarezzargli guance e capelli. Non una parola fuori posto esalò dalle sue labbra, non uno sguardo pieno d’astio fu donato a Sasuke; nulla di nulla, se non tutto l’affetto che provava per il più piccolo attraverso quei minimi tocchi.
«Itachi… s-smettila…», lo implorò il neo-diciassettenne, portando le mani sul petto del fratello e stringendo spasmodicamente tra le dita la soffice stoffa della maglietta di cotone nera, che fasciava il modellato colpo marmoreo, quasi scultoreo, del nii-san.
«Non sto facendo nulla di male, otouto…», gli fece notare, chinandosi per baciargli una tempia e accarezzargliela con una guancia.
«Ti prego…»
«Hai paura, otouto?»
«Mh… Nii-san, basta…»
«Non devi averne…»
«Lasciami, ti scongiuro…», le lacrime, con arroganza, forzavano le palpebre affinché le concedessero di uscire, le ghiandole lacrimali continuavano a produrle, la testa percuoteva i neuroni, il cervello, le tempie e tutto ciò che trovava sulla sua strada tramite i vasi conduttori dall’alto al basso.
«Va bene, Sasuke», acconsentì Itachi.
Quest’ultimo sollevò il capo di Sasuke con gentilezza, sfiorando appena il mento scarno e avvicinando le loro labbra. Fu un tocco leggero, quasi impercettibile, appena accennato, eppure ricco di sentimenti assopiti e sensazioni proibite, delle quali i due si erano sempre privati. Il maggiore voltò il capo alla sua sinistra, individuando sul comodino al lato sinistro del letto una candelina azzurra e l’accendino posativi in antecedenza; li afferrò rapidamente, senza annullare il tocco con il fratellino, e si apprestò ad accenderla. La pose dinanzi al viso del diciassettenne, stringendogli la mano e chinando leggermente il busto.
«Esprimi un desiderio, Sasuke».
Lo fece, eccome se lo fece. Ripose tutte le speranze in un unico soffio, che fece sparire quella fiammella della candelina di compleanno, nonostante non fosse scaramantico; ma gliel’aveva chiesto Itachi, come poteva dissentire?
«Tanjoubi omedetou, otouto».

__________________________________________

Glossario:
Dobe: idiota.
Teme: bastardo.
Usuratonkachi: imbecille.
Baka: idiota.
Kami: divinità giapponese.
Tanjoubi omedetou: buon compleanno.


NB:
Okay, mi prendo tutta la responsabilità per lo squallidissimo sillogismo, ma lo reputavo adatto ad un tipetto come il nostro Naruto!
Il riferimento al "rimbalzello" è un piccolo onore al "perfido" Madara, giusto perché è tanto cucciolotto e merita di essere pres.. per i fon... *coff coff* Dicevo, perché stimo che egli meriti d'esser ricordato per le sue eroiche gesta!
La scelta della ragazza è ricaduta su Sakura perché, andando per esclusione, è l’unica che si può avvicinare ad Itachi… in un certo senso. Ma in questa storia è solo un’amica. E lo sarebbe in qualunque caso è_è
La scelta del profumo del carissimo Itachi-san è stata presa sotto consiglio di mio fratello u_u e perché io amo quel profumo!

ETA' DEI PERSONAGGI:
Ve le chiarisco perché per me è stato un vero e proprio travaglio determinarle:

- Itachi, 18 anni primo capitolo, 22 dal secondo fino al capitolo 4, dal quinto capitolo ha 23 anni;
- Sasuke, 13 anni primo capitolo, 17 dal secondo fino al capitolo 4, dal quinto capitolo 18 anni;
- Naruto, 13 anni primo capitolo, 16/17 dal secondo fino al capitolo 5, dal sesto capitolo 18 anni;
- Sakura, 20 anni secondo capitolo fino al capitolo 5.


Note dell'autrice:
Siccome il mio umore oggi non è dei migliori e la mia solita loquacità scarseggia, approfitto di queste note solo per, innanzi tutto, ringraziare le persone che hanno inserito la storia nelle seguite e nelle preferite, e coloro che l'hanno recensita. Grazie di cuore, spero che vi possa piacere anche se non è il massimo! Inoltre, vi informo che posterò i capitoli ogni cinque giorni. Ci si sente il giorno 12 marzo!

ps: ne approfitto per augurare a tutte le donne una buona giornata per domani! Per quanto io odi che le donne vengano "apprezzate" solo l'otto marzo e mai ogni giorno, voglio che passiate tutte un'ottima giornata. E anni ed anni composti solo da giorni felici nelle quali veniate (e dovrei includermi anch'io...) rispettate come dovuto.

Bacioni, Giacos.

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Capitolo 3
*** Castore and Polluce. ***


Capitolo 3 – Castore and Polluce

Nove agosto.
Esattamente due mesi prima, quella stessa notte, Sasuke festeggiava assieme ad Itachi il suo ventiduesimo compleanno.
E a proposito di compleanni, il minore dei due desiderò come non mai che sparissero per sempre dalla circolazione, o che almeno potesse addormentarsi la sera prima e svegliarsi il giorno seguente, pur di non rivivere le sensazioni che i ricordi di compleanni precedenti gli donavano.
Se ne stava steso sull’erba fresca, guardando il cielo cosparso di stelle. Erano circa un paio d’ore che se ne stava lì a contemplarlo, non pentendosi della mancata partecipazione al falò organizzato da Naruto e altri compagni. Non se la sentiva proprio di stare in compagnia, in una serata così malinconica nella quale avrebbe celato a malapena il pessimo umore e di certo non voleva rovinarla anche al compagno.
L’immensità di quella distesa oscura e puntellata di meteore luccicanti estasiava i sensi dell’Uchiha e lo rilassavano profondamente. Non ci volle molto prima che decidesse di mettersi a cercare qualche costellazione.
Da piccoli, lui e Itachi trascorrevano molto tempo a sfogliare libri con le illustrazioni di insiemi di stelle che formavano delle figure umane, animali, o altro, e avevano imparato a distinguerle nelle notti in cui il cielo era gremito di stelle.
Decise di fare lo stesso quella sera, mentre con una mano strappava steli d’erba al prato costantemente innacquato, alcuni boccioli di rosa nelle vicinanze, gli alberi a contornare quella distesa verde: un melo, un pero e… un ciliegio.
Ringhiò sommessamente e strappò altri fili, gettandoli con forza sul terriccio umido e ridonando la propria attenzione al cielo stellato.
Con l’indice indicava delle stelle, tracciando dei segmenti immaginari e congiungendole mentalmente, così che gli apparisse vivida l’immagine della costellazione riscontrata.
«Orsa Maggiore», segnalò la prima; «Orsa Minore», trovò anche la seconda.
«Polluce, Alhena, Castore, Tejat Posterior e Mebsuta…», elencò, «La costellazione dei Gemelli… Regolo, Algieba, Denebola, Zosma, Ras Elased Australis e Coxa… La costellazione del Leone…»
«Sapevo che ti avrei trovato qui», lo interruppe qualcuno alle proprie spalle.
«Nii-san?»
«Sono qua».

«Tsk», sbuffò, «che perspicacia».
«Noto con piacere che le mie parole sono ancora impresse dentro te, otouto», pronunciò con fierezza, ignorando l’ironia dell’altro, «quindi sai ancora parlarmi di queste costellazioni?»
Sasuke annuì e, dopo aver preso un respiro profondo, iniziò a parlare.
«La costellazione del Leone si trova tra quella della Vergine e del Cancro, sull’eclittica solare. Secondo il mito di Eratostene e Igino, il leone fu posto nel cielo perché re degli animali e si ritiene che sia il leone nemeo, sconfitto da Ercole nella prima delle sue dodici fatiche. Nemea si trovava a sud est della città di Corinto e le persone lì sparivano a vista d’occhio a causa di questo leone che si nascondeva in una caverna dotata di due aperture. Un giorno uscì e si addentrò nel bosco, dove vi trovò Ercole: riuscì a distruggergli l’armatura con i propri artigli e a strappargli un dito, ma Ercole lo afferrò per la criniera e il re di Nemea fu sconfitto. Da allora, fu posto da Zeus nei segni zodiacali e formò la costellazione del Leone. Al giorno d’oggi, invece, questa costellazione può essere interpretata come l’avvento di una primavera, di un periodo particolarmente sereno della vita di una persona. La stella più luminosa della costellazione è Regolo, che emana una luce azzurrina e raggiunge l’apoteosi della sua luminosità ogni diciassettemila anni».
«E Gemelli?»
«La costellazione dei Gemelli è attraversata dall’eclittica e si trova tra le costellazioni del Toro, del Cancro, dell’Auriga, della Lince, dell’Unicorno e del Cane Minore. Nella mitologia i Gemelli erano Castore e Polluce, i Dioscuri, cioè i figli di Zeus; i due crebbero insieme e nessuno dei due agiva senza prima consultarsi con l’altro, né litigarono mai. I due gemelli si unirono alla spedizione di Giasone e degli Argonauti per la conquista del vello d’oro, riuscendoci dopo che Polluce, grazie alla sua bravura nell’arte del pugilato, riuscì a sconfiggere Amico, lo sbruffone più sbruffone di tutti. Tante furono le avventure che li resero i gemelli inseparabili e invincibili, ma durante lo scontro contro un’altra coppia di gemelli, Castore fu trafitto da una spada e morì. Polluce pianse la morte del gemello e poi decise di chiedere a Zeus l’immortalità per entrambi; il dio li accontentò, ponendoli nel cielo. Vengono raffigurati abbracciati, indivisibili per l’eternità. Le orbite delle stelle di Castore e Polluce s’intersecano solo una volta ogni mille anni e solo allora… Ma, Itachi…»
«Sì, otouto: quelle sono le stelle Castore e Polluce, i due gemelli».
Due stelle, una bianca e una arancione, si avvicinavano sempre più e mancava poco ormai prima che la più piccola si trovasse tra le braccia della più grande, coprendone la parte centrale e lasciando che la luce arancione si intensificasse attorno alla propria forma.
«Che spettacolo…»
«Un doppio spettacolo», lo corresse il maggiore, sedendosi al suo fianco e cingendogli la vita con un braccio; poi prese a carezzare un lembo di pancia e il fianco destro, alzandogli di poco la maglietta che indossava e lasciando che il più piccolo gli si accoccolasse tra le braccia, estasiato dalla magnificenza di quello spettacolo galattico.
«Doppio spettacolo, già».
«Per me sei tu la stella più bella di tutte, otouto».
Il diciassettenne alzò lo sguardo e incontrò quello sincero del fratello. Se una parte di lui era colma di disprezzo per quello che aveva visto un paio di settimane prima, prevaleva comunque quella pregna d’amore; quel lato di lui che amava Itachi come un fratello non dovrebbe fare. E il batticuore aumentò notevolmente e la percezione sensoriale calò in maniera drastica: non esisteva più nulla, se non la figura di Itachi, i suoi occhi, il suo profumo, il suo respiro sulla pelle del minore, i capelli lunghi legati in una coda bassa e alcune ciocche che cadevano deliziosamente sul viso, il colorito eburneo, le mani grandi e le braccia forti.
«Nii-san…», tentò Sasuke, ma fu interrotto dall’indice di Itachi posato con leggiadria sulle proprie labbra, l’intenzione di farfugliare qualche parola sconnessa del più piccolo disintegrata in un battito di ciglia.
Rimasero in silenzio per un tempo indefinito, il più piccolo disteso tra le braccia del più grande che gli carezzava i capelli in maniera soave, il bisbigliare di Itachi trasformatosi in un canticchiare canzoni ugualmente sottovoce, il fiato che solleticava la cartilagine delle orecchie del diciassettenne, il calore che gli infondeva, delle stelle cadenti e desideri espressi, nella speranza che fossero esauditi. O delle richieste telepatiche all’unica persona che poteva intendere qualunque cosa di sé senza bisogno di parlare, sbuffare di continuo, gesticolare né niente.
«Non sono fidanzato, otouto», affermò il maggiore, assorto nei propri pensieri e perso nell’immensità del cielo. Sasuke, dal canto suo, si voltò immediatamente verso di lui e lo guardò in maniera stralunata.
«E questo cosa c’entra adesso, Itachi?»
«Eri tu a volerlo sapere, quattro anni fa», rammentò, «e io non ti ho mai tolto il dubbio».
«Non sembravi tanto single, il ventidue luglio scorso con Sakura», sputò con amarezza.
«Hai una visione solo sentimentale del sesso, otouto?», domandò incuriosito dall’affermazione convinta del fratellino. «A pensarci bene, non ne abbiamo mai parlato prima d’ora».
«Di certo non farei sesso col primo che mi capita davanti!»
Due furono le domande che piombarono nella mente di Itachi, ma avrebbe dato tempo al tempo e avrebbe riservato la domanda cruciale a qualche minuto più tardi.
«Credi che abbia pescato dal ciglio della strada Sakura?»
«Non mi sorprenderei», sbuffò stanco il minore.
«Lo dici solo perché l’hai beccata in atteggiamenti… ambigui e l’hai conosciuta come “la ragazza che vuole scoparsi mio fratello”».
«NON È VERO!», ribatté sicuro Sasuke, lanciando uno sguardo inceneritore al fratello che, nello stesso istante, gli prese una mano e iniziò a giocherellare con le sue dita.
«Sì, invece, se tu la conoscessi, concorderesti con me: è una brava ragazza, disponibile e intelligente».
«Non mi interessa, Itachi».
«E cosa ti interessa? O meglio, chi ti interessa?», il ventiduenne colse la palla in balzo e rigirò la frittata, ponendogli il fatidico secondo quesito; al che il fratellino impallidì ancor di più di quanto non fosse già di suo e trattenne il respiro per qualche istante, la bocca spalancata mentre sicuramente era alla ricerca di una risposta plausibile.
«N-nessuno».
«Menti a tuo fratello?»
«Non ti sto mentendo».
«E io sono solo un’illusione: il vero me è a casa».
«Plausibile».
«Impossibile, otouto. Dimmi, per caso ti piacciono i ragazzi?»
Beccato.
«Fatti gli affaracci tuoi!»
«Ti piacciono i ragazzi».
«Taci!»

«Hai già avuto rapporti?», Itachi s’irrigidì, capendo solo dopo che la risposta di Sasuke avrebbe potuto cambiare le carte in tavola; voleva davvero saperlo?
«Ribadisco: fatti gli affari tuoi, Itachi!», Sasuke sembrava già più calmo, mentre si ridestava controvoglia; il maggiore se ne rese conto e lo forzò a rimanere, e l’altro non ribatté.
Calò di nuovo un pesante silenzio attorno a loro, interrotto soltanto dal fievole rumore delle onde in lontananza, le foglie degli alberi mosse dalla brezza d’agosto, i loro respiri, gli steli d’erba mossi dai piedi del diciassettenne e il bubolare di un gufo.

[ Shayne Ward - No promises ]

«Vieni con me, Sasuke», lo invitò il ventiduenne dopo un po’, alzandosi e porgendogli una mano; dal canto suo il minore, mordendosi le labbra e indispettito dall’eccessiva premura di Itachi, poggiò stancamente le mani sul terreno e facendo leva sulle proprie braccia, si rialzò. Si pulì distrattamente i pantaloni e la maglietta, sistemò la corta chioma corvina e si limitò a seguire le orme invisibili lasciate dal nii-san; non avrebbe mai ammesso che, più che guardare i suoi passi o ricordare a memoria la strada di casa, il più piccolo si affidava all’olfatto, inebriandosi dell’odore mascolino del fratello.
Il più grande rallentò un po’, permettendo al suo otouto di raggiungerlo e rimanere al passo. Camminarono così, fianco a fianco in perfetto silenzio, sino a quando non giunsero nella propria dimora; in un tacito accordo, si sfilarono con lentezza spossante le scarpe e Sasuke fu il primo a raggiungere la scalinata. Salì appena due scalini, poi si voltò verso il fratello che lo stava raggiungendo. Itachi sostò dapprima sullo scalino più in basso, poi attirò il minore a sé facendolo scendere e abbracciandolo forte, quasi stritolandolo; senza però fargli male. Le mani calde del ventiduenne si adagiarono sul viso mingherlino e d’alabastro del minore, adattandosi alle forme delle guance lievemente arrossate e alzandogli il capo; remissivo, il ragazzino issò il viso di sua spontanea volontà, lasciandosi andare alle docili blandizie degli arti carnosi e morbidi del maggiore. I loro occhi s’incrociarono, s’incatenarono per davvero dopo tanto tempo trascorso ad evitarsi, effetto scaturito perlopiù dall’incertezza di Sasuke; e fu allora che Itachi intuì la concreta realtà dei fatti.
Senza alcuna fretta e con una rincarata dose di assoluzione, avvicinò piano la propria fauce a quella dischiusa e desiderosa del fratellino; cercò un qualunque cenno di marasma o titubanza, ma non ve ne scovò nemmeno in minima parte. Una delle sue mani si posò sulla nuca dell’altro, attirandolo a sé con un lieve tocco e delle carezze appena accennate, senza smettere nemmeno quando finalmente, dopo la separazione forzata e necessaria, congiungendo le loro labbra, si ritrovarono.
E quel bacio fu il simbolo del ricongiungimento più agognato e strepitoso che potesse esistere sulla faccia della Terra. Un’invasione perpetua di emozioni contrastanti, uno scambio reciproco di affetto fraterno e amore puro; un amore sbagliato, condannato per la consanguineità, perché erano due semplici fratelli e non potevano assolutamente pensare nemmeno ad anni luce di distanza di potersi lasciar andare in una maniera del genere.
Eppure una forza maggiore rispetto alle proprie li induceva a stare uniti, permettendo alle loro lingue di incontrarsi, rincorrersi, leccarsi, assaporarsi, lasciare scie roventi sulle labbra dell’uno e segni di denti su quelle dell’altro, le mani diafane di Sasuke che stringevano con forza il collo e carezzavano con dolcezza i capelli ordinati del più grande; quella voglia matta di marchiare l’uno e l’altro e poter dire: «Lui è mio».
E la libidine del momento, capace di scacciar via il più assurdo e doloroso pensiero, che diede la forza ad Itachi di prendere in braccio il fratello, unendo le proprie mani tra i glutei e il posteriore dell’altro, e a Sasuke di agganciare le proprie gambe lunghe al bacino del fratello, le braccia attorno alle spalle e le labbra instancabilmente in collisione.
Il ventiduenne concluse la scalinata e si apprestò a raggiungere la propria stanza, incoraggiato dagli ansimi del più piccolo e dagli «Itachi…» sussurrati al proprio orecchio, mentre con maestria leccava e succhiava il lobo.
Stesisi sul letto, Sasuke non perse tempo e liberò il petto del fratello da quell’ingombro che era la maglietta e poi scese a carezzargli la pancia; si alzò a sedersi per accarezzare la schiena del fratello e baciargli il petto, succhiandogli i capezzoli e giocherellando, lasciandosi andare a ciò che il proprio istinto lo induceva a fare. Il più grande senza fatica attuò lo stesso procedimento con la maglietta del fratellino, accarezzandolo con frenesia e baciando e leccando il busto, lasciando scie roventi di saliva al suo passaggio.
«Otouto…»
«Nii-san…»
«Perché non me l’hai mai detto?»
Sasuke arrossì vistosamente e, nonostante il buio della camera, il fratello lo intuì.
«Itachi…»
«Non devi vergognarti di me, Sasuke».
«Mh».
«Otouto, ti prego, parlami», Itachi gli lasciò un dolce bacio a fior di labbra, che venne ben presto approfondito dal più piccolo, che aveva tutta l’intenzione di far cadere il discorso; ma il più grande non gliel’avrebbe data vinta.
«Nii-san!», protestò il diciassettenne non appena il fratello si staccò da lui, insistendo con lo sguardo a voler sapere tutto ciò che taceva… da ormai troppo tempo.
In effetti nemmeno Sasuke stesso sapeva da quanto provava tutto ciò, era semplicemente qualcosa covato dentro sé, sopito ancor prima che potesse sbocciare, ignorato e ricordato in determinati istanti della propria vita e riemerso un paio di settimane prima; grazie a quella brava ragazza di Sakura.
«Ti ascolto», ribadì il maggiore.
«Mpf, non c’è niente da dire!», lo aggredì Sasuke, scostandosi con poco garbo e spalancando gli occhi, non appena lucidamente rielaborò ciò che stava accadendo tra loro; ma c’era anche qualcosa in basso che lo induceva a non sconvolgersi e a non tirarsi indietro.
«Oh, sì invece. Ad esempio, da quand’è che ti sei accorto di, come dire… provare certi sentimenti per me?», lo provocò.
«M-ma cosa vai blaterando!»
«Sasuke, smettila di fare il bambino», lo richiamò Itachi.
«Non lo so! Non ne ho idea, okay? So solo che… argh!», sbuffò esasperato il minore, «So solo che…»
«Otouto, guardami», lo pregò il nii-san, «va tutto bene, sono sempre io».
«So solo che tu sei perfetto, Itachi e che ti…», tossì, «Che ti voglio e non sopporto il pensiero che qualcun altro possa toccarti, baciarti, averti per sé…», digrignò i denti e a stento trattenne un ringhio, le mani serrate attorno al tessuto dei jeans che aveva indosso, quelle di Itachi tra i suoi capelli.
«L’hai fatto con Naruto?», domandò al fratellino, accarezzandogli una guancia e nascondendosi nella penombra della propria imperscrutabilità e la pacatezza invidiata da chiunque.
Silenzio.
«Io…»
«Rispondi, Sasuke», ordinò con fermezza.
«… Sì», ammise controvoglia il più giovane, non trovando la forza di mentire ancora.
Itachi sospirò.
«Non sei arrabbiato con me, vero, nii-san?», si premurò di domandargli Sasuke, avvicinandosi sul letto e mettendosi a cavalcioni sul corpo rigido del maggiore. Deglutì a fatica e continuò a fissarlo, ma ogni suo respiro, ogni espressione era così indecifrabile; il che era avvilente, data l’ottima capacità di intuizione di Itachi quando si trattava del fratellino.
Senza emettere alcun suono, il ventiduenne ribaltò le posizioni,
coprendo il fratello e fungendo quasi da protezione al suo corpo in fase di sviluppo, carezzandogli il petto e rubandogli un bacio lento e profondo, successivamente trasformatosi in uno pieno di libidine, passione e rudezza.
«Tu sei solo mio», ribadì, «lo sei sempre stato e sempre lo sarai».
«Allora fammi tuo…», Sasuke spalancò gli occhi e si coprì il viso con le mani, mordendosele con forza, «Ah, ma che cavolo mi fai dire, nii-san!»
«Lo vuoi davvero?», chiese Itachi.
Il diciassettenne si prese qualche attimo prima di sentenziare, estremamente imbarazzato: «Sì».



«Otouto, svegliati», Itachi scosse con leggerezza il fratellino, che si ridestò quasi in automatico e con un sorriso sincero stampato sul volto, «vieni con me».
Ancora mezzo addormentato, il più piccolo lasciò che il maggiore lo issasse dal caldo giaciglio, senza curarsi di dove lo stesse portando e per quale ragione; semplicemente gli si concesse di nuovo. Avrebbe potuto fare tutto ciò che voleva: lui non si sarebbe opposto.
«Itachi…», soffiò il suo nome appena sul collo del fratello, rannicchiandosi contro il suo corpo caldo, il suo porto sicuro.
«Siamo arrivati, Sasuke», così dicendo, il minore si trovò seduto tra le gambe lunghe del fratello, i loro piedi nudi che si strusciavano e solleticavano, i capelli del più piccolo sul mento di Itachi, le mani del più grande attorno al petto nudo del fratello.
«Da quanto tempo…», osservò il ragazzo dai capelli corti, guardando in estasi il turbinio di colori chiari e caldi nel cielo rischiarato dalle prime luci del sole, il silenzio più idilliaco di tutti nell’arco delle ventiquattro ore della giornata.
«Mi sembrava opportuno farlo, otouto».
«Portarmi qui?»
«Sì», disse, carezzandogli una guancia e girandogli il viso, così da lasciargli un bacio sulle labbra, «ohayougozaimasu».
«Ohayougozaimasu», rispose il minore.
Il sole sorse con lentezza, infondendo tranquillità nei cuori scalpitanti dei due fratelli, immobili e abbracciati, le mani congiunte, le menti perse in vari pensieri.
«Non sarà mai facile, vero?»
«No, otouto. Nessuno dovrà mai sapere di noi».
«Cosa c’è di sbagliato?!», Sasuke capiva, eccome se lo faceva, eppure non se ne capacitava; perché non doveva essere libero di amare la persona che lo faceva stare bene, che gli stava sempre accanto nonostante i suoi modi discutibili, il suo pessimo carattere, la sua infantilità che veniva fuori specialmente nei momenti meno opportuni e, cosa più significativa di tutte, che ricambiava il suo amore profondo?
«Siamo fratelli, Sasuke, un rapporto del genere è malsano e proibito».
«Ma non mi pare tu ti sia tirato indietro, questa notte!», lo assalì Sasuke, ferito dalla freddezza riscontrata in quelle parole, l’atonia del maggiore a ghiacciare il paesaggio circostante nonostante fossero in pieno agosto e il sole sempre più alto in cielo.
«Nemmeno tu, otouto».
«Non ne ho mai avuta l’intenzione, se è per questo!», si trovò a confessare.
«Credo tu abbia frainteso le mie parole».
«Oh, no, Itachi, io ho capito benissimo! Ti stai pentendo di ciò che è successo perché ero lo sfizio di una nottata, mentre quella Sakura è la persona che vuoi veramente! E per chissà quale ragione non l’hai riportata qui e non te la sei scopata! Fallo, sentiti pure lib…»
«Sasuke, ricordi le mie parole di quattro anni fa?», lo interruppe con tono quieto Itachi, carezzandogli le braccia e prendendo a fargli rilassanti grattini.
«Smettila di ignorarmi!»
«Non ti lascerei mai per una qualunque, tu sei la persona più importante per me; ti proteggerò e ti amerò per sempre…», marcò le ultime quattro parole baciando il collo del fratello e stringendo la presa del suo abbraccio, appoggiando poi il mento sulla sua spalla e cercando uno sguardo che il più piccolo si rifiutò di donargli; almeno per il momento.
«Io non…»
«Aishiteru, otouto».
«Nii-san!»
«Non dimenticarlo».

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Giappo-glossario:

Ohayougozaimasu: buongiorno.

NB:
La mia intenzione iniziale era quella di stabilire un anno di nascita per Sasuke e Itachi, così da ritrovarmi ad assegnare loro il segno zodiacale giapponese. Siccome non ho dato una collocazione annuale precisa, nonostante sia un’Alternative Universe ai giorni odierni, e non solo avrei dovuto intersecare i loro anni di nascita con l’uscita, ad esempio, del profumo Obsession Night eccetera, ho preferito usare i segni zodiacali nostri. E aggiungerei anche il fatto che ci sono le costellazioni di questi due.
L’argomentazione e la descrizione delle due costellazioni l’ho scritta ricavando informazioni da Wikipedia; per esigenza, ragioni di trama, mi sono permessa di inventare dei dettagli. Ad esempio: la stella più luminosa della costellazione del Leone raggiunge l’apice del proprio splendore ogni 17.000 anni, o che le stelle di Polluce e Castore saranno ferme sullo stesso punto ogni 1.000 anni; il buon augurio dato dalla prima costellazione citata: aggiunta mia. Anche il vederle in agosto, durante la notte di San Lorenzo, è una licenza che mi sono concessa per ragioni di trama: la costellazione dei Gemelli si vede soltanto in febbraio (circa il 20), mentre quella del Leone in aprile (il 15). Anche il vedere determinate cose ad occhio nudo è una mia scelta per riferimenti ai due fratelli, come infatti si nota l’intersecazione tra le stelle dei Gemelli.
I battibecchi tra i due fratelli rendono una vaga idea di come sarebbe stato il loro rapporto se non fosse stato Itachi ad uccidere i genitori e se Sasuke non fosse diventato un decerebrato idiota.
“Aishiteru, otouto” è sempre tratto dal capitolo 590 del manga.

Note dell'autrice:
Hello, dear readers! How r u? ... Okay, scusate, torno a parlare in italiano. Come state? Vi sono mancata? °-° Sto dando di matto ultimamente *ç*
Comunque sia, il mio umore nemmeno oggi è dei migliori (direte voi: ma ci sarà una cazzo di volta in cui stai bene? ebbene (?) è un evento raro!) per cui non sarò particolarmente loquace. Ma approfitto ancora per ringraziare coloro che hanno recensito e aggiunto la storia tra le preferite e le seguite ^^
Pubblicherò il prossimo capitolo il giorno 17 marzo!
*regala abbracci a chiunque e si chiude nel suo mutismo*
Bacioni, Giacos.

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Capitolo 4
*** Explosive evening! ***


Capitolo 4 – Explosive evening!

Test d’inglese.
Naruto era una schiappa in inglese!
Sasuke, invece, era l’indiscusso genio che riusciva a beccarsi tutte “A” dal primo all’ultimo giorno di scuola. Fortuna, per l’Uzumaki, avercelo come amico. Nemmeno quarantacinque minuti dopo l’inizio del test, l’Uchiha aveva già concluso e si apprestava a consegnare. Un’ora e quindici minuti per riuscire a covare qualcosa dalla testa vuota e poi Naruto avrebbe dovuto beccarsi l’ennesima “F” alla sua lunga lista di voti.
Il più grande, dal canto suo, sapeva di dover fare qualcosa prima che quella testa quadra ne combinasse un’altra delle sue e, se non voleva che perdesse l’anno e trascorressero anche il successivo insieme, l’ultimo peraltro, doveva darci dentro.
«Mei-sama», appellò la docente alzandosi, il busto eretto e la solita imperscrutabile espressione fissa sul volto, «posso andare al bagno?»
«Certo, Sasuke, va’ pure», rispose lei, non mancando di fare gli occhi dolci al suo studente modello, l’alunno prediletto.
«Arigatou gozaimasu», il moro la ringraziò accennando ad un inchino, poi si avviò fuori dall’aula, lanciando rapidamente un foglietto ripiegato al biondo.


«Tranquillo, dobe, ti salverò il culo anche questa volta. Tieni il telefono a portata di mano senza farti sgamare!»

Entrato nell’isolato bagno dei ragazzi, l’Uchiha si mise nel punto cieco della sala e prese a scrivere le risposte ai quesiti di letteratura straniera al proprio compagno, cercando di variare le parole usate sostituendole con quelle meno ricercate che conosceva; così magari la professoressa avrebbe pensato che, ahimè, almeno una volta nella vita, Naruto si stava impegnando in qualcosa.
«È più difficile scrivere cose semplici per quel dobe dei miei stivali, che sostenere un esame di livello C2», realizzò, dopo dieci minuti di continuo scrivere e, infine, dopo aver premuto il tasto d’invio, decise di sciacquarsi il volto; poteva anche rimanere sino alla fine del test, sicuramente, il problema era che si annoiava a morte.
Sciabordandosi il viso, si rese conto di essere davvero felice per la prima volta dopo nove anni interi nascosto nella penombra di una falsa gioia. E doveva tutto alla pazienza infinita del fratello, e perché no anche alla solarità dell’uragano biondo che si era scelto come compagno. Non si erano mai trovati a parlare del proprio passato, anche se qualche volta era capitato che, melanconicamente, Naruto si trovasse a fissare delle foto dei genitori, dimenticandosi totalmente della presenza di Sasuke in casa propria. Ma parlare di ciò che fa male è una cosa troppo intima ed entrambi concordavano su quel punto; ragion per la quale avrebbero lasciato passare tutto il tempo necessario prima di concedersi una confessione tale.
«Ci ritroviamo, finalmente, Uchiha Sasuke», di nuovo quella voce e di nuovo il diciassettenne sobbalzò udendola così all’improvviso. Possibile che quel tizio adorasse apparire nei momenti meno opportuni e soprattutto mentre era distratto?
Si voltò verso quell’uomo e di nuovo la figura autoritaria, tuta nera, stemma del clan Uchiha e armatura rossastra fasciavano il corpo di Madara, i capelli del medesimo colore e della stessa lunghezza dell’ultima, e d’altronde anche della prima volta che l’aveva visto. Possibile che non si cambiasse mai? Sembrava immutato, nonostante fossero trascorsi tre mesi da allora. Sarà che una volta diventati uomini, non si sarebbe più cambiati? Eppure Itachi cambiava a vista d’occhio, giorno dopo giorno era sempre più mascolino, la sua bellezza sfigurava quella del minore che non riusciva a far altro se non bearsi di cotanta magnificenza e abbracciarlo e baciarlo e desiderare di poter urlare al mondo che sì, quel ragazzo era suo; suo cosa?, avrebbero chiesto. Suo fratello, suo amato, suo “ragazzo”?, suo punto di riferimento, o semplicemente tutto, per quanto potesse sembrare scontato?
«Che ci fai qui, Madara? Non dovresti stare nascosto nell’ombra e soprattutto alla larga da Konoha? Sei un ricercato oppure ho capito male?»
«Cos’è la vita senza un po’ di pazzia?», ghignò sadicamente, «D’altronde, sono diventato uomo libero da quando ho mandato a quel paese la giurisdizione di questi ipocriti di Konoha».
«Cosa ti hanno fatto?», o forse avrebbe dovuto chiedere cosa LUI avesse fatto a Konoha, per indurre i tre Kage ad esiliarlo?
«Sas’ke!», strillò Naruto, abbracciando il moro, «Mi hai salvato la vita, grazie!»
Stranito, il più grande abbracciò il compagno, fissando Madara che ghignava vittorioso.
«Naruto, tu non vedi niente?», sibilò sorpreso.
«C’è qualcosa che dovrei vedere’ttebayo?»
«Guardati le spalle, Sasuke».
Cosa voleva dire?!
Il mondo parve scomparire, il buio sembrò risucchiare via l’Uchiha ed isolarlo da tutto il resto, la paura impossessarsi di lui.
«…uke!»
Solo.
«’ke!»
Naruto…
«…ka!»
Itachi!
«Teme!», imprecò il biondo, «mi hai fatto prendere uno spavento!»
«Cosa…?»
L’Uzumaki spalancò gli occhi.
«Mi sei praticamente svenuto tra le braccia per qualche secondo, mentre mi abbracciavi e dicevi: “Ma tu non vedi niente?”… Si può sapere che ti è preso e cos’avrei dovuto vedere?!»
«Nulla, mi girava la testa e non ci ho capito nulla», si rialzò a fatica, barcollando lievemente e trovando subito la mano bronzea del biondino a supportarlo, pur di non farlo finire col sedere per terra.
«Grazie», mormorò, imbarazzato da quel tocco. Da quando si era lasciato andare con Itachi, aveva evitato ogni contatto possibile con il biondo, a parte un battito di cinque, lo scombinarsi i capelli o affogarlo a mare durante l’estate; per il resto zero. Aveva la sensazione che avrebbe potuto infastidire il maggiore, anche se quest’ultimo non lasciava trapelare nulla dalle espressioni e si comportava come al solito: frequentava Sakura più assiduamente di quanto Sasuke volesse, ma ogni volta gli assicurava che tra loro non c’era altro che una semplice amicizia e che aveva chiarito la situazione, anche se non spiegò cosa intendesse con “chiarito”; il loro rapporto andava a gonfie vele e alla fine non si era modificato più di tanto, al massimo i due si erano avvicinati più di prima ed erano più uniti che mai. Rimanevano sempre Itachi e Sasuke, con la sola differenza che si amavano non solo fraternamente, ma anche passionalmente, col corpo, col cuore, con l’anima, con tutti se stessi.
Insomma, il più piccolo degli Uchiha sapeva che non ci sarebbe stato niente di male nel riavvicinarsi a Naruto come amico, ma una parte di lui lo induceva a pensare che fosse meglio stargli lontano; aveva la netta sensazione che sarebbero potuti saltarsi addosso a vicenda e il pensiero di Itachi si sarebbe dileguato nel nulla, non consentendogli di pensare con lucidità e compiere atti di cui si sarebbe poi pentito. Il fratello aveva chiarito che ormai Sasuke apparteneva solo a sé e il minore sentiva che l’altro avesse capito che la stessa cosa valeva per lui; anche se non aveva avuto il coraggio di dirlo. Quelle parole erano davvero troppo per lui, specialmente dopo le confessioni piccanti ed imbarazzanti fatte quella notte.
«Sas’ke, posso farti una domanda?», Naruto lo colse alla sprovvista e fu per questa ragione che, con pacatezza, il moro gli fece un cenno d’assenso col capo, stringendo la presa delle loro mani e cercando di riprendere fiato.
«Sono passati mesi ormai da quella notte, ma non ne abbiamo più parlato. Forse questo non è il momento più adatto per discuterne, ma io ci terrei che tu mi dicessi qualcosa a riguardo; qualunque cosa», rivelò con un bisbiglio l’Uzumaki, portando la mano libera sul fianco del compagno e attirandolo a sé; gli posò un bacio sulla fronte e lo abbracciò nuovamente, stringendo al proprio petto il capo corvino e accarezzando la nuca eburnea e scarna. Fu proprio in quel momento che notò qualcosa di insolito per la pelle pallida del compagno: sul lato destro vi era un segno rosso – violaceo, nascosto grazie ai capelli, che si erano allungati, e al colletto della camicia.
«Naruto», incominciò Sasuke, «io…»
«Ci ho ripensato, teme, non dire niente», annunciò staccando i loro corpi, grattandosi il capo dorato come al solito e sorridendo incoraggiante, convinto che l’altro non percepisse il senso di disagio che si era appropriato di sé e quanto forte fosse la stretta di quella morsa ferrea al proprio stomaco, «non mi devi alcuna spiegazione. Scusa… Io torno in classe e faresti bene a fare lo stesso, altrimenti Mei-sama si preoccuperà e ti verrà a cercare… e magari violenterà, dattebayo!».
«Ma cosa ti salta in mente, dobe!», la risata cristallina dell’uragano biondo risuonò per il bagno e per il corridoio dell’Accademia, sparendo e zittendosi non appena il più piccolo tra i due si era allontanato dai bagni.
Sasuke sospirò: «Che gli sarà preso?»


«Itachi, sono a casa!», si annunciò, non appena un’altra giornata scolastica giunse al termine. Si liberò delle scarpe, provando un senso di libertà e scricchiolando le dita dei piedi, sgranchendosi le ossa di tutto il corpo, schiena, braccia, gambe e collo.
«Bentornato, Sasuke», lo salutò il maggiore, avvicinandosi a lui e sbucando dalla cucina, «com’è andata oggi?», si premurò di domandare, come faceva ogni sera.
«Bene…», rispose poco convinto il giovane, «te all’università?»
«Bene», pronunciò con decisione il nii-san, «torno a cucinare, raggiungimi quando sei pronto».
Annuendo, il diciassettenne si apprestò a raggiungere la sua camera, varcando la soglia e gettandosi a capofitto sul letto, annusando il profumo di lavanda emanato dalle lenzuola pulite, sostituite quella mattina stessa prima di andare a scuola e di cui non si era potuto beare, poi prese a spogliarsi con estrema lentezza.
«Forse potrei…», sghignazzò l’Uchiha, indossando solo i pantaloni della tuta e scendendo al piano inferiore a torso nudo. Era una sorta di complessa provocazione al fratello, che aveva colpito fulminea i pochi neuroni disponibili di sera del ragazzo.
«Non hai freddo così, Sasuke?», aveva chiesto Itachi vedendolo camminare tranquillo per la cucina, prendere il suo posto e accendere distrattamente la tv, mentre sorseggiava del succo d’arancia.
«No», aveva sentenziato, ridendo sotto i baffi e nascondendo l’espressione soddisfatta e mezza corrucciata, in un vago tentativo di sviare il percorso di pensieri del maggiore, nella tazza scura.
«Come vuoi», si era arreso il fratello.
Trascorse una mezz’ora, il religioso silenzio stroncato dalle voci stridule di alcune concorrenti di un reality show musicale. Quando il fratello aveva posato sul tavolo la cena, il minore aveva prestato poca attenzione, chinato il capo e si era morsicato il labbro inferiore. Avrebbe dovuto parlare al fratello di Madara? Improvvisamente tutte le ulteriori intenzioni che aveva per la conclusione di quella serata gli parvero superflue e quasi inutili, un ripiego per non pensare a quell’assillante sensazione di pesantezza che aveva arcuato il proprio animo.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi, otouto?»
Eh, certo, il minore non aspettava altro che essere incitato dalla voce magnetica del nii-san.
«In effetti sì», bisbigliò, «ma non saprei…»
«Ti ascolto», Sasuke non ricordava una volta in cui aveva saputo resistere, se non quel vano tentativo la notte del suo compleanno… ma che problemi aveva?
«Conosci un certo… Madara Uchiha?»
Il fratello s’immobilizzò, le bacchette in bilico tra le sue dita, la bocca chiusa e lo sguardo fisso sul cibo.
«Sì, otouto. Perché me lo chiedi?», Itachi sperò davvero che i suoi presentimenti fossero errati, che il fratellino avesse curiosato in giro per casa marinando la scuola una di quelle mattine e si fosse infiltrato nel passaggio sotterraneo di villa Uchiha, scovando vecchi libri con la storia di famiglia e beccando proprio la pagina di Madara.
«Forse ti sembrerà strano, ma io l’ho visto».
Proprio come temeva.
«Quando?», inutile chiedere il luogo: era risaputo che Madara non varcasse due volte la stessa soglia, che non sostasse per più di un paio di minuti in un posto e svanisse nel nulla, lasciando un’evanescente scia di menzogne ed illusioni.
«Beh, l’ho incontrato per la prima volta il giorno prima del mio compleanno, mentre ero nelle docce», Itachi sospirò.
«Otouto, sono passati mesi, perché non me l’hai detto prima?», poi ripeté nella propria mente le parole pronunziate dal suo otouto. «Aspetta, hai detto “la prima volta”? Quindi significa che l’hai rivisto».
«Esatto», assentì Sasuke, «oggi a scuola, mentre ero in bagno».
Avrebbe potuto fargli del male. Ha avuto due occasioni e non gli ha torto un capello. Che maledette intenzioni ha quel criminale?
«Cosa ti ha detto, Sasuke?»
«In spiaggia si era presentato a me come Madara Uchiha, poi è stato… strano», tentò di spiegare. «Vedevo le sue labbra muoversi e sono certo che stesse parlando, ma non riuscivo ad udire le sue parole. Sorrideva di tanto in tanto e le uniche parole scorte dal suo labiale sono state “Uchiha” e “assassino”».
«Oggi?», lo incitò monocorde il maggiore, cercando di sembrare a suo agio e posando le bacchette nel piatto.

«Che da quando ha lasciato Konoha è un uomo libero e di guardarmi le spalle», disse, «ma la cosa che mi ha lasciato perplesso non è questa».
«Cos’altro è successo?»
«Ecco, vedi, gli avevo chiesto cos’era successo per avercela così tanto con Konoha e in quel momento è entrato Naruto. Il fatto bizzarro è che lui non lo vedeva, eppure era davanti a noi! E dopo avermi detto di guardarmi le spalle, Madara è scomparso e a quanto pare sono svenuto per qualche secondo», spiegò, gesticolando a causa dell’ansia che s’impossessava di lui e mordicchiandosi le labbra. «Itachi, che significa? Chi è Madara Uchiha?»
«È un criminale, otouto, è un assassino spietato che fu esiliato da Konoha molto tempo fa».
«Ha ucciso qualcuno qui?»
«Sì», assentì il maggiore.
«E gli Hokage non potevano semplicemente arrestarlo invece di lasciarlo in libertà?», domandò, come se fosse la cosa più sensata da fare.
«Lo pensarono, ma Madara è un po’… diverso dagli altri assassini. È l’essere più spietato che possa esistere e non basta la prigione a fermarlo».
«Perché non ucciderlo, allora?»
«Nemmeno questo è possibile».
«Per quale ragione? Non dirmi che ha la forza di Hulk e l’immortalità dei vampiri, per piacere!»
«È più complicato di così, otouto, ma non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti», lo rinfrancò Itachi, allungando un braccio per scombinargli i capelli e sorridendogli incoraggiante, «ora mangiamo, okay? Dopo verrà a trovarmi un amico».
«Un amico?»
«Deidara, ricordi il biondo con la fissa per i fuochi d’artificio ed ogni tipo di esplosivi?», sorrise il maggiore, grato alla volontà dell’altro di cambiare discorso.
«Come dimenticarlo!»

[ Benny Hill Theme Song ]

Dopo cena, i due fratelli si erano appollaiati sul divano e avevano trascorso il tempo scambiandosi delle tenere coccole. Alla fine, sgamato come al solito da Itachi, Sasuke aveva dovuto confessare di volerlo “provocare” rimanendo senza maglietta, dopo che il fratello l’ebbe bloccato sotto il peso del proprio corpo, facendogli il solletico e poi baciandolo e provocandolo a modo suo.
«Basta chiedere, otouto; e ciò che vuoi ti sarà dato», aveva assentito vittorioso, prima di ristendersi supino sul divano e attendere che il fratello tornasse da lui, accoccolandosi al suo petto e giocherellando con le dita, disegnando simboli immaginari o gli ideogrammi dei propri nomi.
Verso le otto e trenta circa, una chioma lunga e bionda si era affacciata dalla porta di casa Uchiha, invitandosi di propria spontanea volontà ad entrare e non sospettando nemmeno minimamente che all’interno dell’abitazione i due fratelli potessero essere beccati per caso in atteggiamenti compromettenti.
«Itachi-senpai!», aveva urlato, fiondandosi tra le braccia del maggiore degli Uchiha e mordendogli una guancia, «Ne è passato di tempo!»
«Ti trovo bene, Deidara», aveva risposto Itachi, scombinandogli la folta zazzera bionda, «Sasori?»
«Eh, Sasori…», il biondo sbuffò e si sedette a gambe incrociate sul parquet, limitandosi ad un’alzata di sopracciglia; dal canto suo, il ventiduenne rise e annuì divertito.
Sasuke sentiva qualcosa di strano. Era come se qualcosa gli stesse solleticando la pelle, eppure quando si era grattato non c’era nulla fuori posto, né aveva sfiorato in alcun modo il divano. Voltatosi di colpo, aveva scrutato per bene dietro di sé, ma non aveva intravisto nemmeno un movimento, un minimo spostamento d’aria che lo facesse sembrare meno matto di quanto non credette fosse sul serio.
«Tu credi nei fantasmi… Sasuke?», il giovane Uchiha si voltò di scatto, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, verso Deidara che si era avvicinato pericolosamente a lui; di scatto indietreggiò e bloccò la propria schiena al divano.
«BU!»
«AHHHH!», urlò il minore degli Uchiha, scatenando le risate a stento soffocate dei presenti.
«Stronzi!», sbraitò, poi una chioma rossa apparve dal pavimento, una scrollata di spalla e un sorriso appena accennato, gli occhi color cioccolato malinconici, la pelle chiara.
«Io sono Sasori, è un piacere conoscerti, Sasuke».
Il minore, di scatto, si alzò dal divano e fulminò Itachi con lo sguardo, che ancora se la rideva, mentre Deidara era steso, quasi morto stecchito per le risate.
«Nii-san!», sbraitò e poi, irritato dalla risata isterica del biondo, strepitò: «Ti faccio ridere io adesso, bastardo!»
Itachi e Sasori iniziarono a ciarlare del più e del meno, con la massima tranquillità, mentre Deidara scherniva Sasuke e quest’ultimo lo rincorreva; ad un certo punto, stanco della corsa, finse di tornare dal fratello, che notò ogni suo movimento ma tacque.
«Ti sei stancato! HA! Ho vinto!»
«Un paio di palle!», e così dicendo, il minore degli Uchiha gli lanciò due shuriken; di poco, il giovane dai capelli dorati e lunghi li scansò e mostrò il medio al piccolo.
«Guarda che Itachi ha insegnato anche a me ad usarli! E poi non conosci il mio ragazzo», indicò con un cenno del capo il rossino, «è una bomba! Esplosivo non solo a letto, ma anche…»
«AH! Non sento! Non mi interessano i dettagli!»
«L’astinenza dagli esplosivi gli fa un po’ male, scusatelo», dichiarò Sasori, scrutando incuriosito il fratello di Itachi e il ventiduenne stesso. «Comunque siete due gocce d’acqua».
«Che intendi con “astinenza dagli esplosivi”?», chiese il moro dai capelli lunghi.
«Ah! Voleva che impiegassi il mio tempo con “l’arte che resta nel tempo”, sai com’è, Sasori non concorda con la mia definizione di arte», il compagno annuì, «e allora mi sono messo a scrivere!»
Silenzio.
«Scrivere, uhm?»
«Sì», annunciò fiero.
«E cosa scrivi?»
«Sto acquisendo una discreta dimestichezza nello scrivere poesie!», ridacchiò, «Vuoi sentirne una?»
Sasori scosse il capo in direzione di Sasuke, speranzoso.
«Credi davvero che a qualcuno interessi delle tue stupide “poesie”?», lo derise Sasuke, fintamente schifato. «Ma che diavolo…?!»
Ignorandolo, Deidara afferrò una sedia e ci salì sopra, sciolse i capelli e abbassò la testa, li mosse con celerità e poi si rialzò; sistemò il ciuffo alla sua sinistra e, schiarendosi la voce, cominciò a poetare.

«Oh tu mia esplosiva argilla
che m’impastocchi le mani;
oh, argilla che al sole brilla
senza di te non vedo il domani.

Oh se mi piace costruire dardi
d’argilla bianchi e belli duri
co’ste rime mi mangio pure Leopardi!

Tu, mia fedele compagna di vita
so che non mi faresti mai del male,
ma semmai mi portassi via le dita
ti farei mangiare da un animale.

Una buona idea è anche il mare
e sai la ragione?
Perché lì ti potrei affogare!»

Silenzio.

Solo silenzio.

«PERCH
É?! SASORI, SPIEGAMI PERCHÉ!
», urlò Sasuke.
«Sasuke, calmati…»
«Ah, calmarmi un corno! È la vergogna della letteratura, delle persone, degli uomini e dei gay! Fanculo!»
«Ma chi ti credi di essere, neh, bimbetto!»
«Ma prima di “poetare”, almeno informati su com’è formato un sonetto!»
«Lo so! Due quartine e due terzine!»
«E tu hai rispettato questa regola?!»
«Certo! Devo per caso ripetertela?»
«NO!», urlarono i tre all’unisono, poi Sasuke battendosi un palmo sulla fronte, si avvicinò a Deidara nel vano tentativo di tenere la calma.
«Deidara, quartina, quartina, terzina, terzina: ecco com’è composto un sonetto. E la tua poesia, se così possiamo definirla, è incredibilmente squallida e insensata!»
«Ma come osi!», il biondo frugò nelle tasche e poi strepitò sulla sedia, «Voglio la mia argilla! Ti farò esplodere, bastardello!»
«Mi sfidi conoscendo il nome degli Uchiha? Scoprirai a tue spese cosa vuol dire questo nome!», Sasuke provò a correre verso Deidara per stenderlo, ma Itachi lo bloccò.
«Basta, otouto».
«Ma… nii-san!»
Il fratellone scosse la stessa sorridendo e il minore annuì, lasciando che il più grande prendesse la sua mano e lo portasse al suo fianco, seduto sul divano, come prima che quel biondo poeta, artista o quel che era, da strapazzo rovinasse la quiete di villa Uchiha.
La serata trascorse tra l’ilarità generale, dei battibecchi tra Sasuke e Deidara e chiacchierate tranquille, finché non giunse l’ora che i due ragazzi se ne andassero. Li salutarono con un sorriso e uno sbuffo sprezzante tra i due litiganti; poi, rimasti soli, Itachi e Sasuke andarono a letto.
«Dormiamo, otouto?»
«Io avevo altre idee…»


_______________________________________________________________________________________________________________________________

NB:
Ho cercato di rendere il capitolo un po’ più “soft”, giusto perché i drammi dal capitolo cinque in poi si susseguiranno fino alla fine…
Inoltre ci tenevo a dare un po’ di spazio a Sasori e Deidara, una coppia che shippo u_u e mi piacciono troppo, per cui non ho potuto farne a meno! E ridicolizzare il nostro artista esplosivo era una cosa che sognavo di fare da un sacco xD Quindi non potevo proprio non approfittarne! Ovviamente la composizione del “sonetto” in maniera errata e lo squallore posto in esso è del tutto voluto e non è scandito dalla mia ignoranza in materia!
Pian piano comunque si vengono a scoprire determinate cose su Madara, ma tutti i chiarimenti ci saranno poi!

Note dell'autrice:

Hello! Posto alle due di notte il capitolo perché domani sarò assente per tutta la giornata e non avrò assolutamente tempo di farlo. "Domani", pf, più tardi, diciamo così. Comunque è 17 e non volevo tardare. Almeno quando ho le storie complete vorrei essere puntuale ç_ç
Posterò il prossimo capitolo il giorno 22.
Ringrazio tutte le persone che seguono, preferiscono e recensiscono la storia.
Bacioni, Giacos.

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Capitolo 5
*** 18 years... and then? ***


Capitolo 5 – 18 years… and then?
Sei mesi dopo.

«Sasuke, manca una settimana al tuo diciottesimo compleanno», fece notare Itachi mentre preparava il pranzo.
«Mh, e con ciò?»
«Cosa vuoi fare?»
«Mmm… vediamo un po’», finse di riflettere Sasuke, alzandosi e avvicinandosi al fratello; gli cinse con le braccia i fianchi e posò la fronte dietro la sua nuca dopo averla baciata e accarezzata, «magari stare con te… E fare l’amore ancora, ancora e ancora…», così dicendo, gli morse il lobo e mimò un ansito sulla pelle del ventitrenne.
«Carina come idea…»
«Mh… Hai fame, Itachi?»
«Mica così tanta…», sussurrò, «Potrei volentieri farne a meno…»
Sasuke lo spostò dai fornelli e, poggiando le proprie spalle al muro, lo avvicinò a sé per baciarlo.
«Peccato che tu abbia bisogno di mangiare e di diventare bello, grande e grosso… Rawr!», il fratello mimò il verso di un dinosauro e, dopo averlo baciato per farsi perdonare, tornò ai fornelli.
«Stronzo», sibilò il minore, una voglia matta di strozzarlo che si impossessava di lui… o forse di fare qualche strano giochino e sentirlo supplicare di smetterla…
«Ah, ma che diavolo vado a pensare!», si schiaffeggiò mentalmente, poi tornò a sedersi e guardare la televisione.
«Otouto», lo chiamò Itachi, posando sul tavolo le pietanze ed accomodandosi di fronte a lui, «sono certo che me lo diresti se accadesse, ma… Hai più rivisto Madara dopo quella volta sei mesi fa?»
«No, Itachi, non l’ho più rivisto», affermò il più piccolo, boccheggiando, «ma meglio così».
«Infatti».


**


«Sasuke!»
«Che cosa ti manca, dobe?»
«Domani compi diciotto anni! Stai invecchiando, neh?!»
«Mh», sbuffò l’Uchiha, «ma perché siete tutti così felici? Solo perché compio diciotto anni?»
«Non si fanno tutti i giorni i diciotto!»
«Se è per questo compi una sola volta tutte le età, usuratonkachi», gli fece notare il neo-diciottenne.
«Ma i diciotto sono i più importanti! Da domani sei maggiorenne!»
«Non vedo ragioni per essere così iperattivo, dobe».
«Festeggiamo!»
«Scherzi, vero?»
«No, domani si festeggia», disse convinto il biondo.
«Mi spiace, ho già da fare domani».
«Ah… Ho trovato!», s’illuminò Naruto, «Disdici, è semplice!»
«Dici cose strane».
«E dai!»
«No. E concludiamo questo discorso».
«Ma…»
«Niente ma», ordinò perentorio Sasuke, facendo tacere dispiaciuto il compagno.

**


«Sicuro di non voler organizzare nulla, otouto?», si rassicurò Itachi, mentre spegneva la luce della propria stanza e si apprestava a distendersi accanto al corpo seminudo del fratello.
«Sì», rispose l’ormai diciottenne Sasuke, «voglio stare con te».
«Naruto ci è rimasto male, sai?»
«Prego?»
«È venuto qui perché voleva che ti convincessi ad organizzare qualcosa con tutti i tuoi compagni; vuole davvero che tu sia felice, Sasuke».
«Lo so, Itachi, lo so bene. Ma voglio stare solo con te», ribadì il concetto facendo stendere il fratello e sedendosi a cavalcioni su di lui.
Il ventitreenne si voltò verso la sveglia poggiata sul proprio comodino: segnava le 00.00.
«Buon diciottesimo compleanno, otouto».

**

«Buongiorno, Sasuke», cantilenò Itachi, in piedi a fianco al letto dove suo fratello era stravaccato e dormiva con la bocca dischiusa. Era già la seconda volta che tentava di svegliarlo e il fratellino non ne voleva sapere di alzarsi. «Ti ho portato la colazione…»
«Mh».
Sospirando intenerito, il maggiore posò il vassoio sul comò lì vicino e si sedette accanto al fratello, prendendogli la mano diafana tra le sue eburnee e poi, dolcemente, la baciò.
«Sono già arrivati questi maledetti…», mormorò, «Mi dispiace, otouto…»
Trascorse una manciata di minuti, prima che Itachi si ridestasse da quello strano stato in cui era caduto, perso nei propri pensieri e nei ricordi di ogni attimo trascorso con Sasuke; improvvisamente pareva che il tempo fosse propenso a passare in maniera rapida e che diciotto anni fossero passati in un batter d’occhio. Aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita godendosi ogni istante, tenendo sempre impresse nel cuore e nella mente le parole dei suoi genitori, la loro premura nei suoi confronti e in quelli del suo otouto, l’amore e la paura, il timore di lasciarlo solo a fronteggiare qualcosa di gran lunga più enorme di lui.
Deglutendo a fatica e scuotendo la testa, nel tentativo di riaversi prima che il neo-diciottenne aprisse gli occhi, Itachi si alzò e stiracchiò, riprese il vassoio tra le mani e ritentò: «Sasuke, svegliati, c’è la colazione».
Un mugolio contrariato: «Lasciami dormire, Itachi!»
«È l’ultimo avvertimento, Sasuke: svegliati».
«No! Voglio dormire! È il mio compleanno e decido io cosa fare d’ora in poi!»
«Io ti avevo avvisato», sentenziò l’Uchiha più grande, posando nuovamente il vassoio e alzando di peso il fratello, che era tornato amabilmente a ronfare.
Aperta la porta del bagno, Itachi la richiuse a chiave, così che Sasuke non avesse opportunità di scappare; e per essere sicuro al massimo che l’avrebbe tenuto lì finché fosse stato necessario, tolse la chiave della serratura e la mise nella propria tasca. Aprì l’anta della cabina-doccia e appoggiò Sasuke al muro. Girò la manopola dell’acqua da fredda a tiepida, proprio per non ammazzarlo, poi aprì l’acqua che schizzò sul corpo del fratello.
«ARGH! Itachi, ma sei impazzito!», ringhiò il minore scrollandosi il nii-san di dosso, guardandosi attorno e scoprendosi nudo, nella doccia, il fratello a torso nudo e un inspiegabilmente fastidioso durello mattutino a tenergli cortesemente compagnia. Non aveva mai odiato tanto quanto quella mattina il suo corpo.
«Era proprio necessario?!», strigliò stizzito, parendo isterico a causa dell’imbarazzo e tentò di coprirsi i gioielli di famiglia, arrossendo di vergogna ancor di più quando constatò che voltandosi, il maggiore aveva una libera vista del suo posteriore.
«Sì, Sasuke, lo era. Non volevi svegliarti ed è necessario che tu stia sveglio, oggi».
«Certo, vuoi ribadire ancora che è il mio fottutissimo diciottesimo compleanno e che è un giorno importante e speciale che non posso assolutamente perdermi, per nessuna ragione al mondo?», recitò inviperito, scuotendo il capo e approfittando di essere già nella doccia per lavarsi. Ripensando alla sera precedente, d’altronde, appurò che ci fosse proprio bisogno di sciacquarsi; le gote gli s’imporporarono al pensiero e si trovò a sorridere con tenerezza, mordicchiarsi il labbro inferiore e una voglia matta di perdonare il fratello si spaziò dentro sé.
«Non è per quello», disse frettolosamente il ventitreenne, voltandosi di spalle e pentendosi quasi di aver preso quella maledetta decisione; ma andava fatto e lui ne era consapevole.
«E per cosa, allora?»
«Finisci di docciarti e poi ne parliamo», Itachi tentò di temporeggiare, nella speranza che almeno quella volta il fratellino semplicemente lo ascoltasse e tacesse; desiderio esaudito, visto che il più piccolo scrollò le spalle e sibilò: «Come vuoi».
«Bene».
«Mi daresti una mano a lavarmi la schiena, Itachi?», chiese in sussurro malizioso il più piccolo; il più grande sorrise malinconicamente e, tentando per la prima volta invano di nascondere quella maledetta paura e la tremenda tristezza, si avvicinò al fratello, proferendo: «Passami il bagnoschiuma».
Detto, fatto.
Itachi spremette la boccetta e poi insaponò la schiena del fratello, beandosi di ogni tocco e della sua pelle d’avorio; gli sarebbe mancata. Da morire.
Sorrise a quell’ultimo pensiero e quasi in automatico si chinò a leccare la nuca del fratello, succhiarla, baciarla, poi avvicinarsi ai lembi di collo e mordicchiarli e succhiarli ancora, imprimendo per l’ultima volta segni che gli sarebbero rimasti per poco tempo; troppo poco, specialmente per i gusti del fratello.
«Itachi…», bisbigliò Sasuke, portando una mano dietro al collo del fratello e inumidendogli in parte i capelli; poi si voltò e fece per trascinare nella cabina anche il maggiore, ma quest’ultimo scosse il capo e si limitò a baciarlo.
«Vieni qui…», lo pregò, ma di nuovo il più grande rifiutò il suo invito e fece per indietreggiare, ma la mano nivea del diciottenne trattenne la sua e l’accarezzò, la strinse e gli trasmise tutto il desiderio che provava nel sentire la sua pelle a contatto con la propria.
«Ti prego…»
«Dannazione…», mormorò Itachi, prima di accontentarlo.

«Dobbiamo farlo più spesso nella doccia, nii-san», ridacchiò il più piccolo tra i due, attirando a sé le labbra del più grande e baciandolo con passione.
«A tal proposito, Sasuke, dobbiamo parlare».
«Wowo, incuti timore se lo dici così», sghignazzò Sasuke, stendendosi sul letto e annusando il profumo delle lenzuola; lavanda, pulito, amore, lui ed Itachi.
Avrebbe volentieri voluto trovare un modo per non far sparire mai quel profumo inebriante da lì.
«Non voglio spaventarti, ma è ora che tu sappia determinate cose».
«Cazzo», pensò il minore, «perché fa così, adesso?»
«Mh», soffiò, «ti ascolto».
«Non lasciar mai andare Naruto per nessuna ragione al mondo; tienilo stretto a te, anche se sono certo che lui stesso insisterà sempre per starti accanto», iniziò. «Adesso, Sasuke, cosa ricordi della notte in cui i nostri genitori sono morti?»
«Ricordo che li salutammo prima di andare al parco, dove trascorremmo l’intera giornata… Non ricordo proprio tutto alla perfezione, ma… Quello che ricordo con nitidezza, sono i loro corpi martoriati e madidi di sangue, i tagli sul viso che sfiguravano il volto di nostra madre e la gola sgozzata di nostro padre…»
«Capisco».
«Itachi, chi ha ucciso i nostri genitori?»
«Io… o tu?», una risata malvagia risuonò nella stanza da letto di Itachi, facendo voltare di scattò il maggiore e spalancare gli occhi al minore. «Tu, Itachi? O Sasuke? Io, Madara Uchiha? Chi lo sa?»
«Itachi, è qui!»
«Lo vedo, otouto».
«Ma Naruto non lo vedeva!», protestò, incredulo.
«È quello che avevo intenzione di spiegarti, Sasuke, ma credo non ci sia più tempo».
«Nii-san, ma che cosa vai farneticando?»
«Quindi tu sai…»
Itachi annuì.
«Sai cosa, nii-san?!»
«Di’ addio al tuo fratellone, Uchiha Sasuke»
«Ti amo, otouto».
«Ma che caz…»
Il buio.
Il freddo.
La solitudine.
Il cuore infranto.
Un tremolio.
Sangue.

Quando Sasuke riaprì gli occhi, ebbe bisogno di guardarsi attorno più volte prima di capire dove si trovasse.
«Che diavolo ci faccio qui?», la sabbia dorata adornava il suo pantaloncino corto e nero, una maglietta blu scuro gli fasciava il busto, i capelli erano scombinati e pieni di granelli dorati. Una fitta al petto ed una allo stomaco, si sentì quasi affogare e la sensazione di vomito aumentò di secondo in secondo, un capogiro; il diciottenne vomitò persino l’anima, sputacchiando sangue e macchiandosi le mani.
«Che schifo», si spogliò della maglietta e cercò di coprire quella schifezza con altra sabbia, allontanandosi disgustato e lo stomaco ancora traballante.
«Che cavolo sarà successo?», si chiese, mentre attraversava dei boschi, prendendo una scorciatoia per giungere al quartiere degli Uchiha. Quando arrivò, notò un accalcarsi di gente nei pressi della sua casa, il che lo sorprese non poco e la preoccupazione ben presto s’impossessò di lui.
«Itachi… Oh, porca puttana, fatemi passare!», corse a perdifiato facendosi a stento spazio tra la folla, che si divagò per lasciarlo entrare in casa propria.
Un silenzio assordante gli pervase i timpani, assestandogli il colpo di grazia; il corpo sembrò raggelarsi, tanto che gli assiderati muscoli non volevano in alcuna maniera lasciarlo camminare, salire quelle maledette scale e cercare suo fratello.
«Itachi?», tentò con voce tremolante, un mormorio silente che si udì comunque attraverso le pareti di ogni stanza sia del piano inferiore, sia di quello superiore.
«Nii-san?», riprovò, mentre forzava le proprie gambe a muoversi; decise di poggiare anche le mani a terra e farsi forza in questo modo e i dolori aumentarono. Doveva farcela. Aveva una paura tremenda che fosse accaduto qualcosa a suo fratello e non avrebbe potuto sopportare una cosa simile.
«Itachi, ti prego, rispondimi…»
La voce iniziava a mancare. Il fiato smorzato lasciava aloni sul parquet lucido, le mani sudaticce esercitavano una grande pressione sugli scalini e l’attrito diminuiva, quasi scivolava, ma sapeva che doveva farcela e non poteva rimanerci secco; magari stava solo riposando, oppure era venuta Sakura e avevano litigato, per cui udendo le grida della ragazza tutti quanti si erano preoccupati, perché era una cosa insolita.
Sì, doveva essere andata così.
Non c’era altra spiegazione.
A Itachi non poteva esser successo nulla di male; era il suo nii-san, forte, coraggioso, dolce, deciso… suo fratello. Eppure quei pensieri non riuscivano proprio a consolarlo, ogni scalino che saliva gli donava la consapevolezza che la visione di cui avrebbe goduto di lì a poco sarebbe stata la peggiore della sua esistenza; peggiore persino di quella dei suoi genitori assassinati brutalmente.
Strusciò ancora, ancora ed ancora, lasciando aloni di sudore e graffi lievi a causa delle unghie, lo stomaco prese di nuovo a vorticare selvaggiamente, le tempie si agitavano convulsamente e l’emicrania non fu restia ad arrivare.
«Nii-san…», sussurrò, «Questo è solo un brutto sogno… Ma sembra così reale… Cazzo se fa male, dove sei, Itachi?»

Dove sei?

«Nii-san», voleva piangere, Sasuke, eppure le lacrime non volevano proprio uscire dai suoi occhi d’ossidiana sbarrati, il fiatone e la pressione troppo alta, la paura e una sconfinata rabbia dentro sé.

Abbracciami ancora.

Il silenzio assordante.

Baciami ancora.

La porta della camera di Itachi spalancata e folate di vento facevano ondeggiare le tende sottili, così che ombreggiassero il pavimento.

È ancora presto per andare via.

Uno sforzo immane per alzarsi e poggiarsi al muro.

Abbiamo una vita intera davanti a noi.

Deglutì a fatica. E poi entrò.

Siamo in estate oppure in inverno?

«No… Non ci credo».

Ti amo, Itachi. Resta qui con me.

«Non è possibile».

Nii-san…

«Sasuke…»

Si è risvegliato?

«Vieni via di qui…», una voce femminile ovattata lo incoraggiò a privarsi di quella visione sconvolgente; rosso, rosso ovunque, il verde degli occhi di Sakura e il rosa dei suoi capelli, il profumo pungente di mele misto allo Chanel n°5 applicato sul collo e sui polsi. Le vene pulsavano. Sasuke non seppe dire se il suo cuore si fosse fermato o stesse battendo troppo forte.
Urlò.
Diede libero sfogo a tutto il suo dolore, gridando e graffiandosi le braccia, ferendo in parte anche Sakura.
E poi una presa salda, pelle bronzea, mani curate, capelli biondi ed occhi cerulei.
«Sono qui, Sasuke».

Sì, non te ne andare.

«Non sei solo».
«Noi siamo qui».
«Ci saremo sempre».

Menzogne! Ve ne andrete come ha fatto lui!

Le braccia di Naruto si attorcigliarono alle spalle scarne e incredibilmente pallide del diciottenne; «bel compleanno del cazzo», pensò l’Uzumaki, trattenendo a stento una crisi di nervi.

Questo dolore non lo posso sopportare.



_______________________________________________________________________________________________________________________________________

NB:
Questo è stato il capitolo più brutto da scrivere D: Far morire il mio personaggio preferito è uno strazio, però… No, non posso parlare, altrimenti spoilero e rovino tutto come mio solito!
Qui mi apro una piccola parentesi sull’IC di Sasuke: come si è potuto notare anche nel manga, per quanto Sasuke affermasse di odiare a morte suo fratello e volerlo veder crepare per mano sua, alla fine il dolore è più grande… e ha fatto tutto per amore. Certo, se Itachi fosse stato meno stupido e Sasuke avesse saputo tutto dall’inizio, sarebbe stato diverso… però…
Spero che condividerete la mia scelta. Anche perché, per quanto il piccoletto voglia sembrare un orgoglioso, un uomo forte di prima categoria, è pur sempre un ragazzino di appena diciotto anni, che ha perso il fratello nel giorno che, anche non volendolo ammettere, è uno dei più importanti.
A questo proposito: in Giappone si diventa maggiorenni all’età di 20 anni, ma è in corso un dibattito per abbassare la soglia ai 18. Spero mi perdonerete per questo ç_ç Ma non potevo tirare troppo a lungo, come ho già accennato!

Note dell'autrice:
*si guarda attorno e cammina silenziosamente* Okay, non dovrebbe esserci nessuno... *scansa giusto in tempo una sedia volante* Eh, no, però! Non iniziate a lanciare oggetti... per favore! ç_ç Suvvia, mi sono già autolesionata scrivendo, pensando questo capitolo... Comunque sapevate che sarebbe arrivato il momento del dolore e questo è uno dei tre capitoli finali. Dolore a tutto spiano ç_ç anzi, minimo, perché mi sono limitata a causa del rating. Le descrizioni dovevano essere più ampie, volevo suscitare davvero molte più cose, ma... a quel punto il rating sarebbe scattato a rosso!
Lo so che mi adorate, non mi odierete mai... Cavolo, so che cosa provate, anch'io desidero ancora fare tanto male fisico e mentale al sensei, però io sono tanto buona ç_ç *cerca di arruffianarle, ma vede tutti lanciare oggetti appuntiti, infuocati e urlare "Questa è Sparta"* Okay, è la mia fine...
Beh, ne approfitto per ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato delle bellissime recensioni, ricche di bellissime parole, e a tutti coloro che hanno seguito, ricordato e preferito.
*abbraccia coccolosamente tutti* Bacioni, Giacos.


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Capitolo 6
*** Suffering. ***


Capitolo 6 – Suffering.
Cinque mesi dopo.

[ Naruto Shippuden OST - Loneliness ]


Gli sguardi colmi di pietà della gente avevano sempre infastidito da morire l’Uchiha. Non voleva compassione, non desiderava niente di niente, se non tornare a quel maledetto giorno di cinque mesi prima per cambiare le cose.
Ma non si può.
Doveva andare avanti, gli dicevano. Era comprensibile che perdere il proprio fratello, l’unico che aveva, fosse distruttivo e le smanie di autolesionismo che opprimevano i sensi di Sasuke stentavano a diminuire e lasciarlo in pace. Per quanto “pace” potesse essere definita quella spaventosa quiete ricca di sofferenza; un destino crudele, il suo, ecco come tutti gli altri giustificavano le perdite che aveva subito. Prima i genitori e poi anche Itachi. La morte sarebbe arrivata a tutti, prima o poi, avrebbe afferrato via l’anima della persona e avrebbe goduto nel vederla agonizzare, ghignato e poi si sarebbe dimostrata l’unica compagnia restante, tanto che il morto l’avrebbe poi pian piano apprezzata. Accettata.
L’unica compagna… di morte?
O della vita nell’aldilà?
Esisteva un aldilà, come dicevano tutti, o semplicemente c’era il vuoto? Un buio pesto nel quale non si era capaci nemmeno di distinguere se stessi? Delle tenebre alle quali non ci si sarebbe mai abituati? O forse la vita sarebbe finita nel momento esatto in cui il cuore avesse cessato di battere. C’era la possibilità, l’amara eventualità che tutto sarebbe finito laddove era cominciato: su quello schifo chiamato “pianeta Terra”.
E con quel pensiero sarebbe potuta sparire anche la speranza di rincontrare Itachi.
Eppure lui continuava a credere di poterlo rivedere, mentre si abbandonava all’odio e a quell’irreprimibile voglia di vendicarsi. Di ammazzare quel bastardo di Madara.
Perché ormai era certo che non fosse solo un sogno, una mera illusione o scherzi di qualsivoglia genere della sua mente; Itachi stesso l’aveva visto.
Lui esisteva.
Tutti sapevano che c’era, ma nessuno osava proferire parola.
Nemmeno gli Hokage avevano voluto parlarne e avevano deviato ogni quesito posto da Sasuke, rispondendo ad insulti vari e agli sfoghi di rabbia difficilmente repressa e custodita quasi con gelosia dall’Uchiha con il silenzio.
La quiete, ad un certo punto, fu reputata pletorica.
La calma prima della tempesta.
Sarebbe arrivata la pioggia dopo la siccità.
Il cuore di Sasuke sarebbe tornato a battere preda dell’eccitazione mentre vedeva la luce abbandonare gli occhi neri di Madara, mentre quel sorriso strafottente e vittorioso svaniva con una lentezza entusiasmante dal suo volto cereo e a tratti spigoloso. Avrebbe voluto torturarlo in ogni maniera possibile ed immaginabile, oppure lasciarsi andare alla casualità e alla spontaneità di cui non aveva mai fatto uso; o forse mai disposto. A prescindere da ciò che aveva e ciò che non possedeva, Sasuke Uchiha si sarebbe presto preso la vendetta che gli spettava.

Madara deve soffrire.

«Farei di tutto pur di vendicare la morte di mio fratello», aveva asserito con convinzione e perentorietà quando Sakura, che si era rivelata davvero deliziosa e non la poco di buono che credeva fosse, gli aveva domandato cosa credeva di fare. Era davvero fermamente convinto che dopo ci avrebbe guadagnato qualcosa, ma né la giovane né il compagno Naruto avevano la sfacciataggine di urlargli in pieno volto: «Uccidere Madara non ti darà indietro Itachi!»
Naruto più di tutti poteva comprendere lo stato in cui si trovava, pur non avendo mai avuto un fratello, i genitori li aveva comunque persi pochi anni prima. Giusto prima di entrare in Accademia e avvicinarsi a Sas’ke.
«Non mi hai mai parlato della tua famiglia», gli aveva fatto notare, aggiungendo in seguito: «né io ti ho parlato della mia, ovviamente».
«Mh».
«Ti va se lo facciamo?»
«Non c’è nulla da dire. Avevo una madre, un padre e un fratello. Sono morti. Fine della storia».
«Se è per questo anch’io avevo una madre e un padre, non avevo fratelli né sorelle, ma comunque anche i miei sono morti».
«Mh».
«Esistono anche altre parole nel dizionario, lo sai, vero?»
«Mh».
«Sas’ke, mi stai ascoltando davvero
«Mh».
«Che ore sono, teme?»
«Mh».
«TEME!», strepitò il biondo, scuotendo con veemenza per le spalle il compagno estatico, imbambolato a fissare davanti a sé; anche se, Naruto ne era certo, dinanzi a lui non aveva altro che un incolmabile vuoto.
Questa volta lui non sarebbe stato abbastanza, in cuor suo lo sapeva. Eppure credeva fermamente in se stesso, nella decisione, nel poter cambiare lo scorrere del ciclo vitale e modificare il proprio destino; era certo che Sasuke non sarebbe stato triste per sempre. Mentre il compagno non voleva saperne di essere recuperato da quel profondo baratro di odio, quel circolo vizioso creatosi per amore. L’amore generava odio, l’odio generava amore. I due sentimenti si contendevano la supremazia e nessuno dei due accennava a lasciar che l’altro prevalesse su di sé.
Un po’ come quell’uragano biondo amico di Sasuke: non si sarebbe mai arreso.
«Lasciami stare».
«No».
«Voglio stare da solo».
«Teme, sei un bugiardo!»
Silenzio.
«Teme», ritentò l’Uzumaki.
«Non ricominciare».
«Da quant’è che non mi chiami dobe o usuratonkachi?»
«Ti manca essere preso per il culo da me?»
«Parli nel senso letterale?»
Un’occhiataccia.


«Scherzavo, scherzavo», lo rassicurò, «comunque sì».
«Che cosa “sì”?»
«Mi manca più di ogni altra cosa».

A me è Itachi che manca più di ogni altra cosa, lo volete capire?!

«Mh».

È quel senso di appagamento di cui non posso fare a meno, che mi fa sentire vuoto.

«Teme…»

È tutto ciò che mi resta.

«Io sono qui», gli rimembrò accarezzandogli i capelli corvini, scombinandoglieli come ai vecchi tempi e poggiando il capo sulla spalla ossuta.
«Mh».
«Di’ qualcosa, qualunque cosa».
«Ucciderò Madara, rassegnati a volermi riavere».
«Io ti accetterei così come sei! Perché sei sempre il mio teme… Non importa quanto gli avvenimenti possano cambiarti e la sofferenza possa irrigidirti. Tu sei stato, sei e sempre sarai il mio Sasuke Uchiha, il teme più baka che possa esistere’ttebayo!»
«Dobe».
«Ce l’hai fatta!»
«Sparisci».
«L’hai detto!»
«Evapora».
Un bacio.
«Teme, teme, teme!»
Un abbraccio.
«Non sarai mai completamente solo».


**

Ventuno marzo.
Ed era andata via anche lei.
Sasuke non aveva avuto nemmeno la forza di canzonare Naruto urlandogli: «Avevo ragione, dobe; di nuovo. Prima o poi se ne vanno tutti».
L’ennesima morte sospetta di una persona che si era avvicinata ed affezionata a Sasuke. La seconda persona che aveva accennato a quell’argomento tabù, quella cosa importante che Itachi fu sul punto di dirgli il giorno del suo diciottesimo compleanno, ma che tacque per sempre.
Sakura sapeva qualcosa. E quando stava per dirglielo lui aveva di nuovo perso i sensi e lei era morta; lui, impotente, si era ritrovato sulla spiaggia e di nuovo aveva vomitato e sputato sangue.
La storia che si ripete.

Percepiva l’odore di morte nell’aria ogni giorno che passava e temeva che potesse avvicinarsi a lui. Ma non per il timore di morire, tanto quanto perché al suo fianco c’era Naruto.

Il ventotto di marzo aveva deciso di tornare nel suo posto. La compagnia del cinguettio degli uccelli sarebbe stato utile, l’avvento della primavera era passato da appena una settimana e la stagione dei ciliegi era stata inaugurata con la morte di Sakura.

Bella merda.

Si aspettava che il ciliegio desse presto i suoi frutti, mostrando i fiori rosati e bianchi, puri, candidi come la neve d’inverno, ma portatrici di un tepore che solo la primavera era in grado di donare; i boccioli di ciliegie che presto sarebbero fruttate e diventate rosse e saporite. Uno dei pochi frutti rossi che l’Uchiha ingeriva senza fare troppe polemiche.
Ma quando arrivò su quel prato e si distese, lanciando un’occhiata dietro di sé, notò che l’albero era appassito, quasi completamente spoglio e le foglie raggrinzite, i fiori di ciliegio di un bianco evanescente e la brezza d’inizio primavera li faceva staccare con facilità dai rami e appollaiare sul terriccio, assieme ai suoi gemelli e alle foglie.
Era morto con lei.
La natura, in qualche modo, riusciva a percepire i sentimenti nell’aria e seguiva passo, passo l’andamento delle vite nel paesaggio circostante; asseriva ed era presente nei momenti di bisogno, taceva e donava un’atmosfera intensa e romantica negli attimi opportuni. Era la più grande fonte di energia e vitalità che potesse esistere ed era solo grazie ad essa che gli uomini potevano permettersi di vivere sul pianeta.
Un’altra persona.
Un altro nome finito su quella lista.

Quella delle persone da vendicare.

E solo una rimaneva su quella un po’ più importante dell’altra.
Quella delle persone da proteggere, nella quale vi era scritto ormai un solo nome, che racchiudeva però il mondo intero di Sasuke; anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce né a se stesso, nonostante la consapevolezza.


Naruto.


{**}

«Lo sai dove sei, Sasuke?»
«Ma cosa…»
«Sei all’Inferno…»

___________________________________________________________________________________________________________________________________


NB:
È dovuta una piccola parentesi per il rapporto descritto da me Sasuke/Naruto.
Per una volta non ho voluto vederli come rivali. Ci deve essere sempre un distacco che non consenta ad entrambi di aprirsi davvero, cosa che nel manga accade durante una battaglia e per manifestazione di rabbia dell’Uchiha. La tenacia dell’Uzumaki ho cercato di tenerla, per non renderlo OOC era più che dovuto; mentre ho trovato l’appiglio per collegare il volersi vendicare del manga con la vendetta che ricerca qui Sasuke: Konoha e Madara. Tutto gira attorno a loro.
Sakura tradotto significa davvero “ciliegio”, era più che dovuto il rimando alla natura.
In un certo senso ho dato una personificazione, un’umanità alla natura in un certo senso come il Petrarca: la presenza taciuta nei momenti di bisogno e la comprensione di stati d’animo. Cosa che si può tranquillamente vedere in ogni situazione del manga: presagi di sventure e quant’altro.

Note dell'autrice:
Posto con un po' di anticipo il sesto capitolo, sia perché è piuttosto corto, sia perché ho un bel po' di cose da fare e non vorrei rimanere indietro con gli aggiornamenti. Ne approfitto per avvertirmi di essermi (non so assolutamente come!) dimenticata un pezzettino nello scorso capitolo. Non l'ho inserito nell'html e non so perché ç_ç Ho comunque provveduto a modificare, magari andate a leggere l'ultima parte... *arrossisce* sono proprio idiota ç_ç
Bah, non saprei che altro dire... penso che pubblicherò il capitolo tra due - tre giorni, tanto è l'ultimo e non mi va di tenervi tanto sulle spine u_u
Grazie a tutti coloro che seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono questa storia! Vi informo, comunque, che l'ho rimessa in cantiere per elaborarla come avrei voluto già fare!
Bacioni, Giacos.

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Capitolo 7
*** The last act. ***


Capitolo 7 – The last act.
Sette agosto.


L’Uchiha spalancò gli occhi, allibito e seriamente spaventato. Era morto e nemmeno se n’era accorto?
«Ci hai creduto, stronzetto».
Attonito, Sasuke si guardò attorno e cercò di capire da dove provenisse esattamente quella voce; aveva la sensazione di conoscerla e anche piuttosto bene, ma era piuttosto arrochita e non riuscì a definire all’impatto a chi appartenesse.
Tentò di alzarsi da quello che sembrava essere un letto, lenzuola bianche e macchie rosse… Il diciannovenne si guardò le mani e le scoprì madide di sangue. Controllò ogni punto del suo corpo che poteva dolergli, ma non ve ne trovò.
«Non è il tuo sangue quello che hai sulle mani».
«Madara?!», il moro gridò quel nome nella speranza che fosse davvero Madara l’uomo che parlava, anche se la voce lasciava intendere altro; almeno in parte.
Era dannatamente confuso e stordito, le vene pulsavano e sembravano voler scoppiare, s’ingrossavano e gonfiavano come il petto per ogni respiro del giovane, gli occhi erano fuori dalle orbite e insanguinati, il bisogno di esternare la frustrazione e la rabbia che aveva covato per così tanto dentro sé era prepotente ed impellente.
«Vieni da me, Sasuke…»
«Puoi starne certo, bastardo!»
Traballante, il giovane si issò e, guardandosi attorno e tremando, cercò di scovare l’altro Uchiha.
Era circondato da rocce. Quel posto sembrava non avere vie d’uscita.
«Non spaventarti, giovane e… innocente Sasuke Uchiha».
«Ma che ca…»
«Vieni, vediamo se sarai in grado di farmi divertire».
E fu allora che lo vide.
Non era solo, ma la compagnia sembrava innocua e tutt’altro che preoccupante.
Era solo un anziano signore deperito attaccato con uno strano tubo ad una roccia molleggiante… Ma le rocce sono dure e non sono morbide! Non possono fluttuare!
«È… materiale organico, diciamo».
Ti uccido.
«Tu provaci».
E Sasuke si trovò un kunai tra le mani, anch’esso macchiato di sangue.
Cercò di non badarci troppo e corse verso l’avversario, ricordando tutte quelle storie raccontategli da Itachi, quegli insegnamenti giusto per divertimento di cui aveva fatto un prezioso tesoro.
«Ma poi potresti perdere l’opportunità, l’unica che hai, di conoscere la verità».
E il diciannovenne si bloccò.
Bastardo.
«Non sei curioso di sapere chi ha ucciso i tuoi genitori, la ragazzina dai capelli rosa, Itachi?», sghignazzò con cattiveria, sospirando di piacere nel vedere l’espressione sconcertata del ragazzo di fronte a sé, nel quale s’era avviata la battaglia tra cosa fosse più importante tra le due cose.
«Oh, quasi dimenticavo il tuo amichetto biondo… Uzumaki Naruto».
«CHE COS’HAI FATTO A NARUTO?!»
«Cosa “ho” fatto?», sibilò quasi incredulo l’uomo, «Cosa hai fatto, giovane Uchiha».
«Io non gli farei mai del male!»
«Così come non ne avresti mai fatto ai tuoi cari genitori, alla nuova amichetta che ti eri fatto e soprattutto al tuo nii-san», pronunciò le ultime due parole marcando tutto il risentimento che albergava dentro sé, sorridendo.



«Io non ho mai fatto del male ai miei cari, taci!»
«Nessuno può essere sicuro che ciò che chiama realtà non sia solo una illusione. In fondo, non è forse vero che le persone vivono immerse nel torpore dei propri preconcetti?»
Itachi.
«Sì, tuo fratello era un vero saggio, non c’è che dire», ammise, «un abile oratore».
«Non osare parlare di Itachi», minacciò l’Uchiha, «sei un uomo morto!»
«Non puoi ammazzarmi, ragazzino, rassegnati», lo disilluse Madara, con cipiglio severo e una serietà disarmante, «io e te siamo uguali».
«Io non sono un criminale, Madara», rise amaramente il diciannovenne, scuotendo il capo incredulo e continuando a fissare le sue mani e il kunai che impugnava. E i dubbi sorsero nonostante a parlare fosse quello stesso uomo che era apparso poco prima che suo fratello morisse. Quello stesso criminale che fu cacciato da Konoha e che gli Hokage non furono in grado di imprigionare o neutralizzare. Quante possibilità aveva di poter cambiare le cose…?
Eppure doveva ucciderlo.
Doveva.
Madara sorrise.
«Vuoti di memoria, Sasuke?»
Il suddetto rabbrividì.
«Vuoi ricordare, ragazzino?»
Voglio ricordare ciò che non so di aver vissuto?
«Lo vivrai…», gli assicurò, «di nuovo».
Fu il più anziano dei due ad alzare le mani e stendere le braccia davanti a sé, i palmi aperti e la pelle raggrinzita, color bianco-grigiastro, gli occhi sorprendentemente neri con riflessi violacei nelle sclere; li richiuse dopo poco e Sasuke sentì le proprie forze scemare: la vista abbagliarsi ed offuscarsi, uno stridio improvviso e poi il silenzio totale, un vuoto sotto di sé al posto delle rocce e non sentiva più il kunai tra le mani, così com’era sparito il senso di fastidio causato dal sangue; era scomparso anche il suo odore pungente e la saliva insapore mista al sapore di sangue e vomito spariva dalle sue papille gustative.
Era diventato il nulla.
Si sentiva esattamente come quando aveva visto Madara.

Forse non sta mentendo.

Forse ho mentito a me stesso.

Si possono cancellare davvero i ricordi sgraditi?

E rivide se stesso da bambino nel buio dinanzi ai suoi occhi, nonostante la certezza che le sue palpebre fossero aperte; qual è la verità?
E le grida ovattate che pian piano riuscì ad udire, le lacrime, la rabbia e il sangue, i suoi genitori stesi sul pavimento, morti, e Itachi dietro immobile.
Statuario.
E vide Sakura. La sua femminilità risaltata dai movimenti sinuosi nonostante la corporatura esile di cui godeva, i tentativi di spiegare tutto in parole semplici e in maniera lineare, la perdita di coscienza e di nuovo urla, lacrime, rabbia e sangue. Un altro corpo senza vita.
E vide Itachi.
Il suo nii-san.
Gli aveva detto che l’amava e lui, orgoglioso com’era, non aveva mai avuto il coraggio di dirgli lo stesso più di due volte nel giro di un anno trascorso in balìa del loro rapporto amoroso e non più soltanto fraterno.
Madara era lì e lo guardava.
E le mani di Sasuke si destreggiavano con maestria sul corpo ormai coperto del fratello maggiore; non per accarezzarlo, denudarlo e farci di nuovo l’amore come se fosse la prima volta. Stava tracciando la linea dei pettorali sino a giungere al suo cuore, disegnandoci degli invisibili cerchi concentrici e riuscendo addirittura a vedere oltre lo strato di epidermide chiara di Itachi. Vedeva il suo cuore battere furiosamente e il sangue circolare, i muscoli tutt’attorno e come pian piano i battiti del suo muscolo cardiaco andavano affievolendosi. E una lama che penetrava attraverso quella pelle bianca chiazzandola di rosso, gli occhi spalancati del ventitreenne, che ormai sarebbe stato un ventiquattrenne, ancora sangue che fuoriusciva dalla sua bocca.
Il sorriso sadico di se stesso scandalizzò il giovane Uchiha che fissava paralizzato la scena, in bilico tra l’essere felice di non potersi ammazzare sul serio e il bisogno fisico e mentale di farlo il prima possibile.
«Non ci saranno prossime volte, otouto».
Udì la voce del fratello per la prima volta dopo tanto tempo, che coincideva anche con l’ultima.
E poi vide Naruto.
«No, Naruto no», riuscì a pensare spalancano fauce e occhi, tremando nonostante non riuscisse a percepire le scosse sul suo corpo. Sentì il suo cuore incrinarsi, nonostante avesse constatato l’impossibilità del sentirsi così e poi, chinando il capo, aveva scorto l’oscurità che circondava se stesso e in lontananza il vecchio signore appoggiato alla roccia e Madara impassibile.
Una forza invisibile lo costrinse a fissare la scena di se stesso che, sedendosi a cavalcioni sul biondo, ammazzava anche lui.
E rivisse il suo risveglio in quel luogo roccioso senza uscite.
«Addio, Uchiha Sasuke».
Il vuoto e l’oscurità ancora.
Poi un temporale.

Realtà o finzione?

Un tempo sapevo qual era il mio vero io, ma ora non ne sono più tanto sicuro. Adesso mi sembra quasi che non ci sia nessun vero io.

**


Grondante di pioggia, un giovane uomo camminava per le strade deserte di Konoha durante una notte invernale. Lasciava che quelle gocce d’acqua delineassero con esaustiva tranquillità il suo volto d’alabastro, gli occhi color nero pece vuoti e persi, fissi sull’asfalto lucido su cui strusciava stancamente i piedi. I capelli corvini bagnati erano attaccati al volto e alla nuca, due solchi profondi e oscuri erano posti sotto i suoi occhi; le labbra violacee a causa di quel freddo ed impregnate d’acqua erano socchiuse, lasciando che nuvolette di fumo candido fuoriuscissero attraverso esse.
I tuoni ovattavano il suono delle scarpe strusciate sull’asfalto, delle pietricciole calciate via dalle suole gommose, quasi anche dello scroscio impetuoso dell’acqua piovana. Eppure il giovane sembrava estraniato da quella realtà così concreta che gli si manifestava in tutta la sua maestosità e potenza. La luce di un lampione in lontananza illuminava vagamente ad intermittenza, fino a spegnersi ed oscurare maggiormente l’isolata via.
«Naruto, dove sei?»
Un fulmine.
«Itachi, sei tu?»
Un tuono.
«Dove siete finiti, voi tutti?»
L’intensità dell’acquazzone aumentò di gran lunga, il corpo inzuppato tremava, la vista del ragazzo si offuscava passo dopo passo, i sussurri fuoriuscivano appena, la voce strascicata gli moriva in gola, il vuoto si faceva spazio dentro sé.
Sasuke Uchiha aveva la netta sensazione che un uragano gli fosse piombato dentro, trascinando via con esso ogni speranza, desiderio, emozione. Tutto ciò che era rimasto di quell’uomo era un corpo che fungeva da guscio della propria solitudine e al tempo stesso gli impediva di crogiolarsi. Perché, per quanto ormai contasse, lui era ancora quel Sasuke Uchiha forte, vendicativo ed orgoglioso, pieno di sé, con delle ambizioni alquanto raccapriccianti e una scarseggiante personalità. Anche se quest’ultima era venuta fuori, col tempo, grazie all’unica persona che avesse contato qualcosa per lui; non quanto l’amato fratello, ma un individuo che era stato importante. Un’importanza vitale dato che, senza di esso, il giovane Uchiha non si sarebbe ridestato da quello stato di noncuranza nel quale si era amabilmente abbandonato tempo addietro.
«Mi sentite?», aveva proferito, «Io sono qui, non me ne sono mai andato».
Una mano diafana si protese dinanzi al proprio busto, nel vano tentativo di afferrare qualcosa di solido e non di certo l’aria; non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a camminare, né gli interessava davvero. La pesantezza dell’atmosfera circostante, però, iniziava ad essere asfissiante e quasi insopportabile.
«Questo scherzo è di pessimo gusto», disse, «e il gioco è bello quando dura poco!»
Stava iniziando a perdere la pazienza, Sasuke. Nonostante la sua stima nei confronti della solitudine superasse ogni tipo di confine, in quel momento l’essere isolato dalle persone che l’avevano fatto sentire vivo lo distruggeva. Quella consapevolezza di non avere al suo fianco Naruto e Itachi gli corrodeva l’animo e gli organi, gli trascinava via le funzioni vitali, gli perforava i polmoni e ostruiva le vene, così che il sangue si coagulasse e smettesse di circolare. Il cuore avrebbe smesso di pompare, la scarsità d’ossigeno si sarebbe fatta sentire a breve e il peso che opprimeva il petto del moro si sarebbe dileguato nel nulla. Sarebbe stato libero.
In lontananza scorse l’appartamento di Naruto Uzumaki. Il pensiero che la distanza tra loro era ormai minima lo rincuorò, anche se poco; le labbra si curvarono in un sorriso appena accennato, ma le iridi d’ossidiana rimasero vuote ed imperscrutabili.
Le gambe slanciate salirono le scale meccanicamente, le braccia pendevano lungo i propri fianchi, gli occhi si strabuzzarono quando Sasuke, di malavoglia, notò che la porta dell’appartamento di Naruto era leggermente aperta.
Le pallide dita lunghe e affusolate si posarono con grazia e delicatezza sul legno scuro della porta, spingendola e aprendola; il cigolio diede un’insolita aria spettrale e cupa a quella casa solitamente colma della solarità caratterizzante il compagno.
Poco gli importò di essere intriso d’acqua, semplicemente si fece strada all’interno dell’appartamento, constatando che nessuna luce era accesa; l’unico spiraglio luminoso che lo irraggiava s’intravedeva attraverso i vetri delle finestre e la porta.
«Naruto?», ritentò l’Uchiha, insicuro come non era mai stato prima. Non udendo alcuna risposta, si avviò verso la cucina: non lo trovò; optò così per il bagno: non era nemmeno lì; nel salone: non c’era.
L’ultima stanza che gli restava da perlustrare era la camera da letto.
Deglutì a fatica, prima di varcare la soglia e fissare il letto pregno di…
«Sangue…», sibilò incredulo.
Le ginocchia presero a tremare incessantemente e l’aria gelida gli assiderò i muscoli, impedendogli la fluidità nei movimenti; ciononostante riuscì a giungere a fianco al corpo privo di qualsivoglia essenza vitale, ricoperto rigorosamente di liquido rosso intenso, il cui acre odore inebriava con prepotenza le narici di Sasuke.
Con estrema lentezza, ignorando la fastidiosa sensazione donatagli dai pantaloni zuppi che indossava, si sedette sul letto, poggiando le mani gelide e diafane su quelle abbronzate di Naruto. L’indice e il medio si posarono sul polso molle, cercando un qualunque segno che lo inducesse a pensare alla possibilità che l’altro fosse ancora vivo. Non trovandovene, insisté toccandogli la vena carotidea e sussultando a causa di un tuono che parve quasi voler spaccare in due il cielo notturno.
Nemmeno in quell’occasione un battito casuale gli rischiarò quella speranza offuscata, così come inspiegabilmente le gocce che dal volto gli giunsero sulle labbra avevano un sapore dannatamente salato e familiare.
I suoi occhi neri si posarono sulla chioma dorata chiazzata di rosso del giovane disteso e istintivamente l’Uchiha strinse la presa della sua mano.
Digrignando i denti e fremendo, il moro avvicinò il suo volto a quello di Naruto, socchiudendo le labbra e sfiorando quelle morbide e rosse dell’altro; non curandosi affatto del sangue rinsecchito, posò un casto bacio con l’intenzione di infondergli un po’ di calore, di trasportare ossigeno al suo interno e rianimarlo. Gli fosse costato sanguinare incessantemente pur di rimettere in moto l’apparato circolatorio dell’altro, lui l’avrebbe fatto senza alcuna esitazione; così come l’avrebbe fatto per il suo nii-san.
Un’altra perdita di quel calibro non l’avrebbe accettata mai e poi mai.
Non poteva capacitarsene.
«Preferisco morire, a questo punto…», zufolò caustico, spalancando le palpebre e sperando che gli occhi cerulei del compagno presto si aprissero e incrociassero i suoi.
«Naruto, svegliati!», gridò, per quanto la voce glielo consentisse. «Non anche te… Non posso perdere anche te! Apri i tuoi fottutissimi occhi!»
Il silenzio fu l’unica disarmante risposta che ricevette.
I ricordi, constatò, erano tutto ciò che gli restava.
«È un vero peccato, era davvero un bel ragazzo».
A scatti, Sasuke si alzò dal volto del biondo e tentò con le poche forze che gli erano rimaste di voltarsi verso la persona che aveva pronunciato quelle parole, gli occhi ridotti a due fessure colme d’odio, le mani tremavano dalla rabbia, ormai impossibile da reprimere.
Solo quel verme poteva aver fatto una cosa simile; soltanto quel bastardo avrebbe goduto nel guardare il giovane Uchiha avvilirsi per l’ennesima perdita da accettare. Aveva perso il conto di quante persone care lui gli avesse portato via ed era riuscito a privarlo anche delle ultime due persone che contassero qualcosa per lui.
«Cosa farai ora, Uchiha Sasuke?»
«Sparisci, Madara».

{**}


L’ennesima notte di pioggia.
Forse era una coincidenza, forse semplicemente era tutto premeditato e posto secondo la volontà di un’entità superiore; all’incirca poteva essere una strana concordanza tra le sensazioni dell’Uchiha e il clima. Ogni volta pareva che quest’ultimo lo comprendesse a pieno e manifestasse ogni sentimento che irradiava il corpo di Sasuke.
Il giovane nemmeno ricordava l’ultima volta che si era goduto una splendida giornata di sole, guardandolo sorgere al mattino, donando così sfumature di colori caldi. Era da tanto tempo che non fissava il sorgere del sole, ammirando estasiato il cielo azzurrino privo di nuvole e doveva ammettere che gli mancava più di ogni altra cosa al mondo.
Era una delle abitudini che accomunavano lui ed Itachi: diventando più grandi, non sempre avevano l’occasione di svegliarsi molto presto per lodare il giorno che stava per cominciare, abbracciati, mano nella mano, un bacio appena accennato e poi la colazione che li aspettava. Certo, dopo essersi dichiarati l’uno all’altro, bearsi di quella visione paradisiaca era diventata una cosa piuttosto romantica, che rispecchiava in parte la loro percezione del proprio rapporto. Quella calma e quel silenzio che potevano esser compresi da loro, e da loro soltanto; quella purezza caratterizzante i sentimenti che l’uno provava per l’altro; i colori più vivaci mano a mano che il sole si ergeva più in alto in cielo, che palesavano la vita intesa dal punto di vista del minore dopo che si era concesso a Itachi, senza indugi, né rimpianti riguardanti la propria scelta; e d’altra parte anche la visione di Itachi stesso: Sasuke colorava le giornate e la propria vita, con dei sorrisi o una semplice carezza, uno sguardo o un bacio.
Le loro vite si erano intrecciate sin da quando il minore era venuto alla luce, sotto lo sguardo vigile di Fugaku e quello premuroso di Mikoto; il maggiore era rimasto a casa con gli zii, perché un bambino di appena cinque anni non avrebbe potuto assistere ad un parto. Ma non appena i genitori tornarono a casa e poté tenerlo in braccio, il legame tra loro venne classificato come inscindibile.
Gli mancava. Gli mancava efferatamente.
Avrebbe dato qualunque cosa pur di avercelo di nuovo accanto. Anche solo un istante gli sarebbe bastato, pur di non provare ancora quel dolore che lo logorava fino a spazzare via ogni essenza che lo caratterizzasse. Avrebbe sacrificato qualunque cosa pur di accarezzare quel giovane viso da uomo, fissare i suoi lineamenti a tratti femminei e perdersi negli occhi neri come i suoi, ma decisamente più intensi e intrisi di sentimenti ineffabili, scombinare i capelli lisci e lunghi, ingarbugliarglieli, sentire la sua voce chiamarlo “otouto” o semplicemente per nome; udire un silente sussurro, essere richiamato all’ordine e riposto sulla retta via al momento giusto.
Aveva nostalgia anche di ogni discussione per ragioni banali, quelle più corpose e importanti; voleva litigare ancora, per poi trovarsi steso supino sotto il corpo imponente e virtuoso di Itachi, la sua pelle morbida e bollente a contatto con la propria, candore su candore, neve su neve sciolta al sole tramite un atto impregnato d’affetto, fare ancora l’amore per ore ed ore, non stancarsi mai di sentire la presenza del fratello dentro sé.
«Ridatemi Itachi… Vi prego…», sul volto era tinteggiato il riflesso della disperazione, l’odio puro smarrito nel momento in cui aveva compreso di non aver più ragioni per vivere e la solitudine tanto agognata sparire nel proprio desiderio di ricongiungersi in tutto e per tutto a Itachi Uchiha, suo fratello, suo punto di riferimento, il suo amore, il suo tutto.
Sasuke sbottonò la zip della propria felpa, quel poco che bastava per scoprire mento e gola, per poi lasciare che l’acquerugiola lo bagnasse, curandosi poco della sensazione di disturbo causatagli. La sua mano finì nella tasca destra della tuta, rigorosamente blu, uguale a quella che indossava il suo primo giorno di Accademia; solo adattata all’attuale statura e lunghezza delle gambe. Lo sguardo era perso nel nulla, mentre con lentezza esacerbante tirava fuori dal pantalone un coltello in metallo: un kunai, per la precisione, uno di quegli aggeggi delle leggende metropolitane riguardanti il mito dei ninja. Un’altra delle tante scelte fatte adeguatamente a ciò che ricordava di Itachi: tante volte, quando era bambino, il maggiore gli aveva raccontato di questi esperti delle tattiche militari, i ninjutsu; erano vestiti con abiti neri di notte e marroni di giorno, combattenti di alto rango ferrati nelle arti marziali, spionaggio, omicidio mirato, sabotaggio e tortura. Non era stato di certo a quell’età che Itachi gli aveva spiegato tutto nel dettaglio, bensì si limitava a parlare di questi coraggiosi personaggi che si occupavano del mantenimento dell’ordine pubblico per conto della polizia giapponese, e della protezione dei daimyo, i signori feudali locali.
I kunai erano utilizzati come dardi da lancio o per scavare fosse nei momenti di necessità, ed erano parte fondamentale dell’attrezzatura ninja. Itachi era particolarmente affascinato da tale arma, tanto da averne una collezione propria stipata su uno scaffale nella propria camera, assieme alla naginata, alla kusarigama, agli shuriken e alla kusanagi.
Impugnato il kunai, Sasuke lo portò all’altezza della clavicola, poi più in alto, all’altezza del collo. Strinse la presa attorno all’impugnatura in metallo, scivolosa a causa del piovasco, mentre lo sguardo giaceva morente nell’immensità del mare che si estendeva di fronte a sé.
«Otouto».
Un lampo.
«Otouto», ritentò Itachi, «se continui a stare sotto la pioggia, ti verrà un accidente».
Un tuono.
«Sasuke», Itachi si avvicinò con accortezza al fratello minore, posandogli con delicatezza una mano tra i capelli corvini, «non voglio che ti ammali. Torniamo a casa».
«Io non ho più una casa, Itachi», gli rammentò amaro Sasuke, «la mia dimora è dove sei tu».
Itachi tacque, continuando ad accarezzarlo.
«Me lo avevi promesso!», era il dolore a parlare, il lato infantile sopito in lui che non aveva mai accennato ad abbandonarlo; si era limitato a tacere. «Avevi detto che non mi avresti mai lasciato…»
«Lo so, Sasuke», il tono dispiaciuto sciolse il cuore del minore, «non ti lascerò più».
«Sei già andato via», affermò solerte, «mi hai abbandonato un anno fa».
«Ne sono consapevole, otouto; ma ho dovuto», tentò di spiegare.
«Perché?»
«Non posso chiarirti questo dubbio, mi dispiace. Dovevo farlo, era semplicemente arrivato il mio momento».
«Ma io avevo bisogno di te! Avevi ancora una vita intera davanti, avevi ancora… me… E quello che ho fatto, io…», il più piccolo digrignò i denti e soffocò a stento un pianto isterico, anche se le lacrime scendevano lo stesso in abbondanza sulle gote pallide e fredde.
«Non ti lascerò più, otouto», promise solennemente Itachi.
«Mai più?», mormorò il diciannovenne.
«Mai più».
«È una promessa?»
«È una promessa», rinfrancò il ventiquattrenne, «ma adesso andiamo via».
Sasuke annuì, in silenzio.
«Chiudi gli occhi, otouto».
Il minore ubbidì.
Il tepore che contraddistingueva Itachi da tutti gli altri: lo sentiva; erano proprio le sue mani, quelle che si erano poggiate sui suoi occhi e sulla sua mano destra. La pioggia era sparita di colpo, il buio si era dissipato, il minore degli Uchiha poteva percepire la luminosità candida della luce rischiarare il proprio corpo; e piume nere gli carezzavano il volto, mentre il fratello impugnava al posto suo il kunai. Il pugno del più giovane si aprì, l’altra mano si erse all’altezza del proprio sterno, la voglia matta di toccare il suo nii-san che s’impossessava di lui.
E le lacrime. Diverse da qualunque altre avesse versato da quattro anni addietro sino a quel giorno. Lacrime di gioia, l’avvedutezza di raggiungere quella quiete tanto auspicata, la speranza di riavere Itachi tra le proprie braccia e potersi accoccolare tra le braccia di Itachi; stava imprimendo dentro sé ogni sensazione con somma cautela, pur di non dimenticare il sentore di compiacenza di quegli attimi eterei.
«Ti amo, otouto».
«Ti amo, nii-san».


The end




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Glossario:
Naginata: alabarda.
Kusarigama: falcetto con catena.
Kusanagi: la spada di Sasuke, dalla lama perfettamente dritta, una chokuto per la precisione; proprio per la lama si differenzia da una normale katana.

NB:
Oh, beh, non so mai cosa dire quando giungo alla fine di una storia.
Posso iniziare dicendoti che la parte in cui Sasuke trova Naruto morto doveva essere il prologo, e quest’ultima di Sasuke sulla spiaggia con Itachi l’epilogo… Ma poi messa così era più leggibile e comprensibile, anche perché è una cosa piuttosto contorta questa che ho scritto, quindi…
Vi lascio i link delle immagini:

1)
http://i50.tinypic.com/2iiy3wz.jpg : è questa che mi ha ispirata all’abbigliamento di Sasuke quando va a casa di Naruto ^^
2)
http://i48.tinypic.com/23k3gas.jpg : gli abbracci coccolosi di Naruto quando l’Uchiha è perso nel vuoto della disperazione
3)
http://i46.tinypic.com/116rsjl.jpg : l’immagine dalla quale mi sono ispirata per il finale
4)
http://i46.tinypic.com/2hyiff4.jpg : the last, but not the least, l’immagine che mi ha ispirata per tutta la storia.

Note dell'autrice:
Ehm, salve... Già, questo è il finale. Non so se ve lo sareste mai aspettato, non so se ci avete pensato per un solo secondo, non so praticamente niente. È solo uscito così e non sono mai riuscita a pensare ad un modo più adeguato di concluderla. Tutto a causa dell'immagine che vi ho citato sopra per quest'ultimo capitolo. Cavolo, non so mai cosa dire quando posto l'ultimo capitolo di una fanfiction, e non sono stata in grado di dire chissà che nemmeno alla giudiciA stessa xD Sicuramente molte cose che non ho potuto approfondire in questa versione saranno ampiamente spiegate nella prossima, e spero davvero che vi interesserà. Saranno 21 capitoli, compresi di questi 7 già scritti, tra cui alcuni anche rielaborati ed ampliati u_u Insomma, un lavoro piuttosto corposo, ma vi confesso che mi è piaciuto tanto scrivere questa storia e soprattutto non ringrazierò mai abbastanza le persone che mi hanno seguita in questo mese. Mi ha fatto un piacere immenso e ne approfitto per ringraziarvi singolarmente!
Grazie a chi ha seguito, preferito, ricordato e recensito, ovvero Aki_12, alicey_y, casapi74, cola23, darkellina, EchoRosenrot_, Gol D Roger, GoodGoneGirl, Gun, Jooles, JunoEFP, Lady Minorin Lovelace, Lidja, littlefairy92, maty93, Mente libera, Micchi_Chan, MocciosaMalfoy, moment 4 life, Noiz, ohtomlinson, PunkDario, Sakurachan2326, Shikalove, ShoKey89, SuperSakura22, Tomohachiable, u s h i o, valepassion95.
Grazie davvero.
Prima di lasciarvi in santa pace, vi informo che ci sarà l'inserimento di alcune colonne sonore per tutti i capitoli, dato che ho deciso di partecipare anche al contest "Red carpet" indetto da clalla97.
Ed ora posso anche sparire.
Bacioni, Giacos.



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