Il ponte dei suicidi.

di mila96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le mie scarpette da infermiera scivolano sul marciapiede giacchiato del quartiere di Śródmieści. Sento la Vistola scorrere sotto i miei piedi mentre raggiungo il ponte dei Suicidi, mi stringo nel mio cappotto leggero per contrastare il freddo pungente, indosso ancora la mia uniforme da infermiera, macchiata di sangue.

Mi sfugge un singhiozzo. È una notte senza stelle qui a Varsavia. Le statue dei Santi disposte lungo il ponte mi guardano minacciose. Di giorno, quando non c’era ancora la guerra e la mamma era viva papà mi portava spesso qui a passeggiare con le mie sorelle.

Sono arrivata. Mi asciugo una lacrima che mi si è ghiacciata sul viso. Afferro la sporgenza di una statua e mi isso sul parapetto. Le mani mi si graffiano e bruciano. Non me ne curo, ormai non importa più. Sospiro e guardo giù. La Vistola si agita scura sotto di me.
-          Signorina – dice una voce.
Merda. Speravo di essere da sola. Cioè so bene che molto spesso la gente viene qui a suicidarsi ma avevo inconsciamente sperato di non incontrare nessuno.
Mi volto verso la voce. Aldilà della statua di San Pietro su cui mi sono arrampicata c’è un giovane. Non mi guarda, fissa le acque scure sotto di noi.
-          Signorina, lei è troppo bella per mettere fine alla sua vita – mi dice. Ha un forte accento straniero.
-          Fin ora la mia bellezza non è servita a molto – ribatto secca – non mi riporterà mia sorella.
Il cuore mi si stringe. La mia Halina, la mia sorellina. Oggi ho pensato di morire di dolore quando l’hanno portata in ospedale su una barella. L’ho riconosciuta per i vestiti di lana che le avevo cucito con tanta cura. Respirava ancora, ma non abbiamo più morfina, non abbiamo più niente. È morta tra le mie braccia.
-          Mi dispiace molto per sua sorella. Ha ancora i suoi genitori? – mi chiede cortesemente il giovane.
-          Solo mio padre – sussurro.
-          Allora dovrebbe tornare a casa da lui. Dev’essere terribile per un padre perdere due figlie nella stessa giornata.
Rimango in silenzio perché so che ha ragione, non posso abbandonare mio padre e mio fratello Bede. Il giovane salta agilmente giù dal parapetto e mi raggiunge in una falcata. Mi porge la mano guantata.
-          La prego, non faccia una stupidaggine, mi dia la mano. L’aiuto a scendere.
Scopro che i suoi occhi sono dei un azzurro più intenso del cielo in un giorno d’estate.
Esito. Dopotutto è pur sempre uno sconosciuto. Uno sconosciuto molto gentile certo, ma resta il fatto che non lo conosco. Deglutisco.
-          Avanti – mi incoraggia – non potrei continuare a vivere sapendo che l’ho lasciata andare.
Inspiro. Espiro.
-          E va bene.
Mi cinge delicatamente la vita con le braccia muscolose e mi lascio sollevare. Mi posa delicatamente a terra vicino a lui.
Esita un istante di troppo a lasciarmi andare ed io arrossisco, nonostante i diversi gradi sotto zero.
Si allontana di un passo e mi sorride. Noto i suoi capelli biondi e la sua pelle perlacea. È molto più alto di me, che sono uno scricciolo. Poi vedo la targhetta applicata alla sua divisa militare.
Arretro spaventata. È un soldato tedesco e io sono ebrea.
È un soldato tedesco e siamo in guerra.

 

Ecco, questo è il primo capitolo.
Prometto che gli altri saranno più lunghi.
Spero che la trama vi abbia almeno un po' attirato.
Grazie per le vostre future recensioni, Cami.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Ogni singola fibra del mio corpo trema.
Arretro di un passo, poi di un altro. La mia schiena si scontra con il parapetto del ponte. I miei occhi sono incollati sulla canna del fucile che il ragazzo tiene appoggiato alla spalla.
Non sembro ebrea, lo so. Le mie sorelle lo sembrano, con i loro capelli scuri e la carnagione olivastra, ma io ho preso dalla mamma, che era tedesca. I miei capelli biondissimi e i miei occhi azzurri nascondono ciò che sono davvero, ma la stella a sei punte appuntata sul mio braccio parla chiaro.
Dannazione mi rimprovero.
I suoi occhi percorrono ogni centimetro del mio corpo, per quanto la fioca luce della luna lo permetta.
-       Non voglio farti del male – dice intuendo i miei sentimenti.
Mi giro verso la Vistola. Adesso realizzo che avrei fatto meglio a gettarmi in acqua quando ne ho avuto l’opportunità invece di finire tra le braccia di un soldato tedesco. Domani troveranno in mio corpo sul marciapiede e lo lasceranno lì insieme a tutti gli altri che sono morti per la fame o per il freddo. Rabbrividisco.
-       Sei un tedesco. I tedeschi uccidono gli ebrei. E io sono ebrea – sottolineo l’ovvio – avete uccido mia sorella.
Scoppio a piangere. Lui si avvicina e mi sento in trappola. Chiudo gli occhi in attesa della fine.
 
Che però non arriva. Le sue grandi braccia mi circondano e le sue mani accarezzano i miei capelli.
-       Shh. Mi dispiace tanto. Non ti farò del male. Fidati di me – mi accorgo che ha smesso di darmi del lei.
Come posso fidarmi di lui dopo che per tutta la mia vita papà mi ha ripetuto instancabilmente di non fidarmi dei tedeschi?
Scuoto la testa contro il suo ampio petto.
-       Lasciami – balbetto – devo tornare a casa.
-       Da sola? – mi risponde lui senza lasciarmi andare – ti accompagno.
-       Non è necessario – cerco di controllare la mia voce.
Lui ride e non posso fare a meno di sorridere perché è una di quelle risate che mettono allegria. Scopre i denti bianchissimi e getta la testa all’indietro. Poi torna serio.
-       I soldati non sono tutti come me – dal tono sembra che mi stia rimproverando – non voglio che tu corra rischi.
So che non mi lascerà mai tornare da sola perciò annuisco e mi incammino verso casa seguita da lui.
Camminiamo per un po’ in silenzio. Fa piuttosto freddo per essere ottobre, mi stringo nel cappotto ormai troppo piccolo per me.
-       Hai freddo? – mi chiede. Prima ancora che possa rispondere si sfila la giacca dell’esercito e mi copre le spalle. Profuma di pulito, nessun soldato polacco profuma di pulito.
-       Grazie – sussurro continuando a camminare.
-       Mi chiamo Niall – mi dice.
Mi fermo e alzo la testa per guardarlo negli occhi.
-       Non è un nome tedesco – digo sgarbatamente. Stupida, mi dico. Avrei dovuto rispondere con il mio nome oppure con un sorriso, di certo non così.
Lui si limita a sorridere. Inclina la testa di lato e soppesa il mio sguardo.
-       In realtà sono irlandese. Neanche tu sembri ebrea – dice poi.
Sussulto.
-       Mia madre era tedesca – dico riprendendo a camminare velocemente. Non voglio parlare di mia madre con un soldato tedesco.
Rischio di scivolare su una lastra di ghiaccio e la sua mano mi afferra saldamente il braccio.
-       Fai attenzione – mi dice senza lasciarmi andare.
Riprendiamo a camminare. Tiene la mano delicatamente appoggiata a me e mi devo trattenere dal scostarlo con sgarbo.
-       Non mi hai ancora detto come ti chiami – sottolinea.
-       Non me l’hai chiesto – rispondo cercando di evitare la domanda.
Non voglio che sappia niente di me.
-       Bene – ribatte un po’ sorpreso – come ti chiami.
Mi fermo e mi metto le mani sui fianchi.
-       Senti – dico con tutta la calma che riesco a trovare – grazie per avermi convinta a non saltare dal quel ponte. Sei stato molto gentile e te ne sono grata. Ma forse non ti è chiaro che io sono ebrea e tu sei un soldato tedesco. Voi uccidete noi. Funziona così. Quindi, se hai intenzione di stuprarmi ed uccidermi fallo subito, va bene?
Sono sorpresa da me stessa. Da quando sono così sgarbata? Forse è la paura che mi spinge a parlare così.
Lui sorride e si china verso di me.
-       Hai paura di me – canticchia.
-       Certo che ho paura di te – sbotto – hai un fucile appeso alla spalla!
Sorride. Mi sfiora delicatamente la guancia con la mano guantata. Sento la pelle andare in fiamme.
-       Non ti farò niente. Ti sto solo riaccompagnando a casa. Il tuo è solo un pregiudizio.
-       I pregiudizi non fanno saltare in aria gli edifici – ribatto secca – o le persone.
Lui tace e si leva il guanto. Appoggia la sua mano sulla mia guancia. La sua mano copre quasi metà della mia faccia.
-       Non credi che se avessi voluto ti avrei già fatto del male? – la sua voce è morbida come la cioccolata calda che mi piace tanto.
-       Io… - balbetto – non lo so.
-       La risposta è no – il suo respiro caldo mi accarezza il viso.
Profuma di menta. Cerco di sorridere.
-       Mi chiamo Helen – sussurro.
-       Piacere di conoscerti Helen. Andiamo, ti riaccompagno a casa. Tra poco devo iniziare il mio turno di pattuglia.
Camminiamo in silenzio fino al palazzo dove abito.
-       Siamo arrivati – dico – grazie mille.
Si toglie il cappello dell’esercito.
-       È stato un piacere signorina Helen. Posso chiederle cosa ci faceva una ragazzina come lei per strada a quest’ora tarda? – noto con dispiacere che è tornato a darmi del lei.
Anche se non dovrei ci rimango male, perché il flebile legame che si era creato si è spezzato.
-       Lavoro al Szpital Kliniczny – mi sforzo di rispondere – sono un’infermiera. Il mio turno finisce tutte le sere alle nove.
Lui soppesa il mio sguardo.
-       Capisco. Adesso devo proprio andare.
Mi sfilo la sua giacca e gliela porgo.
-       Questa giacca è troppo corta per lei, dovrebbe comprarsene una della sua misura.
Lo farei se potessi permettermelo. Le parole mi rimangono incastrate in gola.
-       Buona notte sergente – mi limito a dire.
-       Buona notte Helen.
Si allontana a grandi passi e rimango qualche istante a fissare la sua schiena larga allontanarsi da me. Apro la porta e percorro di corsa i pochi gradini che mi separano dall’ingresso del nostro appartamento.
Poiché papà è un uomo facoltoso siamo riusciti ad evitare di trasferirci nel ghetto, ma la nostra vita non si può certo definire lussuosa. Dividiamo il bagno con la famiglia Wojciechowski, che abita sul nostro stesso piano e i soldi iniziano a scarseggiare, così come il cibo.
Piotr, il figlio dei  Wojciechowski è fermo sulla porta con una sigaretta spenta tra le labbra.
-       Buona sera piccola Helen – mi apostrofa.
-       Buona sera Piotr – mi sforzo di essere gentile con lui perché so che a papà piacerebbe che lo sposassi, ma non riesco a farmelo piacere, è troppo pieno di sé.
Lo supero con un balzo e faccio per aprire la porta quando il suo braccio mi blocca. Guardo le sue unghie, sono sporche e lunghe e subito le paragono a quelle di Niall, corte e pulite. Scaccio il pensiero del soldato e mi concentro su Piotr.
-       Oggi ho parlato con tuo padre – mi dice. Il suo alito puzza di alcool – gli ho chiesto la tua mano.
Rabbrividisco. Trattengo un conato di vomito. Non ho intenzione di sposarmi, ho solo diciassette anni. Piotr ne ha venticinque e lavora allo studio dentistico di suo padre.
-       Bene – rispondo secca.
Faccio per aprire la porta ma lui mi blocca nuovamente.
-       Ovviamente tuo padre preferirebbe che sposassi Halina, perché è più grande di te. Dice che tu vuoi diventare medico.
Allora lui non sa ancora che Halina è morta. Spero che papà lo sappia, non saprei proprio come dirglielo.
-       Se diventerai mia moglie non lavorerai, capito? – continua lui.
-       Se diventerò tua moglie, non ho ancora accettato – afferro la maniglia e apro la porta con forza – buona notte Piotr.
Ma so che dovrò accettare. Papà cerca di convincermi a sposarmi in modo da non dovermi mantenere. Per questo ho iniziato a lavorare all’ospedale, per guadagnare qualcosa. Ma in guerra i soldi non bastano mai.
Appena sbatto la porta sul naso di quell’insolente Dori, la cameriera mi stringe tra le sue braccia muscolose, che solo una donna che ha cresciuto diciassette bambini può avere.
-       Dio mio Hel – mi soffoca nella sua presa – pensavamo che fosse successo qualcosa anche a te.
Dori è cattolica, come lo era la mamma. In pratica mi ha cresciuta a pane, scapaccioni e preghiere cattoliche. All’inizio papà storceva il naso sentendomi recitare l’Ave Maria in latino, ma da quando la mamma è morta non dice più niente, forse perché la religione è l’unica cosa che ci avvicina a lei.
E così sono venuti a sapere di Halina.
-       Non ho potuto fare niente per lei – singhiozzo contro il suo petto florido – è morta tra le mie braccia.
-       Va tutto bene piccola, hai fatto il possibile. Adesso vieni, ti ho lasciato un po’ di zuppa.
Mi sfila la divisa macchiata di sangue e la infila nel catino dove lava tutti i nostri vestiti. So che papà è chiuso nel suo studio e non ne uscirà per almeno una settimana. Quando è morta la mamma è stato così e anche quando Andrej e Dariusz sono partiti per il fronte.
Il pensiero dei miei fratelli mi fa sussultare. È da un mese che non riceviamo loro notizie. Scrollo le spalle come per scacciare i brutti pensieri e mi siedo a tavola.
I miei fratelli, Bede, Jan e Patryk dormono in una camera tutta loro mentre io divido la stanza con Agata ed Elzabieta, che sono gemelle e la piccola Izabela. Prima di oggi dormivo in un piccolo letto con Halina. Adesso non so cosa succederà. Non voglio pensarci.
Bevo velocemente la zuppa e mi lascio cadere sul letto vicino alle mie sorelle addormentate. Il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi non è il viso martoriato di Halina, ma la mano calda di Niall sul mio viso.


come promesso, il nuovo capitolo è più lungo del primo.
Spero vi sia piaciuto, è ancora un po' un'introduzione
alla storia ma dai prossimi capitoli diventerà più interessante.
Grazie mille, Cami.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Quando mi sveglio il mio primo pensiero va a Niall. Mi ritrovo a pensare ai suoi occhi azzurri che fissano i miei e mi domando dove si trovi in questo momento. Poi però il ricordo di Halina mi fa sprofondare nella depressione. Mi rigiro nel piccolo lettino vuoto e piango un po’. Non mi sentivo così vuota da quando è morta la mamma. Avevo solo dieci anni quando è successo e da allora la nostra levatrice Dori ci ha cresciute come se fossimo figlie sue. Ormai è anziana e dal mio letto la vedo camminare lentamente da una stanza all’altra con uno spolverino in mano, l’aria agguerrita, la fronte corrugata per la concentrazione.
Mi alzo. La temperatura è scesa ancora. Non c’è quasi più legna per alimentare la stufa del nostro appartamento. Per colazione c’è solo la zuppa della sera prima e un po’ di pane secco. Rabbrividisco mentre Dori mi lega i lunghi capelli biondi in due trecce strette.
-       Prevedi una giornata impegnativa oggi, tesoro? – annuisco.
Da quando c’è la guerra ogni giorno all’ospedale è impegnativo. Infilo la mia divisa da infermiera e noto che si è leggermente scucita, di nuovo. Sospiro e aggiungo la voce ricucire uniforme al già lungo elenco di cose che devo fare entro la fine della serata.
Bacio sulla guancia Dori e scappo fuori. L’ospedale in cui lavoro non è molto lontano dal ponte su cui ieri sera ho conosciuto Niall ma percorsa senza di lui la strada sembra interminabile. Se non fossi ebrea potrei semplicemente prendere il pullman o camminare su quei bei marciapiedi su cui camminano tutti gli altri.
Invece sono costretta ad accontentarmi di camminare sul marciapiede riservato agli ebrei ed evitare i cadaveri disseminati per strada.
Dicono che le condizioni all’interno del ghetto siano peggiori, ma faccio davvero fatica ad immaginare qualcosa peggiore di questo.
Appena arrivo all’ospedale mi consegnano una pila di cartelline spingendomi all’interno del reparto dei terminali, a cui mi hanno assegnata il primo giorno.
Non credo che ci sia un reparto peggiore di questo. Quando alla sera arrivo a casa e chiudo gli occhi non posso fare a meno di rivedere i volti di quelli per cui non ho potuto fare niente, le facce per cui io sono stata l’ultima speranza.
Come ogni mattina inizio facendo il giro del grande reparto, chiamato Camelot. C’è un odore stantio che mi si impregna nei capelli e nei vestiti. Cammino lentamente, sbriciando da sopra le cartelline, sistemo i letti disfatti e do un po’ di conforto a chi ne ha bisogno.
Un uomo geme accanto a me.
-       Signorina – gracchia ormai senza voce. Accorro.
-       Signorina, lei è così bella da sembrare un angelo. Mi dica, lo è? – ogni sforzo gli provoca delle fitte al torace fasciato ed intriso di sangue. Deve avere la stessa età dei miei fratelli. Mi si stringe il cuore e mi limito a stringergli la mano. Ormai gli restano poche ore da vivere.
Poiché non abbiamo medicinali sufficienti a curare tutti i pazienti, la politica dell’ospedale è quella di dare il massimo conforto a quelli per cui non c’è più niente da fare. Mi rimbocco la mani del camice e gli cambio la fasciatura, gli lavo il viso con una spugnetta e gli tolgo le macchie di sangue secco che ha sul petto. Quando finisco è ormai morto. Mi faccio il segno della croce come mi ha insegnato Dori e passo ad un altro paziente.
Continua così per tutta la mattina. È un lavoro estenuante. Vorrei davvero salvare qualcuno, invece muoiono tutti davanti ai miei occhi senza neanche un po’ di morfina ad attenuare il loro dolore.
-       La tua belletta rende la loro morte più felice, credimi – qualcuno mi appoggia le mani sulle spalle.
Mi volto di scatto. È il dottor Tomlinson. Mi sorride nonostante le profonde occhiaie sotto gli occhi. Probabilmente ha fatto il turno di notte. Louis è un infiltrato americano e poiché i tedeschi non hanno molta considerazione del nostro ospedale può lavorare in tutta tranquillità con i suoi farmaci portati dall’America.
-       Vorrei poterle credere dottore – sussurro coprendo con un lenzuolo bianco l’ennesimo deceduto.
-       È così, credimi. Me l’ha detto proprio ieri il signor Deploski. Ha detto che senza di te questo posto sembrerebbe un inferno.
Mi sforzo di sorridere, ma le lacrime premono per uscire.
-       Abbiamo bisogno di te in sala operatoria. C’è stato un incidente proprio qui davanti.
-       Certo.
Il resto del giorno passa in modo confuso. I pazienti mi passano davanti al naso velocemente e io continuo a passare pinzette e lacci emostatici, che non bastano mani. Un getto caldo di sangue mi schizza sul camice appena lavato. Sospiro, dovrò subire la furia di Dori anche questa sera. Succede ogni giorno.
Quando finalmente il mio interminabile turno finisce sono esausta. Indosso il cappotto logoro sopra il camice sporco e getto la cuffietta in un cestino.
L’aria fresca mi risveglia. Non vedo l’ora id essere a casa. Arrivata al cancello saluto le mie college e mi fermo a scambiare quattro parole con l’anziano portinaio. Allora lo vedo. Niall, immobile nella sua divisa tedesca, il fucile appoggiato alla spalla.
Mi sorride gentile.
Mi avvicino prudente.
-       Sergente – lo saluto con un piccolo inchino del capo.
-       Helen! Che piacere vederla, posso accompagnarla a casa?
Sembra che stia battendo i denti. Chissà da quanto tempo mi aspetta qua fuori, il mio turno è finito da quasi mezz’ora.
Questa volta accetto senza esitazioni. Ci incamminiamo verso il mio palazzo.
-       Sono venuto per parlarle – ammette dopo un po’.
-       Mi dica – rispondo un po’ delusa. Speravo fosse venuto solo per vedermi. Che cosa sciocca.
-       Signorina Helen. Lei deve andarsene da qui. Varsavia sta diventando troppo pericolosa per gli ebrei, dentro e fuori dal ghetto.
-       Mio padre non se ne andrà. Non finchè il cimitero resta qui – sospiro. la verità è questa.
-       Cerchi di convincerlo, per l’amore del cielo. È importantissimo.
Sospiro e guardo da un’altra parte. La mia vita è già decisa. Sposerò Piotr e resterò qui finchè non raggiungerò la mamma ed Halina al cimitero ebraico.
-       Non posso. Io… - sospiro – io sto per sposarmi.
La decisione l’ho presa questa notte mentre sentivo tossire i miei fratelli e battere i denti per il freddo. Non ci sono più soldi e papà non può più mantenerci tutti.
-       Lo ama? – mi chiede schietto. Vedo i suoi occhi diventare duri. Due diamanti che brillano.
-       Cosa? – mi copro la bocca con la mano. Non avrei dovuto essere così sfrontata.
-       È una domanda semplice signorina. Questo ragazzo, lo ama?
Cerco di distogliere nuovamente lo sguardo ma mi afferra delicatamente il mento tra le dita. Il mio cuore va in tilt. Spero solo che lui non se ne accorga.
-       No – rispondo apertamente.
-       Allora non dovrebbe sposarlo – mi guarda apertamente negli occhi e sento le gambe cedermi.
Non ho mai visto un ragazzo più bello.


ecco il nuovo capitolo. 
è un po' corto ma dal prossimo
le cose si fanno interessanti.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


- Non dipende da me – rispondo con poca convinzione.

Lui ride mostrando i denti bianchissimi. 

- Come può non essere una scelta tua? – è tornato a darmi del tu.

- Non può capire – ribatto tornando ad erigere una barriera tra noi.

Niall inclina la testa per guardarmi meglio, serra le labbra pensieroso. Mi prende per un braccio e mi trascina a velocità folle per la strada ghiacciata, dalla parte opposta a quella di casa mia. I passanti ci osservano stupefatti. Un soldato dell’esercito tedesco che tiene per mano una ragazzina ebrea. Entriamo in un parco abbandonato. Niall si siede su una panchina e mi fa segno di sedermi accanto a lui. 

In realtà non potrei, non dovrei. Il mio istinto di dice di darmela a gambe, il mio cuore mi dice di fidarmi. Mi accoccolo nell’angolo più lontano della panchina.

- Scusami – mi dice sorridendo – stavamo attirando l’attenzione. In questo periodo non è un bene.

- Mi scusi – dico – non era mia intenzione metterla in pericolo.

Scoppia nuovamente a ridere.

- Io stavo mettendo in pericolo te. E per favore, smettila di darmi del tu, mi fai sentire vecchio.

- Sei più grande di me – faccio notare – quanti anni hai?

La mia solita loquacità sta emergendo ma sento le mie guance tingersi di rosso ogni volta che lo sguardo del soldato mi sfiora.

- Ventidue – risponde corrugando le sopracciglia – e tu?

- Diciassette – rispondo pronta.

- Diciassette anni. Sei così piccola, sei uno scricciolo di ragazza.

Sorrido ed arrossisco. Sono molto bassa, è vero, e la guerra mi ha fatta diventare magra come un chiodo.

- Non volevo offenderti – sorride lui.

- Non mi hai offesa – mi affretto a rispondere – è la verità. 

Apre la mano e me la porge. Appoggio la mia sulla sua. Sembra che abbia una falange in più di me. Scoppio a ridere.

- Anche tu sei molto alto. Non conosco nessuno grosso come te – dico a voce così bassa che per un attimo penso che non mi abbia sentito.

Mi sorride ed io mi sciolgo. Si accorge che sto battendo i denti per il freddo. 

- Che sbadato – si batte una grande mano sulla fronte – ti ho portato una cosa.

Dallo zaino che tiene appoggiato alle gambe estrae un fagotto.

- È un cappotto – dice porgendomelo – era di mia madre, dovrebbe andarti bene.

Le mie dita sfiorano le sue e le mie guance avvampano. Il cappotto è davvero bellissimo, grigio con il bordino bianco. Me lo appoggio al petto e cerco di immaginarmi con indosso un capo così bello. Non ho vestiti decenti da… non riesco neppure a ricordare quando.

- Provalo – mi dice dandomi un colpetto sulle mani.

Mi alzo e lui mi aiuta a sfilare la vecchia giacca. Un brivido di freddo mi scuote. Prendo atto del mio aspetto. I capelli schiacciati dopo essere stati compressi tutto il giorno sotto la cuffietta da infermiera, le labbra viola per il freddo, le occhiaie causate dallo stress e, cosa peggiore, l’enorme macchia di sangue su tutto il camice. Sento lo sguardo caldo del soldato percorrere ogni centimetro del mio corpo e la mia pelle andare in fiamme.

Alza la mano e sfiora la macchia color porpora.

- Dio mio – sussurra forse credendo che io non senta.

Mi infila il cappotto, che mi va alla perfezione e torna a sedersi.

- Sei troppo buono per essere un soldato – gli dico accomodandomi un po’ più vicina a lui. 

I suoi occhi tristi mi sorridono.

- Non vorrei esserlo – mi confida prendendomi le mani tra le sue.

Per un attimo i nostri occhi si incontrano.

- Ti da fastidio? – chiede facendo cenno alle mie piccole mani racchiuse tra le sue.

- No – dico sincera – se non vuoi essere un soldato..perchè non cambi lavoro?

Chiedo innocentemente. Lui scoppia a ridere e viene scosso da dei singhiozzi.

- Non posso, piccola Helen. I miei genitori erano infiltrati del governo Inglese, quando furono catturati io avevo solo sette anni e quindi misero anche me in cella con mia madre, non avevo parenti in Germania. 

Un generale ebbe pietà di me e mi accolse come un figlio quando i miei vennero giustiziati. In punto di morte gli promisi che sarei entrato nell’esercito. Quell’uomo è stato come un padre per me. Mi ha accolto in casa sua nonostante fossi figlio di spie inglesi.

Mi sembra di vedere una lacrima scivolare lungo la sua guancia ma lui fa finta di niente e sospira.

- Capisco. Ma qui si tratta di uccidere delle persone – rispondo abbassando un po’ la voce.

Mi guardo intorno e non vedo nessuno.

- Hai ancora paura di me, vero? – lui sorride – è comprensibile. Credimi, lascerei l’esercito e andrei a lavorare in un campo di patate anche domani stesso se il governo non mi tenesse d’occhio.

Ah. Mi limito a guardarlo. Il mio cuore batte forte e ad un tratto vorrei che mi baciasse. Non ho mai baciato nessuno in vita mia e adesso mi sento in imbarazzo. Anzi in realtà non sono mai stata da sola con un ragazzo per così tanto tempo, nemmeno con i miei fratelli. C’è sempre stata Halina con me.

- Vorrei solo… - sospira. Si ferma e arrossisce – vorrei solo una moglie ed una casa. Magari un pezzo di terra da coltivare. Nient’altro.

Il mio imbarazzo è totale adesso. Ma la gelosia che provo nei confronti della sua ipotetica moglie è ancora peggio. Distolgo lo sguardo.

- Non è chiedere poco, durante la guerra – sottolineo cercando di non essere scortese.

Lui ride. Adoro le fossette che gli si formano ai lati della bocca.

- Lo so. Parlo di quando la guerra sarà finita. Voglio andarmene da qui. Voglio tornare nella mia Irlanda.

Gli sorrido. Anche a me piacerebbe vedere i verdi prati irlandesi. Non sono mai uscita dalla Polonia.

Lo sguardo d’intesa che c’è tra di noi mi sorprende.

Mi da un colpetto alle mani ancora strette tra le sue e si alza.

- È meglio se ti accompagno a casa ora, si sta facendo tardi – dice.

 

Arrivati davanti al portone del mio palazzo mi sorride.

- Ti dispiace se passo anche domani sera? 

- No, certo che no – rispondo alzandomi in punta di piedi per guardarlo negli occhi.

- Perfetto – dice.

- Grazie per il cappotto, è davvero bellissimo.

Non risponde. Si limita a sfilarsi un guanto e a sfiorarmi la guancia. La pelle mi prende fuoco.

- Buonanotte piccola Helen.

E si incammina verso la Vistola.

So già che non riuscirò a prendere sonno facilmente.

chiedo umilmente perdono per averci messo così tanto.
Spero vi sia piaciuto.
Cercherò di aggiornare presto.
Buon Anno Nuovo!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Quando entro in casa tutto tace. È il giorno libero di Dori e posso sgattaiolare in camera senza che nessuno mi faccia il terzo grado sul cappotto che indosso.
C’è un silenzio totale, che mette quasi i brividi. La luce dello studio di papà è accesa ma non sento nessun rumore. Niente pagine sfogliate o stilografiche che grattano la carta. Probabilmente si è addormentato. Entro nello stanza e constato che papà dorme con la testa appoggiata su una pila di libri. Gli sfilo gli occhiali che gli sono scivolati sul naso e soffio sulla candela per spegnerla. Tutto precipita nell’oscurità.
Sono così felice che vorrei mettermi a cantare. Se Halina fosse qui le racconterei tutto trattendendo il respiro. le racconterei del sorriso di Niall e delle sue mani grandi, del modo in cui inclina la testa quando ride e di come mi sento quando lo vedo.
Ma Halina non c’è e io non posso parlare con nessuno. Mi sdraio sul materasso duro e resto immobile a fissare il soffitto, troppo emozionata per dormire.
Aspetto con ansia domani sera, quando lo rivedrò di nuovo.
***
Prima di conoscere Niall la domenica era il mio giorno preferito. Potevo passare tutto il giorno a casa con la mia famiglia, aiutare Dori a fare il pane oppure insegnare alle mie sorelle a leggere e fare di conto.
Ma adesso la domenica vuol dire solo una cosa, non vado al lavoro e quindi non ci sarà il mio sergente ad attendermi all’uscita dell’ospedale.
Niall è venuto a prendermi ogni sera per tutta la settimana. Abbiamo passeggiato lungo la Vistola e abbiamo parlato di libri e di cosa ci piace mangiare.
Quando gli ho confessato che amo la cioccolata calda ha buttato indietro la testa e ha riso come piace a me. Vorrei tanto che mi abbracciasse.
Non sono mai stata innamorata di nessuno, mentre Halina si. Halina cambiava interesse ogni settimana dopo che il fidanzato di turno le spezzava puntualmente il cuore. Sono cresciuta con la con la convinzione che l’amore fosse una cosa dolorosa, che ti portava alle lacrime e ti faceva diventare la faccia rossa e gonfia. Mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo. Non sono mai stata così felice. Anche andare al lavoro è diventato meno pesante da quando conosco Niall.
Sorrido scioccamente pensando al suo braccio attorno al mio quando mi riaccompagna a casa.
-          Helen? Mi stai ascoltando? – Elzabieta mi tira per una manica.
Sbatto le ciglia e la metto a fuoco. Siamo sedute al tavolo della piccola sala e la sto aiutando ad imparare le tabelline. Papà si è degnato di uscire dal suo studio e sta leggendo un voluminoso libro sulla sua poltrona consunta. Dori canticchia una vecchia canzone della cucina.
-          Dunque – dico aggrottando le ciglia – quanto fa tre per quattro?
Vedo mia sorella arricciare il naso, gesto che ha preso da me, e muovere leggermente le labbra.
-          Quindici! – strilla dopo un po’.
Io scuoto la testa con aria accigliata.
-          Avanti Elz. È facile. Fa dodici!
La sua espressione delusa mi fa ridere. Mi chino su di lei per spettinare i capelli scuri mentre suona il campanello.
-          Dori, vai tu? – chiede mio padre senza neanche alzare gli occhi dal libro.
Dori accorre e apre la porta che si trova proprio alle mie spalle. La sento urlare. Perfino papà scatta in piedi come se l’avessero bruciato con dei tizzoni ardenti.
Avverto la tensione palpabile che si è creata nella stanza.
-          Bu…buon pomeriggio – balbetta Dori e sento dalla voce che sta tremando.
Tiene la porta socchiusa e non riesco a vedere il nostro ospite.
-          Buon pomeriggio – risponde una voce con forte accento straniero.
-          Posso fare qualcosa per lei? – mio padre fa un passo in avanti e noto che anche lui trema.
-          Sto cercando sua figlia – risponde la voce.
Mio padre sbianca e si appoggia alla parete nel momento stesso in cui riconosco la voce di Niall. Adesso capisco lo spavento che si è preso mio padre. Vedersi apparire un soldato tedesco sulla porta di casa di questi tempi deve essere terrificante.
-          Mia… mia figlia? – chiede papà cercando di controllarsi.
Decido di intervenire prima che scoppi in lacrime.
Faccio un passo in avanti e finalmente lo vedo, alto e fiero nella sua uniforme verde.
-          Niall – urlo andandogli incontro – cosa ci fai qui?
Lui mi sorride raggiante e io sento le mia labbra schiudersi involotariamente. Vedo lo sguardo confuso di mio padre saettare da me al sergente. Avanti ed indietro e poi ancora. Non spiaccica una parola e sembra ancora che stia per svenire. Dori invece raddrizza la schiena e mi guarda con fare severo.
-          Helena Georgievna – il mio nome seguito dal patronimico è sempre indice di guai – ti sembra il modo di rivolgerti ad un ufficiale dell’esercito?
Si piazza le mani sui fianchi e espira fumo dal naso, o almeno così sembra a me.
-          Ma Dori, è un mio amico – azzardo.
In realtà non so quanto sia vero. Lui però non dice niente anzi annuisce sorridendo.
-          Cosa posso fare per te giovanotto? – chiede papà uscendo dal suo stato di trance.
-          Vorrei chiederle il permesso di uscire con sua figlia questo pomeriggio. Solo per qualche ora.
Mio padre sbarra per un secondo gli occhi poi annuisce lentamente.
-          Certo, se Helen vuole non c’è problema.
Tre paia di occhi si puntano su di me. Capisco che ho la bocca semiaperta e che gli altri stanno aspettando una risposta.
-          Si. Si. Certo.
Mi giro e corro a prepararmi. Mentre mi infilo il cappotto che lui mi ha regalato cerco di pettinarmi i capelli e contemporaneamente di indossare le scarpe. L’effetto è un po’ comico.
Il cuore sembra voler battere un record di velocità ed io mi sento leggera leggera.
Quando ricompaio in sala Niall mi sta aspettando immobile come una statua.
-          Andiamo? – mi chiede porgendomi un braccio.
Saltello in avanti e appoggio delicatamente la mia mano sulla sua.
Vedo papà che mi rivolge uno sguardo truce che implica la necessità di spiegazioni. Alzo le spalle e conduco Niall fuori dal piccolo appartamento.
-          Dove mi porti? – chiedo alzando lo sguardo per guardarlo negli occhi.
Lui si sistema il cappello militare in testa e sorride.
-          Sorpresa – sussurra.
Niente potrebbe rovinare questo giorno.


Chiedo umilmente perdono per averci messo così tanto.
Non insultatemi, vi voglio bene.
Grazie per tutte le recensioni <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Niall ed io ci incamminiamo verso la Vistola a braccetto. Senza esitare sale sul marciapiede riservato agli ebrei e cammina tranquillamente, per niente turbato. Tutti al suo passaggio si scostano velocemente, a rischio di cadere in strada e farsi investire. Forse lui fa finta di non accorgersene ma deve pur sentire le mie dita minuscole che affondano nel suo braccio. Tutti mi fissano con odio e stupore. Vorrei mettermi ad urlare Non guardatemi per favore! Ma ovviamente mi sento la lingua appiccicata al palato. Rischio di scivolare sul ghiaccio e Niall mi passa un braccio attorno alla vita. Sto per chiedergli di riportarmi a casa quando lui si volta verso di me e se ne esce con:
-          Certo che fa parecchio freddo per essere dicembre, non trovi?
Scoppio a ridere gettando la testa all’indietro e scoprendo i denti tanto che Dori mi rimproverebbe di sicuro. Niall mi guarda confuso.
-          Cos’ho detto di così divertente?
Non ha ancora tolto il braccio dalla mia vita. Mi stringo a lui e sento tutto il resto svanire. L’odore nauseabondo scompare e così pure i cadaveri congelati per terra.
-          Niente sergente, rilassati adesso – gli dico colpendolo dolcemente sul braccio.
Non ho mai conosciuto nessun soldato che si sarebbe abbassato a camminare di fianco a me su un marciapiede per ebrei. Eppure eccolo qui, alto e fiero nella sua uniforme splendente.
Mi indica un piccolo locale che si chiama La Vistola e mi tiene aperta la porta mentre entriamo. Subito quello che individuo come il proprietario, un ometto grassoccio e tendente alla calvizie, ci corre incontro affannato.
-          Signorina – balbetta – lei non può stare qui. Non è un bar per ebrei.
Il suo sguardo è puntato sulla stella di Davide che ho dovuto cucire sul cappotto che Niall mi ha regalato. Senza neanche rimanerci male faccio per voltarmi e uscire. Ormai ci sono abituata, i negozi in cui posso entrare ormai si contano sulle dita. I locali gestiti da ebrei hanno chiuso e in tutti gli altri non è possibile entrare.
Niall mi afferra la mano e mi tira indietro. Sembra arrabbiato.
-          Non vede che è con me? Sono un sergente dell’esercito tedesco! – strilla sovrastando l’uomo che sbianca ed arretra.
-          Certo, certo sergente, mi scusi, accomodatevi pure.
Un po’ incespicando si fa strada tra i tavolini e ce ne indica uno appartato. Si dilegua in meno di un secondo.
Niall scosta la mia sedia e mi aiuta a sfilare il cappotto.
-          Ti sta davvero bene – dice prendendo posto davanti a me.
-          Grazie – rispondo ancora un po’ impacciata.
Quando arriva il cameriere lui ordina cioccolata calda per entrambi. Non posso far altro che sorridere come un’ebete e pensare a quanto sia fantastico.
-          Helen? Ti piace la cioccolata vero? – chiede passando la mano davanti ai miei occhi.
Mi risveglio dal mio sogno ad occhi aperti solo per finire in uno migliore.
-          Certo, e l’ho detto – rispondo sorridendo.
Credo di star facendo la figura di una ritardata. Mi sforzo di parlare. Niall invece mi osserva attentamente mentre mangio la cioccolata e aspetta che io finisca per iniziare una conversazione seria.
-          Helen devi andartene – dice ad un tratto.
Mi guardo intorno disorientata alla ricerca di qualche pericolo e faccio per alzarmi e infilarmi la giacca. Lui mi blocca dolcemente il polso scuotendo la testa.
-          Non intendo adesso – dice con dolcezza ma anche con serietà – intendo da Varsavia, il prima possibile.
-          Ne abbiamo già parlato – gli faccio notare con freddezza.
-          Lo so – avvicina la sua sedia alla mia e si guarda rapidamente attorno – ma è estremamente importante.
-          C’è qualcosa che dovrei sapere? – chiedo. So che sto iniziando a tremare.
Lui scuote la testa e vedo la preoccupazione nei suoi occhi.
-          Non posso dirti niente. Però fammi un favore, prepara una borsa e mettici dentro vestiti caldi e tutti i soldi che riesci a trovare. Mi prometti che lo farai?
La serietà e l’insistenza nella sua voce mi fanno preoccupare.
-          Lo prometto – sussurro piano.
-          Bene – dice lui altrettanto piano – hai della cioccolata sul naso.
E così dicendo mi passa un dito sul naso, lentamente. E la mia pelle va a fuoco.
 
Una settimana più tardi il mondo come lo conoscevo avrebbe smesso di esistere.


Tadaaaaaà. Spero vi sia piaciuto
e che la scuola stia andando bene.
Baci, Cami.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


È domenica sera tardi e sto leggendo un libro che ho trovato nello studio di papà. La casa è stranamente silenziosa, i miei fratelli dormono e Dori è già andata a casa da un pezzo. In cucina ci siamo solo io e papà, lui sulla grande poltrona nell'angolo, io su una scomodissima sedia di vimini vicino al tavolo. Sospiro. La candela trema proiettando un'ombra ondeggiante sulla parete. Mi accorgo che sto fissando il muro davanti a me e cerco di tornare a leggere. Ma le parole si incrociano e le lettere si invertono. Chiudo il libro con un tonfo e chiudo gli occhi.

Non vedo Niall da una settimana, da quando mi ha accompagnata a casa dal cafè La Vistola, da quando mi ha implorato di scappare da Varsavia. Se mi sporgo sulla sedia e allungo il collo riesco a vedere la borsa che ho riempito di vestiti e quei pochi soldi che sono riuscita a trovare, l'ho infilata sotto la scrivania di papà dove so che non la troverà nessuno, in camera mia Dori l'avrebbe scovata subito. Che stupida che sono. Ho davvero pensato di poter scappare con un sergente dell'esercito, lasciando la mia famiglia e la mia patria. Per andare dove poi? So che tra poco la guerra scoppierà in tutta Europa e l'America sembra irraggiungibile.

Sento il respiro regolare delle mie sorelle e mi si riempono gli occhi di lacrime al pensiero di lasciarle, non potrei mai mai mai.

- Helen – mio padre ha distolto gli occhi dal suo libro e mi sta fissando.

Restiamo per qualche istante a guardarci immobili. È la prima volta dalla morte di Halina che da un cenno di vita.

- si, papà? - rispondo con un groppo in gola.

- cosa ti preoccupa? Sei strana ultimamente – dice piano, lentamente, in tono paterno.

Tono paterno! È tornato, il mio papà, l'uomo a cui devo tutta la mia cultura, ha sollevato il pesante velo che lo divide dal resto del mondo. So che durerà poco, che tra qualche istante tornerà ad estraniarsi e a vivere nel passato, ma non voglio farmi scappare l'occasione.

- sono solo stanca – rispondo con tutta la dolcezza che riesco a trovare.

- troppo lavoro all'ospedale? - si informa lui.

Il mio cuore precipita. Non è per il lavoro, è per la delusione che provo ogni volta che varco il cancello dell'ospedale e Niall non è lì ad aspettarmi. Ma questo a papà non posso dirlo.

- si, probabilmente è per questo – dico annuendo con convinzione.

- dovresti smettere di lavorare Helena. Non se ti nuoce alla salute – il dottore che è in lui sembra emergere.

- va bene papà, se è questo che vuoi – io non voglio. Mi piace lavorare, mi piace rendermi utile.

Papà si alza e mi mette le mani sulle spalle.

- sai che non è quello che voglio. Ho sempre voluto che le mie bambine lavorassero e si guadagnassero da vivere in barba a tutti quei polacchi che dicono che le donne devono solo crescere i figli. Ma da quando tua sorella non c'è più... temo per te ogni volta che esci di casa.

Trattengo il respiro. Non pensavo neanche che si accorgesse che esco. Sto per rispondere quando bussano furiosamente alla porta.

Io e papà ci scambiamo uno sguardo allarmato. Nessuno dei due si muove.

- per ordine dell'esercito tedesco, aprite!

Mi sento svenire e vedo mio padre sbiancare. Faccio un passo verso alla porta ma lui mi afferra per una spalla e mi tira indietro andando coraggiosamente ad aprire.

Entra un uomo alto e muscoloso, che sembra un armadio.

- tutta la vostra famiglia è in arresto – dichiara con voce chiara e forte.

Dietro di lui altri quattro soldati. Non alzo neanche gli occhi per cercare di incrociare il loro sguardo. So che vedrei solo odio, o peggio, non vedrei niente. È inutile supplicare, è inutile fare qualsiasi cosa. Ho visto intere famiglie essere portate via. La mia migliore amica, Tatia e la ragazza che abitava al settimo piano, Dasha. Tutte sparite una notte, mai tornate.

Ma mio padre, prima di essere un medico, è un professore, e non si lascerà certo arrestare senza motivo.

- di cosa siamo accusati? - domanda infatti con garbo.

Il soldato che ha parlato prima fa un passo in avanti con fare intimidatorio. Estrae una lettera e la porge a mio padre.

- mi hanno detto che tu avresti fatto questa domanda me – dice.

Quella pronuncia spigolosa mi fa stringere il cuore tanto che sento che potrei svenire da un momento all'altro. Niall. Il mio sergente. Lui non parla così, parla il polacco correttamente e l'accento si sente appena, ma l'inflessione cadenzata è la stessa.

Alzo gli occhi sui cinque soldati che occupano il piccolo ingresso dell'appartamento e ho bisogno di appoggiarmi alla sedia per non cadere.

Niall! Niall! È lì immobile nella sua uniforme, e mi guarda inespressivo. Non sembra neanche riconoscermi.

Intanto papà ha aperto la lettera e sta leggendo tormentandosi la barba.

- capisco – dice infine riconsegnandola – va bene, verremo con voi.

No! La voce mi rimane impigliata in gola. No! No! No!

Poi, veloce come un lampo lo vedo. Niall inarca le sopracciglia e sposta distrattamente lo sguardo verso mio padre.

Cosa vuol dire? Io lo guardo terrorizzata e capisco che se uno dei due facesse segno di aver riconosciuto l'altro saremmo entrambi nei guai. Mi accorgo che papà si è accorto del nostro scambio di sguardi.

- pos... posso parlare un attimo con mia figlia? - chiede balbettando.

Il soldato-armadio annuisce pragmaticamente ed indica il piccolo locale della cucina, senza finestre e senza uscite.

Papà mi ci spinge dentro e mi afferra per le spalle con uno sguardo da pazzi.

- ascoltami attentamente Helena. Devi fare quello che ti dice il tuo sergente, so che puoi fidarti di lui. Non può salvare tutti noi, ma forse può salvare te. Se puoi, devi andare con lui, capito? Ti voglio bene tesoro – sussurra stringendomi forte.

- ti voglio bene anche io papà – rispondo con tutta la forza che ho.

Torniamo in salotto dove i soldati hanno fatto alzare i miei fratelli che mi guardano assonnati in attesa di una spiegazione. Scuoto la testa sconsolata.

- siamo pronti – dice papà.

- prima dobbiamo fare un giro di ricognizione per la casa – grugnisce l'armadio.

Niall fa un passo in avanti.

- io voglio lei – dice. Lo sguardo freddo ed indifferente fa quasi paura mentre mi indica.

Il suo superiore annuisce vago e lui mi afferra per un braccio e mi spinge nello studio di papà sbattendosi la porta alle spalle.

- svelta, abbiamo poco tempo, hai preparato la borsa che ti avevo chiesto? - sussurra lui freneticamente.

Mi infilo sotto la scrivania e gli passo la sacca di pelle con i miei vestiti. La infila nello zaino che tiene sulle spalle.

- Niall, che succede, tu lo sapevi?! - tremo.

Lui mi zittisce spingendomi con forza contro il muro. Il suo corpo preme contro il mio.

- ma cosa fai, sei impazzito?! - urlo cercando di levarmelo di dosso.

.- shh – sussurra. Sento la sua lingua sul mio collo.

Cerco di divincolarmi e lo spingo.

- lasciami! - grido.

Arrivano dei colpi dalla porta.

- vai così amico! - urlano i soldati in tedesco.

Allora capisco. Lo sta facendo per salvarmi. Vuole far credere agli altri che qui stia succedendo qualcosa mentre in realtà progettiamo la nostra fuga.

- scusami – sussurra mentre sento tremare il suo corpo così vicino al mio come non lo era mai stato.

- stronzo! - urlo per farmi sentire – giù le mani!

La porta si spalanca e Niall non si allontana. Mi sento protetta dal suo corpo.

- dobbiamo andare sergente – dice un soldato mingherlino in tedesco.

- arrivo. Dì a Gus che mi prendo lei come premio, va bene?

Il soldato annuisce prima di sparire.

- appena siamo fuori di qui tu corri ok? - mi dice Niall stringendomi forte la mano.
 

so di averci messo un po' a scriverlo e mi dispiace,

ma come potete vedere è un capitolo importante e 
meritava di essere fatto bene.
Sero vi sia piaciuto, fatemelo sapere, 
ciaooo :)

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


L'ultima cosa che Niall mi ha detto di fare è correre ed è per questo che ora sto correndo per le strade notturne di Varsavia senza ormai più aria nei polmoni. Fa freddissimo, sento l'aria ghiacciata infilarsi sotto i miei vestiti e per un attimo penso di non riuscire a fare un altro passo.

La mano di Niall stringe forte la mia e mi sprona a correre più veloce.

- ci siamo quasi – mi dice.

Nel buio della notte ho perso l'orientamento e non so dove mi trovo. Ad un tratto Niall mi tira per il braccio e mi fa entrare in un portone. Saliamo infiniti gradini nell'oscurità finché non arriviamo a quello che credo che sia l'ultimo piano. Sento una serratura scattare e Niall mi spinge attraverso una porta aperta.

- Entra – Gli trema la voce.

Accende una candela e finalmente posso guardami intorno. È un piccolo appartamento, un'unica stanza attaccata ad una minuscola cucina. C'è un letto malconcio ed un piccolo divano blu. Un massiccio tavolo di legno occupa gran parte della stanza e un minuscolo comò completa l'arredamento.

- dove siamo? - chiedo.

- a casa mia – risponde Niall senza volere in tedesco.

Non l'ho mai sentito parlare in questa lingua e ne rimango sorpresa. Conosco bene il tedesco, mamma me l'ha insegnato quando ero ancora una bambina.

- cosa facciamo adesso? - chiedo allora nella sua stessa lingua.

Sono stranamente tranquilla, ho appena detto addio alla mia famiglia, alla mia casa, al mio mondo. Tutti i miei averi sono contenuti in uno zaino verde dell'esercito nemico, eppure il mio cervello sembra affilato come un rasoio, i miei sensi sono acuti e tesi allo stremo.

Niall si volta verso di me sorpreso.

- parli il tedesco?

- si – rispondo secca. Non ha risposto alla mia domanda. Continua a camminare avanti e indietro per il minuscolo appartamento come un animale in gabbia.

Prende il suo zaino e lo svuota sul pavimento, tutti i miei vestiti si spargono sulle assi di legno bianco.

- hai dei documenti?- mi chiede riprendendo ad usare il polacco.

Annuisco e glieli porgo. Lui li afferra e li getta nel camino che sta prendendo vita. Resto immobile a guardare la mia identità bruciare e ridursi in cenere.

Lui mi strattona per un braccio.

- svelta, devi scucire la stella di Davide da tutti i tuoi vestiti, sbrigati.

Lo guardo per un attimo smarrita prima di sedermi sul pavimento nudo ed iniziare a scucire la stella gialla dal cappotto con mani tremanti aiutandomi con un ago che avevo messo nella borsa.

Sento l'inquietudine di Niall infrangersi contro di me a ondate e cerco di non piangere. Continuo a lavorare per tenere il cervello occupato. Quando ho finito le mani mi fanno male e non sento più le dita sebbene abbia portato con me pochissimi vestiti. Niall è in piedi vicino a me.

- ti prego, dimmi che hai un piano – lo supplico.

Lui mi porge una mano e mi aiuta ad alzarmi. Mi indica una sedia vicino al tavolo ed io mi siedo. Mi versa dell'acqua e si siede vicino a me.

- in effetti si – mi dice parlando piano, in tedesco.

Capisco che ha paura che gli inquilini degli appartamenti vicini sentano qualcosa.

- ci penso da un po' e credo che possa funzionare – continua – ti presenterò a tutti come mia sorella, venuta dalla Germania. Al lavoro tutti sanno che ho una sorella minore e dopotutto tu sei bionda e hai gli occhi azzurri, può funzionare, deve funzionare.

Lo guardo allibita. L'idea di essere presentata ai carnefici della mia famiglia non mi alletta per niente.

- non mi guardare così Helena. L'idea non piace anche a me, ma se ti nascondessi qui i vicini potrebbero sentire dei rumori e chiamare la polizia, è troppo pericoloso. Devi essere libera di girare per la città, domani mi procurerò dei documenti falsi.

Annuisco.

- capisco, va bene.

Niall accenna un piccolo sorriso.

- mi dispiace, per la tua famiglia.

Sento tutto il mondo cadere. Lo guardo con gli occhi pieni di lacrime.

- tu.. sai dove li hanno portati? - chiedo anche se infondo so di non voler sapere la risposta.

- si – dice lui – ma è meglio che tu non lo sappia.

Il cuore mi si stringe e sento le mani che ricominciano a tremare.

- Niall, ti prego. Non posso continuare a vivere se non so cosa gli è successo.

Il sergente abbassa la testa.

- li portano in dei campi di lavoro – ammette infine – li fanno lavorare fino...fino alla morte.

Panico. Cerco di controllare la voce prima di parlare.

- ce... ce ne sono molti in Polonia? - io non ne sapevo niente.

- per ora solo quello di Stutthof ma ho sentito dire che ne stanno costruendo altri.

- ci sei mai stato? - chiedo. Ho bisogno di sapere.

- no – dice lui piano.

Mi alzo e metto il bicchiere nel lavello, poi prendo un piatto che era stato abbandonato sul tavolo e lo sciacquo con l'acqua. Sotto gli occhi tristi ed attenti di Niall raccolgo tutti i miei vestiti e li piego ordinandoli sulla piccola cassettiera. Quando ho finito resto in piedi con le mani giunte, senza sapere cosa fare o a cosa pensare.

- è meglio dormire adesso, domani mattina vedremo cosa fare – dice lui – io dormo sul divano, tu dormi nel mio letto.

Guardo il grosso letto matrimoniale e penso che a casa in ci avremmo dormito in quattro. Averlo tutto per me mi sembra un grosso spreco. Cerco di guardare negli occhi Niall e mi accorgo che sta evitando il mio sguardo.

- cosa succede? - gli chiedo avvicinandomi. Lui si scosta.

- mi sento in colpa. Avrei potuto salvare la tua famiglia – dice secco.

Gli poso una mano sul braccio.

- ci hai provato, mi avevi avvertita. Non è colpa tua Niall.

- quindi non mi odi? - chiede piano.

- no Niall, mi hai salvato la vita.

 

 

Quando al mattino mi sveglio il piccolo appartamento è silenzioso. Niall mi ha lasciato un biglietto con scritto che tornerà presto. Riordino tutto ciò che c'è fuori posto e controllo la dispensa. È quasi vuota. Quale pazzo lascerebbe la dispensa vuota in tempo di guerra? Noto che mi ha lasciato dei soldi per fare la spesa e le chiavi dell'appartamento perciò indosso il cappotto che mi ha regalato, senza la stella di Davide e scendo le scale cercando di far meno rumore possibile.

Devo comportarmi normalmente e camminare sul marciapiede pulito e sgombro mi fa uno strano effetto. Finalmente capisco di essere nel centro di Varsavia, nel cuore della città. Entro in un negozio che mi sembra pulito e non troppo caro. Per la prima volta non mi devo preoccupare di non poter entrare in un locale senza essere cacciata o percossa.

Compro un po' di tutto, sopratutto alimenti non deperibili e chiacchiero un po' con la padrona che si rivela affabile e gentile. Se solo sapesse...

quando torno a casa di Niall lui non è ancora tornato. Sistemo tutto quello che ho trovato e mi siedo sul divano ad aspettarlo.

Quando entra sembra felice di vedermi, come se avesse avuto paura di non trovarmi.

- ho preso del pane – mi dice.

Me lo porge e noto che è duro e nero e che all'interno c'è del cartone. Dev'essere quello distribuito dal governo.

- questo non è commestibile, Niall, al massimo ci si può alimentare la stufa – gli faccio notare. Si vede che non è abituato alla fame.

- scusa, di solito mangio alla mensa della caserma e alla sera mi arrangio con quello che c'è in casa.

- capisco – gli dico. Anche io all'inizio della guerra ero così. Mangiavo a sazietà senza capire che presto non ci sarebbe più stato cibo.

- ti ho preso i documenti. Sono già pronti – mi porge una carta d'identità con il timbro del governo polacco.

Helena Maria Horan.

- Maria? - chiedo curiosa.

- mia sorella si chiamava Maria – dice lui piano – nell'esercito non ho detto a nessuno che è morta. Anche se ormai sono passati quasi cinque anni.

Mi limito a stringergli la mano per fargli capire che ci sono. Non ci sono parole da dire, niente da conforto in guerra.

- vedo che ti sei data da fare – osserva la casa pulita e la dispensa piena.

- la tua casa era un disastro – dico sorridendo un po'.

Lui ricambia il mio sorriso.

- presto ci sarà un ballo per Natale. Ne approfitteremo per presentarti alla società. Va bene?

Sento lo stomaco stringermisi, ma annuisco comunque.

 

 

E con una scatola di tonno e un po' di pane abbrustolito io e Niall brindiamo all'inizio della mia nuova vita.

 


Saalve. Ecco il nuovo capitolo.
Ho voluto aspettare a pubblicarlo perchè oggi è il Giorno della Memoria.
Non so cosa dire, spero vi piaccia.





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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Ben presto la mia vita si trasforma in rutine. Al mattino quando mi sveglio, poco prima dell’alba, Niall si sta preparando ad uscire per la pattuglia della città. Mi alzo e metto tutto in ordine, anche se non c’è molto da sistemare. Poi esco e inspiro forte l’odore della città, che profuma di libertà. Cammino impettita sul marciapiede sgombro da qualsiasi cosa mentre guardo con finta superiorità quelle pochi negozi che ancora recano l’insegna “bottega ebraica” anche se in realtà vorrei solo mettermi a piangere. Niall mi ha consigliato di non farmi vedere vicino a quella che fino a poco tempo fa era casa mia, perché sono ricercata. A quanto pare mio padre era una persona di spicco nella società di Varsavia prima dell’avvento del nazismo, era un professore, un medico ed un intellettuale. Io sono una donna, istruita e latitante. Perfetto.
Mancano due giorni alla festa di Natale e l’ansia mi ha completamente assalita. Sono ricoperta di farina mentre impasto il pane sul grande tavolo della casa di Niall. Cerco un modo di dire al sergente che non voglio partecipare alla festa ma ogni volta che arrivo ad una scusa plausibile questa mi sguscia via dalla mente come una saponetta bagnata.
Niall rincasa insolitamente presto ed io non ho ancora trovato la soluzione al mio problema. La verità è che sono terrorizzata all’idea di ritrovarmi in una sala piena di gente che probabilmente sarebbe felice di infilarmi una pallottola in testa.
-             Helen! Ma cosa hai combinato? Sembra che sia esploso qualcosa – Niall sembra sorpreso.
Di solito l’ordine è la mia priorità ma oggi mi sono dimenticata di tutto, concentrata come sono sulla festa. In effetti sono ricoperta di farina dalla testa ai piedi ed i miei pochi vestiti sono sparpagliati sul letto, sul divano e per terra. Sono tutti abiti pesanti, grezzi, adatti a resistere al rigido inverno di Varsavia. Niente di buono per un party con l’élite della società tedesca. 
-             Scusa – dico sbrigandomi a pulirmi le mani e servire il nostro misero pranzo. Sono qui da solo tre settimane e le mie peggiori paure si stanno avverando.
Il cibo sta finendo. Non solo per gli ebrei e gli strati poveri della popolazione, ma per tutti, compresi i ranghi più alti dell’esercito. Si sente aria di guerra in tutta Europa.
-             Non ti preoccupare – dice lui.
Invece di sedersi resta in piedi impalato con in mano un fagotto di tela.
-             Ho una cosa per te – sorride.
Mi avvicino a lui e sorrido come una bambina il giorno del suo compleanno. Srotola piano il pacco e mi mostra un abito blu notte con degli strass. Spalanco la bocca e desisto dal saltargli al collo per la felicità. Non ho mai avuto un abito così bello in tutta la mia vita.
-             L’ho trovato ad un prezzo bassissimo, lo giuro – dice lui porgendomelo.
-             È bellissimo – dico rigirandomi la stoffa morbida tra le mani.
-             Provalo – sussurra lui.
Mi guardo intorno alla ricerca di un angolino buio in cui cambiarmi, ma l’intero appartamento è completamente immerso nella luce e non ho nessuna intenzione di andare nello sporchissimo bagno comune in fondo al corridoio.
Mi allontano da Niall qualche passo e gli dico di girarsi. Vedo le sue guance tingersi di rosso mentre di volta e si copre gli occhi. Mi spoglio rabbrividendo e mi infilo l’abito nuovo.
-             Puoi girarti – gli dico con la voce carica d’imbarazzo.
Di solito alla sera quando ci cambiamo è totalmente buio e siamo entrambi così stanchi da non riuscire neanche a sollevare la testa e augurarci la buona notte.
-             Stai molto bene – mi dice lui prima ancora di aver guardato.
-             Grazie – mi affretto a rispondere.
L’abito mi crea una pozza blu attorno ai miei piedi ed è molto largo attorno alla vita.
-             Devo sistemarlo – gli spiego.
Lui annuisce vago e si siede a tavola dandomi così il tempo di tornare ai miei vestiti caldi e comodi.
Servo il pranzo e lui mi ringrazia. Tutto l’imbarazzo è sparito. Gli chiedo novità sulla guerra tra russi e finlandesi e lui è ben felice di rispondermi. Parlare con lui è semplice anche se ormai le nostre passeggiate della sera sono un ricordo lontano. Mi parla soprattutto della sua lontana Irlanda e della sua famiglia. Quando parla di sua sorella Maria sorride.
Adesso dobbiamo esercitarci in tedesco, ho scoperto che non parlo poi così fluidamente come pensavo e che mancano parecchi vocaboli al mio dizionario. Niall è un maestro severo ed intransigente. Mi diede davanti, le braccia conserte e le labbra contratte. Cerca in tutti i modi di migliorare la mia pronuncia. Quando lui finisce di torturarmi cucio il mio nuovo vestito stringendolo sulla vita e accorciandolo. Sospiro e penso che se ci fosse Halina potrei rivolgermi a lei, era davvero brava in tutte le cose femminili. 
Niall si è addormentato sul divano e so che presto inizierà ad urlare. Lo fa sempre, poco dopo che si addormenta e smette solo se lo sveglio con forza. Parla sempre in inglese che io so perché papà me l’ha insegnato qualche anno fa, ma non capisco niente di quello che dice. Parla troppo in fretta e troppo forte.
Puntuale come un orologio le grida si fanno sentire. Mi alzo rapidamente e gli do dei colpetti sul braccio muscoloso.
-             Niall! Niall svegliati! – lo spingo e infine gli mollo uno schiaffo.
Lui salta su e la coperta cade a terra lasciandolo solo con la biancheria dell’esercito. Si affretta a coprirsi e mi guarda con gli occhi strabuzzati.
-             Scusa, è successo di nuovo. Stavi dormendo? – mi chiede preoccupato.
-             No, ho appena finito di cucire il mio vestito. Buona notte Niall.
Soffio sulla candela e mi infilo a letto ancora vestita. La temperatura è scesa ancora e sento Niall battere i denti per il freddo.
-             Niall? – mormoro sperando che sia ancora sveglio.
-             Si? – risponde dopo un po’.
-             Vieni qui, fa troppo freddo sul divano.
Vedo la sua testa fare capolino dalla spalliera del sofà.
-             Sei sicura? – chiede incerto.
-             Si, sono sicura.
Preferisco che la mia purezza sia messa in discussione piuttosto che il mio benefattore si congeli e si prenda una polmonite. E dopotutto non lo saprà nessuno. Niall si avvicina in punta di piedi e scosta le coperte e si siede sul letto. Mi volto a guardarlo. Lui mi sorride nella penombra e si sdraia dandomi la schiena. Sento il cuore accelerare improvvisamente e mi devo coprire con le coperte per nascondere l’imbarazzo. Per tutta la notte resto a guardare la sua grande schiena, anche se domani è il grande giorno.
***
Il mio petto si alza e si abbassa troppo velocemente.
-          Va bene – dice Niall torturandosi le mani nervosamente – per l’ultima volta, generalità?
-          Dunque – rispondo aggrottando le sopracciglia – mi chiamo Helena Maria Horan, sono nata nel 1922 a Mullingar, in Irlanda.
-          Bene – ripete lui per la centesima volta – siamo pronti. Andiamo.
Si alza e prende la giacca della divisa, appositamente lavata per l’occasione. Mi porge il soprabito e aspetta pazientemente che mi infili le scarpe che la nostra vicina di casa mi ha prestato. Per l’occasione mi sono lasciata pettinare i capelli in una crocchia sulla nuca e la signora Pftetten ha insistito per truccarmi la bocca e gli occhi. Mi sento bella, ma ho una paura assurda. Niall mi porge il braccio e insieme scendiamo le scale. Quando ci ritroviamo in strada mi sembra di essere ancora quella ragazzina che si faceva accompagnare a casa da un sergente dell’esercito.
Sento i muscoli di Niall tendersi sotto il mio tocco. Capisco che è nervoso. La sala dove hanno organizzato la festa è a pochi passi dall’appartamento. Ci fermiamo davanti all’ingresso. Mi mette le mani sulle spalle.
-          Sorridi – mi dice – e sii coraggiosa.
Annuisco e gli stringo la mano. Entriamo a braccetto nella sala illuminata e piena di gente elegante.
-          Oh! Il nostro Horan! – dice un ometto sulla sessantina con lunghi baffi a manubrio.
-          Tenente colonnello – Niall fa il saluto militare.
-          Riposo, ragazzo, fatti abbracciare.
I due si danno delle vigorose pacche sulla spalla. Poi l’attenzione viene catalizzata su di me.
-          Presentaci la tua giovante accompagnatrice – lo esorta quella che suppongo sia la moglie del superiore di Niall.
-          Lei è mia sorella Helena, appena arrivata dalla Germania – dice lui fiero.
Io chino la testa in segno di rispetto.
-          Alza la testa, tesoro, fatti guardare – dice la donna con tono affettuoso – sei davvero bella.
La conversazione prende subito una sfumatura militare così io posso rilassarmi e guardare i ballerini volteggiare sulla pista.
A metà serata la signora Von Felt, così si chiama la moglie del tenente colonnello , ha monopolizzato la mia attenzione, e ora sto cercando di convincerla della bellezza dell’Irlanda, in cui effettivamente non sono mai stata, e che in Germania non soffrivo la fame.
Finalmente Niall viene a salvarmi.
-          Helena, se non ti dispiace vorrei presentarti qualcuno.
Colgo l’occasione al volo e congedandomi dalla signora afferro il braccio di Niall mi lascio trascinare attraverso la pista da ballo fino all’angolo più lontano della sala.
-          Helen – dice lui con un piccolo sorriso – ti presento i miei amici Rouge e Baffo.
Due ragazzi con la divisa dell’esercito mi sorridono raggianti.
-          E così sei tu la ragazza che ha monopolizzato i sogni del nostro Horan – dice quello che ha dei morbidi ricci castani.
Per poco non cado dai tacchi che non sono abituata a portare.
-          Io… lui.. è..noi siamo fra… - balbetto.
Tutti e tre scoppiano a ridere.
-          Tranquilla Helen, loro sanno tutto di te – mi sorride Niall.
Tiro un sospiro di sollievo.
-          Io sono Rouge – dice sempre quello con i ricci, poi rivolgendosi a Niall – seriamente Niall, le ragazze del bordello sono in astinenza senza di te.
Niall lo fulmina con lo sguardo. Il tenente colonnello lo chiama e lui annuisce. Mi mette una mano sulla schiena.
-          Devo andare. Ti lascio in abili mani.
I due ragazzi mi fissano.
-          Perché ti chiamano Rouge? – chiedo schietta.
-          Perché ero nell’armata rossa – brividi.
Baffo mi sorride e mi indica l’ingresso della sala.
Il tenente colonnello  batte le mani per attirare l’attenzione di tutti.
-          Attenzione, per favore. Ho l’onore di annunciare la promozione al grado di tenente del soldato Horan, un applauso.
Per un istante gli occhi di Niall incrociano i miei. Ci leggo sollievo.
Non moriremo di fame.


eccolo. Wow, dopo solo un giorno.
Sono impressionata da me stessa.
Vi piace. Avete capito chi sono Rouge e Baffo?
Grazie per le NOVE recensioni, vi adoro.
Fatemi sapere se vi piace.
Baci, Cami.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Tra due giorni è Natale e Niall ha invitato Baffo e Rouge a cena da noi. Ho passato tutto il giorno a mettere in ordine e a fare del pane fresco. C’è sempre meno cibo. Oggi ho visto una donna venir trascinata via dalla polizia mentre chiedeva l’elemosina. Ho paura. Un numero sempre maggiore di persone viene portato via per non tornare più. I tedeschi suonano porta a porta e chiedono se qualche ebreo abita lì. Se la risposa è si portano via tutti.
Niall cerca di sembrare tranquillo ma so che anche lui è preoccupato. Ha qualcosa in mente ma non mi vuole dire cosa. Mi porta a casa libri e stoffe da cucire per tenermi occupata e mi chiede di andare nei salotti delle signore per ambientarmi nell’alta società.
Anche io ho un segreto e non ho intenzione di dirglielo.
Bussano alla porta e il filo dei miei pensieri si interrompe. Mi pulisco le mani nel grembiule e corro ad aprire. I due soldati mi sorridono nella loro uniforme verde.
-             Ciao Helen – mi salutano.
-             Entrate – rispondo da vera padrona di casa – Niall non è ancora tornato.
E questo è un bene, perché se sapesse quello che voglio fare andrebbe fuori di testa.
I due ragazzi si accomodano sul divano e si levano le giacche. Baffo ha un tatuaggio che gli copre tutto il braccio. Mi accomodo sulla poltrona che Niall ha trovato in un vicolo e li osservo bene, cercando di capire se posso fidarmi di loro.
Baffo non ha i tipici tratti dell’est Europa. Dev’essere di sangue misto, perché ha la pelle scura e i capelli nerissimi. Ha le mani callose ed una postura decisa. Sembra essere sempre a suo agio.
Rouge invece a dei tratti molto delicati. I capelli ricci gli incorniciano il volto e i suoi occhi sono del colore del caramello. Non ce lo vedo proprio a reggere un fucile.
Ho deciso, mi posso fidare di loro.
-             Ho una richiesta da farvi – dico senza giri di parole – Niall mi ha detto che siete stati nei campi di concentramento. Ditemi cosa sapete.
I due si scambiano un’occhiata.
-             Niall non vorrebbe che te ne parlassimo – sottolinea Rouge. Come se non lo sapessi.
Servo ad entrambi del whisky e cerco di assumere un’aria preoccupata. Non mi è molto difficile, ultimamente lo sono sempre.
-             Ragazzi, voglio essere sincera con voi. Probabilmente tutta la mia famiglia è lì e io voglio cercarli. Devo sapere cosa mi aspetta.
Silenzio.
-             E va bene – cede infine Baffo – ci sono stato qualche mese fa. È un posto orribile, la gente muore di fame, le donne e le bambine vengono stuprate e poi uccise. Ci sono malattie e pidocchi ovunque. È terribile.
Rimango raggelata. Rouge si china verso di me e mi prende la mano.
-             Promettimi che non proverai ad andarci. Mi dispiace, ma se la tua famiglia è finita lì ormai è morta.
Prima ancora che possa promettere o scoppiare a piangere Niall bussa alla porta e io corro ad aprire. La serata trascorre velocemente tra le chiacchere dei tre ragazzi che raccontano di posti lontani che io non ho mai visto e che probabilmente non vedrò mai.
-             È ora di aprire i regali – canticchia Baffo un po’ brillo per i troppi bicchierini di whisky che gli ho servito.
Anche Rouge sembra un po’ alterato ma la cosa non mi dispiace, è molto più rilassato così. L’unico che non ha toccato una goccia di alcool è Niall, che non mi ha tolto gli occhi di dosso per tutta la serata. È così serio che inizio a mordicchiarmi l’interno della guancia per l’ansia.
-             Che regali? – mi ricordo di mormorare in risposta a Baffo.
-             I regali di Natale! – risponde lui quasi deluso perché non l’ho capito subito.
Rouge gli assesta una gomitata nelle costole.
-             È ebrea, non festeggia il Natale! – esclama.
Mi affretto a scuotere la testa e ridere, fingendo che vado tutto bene, ma lo sguardo di Niall è ancora su di me.
-             Quando ero piccola festeggiavamo sempre il Natale, mia madre era cristiana. Ma da quando è morta lei non l’abbiamo più festeggiato. Non ho mai ricevuto regali però!
I due ragazzi si guardano e mi passano due pacchetti avvolti in una carta marrone.
Ringrazio e scarto i miei regali.
Rouge è riuscito a recuperarmi una barretta di cioccolato mentre Baffo un sacchettino di zucchero che io e Niall non vedevamo da almeno due settimane.
I due soldati si alzano e si congedano baciandomi sulle guance e augurandoci buon Natale. Niall quasi non se ne accorge. Mi chiudo la porta alla spalle e so che non ho il coraggio di affrontarlo. Così mi metto a riordinare, lavo i piatti e spazzo perfino il pavimento, cosa che di solito faccio solo due volte alla settimana. Mi sposto per il piccolo appartamento e gli occhi di Niall con me. Mollo la scopa e mi giro verso di lui. L’asta di legno rimbomba sul pavimento così forte che perfino il soldato sobbalza.
-             Niall – dico piano ma con decisione – cosa è successo?
Lui si alza e mi si avvicina, finchè non è a pochi passi da me. Mi sembra di essere ancora su quel ponte, nel momento in cui ho capito che lui era un soldato tedesco. Piccola ed impaurita.
-             Il mio superiore mi ha chiesto la tua mano. Per suo figlio – dice.
Sembra che tutta l’aria della stanza sia stata risucchiata da quell’unica frase.
-             Cosa? – balbetto – no, io.. non voglio. Non lo conosco.
-             Helen – mi risponde lui stranamente calmo – non capisci. Sei in età da marito, non puoi restare tutta la vita con me o inizieranno ad avere dei sospetti. Se non è lui, sarà qualcun altro prima o poi.
-             Io non voglio lui - Ribatto secca – Non voglio nessuno. Io voglio solo… solo te.
Ecco, l’ho detto. Il mio inconfessabile segreto. Sono innamorata di lui, dalla prima volta in cui l’ho visto fuori dall’ospedale, da quando mi ha difesa davanti a quel negoziante.
Lui resta immobile e mi fissa.
-             Dirò al tenente che non sei interessata, quindi – la sua freddezza mi spezza il cuore.
Si gira, afferra la giacca ed esce.
Crollo a terra e piango, il cuore in frantumi. Aspetto un po’ sulla poltrona il suo ritorno e quando capisco che non tornerà mi corico a letto senza però riuscire a prendere sonno.
Quando la porta si spalanca è ormai notte fonda e per un istante temo che i tedeschi siano venuti a prendermi. Resto immobile senza neanche respirare. Niall avanza barcollando fino al letto e si lascia cadere vicino a me.
-             Sei ubriaco – gli dico – dove sei stato?
-             Al bordello – risponde secco.
Pensavo che il cuore non potesse farmi più male ma evidentemente mi sbagliavo di grosso. Mi alzo e vado a sedermi sul divano. Quando alla mattina apro gli occhi sento le ossa rigide e doloranti.
Niall è in piedi vicino a me. È domenica quindi non c’è la speranza che esca per andare al lavoro.
-             Helena – mi dice nel suo tono più dolce – vieni a letto con me, per favore.
-             No – ribatto secca.
Mi fa male muovermi.
-             Avanti, fa freddo – mi implora.
-             Vattene Niall. Non voglio vederti mai più – bisbiglio arrabbiata.
Lui mi prende fra le sue braccia muscolose e mi deposita delicatamente sul letto, si sdraia vicino a me e per la prima volta non mi da le spalle, anzi mi abbraccia e appoggia le labbra sulla mia schiena.
Il mio cuore inizia a battere veloce.
-             Mi dispiace – sussurra contro la mia pelle – mi dispiace tanto. Non avrei dovuto reagire così. Ho tanta paura Helen. Perdonami.
Sta piangendo e i suoi singhiozzi mi fanno sussultare. Non rispondo perché sto piangendo anche io.
Restiamo così per un tempo infinito finchè entrambi non ci addormentiamo cullati dai respiri l’uno dell’altra.
***
I mesi passano, i Paesi entrano in guerra, vengono invasi, la gente muore di fame. Nuovi campi di concentramenti vengono aperti, le persone spariscono e il cibo manca.
Io e Niall passiamo ogni momento possibile insieme parlando di qualsiasi cosa che non sia la fine. Fingendo di essere fratelli, ingannando anche noi stessi.
L’unico sollievo è quando cala la notte. Solo allora lui mi stringe a se ed io mi sento a casa.
Quella mattina di settembre quando mi sveglio non so ancora che quella giornata mi cambierà la vita. Sento solo Niall che mi dice:
-          Pronta per il ballo di questa sera?

LASCIO A VOI I COMMENTI.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


-       Pronta per il ballo di questa sera?
Mi stropiccio nel tepore del letto e sento Niall che si allontana subito da me. Le sue braccia smettono di stringermi e mi attraversa un brivido.
Annuisco e mi alzo.
La festa di questa sera è molto importante per noi. Probabilmente Niall avrà una nuova promozione e io… non ci voglio pensare.
Per l’occasione abbiamo riadattato un vecchio abito della madre di Niall, rosa con il tulle. L’ho lavato accuratamente prima di attaccarci il pizzo e di stringerlo in vita. Sono davvero soddisfatta, Halina sarebbe fiera di me.
Mi si stringe il cuore pensando a lei. Mi manca la mia famiglia, la mia casa, perfino il mio lavoro. Mi mancano i sorrisi del dottor Tomlinson e le zuppe acquose di Dori.
Ora Niall è tutto ciò che ho adesso.
Lo guardo alzarsi ogni mattina e tornare alla sera tardi, lo vedo sforzarsi di tenere gli occhi aperti per cercare di conversare un po’ con me.
La giornata passa così velocemente che quasi non me ne accorgo. In un battito di ciglia sono pronta per uscire ed andare alla festa. Sono seduta sul letto, dalla parte dove dorme Niall e mi sto fissando la punta delle scarpe chiare.
-       Helen? – lui si inginocchia davanti a me.
Alzo lo sguardo e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
-       Andrà tutto bene, vedrai – mi dice accarezzandomi dolcemente i capelli.
I suoi occhi azzurro ghiaccio incontrano i miei.
-       Non voglio lasciarti – le mie mani scorrono sulle sue e le immobilizzano sul mio collo.
-       Io non ti lascerò mai.
Faccio una cosa che con ho mai fatto nella mia vita, lo bacio. In realtà, mi limito ad appoggiare le mie labbra alle sue ed inspirare forte il suo profumo. Lui rimane immobile per un istante e in quel momento penso che mi stia per respingere. Ma poi si allontana delicatamente e mi tira delicatamente i capelli. Inclino la testa e lui torna a baciarmi con dolcezza. Nessuno mi ha mai detto come si fa, eppure è così naturale che neanche me ne accorgo.
Lui passa la lingua sulle mie labbra e le mie mani trovano il suo viso.
Poi lui si allontana e noto che sta piangendo.
-       Mi dispiace Helen – sussurra così piano che faccio fatica a sentirlo – non possiamo, lo sai.
-       Lo so Niall.
Si alza. La festa ci aspetta.
 
***
 
È la miglior festa a cui abbia mai partecipato. C’è la musica e il vino scorre a fiumi. Baffo mi invita a ballare e Rouge si fa promettere il prossimo ballo. Mentre piroetto sulla pista incrocio lo sguardo di Niall. Non posso non pensare al nostro bacio e le mie guance si tingono di rosso.
Quando annunciano la promozione di Niall tutta la sala rimbomba di applausi. Il neo capitano guadagna il centro del piccolo palco improvvisato e mi guarda. Il mio cuore sussulta. È il momento.
-       E ora, è con grande gioia che annuncio il fidanzamento di mia sorella Helena con il generale Hofften – le parole gli sgorgano fuori come poltiglia.
I mei occhi rimangono incollati ai suoi. Leggo tutto quello che pensa. Scusami, non ho altra scelta, è per il tuo bene.
Tutti gli sguardi dei presenti si fissano su di me. Sorrido e mi fingo felice, ma dentro mi sento morire. Prima di oggi bene pochi mi hanno prestato davvero attenzione alle feste, ora mi sento sotto esame.
Il mio futuro sposo è in missione ma mi hanno assicurato che tornerà presto. Non oso pensarci!
Il chiacchiericcio riprende e io torno a sedermi. Un anziano colonnello mi si avvicina.
-       Signorina, io la conosco. Lei lavorava all’ospedale ebraico – biascica.
Sbianco.
Niall intercetta il mio sguardo spaventato.
-       No signore, si sbaglia, non so di cosa sta parlando – rispondo cercando di non tremare.
-       Mi scusi signorina, ma io non sbaglio mai. Lei è ebrea.
La mano rassicurante di Niall si posa sulla mia spalla.
-       Le chiedo di smetterla di importunare mia sorella, colonnello. È appena guarita da una brutta influenza e non deve essere sottoposta a stress.
L’anziano signore annuisce e se ne va sospettoso.
Racconto la breve conversazione a Niall che ascolta in silenzio.
-       Andiamo subito a casa – propone. Afferra il mio cappotto senza dire niente e mi spinge fuori.
Quando arriviamo nel nostro appartamento non riesco a smettere di tremare. Sono nel panico più totale.
-       Calmati ora – mi dice Niall.
-       Come faccio a calmarmi!? – urlo fuori di me – sai cosa succede se mi scoprono? Pensi che non lo sappia cosa succede in quei campi?
Vedo i suoi occhi indurirsi.
-       Finirò stuprata e uccisa in una fossa comune!
A quel punto lui si avvicina e per un secondo penso che voglia tirarmi uno schiaffo. Invece mi prende le mani e me le stringe. Mi attira a se e rimaniamo immobili così per un’eternità.
-       Non permetterò che ti facciano del male Helena. E se dovessi mai finire in un campo, giuro che verrò a cercarti.
Tiro su con il naso e singhiozzo.
-       Niall – dico più seria che mai – voglio che la prima volta sia con te.
Lui si allontana di un passo e mi fissa allibito.
-       Non voglio che sia con uno sporco tedesco che probabilente finirà per uccidermi o con uno stupido generale che neanche conosco! Io voglio te.
Niall, che prima di stava fissando con uno sguardo impenetrabile, si avvicina a me con slancio e mi bacia, facendo quasi sbattere i miei denti contro i suoi. Mi solleva da terra e mi stringe forte per poi appoggiarmi sul letto.
Quando le sue mani stringono forte i miei fianchi penso che il cuore stia per esplodermi. Non ho mai voluto tanto qualcosa in vita mia.
 
Poi rivedo tutta la scena di quella notte, come in un film.
Mi asciugo una lacrima che mi si è ghiacciata sul viso. Afferro la sporgenza di una statua e mi isso sul parapetto. Le mani mi si graffiano e bruciano. Non me ne curo, ormai non importa più. Sospiro e guardo giù. La Vistola si agita scura sotto di me.
Sussulto.
Aldilà della statua di San Pietro su cui mi sono arrampicata c’è un giovane. Non mi guarda, fissa le acque scure sotto di noi.
E capisco che anche lui stava per buttarsi, esattamente come me.
 
-       Niall! – praticamente urlo.
Lo spingo lontano da me. Lui arretra spaventato.
-       Cosa c’è? Ti ho fatto male? – chiede ansimando.
Mi sfioro il collo nel punto in cui lui mi stava baciando. No, è la sensazione più bella del mondo.
-       Cosa ci facevi quella sera su quel ponte? – chiedo anche io a corto di fiato.
Niall si mette a sedere e mi guarda con gli occhi pieni di dolore.
-       Non credo che tu voglia saperlo – risponde amareggiato.
-       Io devo saperlo – la mia riposta lo fa sussultare.
Si torce le mani e abbassa lo sguardo.
-       La ragazza che amavo è morta quel giorno, sotto un attacco aereo – inizia a raccontare – stavamo passeggiando sul marciapiede ebraico quando è iniziato. Non abbiamo fatto in tempo a scappare, la strada era piena di gente. L’ho portata di peso al Szpital Kliniczny dove hanno cercato di salvarla. Ricordo che c’era uno scricciolo di infermiera che faceva di tutto per tenerla in vita, lì nella corsia dell’ospedale. Me ne sono andato non appena ho capito che non c’era più niente da fare.
Rimango immobile, sopraffatta dalla verità. Non mi serve neanche guardarlo in viso per capire.
Halina.
Ricordo mia sorella, l’ultimo giorno che l’ho vista.
Ho conosciuto un ragazzo. Oggi mi porta a fare una passeggiata!
Sento istintivamente il bisogno di andarmene. Lui sa che ho capito.
-       Non andartene, ti prego – sussurra.
-       Quando hai capito che ero sua sorella? O lo sapevi prima già prima di incontrarmi? – sbotto rabbiosa.
Sento il tedesco uscirmi di bocca naturalmente e la rabbia i trasforma in suoni gutturali e spaventosi.
-       Quando ti ho vista, dall’altra parte della statua, non sapevo chi tu fossi. Vedevo solo il tuo viso illuminato dalla luna. Ho pensato solo “Dio, è troppo bella per fare una simile sciocchezza” – ammette senza imbarazzo – poi quando sei scesa dal parapetto ti ho riconosciuta, la ragazzina dell’ospedale. Il cuore mi si è fermato per un istante. Ma non avevo idea che fossi la sorella di Halina. L’ho capito solo quando ti ho riaccompagnata a casa. Lei mi aveva chiesto di proteggerti, capisci?
Le lacrime mi scorrono silenziose.
-       La amavi? – chiedo in un sussurro.
-       Si – non lo dice, ma si capisce chiaramente un la amo ancora.
Ama mia sorella. Non me. Mi ha salvata solo perché gliel’ha promesso. Non c’è posto dove nascondersi qui, così scappo fuori. Che stupida. Che illusa.
Niall mi insegue fino al bagno comune. Mi ci infilo dentro e mi chiudo la porta alle spalle.
-       Helena! Apri! Tu non capisci! – urla tempestando la porta di pugni.
-       Lasciami in pace! Non c’è niente da spiegare.
Lui cerca di forzare la porta e di farmi aprire. Gli urlo di andarsene e dopo un po’ lui se ne va.
Quando alla mattina esco dal bagno fetido lui è già andato al lavoro. Sono stremata a causa della notte insonne e il mio cuore è a pezzi. Pensavo che mi respingesse perché fingevamo di essere fratelli, non certo per… questo.
Bussano.
-       Per ordine dell’esercito tedesco, aprite!
Corro ad aprire con il cuore in gola.
-       Signorina Helena – ringhia una voce – sappiamo che ha mentito al capitano Horan fingendo di essere sua sorella, deceduta nel 1929. Ammette di essere colpevole?
Capisco in una frazione di secondo che pensano che Niall sia innocente e che non mi abbia coperta. Se confermo di averlo ingannato lui non finirà nei guai.
-       Si, lo ammetto – sospiro. perché nonostante tutto lo amo ancora.
-       È in arresto. Verrà scortata nel campo di concentramento di Auschwitz questa mattina stessa, la prego di seguirmi.
Accetto il mio destino docilmente, sapendo che questa volta non ci sarà Niall a salvarmi.
Lascio la mia casa con la consapevolezza che Niall non mi ami, ed è una consapevolezza che fa più male di quella che mi dice che sto per morire.


No, non sono così sadica da 
far finire così il racconto.
Adesso la storia avrà una notevole
svolta, com'è ovvio.
Spero che vi sia piaciuto.
Io mi sono emozionata mentre lo scrivevo.
Se vi va passate nella mia nuova FF
"Solo finchè non finisce la guerra"
ambientata sempre nella seconda guerra mondiale.
Spero vi sia piaciuto!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Non so quanto tempo sia passato da quando hanno chiuso gli sportelli del treno merci su cui siamo stipati come animali. È buio. I bambini piangono e i vecchi si lamentano. C’è un profondo senso di disperazione che si abbatte su tutti noi, è come una nebbia sottile che si infila sotto i nostri abiti leggeri e ci entra nell’anima. Non c’è speranza di rivedere casa, non abbracceremo più le persone care.
Il ricordo di Niall mi appare già lontano, ma non posso sprecare le mie energie piangendo. Devo rimanere lucida, finchè posso.
Sono seduta contro la parete e la testa mi dondola avanti e indietro, seguendo le scosse del treno che sbanda. Poi, tutto si ferma e le porte si aprono. L’oscurità si frantuma e si trasforma in una luce altrettanto accecante.
Le SS urlano di scendere. Sono gentili, la loro voce è calibrata e cortese. Tutti si guardano un po’ straniti, perché non capiscono il significato di quelle parole così dure e estranee. I pochi che conoscono il tedesco si affrettano a tradurre e a spingere per far uscire la folla dai vagoni. Mi unisco a loro.
-          Dobbiamo scendere, forza – dico in tono calmo.
Ben pochi comprendono dove siamo arrivati. Se qualcuno dovesse capire, se qualcuno dicesse qualcosa a voce troppo alta, basterebbe una scintilla per far scoppiare il panico.
Una signora rifiuta di scendere, probabilmente perché non vuole lasciare il marito, morto, sulla carrozza abbandonata. La prendo per mano e lei sussulta.
-          Signora, la prego, dobbiamo andare – lei si volta e mi guarda, gli occhi spalancati per il terrore.
Le stringo la mano rugosa e lei mi segue.
Ci dispongono lungo il binario dopo averci diviso dagli uomini. Il tono accondiscendente delle SS inizia a venir meno. Chi non si sbriga viene bastonato, risuonano le prime grida.
Una bambina urla disperata.
-          Papà! Papà! Voglio il mio papà!
Mi trattengo dal piangere. Anche io vorrei il mio papà.
Un uomo dalla pelle grinzosa passa in rassegna tutte le donne della fila e con un cenno del capo indica se debbono andare a destra o sinistra. So fin troppo bene che la scelta è tra morte e vita.
Quando arriva a me fa un passo indietro per osservarmi meglio.
-          È molto bella. Molto, molto bella – borbotta torturandosi la lunga barba bianca.
-          Grazie signore – rispondo umilmente.
Ho scelto la vita. Mio padre mi ha chiesto di vivere, e io ho scelto di regalargli questo ultimo desiderio. Abbasso il capo e mi mostro rispettosa.
-          Venga con me – mi dice.
Mi afferra con la mano guantata e mi spinge lontano dalla fila. Le gambe mi reggono a sento e mi devo appoggiare a lui per camminare.
-          La tua bellezza ti ha salvata – mi dice.
Non comprendo le sue parole, ma rispondo ugualmente.
-          Lo so – mormoro.
E il pensiero torna a Niall, alla prima volta che ci siamo conosciuti.
-          Portala da Friedrich – dice il dottore affidandomi ad una giovane SS che subito mi afferra per il braccio e mi spinge per una strada sterrata.
È tutto ricoperto di neve. La luna illumina la pianura davanti a noi, facendola brillare.
Quando arriviamo davanti ad un enorme cancello le mie ultime speranza crollano.
“ IL LAVORO RENDE LIBERI” recita la scritta che si staglia nera nel cielo notturno.
Auschwitz. Aperto da poco ha già la fama di essere uno dei peggiori campi della Polonia.
Suona molto come “Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”
Chino il capo e prego. Prego che mi sia concesso di vivere, di poter vedere un’ultima volta Niall. Poi, lascio che le mie speranze cadano alle mie spalle mentre i battenti si chiudono dietro di me.
***
Niall’s pov.
Potrebbe essere una giornata come le altre se non fosse che Helena ha passato tutta la notte a piangere, se non fosse che ha scoperto che amo sua sorella. Non so davvero se potrà perdonarmi.
La pattuglia della città è estremamente noiosa. Mi appoggio al muro della caserma e accendo una sigaretta. Non fumo davvero, la tengo solo tra le labbra mentre si consuma.
Vedo Rouge corrermi incontro e penso di raccontargli cosa è successo questa notte. Ma poi vedo il suo sguardo allucinato e la sigaretta mi cade di bocca.
-          L’hanno presa, l’hanno presa! – urla agitando le braccia.
Sembra che stia piangendo. Quando è vicino a me si ferma e ripete sotto voce la stessa frase.
-          Chi!? – non oso pensare a quell’alternativa, non può essere lei.
-          Helena – sussurra Rouge piano.
Il mio cuore va in frantumi. Il primo istinto è quello di rannicchiarmi sul marciapiede sporco e piangere, ma non ne ho il tempo, perché Rouge mi afferra per un braccio e mi scuote.
-          Devi fare qualcosa! Devi andare a cercarla! – mi dice.
Le sue parole mi sembrano provenire da molto lontano, come un’eco.
-          Sai dove l’hanno portata? – riesco ad articolare.
-          No, ma forse riuscirai ad arrivare alla stazione in tempo, prima che partano i treni.
Prima che la frase sia finita sto già volando verso la stazione. Il pensiero di poterla perdere mi distrugge. Corro, e non sento più le gambe. Corro, e non sento più il cuore.
Entro nella stazione e il mio grido viene coperto dallo sferragliare del treno in partenza.
-          NO! – urlo.
Un addetto alla sicurezza mi spinge indietro.
-          Dov’è diretto questo treno? – grido nelle orecchie dell’anziano signore.
-          Ovunque ragazzo mio! – ride lui allontanandosi.
La speranza sta scemando. Guardo le facce sfuocate delle persone all’interno del treno. Alcuni allungano la mano.
-          Helen! – urlo – Helena!
Il treno sparisce dalla mia visuale.
-          Ti troverò! – è l’unica cosa che riesco a dire.
Crollo in ginocchio e finalmente piango.


Allora, questo capitolo è scritto
davvero con il cuore.
Spero vi sia piaciuto, se si, 
fatemelo sapere, grazie.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Mi hanno lasciato in questa stanza vuota per tutto il giorno. Stringo tra le dita un bicchiere un tempo pieno d’acqua.
Inizio a rimpiangere di non aver chiesto più informazioni a Rouge e Baffo quando ne avevo ancora l’opportunità. Mi sento come se stessi camminando alla cieca.
Sento che il ricordo di Niall che mi stringe tra le braccia e mi promette che verrà a salvarmi è già lontano e ora appare come un sogno.
Regna il silenzio. Non si sente un solo rumore.
Non ho paura. Ho passato così tanto tempo a cercare di sfuggire alla morte che mi sono quasi dimenticata come si fa a vivere.
Finalmente la porta si apre con forza e io sobbalzo.
-          Lui è pronto per riceverla – il soldato parla in tedesco. Non mi guarda e tiene la mano sulla maniglia della porta.
Mi alzo e mi sistemo la gonna che indossavo quando mi hanno portata via.
Ad Auschwitz soffia un vento gelido. Il cielo innaturalmente grigio avvolge tutto. C’è un odore melenso che non riesco ad identificare. Tengo gli occhi bassi e cerco di non guardarmi intorno. Devo essere forte.
Ci fermiamo davanti ad una costruzione di cemento.
-          Cammini lungo questo corridoio. C’è una porta, bussi e aspetti. Arrivederci.
Si congeda con un gesto del capo e corre via, come se avesse fretta di allontanarsi da me.
Eseguo gli ordini. Il corridoio sembra interminabile. Il cuore è al galoppo quando arrivo alla porta. Alzo la mano e inspiro forte.
-          Avanti – dice una voce maschile prima ancora che abbia bussato.
Apro la porta con la mano che trema ed entro. La stanza è in penombra. Un ragazzo che avrà qualche anno in più di Niall è seduto ad un tavolo di legno. Sebbene sia molto giovane ha i capelli completamente grigi e l’uniforme del grado più alto.
-          Vieni avanti, Helena – ordina.
La sua voce mi fa rabbrividire. Faccio un passo in avanti e alzo il mento.
-          Scusa se ti ho fatto aspettare così a lungo. Stavo cercando di ottenere questa – continua pacato.
Agita una busta marrone. La sventola lentamente mentre i suoi occhi sono si staccano da me.
-          Sai cos’è? – il suo tono è irreale. Troppo calmo.
-          No – rispondo secca. Non sono dell’umore giusto per i giochetti.
-          È la tua scheda. Ne abbiamo una per ogni soldato del nostro esercito.
-          Non sono un soldato – gli faccio notare.
Lui ride e mi fissa dritto negli occhi. Rabbrividisco. Sono neri, due pozzi profondi e scuri.
-          È vero, ma sei figlia del più importante intellettuale di tutta la Polonia. Sei istruita, e sei una donna. Cosa ti aspettavi?
Taccio. Lui mi guarda per un po’ prima di sfogliare pigramente il mio fascicolo.
-           Qui c’è scritto tutto su di te. Dal momento in cui sei nata, la tonsillite che hai avuto a sei anni, la morte di tua madre. Tutto, fino a quando non sei misteriosamente sparita nel dicembre dell’anno scorso.
Rabbrividisco. Stringo forte i pugni e spero di non mettermi a piangere in un momento come questo. Tutta la mia vita racchiusa in una stupidissima cartellina.
-          Infine – continua lui imperterrito – c’è una piccola annotazione a matita. Non sto a leggertela, tranquilla. Dice che hai imbrogliato il generale Niall Horan facendogli credere di essere sua sorella, che viveva a Berlino.
Sobbalzo. Non riesco a trattenermi sentendo il nome di Niall. È come se mi avessero colpito lo stomaco con una mazza.
-          È così – confermo.
Tremo solo all’idea di quello che potrebbero fargli. Un generale tedesco che nasconde un’ebrea. Assurdo.
-          Peccato che io ricordo perfettamente il giorno in cui comunicai al soldato semplice Horan la morte della sua sorellina. Pianse come un bambino.
Sono pietrificata. I suoi occhi neri sono piantati su di me. Cerco di parlare ma non trovo le parole.
-          È ovvio che il tuo soldatino stava cercando di proteggerti. E a guardarti capisco perché. Comunque, non ho intenzione di fargli del male. Non se tu fai quello che dico io.
-          Tutto – sussurro all’improvviso – tutto quello che vuoi, ma ti prego, non…
-          Shh shh – dice lui alzandosi di scatto e raggiungendomi in una sola falcata.
Mi accarezza i capelli e mi asciuga una lacrima. Devo usare tutto il mio autocontrollo per non ritrarmi. Quelle mani sono sporche del sangue della mia famiglia.
-          Non temere, piccolo angelo. Non gli farò niente. Desso dimmi, cosa sai fare? Che lingue parli? Vedi, non posso tenerti qui solo di bellezza, dei lavorare, guadagnarti da vivere.
-          Parlo tedesco, polacco, inglese e russo – rispondo in un singhiozzo.
Lui si allontana e torna a sedersi alla scrivania.
-          Allora servirai il cibo ai prigionieri. Così potrai far vedere come sei brava. Ora va. Il tuo block è appena qua fuori, di legno. Mettiti comoda piccolo angelo. Ci vediamo a cena.
Mi affretto a scattare in piedi e mi devo trattenere per non correre fuori e limitarmi a camminare lentamente verso la porta.
Percorro il corridoio in un soffio ed esco. Respiro l’aria fredda e mi trascino fino al piccolo block di legno. Apro la porta e mi lascio cadere per terra.
Finalmente, da quando sono arrivata, piango.
-          Su, non piangere.
Alzo la testa di scatto e mi asciugo le lacrime. C’è un ragazzo, con una folta zazzera di capelli neri.
-          Sei quella nuova eh?
Mi offre la mano e mi aiuta ad alzarmi.
-          Si vede? – chiedo concedendogli un piccolo sorriso.
-          Ti abituerai in fretta. Sono Harry.
I suoi occhi verdi incontrano i miei.
-          Helena. Ma tutti mi chiamano Helen – dico  in fretta.
Solo Niall mi chiamava Helena, penso tra me.
-          Helen, allora – dice lui – parla piano però. Ho appena imparato il polacco.
Scoppio a ridere senza motivo e capisco che questo ragazzo mi ha già scaldato il cuore.
-          Non ti preoccupare Helen, Lui non ti toccherà con un dito. Ci ha salvati.
-          Perché? – chiedo tornando seria.
-          Per la nostra bellezza. Non mi sto vantando. Ci tiene in salute per mostrarci agli altri. Siamo manichini nelle sue mani.
Mi guardo intorno. Nel piccolo block ci sono solo due letti e una piccola stufa. Capisco che dovrò condividerla con lui e ne sono felice.
-          Grazie Harry – gli dico sincera.
-          Non ho fatto niente – dice lui con un minuscolo sorriso.
-          E invece si.
Non pensavo si potesse sorridere ad Auschwitz.


Questo capitolo non mi piacee.
L'ho scritto in tre giorni e non
avevo ispirazione.
Scusateeee.
Harry ** 
Finalmente è arrivato anche lui! 
Che ne pensate? A presto!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Noi siamo diversi. Noi non siamo come gli altri.
Harry continua a ripeterlo mentre mi tiene per mano e i tira attraverso il mare di persone che affollano il campo.
Sembriamo due bambini smarriti in una landa desolata, dove la morte è così presente che si può afferrare con le dita.
Noi siamo diversi perché abbiamo i capelli lunghi e lucidi, noi siamo diversi perché abbiamo più carne che ci ricopre le ossa.
Siamo diversi perché abbiamo la possibilità di vivere mentre gli altri possono solo sperare di morire quanto prima.
Come se non mi sentissi già abbastanza in colpa. Perché io posso vivere e gli altri no?
Harry stringe la mia mano e io mi ci aggrappo come se fosse un’ancora di salvataggio. Ogni tanto incappiamo in un cadavere. Harry si fera per vedere come reagirò. Non ho paura dei cadaveri, ho più paura dei vivi.
Nella mia breve vita ne ho visti tanti, di cadaveri. Prima mia madre. La ricordo, bianca e fredda nel suo letto, con il vestito delle feste. Così bella, con i capelli dorati che formavano un’aureola attorno alla sua testa. Poi ho perso il conto. La gente muore di fame ogni giorno, a Varsavia. Ci sono le esecuzioni capitali, quelle alla quali tutto il popolo accorre e poi ci sono quelli dell’ospedale, quelli che morivano tenendomi per mano, chiedendo di concedergli la grazia e salvarli.
Ma qui è diverso. A casa quando si incontrava un morto si tenevano gli occhi bassi e si passava oltre con rispetto, facendosi il segno della croce. Qui la gente passa indifferente, come se non ci fosse niente sotto i loro piedi stanchi, come se fossero abituati alla morte. E guardano dritto davanti a loro con occhi vuoti, come se anche la loro anima fosse vuota.
Sono quegli occhi vuoti che i fanno paura.
-          Mi taglieranno i capelli? – domanda sciocca.
Non mi interessa niente dei miei capelli. Li raserei a zero se questo servisse a salvare almeno una persona qui dentro.
Harry scuote la testa e i suoi ricci rimbalzano come molle.
-          No. Lui ci vuole belli da esibire. Vuole che tutti ci vedano come giovani e in forma. Siamo l’immagine del campo. I prigionieri modello.
Recita come in una di quelle pubblicità che passano alla radio ogni tanto.
-          Non lo chiamate mai per nome? – chiedo.
Lui rimane sorpreso dalla mia affermazione.
-          No. È meglio non nominarlo. Comunque ti cercava da molto tempo, la ragazza perfetta.
Camminiamo in silenzio mentre rifletto su questa frase. Come può la bellezza essere così importante?
Quando arriviamo davanti ad un capannone Harry bussa un paio di volte prima che un omaccione venga ad aprirci.
-          Oh Little Harry – dice in un accento tutto suo – sei tu. Chi è il piccolo angelo che è con te?
-          È quella nuova – risponde il mio amico in tono confidenziale – trattala bene Karl. È mia amica.
Seguo lo scambio di battute spostando lo sguardo da Harry a Karl.
-          Cosa succede? – chiedo con la voce che trema.
L’omaccione mi squadra.
-          Ora ti farò un tatuaggio. Tranquilla, non fa male, anche il tuo amico ne ha uno. Tutti ne hanno uno qui.
Harry alza il braccio e mi mostra delle cifre nere impresse sulla sua pelle.
Deglutisco.
-          Tornerò presto a prenderti – promette Harry andandosene.
Karl mi fa sedere su un piccolo sgabello e di chiede di scoprire il braccio sinistro. Accetto con riluttanza.
-          Tranquilla, siamo tutti amici qui dentro – dice lui.
-          Sei un prigioniero? – chiedo quando capisco che non mi farà del male.
-          Che differenza fa? Non posso andarmene da qui, esattamente come te – risponde lui continuando nel suo lavoro.
Annuisco e guardo altrove. Sento di potermi fidare di lui e del suo strano accento.
Quando Harry torna a prendermi mi dice che Lui ci aspetta per la cena. Ci sediamo attorno ad un bel tavolo apparecchiato nello studio in penombra.
Nessuno di noi parla. Harry mangia come se  non mangiasse qualcosa di liquido da settimane, e probabilmente è proprio così. Anche io sono concentrata sul cibo, non mangio da almeno un giorno.
-          Che silenzio – incalza Lui – Harry, perché non racconti ad Helena la tua storia?
Harry molla la forchetta di colpo come se l’avessero colpito. I suoi occhi incontrano supplichevoli i due pozzi neri del nostro carnefice.
Sospira e per un attimo penso che preferirebbe ingoiare pece piuttosto che raccontarmi quello che sta per dire.
-          Sono nato a Monaco – inizia – mia madre era ebrea. Quando mi chiamarono al servizio militare ci nascondemmo in un appartamento segreto. C’erano due ragazze e – si ferma e guarda altrove.
Lui batte le mani e sospira soddisfatto.
-          È la mia parte preferita – mi confessa.
Rivoltante. Posso sentire il dolore di Harry sulla mia pelle.
-          Io e la ragazza più grande abbiamo deciso di sposarci. Siamo usciti, e ci hanno trovati. Lei è riuscita a scappare. Io sono finito qui.
Il mio pensiero corre subito a Niall e il mio cuore perde un battito. Appoggio la mano su quella di Harry e stringo forte.
-          Potete andare – ci congeda Lui.
Io mi affretto ad alzarmi ma vedo che Harry è ancora seduto che fissa il piatto ormai vuoto.
-          De.. devo fermarmi signore? – chiede con la foce che trema.
Lui ci pensa per un po’.
-          No Harry, va con il nostro piccolo angelo. Non voglio che stia da sola la sua prima notte.
Il ragazzo si affretta ad alzarsi e a trascinarmi fuori. Quando siamo nel nostro block si infila sotto la coperta leggera che copre il suo letto e mi guarda.
-          Mi dispiace per quello che ti è successo – gli dico.
Lui sorride.
-          Lei è salva. È questo che conta.
Mi da le spalle e io rimango da sola con i miei pensieri.
Lei è salva, ma è senza di lui. E non esiste conforto per questa mancanza, e non ci sarà mai. È un vuoto che non si può colmare.
Lei aspetta il suo ritorno, anche se sa che non accadrà mai.
Io aspetto Niall. E prima di addormentarmi, ho la certezza che lui verrà a prendermi.


Saaaalvee!
Chiedo umilmente scusa ma 
non riesco proprio a rispondere alle
vostre recensioni. 
Sappiate che le leggo tutte e che
vi amo ogni giorno di più.
Che ne pensate del capitolo?
Vi manca il nostro bel soldatino? A me si.
A prestooo <3

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Sono passati due mesi ed è arrivata la neve qui ad Auschwitz. Il mio compito è distribuire il cibo ai prigionieri.
Il sole sta sorgendo. Inizia un nuovo giorno, qui, dove il lavoro ti rende libero.
Anche se ho capito che l’unico modo per essere veramente liberi qui è passare da un camino.
Esco dal block ed inspiro forte l’aria carica di neve. Il cielo è grigio. Le ciminiere sono già in funzione.
-          Siete liberi, andate per il mondo – saluto persone che hanno condiviso le mie stesse speranze e che mi hanno offerto un sorriso, uno stralcio di vita che non mi appartiene.
Così inizia la mia giornata, con un addio.
Mi incammino verso le cucine. Il terreno è ghiacciato e i miei zoccoli di legno slittano sulla neve.
Le mie scarpette da infermiera scivolano sul marciapiede giacchiato del quartiere di Śródmieści. Sento la Vistola scorrere sotto i miei piedi mentre raggiungo il ponte dei Suicidi.
All’ingresso delle cucine Joseph, il cuoco, mi saluta con un sorriso vago. Afferro la pesante latta che contiene la zuppa che dovrà sfamare le donne della mia sezione. Il metallo mi scivola tra le dita, il peso mi curva la schiena.
Le mani mi si graffiano e bruciano. Non me ne curo, ormai non importa più. Sospiro e guardo giù. La Vistola si agita scura sotto di me.
Inizio ad avanzare lentamente e a passi goffi verso la mia meta. Sale un profumo delizioso dall’enorme pentola e devo trattenermi dall’infilarci le dita. Quando Lui non c’è io e Harry soffriamo la fame quasi quanto gli altri. Torna ogni tre settimane e mangia con noi il venerdì sera, per poi ripartire subito il giorno dopo. La notte del venerdì Harry non torna al block.
Quando arrivo davanti agli alloggi femminili mi fermo al centro del cortile innevato e batto tre volte con il mestolo sulla latta.
Immediatamente una fila si forma davanti a me. Riconosco alcuni volti, altri sono nuovi. Ci sono delle bambine.
Non guardarle Helena, non accarezzare le loro testoline ormai pelate. Domani non ci saranno più.
-          Signorina – una bambina mi strattona per la manica della divisa a righe.
-          Si?
Mi chino per guardarla meglio. I suoi occhi azzurri acchiappano i miei e mi tolgono il respiro. Potrebbe essere me.
-          Lei per caso è un angelo? – la sua voce è così fioca che faccio fatica a sentirla.
Un uomo geme accanto a me.
-       Signorina – gracchia ormai senza voce. Accorro.
-       Signorina, lei è così bella da sembrare un angelo. Mi dica, lo è?

Le sorrido.
-          No piccola, non lo sono – rispondo dolcemente.
-          I tuoi capelli sono così belli – mi sfiora una treccia che è scivolata in avanti.
La guardo. Probabilmente anche lei li aveva color del grano. Le accarezzo la testolina rasata.
-          Ricresceranno tesoro – prometto con la voce strozzata.
Mi volto per non far vedere le lacrime che mi hanno riempito gli occhi.
La gente reclama il cibo. La piccola mi mostra la ciotola.
La riempio fino a metà, come dice il regolamento.
“Non cercare di salvarli”. L’ammonimento di Harry mi gira in testa.
So di non poterli salvare, è un consapevolezza che mi schiaccia con tutto il suo peso.
So anche, che se riempio troppo la ciotola dei primi della fila agli ultimi non resterà più niente. Sono impotente.
Sorrido e distribuisco zuppa. Sorrido e distribuisco speranza. Sorrido e nutro la gente di illusioni.
Illusioni e carote marce. Difficili da digerire.
Le donne che erano in fila anche ieri mi sorridono con meno convinzione. Sanno cosa le aspetta, sanno che il mio sorriso è di facciata.
Quando anche l’ultima goccia di zuppa è finita e il viso mi si è congelato la campana che segnala l’inizio dei lavori suona e le donne si disperdono subito.
Lui è al campo. Vuol dire che non posso andare al mercato nero al limite del campo. In pochi mesi Harry ed io siamo diventati dei maestri della contrattazione.
Contrattiamo per Karl, il tatuatore e per Joseph, il cuoco. Contrattiamo per quei pochi che riescono a sopravvivere. Ormai sono rispettata e temuta già al mercato.
Ma, oggi è zona proibita per me. Se solo Lui sapesse che ci passo tutto il mio tempo libero!
Non so cosa pensi che dovrei fare, ma di certo non vorrebbe che stessi dove il suo piccolo angelo può farsi male.
Come sempre, quando Lui è al campo di dirigo alla scuola.
Ho sentito dire che in altri campi le scuole sono molto più attrezzate, perché ci sono più bambini. Qui i bambini rimangono solo per pochi giorni. Quindi la scuola è solo un modo per non farli scorrazzare per il campo.
Quando entro tutti i bambini si spintonano e il chiacchiericcio cresce.
Anne, l’insegnante mi sorride. Siamo diventate amiche da poco e ogni volta che vado a trovarla è sempre felice di parlarmi dei suoi bambini. È giovane, ha solo qualche anno più di me, e anche quando abitava a Cracovia era una maestra.
-          Bambini! – canticchia battendo le mani – qualcuno si ricorda della nostra amica Helena?
Solo due bambini alzano la mano. Il mio cuore sprofonda.
Anne incrocia i miei occhi e vi leggo la tristezza che le sue labbra non fanno trapelare.
Di solito mi accomodo in un angolo e assisto le lezioni, i bambini mi fissano e chiedono se possono toccarmi i capelli.
-          Helena, vuoi cantarci qualcosa?
Rimango pietrificata. Non so cantare. Non mi viene in mente nessuna canzone.
Ricordo vagamente Niall che canticchiava sottovoce quando passeggiavamo lungo la Vistola.
Mi sono alzata e i bambini hanno formato un cerchio attorno a me.
Anne mi ammonisce silenziosamente. “Niente di triste”.
Mi sforzo di pensare. Poi un ricordo riaffiora all’improvviso.
Halina seduta sulle gambe di papà. La mamma che batte le mani a tempo. E io che rido. Rido perché la canzone è così felice, la mamma è felice, persino quella musona di Halina è felice.
Mi schiarisco la gola.
-          Gam-Gam-Gam Ki Elekh – inizio con voce tremante.
Qualcuno mi guarda concentrato. Non tutti conoscono l’ebraico. Gonfio il petto e continuo.
Anche se andassi
nella valle oscura
non temerei nessun male,
perché tu sei sempre con me;

tutti battono le mani quando inizio il ritornello.
Sento le mie labbra dischiudersi in un sorriso sincero che pensavo di aver dimenticato.
Anne mi prende per mano e mi fa girare. Ho di nuovo sedici anni. Non c’è la guerra, non c’è la fame. Tutto questo non esiste.
Ma come tutte le cose belle, anche la canzone deve finire e io torno da Harry.
-          Ti vedo allegra – mi dice.
Annuisco e sorrido. Harry, al contrario di me, sorride sempre. Sono quei rari momenti in cui l’opprimente cappio della morte non ci soffoca con i suoi tentacoli e possiamo tornare a respirare normalmente.
***
Quando alla sera siamo nel nostro block Harry mi pettina i capelli, perché Lui ci vuole belli e tirati a lucido.
-          Come fai ad essere sempre così allegro Hazza? Come fai a non perdere la speranza.
Harry posa la spazzola e mette le grandi mani sulle mie spalle.
-          Ho un segreto – sussurra.
Mi volto a guardarlo.
-          Una cosa mia, che nessuno sa. Quando sono triste ci penso e torno ad essere felice. Tu non hai nessun segreto? Non mi hai mai parlato di casa tua.
Niall. Il mio segreto.
Distolgo lo sguardo. Non pensavo a lui da.. troppo tempo. Ho smesso di sperare che venga a salvarmi. Però il cuore mi si scalda ancora quando la sua immagine mi torna in mente.
-          Se te ne parlassi non sarebbe più un segreto – gli dico.
-          Certo – sorride Harry capendo che non voglio parlarne.
-          È meglio andare, ci starà aspettando – mi alzo e aspetto che mi segua.
***
Da qualche parte, nella fredda Germania un soldato cerca disperatamente la donna che ama. Non si cura del freddo o della neve. Vuole ritrovarla.
Scosta i malati e rivolta i cadaveri sperando ogni volta di non trovare lei.
Urta una ragazzina e la prende un attimo prima che lei cada.
-          Scusi – borbotta lei.
Il soldato sussulta. Quei capelli biondi.
-          Helena! – urla.
La ragazzina alza la testa e fa segno di no.
-          Mi scusi, non sono quella che cerca.
Il cuore del soldato sprofonda. È sicuro che un giorno la troverà. L’ha promesso.



Ecco qui il nuovo capitolo.
Spero vi sia piaciuto.
Grazie mille per le recensioni,
cercherò di rispondere entro questa sera.
Questo capitlo è scritto davvero con il cuore,
ho pianto come una bambina scrivendolo.
Ditemi cosa ne pensate.
Baci, Cami.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


4 anni dopo... -          Buon compleanno!
Apro gli occhi e sobbalzo vedendo il viso di Harry a pochi centimetri dal mio. Grugnisco e mi giro dall’altra parte come facevo quando ero piccola e non volevo svegliarmi.
-          Forza pigrona – dice Harry scuotendomi con forza.
Sospiro.
Non voglio alzarmi. Ho sognato che Niall veniva a prendermi e mi portava in un luogo dove non avrei avuto più fame. Voglio rimettermi  a dormire e sognarlo ancora.
Voglio sognarlo per sempre.
-          Non vuoi il tuo regalo? – mi istiga Harry.
Alzo la testa di scatto e lui scoppia a ridere.
Mi porge un pezzo di pane. Pane vero, bianco e morbido.
-          Da parte mia, di Karl e di Joseph – spiega con il suo solito sorriso furbo.
lo spezzo a metà e gliene offro un pezzo. So che non vorrebbe, perché è il mio regalo. Ma siamo entrambi così affamati che non riusciremo a tenere in mano del cibo molto a lungo senza cercare di infilarcelo in gola. Così Harry prende il suo pezzo di pane e per un po’ mastichiamo in silenzio.
-          Lui è tornato – dice dopo un po’.
Io sospiro. è stato assente per quasi tre mesi e io ed Harry rischiavamo seriamente di morire di fame.
-          Vuole vederti – aggiunge pensieroso.
Lo guardo sorpresa. Perché non me l’ha detto prima? Mi alzo e mi spolvero la farina dalla divisa a righe e mi affretto a correre fuori. Non capita speso che Lui mi convochi. Tutti sanno che preferisce Harry.
Quando arrivo davanti al suo ufficio mi dice di entrare ancor prima di aver bussato e io mi affretto ad accomodarmi sulla poltroncina davanti alla sua scrivania.
-          Helena – esordisce – quanto tempo. Come stai?
Come se gli importasse.
-          Sto bene – rispondo secca.
Con il tempo ho imparato ad odiarlo senza farglielo notare. Al solo pensiero di quello che fa ad Harry rabbrividisco.
-          So che è il tuo compleanno. E ho deciso di farti un piccolo regalo.
Alzo le sopracciglia, sorpresa. Da un uomo che si sente un dio nel salvare due ragazzi mentre fuori il resto del mondo muore non mi sarei mai aspettata niente.
Alza una stoffa bianca che si rivela essere la mia vecchia uniforme da infermiera, ancora macchiata di sangue. C’è scritto il mio nome, cucito pazientemente da Halina una vita fa.
-          Ci ho messo molto a ritrovarla – mi informa Lui.
Non voglio sapere dove l’ha trovata. Non voglio.
-          Lavorerai al reparto per gli ammalati. Da oggi. Ti conviene affrettarti, il tuo turno è già iniziato.
E così mi congeda.
Ringrazio sommessamente e corro fuori con la divisa stretta al petto. La stessa divisa che indossavo quando ho conosciuto Niall. La indosso con le lacrime agli occhi  e constato tristemente che mi è diventata enorme. Una macchia di sangue secco si è allargata sul cuore, come se mi avessero colpito.
Quando arrivo all’ospedale i dottori mi salutano, perché tutti mi conoscono. Mi assegnano il reparto dei casi terminali e sento le ginocchia cedermi.
Mentre avanzo in quel mare di disperazione sento una foce chiamarmi per nome.
-          Helen – è poco più di un sussurro.
Facendomi strada tra i corpi ammassati sul pavimento arrivo vicino ad un giovane che mi tende la mano. Mi chino verso di lui e rimango impietrita.
Priot.
-          Ero certo che fossi tu – mi dice.
Gli pulisco il viso incrostato di sangue e noto che sta piangendo.
-          Non è rimasto più niente, a casa. Sono felice di averti rivisto un’ultima volta – sospira.
Casa. Il pensiero di casa mi lacera il cuore.
-          Dori ha pregato tanto per te, piccola Helen – chiude gli occhi e non si muove più.
-          Priot! – lo scuoto – Priot.
Scoppio in lacrime e la mia vecchia vita torna ad essere un oscuro buco nero. Corro fuori e inspiro forte l’aria fredda.
Noto che un soldato mi sta fissando, appoggiato al muro delle cucine. Appena arrivata fissavo tutti gli uomini in uniforme alla ricerca del mio soldato. Ma ormai ho smesso di cercarlo ovunque io vada. Spero solo che sia vivo, e che sia felice.
Il soldato mi si avvicina e io abbasso in fretta lo sguardo.
-          Non ci credo! – sputa questo.
Lo guardo e per poco non mi cedono le ginocchia.
-          Baffo!
Percorro la poca distanza che ci separa e gli salto al collo.
-          Helena! – affonda il viso nel mio collo – sei viva. Niall ti sta cercando ovunque.
Il mio cuore impazzisce.
-          Gli dirò che sei qui. Mio Dio come sono felice di sapere che stai bene.
Continua a stringermi. Gli altri soldati ci guardano come se fossimo impazziti e io faccio un passo indietro. Mi chiamano, devo finire il mio turno.
-          Devo andare – gli dico – sono felice di averti rivisto.
Lui sorride triste. Quando sto per andarmene mi afferra per una mano e mi tira verso di se.
-          L’esercito tedesco sta perdendo Helen. Stanno distruggendo gli altri campi e uccidendo tutti quelli sopravvissuti fin ora. Se ti dicono di evacuare il campo, non farlo per nessuna ragione, evita le marce della morte. Promettimelo.
Annuisco e gli stringo la mano.
Per la prima volta da quando ho cantato per i bambini della scuola, sono davvero felice. Niall mi sta cercando, non mi ha abbandonata.
 
Quando arrivo al mi block Harry è sdraiato sulla sua brandina. Si muove e parla poco.
-          Va tutto bene Hazza?
Lui annuisce appena. Lo guardo bene e dentro di me qualcosa si rompe. In tutto questo tempo non ho mai pensato che potesse succedere qualcosa a noi due. Non ci siamo mai ammalati, perché quel poco di cibo in più che avevamo ci proteggeva, perché avevamo i vestiti più caldi.
Ma ora Harry sta male, è evidente.
Gli porto la zuppa e lui rifiuta di farsi imboccare.
-          Sto bene! – protesta anche se è bianco come un cadavere.
Ma il giorno dopo la situazione è peggiorata. Non riesce neanche ad alzarsi.
Fuori c’è tumulto. Un carro armato passa rumorosamente davanti alla nostra porta.
-          ATTENZIONE. RIPETO, ATTENZIONE. SIETE PREGATI DI DISPORVI IN FILA INDIANA, PRESTO LASCEREMO IL CAMPO PER TRASFERIRCI IN UN LUOGO PiU’ ADATTO – dice una voce metallica.
Harry fa per tirarsi su. Lo spingo giù con forza.
-          Cosa fai, sei impazzito? – sbraito terrorizzata dalle parole di Baffo.
-          Hai sentito cosa hanno detto – sottolinea lui.
Non gli rispondo e gli rimbocco le coperte. Il mio cervello sta esplodendo a forza di pensare a come evitare di andare.
-          SOLO CHI NON Può CAMMINARE, O STA TROPPO MALE PER FARLO Può RIMANERE QUI. VERREMO A PRENDERLO CON MEZZI CONSONI AL TRASPORTO.
Sospiro. Siamo salvi. Quando ci chiedono perché non siamo usciti con gli altri indico Harry che mugola sul lettino e il soldato annuisce e se ne va.
In qualche ora il campo si svuota. Capisco che se non mi sbrigo presto non ci sarà più cibo. Corro alle cucine e porto via tutto quello che riesco a trovare.
***
È mattina quando succede. Harry non riesce quasi più a muoversi. Ogni volta che chiude gli occhi rischio di scoppiare a piangere per l’ansia.
Ad un tratto tossisce e non si muove più.
-          Harry! – provo a scuoterlo.
Scoppio a piangere.
-          Non lasciarmi Harry, sei il mio unico amico. Sei tutto ciò che ho. Se tu mi lasci io sarò da sola, lo sai che ho paura di stare da sola.
Da un colpo di tosse. E io scoppio a ridere, così senza motivo.
-          Non ti lascio Hell. Non ti lascio.
Lo abbraccio e gli asciugo il sudore.
Fuori sento dei boati. Mi alzo in piedi ed esco dal block.
-          Arrivano i russi! Arrivano i russi!

Chi può correre corre, gli altri si limitano a battere le mani ed esultare. Torno da Harry.
-          Sono venuti a prenderci. Starai bene Harry.
Lu non si muove. Respira appena.
-          Vai Hell. Vai da loro. Starò bene.
Mi allontana con la mano. Con le lacrime agli occhi gli stampo un bacio sulla fronte ed esco.

Ancora non lo so, ma è l’ultima volta che lo vedo.

Fuori è il finimondo. Tutti corrono.
Poi, come un miraggio, lo vedo. Alto e fiero nella sua uniforme guarda dritto verso di me. È lontano eppure lo riconosco.
Questa volta non è un sogno, è venuto a prendermi.


HE'S BACK.
Non vedevo l'ora che tornasse Niall, e voi?
Mi dispiace che l'ultimo capitolo 
non vi sia piaciuto,
ma spero che questo sia bello. A me è piaciuto scriverlo.
Cosa succederà ad Harry? Leggete 
lo spinoff "solo finchè non finisce la guerra" 
per scoprirlo.
A presto, fatemi sapere.Cami.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 In quell’istate tutto sparisce. Tutti gli orrori che ho visto in questi anni non ci sono più. Non c’è più la fame, non c’è più la guerra. Perfino la consapevolezza che lui ami mia sorella se n’è andata.
Rimango immobile a guardarlo. Anche lui è immobile e mi guarda, il suo viso è impassibile, come se non riuscisse a credere di avermi davanti.
Poi il mondo riprende a girare molto, molto velocemente.
Le grida mi assordano e noto la sua uniforme tedesca contrastare in modo allarmane con quella dei soldati dell’Armata rossa. I fucili puntati su di lui mi fanno raggelare il sangue.
-          In ginocchio, soldato! – l’urlo arriva così forte che riesco a sentirlo anche io.
Vedo Niall cadere con le ginocchia nel fango umido.
I miei piedi si muovono senza che io me ne accorga. All’inizio fatico a fare un passo davanti all’altro, poi corro. Le mie gambe protestano ma so di non potermi fermare.
Negli ultimi metri che mi separano da Niall mi lancio in avanti urlando.
-          Fermi! Non sparate! – la mia voce è così distorta che quasi non la riconosco.
Atterro contro Niall così forte che quasi mi si mozza il respiro. Le sue braccia mi stringono saldamente la schiena per evitare che io rimbalzi indietro.
Sento la scarica di proiettili assordarmi e chiudo gli occhi aspettando la fine. Sono contenta di essere almeno tra le sue braccia. È valsa la pena di aspettare tutti questi anni per morire vicino a lui.
Ma la fine non arriva. Apro gli occhi e noto che tutti i soldati russi ci stanno guardando con i fucili puntati verso l’alto. Hanno spostato la mira all’ultimo istante.
-          Signorina, si sposti. Quest’uomo deve essere giustiziato – mi dice un uomo in un polacco fin troppo perfetto.
Alzo lo sguardo verso la voce.
-          Lei non capisce. Se sparate a lui dovete sparare anche a me – rispondo alzando il mento fiera.
Noto che il soldato mi sta fissando impassibile. Osservo il suo viso nascosto dal berretto militare.
-          Andrej! – urlo nello stesso momento in cui lui urla il mio nome.
Mi libero dalla presa di Niall e salto al collo del soldato.
-          Sorellina, sei proprio tu? – chiede meravigliato.
-          Si, pensavo che fossi morto – gli dico.
Vedo che il suo volto è bagnato di lacrime.
-          Come vedi non lo sono – mi dice il mio fratellone – chi è l’uomo che è con te?
Niall si alza e io mi affretto a mettermi vicino a lui.
-          Quest’uomo ha salvato la mia vita Andrej. Mi ha nascosta quando hanno portato via tutti gli altri.
Vedo la tristezza e la comprensione negli occhi di mio fratello.
-          Capisco – dice – se quest’uomo ha salvato la vita di mia sorella di certo non sarò io ad ucciderlo. Abbassate i fucili ragazzi. Il soldato verrà processato.
Sospiro di sollievo. Mi volto a guardare Niall e noto che anche lui mi sta fissando.
-          Grazie – mi dice.
-          Grazie a te, per aver mantenuto la tua promessa – gli rispondo.
Nonostante mio fratello insista per andare a farmi medicare io non voglio staccarmi da Niall. Ho paura che se lo perdo di vista potrebbe scomparire di nuovo.
Restiamo seduti su una panca rovinata dalla pioggia mentre tutti si affannano attorno a noi. Spero che abbiano trovato Harry e che qualcuno si sia preso cura di lui.
Niall mi culla tra le sue braccia muscolose e io piango.
-          Helena, smetti di piangere per favore – dice e noto che anche lui sta piangendo.
Affondo il viso nella sua divisa sporca inspirando forte il suo odore.
-          Quando ho saputo che ti avevano presa io… ho pensato di morire. Ti ho cercata ovunque. Sono stato in Germania, in Francia, perfino in Italia…
-          E io non sono mai uscita dalla Polonia, come sempre – sorrido ricordando una nostra vecchia conversazione.
Lui invece non sorride, mi guarda serio.
-          Non sono venuto qui perché ero convinto che se tu fossi arrivata qui non saresti sopravvissuta. Sei così piccola.
Sento le sue mani attorno alla mia vita e chiudo gli occhi.
-          Helen – mio fratello interrompe in nostro momento – dobbiamo andare. Saremo scortati a Varsavia dove il tuo generale verrà processato da una corte contro i crimini di guerra.
Mi volto verso Niall sorpresa.
-          Sei diventato generale?
-          Si, anche se non ho fatto niente per meritarmelo. Questo renderà le cose più difficili. Mi giudicheranno colpevole.
Mio fratello ci spinge verso un camion dove noto che tutti guardano Niall con fare sospettoso.
-          Cosa dici Niall? Sei innocente – ribatto sentendo il cuore congelarmisi per la paura.
Lui mi accarezza dolcemente una guancia.
-          Nessuno testimonierà a mio favore – risponde piano, per non farsi sentire.
-          Io. Io testimonierò per te – dico impassibile.
Per tutto il viaggio stiamo in silenzio la mia spalla contro il suo fianco. I soldati sono socievoli con me e mi offrono addirittura del cibo.
-          Non ingozzarti, Helena – mi ammonisce Niall – ho visto gente morire per questo. Il tuo stomaco non è più abituato.
E detto questo torna a sprofondare nel suo silenzio glaciale.
Quando arriviamo alla corte di Giustizia mi paro davanti a mio fratello. Accidenti, è alto quasi mezzo metro più di me.
-          Posso aiutarti Helen? – mi dice con tono fermo.
-          Si, concedimi un’ultima notte con Niall. Ti prego – supplico.
Andrej mi fissa impassibile.
-          Lo ami, vero?
Annuisco con vigore.
-          Cristo. Mia sorella innamorata di un tedesco. Mi devi ancora spiegare come hai fatto a diventare sua amica.
-          Non è tedesco – ribatto subito – è irlandese.
-          Questo è da dimostrare – dice lui – va bene, solo per questa notte Helena.
Così io e Niall veniamo accompagnati in una stanza con un enorme letto bianco e soffice. Stento a crederci.
Niall si siede su una sedia imbottita e fissa il tappeto morbido. Sento il muro che ci divide come se fosse reale.
-          D’accordo – dico mettendomi davanti a lui – cosa c’è?
Lui alza lo sguardo e sotto i suoi occhi azzurri vacillo.
-          Ti rendo le cose più semplici Helena. Se mi odi sarà più facile dirmi addio un’altra volta.

Ecco il 16esimo capitolo.
Com'è??
Non sono teneri quei due??
Grazie mille per le recensioni, vi adoro!
Ne approfitto per dedicare questo capitolo
alla mia amica Alessandra 
che mi sopporta e che legge tutti i miei capitoli!
A presto, Cami.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Niall si siede su una sedia imbottita e fissa il tappeto morbido. Sento il muro che ci divide come se fosse reale.
-          D’accordo – dico mettendomi davanti a lui – cosa c’è?
Lui alza lo sguardo e sotto i suoi occhi azzurri vacillo.
-          Ti rendo le cose più semplici Helena. Se mi odi sarà più facile dirmi addio un’altra volta.
Scuoto la testa e mi sforzo di pensare ad una risposta coerente.
-          Perché mai dovresti dirmi addio? – balbetto alla fine.
Poi, la consapevolezza di aver nascosto la verità ai miei stessi occhi mi colpisce e sento un brivido ghiacciato percorrermi.
Con un vago senso di smarrimento abbasso lo sguardo e faccio un passo indietro.
-          Ah. Capisco – sussurro senza fiato.
Mi volto e asciugo la prima lacrima che cerca di farsi strada sulla mia guancia. Faccio per aprire la porta della camera quando la mano forte di Niall mi afferra il polso.
-          Capisci cosa? – chiede secco – Helena?
Continuo a dargli le spalle, perché guardarlo negli occhi fa troppo male. Anche solo saperlo a pochi passi da me è un dolore che non si può spiegare, più doloroso di saperlo a kilometri di distanza da me.
È il dolore che da la consapevolezza di non poterlo avere.
Le sue mani forti mi stringono le spalle, facendomi sussultare. Mi costringe a girarmi.
-          Parlami. E soprattutto guardami negli occhi – ordina con voce supplichevole.
Obbedisco e scoppio in lacrime.
-          La ami ancora, non è così? Oppure, in tutti questi anni hai trovato un’altra donna per cui valga la pena vivere – il mio tono è così disperato che non mi riconosco – in ogni caso non c’è nessuna probabilità che tu ami me.
Abbasso gli occhi con vergona e mi allontano ancora una volta da lui.
Niall rimane qualche istante immobile, lo sento respirare pesantemente.
-          Come puoi essere così stupida? – il suo tono è dolce e allo stesso tempo ruvido.
Azzardo uno sguardo verso di lui. Sembra quasi arrabbiato.
Mi si avvicina e mi prende le mani. Le poggia sul suo petto ampio.
-          Lo senti? – soffia sul suo viso.
Non rispondo. Sono rapita dal contrasto delle sue mani ruvide e calde con le mie, fragili e sottili. Il suo cuore batte impetuoso sotto le mie dita.
-          Batte così solo quando sono vicino a te – dice.
Questa frase mi fa sussultare.
-          Per tutti questi anni non ho fatto altro che cercarti disperatamente. Mi sono odiato per aver lasciato che ti portassero via da me. E mi sono ripromesso che se ti avessi rivisto almeno un’ultima volta quello che non ho avuto il coraggio di dirti.
A questo punto scoppio a piangere rumorosamente e appoggio la testa al suo petto. Le sue braccia mi circondano facilmente e trovo il posto migliore del mondo, l’incastro perfetto.
Niall mi accarezza i capelli.
-          Perché io ti amo Helena. Sempre, dal primo momento in cui ti ho vista su quel ponte e ho pensato che se avessi lasciato che ti buttassi avrei commesso il più grosso errore della mia vita.
Singhiozzo. Lui mi stringe più forte.
-          E per tutto questo tempo ho sperato che tu mi ricambiassi ancora, che non ti fossi lasciata morire. La vita senza di te è come l’inferno. Di qualcosa, ti prego.
Cerco di smettere di piangere e alzo la testa verso di lui.
-          Ti amo Niall.
Il mio soldato non ha bisogno di sentire altro. Avvicina la bocca alle mie labbra così lentamente che l’attesa diventa insopportabile. Quando le sue labbra, per la prima volta dopo quattro anni toccano le mie sono sicura di non aver bisogno del paradiso, perché non c’è nessun posto dove voglio essere, se non qui con Niall.
Il contatto tra me e Niall è quasi inesistente. Sento il suo respiro caldo sul mio viso  e sorrido. Tocca a me prendere l’iniziativa e premere le mie labbra contro le sue. Questa volta è lui a sorridere.
-          Hai fretta? – mi prende in giro.
-          No. Voglio solo stare con te – sussurro in risposta.
Il soldato mi bacia lentamente il collo per poi risalire fino al mio orecchio. Disegna il contorno della mia bocca e finalmente mi bacia.
Come la prima volta, è un esperienza indescrivibile. Quando entrambi siamo ormai senza fiato Niall mi prende in braccio e si siede sul letto, cullandomi piano.
Appoggio la mano sul suo petto e ascolto il suo cuore battere velocemente.
-          Sono viva grazie a te – dico piano.
Lui mi guarda incuriosito.
-          Sono viva per te – mi spiego – ogni volta che avevo voglia di lasciarmi semplicemente morire di fame mi ripetevo che dovevo rimanere viva per rivederti, perché sapevo che saresti venuto a prendermi. Sei stato il mio segreto.
Niall mi bacia con forza.
-          Non dirlo – sussurra sulle mie labbra – il pensiero di te morta mi fa stare male.
Mi stringo a lui e vorrei che la notte non finisse mai.
Non voglio dormire perché so che se chiudessi gli occhi rivedrei quello che per me è l’inferno. Ma cullata dalle braccia di Niall la mattina arriva troppo presto.
Mio fratello bussa alla nostra porta e io mi alzo tutta intorpidita sotto gli occhi attenti di Niall.
-          Devono parlare con Niall per delle domande preliminari – mi dice Andrej senza molti preamboli.
-          Buon giorno anche a te Andrej. Se non fossimo cresciuti insieme direi che non ti hanno educato bene – lo rimprovero.
Mio fratello arrossisce. Poi si ricompone e nota che indosso solo la sottoveste che mi hanno dato le infermiere al mio arrivo.
-          Spero di non dovermi preoccupare per la tua innocenza Helen – rivolge uno sguardo eloquente a Niall che si sta stiracchiando. Il suo busto nudo è illuminato dalla luce del mattino.
Scoppio a ridere, per la prima volta dopo moltissimo tempo.
-          Il generale Horan è un uomo onesto. Non ti preoccupare per la mia verginità – gli rispondo schiettamente chiudendogli la porta in faccia.
Niall ride e mi tira a se. La sua risata è così angelica che sembra quasi musica.
-          Meglio non farli aspettare – dice staccandosi da me.
Indosso gli abiti da infermiera che mi fanno prestato e tenendo stretta la mano di Niall raggiungiamo mio fratello.
Andrej mi sorride.
-          Ti presento uno dei miei migliori amici. Sarà presente al processo del tuo soldato – mi dice.
Un uomo castano e con occhi come il cielo appare davanti a me.
-          Lui è il dottor Tomlinson – dice Andrej.
Louis mi abbraccia forte facendomi quasi cadere.
-          Sei viva! Dio mio, pensavo che fossi morta quando mi hanno detto che tutta la tua famiglia era stata portata via.
Il dottore piange e mi da delle pacche sulla schiena.
-          È bello rivederti Louis.
Niall assiste alla scena un po’ sconcertato. Anche Andrej non ha capito quello che sta succedendo.
Prima che possa dire qualsiasi cosa Louis mi prende per un braccio e mi trascina lontano dagli altri.
-          Devo parlarti -  si giustifica.
-          Ti ascolto – gli dico senza però perdere di vista Niall.
Il dottore prende un respiro profondo.
-          Il tuo soldato è in pericolo. Tu sai come salvarlo. Andrej mi ha detto che è irlandese. Tu devi dimostrarlo!
-          Come? – chiedo sentendo il panico crescere dentro di me.
-          Lo sai Helen. Io non posso dirti niente. Devo andare.
E detto questo sparisce lasciandomi a fissare il muro.
Mi avvicino a Niall in punta di piedi. Noto che lui mi sta guardando e sorride.
-          Devi andartene Helena – dice deciso.
-          Cosa? – il mio cuore si crepa.
-          Devi fare quello che ti ha chiesto il dottor Tomlinson. Non puoi stare qui. Ci rivedremo presto.
Delle mani mi staccano da lui. Mi trascinano via.
-          Niall! – urlo.
Tutti ci fissano. Devo dire qualcosa, ma non voglio che gli altri capiscono.
-          You saved my life – dico sorridendo.
Lui ricambia il mio sorriso.
-          Yeah, you too. 


SAAAAALVE.
per prima cosa grazie mille per
le DICIANNOVE recensioni.
Vi amo, letteralmente.
Questo capitolo mi ha davvero scaldato il cuore,
che ne pensate??
Cooomunque, se avete voglia di chiacchierare un po'
cercatemi su twitter: @camilla_morrone
A presto!

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


-          Lasciatemi! – urlo divincolandomi mentre due energumeni mi trascinano fuori dal palazzo di giustizia.
Ma le mie braccia troppo magre rimangono intrappolate in quella presa d’acciaio.
Quando finalmente mi lasciano cadere a terra come un sacco di patate noto che anche mio fratello ci ha seguiti. Ha uno sguardo così serio che per un istante mi ricorda nostro padre.
-          Andrej – urlo rialzandomi – devi aiutarmi! Devo tornare da Niall.
I suoi occhi impassibili mi fanno rabbrividire.
-          ho dato io l’ordine di trascinarti fuori – le sue parole suonano incomprensibili.
-          Cosa? – balbetto – ma… perché?
Non capisco. Perché mio fratello dovrebbe volere che io stia lontana dall’uomo che amo?
-          Helen. Calmati ora. Niall ha poche speranze di farcela, praticamente nessuna. Non voglio che tu lo guardi morire.
-          Ma il dottor Tomlinson ha detto… - inizio disperata.
-          So cos’ha detto Louis – mi interrompe lui secco – dipende tutto da te. Comunque qui non servi a niente.
Sento le lacrime premere per uscire. Mio fratello infila una mano in tasca e mi porge una busta bianca la porge.
-          È da parte del tuo soldato.
Fisso la lettera allibita. È la lettera di addio di Niall.
-          Da quanto tempo sapeva che non c’erano speranze? – chiedo ormai senza voce.
-          Da ieri sera – mi risponde Andrej.
Il mio cuore si ferma. Per tutta la notte Niall sapeva che non ci saremmo più rivisti.
Faccio un passo verso mio fratello.
-          Fammi tornare dentro – ordino.
-          No.
Comincio a battere i pugni sul petto ampio di Andrej che non s smuove di un millimetro.
-          Va a casa Helena! va via o dovrò arrestarti per molestie ad un pubblico ufficiale – sibila lui allontanandomi.
Arretro spaventata da quel tono duro. Mi infilo la lettera in tasca e correndo alla cieca riesco a ritrovare quella che per tutta la vita ho chiamato casa.
La luce è accesa. Salgo i pochi gradini all’ingresso e noto che la porta della famiglia di Piotr è stata scardinata. Mi si forma un groppo in gola al pensiero degli ultimi istanti del mio amico.
La porta dell’appartamento si apre cigolando e per un attimo io e la donna che è apparsa rimaniamo a fissarci, immobili.
-          Dori! – urlo alla fine saltandole al collo.
L’anziana signora mi stringe fino a togliermi il respiro. Sento che sta piangendo.
-          Andrej mi aveva detto che eri ancora viva ma non sapevo se crederci. Oh piccola mia – singhiozza senza ritegno.
Mi trascina dentro e mi mette davanti un piatto di zuppa.
-          Tuo fratello ha detto di non ingozzarti – mi avverte lei.
Per un istante dimentico tutto e mi concentro sul cibo. Dori mi riempie di domande a cui non mi da il tempo di rispondere.
Appena poso il cucchiaio mi afferra per una manica mi trascina nel vecchio studio di papà, dove ha riempito un tinello di legno con dell’acqua calda.
-          Hai bisogno di un bel bagno – mi dice e imperiosamente mi leva l’uniforme da infermiera che mi hanno dato.
La busta bianca cade a terra e rimango immobile a fissarla. Non ho il coraggio di raccoglierla. Dori, intuendo tutto, la prende e l’appoggia alla scrivania ancora carica di libri letti a metà.
-          La leggerai quando ti sentirai pronta – consiglia maternamente.
Mi infilo nell’acqua bollente e mi lascio sommergere. Dori mi lava pazientemente strofinando quattro anni di sporcizia accumulata.
Quando arriva al mio braccio sinistro guarda perplessa la seria di numeri neri e inizia a strofinare.
-          Strofina quanto vuoi Dori, non andrà via. Sono marchiata a vita.
La mia levatrice mi rivolge uno sguardo triste. Mi porge una pezza con cui asciugarmi e se ne va.
-          Ti lascio sola – mi dice.
Chiudo gli occhi e inspiro forte l’odore di pelle e libri. Con mani tremanti prendo la lettera di Niall e la apro.
Helena.
Quando mi hanno detto che non uscirò più da qui il mio primo pensiero è stato che non ti rivedrò mai più. Mentre scrivo questa lettera tu stai dormendo accanto a me. Voglio che tu sappia che comunque vadano le cose averti conosciuta è stata la cosa più bella che mi sia capitata in tutta la vita. Forse l’unica cosa bella.
Ti amo Helena, non dimenticarlo mai. E so che mi ami anche tu. Per questo voglio chiederti un ultimo favore. Devi andare avanti con la tua vita. Devi innamorarti e sposarti. Avere tanti bambini belli come te. Devi essere felice, perché te lo meriti.
Vivi per me, Helena.
Ti amo, Niall.

Cado in ginocchio e abbraccio l’unica cosa che mi lega alla metà del mio cuore. Resto a singhiozzare finchè Dori non viene a prendermi. Mi mette a letto e mi promette che andrà tutto bene.
Mi addormento e sogno il mio inferno personale.
La Sua voce mi fa rabbrividire. Faccio un passo in avanti e alzo il mento.
-          Scusa se ti ho fatto aspettare così a lungo. Stavo cercando di ottenere questa – continua pacato.
Agita una busta marrone. La sventola lentamente mentre i suoi occhi sono si staccano da me.
-          Sai cos’è? – il suo tono è irreale. Troppo calmo.
-          No – rispondo secca.
-          È la tua scheda. Ne abbiamo una per ogni soldato del nostro esercito.
-          Non sono un soldato – gli faccio notare.
Mi sveglio di soprassalto. Io non sono un soldato, ma Niall si! La sua scheda personale, c’è sicuramente scritta tutta la sua storia.
Salto in pedi e corro fuori.
-          Dove vai? – urla Dori.
-          So come salvare Niall – urlo con il cuore che trabocca di speranza.  

Ecco il nuovo capitolo,
scusate se vi ho fatti aspettare!
Spero vi piaccia,
temo che il prossimo sarà l'ultimo!
Grazie per le VENTIDUE recensioni, siete un amore!
Vi voglio un bene dell'anima!
 

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Mio fratello sbatte la cartellina sul tavolo con così tanta forza da farmi indietreggiare.
-          Helen! Come hai fatto ad avere questi documenti? Sono riservati! – ringhia rosso in viso.
Scrollo le spalle sempre tenendomi a distanza di sicurezza da lui. Non è stato difficile entrare nella vecchia caserma e fingere di essere una vedova di guerra che voleva vedere per l’ultima volta la foto del marito.
-          Non è importante Andrej. L’importante è che ora possiamo dimostrare che Niall è innocente – spiego con un sorriso candido.
-          Il fatto che sia irlandese non lo scagiona! – strilla mio fratello allargando le braccia.
Louis ridacchia, comodamente affondato in una poltrona logora. Sia io che mio fratello ci giriamo a guardarlo stupiti e furiosi allo stesso tempo.
-          Scusate – dice sfogliando le pagine dell’oggetto della nostra discussione – ma Helen ha ragione. Questa è la nostra salvezza.
Mi porge un foglio un po’ stropicciato di cui non capisco niente. Andrej me lo strappa dalle mani e legge avidamente.
-          Non ci credo – esclama basito.
-          Te l’avevo detto – sogghigna Louis facendo spallucce.
Aspetto paziente che rendano anche me partecipe della conversazione, battendo il piede contro il pavimento consumato.
-          Il tuo soldatino era un infiltrato del governo inglese. Qui ci sono tutti i suoi spostamenti. Avevano intenzione di farlo fuori, per questo gli hanno dato tutti quei gradi – spiega Louis alla fine.
Rimango spiazzata. Salto al collo di mio fratello, che ricambia l’abbraccio, sorpreso.
-          Posso vederlo? – gli sussurro all’orecchio.
-          Vai – mi dice con un sorriso tenero.

***

I sotterranei del palazzo di giustizia sono bui e freddi. Avanzo in punta di piedi tra le celle quasi vuote. Niall è seduto su una brandina e guarda per terra, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Non indossa più la sua uniforme, solo una maglietta bianca e dei calzoncini grigi. Mi schiarisco la voce per annunciare la mia presenza. Si volta di scatto.
La guardia che mi accompagna apre la cella e se ne va senza dire una parola. Entro e mi fermo davanti a lui, trattenendo a stento il sorriso.
-          Helena – mi dice. Il suo tono triste mi fa rabbrividire.
-          Ho trovato il modo di salvarti – la voce mi trema, il cuore rischia di esplodermi nel petto.
Lui continua a fissarmi a lungo senza dire una parola. Capisco che qualcosa non va.
-          Devi andartene Helena. Il tuo posto non è qui.
Le parole che dice fanno più male della fame, della paura di morire, della paura di perderlo.
-          Perché? – singhiozzo.
-          Perché io non sono l’uomo giusto per te. Non sono neanche più un uomo. Vattene, non ti voglio vedere.

Mi da le spalle, fissando la parete grigia davanti a sé.
-          Cosa… cosa stai dicendo? Cosa vuol dire che non sei l’uomo per me? – balbetto dandogli dei pugni furiosi alla schiena. Mi aggrappo alle sue braccia muscolose, cercando di trattenere le lacrime. Non posso andarmene così, non posso lasciarlo di nuovo.
Lui si volta e mi fulmina con lo sguardo, afferrandomi con forza il polso, tanto da farmi male.
-          Guardami – ringhia, la voce distorta dalla rabbia e dal dolore.
Si strappa la maglietta con un gesto fluido e lo sguardo da pazzo. Arretro spaventata. Enormi cicatrici gli attraversano il petto e le braccia. Come ho fatto a non notarle prima?
-          Sono marchiato a vita Helena. Le stronzate di cui parlavamo alla sera passeggiando lungo la Vistola non si avvereranno mai. Sono solo stronzate. Non esiste la felicità, non per noi, non è mai esistita.
Le mani mi tremano, questa volta per la rabbia.
-          Non sei il solo Niall, non sei il solo ad aver sofferto – balbetto tremante ma decisa.

Tiro su la manica della mia divisa da infermiera e i suoi occhi si incollano alle cifre nere che contrastano con la mia pelle diafana.
Faccio un passo verso di lui. Sembro minuscola vicino a lui, che mi sovrasta con la sua altezza.
-          Se davvero pensi che siano solo stronzate, bene, addio. La tua sentenza è questo pomeriggio. Ti aspetterò al Ponte dei Suicidi, ti aspetterò anche tutta la notte se necessario e se non verrai… capirò.

Gli do le spalle e me ne vado piangendo piano mentre le labbra mi bruciano per il bacio d’addio che non gli ho dato.

Quando arrivo al Ponte dei Suicidi il sole splende alto nel cielo mi appoggio al parapetto vicino alla statua di San Pietro e guardo l’acqua che scroscia sotto si me.
Se mi volto a guardare il ponte vedo una famiglia che passeggia allegra, i bambini che corrono davanti ai genitori che si tengono teneramente per mano. Sento una fitta di nostalgia per la mia famiglia e mi rendo conto di non aver mai pensato a cosa fare nel caso Niall non arrivasse. Sono sola. Non mi è rimasto più niente. La città distrutta si srotola davanti a me, mentre la Vistola luccica sotto il sole alto accecandomi.
Canticchio a bassa voce una vecchia canzone popolare che parla dell’ultima volta che una donna ha visto il suo amore, senza sapere che non avrebbe più avuto l’occasione di dirgli addio.

Se potessi vederti per l'ultima volta
ti chiederei se ti ricordi ancora
di quella volta che abbiamo litigato
e poi abbiamo fatto pace.

Chiudo gli occhi e faccio scorrere la statua del santo sotto le mie dita. Sento la pietra ruvida graffiarmi la pelle e le lacrime salirmi agli occhi, un’emozione improvvisa riempirmi il petto.

Ti chiederei se pensi ancora alle nostre giornate
e se il tuo ultimo pensiero prima di dormire
sono io.
Vorrei poterti dire che tu sei ancora il mio.

Afferro forte il parapetto e mi isso sul bordo. Le mani mi tremano, il vento mi sferza il viso. Non ho idea di quello che sto facendo, so solo che voglio che tutto questo dolore smetta.

Se fosse davvero l'ultima volta,
ti abbraccerei forte, perchè mi manca il tuo profumo
e ti direi che ti voglio bene,
e che mi mancherai.
E che spero di mancarti anche io.

Una lacrima mi scorre lungo la guancia, andando a mischiarsi e a perdersi nell’acqua che scorre veloce sotto di me.

Se avessi saputo che non ci sarebbe stata nessun' ultima volta
ti avrei stretto più forte.

Ritorno a guardare l’acqua scura, aprendo all’improvviso gli occhi. Nessuno mi dice di non sporgermi troppo o mi chiede di scendere, a nessuno importa. Ricaccio indietro le lacrime e lascio la presa sulla statua. Le mie gambe tremano alla ricerca di un equilibrio. Il mio cuore fa un balzo.

Chiudo gli occhi e sento una mano stringermi il polso con forza. Sobbalzo e mi aggrappo alla statua del santo per non cadere.

Mi giro di scatto e mi ritrovo tra le braccia del mio soldato.
-          Niall! – urlo affondando il viso nella sua divisa – lo sapevo… sapevo che saresti venuto – balbetto.
Strofino il naso contro il suo collo, inspirando forte il suo profumo di pulito.
Lui mi stringe così tanto da sollevarmi e mi fa fare una giravolta.
-          Non potevo lasciarti di nuovo, non potevo – sussurra lui – sono libero ora.
Mentre le prime lacrime bagnano la sua divisa non riesco a smettere di stringerlo, come se avessi paura che potesse scomparire da un momento all’altro.

-          Ti amo Niall – dico, e so che al mondo non c’è altra verità.
-          Sposami – risponde lui senza imbarazzo.
Alzo lo sguardo su di lui.
-          Adesso – aggiunge – oggi stesso, qui. Ma sappi che poi sarà per sempre, perché non ti lascerò mai più.
Annuisco. E lo bacio forte.
-          È un si? – chiede sorridendo sulle mie labbra.
-          Si. Sempre, da sempre.
 
 
EPILOGO
Ora, in una foto rovinata e un po’ sbiadita Helen guarda Niall, che sorride felice all’obbiettivo, fiero nella sua divisa militare. I loro sguardi sorridenti rimarranno impressi per sempre in quella foto del loro matrimonio.
Hanno avuto una lunga vita, insieme. Nella verde campagna irlandese Niall ha avuto il suo pezzo di terra da coltivare ed Helen ha potuto sposare un uomo che amava.
Niall c’è sempre stato per cullare Helen quando lei si svegliava dai suoi incubi. Insieme hanno raccontato la loro storia ai nipoti.
Ma questo, dopotutto, non è un finale felice. Hanno dovuto dire addio a tanti amici nel loro lungo viaggio ed Helen ogni tanto si chiede ancora se Harry è riuscito a rivedere il suo amore, così come lei ha ritrovato il suo.
Ma questa, è un’altra storia.



SPAZIO SCRITTRICE
Sono in lacrime, lo giuro.
Non ci credo che è l'ultimo.
Vi amo, davvero, grazie per essere stati con me.
Vi adoro. 
Spero di ritrovare le vostre recensioni. 
Se volete sapere come finirà con Harry
leggete la mia FF "solo finchè non finisce la guerra 
Cami.

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