Royalty of Spades

di Yuki Delleran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred (America), nominati: Francis (Francia)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
Beta:  MystOfTheStars
Word count: 1170 (fdp)




Prologo



C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni.

Da sempre il ruolo della Regina di Picche era stato quello di amministrare il regno e trattare con le potenze straniere sostenendo il Re e donandogli la sua forza. Arthur discendeva dalla stirpe reale e quando era stato riconosciuto come erede della carica certo non si sarebbe aspettato di dover fare tutto da solo. Il problema che si era presentato durante quella generazione era l’assenza del Re. Il titolo non veniva passato di padre in figlio come eredità di famiglia, ma a ricoprirlo di volta in volta era un prescelto la cui idoneità si manifestava tramite la comparsa del simbolo del regno su una parte del corpo al raggiungimento della maggiore età. Inoltre, quando il Re e la Regina s’incontravano, il riconoscimento tra loro era istantaneo poiché i loro poteri erano complementari. Arthur era a conoscenza di tutto questo, così come sapeva che il potere della Regina poteva esistere solo in funzione del Re e che mai era capitato che questo equilibrio si spezzasse. Quello che non riusciva a comprendere era perché il suo Re non si trovasse da nessuna parte. Dalla sua ascesa al trono in poi le ricerche erano state continue ma infruttuose, nonostante questo non poteva rassegnarsi a governare in solitudine e accettare semplicemente che per quella generazione non ci sarebbe stato nessun Re di Picche. Inoltre, dal confinante Regno di Fiori, giungevano sempre più spesso pressanti richieste di “diventare tutt’uno con loro”, che altro non erano se non velate minacce d’invasione armata, e Arthur non poteva fare nulla con il suo potere incompleto.
Meno minacciose ma altrettanto inquietanti erano le notizie provenienti dall’alleato Regno di Quadri. Il sovrano, Francis Bonnefoy, persisteva nell’inviargli strani messaggi in cui parlava di un tipo diverso di unione, sostenendo che una Regina non potesse stare senza un Re, che lui potesse offrirgli la sua protezione nonostante avesse già una consorte e che di certo il suo regno ne avrebbe tratto vantaggio. Arthur era incerto se attribuire quell’interesse maggiormente al suo regno o alla sua persona, vista la dubbia fama dell’individuo in questione, ma in ogni caso era giunto al limite della sopportazione sia per le frequenti visite a palazzo, sia per il solo saperlo appena oltre i confini.
Quella situazione non poteva perdurare, per la sua sicurezza e per quella dell’intero regno era assolutamente necessario rintracciare il Re di Picche. Se davvero non si trovava all’interno della casta nobiliare, allora avrebbe fatto estendere le ricerche sull’intero territorio: il suo Re era là fuori da qualche parte e Arthur era più che mai determinato a rintracciarlo.
L’organizzazione delle varie spedizioni aveva richiesto più tempo del previsto poiché era stabilito che pattugliassero tutte le terre entro i confini di Picche. Ulteriori difficoltà si erano aggiunte per il fatto che la Regina stessa avesse deciso di prendervi parte: era molto raro che i regnanti abbandonassero le loro residenze per motivi diversi da incontri diplomatici o guerre, di certo non accadeva mai per motivi personali. Nonostante questo Arthur fu irremovibile, la sua presenza sarebbe stata fondamentale.
Era ancora dello stesso parere, anche se decisamente più demoralizzato, quando, alcuni mesi dopo, rientrò a palazzo dopo aver battuto palmo a palmo l’intero territorio insieme alle squadre di ricerca. In lui aveva iniziato a farsi strada la convinzione che non avrebbe mai avuto nessuno al suo fianco e che fosse condannato a governare in solitudine per il restante tempo che gli era concesso.
Proprio il tempo era il fattore principale su cui si basava il potere dei regnanti di Picche, in grado, a seconda delle occasioni, di manipolarlo a loro piacimento. Non per nulla il simbolo della casata reale era un orologio e sia il Re che la Regina lo portavano costantemente addosso, suscitando l’invidia, il timore e la brama di possesso dei Paesi confinanti.
Quello che i nemici non sapevano, che non avrebbero mai dovuto sapere, era che il suddetto potere era vincolato alla presenza di entrambi i reali e, principalmente, agiva in maniera reciproca. Nello specifico, una Regina senza un Re verso cui convogliare la propria energia, era poco più di un comune essere umano.
Proprio a questo stava pensando Arthur mentre sorseggiava il suo tè in giardino durante una delle rare pause dal lavoro che si concedeva. Molto probabilmente lui non avrebbe mai saputo cosa si provava a condividere la propria energia con la persona che viveva al suo fianco.
Aveva appena posato la tazza sul piattino quando un improvviso fruscio attirò la sua attenzione verso una macchia di cespugli poco lontano. Non era raro che un coniglio o un cerbiatto sbucasse da quelle parti mentre vagava per l’ampio parco che circondava il palazzo, ma rimase piuttosto allibito quando si vide spuntare davanti un ragazzo, anzi un giovane uomo, dall’aspetto malridotto e coperto di stracci. Il primo impulso fu quello di chiamare le guardie, era intollerabile che lasciassero intrufolare in quel modo gente sicuramente malintenzionata, ma lo sguardo sperduto dello sconosciuto lo indusse a bloccarsi. Provava una strana sensazione alla bocca dello stomaco, una sorta di commozione, un’improvvisa nostalgia che lo attanagliava nonostante fosse certo di non aver mai visto quella persona. Si trovò quindi ad alzarsi e ad avvicinarsi.
«Stai bene? » chiese circospetto.
Certo, sapeva difendersi, ma la prudenza non era mai troppa.
Il ragazzo alzò su di lui due occhi di un azzurro incredibile e totalmente smarriti, che gli fecero balzare il cuore nel petto.
«Questo è il giardino di una residenza nobile? » chiese titubante. «Non vorrai farmi arrestare, spero. Non volevo fare niente di male. »
Ad Arthur bastava guardarlo per sapere che stava dicendo la verità, ne aveva la certezza assoluta, anche se totalmente irrazionale.
«Non lo farò. Chi sei? Come sei finito qui? » chiese fissandolo con sguardo indagatore e tentando di trovare una spiegazione logica alle sue sensazioni.
Lo sconosciuto lo fissava a sua volta, assottigliando lo sguardo come se non riuscisse a mettere a fuoco la sua figura.
«Mi chiamo Alfred. Ero uno schiavo del Regno di Fiori, ma sono nato in quello di Picche, la mia famiglia faceva parte dei tanti prigionieri di guerra. » spiegò. «Sono scappato per tornare a vivere nella mia terra. Penso che la libertà sia un diritto di tutti. A proposito, che posto è questo? »
Mentre parlava quello che restava della logora camicia che indossava gli era scivolato da una spalla, svelando una voglia dalla forma inconfondibile. Arthur ebbe un tuffo al cuore che gli tolse il fiato e gli rese difficoltoso rispondere.
«Questo è il palazzo e io… sono la Regina. Benvenuto a casa… mio Re. »

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred (America), nominati: Yao (Cina), Ivan (Russia), Elizaveta (Ungheria)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
Beta:  MystOfTheStars
Word count: 2174 (fdp)



Capitolo 1



L’incontro con Alfred fu per Arthur l’esperienza più sconvolgente che avesse mai vissuto, ancora più di quando era stato riconosciuto come Regina. Non avrebbe saputo spiegare il motivo ma sentiva un’affinità istintiva con quella persona e un altrettanto bizzarro desiderio di prendersene cura. Molto probabilmente quella reazione faceva parte del suo potere che si manifestava alla presenza del Re e non poteva essere che un’ulteriore conferma dell’identità del nuovo venuto. Allo stesso modo anche Alfred sembrava shockato dalla notizia e si guardava attorno come per accertarsi che tutto quello che stava succedendo fosse vero.
Mancava solo un’ultima verifica per essere davvero certo che quello che aveva di fronte fosse il nuovo sovrano, ma Arthur non se la sentiva per niente di compiere un esperimento del genere in un posto sotto gli occhi di tutti, dove avrebbe potuto giungere una guardia o un servitore da un momento all’altro. Per questo motivo fece cenno all’altro di seguirlo e lo condusse verso un gazebo appartato, in un angolo del giardino, al limite del bosco che copriva buona parte della superficie del parco. Solo quando fu certo di essere al riparo da sguardi indiscreti, tornò a rivolgersi verso Alfred.
Questi lo aveva seguito in silenzio, con aria perplessa.
«Che succede? » lo sentì chiedere. «Perché mi hai portato in un posto isolato? E cos’è questa storia del Re? »
«Fa’ silenzio e concentrati. » lo ammonì Arthur. «Scommetto che lo senti anche tu, non puoi non sentirlo. »
Gli prese le mani tra le proprie e solo quel semplice contatto fu sufficiente a trasmettergli un brivido, reazione che lesse chiaramente anche negli occhi di Alfred. D’accordo, mancava solo un passo, poteva farcela. Era impossibile che si stesse traendo in inganno, quel legame era tangibile, lo sentivano entrambi.
Si avvicinò ulteriormente, alzandosi appena sulle punte dei piedi, e posò le labbra sulle sue.
Improvvisamente una scarica elettrica attraversò l’intero corpo di Arthur facendolo tremare e, sotto le dita che stringevano ancora le mani di Alfred, poté avvertire chiaramente in lui la stessa reazione. Ben presto, senza che nessuno dei due ne avesse piena coscienza o intenzione, il semplice sfiorarsi di labbra si trasformò in qualcosa di più appassionato: Arthur sentì un braccio di Alfred cingergli la vita e una mano posarsi sulla sua nuca invitandolo a reclinare un poco il capo all’indietro. La pressione sulle sue labbra si fece maggiore e Arthur non tardò a rispondere dischiudendole, assecondando quell’improvviso e del tutto inaspettato scoppio di passione. Era una sensazione incredibile, sentiva l’intero corpo percorso da un euforico pizzicorio, come se quella che aveva sempre conosciuto come “energia” si stesse rimescolando e plasmando in una nuova forma, riversandosi dalle sue cellule, dal suo intero organismo, a quello che aveva di fronte ed adattandosi ad esso. Quando si staccarono, entrambi senza fiato, Arthur non poteva credere a quanto appena successo. Alzando gli occhi su Alfred, lo scoprì a sua volta incredulo, soprattutto per i repentini cambiamenti avvenuti sul suo corpo. Le numerose escoriazioni precedentemente presenti erano notevolmente ridotte e rimarginate, la postura si era fatta più ferma e sicura e persino le guance avevano perso il precedente pallore in favore di un più sano colorito rosato.
«Ehi! Non mi sono mai sentito meglio! » esclamò stupito. «Non sento più dolore, non sono più stanco e non ho nemmeno freddo! Anzi, sento caldo. Alla spalla. »
Fissò Arthur dritto negli occhi.
«E sento te, la tua forza che mi sostiene… o qualcosa del genere. Era questo che intendevi? »
Arthur sentiva le guance in fiamme e non solo per il mescolarsi delle energie di cui era appena stato autore, ma anche per il gesto intimo mai compiuto prima del quale stava diventando via via più consapevole.
«Questo è il compito della Regina. » rispose sollevando una mano per sfiorargli la spalla. «E questo è il simbolo del Re che ha reagito al mio potere. È tutto vero, sei il nuovo sovrano di Picche. »
Arthur si sentiva emozionato e impaziente allo stesso tempo: c’erano un sacco di cose da fare, avrebbe dovuto presentare Alfred alla corte, organizzare una cerimonia d’incoronazione, fare in modo che facesse il suo ingresso in società senza che venissero alla luce le sue origini di fuggiasco, insegnargli i fondamenti del buon governo, ma, prima di tutto, doveva fare in modo che si facesse un buon bagno.
Storse leggermente il naso, ma poi gli venne da ridere: non sarebbe più stato solo!
«Vieni. » disse incoraggiante, prendendo Alfred per mano. «Ti mostro la tua stanza, la nostra stanza. E poi avrai fame. Ti faccio preparare anche un bagno caldo. »
Sì, ci sarebbe stato tanto da fare, avrebbe dovuto farsi aiutare da Yao, il suo jack, ma la contropartita sarebbe valsa lo sforzo.

Con addosso gli abiti adatti al suo nuovo rango Alfred era una gioia per gli occhi. Arthur aveva commissionato per lui un lungo soprabito blu decorato con i simboli del regno, da portare abbinato ad un completo dello stesso colore, e doveva ammettere che in giacca e cravatta era dannatamente elegante. Inoltre per la cerimonia d’incoronazione era stato realizzato un sontuoso mantello bordato di pelliccia che gli donava davvero un aspetto regale. A completare il tutto Arthur aveva richiesto anche un paio di occhiali che potessero correggere l’evidente miopia del giovane e si era goduto l’espressione di gioia di Alfred nel riscoprire un mondo dai contorni ben definiti.
Gli era bastato davvero poco per iniziare ad adorare il suo carattere spontaneo ed esuberante, averlo vicino lo faceva sentire felice e per Arthur era una novità tale che ancora non sapeva come rapportarsi ad un sentimento del genere. Aveva l’impressione di vivere in una specie di sogno dove tutti gli affanni e le preoccupazioni pesavano la metà perché c’era qualcuno al suo fianco che lo aiutava e lo sosteneva.
Dal canto suo, Alfred si era adattato straordinariamente in fretta alla nuova vita, nonostante l’ovvio spaesamento iniziale. Aveva delle idee molto interessanti e, nonostante faticasse a piegarsi all’etichetta di corte, Arthur era certo che sarebbe stato un ottimo sovrano.
La cerimonia d’incoronazione avvenne nella sua forma più solenne, alla presenza dei rappresentanti dei regni alleati, solo dal Regno di Fiori non venne inviato nessun ambasciatore e, sebbene questo fosse un campanello d’allarme per la situazione politica, a livello personale entrambi i sovrani tirarono un sospiro di sollievo.
Al culmine della cerimonia, tra il fiato sospeso di tutti gli spettatori in attesa, che non aspettavano che quel momento, fu Arthur stesso, in quanto maggiore autorità del Regno di Picche, a porre sul capo di Alfred la corona del Re. Prima che si rialzasse dalla posizione inginocchiata che aveva assunto al suo cospetto, gli posò un bacio sulla fronte quale suggello della loro unione. La serenità che vide nei suoi occhi nel momento in cui gli prese la mano e lo guidò al suo fianco, fu per Arthur il migliore dei regali: ora poteva finalmente dire che la sua vita era completa e, se anche il futuro che li attendeva non fosse stato dei più rosei, l’avrebbero affrontato insieme.

«Quindi adesso è come se fossimo sposati? »
La domanda posta da Alfred appena varcata la soglia della camera da letto, lasciò per un attimo Arthur senza parole.
«Beh… ehm… in un certo senso. » rispose la Regina arrossendo. «Puoi  considerarmi il tuo compagno, se vuoi. »
Per tutta risposta l’espressione di Alfred si aprì in un sorriso luminoso e lo abbracciò stretto, causandogli un tuffo al cuore.
«Ehi! Non è così… speciale. » protestò, anche se pensava che non esistesse niente di più straordinario al mondo. «Quello del Re è un lavoro faticoso e avrai accanto una Regina brontolona…»
«Sì che lo è, invece! » lo contraddisse Alfred. «È specialissimo, perché questa fantastica Regina ha scelto proprio me, che ero solo uno schiavo in fuga, e mi ha voluto al suo fianco. Se potrò fare qualcosa per aiutare la gente di questo regno è solo merito tuo, Arthur, ed oltre a questo tu sei la prima persona che dice di avere bisogno di me. »
In quei giorni avevano avuto poco tempo per stare a tu per tu e Arthur ancora non sapeva cosa esattamente avesse passato il giovane prima di arrivare a palazzo. Immaginava che non fosse semplice parlarne, e se da un lato avevano tutta la vita a disposizione se avessero voluto farlo, dall’altro un po’ temeva di scoprire un passato al confronto col quale non sarebbe stato all’altezza. In ogni caso permaneva in lui un po’ di curiosità.
«Beh, credo che il discorso valga un po’ per entrambi. » disse Arthur, crogiolandosi suo malgrado in quell’abbraccio. «Finché ero solo non servivo a nessuno, questo regno non sapeva che farsene di me. »
Alfred sorrise e, senza nessun preavviso, lo sollevò tra le braccia strappandogli uno strillo sorpreso.
«Che fai?! »
«Porto a letto la mia sposa! » fu l’allegra risposta mentre lo depositava sulle coperte morbide.
Arthur arrossì fino alle orecchie pensando ad ogni scenario possibile, ma Alfred si limitò a sdraiarsi accanto a lui così com’era, con ancora l’abito da cerimonia addosso. Gli circondò le spalle con un braccio e gli posò un bacio leggero sui capelli.
«Forse ti sembrerà sciocco, ma tutto questo mi sembra un sogno. » iniziò, provocando nell’altro un brivido per la similitudine del loro pensiero. «La mia famiglia è stata catturata dai soldati di Fiori durante l’ultima guerra. Io ero solo un bambino e sono cresciuto conoscendo unicamente la realtà della schiavitù. Ci hanno separati molto presto, non so che fine abbiano fatto i miei. Io sono stato assegnato a palazzo e…»
S’interruppe e Arthur si chiese se non fosse troppo doloroso parlarne.
«Non devi raccontarmelo, se non vuoi. Non ha importanza. » disse posandogli una mano sul braccio in gesto di conforto.
«No, è giusto che tu lo sappia. » rispose Alfred con espressione triste. «Mi hai aperto la tua casa, mi hai accolto al tuo fianco, il minimo che possa fare è raccontarti da dove vengo ed essere onesto con te, anche se dopo mi disprezzerai. »
«Non potrei mai…! » esclamò Arthur, interrotto però da un sospiro dell’altro.
«Sono stato assegnato a palazzo e ben presto Re Ivan mi ha reclamato per sé. Ero solo un ragazzino, non potevo immaginare…»
«Sei diventato un suo servitore? » chiese Arthur ingenuamente.
«No, non esattamente…» mormorò Alfred socchiudendo gli occhi e stringendo le palpebre come se non volesse vedere. «Lui ha stabilito che ero suo, in tutti i sensi, e…»
Arthur sgranò gli occhi shockato, improvvisamente consapevole di cosa intendesse il compagno.
«Ma… Re Ivan ha una consorte. » tentò di ribattere debolmente.
«Quel matrimonio è solo una pura formalità. La Regina Elizaveta non ama quell’uomo, anzi si dice che abbia una relazione con il suo jack o addirittura con un jocker, ma sono solo voci. Io ho conosciuto solo una ragazza infelice. Quanto a me…»
Alfred teneva lo sguardo fisso sulla parete di fronte, come se quella che stava raccontando non fosse la sua storia.
«Non ero altro che un mero giocattolo su cui sfogare i suoi più bassi istinti. Ha abusato di me diverse volte prima che mi ribellassi. A volte mi picchiava. È per questo che alla fine sono scappato.»
Arthur tremava tra le sue braccia, chiedendosi come potesse parlare di tali orrori con un tono tanto tranquillo. Gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a voltarsi nella sua direzione.
«Alfred. Alfred, guardami. Tutto questo è orribile e giuro sulla corona che porto che Ivan la pagherà. Orrori del genere non devono più accadere. »
Per tutta risposta il giovane si abbandonò ad una risata nervosa.
«La tua corona sta bene dove sta, credimi. Non metterla in gioco per qualcuno da cui, immagino, ora non vorrai nemmeno più farti sfiorare. »
Fece per allontanarsi, ma Arthur lo trattenne con uno strattone molto meno gentile del gesto precedente.
«Ascoltami bene! » esclamò con tutta la serietà di cui era capace. «Tu sei il mio Re, io sono la tua Regina. I torti fatti a te sono torti fatti al regno, non qualcosa su cui soprassedere. E anche se così non fosse, se si trattasse solo di Alfred e non del Re di Picche, non lo potrei perdonare ugualmente. Riguardo al resto…»
Qui la sua voce s’incrinò leggermente e le gote si arrossarono un poco, mentre il suo sguardo faticava a sostenere quello cristallino dell’altro.
«Io sono la tua Regina, te l’ho detto. Ti appartengo, voglio appartenerti. Il come e il quando non hanno importanza. »
Non gli diede il tempo di ribattere in alcun modo, semplicemente gli prese il volto tra le mani e lo baciò, lo baciò con tutto il trasporto di cui si sentiva capace, lasciando che le loro energie si mescolassero come quel giorno in giardino.
«Mi sono spiegato?! » sbottò dopo che ebbero entrambi ripreso fiato.
Certo, si sentiva in imbarazzo, ma in quel momento le sue paranoie erano l’ultima cosa di cui occuparsi. Voleva che Alfred lo vedesse convinto delle sue decisioni e dei suoi sentimenti, che quello che era stato in passato non scalfiva minimamente quello che era diventato.
«Forte e chiaro. » rispose Alfred, a sua volta rosso in volto ma sorridente. «Anzi, se ti sembra che non abbia capito puoi anche rispiegarmelo! »
Arthur distolse lo sguardo brontolando uno: «Scemo…» ma rimanendo comunque appoggiato a lui.
Per ora andava bene anche passare la notte così.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred (America), citati:Francis (Francia), Kiku (Giappone), Yao (Cina), Ivan (Russia)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
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Word count: 2929 (fdp)



Capitolo 2


Il primo lavoro di cui occuparsi al mattino, Arthur lo aveva imparato a sue spese da anni, era smistare la corrispondenza. Non sarebbe stato divertente ricevere le rimostranze di un nobile o addirittura di un altro sovrano perché la sua missiva era stata dimenticata tra una tazza di tè e un bacio del buongiorno. Aveva tentato di insegnarlo anche ad Alfred, ma il suo Re la mattina aveva una scarsa propensione per il lavoro, preferendo dedicarsi alle coccole o a programmare i momenti liberi della giornata.
Quel giorno, tuttavia, il suo sguardo era focalizzato su una busta con l’emblema di Quadri abbandonata sul tavolo accanto alla tazza di Arthur. La Regina stava finendo la propria colazione ignorando palesemente la missiva, ma sul volto di Alfred permaneva un’espressone imbronciata.
«Hai intenzione di tenermi il muso ancora per molto? » brontolò Arthur ad un certo punto.
Anche lui mal sopportava le lettere di Francis, ma non vedeva motivo per un tale comportamento.
«Almeno fin quando quel damerino profumato del Re di Quadri non capirà che hai un consorte e non la smetterà di mandarti lettere d’amore camuffate da accordi politici. » ribatté Alfred, cocciuto.
Era quasi tenero, grande e grosso com’era, con le guance gonfie come un bambino arrabbiato, e Arthur dovette sforzarsi di non sorridere per non rischiare di offenderlo.
«Se parli in questo modo mi fai sorgere il dubbio che tu sia geloso. » si limitò a commentare con un sorrisetto serafico.
«Non sono affatto geloso, che sciocchezza! » fu la prevedibile risposta. «Non ne ho motivo! »
Arthur rimase in silenzio a fissarlo per alcuni istanti, scrutandolo con i suoi profondi occhi verdi, finché Alfred non arrossì, incrociò le braccia e gli voltò le spalle.
«Certo che sono geloso, dannazione! Quello vuole portarsi a letto la mia Regina! »
A questo punto gli fu impossibile mantenere un’espressione seria e Arthur scoppiò inevitabilmente a ridere, suscitando il disappunto del Re.
«Smettila di ridere! Accidenti, Arthur, è una cosa seria! »
«Va bene, va bene, mi dispiace. »
Prese fiato e si asciugò una lacrima birichina.
«In ogni caso non ti devi preoccupare, non ho nessun interesse a sperimentare nuovi generi di alleanze. Vogliamo vedere cosa scrive? Se ti va, potrai rispondergli tu. »
Arthur stava ancora ridacchiando quando dispiegò davanti a sé il foglio coperto della calligrafia fine ed elegante di Francis. Il sorriso, però, gli morì sulle labbra non appena identificò il reale contenuto della missiva.
“Pressione ai confini”, “invasione”, “dichiarazione di guerra”…
Arthur sbiancò al punto da far preoccupare Alfred e farlo accorrere al suo fianco.
«Che succede? »
«Re Francis richiede un incontro immediato. Le truppe del Regno di Fiori hanno violato i suoi confini e si apprestano a varcare anche i nostri. Un’invasione non autorizzata equivale ad una dichiarazione di guerra. »
Arthur lasciò ricadere il foglio sul tavolo, accanto alla tazza ormai dimenticata: non pensava che si sarebbe giunti a questo punto. Era vero, c’erano stati degli screzi e delle scaramucce tra soldati, ma una guerra vera e propria era un’altra cosa. Il regno aveva da poco ritrovato la sua stabilità con il nuovo Re, non era pronto ad affrontare una situazione del genere. Lui non era pronto. Durante l’ultima guerra, quella nel corso della quale la famiglia di Alfred era stata catturata, era stato solo un ragazzino, figlio di nobili di basso rango, ma ricordava perfettamente l’ansia e lo smarrimento dei suoi genitori davanti al reclutamento forzato. Non poteva permettere che accadesse di nuovo una cosa del genere. Inoltre colui che li stava attaccando era lo stesso che aveva fatto del male ad Alfred e la sola idea che il suo Re si scontrasse con lui gli provocava dolorose fitte di panico.
«Arthur! Arthur, ehi, stai tranquillo! » esclamò Alfred circondandogli le spalle con un braccio. «Non è ancora successo niente, è solo un incontro, forse esiste il modo di evitare il peggio. »
La Regina scosse la testa, a disagio: quella era un’ipotesi troppo ottimistica, era praticamente impossibile che si realizzasse, e in ogni caso il Regno di Quadri era loro alleato, quindi avevano il dovere di scendere in battaglia al fianco di Francis.
«Lasciami almeno provare. » continuò Alfred. «Parlerò con Francis, magari è ancora possibile salvare il salvabile. Anche se ho una gran voglia di prendere a calci Ivan, non per questo permetterò che il tuo regno venga messo in pericolo. »
La mano che si posò sopra quella del Re si era fatta notevolmente più fredda rispetto a pochi minuti prima.
«Questo regno è tuo quanto mio quindi non devi chiedermi nulla. Puoi agire come più ritieni opportuno. »
Ovviamente Alfred aveva partecipato ad altri incontri diplomatici ed Arthur gli aveva insegnato a cavarsela in ogni situazione mettendo in risalto quanto fossero buone le sue idee. Non era quello che temeva, e nemmeno il fatto che le Regine non fossero invitate a presenziare al meeting. No, il suo timore era che la situazione stesse sfuggendo di mano a tutti troppo velocemente e che lui stesso non avesse la più pallida idea di come porvi rimedio.
Ne ebbe la dolorosa conferma alcuni giorni dopo. Alfred era partito per il luogo dell’incontro, situato al confine con il Regno di Quadri, e Arthur era rimasto a palazzo ad occuparsi di tutte le altre questioni di governo. Erano stati giorni silenziosi e carichi d’ansia, che gli avevano mostrato chiaramente l’impossibilità di ritornare alla sua precedente condizione di solitudine. Si era abituato così tanto all’allegra presenza di Alfred da non poterne più fare a meno, e non solo perché avere una persona accanto riempiva le sue giornate, ma anche perché l’iniziale attrazione, suscitata solo dal loro reciproco potere, era definitivamente sbocciata in un sentimento tanto forte da non poter essere più negato. L’idea di poter perdere Alfred lo atterriva. Ad ogni squillo di tromba, ad ogni brusio sospetto, ad ogni movimento anomalo, Arthur abbandonava le carte su cui stava lavorando e correva alla finestra per controllare se il suo Re era di ritorno, e a fine giornata si rinchiudeva in camera sperando che un libro potesse fargli compagnia o concigliargli il sonno, ma finendo per rimanere sveglio per buona parte della notte.
Fu proprio durante una di queste notti, in cui aveva addirittura rispolverato il vecchio hobby del ricamo per passare il tempo in assenza di sonno, che uno dei domestici bussò discretamente alla porta.
«Mia Regina, mi duole disturbarvi, ma Sua Altezza il Re è tornato. »
Arthur non se lo fece ripetere due volte, si alzò di scatto abbandonando il lavoro sulle lenzuola ancora intatte nonostante l’ora tarda e si vestì di tutto punto, curandosi anche di indossare il fiocco bianco al collo, che completava il suo abbigliamento ufficiale.
Non si precipitò nell’atrio principale del palazzo strillando come una ragazzina e gettandosi tra le braccia del suo Re come un perverso istinto gli suggeriva di fare, ma attese quietamente nella sua stanza, in piedi di fronte agli ampi finestroni, finché non fu lui a raggiungerlo.
«Uffa, Arthie, pensavo che mi saresti corso incontro piangendo e invece sei qui che guardi il soffitto!» si lagnò Alfred entrando. «Come sei freddo. »
Arthur gli lanciò uno sguardo di sottecchi, alzando un sopracciglio.
«Bentornato. E non sono affatto freddo, ho solo un briciolo di dignità in più dell’ultima delle cameriere. »
Alfred glissò completamente sull’acidità del commento e gli circondò la vita con le braccia, stringendolo a sé.
«Sono felice di essere a casa. » gli mormorò all’orecchio. «Ti sono mancato? »
Arthur arrossì e distolse lo sguardo.
«Figurati. Sono abituato a stare da solo. »
«Sarà, però eri ancora sveglio a ricamare a quest’ora di notte. » sghignazzò Alfred additando il lavoro abbandonato sul letto. «Senza di me al tuo fianco non riesci a dormire? »
Scostò le ciocche bionde birichine che gli sfioravano il collo e vi posò un bacio malizioso.
«Oh, ma che sciocchezza… Non è affatto vero…»
La protesta però suonò talmente flebile e poco convinta da venire completamente ignorata. Le mani di Alfred scivolarono lungo il suo corpo, sulle spalle, sul petto, sui fianchi, risalendo poi a sciogliere il fiocco che portava al collo.
Qui Arthur lo fermò.
«Smettila, Al, dai. Voglio sapere com’è andato l’incontro. È molto più importante della mia insonnia e delle tue voglie. »
«Ma sono tornato in fretta e furia solo per vederti il prima possibile. Mi sei mancato e poi ho la testa piena di pensieri, ho bisogno di un po’ di pausa per essere più lucido. All’incontro mi sono comportato da perfetto sovrano, non mi merito nemmeno un bacio di bentornato? »
Davanti a quelle pretese bambinesche Arthur sospirò e gli prese il volto tra le mani.
«Va bene, ma solo uno. »
Nell’ultimo periodo aveva capito meglio come funzionava il suo potere: non si trattava affatto di una fonte inesauribile di energia, come aveva pensato all’inizio, ma attingeva direttamente alla sua forza per sostenere il Re. Ogni volta che accettava lo scambio si faceva carico della sua stanchezza e dei suoi eventuali malesseri, e lo aveva accettato volentieri perché significava che poteva essere concretamente d’aiuto e di supporto al suo Re.
Anche quella volta, quando le sue labbra si unirono a quelle di Alfred, poté sentire le energie fluire da un corpo all’altro e un profondo languore simile alla spossatezza impossessarsi di lui. Per contro Alfred sembrava molto meno provato.
«Grazie! » esclamò continuando a tenerlo abbracciato. «Però non esagerare, o finirai per stancarti troppo. A volte puoi anche baciarmi in modo normale, apprezzo ugualmente! »
«Oh, smettila di tergiversare. Adesso parlami dell’incontro. Sei riuscito a convincere Francis? Le truppe del Regno di Fiori si sono ritirate? »
Per tutta risposta, Alfred lo prese in braccio e lo portò a letto come aveva fatto la sera dell’incoronazione, si sdraiò accanto a lui e lo tenne stretto.
«Mi dispiace. » mormorò tra i suoi capelli, e quelle semplici parole bastarono a mandare in pezzi le sue speranze.
Per il resto della nottata Alfred riferì parola per parola quello che si era deciso alla riunione con i rappresentanti del Regno di Quadri. La situazione era ormai troppo compromessa per sperare di evitare il conflitto, le truppe di Fiori avevano attaccato apertamente alcuni villaggi al confine di Quadri e, quasi per ripicca, questi avevano bloccato una carovana diretta al Regno di Cuori. A far precipitare le cose era stata la scoperta che su di essa viaggiava nientemeno che la Regina di Cuori, considerata ora ostaggio politico. A questo punto era praticamente certo che Re Ludwig si sarebbe schierato al fianco di Ivan.
Alfred aveva fatto il possibile per promuovere la neutralità del Regno di Picche, ma era impensabile che funzionasse. In quanto alleati del Regno di Quadri era loro dovere affiancarli.
Arthur ascoltò in silenzio, con espressione sempre più angosciata.
«Spero che Kiku stia bene. » disse ad un certo punto alludendo alla Regina di Cuori.
«Credo di sì. » rispose Alfred rassicurante. «Lo conosci? »
«Sì, eravamo amici… prima che le alleanze tra regni decidessero diversamente. È un parente di Yao, anche se non so dirti di che grado. »
Alfred annuì.
«Quindi andrai in battaglia. » mormorò la Regina a voce bassa.
«Già. Ti prometto che farò del mio meglio per proteggere te e tutto il nostro regno. »
«Preoccupati piuttosto di proteggere te stesso, io e il regno ce la caveremo. »
Arthur non chiuse occhio per il resto della notte, rimanendo sdraiato accanto ad Alfred, che poco dopo si era assopito. Restò con gli occhi spalancati, fissi sul soffitto del baldacchino, ad ascoltarlo respirare contro la sua spalla. Il senso di oppressione lo attanagliava e nella sua mente scorrevano le immagini dei peggiori scenari possibili: una guerra portava morte e distruzione, avrebbero potuto uscirne in ginocchio. Avrebbero potuto non uscirne affatto. La giovane vita che riposava tra le sue braccia avrebbe potuto essere spezzata con una facilità impressionante e il solo pensiero lo atterriva, non tanto perché il regno avrebbe perso la sua guida, ma perché lui, Arthur, avrebbe perso il suo compagno di vita. Gli si sarebbe spezzato il cuore e sarebbe morto a sua volta, ne era certo.
Quando l’alba sorse, carica dei suoi sentimenti di ansiosa attesa, aveva ormai preso la sua decisione.

Dal mattino successivo al rientro del Re, i preparativi proseguirono instancabili per le settimane a seguire. C’era un esercito da armare, non era cosa da poco, e il primo distaccamento da organizzare in tutto e per tutto in modo che fosse pronto da inviare al fronte il prima possibile.
Arthur coordinò tutte le operazioni in prima persona, con un’efficienza che nessuno si sarebbe mai aspettato da una persona più incline allo studio che alle armi. Vennero commissionate armature, divise, spade e balestre, ogni scorta di cibo venne suddivisa e razionata, compresa quella del palazzo. Arthur non voleva che la sua gente pagasse mentre lui viveva nel lusso, era direttamente coinvolto quanto loro quindi era giusto che facesse la sua parte. Se fosse dipeso da lui, sarebbe sceso in battaglia a sua volta, ma Alfred non aveva voluto sentire ragioni: all’inizio aveva tentato di blandirlo affermando che si preoccupava per la sua incolumità ma, successivamente, data la cocciutaggine della Regina, aveva dovuto fare appello al suo senso del dovere facendogli notare che se fossero partiti entrambi non sarebbe rimasto nessuno ad occuparsi dell’amministrazione del regno.
«Ho bisogno di sapere che c’è qualcuno che aspetta il mio ritorno. » aveva detto, e quelle parole avevano fatto definitivamente capitolare Arthur.
Quest’ultimo, pur di non pensare all’imminente separazione e ai pericoli a cui andavano incontro, si era buttato anima e corpo nell’organizzazione e s’impegnava talmente tanto che la sera crollava addormentato, esausto per la stanchezza. Inoltre stava tentando di non coinvolgere troppo Alfred, in modo che risparmiasse le forze e che, allentando il loro legame poco a poco, il distacco non risultasse troppo doloroso per entrambi. Era un ragionamento contorto, ne era consapevole, ma non aveva mai dovuto affrontare nulla di simile prima d’ora e non sapeva come muoversi per non ferire né Alfred né sé stesso.
Tutta la sua teoria finì in pezzi quando giunse la vigilia della partenza. Quel giorno Alfred sembrava non volergli dare tregua e lui non aveva più la forza di allontanarlo. Cielo, non gli importava nulla di soffrire dopo, voleva abbracciarlo, voleva stringerlo e sentirsi suo! Fu con questo spirito quindi, che congedò gli ultimi generali che gli avevano confermato l’effettiva partenza per l’indomani. Alla sola idea sentiva un nodo doloroso che gli stringeva lo stomaco e diventava una sofferenza anche solo posare lo sguardo sul consorte.
«Sei stato piuttosto sbrigativo, eh? » lo prese in giro Alfred una volta rimasti soli nella loro stanza.
«Ne avevo abbastanza, sono settimane che non faccio altro che parlare con i generali. Ora voglio del tempo da passare con il mio Re. » fu la risposta.
Alfred ridacchiò, buttandola sullo scherzo per tentare di allentare la tensione.
«Certo che sei lunatico! Non hai fatto che evitarmi per giorni! »
Ma non riuscì a proseguire su quella linea perché Arthur lo abbracciò con uno slancio quasi disperato e s’impossessò delle sue labbra: un attacco a tradimento che lasciò Alfred basito, quasi quanto l’ondata di energia che sentì attraversare il suo corpo.
«Art… Arthur! Che stai facendo?! » esclamò allontanandolo. «Smettila! »
«Ma avrai bisogno di essere in forze per affrontare la battaglia! »
«Sto bene, non ho bisogno di queste cose. » rispose Alfred in tono più calmo. «Te l’ho già detto, non voglio che esageri, non è necessario. »
«Ma…»
Arthur lo fissò con espressione desolata: quella notte avrebbe voluto imprimere su di sé il calore del corpo di Alfred, quella vicinanza spirituale ancora prima che fisica, ma probabilmente aveva fatto la mossa sbagliata.
«Ascolta bene, zuccone. » continuò Alfred tenendolo stretto. «Non voglio che ti faccia del male, capito? Santo cielo, io ti amo. Non pensavo potesse succedere davvero, invece è accaduto ed è straordinario. Non m’importa niente dello scambio delle energie e del ruolo di Re e Regina, voglio abbracciarti, voglio baciarti e voglio stare con te, ma non come se fosse l’ultima volta, sotto la minaccia di una guerra! Non dev’essere ora o mai più! »
Arthur rimase ad ascoltarlo in silenzio, sentendo il nodo in gola stringersi sempre di più e battendo le ciglia per tentare invano di trattenere le lacrime. Si era sempre vergognato di manifestare i propri sentimenti e il proprio desiderio verso Alfred, ma la naturalezza con cui l’altro si era dichiarato lo aveva commosso al punto da impedirgli di rispondere in qualunque modo articolato. Per questo riuscì solo ad affondare il volto nel suo petto, celando gli occhi umidi.
Alfred lo tenne stretto a sé, accarezzandogli piano la schiena.
«Ehi, Arthie. Dai, non fare così, andrà tutto bene, vedrai. »
Arthur annuì, conscio che quelle non erano altro che parole prive di fondamento, ma che in quel momento aveva bisogno di crederci.
«Sarò sempre con te, il mio potere me lo permette. » disse. «Se ti ferirai, ti aiuterò a guarire. Certo, dovrai fare comunque attenzione, ma in questo modo anch’io potrò dare il mio contributo. »
Alfred asciugò le piccole lacrime che gli inumidivano le ciglia.
«Se questo ti fa stare più tranquillo, allora va bene, però promettimi che non farai colpi di testa. Anzi, non ne avrai bisogno, perché li sbaraglieremo tutti e poi, finalmente, nel tuo regno tornerà la pace! »
Le mani di Alfred indugiarono sulle sue spalle, sciogliendo il fiocco che aveva al collo.
«E quando tornerò voglio che mi prepari una torta! Sarò affamato e voglio assaggiare qualcosa di cucinato da te! »
Arthur sorrise suo malgrado, mentre gli toglieva il proprio nastro dalle mani e glielo legava attorno a un polso.
«Torte, biscotti, ti preparerò tutto quello che vuoi! Basta che poi non ti lamenti della scelta! »
Prese un respiro e abbassò gli occhi.
«Al… stai attento. »
«E tu non esagerare, promettimelo. »
Parole sentite tanto tempo prima tornarono in quel momento alla mente di Arthur, che si trovò a pronunciarle come un’oscura profezia.
«A te il mio amore, a me il tuo dolore. Questo è il giuramento della Regina. »

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred (America), Yao (Cina)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
Beta: MystOfTheStars
Word count: 2191 (fdp)



Capitolo 3


Il dolore era giunto all’improvviso e del tutto inaspettato. Arthur si trovava nella biblioteca del palazzo, in piedi di fronte allo scaffale, intento a riporre un libro, quando il suo braccio destro era stato percorso da una scia infuocata. Il volume era precipitato a terra e la Regina aveva stretto il braccio al petto con un gemito.
«Alfred…» ansimò, fissando la mano sana e aspettandosi quasi di vederla coperta di sangue.
Nulla invece macchiava il prezioso velluto blu della sua giacca e quella sofferenza altro non era che il frutto del suo potere. Grazie alla connessione che aveva stabilito con il Re, poteva sentire quando veniva ferito e fare in modo che il suo recupero fosse più rapido.
Tentando di riflettere lucidamente nonostante le lacrime che gli pungevano gli angoli degli occhi, stabilì che quella non doveva essere una ferita particolarmente grave, ma era anche vero che quello era il braccio che reggeva la spada e non poterlo utilizzare in battaglia era molto pericoloso. Con mano tremante recuperò dalla tasca il proprio orologio, quello che gli era stato consegnato al momento dell’incoronazione, e constatò che segnava ancora le prime ore. Era molto probabile che anche quello di Alfred fosse nelle stesse condizioni, altrimenti se ne sarebbe reso conto.
Quella coppia di orologi, come Arthur aveva spiegato ad Alfred poco prima che venisse incoronato, non segnavano l’ora del giorno ma rappresentavano il loro ciclo vitale. Le prime ore segnate dalle lancette erano indice della loro attuale giovinezza e sarebbero man mano trascorse con il passare degli anni. L’utilizzo del loro potere, però, accelerava questo processo. Finora non era successo nulla perché nessuno dei due aveva messo in atto il proprio reale potenziale, ma in presenza di un conflitto tutto era possibile. Al di là dello scambio di energie, il potere di manipolare il tempo, proprio dei sovrani di Picche, era tra i più temuti: opposte e complementari, le due forze congiunte avrebbero potuto scatenare il caos. La fonte del potere curativo della Regina era in realtà la facoltà di riportare indietro il tempo, mentre quella della forza ad alto potenziale distruttivo del Re era la capacità di accelerarlo. Solo desiderandolo, colui che governava il Regno di Picche, poteva veder sbocciare un fiore davanti ai suoi occhi e pochi secondi dopo assistere al suo appassire. Che si trattasse di una semplice pianta o di una vita umana non faceva differenza.
Arthur aveva impiegato tutta la delicatezza possibile per spiegare questo concetto ad Alfred e gli aveva raccomandato di non usare mai un potere tanto devastante: a prescindere dalle motivazioni, la vita di ogni creatura andava sempre rispettata.
Le sue erano state belle parole, pronunciate in un momento di pace. Ora, egoisticamente, si augurava che usasse ogni mezzo per proteggere sé stesso se la situazione si fosse fatta disperata. Per il momento non lo era, ma lui non era un medico, quindi non poteva dirlo con tutta certezza: tutto quello che poteva fare era concentrarsi per inviare al suo Re più energia possibile ed aiutarne la guarigione. Si sedette quindi su una delle poltrone della biblioteca, intrecciando le mani in grembo e chiudendo gli occhi. Attuare il procedimento di riportare indietro il tempo su un soggetto a distanza richiedeva molto impegno e attenzione, poiché doveva riguardare solo la zona della ferita, un piccolo errore di calibrazione e si sarebbe trovato come consorte un bambino. Solo quando fu certo di essere riuscito nel suo intento, si azzardò a rilasciare la stretta delle dita e ad abbandonare la testa all’indietro.
A destarlo dal torpore che lo aveva avvolto fu una cameriera giunta a controllare perché le luci della biblioteca fossero ancora accese a quell’ora tarda, e fu la stessa ragazza ad accompagnarlo nella sua stanza.
Appena posata la testa sul cuscino, invece di piombare in un ristoratore sonno senza sogni, Arthur si sentì avvolgere da immagini angosciose. Si trovava sul campo di battaglia e lo scontro infuriava ancora nonostante fossero ormai calate le ombre della notte. Nel buio era impossibile distinguere amici e nemici e anche il cavallo su cui si trovava si muoveva con difficoltà. La lama della spada che impugnava era rossa e stillava gocce di sangue, ma il braccio che la reggeva era debole ed intorpidito. Ogni movimento gli costava uno sforzo sempre maggiore e anche il solo parare gli assalti dell’avversario era estenuante. Per contro il nemico sembrava instancabile e non metteva un attimo di incalzarlo, facendo di tutto per metterlo alle strette e tentare di disarmarlo. Era consapevole di non potersi arrendere per nessun motivo, ma l’avversario che aveva di fronte gli trasmetteva un innegabile senso di inquietudine che rallentava i suoi movimenti. Come in un’oscura visione fuori dal tempo, poteva percepire le sue mani su di sé, che colpivano, graffiavano, strappavano e il desiderio di chiedere una tregua si faceva disperatamente largo dentro di lui. Il colpo giunse all’improvviso, portando con sé un’ondata di dolore che s’irradiava dal petto in tutto il corpo.
Arthur si svegliò di soprassalto, balzando a sedere sul letto. Allontanò dalla fronte i ciuffi madidi di sudore mentre tentava di regolarizzare il respiro affannoso, ma la paura non si placò. Era successo qualcosa, ne era assolutamente certo: quel sogno doveva essere il frutto del suo legame con Alfred e se quella sorta di empatia aveva provocato quel genere di visioni significava che…
Non attese oltre e gettò via le coperte, afferrando il cordone che avrebbe fatto sopraggiungere un domestico. Nel giro di pochi minuti uno scarmigliato servitore si presentò alla porta con l’aria di essere appena stato buttato giù dal letto, ma Arthur non si fece il minimo scrupolo.
«Fai preparare immediatamente il cavallo più veloce che abbiamo e una scorta armata, parto per il fronte! » esclamò rivolto al poveretto che lo fissava stralunato. «No, non voglio una carrozza, dobbiamo muoverci velocemente. E no, non voglio aiuto per vestirmi, faccio da me. Sbrigati! »
Mentre quello schizzava via, Arthur si gettò addosso i primi vestiti che trovò: il dolore al petto non accennava a placarsi, segno che non si era trattato affatto di un sogno. Era successo qualcosa, qualcosa che aveva impedito ad Alfred di difendersi, procurandogli una ferita talmente seria da non poter essere curata a distanza. Ricordava distintamente il terrore provato e il disgusto di quelle mani che non riusciva a respingere. Non era una semplice scena di battaglia, c’era qualcosa…
Improvvisamente realizzò, mentre le dita tremanti incespicavano sui bottoni della camicia. Ivan! Alfred doveva essersi scontrato con Re Ivan, riportando alla luce il suo trauma, per questo non era riuscito ad affrontarlo a dovere e ora…
Arthur si gettò un mantello sulle spalle e si precipitò fuori, per la prima volta incurante del proprio aspetto trasandato. Il fronte distava almeno due giorni di viaggio, avrebbe spinto i cavalli al loro limite se fosse stato necessario, ma doveva essere sul posto il giorno successivo: il suo Re non poteva aspettare.

L’andirivieni fuori dalla tenda reale si faceva sempre più concitato, mentre all’interno regnava il silenzio assoluto. L’odore acre del sangue permeava ogni cosa e l’unica fonte di luce era costituita dalla fiamma tremula di una candela. Yao, Fante di Picche, sedeva in un angolo con la testa bassa: a dispetto del continuo cambio di guardie e medici, non aveva voluto allontanarsi dal capezzale del suo Re. La ferita che gli era stata inferta il giorno prima si era immediatamente rivelata grave e, con il passare delle ore, la situazione si era fatta disperata. Ormai per l’accampamento serpeggiava la voce che fosse solo questione di tempo, ma Yao non poteva credere che sarebbe finito tutto così. Lui era sempre stato al fianco della Regina fin dalla sua incoronazione e quando era finalmente stato trovato un Re aveva gioito per il risollevarsi del Paese. Sulle prime aveva dubitato delle capacità di Alfred, troppo esuberante, a suo dire, per essere alla guida di un regno. A convincerlo era stata la luce nuova negli occhi di Arthur: la Regina provava fiducia e affetto nei confronti del suo Re e quei sentimenti si erano rivelati ben riposti. Ora Yao non poteva accettare che fosse la fine: se il Re fosse morto, il regno sarebbe caduto. Arthur non sarebbe stato in grado di far fronte al conflitto, e non per mancanza di forza, bensì perché un colpo del genere lo avrebbe stroncato.
Colui che giaceva immobile in quella branda era la loro unica speranza.
La preghiera di un miracolo che Yao si apprestava a pronunciare venne interrotta sul nascere da un crescendo di volume del trambusto esterno. Mentre si chiedeva se il nemico avesse spezzato la tregua, un’esclamazione lo sbalordì.
«Altezza! Altezza, per favore, fermatevi! Sarete stanco per il viaggio, non…»
«Fate largo! »
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Perché Arthur si trovava lì? Com’era possibile? Il dispaccio spedito a palazzo avrebbe dovuto essere ancora in viaggio…
Immediatamente balzò in piedi e scostò la tenda d’ingresso giusto un istante prima che lo facesse la Regina stessa.
«Vostra Altezza. » mormorò inchinandosi, ma Arthur non lo degnò di uno sguardo, l’attenzione completamente concentrata sulla branda al centro della tenda.
Yao vide il suo volto impallidire mentre si avvicinava al capezzale del Re e posava una mano leggermente tremante sulle bende macchiate di sangue che ne fasciavano il petto.
«Com’è successo? » lo sentì chiedere in tono flebile.
Era una pena vedere la Regina in quello stato, ma non poteva esimersi dal rispondere.
«La battaglia di due notti fa, Maestà. Re Ivan guidava le truppe e Sua Altezza non ha potuto evitare il confronto. È stata una dura lotta…»
Arthur si portò le mani al petto, come se sentisse il medesimo dolore di Alfred, e annuì.
«Ho capito. Ti ringrazio di esserti preso cura di lui, Yao. » disse. «Ora va’ e non far entrare nessuno.»
Il Fante avrebbe voluto obiettare, offrire ancora il proprio aiuto, ma l’espressione di Arthur gli chiarì subito che sarebbe stato inutile, quindi s’inchinò e lasciò velocemente la tenda.
Una volta che fu rimasto solo, Arthur si concesse di crollare in ginocchio accanto al giaciglio dove Alfred era adagiato immobile e prenderne una mano tra le sue. Era fredda, troppo fredda, oppure erano le sue ad essere gelide e a tremare? Mentre prendeva un respiro stentato si rese conto che Alfred respirava a malapena. La ferita era davvero brutta e il sangue aveva superato la barriera delle bende imbrattando inesorabilmente le lenzuola. Poteva sentire la debolezza del suo corpo e sapeva che se non avesse agito tempestivamente sarebbe stato troppo tardi.
Si permise d’indugiare ancora solo un paio di minuti quando riconobbe il proprio nastro legato attorno al polso di Alfred. Da candido che era stato, ora era sporco di fango e di sangue, ma si trovava ancora là dove lui lo aveva annodato quella sera e questo lo riempì di commozione. Accanto al cuscino giaceva anche l’orologio di Alfred e Arthur si rese conto con sgomento che le lancette segnavano un’ora molto tarda: il tempo degli indugi era finito.
«Non ti permetterò di morire, scordatelo! » esclamò, sempre tenendo stretta quella mano fredda. «Ti devo una torta e una dichiarazione! Non mi piace avere dei debiti. »
Con la mano libera prese l’orologio del Re, dalla caratteristica forma a punta di picca, e si concentrò sulle lancette. Un vero incantesimo del tempo richiedeva un grande dispendio di energie, ma Arthur era disposto a qualunque sacrificio pur di riuscire a spostarle in senso contrario. Poteva sentire il potere fluire attraverso le sue dita al corpo di Alfred e all’orologio, e l’impressione generale era che l’aria stessa intorno a sé vibrasse, come sottoposta ad una torsione innaturale.
La prima fitta al petto giunse del tutto inaspettata, mozzandogli il respiro e rischiando di spezzare la sua concentrazione. Sul momento non capì a cosa fosse dovuta, ma alla successiva, mentre si piegava sofferente sul letto, vide la lancetta dell’orologio di Alfred scattare all’indietro. Contemporaneamente capì che, al contrario, il suo tempo stava accelerando. Ogni fitta di dolore corrispondeva ad uno scatto della sua lancetta e ad un consumarsi inesorabile della vita che gli rimaneva. Ne era consapevole ma non per questo intendeva desistere: non poteva accettare un mondo dove Alfred non esisteva ed era disposto ad annullare sé stesso per evitarlo.
«Devi vivere. Hai capito? Devi vivere! Ci sono ancora tante cose che devi fare. Il regno ha bisogno di te. Io ho bisogno di te! Quindi non pensarci nemmeno di piantarmi in asso! »
Ormai si rendeva conto che le gambe non riuscivano più a reggerlo e rinunciò all’idea, restando accasciato sul letto. Nonostante il suo intero corpo fosse scosso da tremiti di sofferenza, non abbandonò la mano che stringeva, unico mezzo che aveva per sentire che il suo incantesimo aveva effetto. Più il suo respiro si faceva affannoso, più sentiva quello di Alfred regolarizzarsi. Più i tremiti lo attraversavano, più sentiva la temperatura del Re che si normalizzava. Attraverso gli occhi verdi, ormai velati, poteva vedere il colorito roseo tornare su quelle guance tanto amate. Sotto le sue mani, il cuore aveva ripreso a battere regolarmente, il sangue scorreva fluido e della ferita non era rimasta traccia. Ce l’aveva fatta!
Con un ultimo sforzo, si sporse avanti per baciare le labbra di Alfred, appena dischiuse, ma a metà del gesto l’ultimo rintocco spezzò anche la sua volontà e Arthur crollò sul petto del suo Re, sprofondando nel buio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred Jones (America), Yao (Cina), Elizaveta (Ungheria), Francis Bonnefoy (Francia)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
C'è una microcitazione del "Signore degli Anelli" nella frase finale.
Beta: MystOfTheStars
Word count: 3096 (fdp)



Capitolo 4


La prima sensazione che Alfred provò dopo aver ripreso conoscenza, fu quella di un peso che gli gravava sul petto, impedendogli di respirare regolarmente. La sua mente era ancora confusa e ricordava vagamente quanto accaduto… quando? Un giorno prima? Due? Aveva perso la nozione del tempo.
Sollevò una mano per strofinarsi gli occhi e scoprì di riuscire a muoversi agevolmente. Solo quando la sua vista si fu schiarita, si azzardò ad abbassare lo sguardo.
«Arthur? » esclamò stupito, prima che sulle sue labbra si dipingesse un sorriso sollevato.
Non pensava che sarebbe riuscito a rivederlo, non dopo quella ferita che credeva mortale. Automaticamente si tastò il petto e scoprì di non provare più alcun dolore: sotto le bende la pelle era liscia e totalmente priva di abrasioni. Alla sorpresa si sostituì però l’inquietudine quando realizzò che il giovane riverso sopra di lui non rispondeva.
«Arthur! Ehi, Arthie, rispondimi! »
Quell’improvvisa guarigione insinuò in lui un orrendo sospetto, che lo portò ad afferrare il ragazzo per le spalle e a scuoterlo.
«Arthie! Per carità, non hai fatto qualche sciocchezza, vero? Vero?! »
Finalmente, dopo quella che gli era sembrata un’eternità, Arthur aprì a fatica gli occhi e gli rivolse un debole sorriso.
«Stai bene… Sono contento…» mormorò.
Per tutta risposta, Alfred si alzò da letto, prese tra le braccia la sua Regina e l’adagiò sul giaciglio sempre tenendola stretta. Non ricordava che Arthur fosse così leggero, la sua pelle così fredda al tocco.
«Cos’hai fatto? » lo incalzò, anche se ormai era una domanda retorica.
La mano di Arthur si sollevò a fatica e gli sfiorò la guancia.
«Il regno non può stare senza un Re. Io non potevo accettare di restare senza il mio Re. Va bene così. »
«No che non va bene! » protestò Alfred mentre sentiva le prime lacrime pungergli gli angoli degli occhi. «Hai usato un incantesimo del tempo? Dimmi cosa devo fare, riporterò le cose come prima! Non m’importa della ferita, me la caverò. Ma non posso accettare che tu…»
Arthur scosse la testa.
«Non è in tuo potere, non puoi fare niente… Questo è il destino della Regina. A te il mio amore, a me il tuo dolore, ricordi? »
Chiuse gli occhi con un sospiro tremulo e Alfred sentì il gelo dentro. Lo stava perdendo, lo sentiva scivolare tra le dita come sabbia e non poteva fare nulla per impedirlo. Era il Re di Picche, era investito di un potere immenso e non poteva fare nulla per salvare la persona che amava.
«Arthur…! » lo chiamò con voce spezzata.
Il giovane aprì gli occhi a fatica: il verde che Alfred aveva sempre adorato ora appariva appannato e spento.
«Al… promettimi che proteggerai il regno…»
«Ma che… Arthur! »
«Promettimelo! »
C’era una nota talmente accorata nella sua voce che Alfred non trovò più la forza di ribattere.
«Va bene, te lo prometto, ma tu…»
«Ora sono più tranquillo. Al… mi dispiace. Non avrei voluto lasciarti solo così presto. »
«Non dire stupidaggini! Tu non…» iniziò, ma Arthur gli posò un dito sulle labbra.
Lui era perfettamente consapevole della situazione, non aveva bisogno delle sue bugie pietose.
«Avrei voluto prepararti quella torta, sai? Ma probabilmente non ti sarebbe piaciuta… Non sono mai stato granché… in cucina…»
Un sorriso tirato distese le sue labbra e Alfred avrebbe voluto ridere, sapeva che avrebbe dovuto farlo, ma non ci riusciva, stava tremando.
«Non piangere, Al… io sono felice… di essere riuscito a salvare la persona che amo. Già… che buffo… non ero mai riuscito a dirtelo. Ti amo… ti amo, Al…»
E Alfred lo strinse e lo baciò e lo strinse ancora finché non lo sentì immobile e inerte tra le sue braccia.
In quel momento qualcosa dentro di lui si spezzò e un’onda di dolore, di disperazione e di rabbia lo travolse. La sentì salire dentro di sé, alimentata dalle lacrime versate e da quelle asciugate ancora prima di spuntare, dall’odio verso chi aveva provocato quella guerra che gli aveva portato via tutto, la sua infanzia, i suoi genitori, l’amore della sua vita, e dall’angoscia sempre più grande che non poteva accettare. Esplose in un lampo di luce bianca che inghiottì tutto, cancellando ogni strazio, ogni sofferenza, e annullando la sua stessa coscienza.

Riaprire gli occhi e sentirsi avvolgere dal malessere e dalla nausea fu per Alfred un tutt’uno. Si sentiva esausto, spossato e dolorante avendo solo una vaga idea del motivo. Quando il suo sguardo catturò un riflesso dorato nella penombra, subito balzò in piedi.
«Arthur! »
«Arthur è morto, come la maggior parte dei soldati. Per colpa tua. »
A quelle parole, pesanti come macigni, Alfred si sentì gelare. La figura di fronte a lui non era la sua amata Regina, ma Francis Bonnefoy, il Re di Quadri, e quello che gli stava dicendo era… totalmente assurdo.
«Co… sa…? » riuscì a balbettare.
«Sveglia, Alfred! Non ti rendi conto di quello che hai fatto?! » scattò Francis ignorando ogni possibile formalità ci fosse stata tra loro in passato. «È stata una strage! »
Alfred non poteva credere alle proprie orecchie: una strage? Come? Perché? E soprattutto: Arthur… morto? Non era possibile!
«Lui è venuto fin qui perché tu eri ferito! » continuò Francis fuori di sé. «L’hai ucciso tu! Non te lo potrò mai perdonare! Così come hai ucciso tutti quei ragazzi, indiscriminatamente! Non è stata una battaglia, ma un massacro e tu sei solo un assassino! »
Alfred era totalmente senza parole, sotto shock per quell’improvvisa e violenta aggressione, mentre i ricordi degli ultimi istanti prima di perdere i sensi tornavano gradualmente alla sua memoria.
Arthur.
Arthur gli aveva salvato la vita sacrificando la propria.
Arthur che lo aveva accolto al suo fianco e gli aveva dimostrato in ogni momento di avere bisogno di lui, dando un senso alla sua esistenza, non c’era più. Eppure ricordava così chiaramente le sue braccia che lo stringevano, le sue labbra che lo baciavano, poteva sentirne ancora il sapore. Non era possibile…
Prima che potesse fermarle, piccole lacrime presero a scivolare lungo le sue guance. Alfred fece appena in tempo a sollevare una mano per asciugarle, che Francis gli fu addosso, afferrandolo per il colletto della camicia.
«È inutile piangere, adesso! » sbottò con rabbia. «Avresti dovuto proteggerlo dal suo destino e invece ne sei stato l’artefice! Come puoi definirti un sovrano?!»
«Vostra Maestà, vi prego! »
Alfred spostò appena lo sguardo dal volto contratto di Francis, per vedere Yao entrare in tutta fretta nella tenda e tentare di allontanare il Re di Quadri.
«Il Re ha bisogno di riposo e anche voi. Per favore. Potrete parlare più tardi. »
Con grande sforzo il Fante di Picche riuscì a convincere l’altro sovrano ad andarsene e stava uscendo a sua volta quando Alfred lo richiamò.
«Dov’è Arthur? »
Yao tornò sui suoi passi e rimase in piedi, a capo chino, di fronte al letto su cui Alfred era ancora seduto .
«Abbiamo allestito una tenda in attesa di tornare a palazzo. » spiegò. «Per il momento ho vietato l’ingresso agli estranei. Sua Altezza il Re di Quadri ha insistito per occuparsene personalmente. »
Alfred annuì, totalmente incapace di fare qualunque tipo di commento.
«Yao, per favore, raccontami cos’è successo… dopo. »
«Altezza…»
«Ti prego. Ho bisogno di sapere se quello che dice Francis è vero. Ho… ucciso Arthur e fatto una strage? »
Di fronte a quella richiesta il Fante capitolò e si sedette accanto al letto, accingendosi a raccontare quello che sapeva.
Non aveva assistito all’intera scena perché, per sua fortuna, in quel momento si trovava piuttosto distante, ad occuparsi degli approvvigionamenti. Quello che aveva visto era stato un improvviso lampo di luce, non paragonabile a niente di conosciuto, che aveva avvolto l’accampamento, il campo di battaglia e i terreni circostanti. Quando era accorso a controllare, timoroso che si trattasse di qualche magia del nemico, davanti ai suoi occhi si era aperto uno scenario raccapricciante: i corpi dei soldati sembravano essersi consumati, prosciugati di ogni fluido vitale, rinsecchiti, come invecchiati di colpo. Tutto ciò che lo circondava, la terra stessa, sembrava senza vita. Con orrore si era reso conto che si trattava di un incantesimo del tempo sfuggito al controllo e, memore delle intenzioni di Arthur, si era precipitato alla tenda reale. Lì aveva trovato il sovrano illeso ma privo di sensi e la Regina senza vita.
Quando Yao tacque, il volto di Alfred era rigato di lacrime.
«Arthur… lui… ma ha salvato la vita sacrificando la sua e io… ho ucciso tutti. » mormorò. «Ha ragione Francis, sono un mostro…»
«Altezza, non eravate in voi. » tentò di mediare Yao, nonostante la sua voce tremasse.
«Mi aveva chiesto di proteggere il regno e invece io…»
«La guerra è finita. » lo interruppe il Fante. «Re Ivan e buona parte delle truppe di Fiori sono periti nell’incidente, così come parte di quelle di Quadri. Nessuno ha più le forze e la volontà di portare avanti uno scontro. »
«Re Ivan è morto? » si azzardò a chiedere Alfred, incredulo.
Yao annuì con aria grave.
«È stato sorpreso lungo la strada per il nostro accampamento con una delegazione di suoi uomini. Non sappiamo per quale motivo stesse venendo qui. »
Alfred sospirò e chiuse gli occhi, sforzandosi di recuperare il controllo. In passato una notizia del genere sarebbe stata accolta con esultanza, o così aveva sempre creduto, ora invece non faceva che aumentare il suo senso di smarrimento e di vuoto.

I giorni successivi non furono altro che un susseguirsi confuso di incontri, colloqui, discorsi e accordi di cui spesso Alfred ascoltava meno della metà. La sua mente faticava a concentrarsi, a focalizzarsi su qualcosa di diverso dall’assenza di Arthur accanto a lui. Se non fosse stato per Yao, costantemente al suo fianco, probabilmente nessuno dei negoziati sarebbe andato in porto.
L’ultima a presentarsi al suo cospetto fu la Regina Elizaveta del Regno di Fiori, venuta a patteggiare la resa delle sue truppe. Non fu una trattativa particolarmente complessa in quanto, come rappresentante del Paese che aveva dato il via alle ostilità, la sovrana non espose nessuna condizione, limitandosi ad accettare quelle che le venivano poste. Al termine della disquisizione, sorprendendo tutti, Alfred chiese di avere un colloquio privato con lei, che venne puntualmente accettato. Una volta rimasti soli nella sua tenda, Alfred smise i panni del Re di Picche e si rivolse alla ragazza che aveva conosciuto durante la prigionia senza l’appellativo che imponeva l’etichetta.
«Come stai, Eliza? »
Il suo tono era basso e spento, ma la giovane gli rivolse ugualmente un sorriso.
«Starò bene. Tra me e Ivan non c’è mai stato amore. Lui non aveva occhi che per te. »
Quelle parole inaspettate scossero Alfred dalla sua apatia. Non era certo di averne inteso il senso.
Elizaveta si accomodò su una delle sedie, sospirando, ed estrasse dalle pieghe della gonna un foglio di carta malconcio.
«Ivan non è mai stato in grado di esprimere i suoi sentimenti verso ciò che gli importava davvero. Io non rientravo nei suoi interessi, quindi potevo trascorrere una vita tranquilla, mentre tu… Beh, tu hai attirato la sua attenzione fin da subito. Ti adorava, ti voleva solo per sé. »
Alfred strinse i pugni.
«Non dire sciocchezze! Lui mi ha…»
«Lo so! So quello che ti ha fatto e non lo giustifico, non lo farei mai. Ma stava venendo qui per offrirti una proposta di pace. »
Elizaveta gli porse il foglio e Alfred non poté credere ai propri occhi quando lo lesse: non era solo un’offerta di cessare le ostilità, ma una lettera personale in cui Re Ivan tentava di rivelargli il contorto e malato affetto che provava nei suoi confronti.
«Il nostro si chiama Regno di Fiori, ma da noi un vero fiore è cosa più unica che rara. Il clima inclemente e le condizioni del territorio hanno portato la popolazione allo stremo, lo sai anche tu. » disse Elizaveta. «Non giustifico le azioni del mio consorte, ma la rivolta era alle porte, i negoziati non sarebbero serviti a nulla, un’invasione era l’ultima possibilità che ci rimaneva. »
Alfred accartocciò il foglio tra le mani: provava dolore, senso di colpa e pietà, pietà per colui che aveva odiato per anni e a causa del quale aveva perso Arthur. Detestava quel sentimento.
«Una guerra non è mai una possibilità! » sbottò alzando la voce. «Una guerra porta solo morte e distruzione! Porta sofferenza e lacrime e…»
La sua voce si spezzò, costringendolo ad interrompersi per recuperare il controllo.
«Non voglio sentire queste cose. Non ora. Farò tutto quello che posso per inviarvi aiuti, ma non parlarmi in questi termini. »
Elizaveta si alzò e s’inchinò al suo cospetto.
«Vi ringrazio per la vostra generosità, Altezza. » mormorò prima di voltarsi e accomiatarsi da lui.
Solo quando era già sulla porta, esitò un istante ed aggiunse: «Alfred… mi dispiace tanto per la tua Regina. »
Ma Alfred non trovò la forza di rispondere.

Le esequie della Regina di Picche si svolsero con una solenne cerimonia pubblica alla quale presero parte i rappresentanti di ogni regno, nessuno escluso. Tutti avevano ritenuto doveroso rendere omaggio alla persona la cui tragica scomparsa aveva indirettamente posto fine alle ostilità.
Alfred era distrutto: per lui era una sofferenza assistere alla processione di eleganti ed illustri sconosciuti che sfilavano davanti al feretro di cristallo in cui si trovava il corpo di Arthur. Avrebbe voluto cacciare via tutti, gridando che lui e solo lui aveva il diritto di stargli vicino, che loro non rappresentavano nulla per la sua Regina. Ma sapeva anche che al minimo passo falso chiunque avrebbe potuto accusarlo di esserne l’assassino, come già Francis aveva fatto: una colpa di cui era comunque consapevole e che nessun silenzio avrebbe potuto celare. Tutti si aspettavano che dicesse o facesse qualcosa di eclatante, qualcosa come rinunciare al trono o autocondannarsi ad un esilio forzato, poteva sentire i loro sguardi su di lui che non attendevano altro. Alfred invece rimase in dignitoso silenzio per tutto il protrarsi della cerimonia, lo sguardo fisso sul volto di Arthur. La sua espressione sembrava così serena, come se potesse vedere quello che sta accadendo attorno a lui e la cosa, in qualche modo, lo divertisse. Alfred invece doveva concentrare tutte le sue energie per non piangere: il pensiero che non avrebbe più sentito quelle mani che lo accarezzavano, quelle braccia che lo stringevano, quelle labbra che lo baciavano, lo stava lentamente annientando. Avrebbe dato qualunque cosa per vedere ancora i suoi occhi di smeraldo che fissavano lui e solo lui, per sentire un’ultima volta la sua risata, così rara e preziosa. Invece non poteva fare altro che accompagnarlo al suo luogo di riposo eterno.
L’ultima parte della cerimonia si svolse con la processione dalla cappella del palazzo ai sepolcri reali. Per tutto il tempo Alfred camminò rigido accanto al feretro, tra due schiere di armati recanti l’emblema del regno, insensibile all’aria fredda e al cielo scuro. Con quella minaccia di pioggia imminente sembrava che la terra stessa volesse piangere al scomparsa della Regina.
Quando la bara venne deposta nel suo ultimo luogo, il Re vi si inginocchiò dinnanzi, posando le labbra sul freddo cristallo che la ricopriva come se fossero state quelle del suo amato. Aveva un ultimo dono da consegnare e la luce azzurra che si sprigionò dalle sue mani lo rese noto a chiunque lo stesse osservando: un incantesimo del tempo che ne avrebbe bloccato lo scorrere in quel luogo, mantenendo inalterato il corpo della Regina.
«Sarai per sempre il mio Arthur…» mormorò con voce rotta contro la pietra gelida, prima di voltarsi e fronteggiare i rappresentanti, che attendevano solo una sua parola.
Poteva vedere le loro espressioni trepidanti nell’attesa, i loro sguardi bramosi nel silenzio ora carico di tensione.
«Io, Alfred Jones, Re di Picche, » declamò avanzando di un passo, ma sempre con una mano posata sulla bara. «giuro solennemente, sul nobile sacrificio della mia Regina, di proteggere questo regno per tutti i restanti giorni che mi saranno concessi. Questo era il suo desiderio e come tale è anche il mio. »
Con quella dichiarazione, caduta nel silenzio e nello stupore generale, la cerimonia si concluse e Alfred realizzò che in realtà non gli importava nulla di cosa potesse pensare tutta quella gente. Avrebbe seguito la volontà di Arthur con o senza la loro approvazione.
Quando finalmente il sepolcro si fu svuotato e tutte le personalità in visita furono rientrate nei loro alloggi, Alfred rientrò nella tomba e si sedette accanto ad Arthur, chiudendo gli occhi. Aveva fatto una dichiarazione coraggiosa ma ancora non sapeva dove avrebbe trovato la forza di mantenere il suo proposito. Senza Arthur sembrava un fardello immensamente pesante e l’idea di portarlo da solo lo spaventava.
«Ti prego, aiutami. » mormorò posando una mano sul cristallo, mentre un’ultima lacrima solitaria scivolava sulla sua guancia.
«Lo farà di certo, brontolando come il suo solito per darsi un tono e sorridendo di nascosto. »
Alfred aprì gli occhi e fece per balzare in piedi, ma Francis si avvicinò facendogli cenno di rimanere dov’era.
Con un mezzo sorriso tirato, il Re di Quadri si sedette accanto a lui, senza mostrare nessun intento aggressivo come durante il loro ultimo incontro.
«Come stai? »
Alfred asciugò velocemente quella lacrima solitaria e si concesse una confessione, l’unica pronunciata ad alta voce quel giorno.
«Sento che non starò bene mai più. »
Francis annuì, posandogli una mano leggera sulla spalla.
«Non posso dirti che passerà, sarebbe una menzogna. Il dolore resterà sempre lì, in un angolo del tuo cuore, ma imparerai a conviverci, è inevitabile. »
Il silenzio calò tra loro, mentre Alfred si chiedeva se Francis parlasse così per esperienza. Se aveva già perso qualcuno, come poteva accettare che accadesse di nuovo? Di colpo il suo comportamento gli apparve sotto una nuova luce, non più così crudele come lo aveva ritenuto in un primo momento.
«Francis…» iniziò, ma venne bruscamente interrotto.
«Lo amavo, sai? »
Sì, Alfred lo sapeva, anche se fino a quel momento aveva pensato che fosse un sentimento fittizio e di convenienza.
«Ho sempre voluto proteggerlo, ma lui non me lo permetteva. Era un testardo, convinto di poter fare tutto da solo, ed è stato così fino alla fine. Sono certo che ha scelto di salvarti perché non poteva immaginare un mondo senza di te. Quella è la forma d’amore più alta. »
Alfred dovette uno sforzo per concentrarsi sulle parole e non scoppiare miseramente in lacrime.
«Mi dispiace per come ti ho trattato in un momento in cui anche tu eri sconvolto. Quella di continuare a governare da solo è stata una scelta molto coraggiosa, il Regno di Quadri ti sosterrà sempre. »
Alfred era senza parole: non avrebbe mai creduto possibile una simile inversione di rotta. Era come se fosse stato Arthur stesso a renderla realizzabile.
«E poi, se non ti aiutassi, lui non starebbe tranquillo. » disse Francis confermando il suo pensiero. «Tutto questo passerà alla storia, me lo sento. Nessuno potrà scordarlo. »
E così fu.
La storia divenne leggenda, la leggenda divenne mito e per secoli il popolo si tramandò la vicenda della Regina che si sacrificò per amore e del Re che, in sua memoria, giurò di mantenere la pace tra i regni che lei tanto aveva desiderato.

END.

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