Everything will be okay in the end. If it’s not okay, it’s not the end

di Molly182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap 1 ***
Capitolo 2: *** Chap 2 ***
Capitolo 3: *** Chap 3 ***
Capitolo 4: *** Chap 4 ***
Capitolo 5: *** Chap 5 ***
Capitolo 6: *** Chap 6 ***



Capitolo 1
*** Chap 1 ***


Premessa
Allora, inizio col dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato che facevano piuttosto schifo, ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno solo schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo utilizzato come protagonista Tom DeLonge (Blink-182, Angels And Airwaves) e ho pensato: "Perché non farla su Ed, potrebbe uscire bene!" e quindi eccomi qui!
Spero che vi possa piacere.

 


Chap 1
Un nuovo viaggio, un nuovo volo, una nuova città e una nuova casa.
Queste erano le mie uniche necessità.
Non sono mai stata una persona che restava a lungo in un posto. Tendevo a scappare quando era più comodo, prima che i problemi prendessero il sopravvento, prima che le delusioni mi cogliessero.  Tendevo sempre a fuggire dalle difficoltà ma questa volta qualcosa sembrava essere cambiato.
La mia mente aveva iniziato a pensare in un modo totalmente diverso, sconosciuto a me stessa, e mi spaventava. Non ero in grado di gestire questo cambiamento, anche se da una parte ero curiosa di cosa sarebbe potuto capitare.
A volte bisognava soltanto prendere coraggio e affrontare i rischi che s’incontravano lungo il proprio percorso.
Io volevo farlo!
Su quel volo diretto per Londra mi ero promessa che sarei diventata una persona migliore, non sarei scappata e avrei vissuto al meglio la mia vita, anche se questo avrebbe comportato a un radicale cambiamento.
Socializzare non era facile, o almeno non con le persone espansive, come quelle che sembrano avere l’argento vivo addosso, che continuano a parlare o che ti fanno mille domande. Sono sempre stata una ragazza un po’ riservata, non mi fidavo subito delle persone e quando questo accadeva, donavo solo un decino di me.
“Signori e signore benvenuti a Londra - Gatwick dove sono le ore 10.20 del mattino. Il nostro atterraggio è avvenuto con dieci minuti in anticipo, v’invitiamo a ricordarlo nel caso in cui la prossima volta dovessimo essere in ritardo. Le condizioni atmosferiche esterne presentano un cielo stranamente sereno, con temperatura di 21°. In attesa di ulteriori informazioni vi preghiamo di rimanere seduti con le cinture di sicurezza allacciate finché i portelloni non saranno aperti! Grazie di aver scelto di volare con noi e non con altre compagnie”, disse il comandante di volo con ilarità.
Percorsi il lungo corridoio che portava al ritiro bagagli e attesi che il nastro trasportatore iniziasse a funzionare. Se l’aereo era stato in anticipo, le valigie di sicuro non lo erano, infatti, impiegarono una vita prima che arrivassero.
Se dopo cinque minuti non le vedevo, tendevo a farmi i complessi su come avrei fatto a sopravvivere senza i miei effetti personali e iniziavo a chiedermi in quale Stato del mondo fosse finita.
Per fortuna poco dopo la vidi. Non poteva passare inosservata.  Si trattava di una valigia arancione, l’avrei vista anche a mille metri di distanza su una strana offuscata. Era un pugno nell’occhio, però me l’aveva regalata mia madre prima che iniziassi a viaggiare, voleva essere sicura che l’avrei sempre ritrovata e, in effetti, aveva ragione.
La valigia si stava avvicinando, pian piano, lungo il nastro. Ormai non dovevo temere che fosse stata smarrita in Alaska o in Madagascar.
Qualcosa però andò storto. Un ragazzo si era piazzato davanti a me e si era preso la mia valigia e se ne stava andando incurante.
“Ehi!”, gli dissi afferrando per un braccio il ragazzo incappucciato. “Hai la mia valigia”
“Scusa?”, chiese voltandosi a vedere quale pazza lo avesse inseguito, sembrava anche infastidito.
-Ottimo!-  Pensai. - Ci mancava solo di litigare con uno sconosciuto in un nuovo paese -“Hai la mia valigia”, ripetei.
“Non credo, questa è la mia!”, disse afferrando il cartellino su di essa. “Visto? C’è scritto il mio nome!”
“Non penso che tu sia una ragazza…”, gli feci notare che effettivamente c’era scritto il mio nome. “Vedi? C’è scritto Madeline Stuart, ti chiami così? Non credo?”
“Quindi non potrei avere un nome da donna?”
“No!”
“E perché no? Stai insinuando qualcosa?”
“Aspetta? Stai cercando di accusarmi di discriminazione? Sei tu quello che ha preso la mia valigia!”.
“Ok, forse non è così che deve andare”, disse passandosi una mano sulla testa facendo cadere il cappuccio della felpa. “Scusa, sono un po’ distratto, ho preso tre aerei in due giorni e sto dannatamente soffrendo il jet lag, pensavo di essere l’unico con una valigia arancione”.
“Su questo sono d’accordo!”
“Sono Christopher”, disse allungando la mano.
“Non faresti meglio a prendere il tuo bagaglio?”, gli feci notare mentre una valigia simile alla mia stava viaggiando sul nastro trasportatore.
“Aspetta!”
Il ragazzo corse dietro il bagaglio prendendola in tempo prima che facesse un secondo giro. Certo che non passava inosservata, sia per il colore sia per le dimensioni. Sembrava che il ragazzo fosse stato in giro per parecchio tempo.
“Stavamo dicendo…”, rispose poggiando a terra una sacca contenente una chitarra. “Ecco, scusami ancora per l’errore”
“Va bene”, dissi sorridendo.
Volevo essere una persona migliore e non mi sarei arrabbiata per uno stupido errore. Di sicuro non lo aveva fatto apposta e com’era possibile vedere eravamo gli unici due, probabilmente sulla Terra, ad avere una valigia di quel colore. “Cose che capitano”
“Tu però non sei inglese, vero?”, disse all’improvviso.
“Il mio accento è così pessimo?”
“Non tanto”, scherzò. Era strano come mi ero ritrovata a parlare con un ragazzo, che neanche conoscevo, nel bel mezzo dell’aeroporto. “Da dove vieni?”
“Italia”
“Non è distante”
“Esatto”
“E cosa ci fai qui? Sei da sola? Con amici?”
“Quante domande”
“Scusa, non lo faccio apposta…”
“Comunque sono qui da sola”
“Quindi sei qui in vacanza… da sola?”
“Diciamo che spero di restare”
“Magari un giorno mi racconterai”, mi rispose sorridendo. “Se vuoi, posso mostrarti la città”
“Non ce n’è bisogno, grazie”
“Mi piace fare da cicerone”
“Non vorrei essere scortese ma sono appena arrivata, devo ancora trovare un posto dove alloggiare e un lavoro e poi immagino che tu sia stanco, quindi…”.
“L’ho rifatto, scusa, di solito non parlo così tanto è solo che non posso farne a meno e forse devo anche smettere di chiedere scusa, mi sento un totale cretino”, continuò a dire passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Forse è meglio che vada”, dissi afferrando la maniglia del mio bagaglio. “Ci sono tante cose da fare e come dicono i The Clash: «London Calling»
“Citazione interessante”
“È una magnifica canzone”
London calling at the top of the dial after all this, won't you give me a smile?”
“Dovremmo continuare a citare la canzone?”, domandai ridendo.
“Come risposta potrei chiederti «Should i stare or should i go?»”
“In questo caso penso che dovresti andare”, dissi portandomi dietro all’orecchio una ciocca di capelli che mi era caduta sul viso.
“Va bene”, disse infine sollevando la sua chitarra e mettendosela in spalla. “Senti, ti lascio il mio numero in caso che tu abbia bisogno di qualcosa o che ne so, magari hai voglia di fare due chiacchiere e visto che sei appena arrivata e non conosci nessuno, sai che c’è qualcuno su cui contare”, dichiarò scrivendo con un pennarello nero dei numeri sul suo biglietto aereo.
“Potresti essere un maniaco, come faccio a fidarmi di te?”
“Penso che il fatto che tu stia ancora qui a parlare con me non te lo faccia pensare sul serio, e poi sono troppo carino e adorabile per essere un maniaco”
“E sei anche poco modesto”
“Ho il mio fascino, lo ammetto!”
“Vedo che non ti arrendi”
“Diciamo che se sarei stato un vero maniaco saresti già stata soddisfatta, aspetta… io sarei stato già soddisfatto, ma solo se fossi un maniaco”, iniziò a farfugliare. “Non dico che non sono attratto da te, cioè sei una bella ragazza, ma non penso che tu ti possa interessare a me e… beh forse è meglio che sto zitto”, ribadì portarsi la felpa sopra la bocca.
“Come maniaco saresti pessimo”, dissi ridendo.
“Spero di rivederti”
“Lascerò decidere al destino”
“Ci si vede Maddy”, mi salutò mentre si allontanava con la sua valigia arancione.
E fu così che rimasi da sola. Non mi dispiaceva per niente, questo perché quel ragazzo aveva suscitato in me una strana curiosità, ma non lo avrei chiamato, non se ne avessi avuto davvero bisogno.
Ancora non riuscivo a mettere da parte il mio orgoglio, anche se speravo che questo pian piano svanisse magicamente nel nulla in un enorme puff come quello che si vedono sempre nei cartoni.
La cosa buffa era che appena atterrata a Londra ero partita col presupposto di fare tante cose eppure ora mi sentivo un po’ disorientata.  Non sapevo da dove partire, cosa fare e dove andare.
Mi lasciai guidare dalle insegne e mi trovai alla stazione che mi avrebbe portato a Victoria e da lì sarebbe iniziata la mia nuova avventura.

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Capitolo 2
*** Chap 2 ***


Chap 2
Mettere piede in una nuova città faceva sempre uno strano effetto. Avevo lo stomaco in subbuglio e la mia mente iniziava a viaggiare, a pensare cosa avrei potuto fare e vedere, da dove avrei dovuto iniziare.
Salire le scale della metropolitana non era stato per nulla facile, soprattutto per via della valigia e delle persone che continuavano a passarmi di fianco pur essendo le 11.30.
La luce mi colpì in pieno viso e con pochi passi mi trovai sul marciapiede.
Fu in quel preciso istante, mentre mi guardai attorno, che capii che quello era il posto dove era giusto che fossi. Non era mai stato così chiaro, Londra era perfetta. Era la mia città e ci avevo impiegato così tanto per accorgermene.
Era come se lo sapessi da parecchio tempo e avessi fatto di tutto per evitarlo, ma era proprio così e mi sentivo sollevata.
Tutto mi fu chiaro!
La prima cosa che avrei dovuto fare non era quella di cercare un albergo dove alloggiare, ma bensì una casa. Se i tanti lavori che mi ero ritrovata a fare mi avevano fatto mettere da parte un po’ di soldi, era grazie a questo motivo.
Chiesi informazione su un’agenzia immobiliare nei paraggi e seguii le indicazioni che mi diedero. Mi ci volle un po’ per trovarla ma poi una grande insegna blu con delle scritte bianche erano comparse davanti a me e mi fiondai subito all’interno.
Posai la valigia in un angolo e mi sedetti su delle poltrone dello stesso colore dell’insegna.
“Salve, posso esserle d’aiuto?”, mi chiese poi una signora bionda avvicinandosi a me.
“Vorrei compare una casa”
“Certo, mi segua”, disse mentre mi conduceva alla sua postazione. “Aveva in mente qualcosa?”
“In verità sono appena arrivata, non ho preferenze particolari, m’interessava per lo più un appartamento che non costava tanto e che beh… senza vicini che potrebbero accoltellarmi nel cuore della notte”, dissi abbozzando un sorriso.
“Non si preoccupi”, mi rassicurò sorridendo anche lei e tirò fuori un quadernone ad anelli e lo iniziò a sfogliare. “Ora cerchiamo qualcosa di adeguato…”
“Grazie”
“Ecco”, disse dopo qualche minuto. “Ci sono un paio di appartamenti che potrebbero interessarle, se non ha impegni, potremmo andare adesso a darli un’occhiata”
“Sarebbe magnifico”
“Mi segue con la macchina?”
“In verità sono a piedi”
“Allora non c’è problema, la porto io”, disse continuando a sorridere.
Mi chiedevo chi avesse messo in giro la storia che gli inglesi erano sgarbati, al contrario erano tutti pronti a darti una mano.
“Se vuole la valigia, può metterla in macchina”
“Grazie”, le dissi seguendola.
Visitammo due appartamenti diversi, ma solo al terzo m’innamorai di quella casa.
“Non si tratta di un vero e proprio appartamento, è più come un loft ma è abbastanza spazioso. Purtroppo si trova in una zona un po’ trafficata e questo comporta a un aumento del prezzo, però non ha l’ascensore e visto che si trova al secondo piano, il prezzo è ragionevole, verrebbero 600 £ al mese”, mi spiegò mentre scendevamo dall’auto parcheggiata.
“È un bel posto”, dissi guardandomi attorno.
“Bayswater lo è davvero, hai vicino Queensway, una strada dove trovi di tutto, dai supermercati ai ristoranti ai pub e anche al negozio di antiquariato, poi c’è vicino la metropolitana e Hyde Park e, per di più, a pochi minuti a piedi, trovi il quartiere di Notting Hill, sai, dov’è stato girato il film con Hugh Grant…”, m’illustrò mentre salivamo le scale.
“E c’è anche la stessa libreria?”
“Certo”, mi rispose. “È una meta d’obbligo”, disse ridendo. “Eccoci”, dichiarò fermandosi davanti a una porta.
Varcai la soglia e mi trovai nel bel mezzo del salotto e della cucina divisa soltanto da un piccolo muro che faceva da ripiano. La fortuna sembrava assistermi, la casa era già arredata. Il salotto era composta da due divani e un tavolino al centro posizionato davanti a una tv appesa ad un muro dove erano lasciati visibili i mattoni rossi.
“Come ti avevo detto, non è molto grande…”
“No, è perfetta”, le risposi cercando di memorizzare ogni angolo della stanza.
“Allora, di là c’è il bagno”, mi disse indicando una porta. “E qui la terrazza, anche se è un semplice balcone”, mi mostrò spostando la tenda da un lato.
“Davvero nessuno l’ha ancora comprata?”
“Il proprietario l’ha messa in vendita da poco quindi non molte persone l’hanno ancora vista e per lo più cercano appartamenti grandi, dove poter vivere con la propria famiglia”
“Capisco…”

“Il proprietario è passato a vita migliore e non vedeva l’ora di vendere quest’appartamento”
“Vita migliore? È per caso mo…”, iniziai a dire ma m’interruppe.

“Oh no”, rispose ridendo. “Si era stancato dell’umidità che non faceva per lui e quindi si è trasferito, dove la pioggia non lo avrebbe potuto raggiungere”, tirai un sospiro. “Diceva che: «il tempo di Londra cambiava come l’umore di una donna con le mestruazioni»”, rise.
“E davvero non ci sono vicini assassini o spacciatori di droga?”
“A meno che la signora di fianco gestisca un bordello, penso che tu sia salva da possibili attentati nel bel mezzo della notte”

“Questo mi rassicura”
“Mi stavo dimenticando, ti mostro la stanza da letto”, mi condusse lungo un breve corridoio che terminava con una porta bianca. La ragazza la aprì e davanti a me trovai una vetrata coperta da delle leggere tende bianche e un letto rivestito da un vaporoso piumino dello stesso colore. L’armadio era collocato al lato opposto della parte e di fronte a esso erano disposti una cassettiera e uno specchio, uno di quelli che ti facevano vedere per intero.
“È piccola, lo so…”
“Va bene”, risposi sorridendo. “La prendo!”
“Ne è sicura?”
“Mai stata più sicura di così!”, le dissi fiera della mia scelta. “Quando posso…”
“Anche da subito, la casa è già libera quindi non vedo nessun tipo di problema. Se ci sediamo un attimo, ti faccio firmare le carte”, disse tornando verso il soggiorno.

Dispose del foglio sul tavolo e iniziò a compilarli.
“Metti una firma qui”, disse indicandomi una riga nera. “E un’altra qui… Aspetta, anche qui. Perfetto!”, dichiarò infine. “Benvenuta nella tua nuova casa, hai bisogno con il bagaglio?”
“Tranquilla, ce la posso fare”
“Posso chiederti una cosa? Immagino che tu non abbia più di ventuno anni…”
“Ne ho diciannove”, le dissi ascoltandola attentamente.
“Mi chiedevo come mai una ragazza di diciannove anni avesse deciso di trasferirsi a Londra e comprare subito casa?”
“Le posso dire la verità?”
“Dammi pure del tu”
“Ti sei mai svegliata una mattina e hai pensato: «Non voglio più stare qui, questo non è il mio posto!»? Ecco, a me è capitato, non riuscivo più a stare in Italia e visto che avevo finito gli studi e avevo un po’ di soldi da parte ho deciso di intraprendere quest’avventura, perché è così. Sto partendo da zero, sto cercando di ricominciare e di essere una persona migliore e ho pensato che questa città mi avrebbe aiutato. Non sono così lontano di casa eppure posso avere la mia indipendenza e ragionare con la mia testa”, le raccontai. “Lo so, è un po’ contorto e immaturo per la mia età, ma…”
“Hai ragione”, mi sorprese. “Penso che sia difficile vivere in un posto a cui non ci si sente legati, io per esempio amo Londra, mi sono traferita qui quando avevo venticinque anni. Abbandonare gli amici, la famiglia e tutto il resto è davvero difficile ma a volte è la cosa migliore da fare”

“Già…”
“Scusami se sono stata invadente, ma mi hai incuriosito, sei determinata per la tua età”
“Grazie”
“Beh, queste sono le chiavi”, disse poi porgendomi il mazzo. “Divertiti e buona fortuna”
“Grazie ancora”, la ringraziai. In fondo la mia nuova vita non stava iniziando affatto male. “Aspetta, ho la valigia nella tua macchina”, dichiarai accompagnandola giù per le scale.

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Capitolo 3
*** Chap 3 ***


Chap 3
Quando mi svegliai, dei deboli raggio di sole irruppero nella stanza. Mi girai dal lato opposto della finestra ma mi svegliai immediatamente. Avrei voluto passare la giornata a letto ma ero in una città nuova, non dovevo passare la giornata a gironzolare per casa senza fare niente.
Dovevo assolutamente fare qualcosa!
Mi alzai dal letto e scostai la tenda bianca facendo entrare più luce possibile nella stanza. Era davvero una bella giornata.
Feci colazione e uscii velocemente di casa. Mi ero promessa di trovare un lavoro e lo avrei dovuto trovare a tutti i costi.
Girai per il quartiere e solo nel pomeriggio m’inoltrai verso il centro. Feci domanda a vari negozi, supermercati e bar ma non cercavano personale o almeno non volevano assumere una ragazza così giovane con poca esperienza. Era il solito cliché.  Avevo deciso di rinunciare per quel giorno finché non mi sedetti su una panchina e un cartello attirò la mia attenzione.
Entrai di corsa nel locale. Si trattava di un pub, non molto illuminato con delle lampade antiche che scendevano dal soffitto. Un grande bancone di legno con numerosi sgabelli si trovava vicino all'ingresso e di fronte, alla parete opposta, una sottospecie di palco che consisteva in una pedana nera con dei tappeti e degli sgabelli.
Alle pareti restanti erano disposti alcuni divanetti rossi e delle poltrone abbinate attorno a dei tavolini. Mi ricordava molto un pub, dove ero stata quando ero ancora in Italia.
"Salve", dissi avvicinandomi al bancone.
"Posso esserle utile?", mi chiese un uomo sulla quarantina intento a pulire dei boccali.
"State ancora cercando personale?", chiesi speranzosa. "La prego, mi dica di si"
"Non sei un po' troppo giovane per lavorare in un pub?"
"Penso di essere abbastanza grande da poter lavorare", gli risposi alzando le spalle. Ero pronta all'ennesimo rifiuto.
"Non è facile lavorare qui, soprattutto quando c'è qualche musicista che viene a suonare"
"Ottimo, io amo la musica"
"E buona pazienza?"
"Ho vissuto con due sorelle minori per tredici anni, penso di sapere cosa significhi avere pazienza", dissi ridendo.
"Sembri davvero interessata a questo lavoro e non capisco perché…"
"Vorrei fare qualcosa di utile nella mia vita, sono stanca di sentirmi una fallita e ho pensato che se avessi trovato un lavoro questa sensazione sarebbe svanita pian piano, sto cercando di scrivere la mia storia, di comportarmi finalmente da ragazza indipendente e penso che questo sia un inizio. Mi sono trasferita da poco, diciamo da due giorni, forse sto facendo le cose troppo di fretta ma mi sono resa conto troppo tardi che diciannove anni di vita entravano perfettamente in una valigia e uno zaino e mi sono chiesta se questo fosse giusto. Mi sono chiesta dove avevo lasciato il resto della mia vita ma sono una stupida e sono qui ad annoiarla con la mia inutile vita, immagino che neanche lei voglia assumermi…", dissi infine scendendo dallo sgabello e raccogliendo la mia borsa. "Può dirmi che non assume gente così giovane, è quello che mi hanno già detto altre quattro persone"
"Stai per caso cercando di farmi pena?", chiese l'uomo abbozzato un sorriso.
"Funziona?"
"In parte sì ma non so, sei un tipo forte e ti voglio mettere alla prova"
"Sul serio?", chiesi tornando a sedermi.
"Perché no?", disse alzando le spalle. "Potresti iniziare col prendere le ordinazioni e servire ai tavoli, immagino che non hai domestichezza dietro al bancone, vero?"
"Ho visto 'Cocktail' e 'Le ragazze del Coyote Ugly' tre volte, può andare?", dissi scherzando.
"Penso che i balletti li lasciamo ai night club, intanto potremmo iniziare a insegnarti qualcosa", disse ridendo. "Lory ti darà una mano"
"Grazie mille"
"Aspetta, almeno hai l'età per lavorale?"
"Ho diciannove anni, quasi venti"
"Ne sei sicura?"
"Sta per caso dubitando soltanto perché sono bassa?"
"Hai un bel caratterino", rispose ridendo. "Comunque io sono Mark e sarò il tuo boss", disse porgendo la mano e io gliela strinse.
"Madeline"
"Bene Madeline, se non hai impegni potresti cominciare da domani pomeriggio, se vieni un po' prima ti faccio conoscere Toby e Lory, così puoi iniziare ad ambientarti"
"Perfetto!", dissi scendendo di nuovo dallo sgabello. "A domani"
Ancora non ci credevo, stava andando tutto fin troppo bene. Avevo trovato una casa e ora un lavoro, mi sorprendeva come la mia vita fosse migliorata spostandomi soltanto di qualche chilometro. Ok, forse erano più di qualche chilometro, diciamo che c’erano un po’ di montagne e una bella pozza d’acqua di mezzo, ma erano dettagli, giusto?

Avevo lasciato il locale che erano le sei del pomeriggio, mi sarei dovuta affrettare a tornare a casa prima che facesse totalmente buio e dovevo ancora imparare le linee dei mezzi da prendere, ma lo avrei fatto la mattina successiva, ora volevo godermi questa città.
Tornai a casa distrutta tanto che appena misi piede all’interno dell’abitazione, crollai sul divano e mi svegliai soltanto la mattina dopo con un enorme torcicollo.
Non passarono molte ore dopo il mio risveglio. Alle tre ero già fuori casa diretta al locale. Mi ero informata sui vari mezzi da dover prendere e con grande fortuna esisteva una fermata della metro a pochi metri dal locale.
"Buongiorno", salutai varcando la soglia.
"Buongiorno, cosa posso offrirti?", mi chiese una ragazza bionda da dietro il bancone.
"Ciao Madeline", disse Mark comparendo da dietro una porta.
"Tu devi essere quella nuova?!", dichiarò poi un ragazzo sbucando da dietro una console.
"Piacere, sono Maddy"
"Ciao io sono Loren ma puoi chiamarmi Lory", disse la ragazza allungando la mano verso di me.
"Toby", ribadì il ragazzo facendo lo stesso. "Tu non sei inglese!", annunciò poi.
"Sono italiana"
"Forte, ti sei già acquistata il tuo primo soprannome!"
"Sarebbe?", chiesi.
"Tony lasciala in pace!", intervenne la ragazza.
"Italia"
"È orrendo, Toby!", gli fece notare Mark. "Ascolta Lory e non iniziare ad assillare Madeline"
"Allora ti chiameremo Maddy", disse poi.
Questo soprannome era già più accettabile, infondo era già il mio soprannome ma lo lasciavo usare soltanto a delle persone a me care. Non mi piaceva che ci fosse tutta quella confidenza ma questi ragazzi avranno avuto sì e no venticinque anni, erano miei coetanei. Perché non avrebbero potuto chiamarmi così?

"Allora iniziamo subito", disse Mark facendomi sedere su uno sgabello. "Questa sera sarà abbastanza incasinata, voglio essere sincero: non sarà facile!", voleva per caso spaventarmi? "Ci saranno molte persone per via del live. Quasi ogni venerdì organizziamo delle serate dove alcuni artisti si possono esibire e il pubblico può venire ad ascoltarli senza pagare l'ingresso. Sono delle sottospecie di live session oppure vengono a presentare il loro nuovo album e cose del genere, hai presente?", annuii. "Bene, quindi ti sto solo dicendo di stare attenta. Dovrai continuare a fare avanti e indietro tra i tavoli. I tuoi compiti saranno di prendere le ordinazioni e portarle ai tavoli giusti, mi raccomando, e anche quello di raccogliere i bicchieri vuoti, tutto chiaro?"
"Chiarissimo"
"Perfetto", ripeté battendomi il pugno. "Io sarò qui dietro con Lory mentre Tony starà alla console e poi ti darà una mano, dovrai resistere per un'oretta e mezza, massimo due"
"Va bene", ero pronta!
"L'ospite di stasera è piuttosto conosciuto qui, ormai è di famiglia, credo che abbia qualche anno più di te, si chiama Edward Sheeran"
"Non l’ho mai sentito…", dissi dispiaciuta. 
"Non importa, lo vedrai stasera, dovrai farci l’abitudine è sempre qui, non riusciamo più a togliercelo dai piedi", scherzò. “Ma è un bravo ragazzo”
Sembrava bello lavorare in quel posto, avrei ascoltato buona musica, avrei imparato qualcosa e i miei 'colleghi' e il mio capo sembravano simpatici. Era davvero un bell’ambiente.
Il pomeriggio passò fin troppo in fretta, anche se non c'erano state numerose persone con cui provare i miei nuovi compiti.

Alle nove e mezza sarebbe iniziato lo show e l'artista si sarebbe presentato tra poco per fare il soundcheck per la serata. Da una parte ero curiosa di ascoltare quel ragazzo. Mark ne aveva parlato in un modo talmente dolce che sembrava che fosse suo figlio. Era davvero fiero di quel ragazzo.
Mentre chiacchieravo con Lory era entrata nel locale una figura incappucciato. Qualche ciuffo rosso usciva dal cappuccio e i suoi occhi erano coperti da un paio di occhiali da sole, nonostante fuori non ci fosse per nulla il sole.
"Edward!", annunciò Mark quando il ragazzo varcò la soglia con una chitarra sulle spalle.
"Ehi Mark!", lo salutò facendo scontrare i loro pugni.
"È un piacere vederti"
"Sono tornato da poco dall’America, è stato spettacolare,
Example è un fottuto genio!"
"Pensavamo di mandare i soccorsi, sembravi sparito"
"Ho avuto problemi con l'aereo, ho costatato che non so prenotare un volo su internet"
"Quindi..."
"Ho preso tre aerei per raggiungere Londra", spiegò appoggiando la chitarra a terra. "Ho passato tutto mercoledì e giovedì a dormire per via del jet lag"
"Oh Edward a volte mi chiedo se tu non sia più vecchio di me"
"Probabilmente, sono arzillo come un ottantenne", scherzò lui.
"A proposito di chi è più giovane, ti presento la nostra new entry, si chiama Madeline", disse indicandomi. "Maddy vieni qua". 
"Ti conosco!", esclamò il ragazzo appena mi vide.
"Ancora tu?", dissi incredula. Pensavo di essermi liberata di quel ragazzo all’aeroporto.
"Vi conoscete?", chiese l'uomo.
"Una sottospecie, Cristopher mi ha rubato la valigia qualche giorno fa", dissi.
"Cristopher?", domandò.
"Lui", lo indicai. "All'aeroporto"
"Sicura che sia lui?", mi chiese ancora. 
"Sì, certo, mi ha detto di chiamarsi Cristopher", dissi ingenua. “Ha anche la stessa faccia da prendere a schiaffi”
"E tu sei Maddy", intervenne il ragazzo.
"Madeline", gli risposi scocciata portandomi le braccia al petto. "Quindi quello non è il tuo vero nome..."
"Ho detto una piccola bugia"
"Bene…"
"Vi lascio parlare", dichiarò Mark vedendo che tirava una strana aria. "Mi trovate in ufficio"
"Ti sei arrabbiata?"
"Perché mai dovrei arrabbiarmi? Neanche ci conosciamo"
"Maddy, suvvia"
"Maddy mi chiamano solo gli amici e tu non sei mio amico"
"Ora tieni il muso?"
"Non so come riesci a stare simpatico a Mark ma sei irritante, lasciatelo dire"
“Non mi sembrava che in aeroporto ti desse fastidio…”

“Pensavo di non vederti più”
"Comunque sono Edward ma puoi chiamarmi Ed"
"Se mai avrò bisogno..."
"Scommetto che lo farai, fidati"
"Speraci...", dissi voltandomi per andare dietro al bancone.

Mi chiedevo come era possibile che quel ragazzo mi fosse stato simpatico in un primo momento. Ora invece m’irritava, anche se forse era colpa mia… No! Non era colpa mia! Mi aveva mentito, ma non dovevo prendermela tanto. In fondo era uno sconosciuto e lui poteva fare quello che voleva. Non doveva dirmi per forza il suo vero nome. Eppure mi aveva dato fastidio.
"Che c'è?"
"Niente"
"Perché mi fissi?"
"Non ti sto fissando"
"Non dovresti fare delle prove?"
"Non ne ho bisogno, possiamo parlare un po’…", disse sedendosi sullo sgabello davanti a me.
"Penso che dovresti fare qualcos'altro"
"Lory, ti do fastidio se resto qui?", chiese il ragazzo.
"Per me potresti anche venire dietro al bancone a servire, avrei almeno un po' di pausa"
"Sei la solita sfaticata"
"Senti chi parla", disse lei tirandogli una nocciolina addosso. "Come vi conoscete voi due?"
"É una storia davvero buffa...", iniziò il ragazzo.
"In verità non ci conosciamo affatto, ci siamo scontrati per caso, tutto qui"
"Oh beh, non puoi mai sapere chi incontrerai un giorno... ci sono persone che così hanno migliorato la loro vita, si sono fidanzate, poi sposate e hanno avuto figli…"
"E poi ci sono io che ho incontrato Cristop... Edward"
"Poteva capitarti di peggio"
"O magari meglio, un bel Tom DeLonge sarebbe stato perfetto"
"A Londra?", chiese lei.
"Hai ragione, avrei più probabilità di trovare Mark Hoppus", dissi ridendo. 
"Suvvia, non è poi così terribile aver incontrato me", intervenne lui.
"Sei solo il ragazzo più irritante sulla faccia della terra"

“Almeno mi pensi”
“Io…”
"Ed, qui è tutto pronto, tra poco il locale si riempirà e tu devi ancora accordare la chitarra", lo informò Toby dal fondo del locale.
“Devo andare, il lavoro mi tocca”, disse enfatizzando la frase con un gesto della sua mano. “A più tardi fanciulle”

“Certo che è un bel tipo”, affermò Lory mentre il ragazzo di allontanava.
“Come?”
“Ed…”, rispose. “È carino, ha la tua età e sembra esserci confidenza…”

“Oh no, assolutamente no!”, contestai. “Non esiste!”
“Perché?”
“Perché, dico, lo hai visto? Non penso di poterlo sopportare, parla sempre, è troppo espansivo…”
“Che c’è di male in questo?”
“Io tendo a stare alla larga da persone del genere”

“Penso che Edward non sia una persona cattiva”
“Non dico questo, immagino che rubarmi la valigia sia stato solo un errore, ma persone come lui mi spaventano, cioè hanno sempre qualcosa da dire mentre io preferisco restare in silenzio ad ascoltare, m’intimoriscono…”
“Magari dopo mi racconti cosa voleva fare Ed con la tua valigia…”, disse ridendo cercando di cambiare discorso. Era riuscita a capire che volevo evitare quell’argomento.
“Già, forse, dopo…”, dichiarai guardano verso di lui.
Edward alzò la testa nello stesso istante in cui lo guardai, e puntualmente i nostri occhi s’incontrarono e mi sorrise.
Erano le persone come lui che mi mettevano davvero a disagio. Erano sempre così sorridenti, sembrava che andasse tutto bene finché si restava insieme a loro, ma poi ci si ritrovava da soli e tutto era così triste, scuro, grigio. Non esistevano più sfumature ma soltanto un unico colore che ti divorava all’interno e la sensazione di nostalgia verso quelle persone che riuscivano a cambiarti la giornata, che ti facevano sembrare la vita meno schifosa del solito.
E sapevo che ci sarei ricascata, mi sarei lasciata trasportare dalla sua positività se solo mi fossi lasciata avvicinare e avessi dato retta ad ogni sguardo che mi mandava mentre cantava.
Il fatto che fosse un bravo musicista rendeva ancora più difficile la cosa.
"Posso darti una mano?" , mi chiese Edward seguendomi per i tavoli.
Aveva finito il suo piccolo show e dopo qualche bicchiere di birra fresca era tornato all’attacco per infastidirmi cercando di essere gentile.
"Sto lavorando, lasciami in pace"
"Penso che tu abbia bisogno di una mano"
"Ce la posso fare"
"Dammi!", disse prendendo il vassoio che tenevo in mano. "Ecco le due birre e la coca cola che avete ordinato"
"Edward!", lo richiamai.
"Che c'è ?", chiese.
"Perché lo fai?"
"Sembrava che tu avessi bisogno di una mano"
"Non ce ne era bisogno"
"Perché ti da fastidio che ti possa aiutare?", disse ora raccogliendo i bicchieri da un altro tavolo che era appena stato lasciato vuoto. Pian piano la gente se ne stava andando e l’orario di chiusura si stava avvicinando.
"Non lo so, forse perché è il mio lavoro e tu lo stai facendo per me"
"A Mark non dispiace, a volte do una mano anche a Lory e lei non si lamenta"
"Allora puoi andare da lei", dissi esasperata.
"Pensi che sia un peso stare con te?"
"Penso che tu abbia di meglio da fare che stare qui con me"
"Penso che tu pensi troppo"
"Non dovresti tornare a casa?"
"Sono grande abbastanza da poter stare fuori la notte, non credi?", mi rispose. "Tu piuttosto..."
"Cosa?"
"Quanti anni hai?"

“Non è importante…”
“Maddy!”
"Diciannovenne"
"Sei giovane, cosa ci fai a Londra da sola?", alzai le spalle senza dargli una risposta. "Va bene, forse un giorno me lo dirai…"
"Come sarebbe «un giorno»?", chiesi guardandolo.
"Pensi che sia finita qui?"
"Ci speravo..."
"Sarebbe stato troppo bello, non credi?"

"Lo immaginavo", dissi sospirando.
"Hai già fatto un tour per la città?"
"Non ne ho ancora avuto tempo..."
"La mia proposta è ancora disponibile..."
"Grazie, ma penso che..."
"Non ti fidi di me?"
"Non mi fido delle persone in generale..."
"Potresti cambiare idea"
"Potrei ma al momento sto bene cosi"
"Davvero?"
"Stai cercando di analizzarmi?"
"Sto cercando di capire che persona sei"
"Lascia perdere...", dissi. "Ora è meglio che torno a casa"
"Ti posso accompagnare, immagino che tu non abbia una macchina e non posso farti prendere i mezzi a quest'ora"
"Non ti devi disturbare"
"Non lo è"

“Va bene”, gli risposi spazientita. Se era l’unico modo per allontanarlo mi sarei sacrificata molto volentieri. Salutai tutti e mi recai fuori dal locale con lui.
Scossi la testa quando Lory mi fece l’occhiolino e alzò il suo pollice come segno di approvazione appena mi vide uscire con lui.
Davvero credeva che sarebbe successo qualcosa?
 

Ed p.o.v.
Da quando eravamo usciti dal locale si era chiusa in se stessa, si limitava a guardare distratta fuori dal finestrino e mi chiedevo a cosa stesse pensando. Cosa la teneva così occupata da neanche parlare.
Non adoravo tutto quel silenzio, ma a lei sembrava piacere e volevo farla sentire a suo agio forse perché l’avevo tormentata per tutta la serata standole sempre intorno pure quando mi ripeteva di levarmi dalle scatole. Eppure non lo facevo, ma questo perché non ci riuscivo. Non riuscivo a non comportarmi da stupido e probabilmente l’avevo messa a disagio standole così vicino ma suscitava in me una stupida sindrome da crocerossino e volevo darle una mano, anche se sapevo che ce l’avrebbe fatta benissimo da sola senza il mio aiuto.
La vedevo durante la sessione acustica mentre sorrideva per chiedere a degli sconosciuti cosa volessero che li portasse e mi sarebbe piaciuto ricevere anche un solo sorriso ed invece, con la coda dell’occhio vedevo che la sua bocca era chiusa, ben lontana da un sorriso.
Era così distaccata rispetto alla realtà che la circondava.
“A cosa pensi?”, le chiesi rompendo quell’irritante silenzio.
“Come?”, mi rispose voltandosi verso di me.
“Sembri piuttosto pensierosa…”
“Oh… si… già…”
“Vuoi parlarne?”
“Penso di no”
“Va bene”, dissi facendo cadere la conversazione. “Non mi hai più chiamato per quel…”
“Non ne ho avuto il tempo, scusa”
“Perché ti scusi? Non eri obbligata a farlo…”
“Giusto…”
“Quindi, se cambi idea o hai voglia di compagnia, sai dove trovarmi”
“Grazie”, disse per poi tornare di nuovo a guardare fuori.
Neanche questa volta ero riuscito a farla sorridere. Mi chiedevo come mai fosse così diversa da tutte le ragazze, probabilmente era questa sua caratteristica che mi spingeva a conoscerla, ma sembrava che più mi avvicinavo e più lei si ritraeva.
Ormai eravamo quasi sotto casa sua, la discussione sarebbe morta lì. L’avrei vista scomparire dietro al portone e la faccenda si sarebbe chiusa lì, ma forse era meglio che io tornassi a casa dove era giusto che fossi, e non in macchina con lei.
“Perché sei così gentile con me?”, mi chiese all’improvviso sorprendendomi. Mi ero fermato sotto casa sua e lei si ero voltata a guardarmi con i suoi occhi verdi.
“Perché non dovrei essere gentile?”, le risposi con tutta la naturalità possibile. “Non mi hai fatto nulla di male”
“Ti ho continuato a risponderti e a ripeterti di levarti dalle palle, sono stata sgarbata e tu mi stai riaccompagnando a casa e ti preoccupi se sono pensierosa”, disse. “Non dovresti”
“Non sei una persona cattiva”
“Se avessi bisogno di chiamarti, saresti disposto ad ascoltarmi, anche se ti telefono alle quattro del mattino?”
“Penso di sì, non ti posso promettere che sarei lucido alle quattro del mattino ma penso che ti rispondere e ti ascolterei”
“E questo cos’è?”
“Cosa?”
“Quello che hai detto”
“Da queste parti si chiama gentilezza”
“No, i canadesi sono gentili, gli inglesi no!”
“Te lo hanno mai detto che fai ridere?”
“Sono seria…”
“Ti prometto che ti lascerò stare ma tu devi venire con me"
"Ora?"
"Domani mattina"
"Non penso che sia..."
"Una buona idea?", dissi concludendo la sua frase. "Io penso di sì... domani mattina non lavori"
"Se ti dico di sì, mi lascerai davvero in pace?"
"Assolutamente"
"Non mi resta che accettare", rispose sconfitta.
Avevo trovato il posto perfetto dove portarla, immaginavo che le sarebbe piaciuto, ne ero sicuro. Speravo solo che si sarebbe divertita e che non mi avrebbe più visto come un ragazzo rompiscatole che cercava di importarla. Volevo solo esserle amico, nulla di più. Non volevo neanche che mi odiasse e per questo l'avevo invitata ad uscire. Volevo solo che non si sentisse a disagio, volevo aiutarla. Sembrava così indifesa.
"Buona notte", disse all'improvviso.
"Come?", le chiesi non accorgendomi di essermi fermato.
"Sono arrivata"
"Giusto"
"Grazie per il passaggio"
"Di nulla", dissi mentre la guardavo uscire dall'auto. "Madeline", la chiamai.
"Che c'è?"
"Ti passo a prendere alle dieci"
"Va bene"
"Buonanotte Maddy"
Aspettai che sparisse dietro al portone prima di accendere la macchina e continuare per la mia strada.
Non sapevo bene cosa mi era passato per la testa in quello preciso momento, quando l'avevo invitata ad uscire, eppure lo avevo detto senza pensare. Non che me ne pentivo però non era giusto!

 

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Capitolo 4
*** Chap 4 ***


Chap 4
"Ciao Lory, sono Maddy..."
"Ciao Maddy, come mai sveglia a quest'ora?"
"Volevo chiederti se avevate bisogno di me stamattina"
"Oh no, la mattina il locale rimane chiuso"
"Ne sei sicura?"
"Sì, apriamo stasera alle 8, non ricordi?", disse tranquillamente. "Aspetta... cosa è successo ieri sera?", chiese lei ricordandosi che la sera precedente mi aveva accompagnata a casa il ragazzo dai capelli rossi.
"Niente... mi ha riportato a casa"
"Tutto qui?"
"Beh cosa pensavi che sarebbe accaduto?"
"Non so, magari qualche bacio o del sano sesso sfrenato in auto"
"Non credo che sia molto comodo?"
"Su questo avrei da ridire", rispose ridendo.
"Sul serio... non voglio saperlo", risi anch'io.
"Quindi, qual è il vero motivo della tua voglia matta di lavorare?"
"Edward mi ha chiesto di uscire, credo... ha detto che mi passerà a prendere alle dieci, ma non me la sento di andare, non voglio"
"Sei pazza?", mi domandò incredula. "Forse non hai in mente di quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto"
"Non lo metto in dubbio, è un ragazzo carino, ma non è una persona che frequenterei abitualmente. Lui è così..."
"Espansivo?", mi suggerì.
"Già..."
"Se ci esci, almeno puoi dire di averci provato e se davvero non ti trovi bene con lui puoi sempre tirargli un pugno e scappare"
"Sembra una buona idea", risi insieme a lei.
"E sai già dove ti porta?"
"Non mi ha detto niente"
"Si fa sempre più interessante"
"Lory..."
"Devi solo conoscerlo bene, non è antipatico, anzi, potrai notare anche te che probabilmente è il ragazzo più dolce sulla faccia della Terra... in fondo ti invidio un po'"
"Se vuoi puoi andarci te", scherzai.
"Magari, sarebbe un'ottima opportunità e poi è un ragazzo importante..."
"Aspetta…", le dissi interrompendola per andare a rispondere al citofono. "Si?"
"Sono Ed, scendi?"
"Arrivo", gli risposi togliendo il dito dal bottoncino che collegava le due voci. "È arrivato...", dissi alla ragazza.

“Ripeto: non sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto!”
“Immagino, ma…”
“Stai davvero pensando se accettare o no l’invito di un musicista?”, mi chiese. “Tu sei pazza!”
“Potremmo restare qui per ore a discutere su chi delle due sia la più fuori di testa, ma non arriveremo mai a una conclusione”
“Quindi sbrigati a raggiungerlo!”, quasi urlò dall’altro lato del telefono. "Buona fortuna…"
"Grazie", le dissi per ultima cosa prima di riattaccare il telefono.
Presi la mia borsa e le chiavi di casa. Scesi velocemente le scale e lo trovai seduto in macchina che mi aspettava. Con le dita teneva il ritmo di qualche canzone che passava alla radio e intanto intonata qualche parola.
"Ciao straniera", mi salutò con quelle buffe parole ma istintivamente lo incenerì con uno sguardo. Non mi piaceva che avesse preso così tanta confidenza.
"Edward, non chiamarmi cosi"
"Va bene, Maddy", lo guardai di nuovo come prima. Avevo perso le speranze ormai. "Dove mi porti?", gli chiesi infine.
"É una sorpresa"
"Io dovrei tornare per le sei"
"Tranquilla, ho parlato io con Mark e..."
"Tu cosa?", quasi gli urlali contro. "Stai cercando di farmi licenziare?"
"Assolutamente no, come potrei vederti se Mark ti licenzia?"
"Oh beh, sarebbe un problema in meno"
"Tu non sei un..."
"Mi riferivo a te"
“Questa era cattiva!”

“È la verità”
"Ti prego, dimmi altre cose dolci come questa", scherzò.
"Non ti sopporto"
"Cerca di essere più originale"
"Avrei altri milioni di insulti, ma sono una ragazza fine e per ora mi trattengo"
"Sono curioso del seguito"

Mi girai a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva veloce. Passammo gran parte del viaggio in silenzio, semplicemente accompagnati dalla musica che passavano alla radio, probabilmente rendeva la situazione meno imbarazzante di quella che era.
"Tra quanto arriviamo?", gli chiesi vedendo il cartello che indicava che stavamo lasciato Londra alle spalle.
"Vedrai", si limitò a dire. Tutto questo mistero non mi piaceva.
Non avevo la minima idea di dove saremmo andati, una parte di me stava morendo dalla voglia di scoprirlo mentre l'altra non voleva pensarci troppo. Forse quella parte aveva paura di quel ragazzo che mi faceva tante domande e che mi girava attorno nonostante ci conoscessimo da così poco tempo. Probabilmente aveva paura che se mi fosse fidata di lui, se avessi dato troppa importanza ai suoi gesti gentili o alle parole che diceva sarei rimasta ferita ancora una volta.
"Benvenuti a Brighton", lessi il cartello alla mia destra. "Brighton?", gli chiesi.
"Brighton!"
"Cosa ci facciamo qui?"
"Ti porto al molo"
"Hai organizzato qualcosa o hai improvvisato?"
"Diciamo che ti porto in un posto speciale", disse parcheggiando la sua macchina. 
"Cos'ha di speciale?", gli chiesi scendendo dall'auto e seguendolo lungo il pontile.
"Ci vengo quando ho bisogno di pensare, di rimanere un po' da solo, di stare appunto lontano dalla gente. Hai in mente quando ti riprendi da una sbronza e ti senti vuota con un terribile mal di testa? Hai tutta una confusione in testa e l'unica cosa che hai bisogno è di riordinare le idee"
"Quindi sei tu il ragazzo ubriaco che si aggira a Brighton completamente nudo?", scherzai.
"No, forse potrebbe essere il principe Harry, ma penso che non sia la sua zona abitudinale”, rise. “Però mi piacerebbe conoscere questo ragazzo. Deve essere un tipo interessante!"
"Comunque è bello..."
"Il ragazzo nudo?"
"No, il fatto che tu abbia un posto speciale dove rintanarti quando le cose vanno male"
"E tu, signorina Madeline hai un posto speciale?", chiese iniziando a camminare davanti a me portandosi le braccia dietro la testa. Di sicuro sarebbe caduto.
"Al momento non ne ho trovato ancora uno"
"Se vuoi possiamo condividerlo"
"Non fa troppo 'ragazzi del liceo'?", gli chiesi. "E poi è il tuo posto, non vorrei rischiare di incontrarti anche qui"
"Sarebbe così terribile?"
"Ancora non lo so", dissi rimanendo vaga. "Non è meglio che ti volti prima di cadere?"
"Ti farei ridere", dichiarò sorridendo.
Qualcosa nel mio cervello fece scoppiare una scintilla. Quel semplice sorriso mi aveva fatto tingere le guance con un velo di colore rosso.
"Posso farti una domanda?", mi chiese interrompendo quel breve silenzio che si era creato tra noi.
“Dimmi” 
"Che ci fai qui?"
"Mi hai invitato tu!"
"Intendo a Londra, non ti mancano i tuoi genitori e i tuoi amici?” 
“Ma io non me ne sono andata da un momento all’altro, ci ho pensato e ripensato e quando ho sentito che fosse il momento giusto di andarmene, l’ho fatto” 
“E hai già chiamato qualcuno?” 
“Non ancora...” 
“Allora credono che sei stata rapita da degli alieni”, disse ridendo e continuando a camminare davanti a me senza perdere il contatto con i miei occhi. 
“Non dire sciocchezze!”, risi. "Sanno che sono partita, ma non sanno per dove”
"Io non riuscirei mai ad andarmene da un momento all’altro e abbandonare tutto. Ancora non mi capacito di come sia riuscito a venire a Londra, ma l'ho fatto per il mio futuro e ora sono qui con diversi album pubblicati e tour per diverse città", confessò. “Ancora non mi hai detto perché l’hai fatto” 
“Vedi, a un certo punto tutto intorno a te inizia starti stretto”, dissi appoggiandomi alla ringhiera di legno e guardai il tiepido sole in cielo. “La città ti soffoca, le persone su cui potevi contare ti deludono e scappare è l'unica idea che ti viene in mente, arrivati a questo punto pensi «Che si fottano tutti!» così vai all'aeroporto e ti informi sul primo volo che sarebbe partito e lo prendi”, gli raccontai. 
“Sei determinata a dire queste cose” 
“Lo sono!” 
“E davvero non ti manca nessuno di questi?” 
“Per nulla”, continuai. “Sono cresciuta senza legarmi a niente, non mi sono mai affezionata troppo a qualcosa o a qualcuno, più vuoi bene a qualcuno e più velocemente se ne andrà o farà qualcosa che ti ferirà e sarà troppo tardi per rimediare allo stupido errore commesso” 
“Presto le cose cambieranno...” 
“Cosa intendi?” 
“Adesso sei qui, sei lontana da chi ti ha ferito, non vedo il motivo per non legarti alle persone, non pensi?” 
"Non sono un tipo socievole"
“Però potresti provarci”, non risposi, non sapevo cosa dire. “Ehi, non sto dicendo che se ti affezionerai a noi ti feriremo, soltanto che, magari…” 
“Ho capito cosa stai dicendo”, dissi sorridendo. 
“Come mai Londra?” 
"Chi non ama Londra?", risposi alzando le spalle. "In verità sarei dovuta partire per New York, ho sempre desiderato visitarla oppure magari andarci a vivere”
“Ma sei venuta qua…” 
“Se il primo aereo non fosse stato la mattina successiva probabilmente, ora, sarei a N.Y. con altre persone ma non mi sono pentita della decisione che ho preso, atterrando a Londra ho conosciuto Lory e immediatamente te ma non resterò qui per sempre”.
Per pochi istanti i nostri occhi si scontrarono e una strana elettricità passò tra di noi. Ancora una volta era riuscito a rivoluzionare i miei piani.
"Quindi potresti andartene da un momento all'altro?"
"Immagino di si", dissi facendo cadere il silenzio tra di noi 
"Sai, questo posto è speciale anche perché ho scritto la maggior parte delle mie canzoni oltre che nel mio giardino"
"Perché non mi hai detto che eri famoso?"
"Perché non mi avresti frequentato…"
"Forse non ti avrei frequentato perché non mi stavi simpatico…"
"Perché ora si?"
"Diciamo che non ti odio completamente"
"Allora, quando sarò riuscito a non farmi più odiare ti porterò qui anche di sera, è davvero fantastico, anche se si riempie di coppiette"
"Quindi faremo i guardoni?"
"Tu non lo sai, ma sono il migliore a spiare i piccioncini"
"Non lo avrei mai messo in dubbio"
"Ti va di mangiare qualcosa?", chiese indicando un locale davanti a noi. "È mezzogiorno passato e la giornata è ancora lunga"
"Va bene"
Entrammo in un locale. Era carino, in stile anni 60. Delle foto buffe erano appese alle pareti rivestite con carta da parati. Anche la musica che si sentiva in sottofondo era adeguata allo stile del locale: Beach Boys ed Elvis Presley. Li adoravo.
"Ciao ragazzi, cosa vi porto?", ci chiese una cameriera dopo che ci fummo seduti ad un tavolo. "Ciao Edward", lo salutò la ragazza di mia sorpresa. Mi chiedevo se c’era qualcuno che non lo conoscesse, eccetto me.
"Christine, ciao"
"Cosa ci fai da queste parti? Ti pensavo disperso", scherzò lei portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Ci stava forse provando?
"Sono stato in tour" 
"Forte!", gli sorrise. "Beh, cosa vi porto?"
"Per me il solito"
"Quindi hamburger e chips and cheese?"
"Sei fantastica!"
"Per te?", chiese poi la cameriera rivolgendosi a me.
"Io..."
"Fai per due" si affrettò a dire Edward sovrastando la mia voce.
"Da bere?"
"Una birra e una coca?", domandò stavolta chiedendo una mia opinione. 
"Va bene"
"Perfetto, vi portò subito l'ordine", disse continuando a sorridere mentre andava in cucina.
"Sai, penso di essere in grado di poter scegliere..."
"Lo so, però devi assolutamente assaggiare questi panini, sono fantastici"
"Come la ragazza che ci ha provato con te?"
"Christine?"
"Esatto, non hai visto come ti guardava?"
"Sei per caso gelosa?"
"Oh no, volevo solo prenderti in giro"
"Comunque non posso"
"Qualche divieto che ti sei imposto?"
"Qualcosa del genere", rispose vago alzando le spalle.
Mangiammo continuando a parlare del più e del meno. In fondo non stavo passando una brutta giornata e lui non era così male quando evitava di essere così gentile a tutti i costi.

“Domani avrai qualcosa da fare?”
“Dovrei davvero iniziare a sistemare le mie robe, e dovrei comprare qualcosa, sai le solite cose…”
“Ti accompagno io, conosco dei bei posti”
“Non ce ne è bis…”
“Ti passo a prendere a casa tua domani mattina”, disse infine non lasciandomi il tempo di obbiettare.
Anche se faceva sempre di testa sua, infondo mi trovavo bene con lui, ma poi all'improvviso ricevette una chiamata e immediatamente la sua espressione serena si mutò in una scocciata. Probabilmente qualcosa stava cambiando.
"Scusami un attimo", disse prima di alzarsi per rispondere al suo iPhone. 
Lo vedevo parlare all'ingresso. Camminava avanti e indietro, era agitato, si passava nervosamente una mano tra i capelli e gettava la testa indietro. Era piuttosto nervoso.

Mi chiedevo chi fosse stato a chiamarlo e perché lo avesse reso così agitato.
"Tutto apposto?", gli chiesi poco dopo il suo ritorno a tavola.
"Assolutamente", rispose facendomi un sorriso tirato, finto, fin troppo freddo.
"Sicuro?"
"Certo", cercò di rassicurarmi sorridendo di nuovo. "Sono costretto a riportarli a Londra, mi dispiace"
"Tranquillo…"
"Andiamo a pagare", disse alzandosi e dirigendosi verso la cassa. Lo vidi afferrare il suo portafoglio e feci lo stesso. 
"Quant'è?", chiesi.
"Nulla per te, offro io"
"Sul serio..."
"Insisto!" disse porgendo alla cassiera due banconote da dieci sterline.
"Grazie"

Tornammo indietro ma il viaggio fu totalmente diverso dall’andata. Edward teneva saldamente le dita attorno al volante, così come lo sguardo dritto verso la strada. Non parlava, non sorrideva, non si voltava a guardarmi. Mi sentivo a disagio.
Di solito stavo bene in silenzio, mi piaceva, ma l’atmosfera che si era creata non era affatto piacevole. Sembrava di essere al polo nord talmente tanto freddo che emanava.
Avrei voluto dirgli qualcosa, farlo parlare o magari distrarlo, ma non sapevo da che parte cominciare tanto meno cosa dirgli. Non ero mai stata brava in queste così così me ne stetti zitta a fissare il paesaggio fuori dal finestrino, come avevo fatto all’andata.
“Grazie per la giornata”, gli dissi quando fece fermare l’auto davanti a casa mia.
“Di nulla”
“Sicuro che vada tutto bene?”, gli chiesi. “Non hai parlato per tutto il viaggio e non è da te visto che da quando ti conosco non sei mai stato zitto”
“Sono solo un po’ pensieroso…”
“Se domani hai qualcos’altro da fare, non è un problema se non puoi venire”
“Te l’ho promesso”, mi rispose sorridendo, questa volta sinceramente. "Devo prima risolvere solo un problema, un problema che rinvio da troppo e che dovrei lasciare...", disse lasciando sospesa la frase.
“Va bene! Allora a domani…”
“A domani Madeline”
Feci pochi passi verso il portone e mi voltai a guardalo. Restava lì a fissarmi aspettando che aprissi la porta. Davvero volevo che finisse così?
Alzai la mano e lo salutai con un cenno.
Sì, doveva andare così!

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Capitolo 5
*** Chap 5 ***


Chap 5
Non so quanto tempo passai a guardare il soffitto sopra al mio letto. Non so quanto tempo era passato da quel saluto un po’ imbarazzato. Mi ero accorta che avevo passato parecchio tempo distesa sul materasso perché, quando guardai fuori dalla finestra, il cielo si stava oscurando pian piano.
Erano quasi le sei, dovevo sbrigarmi ad uscire di casa per recarmi al lavoro. Afferrai la giacca e la borsa e mi chiusi la porta dietro le spalle.
Arrivai con le guance rosse e i capelli scompigliati dalla corsa che avevo fatto dalla metro fino al bar.
“Quindi ci avete dato dentro!”, dichiarò Lory vedendomi affannata.
“Come?”
“Il tuo aspetto è quello di una ragazza che si è divertita parecchio”
“Se con divertimento intendi correre per non arrivare in ritardo al lavoro, sì, ci ho dato dentro di brutto!”
“Quindi lo ammetti?”
“Ammettere cosa?”
“Che è successo qualcosa?”
“Credo di aver perso il filo del discorso e credo anche di stare per svenire”, dissi agitando la mano davanti al mio viso. “Sbaglio o fa caldo?”
“Non cambiare argomento, signorina!”, mi rimproverò indicando lo sgabello dove mi sarei dovuta sedere per raccontagli tutto quello che era successo quella mattinata. “Siediti e raccontami tutto di te e Mr. Sheeran”
“Se quello che vuoi sapere è se è successo qualcosa tra noi due, ti devo avvertire che ne rimarrai delusa perché primo non è successo nulla e secondo non voglio che accada nulla”
“Neanche un bacio?”
“Neanche un bacio!”
“E cosa avete fatto fino ad adesso?”
“In verità siamo tornati a casa alle due, mi ha portato al molo, abbiamo parlato, poi mangiato e lui ha ricevuto una telefonata che gli ha fatto mutare l’umore rendendolo freddo e stranamente silenzioso”
“Mhm…”, mugolò poco convinta.
“Tranquilla, domani si è gentilmente offerto contro la mia volontà di aiutarmi con la casa”
“E quindi farete sesso sul tavolo della cucina?”
“Ok, tu mi preoccupi, soprattutto la tua mente perversa”
“Sono londinese, è nel mio DNA essere pervertita”
“Giusto…”
“Quindi hai deciso di non cambiare opinione su di lui?”
“Diciamo che non è poi così antipatico, potrei sopportarlo… fino a un certo punto”
“Te lo avevo detto!”
“Detto cosa?”, chiese Mark avvicinandosi al bancone.
“Che Ed sarebbe riuscito a starle simpatico”, gli rispose Lory. “Alla fine ci riesce sempre!”
“Sai Maddy, abbiamo già aperto le scommesse su quando tempo deve passare prima che vi mettiate insieme”, rispose lui ridendo. Se era una battuta era di pessimo gusto!
“Aspettate!”, dissi portando le mani davanti a me. “Non iniziate a farvi strane idee, non penso che io ed Edward potremmo mai metterci insieme”
“Questo lo dici tu”
“Lory, te l’ho già detto come la penso”
“Ragazze, non è che verreste a darmi una mano invece di discutere?”, ci chiese Toby avvicinandosi al bancone con dei foglietti pieni di ordinazioni.
Andai a riporre la giacca e la borsa nello spogliatoio, o quello che era per davvero: una piccola stanza con un appendiabiti e uno specchio. Tornai in sala e mi misi a lavorare.
Passai gran parte della serata a fare avanti e indietro tra il bancone e i tavolini. Non avevo neanche tempo per respirare, ero totalmente presa dal lavoro e questo era un lato positivo della serata perché mi permetteva di non pensare allo strano comportamento che Edward aveva avuto quel pomeriggio e di sicuro non sarei stata a pormi mille domande su quale fosse stata la causa del suo mutamento di umore.
Del resto, quando però non si è totalmente attenti si rischia di combinare casini e di conseguenza andai addosso a una persona.
“Scusa”, farfugliai raccogliendo il bloc-notes che mi era caduto dalle mani. Ringraziai il cielo che non stessi portando un vassoio. Dovevo decisamente stare più attenta.
Alzai lo sguardo dalle scarpe rosso col tacco alla ragazza con cui mi ero scontrata. “Tutto bene?”, chiese raccogliendo la penna.
Era davvero carina, indossava un vestito morbido color caffelatte lungo sopra al ginocchio. Dei boccoli castani, quasi biondi, ricadevano sulle sue spalle.
“Sì, grazie”, le risposi. “Scusami ancora per esserti venuta addosso”
“Tranquilla”, mi disse sorridendo e scomparendo in mezzo alla folla.
Era stato uno strano incontro e la ragazza sembrava particolarmente gentile nonostante, probabilmente, le fossi andata addosso come un elefante.
“Maddy, porta questi al tavolo laggiù”, mi disse Mark indicando un divanetto infondo al locale. Sembrava davvero impossibile raggiungerlo.
“Ecco qui le vostre ordinazioni”, disse poggiando dei bicchieri e delle bottiglie sul tavolino. “Edward!”, pronunciai il suo nome sorpresa. Sembrava più rilassato di qualche ora fa.
“Oh ciao”, rispose una voce più delicata. Guardai a chi appartenesse e la proprietaria era proprio la ragazza con cui mi ero scontrata. “Eccoci ancora qui”, sorrise.
“Già!”, risposi imbarazzata.
Cosa ci faceva lui con lei? Erano amici? Si frequentavano? O magari si erano solo seduti vicini ed erano in compagnie diverse?
“Sono 17.25 £”, dissi volendo allontanarmi in più fretta possibile.
“Maddy, puoi dire a Mark di mettere sul mio conto?”, chiese Ed decidendosi di parlare.
“Si”
“Vi conoscete?”, chiese lei curiosa di come conosceva il mio nome. A quanto pare non erano venuti con persone diverse. Non che dovesse importarmi, ma se si vedeva già con qualcuna, non mi spiegavo perché mi aveva invitato quella mattina ad uscire con lui.
“In un certo senso”, risposi.
“Lei è…”, iniziò lui a dire. “Lei è Maddy, cioè Madeline”, rispose correggendosi subito. “E lei è …”
“Alice”, lo anticipò allungandomi la mano sinistra. Non potei fare a meno di vedere una fedina d’oro che decorava il suo anulare. “Sono la sua ragazza”
La situazione che si era creata era alquanto imbarazzante, almeno dal mio punto di vista. Erano bastati pochi secondi di pausa per farmi cadere in panico o probabilmente era stata la sua presentazione. Non mi ero mai realmente soffermata a pensare alla possibilità che Edward avesse una ragazza, tanto meno se mi avrebbe dato fastidio.
In realtà non mi avrebbe dovuto dare fastidio, per giunta non mi avrebbe dovuto condizionare particolarmente, ed eppure le mie emozioni erano totalmente confuse a riguardo. Non riuscivo a capire come l’effetto di quelle parole mi avessero fatto sentire.

Probabilmente il suo invito era stato solo per pura cortesia. Presumibilmente Edward aveva pensato che sarebbe stato carino farmi fare un giro della città, ma non eravamo rimasti a Londra. Mi aveva portata a Brighton, nel suo posto speciale. Allora perché mi trovavo davanti la sua fidanzata?
“Vi conoscete da tanto?”, continuò a chiedere.
“No, direi proprio da no”
“Ci siamo incontrati in aeroporto, avevo preso per sbaglio la sua valigia”
“Quindi non sei di queste parti?”, disse. “Avevo notato il tuo strano accento”
“Sono italiana”
“Deve essere un bel posto, ho sempre desiderato visitare Roma o Venezia”, continuò a dire sorseggiando il suo drink. “Ed, dovremmo andarci prima o poi, non dista poi tanto, giusto?”, chiese rivolgendosi a me.
“Dovrebbe essere un’oretta e mezza di volo”
“Ho sentito dire che la primavera è il periodo perfetto”
“Già”, risposi. “È meglio che torno a lavorare, è stato un piacere Alice”, dissi cercando di allontanarmi in più fretta possibile.
Quella situazione mi aveva scombussolata per davvero. Se prima cercavo in tutti i modi di evitare di pensare a lui, ora non riuscivo a fare a meno. Non riuscivo a spiegarmi quello che era appena successo.

“Mark, ho bisogno di prendere una boccata d’aria, posso uscire?”, gli dissi sorreggendomi al bancone.
“Sei un po’ pallida, stai bene?”
“Ho solo bisogno un po0 di aria…”
Presi la mia giacca e uscii velocemente dal locale. Un getto d’aria fredda mi colpì in pieno viso. Forse mi avrebbe schiarito le idee.
Non so se la temperatura si fosse abbassata di colpo ma decisamente faceva freddo, la mia pelle era percossa dai brividi. Misi le mani in tasca e mi accorsi di avere un pacchetto di sigarette, era mezzo vuoto.
L’ultima che avevo fumato risaliva a qualche settimana fa, prima di partire per Londra. Mi ero promessa che arrivando in questa città avrei decisamente smesso anche con questo vizio ma in quell’istante era così forte la tentazione che non resistetti mandando all’aria la promessa che avevo cercato di mantenere.
“Il fumo fa male non solo a te ma anche a chi ti sta attorno”, mi disse un ragazzo.
“Cerca allora di respirare più che puoi”, lo vidi sorridere nonostante fuori non c’era molta visibilità. “Che ci fai qui?”
“Sono venuto a fare quello che fai te”, disse accendendosi una sigarette.
“Bene!”, risposi sarcastica, non contenta della compagnia.
“In verità sono venuto a vedere se eri arrabbiata”
“Perché dovrei essere arrabbiata?”
“Perché hai conosciuto così Alice”

“E come avrei dovuto conoscerla?”
“Forse avrei dovuto dirtelo”
“E perché? Non mi hai mica invitato ad uscire…”, gli dissi. “No, aspetta! Lo hai fatto!”
“Non pensavo che…”
“Tranquillo, non pensavo che ci volessi provare”
“Mi dispiace che ti sia arrabbiata”
“Non sono arrabbiata!”

“Non sembra”
“Edward!”
“Volevo anche chiederti scusa per come mi sono comportato oggi”
“Lei lo sa che eri con me?”
“Non è importante”
“È la tua fidanzata, è importante!”
“Scusa di nuovo”
“Lo hai già detto”, gli feci notare. "Perché sei venuto qua questa sera?"
"È un buon pub"
"Senti, dovresti rientrare da lei", dissi. "Sono venuta qua per prendere una boccata d'aria, da sola"
"Vuoi che domani verrò da te?"
"Penso che..."
"Fa niente!", rispose scuotendo la testa e gettando a terra la sigaretta.

"Maddy, stai meglio?", chiese Tony sbucando dall'ingresso.
"Sì, ora rientro", dissi ma lui era già uscito.
"Finito qui ti va di andare a bere qualcosa?", mi chiese il ragazzo. Guardai prima Edward e poi lui. "Sempre se ti va", aggiunse alzando le spalle.

"Uhm... Va bene"
"Perfetto", rispose lui sorridendo. "Ehi, Ed", lo salutò prima di tornare all'interno del locale. Mi chiesi se davvero Tony non si fosse accorto che stavo discutendo con Edward o se lo avesse fatto a posta, giusto per salvarmi da quella situazione.
Guardai in faccia Edward. Volevo vedere se gli aveva fatto effetto o almeno se mi avesse detto qualcosa. Ci speravo.
Ma mi maledissi immediatamente per aver fatto quel pensiero. Non doveva importarmi nulla di lui ed eppure stavo a pensare su cosa mi avrebbe potuto dire o quale sarebbe stata la sua reazione. Stavo decisamente diventando una stupida.
"È un bravo ragazzo, molto simpatico, ti divertirai di sicuro"
"Immagino di si"
"Vedo che non ci hai neanche pensato ad un rifiuto?", mi fece notare. "Io ti ho dovuto supplicare"
"Tony è simpatico e tu sei fidanzato"
"Fino a poco fa neanche lo sapevi"
"Perché sei irritante, e io non ti sopporto!"
"Va bene"
"Ottimo", risposi portando le braccia al petto.
"Mi prometti di non fare cavolate?"

"Cosa intendi con cavolate?"
"Non lo so, senti..."
"É meglio che torno a lavorare!", dissi scomparendo dietro all'interno.
Perché quel ragazzo aveva la capacità di farmi arrabbiare come non mai? Non aveva nient'altro da fare che starmi attorno?


_________________________

Spazio dell'autrice :)

Beh, vorrei iniziare col dire un grande 'Grazie' a chi ha letto questa storia e soprattutto a chi l'ha commentata o messa tra i preferiti/seguite. Specialmente vorrei ringraziare ruffjosweed, Ginger Angel e notworthanymore per aver commentato.

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Capitolo 6
*** Chap 6 ***


Chap 6
Quella mattina mi alzai più rilassata che mai, avevo dormito benissimo ed ero riuscita a non pensare a dove diavolo fosse finito Edward in questi giorni. 
Dopo quella sera al locale non si presentò la mattina successiva a casa mia, tanto meno quella seguente. Sembrava essere sparito nel nulla e forse – questa volta – per la volta giusta.
Il non averlo più attorno aveva i suoi lati positivi, mi stressava di meno e soprattutto non avrei più litigato con qualcuno per motivi futili, ma ogni medaglia ha due lati, infatti c’era anche una parte negativa della sua scomparsa. Avere così tanto tempo a disposizione mi faceva riflettere, una cosa che avrei dovuto impedire fin dall’inizio. Pensai a quali fossero realmente le ragioni della sua scomparsa e del perché, quando glielo chiedevo io, non lo faceva.
Lui era quella persona che mi bloccava per diventare una persona migliore. Da quando lo avevo incontrato la mia vita era tornata quella di sempre: perennemente di cattivo umore e con la luna girata, finché non decideva che era ora di tornare a casa sua, e allora tutto tornava a posto. Ma questa volta non sarebbe dovuta andare così, era veramente ora di cambiare, ma ogni volta sembrava non essere mai quella giusta.

La colpa non potevo attribuirla al destino o a Edward. La colpa, del resto, era mia perché non ero ancora riuscita a stare bene con me stessa.
Così decisi di alzarmi dal letto evitando di guardarmi allo specchio. Percorsi il piccolo corridoio e sentii degli strani rumori provenire dal soggiorno. Immediatamente alzai gli occhi per capire chi diavolo stesse facendo tutto quel baccano in casa mia e lo vidi.
Ero totalmente confusa. Cosa ci faceva qui?
"Buongiorno", mi disse sorridendo seduto al tavolo da pranzo. Il suo sorriso sembrava così rilassato, sincero, come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo, ma con che coraggio mi diceva ciò?

Quasi due settimana senza vederlo. Era sparito nel nulla e tutto quello che mi aveva detto era stato solo 'Buongiorno' con il suo solito sorriso che gli avrei volentieri tolto prendendolo a schiaffi.
"Forza, siediti", mi invitò cordialmente vedendomi immobile in mezzo alla sala.
"Cosa ci fai qui?"
"Passavo da queste parti...", rispose alzando le spalle e bevendo una tazza di the fumante. "Avanti, siediti, non vorrai mica farmi fare colazione da solo"
Andai a sedermi al tavolo davanti a lui. Non sapevo cosa pensare.
"Non trovi che oggi sia una bellissima giornata?" , chiese continuando a mangiare. "Londra non è mai stata così soleggiata"
"Come sei entrato?"
"Vuoi del caffè o preferisci del the o una ciotola di latte e cereali?", continuò a dire non togliendo gli occhi dalla sua tazza.
"Edward!", lo richiamai. "Come diamine hai fatto ad entrare?", solo in quel preciso istante alzò i suoi occhi azzurri e li fece incontrare con i miei furiosi. 
"Con le chiavi di scorta che lasci nel porta ombrelli"
"Come diavolo..."
"Sono andato ad intuito"

“E come hai trovato il mio appartamento?”
“Mi vuoi fare il terzo grado?”
“Mi sembra anche ovvio!”
“La signora al piano terra mi ha detto dove abitavi”
"Perché sei entrato?"
"Ho immaginato che stessi dormendo e non volevo svegliarti"
"Potevi passare più tardi o magari scomparire come hai fatto fino adesso"
"Ok, hai ragione!", disse posando la sua tazza di the sul tavolo ma tendendola stretta, come se potesse scappare via da un momento all’altro. "Non dovevo scomparire, non dovevo mandare all'aria l'impegno che mi ero preso con te, non dovevo farti arrabbiare e probabilmente non dovevo portare Alice al locale"

“Per questo non dovresti essere neanche qui”
“Forse...”, rispose alzando le spalle. “Che importanza ha ormai?”
"Come sta?", chiesi cercando di essere il più indifferente possibile.
"Sta bene"
"Sembra simpatica"
"Già", sospirò. “E con Toby come va?”

“Siamo buoni amici”
Tra noi cadde il silenzio più assoluto. Eravamo lì come due buon amici a fare colazione insieme in una splendida giornata di sole a Londra ma non parlavamo. La tensione si poteva tagliare con una piuma. Era tutto così sbagliato, tremendamente sbagliato. Lui non doveva essere qui e io non dovevo parlare con lui. I piani si stavano ribaltando e sapevo che ben presto sarei rimasta ferita semplicemente perché stavo iniziando a fidarmi di lui.

Non mi spiegavo il perché voleva complicarmi la vita,  perché aveva deciso di stravolgermela. Non mi spiegavo il perché non riuscivo ad odiarlo completamente pur avendomi mentito un paio di volte.
"Edward..."
"Oggi potremmo fare qualcosa…", disse contemporaneamente a me.
"Perché sei qui?"
"Te l'ho detto, passavo da queste parti e...", iniziò a dire. "Ok, è vero che passavo per di qui ma è stata una cosa volontaria"
"Cosa intendi?"
"Ieri ho ricevuto una chiamata dal mio agente, hanno anticipato il tour e volevo salutarti"
"Quando parti ?", chiesi alzandomi dalla sedia e iniziando a riordinare. Ultimamente lo facevo spesso per tenermi occupata.
"Domani", disse seguendo ogni mio movimento. “Starò via per molto tempo”
Lo sentii alzarsi e posarsi dietro di me. Percepivo il suo respiro sul collo e le mani sui miei fianchi.
"Quindi tra meno di ventiquattrore…"
"Esatto", mi voltai verso di lui sciogliendomi in quei pezzi di cielo che aveva al posto degli occhi.
"Non giocare con me"
"Maddy non sto giocando"
"Allora cosa stai facendo?"
"Volevo passare un po' di tempo con te prima che me ne andassi"
"Non sono la persona più appropriata...", dissi scivolando via dalla sua presa.
Attraversai il corridoio e andai nella mia stanza da letto, chiudendomi la porta alle spalle. Se fossi stata lì per un po' di tempo magari se ne sarebbe andato stufo di aspettarmi. Magari si sarebbe arreso e mi avrebbe lasciato da parte, come era giusto che fosse.

Aprii la finestra per cambiare aria e mi vestii, indossavo ancora la mia tuta/pigiama. 
Ormai erano passati diversi minuti e restare distesa sul letto faceva perdere la condizione del tempo.

Un po’ ci speravo che Edward se ne fosse andato, ma non era quello che volevo realmente. Una parte di me voleva che fosse ancora di là, in cucina, ad aspettarmi con una videocamera e pronto a dirmi: ‘Sei su Candid Camera! Fai un bel sorriso per chi ti vede da casa!’. Immagino che questo non sarebbe stato possibile, anche perché apparirei come una stupida ragazza che si era fatta prendere in giro da uno stupido ragazzo.
"Maddy...", mi chiamò aprendo leggermente la porta. Vedevo i suoi ciuffi rossi fare capolino.
"Entra..."
Fece dei piccoli passi e in pochi secondi lo vidi disteso di fianco a me con le braccia incrociate dietro alla testa a contemplare il soffitto come stavo facendo io.
"Volevi scappare?"
"Ci avevo pensato, ma sarebbe stato stupito fuggire da casa mia"
"In effetti non avrebbe molto senso"
"Verrà anche lei in tour con te?", chiesi.
"Farà solo due settimane e poi tornerà qui"
"Capisco..."
"Mi mancherai!"
"Edward...", dissi alzandomi dal materasso. Mi sentivo alquanto scomoda e stretta nonostante fossimo ognuno nella propria porzione di letto.
Guardai fuori dalla finestra ma non riuscivo a pensare ad altro. Quelle parole avevano un certo peso soprattutto dette da lui che era fidanzato con una splendida ragazza che probabilmente amava.

Quel ragazzo era entrato nella mia mente senza neanche chiedere permesso e ora la stava rivoluzionando come più gli piaceva. I miei pensieri erano così confusi come un quadro futurista, erano confusi e senza un filo logico. Mi sentivo così stupida.
“Dove vai?”, mi chiese vedendomi uscire dalla stanza.
“Esco”
“Aspetta”, mi rincorse afferrandomi per un braccio. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, tu…”
“Non te ne andare…”, mi chiese con un tono di voce così dolce da far sciogliere anche il più compatto cuore di ghiaccio nell’intero Mondo. Sembrava un cucciolo con quello sguardo implorante e quella vocina così sottile. Mi stavo facendo abbindolare di nuovo da un ragazzo qualunque, ma tra tutti, lui era il migliore!

“Edward, io veramente non capisco….”
“Te ne andrai?”
“Come?”
“Avevi detto che quando le cose andavano male tendevi a scappare, te ne andrai anche questa volta?”, chiese non distogliendo i suoi occhi azzurri dai miei. “Te ne andrai a New York?”
“Non lo so”
“Promettimi che ti ritroverò qui quando tornerò”
“Non credo che sia una buona idea”
“Tu fallo!”
“Edward, non credo che tu sia in una posizione adatta per dirmi quello che devo fare o non fare”
“Hai ragione ma ti chiedo solo questo”, riabbassai lo sguardo incapace di sostenerne il suo. “Sono serio”
“Se ti dico di sì, mi lascerai in pace?”
“Pensavo che avevamo superato questa storia?”
“Forse…”
“Quindi posso intuire che la tua sia una risposta affermativa?”
“Edward…”
“È il mio nome, smettila di ripeterlo”, disse quasi seccato. “Rendi le cose più difficili…”
“Adesso cosa stai dicendo?”, gli chiesi non capendo.
“Sto cercando di dire delle parole giuste, io dovrei essere un maestro nel trovare le parole ma mi sembra così difficile”
“Non capisco qual è il tuo problema”
“Scherzi?”, mi chiese colto all'improvviso. “Ti ho esplicitamente chiesto di aspettarmi e tu non capisci il mio stupido comportamento?”, scosse la testa dandomi le spalle. Si passava una mano tra i capelli scompigliandoseli tutti come se stesse cercando le parole adatta da dire. “Forse dovrei andarmene…”
“Ed!”, lo chiamai.
“Ed?”, ripetette guardandomi di nuovo. “Te ce ne è voluto di tempo!”, rispose sorridendo a quelle due lettere che componevano il suo nome.
“Cosa stavi cercando di dirmi?”, gli chiesi.
Una parte di me aveva capito perfettamente cosa voleva dirmi ma l’altra voleva sentirselo dire chiaramente, voleva esserne sicura prima che iniziasse a realizzare filmini mentali su come la vita potrebbe essere fantastica con lui al suo fianco, ma tutto era solo una futile illusione dove rintanarsi. Nulla di più che pura fantasia!
“Cosa volevi…”, gli richiesi ponendoli di nuovo la domanda, ma non riuscii a concludere la frase. Con due semplici passi si era piazzato davanti a me e le sue calde mani avvolgevano il mio viso così come le sue labbra coprivano le mie.
Tutto in quel preciso istante si fermò. Le auto che sfrecciavano fuori dalla finestra, gli uccellini che cinguettavano, i minuti, i nostri respiri, i battiti del cuore.
Ogni minimo rumore proveniente dall’esterno sembrava come coperto da qualcos’altro di origine sconosciuta. Mi sentivo come in una bolla isolata.
I miei occhi si chiusero e le mie braccia caddero lungo i miei fianchi. Rimasi immobile come impietrita da quel bacio improvviso.
Non restai a pensare a quanto fosse sbagliato baciare Edward tanto meno a quale sarebbero state le conseguenze dopo la sua scomparsa negli Stati Uniti per diversi mesi.
Al momento sembrava esserci solo noi due e in fondo era piacevole, ma c’era sempre la mia parte razionale che prendeva il sopravvento della situazione e avrebbe rovinato tutto.

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