Everything will be okay in the end. If it’s not okay, it’s not the end di Molly182 (/viewuser.php?uid=86999)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap 1 ***
Capitolo 2: *** Chap 2 ***
Capitolo 3: *** Chap 3 ***
Capitolo 4: *** Chap 4 ***
Capitolo 5: *** Chap 5 ***
Capitolo 6: *** Chap 6 ***
Capitolo 1 *** Chap 1 ***
Premessa
Allora, inizio col
dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato
che
facevano piuttosto schifo, ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno
solo
schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo
utilizzato
come protagonista Tom DeLonge (Blink-182, Angels And Airwaves) e ho
pensato: "Perché
non farla su Ed, potrebbe uscire
bene!" e quindi eccomi qui!
Spero che vi possa
piacere.
Chap
1
Un
nuovo viaggio, un nuovo volo, una nuova città e una nuova
casa.
Queste erano
le mie uniche necessità.
Non sono mai
stata una persona che restava a lungo in un posto. Tendevo
a scappare quando era più comodo, prima che i problemi
prendessero il
sopravvento, prima che le delusioni mi cogliessero.
Tendevo sempre a fuggire dalle difficoltà ma
questa volta qualcosa sembrava essere cambiato.
La mia mente
aveva iniziato a pensare in un modo totalmente
diverso, sconosciuto a me stessa, e mi spaventava. Non ero in grado di
gestire
questo cambiamento, anche se da una parte ero curiosa di cosa sarebbe
potuto
capitare.
A volte
bisognava soltanto prendere coraggio e affrontare i rischi
che s’incontravano lungo il proprio percorso.
Io volevo
farlo!
Su quel volo
diretto per Londra mi ero promessa che sarei
diventata una persona migliore, non sarei scappata e avrei vissuto al
meglio la
mia vita, anche se questo avrebbe comportato a un radicale cambiamento.
Socializzare
non era facile, o almeno non con le persone
espansive, come quelle che sembrano avere l’argento vivo
addosso, che
continuano a parlare o che ti fanno mille domande. Sono sempre stata
una
ragazza un po’ riservata, non mi fidavo subito delle persone
e quando questo
accadeva, donavo solo un decino di me.
“Signori
e signore benvenuti a Londra - Gatwick dove sono le ore 10.20
del mattino. Il nostro atterraggio è avvenuto con dieci
minuti in anticipo, v’invitiamo
a ricordarlo nel caso in cui la prossima volta dovessimo essere in
ritardo. Le
condizioni atmosferiche esterne presentano un cielo stranamente sereno,
con temperatura
di 21°. In attesa di ulteriori informazioni vi preghiamo di
rimanere seduti con
le cinture di sicurezza allacciate finché i portelloni non
saranno aperti! Grazie
di aver scelto di volare con noi e non con altre compagnie”,
disse il
comandante di volo con ilarità.
Percorsi il
lungo corridoio che portava al ritiro bagagli e attesi
che il nastro trasportatore iniziasse a funzionare. Se
l’aereo era stato in
anticipo, le valigie di sicuro non lo erano, infatti, impiegarono una
vita
prima che arrivassero.
Se dopo
cinque minuti non le vedevo, tendevo a farmi i complessi
su come avrei fatto a sopravvivere senza i miei effetti personali e
iniziavo a
chiedermi in quale Stato del mondo fosse finita.
Per fortuna
poco dopo la vidi. Non poteva passare
inosservata. Si
trattava di una valigia
arancione, l’avrei vista anche a mille metri di distanza su
una strana offuscata.
Era un pugno nell’occhio, però me
l’aveva regalata mia madre prima che
iniziassi a viaggiare, voleva essere sicura che l’avrei
sempre ritrovata e, in
effetti, aveva ragione.
La valigia si
stava avvicinando, pian piano, lungo il nastro.
Ormai non dovevo temere che fosse stata smarrita in Alaska o in
Madagascar.
Qualcosa
però andò storto. Un ragazzo si era piazzato
davanti a me
e si era preso la mia valigia e se ne stava andando incurante.
“Ehi!”,
gli dissi afferrando per un braccio il ragazzo
incappucciato. “Hai la mia valigia”
“Scusa?”,
chiese voltandosi a vedere quale pazza lo avesse
inseguito, sembrava anche infastidito.
-Ottimo!-
Pensai. - Ci
mancava solo di litigare con uno
sconosciuto in un nuovo paese -“Hai la mia
valigia”, ripetei.
“Non
credo, questa è la mia!”, disse afferrando il
cartellino su
di essa. “Visto? C’è scritto il mio
nome!”
“Non
penso che tu sia una ragazza…”, gli feci notare
che effettivamente
c’era scritto il mio nome. “Vedi?
C’è scritto Madeline Stuart, ti chiami
così?
Non credo?”
“Quindi
non potrei avere un nome da donna?”
“No!”
“E
perché no? Stai insinuando qualcosa?”
“Aspetta?
Stai cercando di accusarmi di discriminazione? Sei tu
quello che ha preso la mia valigia!”.
“Ok,
forse non è così che deve andare”,
disse passandosi una mano
sulla testa facendo cadere il cappuccio della felpa. “Scusa,
sono un po’ distratto,
ho preso tre aerei in due giorni e sto dannatamente soffrendo il jet
lag,
pensavo di essere l’unico con una valigia
arancione”.
“Su
questo sono d’accordo!”
“Sono
Christopher”, disse allungando la mano.
“Non
faresti meglio a prendere il tuo bagaglio?”, gli feci notare
mentre una valigia simile alla mia stava viaggiando sul nastro
trasportatore.
“Aspetta!”
Il ragazzo
corse dietro il bagaglio prendendola in tempo prima che
facesse un secondo giro. Certo che non passava inosservata, sia per il
colore
sia per le dimensioni. Sembrava che il ragazzo fosse stato in giro per
parecchio
tempo.
“Stavamo
dicendo…”, rispose poggiando a terra una sacca
contenente
una chitarra. “Ecco, scusami ancora per
l’errore”
“Va
bene”, dissi sorridendo.
Volevo essere
una persona migliore e non mi sarei arrabbiata per
uno stupido errore. Di sicuro non lo aveva fatto apposta e
com’era possibile
vedere eravamo gli unici due, probabilmente sulla Terra, ad avere una
valigia
di quel colore. “Cose che capitano”
“Tu
però non sei inglese, vero?”, disse
all’improvviso.
“Il
mio accento è così pessimo?”
“Non
tanto”, scherzò. Era strano come mi ero ritrovata
a parlare con un ragazzo,
che neanche conoscevo, nel bel mezzo dell’aeroporto.
“Da dove vieni?”
“Italia”
“Non
è distante”
“Esatto”
“E
cosa ci fai qui? Sei da sola? Con amici?”
“Quante
domande”
“Scusa,
non lo faccio apposta…”
“Comunque
sono qui da sola”
“Quindi
sei qui in vacanza… da sola?”
“Diciamo
che spero di restare”
“Magari
un giorno mi racconterai”, mi rispose sorridendo.
“Se vuoi,
posso mostrarti la città”
“Non
ce n’è bisogno, grazie”
“Mi
piace fare da cicerone”
“Non
vorrei essere scortese ma sono appena arrivata, devo ancora trovare un
posto dove alloggiare e un lavoro e poi immagino che tu sia stanco,
quindi…”.
“L’ho
rifatto, scusa, di solito non parlo così tanto è
solo che
non posso farne a meno e forse devo anche smettere di chiedere scusa,
mi sento
un totale cretino”, continuò a dire passandosi
nervosamente una mano tra i
capelli.
“Forse
è meglio che vada”, dissi afferrando la maniglia
del mio
bagaglio. “Ci sono tante cose da fare e come dicono i The
Clash: «London Calling»”
“Citazione
interessante”
“È
una magnifica canzone”
“London calling at the top of the dial after all
this, won't you give me
a smile?”
“Dovremmo
continuare a citare la canzone?”, domandai ridendo.
“Come
risposta potrei chiederti «Should i
stare or should i go?»”
“In
questo caso penso che dovresti andare”, dissi portandomi
dietro all’orecchio una ciocca di capelli che mi era caduta
sul viso.
“Va
bene”, disse infine sollevando la sua chitarra e mettendosela
in spalla. “Senti, ti lascio il mio numero in caso che tu
abbia bisogno di
qualcosa o che ne so, magari hai voglia di fare due chiacchiere e visto
che sei
appena arrivata e non conosci nessuno, sai che c’è
qualcuno su cui contare”,
dichiarò scrivendo con un pennarello nero dei numeri sul suo
biglietto aereo.
“Potresti
essere un maniaco, come faccio a fidarmi di te?”
“Penso
che il fatto che tu stia ancora qui a parlare con me non te
lo faccia pensare sul serio, e poi sono troppo carino e adorabile per
essere un
maniaco”
“E
sei anche poco modesto”
“Ho
il mio fascino, lo ammetto!”
“Vedo
che non ti arrendi”
“Diciamo
che se sarei stato un vero maniaco saresti già stata
soddisfatta, aspetta… io sarei stato già
soddisfatto, ma solo se fossi un
maniaco”, iniziò a farfugliare. “Non
dico che non sono attratto da te, cioè sei
una bella ragazza, ma non penso che tu ti possa interessare a me
e… beh forse è
meglio che sto zitto”, ribadì portarsi la felpa
sopra la bocca.
“Come
maniaco saresti pessimo”, dissi ridendo.
“Spero
di rivederti”
“Lascerò
decidere al destino”
“Ci
si vede Maddy”, mi salutò mentre si allontanava
con la sua
valigia arancione.
E fu
così che rimasi da sola. Non mi dispiaceva per niente,
questo
perché quel ragazzo aveva suscitato in me una strana
curiosità, ma non lo avrei
chiamato, non se ne avessi avuto davvero bisogno.
Ancora non
riuscivo a mettere da parte il mio orgoglio, anche se speravo
che questo pian piano svanisse magicamente nel nulla in un enorme puff
come
quello che si vedono sempre nei cartoni.
La cosa buffa
era che appena atterrata a Londra ero partita col
presupposto di fare tante cose eppure ora mi sentivo un po’
disorientata. Non
sapevo da dove partire, cosa fare e dove
andare.
Mi lasciai
guidare dalle insegne e mi trovai alla stazione che mi
avrebbe portato a Victoria e da lì sarebbe iniziata la mia
nuova avventura.
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Capitolo 2 *** Chap 2 ***
Chap
2
Mettere
piede in una nuova città faceva sempre uno strano effetto.
Avevo lo stomaco in subbuglio e la mia mente iniziava a viaggiare, a
pensare
cosa avrei potuto fare e vedere, da dove avrei dovuto iniziare.
Salire
le scale della metropolitana non era stato per nulla
facile, soprattutto per via della valigia e delle persone che
continuavano a
passarmi di fianco pur essendo le 11.30.
La
luce mi colpì in pieno viso e con pochi passi mi trovai sul
marciapiede.
Fu in
quel preciso istante, mentre mi guardai attorno, che capii che
quello era il posto dove era giusto che fossi. Non era mai stato
così chiaro,
Londra era perfetta. Era la mia città e ci avevo impiegato
così tanto per
accorgermene.
Era
come se lo sapessi da parecchio tempo e avessi fatto di tutto
per evitarlo, ma era proprio così e mi sentivo sollevata.
Tutto
mi fu chiaro!
La
prima cosa che avrei dovuto fare non era quella di cercare un
albergo dove alloggiare, ma bensì una casa. Se i tanti
lavori che mi ero
ritrovata a fare mi avevano fatto mettere da parte un po’ di
soldi, era grazie
a questo motivo.
Chiesi
informazione su un’agenzia immobiliare nei paraggi e seguii
le indicazioni che mi diedero. Mi ci volle un po’ per
trovarla ma poi una
grande insegna blu con delle scritte bianche erano comparse davanti a
me e mi
fiondai subito all’interno.
Posai
la valigia in un angolo e mi sedetti su delle poltrone dello
stesso colore dell’insegna.
“Salve,
posso esserle d’aiuto?”, mi chiese poi una signora
bionda
avvicinandosi a me.
“Vorrei
compare una casa”
“Certo,
mi segua”, disse mentre mi conduceva alla sua postazione.
“Aveva in mente qualcosa?”
“In
verità sono appena arrivata, non ho preferenze particolari,
m’interessava
per lo più un appartamento che non costava tanto e che
beh… senza vicini che
potrebbero accoltellarmi nel cuore della notte”, dissi
abbozzando un sorriso.
“Non
si preoccupi”, mi rassicurò sorridendo anche lei e
tirò fuori
un quadernone ad anelli e lo iniziò a sfogliare.
“Ora cerchiamo qualcosa di
adeguato…”
“Grazie”
“Ecco”,
disse dopo qualche minuto. “Ci sono un paio di appartamenti
che potrebbero interessarle, se non ha impegni, potremmo andare adesso
a darli
un’occhiata”
“Sarebbe
magnifico”
“Mi
segue con la macchina?”
“In
verità sono a piedi”
“Allora
non c’è problema, la porto io”, disse
continuando a
sorridere.
Mi
chiedevo chi avesse messo in giro la storia che gli inglesi
erano sgarbati, al contrario erano tutti pronti a darti una mano.
“Se
vuole la valigia, può metterla in macchina”
“Grazie”,
le dissi seguendola.
Visitammo
due appartamenti diversi, ma solo al terzo m’innamorai
di quella casa.
“Non
si tratta di un vero e proprio appartamento, è
più come un
loft ma è abbastanza spazioso. Purtroppo si trova in una
zona un po’ trafficata
e questo comporta a un aumento del prezzo, però non ha
l’ascensore e visto che
si trova al secondo piano, il prezzo è ragionevole,
verrebbero 600 £ al mese”,
mi spiegò mentre scendevamo dall’auto parcheggiata.
“È
un bel posto”, dissi guardandomi attorno.
“Bayswater
lo è davvero, hai vicino Queensway, una strada dove
trovi di tutto, dai supermercati ai ristoranti ai pub e anche al
negozio di
antiquariato, poi c’è vicino la metropolitana e
Hyde Park e, per di più, a
pochi minuti a piedi, trovi il quartiere di Notting Hill, sai,
dov’è stato
girato il film con Hugh Grant…”,
m’illustrò mentre salivamo le scale.
“E
c’è anche la stessa libreria?”
“Certo”,
mi rispose. “È una meta
d’obbligo”, disse ridendo.
“Eccoci”, dichiarò fermandosi davanti a
una porta.
Varcai
la soglia e mi trovai nel bel mezzo del salotto e della
cucina divisa soltanto da un piccolo muro che faceva da ripiano. La
fortuna
sembrava assistermi, la casa era già arredata. Il salotto
era composta da due
divani e un tavolino al centro posizionato davanti a una tv appesa ad
un muro
dove erano lasciati visibili i mattoni rossi.
“Come
ti avevo detto, non è molto grande…”
“No,
è perfetta”, le risposi cercando di memorizzare
ogni angolo
della stanza.
“Allora,
di là c’è il bagno”, mi disse
indicando una porta. “E qui
la terrazza, anche se è un semplice balcone”, mi
mostrò spostando la tenda da
un lato.
“Davvero
nessuno l’ha ancora comprata?”
“Il
proprietario l’ha messa in vendita da poco quindi non molte
persone l’hanno ancora vista e per lo più cercano
appartamenti grandi, dove
poter vivere con la propria famiglia”
“Capisco…”
“Il
proprietario è passato a vita migliore e non vedeva
l’ora di
vendere quest’appartamento”
“Vita migliore? È per caso
mo…”, iniziai a dire ma m’interruppe.
“Oh
no”, rispose ridendo. “Si era stancato
dell’umidità che non
faceva per lui e quindi si è trasferito, dove la pioggia non
lo avrebbe potuto
raggiungere”, tirai un sospiro. “Diceva che:
«il tempo di Londra cambiava come
l’umore di una donna con le
mestruazioni»”, rise.
“E
davvero non ci sono vicini assassini o spacciatori di droga?”
“A meno che la signora di fianco gestisca un bordello, penso
che tu sia salva
da possibili attentati nel bel mezzo della notte”
“Questo
mi rassicura”
“Mi
stavo dimenticando, ti mostro la stanza da letto”, mi
condusse
lungo un breve corridoio che terminava con una porta bianca. La ragazza
la aprì
e davanti a me trovai una vetrata coperta da delle leggere tende
bianche e un
letto rivestito da un vaporoso piumino dello stesso colore.
L’armadio era
collocato al lato opposto della parte e di fronte a esso erano disposti
una
cassettiera e uno specchio, uno di quelli che ti facevano vedere per
intero.
“È
piccola, lo so…”
“Va
bene”, risposi sorridendo. “La prendo!”
“Ne
è sicura?”
“Mai stata più sicura di
così!”, le dissi fiera della mia scelta.
“Quando
posso…”
“Anche da subito, la casa è già libera
quindi non vedo nessun tipo di problema.
Se ci sediamo un attimo, ti faccio firmare le carte”, disse
tornando verso il
soggiorno.
Dispose
del foglio sul tavolo e iniziò a compilarli.
“Metti
una firma qui”, disse indicandomi una riga nera. “E
un’altra qui… Aspetta, anche qui.
Perfetto!”, dichiarò infine. “Benvenuta
nella
tua nuova casa, hai bisogno con il bagaglio?”
“Tranquilla,
ce la posso fare”
“Posso
chiederti una cosa? Immagino che tu non abbia più di ventuno
anni…”
“Ne
ho diciannove”, le dissi ascoltandola attentamente.
“Mi
chiedevo come mai una ragazza di diciannove anni avesse deciso
di trasferirsi a Londra e comprare subito casa?”
“Le
posso dire la verità?”
“Dammi
pure del tu”
“Ti
sei mai svegliata una mattina e hai pensato: «Non
voglio più stare qui, questo non è il
mio posto!»? Ecco, a me è capitato, non
riuscivo più a stare in Italia e
visto che avevo finito gli studi e avevo un po’ di soldi da
parte ho deciso di
intraprendere quest’avventura, perché è
così. Sto partendo da zero, sto
cercando di ricominciare e di essere una persona migliore e ho pensato
che
questa città mi avrebbe aiutato. Non sono così
lontano di casa eppure posso
avere la mia indipendenza e ragionare con la mia testa”, le
raccontai. “Lo so,
è un po’ contorto e immaturo per la mia
età, ma…”
“Hai ragione”, mi sorprese. “Penso che
sia difficile vivere in un posto a cui
non ci si sente legati, io per esempio amo Londra, mi sono traferita
qui quando
avevo venticinque anni. Abbandonare gli amici, la famiglia e tutto il
resto è
davvero difficile ma a volte è la cosa migliore da
fare”
“Già…”
“Scusami
se sono stata invadente, ma mi hai incuriosito, sei
determinata per la tua età”
“Grazie”
“Beh,
queste sono le chiavi”, disse poi porgendomi il mazzo.
“Divertiti e buona fortuna”
“Grazie
ancora”, la ringraziai. In fondo la mia nuova vita non
stava iniziando affatto male. “Aspetta, ho la valigia nella
tua macchina”,
dichiarai accompagnandola giù per le scale.
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Capitolo 3 *** Chap 3 ***
Chap
3
Quando
mi svegliai, dei deboli raggio di
sole irruppero nella stanza. Mi girai dal lato opposto della finestra
ma mi
svegliai immediatamente. Avrei voluto passare la giornata a letto ma
ero in una
città nuova, non dovevo passare la giornata a gironzolare
per casa senza fare
niente.
Dovevo
assolutamente fare qualcosa!
Mi
alzai dal letto e scostai la tenda
bianca facendo entrare più luce possibile nella stanza. Era
davvero una bella
giornata.
Feci
colazione e uscii velocemente di
casa. Mi ero promessa di trovare un lavoro e lo avrei dovuto trovare a
tutti i
costi.
Girai
per il quartiere e solo nel pomeriggio
m’inoltrai verso il centro.
Feci
domanda a vari negozi, supermercati
e bar ma non cercavano personale o almeno non volevano assumere una
ragazza
così giovane con poca esperienza. Era il solito
cliché. Avevo
deciso di rinunciare per quel giorno finché non mi sedetti
su una panchina e un
cartello attirò la mia attenzione.
Entrai di corsa nel locale. Si trattava di un pub, non molto illuminato
con
delle lampade antiche che scendevano dal soffitto. Un grande bancone di
legno
con numerosi sgabelli si trovava vicino all'ingresso e di fronte, alla
parete
opposta, una sottospecie di palco che consisteva in una pedana nera con
dei
tappeti e degli sgabelli.
Alle pareti restanti erano disposti alcuni divanetti rossi e delle
poltrone abbinate
attorno a dei tavolini. Mi ricordava molto un pub, dove ero stata
quando ero
ancora in Italia.
"Salve", dissi avvicinandomi al bancone.
"Posso esserle utile?", mi chiese un uomo sulla quarantina intento a
pulire dei boccali.
"State ancora cercando personale?", chiesi speranzosa. "La prego,
mi dica di si"
"Non sei un po' troppo giovane per lavorare in un pub?"
"Penso di essere abbastanza grande da poter lavorare", gli risposi
alzando le spalle. Ero pronta all'ennesimo rifiuto.
"Non è facile lavorare qui, soprattutto quando
c'è qualche musicista che
viene a suonare"
"Ottimo, io amo la musica"
"E buona pazienza?"
"Ho vissuto con due sorelle minori per tredici anni, penso di sapere
cosa significhi
avere pazienza", dissi ridendo.
"Sembri davvero interessata a questo lavoro e non capisco
perché…"
"Vorrei fare qualcosa di utile nella mia vita, sono stanca di sentirmi
una
fallita e ho pensato che se avessi trovato un lavoro questa sensazione
sarebbe
svanita pian piano, sto cercando di scrivere la mia storia, di
comportarmi
finalmente da ragazza indipendente e penso che questo sia un inizio. Mi
sono
trasferita da poco, diciamo da due giorni, forse sto facendo le cose
troppo di
fretta ma mi sono resa conto troppo tardi che diciannove anni di vita
entravano
perfettamente in una valigia e uno zaino e mi sono chiesta se questo
fosse
giusto. Mi sono chiesta dove avevo lasciato il resto della mia vita ma
sono una
stupida e sono qui ad annoiarla con la mia inutile vita, immagino che
neanche
lei voglia assumermi…", dissi infine scendendo dallo
sgabello e
raccogliendo la mia borsa. "Può dirmi che non assume gente
così giovane, è
quello che mi hanno già detto altre quattro persone"
"Stai per caso cercando di farmi pena?", chiese l'uomo abbozzato un
sorriso.
"Funziona?"
"In parte sì ma non so, sei un tipo forte e ti voglio
mettere alla
prova"
"Sul serio?", chiesi tornando a sedermi.
"Perché no?", disse alzando le spalle. "Potresti iniziare
col
prendere le ordinazioni e servire ai tavoli, immagino che non hai
domestichezza
dietro al bancone, vero?"
"Ho visto 'Cocktail' e 'Le ragazze del Coyote Ugly' tre volte,
può andare?",
dissi scherzando.
"Penso che i balletti li lasciamo ai night club, intanto potremmo
iniziare
a insegnarti qualcosa", disse ridendo. "Lory ti darà una
mano"
"Grazie mille"
"Aspetta, almeno hai l'età per lavorale?"
"Ho diciannove anni, quasi venti"
"Ne sei sicura?"
"Sta per caso dubitando soltanto perché sono bassa?"
"Hai un bel caratterino", rispose ridendo. "Comunque io sono
Mark e sarò il tuo boss", disse porgendo la mano e io gliela
strinse.
"Madeline"
"Bene Madeline, se non hai impegni potresti cominciare da domani
pomeriggio, se vieni un po' prima ti faccio conoscere Toby e Lory,
così puoi
iniziare ad ambientarti"
"Perfetto!", dissi scendendo di nuovo dallo sgabello. "A
domani"
Ancora non ci credevo, stava andando tutto fin troppo bene. Avevo
trovato una
casa e ora un lavoro, mi sorprendeva come la mia vita fosse migliorata
spostandomi soltanto di qualche chilometro. Ok, forse erano
più di qualche
chilometro, diciamo che c’erano un po’ di montagne
e una bella pozza d’acqua di
mezzo, ma erano dettagli, giusto?
Avevo
lasciato il locale che erano le sei
del pomeriggio, mi sarei dovuta affrettare a tornare a casa prima che
facesse
totalmente buio e dovevo ancora imparare le linee dei mezzi da
prendere, ma lo
avrei fatto la mattina successiva, ora volevo godermi questa
città.
Tornai
a casa distrutta tanto che appena
misi piede all’interno dell’abitazione, crollai sul
divano e mi svegliai
soltanto la mattina dopo con un enorme torcicollo.
Non
passarono molte ore dopo il mio
risveglio. Alle tre ero già fuori casa diretta al locale. Mi
ero informata sui
vari mezzi da dover prendere e con grande fortuna esisteva una fermata
della
metro a pochi metri dal locale.
"Buongiorno", salutai varcando la soglia.
"Buongiorno, cosa posso offrirti?", mi chiese una ragazza bionda da
dietro il bancone.
"Ciao Madeline", disse Mark comparendo da dietro una porta.
"Tu devi essere quella nuova?!", dichiarò poi un ragazzo
sbucando da
dietro una console.
"Piacere, sono Maddy"
"Ciao io sono Loren ma puoi chiamarmi Lory", disse la ragazza
allungando la mano verso di me.
"Toby", ribadì il ragazzo facendo lo stesso. "Tu non sei
inglese!", annunciò poi.
"Sono italiana"
"Forte, ti sei già acquistata il tuo primo soprannome!"
"Sarebbe?", chiesi.
"Tony lasciala in pace!", intervenne la ragazza.
"Italia"
"È orrendo, Toby!", gli fece notare Mark. "Ascolta Lory e
non
iniziare ad assillare Madeline"
"Allora ti chiameremo Maddy", disse poi.
Questo soprannome era già più accettabile,
infondo era già il mio soprannome ma
lo lasciavo usare soltanto a delle persone a me care. Non mi piaceva
che ci
fosse tutta quella confidenza ma questi ragazzi avranno avuto
sì e no
venticinque anni, erano miei coetanei.
Perché non avrebbero potuto chiamarmi così?
"Allora
iniziamo subito", disse
Mark facendomi sedere su uno sgabello. "Questa sera sarà
abbastanza
incasinata, voglio essere sincero: non sarà facile!", voleva per caso spaventarmi? "Ci saranno
molte persone per via
del live. Quasi ogni venerdì organizziamo delle serate dove
alcuni artisti si
possono esibire e il pubblico può venire ad ascoltarli senza
pagare l'ingresso.
Sono delle sottospecie di live session oppure vengono a presentare il
loro
nuovo album e cose del genere, hai presente?", annuii. "Bene, quindi
ti sto solo dicendo di stare attenta. Dovrai continuare a fare avanti e
indietro tra i tavoli. I tuoi compiti saranno di prendere le
ordinazioni e
portarle ai tavoli giusti, mi raccomando, e anche quello di raccogliere
i
bicchieri vuoti, tutto chiaro?"
"Chiarissimo"
"Perfetto", ripeté battendomi il pugno. "Io sarò
qui dietro con
Lory mentre Tony starà alla console e poi ti darà
una mano, dovrai resistere
per un'oretta e mezza, massimo due"
"Va bene", ero pronta!
"L'ospite di stasera è piuttosto conosciuto qui, ormai
è di famiglia, credo
che abbia qualche anno più di te, si chiama Edward Sheeran"
"Non l’ho mai sentito…", dissi
dispiaciuta.
"Non importa, lo vedrai stasera, dovrai farci l’abitudine
è sempre qui,
non riusciamo più a togliercelo dai piedi",
scherzò. “Ma è un bravo
ragazzo”
Sembrava bello lavorare in quel posto, avrei ascoltato buona musica,
avrei
imparato qualcosa e i miei 'colleghi' e il mio capo sembravano
simpatici. Era
davvero un bell’ambiente.
Il pomeriggio passò fin troppo in fretta, anche se non
c'erano state numerose
persone con cui provare i miei nuovi compiti.
Alle
nove e mezza
sarebbe iniziato lo show e l'artista si sarebbe presentato tra poco per
fare il
soundcheck per la serata. Da una parte ero curiosa di
ascoltare quel
ragazzo. Mark ne aveva parlato in un modo talmente dolce che sembrava
che fosse
suo figlio. Era davvero fiero di quel ragazzo.
Mentre chiacchieravo
con Lory era entrata
nel locale una figura incappucciato. Qualche ciuffo rosso usciva dal
cappuccio
e i suoi occhi erano coperti da un paio di occhiali da sole, nonostante
fuori non
ci fosse per nulla il sole.
"Edward!", annunciò Mark quando il ragazzo varcò
la soglia con una
chitarra sulle spalle.
"Ehi Mark!", lo salutò facendo scontrare i loro pugni.
"È un piacere vederti"
"Sono tornato da poco dall’America, è stato
spettacolare, Example
è un
fottuto genio!"
"Pensavamo di mandare i soccorsi, sembravi sparito"
"Ho avuto problemi con l'aereo, ho costatato che non so prenotare un
volo su
internet"
"Quindi..."
"Ho preso tre aerei per raggiungere Londra", spiegò
appoggiando la
chitarra a terra. "Ho passato tutto mercoledì e
giovedì a dormire per via del
jet lag"
"Oh Edward a volte mi chiedo se tu non sia più vecchio di me"
"Probabilmente, sono arzillo come un ottantenne", scherzò
lui.
"A proposito di chi è più giovane, ti presento la
nostra new entry, si
chiama Madeline", disse indicandomi. "Maddy vieni qua".
"Ti conosco!", esclamò il ragazzo appena mi vide.
"Ancora tu?", dissi incredula. Pensavo di essermi liberata di quel
ragazzo all’aeroporto.
"Vi conoscete?", chiese l'uomo.
"Una sottospecie, Cristopher mi ha rubato la valigia qualche giorno
fa", dissi.
"Cristopher?", domandò.
"Lui", lo indicai. "All'aeroporto"
"Sicura che sia lui?", mi chiese ancora.
"Sì, certo, mi ha detto di chiamarsi Cristopher", dissi
ingenua. “Ha
anche la stessa faccia da prendere a schiaffi”
"E tu sei Maddy", intervenne il ragazzo.
"Madeline", gli risposi scocciata portandomi le braccia al petto.
"Quindi quello non è il tuo vero nome..."
"Ho detto una piccola bugia"
"Bene…"
"Vi lascio parlare", dichiarò Mark vedendo che tirava una
strana
aria. "Mi trovate in ufficio"
"Ti sei arrabbiata?"
"Perché mai dovrei arrabbiarmi? Neanche ci conosciamo"
"Maddy, suvvia"
"Maddy mi chiamano solo gli amici e tu non sei mio amico"
"Ora tieni il muso?"
"Non so come riesci a stare simpatico a Mark ma sei irritante,
lasciatelo
dire"
“Non mi sembrava che in aeroporto ti desse
fastidio…”
“Pensavo di
non vederti più”
"Comunque sono Edward
ma puoi
chiamarmi Ed"
"Se mai avrò bisogno..."
"Scommetto che lo farai, fidati"
"Speraci...", dissi voltandomi per andare dietro al bancone.
Mi chiedevo come era
possibile che quel
ragazzo mi fosse stato simpatico in un primo momento. Ora invece
m’irritava,
anche se forse era colpa mia… No! Non era colpa mia! Mi
aveva mentito, ma non
dovevo prendermela tanto. In fondo era uno sconosciuto e lui poteva
fare quello
che voleva. Non doveva dirmi per forza il suo vero nome. Eppure mi
aveva dato
fastidio.
"Che c'è?"
"Niente"
"Perché mi fissi?"
"Non ti sto fissando"
"Non dovresti fare delle prove?"
"Non ne ho bisogno, possiamo parlare un po’…",
disse sedendosi sullo
sgabello davanti a me.
"Penso che dovresti fare qualcos'altro"
"Lory, ti do fastidio se resto qui?", chiese il ragazzo.
"Per me potresti anche venire dietro al bancone a servire, avrei almeno
un
po' di pausa"
"Sei la solita sfaticata"
"Senti chi parla", disse lei tirandogli una nocciolina addosso.
"Come vi conoscete voi due?"
"É una storia davvero buffa...", iniziò il
ragazzo.
"In verità non ci conosciamo affatto, ci siamo scontrati per
caso, tutto
qui"
"Oh beh, non puoi mai sapere chi incontrerai un giorno... ci sono
persone
che così hanno migliorato la loro vita, si sono fidanzate,
poi sposate e hanno
avuto figli…"
"E poi ci sono io che ho incontrato Cristop... Edward"
"Poteva capitarti di peggio"
"O magari meglio, un bel Tom DeLonge sarebbe stato perfetto"
"A Londra?", chiese lei.
"Hai ragione, avrei più probabilità di trovare
Mark Hoppus", dissi
ridendo.
"Suvvia, non è poi così terribile aver incontrato
me", intervenne
lui.
"Sei solo il ragazzo più irritante sulla faccia della terra"
“Almeno mi
pensi”
“Io…”
"Ed, qui è tutto pronto, tra poco il locale si
riempirà e tu devi ancora
accordare la chitarra", lo informò Toby dal fondo del locale.
“Devo andare, il lavoro mi tocca”, disse
enfatizzando la frase con un gesto
della sua mano. “A più tardi fanciulle”
“Certo che
è un bel tipo”, affermò Lory
mentre il ragazzo di allontanava.
“Come?”
“Ed…”, rispose. “È
carino, ha la tua età e sembra esserci
confidenza…”
“Oh no,
assolutamente no!”, contestai.
“Non esiste!”
“Perché?”
“Perché,
dico, lo hai visto? Non penso di
poterlo sopportare, parla sempre, è troppo
espansivo…”
“Che
c’è di male in questo?”
“Io tendo a stare alla larga da persone del genere”
“Penso che
Edward non sia una persona
cattiva”
“Non dico
questo, immagino che rubarmi la
valigia sia stato solo un errore, ma persone come lui mi spaventano,
cioè hanno
sempre qualcosa da dire mentre io preferisco restare in silenzio ad
ascoltare, m’intimoriscono…”
“Magari
dopo mi racconti cosa voleva fare
Ed con la tua valigia…”, disse ridendo cercando di
cambiare discorso. Era
riuscita a capire che volevo evitare quell’argomento.
“Già,
forse, dopo…”, dichiarai guardano
verso di lui.
Edward
alzò la testa nello stesso istante
in cui lo guardai, e puntualmente i nostri occhi
s’incontrarono e mi sorrise.
Erano le persone come
lui che mi mettevano
davvero a disagio. Erano sempre così sorridenti, sembrava
che andasse tutto
bene finché si restava insieme a loro, ma poi ci si
ritrovava da soli e tutto era
così triste, scuro, grigio. Non esistevano più
sfumature ma soltanto un unico
colore che ti divorava all’interno e la sensazione di
nostalgia verso quelle
persone che riuscivano a cambiarti la giornata, che ti facevano
sembrare la
vita meno schifosa del solito.
E sapevo che ci sarei
ricascata, mi sarei
lasciata trasportare dalla sua positività se solo mi fossi
lasciata avvicinare
e avessi dato retta ad ogni sguardo che mi mandava mentre cantava.
Il fatto che fosse un
bravo musicista
rendeva ancora più difficile la cosa.
"Posso darti una
mano?" , mi
chiese Edward seguendomi per i tavoli.
Aveva finito il suo
piccolo show e dopo
qualche bicchiere di birra fresca era tornato all’attacco per
infastidirmi
cercando di essere gentile.
"Sto lavorando, lasciami in pace"
"Penso che tu abbia bisogno di una mano"
"Ce la posso fare"
"Dammi!", disse prendendo il vassoio che tenevo in mano. "Ecco
le due birre e la coca cola che avete ordinato"
"Edward!", lo richiamai.
"Che c'è ?", chiese.
"Perché lo fai?"
"Sembrava che tu avessi bisogno di una mano"
"Non ce ne era bisogno"
"Perché ti da fastidio che ti possa aiutare?", disse ora
raccogliendo
i bicchieri da un altro tavolo che era appena stato lasciato vuoto.
Pian piano
la gente se ne stava andando e l’orario di chiusura si stava
avvicinando.
"Non lo so, forse perché è il mio lavoro e tu lo
stai facendo per me"
"A Mark non dispiace, a volte do una mano anche a Lory e lei non si
lamenta"
"Allora puoi andare da lei", dissi esasperata.
"Pensi che sia un peso stare con te?"
"Penso che tu abbia di meglio da fare che stare qui con me"
"Penso che tu pensi troppo"
"Non dovresti tornare a casa?"
"Sono grande abbastanza da poter stare fuori la notte, non credi?",
mi rispose. "Tu piuttosto..."
"Cosa?"
"Quanti anni hai?"
“Non
è importante…”
“Maddy!”
"Diciannovenne"
"Sei giovane, cosa ci fai a Londra da sola?", alzai le spalle senza
dargli una risposta. "Va bene, forse un giorno me lo dirai…"
"Come sarebbe «un giorno»?", chiesi guardandolo.
"Pensi che sia finita qui?"
"Ci speravo..."
"Sarebbe stato troppo bello, non credi?"
"Lo immaginavo",
dissi sospirando.
"Hai già fatto un tour per la città?"
"Non ne ho ancora avuto tempo..."
"La mia proposta è ancora disponibile..."
"Grazie, ma penso che..."
"Non ti fidi di me?"
"Non mi fido delle persone in generale..."
"Potresti cambiare idea"
"Potrei ma al momento sto bene cosi"
"Davvero?"
"Stai cercando di analizzarmi?"
"Sto cercando di capire che persona sei"
"Lascia perdere...", dissi. "Ora è meglio che torno a casa"
"Ti posso accompagnare, immagino che tu non abbia una macchina e non
posso
farti prendere i mezzi a quest'ora"
"Non ti devi disturbare"
"Non lo è"
“Va
bene”, gli risposi spazientita. Se era
l’unico modo per allontanarlo mi sarei sacrificata molto
volentieri. Salutai
tutti e mi recai fuori dal locale con lui.
Scossi la testa
quando Lory mi fece
l’occhiolino e alzò il suo pollice come segno di
approvazione appena mi vide
uscire con lui.
Davvero
credeva che
sarebbe successo qualcosa?
Ed p.o.v.
Da quando eravamo usciti dal locale si era chiusa in se stessa, si
limitava a
guardare distratta fuori dal finestrino e mi chiedevo a cosa stesse
pensando.
Cosa la teneva così occupata da neanche parlare.
Non adoravo tutto quel silenzio, ma a lei sembrava piacere e volevo
farla
sentire a suo agio forse perché l’avevo tormentata
per tutta la serata standole
sempre intorno pure quando mi ripeteva di levarmi dalle scatole. Eppure
non lo
facevo, ma questo perché non ci riuscivo. Non riuscivo a non
comportarmi da
stupido e probabilmente l’avevo messa a disagio standole
così vicino ma
suscitava in me una stupida sindrome da crocerossino e volevo darle una
mano,
anche se sapevo che ce l’avrebbe fatta benissimo da sola
senza il mio aiuto.
La vedevo durante la sessione acustica mentre sorrideva per chiedere a
degli
sconosciuti cosa volessero che li portasse e mi sarebbe piaciuto
ricevere anche
un solo sorriso ed invece, con la coda dell’occhio vedevo che
la sua bocca era
chiusa, ben lontana da un sorriso.
Era così distaccata rispetto alla realtà che la
circondava.
“A cosa pensi?”, le chiesi rompendo
quell’irritante silenzio.
“Come?”, mi rispose voltandosi verso di me.
“Sembri piuttosto pensierosa…”
“Oh… si…
già…”
“Vuoi parlarne?”
“Penso di no”
“Va bene”, dissi facendo cadere la conversazione.
“Non mi hai più chiamato per
quel…”
“Non ne ho avuto il tempo, scusa”
“Perché ti scusi? Non eri obbligata a
farlo…”
“Giusto…”
“Quindi, se cambi idea o hai voglia di compagnia, sai dove
trovarmi”
“Grazie”, disse per poi tornare di nuovo a guardare
fuori.
Neanche questa volta ero riuscito a farla sorridere. Mi chiedevo come
mai fosse
così diversa da tutte le ragazze, probabilmente era questa
sua caratteristica
che mi spingeva a conoscerla, ma sembrava che più mi
avvicinavo e più lei si ritraeva.
Ormai eravamo quasi sotto casa sua, la discussione sarebbe morta
lì. L’avrei
vista scomparire dietro al portone e la faccenda si sarebbe chiusa
lì, ma forse
era meglio che io tornassi a casa dove era giusto che fossi, e non in
macchina
con lei.
“Perché sei così gentile con
me?”, mi chiese all’improvviso sorprendendomi. Mi
ero fermato sotto casa sua e lei si ero voltata a guardarmi con i suoi
occhi
verdi.
“Perché non dovrei essere gentile?”, le
risposi con tutta la naturalità
possibile. “Non mi hai fatto nulla di male”
“Ti ho continuato a risponderti e a ripeterti di levarti
dalle palle, sono
stata sgarbata e tu mi stai riaccompagnando a casa e ti preoccupi se
sono
pensierosa”, disse. “Non dovresti”
“Non sei una persona cattiva”
“Se avessi bisogno di chiamarti, saresti disposto ad
ascoltarmi, anche se ti telefono
alle quattro del mattino?”
“Penso di sì, non ti posso promettere che sarei
lucido alle quattro del mattino
ma penso che ti rispondere e ti ascolterei”
“E questo cos’è?”
“Cosa?”
“Quello che hai detto”
“Da queste parti si chiama gentilezza”
“No, i canadesi sono gentili, gli inglesi no!”
“Te lo hanno mai detto che fai ridere?”
“Sono seria…”
“Ti prometto che ti lascerò stare ma tu devi
venire con me"
"Ora?"
"Domani mattina"
"Non penso che sia..."
"Una buona idea?", dissi concludendo la sua frase. "Io penso di
sì...
domani mattina non lavori"
"Se ti dico di sì, mi lascerai davvero in pace?"
"Assolutamente"
"Non mi resta che accettare", rispose sconfitta.
Avevo trovato il posto perfetto dove portarla, immaginavo che le
sarebbe
piaciuto, ne ero sicuro. Speravo solo che si sarebbe divertita e che
non mi
avrebbe più visto come un ragazzo rompiscatole che cercava
di importarla.
Volevo solo esserle amico, nulla di più. Non volevo neanche
che mi odiasse e
per questo l'avevo invitata ad uscire. Volevo solo che non si sentisse
a
disagio, volevo aiutarla. Sembrava così indifesa.
"Buona notte", disse all'improvviso.
"Come?", le chiesi non accorgendomi di essermi fermato.
"Sono arrivata"
"Giusto"
"Grazie per il passaggio"
"Di nulla", dissi mentre la guardavo uscire dall'auto.
"Madeline", la chiamai.
"Che c'è?"
"Ti passo a prendere alle dieci"
"Va bene"
"Buonanotte Maddy"
Aspettai che sparisse dietro al portone prima di accendere la macchina
e
continuare per la mia strada.
Non sapevo bene cosa mi era passato per la testa in quello preciso
momento,
quando l'avevo invitata ad uscire, eppure lo avevo detto senza pensare.
Non che
me ne pentivo però non era giusto!
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Capitolo 4 *** Chap 4 ***
Chap 4
"Ciao
Lory, sono Maddy..."
"Ciao Maddy, come mai sveglia a quest'ora?"
"Volevo chiederti se avevate bisogno di me stamattina"
"Oh no, la mattina il locale rimane chiuso"
"Ne sei sicura?"
"Sì, apriamo stasera alle 8, non ricordi?", disse
tranquillamente.
"Aspetta... cosa è successo ieri sera?", chiese lei
ricordandosi che
la sera precedente mi aveva accompagnata a casa il ragazzo dai capelli
rossi.
"Niente... mi ha riportato a casa"
"Tutto qui?"
"Beh cosa pensavi che sarebbe accaduto?"
"Non so, magari qualche bacio o del sano sesso sfrenato in auto"
"Non credo che sia molto comodo?"
"Su questo avrei da ridire", rispose ridendo.
"Sul serio... non voglio saperlo", risi anch'io.
"Quindi, qual è il vero motivo della tua voglia matta di
lavorare?"
"Edward mi ha chiesto di uscire, credo... ha detto che mi
passerà a
prendere alle dieci, ma non me la sento di andare, non voglio"
"Sei pazza?", mi domandò incredula. "Forse non hai in mente
di quante
ragazze vorrebbero essere al tuo posto"
"Non lo metto in dubbio, è un ragazzo carino, ma non
è una persona che
frequenterei abitualmente. Lui è così..."
"Espansivo?", mi suggerì.
"Già..."
"Se ci esci, almeno puoi dire di averci provato e se davvero non ti
trovi
bene con lui puoi sempre tirargli un pugno e scappare"
"Sembra una buona idea", risi insieme a lei.
"E sai già dove ti porta?"
"Non mi ha detto niente"
"Si fa sempre più interessante"
"Lory..."
"Devi solo conoscerlo bene, non è antipatico, anzi, potrai
notare anche te
che probabilmente è il ragazzo più dolce sulla
faccia della Terra... in fondo
ti invidio un po'"
"Se vuoi puoi andarci te", scherzai.
"Magari, sarebbe un'ottima opportunità e poi è un
ragazzo importante..."
"Aspetta…", le dissi interrompendola per andare a rispondere
al
citofono. "Si?"
"Sono Ed, scendi?"
"Arrivo", gli risposi togliendo il dito dal bottoncino che collegava
le due voci. "È arrivato...", dissi alla ragazza.
“Ripeto:
non sai quante ragazze vorrebbero
essere al tuo posto!”
“Immagino,
ma…”
“Stai
davvero pensando se accettare o no
l’invito di un musicista?”, mi chiese.
“Tu sei pazza!”
“Potremmo
restare qui per ore a discutere
su chi delle due sia la più fuori di testa, ma non
arriveremo mai a una
conclusione”
“Quindi
sbrigati a raggiungerlo!”, quasi
urlò dall’altro lato del telefono. "Buona
fortuna…"
"Grazie", le dissi per ultima cosa prima di riattaccare il telefono.
Presi la mia borsa e le chiavi di casa. Scesi velocemente le scale e lo
trovai
seduto in macchina che mi aspettava. Con le dita teneva il ritmo di
qualche
canzone che passava alla radio e intanto intonata qualche parola.
"Ciao straniera", mi salutò con quelle buffe parole ma
istintivamente
lo incenerì con uno sguardo. Non mi piaceva che avesse preso
così tanta
confidenza.
"Edward, non chiamarmi cosi"
"Va bene, Maddy", lo guardai di nuovo come prima. Avevo perso le
speranze ormai. "Dove mi porti?", gli chiesi infine.
"É una sorpresa"
"Io dovrei tornare per le sei"
"Tranquilla, ho parlato io con Mark e..."
"Tu cosa?", quasi gli urlali contro. "Stai cercando di farmi
licenziare?"
"Assolutamente no, come potrei vederti se Mark ti licenzia?"
"Oh beh, sarebbe un problema in meno"
"Tu non sei un..."
"Mi riferivo a te"
“Questa era cattiva!”
“È
la verità”
"Ti
prego, dimmi altre cose dolci
come questa", scherzò.
"Non ti sopporto"
"Cerca di essere più originale"
"Avrei altri milioni di insulti, ma sono una ragazza fine e per ora mi
trattengo"
"Sono curioso del seguito"
Mi
girai a guardare fuori dal finestrino
il paesaggio che scorreva veloce. Passammo gran parte del viaggio in
silenzio,
semplicemente accompagnati dalla musica che passavano alla radio,
probabilmente
rendeva la situazione meno imbarazzante di quella che era.
"Tra
quanto arriviamo?", gli chiesi
vedendo il cartello che indicava che stavamo lasciato Londra alle
spalle.
"Vedrai", si limitò a dire. Tutto questo mistero non mi
piaceva.
Non avevo la minima idea di dove saremmo andati, una parte di me stava
morendo
dalla voglia di scoprirlo mentre l'altra non voleva pensarci troppo.
Forse
quella parte aveva paura di quel ragazzo che mi faceva tante domande e
che mi
girava attorno nonostante ci conoscessimo da così poco
tempo. Probabilmente
aveva paura che se mi fosse fidata di lui, se avessi dato troppa
importanza ai
suoi gesti gentili o alle parole che diceva sarei rimasta ferita ancora
una
volta.
"Benvenuti a Brighton", lessi il cartello alla mia destra.
"Brighton?", gli chiesi.
"Brighton!"
"Cosa ci facciamo qui?"
"Ti porto al molo"
"Hai organizzato qualcosa o hai improvvisato?"
"Diciamo che ti porto in un posto speciale", disse parcheggiando la
sua macchina.
"Cos'ha di speciale?", gli chiesi scendendo dall'auto e seguendolo
lungo il pontile.
"Ci vengo quando ho bisogno di pensare, di rimanere un po' da solo, di
stare appunto lontano dalla gente. Hai in mente quando ti riprendi da
una
sbronza e ti senti vuota con un terribile mal di testa? Hai tutta una
confusione in testa e l'unica cosa che hai bisogno è di
riordinare le
idee"
"Quindi sei tu il ragazzo ubriaco che si aggira a Brighton
completamente
nudo?", scherzai.
"No, forse potrebbe essere il principe Harry, ma penso che non sia la
sua
zona abitudinale”, rise. “Però mi
piacerebbe conoscere questo ragazzo. Deve
essere un tipo interessante!"
"Comunque è bello..."
"Il ragazzo nudo?"
"No, il fatto che tu abbia un posto speciale dove rintanarti quando le
cose vanno male"
"E tu, signorina Madeline hai un posto speciale?", chiese iniziando a
camminare davanti a me portandosi le braccia dietro la testa. Di sicuro
sarebbe
caduto.
"Al momento non ne ho trovato ancora uno"
"Se vuoi possiamo condividerlo"
"Non fa troppo 'ragazzi del liceo'?", gli chiesi. "E poi è
il
tuo posto, non vorrei rischiare di incontrarti anche qui"
"Sarebbe così terribile?"
"Ancora non lo so", dissi rimanendo vaga. "Non è meglio che
ti
volti prima di cadere?"
"Ti farei ridere", dichiarò sorridendo.
Qualcosa nel mio cervello fece scoppiare una scintilla. Quel semplice
sorriso
mi aveva fatto tingere le guance con un velo di colore rosso.
"Posso farti una domanda?", mi chiese interrompendo quel breve
silenzio che si era creato tra noi.
“Dimmi”
"Che ci fai qui?"
"Mi hai invitato tu!"
"Intendo a Londra, non ti mancano i tuoi genitori e i tuoi
amici?”
“Ma io non me ne sono andata da un momento
all’altro, ci ho pensato e ripensato
e quando ho sentito che fosse il momento giusto di andarmene,
l’ho fatto”
“E hai già chiamato qualcuno?”
“Non ancora...”
“Allora credono che sei stata rapita da degli
alieni”, disse ridendo e
continuando a camminare davanti a me senza perdere il contatto con i
miei
occhi.
“Non dire sciocchezze!”, risi. "Sanno che sono
partita, ma non sanno per dove”
"Io non riuscirei mai ad andarmene da un momento all’altro e
abbandonare
tutto. Ancora non mi capacito di come sia riuscito a venire a Londra,
ma l'ho
fatto per il mio futuro e ora sono qui con diversi album pubblicati e
tour per
diverse città", confessò. “Ancora non
mi hai detto perché l’hai
fatto”
“Vedi, a un certo punto tutto intorno a te inizia starti
stretto”, dissi
appoggiandomi alla ringhiera di legno e guardai il tiepido sole in
cielo. “La
città ti soffoca, le persone su cui potevi contare ti
deludono e scappare è
l'unica idea che ti viene in mente, arrivati a questo punto pensi
«Che si
fottano tutti!» così vai all'aeroporto e ti
informi sul primo volo che sarebbe
partito e lo prendi”, gli raccontai.
“Sei determinata a dire queste cose”
“Lo sono!”
“E davvero non ti manca nessuno di
questi?”
“Per nulla”, continuai. “Sono cresciuta
senza legarmi a niente, non mi sono mai
affezionata troppo a qualcosa o a qualcuno, più vuoi bene a
qualcuno e più
velocemente se ne andrà o farà qualcosa che ti
ferirà e sarà troppo tardi per
rimediare allo stupido errore commesso”
“Presto le cose cambieranno...”
“Cosa intendi?”
“Adesso sei qui, sei lontana da chi ti ha ferito, non vedo il
motivo per non
legarti alle persone, non pensi?”
"Non sono un tipo socievole"
“Però potresti provarci”, non risposi,
non sapevo cosa dire. “Ehi, non sto
dicendo che se ti affezionerai a noi ti feriremo, soltanto che,
magari…”
“Ho capito cosa stai dicendo”, dissi
sorridendo.
“Come mai Londra?”
"Chi non ama Londra?", risposi alzando le spalle. "In verità
sarei dovuta partire per New York, ho sempre desiderato visitarla
oppure magari
andarci a vivere”
“Ma sei venuta qua…”
“Se il primo aereo non fosse stato la mattina successiva
probabilmente, ora,
sarei a N.Y. con altre persone ma non mi sono pentita della decisione
che ho
preso, atterrando a Londra ho conosciuto Lory e immediatamente te ma
non
resterò qui per sempre”.
Per pochi istanti i nostri occhi si scontrarono e una strana
elettricità passò
tra di noi. Ancora una volta era riuscito a rivoluzionare i miei piani.
"Quindi potresti andartene da un momento all'altro?"
"Immagino di si", dissi facendo cadere il silenzio tra di noi
"Sai, questo posto è speciale anche perché ho
scritto la maggior parte
delle mie canzoni oltre che nel mio giardino"
"Perché non mi hai detto che eri famoso?"
"Perché non mi avresti frequentato…"
"Forse non ti avrei frequentato perché non mi stavi
simpatico…"
"Perché ora si?"
"Diciamo che non ti odio completamente"
"Allora, quando sarò riuscito a non farmi più
odiare ti porterò qui anche
di sera, è davvero fantastico, anche se si riempie di
coppiette"
"Quindi faremo i guardoni?"
"Tu non lo sai, ma sono il migliore a spiare i piccioncini"
"Non lo avrei mai messo in dubbio"
"Ti va di mangiare qualcosa?", chiese indicando un locale davanti a
noi. "È mezzogiorno passato e la giornata è
ancora lunga"
"Va bene"
Entrammo in un locale. Era carino, in stile anni 60. Delle foto buffe
erano
appese alle pareti rivestite con carta da parati. Anche la musica che
si
sentiva in sottofondo era adeguata allo stile del locale: Beach Boys ed
Elvis
Presley. Li adoravo.
"Ciao ragazzi, cosa vi porto?", ci chiese una cameriera dopo che ci
fummo seduti ad un tavolo. "Ciao Edward", lo salutò la
ragazza di mia
sorpresa. Mi chiedevo se c’era qualcuno che non lo
conoscesse, eccetto me.
"Christine, ciao"
"Cosa ci fai da queste parti? Ti pensavo disperso", scherzò
lei
portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Ci stava forse provando?
"Sono stato in tour"
"Forte!", gli sorrise. "Beh, cosa vi porto?"
"Per me il solito"
"Quindi hamburger e chips and cheese?"
"Sei fantastica!"
"Per te?", chiese poi la cameriera rivolgendosi a me.
"Io..."
"Fai per due" si affrettò a dire Edward sovrastando la mia
voce.
"Da bere?"
"Una birra e una coca?", domandò stavolta chiedendo una mia
opinione.
"Va bene"
"Perfetto, vi portò subito l'ordine", disse continuando a
sorridere
mentre andava in cucina.
"Sai, penso di essere in grado di poter scegliere..."
"Lo so, però devi assolutamente assaggiare questi panini,
sono
fantastici"
"Come la ragazza che ci ha provato con te?"
"Christine?"
"Esatto, non hai visto come ti guardava?"
"Sei per caso gelosa?"
"Oh no, volevo solo prenderti in giro"
"Comunque non posso"
"Qualche divieto che ti sei imposto?"
"Qualcosa del genere", rispose vago alzando le spalle.
Mangiammo continuando a parlare del più e del meno. In fondo
non stavo passando
una brutta giornata e lui non era così male quando evitava
di essere così
gentile a tutti i costi.
“Domani
avrai qualcosa da fare?”
“Dovrei
davvero iniziare a sistemare le
mie robe, e dovrei comprare qualcosa, sai le solite
cose…”
“Ti
accompagno io, conosco dei bei posti”
“Non
ce ne è bis…”
“Ti
passo a prendere a casa tua domani
mattina”, disse infine non lasciandomi il tempo di obbiettare.
Anche
se faceva sempre di testa sua,
infondo mi trovavo bene con lui, ma poi all'improvviso ricevette una
chiamata e
immediatamente la sua espressione serena si mutò in una
scocciata. Probabilmente
qualcosa stava cambiando.
"Scusami un attimo", disse prima di alzarsi per rispondere al suo
iPhone.
Lo vedevo parlare all'ingresso. Camminava avanti e indietro, era
agitato, si
passava nervosamente una mano tra i capelli e gettava la testa
indietro. Era piuttosto
nervoso.
Mi
chiedevo chi fosse stato a chiamarlo e perché
lo avesse reso così agitato.
"Tutto
apposto?", gli chiesi
poco dopo il suo ritorno a tavola.
"Assolutamente", rispose facendomi un sorriso tirato, finto, fin
troppo freddo.
"Sicuro?"
"Certo", cercò di rassicurarmi sorridendo di nuovo. "Sono
costretto a riportarli a Londra, mi dispiace"
"Tranquillo…"
"Andiamo a pagare", disse alzandosi e dirigendosi verso la cassa. Lo
vidi afferrare il suo portafoglio e feci lo stesso.
"Quant'è?", chiesi.
"Nulla per te, offro io"
"Sul serio..."
"Insisto!" disse porgendo alla cassiera due banconote da dieci
sterline.
"Grazie"
Tornammo
indietro ma il viaggio fu
totalmente diverso dall’andata. Edward teneva saldamente le
dita attorno al
volante, così come lo sguardo dritto verso la strada. Non
parlava, non
sorrideva, non si voltava a guardarmi. Mi sentivo a disagio.
Di
solito stavo bene in silenzio, mi
piaceva, ma l’atmosfera che si era creata non era affatto
piacevole. Sembrava
di essere al polo nord talmente tanto freddo che emanava.
Avrei
voluto dirgli qualcosa, farlo
parlare o magari distrarlo, ma non sapevo da che parte cominciare tanto
meno
cosa dirgli. Non ero mai stata brava in queste così
così me ne stetti zitta a
fissare il paesaggio fuori dal finestrino, come avevo fatto
all’andata.
“Grazie
per la giornata”, gli dissi quando
fece fermare l’auto davanti a casa mia.
“Di
nulla”
“Sicuro
che vada tutto bene?”, gli chiesi.
“Non hai parlato per tutto il viaggio e non è da
te visto che da quando ti
conosco non sei mai stato zitto”
“Sono
solo un po’ pensieroso…”
“Se
domani hai qualcos’altro da fare, non
è un problema se non puoi venire”
“Te
l’ho promesso”, mi rispose sorridendo,
questa volta sinceramente. "Devo prima
risolvere solo un problema,
un problema che rinvio da troppo e che dovrei lasciare...", disse
lasciando sospesa la frase.
“Va
bene! Allora a domani…”
“A
domani Madeline”
Feci
pochi passi verso il portone e mi voltai a guardalo. Restava
lì a fissarmi
aspettando che aprissi la porta. Davvero
volevo che finisse così?
Alzai
la mano e lo salutai con un cenno.
Sì, doveva andare
così!
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Capitolo 5 *** Chap 5 ***
Chap
5
Non so
quanto tempo passai a
guardare il soffitto sopra al mio letto. Non so quanto tempo era
passato da
quel saluto un po’ imbarazzato. Mi ero accorta che avevo
passato parecchio
tempo distesa sul materasso perché, quando guardai fuori
dalla finestra, il
cielo si stava oscurando pian piano.
Erano quasi le sei,
dovevo sbrigarmi ad uscire di
casa per recarmi al lavoro. Afferrai la giacca e la borsa e mi chiusi
la porta
dietro le spalle.
Arrivai con le guance
rosse e i capelli
scompigliati dalla corsa che avevo fatto dalla metro fino al bar.
“Quindi ci
avete dato dentro!”, dichiarò Lory
vedendomi affannata.
“Come?”
“Il tuo
aspetto è quello di una ragazza che si è
divertita parecchio”
“Se con
divertimento intendi correre per non
arrivare in ritardo al lavoro, sì, ci ho dato dentro di
brutto!”
“Quindi lo
ammetti?”
“Ammettere
cosa?”
“Che
è successo qualcosa?”
“Credo di
aver perso il filo del discorso e credo
anche di stare per svenire”, dissi agitando la mano davanti
al mio viso.
“Sbaglio o fa caldo?”
“Non cambiare
argomento, signorina!”, mi rimproverò
indicando lo sgabello dove mi sarei dovuta sedere per raccontagli tutto
quello
che era successo quella mattinata. “Siediti e raccontami
tutto di te e Mr.
Sheeran”
“Se quello
che vuoi sapere è se è successo qualcosa
tra noi due, ti devo avvertire che ne rimarrai delusa perché
primo non è
successo nulla e secondo non voglio che accada nulla”
“Neanche un
bacio?”
“Neanche un
bacio!”
“E cosa avete
fatto fino ad adesso?”
“In
verità siamo tornati a casa alle due, mi ha
portato al molo, abbiamo parlato, poi mangiato e lui ha ricevuto una
telefonata
che gli ha fatto mutare l’umore rendendolo freddo e
stranamente silenzioso”
“Mhm…”,
mugolò poco convinta.
“Tranquilla,
domani si è gentilmente offerto contro
la mia volontà di aiutarmi con la casa”
“E quindi
farete sesso sul tavolo della cucina?”
“Ok, tu mi
preoccupi, soprattutto la tua mente
perversa”
“Sono
londinese, è nel mio DNA essere pervertita”
“Giusto…”
“Quindi hai
deciso di non cambiare opinione su di
lui?”
“Diciamo che
non è poi così antipatico, potrei
sopportarlo… fino a un certo punto”
“Te lo avevo
detto!”
“Detto
cosa?”, chiese Mark avvicinandosi al
bancone.
“Che Ed
sarebbe riuscito a starle simpatico”, gli
rispose Lory. “Alla fine ci riesce sempre!”
“Sai Maddy,
abbiamo già aperto le scommesse su
quando tempo deve passare prima che vi mettiate insieme”,
rispose lui ridendo.
Se era una battuta era di pessimo gusto!
“Aspettate!”,
dissi portando le mani davanti a me.
“Non iniziate a farvi strane idee, non penso che io ed Edward
potremmo mai
metterci insieme”
“Questo lo
dici tu”
“Lory, te
l’ho già detto come la penso”
“Ragazze, non
è che verreste a darmi una mano
invece di discutere?”, ci chiese Toby avvicinandosi al
bancone con dei
foglietti pieni di ordinazioni.
Andai a riporre la
giacca e la borsa nello
spogliatoio, o quello che era per davvero: una piccola stanza con un
appendiabiti e uno specchio. Tornai in sala e mi misi a lavorare.
Passai gran parte della
serata a fare avanti e
indietro tra il bancone e i tavolini. Non avevo neanche tempo per
respirare,
ero totalmente presa dal lavoro e questo era un lato positivo della
serata
perché mi permetteva di non pensare allo strano
comportamento che Edward aveva
avuto quel pomeriggio e di sicuro non sarei stata a pormi mille domande
su
quale fosse stata la causa del suo mutamento di umore.
Del resto, quando
però non si è totalmente attenti
si rischia di combinare casini e di conseguenza andai addosso a una
persona.
“Scusa”,
farfugliai raccogliendo il bloc-notes che
mi era caduto dalle mani. Ringraziai il cielo che non stessi portando
un
vassoio. Dovevo decisamente stare più attenta.
Alzai lo sguardo dalle
scarpe rosso col tacco alla
ragazza con cui mi ero scontrata. “Tutto bene?”,
chiese raccogliendo la penna.
Era davvero carina,
indossava un vestito morbido
color caffelatte lungo sopra al ginocchio. Dei boccoli castani, quasi
biondi,
ricadevano sulle sue spalle.
“Sì,
grazie”, le risposi. “Scusami ancora per
esserti venuta addosso”
“Tranquilla”,
mi disse sorridendo e scomparendo in
mezzo alla folla.
Era stato uno strano
incontro e la ragazza sembrava
particolarmente gentile nonostante, probabilmente, le fossi andata
addosso come
un elefante.
“Maddy, porta
questi al tavolo laggiù”, mi disse
Mark indicando un divanetto infondo al locale. Sembrava davvero
impossibile
raggiungerlo.
“Ecco qui le
vostre ordinazioni”, disse poggiando
dei bicchieri e delle bottiglie sul tavolino.
“Edward!”, pronunciai il suo nome
sorpresa. Sembrava più rilassato di qualche ora fa.
“Oh
ciao”, rispose una voce più delicata. Guardai a
chi appartenesse e la proprietaria era proprio la ragazza con cui mi
ero
scontrata. “Eccoci ancora qui”, sorrise.
“Già!”,
risposi imbarazzata.
Cosa ci faceva
lui con lei? Erano amici? Si
frequentavano? O magari si erano solo seduti vicini ed erano in
compagnie
diverse?
“Sono 17.25
£”, dissi volendo allontanarmi in più
fretta possibile.
“Maddy, puoi
dire a Mark di mettere sul mio
conto?”, chiese Ed decidendosi di parlare.
“Si”
“Vi
conoscete?”, chiese lei curiosa di come
conosceva il mio nome. A quanto pare non erano venuti con persone
diverse. Non che
dovesse importarmi, ma se si vedeva già con qualcuna, non mi
spiegavo perché mi
aveva invitato quella mattina ad uscire con lui.
“In un certo
senso”, risposi.
“Lei
è…”, iniziò lui a dire.
“Lei è Maddy, cioè
Madeline”, rispose correggendosi subito. “E lei
è …”
“Alice”,
lo anticipò allungandomi la mano sinistra.
Non potei fare a meno di vedere una fedina d’oro che decorava
il suo anulare.
“Sono la sua ragazza”
La situazione che si
era creata era alquanto
imbarazzante, almeno dal mio punto di vista. Erano bastati pochi
secondi di
pausa per farmi cadere in panico o probabilmente era stata la sua
presentazione. Non mi ero mai realmente soffermata a pensare alla
possibilità
che Edward avesse una ragazza, tanto meno se mi avrebbe dato fastidio.
In realtà
non mi avrebbe dovuto dare fastidio, per
giunta non mi avrebbe dovuto condizionare particolarmente, ed eppure le
mie
emozioni erano totalmente confuse a riguardo. Non riuscivo a capire
come
l’effetto di quelle parole mi avessero fatto sentire.
Probabilmente
il suo invito era stato
solo per pura cortesia. Presumibilmente Edward aveva pensato che
sarebbe stato
carino farmi fare un giro della città, ma non eravamo
rimasti a Londra. Mi
aveva portata a Brighton, nel suo posto speciale. Allora
perché mi trovavo
davanti la sua fidanzata?
“Vi conoscete
da tanto?”, continuò a chiedere.
“No, direi
proprio da no”
“Ci siamo
incontrati in aeroporto, avevo preso per
sbaglio la sua valigia”
“Quindi non
sei di queste parti?”, disse. “Avevo
notato il tuo strano accento”
“Sono
italiana”
“Deve essere
un bel posto, ho sempre desiderato
visitare Roma o Venezia”, continuò a dire
sorseggiando il suo drink. “Ed,
dovremmo andarci prima o poi, non dista poi tanto, giusto?”,
chiese
rivolgendosi a me.
“Dovrebbe
essere un’oretta e mezza di volo”
“Ho sentito
dire che la primavera è il periodo
perfetto”
“Già”,
risposi. “È meglio che torno a lavorare,
è
stato un piacere Alice”, dissi cercando di allontanarmi in
più fretta
possibile.
Quella situazione mi
aveva scombussolata per
davvero. Se prima cercavo in tutti i modi di evitare di pensare a lui,
ora non
riuscivo a fare a meno. Non riuscivo a spiegarmi quello che era appena
successo.
“Mark,
ho bisogno di prendere una
boccata d’aria, posso uscire?”, gli dissi
sorreggendomi al bancone.
“Sei un
po’ pallida, stai bene?”
“Ho solo
bisogno un po0 di aria…”
Presi la mia giacca e
uscii velocemente dal locale.
Un getto d’aria fredda mi colpì in pieno viso.
Forse mi avrebbe schiarito le
idee.
Non so se la
temperatura si fosse abbassata di
colpo ma decisamente faceva freddo, la mia pelle era percossa dai
brividi.
Misi le mani in tasca e
mi accorsi di avere un
pacchetto di sigarette, era mezzo vuoto.
L’ultima che
avevo fumato risaliva a qualche
settimana fa, prima di partire per Londra. Mi ero promessa che
arrivando in
questa città avrei decisamente smesso anche con questo vizio
ma in
quell’istante era così forte la tentazione che non
resistetti mandando all’aria
la promessa che avevo cercato di mantenere.
“Il fumo fa
male non solo a te ma anche a chi ti
sta attorno”, mi disse un ragazzo.
“Cerca allora
di respirare più che puoi”, lo vidi
sorridere nonostante fuori non c’era molta
visibilità. “Che ci fai qui?”
“Sono venuto
a fare quello che fai te”, disse
accendendosi una sigarette.
“Bene!”,
risposi sarcastica, non contenta della
compagnia.
“In
verità sono venuto a vedere se eri arrabbiata”
“Perché
dovrei essere arrabbiata?”
“Perché
hai conosciuto così Alice”
“E
come avrei dovuto conoscerla?”
“Forse
avrei dovuto dirtelo”
“E
perché? Non mi hai mica invitato ad
uscire…”, gli dissi. “No, aspetta! Lo
hai fatto!”
“Non
pensavo che…”
“Tranquillo,
non pensavo che ci volessi
provare”
“Mi
dispiace che ti sia arrabbiata”
“Non sono
arrabbiata!”
“Non
sembra”
“Edward!”
“Volevo anche
chiederti scusa per come mi sono
comportato oggi”
“Lei lo sa
che eri con me?”
“Non
è importante”
“È
la tua fidanzata, è importante!”
“Scusa di
nuovo”
“Lo hai
già detto”, gli feci notare.
"Perché sei venuto qua questa sera?"
"È un buon pub"
"Senti, dovresti rientrare da lei", dissi. "Sono venuta qua per
prendere una boccata d'aria, da sola"
"Vuoi che domani verrò da te?"
"Penso che..."
"Fa niente!", rispose scuotendo la testa e gettando a terra la
sigaretta.
"Maddy, stai meglio?", chiese Tony
sbucando
dall'ingresso.
"Sì, ora rientro", dissi ma lui era già uscito.
"Finito qui ti va di andare a bere qualcosa?", mi chiese il ragazzo.
Guardai prima Edward e poi lui. "Sempre se ti va", aggiunse alzando
le spalle.
"Uhm... Va bene"
"Perfetto", rispose lui
sorridendo. "Ehi, Ed", lo salutò prima di tornare
all'interno
del locale. Mi chiesi se davvero Tony non si fosse accorto che stavo
discutendo
con Edward o se lo avesse fatto a posta, giusto per salvarmi da quella
situazione.
Guardai in faccia Edward. Volevo
vedere se gli aveva
fatto effetto o almeno se mi avesse detto qualcosa. Ci speravo.
Ma mi maledissi immediatamente per
aver fatto quel
pensiero. Non doveva importarmi nulla di lui ed eppure stavo a pensare
su cosa
mi avrebbe potuto dire o quale sarebbe stata la sua reazione. Stavo decisamente diventando una stupida.
"È un
bravo
ragazzo, molto simpatico, ti divertirai di sicuro"
"Immagino di si"
"Vedo che non ci hai neanche pensato ad un rifiuto?", mi fece notare.
"Io ti ho dovuto supplicare"
"Tony è simpatico e tu sei fidanzato"
"Fino a poco fa neanche lo sapevi"
"Perché sei irritante, e io non ti sopporto!"
"Va bene"
"Ottimo", risposi portando le braccia al petto.
"Mi prometti di non fare cavolate?"
"Cosa intendi con cavolate?"
"Non lo so, senti..."
"É meglio che torno a lavorare!", dissi scomparendo dietro
all'interno.
Perché
quel ragazzo aveva la capacità di farmi
arrabbiare come non mai? Non aveva nient'altro da fare che starmi
attorno?
_________________________
Spazio dell'autrice :)
Beh, vorrei iniziare col dire un
grande 'Grazie' a chi ha letto questa storia e soprattutto a chi l'ha
commentata o messa tra i preferiti/seguite. Specialmente vorrei
ringraziare ruffjosweed, Ginger
Angel e notworthanymore per aver commentato.
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Capitolo 6 *** Chap 6 ***
Chap
6
Quella
mattina mi alzai più rilassata che
mai, avevo dormito benissimo ed ero riuscita a non pensare a dove
diavolo fosse
finito Edward in questi giorni.
Dopo
quella sera al locale non si presentò
la mattina successiva a casa mia, tanto meno quella seguente. Sembrava
essere
sparito nel nulla e forse – questa volta – per la
volta giusta.
Il non averlo più attorno aveva i suoi lati positivi, mi
stressava di meno e
soprattutto non avrei più litigato con qualcuno per motivi
futili, ma ogni
medaglia ha due lati, infatti c’era anche una parte negativa
della sua
scomparsa. Avere così tanto tempo a disposizione mi faceva
riflettere, una cosa
che avrei dovuto impedire fin dall’inizio. Pensai a quali
fossero realmente le
ragioni della sua scomparsa e del perché, quando glielo
chiedevo io, non lo
faceva.
Lui era quella persona che mi bloccava per diventare una persona
migliore. Da
quando lo avevo incontrato la mia vita era tornata quella di sempre:
perennemente di cattivo umore e con la luna girata, finché
non decideva che era
ora di tornare a casa sua, e allora tutto tornava a posto. Ma questa
volta non
sarebbe dovuta andare così, era veramente ora di cambiare,
ma ogni volta
sembrava non essere mai quella giusta.
La
colpa non potevo attribuirla al destino
o a Edward. La colpa, del resto, era mia perché non ero
ancora riuscita a stare
bene con me stessa.
Così decisi di alzarmi dal letto evitando di guardarmi allo
specchio. Percorsi
il piccolo corridoio e sentii degli strani rumori provenire dal
soggiorno.
Immediatamente alzai gli occhi per capire chi diavolo stesse facendo
tutto quel
baccano in casa mia e lo vidi.
Ero totalmente confusa. Cosa ci faceva qui?
"Buongiorno", mi disse sorridendo seduto al tavolo da pranzo. Il suo
sorriso sembrava così rilassato, sincero, come se fosse
stata la cosa più
naturale di questo mondo, ma con che
coraggio mi diceva ciò?
Quasi
due settimana senza vederlo. Era
sparito nel nulla e tutto quello che mi aveva detto era stato solo
'Buongiorno'
con il suo solito sorriso che gli avrei volentieri tolto prendendolo a
schiaffi.
"Forza, siediti", mi invitò cordialmente vedendomi immobile
in mezzo
alla sala.
"Cosa ci fai qui?"
"Passavo da queste parti...", rispose alzando le spalle e bevendo una
tazza di the fumante. "Avanti, siediti, non vorrai mica farmi fare
colazione
da solo"
Andai a sedermi al tavolo davanti a lui. Non
sapevo cosa pensare.
"Non trovi che oggi sia una bellissima giornata?" , chiese
continuando a mangiare. "Londra non è mai stata
così soleggiata"
"Come sei entrato?"
"Vuoi del caffè o preferisci del the o una ciotola di latte
e
cereali?", continuò a dire non togliendo gli occhi dalla sua
tazza.
"Edward!", lo richiamai. "Come diamine hai fatto ad
entrare?", solo in quel preciso istante alzò i suoi occhi
azzurri e li
fece incontrare con i miei furiosi.
"Con le chiavi di scorta che lasci nel porta ombrelli"
"Come diavolo..."
"Sono andato ad intuito"
“E
come hai trovato il mio appartamento?”
“Mi
vuoi fare il terzo grado?”
“Mi
sembra anche ovvio!”
“La
signora al piano terra mi ha detto
dove abitavi”
"Perché sei entrato?"
"Ho immaginato che stessi dormendo e non volevo svegliarti"
"Potevi passare più tardi o magari scomparire come hai fatto
fino
adesso"
"Ok, hai ragione!", disse posando la sua tazza di the sul tavolo ma
tendendola stretta, come se potesse scappare via da un momento
all’altro.
"Non dovevo scomparire, non dovevo mandare all'aria l'impegno che mi
ero
preso con te, non dovevo farti arrabbiare e probabilmente non dovevo
portare
Alice al locale"
“Per
questo non dovresti essere neanche
qui”
“Forse...”,
rispose alzando le spalle.
“Che importanza ha ormai?”
"Come sta?", chiesi cercando di essere il più indifferente
possibile.
"Sta bene"
"Sembra simpatica"
"Già", sospirò. “E con Toby come
va?”
“Siamo
buoni amici”
Tra noi cadde il silenzio più assoluto. Eravamo
lì come due buon amici a fare
colazione insieme in una splendida giornata di sole a Londra ma non
parlavamo. La
tensione si poteva tagliare con una piuma. Era tutto così
sbagliato,
tremendamente sbagliato. Lui non doveva essere qui e io non dovevo
parlare con
lui. I piani si stavano ribaltando e sapevo che ben presto sarei
rimasta ferita
semplicemente perché stavo iniziando a fidarmi di lui.
Non
mi spiegavo il perché voleva
complicarmi la vita, perché
aveva deciso
di stravolgermela. Non mi spiegavo il perché non riuscivo ad
odiarlo
completamente pur avendomi mentito un paio di volte.
"Edward..."
"Oggi potremmo fare qualcosa…", disse contemporaneamente a
me.
"Perché sei qui?"
"Te l'ho detto, passavo da queste parti e...", iniziò a
dire.
"Ok, è vero che passavo per di qui ma è stata una
cosa volontaria"
"Cosa intendi?"
"Ieri ho ricevuto una chiamata dal mio agente, hanno anticipato il tour
e
volevo salutarti"
"Quando parti ?", chiesi alzandomi dalla sedia e iniziando a
riordinare. Ultimamente lo facevo spesso per tenermi occupata.
"Domani", disse seguendo ogni mio
movimento. “Starò via per
molto tempo”
Lo sentii alzarsi e posarsi dietro di me. Percepivo il suo respiro sul
collo e
le mani sui miei fianchi.
"Quindi tra meno di ventiquattrore…"
"Esatto", mi voltai verso di lui sciogliendomi in quei pezzi di cielo
che aveva al posto degli occhi.
"Non giocare con me"
"Maddy non sto giocando"
"Allora cosa stai facendo?"
"Volevo passare un po' di tempo con te prima che me ne andassi"
"Non sono la persona più appropriata...", dissi scivolando
via dalla
sua presa.
Attraversai il corridoio e andai nella mia stanza da letto, chiudendomi
la
porta alle spalle. Se fossi stata lì per un po' di tempo
magari se ne sarebbe
andato stufo di aspettarmi. Magari si sarebbe arreso e mi avrebbe
lasciato da
parte, come era giusto che fosse.
Aprii
la finestra per cambiare aria e mi
vestii, indossavo ancora la mia tuta/pigiama.
Ormai erano passati diversi minuti e restare distesa sul letto faceva
perdere
la condizione del tempo.
Un
po’ ci speravo che Edward se ne fosse
andato, ma non era quello che volevo realmente. Una parte di me voleva
che
fosse ancora di là, in cucina, ad aspettarmi con una
videocamera e pronto a
dirmi: ‘Sei su Candid Camera! Fai
un bel
sorriso per chi ti vede da casa!’. Immagino che
questo non sarebbe stato
possibile, anche perché apparirei come una stupida ragazza
che si era fatta
prendere in giro da uno stupido ragazzo.
"Maddy...", mi chiamò aprendo leggermente la porta. Vedevo i
suoi
ciuffi rossi fare capolino.
"Entra..."
Fece dei piccoli passi e in pochi secondi lo vidi disteso di fianco a
me con le
braccia incrociate dietro alla testa a contemplare il soffitto come
stavo
facendo io.
"Volevi scappare?"
"Ci avevo pensato, ma sarebbe stato stupito fuggire da casa mia"
"In effetti non avrebbe molto senso"
"Verrà anche lei in tour con te?", chiesi.
"Farà solo due settimane e poi tornerà qui"
"Capisco..."
"Mi mancherai!"
"Edward...", dissi alzandomi dal materasso. Mi sentivo alquanto
scomoda e stretta nonostante fossimo ognuno nella propria porzione di
letto.
Guardai fuori dalla finestra ma non riuscivo a pensare ad altro. Quelle
parole
avevano un certo peso soprattutto dette da lui che era fidanzato con
una
splendida ragazza che probabilmente amava.
Quel
ragazzo era entrato nella mia mente
senza neanche chiedere permesso e ora la stava rivoluzionando come
più gli
piaceva. I miei pensieri erano così confusi come un quadro
futurista, erano
confusi e senza un filo logico. Mi sentivo così stupida.
“Dove
vai?”, mi chiese vedendomi uscire
dalla stanza.
“Esco”
“Aspetta”,
mi rincorse afferrandomi per un
braccio. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No,
tu…”
“Non te ne andare…”, mi chiese con un
tono di voce così dolce da far sciogliere
anche il più compatto cuore di ghiaccio
nell’intero Mondo. Sembrava un cucciolo
con quello sguardo implorante e quella vocina così sottile.
Mi stavo facendo
abbindolare di nuovo da un ragazzo qualunque, ma tra tutti, lui era il
migliore!
“Edward,
io veramente non capisco….”
“Te
ne andrai?”
“Come?”
“Avevi
detto che quando le cose andavano male tendevi
a scappare, te ne andrai anche questa volta?”, chiese non
distogliendo i suoi
occhi azzurri dai miei. “Te ne andrai a New York?”
“Non
lo so”
“Promettimi
che ti ritroverò qui quando tornerò”
“Non
credo che sia una buona idea”
“Tu
fallo!”
“Edward,
non credo che tu sia in una posizione adatta per
dirmi quello che devo fare o non fare”
“Hai
ragione ma ti chiedo solo questo”, riabbassai lo
sguardo incapace di sostenerne il suo. “Sono serio”
“Se
ti dico di sì, mi lascerai in pace?”
“Pensavo
che avevamo superato questa storia?”
“Forse…”
“Quindi
posso intuire che la tua sia una risposta
affermativa?”
“Edward…”
“È
il mio nome, smettila di ripeterlo”, disse quasi
seccato. “Rendi le cose più
difficili…”
“Adesso
cosa stai dicendo?”, gli chiesi non capendo.
“Sto
cercando di dire delle parole giuste, io dovrei
essere un maestro nel trovare le parole ma mi sembra così
difficile”
“Non
capisco qual è il tuo problema”
“Scherzi?”,
mi chiese colto all'improvviso. “Ti ho
esplicitamente chiesto di aspettarmi e tu non capisci il mio stupido
comportamento?”,
scosse la testa dandomi le spalle. Si passava una mano tra i capelli
scompigliandoseli tutti come se stesse cercando le parole adatta da
dire.
“Forse dovrei andarmene…”
“Ed!”,
lo chiamai.
“Ed?”,
ripetette guardandomi di nuovo. “Te ce ne è
voluto di tempo!”, rispose sorridendo a quelle due lettere
che componevano il
suo nome.
“Cosa
stavi cercando di dirmi?”, gli chiesi.
Una
parte di me aveva capito perfettamente cosa voleva
dirmi ma l’altra voleva sentirselo dire chiaramente, voleva
esserne sicura prima
che iniziasse a realizzare filmini mentali su come la vita potrebbe
essere
fantastica con lui al suo fianco, ma tutto era solo una futile
illusione dove
rintanarsi. Nulla di più che pura fantasia!
“Cosa
volevi…”, gli richiesi ponendoli di nuovo la
domanda, ma non riuscii a concludere la frase. Con due semplici passi
si era
piazzato davanti a me e le sue calde mani avvolgevano il mio viso
così come le
sue labbra coprivano le mie.
Tutto
in quel preciso istante si fermò. Le auto che
sfrecciavano fuori dalla finestra, gli uccellini che cinguettavano, i
minuti, i
nostri respiri, i battiti del cuore.
Ogni
minimo rumore proveniente dall’esterno sembrava
come coperto da qualcos’altro di origine sconosciuta. Mi
sentivo come in una
bolla isolata.
I
miei occhi si chiusero e le mie braccia caddero
lungo i miei fianchi. Rimasi immobile come impietrita da quel bacio
improvviso.
Non
restai a pensare a quanto fosse sbagliato baciare
Edward tanto meno a quale sarebbero state le conseguenze dopo la sua
scomparsa
negli Stati Uniti per diversi mesi.
Al
momento sembrava esserci solo noi due e in fondo
era piacevole, ma c’era sempre la mia parte razionale che
prendeva il
sopravvento della situazione e avrebbe rovinato tutto.
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