Zenit: dove i ricordi si eclissano

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brutto risveglio ***
Capitolo 2: *** Dottor Zenit Memoria ***
Capitolo 3: *** Profondi come i ricordi ***
Capitolo 4: *** Verde ***
Capitolo 5: *** Memoria resque perditas ***
Capitolo 6: *** What are you be? ***
Capitolo 7: *** Arcobaleno di Pirati ***
Capitolo 8: *** Oro ***
Capitolo 9: *** Touch ***
Capitolo 10: *** La porta è aperta ***
Capitolo 11: *** Il peso dei ricordi ***
Capitolo 12: *** Zenit: dove i ricordi si eclissano ***



Capitolo 1
*** Brutto risveglio ***


ZENIT: DOVE I RICORDI SI ECLISSANO

 
 

Brutto risveglio
 

 
Il rombare del tuono echeggia violento e improvviso, illuminando il soffitto di un bianco accecante.
Mi sveglio di soprassalto, spaventata e con il cuore che batte a mille, spaventato dal boato rombante che ora si disperde in lontananza.
Mi sento frastornata, come se avessi dormito per giorni interi, e ora il mio corpo è totalmente indolenzito. Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di abituarmi al chiarore estraneo del soffitto che mi sovrasta, tentando di capire dove mi trovo. Un leggero picchettare mi avverte delle prime gocce di una leggera pioggia, che canticchiano contro i vetri di una finestra. È un suono dolce, gentile e fresco, che mi calma un po’, aiutandomi a capire dove sono.
Sono in un letto.
Morbido, caldo e insolitamente profumato di antisettico.
Mi metto a sedere tra le lenzuola candide, reggendomi il capo con una mano, mentre i miei capelli rossi mi cadono davanti agli occhi. Mi gira la testa, e devo concentrarmi per mantenere gli occhi aperti e capire ciò che mi circonda.
Tutt’intorno a me, ordinati e immacolati, decine di letti vuoti filano su due linee uguali, una in cui è compreso anche il mio letto, l’altra sul lato opposto, divisi da un lungo corridoio che vi corre in mezzo. Accanto ad ogni giaciglio c’è un piccolo sgabbellino, grigio e triste, che distanzia di una manciata di centimetri ogni letto dall’altro. Non c’è altro arredamento, solo qualche finestra senza tende che illumina lo stanzone in cui mi trovo, illuminandone i grandi e alti muri grigi fino alle sponde del letto, e poi bianchi fino al soffitto, da cui pende una fila continua di lampade giallognole, traballanti e flebili.
Smuovo le spalle, indolenzite ancora dal sonno, sgranchendomi le gambe sotto il lenzuolo. La testa mi fa male, come se fossi stata picchiata da un martello.
-Accidenti…- mugugno, mentre un altro tuono rimbomba fuori dalla finestra.
Punto lo sguardo sulla vetrata, fissando i nuvolosi, scuri e grigi, caricarsi di pioggia, pronti a scaraventare un temporale con i fiocchi proprio su… su…
Sobbalzo senza parole.
Oddio. Non so dove mi trovo.  Non ho la più pallida idea del luogo in cui sono!!!
Inizio ad ansimare presa dal panico, guardandomi attorno in cerca di qualcuno a cui possa chiedere spiegazioni. Deglutisco, stingendo nelle mani il lenzuolo, e respirando a fatica. Nella penombra della stanza non c’è nessuno. Sono io l’unica occupante dei letti.
Il respiro accelera nel mio petto, accompagnando il martellante battere spaventato del mio cuore.
Ok, calma. Calmati Nami. Ragioniamo.
Ultimo ricordo di ieri?
Mi concentro sui miei piedi, fermi tra le coperte, concentrandomi mentre ricerco qualsiasi dettaglio del giorno prima.
No, niente, nessun ricordo.
Non ho memoria di cosa ho fatto ieri, di cosa ho mangiato o di dove mi trovassi. Non mi ricordo niente di niente. Prendo un profondo respiro, portandomi una mano alla fronte imperlata di sudore.
Provo a spremermi le meningi per trovare uno straccio di ricordo riguardo al giorno prima, o al precedente, ma nessuna reminescenza mi appare davanti agli occhi, lasciandomi senza fiato.
Deglutisco a vuoto, terrorizzata, sentendo la gola secca. Accidenti!!! Ma dove cavolo sono?!? E perché sono qui?!? Come ci sono arrivata?!?
Torno a guardarmi attorno, analizzando anche i vestiti che indosso.
Alzo appena il lenzuolo che mi ricopre, giusto per essere certa che ci sia veramente qualche vestito a vestirmi, tirando un sospiro di sollievo vedendo un paio di short bianchi alle gambe e una maglia bianca sul petto, con le maniche lunghe che si stringono al livello dei polsi. Non so se siano miei, questi indumenti, ma non sono proprio il tipo da indossare certa roba candida e priva di colore.
Aggrotto le sopraciglia, capendo che qualcuno deve avermi cambiata d’abito, mentre dormivo.
Mi passo una mano tra i capelli sciolti, tentando di ragionare.
Ok, che luogo può essere, uno in cui ci sono decine di letti, tutti perfettamente ordinati e puliti, in un’unica camera, in cui ti vestono di bianco e ti lasciano dormire per giorni senza disturbarti?
Mi metto dritta con la schiena contro lo schienale del letto.
-Un ospedale…- sussurro –Questo è un ospedale… quindi…- mi fisso le mani -… sto male?-
Uno scricchiolio acuto e ferroso interrompe i miei pensieri, e da una piccola porticciola alla mia destra, entra una donnina non più alta di un metro, che avanza a passi veloci e piccoli verso di me, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
-Ben svegliata…- sorride mielosa ad almeno tre metri da me, affettandosi a chiudere la finestra che costeggia la parete dietro al letto, celando ogni cenno dell’acquazzone che si abbatte fuori dall’edificio..
-Salve…- saluto osservandola.
Porta i capelli raccolti sotto una cuffietta rettangolare bianca, una divisa tutta d’un pezzo, gonna e camicia, candida come neve. Piccole ciabatte chiare ai piedi e calze sottili e lunghe fino al ginocchio. Se questa non è un’infermiera, allora fuori c’è un sole che spacca le pietre.
Veloce e sorridente, apre una cartellina che porta sotto braccio, facendo scattare una penna in un clic inquietante, afferrandola veloce dal taschino che ha sulla sinistra del petto.
-Nome?- sorride con occhi a mezza luna.
-Ehm… io…- balbetto, incerta se risponderle o meno -… io vorrei sapere cos…-
-Nome?- m’interrompe, sorridendo amabile.
Deglutisco, disorientata da quel sorriso falso quanto inquietante, mordendomi un labbro fissandola.
-Nami…- rispondo, rimandano a dopo le mie domande.
Veloce, lei annota sulla cartellina la mia risposta, annuendo cordiale.
-Età?-
-Ho 20 anni…- affermo, dopo aver ricordato incerta la mia data di nascita.
-Provenienza?-
-Vengo dal mare settentrionale…-
Annota ancora, alzando e abbassano il capo sempre con quel sorriso stampato sulle labbra. Stringo forte le mani attorno alle lenzuola, fissandola ansiosa di sapere che ho.
-Bene, si ricorda le conoscenze basi…- annuisce tra se e se, alzando il viso verso di me e sorridendomi stucchevole.
-Professione?-
-Io sono…- ma mi blocco.
Boccheggio cercando le parole giuste, quelle che si riferiscono al mio lavoro, ma non le trovo. Non so quale sia il mio lavoro, non ne ho la più pallida idea.
Sgrano gli occhi, puntandoli nel vuoto, ricercando dentro di me il ricordo di un qualche mestiere, ma trovo solo il vuoto, e la totale assenza di risposte.
-Bene…- sorride la donna, prendendo nota del mio silenzio e scribacchiando sul suo blocchetto.
-Come bene?!?- sbotto irascibile –Non mi ricordo il mio lavoro!!! Come può essere un bene?!?-
Ma l’infermiera continua a sorridermi, e continua il suo interrogatorio.
-Ricorda qualcosa di ieri?- domanda angelica.
-No!!!- ringhio furiosa –Ne del giorno prima, ne di quello prima ancora!!!!-
-Bene, bene, molto bene…- annuisce soddisfatta.
Ma che prende in giro?!?
Non ricordo altro che il mio nome, quanti anni ho e da dove vengo, nient’altro, e tutto ciò sarebbe un bene?!?
-Scherza?!?- domando sporgendomi verso il suo sorriso mieloso e irritante –Non ho memoria di niente, se non di poche cose, e sarebbe un bene?!? Esigo delle spiegazioni!!! Dove sono?!? Che ci faccio qui?!? Che posto è questo?!? E perché non mi ricordo niente del mio passato?!?-
Ansimo presa dal panico, digrignando i denti e sbuffando contro la donna, che continua a sorridermi falsa.
-E la smetta di sorridere!!!!- grido –Non c’è niente da sorridere!!!!-
Provo ad alzarmi dal letto, spostando le coperte, ma lei mi blocca, prendendomi per le spalle e spingendomi verso il materasso.
-Su, su signorina…- sussurra compiacente –Nelle sue condizioni deve stare calma…-
-Calma?!? Io non posso stare calma!!!- mi divincolo dalla sua presa, buttando a terra le coperte –Voglio parlare con un suo superiore!!! Voglio delle spiegazioni, e le voglio ora!!!-
Con una spianta, mi libero dalla presa delle sue manine piccole e fredde, alzandomi a sedere sul letto, puntando il mio sguardo di nocciola su di lei.
L’infermiera inclina il capo sorridendo su un alto, stringendo la cartellina al petto e non accennando nemmeno all’ombra di qualche leggero fastidio per la mia insistenza e irascibilità.
-Deve stare calma signorina…- raccoglie docile le coperte da terra –Deve riguardarsi…-
-Cos’ho?- domando secca, piegando le gambe al petto.
-Credo che una dormita le farebbe bene…-
La fumino, stanca del suo eclissare le mie domande. Arriccio le labbra, fissandola mentre posa la cartellina sullo sgabello, per avere le mani libere e piegare al fondo del letto i lenzuoli.
Sulla plastica trasparente del blocco, intravedo una scritta in blu, semi nascosta dall’esile mole della donna. Mi tendo in avanti, per leggerla, ma subito l’infermiera si alza dal letto, sorridendomi bonaria e impedendomi di leggerla del tutto.
-Perché sono qui, all’Istituto Manari?- chiedo svelta, riferendomi al mezzo nome che sono riuscita a leggere sulla cartellina.
-Per essere curata…- riprende in mano la scheda svelta.
Oh, finalmente una risposta decente!!!!
Quindi questo è davvero un ospedale. Ma come ci sono arrivata fin qui?
Non ricordo di esserci arrivata con le mie gambe, o di essere stata accompagnata da qualcuno, ne di visite specialistiche per chissà quale patologia da cui sarei affetta.
Abbozzo un sorriso, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
-Chi mi ha accompagnato fin qui?- sbatto le ciglia, fingendomi più mansueta e calma, sorridendo finta. Se la politica di questo ospedale è l’ipocrisia, hanno trovato pane per i loro denti. Nessuno è più falso e doppio giochista di me, è una caratteristica che ho imparato ad avere nel sangue, anche se non ne ricordo più il motivo ne dove l’abbia acquisita.
-I tuoi dottori…- risponde cordiale, chiudendo gli occhi a mezza luna.
-Ero già in cura presso un altro ospedale?- sobbalzo agitandomi –Sto così male che mi hanno trasferita qui perché non sapevano curarmi?-
La donnina continua a sorridermi dolcemente, avvicinandosi di pochi passi. Sento il suo pesante profumo di medicinali precedere il suo avanzare, e quando mi è praticamente accanto, una zaffata di alcol e morfina mi intasa le narici.
-Qui sarai curata meglio… il Dottore Zenit saprà aiutarti…- sussurra in un soffio.
-Dottor Zenit? Chi è?-
-È il primario…- annuisce, gongolante nel poter idolatrare il suo capo anche solo nominandolo.
Deglutisco, mordendomi un labbro, incerta di sapere veramente ciò che sto per chiedere.
-È una malattia grave, la mia?- mormoro appena, spaventata.
Forse è per colpa sua se non ricordo niente. Fisso interrogatrice la piccola donna, che sorride inquietante, osservandomi caritatevole.
-Non più degli altri ospiti…-
Non sono sola, quindi. Altri malati abitano l’edificio. Forse sono qui, in quest’austera infermeria, perché mi sono sentita male o per degli accertamenti. Smuovo le labbra, osservando l’infermiera alzare le coperte e invitarmi, con quel suo sorrisetto odioso, ad infilarmi sotto di esse per riposare. Ubbidisco, capendo che per ricevere delle risposte devo accettare le cure di questa svitata.
-Cos’ho esattamente?- mi stendo sul materasso nauseamente candido.
-Sta tranquilla, il Dottore ti curerà dal tuo male…- mi rimbocca le coperte fino al collo -… e presto starai meglio…-
Sorride, allontanandosi veloce da me e dirigendosi verso la guardiola a fine camerata, camminando con quei suoi passetti piccoli e veloci, non lasciandomi tempo per chiederle altro. Assottiglio lo sguardo, puntandolo su di lei e fissandola astiosa per la sua stupida cortesia irritante.
Lascio scivolare lo sguardo sulle sue braccia corte e secche, così strette attorno alla sua cartellina, e sulle sue gambette veloci e scattanti.  Le tiro una linguaccia, rabbiosa per le poche risposte estrapolate.
Veloce e sorridente, raggiunge la sua postazione di guardia, una piccola scrivania dentro una stanzetta in legno che si affaccia sulla camerata, immergendosi tra mille scartoffie più alte di lei, che abbondano sul ripiano. Vorrei poter incendiare quel casotto, solo per il piacere di dar sfogo alla mia rabbia.
Sospiro e cerco di raggruppare le idee, ma per ora so solo che sono affetta da qualche malattia strana, che forse ha a che fare con le amnesie, e che di me so solo il mio nome, e pochissimo altro.
Alzo gli occhi sulla porta principale, accanto alla guardiola, notandone lo spessore rilevante e le rifiniture marcate, più simili ad ex sbarre di prigioni, che ad abbellimenti di una semplice porta ospedaliera. Sopra al bastione elevato dalla cornice della porta, intravedo una scritta bluastra e non molto nitida dalla mia posizione sdraiata.
Strizzo gli occhi per identificarla.
Is… Ist… Istitu… Istituto Ps… Psi… Psichat…
Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere nuovamente, le mani che trafiggono il lenzuolo, la schiena intirizzita dallo stupore.
Istituto Psichiatrico Manari.
Il sudore m’imperla la fronte, colando veloce e gelido sui lati del viso, scivolando giù per il collo e scomparendo freddo sotto il colletto della maglia.
-Oddio…- mi sento mormorare lontana, come se non fossi io a parlare -… è un manicomio… sono ricoverata in un manicomio… Dio mio… credono che io sia pazza…-
Forse è la stanchezza, forse lo choc della scoperta di essere creduta pazza, forse la mancanza di ricordi della mia vita, forse i sorrisi falsi dell’infermiera che mi hanno ubriacata, ma svengo e cado tra i cuscini maleodoranti di calmanti dell’infermeria dell’Istituto Psichiatrico Manari.

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Capitolo 2
*** Dottor Zenit Memoria ***


Dottor Zenit Memoria

 
Lufficio non è molto grande.
È semplicemente una stanza quadrata. Due grandi librerie sullo sfondo, divise da una piccola porta scura, che conduce ad unaltra stanza, la tipica enorme scrivania in legno dabete da dottore, lucente e laccata, posta a sinistra della porta dingresso, coperta da un porta penne e da qualche cartella medica. Dietro ad essa, una decina di brillanti attestati medici notificano gli studi dello specialista, il cui nome scintilla a lettere dorate sul vetro ruvido della porta principale.
Una triste piantina orna un angolino della stanza, affiancando una terza libreria colma di saggi voluminosi e scuri, che fissano clinici la sedia legnoso e dura davanti alla scrivania.
Si, quella sedia.
La sedia del paziente.
La sedia su cui si siede il pazzo.
La sedia su cui sto seduta proprio in questo momento.
Stringo le mani tra loro, reggendole tremanti sul grembo, mentre butto unocchiata oltre la veranda dello studio. La vetrata da sul parco interno dellistituto, dominandolo in tutta la sua triste grandezza, governando sulle poche pallide panchine disposte ai lati delle mura di sicurezza, alte e con il filo spinato, e sulla ghiaia grigia e polverosa che sostituisce il tipico prato curato e verde degli ospedali.
Piccole pozzanghere colorano di un marrone fango il cortile, segno del passato acquazzone. Sposto lo sguardo lungo il profilo delle mura.
Di certo, il patio devessere usato per le attività esterne dellIstituto, regalando qualche attimo di finta libertà ai ricoverati.
Noto alcuni infermieri, che camminano pigri lungo le mura intere, fumando e chiacchierando nella loro pausa pranzo, buttando fugaci occhiate al palazzo principale del centro, nel fondo delle mura, e al portone principale dalla parte opposta, metallico e rinforzato.
Sospiro, riportando lo sguardo sulla scrivania, su cui torno a fissare la targhetta licente e placcata che lorna, riportando lo stesso nome che svetta sulla porta dellufficio: Dottor Zenit Memoria.
Mi mordo un labbro, nervosa.
Non appena mi sono risvegliata dal mio svenimento, la stucchevole infermiera dellastanteria, mi ha aiutato ad alzarmi dal letto, conducendomi qui nellufficio del primario.
-Lui saprà aiutarti- aveva sorriso dolce, facendomi inacidire lo stomaco.
Avevo semplicemente annuito, entrando nello studio, e pronta a fare di tutto, pur di avere delle risposte certe, ma per il momento non potevo far altro che aspettare larrivo di questo fantomatico dottore. Struscio le gambe tra loro, facendo stridere le scarpe basse e chiare che indosso, odiandole per la loro assenza di tacco. Scrollo le spalle, smuovendo le maniche enormi della maglia che indosso.
Linfermiera stucchevole, prima di condurmi qui, ha allentato le cuciture al livello dei polsi, rivelandoli come due elastici, che ha poi spostato fin sulle braccia, stingendole sotto alle spalle.
-Perché?- ho chiesto stupita, ma il suo solito sorriso falso mi ha risposto con un tacito silenzio.
-Qui qualcosa non va- mormoro, tra me e me, mordendomi un labbro.
Uno scricchiolio tenue, e la porta principale finalmente si apre.
Con passo lento e tranquillo, un uomo sulla quarantina entra sorridendo, reggendo sotto un braccio una serie di cartelle mediche.
Ha un sorriso diverso da quello dellinfermiera, più dolce e meno falso. Più umano direi.
Lo fisso senza aprire bocca, standomene seduta sulla sedia improvvisamente fredda per il nervosismo.
Ha i capelli bianchi, accompagnati da una barba curata e grigia che gli circonda tutto il viso. Sul naso, lucidi e fermi, un paio di occhiali sottili e in ferro, che circondano i suoi freddi e grigi occhi di dottore. Le labbra sottili, strette in un sorriso, sono pallide e secche, assetate di un qualcosa di non ben preciso.
-Salve- chiude la porta dietro di se, avvicinandosi alla sua scrivania - io sono il dottor Zenit Memoria-
Mi porge la mano, sedendosi elegante sulla sua poltrona in pelle rossa, leccandosi le labbra divertito.
-Nami- stringo velocemente la mano di sfuggita, raggelando per il suo tocco freddo e liscio. È come ghiaccio secco, e non mi sorprenderei di vederlo fumare di freddo.
-Ben venuta allIstituto Psichiatrico Manari, Nami sono certo che qui ti troverai benissimo- ripone le cartelle su un angolo della scrivania, per poi unire le mani sul ripiano in cuoio che ha davanti, libero da ogni tipo di carta.
-Non so se mi troverò bene- infosso lo sguardo su di lui e sul suo camice bianco e immacolato - non se nemmeno perchè mi trovo qui-
Il dottore sorride, fissandomi da sotto gli occhiali.
-Tranquilla, è normale-
-Normale?!? Le pare normale che io non ricordi assolutamente niente della mia vita, nemmeno di essere pazza?!? Le pare così normale?!?- sbotto stingendo i pugni lungo i fianchi.
-Vuol dire che la cura funziona- risponde calmo lui, rilassandosi sulla sua poltrona.
-Cura?!? Che cura?!? Contro cosa?!? Perché e chi mi ha porta qui?!?-
Sorridendo alle mie domande, il dottore si sfila gli occhiali, sventolando nellaria un lieve fazzolettino nero per ripulirli. Deglutisco, tentando di spegnere le fiamme dellincendio che brucia nella mai gola, arsa di risposte e in panico.
Con calma e pace assoluta, come se io non fossi nemmeno presente nella stanza, Zenit ripulisce i suoi occhiali, rifoderandoli poi con estrema eleganza. Punta il suo sguardo plumbeo su di me, sorridendomi compiaciuto.
-MI RISPONDA!!!- scatto dalla sedia, urlando spazientita dalla sua tranquillità fuori posto e irritante.
Voglio delle risposte e le voglio ora. Voglio sapere che mi è successo e perché sono qui, voglio sapere chi sono e che razza di cura a cui sono stata sottoposta per dimenticare tutto ciò che mi riguarda.
-Calmati Nami...- sorride bonario - sono qui per rispondere ad ogni tua domanda-
-Bene, perché è quello che voglio- mi risiedo, incrociando le braccia al petto.
-Perfetto devi sapere che tu eri in cura presso un altro centro psichiatrico, prima di giungere da noi ieri- racconta tranquillo e fissandomi - eri una schizofrenica sociopatica, e i tuoi precedenti dottori non erano in grado di curarti-
Mi mordo un labbro nervosa  e preoccupata. Schizofrenica sociopatica?
-È stato deciso, per il tuo bene, di trasferiti qui, e come di consuetudine sei stata narcotizzata affinché il viaggio di dislocamento non comportasse alcuni danni sulla tua instabile mente-
Annuisco, capendo il mio sonno profondo e la sonnolenza dei miei muscoli al mio risveglio nellinfermeria dellIstituto.
-Qui, al tuo arrivo quando ancora dormivi, sei stata immediatamente sottoposta ad una cura da me ideata. Una cura avanzata e rivoluzionaria, che mi ha permesso di aiutarti e curarti-
-Che tipo di cura?- chiedo con tono nervoso e mal trattenuto.
Il dottore sorride inclinando il capo su un lato.
-Ti ho cancellato la memoria-
-C-cosa?!?- sgrano gli occhi incredula e spaventata.
-Cancellando ogni tuo ricordo della tua vita, tranne alcuni dati scelti e basilari, ho eliminato anche la causa della tua follia, rimuovendo quellevento scatenate che ha causato dentro di te il tuo crollo psicologico-
Deglutisco a fatica, aggrappandomi alla sedia in cui mi sento affondare.
-Mi ha cancellato i ricordi per cancellare anche la mia pazzia?!? Come?!?-
-Tramite un farmaco da me ideato, sono stato in grado di rassettare la tua memoria nella tua vita, prima del tuo ricovero nel tuo ex ospedale, devi aver subito un qualche shock violento e spaventoso, da cui la tua mente ha tentato di proteggersi creando in te il tuo precedete stato di schizofrenia sociopatica io, cancellando tale evento, ho annullato anche la tua malattia-
Gli occhi mi pizzicano di lacrime di paura, mentre mi porto le mani tremanti alla bocca, per reprimere ogni singhiozzo.
-Io non ricordo niente di tutto ciò- sussurro piano.
-È stato per il tuo bene- afferma il dottore - potevi essere un pericolo per te stessa e gli altri-
Una lacrima fugge al mio controllo, scivolando giù per il profilo del volto, bagnandomi lo zigomo e la guancia.
-Quindi quindi ora che mi succederà? Dovrò ricominciare tutto da capo? La mia vita, i miei affetti, il lavoro?!?-
-Tranquilla per un periodo di tempo, sarai seguita qui nellIstituto, per aiutarti a recuperare i tuoi ricordi e controllare quello in particolare che ti ha reso pazza, affinché non accada più sarai curata e aiutata, e presto tornerai alla tua vita di sempre-
Annuisco, fissando quegli occhi grigi e foschi, che mi osservano studioso.
Rabbrividisco, e un qualcosa dentro di me, di profondo e irremovibile dal mio animo, mi mette in allerta, imponendomi il divieto di fidarmi totalmente del dottor Zenit.
-Resterò qui allora nellIstituto?- balbetto insicura.
-Si avrai una stanza tutta tua e contatti con gli altri pazienti. A tal proposto, il tuo nome sarà celato a tutti gli altri degenti, onde evitare qualche spiacevole incidente-
-Che intende dire?- aggrotto le sopracciglia.
-Tu sarai Arancione, dora in poi- mi battezza sorridendo - non dovrai rivelare a nessuno il tuo vero nome è per il tuo bene e degli altri pazienti ipotizza che levento scatenate di follia, di un altro malato, riguardi una ragazza con il tuo stesso nome: conoscendoti, questo mio paziente potrebbe avere una ricaduta e lo stesso vale per te-
-Quindi non sarò più Nami, ma Arancione? Per il colore dei miei capelli?- alzo un sopracciglio ironica, arricciandomi una ciocca di rame.
-È un nome come un altro, serve solo per identificarti niente di più- sorride amabile.
Un brivido mi attraversa la colonna vertebrale, e una scintilla scoppia nella mia mente: sta mentendo.
Mi mordo un labbro, non convinta della sua spiegazione. È come se, dentro di me, avessi un sensore naturale contro le bugie e i raggiri, un sesto senso anti inganno, e ora, questa mia natura, sta urlando un grido dallarme acuto e dirompente.
-Va bene- annuisco mentendo, fidandomi più di me stessa e della mia natura, che di questuomo.
-Perfetto allora ora puoi andare nella tua stanza, e magari far conoscenza con gli altri pazienti-
Si alza leggero dalla scrivania, invitandomi, con un gesto della mano, ad uscire dal suo ufficio. Fletto appena le gambe, per alzarmi dalla sedia, ma mi fermo a metà del movimento.
-Dottore- lo chiamo piano, attirando la sua attenzione.
Lui mi scruta curioso, sbattendo le palpebre dietro gli occhiali fini.
-Si, Arancione?- sussurra cordiale.
Torno a sedermi fissandolo.
No, non riesco ad accettare di aver perso la memoria. Io voglio sapere chi sono, e se anche lo ricorderò stando qui, lo voglio sapere ora, subito.
Non posso perdere, senza lottare, ventanni della mia vita, accettando questo stato di limbo di assenza totale di memoria. Io pretendo di sapere chi sono.
Mi mordo un labbro, rimuginando una domanda precisa a cui di certo non potrà non negarmi risposta, tentando di comportarmi con finta gentilezza e ipocrisia, come nellinfermeria, pur di ottenere ciò che voglio. Lecco appena il profilo interno delle labbra, per poi sorridere fingendomi impacciata e intimorita.
-Io io vorrei sapere che si intende per schizofrenia sociopatica-
Ai miei occhi pieni di paura per ciò che mi affliggeva, il dottor Zenit sorride pietoso.
Bingo!!! Non può rinunciare a sfoggiare tutto il suo sapere nel campo medico.
-La schizofrenia sociopatica spazia da soggetto a soggetto- risponde generico, fingendo disinteresse nel rispondermi seriamente, ma trattenendosi a mala pena dallaprire una conferenza sullargomento.
-Ma in generale?- insisto, avvicinandomi alla scrivania.
-In generale, le persone schizofreniche sociopatiche, vivono in una realtà tutta loro creandosi una vita parallela e lontana dallevento che le turba psicologicamente, e dalle persone che le circondano-
Il suo tono dotto e colto gronda di piacere nel dimostrare tutto il suo sapere, lubrificandosi al suono della sua stessa voce. I suoi occhietti grigi silluminano bramosi di essere idolatrati, assetati di meriti e devozioni.
Assottiglio lo sguardo e sorrido, sentendolo ormai bisognoso dei miei dubbi, a cui desidera rispondere per la voglia di dimostrarsi esperto.
-Capisco- annuisco impostora - e nel mio caso? Chi credevo di essere?-
Mi fissa stordito, boccheggiando nellaria.
-Non credo sia un bene che tu lo sappia- sussurra.
-Prima o poi lo ricorderò comunque- sorrido sbattendo le ciglia - meglio prima che dopo, no? E poi, se era una realtà falsa, che male potrebbe farmi, ora, che vivo in quella vera?-
Lo fisso rimuginare velocemente nel suo cranio bianco e stracolmo di nozioni psicologiche e neuro psichiatriche, ricercando un qualche motivo per contraddirmi. I suoi occhi mi trapassano, perdendosi a fissare i saggi che dormono nella libreria dietro le mie spalle.
-Dovrei controllare- mormora, portandosi una mano al mento barbuto.
-Io non ho fretta- mi accomodo sulla sedia, accavallando le gambe negli short bianchi, e reggendomi il capo ramato con una mano.
Schiocca la lingua sulle labbra, e poi sinchina sui cassetti della sua scrivania. Apre uno sportellino, al di sotto di due cassetti, armeggiando con la combinazione di una piccola cassaforte nascosta al suo interno.
Di certo, un archivio in cui conserva ogni cartella dei suoi pazienti, con nome e tutti i dettagli della vita che ha cancellato.
Traffica un po con la serratura, facendo roteare la lancetta della cassetta di sicurezza. Sento la lancetta roteare ferrosa tra gli ingranaggi, ricercando i numeri della combinazione: un rullare breve, uno lungo, uno che retrocede di non molto
 tre nove cinque
Al mio orecchio, i cigolii scordati giungono distinti e chiari, traducendosi in numeri e serie perfette, memorizzandosi meccanicamente e senza errori. Senza che veda le mani fredde del dottore ruotare veloci la manopola della casetta blindata, al solo suono della combinazione so perfettamente il codice di apertura dellarchivio dei pazienti.
Sorrido soddisfatta.
Non so come ci sia riuscita, se sia unabilità che possiedo da sempre, o che sia un ricordo di ciò che ero prima di diventare pazza, come il fingere e il mentire abilmente con linfermiera dal sorriso stucchevole, o il non fidarmi del tutto del dottore. So solo che mi è naturale essere così abile nel mentire e capire i raggiri, nellottenere ciò che voglio senza usare la forza.
Mi mordo un labbro nervosa: accidenti, ma chi ero, e come ho acquisito una natura così truffaldina e malfidente?
-Ecco qui- riemerge dalla cassaforte il dottore, estraendo un voluminoso plico di scartoffie - dunque Nami Nami Nami- ricerca il mio nome tra carte e schede - ecco: credevi di essere un pirata la navigatrice di un famoso pirata, per la precisione-
Chiude secco lo schedario, sorridendomi rispettoso.
-Avevi una fervida immaginazione- mi sorride amichevole.
-Si, lo credo anchio- ammetto.
È strano, ma è come se quella bugia della mia mente, quella mia vita parallela di avventure e tesori di pirati, mi appartenesse davvero, fosse stata mi sul serio. Sento le vene bruciarmi sotto la pelle, ribollendo di gioia nel risentire ciò che credevo dessere, e il cuore martellarmi felice e voglioso di libertà, quella libertà che devo aver  trovato nei mari immaginari della mia mente. Sento di essere stata davvero un pirata, un pirata libero e felice.
Sospiro, stringendomi nelle spalle. Ma che penso?!?
Io un pirata? Possibile?
Forse, ero davvero pazza
-Grazie per la gentilezza- mi alzo dalla sedia, avviandomi verso la porta.
-Ricorda il tuo nuovo nome- mi ricorda seguendomi con lo guardo, mentre apro la porta.
-Lo farò- annuisco.
-E rispetta le regole che ti le infermiere timporranno per evitarti delle crisi di follia-
Mi volto sorpresa verso il dottore.
-Del tipo?-
-Non toglierti mai la maglia, non disegnare, non uscire dalla tua stanza se piove o cè vento- elenca sapiente, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi a me - e soprattutto, non mangiare mai mandarini-
Sorrido in mezzo respiro.
-Mangiare mandarini mi farebbe tornare pazza?!? Al massimo mi eviterebbe di aver lo scorbuto- ridacchio.
-Fidati di me- sorride, posando una mano sulla mia spalla sinistra.
Una scarica elettrica scivola dalla scapola fino alla mano, scintillando stridendo dentro di me, attraversando in un lampo il mio sistema nervoso. Sobbalzo, perdendo un respiro. Mi distanzio, staccandomi dal suo tocco uscendo dallo studio e incamminandomi verso linfermeria sorridente, che mi attende per condurmi alla mia stanza.
-Si- annuisco al dottor Zenit, rabbrividendo.
Ora so, con certezza assoluta, che non devo fidarmi di lui.
Me lo dice tutto in me: dalla mia mente svuotata dai ricordi, al mio corpo ringhiante di rabbia contro le balle raccontatemi, e dalla voglia intensa e insopportabile di un mandarino, natami dentro proprio in questi ultimi 5 secondi.
No, non posso fidarmi del Dottor Zenit Memoria.

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Capitolo 3
*** Profondi come i ricordi ***


Profondi come i ricordi


La stanza è povera di colori e arredamento.
Appena un letto, un piccolo comodino con due cassetti, un lavandino scheggiato, un lampadario sgangherato e una finestra con le inferiate che da su un muro di cinta dellistituto, negandomi ogni visuale.
-Bel panorama- ironizzo, alzando gli occhi al soffitto grigio della mia camera, evitando il sorriso stucchevole dellinfermiera, che mi ha accompagnato fin qui.
Guardo di sfuggita il misero letto da una piazza, coperto da un triste lenzuolo verdognolo ammuffito, per niente invogliata nellinfilarmi sotto ad esso per riposare.
Sospiro, girando su me stessa, fino a ritrovarmi davanti agli occhi linfermiera sorriso di miele, elegantemente sullattenti sulla soglia della porta.
-Quindi, questa sarà la mia stanza- indico con un moto circolare dellindice le quattro mura grigie che mi circondano.
-Si. Qui tu dormirai e mangerai- spiega stucchevolmente informata.
-Niente mensa comune?- alzo un ciglio sorpresa.
-Tutti gli ospiti condividono gran parte della giornata, ma non i pasti, le ore notturne e le visite mediche-
-Ah- annuisco al quanto stupita.
Mi sembra di stare in un penitenziario, in cui tutti i detenuti si riuniscono solo nellora daria, invece che in un ospedale.
-E dove è che gli ospiti- domando assottigliando lo sguardo - trascorrono le ore in comune?-
-Nella sala comune- sorride celestiale.
Che risposta ironicamente ovvia.
Alzo nuovamente gli occhi al cielo, avanzando verso la mia zolletta di zucchero con le gambe, incrociando le braccia al petto.
-Scommetto che è la mia prossima destinazione, vero?-
Un semplice sorriso di miele mi risponde, e con un cenno del capo della piccola donna, sono costerna a seguirla lungo il corridoio bianco e luminoso oltre la porta della mia camera. Con passo lento e per niente invogliato, la seguo lungo le pareti alte e dritte del corridoio, allontanandomi dal piano riservato alle stanze dei degenti.
Le ampie e lucenti finestre della corsia danno sul lugubre porticato dellistituto, sovrastando dal secondo piano in cui mi trovo, la grigia aia che separa ledificio dal portone principale delle mura di cinta.
Scendiamo per una ripida scala a chiocciola, stretta e di marmo freddo e duro, raggiungendo il piano terra, costituito da due grandi sale ampie e spaziose. La prima, a sinistra delle scale, è chiusa ai pazienti, come indica un piccolo cartello appeso al di fuori della porta daccesso alle camere, informando che i locali sono riservati alluso esclusivo dei medici e degli infermieri.
Lì vi sono linfermeria e lo studio del Dottor Zenit, e molto probabilmente anche altri ambulatori.
- larchivio del Dottore- rimugino tra me e me, mentre la combinazione del lucchetto della cassaforte segreta del primario mi riecheggia nella testa con cadenza musicale.
Scuoto il capo e seguo Miss Honey Smile, verso la sala nella parte opposta a quella medica.
Con un delicato movimento della mano, linfermiera minvita ad oltrepassare un enorme portone formato da sbarre in ferro borchiate, con una serratura a doppia mandata.
Quellingresso così fortificato, e costruito quasi ad evitare ogni sorta devasione da parte dei malati, minnervosisce parecchio, urtandomi nella mia degenza: siamo malati, ma non pericolosi malviventi.
Fulminando le spranghe dacciaio, entro nella sala comune, pietrificandomi dopo pochi passi di fronte alla sua grandezza: è gigantesca.
Un infinito stanzone, dallalto soffitto e dalle mura immacolate, si apre davanti a me, allungandosi a vista docchio per oltre un centinaio di metri. Le pareti ai lati sono spezzate nella loro continuità da vetrate inferiate alte fino alla volta, che irradiando luce solare allinterno delledificio, illuminandolo in ogni suo anfratto.
Migliaia di tavoli e sedie, occupate da decine e decine di ospiti, spaziano per tutta la grandezza della sala, offrendo libri e attimi di respiro ai malati.
Intontita da questo sprazzo di quasi normalità, scendo dai due scalini sovrastati dalla porta dingresso, inoltrandomi tra i miei colleghi pazzi-smemorati. Alcuni, uomini e donne, chiacchierano tranquillamente tra loro ad un tavolo, altri leggono in pace in altri ripiani protetti da pile di libri, altri ancora sonnecchiano sui poggioli delle finestre, addossandosi ai muri e perdendo lo sguardo verso il cortile di ghiaino.
Tutti indossano come me delle tute bianche, adattate a loro e alle loro personali regole. Avanzo timorosa di qualche passo, guardandomi attorno stordita.
Credevo che sarei stata circondata da pazzi urlanti e deliranti, infermieri isterici di rabbia e pianti continui, e invece sembra di essere in una Hall povera di arredamento di un Hotel stracolmo di clienti spensierati e felici, come se fossero in vacanza.
Avanzo ancora di qualche passo, allontanandomi dalla mia infermiera, che esce dalla sala raggiungendo con piccoli zuccherosi passetti alcuni suoi colleghi a lato del porta inferriata, unendosi a loro nel conversare.
Sono totalmente ammutolita dalla tranquillità di tutti i malati che mi circondano.
Sembra che la perdita di memoria non li disorienti o innervosisca, a mio contrario, ma anzi, che la cancellazione totale della loro vita gli abbia donato nuova serenità e gioia.
Alcuni loschi uomini, dallo sguardo scuro e torvo, al mio passaggio mi sorridono cortesi, annullando totalmente la loro aria da persone tenebrose, rivelandosi gentili e educati. Annuisco confusa al saluto, continuando a camminare tra la gente rilassata.
Forse, la cura del Dottor Zenit non è poi così crudele come pensavo. Sembra davvero che sia in grado di donare una vita felice e spensierata a persone, come, me, che a causa della loro malattia non hanno mai potuto godersi unesistenza tranquilla. Forse mi sbagliavo, nel non volermi fidare del dottore, e questa visione di pace e calma assoluta che mi circonda mi fa vacillare nei miei dubbi appena accennati.
Scombussolata, mi siedo su una panca addossata ad una parete, guardando stupita la serenità dei folli che mi passa davanti agli occhi.
Quanti, di questi uomini e donne, fino ad ieri urlavano e piangevano di un dolore che esisteva solo nelle loro menti, mentre ora chiacchierano e ridono calmi e gioiosi di non ricordarsi affatto di quel male?
Mi aggrappo a palmi aperti sul bordo della panca, scuotendo il capo, non riuscendo ad accettare la serenità che la perdita della memoria può concedere ad un malato come me.
Davvero, potrei essere felice, accettando senza lottare, la perdita totale del mio passato?
Il Dottor Zenit ha detto che, con il suo aiuto, recupererò i ricordi, riuscendo a gestire il fantomatico evento che mi ha reso pazza, evitando una ricaduta, riuscendo così a farmi una vita normale.
Ma fino ad allora, dovrei accettare di vivere in un limbo come questo, senza passato e aggrappandomi ad una promessa di un futuro instabile e lontano, trascorrendo i miei giorni a fingere una felicità apparente, accettandola come mio unico e solo ricordo?
No, non voglio.
Io voglio sapere chi sono, anche a costo di perdere nuovamente il senno.
Deglutisco incerta però, guardando di striscio un uomo passarmi davanti agli occhi mentre ride, intoccato dal male che fino allarrivo allIstituto Manari lo affliggeva.
E se stessi prendendo la decisione sbagliata?
E se davvero il dottor Zenit Memoria e la sua cura, fossero lunica mia occasione per una vita serena e felice?
-È tutto così assurdo- sussurro, abbassando lo sguardo ai miei piedi.
-Si, è vero-
Alzo di colpo gli occhi, notando solo ora la presenza, silenziosa e improvvisa, di una donna accanto a me, seduta sulla mia stessa panchina.
Avrà su e giù una decina di anni più di me, un viso ovale dalla pelle bronzea, una nasino allinsù e il corpo formoso.
Sta leggendo un libro, dalle cui pagine non stacca lo sguardo nemmeno per battere gli occhi, mantenendolo fiero e affamato su di esso, assaporando ogni parola letta.
-Come hai detto, scusa?- mi sporgo verso di lei, incerta che abbia veramente parlato con me.
-Ho detto che è davvero tutto assurdo- alza gli occhi dal libro, sorridendomi bonaria.
Due enormi occhi color azzurro cielo mi fissano aperti e studiosi, e un caldo sorriso sincero, dolce e accogliente, mi saluta.
È una donna bellissima, che con il suo solo sguardo maturo e sincero, mi fa sorridere.
-Anche tu trovi tutto questo, alquanto inquietante?- indico i malati allietarsi della loro perdita di memoria.
-Alquanto si- mormora inclinando il capo - reputo difficile condividere la calma con cui tutti gli altri degenti hanno accettato la perdita del loro passato-
Le sorrido, fissandola in quei meravigliosi occhi color zaffiro.
-Bhè, allora siamo in due- le sorrido, facendole brillare gli occhi.
-Io sono Ebano- si presenta, offrendomi la mano.
Oh Kami, che fantasia che hanno qui per i nomi!!! Io Arancione, per il colore intenso e chiaro dei miei capelli, e questa morettina Ebano. Mi domando se si riuniscano in consiglio per effettuare certe meravigliose scelte
-Arancione- le stringo la mano sorridendo - e voglio uscire al più presto da questo ricovero dinfermiere dal sorriso diabetico-
Riesco a stapparle una mezza risata.
-Buona fortuna allora per quanto ne so, la cura del dottor Zenit richiede al meno un anno di permanenza allIstituto per il recupero e il controllo della memoria memoria che solo lui può ridonare prima di allora, a nessuno è permesso di oltrepassare le mura-
Sgrano gli occhi: un anno?
-E poi?- domando curiosa.
-Poi non so sono qui solo da questa mattina prima ero in un altro ospedale -
-Anchio o almeno così ha detto il dottore-
Ebano mi fissa silenziosa, reggendo a mani aperte il suo libro.
-Non gli credi- commenta seria.
-Affatto- scuoto il capo - cè qualcosa che non mi torna un qualcosa che è da quando mi sono risvegliata qui, nellinfermeria, che mi impone di tenere al massimo i riflessi, e di non fidarmi di nessuno no, qui cè qualcosa che non va-
Ebano mi fissa silenziosa, studiandomi con quel cielo che è riuscita a catturare nella sua iride.
Mi sento scandagliata dal suo sguardo, come se riuscisse a leggermi dentro, ritrovando i miei pensieri più intimi nascondersi in me, analizzando i miei occhi nocciola tremare imbarazzati.
Non riesco a sopportare oltre il suo sguardo, e abbasso il mio ai piedi, che faccio dondolare infantile.
-Anchio ho avuto questa impressione, quando il Dottor Zenit mi ha spiegato la sua cura- volge gli occhi di fronte a se, perdendo lo sguardo tra la gente che vaga per la sala - una cura che cancella ogni ricordo, e ogni follia-
Fisso le mani di Ebano stringere il libro che regge con forza tremante.
-Non ricordo se ho letto questo libro- sussurra, tornando a guardarmi in viso - o se, prima di oggi, ti abbai conosciuto- sobbalzo a quel pensiero.
E se ci conoscessimo?
Se ci fossimo già incontrate prima?
- quello che so, è che sono qui per essere guarita da un male che non ho più e che senso può avere, curare una persona sana?-
Le sorrido, certa di aver appena trovato unalleata dentro questo manicomio.
-Ebano, vuoi recuperare i tuoi ricordi?-
Annuisce sorridendo felina, arricciando le labbra in un sorriso sornione e socchiudendo gli occhi.
-Bene, perché lo voglio anchio, e insieme sono certa che ci riusciremo senza dover aspettare il Dottor Zenit e il suo anno di cure-
La bella mora sorride trattenendosi nella sua eleganza, ma scorgo nei suoi occhi una profonda speranza nella mia promessa, e una scintilla di fiducia accendersi.
Le prendo le mani tra le mie, bisognosa, ora più che mai, di un contatto fisico con qualcuno che è dalla mia stessa parte, e che non sorride e gironzola per una sala piena di ex pazzi fingendo di essere normale.
-Io comunque mi chiamo Nami- sussurro piano, ben attenta che nessuno mi senta.
- e hai una profonda idiosincrasia per le regole- mormora lei.
-Le regole sono fatte per essere violate- le faccio locchiolino ridacchiando.
Lei si avvicina ancor di più a me. Ora posso sentire il suo profumo di carta antica e inchiostro secco, mischiati a un intenso odor di fragole.
-Nico Robin- soffia a fior di labbra sul mio orecchio, distanziandosi poi veloce da me.
Sorrido apprezzando la sua sincerità.
Mi distanzio anchio da lei, per non far sospettare a nessuno i nostri intenti. Ebano riprende a leggere, con un leggero sorriso sul viso, mentre io mi guardo attorno.
Secondo il dottore, venire a conoscenza del nome reale di un altro paziente, avrebbe potuto causarmi una ricaduta, ma così non è stato. Forse, perchè io e Robin non ci siamo mai conosciute prima, o forse perchè è tutto una immensa balla
Non riesco ad accettare il fatto di aver perso i miei ricordi. Come posso daltronde? Senza un passato non cè futuro, se non conosciamo la nostra storia, non possiamo vivere, e non posso permettermi di sprecare un anno della mia vita a recuperare qualcosa che un Dottore, senza il mio permesso, mi ha rubato.
Se è vero che mi ha curata, eliminando la mia memoria, non posso non domandarmi perché non abbia semplicemente cancellato il fattore scatenante della mia pazzia.
Che vi sia dellaltro sotto?
Che il Dottor Zenit Memoria, volesse in realtà cancellare anche qualcosa di più dalla mia mente?
Di sorpresa una campanella, posta al disopra del portone metallico, trilla impaziente e acuta, vibrando contro lintonaco della parete che la regge.
-Che succede?- mi alzo dalla panca imitando Ebano.
-È ora di cena torniamo tutti nelle nostre stanze- chiude il suo libro, dirigendosi verso un infermiere alto e robusto dagli enormi baffoni, che le sorride a mo di bambolotto istruito a dovere.
Lo guardo di striscio, avviandomi verso la mia dinfermiera dal sorriso caramellato, camminando in fretta tra la folla che si aggrega sul portone. Nessuno spinge, ma avanza ordinatamente verso il proprio baby sitter-infermiere, pronti per essere rinchiusi ognuno nella propria cella.
Mi porto dietro lorecchio una ciocca di capelli, osservando Ebano uscire dalla sala comune e salire le scale a chiocciola, verso la sua stanza.
Ruoto appena gli occhi alla mia sinistra, guardando di sfuggita i malati che mi accerchiano.
Ed eccoli.
Si, lì, in mezzo a una mare di occhi puntati in ogni dove, tra mille iridi di colori diversi, eccoli lì, a fissarmi.
Le gambe mi si bloccano distante, interrompendo ogni movimento.
Il respiro mi si mozza in gola.
La mente, che vorticosa già escogitando un qualche piano per recuperare la memoria mia e di Ebano, si ammutolisce, riempiendosi solo di quello sguardo.
Nero.
Nero come la pece, ma profondo come loceano.
Un nero che risucchia tutta la luce della stanza, e rapisce anche me, incatenandomi nel fondo di quellocchio che mi fissa.
Non riesco a staccare lo sguardo da quelliride buia, incantata dalla sua oscura bellezza.
Il cuore mi batte a mille, scalpitando e dibattendosi indemoniato, mentre gli occhi mi pizzicano di lacrime leggere e calde, non salate di amarezza come nello studio del Dottor Zenit, ma dolci di felicità.
Piango di gioia per uno sguardo nero e profondo che mi fissa?
Perché?
Perché?
-Arancione, su vieni- una mano mi afferra per il gomito destro, strattonandomi verso la porta, ma io resto immobile nella sala, incatenata a quello sguardo che non mi libera dal magnetismo che ci ha legato.
Non sono in grado di distogliere lo sguardo da loro, e mi è impossibile osservare a pieno il volto a cui appartengono per lincredibile e piacevole stretta in cu mi avvolgono semplicemente fissandomi.
È come se mi stessero abbracciando, accarezzandomi dolcemente, scuotendomi in tutto il mio essere.
Vorrei che il tempo si fermasse, che quello sguardo profondo e tenace mi tenesse ferma e immobile qui, incatenata a lui, prigioniera del suo colore, della sua profondità.
Spalanco la bocca senza parole, mentre sento il cuore aumentare i battiti, impazzito di gioia. Una scarica elettrice mi scivola sulla pelle, facendomi rabbrividire piacevolmente, mentre il respiro inizia a mancarmi, a singhiozzare nel petto che si alza emozionato.
-Tu- mormoro appena, provando a muovere un passo verso quegli occhi, ma linfermiera Sorriso di Miele, mi blocca con la sua esile forza, trattenendomi sul posto e strattonandomi nella direzione opposta.
-Vieni cara la cena se no si raffredda-
Indietreggio priva di volontà, ancora ansimante per quellocchio nero e profondo che non mi libera dalla sua presa. Cerco di divincolarmi dalla morsa al braccio dellinfermiera, ma non ci riesco, e sono costretta a seguirla sugli scalini della porta.
Non riesco e non voglio spezzare il legame che mincatena a quegli occhi neri, e mantengo ancora fisso lo sguardo su di loro, ma anchessi sono costretti ad indietreggiare nella massa di persone, trascinati da un qualche infermiere burbero e sorridente.
-No- gemo povera di voce, alzando un braccio verso di loro - no tu resta no-
Locchio nero scompare immerso nella folla, e un vuoto assoluto mi assale, facendomi quasi annegare. Li cerco tra la calca, alzandomi sulle punte dei piedi, ansimando presa dallo sconforto di non ritrovarli. Una fitta di dolore frena i battiti del mio cuore, che ora si zittisce sofferente e doloroso, piangendo di disperazione.
Vengo trascinata su per le scale a chiocciola, mentre le lacrime, silenti e calde, scivolando sulle mie guance, bagnandomi il viso.
Uno strattone, e mi ritrovo chiusa a chiave nella mia stanza.
Sul letto un vassoio con la cena.
Tremante, mi porto una mano alla bocca, bagnata e salata di lacrime, scossa da esili singhiozzi, deboli e infranti di dolore.
-No- mormoro senza senso, rivedendomi davanti quello sguardo nero e profondo -No lui lui-
Mi accascio davanti alla porta, addossandomi su di essa con la schiena. Brividi e singhiozzi mi fanno tremare il torace, ma ora, la cosa che mi da più dolore, è la straziante sensazione dentro di me di aver perduto la cosa più preziosa al mondo. Come se qualcuno mi avesse appena rubato il cuore dal petto, strappandomelo con cattiveria e violenza dalle carni.
La testa mi duole, vorticando veloce attorno allimmagine fissa in essa di quelliride buia e profonda. Riviverla mi scalda il petto, consolandolo e scaldandolo, ma le lacrime non smettono di scendere dagli occhi.
È un dolore così grande questo, così straziante e inconsolabile.
Sento un qualcosa muoversi dentro di me, dentro la mia mente, un qualcosa dimprigionato da catene pesanti e indistruttibili, che lo incarcerano nella parte più remota di me, non permettendogli di riemergere e farsi riconoscere, e tutto questo fa ancora più male.
È un qualcosa dintenso, dolce e amaro allo stesso tempo, un che dindistruttibile e incancellabile, che rende felici e tristi, che dona vita e uccide.
Un qualcosa di profondo e buio come quegli occhi.
Profondi e bui come i ricordi

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Capitolo 4
*** Verde ***


Verde

 
Una dolce melodia risuona leggera.
È suonata da un violino.
Le sue esili corde sono pizzicate con maestria da mani leggere e vellutate, mani che le accarezzano guidandole in note celestiali di una danza notturna, una danza che mi riecheggia dentro il cuore, facendolo ballare di gioia.
Otto figure nere mi circondano, ridendo, ballando, festeggiando con urla di felicità, attorno ad un immenso albero maestro di una nave.
Siamo tutti seduti ad un basso tavolo da pranzo, ricolmo di prelibatezze e alcolici di ogni tipo.
Mi guardo attorno, non riuscendo a celare il mio sorriso più bello e spontaneo, contagiata da tanta voglia di vivere e allegria.
Sopra al tavolo, ballano una piccola figura dalle sembianze di renna, le cui corna dondolano a ritmo delle note del violino, e un ragazzo dal lungo naso e dai capelli ricci, che ancheggia in modo esilarante.
Non riesco a trattenermi, scoppiando a ridere a crepa pelle, e incitati dalle mie ristate, quei due continuano il loro buffissimo balletto, fino a farmi lacrimare gli occhi.
Una terza figura nera, i cui tratti del viso e del corpo sono del tutto annullati dal buio che li forma, salta sul tavolo, facendolo traballare implorante pietà, e si mette in una strana posa: una gamba tesa e l’altra piegata reggono l’enorme busto toracico dell’uomo, le cui braccia esponenziali sono unite a formare un’unica forma indirizzata al cielo.
Tutti e tre, si mettono a ballare con pose inconcepibili e demenziali.
Rido all’assurda posa da supereroe gigantesco del terzo ballerino, mentre noto il violinista, l’artefice di questa meravigliosa musica. È una figura dal capo afro e nero, le braccia scheletriche e il tronco rigato come se le ossa fossero a stretto contatto con la stoffa del suo vestito, non attutite dai muscoli e dalla carne del suo corpo. Il canterino si piega, con un inchino, verso una giovane donna alla mia destra, domandandogli, chissà che, con una risata.
Lei, con fare elegante e calmo, nega col capo alla sua richiesta, sorridendogli cordiale. Corrugo le sopracciglia, accorgendomi solo ora che l’unico suono che sento è la musica del violino, e un famigliare sciabordare di onde contro la chiglia della nave. Tutto il resto, le voci, le grida, i canti, mi giungono distorti, come se vi fosse un qualcosa che mi impedisse di coglierli del tutto, vietandomi di ricordare i loro suoni reali e di riconoscerli.
Assottiglio lo sguardo, guardandomi attorno per scorgere qualche dettaglio dei personaggi che mi circondano, ma anche i miei occhi sembrano impediti da una fitta nebbia, che nasconde ogni prezioso particolare che potrebbe aiutarmi.
Ruoto il capo, e mi accorgo di un buffo ragazzo seduto proprio davanti a me, sul lato opposto del tavolo. Si sta ingozzando senza ritegno a mani piene, imbrattandosi il viso e il colletto della maglia, arrampicandosi su tutto il ripiano per poter raggiungere ogni pietanza. Sembra che non mangi da giorni, e che ogni cibo che un elegante cuoco, con una fumante cicca sulle labbra gli porge, sia insufficiente per saziarlo.
Lo fisso ammorbidendo lo sguardo, intenerita da un sentimento lontano di fratellanza, un legame che dovrebbe essere solito e indistruttibile, ma che percepisco dentro di me mite e distorto, confuso tra le ombre dei miei ricordi cancellati.
Lo squadro, con quel suo cappello di paglia in testa, cercando di ricordarmi chi sia, ma vengo distratta da un movimento strascicato e muscoloso alla mia sinistra, che cattura totalmente la mia attenzione.
Sgrano gli occhi, e non importa che la sua figura sia del tutto annerita e priva di dettagli, lo so, lo sento che è lui.
È lui.
È lui ne sono certa.
Sebbene non riesca a vederlo nei suoi occhi neri come l’ebano, sono certa che sia lui.
Lo riconosco dalla cadenza del suo respiro, da come si porta il boccale di birra alle labbra, dal sbadigliare pesante e stanco, dai capelli spettinati dal vento…
-Tu…- sussurro radiosa di felicità, avvicinandomi a lui.
Lo sfioro con una carezza sul volto, facendolo voltare verso di me, ma nessun sorriso, nessun sguardo magnetico o profondo mi è offerto.
Solo nero.
Un nero assoluto, piatto, buio come una notte senza luna.
Un nero che annienta ogni sua espressione, ogni suo sguardo, ogni suo respiro.
Un nero che si propaga anche dentro di me, facendomi sprofondare nello sconforto.
-Chi sei?- gli domando, sperando che la sua voce possa abbattere la nebbia che mi assorda –Perché sei così importante per me? Perchè il tuo solo sguardo mi fa piangere di disperazione nel non ricordarlo?!? Chi sei?-
Una lacrima mi riga il volto, e la voce inizia a tremarmi sulle labbra.
-Mi manchi…- gli confesso -… il tuo ricordo mi manca… è come se mi fosse stato rubato il mio bene più prezioso, la mia unica ragione di vita…-
Lo fisso, annegando in quel tetro nero senza fine, cercandovi disperatamente una risposta. Voglio sapere chi è, cosa mi lega a lui, perché sto così male senza di lui, senza il suo ricordo…
Mi aggrappo con forza al suo vestito, scuotendolo con rabbia mentre altre lacrime scivolano giù sul mio viso, bruciando come braci sulla pelle, graffiandola come vetro.
La voce mi trema in gola, fino alle labbra, dove striscia mite e implorante, disperata e dolorante, assetata di verità e ricordi.
-Chi sei?!? Dimmelo!!!- lo imploro –Dimmelo ti prego!!! È come se stessi morendo senza di te!!!! Dimmelo!!!-
Ma non mi concede risposta, e improvvisamente, tutta la musica e le risate delle altre figure che ci circondano, tace.
Un silenzio abissale e sordo s’impadronisce del ponte della nave, e un forte vento inizia a soffiare ai piedi dell’albero maestro. Le vele si dimenano sul punto di strapparsi, le fiaccole che illuminano la festa traballano e si spengono in un istante, permettendo al buio di serpeggiare dagli anfratti in cui era imprigionato, scivolando su tutto il ponte.
Stringo con forza l’appiglio sulla camicia della mia ragione di vita, ma sento la presa instabile, come se stessi cercando di afferrare l’aria.
Terrorizzata dal perderlo, lo abbraccio per la vita, infossando il viso sul suo petto, provando in tutti i modi di resistere al forte vento che ci scuote.
Alzo lo sguardo sulle altre figure che i circondano, ma non ve n’è più nemmeno una.
-NO!!!!!!!!!!!!!- urlo, piangendo anche per loro, sentendo che sono legata in qualche modo ad ognuno di  essi –NO!!!!!!!!!!!!!-
Mi mordo un labbro, tentando di frenare le lacrime, ma tutto ciò che ottengo è di ferirmi, e di sporcarmi le labbra di sangue.
-No, no!!!- scuoto il capo contro il petto del mio lui.
Sento una sua mano asciugarmi il viso, accarezzandomi il labbro sanguinate. Alzo lo sguardo sul suo viso scuro e privo di espressione.
-Non mi lasciare anche tu…- lo imploro -… ti prego…-
Ma non appena pronuncio queste esili parole, il vento si accanisce su di lui, scuotendolo e urlandogli contro, fino a spazzarlo via, poco a poco, come se fosse una statua di sabbia nera.
-NOOOOO!!!!!!!!-
Il mio urlo straziante di dolore si espande senza fine nel vento, perdendosi nel buio più nero e senza fine. Altre lacrime, fredde, pungenti come spade, scivolano sul mio viso, trapassandomi il cuore, l’anima, mentre l’unica cosa che mi resta di lui è piccola e nera polvere che scivola a terra dalle mie dita.
Nient’altro.
Nient’altro.
Nient’altro.
-No… no… NO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
 
 
-….NOOOOOO!!!!-
Salto sul materasso, ritrovandomi seduta sopra alle lenzuola verdognole e tristi del letto dell’istituto.
Sudore freddo e viscido m’imperla la fronte, scendendo lento dalle tempie, appiccicandosi alla mia pelle bianca e tremante.
Il cuore batte all’impazzata, le mani sono scosse dalla paura.
Deglutisco a vuoto, guardandomi attorno, sbattendo le ciglia per riprendermi.
-Un-un sogno…- sussurro tra me e me, fissando il muro di cinta che si staglia al di fuori della finestra, davanti al mio sguardo.
Respiro profondamente, spostando le gambe al di fuori del letto, passandomi una mano sulla fronte madida di sudore. Era tutto un sogno, solo un sogno.
Però…
Quelle 8 figure nere…
Era tutto così reale, così vero.
Le risate, la musica, il ponte della nave, il comportamento di quegli sconosciuti… come se avessi realmente vissuto quella scena, come se non fosse stato solo un sogno.
Poso il palmo intero della mano sul petto, ascoltando attenta e ad occhi chiusi il mio cuore singhiozzare triste nel non poter più vivere quella fantasia, di non poter più ascoltare il violino suonare e il canto di quello scheletrico violinista volare nell’aria, ma più di ogni altra cosa, lo sento piangere per l’assenza di lui.
Lui non c’è.
Non è qui, accanto a me, a consolarmi nella mia disperazione, a dirmi che tutto andrà bene. Lui non c’è. Mi è stato rubato, tolto dalla mente e dal cuore con forza e violenza, cancellato dalla mia vita contro la mia volontà.
Un leggero raggio di sole azzarda un pigro riverbero contro la muraglia protettiva, introducendosi con cautela nella mia stanza. Rimbalza appena, debole e leggero, contro il vetro dell’apertura, picchiettando su di esso la sua presenza.
Lo guardo appena, mentre un leggero bussare annuncia l’arrivo della mia infermiera preferita. 
-Buongiorno mia cara…- entra con sorriso di miele e passo di ballerina, posando accanto a me, sul letto, un vassoio con la colazione –Dormito bene?-
Corrugo la fronte, mordendomi la lingua per non risponderle male.
Se dormire bene qui, è addormentarsi piangendo perché non si ricorda un bel niente della persona più importante della propria vita,e  risvegliarsi con cuore infranto per lo stesso motivo, allora ho dormito da Dio.
-Si…- mento, sorseggiando un caffé disgustoso e acquoso.
-Bene… appena avrai finito ti porterò nella sala comune…- sorride, offrendomi una piccola tazzina trasparente.
Alzo un sopracciglio, fissando la piccola pillolina blu che rotola sul fondo del contenitore offertomi.
-Cos’è?- domando stizzita, alzando il naso disgustata dalla pasticca azzurrognola.
-La tua medicina… su, prendila… è per il tuo bene…-
“È per il mio bene”
Un piccola frase che risuona come una campana nel mio cranio, che si accende a giorno, ordinandomi di non ingerire assolutamente quella schifezza. Aggrotto le sopracciglia, studiando la pastiglia rotolare sul fondo del contenitore.
Strego la bocca, portandomi alle labbra la tazzina. Fisso l’infermiera accanto al letto, i cui occhietti piccoli e neri mi squadrano studiosi, attenti che la pillola entri nella mia bocca.
Un movemmo rapido, e la pastiglia è sulla mia lingua, dove la fermo, non ingerendola.
Sorrido cordiale, convincendo questo barattolino di sorrisi radioattivi di aver ingoiato la medicina, che annuisce compiaciuta, raccogliendo i resti della mia insipida colazione.
-Trono subito, mia cara…- esce dalla porta, chiudendosela alle spalle con uno schiocco.
Rapida mi lancio sul lavandino, dove sputo la pillola blu, che rotola fino allo scarico, lasciando una piccola scia azzurra sul fondo laccato. Sciacquo il ripiano aprendo il rubinetto, approfittandone di darmi una rinfrescata e cercare di sistemare i miei pensieri.
Bevo veloce un sorso d’acqua per sciacquarmi la bocca, e mi bagno il viso, sentendo il sudore mischiarsi all’incertezza e scivolare giù nelle fogne assieme alla pasticca. Il cuore nel mio petto si calma, smettendo di tuonarmi nelle orecchie.
Chiudo gli occhi e respiro a fondo, alzando il capo al soffitto, lasciando che i miei capelli scivolino sulla schiena, solleticandola flebilmente da sopra la maglia bianca. Ho il collo tutto intirizzito dalla posa scomoda in cui mi sono addormentata, e di certo quel legnoso letto non è stato un benefico al mio riposo. Scrollo le spalle, liberandomi del torpore, rimuginando velocemente sul da farsi. Ben presto l’infermiera tornerà, e mi porterà nella sala comune dei pazienti.
Mi mordo un labbro, fissando la porta blindata della mia stanza.
C’è un'unica cosa che devo fare, una volta raggiunta la sala comune: trovarlo.
Anche lui è qui nell’istituto, e di certo, se non ho interpretato male il suo sguardo dipendente dal mio di ieri, anche lui come me ora mi attende, per avere la certezza di non essere solo in questo pazzo manicomio.
Non può essere tutta una coincidenza: i nostri sguardi che si sono trovati tra mille altri, il magnetismo che ci legava, il sogno in cui lui ‘era…
Qualcosa ci lega, qualcosa di forte, d’indimenticabile e indistruttibile.
O almeno, un qualcosa del genere, forte e insormontabile, lega me a lui, rendendomi del tutto dipendente e bisognosa del suo ricordo.
Uno scricchiolio acuto annuncia il ritorno di Miss Smile, che torna da me sorridente come un raggio di sole con la nausea.
Uhm, forse dovrei chiederle il nome… No, insultarla nei miei pensieri è l’unico passatempo che ho per ora, ed è l’unico modo che mi resta per restare fredda e distaccata da tutto ciò che riguarda l’Istituto Manari.
-Vieni…- mi invita, indicando con un moto della mano aperta il corridoio oltre l’uscio.
Svelta, esco dalla stanza, non aspettando nemmeno che lei mi raggiunga, ma lanciandomi verso le scale. Le scendo a salti, percorrendo tre scalini alla volta.
Non bado al camminare veloce dell’infermiera dietro di me, che mi segue silenziosa e strisciante come una serpe. Pochi passi, e mi ritrovo davanti al grande cancello di catene della sala comune dei pazienti. Mi aggrappo ad una sbarra, alzandomi sulle punte dei piedi, allungando il collo sopra al marasma di teste che affolla la sala.
Dov’è? Dov’è?
-Aspetta che apro…- si avvicina Miss Sorriso di Miele, estraendo un’enorme chiave da una tasca della sua candida divisa da crocerossina diabetica.
Due giri di volta, e il portone blindato si apre davanti a me, concedendomi di volare oltre i tre piccoli scalini, atterrando a pie pari sul pavimento lastricato.
Mi guardo attorno, roteando a gran velocità le pupille degli occhi, cerando in ogni volto, in ogni sguardo spento di passato, i suoi occhi neri e profondi.
Sfreccio da un viso ad un altro, setacciando ogni occhiata maschile che mi sfiora, studiando ogni pupilla scura che si posa su di me. Avanzo di pochi passi, voltandomi verso i gruppetti di uomini a me più lontani, osservando i loro occhi, ma non riconoscendone alcuno.
-Buongiorno Arancione….-
Sussulto colta di sorpresa al saluto di Ebano, apparsa dal nulla come un ombra. La guardo appena, abbozzando un sorriso di cortesia, per poi riprendere la mia ricerca.
-Ciao…- mormoro, inarcando e sopracciglia notando un paio di occhi scuri poco davanti a me.
-Tutto bene?- domanda la mora, che dietro le mie spalle mi fissa curiosa del mio comportamento.
Assottiglio lo sguardo verso gli occhi scuri, ma non hanno la stessa profondità di quelli che cerco. Accidenti, non è lui!!!
-Uhm… si…- annuisco vaga, rincorrendo un uomo dallo sguardo penetrante e tenebroso.
-Sicura?- si sposta accanto a me, incrociando le braccia al petto, tenendo un dito della mano destra a metà di un libro che di certo stava leggendo –Sembra che tu stia cercando qualcosa…-
-Qualcuno per l’esattezza...- biascico, scuotendo il capo, abbandonando il tenebroso uomo. Non è lui.
-Chi?- alza il suo ceruleo sguardo sulla folla di malati attorno a noi, corrugando la fronte.
-A dire il vero non lo so nemmeno io…-  ammetto, voltando il capo verso un paio di occhi neri. Non abbastanza però.
Ebano si frappone sul mio sguardo, sorridendomi curiosa. Sta in silenzio, aspettando che io parli, fissandomi con quel suo sguardo di cielo privo di ogni nuvola.
-È complicato…- sussurro, sollevandomi sulle punte dei piedi, alzando lo sguardo oltre il suo capo corvino.
-Spiega, allora…- sorride eterea, interrompendo ancora la mia ricerca.
Sbuffando, mi abbasso dalla mia vedetta, cercando le parole giuste.
-Ieri ho visto un uomo…- racconto impacciata -… e so che è stupido, ma io so di conoscerlo!!! Io l’ho già visto, e sento che qualcosa di veramente forte mi lega a lui… forse, se lo trovassi, riuscirei  scoprire qualcosa su di me...-
Ebano mi sorride comprensiva, e, accarezzandomi sul viso, si volta verso gli altri degenti.
-Com’è fatto?- domanda, scrutando un gruppetto di persone accanto a noi.
-Ecco, questa è la parte più complicata: so solo che ha gli occhi neri…- sospiro, facendola voltare verso di me stupita e senza parole.
-Bhè, è un vero problema questo…- ammette, fissandomi.
-Lo so…- mugugno increspandole labbra -… ma sono occhi così belli, così neri… e profondi, come il mare… io… io…-
-Tu non vivi senza di loro…- completa la mia frase, lasciandomi senza fiato.
Arrossisco, imbarazzata della mia futile ragione di vita, ma so che senza di loro, di quegli occhi neri e profondi che in un solo attimo sono riusciti a ribaltarmi l’anima, veramente potrei perire in pochi secondi.
-Ebano, aiutami a trovarlo…- la prego, alzando lo sguardo su di lei.
-Certamente mia cara…- sorride sincera, incamminandosi tra la gente.
La seguo, ascoltando attentamente la sua voce mischiarsi alle chiacchiere e alla confusione.
-Dove l’hai visto ieri?- domanda soave.
-All’uscita dalla sala… non so da dove sia sbucato fuori: ho visto i suoi occhi e basta, non ho capito più niente…-
Si ferma, voltandosi verso di me e inclinando la testa su un lato.
-Questo è il centro della sala: da qui è possibile vedere ogni ospite dell’Istituto presente… forse la tua ricerca sarà più semplice, se lo cerchi da questo punto…-
Annuisco, iniziando a guardarmi attorno.
Fisso tutti gli sguardi che mi capitano a tiro, confrontandoli dentro di me con quelli del giorno prima, e ricercandovi la magnifica sensazioni di benessere e calore che solo essi sanno creare in me.
Occhi nocciola, marroni, azzurri, verdi, chiari, scuri, mi passano lentamente davanti, guardandomi appena, non venendo affatto magnetizzati dal mio sguardo di cioccolato. Giro su me stessa, cambiando direzione, studiando ancora tutti i volti maschili che rintraccio, ma non riesco a trovarlo.
-Dove sei? Dove sei?- mi mordo un labbro, roteando sui miei passi, fino a voltarmi totalmente verso le vetrate, gigantesche e luminose, che danno sul cortile.
Alcuni pazienti sono seduti con disinvoltura sui ripiani delle finestre, addossati o totalmente stravaccati sui balconcini. Parlano con altri malati, leggono, o fissano perduti la ghiaia grigia del cortile, cercandovi un ancora per non affondare nel buio dei loro ricordi cancellati.
-Trovato?- sussurra Ebano, accarezzandomi il viso.
Nego con un cenno del capo, osservando le vetrate illuminare la sala. I forti raggi del sole, che con leggeri riverberi brillano sul pavimento, non sono abbastanza forti da illuminare anche i passati bui e nascosti dentro ognuno dei pazienti che camminano  su quei raggi d’oro zecchino, lasciandoli vagare senza meta nell’oscurità di una memoria vuota. Deglutisco, osservando le persone sedute sui ripiani delle finestre. Lo cerco tra quei pazzi senza passato, sperando disperatamente di trovarlo, ma il suo sguardo non c’è, lui non c’è.
-Oh Ebano… io…- singhiozzo, presa dallo sconforto, ma non appena apro bocca, un paziente, stravaccato su un balconcino di una finestra con la schiena addossata ala parete di destra, volge il viso verso l’interno della sala, distogliendolo dal cielo plumbeo che si staglia sopra l’istituto, lasciando scivolare il suo sguardo sul pavimento.
Il cuore perde un battito. Forse due.
Il respiro si fa più strozzato, affannato, e le mani mi tremano commosse mentre le stringo tra loro.
Un occhio solo e nero osserva vago la stanza, tornando poi al grigiore del tempo.
Sarebbe passato inosservato a chiunque, a qualsiasi altra persona presente nella sala, ma non a me, non a me, il cui cuore ha sussultato di gioia nel trovarlo, non a me, che ora trema di felicità nel saperlo qui, a pochi metri da dove mi trovo.
Non a me, che vivo per lui.
-Tu…- ansimo, avanzando di un passo -… tu… ci sei…-
Fisso senza parole il ragazzo seduto sul balcone della vetrata, imponendomi di scovarne ogni più piccolo dettaglio e particolare, e di ricordarlo per il resto dei miei giorni, anche perchè, una visione del genere, è assai difficile, se non impossibile, dimenticare. Lui è semplicemente bellissimo.
Alto, muscoloso, grandi braccia bronzee ricoperte appena da una maglia bianca a mezze maniche, tre orecchini sul lobo sinistro, naso aquilino, mascella contratta, volto maturo e una zazzera brillante color verde menta.
-È lui!!!! È lui!!! È lui, Ebano!!!!- mi metto a saltellare di gioia, urlando e prendendo per mano la mia compagna, che costringo a saltellare con me -È lui!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
Lei sorride contenuta, assecondando il mio eccesso di felicità.
-Sono contenta per te…- mi ferma nel mio esultare, ponendomi le mani sulle spalle –Forse però, ora dovresti andare da lui… no?-
Annuisco e mi precipito sulla vetrata su cui è seduto. Mi fermo a un metro da lui, prendendo un profondo respiro e ordinando al mio cuore di smettere di battere indemoniato. Mi sistemo i capelli, portando qualche ciocca ribelle dietro l’orecchio, avvicinandomi.
-Ciao…- esordisco, sorridendo entusiasta.
Non si volta nemmeno, restando impassibile e fermo a fissare il cortile. Forse non mi ha sentito, per cui mi avvicino ancora, fino a quasi sfioralo con la punta delle dita.
È una tentazione tremenda, e per bloccarla, porto le mani dietro la schiena, dove le incrocio.
-Ciao…- ripeto, sorridente, ma lui non mi rivolge ancora un cenno.
Sbuffo, gonfiando le guance, portando le mani ai fianchi.
-Ehi… io ho detto “Ciao”!!!- sbotto, certa che da questa distanza possa sentirmi senza problemi.
Pigramente, volge il suo interesse su di me, guardandomi annoiato. Fa schioccare le labbra, sbadigliando, per poi tornare a fissare fuori dalla finestra non degnandomi di mezza parola.
Una vena inizia a pulsarmi sulla fronte. No, dico, ma ci è o ci fa?!?
-Razza di maleducato!!!! Non ti hanno insegnato a salutare?!? Che sei sordo?!?- ringhio, picchiandolo sul cranio con un potente pugno.
Il contatto tra le nocche della mia mano, e la sua testa verde, mi fa quasi perdere l’equilibrio, stupendomi. Perché l’ho fatto? Perché? Non so nemmeno il suo nome, ma mi permetto già di picchiarlo?!?
Eppure, è stato un gesto così naturale, spontaneo, come se lo avessi fatto per ogni giorno della mia vita da quando respiro. Un gesto eco dei miei ricordi.
-STUPIDA MOCCIOSA!!!!- ringhia lui, concedendomi finalmente d’attenzione, votandosi ringhiante verso di me.
-Mocciosa, io?!? Oltre che sordo, pure cieco?!?- soffio, divertita dal suo carattere focoso tanto quanto il mio.
-Io non sono sordo…- afferma, allungando il collo verso di me, e fissandomi rabbioso con quel suo occhio nero.
Oh Kami, è così maledettamente bello…
-Bhè, sordo no, ma maleducato di certo…- ghigno incrociando le braccia al petto.
-Se non ti ho salutato ho i miei buoi motivi…-
-Si, certo: che sei un cavernicolo!!!-
-Brutta strega, come ti permetti?!?-
-Strega a me?!? Fata come minimo!!!!- mi indico, facendogli notare la mia bellezza da fiaba.
-Seh, la fata mocciosa!!!!- sghignazza.
-Razza di ominide ammuffito!!!- lo picchio di nuovo sul capo, soffiando dal naso –Io non sono una mocciosa!!!!-
-A me pare proprio di si…- fa il saputello, ghignando mentre addossa la testa contro la parete dietro le sue spalle, mettendosi di tre quarti verso di me e piegando le gambe al petto, infossando le braccia sull’incavo del bacino.
-L’ho detto io che sei cieco…-
-Meglio cieco che mocciosa…-
-Smettila, stupido idiota…-
-Mocciosa, mocciosa, mocciosa…- cantilena acido e infantile.
-Ominide, ominide, ominide…- gli tiro la lingua, chiudendo gli occhi stizzita.
Accidenti, ma è davvero lui l’uomo che sto cercando?!?
È lui l’uomo che, con il suo solo sguardo, riesce a farmi sussultare il cuore?!?
-Oh, ma quanto siamo maturi…- sbuffa, riferendosi al mio infantilismo nel fargli il verso come pochi attimi fa.
Se non fosse per quel suo occhio magnetico e il suo fisco mozzafiato che mi lascia a corto di fiato, lo picchierei volentieri. Ma che dico?!? L’ho già picchiato!!!!!!
Lo fulmino con lo sguardo, stringendo con forza le braccia al petto. Ho creduto di morire senza di lui, ho contato le ore della sua assenza accanto a me, ho cercato i suoi occhi tra centinaia, il mio cuore è scoppiato di gioia nel rivederlo, e ora, l’unica cosa che riesco a fare con lui, è litigare?!?
Ricambio il suo sguardo sottile e studioso, e nuovamente mi perdo nel petrolio delle sue iridi. Annego, senza provare a salvarmi, lasciandomi cullare da quell’oceano notturno senza luna.
Addolcisco lo sguardo, sorridendo contro il suo ghigno.
Si, è lui, e di certo il litigare è una parte del nostro legame. È come ritrovarsi in un gioco perduto, tornado a vivere giorni spensierati e felici. In fin dei conti, è pure divertente.
Sorrido, e mi siedo accanto a lui, sopra il balconcino della finestra, dando le spalle alla vetrata. Ritrae un po’ i piedi, facendomi spazio, fissandomi con un ghigno aperto sul viso, divertito più di me dal nostro bisticciare.
Arrossisco un po’, prima di decidermi a parlare.
-Sai, ieri ti ho visto…- mormoro appena, cambiando totalmente discorso e facendo dondolare i piedi contro il muretto sotto la finestra. Non dice niente, ma so che mi sta ascoltando e che il suo sguardo è fisso su di me, a scandagliarmi l’anima.
-… ho visto i tuoi occhi…- preciso, infossano lo sguardo sulle mie gambe chiare -... ed è stato… strano…- tartaglio, prendendo un respiro profondo.
Come posso spiegare ciò che ho provato?
E se per lui non fosse stato lo stesso?
Mi porto una mano al cuore, sentendolo bussare con forza, chiedendo il permesso di parlare.
Sospiro.
-È stato come riemergere da un’immersione: il tuo sguardo è stato un’ondata di aria pura… ossigeno caldo e inebriante…- stringo le mani tra loro, vietandole di tremare.
-… è stato meraviglioso come fissare il sole per la prima volta, ma doloroso come se ne fossi rimasta accecata e ustionata nello stesso tempo…-
Abbasso ancor di più il viso, nascondendo una lacrima di dolore.
-Ti conosco, lo so, lo sento, ma non mi ricordo niente d te… dove ci siamo conosciuti, ciò che ci lega… non me lo ricordo… so solo che il tuo ricordo mi manca… mi manca da morire…-
Un’altra lacrima cala sullo zigomo destro, rivolto verso la parete delle finestra, e lui non la nota. Riesco a mantenere saldo e calmo il mio tono di voce, celando le incrinature che si nascondono dietro di esso. Non voglio che mi veda debole, perchè non lo sono affatto.
-… quando i nostri occhi si sono incrociati, ho sentito dentro di me esplodere qualcosa…- arrossisco, alzando al cielo lo sguardo -… e una gioia infinita mi ha invaso le vene… ma, subito dopo, una grande tristezza ha preso il sopravvento e tutto perché non ho alcun ricordo di te… si, lo so, crederai che sia tutto una sciocchezza, una stupidaggine, ma…-
-Non è affatto stupido!!!!- mi zittisce severo, facendomi voltare verso di lui sorpresa.
-Hai capito mocciosa? Non è affatto stupido…-
Si curva verso di me, sporgendosi e abbassando il suo sensuale tono di voce, rendendolo più roco e vibrante, caldo e dolce al suono come il miele.
-Non è stupido credere di conoscere qualcuno, riconoscendolo solo dallo sguardo… non è stupido litigarci come prima cosa in assoluto quando la si trova… non è stupido essere legati a qualcuno, ma non ricordarsi il come, quando o perché… Perché se tutto ciò fosse stupido, allora ci sarebbe un valido motivo per il quale sono stato rinchiuso qui… ma io non sono pazzo…-
Lo fisso incredula.
Anche lui, quindi, ha provato il mio stesso dolore, ieri?
Anche il mio ricordo gli manca?
Ma non torvo il coraggio per chiederglielo e sorrido annuendo.
-No, non lo sei… sei solo maleducato…- annuisco.
Riesco a strappargli un ghigno divertito, mentre si riaddossa alla parete dietro la schiena. L’osservo, incapace di scollarmi dal suo sguardo, puntato deciso sul mio. Inclino su un lato il capo, notando solo ora che, per tutto il tempo della nostra conversazione, ha mantenuto le braccia incrociate al petto, nascondendo le mani dietro le gambe piegate al usto.
-Comunque, mi chiamo Arancione…- gli offro una mano, sorridendo alla sua posa.
-Verde…- mugugna, alzando i polsi verso di me, mettendo così in mostra un paio di manette che gli bloccano i movimenti -… e scusa se non ti stringo la mano, ma i miei nuovi braccialetti me lo impediscono…- ghigna ironico.
Fisso stupita le manette.
-È una regola che ti hanno imposto qui?- domando impicciona.
-Così mi hanno detto… per non farmi del male…-
O per non fare del male agli altri?
Scuoto il capo, cancellando quest’ultimo pensiero.
Sento dentro, di me, che lui non poterebbe mai fare del male a nessuno. È un uomo d’onore, non un assassino.
Arriccio le labbra, sorridendogli, mentre riabbasso la mano e mi appoggio con i palmi al bordo del balconcino, guardandolo ghignare verso di me.
È così bello, con le labbra sghembe e leggermente aperte, a mostrare i denti bianchi e dritti. Sarebbe quasi da baciar…
-Scommetto che a te, invece, hanno vietato di giocare con le bambole, imposto di andare a letto presto e mangiare tutte le verdure… vero, mocciosa?-
Un rospo diabolico mi strozza in gola, facendomi pulsare nuovamente la vena del nervoso sulla fronte.
-Stupido buzzurro…- digrigno i denti.
-Buzzurro?- alza un sopracciglio divertito.
-Si, buz-zur-r…-
Un tuono fragoroso e baritonale scoppia nel cielo, zittendo tutta la sala, che rivolge totalmente la sua attenzione alle nubi cariche di pioggia, che s’ingrossano sopra l’Istituto Manari.
-Sta per piovere…- mugugna Verde, ma quasi non lo sento.
Ho il respiro mozzato, lo sguardo incollato al cielo, fisso a seguire le prime gocce d’acqua scontrarsi sul cortile.
Il tuono.
La pioggia.
Il temporale.
-Ehi, mocciosa…- si mette a sedere accanto a me, fissandomi serio.
Il ticchettio della pioggia è flebile, leggero.
Ma dentro di me è forte, potente, rumoroso come cannonate. Mi alzo dal balcone, ma le gambe mi tremano troppo, e involontariamente si piegano a terra, facendomi inginocchiare davanti al cielo grigio e tuonate di pioggia oltre la finestra.
-Arancione!!!-
Ebano mi è subito accanto, sorreggendomi per le spalle, mentre Verde scatta in piedi fissandomi preoccupato.
I miei occhi sono fissi sul temporale, non questo però, un altro, lontano dall’istituto, lontano nel tempo.
In mare aperto, tra onde alte come navi, e spari di cannone.
-Arancione…-
L’infermiera dal sorriso stucchevole allontana tutti, provando ad alzarmi di peso, strattonandomi per portarmi via da lì, ma tutti i miei muscoli sono bloccati, fermi sul posto.
Nuvole nere, tuoni, fulmini, pioggia, vento…
Spari, lame, pugni, calci, lingue di fuoco…
Onde, navi, pirati, esercito della Marina…
-Arancione!!!- Ebano.
-Arancione…- l’infermiera.
-Mocciosa!!!!!- Verde.
NAMI!!!!!

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Capitolo 5
*** Memoria resque perditas ***


Memoria resque perditas

 


È come se la mia mente sia divisa dal corpo.
Trasportata, con un soffio di vento, in un altro luogo, lontano e indefinito.
Attorno a me, lo vede a sprazzi, tre infermieri, tra cui la mia, mi tengono fermo il capo, alzandomi la schiena da terra, su cui sono inginocchiata, mentre rimbombano i tuoni, e la pioggia si abbatte picchiettando sul vetro della finestra che ho davanti, mostrandomi tutta la forza del temporale.
Verde ed Ebano, sfuocati agli angoli dei miei occhi, mi fissano paralizzati e impotenti, chiamandomi per nome, sbagliato, fasullo e stupido nome, mentre gli infermieri cercando di fermare le convulsioni che scuotono i miei arti, che fremono sconnessi.
Ma non provo dolore.
No, come ho detto il mio corpo è qui, nella sala comune dell’Istituto Manari, ma io, la mia testa, i miei occhi, i miei sensi, sono altrove, un luogo così lontano e sconosciuto che non riesco a riconoscere.
Eppure…
Eppure sa di casa…
 
Le onde si alzano sopra la mia testa, scontrandosi violente sulle vene spiegate.
-Dobbiamo ammainarle!!!- ordino a due figure accanto a me, che scivolano veloci nell’ombra, oscurate e imperfette, annuendo e correndo verso l’albero maestro.
Senza un perché, o un perchè che possa ricordare, so di conoscere quelle due figure e che il mio rodine sarà eseguito a dovere. Annuisco tra me, avvertendo che il vento sta cambiando direzione, e che la temperatura si sta alzando, indebolendo la pioggia e la tempesta.
Colta da un istinto primordiale, mi volto alle mie spalle, parando un fendente apparso dal nulla.
Una sciabola brilla nel buio della tempesta marina, tra la pioggia e le gocce di mare che si sfagliano contro la chiglia e il bordo scosceso della nave, bagnando il ponte su cui sto lottando.
Digrigno i denti e, con arma un bastone, riesco a parare il colpo, difendendomi e allontanando da me il nemico. Mi volto, preoccupata verso le due figure, a cui avevo ordinato di ammainare le vele, e le ritrovo a combattere contro una decina di soldati, vestiti di tutto punto nelle loro divise bianche e blu, armati di spade e pistole.
Le due figure, annerite e irriconoscibili ai miei occhi anche qui, come nel mio sogno, si difendono sena problemi, atterrando i nemici.
Uno sferra calci potenti e indemoniati su tutti i militari che gli capitano a tiro, l’altro spara con una strana fionda a tre elastici, mitragliando con una mira incredibile sugli avversari una pioggia di pallottole di fuoco esplosive...
 
Qualcuno mi scuote, provando a farmi riemergere dalla mia visione, scrollandomi per le spalle, ma riporto appena l’attenzione alla sala, e al temporale che vedo stagliarsi fuori dall’enormi finestre.
L’infermiera dal sorriso stucchevole mi stringe i polsi con forza, tentando di fermarli nel loro tremare sconnesso. È terrorizzata, impaurita a tal punto da sbiancare.
Abbozzo un lieve sorriso di compiacimento per il suo nervosismo, prima di immergermi con un sospiro nella battaglia in mare…
 
Abbatto altri militari, notandone il capitano combattere contro il ragazzo dal cappello di paglia sorridente e mangione del mio sogno.
Il ragazzo, agile e veloce, lo colpisce con innumerevoli pugni, riuscendo a ferirlo anche da una certa distanza, come se potesse allungarsi e raggiungerlo senza difficoltà con i suoi fendenti.
Lo colpisce agguerrito, ridendo e abbassandosi il cappello sugli occhi, mentre sghignazza divertito dalla lotta.
Il capitano nemico, robusto ma non enorme, perde l’equilibrio, scivolando all’indietro sul ponte. Il suo lungo cappotto ondeggia nell’aria, aggrappandosi alle sue spalle e sventolando condottiero. Un lampo illumina lo scontro, facendo brillare la lama affilata e assassina della spada da lui sguainata.
Il bagliore del tuono illumina, per una breve frazione di secondo, il viso maturo del capitano dell’esercito, rivelandone i tratti severi e rigidi, ma soprattutto i grigi e freddi occhi.
Si lancia contro al ragazzo col cappello di paglia, scomparendo dietro un mio compagno enorme e dal ciuffo impennato verso il cielo, che avanza tra i militari sparando a raffica.
Scuoto il capo, sotto la pioggia e i lampi, mentre l’ululato del vento risuona agghiacciante nel mare, facendo dondolare e sbattere contro le onde immense la povera nave su cui stiamo dandolo battaglia. Perdo l’equilibrio sul prato erboso che ricopre il ponte, a causa della pioggia, e scivolo a terra.
Non faccio a tempo a rialzarmi, che una lama tenta di tranciarmi di netto la testa.
Ruzzolo di lato, alzando in aria la mia arma e invocando, con parole non mie, un tuono, che dal cielo si abbatte sul mio attentatore, fulminandolo con violenza e crudeltà, atterrandolo al suolo.
Veloce, mi rialzo in piedi, osservando il cielo e le onde.
Il vento è forte, la pioggia costante e le onde non sembrano diminuire di volume, ma dentro di me so che la tempesta sta per finire e che io, e i miei compagni, dobbiamo resistere ancora poco, e poi avremo un nemico in meno da combattere.
Con un salto, riesco ad evitare un affondo affilato di un soldato, che si stira davanti a me con la spada, allungandosi con tutta la schiena sotto ai miei occhi.
Scintillante e luminosa, la scritta del suo plotone si apre davanti al mio sguardo, nel suo, stranamente a me noto, color blu oltremare: Marina…
 
-Chiamate il dottor Zenit!!!!- ordina isterica l’infermiera dal sorriso stampato in bocca, e mentre un suo sottoposto corre alla porta della sala, lei continua a sorreggermi la schiena e a scuotermi.
-… Arancione… Arancione…- mi chiama stucchevole, ma sul suo viso distinguo chiaramente una nota di terrore -… su, su… torna qui…-
Vorrei ghignarle in faccia, mentre disubbidiente torno nell’occhio del ciclone…
 
Trono a lottare con ferocia, ringhiando contro tutti questi nemici.
Sembra che sputino dal nulla, cadendo dal cielo come pioggia, assaltando la mia nave e abbattendosi contro di noi.
Noi…
Ora più che mai, sento di far parte di un gruppo, un insieme di persone, una famiglia addirittura, un Noi compatto e unito.
Mi volto apprensiva verso i miei compagni, notando che sono tutti impegnati in duri scontri e che stanno dando il meglio di se per vincere. Calci, pallottole, lame, pugni, volando veloci contro i corpi dei soldati, abbattendoli decisi.
Con un gesto secco, taglio l’aria davanti a me, facendo cadere a terra una decina di marines sfruttando la forza del vento che ho mosso. Veloce, roteo nell’aria la mia arma, brandendola con entrambe le mani e affrontando altri soldati, che avanzano verso di me minacciosi e armati di spada affilate.
Indietreggio, spinta all’indietro da un potente fendente di un marine, che cerco di affrontare frapponendo alla lama della sua sciabola l’asta del mio bastone metallico.
Con una potente spinta, riesco a farlo cadere all’indietro e a liberarmene, retrocedendo però di un altro passo, e finendo dritta contro a un’altra schiena.
-Tutto ok, mocciosa?- biascica tra lo sferzare del vento la figura a cui sono andata addosso.
-Si… tutto ok buzzurro…- rispondo senza nemmeno voltarmi.
Mi ha chiamato mocciosa?
E io, buzzurro? Ma allora è…
 
-… 13 unita di insulina endo venosa… e 3 di Dortarin, per annebbiare il sistema nervoso…-
La voce cavernosa e roca del dottor Zenit mi assorda, strappandomi alla visione. Sento che qualcuno, dalla presa salda e forte, mi solleva prepotentemente un braccio, alzando la manica della maglia bianca fin sopra al gomito, dove è legato un elastico spesso di gomma.
-… n-no…- cerco di dibattermi, strattonando l’arto, ma l’infermiera dal sorriso ipocrita mi blocca, serrandolo con le sue ossute e fredde mani il braccio.
Un ago è infilato con poca grazia nella pelle, e subito rabbrividisco al gelido contatto con la lama antisettica della siringa, che pian piano inietta un liquido trasparente dentro di me. Provo a divincolarmi, cercando aiuto con lo sguardo, ma sia Ebano che Verde sono bloccati dai rispettivi infermieri, che strattonandoli li stanno allontanando da me.
-… no…- alzo un braccio esilmente verso Verde -… no… no-non mi lasciare…-
Fisso il suo sguardo nero inchiodarsi su di me, mentre sgomita per liberarsi della presa del suo enorme infermiere spingendo il busto verso di me per raggiungermi, facendo tintinnare le sue manette.
Tin tin tin
La vista si annebbia, e le palpebre iniziano a diventare pesanti.
Il liquido che mi hanno iniettato doveva essere un tranquillante, perchè improvvisamente tutti i miei muscoli si fermano, come addormentati, smettendo di tremare. La testa inizia a girarmi, ma dentro le orecchie risuona acuto e vibrante il suono metallico e acuto delle catene di Verde, che ancora risuonano accanto a me.
Tin tin tin
Oscillo il capo, abbandonandolo all’indietro, incrociando lo sguardo grigio e penetrante del dottor Zenit, che con sorriso bonario mi osserva raggiante.
-Tranquilla, Arancione…- sussurra, mentre chiudo gli occhi cullata dal tintinnare perpetuo che mi circonda -… presto sarà tutto un lontano ricordo…-
 
-Presto la pioggia smetterà!!!- gli urlo, stordendo un militare con un tuono.
-Lo spero… combattere sotto al pioggia non mi piace…-
-Sempre a lamentarti!!!- ridacchio, alzando lo sguardo su di lui.
Affonda due sue spade contro dei nemici, facendole roteare nei palmi delle mani, prima di darmi una piccola spinta con la schiena canzonatoria.
-Taci, mocciosa…- ghigna.
Volto il capo alla mia destra, osservando il suo lato sinistro.
È cieco sull’occhio mancino, ma questa minoranza non sembra intralciarlo nel combattere, anzi sembra dargli maggior abilità.
L’osservo rapita, trattenendo il respiro, ammaliata dall’armonia del suo combattimento.
Le lame delle sue katane scivolano nell’aria, schivando ogni singola goccia di pioggia e l’acqua salata che cade dalle onde del mare. I lampi ballano con lui, illuminando i suoi colpi e facendo brillare il suo cupo sguardo.
E poi quel tintinnare acuto.
Il suo rumore.
I tre pendagli del suo orecchio che cozzano tra loro, suonando come une meravigliosa melodia, cantando le sue gesta e il suo lottare..
-Mocciosa!!! Che fai?!? Ti sei imbambolata?!?-
Scuoto il capo, arrossendo presa sul fatto nell’ammirarlo, ma non riesco a distogliere lo sguardo su di lui. I suoi lineamenti sono avvolti nel nero più assoluto, ma so che lui è Verde, il mio Verde. Lo riconosco dalla corporatura, dal timbro di voce, dalle movenza sensuali e combattive.
Chiudo gli occhi con forza, imponendomi di concentrarmi sul combattimento, e subito riprendo a fronteggiare i soldati.
Avanzo, scagliando fulmini e raffiche di ghiaccio sottile, facendomi strada tra i marines, fino ad arrivare nel centro del ponte, ma stando sempre schiena contro schiena con Verde.
Ansimo, sfinita, ma pronta a continuare la mia lotta e a proteggerlo.
Lui è tutto per me.
Lo sento, lo so.
Se mai dovesse accadergli qualcosa, perirei dal dolore.
Mi guardo attorno, cercando di distinguere i miei compagni tra il marasma di giubbe blu e bianche con il simbolo della Marna, speranzosa che stiano tutti bene.
Il ringhio di un furente lampo squarcia il cielo, attraversandolo.
La scia luminosa ed elettrica nasce da un’immensa nuvola grigia, scaricandosi nel mare a pochi metri dinanzi alla polena a forma di leone. Mi fermo a fissare il punto marino in cui s’inabissa il tuono, paralizzandomi di fronte all’alzarsi improvviso e sovrannaturale di un’onda gigantesca.
È alta più di 50 metri, e s’ingrossa sempre più, puntando la nostra nave.
-UN ONDA!!!!!!!!- grido sgolandomi -Un’onda sta per abbattersi contro di noi!!!!- urlo sopra al vento tagliente e impetuoso.
Verde mi fissa serio, per poi puntare il suo sguardo sull’onda. Ragiono in fretta, cercando una soluzione per salvare la pelle a tutti noi.
-Posso pensarci io!!! Ma devi coprirmi le spalle…- grido verso di lui, mantenendo gli occhi sull’onda.
Annuisce, muovendo il capo nero e avvolto nelle tenebre, stringendo nelle mani le else delle sue spade, mentre torna a fronteggiare i marines. Mi dirigo sicura di me sul castello di prua, portandomi dietro alla polena, mentre lui taglia la strada ad ogni militare che tenta di seguirmi.
Non so coma ho in mento, o almeno non lo ricordo.
So solo è mio compito salvare tutti quanti da questa tempesta, e so che sono in grado di adempiere a  tale compito. Alzo il mio bastone contro l’onda di mare, puntandolo con ferocia per prendere la mira, cercando il cuore dell’onda.
Lo spezzo in due pezzi, che faccio roteare sopra di me con sempre maggior velocità.
Il vento attorno a me diminuisce di forza, come risucchiato dall’arma, e non appena lo sento carico d’energia, lo indirizzo verso il mare in burrasca, incrociando le punte delle due parti spezzate.
-Shower Tempo: Lance Wind!!!!- grido, sparando un colpo incredibile di vento contro l’onda, che si apre in due, divelta al centro, in cui si forma una voragine immensa.
Una miriade di lacrime salate si perdono nella pioggia, ricadendo su tutto l’oceano. Una dolce pioggerellina mi bagna i vestiti e i capelli, mentre mantengo fisso lo sguardo sul mare, ora mosso dal temporale ma privo di onde pericolose.
Ansimo a corto di forze, ma soddisfatta di aver sventato la minaccia.
Deglutisco e impugno saldamente la mia arma, preparandomi a tornare a combattere con Verde, quando un poderoso pungo mi atterra, ferendomi al viso.
Mi volto verso il mio aggressore, reggendomi un labbro sanguinate, stesa a terra sopra alle assi di legno del castello, scivolose per via della pioggia..
Lo fisso incredula, riconoscendolo mentre si erge tirannico sopra di me, illuminato dal bagliore di un lampo.
È lui, è lui… è il dottor Zenit Memoria.
Il capitano della Marina contro cui stava lottando il ragazzo col cappello di paglia è il primario dell’Istituto Manari!!!!
I suoi occhi grigi mi osservano severi e carichi d’odio, le sottili labbra ritratte in un ghigno strafottente. Alza la sua spada al cielo, sogghignando pregustandosi la mia fine.
Deglutisco, cercando a tastoni la mia arma, scivolatami di mano per il colpo del medico, ma quando la trovo è troppo tardi: la lama affilata e brillante si sta abbattendo sulla mia chioma rossa.
-NAMI!!!!!!-
Quell’urlo.
L’urlo di Verde.
L’urlo che mi ha portato a questo sogno. Ma è poi un sogno? O è dell’altro?
Che sia… che sia un ricordo?
Verde si avventa contro il dottor Zenit, abbattendolo con un affondo, mentre mi alzo e corro verso di lui per aiutarlo. Siamo spalla contro spalla, armati e pronti a combatterlo, ma il suo ghigno è allarmante e mi fa tremare di paura.
-Sciocchi…- sogghigna, alzando lo sguardo grigio su di noi -… di tutto questo non rimarrà niente… nemmeno il ricordo…-
Una raffica di colpi improvvisi, che mi è impossibile evitare perché provenienti solo dal dottore, ma anche da altri soldati, mi fa stramazzare al suolo, ferendo su gran parte del copro sia me che Verde.
Cado a terra, sfinita, sanguinate e a corto di fiato. Accanto a me, inginocchiato ma ancora intento a volermi proteggere, Verde si mantiene alto col busto, coprendomi.
Sta sanguinando copiosamente anche lui, e piccole gocce cremisi si mischiano alla pioggia che scivola sul castello, clorandolo di rosso.
Provo a d alzarmi per proteggerlo, ma sono troppo debole per via delle ferite e dell’attacco che ho sferrato all’onda, e che mi ha rubato tutte le energie.
-Lasciala stare…- ringhia nella sua alta figura nera e oscurata -… non le storcerai un capello…-
-Oh tranquillo…- ghigna il dottore, unico che riconosco in tutto questo caos di soldati e pioggia -… ben presto non ti ricorderai nemmeno di lei…-
Con forza, gli prende il mento tra le mani, obbligandolo ad aprir bocca premendogli le mascelle. Con la mano libera gli fa ingoiare tre piccole pillole blu…
-NOOOO!!!!!- urlo, ma un calcio di un marine allo stomaco, mi zittisce facendomi piegare in due dal dolore, mentre vedo che anche gli altri miei compagni vengono trascinati fin sopra al castello di prua.
-Che gli hai fatto?!? Cos’era quella?!?- mi sgolo, preoccupata per Verde, che ora si sta premendo le meningi in preda ad un attacco improvviso e forte di emicrania.
Un piccolo rivoletto di sangue gli esce dal naso.
-Buzzurro…-lo abbraccio per le spalle, sorreggendolo, quando perde l’equilibrio e cade atterra vicino a me.
-S-sappa… mo-mocciosa… sca-scappa…-
Lo stringo forte a me, abbassando gli occhi stracolmi di pianto su di lui, mentre il dottore si avvicina anche a me.
-Su mia cara…- ghigna -… presto non avrai più motivo per piangere… non lo ricorderai…-
Con forza, mi alza il viso con una mano, e mi fa ingoiare le stesse pillole che ha fatto ingurgitare a Verde. Da lì in poi, è solo buio...
 

***

 
Silenzio.
Un placido, piatto silenzio.
Nessun vento che soffia, nessuna voce, nessun rumore.
Debolmente, apro gli occhi, iniziando a rigirarmi nel letto in cui sono stesa.
Riconosco il locale in cui mi trovo: l’infermeria.
Devo aver perso i sensi dopo l’iniezione, e la mia infermiera deve avermi portata qui per riposare. Rabbrividisco, roteando lo sguardo attorno alle pareti dell’astanteria dell’Istituto Manari.
Manari, Manari, Manari…
Assomiglia così tanto a Marina…
-Mi spiace…-
Un singhiozzo acuto mi distrae dal mio ragionare, e solo ora distinguo un bisbigliare rapido che proviene dalla guardiola dell’infermeria, unico punto illuminato nella sala immersa nel buio.
La sala è completamente oscurata, e solo la luce flebile della luna, che filtra dai vetri delle finestre, illumina debolmente la pavimentazione chiara. Mi metto a sedere sul materasso, cercando di distinguere le voci delle figure che parlano nella portineria, non lontana più di una decina d metri da me.
-Mi dispiace dottore…- di nuovo singhiozza una figura piccola e femminile, incurvata in avanti in segno di vergogna verso l’altra figura, alta e robusta, che la sovrasta severa con la sua sola ombra.
-Mi dispiace infinitamente…-
La sua voce è così acuta da stingere il cuore. Non è solo dispiaciuta, è anche terribilmente impaurita, terrorizzata a tal punto da far tremare di paura anche la sua ombra proiettata sul muro della sala, attraverso un piccola finestrella della guardiola.
Deglutisco debolmente, e scivolo giù dal letto.
Voglio scoprire chi sono, e di cosa stanno parlando.
Agile e stranamente a mio agio, scivolo nell’ombra dell’infermeria, camminando rasente alle mura, strisciando fino alla guardiola. Non emetto alcun rumore, come se camminassi sul velluto.
Silenziosa come un gatto.
Mi appiattisco contro l’esile parete divisoria in legno leggero, affacciandomi appena sulla finestrella che da verso l’interno della sala.
-Taci Toffee (NdA, caramella in inglese) …- ammonisce la mia infermiera dal sorriso di miele, il dottor Zenit, che seduto su una sedia, la fissa inflessibile e minaccioso.
Assottiglio lo sguardo, fissandolo.
Indossa un camice candido e senza macchia, lungo fino alle ginocchia, gli occhiali sulla punta del naso. Sulle sue spalle non c’è nessun cappotto bianco e blu, con la scritta “Giustizia”, ma solo la pesantezza di un’intensa giornata di lavoro. Un vero completo da medico, e non la divisa da militare che indossava nella mia visione.
Visione… ma era una semplice visione, o forse qualcos’latro?
Scuoto il capo, tornando a fissare il dottore.
Il pepe e sale dei capelli e della barba sottolineano, illuminati debolmente da una lampada a basso voltaggio, la sua espressione severa e dura, e le labbra, serrate e sottili, sono strette in una smorfia di disgusto verso la sua adornate sottoposta.
Con gesto lento, si sistema gli occhiali sul profilo del naso, abbassando lo sguardo e sospirando pesantemente. Toffee, la mia infermiera, sussulta sul posto, spaventata dal quel respiro profondo più del suo tono di voce aspro e duro.
-Pochi semplici regole…- sussurra piano, facendola quasi piangere -… non dovevi far altro che seguirle…-
La piccola donna trema sul posto, agitandosi sulle esili e corte gambette.
-Io… io… mi dispiace… tanto… dottore, io…-
-Zitta…- l’ammonisce ancora, stropicciandosi gli occhi dietro le lenti.
Sospira nuovamente, addossando un gomito sul tavolo che costeggia la parete, vicino alla sedia in cui siede, abbandonando poi il capo sul palmo della mano. Con dondolare annoiato, fa oscillare i suoi occhiali per una stanghetta appena ferma tra due suoi polpastrelli, mentre fissa pensieroso l’infermiera.
-Non dovrà accadere mai più…- ordina, trapassando l‘esile corpo della donna con un’occhiata -… la Gatta Ladra dovrà rispettare alla lettera i divieti impostegli … se vi sarà un’altra violazione, ne risponderai pesantemente… con la morte, naturalmente, ma questo lo sai… vero?-
Assottiglio lo sguardo. La Gatta Ladra? E chi è mai?
-Si, signore… non accadrà mai più dottore… glielo assicuro, prometto, giuro…- annuisce con le lacrime agli occhi l’infermiera dal sorriso di miele, unendo le mani in segno di ringraziamento verso il medico -… Nami non vedrà mai più un temporale o anche solo una pioggerellina leggera… non disegnerà mai, non vedrà nemmeno l’ombra di un mandarino, e la sua maglia diventerà la sua seconda pelle, così da non vedere mai il suo tatuaggio… Nami la Gatta Ladra non esisterà mai più…-
Sussulto, sentendomi il respiro venirmi meno.
Io, la Gatta Ladra?
E che vuol dire?
Ero una ladra, una truffatrice?
Oltre che credermi un pirata, rubavo anche, per convincermi che lo ero?
Indietreggio lungo il muro, spaventata dalla verità.
Io, una ladra.
Eppure, non posso non sorridere.
Finalmente so chi sono, o meglio cosa sono. Una parte di me, quella più guardinga nel fidarsi degli altri, quella che fiuta le menzogne solo dal soffio che le porta, quella che si muove come ombra nel pieno del giorno illuminato, quella che riconosce gli imbroglioni suoi simili, finalmente prende forma, o meglio la riprende, ritrovandosi nella sua natura.
Sono una ladra, cha ha un tatuaggio…
Sento il cuore sussultarmi nel petto, mentre una parte di me ritorna ad essere se stessa.
Mi mordo un labbro, trattenendo un grido di gioia, concentrandomi nell’ascoltare ancora la conversazione del dottore e l’infermiera.
-… per quanto riguarda gli altri?- domanda Miss Sorriso Candito.
Il dottor Zenit si liscia il mento barbuto, fissando il vuoto.
-I sentimenti sono la porta del dubbio…- mormora tra se, alzando lo sguardo e fissando le lenti trasparenti -… se Nami, o qualche altro suo compagno, dovesse ricominciare a sentire un qualche sentimento verso un altro membro della ciurma, sarebbe un problema… in loro si aprirebbero mille dubbi sull’Istituto e noi…-
Si alza, incrociando le braccia dietro la schiena, avanzando verso la porta della guardiola.
Mi appiattisco contro la parete, per non farmi notare.
-… li tenga d’occhio… se nota qualche movimento sospetto mi avverta, ma non intervenga su semplici conversazioni o scambi di sguardi… d’altro canto non possiamo intervenire su simili futili sciocchezze… potrebbero semplicemente essere casualità…-
L’infermiera, ritrovato il suo sorriso nauseante, annuisce adorante del primario.
Sento i passi del dottore farsi più vicini, e decido di allontanarmi, tornando al mio letto.
Faccio appena in tempo ad infilarmi sotto le coperte, che la porta della guardiola si apre, permettendo alla luce che la illumina di scivolare nell’ombra dell’infermeria. Chiudo rapida gli occhi, cercando di calmare il respiro accelerato. I passi pensanti e costanti del dottor Zenit si fanno sempre più chiari e vicini, finché non si fermano a lato del mio letto. Trattengo il respiro, serrando le palpebre.
Una leggera carezza mi sfiora i capelli sciolti sul cuscino, mentre un respiro caldo mi soffia sull’orecchio.
-Dormi, dormi piccola Nami… è l’unico modo che ti resta per scappare dal mio istituto… perché da qui, viva, non ne uscirai mai…-
 
 


 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Mi ero ripromessa di non inserire nemmeno un “Angolo dell’autore” in questa Long Fic, e invece rieccomi a scriverlo, semplicemente per scusarmi per il ritardo con cui posto i capitoli: già la trama è intricata di per se, più mi ci metto io a farvi confusione pubblicando ogni morte di Kizaru, facendovi così perdere il filo della storia… scusate, scusate, scusate!!!!!
M’impegnerò di più, d’ora in poi, promesso: parola di Zonamista…
Spero comunque che questo capitolo vi abbia dato un po’ più da pensare sull’intricato mistero, magari anche qualche indizio in più, ma soprattutto spero di aver guadagnato il vostro perdono. Aspetto con curiosità le vostre recensioni, con tutti gli insulti possibili ed immaginabili per gli errori e gli aggiornamenti disumani… magari però, se vi scappa anche qualche nota positiva, non mi dispiace mica…

Zomi

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Capitolo 6
*** What are you be? ***


What are you be?


 
Il debole fascio di luce si apre sull’iride, irritandola.
La pupilla si dilata, aumentando la visibilità del suo denso color cioccolato, rispondendo pronta alla stimolazione luminosa.
La pila medica si sposta sull’altro occhio, controllandone la dilatazione e i riflessi. L’esperta mano del dottor Zenit ondeggia, facendo oscillare il fascio luminoso più velocemente, fino a fermarsi e fissarmi dritta negli occhi con il suo sguardo grigio nebbia.
Mi osserva attento, studioso, scrutando ogni mio fascio nervoso scintillare dietro l’iride nocciola, cercandovi un qualcosa che confermi la sua vittoria su di me, sulla mia mente. La sua iride plumbea, debolmente protetta dalle lenti degli occhiali, analizza il mio sguardo, per poi assottigliarsi, convinta di aver scorto quel bagliore di vittoria. Un ghigno, e ripone la pila medica nel taschino del camice immacolato, squadrandomi sornione.
-Tutto apposto…- afferma, alzandosi in piedi e sorridendomi.
Sospiro fingendomi sollevata, ricambiando il sorriso.
Con passo lento, torna sulla sua poltrona dall’altro lato della placcata scrivania, scribacchiando sulla mia cartella clinica. Mi rigiro sulla mia sedia, sedendomi composta a fissarlo, mentre trattengo un sorriso malandrino.
Dopo la mia crisi di ieri, e gli eventi della notte, il dottore ha voluto visitarmi di persona nel suo studio. Miss Toffee, la mia sdolcinatissima infermiera, mi ha scortato fino alla sua porta, retrocedendo poi ad una guardiola lontana qualche decina di metri dallo studio, tremando impaurita e vergognosa del suo errore professionale.
-Bene Nami…- alza gli occhi su di me, incrociando le dita tra loro, sopra al copri scrivania in pelle rossiccia –Come hai passato la notte?-
-Ho sempre dormito…- a parte una piccola passeggiatina per origliare un’interessante conversazione tra te e la caramellata infermiera che mi fa da balia.
-Hai preso la tua medicina?-
-Certo…- se con “prendere” intende, “prendere” quella dubbiosa pastiglia bluastra e buttarla tra i materassi del letto dell’infermeria.
-Molto bene… hai qualche ricordo di quanto ti è accaduto ieri?-
Si sporge maggiormente verso di me, assottigliando lo sguardo dietro agli occhiali, che assumono un albore sinistro.
Chiudo gli occhi, mordendomi un labbro e provando a concentrarmi, spremendomi le meningi.
-C’era… c’era un temporale… forse…- mi sforzo nel ricordare, stringendo le mani al bordo della sedia -… e… e sono caduta… dalla finestra in cui sedevo…-
Riapro gli occhi, sbattendo le ciglia e inumidendoli un po’, sfoggiando due occhioni da cerbiatto innocente.
-… poi non ricordo altro, dottore… mi spiace…-
Lui annuisce, abbozzando un tremito sorriso.
-Va tutto bene Nami, non sforzarti…- scioglie la presa delle mani e annota un appunto sulla mia cartella -… è meglio così… vuol dire che l’accaduto non ha avuto ripercussioni sulla tua sindrome…-
Sorrido fingendomi rassicurata, trattenendo un diabolico ghigno truffaldino: caro dottor Zenit, bastano un paio di moine ben piazzate per prenderla in giro? Così mi rende tutto troppo facile…
Spostando il candido camice dalle ginocchia accavallate, il medico chiude la cartella e si abbassa a riporla nell’archivio sotto la scrivania, dentro alla cassaforte. Con naturalezza, sposto una ciocca di capelli dietro un orecchio, aprendolo per bene. Le callose dita mediche del dottore picchiettano veloci ed esperte sulla tastiera metallica la combinazione della cassetta di sicurezza, suonandola perfettamente.
…tre… nove… cinque… sette… uno…
Con uno schiocco secco, la chiusura blindata si apre, permettendo al dottore di riporre il fascicolo. Assottiglio lo sguardo, arricciando le labbra soddisfatta mentre accavallo le gambe nei miseri short bianchi che indosso, permettendo alle basse scarpe ai miei piedi di danzare di felicità al posto mio.
Dottore, dottore, mai aprire una cassaforte in presenza di una ladra, anche se le hai cancellato la memoria…
Massaggiandosi il collo, Zenit si sistema sulla sua comoda poltrona imbottita, osservandomi. I suoi piccoli occhi brillano posandosi su di me, scivolando sulle curve del mio corpo, ammirando il suo operato di manipolatore di menti. Lo vedo nel suo schioccare la lingua tra le labbra, mentre si passa una mano sul mento ispido di barba grigia, glorificandosi di aver sopraffatto e ingannato la Gatta Ladra, rendendola una bambola vuota nelle sue mani, non immaginando nemmeno che ha innescato una reazione a catena che porterà alla sua distruzione.
-Non hai riportato alcun danno fisico…- mi riferisce gli esiti della sua approfondita visita su di me -… e anche a livello psitico non mi preoccuperei…-
-Cosa ha provocato la mia… la mia crisi?- domando.
Sospira, sfilandosi gi occhiali e iniziando a pulirseli con un panno morbido estratto dal taschino.
-La tua infermiera non ha eseguito bene gli ordini che le avevo dato: non ti ha tenuta sott’occhio e tu sei stata soggiogata da un fenomeno esterno che ha a che fare con la tua patologia…- spiega professionale, con un tono di voce che sfiora l’inverosimile da quanto mi suona falso e ipocrita.
-Ah…- annuisco interessata -… una di quelle cose che non posso fare, del tipo disegnare o togliermi la maglia…- recito la mia parte di brava paziente, prendendo un lembo della camicia che indosso e alzandolo verso di lui.
-Esatto…- sorride infilandosi gli occhiali -… ma, tranquilla, non accadrà mai più… te lo prometto…-
-Ne sono convinta, dottore…- inclino il capo fissandolo.
I nostri sguardi s’incrociano per un paio di secondi, scontrandosi e lottando per fingere meglio, per nascondere i pensieri dell’altro e celare i dettagli che ognuno sa del bugiardo che ha di fronte, tentando allo stesso tempo di estrapolarne anche mezzo dall’avversario. Gli occhi si sfiorano, si sfidano a sostenersi. I suoi, così chiari e gelidi, si stringono, cercando di nascondere meglio una verità troppo profonda per essere sommersa in un mare di bugie, una verità che bramo e che otterrò presto.
È forse lo strano bagliore che m’illumina gli occhi, desiderosi di giustizia, che lo fa tentennare, abbassando lo sguardo alle mani, costringendolo poi ad alzarsi di scatto.
-Ora se non ti dispiace, Nami…- m’invita, allargando un braccio verso la porta -… ho altri pazienti da visitare… miss Toffee ti accompagnerà nella sala comune…-
Annuisco, alzandomi dalla sedia e avanzando verso la porta aperta sul corridoio, ma, prima di uscire, getto rapida un occhio alla porta chiusa presente nello studio, nella parte di fondo. Alle spalle del posto del paziente, ma davanti agli occhi della poltrona del medico, in modo da tenerla sempre sott’occhio, così che niente possa uscire da essa.
Mi blocco, fissandola.
È chiusa a chiave, lo sento, e le due librerie che le sono ai lati ne accentuano la presenza esaltandola come un papavero in un campo di grano. Un brivido mi percorre la schiena, avvisandomi dell’importanza del contenuto celato in quel ripostiglio, imponendomi il dovere di entrarvi.
-Tutto bene?- mi sfiora una spalla il medico.
Sussulto, tornando a fissarlo.
-Si, scusi…- scrollo la testa, dondolando i ricci scomposti -… è solo che quella porta…-
La indico con un dito, squadrando il viso scolpito del dottore, cercandovi qualche reazione anomala, ma lui mi sorride, allargando le labbra in un’espressione compiaciuta.
-Oh, è solo uno sgabuzzino… cartacce varie e scartoffie inutili…-
Davvero? E da quando in qua si tengono le scartoffie sotto chiave? Ha forse paura che se ne scappino via?
-Capisco… scusi la curiosità…- esco a passo veloce, dirigendomi verso la guardiola, dove la mia infermiera mi attende, lasciando il dottor Zenit alle sue visite.
Non è necessario che mi volti, per verificare che il grigio sguardo del medico sia posto su di me: lo so, è dritto e fermo sulla mia figura.
Sento la sua iride studiare il mio passo, analizzando l’andatura e il respiro.
Quello sguardo grigio, annebbiato dall’ego e dalla superbia di un dottore millantatore e assai poco legato al giuramento di Ippocrate, mi segue nel corridoio, fissandomi con la stessa luce malata che gli illuminava il viso durante la tempesta in mare aperto, mentre mi faceva ingoiare a forza la sua dannosa medicina. Un medico assassino, che vuol rinchiudermi qui per i suoi loschi piani, assicurandosi che mai più i ricordi tornino a colorare il mio passato. Ma ciò di cui non ha tenuto conto, è che per quanto il suo sguardo possa penetrarmi e leggermi dentro, non raggiungerai mai la mia vera essenza, e questo sarà la sua mortale spina nel fianco, che farà cadere il suo castello di menzogne.
Un brivido gelido mi scorre giù per la schiena, camminando al fianco dell’infermiera, elettrizzandomi, facendomi sorridere ed elaborare velocemente il cervello.
Una combinazione, una porta chiusa a chiave e la completa fiducia di un dottore che ti crede senza memoria: ha bisogno d’altro una ladra per ottenere delle informazioni veritiere? Lo dubito seriamente.
Con passo deciso, oltrepasso la porta principale dell’ala riservata al personale medico, avviandomi verso la sala comune. Lo cigolio accentuato del cancello è appena udibile nel vociare continuo dei pazienti riuniti nella mattinata, e si perde debole nel chiacchiericcio animato. Non mi volto nemmeno a controllare che la mia infermiera si stai allontanando da me, dirigendosi verso i suoi colleghi, e rapida scendo con un balzo i tre scalini della sala, immergendomi tra i pazienti.
Con sguardo sicuro, cerco Verde, smaniosa di vederlo.
Ora ho qualche altro ricordo di lui, dettagli, momenti perduti ma che ho ritrovato, sprazzi di vita, la nostra vita, che voglio assolutamente condividere con lui, aiutandolo a ricordare.
-Arancione!!!-
Mi volto di scatto, vedendo corrermi incontro Ebano. Regge in mano un libro, chiuso di fretta, gli occhi spalancati e un sorriso sollevato ad illuminarle il viso. Mi raggiunge e mi guarda da capo a piedi, esaminandomi.
-Come stai?- domanda ansiosa.
Con una rapida occhiata, controllo che Toffee non ci osservi, ricordando l’ordine del dottor Zenit di tenere d’occhio me e tutti quelli con cui parlo. Se Ebano fosse una mia compagna di avventura, allora saremmo divise, allontanate dall’unico bagliore di vita vera che abbiamo recuperato.
La prendo per un polso, inoltrandoci tra i vari gruppi chiassosi della sala, mischiandoci a loro per nasconderci. Alzo il capo oltre la folla, e noto la mia infermiera occupata a gesticolare con un collega, troppo occupata a sfogarsi per vergogna subita nel deludere il suo venerato dottor Zenit, per tenermi d’occhio.
-Sto bene…- punto gli occhi su quelli celesti di Ebano, che sorride più serena –E ho anche buone notizie: so chi sono…-
Mi fissa stupita, inclinando il capo e assottigliando lo sguardo.
-Che vuoi dire?-
-Ieri notte ho ascoltato una conversazione tra il dottor Zenit e la mia infermiera…- abbasso la voce, affinché possa sentirmi solo lei -… e sono venuta a conoscenza che in realtà sono una ladra…-
Con labbra serrate mi ascolta, annuendo piano e attenta.
-Ho anche scoperto che faccio realmente parte di una ciurma, e che i miei compagni sono qui…- le prendo le mani tra le mie e le stringo con forza, non trattenendo più un sorriso emozionato -… e Verde ne fa parte… capisci? L’uomo che mi fa battere il cuore con il suo solo sguardo, mi conosce da chissà quanto… la sensazione di smarrimento e dolore per la sua assenza, e l’impressione di conoscerlo sono reali: io lo conosco!!!-
Ebano mi sorride materna, sfilando una mano dalle mie per accarezzarmi il volto felice, sfiorandomi una guancia. Il suo tocco è fermo, saldo, certo, caldo e stranamente famigliare. Una scossa mi drizza la pelle del collo, inoltrandosi nella base del cranio, in cerca di un momento simile a questo. Forse, anche Ebano fa parte della mia vita reale, e ora, non prendendo più le pastiglie blu, la mia memoria si sta risvegliando, iniziando così a ricordarsi anche di lei.
-Sono contenta per te, Arancione…- sussurra flebile -… ora sai chi sei…-
-Non del tutto…- preciso -… ma voglio andare fino in fondo a questa faccenda, trovando ogni tassello della storia, anche quello in cui ci sei tu…-
Mi sorride, annuendo.
-Grazie…-
-Te l’ho promesso, no?- sorrido sicura di me –Tu però devi fare una cosa: non prendere più le pastiglie che ti danno al mattino… credo siano quelle a mantenerci in questo stato di limbo senza memoria…-
Mi guarda negli occhi, cercandovi la veridicità di ciò che dico.
-Credi che siano quelle medicine ad impedirci di ricordare?- scruta il vuoto dietro di me, analizzando la mia teoria.
-Se ciò che dici è vero, allora l’obbiettivo del dottor Zenit Memoria non sarebbe quello di aiutarci, ma bensì di mantenerci privi di passato… ma allora la scomparsa della memoria sarebbe stata volontariamente effettuata non per curarci, ma per un altro scopo… ma quale?-
Incrocia le braccia al petto, elaborando mille teorie dentro il suo sofisticato cervello, varandone milioni di possibilità.
-Siamo duecento pazienti in tutto l’istituto…- ragiona ad alta voce –…tutti senza memoria e definiti “pazzi”… ma se così non fosse? Se fossimo tutti qui per un’altra ragione?-
Scrollo il capo, non sapendole rispondere.
-Non lo so Ebano… quello che so è che le medicine qui non curano, ma ammalano, e che la verità e la paziente più grave…- sussurro, presa dallo sconforto per questa assurda situazione.
Dolcemente, mi abbraccia per le spalle, stringendomi a lei. Sussulto, percependo sulla pelle una scossa sfavillante, che scintilla per tutto il mio corpo, riscuotendolo da un intorpidimento pesante e gelido, ricordandogli la presa forte ma delicata che mi stringe.
Ricambio l’abbraccio, accerchiandola per la vita e infossando il viso contro la sua gola, chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dal suono del suo cuore, come se fosse una ninna nanna che spesso mi ha aiutato a dormire in notti buie e piene d’incubi.
La stringo forte, desiderando ora più che mai che faccia parte della mia vita.
-Te lo prometto…- affermo decisa -…usciremo da questo posto insieme ai nostri ricordi…-
Allenta la presa, distanziando i corpi e accarezzandomi il viso.
-Lo so… mi fido di te…-
Arrossisco per tanta fiducia e le sorrido.
Non credo di aver mai provato una affetto così dolce verso una donna, un’amicizia più profonda, quasi fossimo sorelle, che ci lega a doppio filo l’una all’altra.
-Ora però ti consiglio di andare a parlare con qualcuno…- sorride ambigua, posando le mani sulle mie spalle e voltandomi verso le gigantesche finestre della sala.
Sbatto un po’ le palpebre, non capendo bene che voglia dire, ma non appena incontro lo sguardo serio e scuro di un ragazzo dai capelli verdi, scompigliati e sparati in aria, un immenso sorriso si allarga sulle labbra.
-Credo sia stato molto in pena per te…- sussurra nel mio orecchio Ebano -… ieri l’hanno dovuto portare via in 4 infermieri, per quanto scalciava e dimenava… era chiaro che non voleva lasciarti sola…-
Arrossisco, impacciata e abbassando lo sguardo ai piedi, incapace di sopportare il suo occhio nero puntato su di me. Una spinta mi urta in avanti, facendomi oscillare incerta per pochi passi. Mi volto a fissare Ebano, imbarazzandomi per la sua muta azione d’incoraggiamento. Mi mordo un labbro, mormorandole a fior di labbra un “Grazie”, mentre m’incammino verso di lui.
È seduto come ieri sul balconcino di una finestra, le gambe divaricate e la schiena posata sullo stipite della finestra, nascondendo l’occhio cieco tra il viso e il muro, dirigendo quello sano nella sala, seguendo il mio avanzare.
Incantata, lo fisso negli occhi, totalmente persa nell’ammirarlo.
Il grigiore dei vetri permette solo a pochi raggi solari di penetrare nello stanzone, lottando contro le vetrate, rimbalzando da parete a parte, posandosi sul suo profilo illuminandolo di un chiarore dorato meraviglioso, simile ad un’aura celestiale, che lo circonda e rischiara.
-Ciao…- sospiro, inclinando il capo su un lato mentre mi fermo proprio davanti ai suoi begl’occhi.
Non mi risponde, fissandomi dritto in viso.
Con naturalezza, mi sposto fino allo spazio libero del balconcino, posando i gomiti sul marmo freddo e impolverato, addossandomi con viso sui palmi, ferma ad osservare il paesaggio malinconico del cortile. Anche se oggi c’è i sole, lo squallore del ghiaino non scompare, rimanendo un triste specchietto per allodole.
-Sto bene…- lo informo, fissando alcuni infermieri passeggiare nel cortile, rasenti alle mura di protezione -… è stato solo un piccolo malore…-
Mi volto sorridente, per guardarlo in viso, ma lui mi volge l’occhio ferito, addossando il capo smeraldo alla parete e perdendo lo sguardo al di fuori della vetrata. Fisso il suo bel profilo scolpito, annegando nel dolce color sabbia bruciata della sua pelle. Dev’essere calda, così calda da scottare al tatto, ma perfetta per scaldarsi nelle notti invernali. Magari stringendosi calorosamente tra noi, accerchiandoci la vita con tenerezza, e poi ci starebbe bene anche un bel bacett…
Arrossisco, imbarazzata dai miei stessi pensieri. Ma che vado pensare?!?
Io e questo buzzurro?!? Ma, ma è…è… è possibile?
Resto a fissarlo ammaliata, spalancando la bocca come se avessi appena scoperto il senso della vita. La mia vita.
E dire che è così logico, spontaneo e giusto. Perché mai dovrei piangere per una persona, di cui non ho ricordi? Ma perchè la amo, è ovvio.
Il suo respiro, i suoi occhi, la sua voce, il suo essere scorbutico ma con quella lieve delicatezza nel parlarmi, nel volermi ricordare... tutto di lui mi è così caro, da farmi soffrire nel non possedere più alcun suo ricordo.
Si, ora ricordo: io amo Verde.
Sorrido, abbassando lo sguardo e rigirandomi contro il balconcino, posandomi con la schiena sul muretto freddo.
-Sai…- mormoro, posando i palmi sullo spigolo della finestra -… mi ricordo qualcos’altro di te…-
Si volta lentamente a guardarmi, stringendo le braccia al petto.
-So che sei uno spadaccino…- affermo, senza aspettare una sua domanda -… e pure molto bravo da quello che ricordo…-
Mi porto una mano alle labbra, cercando di nascondere un sorriso smanioso ed entusiasta nel rivivere, davanti agli occhi, la sua bravura nel muovere le spade che ho riscoperto durante la mia crisi. Era come se fosse un tutt’uno con le lame, che lo ascoltassero, danzando per lui, esprimendo con affondi e tagli micidiali la sua voglia di combattere. Un brivido di puro piacere mi attraversa il petto, scaldandomi al ricordo del dolce tintinnare delle sue katane, accompagnate dal sublime suono dei tre orecchini che dondolavano ad ogni suo passo. Chiudo gli occhi, perdendomi nei pensieri, rivedendolo ghignare illuminato dai tuoni e dai lampi, che sfavillano nel temporale, mentre il suo corpo scivola nella pioggia, sfiorando tutte e nessuna goccia con le lame, facendole scintillare desiderose di combattere.
-Che altro ricordi di me?- mi sussurra piano all’orecchio, improvvisamente vicino.
Sorrido, alzando un po’ il capo verso di lui, socchiudendo gli occhi fino a posarli sulle sue labbra sottili, da dove un leggero soffio caldo e stuzzicante mi accarezza la pelle della guancia.
-Ricordo il tuo coraggio...- sussurro, paurosa che, esprimendo ad alta voce un ricordo così prezioso, esso possa svanire -... ricordo il tuo ghigno illuminarsi nella lotta, la tua voce sfottermi, il tuo sguardo su di me per proteggermi…-
Le nostre fronti si sfiorano, drizzando la pelle al lieve contatto, mentre i nostri sguardi s’intrecciano, incastonandosi tra loro.
-Ricordo…- deglutisco a corto di fiato -… la tua calda presenza sempre vicino a me… sempre…-
Le labbra mi tremano, desiderose di posarsi sulle sue, mentre le mani graffiano le maniche lunghe della maglia, bisognose di toccarlo.
-Io non riesco a ricordami niente di te…- afferma serio, nascondendo un dolore profondo e logorante -… ma so che anche tu ci sei sempre stata accanto a me…-
Si avvicina di più, scendendo con le gambe dal balcone, portando le mani incatenate ad accerchiarmi i fianchi. Arrossisco presa alla sprovvista, mentre mi avvicina a lui, infossando il viso contro la mia gola.
Il cuore mi schizza a mille con i suoi battiti, mentre il suo respiro affannoso mi scalda il collo, bruciandomi la pelle.
-Lo so perchè, nella mia mente quando cerco di ricordarmi chi sono, riemerge solo una cosa, dalla nebbia della mia memoria questo…-
Inala pesantemente il mio profumo, sfiorandomi la gola con la punta del naso e provando quasi ad assaggiarlo con le labbra, facendole scivolare a fior di pelle.
-Il tuo odore…- mormora, stringendomi per i fianchi e costringendomi ad incurvare la schiena di piacere per la sua vicinanza.
-Sai di mare, vita, libertà… non è solo mandarino… il tuo profumo sa di tutto ciò di cui ho bisogno…-
Butto il capo all’indietro, e credo che i miei occhi si stiano sciogliendo, mentre il cuore batte a mille e il cervello è ormai sommerso da centinaia di sensazioni meravigliose, dovute tutte a lui.
-Come fai?- mormora, spostando le mani ad abbracciarmi la schiena –Come fai a ricordarti di me, mentre io non riesco a cavare un ragno dal buco di te? Dimmelo: come fai…-
-Le-le medicine…- ansimo, addossando il capo sul suo, aspirandone il dolce profumo alcolico -… non devi prenderle…-
-Come?!?- si scosta improvvisante, e tutto scompare.
Un brivido mi fa sussultare, schioccata e indolenzita da questo allontanamento brutale. Scuoto il capo, riordinando le idee.
-Le pastiglie blu che ci danno al mattino…- mi sfrego le tempie con due dita -… cancellano, non recuperano, i ricordi…-
Mi fissa stranito, con la bocca spalancata e gli occhi a palla.
Il suo sguardo mi trapassa la mente, e sono costretta a distogliere il mio per non rimanerne accecata. Mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, arrossendo, prima d’imbarazzo, ma poi di rabbia, non appena scoppia a ridermi in faccia.
Si piega in due dalle risate, questo idiota, incurvandosi fino a terra e reggendosi la pancia con le mani.
-WHAHAHAHA!!!!-
Gonfio le gote, rosse di rabbia, fulminandolo con lo sguardo.
-Che ti ridi, scemo?!?- lo prendo a calci, sfruttando al sua posa chinata a terra.
-Whahahaha… oh dei… hahahaha… tu sei pazza davvero…- si asciuga una lacrima dall’occhio sano, tornando a sedersi accanto a me.
Incrocio le braccia al seno, infossando lo sguardo sulla finestra, distogliendolo da lui, mentre gonfio le guance ancor di più e metto il broncio. Cretino, e io che voglio pure salvarlo!!!!
-Uhuhuh… mocciosa… ma che ti salta in mente?- sghignazza, incurvandosi verso di me, con il suo fottuttissimo ghigno smagliante.
-Va a quel paese buzzurro… è la verità…- borbotto offesa.
-E come sai che è la verità?- appoggia il mento sul palmo aperto della mano, fissandomi divertito.
Punto gli occhi su di lui carichi di rancore, triste che non mi creda.
-Io no le prendo da due giorni e inizio a ricordarmi di te…- mi indico il petto, sgranando gli occhi e rendendoli chiari di ostinazione.
Mi scruta l’iride, sorridendo divertito, per poi far tintinnare le manette, mentre sposta le mani per posarle a lato della mia vita. Mi accerchia, ergendosi davanti a me e incurvando il volto verso il mio, che distanzio voltandomi a fissare la parete dove prima si appoggiava, ancora offesa per la sua scarsa fiducia.
-A bhè…- soffia, accarezzandomi lievemente una guancia con la punta del naso -… allora, inizio subito… devo assolutamente ricordarmi di te… costi digiunare o trattenere il respiro…-
Mi volto a guardarlo con un sorriso smagliante.
-E di te? Di te non vuoi ricordare niente?- domando, inclinando il capo.
-Quando mi ricorderò di te, allora ci sarà un motivo per recuperare anche ciò che c’è di me…-
Il suo sguardo s’illumina parlando, esprimendo anche un qualcosa di ben diverso dal solo volersi ricordare di un'amica,, o compagna di ciurma.
-Vuoi che recuperi qualche informazione su di te?- sussurro.
-E come?!?- ghigna –Estrarrai dal cappello un coniglio con in bocca un plico di notizie su di me?!?-
-Non proprio…- scivolo giù dal balconcino, liberandomi dalla sua presa, sorridendo malandrina –Però ci sei quasi…-
Mi avviò a passo lento verso il portone della sala, ancheggiando e incrociando le mani dietro la schiena.
-Che intenzioni hai?- urla ghignante addossato alla finestra.
Continuo ad avanzare, rivolgendogli un’occhiata felina e una linguaccia.
-Vedrai…- sorrido.
-Come pensi di poter ottenere quelle informazioni? Sbattendo le ciglia e facendo gli occhini dolci da mocciosa?- urla sopra al fracasso della sala.
Mi volto a guardarlo ancora, sorridendogli e arricciando le labbra in un sorriso truffatore.
-Già fatto… e comunque, ci riuscirò, semplicemente, essendo ciò che sono: una ladra…- e lasciandolo ghignare divertito, mi avvio verso il portone blindato.






 

ANGOLO DELL’AUTORE:
Scusate il capitolo insensato (e pieno di errori, vero Sahne92?!? Ti chiedo perdono fin da ora...), ma, credetemi, ha il suo perchè… i commenti sono apprezzatissimi…

Zomi

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Capitolo 7
*** Arcobaleno di Pirati ***


Arcobaleno di pirati



 
Volto le spalle a Verde, camminando sicura verso la porta inferriata.
Salgo sugli scalini, addossandomi col petto e le mani alle sbarre mezzane del portone, sporgendomi tra esse. Con occhi svelti, osservo gli infermieri chiacchiere beatamente in uno stanzino vicino alle scale che conducono al piano superiore, mentre pochi di loro gettano delle occhiate svogliate ai pazienti rinchiusi nella sala comune, smozzicando sigarette e sbadigliando sonoramente. Aguzzo lo sguardo, e riesco ad identificare Toffee, addossata ad una parete giallognola della guardiola, mentre sorseggia un fumante caffé. Mantiene lo sguardo basso ai piedi, ammirandosi di tanto in tanto le unghie delle mani.
Sogghigno, alzando il capo al cielo e sbattendo varie volte le palpebre, così da irritarmi l’iride e farla lacrimare.
Abbasso gli occhi sulla cancellata, sporgendo con il viso e le braccia tra le spranghe, iniziando ad urlare.
-EHI!!!! Miss Toffee!!!!-
Sobbalzando per il richiamo, la piccola caramellina medica, trotterella sorridente fino alla cancellata, gettando composta il suo caffé in un cestino, prima di sporgersi verso di me.
-Dimmi mia cara… cosa c’è?- sbatte le palpebre, sorridendomi dolcemente con falso fare materno.
Storco le labbra, disgustata, prima di sgranare gli occhi e reggermi le tempie con fare dolorante. Stringendo gli occhi e storcendo la bocca, prendo un profondo respiro e singhiozzo in modo remissivo.
-Oh Miss Toffee…- sussulto mettendo in bella mostra i lacrimoni che scivolano dai miei dolci occhi -… la testa…-
I piccoli occhietti dell’infermiera mi squadrando stupita per le lacrime, puntandosi su di me.
-… fa… fa tanto male…- piagnucolo, tremando e versando altre lacrime.
Trasalendo nella sua diafana divisa medica, la piccola goccia di miele apre il portone con scatto fulmineo, affondando la sua arrugginita chiave d’ottone nella serratura con violenza.
-Oh mia cara, che succede?- mi accerchia per le spalle, alzandosi fragilmente sulle punte delle sue scarpette.
-La testa, miss…- annaspo piagnucolando -… ma sta scoppiando… io… io…-
Teatrale, premo con forza i palmi sulle tempie, gemendo a denti stretti, spaventandola tanto da stringermi con forza entrambe le spalle, aiutandomi a non perdere l’equilibrio mentre mi piego su me stessa in preda ai dolori.
-Mia cara Arancione…- si strugge, preoccupandosi a morte.
Mi corpo il volto con entrambe le mani, nascondendo il luccichio malandrino dei miei occhi e il sorrisetto vittorioso che si allarga sempre più sulle mie labbra.
Ormai, è mia…
Tiro su con il naso, traballando sui miei passi, mentre tento di drizzarmi. Con fare innocente, sfrego il dorso di una mano sugli occhi, scompigliandomi la chioma rossa passando la mano libera tra i crini.
-Il dottor Zenit mi aveva avvisato…- mormoro, digrignando i denti.
-Cosa, mia cara? Cosa?- mi sprona a parlare, accarezzandomi un braccio.
-Mi aveva detto che avrei potuto avere questi forti dolori…- mento, guardandola negli occhi, sbattendo le palpebre umide di lacrime di coccodrillo -... come conseguenza del mio malore di ieri...-
-Il dottore è molto saggio…-sorride adorante, perdendo lo sguardo su alcune mattonelle al di fuori del cancello.
Approfitto del suo stato idilliaco, per scivolare nel piccolo androne che separa la sala comune all’ala riservata ai dottori. Mi guardo attorno, controllando ben bene che nessun altro infermiere ci stia badando. Una decina d'infermieri sonnecchiano nella guardiola, mentre altri escono dalla porta principale dell’istituto con in mano una sigaretta, frementi di accenderla. Mi rigiro sul posto, tornando a lavorarmi l’infermiera e, con maestria, mi porto le mani al viso.
-Oh Miss Toffee…- piagnucolo, lasciando stillare due piccole lacrime dagli occhi, che scivolano a meraviglia sugli zigomi, segnandoli -… il dolore è così atroce…-
Sobbalza sulle sue bambine corte, tornando ad accerchiarmi le spalle.
-Vuoi tornare in camera, mia cara?- cinguetta materna.
Non riesco a trattenere un risolino, sotto i palmi che mi celano gi occhi brillanti di vittoria.
-In verità…- gemito -… l’illustre dottor Zenit mi ha ordinato di andare subito da lui, nel caso provassi tali dolori…-
L’infermiera annuisce, cadendo in pieno nella mia trappola e, accarezzandomi le spalle, mi invita verso la porta nocciola dell’ala medica. Avanzo lentamente con lei, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. Mi regge per la schiena, accostando il capo incappellato contro il mio petto. Una posizione perfetta per me.
Con gesto rapido, fingendo di premermi il petto per trattenere un singhiozzo, alzo una mano dal fianco al viso, passandola sopra alla sua cuffietta, rubandole, con tatto leggero e impercettibile, una forcina che le raccoglie i capelli corvini.
La stringo forte nel palmo della mano, nascondendola tra le pieghe delle dita.
-Su, cara, non temere: il dottore saprà come farti star meglio…- parlotta entusiasta -… ora ti accompagno da lui e …-
-Il dottore mi ha chiesto di andare da lui sola…- la interrompo, sfregandomi gli occhi.
Se venisse con me, farebbe saltare tutto il piano, mandando all’aria i miei progetti.
Devo essere sola, con nessuno a sorvegliarmi.
Toffee mi fissa seria, dubbiosa delle mie parole. Le sue piccole labbra, disegnate con una leggera matita rosata, s’irrigidiscono in un sorriso sforzato di sospetto.
-… ha detto…- deglutisco il finto dolore, sbattendo le palpebre asciugando le lacrime -… che non voleva che altre regole venissero infrante da personale poco adatto a questa struttura… o almeno, così ho capito dal suo borbottare scocciato…-
La donna sbarra gli occhi schioccata, sbiancando visibilmente e lasciando, come scottata, la presa dalle mie spalle, ritraendo le mani fino al petto, dove le stringe con vergogna.
-Ha detto questo?- guaisce acutamente, mentre i suoi occhietti scuri s’inumidiscono d lacrime vergognose.
-Si, ma più che parlare con me, credo piuttosto che stesse pensando ad alta voce…-
Deglutisce paralizzata dalle parole, tremando nella sua minuta figura. È paralizzata sul posto, incredula dalla severità del suo idolo. Sogghigno, assottigliando lo sguardo.
Ho premuto il tasto giusto per convincerla a lasciarmi capo libero.
Sapevo che, una bella sgridata dal suo mentore, l’avrebbe bloccata da ogni tentativo di trattenermi od ostacolarmi, seppur non intenzionale.
-Posso andare miss?- domando, inclinando di poco il capo, e aprendo ben bene i miei occhioni da cerbiatta.
-S-si…- sussurra, aprendo la porta dell’ala ed invitandomi ad entrare nel lungo corridoio illuminato.
-Grazie miss…- gemo reggendomi il capo.
Avanzo i pochi passi sulla pavimentazione bianchiccia, sotto la luce ovattata del sole che filtra dalle finestre, prima di voltarmi verso di lei, ancora a fissarmi sulla porta, e sorriderle bonaria.
-Dirò al dottor Zenit che siete stata voi ad accorgevi del mio malore…- sempre meglio accarezzare due padroni, che nessuno.
S’illumina di un sorriso radioso, sussultando sui suoi piccoli passetti nel sapere di quella lode bugiarda, che di certo potrebbe farla risplendere agli occhi del suo idolo.
Annuisce per poi richiudere la porta e tornare nella guardiola.
Nel silenzio più totale del corridoio, assottiglio lo sguardo, arricciando le labbra.
Ho campo libero.
Qui più nessuno può fermarmi.
Inizio a correre sotto la luce del sole, lasciando che le suole di plastica sbattano contro le mattonelle, rumoreggiando nell’androne dall’alto soffitto, echeggiando e spezzando il silenzio clinico. Svolto veloce l’angolo in fondo al muro, raggiungendo lo studio del dottor Zenit, fermandomi davanti alla sua porta placcata e guardandomi attorno. Non ho incontrato nessun altro dottore, ne infermiere.
Il primo piano dell’ala medica è deserto, non vi è anima viva.
Ne un infermiere che spunti fuori da una stanza, ne un medico che lavori nel proprio ambulatorio.
Possibile che in un manicomio non vi sia un solo dottore negli ambulatori a lavorare?
Che tutti gli infermieri perdano il loro tempo a vigilare su malati calmi e tranquilli, rinchiusi in un sala con spranghe e finestre ferrate?
Zenit ha detto che aveva alcune visite questa mattina, ma se tutti i pazienti sono  costretti a passare le loro ore nella sala comune, quali altri malati richiedono le sue cure?
Che vi siano pazienti rinchiusi nelle loro stanze, da cui gli è vietato uscire?
E Zenit è l’unico medico dell’Istituto Manari?
Scuoto il capo.
Troppe domande, e troppo poco tempo a disposizione per cercare le risposte giuste.
Piano, mi appiattisco contro la porta, origliando i movimenti interni.
Accosto l’orecchio contro la vetrata ruvida, ascoltando eventuali rumori da dentro lo studio, ma il più totale silenzio lo abita. Aguzzando gi occhi, estraggo la forcina dell’infermiera, e m'inclino sulla serratura per aprirla.
La inserisco esperta nella toppa, roteandola contro i primi ingranaggi.
Pochi scatti, e la porta si arpe per magia.
-Apriti sesamo…- sogghigno, entrando di soppiatto nello studio, ben attenta che nessuno sopravenga dal corridoio. Appena entrata, mi volto di scatto verso la porta, richiudendola e addossandomi con la schiena.
Ruoto veloce gli occhi per tutto lo studio, controllando che non vi siano sistemi d’allarme o altro, ma è ovvio che il dottore conti troppo sull’oblio dei suoi pazienti e sulla stima profonda e terrorizzata dei suoi inservienti, per preoccuparsi di installare dei sistemi di sicurezza oltre che ad una semplice serratura alla porta.
Mi lancio alla scrivania, accovacciandomi davanti alla poltrona e aprendo la cassettiera del mobile. Sotto un piccolo ripiano straripante di moduli prestampati, c’è la scintillante cassaforte archivio del medico.
È una casetta rettangolare, più alta che larga, che riempie totalmente lo scompartimento destro della scrivania, proteggendo a spada tratta il suo contenuto. Una piccola maniglietta sulla sinistra, vicino ad una tastiera elettronica dai tasti blu elettrico. Osservo ben bene la casetta blindata, mordendomi un labbro, trattenendo un sorriso.
Di certo deve avere una qualche forma di sistema d’ingranaggi speciali, per impedire gli scassi, ma quando si ha la combinazione, non serve scassinarla.
Mi sgranchisco le nocche delle mani, sentendole sfavillare d’elettricità febbricitante nell’essere usate in un compito così loro caro. Poso il palmo aperto contro la parete liscia e ferroso della porta blindata, ascoltandone i battiti silenziosi del suo contenuto. È come se, la verità che essa contiene, mi stesse implorando di liberarla, di permetterle di rivivere nella realtà, e non più nelle menzogne in cui annega.
Deglutisco, ormai vicinissima alla verità.
Digito lentamente i numeri sulla tastiera:…tre… nove… cinque… sette… uno…
Un sonoro clank e la porta della cassaforte si schiude, porgendosi verso di me.
Respiro a fondo, afferrando saldamente la maniglia e aprendo del tutto la  soglia di ferro, sgranando gli occhi per il suo contenuto.
Un raccoglitore stracolmo di cartelle sbuffa di informazioni, gonfio e stipato in pochi centimetri quadri, trattenendo nelle 4 pareti d’acciaio tutte le cartelle mediche dei pazienti dell’istituto.  Ordinate e in ordine alfabetico, quasi duecento cartelle trattengono le vere identità dei pazienti del dottore, provando a cancellare quello che sono, annullando il loro essere persone.
Mi siedo con un tonfo a terra, allibita dall’abnorme quantità di carte e schede che sfilano davanti ai miei occhi.
Lentamente, apro la prima scheda, in ordine alfabetico, dell’archivio, cercandovi la mia. Salto vari nomi, prima di ritrovarmi sotto il nome datomi qui, in clinica: Arancione.
La apro nell’aria, facendo roteare veloce mille pagine giallognole contenenti tac e analisi varie, saltando a piè pari diagnosi e dati medici, per giungere sul fondo della cartella, dove una scheda segnaletica riporta notizie molto più succulenti.
Alcuni dati sono anneriti da un pennarello nero, come il nome reale o l’età, ma altri invece sono ben leggibili. Deglutendo emozionata, avvicino la scheda al viso, leggendola in ogni sua sillaba d’inchiostro. È riportato che ho un tatuaggio blu sulla spalla sinistra, una girandola incrociata ad un mandarino, e che sempre su quella spalla vi sono anche tre cicatrici profonde di un pugnale.
Appoggio istintivamente la mano sulla scapola, sentendola scottare al ricordo di cosa vi è sotto l’esile maglia bianca che la copre, quasi volesse bruciarla e riprendersi la sua libertà. Oh Kami, mi hanno cancellato anche tutto ciò che ricordavo di me. Hanno cancellato il mio corpo, insieme ai miei ricordi.
Riprendo a leggere, percependo la mia mente rilassarsi ad ogni informazione ritrovata, liberando piccole scintille di ricordi nella testa, risvegliandola.
Scoprendo che sono realmente la navigatrice e primo ufficiale di un pirata, un così detto “Cappello di Paglia”, che il mio soprannome da ricercata è “Gatta Ladra” e che sul mio bel capo ramato pende pure una succulenta taglia. È riportato che, io e i miei compagni, siamo stati catturati una settimana fa dalla Marina, ad opera di un commodoro di cui non è riportato il nome, e che da allora siamo in cura presso l’Istituto di psichiatria e rieducazione Manari.
-Ah… questo non c’era scritto nella brochure informativa!!!!- sbotto ironica.
Quindi siamo giù per essere rimodellati nell’educazione: in altre parole ci stanno facendo il lavaggio del cervello.
Grugnisco offesa, leggendo altre futili informazioni (circonferenza del cranio, misure del corpo, altezza e peso al mio arrivo), per poi giungere al numero della stanza in cui alloggio e le regole a cui sono soggetta.
Volto varie pagine, cercando altre informazioni, disperatamente bisognosa di sapere tutto ciò che c’è da sapere di me. Rivolto ogni singola facciata scritta del dossier medico, ma trovo solamente un appunto, scritto a mano, sulla fine della cartella. È un elenco di nomi, affibbiati dal dottore come copertura nella clinica, a circa un’altra decina di persone.
Assottiglio lo sguardo: perché un appunto del genere sulla mia cartella?
Scorro veloce i nome, trovano tra essi quello di Verde e di Ebano.
Sobbalzo. Oh Kami, avevo ragione!!!! Avevo ragione: fanno parte della mia ciurma!!!
So che entrambi fanno parte della mia vita vera, che sono persone che mi completano, quindi tutti gli altri nominativi della lista, devono essere il resto della ciurma!!!!
Scattante, estraggo ogni cartella riportata sull’elenco, sparpagliandole scomposte davanti a me, sotto la scrivania. Le apro ben bene, cercando la scheda informativa del fondo archivio, fremendo di felicità e curiosità. Le metto in fila davanti ai miei occhi, vietandoli di lacrimare di felicità.
Contando anche la mia, sono 9: Ebano, Azzurro, Verde, Oliva, Giallo, Arancione, Oro, Bigie e Niveo.
Nove, nove!!!!
Otto persone che mi conoscono sono prigioniere qui, con me, e aspettano solo di sapere chi sono. Otto persone che mi vogliono bene e a cui io ne voglio solo leggendone i nomi fasulli. Mi mordo un labbro, soddisfatta di aver raggiunto un risultato positivo dopo due giorni rinchiusa in questo manicomio.
Leggo in rapidità tutte le schede, dal numero delle reciproche stanze ai divieti imposti. Scopro che Verde è il vice capitano e un abile spadaccino ed è chiamato “The Devil Beast”, Ebano “La Bambina Demoniaca” l’archeologa di bordo, Beige “Il Tenero Peluche” il dottore, Azzurro “Cyborg” il carpentiere, Oliva “Sogeking” il cecchino, Giallo “Gamba Nera ”il cuoco, Niveo “Lo scheletro canterino” il musicista e Oro “Cappello di Paglia”, infine il nostro capitano.
Di quest’ultimo, la stanza è riposta nell’ala medica dell’istituto, e non insieme a tutte le altre stanze nella zona dei pazienti. Mi asciugo una lacrima di felicità sfuggita al mio controllo, fermandola con stizza sullo zigomo.
Si piange per le cose tristi, non per quelle belle.
Rileggo ogni informazione della mia famiglia, memorizzandone il numero della camera, i divieti, le descrizioni fisiche, tutto ciò che può servirmi per trovarli e liberarli, riportandoli nella realtà con i loro ricordi. Con maggior attenzione, mi soffermo sul mio capitano, mordicchiandomi un labbro riflettendo. Perché è separato da tutti noi?
Che gli sia successo qualcosa di grave, o che Zenit lo tenga sotto sorveglianza speciale?
Mi porto alle labbra un’unghia, iniziando a mordicchiarla con fare nervoso. È rinchiuso nella stanza 001, e gli è vietata ogni visita al di fuori del primario. Nessun infermiere lo deve controllare, e non gli è prescritto alcun farmaco.
Perché?
Rimuginando, inizio a risistemare le varie schede mediche, ponendole con cura meticolosa dentro il raccoglitore, eliminando ogni traccia del mio passaggio. Inserisco tra le altre cartelle quelle dei miei compagni, provano una sorta di senso di colpa nel richiudere nuovamente nella cassaforte le loro vere identità. Premendo con entrambe le mani, spingo verso la parete di fondo della cassaforte l’archivio, pronta a chiudere la porta blindata e andarmene. Mi sforzo, aumentando la pressione della spinta, ma c’è qualcosa che si frappone tra l’archivio e il fondo.
Sfilo l’intero dossier, sbuffando.
Qualche cartaccia dev’essersi messa di mezzo tra la parete d’acciaio e il contenitore.
Allungo la mano nel piccolo vano della cassaforte, strizzando gli occhi per capire che cavolo c’è nel fondo. A tastoni, data l’oscurità della cassetta blindata e l’ombra della scrivania che le ruba la luce, sfioro due piccoli recipienti tondeggianti.
Sollevando la schiena, porto alla luce della finestra dello studio i due piccoli flaconi di vetro che si nascondevano dietro il raccoglitore.
Uno contiene alcune piccole pastiglie blu, uguali a quelle che somministrano nell’istituto, l’altro altrettante di simili, ma di color lilla. Le prendo per il collo del contenitore, facendole oscillare contro luce.
Sbatacchiano silenziose tra loro, le pastiglie roteando nel fondo dei flaconi, rifrangendo, sulle pareti vetrose delle fiale, la loro particolare tinta.
A parte il colore, sono identiche: stesso formato, stessa dimensione… magari stesso creatore. Piego il capo su un lato, leccandomi l’arco di Cupido.
Se il dottor Zenit ha realizzato un farmaco per far scomparire la memoria, avrà anche creato un antidoto, per rimettere a posto i ricordi o recuperare quelli che posso interessargli, no? E ho la netta sensazione di averla appena trovata.
È questa la chiave della mia, e dei miei compagni, liberazione.
Infosso gli occhi, studiando i due contenitori.
-Una pillola blu per dimenticare, e una lilla per…-
Pesanti passi riecheggiano fuori dalla porta dello studio, e una voce bassa e roca parla con tono autoritario.
Sbianco, sentendomi in trappola.
Il dottor Zenit è tornato.
Svelta, rimetto tutto a posto dentro la cassaforte, richiudendola con un tonfo ovattato. Sdraio i due flaconi nel fondo, abbandonando l’idea di rubare qualche pastiglia lilla, schiacciando l’archivio con forza, prima di gettarmi nel centro dello studio in cerca di un nascondiglio. Con occhi sgranati, mi guardo attorno, ruotando il capo in panico.
Se mi trova nel suo studio, senza motivo e madida di sudore nell’essere presa nel sacco, capirà che sto iniziando a ricordare, e farà di tutto per cancellarmi i pochi ricordi recuperati.
Verde…
Sobbalzo, spaventata e tremante
Non posso perdere nuovamente i ricordi che ho di lui. No, non voglio.
Il cuore mi batte a mille, le pulsazioni mi fanno tremare i polsi, e il sudore mi raggela le tempie. Non riesco a respirare e il caos prende il sopravento.
Accidenti!!!! Calma!!!!
“Mantieni il controllo” mi ordino, sforzandomi di agire in fretta.
Ragiona, Nami, ragiona in fretta.
Scatto verso la finestra, strattonandola per il bordo ma è saldata, impedendo di aprirla. Alla porta, l’ombra di Zenit è sempre più vicina, proiettandosi verso l’interno, e il suo vociare rimbomba contro il vetro, facendolo vibrare come corde di un violino che minacciano di spezzarsi.
Mi sento alle strette, una volpe caduta in pieno dentro una mannaia, che le sta lacerando la zampa. Credevo di riuscire a riconquistare la mia vita, la mia famiglia, l’uomo che amo, ma sto per fallire miseramente.
Scuoto il capo e, con il cuore in gola a battere le sue ultime preghiere, mi getto contro la porta dello stanzino dello studio, stringendo nei palmi la maniglia, in un disperato tentativo di ricerca di un nascondiglio.
-… ne sono certo, ma non deve temere…-
La vellutata e mistica voce del dottore scivola come veleno contro le mie orecchie, pulsando mortale. Digrigno i denti, lottando contro il chiavistello chiuso.
Maledizione!!!! Apriti!!!!
Uno scricchiolio, e con un’occhiata pallida vedo la porta aprirsi lentamente, mentre la sua maniglia dorata ruota in senso orario, mossa da Zenit.
Oh Kami…
-Come?- la porta si richiude, trattenuta a metà dalla presa del medico e la sua conversazione, che lo trattiene ancora per qualche istante fuori dallo studio.
Rapida, infilo la forcina che ho rubato nella serratura della seconda porta, smaniando per aprirla. Ruoto con fervore la lama sottile tra gli ingranaggi, fino a farli scattare ed aprire la soglia, su cui mi catapulto, chiudendo con un tonfo secco alle mie spalle la pesante porta di abete scuro, mentre il respiro mi si mozza in gola.
Passi.
Lenti, pesanti, atoni passi si muovono all’interno dello studio, annunciando l’entrata del dottore.
-Sentomaru, mi ascolti: è tutto sotto controllo…-
La poltrona scricchiola acutamente, mentre è tirata indietro dalla possente presa di Zenit, che sbuffando si siede pesantemente sull’imbottitura.
-Cappello di Paglia e i suoi non sono più una minaccia ormai…- afferma parlando con un lumacofano -… sono un capitolo chiuso…-
Ho il cuore che pompa a mille nelle orecchie, e lo sguardo è fisso davanti a me, su una parete bianca leggermente illuminata da una finestra semi aperta dello stanzino. Il battito è assordante, micidiale, mi fa perdere i sensi, ma non m’azzardo a svenire per non produrre alcun rumore e farmi scoprire.
-No, in verità Cappello di Paglia rifiuta ancora la cura…- dondola con la schiena sulla poltrona Zenit, provocando un singhiozzare pungente delle molle -… il suo Haki Haoh-Shoku neutralizza le proprietà del farmaco, ma sto studiando una variante apposta per lui…-
Strizzo gli occhi nella penombra della stanza, ascoltando attenta e cercando di zittire il battito assordante del cuore. E per questo quindi che il mio capitan è rinchiuso nella sua stanza: il farmaco non ha effetto su di lui…
Deglutisco silenziosamente, aprendo bocca poi per respirare e tentare di fermare il mio annaspare, a causa del panico che ancora mi circola nelle vene.
-Stia tranquillo Sentomaru: ho tutto sotto controllo. Nessun membro dei Mugiwara ricorda alcunché dei compagni, e sebbene il loro capitano si ostini a non collaborare, ben presto cederà…-
Mi appiattisco contro la porta, per capire la risposta dell’interlocutore, ma non ci riesco, e devo accontentarmi di ascoltare il vocione borioso e altisonante di Zenit.
-Non sto prendendo nessuno sotto gamba, signore…- irrigidisce il tono, scattando in piedi e facendo stridere la poltrona –So quello che faccio!!!-
Assottiglio lo sguardo, mordendomi un labbro. La sua sicurezza sarà il suo punto debole.
-Si, si quando vuole… buona giornata…-
La chiamata s’interrompe e con un esile clik il lumacofano si spegne, zittendosi.
-Stupido ragazzino panciuto…- ruggisce il dottore, muovendo delle carte sulla scrivania, borbottando rabbioso e sbattendo vari tomi sulle librerie.
Ascolto silenziosa il suo girovagare astioso nello studio, finché esce sbattendo la porta, e ringhiando contro il mondo.
Tiro un sospiro di sollievo.
-Me la sono vista brutta…- sussurro, passandomi una mano sulla fronte madida di sudore freddo.
Sbatto le palpebre per riprendermi, e ne approfitto per guardarmi attorno nello studio. È piccolo, appena più grande di uno sgabuzzino per le scope, una finestra verso il cortile, la cui tapparella è alzata di poco, qual tanto che basta per permettere ad un raggio di luce di sfuggire dentro lo stanzino. Fisso le pareti, bianche forse un tempo, ma ora tappezzate d’articoli di giornale e attestati medici.
Mi avvicino a leggerne un paio, notando alcune foto.
In una, di parecchi anni fa dato che Zenit sfoggia una capigliatura mora e uno sguardo più giovanile, il medico sorride compiaciuto mostrando un attestato pluri firmato, mente un tizio dalla barbetta intrecciata in una piccola treccia, occhiali tondi e spessi e un cappello con un gabbiano sopra, posa una mano sulla sua spalla sinistra, in chiaro segno di lode.
In un’altra, un uomo col viso tatuato sorride ebete, tutto ben vestito e beneducato, affiancando uno Zenit ghignate di soddisfazione, mentre incrocia le braccia al petto.
Uno dei suoi primi esperimenti, forse…
Una terza foto, l’inaugurazione della clinica davanti ad un arsenale di militari e ammiragli, dove è effettuato il tipico taglio del nastro ad opera del geniale primario, i cui occhi grigi puntano l’osservatore, sogghignando in sua direzione, idolatrato di se stesso e gonfio dei suoi studi folli sulla mente.
Rabbrividisco, come se mi stesse filtrando la mente, con qual suo sguardo arcigno e penetrante, come se stesse cercando di rubarmi ancora i ricordi.
Mi sposto su altri articoli, dove spesso Zenit è citato come il “commodoro della memoria”, la stella all’occhiello nella medicina militare. Vari articoli riportano i suoi successi nella sua ricerca, elogiandolo come primo pioniere nella rieducazione dei pirati. Mi mordo un labbro.
È lui.
Lui ha catturato me e i miei compagni. Il mio sogno della battaglia in mare, dove il medico affrontava il mio capitano e poi costringeva tutti noi ad inghiottire le sue pillole, è reale, è avvenuto realmente. Piano, deglutisco, sbarrando gli occhi sul muro delle glorie del medico.
Questo è il suo santuario, la sua glorificazione a Dio della medicina.
La sua esaltazione a pazzo scienziato, macellaio senza coscienza, lungamente approvato e usato dalla Marina per i suoi fini di giustizia, opacizzata dal sangue di molti.
Trattengo un conato di vomito, scandalizzata e stomacata dall’ipocrisia di chi vuole il bene di tutti sacrificandone altrettanti. Esco dallo stanzino e sgattaiolando furia dallo studio di Zenit, ben attenta che il corridoio sia deserto come all’andata, facendo ritorno svelta verso la sala comune, ricca del mio carico di informazioni, ma appesantita da una nuova verità.
L’Istituto Manari non è un ospedale: è una prigione della Marina.


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Capitolo 8
*** Oro ***


 Oro

 
-TU SEI PAZZA!!!!- urla agitando le mani verso di me, facendo tintinnare le ferrose manette che lo frenano ai polsi.
Alzo gli occhi al cielo, spostandomi una piccola ciocca di capelli da dietro l’orecchio sul viso, iniziando ad attorcigliarla con totale calma.
-Bhè allora Zenit ce l’ha un buon motivo per tenermi qui…- ridacchio, facendolo sbuffa spazientito.
Si alza sgraziatamente del bordo della finestra, dov’era addossato vicino a me, iniziando a camminare con passo da bersagliere avanti e indietro, puntando lo sguardo al pavimento, digrignando i denti tra un grugnito e l’altro.
Si massaggia le nocche delle mani nei palmi, facendole scricchiolare con suoni ferrosi e duri, reduci da allenamenti che gli hanno segnato la pelle e lo spirito.
Ogni suo passo affonda deciso e furioso tra le mattonelle della sala, quasi a volerle frantumare come sfogo rabbioso per la mia scelta.
Lo fisso marciare pensieroso, scrutandolo nel suo bel volto, contratto in mille riflessioni interne su ciò che gli ho detto, sul mio pazzo piano di salvezza.
-Non puoi…- afferma baritonale, alzando l’occhio su di me e fissandomi in viso.
-Non è una questione del “posso” o no…- sospiro.
No, non è una questione di capacità o scelta.
-… io devo farlo…-
Abbasso lo sguardo, sentendolo avvicinarsi a me e posare le mani attorno alla mia vita. Addossa la sua calda fronte sulla mia, chiudendo gli occhi pesantemente.
È appena passata l’ora di pranzo, e dopo averlo consumato nella mia fredda cella, sono tornata nella sala comune dell’istituto, dove ho riferito ad Ebano e Verde ciò che ho scoperto: i nostri soprannomi, il resto della ciurma, la nostra vera identità di pirati, il fatto che Zenit sia solo un pazzo militare macellaio, Oro...
Con le brevi descrizioni delle cartelle dei miei compagni, sono riuscita ad identificarli tutti quanti, dal biondo cuoco fino allo scheletrico violinista, non avvicinandomi però a loro per paura che Miss Toffee si accorgesse del mio interesse verso di loro, e che intuisse  il mio ravvicinamento alla mia famiglia.
Ho trattenuto appena la gioia di scoprire i veri volti dei miei famigliari, delle persone a cui tengo di più, e avrei tanto voluto abbracciarli e urlare di felicità, ma averi rischiato solo di farmi prendere per pazza davvero da loro, e di far insospettire gli infermieri, rischiando la reclusione nella mai stanza o chissà che, e questo non posso permettermelo.
No, devo fare un’ultima cosa prima di poter riabbracciarli tutti senza pericoli…
-Mocciosa, ascoltami…- mormora piano Verde, stringendo la presa sulla mia vita.
-No…- lo fermo immediatamente, riaprendo gli occhi per guardarlo in viso.
Una sua sola parola può fari vacillare, lo so.
Gli basterebbe guardarmi negli occhi e sussurrarmi di non farlo, per condizionare la mia scelta, e costringermi a rinnegarla del tutto, abbandonandomi al suo volere di tenermi al sicuro dai mali di questo manicomio.
Ringhiando mi stringe la vita, facendo cozzare la catenina delle sue manette contro il mio addome, che trema infreddolito dal lieve contatto glaciale del ferro. Alzo appena gli occhi su di lui, guardandolo di sfuggita.
La sua fronte è contratta in tre piccole rughe, pulsanti e combattive, pronte a tutto per fermarmi e impedirmi di compiere il mio piano.
-È pericoloso…- ringhia, digrignando i denti.
-Non importa: devo farlo…-
-E perchè?- si scosta violentemente, lasciando con rabbia la presa sui miei fianchi e indietreggiando di un passo, fissandomi severo e iracondo.
-Perché mai dovresti farlo tu? Hai detto che siamo in 9 nella ciurma, non può farlo uno di noi?!?-
Sorrido lievemente, abbassando gli occhi ai miei piedi rialzati sopra al balconcino, e che faccio dondolare per mascherare il mio tremore impaurito.
-Sono l’unica che può farcela…- sussurro piano, ammutolita dalla cagnara della sala che vibra nell’aria.
Lui ringhia, stringendo i pugni con forza estrema, fino a farli sbiancare sulle nocche. Irrigidisce le gambe, stringendo i pugni lungo i fianchi e digrignando i denti fino a farli scricchiolare acutamente. Chiudo gli occhi, respirando a fondo cercando di trovare un coraggio non mio con cui convincerlo che è l’unica soluzione. Altre non ce ne sono.
-Non puoi farlo... non puoi… io te lo vieto mocciosa…- torna a stringermi, per le spalle ora, appiattendo i nostri corpi e abbracciandomi con forza estrema, desideroso di non lasciarmi andare, di trattenermi all’infinito tra le sue braccia, grandi, calde, protettive, sconosciute sulla mia pelle, ma mai desiderate come ora, sebbene attutite dalla leggere stoffa della mia maglia  a maniche esageratamente lunghe e stette sui bracci.
Mi stringo a lui, aggrappandomi alla sua esile maglia senza maniche bianca, infossando il viso sul suo petto caldo e accogliente, nascondendomi dall’incubo che sto vivendo.
-Devo farlo…- sussurro piano, sentendolo stringermi ancora di più -… appena avrò trovato Oro tutto tornerà alla normalità…-
Alzo lo sguardo su di lui, premendo energicamente la presa sulla maglia.
-Troverò Oro e vi libererò tutti…- annuisco convinta.
Il suo occhio nero traballa incerto, incapace di lasciarmi andare ad una missione suicida come questa. Ma d’altra parte, come posso liberare la mia famiglia se non così?
Ho semplicemente deciso di ritrovare Oro, di rintracciare la sua stanza e chiedergli aiuto, in modo da progettare un piano per l’evasione di tutta la nostra famiglia.
Sfrutterò le tenebre della notte, arrampicandomi sui cornicioni dell’istituto per raggiungere la stanza 001.
Ho già organizzato tutto: con la scusa del mal di testa ho convinto Miss Confettino Stucchevole a fari dormire in infermeria questa notte, senza riferirlo a Zenit per evitare altre preoccupazioni al già troppo occupato dottore, da cui uscirò da una delle finestra non inferiate o saldate, come quelle delle camere dei pazienti. So esattamente che la cella che imprigiona Oro è nella zona medica dell’edificio, e partendo già dall’infermeria sarà più facile trovarlo.
Mi strinsi al suo petto, chiudendo gli occhi.
Il pericolo però è elevato: oltre che la probabilità di scivolare dai cornicioni e rompermi l’osso del collo, se sono fortunata, qualcuno dall’interno degli alloggi medici potrebbe notarmi e avvertire Zenit.
A quel punto tutto sarebbe perduto: mi cancellerebbero nuovamente la memoria, eliminano ogni più piccola traccia dei miei compagni e di Verde, riconducendomi ad una larva senza memoria, ignara di ciò che sono o ero.
Del tutto svuotata di lui.
È questa piccola probabilità che mi terrorizza tanto: e se mi prendono?
Mi faranno nuovamente il lavaggio del cervello, mi ruberanno di nuovo tutti i ricordi che ho così faticosamente recuperato, mi allontaneranno ancora da lui, me lo strapperanno dalle mani con una violenza tale da uccidermi…
Ma la mia paura, la mia debolezza, sarò anche la mia forza, perché non voglio mai più dimenticarmi di lui, di Verde. Non permetterò più a nessuno di manipolarmi e svuotarmi il cervello con tanta facilità: lotterò.
Lotterò con tutta me stessa, ancorandomi a quei sprazzi di vita vera, nuotando contro la marea della mia mente in subbuglio, scossa dalla tempesta di ricordi che cercano di riaffiorare in me, emergendo e inabissandosi tra i vuoti del mio oblioso passato.
Lotterò per quei pochi attimi di Verde che ho riacquistato con fatica e dolore, proteggendoli e aggrappandomi a loro come mia unica fonte di forza e salvezza.
Non posso fallire, ne va della libertà mia e dei miei compagni.
Ne va dei miei ricordi di Verde, e di tutto l’amore che provo per lui.
Alzo lentamente il capo dal suo petto, sfiorandogli con la fronte la punta del mento.
-Ci riuscirò, vedrai: è una promessa…- gli sussurro piano, allentando la presa sulla sua maglia.
Lui soffia pesantemente dal naso, inebriandomi con il suo caldo e stordente profumo, costringendomi ad abbandonarmi a lui, chiudendo nuovamente gli occhi e affidandomi al mio olfatto, ritrovando l’appoggio sicuro e accogliente del suo petto.
-Non posso lasciarti andare…- afferma roco, stringendomi le spalle nei suoi palmi.
Sono così grandi le sue mani.
Forti e calde, riescono a stringermi le scapole nei soli palmi, trasmettendomi la meravigliosa sensazione di protezione e cura di cui ho bisogno per prepararmi a sta notte.
-… qualcosa, dentro di me…- abbassa ancor di più la voce, parlandomi tra i capelli -… m’impone il dovere di proteggerti… a qualunque costo, anche sacrificandomi per te…-
Mi scosto da lui con forza, scottata dalle sue parole, liberandomi della sua presa e fissandolo agghiacciata dritta negli occhi, sbarrando le iridi fino a renderle chiare come il cielo.
-Non lo dire nemmeno per scherzo!!!- sibilo, ammonendolo severa.
Lui ghigna, divertito.
-Che ti ridi, imbecille?!?- gli mollo un calcio su uno stinco, facendolo ridacchiare ancor di più –Ritira subito quello che hai detto, se no io…-
-Tu? Tu cosa?- posa le mani con un tonfo contro il vetro della finestra che ho alle palle, accerchiandomi il viso con i suoi bicipiti.
-Tu ti arrampichi sul cornicione della mia stanza, e stanotte vieni a picchiarmi?- sogghigna con labbra sghembe, cercando di sdrammatizzare, ma dal suo tono di voce si capisce benissimo che non è un sorriso derisorio, ma una tagliente ironia per convincermi a lasciare perdere tutto quanto.
Sorrido lievemente, addolcendo lo sguardo.
-Andrà tutto bene…- lo tranquillizzo, dimenticando la sua scemenza di poc’anzi.
-Non posso… preferisco la morte che saperti stanotte sola su un cornicione, in cerca di un qualcuno di cui non conosci nemmeno il volto…-
-Non mi accadrà nulla… non devi aver paura…-
-Io non ho paura!!!!- ringhia colpito sul vivo.
-Si invece…- sorrido, ma non per canzonarlo -… hai paura che mi scoprano e mi cancellino tutti i ricordi, eliminandoti nuovamente dalla mia testa, stappandomi da te di nuovo…- me la picchietto con un dito -… è il mio stesso timore…-
-E non dovrei forse?!?- sbotta, incurvando il volto verso il mio –Sei la persona più importante che c’è al mondo per me… non posso lasciarti correre questo rischio da sola: io devo proteggerti!!!-
Sento le gote imporporarsi sul mio viso, incendiandosi a queste parole.
La persona più importante al mondo per lui…
Sorrido, inclinando il capo su un lato.
-Anche tu sei per me la persona più importante al mondo…- sussurro appena, alzando una mano ad accarezzargli il viso squadrato.
Allungo le dita verso la sua pelle scura e contratta in un ringhio della mascella, avvicinandomi sempre più a sfiorarlo.
-… ed è proprio per questo che devo farlo: per te e per difendere i nostri ricordi…- sussurro piano, distendendo le dita verso di lui per toccarlo.
Non l’ho mai fatto prima, o almeno non ne ho memoria, e mi trema un po’ la mano.
Il suo occhio nero è puntato sulle mie dita tremanti, che si avvicinano sempre più al suo viso.
Ha smesso di ringhiare e protestare, e ora aspetta, aspetta che la mia mano mi smetta di ondeggiare per posarsi su di lui e accarezzarlo.
Deglutisco piano, fissandolo dritta in viso.
Le sue braccia, ancora tese ai lati del mio capo, s’incurvano, flettendosi sotto il peso del suo corpo che s’inclina verso di me, avvicinandosi.
Le fronti si sfiorano, i respiri si uniscono, i profumi si miscelano, gli occhi incatenati da una magnetismo unico che lega anche il battito dei nostri cuori. Ormai riesco a solleticargli la mascella con la punta delle dita. Un soffio e…
DRIIIIIIIINNNNNN!!!!!
Sobbalzo dividendomi da lui, mentre la campanella posta al di sopra del portone trilla impaziente, avvertendo ogni ospite che è ora di tornare alla propria cella.
-Maledizione!!!!!- ringhia Verde, picchiando un pungo contro il vetro della finestra, alzandosi da me.
Deglutisco riemergendo da un sogno, in cui ero completamente immersa, sbattendo un paio di volte le palpebre per tornare lucida alla realtà.
-La cena…- gonfio le guance, contrariata dall’interruzione, mentre salto giù dal bordo della vetrata e mi ergo in piedi nella mia piccola figura.
Verde al mio fianco sghignazza, fissandomi sbuffare.
-Sembri proprio una mocciosa così…- mi indica le gote rossicce.
-Taci, scemo!!!- gli tiro una linguaccia, incrociando le braccia al petto.
Lui si avvicina e afferra deciso una mia ciocca di capelli, che inizia subito ad arricciare tra due dita, roteandole velocemente fino a tirarmi lievemente la radice dei capelli, sfiorandomi con la punta dei polpastrelli la pelle dietro l’orecchio.
-Fa attenzione stanotte…- mi soffia nel padiglione, con quel suo ghigno altezzoso -… non voglio rinunciare a te…-
Struscia veloce il naso contro la mia gola, mozzandomi il fiato e facendomi battere il cuore a mille.
-… sono troppo egoista per rinunciare al tuo profumo…-
Si alza da me, allontanandosi verso il suo corpulento infermiere, lasciandomi senza respiro e rossa in viso per il suo gesto.
Scossa da strani e piacevoli brividi sulla pelle, accarezzo con entrambe le mani la ciocca che ha attorcigliato, incamminandomi verso il  portone della sala, sorridendo in un misto tra l’eccitata e l’imbarazzata.
Se devo proprio morire, morirò contenta stanotte dopo l’averlo sentito così vicino…
 

***

 
Il silenzio è totale.
Nessun suono anima l’infermeria.
Un flebile raggio di luce lunare penetra dalla finestra alle spalle del mio letto, illuminando pigramente le mattonelle della sala e qualche altro letto.
Facendo scricchiolare le molle del materasso, mi rigiro su un fianco, aprendo appena un occhio verso la guardiola. Una lampada ad olio emana un fiacco chiarore al suo interno, illuminando la schiena piegata sul tavolo di Miss Toffee, beatamente addormentata nel suo turno di guardia notturna a me.
Respirava regolarmente da un’oretta, e ciò mi fa credere che stia dormendo davvero.
Piano, mi alzo dal letto, mettendomi seduta sul profilo del materasso, in ascolto di ogni più piccolo rumore. Nessun passo risuona la di là della pesante porta dell’infermeria, e l’unico movimento della guardiola è lo sciabordare lento della lampada contro le ombre dello stanzino.
Mi alzo in piedi, aggirando il letto e portandomi davanti alla finestra.
Con occhio lesto, do un’occhiata tutt’attorno a me, controllando la sala vuota e priva di qualsiasi altro paziente. Sono l’unica persona sveglia e vigile della stanza.
Estraggo, da sotto la maglia, la forcina che ho rubato all’infermiera Sorriso di Miele, e che ho tenuta nascosta per tutto questo tempo sotto la maglia, agganciata alla cintura degli short.
L’affilo sul bordo della finestra, prima di usarla per scassinare la serratura dell’anta e aprirla. Deglutisco piano, voltandomi verso l’infermiera per accertarmi che stia ancora dormendo, ma nessun suono di passi o altro sostituisce il suo respiro lento e dormiente.
Mi arrampico sopra al balconcino, reggendomi per le ante della vetrata, mettendo il primo piede fuori sul cornicione.
Un’ondata d’aria fredda m’investe, facendomi rabbrividire e aggrapparmi con maggior forza al bordo in legno della finestra. Sbarro gli occhi sotto di me, constatando che l’infermeria è al secondo piano dell’ala medica, e che sotto di noi ci sono solo gli ambulatori.
Prendo un respiro profondo, ed esco totalmente sul cornicione, richiudendo dietro di me le imposte, posandole tra loro per dare l’impressione che siano chiuse. Con dita bianche dalla presa con cui mi stringo al bordo di pietra bianca della finestra, mi volto, dando le spalle al cortile interno dell’istituto.
Abbasso lo sguardo ai piedi tamburellanti contro il balconcino, contando piano i battiti del mio cuore per calmarmi.
So cosa devo fare.
Durante la cena, consumata nell’infermeria, ho studiato attentamente la piantina dell’edificio appesa accanto alla porta della stanza, venendo a sapere che la stanza 001, quella di Oro, si trova al 4° paino dell’istituto, nella zona medica, e che è una delle ultime stanza verso il lato destro.
Mi sono bastati pochi calcoli per capire dove si trovi, con estrema accuratezza e precisione.
-Bene…- sospiro, alzando lo sguardo verso le file di finestre che mi torreggiano -… sono solo due piani di arrampicata Nami, che vuoi che sia?-
Mi sgranchisco le dita contro il contorno della finestra, prendendo coraggio.
Scrollo le spalle, preparandomi alla scalata.
Sono certa che non sia la prima volta che scalo la facciata di un palazzo, dato che le dita non mi tremano e anzi, si sgranchiscono tra loro con fare esperto e disinvolto, lasciandomi la mente libera nel calmarmi.
Bhè, di certo una ladra come me deve aver scalato parecchi edifici per rubare chissà che, e grazie al cielo il mio corpo si ricorda i movimenti necessari per farlo, dandomi sicurezza sulle mie capacità.
Mi sgranchisco il collo, raccogliendo i capelli in uno chignon sulla nuca, che fermo con la forcina, prima di alzare le braccia verso l’alto e infossare lo sguardo concentrandomi.
-È ora…- affermo dandomi coraggio, e con una spinta mi aggrappo al bordo superiore della finestra, alzandomi sulle braccia e spostandomi verso l’alto, raggiungendo il piano sovrastante.
Infosso i piedi sul cornicione della finestra sopra a quella dell’infermeria, restando per un paio di secondi senza appoggio sulle mani, che agili si aggrappano al bordo irregolare che disegna la finestra, restandoci attaccate pochi istanti, insufficienti anche a me per capire i miei movimenti rapidi e autonomi, mentre rotolo su un lato e addosso la schiena contro la parete di mattoni che costituisce la facciata dell’istituto.
Mi appiattisco contro il muro che costeggia la vetrata, smettendo di espirare per una manciata di minuti, mentre controllo che nessuna luce o movimento provengano dall’interno della stanza che costeggio, ma il buio più assoluto la governa.
Mi sporgo con il busto a dare un’occhiata al suo interno, scivolando appena con i piedi nudi sul cornicione, ancorandomi al bordo in rilievo della finestra.
La stanza è buia, appena illuminata da qualche raggio di luna che rimbalza tra le pareti, sfiorano il contorno di alcuni letti.
Assottiglio lo sguardo, notando che i giacigli sono occupati, e che parecchie persone stanno dormendo profondamente. Le lenzuola spiegazzate e il russare lento che appena percepisco da qui fuori, mi suggeriscono che tutti stanno dormendo da ore ormai.
Studio la stanza, notando che ai piedi dei letti c’è appoggiato qualcosa: è lungo, sporge dalla tastiera del letto, a forma cilindrica, con un’impugnatura sala e triangolare, quasi dovesse modellarsi con qualcos’altro, tipo una spalla. La sua estremità finale, rivolta verso l’alto, è molto sottile, quasi fragile all’apparenza. Sembra fatta di ferro, o un altro materiale metallico, e un piccolo cerchietto nero posto proprio sul finire indica una concavità al suo interno.
Sembra, sembra…
-Oh kami!!!-
Mi appiattisco contro la parete esterna dell’edificio, sudando freddo e non riuscendo a fermare il martellare feroce del mio cuore, che cerca in tutti i modi di fuggire da lì battendo con tutta la sua forza contro le mie costole per romperle ed evadere.
Cavolo!!!
Quelli sono fucili!!! Fucili!!!
Con la pelle impiastricciata dalla paura, torno a sporgermi verso la finestra, controllando che nessuno si sia svegliato per il mio sussulto, ma tutti i presenti dormono ancora.
-Dev’essere il dormitorio degli infermieri…- rimugino tra me, analizzando la camerata stracolma di letti e divise mediche appesa ai lati dei letti.
Già, infermieri con fucili.
Marine, piuttosto, che ci tengono a bada in questa specie di prigione ospedale.
Sbuffo, e con una piccola spinta oltrepasso la finestra, arrivando sull’atro lato dell’apertura, addossandomi nel piccolo varco tra due finestre, in cui mi nascondo per pochi attimi, giusto il tempo di captare nuovi rumori nella notte, prima di oltrepassare anche la seconda vetrata e avanzare per tutto il piano, cercando di raggiungere il lato opposto a cui mi trovo, verso la fine della facciata dell’edificio.
Avanzo a scatti per parecchio tempo, ben attenta che nessun rumore o movimento mi sfugga.
Controllo con assiduità il cortile, terrorizzata all’idea che qualche possibile sentinella si accorga della mia passeggiatina notturna sul cornicione dell’istituto, puntandomi con un faro carcerario e accecandomi.
-Se sopravvivo a questo…- mi appunto nel cervello -… poso anche dire a Verde che lo amo: scalare un edificio in piena notte, camminando su un cornicione…- salto un piccolo buco sul marmo gelido del balcone di una finestra -… proprio fuori dalla camerata strapiena di marine armati, rischiando l’osso del collo e la pellaccia…- butto un occhio verso il suolo scosceso di ghiaino che intravedo appena sotto l’ombra possente delle mura di cinta, decine di metri sotto di me -… mi sembra un pegno d’amore degno di una corte estrema, sprecato per quella testaccia di verza…-
Sfinita e col fiato corto, scavalco un nido di colombi.
Umpf, se solo non ci fossero state le ronde notturne per i corridoi degli infermieri, tutta questa passeggiata al freddo me la sarei anche potuta evitare, ma ahimè, non potevo mica andarmene in giro per il manicomio come se nulla fosse, sperando di corrompere tutti gli infermieri a lasciarmi gironzolare con il mio sguardo dolce.
Forse con molti sarebbe stata efficace, ma con le donne dubito seriamente che avrei avuto così tata fortuna…
E poi non sono nemmeno certa che la cella di Oro sia del tutto indifesa: di certo Zenit deve aver messo qualcun a controllare il corridoio, se non addirittura l’intero piano, per sorvegliare i movimenti del mio capitano, e ostacolare ogni suo tentativo di fuga.
Mi fermo accanto ad una finestra con la tapparella abbassata, alzando lo sguardo al cornicione scuro che mi sovrasta da sopra il capo.
Dev’essere questa la sua stanza, ad occhio e croce.
Prendo un profondo respiro e mi sollevo sulle punte dei piedi, arrampicandomi fino ad aggrapparmi sul cornicione impolverato.
Stringo forte la presa delle dita, ma il bordo dello scalino si sgretola tra le dita, e la mano mi scivola, ritrovandomi a penzolare avanti e indietro alla finestra con la tapparella abbassata.
Con la mano aggrappata al balcone, stringo con forza la presa, tappandomi la bocca con l’altra mano, impolverata e sporca, ammutolendo ogni mio respiro e sussulto di sorpresa. Il mio corpo dondola mosso dalle leggi della fisica, mentre mi trattengo dall’urlare per la paura di trovarmi a ondeggiare nel vuoto.
Deglutisco pesantemente, fissando la finestra chiusa e provando in tutti i modi a riflettere con lucidità: ok, sono appesa per una sola mano ad un cornicione pericolante di chissà quanti secoli, impolverato e sul punto di sbriciolarsi, e sto dondolando nel vuoto.
A sentirla così pare l’inizio di una barzelletta sconcia…
-Avanti Nami…- mi sprono, alzando il braccio fino ad aggrapparmi con la mano sul balconcino.
Strizzo gli occhi e alzo tutto il mio peso fin sopra al fregio, storcendo le labbra per lo sforzo mentre riesco a sollevarmi col busto contro il cornicione.
-Urghh…- sbuffo, alzando una gamba sul balcone e tornando sopra ad esso, sedendomi a gambe di penzoloni sui 30 metri che mi separano dal ghiaino argento sotto di me.
-Promemoria per le prossime scalate: scegliere un palazzo più solido!!!!-
Mi asciugo il sudore sulla fronte, prima di rialzarmi e issarmi sopra alla finestra.
Sono quasi arrivata da Oro!!!
Non posso fallire proprio ora, schiantandomi al suolo come una frittella o facendomi beccare urlando di spavento: devo riuscirci!!!
Sbuffando per la fatica, riesco a sollevarmi al piano superiore, e infossare i piedi sul cornicione, evitando ogni altra scivolata.
Con mani tremanti, mi aggrappo alle sbarre della finestra a cui sono di fronte, reggendomi ad esse osservandole.
È la prima finestra con le sbarre che incontro stanotte, e di certo non è per evitare che gli infermieri-militari prendano troppo aria: servono per impedire la fuga a chi è rinchiuso nella stanza.
Deglutendo, prendo la forcina dallo chignon che ondeggia sulla mia nuca, liberando la marea di onde di fuoco dei miei capelli sulla schiena, mentre scardino la serratura della finestra.
Infilo le mani tra le sbarre, armeggiando sulla serratura della vetrata, finché non riesco a forzarla e ad aprirla verso l’interno.
Sorrido entusiasta, trattenendomi dal saltellare di gioia sul traballante cornicione che mi sorregge.
Infilo lesta la forcina tra i capelli, aggrappandomi con forza esuberante alle sbarre, emozionata nel poter ritrovare il mio capitano. Con occhi colmi di speranza, setaccio il buio della stanza che si apre di fronte a me, in cerca di piccoli movimenti o dettagli della presenza di qualcuno tra le 4 mura oscure, saettando con lo sguardo su ogni superficie leggermente illuminata dalla luna.
Ma nessun movimento o rumore pare vivere in questa buia cella.
Strizzo gli occhi, per analizzarla meglio, ma è troppo buia per vedere oltre a pochi metri sotto la finestra.
Sospiro: che abbia sbagliato stanza?!?
Eppure ero certa che questa…
DLINNN…
Mi pietrifico contro le sbarre, scossa da quel rumore: che è stato?
Sembrava lo strascichio di catene. Che il mio capitano sia incatenato?!?
Infosso lo sguardo, avvicinando il volto alle sbarre e infilandocelo tra esse.
Il nero più assoluto regna intorno alla flebile luce che scivola nella stanza, rischiarando appena un quadratino di pavimento.
-Ehm… c’è… c’è nessuno?- tartaglio incerta.
Niente di niente.
Nessun rumore, nessun movimento.
-EHI!!!!- mi sporgo col viso, storcendo gli occhi per vedere un qualcosa che si muove sul pavimento della stanza.
Mi apre d’intravedere un, un… un verme?!?
Salto sui miei piedi, rischiando di perdere l’equilibrio sul cornicione, ma riesco a restare in piedi rafforzando la presa sulle sbarre.
Sudando freddo, strabuzzo gli occhi vedendo trascinarsi sul pavimento della celle un enorme verme grigio, che mugugna e si agita muovendosi come un’onda. Si ferma un attimo, nel centro della stanza, rivolgendo verso di me una specie di testa ricoperta da scompigliati peli neri, e subito inizia a mugugnare agitandosi sempre di più nel trascinarsi verso di me.
Oh kami!!! Ma che razza di roba è?!?
-NNMMMMMMMMMMMMMMIIIIIIIII!!!!-
Il suo uggiolare è strozzato, ma comunque acuto, mentre si avvicina alla luce lunare e si lascia intravedere.
Non è un verme.
È un ragazzo, dai scombinati capelli neri e una strana cicatrice a semi cerchio sotto l’occhio sinistro, imbavagliato e legato su tutto il corpo da pesantissime catene argentate che gli limitano i movimenti, costringendolo a strisciare per terra per muoversi e a mettersi solo seduto al massimo. Appena mi vede i suoi grandi occhi neri brillano e inizia a battere le piante dei piedi contro di loro, sbatacchiandole in festa.
Saltella sul sedere, nemmeno fosse di gomma, mettendosi in piedi quel tanto che riesce per raggiungere la finestra e addossarsi ad essa, sporgendosi con il viso verso di me.
Lo fisso ammutolita, abbozzando un timido sorriso al suo festeggiarmi.
Scuotendo il capo, mi chiede di togliergli la benda dalla bocca, e io, senza nemmeno sapere se questo tipo è Oro o no, eseguo, liberandogli la bocca.
Pessima scelta.
-NAMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
Subito inizia ad urlare e strepitare, ridendo e gridando di gioia, con così tanta voce da assordarmi e costringermi a richiudergli la bocca con la pezzuola che prima lo zittiva.
-IDIOTA!!!!!- lo colpisco sul cranio con un pugno –VUOI FARCI SCOPRIRE?!?-
Sorridente per le percosse, il moro nega con il capo, allargando gli occhi.
-Ti tolgo la benda, ma tu non urlare… ok?Se no…- lo minaccio mostrandogli un pugno palpitante di rabbia, e lui annuisce.
Sbuffo, e gli strappo dalle ganasce la benda che gli ho praticamente conficcato in gola, lasciandolo respirare.
-Nami!!!!!- gridacchia come un bambino, trattenendosi un po’ meglio stavolta.
Sorrido.
Se sa il mio vero nome, sa chi sono, quindi lui è Oro.
-Ti ho trovato finalmente…- mi lascio scappare un sospiro -… oh Oro!!!-
Mi sporgo dalle sbarre per abbracciarlo, e lui si stira verso di me per quel piccolo contatto lieve ma essenziale per ritrovarci.
-Mi sei mancata sorellina…- strofina il capo contro il mio -… come stai? Quel pazzo ti ha fatto del male?!?-
Il suo tono di voce è duro, vendicativo verso il dottor Zenit, ma con sempre una vena d’infantile gioia.
-Sto bene capitano…- mi asciugo una lacrima di felicità -… ora che ti ho trovato anche di più…-
Chiudo gli occhi, cercando di ricompormi e mettere in ordine le idee.
-Oro…- apro di scatto gli occhi.
-Oro?!?- alza un sopracciglio lui, ridendo –Io non mi chiamo Oro…-
-Lo so…- gonfio le guance, stufa di tutti sti cavolo di soprannomi -… ma non mi ricordo ancora il tuo nome…-
-Hihihih… Ma è semplice: io mi chiamo Rufy!!!!!-
Un violento capo giro mi assale, annebbiandomi la vista e la sensibilità alle mani, che rischiano di scivolare allentando la presa sulle sbarre. Sono stordita dal suono del nome del mio captano, che vortica fragorosamente nel mio cranio, muovendosi violento attorno a mille immagini diverse: lui che mangia, ride, gioca sul ponte erboso di una nave, lotta contro mille marine e soldati… Rufy che spezza con un pugno il naso aguzzato di un enorme uomo pesce, mentre io piango…
-NAMI!!!!-
L’urlo di Rufy mi stordisce un po’, facendomi tornare lucida anche se frastornata.
-S-scusa io…- mi massaggio le tempie, cercando di fermare il traballare vibrante delle mie iridi, mordendomi un labbro per le vertigini che mi assaliscono.
-Stai bene?- mi domanda con occhi grandi Rufy, inclinando il capo sul ripiano della finestra.
Annuisco, scrollando il capo per liberarmi del torpore che mi annebbia i sensi.
-Rufy dobbiamo andarcene di qui…- mi riprendo rapida, iniziando a spiegargli tutto ciò che so dell’istituto, dalle pillole blu, allo schedario, Verde ed Ebano, della strana telefonata tra Sentomaru e il dottor Zenit e il suo progetto di cerare una pastiglia per cancellare la memoria apposta per lui e il suo Haki.
-Capisci?!?- mi agito, strattono le sbarre della sua cella –Sei l’unico di noi che ancora ha i suoi ricordi: senza di te, siamo tutti spacciati!!!!-
Rufy annuisce, digrignando i denti e sbarrando gli occhi furioso.
-Zenit la pagherà: nessuno può fare tutto questo ai miei Nakama e passarla liscia…-
Sorrido, sapendolo dalla mia parte e pronto ad una rapida fuga.
Con lui al mio fianco mi sento già più forte.
-Cosa devo fare?- gli domando, sperando che abbia un piano.
Si infila la lingua nel naso, fissandomi confuso.
-Uhm… tu che vuoi fare?!?-
Come io che voglio fare?!? Voglio andarmene da qui!!!!!
-Idiota!!! Sei tu il capitano: dimmi te che cavolo devo fare, no?!?- lo picchio sul cranio, pestando ben bene le nocche sulla sua fronte.
-Mghghgh…- mugugna indolenzito -… di solito siete tu o Robin la mente del gruppo…-
Scuoto il capo.
Se tanto mi da tanto il resto della ciurma deve essere un ammasso incomposto di idioti senza cervello!!!! Povera me: ma mi conviene davvero ricordarmi di loro?!?
-Da qui non puoi uscire, vero?- lo squadro di sottecchi, esaminando le catene che lo legano.
-No… la porta e le catene sono di algamatolite…- storce le labbra lui guardandosi le catene -… e hanno un saporaccio orribile…-
-Le hai assaggiate?!?-
-Avevo fame…- fa i lacrimoni, mentre il suo stomaco brontola con suoni gutturali e profondi, provenienti quasi da un’altra dimensione.
-Anzi, io ho ancora fame!!!!- mugugna, chiudendo gli occhi e storcendo le labbra.
-Rufy non è il momento!!!!- lo rimprovero severamente –Dobbiamo pensare a un piano…-
-Sigh… se solo Sanji fosse qui a cucinarmi uno dei suoi manicaretti…- mugugna mentre ragiono -…e Franky, che mi libererebbe subito…- la sua voce inizia ad infastidirmi -… e Chopper che saprebbe come curarci...- tutti questi nomi, così numerosi e familiari -…e Brook a suonare per divertirmi e…-
-MA SEI UN GENIO!!!!!!- esulto prendendolo per il collo e allungandolo verso di me, per potergli scoccare un bel bacio sulla fronte.
Sgrano gli occhi vedendo che la sua gola ora è lunga come quella di una giraffa, ma non più di molto, rivedendomi davanti agli occhi mille altre scene di questo tipo. Scuoto il capo, liberandomi di quelle immagini prima di perdere nuovamente l’equilibrio e i sensi.
-Ti è venuto in mente qualcosa?!?- mi domanda, ritraendo lentamente il collo.
-Si…- annuisco -… dobbiamo riunirci: solo insieme potremmo liberarci…-
-Ok…- sorride -… ma dobbiamo farlo prima che Sentomaru arrivi all’istituto... da ciò che hai detto dubita delle capacità di Zenit e credo voglia dividerci per sempre…-
Annuisco seria.
Anch’io ho pensato la stessa cosa ascoltando la conversazione tra i due quest’oggi.
-Agirò domani stesso…- prometto.
-E per la memoria?!? Come facciamo?!?- domanda stranamente intelligente per lui.
-Provvederò anch’io a quella…- affermo sicura, vedendomi davanti agli occhi le pillole viola nella cassaforte del dottore: sono certa che sono la soluzione di tutto.
Torno a fissarlo, riemergendo dai miei pensieri, ritrovandomi i suoi occhi a squadrarmi e fissarmi radiosi, mentre il suo sorriso si allarga sempre più sulle sue labbra.
-Ero certo di poter contare su di te sorellina…- ridacchia solare -… non mi tradisci mai…-
Arrossisco per tanta fiducia riposta in me, abbassando lo sguardo ai piedi ormai paonazzi per il lungo contatto con il cornicione gelido.
-È stato solo… solo perchè ho visto Verde, e qualcosa si è risvegliato in me…- alzo le palle, arrossendo ancor di più.
Se non fosse stato per lui, non sarebbe successo niente di tutto questo.
Avrei creduto veramente nella storia pazzesca del dottor Zenit, non ritrovandomi nel cuore della notte su un cornicione a parlare con un pirata.
-Verde?!?- sghignazza Rufy –Vuoi dire il nostro caro spadaccino dal cranio verde?!?-
Annuisco semplicemente.
-Hihihihi… sapevo che l’affetto che provate tra di voi non poteva cancellarsi per una stupida caramellina: l’amore vive anche senza ricordi…-
Alzo gli occhi su di lui, fissandolo esterrefatta.
-Vuoi dire… vuoi dire che nella vita vera io e Verde siamo… siamo una coppia?!?- gli chiedo speranzosa.
-Se intendi che dormite assieme e vi sbaciucchiate: no…- sospiro abbattuta: era troppo bello per essere vero!!!!
Dovevo saperlo che il mio era un amore segreto e remissivo!!!
-… ma se intendi che vi proteggete a vicenda …- continua con sorriso sulle labbra -… condividendo le sconfitte come le vittorie, sorreggendovi e amandovi anche solo con lo sguardo, allora si…-
Sorrido, arrossendo ancor di più.
-Grazie Rufy…- sorrido piegando il capo.
Le prime luci dell’alba iniziano a prendere posto nel cielo, albeggiando su tutto l’istituto e facendo retrocedere spaventate le ombre della notte. Volgo lo sguardo alle mie spalle, fissando il cielo buio e viola illuminarsi pian piano di tonalità rosee e chiare: devo andare.
-Vado…- annuisco, pronta a scendere rapida il cornicione -… vedrai: ti libererò… quest’incubo finirà presto…-
Rufy annuisce, sorridendomi fiducioso.
Mi aggrappo alle sbarre e inizio la discesa dei piani, ma la sua voce mi richiama.
-Nami?!?-
-Si?-
Mi affaccia alla finestra, guardandomi dall’alto, mentre sono leggermente discesa sul cornicione della finestra sottostante alla sua.
-Di a Robin…- mi fissa serio rivolgendosi alla mia amica -… che presto sarò di nuovo con lei, che presto torneremo a dormire assieme e a stare uniti…- prende un respiro profondo chiudendo gli occhi, mentre i miei occhi si dilatano alle sue parole.
-Di alla mia Regina che nessun pazzo ci terrà ancora divisi e che nessuna stupida pasticca riuscirà mai a farmi dimenticare quanto la amo…-
Sorrido dolcemente, annuendo e promettendogli di riferire tutto ciò alla bella mora dagli occhi celesti come il cielo.
Saltando da balcone a balcone, torno finalmente nel letto dell’infermeria sana e salva, senza che nessuno si sia accorto dei miei movimenti, compresa Miss Toffee, che sta ancora ronfando alla grande sulla scrivania della guardiola.
Mi stendo sfinita sul letto bianco e immacolato, sorridendo mentre fisso il sole emergere brillante e dorato oltre le tenebre della notte, conquistando il suo ruolo di re nel cielo.
Si, sorrido addormentandomi piano nel letto, oltre il buio della notte c’è sempre un sole d’oro…
 
 



ANGOLO DELL’AUTORE:
ZOMI:Ehm, chiedere scusa per il ritardo di pubblicazione del capitolo, servirebbe a calmarvi?
LETTORI:No…
ZOMI:E promettere che posterò presto il prossimo capitolo…?!?
LETTORI:No…
ZOMI:E aggiungere che è sola colpa delle feste?!? Sapete, tra cenoni e robe varie…
LETTORI:Non ti crediamo…
ZOMI:Uff… almeno potete far calare la corda, a cui mi avete legata e appesa, più lentamente sopra a questa tinozza piena di squali e piranha?!?
LETTORI:Ehm… no… e ora zitta che non si parla mentre si mangia…
ZOMI:MA IO STO PER ESSERE MANGIATA, E NON PER MANGIARE!!!!???!!!
LETTORI:E allora da il buon esempio ai pesciolini…
ZOMI: Sigh… ci vediamo al prossimo capitolo, lettori assenti alla tortura vendicativa degli altri lettori… ciao… ahia… un pesce mi ha morso!!!!
LETTORI: Si, e dice che manchi di sale…

Zomi

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Capitolo 9
*** Touch ***


 Touch

 

Mi stiracchio nel candido letto dell’infermeria, aprendo pigramente gli occhi contro la radiosa luce del giorno che penetra nella camerata.
Mi stringo nelle spalle, mentre metto ben a fuoco ciò che mi circonda, accecata dalla folgorante luce del giorno, che mi annebbia la vista.
Le splendenti finestre brillano per i raggi del sole, annunciando una radiosa giornata di luce e caldo, che filtra di già attraverso i vetri scaldando la stanza.
Smuovo le gambe sotto la fine coperta del letto, intiepidite da alcuni raggi di sole che si riflettono sulle lenzuola candide, sbattendo le palpebre ritrovando lucidità, mentre un ampio sorriso mi si allarga sulle labbra. Mi metto a sedere con velocità, facendo cigolare acutamente le molle del materasso, fissando il sole dalla finestra che ho dietro le spalle.
Sorridendo a più non posso, stringo forte i pugni nelle mani, mordendomi un labbro euforica: è oggi.
Oggi è il gran giorno.
Sorrido sgranando gli occhi, mentre mi sistemo i capelli e scalcio le coperte con due poderosi colpi, liberandomi dall’intoppo delle lenzuola e gettando le gambe oltre il bordo del materasso, stiracchiandole per liberarle dall’intorpidimento del sonno.
È oggi.
È oggi.
Oggi, io e i miei compagni, evaderemo, tornando ad essere liberi.
Mi massaggio la schiena, indolenzita dalla mia passeggiatina notturna sulla facciata dell’istituto, mentre noto, con la coda dell’occhio, l’arrivo della mia adorata infermiera personale.
Alzo gli occhi al cielo, pronta a sorbirmi i suoi mielosi sorrisi ancora per un giorno.
Trotterellando nell’esile figura, scaltra e sorridente, Miss Toffee si avvicina a me trasportando un vassoio, con sopra la mia colazione.
-Ben svegliata, cara Arancione…- sorride, porgendomi una tazza di caffé.
Le sorrido piccata, accettando la tazza fumate di caffeina liquida, ma posandola sul letto, non fidandomi del contenuto scuro.
-Hai dormito bene, cara?- si volta ad afferrare il piccolo recipiente dei medicinali, porgendomelo poi con la solita pastiglietta azzurrognola sul fondo.
La fisso, ricordandomi di dover escogitare un piano decente per potermi impossessare delle pillole viola della cassaforte nello studio del Dottor Zenit.
Un piano decente.
Fosse facile…
-Mmhhh…- mugugno una risposta vaga all’infermiera, prendendo in mano la pastiglia e, approfittando del suo voltarsi verso il vassoio dandomi le spalle, la getto sotto il letto, battendomi poi forte il petto con un pugno strizzando gli occhi, fingendo di ingoiare un’amara medicina.
Miss Sorriso al Miele torna a sorridermi in faccia, ridendo a fior di labbra per la mia smorfia di disgusto per la medicina.
-Oggi è una bellissima giornata di sole…- tenta di sostenere una conversazione, a cui rispondo con un sorriso striminzito, stroncandola sul nascere. Con mano leggera, mi porge una brioche, ma la rifiuto, saltando giù dal letto con un saltello.
-Non ho molta fame…- affermo sicura, infilando velocemente le basse scarpe nascoste sotto al letto, e avviandomi verso la porta dell’infermeria.
Non ho tempo per certe cerimoniosi andirivieni da infermiera del mondo dei canditi.
Ho cose ben più importanti da sbrigare, che star qui a far salotto con una zolletta di zucchero imbevuta nel miele!!!!
Devo salvare i miei compagni!!!!
La supero con una lunga falcata, portandomi quasi ai piedi del mio letto, pronta a tutto per compiere il mio piano e raggiungere presto Rufy e il resto della ciurma, liberandoli da questo manicomio di prigione.
Devo riuscire nel mio intento ad ogni costo.
Ho già perso fin tropo tempo qui dentro, e non ne ho molto a mio disposizione. Se è vero che Sentomaru sta arrivando, abbiamo le ore contate, e, ahimè, sono poche, molto poche.
Muovo un passo, provando ad allontanarmi da lei, ma un peso improvviso dietro le spalle mi frena sul posto.
-Oh mia cara…- mi afferra per un lembo della manica l’infermiera, stringendomi il polso e trattenendomi con una forza incredibile per il suo gracile e striminzito corpicino.
Mi blocco a pochi passi dal corridoio dell’infermeria, strattonata dalla sua possente presa, frenando ogni muscolo, che s’irrigidisce come ghiacciato sentendo le sue piccole unghie, affilate e taglienti, conficcarsi letali nella pelle al di sotto della maglia, tagliandomi leggermente il polso.
Digrigno i denti, rimproverandomi per la mia impazienza.
Maledizione, non posso permettermi certi passi falsi così stupidi.
Accidenti, Nami, sta attenta!!!!
Ricorda: questo non è un ospedale, gli inservienti non sono gentili infermieri disponibili e servizievoli, e le medicine non curano.
L’istituto Manari è una prigione della Marina, ricordatelo!!!!
Gli infermieri sono soldati armati e pericolosi e i farmaci, qui, ammazzano le persone da dentro, facendole marcire come fiori, rubando i loro ricordi, il loro passato, la loro vita.
Deglutendo lentamente, cerco di rilassare i muscoli e rallentare il battito cardiaco impazzito per l’adrenalina, scalpitante nelle mie vene. Chiudo gli occhi, bloccando ogni pensiero. Se voglio salvare la mia famiglia devo reggere il gioco della brava pazza almeno per altre poche ore, calmandomi e tenendo a freno la mia testarda voglia di fuggire.
Prendo un respiro profondo.
-Si Miss?- mi volto a sorriderle, ipocrita, spostandomi una ciocca di capelli dal viso con la mano libera, esibendo tutta la tranquillità che riesco a raccattare dai miei nervi sull’orlo di un collasso, per la tensione del momento e per le poche ore di sonno.
Lei sorride amorevole, non lasciando la presa sul mio polso, ma allentando la forza con cui mi trattiene. Le sue piccole unghie si ritraggono leggermente dalla mia pelle, lasciando che piccole gocce cremisi scivolino dal dorso del polso, colandomi contro le maniche bianche della maglia, impasticciandole di dense e calde lacrime rosse.
Trattengo le smorfie di fastidio, mantenendo il sorriso sulle labbra
Lei mi sorride statica, fissandomi con i suoi occhietti piccoli e neri.
Le sue iridi mi filtrano l’anima, cercando un cedimento del mio recitare, una scalfittura della mia maschera, un cedimento nervoso della mia psiche. Le unghie d’argento ascoltano il pulsante battito del mio cuore, interrogandolo su una verità che trattengo in fondo allo stomaco, mentre freno il martellare incessante nel petto.
Cerca, cerca, cerca uno spiraglio di paura, un tentennamento che non deve esserci, un ricordo riemerso dalla spuma di mare nero in cui è segregato, che tenta di tornare difficilmente a galla.
Cerca, ma non trova niente, e con un largo sorriso mi accarezza il braccio, liberandomi dalla sua presa.
-Dove stai andando mia cara? Non hai mangiato nulla…- cinguetta materna.
-Ho bisogno del bagno…- sospiro sommessamente per lo scampato pericolo -... e poi non ho molta fame… sarà per via del mal di testa di ieri…-
-Oh, piccola cara… ti tormenta ancora quel dolore?- allarga gli occhi, sbattendo le palpebre.
-No, mi è passato… le sue cure, Miss, sono state eccezionali…-
Arrossisce, annuendo e permettendomi di avviarmi verso il bagno, sul lato opposto alla guardiola notturna dell’infermeria, dove mi catapulto velocemente, chiudendomi alle spalle la spessa porta di legno.
Mi addosso con la schiena alla porta, respirando affannosamente.
Piccole gocce di sudore freddo mi imperlano le tempie, raggelandomi la pelle del viso.
Appoggio una mano allo sterno, ascoltandone i battiti sommessi prendere velocità, martellando all’impazzata contro le costole, pompando denso e caldo sangue in tutto il mio corpo, che vibra elettrico scottandomi su ogni centimetro di pelle.
-Cavolo…- sussurro appena, respirando a singhiozzo -… me la sono vista brutta…-
Ho rischiato di mandare all’aria tutto quanto, per la mia stupida impazienza.
Mi mordo un labbro, stringendo i pugni nei palmi delle mani fino a segnarmeli con le unghie, conficcandomele con forza nella carne.
Attenta, Nami, devi stare attenta!!!!
Raggiungo il piccolo lavandino scheggiato della toilette, aprendo il rubinetto e facendo scorrere l’acqua nel lavabo, concentrandomi sul rumore, costante e duro, dell’acqua che rimbalza contro la parete laccata.
Chiudo gli occhi, liberando la mente dal panico e riacquistando lucidità, riuscendo finalmente a riflettere con un minimo di ragione.
Ora, la prima cosa che devo fare, è riuscire a raggiungere la sala comune e avvertire Verde e Ebano del piano, assicurandomi che si preparino alla fuga. Dovrò rimanere impassibile finché non li raggiungerò, non lasciando trapelare nessuna mia emozione o pensiero, che Miss Toffee possa anche solo immaginare di intravedere sul mio viso.
Devo stare calma, frenando il desiderio di tornare me stessa e di riunirmi ai miei compagni, riuscendo a recuperare ogni dettaglio della mia vita e di ciò che so di Verde.
Sorriso, a quest’ultimo pensiero.
Verde.
Tra poco ricorderò ogni cosa di lui, di noi, e l’assillante vuoto che mi attanaglia lo stomaco scomparirà, tornando a riempirsi di quei giorni rubatemi con tanta violenza.
Riapro gli occhi, un po’ più tranquilla, puntandoli sull’immagine riflessa dello specchio che ho di fronte.
La bella ragazza ramata che mi fissa ha due lievi occhiaie viola sotto i grandi e profondi occhi nocciola, quasi invisibili per un occhio superficiale, ma notabili dallo sguardo interrogatorio e preciso di un medico. La pelle chiara del viso è leggermente opaca per il sudore ormai secco sulle sue tempie, mentre i dolci ricci di fuoco che le accerchiano il volto, sono scompigliati e ribelli, sparsi in ogni dove sulle sue spalle.
-Kami, Nami: sei un disastro…- sbuffo, bagnandomi il viso con l’acqua fredda del rubinetto, sistemando quel cataclisma di viso che mi ritrovo.
Il getto fresco sul viso mi rinfresca, permettendomi di raffreddare le paure e tornare totalmente lucida, riuscendo a rilassare i miei nervi tesi.
Torno a fissarmi, notando un deciso miglioramento.
Mi tiro una linguaccia, e poi esco dal bagno, avventurandomi nuovamente nell’infermeria con maggior serenità.
-Tutto bene, mia cara?- uggiola servizievole Miss, tampinandomi a pochi centimetri fuori dalla porta della toilette, ritrovandomela praticamente addosso.
-Tutto ok, si…- annuisco, trattenendo una vena pulsante di fastidio sulle tempie.
Ma questa non ha altro da fare che seguirmi e starmi attaccata alla schiena come una sanguisuga?!?
-Perfetto… allora posso anche accompagnarti nella sala comune… che dici? Te la senti? O preferisci restare qui a riposare?-
Scuoto il capo, oscillando i ricci ramati.
-Mi sento bene…- sorrido -… posso anche trascorrere la giornata nella sala comune…-
Il suo affilato sorriso annuisce convinto, mentre congiunge le mani sul grembo e avanza verso la porta dell’infermeria, invitandomi a seguirla con un leggero cenno del capo.
A grandi falcate la seguo nel corridoio al di fuori dell’astanteria, marciando svelta sulle mattonelle chiare che piastrellano la zona medica dell’istituto. Le sono dietro di pochi passi, a me necessari per studiare bene la situazione nell’ala.
Come il giorno precedente, nessun infermiere o medico scorrazza negli ambulatori, che silenti e vuoti dormono cullati dal calore della giornata. Allungo il collo verso lo studio del dottor Zenit, quando vi passiamo davanti rapide e con passo costante, notando un leggero bagliore provenire dalla vetrata ruvida della porta.
Corrugo la fronte.
Non ci voleva: il dottore è nel suo studio, il che renderà difficile appropriarmi delle pastigliette lilla.
Mi mordo un labbro, oltrepassando la pesate porta della zona medica, sorda al cigolare secco e ferruginoso dei suoi cardini, mentre viene chiusa dietro le mie spalle, presa dall’escogitare un modo per entrare nello studio medico senza troppi problemi.
Potrei usare ancora una volta la scusa del mal di testa, avventurandomi nello studio come ieri e agire indisturbata, ma se Zenit vi è dentro è un piano impossibile.
Ma d’altra parte non ho altre possibilità, ne modi per allontanarmi da questa caramellino con le gambe formato marine-infermiera, e recuperare la medicina.
Non posso aspettare la notte per agire, il tempo mi è nemico, e non posso nemmeno fingere un malore, altrimenti mi porterebbero in infermeria e mi terrebbero sott’occhio con estrema attenzione, impedendomi ogni movimento.
Devo rischiare e provare nuovamente la carta “Dolore da Mocciosa”.
Ufff… se Verde lo verrà mai a sapere, mi prenderà per i fondelli fino alla fine del mondo!!!!
-Ecco mia cara…- mi apre con eleganza il portone sbarrato della sala comune Miss Toffee, invitandomi con una mano aperta ad introdurmi in essa.
Annuisco, come un automa, smettendo di mordicchiarmi il labbro e sorridendole cordiale. Accantono per un attimo il problema “Pillole Lilla”, concentrandomi su un’altra parte del piano: riunire la ciurma.
Indirizzo i miei sensi nel rintracciare, nella caotica marmaglia di persone che affollano la sala, i miei due compagni ritrovati, ricordandomi di dover anche riferire ad Ebano il messaggio di Rufy.
Muovo un passo sui brevi scalini della porta, assottigliando lo sguardo nella ricerca del capo corvino della mia compagna, a cui affiderò il compito più importante, e che lei di certo compierà a dovere, mentre io mi occuperò del recupero dei nostri ricordi.
Poso appena la pianta del piede sulla pavimentazione chiara della sala, quando la sottile e tagliente voce dell’infermiera mi richiama a lei, rievocando sulla mia pelle la scia di panico che mi aveva assalito nell’infermeria.
-Spero tu non abbia avuto troppo freddo stanotte…-
Il respiro si mozza in gola, tappandomi il fiato nei polmoni, mentre, sgranando gli occhi fino a renderli chiari come la luna, mi volto verso di lei, fissandola sorridere sornione dall’altro lato del portone di spranghe.
I suoi occhietti scuri assottigliati sulla mia espressione.
Una scossa mi trapassa il costato, aiutando le mie interiora a rovesciarsi insieme ai succhi gastrici, che bolliscono in un panico fermento, facendomi rabbrividire.
Lo sa.
Sa tutto.
Sa che mi sono avventurata fino al 4° piano, sino alla stanza 001, arrampicandomi sul cornicione dell’edificio, scivolando e sopportando il freddo della notte e del duro marmo del fregio. Sa che le sto mentendo.
Una piccola goccia di sudore mi scivola dalla nuca per tutta la lunghezza della schiena, solcando la spina dorsale e lacerandomi la pelle, intirizzita dal panico.
Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa.
“Rispondi…” mi ordino dentro di me “… rispondi per la miseria!!! Muovi quelle fottute labbra e di qualcosa, qualsiasi cosa!!!! Cavolo, Nami: non puoi mandare a monte tutto così!!!! Muoviti!!!! Fai la cosa che ti riesce meglio: MENTI”
Deglutisco, sbattendo le palpebre un paio di volte.
-No…- affermo sicura, ritrovando un sorriso falso e sereno, da stamparmi in volto.
-Non ho avuto freddo in infermeria, stanotte… Perché me lo chiede Miss?-
-Oh cara…- torna a parlare con la sua voce squillante e mielosa -… sai l’infermeria è così fredda la sera… ogni volta che faccio il turno di guardia, il girono seguente, ho un gran male la schiena a causa degli spifferi della camerata…- si sorregge i reni, sorridendomi a occhi socchiusi.
-… avevo timore che ti fossi raffreddata… c’erano certi spifferi stanotte…- sussurra, soave e leggera, quasi silenziosa nella cagnara degli ospiti, ma tagliente come lame nel mio stomaco.
La fisso muta, percependo un acume mai notato prima nella sua voce, e uno sguardo indagatore e mal fidente.
Le sorrido piccata, voltandomi lentamente verso l’interno sala.
I pochi passi che compio sono lenti e pesanti, gravati dal solenne sguardo di sospetto dell’infermiera, che mi segue tra il caos della sala, finché non riesco ad inabissarmi tra la folla e a scomparire tra le camicie bianche degli assistiti.
M’immergo tra le persone, avanzando con le ginocchia piegate e controllando con attenzione che gli occhi di Miss Toffee si perdano tra il marasma, non cercando più la mia lunga chioma rossa.
I suoi occhietti setacciano la sala in lungo e largo, sottolineati da un sorrisetto beffardo e vittorioso.
Avanzo ancora, maledicendola.
Dannata hannya!!!!
Mi fermo, quasi vicina ai tavoli che arredano il fondo della sala, alzando gli occhi sopra le teste more dei presenti, fissando studiosa il portone ferroso: è chiuso, e più nessun camice bianco e immacolato vi è addossato a setacciare la sala.
Tiro l’ennesimo sospiro di sollievo, passandomi una mano tra i capelli.
Chiudo gli occhi, il tempo necessario per riordinare le idee e scacciare l’ansia del momento, dimenticandomi velocemente dell’accaduto per poter agire in fretta e con lucidità nel mio piano, costringendomi a muovermi più in fretta di quanto avessi creduto.
Ho poco tempo, sento che l’infermiera ha capito che sto recuperando la memoria.
Forse ha notato che ho parlato solo con Ebano e Verde, da quando sono qui, o ha scoperto il mio finto mal di testa o la mia fuga notturna dall’infermeria, oppure ha un fottutissimo sesto senso da marine addestrata.
Agile, scatto verso i tavoli riuniti accanto alle finestre, cercandovi Ebano.
Sono certa che sia qui, a leggere sicuramente, con quel suo sguardo chiaro e sereno, azzurro come il cielo di oggi. Ispeziono i primi tavoli con occhiate veloci, cercandovi il capo chino e corvino della mia amica, trovandolo sul fondo del terzo tavolo.
È immersa nella lettura di un voluminoso tomo antico e polveroso, da cui non alza gli occhi, presa com’è dalla lettura, non sbattendo nemmeno le palpebre per non smarrire nessun dettaglio del racconto.
Piano, mi avvicino a lei, sedendomi sulla sua stessa panca, ma mantenendo una trentina di centimetri di distanza tra noi, rivolgendo attenta gli occhi sul portone della sala, pronta a scattare e andarmene, allontanandomi da lei, se Miss Toffee tornasse a cercarmi.
-Buongiorno Arancione…- sussurra soave Ebano, voltando una pagina del libro, da cui non ha alzato lo sguardo.
-Robin ho poco tempo…- affermo seria, non voltandomi a guardarla, mantenendo lo sguardo sulle inferiate scure della porta e chiamandola con il suo vero nome, come è giusto che sia.
Lei alza gli occhi cerulei di fronte a se, imitandomi nel mio osservare ostinato l’uscio di metallo, messa sull’attenti dal mio tono grave e deciso. Lo fissa per pochi secondi, per poi abbassare nuovamente il capo tra le pagine.
-Che succede?- mormora a fior di labbra, con una voce così leggera e soave che difficilmente riesco ad ascoltare tra le chiacchiere assordanti che ci circondano.
Deglutisco, stringendo i pugni nelle mani che ho raccolto in grembo.
Ho così tante cose da dirle ma così poco tempo.
Infosso gli occhi, corrugando la fronte.
-Oggi evadiamo…- affermo decisa, abbassando il capo sulle venature del tavolo a cui siedo.
La sento tremare sulla panca, abbandonando il libro sul ripiano, appoggiandolo con cura, ma con un leggero tremore alla mano che tradisce la sua sorpresa.
-Ho trovato Rufy…- continuo, non lasciandole il tempo di pormi domande.
Al solo suono del nome del nostro pazzo capitano, s’irrigidisce in tutto il corpo, alzando di scatto il viso di fronte a se, non a fissare il portone, ma perdendo lo sguardo tra la folla di degenti.
I suoi occhi azzurri si annebbiamo, perdendosi in un mare di ricordi che improvvisamente l’assale, tentando di annegarla con le sue onde di emozioni, stravolgenti e inaspettate.
Annaspa, respirando con bocca spalancata e occhi sbarrati, come se stesse cercando disperatamente un soffio di fiato mentre annega, stirando verso il cielo le corde della gola, invocando in una muta preghiera quel nome sconosciuto, ma ardentemente bramato dal suo cuore.
-… Rufy…- ansima, aggrappandosi con le unghie al bordo del tavolo, stringendosi ad esso come unica ancora di salvezza dal caos che le vortica nella testa.
Mi mordo un labbro, sperando di non aver commesso un errore, e in barba alla guardia di Miss Toffee, mi avvicino a lei, scivolando sull’asse della panca, e sorreggendole le spalle con le mani, aiutandola a rilassare i muscoli contratti del corpo.
Le massaggio piano le scapole, abbassando il viso sul suo collo ansimante, gettando solo una rapida occhiata alla porta blindata, deserta di ogni tipo d’ombra su di lei.
-Robin… Robin… ti prego…- la stringo forte, posandole una mano sul viso per voltarlo verso di me -… ti prego, cerca di restare lucida…-
I suoi chiari occhi spalancati su di me sono lucidi di lacrime, le sue sottili labbra spalancate in un ansimare continuo, mentre le mani, ora agganchiate ai miei fianchi, mi stringono con forza, aggrappandosi a me con un’energica voglia di risposte.
-Rufy…- deglutisce, cercando di regolarizzare i respiri a singhiozzo che le vibrano nel petto, razionalizzando la confusione che le devasta la mente -… chi è Rufy? Chi è?-
È quasi un urlo il suo, una pretesa forte e decisa, espressa con voce tremante di emozione e a corto di fiato.
-È il nostro capitano…- le accarezzo l’ovale del viso, posandole una mano sulla guancia destra e l’altra sulla spalla opposta -… è il tuo uomo…-
Una lacrima le scivola dagli occhi, intrecciandosi tra le mie dita posate sulla sua candida pelle fremente, bagnandomi la carnagione chiara di piccole gocce salate, scivolando sul dorso della mano.
-Rufy…- sussurra, muovendo piano le labbra, quasi che a pronunciare quel nome tante volte lo si possa sciupare e rovinare -… è così importante per me… è come la scintilla della mia esistenza, la mia ragione di vita… però…- un’altra lacrima, più tagliente e feroce della precedente, che le graffia il viso, morendo sulle sue labbra, che s’increspano di dolore -… non ricordo niente di lui…-
Si preme le mani sulle tempie, abbassando il capo e infossandolo contro la mia spalla, soffocandosi con le parole e i respiri strozzati.
-… non ricordo… non ricordo… non ricordo niente di lui…- singhiozza, stringendosi a me per i fianchi -… eppure è così importante… come? Come ho fatto a dimenticarmi di lui? Come? Nami… oh Nami… io… io… io lo amo… ma… ma… ma non so che faccia abbia, ne come sia… oh Kami… Rufy, Rufy, Rufy… il mio Rufy…-
La stringo a me, abbracciandola per le spalle e infossando il viso tra i cuoi capelli corvini, allacciando i nostri corpi, i nostri respiri, i nostri cuori palpitanti.
Siamo così diverse, così incompatibili, eppure uguali: entrambe così pazze dell’uomo che amiamo, che ci basta il loro nome, il loro sguardo, per piangere per il nostro amore, dimenticato, cancellato, rubato,
-Non piangere… non piangere… Robin, non piangere…- la prego, cercando di consolarla -…  l’ho trovato: ho trovato Rufy… e ora ti porterò da lui…-
L’alzo da me, asciugandole gli occhi con le mani e sorridendole con il cuore, accostando le nostre fronti tra loro, sussurrandole sulle labbra.
-Stiamo per andarcene da qui Robin: stiamo per evadere…-
Annuisce, stringendomi le mani con le sue, calde e forti, fissandomi negli occhi con decisione. Respira profondamente, deglutendo tutto la rabbia per la sua memoria saccheggiata dei suoi ricordi più cari e preziosi.
-Cosa vuoi che faccia?-
Sorrido, ritrovando la Robin decisa e flemmatica che ho imparato a riconoscere.
-Devo introdurmi nello studio di Zenit di nuovo, per prendere una cosa… lo farò ora, quando siamo ancora qui in sala, tutti noi...- mi guardo attorno, cercando alcuni nostri compagni -…quando l’avrò presa, tornerò in sala… tu intanto devi radunare tutti i nostri compagni, prepararli alla fuga…-
Annuisce.
-Chi sono?- alza lo sguardo zaffiro su alcuni degenti attorno a noi, pronta ad avvicinarsi a loro per salvarli, per riportarli alla vita vera.
In breve glieli indico con leggeri movimenti del capo, assicurandomi che lei li veda tutti e che ricordi i loro volti e nomi.
-Quando tornerò …- continuo a spiegarle il piano -… dovremo uscire tutti insieme dalla sala e raggiungere Rufy nella stanza 001… lo liberemo e poi, tutti insieme, ce ne andremo da qui…-
Mi fissa, con quei suoi due grandi occhi color del mare calmo.
Non serve che le dica che dovremo combattere, che gli infermieri tenteranno in ogni modo di fermarci e ostacolarci, che il mio piano non è affatto perfetto, anzi, e che rischieremo tutto ciò che ci resta, la nostra vita, per tornare liberi e insieme.
Mi fisa, con gli occhi azzurri e fermi su di me, leggendomi nello sguardo le preoccupazioni più profonde e radicate, così infossate in me da sfiorarmi l’anima e farla vacillare.
-Sicura di farcela?- mi accarezza il viso.
-Si… l’ho promesso a Rufy…-
Sorride, accarezzandomi ancora il viso, mentre si alza dalla panca e s’incammina verso uno dei nostri compagni addossato alla parete di fondo della sala, intento a fissarsi le enormi mani, contandone i calli.
È Azzurro, un omone grande e grosso dal ciuffo afflosciato turchino, e i cui occhi scuri sembrano implorare una copertura povera di luce, come degli occhiali da sole.
Sospiro, fissando le mie di mani, esperte nel rubare, nel muoversi agili, ma capaci di difendere la vita altrui e di mantener fede alla parola data?
-Nami…- mi richiama Robin, a pochi passi da me.
Si volta a fissarmi, sorridendomi celestiale.
-Grazie…-
Aggrotto le sopracciglia non capendo.
-… hai mantenuto la promessa…- sussurra a fior di labbra.
Vorrei dirle che è ancora troppo presto per ringraziarmi, che è siamo ancora qui per ora, e che la mia idea fa acqua da tutte le parti, che è un piano suicida, che il tempo e i numeri non sono dalla nostra parte. Ma non ci riesco, e posso sole che sorriderle, mentendo anche a lei, a lei che è come una sorella per me.
-Va Robin… ricomponi la nostra famiglia…- affermo, alzandomi dalla panca e avviandomi sul lato opposto della sala, quella dove c’è la porta di ferro.
Respiro appena, camminando lenta, fissando dritta davanti a me la pesante porta di sbarre che mi divide dal riabbracciare la mia famiglia al gran completo.
Mi tremano le gambe.
Se fallirò, condannerò tutta la mia famiglia, le persone più care che ho al mondo, a vivere per l’eternità qui nell’istituto, credendo di essere dei pazzi schizzo frenici senza famiglia e amici, persi nel buio del loro passato e ciechi di un futuro incerto nella sua stessa esistenza.
Se non riesco a procurarmi le pillole lilla, se vengo catturata, se mi cancellano nuovamente la memoria, non ci sarà alcun domani per nessuno di loro.
Robin piangerà ogni notte per il vuoto incolmabile che affolla il suo cuore, privo dei giorni vissuti con Rufy, il mio capitano sarà costretto a invocarla nella notte più nera, incapace di riabbracciarla e di vederla con i suoi occhi, i miei amici intrappolati da chi credono posso guarirli, prigionieri di bugie e sotterfugi.
Io non potrò mai dire a Verde che lo amo.
Mi blocco nel centro sala, con occhi sbarrati sulla porta blindata.
Verde.
Il mio Verde.
Non posso, non posso, non posso permetterlo.
Non posso fallire.
Per lui in primis, per me, per noi.
Sono tropo egoista, avara della sua visione, del suo profumo, del suo ghigno per rinunciarci, e dannatamente innamorata per accontentarmi di queste poche cose di lui e fermarmi qui, compiacendomi di sfiorarlo appena invece che viverlo appieno come bramo dal primo sguardo che ci siamo scambiati.
Riprendo a camminare, più decisa ora, convinta e testarda, pronta a tutto per impossessarmi di quelle maledette pasticche.
Non m’importa se Zenit sarà presente nello studio: lo sistemerò con le mie stesse mani, vendicandomi di ciò che ha fatto a me e alla mia famiglia, facendogli rimpiangere di aver colpito Verde durante la nostra prima battaglia.
Pregherà la sua divinità più testarda e potente di poter dimenticarsi di me, della mia furia, ma niente lo salverà.
Sento il fuoco bruciarmi dentro, avvampare nelle vene, scaldandomi di coraggio e sicurezza.
Pochi passi mi separano dagli scalini dell’androne, e mi preparo sbattendo le palpebre per irritarmi gli occhi e inumidirli, pronta a sfoggiare la mia miglior interpretazione da mocciosa sofferente.
Rifodero il mio ghigno malandrino, increspando le labbra in una smorfia sofferente, alzando una mano a sfregarmi un occhio arrossandomelo di lacrime di coccodrillo, posando il primo passo sulla breve scalinata.
Alzo il braccio per agguantare una sbarra, pronta a addossarmi ad essa come il giorno prima, e…
-Ferma…-
Un ringhio baritonale e profondo mi assorda vicinissimo al padiglione auricolare, bloccando ogni mio muscolo, ordinandomi di smettere perfino di respirare.
Mi blocco con il braccio teso verso la blindata, mentre due possenti mani bronzee e muscolose mi afferrano per i fianchi, trascinandomi lontano, retrocedendo a gran passo tra la folla della sala.
Provo a dimenarmi, strattonando con le spalle e impuntandomi con i piedi a terra, graffiando la presa che mi sta conducendo a forza nel centro del marasma generale, allontanandomi sempre più dalla mia missione di salvataggio.
Ormai non riesco più a distinguere il profilo della porta sprangata, da quante figure e movimenti ammassano la mia vista, ostacolandola.
-Lasciami!!!!- m’impongo, scalciando.
-Zitta mocciosa!!!!- mi zittisce severo.
Ringhio, voltandomi alle mie spalle e fulminando Verde, che con la sua presa micidiale mi allontana sempre più dall’uscita.
-Lasciami buzzurro!!!! Ho da fare!!!!- ringhio, opponendomi al suo trascinarmi, ma con forza lui mi stringe maggiormente per i fianchi, alzandomi da terra quel tanto che basta da non poterla più sfiorare con i piedi, costringendomi alla resa, concedendogli il controllo della situazione.
Solo per ora però…
Cammina sicuro e deciso fino alla sua solita finestra, su cui mi fa sedere sgraziatamente e con rabbia, mollandomi con un tonfo contro il balconcino.
-AHIA!!!! Brutto idiota!!!!!- lo rimprovero, alzando lo sguardo sul suo e fulminandolo rabbiosa, mentre mi massaggio il sedere, lesa più dal suo comportamento che dal colpo.
Che cavolo vuole?!? Non posso perdere tempo con le sue cavolate: devo salvarlo!!!!
-Verde, non ho tempo ora… devo…-
-Lo so che devi fare…- ringhia adirato, ammutolendomi con quanta furia mi parla.
La sua voce profonda e roca è acida, tagliente, mortale.
Deglutisco, mantenendo lo sguardo sul suo, sebbene con un po’ di dispiacere.
È arrabbiato con me.
Lo guardo negli occhi, così neri e stupendi, che mi fissano con rancore e ira.
La sua unica iride sana mi maledice in silenzio, puntandosi su di me e accompagnando il roco ringhiare delle labbra, che a stento riescono a coprire i denti digrignati e scricchiolanti tra loro.
-Verde io…- provo a parlargli, ma lui mi blocca subito, avvicinandosi a me, facendomi divarica le gambe e mettendosi tra esse, annullando quanto può le distanze tra i nostri corpi, i nostri petti, i nostri respiri.
Latra imbestialito, prendendomi per le spalle, strofinando rudemente la catena delle sue manette contro l’inizio dei miei seni, accostando le nostre fronti e mischiando i nostri profumi.
-So che devi fare…- ripete baritonale, stridendo i denti con rabbia.
-Come?- aggrotto le sopracciglia. Sa leggere nel pensiero?!?
-Ebano…- ah ecco -… e ti vieto di farlo…-
Scuoto il capo, posando le mani sul suo torace, provando ad allontanarlo, ma lui non si muove di un millimetro.
-Te l’ho già detto: devo farlo…- mi ripeto da ieri, fissandolo severa -… se non lo faccio, tutti noi resterem…-
-Non m’importa!!!!- sbraita, facendomi tremare di paura per il suo tono duro e rabbioso.
-Non m’importa di restare qui…- digrigna i denti.
Mi stringe per le spalle, respirando profondamente per mantenere la calma almeno nella voce. Chiude gli occhi lentamente, increspando le sue dolci labbra in un ringhio adirato.
-… m’importa che tu stia bene…- confessa con un sussurro arrendevole, lottando contro una sua natura restia a mettere a nudo i suoi sentimenti, ma per una volta vinta da un sentimento più forte.
-Verde…-
-Se provi a tornare là, nello studio del dottore, ti beccheranno… non puoi!!!- riapre gli occhi, puntandoli sui miei -È andata bene la prima volta, se la sono bevuta, ma non può accadere ancora…-
-Hai così poca fiducia in me?- sorriso stizzita, fissandolo negli occhi.
-… non può funzionare… non può, mocciosa…- scuote il capo, strusciando la fronte contro la mia.
-Non lo sia… non sai se funzionerà o meno…- affermo sicura di me, aggrappandomi alle corte maniche della sua maglia e strattonandolo per convincerlo -… devo provare, altrimenti resteremo tutti bloccati qui…-
-Non m’importa…- ripete -… m’importa che tu stia bene…mi basta questo…-
-Non dire idiozie!!!- m’infervoro sgridandolo severa –Io non mi accontento di vederti in salute: io voglio ricordarmi di te!!!! E l’unico modo per farlo è andarcene!!!!-
-Ti farai ammazzare!!!!- ringhia, stringendomi le spalle fino a farmi male.
Strizzo gli occhi, lasciando che la sua presa mi costringa ad addossarmi contro la finestra, che ho dietro le spalle, piegandomi sotto il suo peso che avanza su di me.
-Perché non capisci? Perché?- sbotto, sentendolo sempre più vicino.
-E perché tu non capisci me?- mi sussurra grave –Lascia fare a me, andrò io nello studio…-
-No!!!!- m’impongo, spaventata dalla sua proposta –Non puoi!!!-
-Perché? Perché sono un buzzurro idiota?-
Il ghigno che sfoggia fa più male della sua ironia, colpendomi dritta allo stomaco e mozzandomi il fiato. Le mie labbra tremano, spegnendo il sorriso che ho cercato di mantenere con testarda dignità fino ad ora, piegandosi in una muta e dolorosa smorfia, accompagnando il mio sguardo basso e colpevole.
Non ho mai veramente pensato questo di lui, mai. Sono solo parole urlate senza ragione per difendermi da lui, per proteggere il mio cuore dalla paura di affezionarmi troppo ad una persona che potrei anche perdere, sebbene la ami di già.
-… tu non sei un buzzurro idiota…- mormoro piano, accarezzandogli le spalle forti e muscolose.
-E allora lasciami provare…-
Allenta la presa su una mia spalla, portando la mano sul mento e alzandomi il viso verso di lui, obbligandomi a fissarlo in viso.
Non ringhia più, non mi fissa più collerico e duro, non mi stringe più con cattiveria.
Ghigna.
Ghigna con il più bel sorriso sghembo che abbia mai visto, arricciando verso l’alto le cime della bocca, mostrando appena le bianche file dei suoi denti aguzzi, e assottigliando lo sguardo nel modo più suadente e conquistatore del mondo.
Sento le guance scaldarsi, diventando di certo rosse come peperoni, mentre mi sfiora il profilo del viso con appena la punta delle dita, accarezzandomi dallo zigomo sinistro fino alla punta del mento, arrivando a posare i polpastrelli di due dita sotto il labbro inferiore.
-Lascia fare a me… sono forte e veloce… non mi fermerà nessuno…- ripete, stregandomi con il dolce suono, basso e profondo, della sua seducente voce.
Scuoto debolmente il capo, non riuscendo a smagnetizzare i nostri sguardi, incatenati da un magnetismo unico e inscindibile.
-Lascia fare a me…-
-N-no…- mormoro, avvicinando le mie mani, dalle sue spalle, fino alle clavicole che spuntano dal colletto della sua maglia bianca, sfiorandogli tremante la pelle del collo -… no…-
La sua pelle è calda.
Scotta.
Pulsa ardente sotto i miei polpastrelli, bruciandoli man a mano che li aggiungo, uno ad uno, attorno alla sua bronzea gola, scalandola lentamente, incantata dall’effetto che mi dona il poterlo toccare finalmente.
Sento la mia bianca pelle colorarsi di nuove sfumature più ardenti e decise, invece che le solite delicate e dolci sfumature rosate. Le dita tremano, tremano emozionate e incredule della morbidezza della sua gola, del suo viso squadrato ma così soffice. Riesco ad ascoltare il battito del suo cuore, percependolo su ogni centimetro di pelle che gli sfioro, riconoscendolo accelerato e fremente, quasi quanto il mio.
Gli accerchio il volto con le mani, stringendolo forte e infossando la punta delle dita tra i corti capelli verdi, scompigliandoglieli appena, mentre lo attiro a me.
Sento il cuore esplodermi di felicità nel petto, euforico nel sentire, attraverso il tatto, la calda e morbidamente tesa pelle di lui.
È come accarezzare un mandarino: ruvido all’apparenza, al semplice tocco fugace, ma morbido e delicato ad ogni nuovo contatto, con il quale si riesce a scoprire sempre nuovi e sconvolgenti aspetti di lui.
Inclino il viso, avvicinandomi ancora il suo, fino a far scivolare tra loro i profili dei nostri nasi, intrecciandoli, unendoli in due semplici linee di carne, che si mescolano a formare un solo volto, diviso da un semplice respiro.
-No…- ansimo contro le sue labbra, mai così vicine alle mie come ora -… no…-
Lo sento ansare sulla mia bocca, respirando il mio fiato, mischiando i nostri profumi e sapori.
Le sue mani mi reggono il capo per la nuca, stringendolo forte, quasi potesse cadermi dalle spalle. La fredda catenella delle sue manette mi sfiora sul collo, facendomi rabbrividire la pelle della gola mentre il resto del corpo è surriscaldato e febbricitante per la nostra vicinanza.
-… non puoi…- sbatto le palpebre tentando di restare lucida, annegando nel suo buio e fermo occhio, che mi fissa ipnotizzandomi.
Vorrei poter restare così per sempre, agganciati, stretti, copie l’uno dell’altro, due metà di un intero finalmente riunito.
-… io… io… io non ricordo ancora il tuo nome…- sussurro, boccheggiando sulle sue labbra, sfiorandole ad ogni parola che pronuncio.
Verde non emette verbo, riesce solo a respirare affannato, e ciò, oltre a mandarmi in estasi, mi permette di parlargli senza che m’interrompa.
-So il tuo nome, lo so…- affermo sicura, continuando ad accarezzargli il viso e a sfregare le nostre fronti -… lo so… è da una vita che lo conosco… ma me l’hanno tolto, rubato, cancellato dalla mente insieme a tutto ciò che so di te…-
Prendo un respiro profondo, stringendo maggiormente la presa sul suo ovale, tirandogli qualche ciuffo di capelli verdi, mordendomi un labbro.
-Devo sapere come ti chiami, devo ricordarmelo… è l’unico modo per farlo è entrare in quel studio di nuovo…-
Prova a parlare, a muovere le labbra contro le mie, ma non glielo permetto, continuando imperterrita a parlare.
-Devo farlo io… solo io… e non perché sono più forte o agile di te, ma perchè devo proteggerti da ogni male… IO devo proteggerti…- lo fisso negli occhi, deglutendo a secco -… tu sei bravo a combattere, questo lo so, ma per ora con la forza non possiamo vincere… l’unica possibilità è agire con la testa, imbrogliando e mentendo… e credimi: sono brava in questo…-
Sorrido, cercando di rubargli un ghigno, ma lui continua a fissarmi statico.
-Verde, ti prego: lasciami andare…-
Lo prego con la voce e con lo sguardo, annegando nel suo occhio, perdendomi in esso.
Lui deglutisce secco, sbattendo una sola volta le palpebre.
-Mandarini…- sussurra velocemente contro le mie labbra, inebriandole del suo dolce sapore.
-C-come?!?-
Ma ha sentito una sola acca di tutto ciò che gli ho detto, o ha pensato a mangiare per tutto il tempo?!?
-Mandarini…- si abbassa con il viso sulla mia gola, spostando le mani sui fianchi e avvicinandomi a lui, appiattendo tra noi i nostri petti -… tu sia di mandarini…-
Arrossisco.
È un complimento?!?
-Mi ricordo che sulla nave ce ne sono tanti… tutti tuoi…- sogghigna contro la pelle tesa e surriscaldata della mia gola, strusciando il naso contro le vene palpitanti -… non permetti a nessuno di prenderli…-
Deglutisco, respirando a fatica non appena sento le sue labbra posarsi sotto l’attaccatura del collo sul capo, mordicchiandomi appena la pelle.
-Però…- continua, scendendo a bagnarmi il centro della gola con le labbra -... a me permetti di dormire tra i tuoi alberi… solo a me…-
-A-ahh…- non so nemmeno io se è un gemito di piacere o una nota di assenso.
Sento la testa girarmi, mentre un gran cado mi assale.
Kami!!! Ma come fa a essere così dannatamente sensuale anche quando stiamo litigando?!?
-Sei furba, lo so… ora me lo ricordo…- sghignazza divertito del mio tremore -… riesci sempre a fregarmi…- infila le mani sotto la mia maglia, afferrandomi lesto per la vita e bruciandola con i suoi palmi di fuoco -… anche questa volta…-
Sorrido, ritrovando un po’ di lucidità.
L’ho convinto, mi lascerà tentare.
Mi permetterà di salvarlo e recuperare tutti i nostri ricordi, anche se questa terapia di riacquisto della memoria non mi dispiace poi così tanto…
-Mi lasci andare allora…- sorrido, abbracciandolo con forza per le spalle, lasciandolo infossato contro il mio collo a bearsi della sua dose di droga al mandarino.
-Solo ad una condizione…- alza il volto dalla mia pelle, non prima di aver aspirato una gran quantità del mio profumo naturale e aver sfilato le mani da sotto la mia maglia, tornado a fissami negli occhi con il suo sguardo nero e furfante.
Assottiglio lo sguardo. –Cioè?-
-Sii prudente…-
-Non c’era bisogno di dirmelo!!!!!- ridacchio, pizzicandogli una guancia.
-… non portò venirti a salvare le chiappe come sulla nave…- continua ghignando malefico.
Anche lui ricomincia a ricordare, il che non può fami che sorridere di gioia pura.
-Non ce ne sarà bisogno!!!- gli tiro una linguaccia, mentre lui mi accarezza il viso con le nocche di una mano.
-… non portò proteggerti come mi sono sempre promesso…- abbozza un timido sorriso -… non potrò salvarti stavolta…-
Gli stringo forte la mano che tiene appoggiata alla mia guancia, reggendola con entrambe le mani.
-Stavolta sarò io a salvare te…- gliela bacio di sfuggita sul palmo, bagnandola con le labbra.
Il salato sapore della sua pelle m’inebria le labbra, riempiendomi il palato del suo essere, del suo caldo e piccante sapore. Mi perdo, mi perdo sulle cicatrici della sua mano, baciandole ancora, leccandogliele, beandomi di loro e saziando una bramosa fame di lui.
Scivolo con la bocca su tutto il palmo della mano, sfiorandolo a fior di labbra, raggiungendo le sue dita bronzee, appena ricurve verso di me ad accarezzarmi la bocca, incontrandola tremante e desiderosa di lui. Bacio ogni suo centimetro di pelle, succhiando a volte le ferite scure più profonde, soddisfando finalmente un desiderio che mi tormentava l’animo da tutta una vita.
-Verde…- lo chiamo piano, unendo sulle mie labbra al suo sapore, anche il suo nome, seppur falso.
Di scatto mi prende per le palle e mi fa alzare dal balconcino, attirandomi a lui e reggendomi per la vita, avvicinando i nostri visi. Non trema, come me, è fermo e sicuro, non lascia trasparire l’ardente desiderio di avermi che gli leggo negli occhi. Lo trattiene ancora, solo per un altro po’, perché basta un mio sospiro e le sue mani mi stringono a lui, riportando i nostri volti a fondersi tra loro.
Solo un soffio ci separa, e mentre i nostri occhi si perdono uno dentro l’altro, sento sulla mia bocca ancora il suo sapore, il suo calore, il sale della sua pelle.
Accosta il viso contro il mio, aprendo le labbra e muovendole verso di me.
Arrossisco, sentendo il nostro primo bacio così vicino da essere toccato.
Deglutisco, socchiudendo le labbra verso le sue, e…
-Divideteli…-
Una presa ferrea e micidiale sostituisce quella dolce e calda delle mani di Verde sui miei fianchi, alzandomi da terra e strappandomi da lui.
-NO!!!- mi trovo ad urlare, ritrovandomi in groppa ad una possente spalla di un infermiere formato armadio, mentre altri due allontanano Verde da me, strattonandolo per le braccia.
-Ho fatto bene a tenerti sott’occhio…- ringhia qualcuno alle mie spalle, mentre mi dimeno e allungo le braccia verso Verde, che si divincola e scalcia contro i due marine che lo trattengono.
-Verde!!!!! Verde!!!!- urlo, scalciando sul petto dell’infermiere che mi regge, puntellandomi con una mano su una sua spalle, allungandomi con il braccio teso verso di lui.
-Avevo avuto l’impressione che fossi mancata per un paio d’ore dal tuo letto in infermeria, ma ero troppo stanca per controllare davvero…-
La voce, sgradevole e acuta, si fa sempre più vicina, avvicinandosi a me, mentre si fa largo tra la fola ammutolita dei presenti. Altre guardie-infermiere si aggiungono attorno a Verde per trattenerlo, mentre altre ci accerchiano, allontanando i curiosi.
-Mocciosa!!!! Mocciosa!!!!-
-Verde!!!!-
Riesce, con uno spintone a liberare un braccio, allungandolo verso di me e sfiorandomi le punte delle dita con le sue. Mi sforzo di stringere la presa tra le nostre dita, ma una striminzita ma autorevole mano dalle affilate unghie mi blocca il polso, graffiandomelo e impedendomi di ricongiungermi a lui.
-Cara Arancione…- sibila malvagia, con un sorrisetto indegno e crudele sulle labbra -… credo proprio che tu ti sia cacciata in un bel guaio…-
Ringhio, digrignando i denti, mentre Verde viene bloccato nuovamente da 5 infermieri, fulminando con lo sguardo quella piccola carogna dal sorriso mieloso e riprovevole.
-Va a farti fottere, zolletta di merda!!!- le urlo in faccia con rabbia omicida, sgranando gli occhi fino a renderli rosati, spegnendole finalmente lo schifoso sorriso di Miss Toffee.








 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Doveva essere l’Anglo dell’Autore Arrabbiato (le 3 terribili A), ma grazie a Aluah (la più bella delle A), ho cambiato rotta, decidendo di rendere questo spazzietto l’Angolo dell’Autore Riconoscente.
Per cui, grazie mille, mia bella Aluah, per avermi tenuto compagnia nella stesura di questo capitolo e per avermi trattenuto dal compiere un omicidio sanguinoso e torturatore (e si sa: ne sarei stata capace…).
Grazie per aver sopportato i miei piagnistei e per avermi concesso asilo politico, nel caso la mia ex scuola superiore venisse a rivendicare una tassa sull’ADSL che ho sciupato negli anni di “studio” (?!?). Grazie per avermi sorriso, di nuovo, ancora.
Grazie per avermi fatto ridere e scrivere.
Grazie, grazie, grazie, questo capitolo è solo per te…

Zomi

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Capitolo 10
*** La porta è aperta ***


La porta è aperta


 
-LASCIAMI!!!!-
Scalpito forsennata sulla poderosa spalla dell’infermiere armadio che mi regge, calciandolo sul petto e picchiandolo con i pugni sulla schiena.
-LASCIAMI SUBITO, GORILLA IMBRANATO!!!-
-È inutile agitarsi tanto, mia cara…- sorride stucchevole Toffee a pochi passi sotto il mio volto, incrociando soddisfatta le piccole manine mediche dietro i reni -… ormai non puoi più far nulla…-
Sorride beffandosi della mia impotenza, sogghignando con la sua sottile bocca velenosa.
-Sapevo che stavi tramando qualcosa: me lo sentivo…- sussurra viscida e vittoriosa -… mi era parso di sentire dei strani rumori stanotte in infermeria, ma era assonnata e stanca per verificare i miei dubbi…- si avvicina maggiormente, fino a squadrarmi dal basso in alto, fissandomi negli occhi -… ma ora ne sono certa: tu stai ricordando tutto… non è forse vero? Si, si, si… ora ho la prova che ti stai ricordando dei tuoi compagni, l’abbraccio con lo spadaccino non è casuale…-
Inizia a ridere, scuotendo il piccolo capo corvino, stringendo le mani al petto, sgranando gli occhi e fissandomi come un trofeo di caccia.
-Ti porterò dal dottore…- afferma sicura -… tutti e due, e lui vedrà, vedrà come sono stata furba ed efficiente a scoprirvi…- la sua voce sussulta acuta, sfiorando sibili e strilli pungenti -... mi elogerà, sarò la sua pupilla più amata, la sua fedele collaboratrice, la sua sottoposta più ammirata…-
Pazza, pazza… questa donna è pazza!!!
-Si, si, si… Zenit si accorgerà di quanto sia importante il mio ruolo nell’istituto… se ne accorgerà si… mi affiderà un incarico di riguardo, si fiderà ciecamente di me… e io lo aiuterò a realizzare il suo sogno!!!! Più nessun fermerà i suoi studi sulle menti, sulla memoria… nessun pirata o marine… nessuno, nessuno… te compresa mia cara!!! Non puoi più far nulla!!!!-
-E invece posso ancora mandarti a fanculo, maledetta arpia!!!!- strillò sgolandomi, scuotendo i ramati capelli che mi piovono sugli occhi.
La Missstorce il naso, disgustata dalle mie parole, fissandomi a occhi sgranati e deformando il sorriso stucchevole in una smorfia nauseata.
-Volgare…- borbotta, voltandosi verso Verde e la decina di infermieri che lo trattengono a terra.
-Tienila stretta…- ordina all’infermiere che mi blocca, prima di darmi le spalle.
Subito la presa attorno alla mia vita si stringe, facendomi quasi mancare il fiato.
-Auch!!!!- mugugno strizzando gli occhi.
-Mocciosa!!!!-
Verde tenta di rialzarsi per soccorrermi, ma cinque energumeni lo atterrano con prepotenza al suolo, montando sopra di lui e appiattendolo contro il pavimento.
-Maledetti!!!- ringhia con la mascella contratta schiacciata sulle mattonelle, mentre altri infermieri sopraggiungono per bloccare ogni suo movimento.
In tre gli tengono fermo un braccio teso verso di me, mentre altri due piegano l’arto opposto sotto il torace, tendendo al massimo la tintinnate catenina delle sue manette. Un omaccione tenta di tenergli la testa ferma contro il pavimento, sedendosi cavalcioni sulle spalle e premendo con le mani il capo smeraldo verso il suolo, intimando ai colleghi di fermare lo scalciare demoniaco delle sue gambe, che scalpitano contro ogni corpo che li capita a tiro.
Ma è tutto inutile, perché il mio buzzurro continua a scalciare e dimenarsi, tentando in ogni modo di liberarsi e avvicinarsi a me.
Ghignati, tre uomini iniziano a calciargli le gambe, pestandolo e approfittando della superiorità numerica per sopraffarlo. Subito anche gli altri infermieri iniziano ad imitarli, picchiandolo sul capo e sulle braccia, calpestandole, colpendole con pugni e cazzotti in ogni dove.
Un poderoso gancio si schianta violento sul suo mento squadrato, ferendogli il labbro che inizia a sanguinare copioso, facendo scivolare sul mento un rivolo sanuinolento, gocciolando piccole lacrime cremisi sulle mattonelle chiare della sala.
-Verde!!!!- strillo.
Non posso far altro. Posso solo urlare contro tutti quegli energumeni che lo tartassano. La mia voce è l’unica arma che ho.
-Verde!!!!-
-Mocciosa!!!-
Tende il braccio verso di me, ma un poderoso e violento calcio ferma il suo movimento, schiacciando l’arto a terra e pressandolo sotto la pianta di uno stivale bianco. Lo vedo digrignare i denti per il dolore, mentre la pressione del colpo si fa più forte, fino a ferirgli la pelle, da cui si libera un rivolo di liquido rosso.
La pelle bronzea si lacera, scurendosi di estesi ematomi violacei, che corrono attorno al gomito di Verde, colorandolo di blu.
-Basta perdere tempo… tu: mantieni lontani gl’ altri ospiti…- ordina Miss Toffee, e il soldato che sta maciullando il braccio di Verde smette di torturarlo, buttandosi ad allontanare gli altri pazienti in sala accorsi attorno a noi ad assistere a questo sopruso.
Non appena il finito infermiere si allontana, i miei occhi si sgranano alla vita violacea e tumefatta del braccio di Verde.
Sanguina e la pelle, non più bronzea, ha assunto una tonalità violacea e scura.
Ho il respiro mozzato per l’angoscia: Dio mio, Verde!!!!!
-Muovetevi a bloccarlo!!!- sbotta scocciata dalla resistenza del buzzurro la Miss, picchiettando nervosamente il piede a terra –Dobbiamo portarlo dal Dottor Zenit!!!-
Svelti e ubbidienti, gli infermieri si accalcano su di lui, ammassandosi uno sull’altro e ricoprendo ogni parte del suo corpo, nascondendomelo agli occhi e armeggiando paurosamente con manette e catene varie.
Il tintinnare ferroso e minaccioso delle catene sovrasta gi sbuffi di fatica degli inservienti, che si accalcano frettolosi e violenti attorno a Verde, di cui ormai riesco a scorgere solamente un braccio teso verso di me.
-Verde!!!!-
Allungo la mano verso di lui, nel vano e platonico tentativo di sfiorarlo e ritrovare una sicurezza perduta in questi pochi attimi.
Voglio toccarlo, aiutarlo in qualche modo, salvarlo da un mio schiocco errore.
Maledizione!!! Sapevo che Miss Toffee mi stava tenendo d’occhio, e bellamente gli ho permesso di avvicinarsi troppo a me, di sfiorarmi, di mostrare senza paura quel debole sprazzo di noi che abbiamo faticosamente recuperato.
È tutta colpa mia, tutta colpa mia.
Se fossi stata più attenta, non saremmo in questa situazione, lui non si troverebbe sommerso da infermieri bellicosi e spietati, percosso e sanguinate, e il piano di evasione sarebbe ancora attuabile.
Sento gli occhi bruciarmi di roventi lacrime di disperazione mentre stiro tutti i muscoli del mio braccio, pregandolo di allungarsi ancora e percorrere quei pochi metri che mi separano dall’arto teso e percosso del mio buzzurro.
-Verde!!!!- lo chiamo ancora, non distinguendo più il suo volto sotto il marasma di braccia e camici medici che lo attanagliano.
-Verde!!!! Verde!!! Buzzurro!!!!-
La mano che sporge dall’ammasso dei corpi dagli infermieri si stringe a pugno, comprimendo la polvere del pavimento e schiacciando a terra le manette che lo bloccano.
Le bronzee dita sbiancano per la forza con cui sono contratte, premendosi contro le piastrelle laccate della sala. È l’unico segno che ho della presenza del mio amato sotto quella montagna di finti infermieri.
Mi dimeno dalla presa dell’omone che mi trattiene, sgolandomi nel chiamarlo, sovrastando il mormorio spaventato e curioso dei pazienti della sala riuniti attorno a noi.
Sono tenuti a debita distanza da altri infermieri che, falsamente gentili e servili, gli allontanano dall’unico toccabile accenno di realtà che mai potranno mai vedere nell’Istituto Manari: due pazienti che vogliono tornare loro stessi.
-Lasciami idiota!!!- digrigno i denti contro il marine che mi blocca, conficcandogli le unghie nella pelle delle spalle, ma lui non molla la presa e, sadico, ride delle mie proteste.
-Muovetevi a incatenarlo…- ordina Miss Toffee nel baraonda generale, mettendo fretta ai subordinati che si stringono ancor di più sul corpo di Verde.
La mano che sporge dall’ammasso di membra, trema indebolita.
Si sbianca e allenta la presa delle nocche, che tremano sul punto di sciogliere la loro stretta.
Oh Kami!!! Sta soffocando!!!
-Basta!!! Basta!!! Così lo ammazzate!!! Basta!!!!-
Le lacrime iniziano a sgorgarmi taglienti dagli occhi, graffiandomi la pelle del viso e unendosi alle mie urla disperate.
-Taci donna!!!- cerca di zittirmi l’infermiere che mi blocca, ma non smetto di dimenarmi e gridare.
-Così lo ammazzate!!! Lo state soffocando!!!! Basta!!! Basta!!! BASTA!!!!-
Conficco violentemente le unghie nella divisa dell’uomo, lacerando la pelle sottostante che sanguina debolmente, macchiando il candido tessuto.
-Ouch… maledetta stupida!!!- stringe le mani sui miei fianchi, tentando di fermarmi, ma io non mollo la presa e continuo a dimenarmi con maggior forza.
Gli sferro un poderoso calcio nello stomaco, costringendolo a sciogliere leggermente la presa su di me per reggersi il ventre rosso dei miei colpi.
Stringo gli occhi e agisco velocemente.
Approfittando dell’allentarsi della presa, mi piego all’indietro, raggiungendo con il viso la gola dell’infermiere, che azzanno con i miei canini appuntiti, tagliandogli la pelle tesa e pulsante di dolore e rabbia.
Piccole gocce di sangue scivolano sul colletto della divisa immacolata, mentre le tozze e callose mani del marine si staccano come scottate dal mio corpo, andando a tamponare leste il morso.
-Troia!!!!- ringhia furioso, ma non lo bado e, scivolando felina dalla spalla, salto a terra, correndo sui quei pochi e lunghissimi metri che mi distanziano da Verde.
Mi lancio su di lui, afferrando con presa salda la sua mano, stringendola con vigore e portandomela al petto, dove l’abbraccio tra i seni.
-Basta!!! Basta!!!!-
Urlo disperata, mentre le lacrime continuano a cadermi dagli occhi, picchiando le schiene convulse e agitate degli infermieri che lo sovrastano, tentando di allontanarli e liberalo.
-Fermatevi!!! Lo state ammazzando!!! BASTA!!!!-
Conficco le unghie nella carne di un infermiere, strattonandolo a terra, mentre scalcio sulle gambe di un altro, urlando nelle orecchie di un suo collega.
Sento la presa di Verde stringersi alla mia mano, serrandola con forza.
Kami, Verde!!!!
Ti prego non mi lasciare!!!
Graffio, mordo, scalcio, picchio ma gli infermieri non demordono e continuano a colpirlo su tutto il corpo.
-È inutile agitarsi tanto, mi cara… te l’ho già detto…-
La mielosa e viscida voce di Miss Toffee mi giunge alle orecchie tagliente come una lama di spada, conficcandosi nelle mie paure e facendomi sanguinare il cuore.
-… sarete divisi e ricomincerete da capo la terapia…-
Sgrano gli occhi terrorizzata.
No.
No.
No.
Dimenticare tutto di nuovo, perder tutto ciò che ho ritrovato, ritrovarmi vuota e confusa di nuovo, incapace di ricordare niente se non il mio nome e l’età. Vuota di qualsiasi passato, in bilico sul sottile filo del presente e priva di alcun futuro.
Immemore di qualsiasi giorno felice, di una vita vera.
Vuota di qualsiasi ricordo del mio Verde.
-NO!!!!!!!-
Lascio la presa sulla mano del buzzurro, gettandomi a braccia aperte sugli infermieri, aggrappandomi alle loro divise e strattonandole fino a strapparle.
Mi dimeno in mezzo a loro, riuscendo a farne cadere a terra qualcuno.
Affondo tra i pugni violenti che vengono sferrati sulla schiena del buzzurro, sgomitando tra i toraci ringhianti, fino a scorgere una zazzera verde e scompigliata sotto al petto di un marine.
Svelta, sferro un pugno al finto infermiere, allontanandolo, liberando il capo di Verde, che alza lo sguardo nero e oscuro su di me.
I nostri occhi si incontrano di nuovo, riallacciando il magnetismo delle nostre anime.
Ruggendo, si scaglia verso di me, sollevando le braccia da terra e liberandosi degli ultimi uomini che lo bloccano, gettandoli con forza inaudita a metri da noi.
Spalanco le braccia e lo accolgo sul mio petto, dove si accascia ferito e contuso.
Un rivolo di sangue gli sgorga dalle labbra, impiastricciandomi la maglia sul colletto, mentre un taglio abbastanza fondo gli lacera lo zigomo destro.
Il braccio sinistro è totalmente violaceo e sporco di sangue, riesce a muoverlo con grande difficoltà. Gli accerchiò il capo con un braccio, posando la mano aperta tra i suoi capelli e stringendolo al petto, mentre gli sollevo il braccio leso e me lo porto sul ventre, difendendolo come meglio posso, addossandolo a me.
-Mi dispiace, buzzurro mio, mi dispiace…- piango stringendolo a me, affondando il volto bagnato di mille lacrime tra i suoi capelli -Avevo detto che ti avrei salvato e invece ho rovinato tutto…-
Respira affannosamente tra i miei seni, aggrappato con forza ai fianchi della mia maglia, steso a terra e posato appena alle mie gambe piegate sotto il suo petto. Lo sento debole e rabbioso, per la sua incapacità ad affrontare gli infermieri.
Le lacrime continuano a scivolarmi dagli occhi, bagnandogli il capo e correndo giù per le sue tempie contratte per la furia, mentre le mi dita lo stringono forte a me, desiderose di non doverlo più lasciare. Singhiozzo, digrignando i denti per nascondere la mia debolezza, la sua stupida fragilità in questa situazione.
Vorrei riuscire a ragionare con lucidità e salvarlo davvero, ma sento che ormai non mi è rimasta più alcuna speranza.
-Voi: ammanettatelo… può diventare pericoloso…-
Pesanti passi di soldati si muovono attorno a noi, eseguendo l’ordine della Miss.
Qualcuno afferra i polsi di Verde, piegandogli le braccia dietro la schiena e incatenandogli le mani. Vorrei riuscire a impedire tutto ciò, ma non riesco a far altro che stringermi il capo di Verde al petto, piangendo su di esso e concedendogli soli pochi istanti per riprendersi.
-Li porteremo dal Dottore subito e poi in infermeria per la cura…-
Stringo gli occhi, mordendomi le labbra.
È tutto finito. Tutto.
Non c’è più niente da fare.
Ci divideranno ancora, ci dimenticheremo l’uno dell’altra nuovamente, saremo degli sconosciuti qualsiasi che ignorano l’esistenza reciproca.
-Mocciosa…- ringhia, infossando il capo contro di me -… non può finire così…-
Sorrido triste.
Amore mio, quando vorrei credere che ci sia ancora un’ultima possibilità, non tanto per salvarci, ma per salvare solo te. Se tu vivi, vivo anch’io, e se restassi invita anche solo nei tuoi fragili ricordi, mi basterebbe, perché almeno saprei che la parte migliore di me vive ancora dentro di te, con te, per te.
Sarei ancora viva nella tua memoria.
La tua memoria…
Sgrano gli occhi, posandoli sul tuo capo verde, verde come la speranza che persistere fragilmente a battere nel mio petto, a ritmo del mio cuore.
Tiro su con il naso le ultime lacrime, prendendoti il viso tra le mani e alzandolo verso il mio. Ho gli occhi ancora lucidi, ma non per tristezza, per il dolore di vederti ferito, ma per la felicità della mia scelta.
-Io potrò anche dimenticarti…- gli sussurro piano, sorridendo e fissandolo negli occhi -... ma il mio cuore non potrà mai cancellarti… ti amo…-
Mi alzo da lui, lasciandolo confuso e allibito inginocchiato a terra, mentre alcuni infermieri continuano ad aggiungere manette su manette ai suoi polsi. Lo guardo confuso, incapace di capire che cavolo stia facendo, e non posso che sorridergli.
Ho preso la scelta migliore.
Deglutendo, mi volto verso Miss Toffee, cercando il suo patetico volto.
Mi scruta vittoriosa, sorridendo amabile e mielosa, mentre strofina tra loro le sue paffute manine, perdendosi nei suoi deliranti pensieri nel centro del marasma della sala.
Avanzo di un passo, fissandola in viso.
-Lui non sa niente…- affermo contro di lei -… solo io ho iniziato a ricordare…-
-Credi davvero di potermi raggirare di nuovo, cara Arancione? Non sono così stupida…- ringhia scottata di essere stata truffata da una piratessa senza memoria sua prigioniera.
-Se lui si ricordasse veramente chi è, e di cosa fa parte, nemmeno l’interno esercito della Marina che vive qui come personale ospedaliero, sarebbe riuscito a fermarlo… lui è uno spadaccino, il migliore e gli basterebbe un solo dito per mettere al tappeto tutti i sottoposti presenti nella clinica… ma, come ha visto, non ne è in grado, perchè non ricorda assolutamente chi sia né le sue grandi capacità…-
La piccola donna stringe gli occhi, fissandomi seria, rimuginando velocemente, con il suo esile cervellino, le mie parole, analizzandole una per una.
Si morde un labbro, digrignando i denti. Sa che ho ragione, non può negarlo.
-L’ho avvicinato io, cercando di fargli ricordare chi sia in realtà…- continuo, avanzando di pochi tremanti passi, e abbassano il tono della voce affinché possa ascoltarsi solamente lei.
-… ma ho fallito… la cura del dottore è troppo forte…-
Il sorrisetto mieloso e stucchevole torna a svettare sulle sue labbra, illuminandole il volto. Basta nominarle il suo folle superiore per ridonarle sicurezza e superbi. Basta citare Zenit, e raggirarla nuovamente diventa un gioco per bambini.
-Il Dottore è il migliore…- cinguetta venerabile.
-Si, ma su di me ha fallito, no?- ghigno fermandomi a un soffio da lei -… io ricordo chi sono… so di essere una ladra, una navigatrice, e di far parte della ciurma di Cappello di Paglia…-
I suoi occhi si sgranano spaventati, sbiancandosi e perdendo l’iride nera nella più pallida paura.
-… io so chi sono, e soprattutto chi è Rufy…-
Pronuncio il mone del mio capitano con forza, facendolo echeggiare in tutta la sala, affinché anche gli altri miei compagni, ammassati attorno a noi, lo sentano e si ricordino di lui. Se, come a me e a Ebano, basta il suo solo nome per farci ricordare qualcosa della nostra vera vita, servirà a far riemergere qualche ricordo anche a loro.
Per un breve attimo gli schiamazzi dell’intera sala si attenuano, come il divincolarsi feroce di Verde alle mie spalle, per poi riprendere più violento e rumoroso di prima.
Ha funzionato?
-Tu… tu… tu non puoi…- balbetta Miss, ma il mio sorriso sornione la smentisce senza spreco di parole.
-Miss, come vede, il Dottore con me ha fallito… io so chi sono…- mi avvicino maggiormente a lei, fino a sussurrarle sull’orecchio -… io so chi sono…-
-È solo una casualità… il dosaggio sbagliato…- cerca di salvare l’immagine superba e trionfante del suo superiore.
-Certo, certo… può capitare, ma sa come la vedo io, e come la vedrà il caro dottor Zenit… la vedrà come una sua svista, un suo mancato accorgimento… un suo errore…-
La spavalderia della piccola infermiera si liquefa sulle labbra tremanti dipinte di rosso, ammutolendo ogni parola.
-Sarà tutta colpa di un suo errore, Miss…- continuo a torturarla -… ben presto il dottore saprà che una paziente a lei affidata ricorda tutto di se, e andrà su tutte le furie… e indovini un po’ con chi se la prenderà?-
La sento tremare sotto di me, mentre ghigno compiaciuta.
-… se la prederà con la cara e inefficiente Miss Toffee…-
Un ringhio omicida sale dall’esile gola dell’infermiera, giungendo graffiante e assassino a farle tremare le labbra.
-Zenit la rilegherà al compito più infimo e degradante… può anche darsi che l’allontani dall’istituto, emarginandola dai suoi grandi studi…-
La piccola e fragile figura femminile inizia a tremare, sobbalzando ripetutamente ai miei sussurri, concedendomi la sua totale attenzione e non degnando di mezzo respiro i suoi subalterni e i pazienti attorno a noi che iniziano a scalpitare.
-… lontana dall’Istituto Manari …- continuo a minare la sua flebile mente, assottigliando sempre più lo sguardo sulle piccole rughe espressive della sua madida fronte.
-Miss Toffee: i pazienti iniziano ad agitarsi…- grida qualcuno alle mie spalle, ma l’infermiera non lo ascolta.
-…lontana dal suo lavoro…- continuo ad ipnotizzarla, trattenendo la mia ansia nel portare a termine il mio delirante piano di salvezza per Verde.
Lo salverò, salverò i suoi ricordi.
-Il paziente Verde non demorde a ribellarsi!!!-
Un tonfo sordo, forse un pugno del mio buzzurro ha colpito il pino volto qualche infermiere, atterrandolo sul pavimento.
Schiocco le labbra, studiano gli occhi lucidi di Miss, leggendovi una terribile ansia e agitazione. È il momento del colpo di grazia.
-I pazienti della sala Miss…-
-Il paziente Verde signora…-
Sogghigno, deliziata dal caos ingovernabile e sul punto di esplodere.
-… lontana da Zenit, Miss…-
I suoi occhi si sgranano fino a far detonare l’iride nera, che si annebbia tra le lacrime di disperazione e rabbia, annegando nella mia possibile minaccia.
-Miss i pazienti…-
-Miss il detenuto Verde…-
Il caos insorge, le urla di spiegazione dei presenti in sala aumentano, i ruggiti del mio buzzurro fanno tremare la terra.
-Ma…- bisbiglio piano sul suo padiglione roseo -… se lei mi consegnasse di persona a Zenit, solamente io che ho recuperato la memoria, lui di certo vedrebbe tutto questo sotto un’latra ottica: lei, l’incredibile Miss, che è riuscita a catturare nuovamente la Gatta Ladra…-
L’infermiera ruota il capo fino a fissarmi in viso, specchiandosi nei miei occhi color cioccolato. Non vede l’inganno, non vede la truffa, non vede la furbizia brillare: vede solo un’ancora di salvezza.
-Miss…-
-Miss…-
-BASTA!!!!!-
Ansimante, Miss Toffee urla con tutto il fiato che racchiude il suo esile corpicino, zittendo l‘intera sala, che s’ammutolisce all’istante. Gli occhi fissi su di me a studiarmi.
Respirando affannosamente stringe la mani a pugno, digrignando i denti.
-Tu…- alza un braccio verso un infermiere, distogliendo lo sguardo -… porta il paziente Verde nella sua stanza…-
-Ma signora, la cur…-
-HO DETTO NELLA SUA STANZA!!!!- zittisce severa l’intromissione del sottoposto.
-Il paziente non ricorda nulla… si continui con la sua solita cura… e voi altri, riportate il resto dei degenti nelle rispettive stanze e radunatevi poi nella guardiola del sotto scala…-
Tutti i sottoposti scattano agli ordini, ronzando come api verso i pazienti a loro affidati, agguantandoli per braccia o mani, e trascinandoli verso il portone sprangato, da cui fuoriescono lesti arrampicandosi come scimmie sulla scala a chiocciola.
Due energumeni sollevano per le braccia Verde, trascinandolo verso la porta, ma lui si oppone, puntando i piedi a terra.
-Mocciosa!!!!- ringhia verso di me.
Gli sorrido dolcemente, inclinando il capo verso di lui a celare il mio sorriso a Miss Toffee.
-L’ho faccio per te…- gli sussurro piano quando mi passa accanto.
Mi fissa con occhi sbarrati, incapace di capire, mentre volto il viso dall’altra parte.
Resto ferma immobile a lato della Miss, fissando i degenti attraversare la sala, oltrepassandomi confusi e curiosi. Li osservo silenziosa, rintracciando tra loro i cerulei occhi di Ebano.
Mi scrutano ansiosi sul da farsi, puntandosi su di me a chiedere spiegazioni.
Sorrido piano, incurvando appena le labbra, per poi annuire per tranquillizzarla.
Ho dovuto agire così, per salvare la mente di Verde, per salvare quel poco di noi che sta iniziando a rivivere in lui. Almeno quei pochi ricordi devono sopravvivere a tutta questa follia.
In quanto a me, non so bene cosa mi aspetti…
Porto lo sguardo su Miss Toffee, che osserva agitata la sala svuotarsi.
-La porterò da Zenit, si, si… da Zenit…- delira, annuendo convinta.
Se mi porterà da Zenit, mi verrà cancellata nuovamente la memoria, non ricorderò più nulla, dovrò ricominciare tutto da capo, ma almeno i miei compagni saranno al sicuro.
I loro ricordi saranno protetti.
Deglutisco, orami sola nella sala, fissando Miss di fronte a me analizzarmi.
I suoi occhietti memorizzano ogni centimetro di me, scolpendoseli nel cranio.
-Andiamo…- sbraita con ghigno compiaciuto, afferrandomi per un polso e strattonandomi fuori dalla sala comune.
Attraversiamo di corsa il portone rinforzato, oltrepassando le scale e varcando a passo di marcia la porta dell’ala medica. I suoi piccoli passetti ticchettano sulle mattonelle chiare della pavimentazione, risuonando isterici sotto il caldo sole che penetra dalle finestre.
-Sarò premiata, non punita… premiata, premiata…-
La osservo schifata dalla sua adorazione idolatrante di Zenit: come si può adorare a tal modo uno scienziato pazzo?!?
La seguo per tutto il corridoio dell’ala medica, incespicando sui miei passi, rincorrendo quelli esaltati e veloci della Miss. Oltrepassiamo l’infermeria, scivolando agili sulle mattonelle, svoltando in rapidità l’angolo del muro per giungere davanti alla ruvida e scura porta dello studio di Zenit.
Il cuore mi si ferma nel petto, singhiozzando pochi ultimi battiti prima di fermarsi del tutto. Sento la pelle tremare infreddolita, spaventata da ciò che sta per succedermi.
Dovrei esserci abituata: è la seconda volta che mi cancellano la memoria.
Ma sapere ciò che sto per perdere, i ricordi di Verde, Ebano, Rufy, mi rivolta le interiora nello stomaco, bloccando ogni mio movimento.
Fremente di euforia, Miss Toffee allenta la presa sul mio polso, alzando la mano opposta a bussare sul vetro granuloso dell’uscio.
Toc toc.
-Dottor Zenit…- chiama con tono acuto e svenevole -… sono Miss Toffee…-
Deglutisco, sgranando gli occhi. Il panico m’inonda le vene, bruciandole fino a trapassarle, incendiandomi la carne.
-Dottore…- bussa ancora.
Il suono roco e rimbombante dei suoi colpi mi fa scoppiare il cranio, echeggiando da tempia a tempia.
-Dottore… posso?-
Esile e tremane, Miss abbassa la maniglia della porta, introducendovi il capo per controllare che Zenit sia presente nello studio. Affaccia anche mezzo busto, strattonandomi dietro di lei e facendomi scorgere mezza scrivania del medico.
È sgombra di ogni carta o cartella medica, coperta solamente dal copri scrivania in cuoio.
-Dottore… è qui?- apre del tutto l’uscio, entrando nello studio e trascinandomi dentro.
La stanza è appena illuminata da un leggero riverbero di luce che filtra dalla tapparella abbassata della finestra, il silenzio più assoluto la regna.
Le librerie ci fissano annoiate, mostrandoci i dorsi morbidi dei libri in esse riposte, la leggera tenda della finestra pigramente si muove per un soffio di vento, animando solitaria lo studio.
È vuoto, non c’è nessuno dentro.
Il dottor Zenit non c’è.
-Dev’essere andato a visitare il paziente della stanza 001…- rimugina Miss, liberandomi il polso e guardando in ogni dove per lo studio.
Il mio cuore inizia a pompare freneticamente, rimettendo in moto il mio cervello andato in palla per ‘agitazione.
Cavolo, che colpo di fortuna!!!!!
Assottigliò lo sguardo, sorridendo malefica, ritrovando la mia vena piratesca e malfattrice. Cammino lenta dietro le spalle della Miss, che come un segugio annusa l’’aria dello studio, cercandovi qualche odorosa traccia di Zenit.
Avanza di un passo nella stanza, permettendomi di sgusciare dietro di lei e avvicinarmi alla scrivania del dottore, senza che se ne accorga, non degnandomi più d’attenzione.
Felina mi avvicino al ripiano di studio, osservandolo metodica fino a posare gli occhi sull’oggetto giusto per questa situazione. Agile afferro lampada verde posta su un angolo dello scrittoio, alzandola nell’aria.
-… non dev’essere andato via da molto, il suo profumo aleggia ancora qu…!!!!-
CRASH!!!
Con un rapido colpo, frantumo la lampada di giada sul cranio corvino di Miss Toffee, facendola stramazzare a terra insieme ai resti verdognoli della lampada.
Un pulsante bernoccolo svetta tra i sottili capelli neri, unico segno di vita del corpicino immobile dell’infermiera stesa a terra. L’osservo per un paio di secondi, per accertarmi che sia del tutto priva di conoscenza, prima di fondarmi a legarla, mani e piedi, con la spina elettrica della lampada da tavolo. Le infilo la sua cuffietta bianca in bocca, imbavagliandola alla bene e meglio, rinchiudendola poi nella stanza dei trofei di Zenit.
Serro lo stanzino chiudendolo a chiave grazie alla mia fidata forcina, ritrovandomi così sola nello studio silenzioso del dottore. Trio un sospiro di sollievo, riprendendo una respirazione regolare e non più agitata, riordinando ben bene i miei pensieri.
Ora come ora il piano di evasione è ancora attuabile. Un po’ più complicato di quanto avessi sperato, ma può ancora funzionare.
Il problema più grande è il Dottore: se è andato a far visita a Rufy, nella sua stanza 001, forse ha trovato la combinazione chimica giusta per lui per cancellargli la memoria.
Stringo i denti: devo muovermi!!!
Con un balzo, salto la scrivania, inginocchiandomi davanti al piccolo ripiano di cassetti a lato del mobile. Apro lo sportellino in legno che protegge l’archivio medico, ritrovandomi davanti la cassaforte blindata di Zenit.
-Chi non muore si rivede…- sogghigno, digitando a memoria la combinazione numerica per aprirla.
L’uscio corazzato si apre con uno schiocco, arrendendosi a me.
Subito estraggo tutte le cartelle mediche contenute nell’archivio, aprendole sul pavimento senza curanza, rovistando fino a tastare, sul fondo d’acciaio della cassetta di sicurezza, il contenitore affusolato delle pillole lilla.
Lo afferro con entrambe le mani, stringendolo come il più prezioso tesoro al mondo.
Lo fisso ben bene, curandomi che siano le stesse pastiglie che ho studiato nella mia prima visita “non autorizzata” nello studio d Zenit.
Sono loro, ne sono certa.
Deglutisco e infilo il piccolo contenitore in una tasca degli short bianchi, alzandomi lesta per uscire da lì. Corro fino alla porta, gettando appena l’occhio sul ripostiglio dove ho rinchiuso Miss Toffee. Nessun rumore esce da lì, e ciò mi basta per credere che la zolletta di miele sia ancora ne regno dei sogni.
Svelta, esco dallo studio, chiudendomi la porta alle spalle e filando nel corridoio dell’ala medica.
La Missha ordinato ai sottoposti di ritirarsi nella guardiola sotto le scale, quindi non dovrebbe esserci nessuno nei dintorni, e se sono fortunata Zenit è ancora al 4° piano dell’istituto a far vista a Rufy.
Corro fino ala porta placcata in bianco della sezione medica, appiattendomi contro l’uscio in acacia ad ascoltare i suoni che provengono dall’androne del manicomio.
Nessun suono riecheggia.
Scivolo silenziosa contro la parete, uscendo dall’ala e avviandomi verso le scale a chioccola.
Con la coda dell’occhio, noto tutti i finti infermieri riuniti nella guardiola semi nascosta dietro l’angolo della rampa, in attesa dell’arrivo della Miss.
Deglutisco, gettando l’occhio sul portone principale della clinica.
Dai vetri traslucidi i raggi del sole filtrano deboli, paurosi di perdersi anch’essi nel manicomio. Prendo tempo, respirando profondamente e preparandomi a balzare verso le scale per raggiungere le stanze dei miei compagni e liberarli.
Inspiro dal naso con forza, infossando gli occhi sul grigio cortile che si staglia oltre la vetrata della porta. Sul fondo, provenendo dalle mura di cinta, una slanciata figura avanza con passo calmo e cadente, ciondolando tranquillo nel suo cammino.
Una pigra scia di fumo esce dalle sue labbra, ultimo rimasuglio della sigaretta che sta spegnendo calpestandola con il tacco neo dei suoi stivali.
Strizzo gli occhi, concentrandomi sull’uomo che si sta avvicinando, notando solo ora il suo lungo camice medico e il sorriso sghembo che gli piega le labbra, circondate da un fine e rasato pizzetto argento.
Si avvicina di un altro passo, necessario a raggelarmi il sangue nelle vene mentre lo scruto nella sua iride di ghiaccio.
“Il Dottor Zenit” penso tremando, fissandolo avanzare lungo il cortile.
Non mi ha visto, troppo preso dal suo bighellonare, ma ormai è vicinissimo, e gli abiterebbe oltrepassare la porta per scoprirmi.
-Merda!!!!- stringo le labbra, voltandomi a controllare gli infermieri nella guardiola.
Sono tutti accalcati tra loro, sganasciando frasi senza senso, e no degnando di mezza occhiata il corridoio e la scala.
O ora o mai più.
Scatto agile dalla porta verso la scalinata, percorrendola velocemente tre scalini alla volta. Non mi fermo sul pianerottolo del primo piano, filando verso la stanza 115, quella di Robin, scalpitando a corto di fiato.
Corro per tutto il primo pian, raggiungendo finalmente la stanza della mia amica.
Estraggo nuovamente la mia forcina, scassinando la porta blindata.
-Robin!!!!- urlo entrando nella stanza, e trovandola seduta sul suo letto a leggere un romanzo.
-Nami!!!!-
Si lancia contro di me, abbracciandomi con forza. La stringo, riprendendo fiato e respirando affannosamente, alzando e abbassando velocemente il petto contro il suo.
-Credevo ti avrebbero cancellato la memoria di nuovo…- sussurra tra i miei capelli disordinati, accarezzandomeli dolcemente.
-Lo credevo anch’io…- ansimo, abbandonandomi al suo abbraccio -… ma ho avuto un tremendo colpo di cul… ehm… fortuna…-
Ridacchia composta, allentando l’abbraccio.
Mi scruta, cercando qualche ferita o segno di violenza, non trovandone.
Tira un sospiro di sollievo, chiudendo per un secondo i suoi azzurrissimi occhi.
-E ora?- domanda riaprendoli.
-Ora? Ora recuperiamo gli altri e poi corriamo da Rufy…- sorrido agguerrita.
Veloci scattiamo verso il secondo piano, scalando la scala agili e in frenabili.
Arriviamo la secondo piano, e subito udiamo dei terribili schiamazzi. Tonfi, urti e il terribile suono d ossa rotte.
-Miss Toffee…- ringhio, paurosa che la zolletta si sia già ripresa dal mio colpo, e che sia arrivata in qualche inspiegabile modo davanti a noi.
Corriamo verso il dormitorio maschile dei pazienti, ma non appena voltiamo l’angolo, il corpo di un inserviente ci taglia la strada, lanciandosi a razzo contro un muro.
-ODDIO MA CHE FANNO QUESTI?!?- salto sul posto, arretrando di un passo mentre un secondo infermiere va a sbattere contro la parete di fine corridoio.
-Ma che sta succedendo?- s’interroga enigmatica Robin, avanzando di un passo verso ala fonte del chiasso.
Avanziamo appena di pochi metri, prima di essere assordate da un ringhio combattivo.
-TECNICA SENZA MANI: ERUZIONE DELLA MONTAGNA!!!!-
Tre uomini prendono il volo, atterrando parecchi metri dietro di noi.
-Ca-cavolo…- sbianco, fissandoli ammaccati e doloranti stesi a terra.
Mi volto verso la sorgente di quell’attacco, e non riesco a trattenere un urlo di gioia nel vedere, ghignate e vittorioso, Verde gettare a terra un altro soldato.
-VERDE!!!!- corro verso di lui.
Si volta a fissarmi, e con il suo solito sorriso a labbra sghembe, apre le braccia verso di me accogliendomi in un forzuto abbraccio.
-Mocciosa…- mi stringe, alzandomi da terra e infossando i viso tra i miei capelli di rame.
Lo abbraccio per il collo, diventando un tutt’uno con il suo petto, sorridendo a più non posso.
Sta bene, sta bene!!!
Mi aggrappo alle sue spalle, desiderosa di non doverle mai più lasciare. Aspirando a pieni polmoni il suo stordente profumo di alcolici e ferro.
-Ho avuto paura per te…- sussurro sul suo orecchio, facendogli tintinnare i tre pendagli dorati.
-Che dovrei dire io?!?- sbotta, allontanando i nostri visi e scrutando il mio –Hai la più vaga idea del colpo che mi hai fatto prende?!?-
Rido per il suo ghigno rabbioso,  tornando a infossare il volto sulla sua gola.
-L’ho fatto per salvare i tuoi ricordi…- mi struscio su di lui.
-Non lo fare mai più…-
Annuisco, riportando i nostri sguardi a incrociarsi.
Il buio petrolio torna a fondersi con il miele chiaro.
Sento le sue mani reggermi per la vita, mentre i nostri petti si scontrano nel respirare calmo. Gli sguardi riallacciano il magnetismo delle nostre anime, che si attraggono affascinate dalla reciproca seduzione naturale.
Glia accarezzo piano il volto, ricucendo con i polpastrelli il labbro tagliato e lo zigomo graffiato, mentre pian piano i nostri volti si avvicinano.
Inclino il mio su un lato, imitandolo, schioccando le labbra sfiorando la sua bocca.
Respiro lentamente, fondendo il mio sapore con il suo, e…
-Scusate se vi interrompo, ma non abbiamo molto tempo a disposizione…-
Atmosfera rovinata!!!
Mi voto a fulminare Robin, grugnendo poco amichevole.
-Ha ragione: presto si accorgeranno della nostra assenza dalle stanze…- mi mette a terra Verde, fissandomi serio.
-Ha un piano?-
-Che domande!!! Certo che ce l’ho: dobbiamo liberare i ostri compagni e poi Rufy!!!- affermo sicura.
-E poi?- domanda Robin, avvicinandosi.
-Poi? Poi sarà il destino a decidere di noi…-
Il buzzurro sghignazza dietro le mie spalle, iniziando a incamminarsi lungo il corridoio.
-Mi piace come piano…- ride.
-Bene, allora andiamo…- annuisco, correndo con Robin verso le scale.
 A metà corridoio però mi fermo, guardando dietro di me.
-Buzzurro!!!- chiamo il verde dall’altro lato del corridoio.
Lui si ferma nel suo correre.
-Da questa parte…- lo informo, indicandogli le scale per il terzo piano.
-Ah…- sbotta, raggiungendoci -… lo sapevo…-
-Si certo…- alzo gli occhi al cielo permettendogli di superarmi.
Al terzo piano, seguendo la mia memoria numerica delle stanze dei miei compagni, porto tutti verso la stanza di Oliva, il cecchino. Con la forcina apro la porta della sua cella, trovandolo rannicchiato in un angolo.
-AAAHHH!!!_ urla spaventato –NON AVVICINATEVI!!! SONO IL GRANDE OLIVA IO!!!! IL PIU’ CORAGGIOSO DEI GUERRIERI!!! STATE LONTANI SE NON VOLETE GUAI!!!!-
Se sei così coraggioso, perchè tremi come una foglia?!?- urlo isterica, prendendolo a pugni.
-Ahia!!!!- si copre il cranio riccioluto.
-Oliva…- entra nella stanza Robin –Sono io, Ebano… vieni: stiamo per evadere…-
-Ah… ma io sto bene anche qui… sai la cucina è buona, il paesaggio allegro…-
-MUOVITI!!!- lo scalcio fuori dalla stanza, gettandolo nel corridoio.
Verde lo fisa divertito, sogghignando.
-E lui è il cecchino?!?- solleva un sopraciglio.
-Si, e tu lo spadaccino…- scavalco il moro rannicchiato a terra, andando a librare dalle manette il buzzurro.
-Sono un cecchino?!?- si stupisce Oliva –Davvero?1’-
-Si, e ora basta ciance e andiamo!!!_ corro verso la stanza di Azzurro.
-Dobbiamo sbrigarci… robin libera Niveo nella stanza 319, e tu buzzurro Nocciola nella 323… la 323 idiota, non la 333!!!!- indico le rispettive stanze, correggendo il verde.
Cavolo, bello si ma orientamento zero!!!
-E io che faccio?!?- si avvicina Oliva, volenteroso di aiutarmi.
-Aiutami a liberare Azzurro…- apro la porta del carpentiere -… gli hanno bloccato braccia e gambe con delle camicie di forza…-
Mi fissa stranito.
-E tu come lo sia?-
-Ho letto la sua scheda.. aiutami dai!!!-
Insieme entriamo nella stanza di Azzurro, che ci fissa stupito.
-E voi…?!?-
-Siamo i tuoi compagni: il sono il coraggiosissimo Oliva, Re dei Cecchini… mentre ei è… è… -
-Arancione…- sbuffo, infilando la forcina nelle serrature blindate delle camice di forza.
-Si… Arancione, la più manesca donna dei mari…-
-Idiota!!!!- ruggisco –Basta scherzare e dammi una mano!!!!-
-S-subito…- corre accanto a me, sfilandomi dalle mani la forcina e aprendo in un lampo le serrature.
-SUPER FRATELLO!!! SEI INCREDIBILE!!!- balza in piedi l’omone, ergendosi nella sua  gigantesca figura.
È alto più di tre metri, e le sue spalle riempiono quasi totalmente la stanza.
-CHE FIGO!!!!!- grida Oliva, con gli occhi lucenti.
-E non hai visto ancora nulla fratello!!!- si mette in un’assurda posa Azzurro, alzando in aria le mani.
-Avete finito?!?- sbotto –Dobbiamo andare!!!-
Usciamo di fretta dalla stanza, unendoci a Verde, Robin, uno strano scheletro dalla pettinatura afro e una piccola renna tremante dietro le gambe del buzzurro.
Una porta sradicata con ferocia e una porta aperta con classe arredano il corridoio, mentre lo scheletro si massaggia una ganascia rossa a forma di mano.
-YOHOHOHO-OH!!!!- rotea fino a me Niveo, inchinandosi a farmi il bacia mano.
-Tu devi essere la coraggiosa Arancione, nostra eroina…- alza i bulbi vuoti su di me -.. se posso: di che colore sono le tue mutandine?!?-
Lo appiattisco al suolo con un pugno fumante, trattenendo a stento un ringhio idrofobo.
Ma che razza di ciurma di pirati siamo?!?
-Yohoho-ahia… bella quanto cruenta…- ridacchia.
-Poverino!!! Stai bene?!?- lo accorre nocciola, toccandolo qua e là.
-Così impara…- sbotto incrociando le braccia al petto, capendo che lo schiaffo sul cranio del mio compagno è opera di Robin per la sua domanda oscena, e lasciando che Verde mi abbraccia sghignazzando.
-Super!!! Sorella sei potente!!!!- si rimette in posa Azzurro, facendo sorridere composta Robin.
-Uff… andiamo…- sprono tutti –Dobbiamo librare Giallo e poi dobbiamo correre verso Rufy…-
Al nome del nostro capitano, tutti si zittiscono, diventando seri.
-Rufy…- mormora Oliva, abbassando gli occhi scuri.
-R-rufy…- storce le labbra a nascondere un tremante sorriso di piangente allegria Nocciola.
-Fratello Rufy…-
-Rufy… yohoho ho…-
Mi mordo un labbro, ben sapendo cosa stanno provando. Il ricordo che abbiamo del nostro capitano è così profondo e importante per noi, che basta il suo semplice nome a trascinarci nel passato buio che ci è stato rubato.
-Forza: andiamo…- ci risveglia Verde, stringendomi una spalle.
Alzo gli occhi su di lui, annuendo.
-Giallo è qui…- indico una stanza verso la fine del corridoio.
L’apro con facilità, circondata da tutta la  ciurma.
Socchiudo l’uscio, inflando dentro il capo incerta.
-Ehm… giallo?- chiamo.
Veloce, un turbine biondo mi assale, atterrandomi con forza.
-Ahh!!!!- grido, trovandomi un ragazzo biondo  con una barbetta scura agganciato alla mia vita, e il capo infossato tra i miei seni.
-AAHHHH!!! LASCIAMI!!!- lo picchio sul capo.
Lui, etereo e con gli occhi a cuori forme, alza il volto sul mio, sbavando indecentemente.
-Dea!!! Sei una dea!!! Ti adoro!!!!!- biascica con un accenno di sangue dal naso che gli cola dalle narici.
Lo fisso senza parole.
-I-io…- balbetto.
-Lei è già impegnata!!!!- mi alza da terra con furia Verde, prendendomi per la vita e abbracciandomi possessivo sui fianchi –Chiaro?!?-
-Orrida Verza!!! Togli le tue indegne mani da una tale bellezza!!!- scatta in piedi Giallo, esibendo un pugno sotto il mento del buzzurro.
-Se cerchi rogna l’hai trovata, capra!!!- ringhia.
-Come osi alga di mare!!! Io… ohhhhhhh!!!! Ma c’è un'altra lady!!!!-
Veloce, si butta su Robin, abbracciandola con enfasi per le gambe, gettandosi ai suoi piedi.
-Fata!!! Sei una fata!!!!- uggiola emanando cuori da ogni dove.
-Uhm… dobbiamo proprio salvarlo?- domanda Verde.
-In effetti qualche problema ce l’ha… forse c’è un perché se è rinchiuso qui…- commenta Oliva, fissando il biondo casanova elogiare con mille moine Robin.
-Yohohoho ho… ha buoni occhi per le ragazze… proprio come me!!! Anche se io gli occhi non ce li ho più!!! Yohohoho ho!!!!-
-Super!!! Il fratello biondo è molto più che “fraterno” con le sorelle!!!-
-Se prova ad avvicinarsi di nuovo alla mia mocciosa, lo affetto!!!-
Mi schiaffeggio la fronte: ma che razza di piati siamo?!?
-Ok, basta sciocchezze: andiamo da Rufy!!!- riporto tutti all’ordine, picchiando con colpi fumanti.
Ci avviamo di corsa sull’ultima scalinata, diretti verso il 4° piano.
Avanziamo veloci, ma non appena raggiungiamo la cime della rampa, un sordo tonfo risuona la piano inferiore.
-Maledizione!!- ringhia Verde –Gli infermieri!!!!-
Annuisco, certa che la sua deduzione sia esatta.
-Siamo quasi arrivati!!!- urlo, oltrepassando la porta aperta del piano.
Azzurro ci fa entrare tutti, prima di barricare il portone, strappando dagli infissi alcune porte del piano, sbarrando l’uscita.
-Dovrebbe reggere…- commenta controllando la sua barriera.
-Bene: così abbiamo guadagnato tempo…- annuisce Giallo, lisciandosi il pizzetto.
Svelti raggiungiamo la stanza 001, portandosi davanti ad essa.
Deglutisco, inginocchiandomi davanti alla serratura.
Infilo la forcina nel buco nero, iniziando ad armeggiare con i cilindri.
Piano, gli faccio scattare uno ad uno, facendoli scivolare tra loro e sui tagli della chiusura.
Clank
Mi fermo, estraendo la forcina.
mi alzo piano da terra, passandomi una mano tra i capelli ramati.
-È aperta…- sussurro dando le spalle ai miei compagni -… la porta è aperta…-
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE:
Scusate per il ritardo, ma ho avuto qualche casino… risparmiatemi la vasca dei piranha per favore, sia per gli errori grammaticali (non ho riletto, lo ammetto), sia per la frettolosità con cui si è chiuso il capitolo…

Zomi

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Capitolo 11
*** Il peso dei ricordi ***


 Il peso dei ricordi
 



Deglutendo pesantemente, poso una mano sul legno scuro e freddo della cella.
È gelido, così freddo da farmi tremare la mano…
Scuoto il capo.
No, non è la porta fredda a farmi tremare: è la paura.
La paura di essere arrivata troppo tardi, la paura che il piano del Dottor Zenit mi abbia vinto sul tempo, che mi fa tremare ogni dito della mano che premo contro il battente dell’uscio.
Chiudo gli occhi sentendo, dietro le mie spalle, l’ansia dei miei compagni gravarmi l’anima.
Prendo un respiro profondo e, riaprendo lentamente gli occhi, do una leggera spinta alla porta, spalancandola verso l’interno della stanza.
Un brivido freddo mi attraversa la spina dorsale, accompagnando il mio sguardo nel perdersi nel buio pesto della stanza.
Strizzo gli occhi, tentando faticosamente di mettere a fuoco l’interno della camera, individuando malamente la finestra sprangata, a cui ero appesa solamente la notte scorsa, sulla parete di fondo.
Pochi raggi di sole filtrano dalle sbarre d’acciaio, disegnando pigre forme rette sul buio pavimento. Attorno alla porta si ritaglia un rettangolino di luce proveniente dal corridoio in cui tutti noi tratteniamo il sospiro. Il resto della cella è immerso nella più totale oscurità, nascondendo tra le ombre più buie il di certo misero arredamento e l’ospite che trattiene.
Non vedo nessuno.
Non riesco a scorgere il sorriso luminoso di Rufy, ne tanto meno i suoi occhi di ametista.
Che sia davvero arrivata troppo tardi?
-R-rufy…?- provo a chiamarlo, sporgendomi con il busto verso l’interno della stanza.
La mia ombra si disegna nel piccolo rettangolo di luce della porta, allungandosi fino a perdersi nell’oscurità. Deglutisco, tremando per la paura di essere arrivata veramente troppo tardi.
Mi guardo alle spalle, cercandolo lo sguardo sostenitore dei miei compagni, che mi fissano speranzosi. Prendo un secondo grande respiro, prima di parlare.
-Rufy… siamo noi… siamo i tuoi…-
-NAKAMA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
Con un balzo improvviso e sorprendete, dall’angolo più remoto della cella, il capitano si mostra a tutti noi, gettandosi di corsa contro di me, buttandomi a terra mentre sghignazza e dimena tra le catene che lo immobilizzando.
-SORELLINA!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ERO CERTO CHE CE L’AVRESTI FATTA!!!!!!!!!!!!!- mi urla nelle orecchie, sfregando rudemente il capo contro il mio, in un a specie di carezza affettuosa, ma riuscendo solo a scompigliarmi tutta la chioma rossa.
-Rufy!!!! Piantala!!!!- lo sgrido, spingendolo per le spalle e riuscendo a togliermelo di dosso.
Mi passo una mano tra i crini, cercando di sistemarli, osservandolo battere tra loro le piante dei piedi in un entusiastico applaudire di gioia.
Sorridendo a 32 denti e sghignazzando gioioso, si siede scomposto a terra con le gambe incrociate, saltellando ogni tanto con il sedere sulla pavimentazione fredda e dura. A ogni balzello, le catene che lo legano suonano tintinnanti, seguendo il ritmo dei suoi limitati movimenti e accompagnando il suo sorriso.
Non riesco a trattenere un risolino di pura gioia nel vederlo così felice.
Alzo lo sguardo a fissare i miei compagni, e li trovo tutti sorridenti e felici, inebriati dalla valanga di ricordi che il solo vedere il nostro capitano rievoca in loro. Nocciola e Oliva si asciugano copiose lacrime dagli occhi, fissandolo adoranti, Azzurro urla indemoniato danzando a braccetto con Niveo, che ride acutamente per tutto il corridoio, mentre Verde e Giallo fissano ghignanti Rufy, celando con imbarazzo la loro felicità più pura e sorprendente.
-Ero sicuro che ci saresti riuscita!!!!- ridacchia Rufy digrignando i denti –Sei riuscita a liberare tutti quanti e a riunirci!!! Sei unica!!!!-
Scuoto il capo, riportando lo sguardo su di lui.
-A dire il vero…- affermo avvicinandomi alla serratura delle catene per liberarlo -… a riunirci tutti quanti è stata Robin…-
Le catene cadono a terra in un sordo scroscio, ammucchiandosi totalmente ai suoi piedi. Lentamente si alza, stiracchiando le braccia indolenzite per la lunga prigionia, prima di posarle sulle ginocchia e far leva per alzarsi.
Resto seduta a terra a fissarlo, mentre sorridente si spazzola la camiciola rossa che indossa. Ha un sorriso da bambinone, ma i muscoli pronunciati e la grande cicatrice a X che gli lacera il petto, sono testimoni della sua grande maturità e coraggio.
Memorie di mille avventure vive sulla sua pelle.
-Robin…- sussurra piano, celando un lieve rossore alle guance.
Sorride felice, sollevando lo sguardo e posandolo sicuro su di lei.
-Robin…- la chiama, fissandola estasiato.
Volgo gli occhi ad osservare la bella mora, pochi passi dietro a me.
È paralizzata, lo sguardo ceruleo perso sulla figura muscolosa e sorridente di Rufy. Stringe forte le mani sul petto, aprendo e chiudendo bocca ad alternanza, cercando di esprimere con le parole, la sua forma d’espressione più sicura e certa, il caos d’emozioni e sentimenti che le stanno esplodendo nel petto, non riuscendoci, smarrendosi nel silenzio del sua memoria.
La vedo sbattere le ciglia ripetutamente, asciugando le lacrime che le inumidiscono l’iride chiara, mentre trema su tutto il corpo, scuotendo lievemente la chioma corvina.
-R-rufy…- riesce a mormorare, prima che un singhiozzo le rompa la voce.
Si porta un mano alle labbra, zittendo altri singulti e ansimi di pianto, ma non riesce ad ammutolirli del tutto e, una dopo l’altra, pian piano arrivano anche le lacrime a mostrare a tutti il suo sconvolgimento.
Le gocce di pianto scivolano lente sul suo profilo sottile, bagnandole la chiara pelle e gli occhi color zaffiro.
Le lacrime irrigano gli aridi ricordi, ridonandogli vita.
La guardo tremare, e non riesco a trattenere un sospiro di compassione.
So cosa sta provando.
L’ho provato anch’io la prima volta che ho rivisto Verde, nella sala comune.
Smarrimento, per un viso importantissimo per noi, ma che non riusciamo a ricordare. Dolore, di un amore perso, rubato, cancellato con così tanta violenza e forza da far sanguinare il cuore di disperazione, nell’essere stato violato nella sua natura più fragile e pulsate. So, che sente un gran vorticare nella sua testa, un continuo movimento di immagini, suoni, parole che non riesce a distinguere, a collocare nel tempo, a cui non riesce dare un giusto significato e valore.
Violenti, i ricordi tentano di riaffiorare, colpendo con forza il muro di nebbia che li segrega nel fondo dell’animo, urlando con rabbia estrema contro quell’ingiusta prigionia, e bramando solo di poter dar un giusto e vero nome a quel viso, così dannatamente importante da sopravvivere alla più crudele tortura, e poter riprendere ad amarlo come un tempo.
-… Rufy…- lo chiama piano, abbassando lo sguardo ai piedi e premendosi una mano alla bocca e l’altra a livello del cuore, che sembra sul punto di scoppiarle nella cassa toracica dalla forza con cui batte, facendola tremare da capo a piedi.
Mi porto una mano al mio di cuore, rievocando il suo battere disperato e sconvolto nel non riuscire a ricordare nemmeno il nome del mio buzzurro. Chiudo gli occhi per un attimo, conscia che, dentro Robin, la follia pura di un amore negato sta scoppiando come fuoco vivo, incendiandole anima e corpo, risvegliando nature e emozioni che non riesce a ricordare da quanto vivano in noi.
-… Rufy… Rufy…-
Distolgo piano lo sguardo dalla coppia, portandolo verso Verde.
Mi fissa, dall’alto della sua imponente figura, serrando le braccia al petto, nascondendo in parte quello tumefatto e violaceo e stringendo le labbra in un sorriso malinconico. La sua iride d’ebano si specchia nei miei occhi color nocciola, allacciando il legame magnetico delle nostre anime.
Anche lui sta rivivendo la scossa elettrica che ha percorso entrambi nel nostro primo incontro, chiedendosi anche lui, in cuor suo, quando finalmente recupereremo del tutto la nostra memoria.
Quando, quando amor mio, ricorderò il tuo nome?
Quando potrò riprendere a bearmi dei nostri ricordi, dei bei momenti passati assieme?
-Sono qui mia Regina…- va incontro a Robin Rufy, aprendo le braccia verso di lei e sorridendole affettuoso.
In un solo attimo, Robin ritrova il sorriso, spostando la mano dal viso e mostrando le rosee labbra incurvate all’insù, in un smagliante sorriso di felicità. Si lancia tra le braccia di Rufy, affondando il capo contro il suo e abbracciandolo con forza per la vita.
-Rufy, Rufy, Rufy… il mio Rufy!!!!- piange sulla sua spalla, lasciandosi accarezzare dalle grandi mani mascoline del moro, che teneramente la bacia tra i sottili capelli, stringendosela al petto per i fianchi mentre le passa una mano sulla schiena.
Sono felice per loro, si sono ritrovati.
Hanno riunito i pezzi essenziali della loro esistenza.
Verde mi porge una mano, aiutandomi ad alzarmi da terra.
L’afferro decisa, vogliosa di non lasciarla più, di allacciarmi a lui e fondermi con la sua pelle per il resto della vita. Anch’io voglio ritrovarlo, dentro di me e nella vita vera. Dolcemente mi attira al suo petto, dove mi permette di addossarmi, perdendomi nel suo calore protettivo.
Poso il capo a livello del suo cuore, ascoltandolo calma e serena, cullandomi nel suo vitale suono. Mi aggrappo alla sua maglia sgualcita, affondando le dita nel tessuto chiaro. Le sue possenti braccia mi stringono, mentre sfrega il mento squadrato tra i miei capelli.
-Anche noi…- sussurra baritonale -… ci ricorderemo…-
Sospiro, alzando il viso su di lui.
-Non vedo l’ora…- sorrido, abbandonando il capo sulla sua mano che mi accarezza la guancia.
-Ti amo…- mi lascio sfuggire dalle labbra di nuovo, chiudendo gli occhi e dimenticandomi dei nostri Nakama che ci circondano.
-Anch’io mocciosa mia…- posa le labbra sulla frangia, stringendomi piano.
Sorrido, per niente imbarazzata o sorpresa dalla sua dichiarazione.
È così ovvio che ci amiamo, che i nostri animi si completano a vicenda, fondendosi in un unico cuore, palpitante e vivo.
Stringo gli occhi per non permettere alle lacrime di bagnarmi lo sguardo e rattristarlo, rovinando il mio sorriso gioioso.
Deglutisco, alzandomi da lui e riprendendo lucidità.
Se vogliamo tornare noi stessi, ritrovarci, prima dobbiamo uscire da questo manicomio.
-Mi spiace interrompervi…- mi allontano da Verde, avanzando di un passo verso Robin e Rufy -… ma non abbiamo molto tempo…-
-La sorella ha ragione…- mi viene vicino Azzurro -… la barricata sulla porta non reggerà a lungo, e credo che i primi infermieri siano già arrivati…-
Ci mettiamo tutti ad osservare la porta sprangata da tavoli e assi di legno, notando alcune vibrazioni, possenti e dure, che la fanno tremare. Mi mordo un labbro, assottigliando lo sguardo.
-Che vengano pure… io non ho paura!!!!- urla Oliva.
-Umpf… e allora perchè ti tremano le gambe?!?- borbotta Giallo, fissandolo serio.
-È un’allergia…-
-Allergia o non, ho proprio voglia di sgranchirmi le mani…- fa schioccare tra loro le nocche bronzee Verde, avanzando di un passo verso la porta serrata, sfoggiando un ghigno diabolico.
-… cerca di non darti tante arie, alga di mare… non fai paura a nessuno con quella verza che hai in testa…-
-Che ha detto sopracciglio a ricciolo?!?- ringhia, voltandosi verso Giallo.
-Che sei ridicolo, ecco che ho detto!!!!-
-Io ridicolo?!? Ha parlato quello che ha mezzo casco di banane in testa!!!-
-Stupida verza, io ti ammazzo!!!-
Il biondo casanova brandisce una gamba contro il buzzurro, che la blocca a mezz’aria con le mani, continuando a sbraitarsi contro.
-Super!!!! Vai fratelli!!!-
-Yohohoho-ho… che zuffa interessante… mi ricorda qualcosa…-
-Speriamo non si facciano male…- borbotta Nocciola, mentre Robin e Rufy ne approfittano per scambiarsi un tenero bacio e qualche altra frase d’amore.
-BASTA!!!!!- mi altero, picchiando tutti quanti mentre una vena scarlatta mi pulsa sulle tempie –DOBBIAMO DARCELA A GAMBE E NON BIGHELLONARE!!!!-
-Ouch… bella Arancione: sei bellissima anche quanto ti arrabbi!!!!- striscia verso di me Giallo, sebbene massacrato e dolorante.
-Non ci provare, damerino: lei è mia!!!- ringhia Verde, massaggiandosi un bernoccolo rosso che gli svetta dalla zazzera.
-La bella Arancione ha ragione: siamo disarmati e non possiamo affrontare gli infermieri così…- mi affianca Niveo, dondolandosi nella sua scheletrica figura.
-Sono numerosi… dalle spinte quasi due centinaia…- mugugna Azzurro, incrociando le braccia la petto e fissando ansioso la sua barricata scricchiolare.
-Forse dovremmo nasconderci…- trema impaurito Oliva, abbracciando spasmodicamente Nocciola, che sussulta preso dal panico.
-Che ne è stato del “io non ho paura”, nasone?!?- sghignazza Giallo –E comunque non abbiamo molte possibilità: o li affrontiamo e ci facciamo strada in mezzo a loro o stiamo qui a farci catturare di nuovo…-
Annuisco, d’accordo con lui.
Non abbiamo ne tempo ne scelte.
Guardo i miei compagni, silenziosi e persi nei loro pensieri, fino a incontrare lo sguardo divertito e smanioso di menar le mani di Rufy. Il luccichio dei suoi occhi neri non mi è nuovo, anzi, mi è così famigliare da farmi venire un nostalgico brivido di freddo giù per la schiena.
-Che stai pensando?- gli domando timorosa.
Lui alza lo sguardo su di me, allentando la presa sulla vita di Robin e incrociando le braccia dietro il capo moro.
-Hihihihi… mi è venuta un’idea…-
Un secondo terrificante brivido.
-Che idea?- avanza accanto a me Verde, ghignando interessato.
-Su come superare gli infermieri senza doverci battere direttamente con loro…-
-Davvero?- s’illumina Robin, fissandolo stranita.
-Si… è sarà pure divertente…-
Terzo agghiacciate brivido sulla schiena.
-Ho un brutto presentimento…- arretra di un passo Oliva, sbarrando gli occhi.
-Anch’io…- sospiro, fissando il ghigno convinto di Verde.
-E poi dobbiamo anche recuperare il mio cappello di paglia: me l’hanno tolto quando ci hanno rinchiuso qui!!! Io lo rivoglio!!!- pesta i piedi con fare infantile Rufy, facendo sorridere intenerita Robin.
-Non abbiamo tempo per certe cose!!!! Se non ci muoviamo gli infermieri ci spellano vivi!!!!- gracchia pauroso Oliva.
-È il mo cappello!!! Senza di lui non si va da nessuna parte!!! E poi il capitano sono io e decido io!!!!- s’impone, storcendo le labbra in una smorfia da bambinone.
Scuoto il capo, cercando di togliermi di dosso la mia diffidenza, analizzando la situazione.
-Ok, ok… recupereremo anche il tuo cappello…- sbuffo, passandomi una mano tra i capelli.
Sospiro, prima di scervellarmi e stendere un piano.
-…Vada per l’idea di Rufy per liberarci degli infermieri…- affermo sicura, guardando ogni mio compagno -… ma come raggiungiamo le armi? Di certo sono in qualche ambulatorio nell’ala medica, e non credo che avremo il tempo necessario per perquisire ogni singola stanza…- prendo un respiro, continuando -… in più, gli infermieri non sono semplici operatori sanitari, ma soldati della Marina, addestrati e armati…-
Nocciola trema, aggrappandosi a un ferroso polpaccio di Azzurro, che digrigna i denti.
-Questo è un problema…- mugugna ferroso.
-In più…- aggiunge Robin, aprendo le braccia e parlando a tutti -… non siamo ancora in possesso dei nostri ricordi: se anche riuscissimo ad armarci e a raggiungere il cortile, e da lì il portone principale, come useremo le nostre abituali armi senza riconoscerle?-
Sgrano gli occhi, ascoltandola attenta, portando istintivamente una mano alla tasca posteriore dei miei short. Un rigonfiamento ovale e piccolo alza la stoffa in jeans bianco, facendomi sorridere felina.
-Per quello non mi preoccuperei…- estraggo l’ampollina delle pillole lilla -… quando Miss Toffee mi ha portato nello studio del dottor per consegnarmi a lui, Zenit non c’era, e io ne ho approfittato per “illuminare” con la mia parlantina la dolce infermiera e prendermi un piccolo souvenir…-
Esibisco il contenitore trasparente, facendo oscillare impercettibilmente le piccole pastiglie lilla.
-Caramelle!!! Si!!! Me ne dai una?!?- saltella Rufy, ma lo appiattisco subito al suolo con un pugno.
-Non sono caramelle, scemo…- sbotto -… erano dentro la cassaforte di Zenit. Insieme a loro c’erano anche le pillole azzurre che ci somministravano ogni mattina, e che credo servissero a mantenere instabile la nostra memoria… ergo queste…-
-… dovrebbero ridonarci i nostri ricordi…- conclude Robin, esaminandole con occhio attento.
-Ma ne sei sicura Arancione?- mi si avvicina Nocciola, scrutando medico le pastiglie.
-Non ne sono certa, ma ci spero… Se Zenit ha inventato una pillola per cancellare i ricordi, deve anche aver studiato un modo per ricrearli, no?-
-E se così non fosse?- sussurra Niveo, lisciandosi il mento bianco.
Mi ammutolisco, mordendomi un labbro.
Non so che rispondere. Ho basato tutte le mie speranze di ritrovare le nostre memorie in queste pastigliette, senza studiare per bene un secondo piano di emergenza. Forse sono una evoluzione delle pillole blu, forse sono una variante più potente e definitiva, forse sono solo caramelle…
Stringo con entrambi i palmi la boccetta, abbassando lo sguardo.
Nuovamente sto rovinando tutto per colpa della mia ansia di ritornare alla vita vera.
-Non abbiamo più il nostro passato: che altro abbiamo da perdere…- sbotta Verde, prima di afferrare con gesto rude il flacone di vetro dalle mie mani, e aprirlo con un sonoro schiocco.
Veloce, prende in mano una delle pastiglie, ingerendola tutta d’un fiato, alzando vigorosamente il Pomo d’Adamo in un deglutire secco.
Lo fisso esterrefatta, spalancando la bocca incapace di credere al suo gesto sconsiderato. E se avessi frainteso tutto? E se ora perdesse nuovamente tutto ciò che ah ritrovato di noi?
-Buzzurro, non…-
-Mi fido di te…- ghigna.
Con un rapido gesto di mano, passa il contenitore a Giallo, che sorridendo con labbra sghembe lo imita, ingerendo senza battere ciglio una pastiglia lilla, offrendolo poi ad Azzurro che ne ingurgita a mano piena, sorridendomi poi ghignate.
-Come posso non fidarmi della mia sorellina?- mi strizza l’occhio.
Pian piano, ognuno di noi prende la pillola, fidandosi delle mie dubbiose deduzioni.
Stringo forte la mia nel palmo della mano, pregando cocciutamente di non aver peggiorato la nostra situazione, prima di gettarmela in bocca e inghiottirla in un secco moto della gola.
-Bene…- sorride Rufy, piegando un braccio davanti a se e mostrando un pugno, mentre porta l’altra mano ad abbracciare il bicipite contratto -… e ora andiamocene da qui…-
Lo fisso seria.
-A tal proposito: non ci hai ancora detto in che consiste il tuo piano…-
Mi guarda sogghignate, riproponendomi quella luce da folle nei sui occhi bui.
-Hihihihi… ci sarà da divertirsi…-
-Che intendi dir… EEEEHHHHHH!!!!!-
L’urlo di Nocciola spaventa tutti noi, facendoci strabuzzare gli occhi verso Rufy che, agile e potente, con un sol pungo ha abbattuto la parete di fondo della sua cella, scaraventandola giù per i 4 piani dell’istituto, alzando un gran polverone nell’intero corridoio.
-HA ALLUNGATO IL BRACCIO!!! HA ALLUNGATO IL BRACCIO!!!!- corree in cerchio per il panico la piccola renna, mentre la mascella di Oliva sbatte contro la pavimentazione per lo stupore.
-SUPER!!!!!! Sei mitico fratello!!!!!!!!!!!!!!-
-Uhm… efficace come colpo…- borbotta Verde, massaggiandosi il mento.
-Yohohoho-ho… non mi è nuova nemmeno questa immagine… forse però le mutandine di Arancione e Robin si mi sarebbero nuove: me le mostrereste?!?-
-Pazzi, pazzi… sono circondata da pazzi!!!- mi spiaccico una mano in volto, scuotendolo disperata, mentre Robin sorride serafica battendomi una mano sulla spalla.
-Fatto!!!- esulta Rufy –E ora giù!!!!-
-E QUESTO SAREBBE IL TUO PIANO, RAZZA DI BABBEO?!?- sbraito, trattenuta dal malmenarlo da Robin.
-Ehm… si…- si gratta il capo moro.
-Sigh… ti prego Robin: riportami da Zenit… voglio dimenticarmi di questo stupido!!!!- piagnucolo sulla spalla della mora.
Possibile che debba sempre pensare a tutto io!!!!
Provo a ragionare, calcolando velocemente tutte le possibilità di salvezza che avremmo se ci calassimo dal varco aperto sul muro da Rufy, ma i miei pensieri sono interrotti dal scrosciante rumore di legno spezzato.
-Maledizione!!!- ringhia Verde –Hanno abbattuto la barricata!!!!-
In un attimo una folla armata e urlante di uomini invade il corridoio, dirigendosi rapidamente verso di noi, brandendo in aria spade e pistole.
-Cavolo: non abbiamo più tempo!!!!!- sbraita Giallo, irrigidendosi ringhiando.
Rufy flette le gambe, stringendo i pugni nelle mani e ringhiando battagliero, ma non siamo pronti per affrontarli e non credo che riusciremo mai a batterli.
-Accidenti…- sibili tra i denti, fissando i marine avanzare.
Cavolo, cavolo, cavolo… e ora?
-Rufy!!!!- urla Robin –Giù!!!!!-
La fisso non capendo, per poi spostare lo sguardo sul moro, che sorridente e divertito annuisce.
-Come desideri mia Regina!!!- ridacchia.
Velocemente allunga le braccia attorno a noi, accerchiandoci, per poi stringere gli arti e ammassarci a lui in un abbraccio stritolatore.
-Ehi!!!- strillo presa alla sprovvista.
-Che fai Rufy?!?- sbraita Verde, stringendosi a me e proteggendomi ulteriormente nel suo abbraccio.
-Yohohohoho-ho!!!! Che abbraccio stritolatore!!!!-
Rufy sghignazza, e con un balzo si porta sul limite del varco che ha creato nella parete, sbilanciandosi pericolosamente sul bordo scosceso dei mattoni spezzati.
-Attento!!!- urla Giallo –Se le mie Dee si fanno male, ti scuoio babbeo!!!!-
Fisso il cortile grigiognolo sotto di noi di parecchi metri, e assumo una colorazione violacea.
-Oh Kami!!!- mi aggrappo alla maglia di Verde.
Rufy ride, sballottandoci di qua e di là sul confine della cella, spostando con equilibrio precario i geta uno davanti all’altro.
-Fermi dove siete!!!! Siete circondati!!!!-
Mi volto verso la porta spalancata della cella 001, vedendo spuntare dal nulla un marasma indecifrabile di braccia  e canne di pistole e lame scintillanti di spade, tra cui svetta piccola e diabolica, la figura rabbiosa e ringhiante di una minuscola infermiera.
-DOVE PENSATE DI ANDARE, PIRATI?!?- urla idrofoba Miss Toffee, con i capelli spettinati spioventi sugli occhi sbiancati di rabbia, e un rivoletto scarlatto di sangue a tratteggiarle la fronte.
Le ghigno in faccia sicura di me, mentre percepisco i passi di Rufy sempre più precari sul limite dell’edificio.
-Accidenti, sorella!!! Ma che le hai fatto a quella?!?- sghignazza Azzurro.
-L’ho illuminata…- sorrido.
Il ringhio roco e idrofobo di Miss mi fa ben capire che mi ha sentito, e il suo ordine di aprire il fuoco su noi, non cela un aspro sentimento di rancore.
Le pallottole volano nella stanza, sferzando l’aria e giungendo fino a noi.
Alcune rimbalzano contro la pelle gommosa di Rufy, altre tintinnano sul braccio alzato a proteggerci di Azzurro.
-Maledizione!!! Rufy fa qualcosa!!!!- sbotta Giallo, coprendo il capo di Nocciola con il busto.
-Hihihihi… come vuoi Sanji!!!!-
Ridendo, si gira verso la gendarmeria, beffandola, e con un ultimo ghigno. Debolmente inizia ad oscillare all’indietro, inarcando le suole dei sandali.
Oh Kami non vorrai mica…
-NO, NO, NO, NO!!!!!- iniziamo a gridare io, Nocciola e Oliva, sbiancando e dimenandoci per raggiungere a strozzare il capitano –NON CI RPROAVARE NEMMENO PAZZO!!!!-
Ma Rufy, ghignate e divertito, non ci ascolta e si da una debole spinta all’indietro, strattonandoci tutti giù per i 4 piani dell’edificio.
I miei occhi sbiancano percependo la caduta nel vuoto, e non riesco a trattenermi dall’urlare con tutto il fiato che ho in gola, stringendomi a Verde per la paura.
-PAZZO!!!! COSI’ CI SFRITTELIAMO!!!!- piange Oliva, aggrappandosi a Niveo.
-YOHOHOHOHO-HO!!!!! NON VOGLIO MORIRE, ANCHE SE IO SONO GIA’ MORTO!!!!!-
-AAAAHHHHHHH!!!!! IO TI UCCIDO RUFY!!!! SE NE USCIAMO VIVI, TI UCCIDO!!!!!- mi stringo al buzzurro, che sghignazza divertito.
Cadiamo per 20 metri, urlando come disperati e sgolandoci contro quel pazzo di capitano, che ride per tutto il tempo, abbracciandoci stretti.
-Hihihihi…-
Ho le lacrime agli occhi per la paura: mancano solo 10 metri al ghiaino del cortile.
-AUIUTO, AIUTO, AIUTO!!!!- urlo nelle orecchie di Verde, che continua a sghignazzare stringendomi a lui, e approfittando per affondare il viso tra i miei capelli rossi.
-AIUTO, AIUTO, AIUTO!!!!!-
Le lacrime di Nocciola mi bagnano il viso, mentre Oliva perde i sensi e si lascia sballottare dalle urla dei compagni. Mancano poco meno di 5 metri al cortile.
Chiudo gli occhi, preparandomi allo schianto, infossando il viso contro i pettorali del buzzurro, reggendomi a lui con forza.
Meno 3, meno 2, meno 1…
-GUM GUM BALOON!!!!!!!!!!-
Un urlo divertito sostituisce lo schiantarsi disumano dei nostri corpi nel cortile, e un movimento brusco e violento ci riporta verso l’alto, sballottandoci gli uni contro gli altri. Senza preavviso, Rufy si è gonfiato come una mongolfiera, attutendo la caduta, e balzando elastico contro il cortile. Veniamo sparati in aria, continuando ad urlare, mentre precipitiamo nuovamente verso terra, su cui iniziamo a rimbalzare come palline da tennis, scontrandoci contro il cortile e la facciata del manicomio. Rimbalziamo su e giù per la parete dell’edifico, saltando sui sassi dell’aia.
Gli oscillamenti si fanno più bruschi e agitati, smuovendoci contro le mura di contenimento che, come delle lancette di un flipper gigante, ci urtano vero l’istituto.
Oh Kami, sto per vomitare!!!!
Violento e brutale, il colpo ci fa schiantare sulla parete dell’ala medica, che trapassiamo come una palla di cannone, sfondando tutte le mura e le travi che ostacolano il nostro disastroso cammino.
Un gran polverone si alza intorno a noi, mentre l’abbraccio di Rufy si allenta liberandoci e scaraventandoci un po’ ovunque nella stanza in cui il nostro rimbalzare è cessato.
Vengo sparata contro un mobile insieme a Verde, che attutisce la mia caduta proteggendomi con le braccia, ma da cui scivolo per il forte impatto con il pavimento.  Calcinacci cadono da ovunque, sia dal soffitto che dalle pareti sfondate, e nel polverone che si alza riesco a distinguere solo delle scintille libere di alcuni lampadari sradicati dal tetto.
-Cough… cough… Bu-buzzurro…- chiamo, alzandomi dal pavimento e cercandolo a tentoni -… buzzurro?-
Tocco qualcosa di morbido, sottile e corto, impiastricciati di un qualcosa di unto e viscido.
Capelli, capelli macchiati di sangue.
-Buzzurro!!!- urlo, alzandogli il capo e portandomelo al petto –Buzzurro, buzzurro!!!-
-Blll…-
Mugugna un che di indefinito, mentre si aggrappa alle mie spalle e struscia il capo tra i miei seni. Lo aiuto ad alzarsi, riuscendo a intravedere i contorni squadrati del viso tra la nebbia di polvere che inizia a scemare. Un piccolo rivolo di sangue gli macchia la fronte, scendo da un taglio lieve.
-Buzzurro…?!?- alzo un sopracciglio dubbiosa, notando una frangia sul suo occhio sinistro.
-Blll… morbide… sono così morbide… bllll…-
La nebbia si dirada del tutto, e mi ritrovo tra le tette Giallo, che bavoso e sanguinate dal naso, si struscia su di me.
-AAAAHHHHH!!!!- ringhio rabbiosa –LEVATI DI TORNO!!!!-
Lo lancio sulla parete opposta a me con un pugno, facendolo schiantare dietro una Robin leggermente dolente e un Niveo con le gambe all’aria.
-Mo-mocciosa…-
Dietro le mie spalle Verde mi chiama, e subito mi precipito ad aiutarlo per alzarsi. Non ha tagli, a parte quelli che si è procurato contro gli infermieri questa mattina. Lo accarezzo sul viso, pulendolo dai calcinacci, non badando alle urla gioiose dei miei Nakama.
-SUPER!!!!!!!! TROPPO FORTE!!!!!!Chi si fa un altro giro?!?-
-IO, IO, IO!!!!! FRANKY, ME LO FACCIO IO!!!!!!!-
-SIIIIIIIIIIIII, FRATELLO RUFY!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! QUESTA VOLTA PARTIAMO DAL TETTO!!!!!!!!-
-SIETE SCEMI O COSA?!?- strilla Nocciola –PER POCO NON CI LASCIAVAMO LA PELLE TUTTI QUANTI!!!???!!!-
-Ah… ho tutte e 10 le ossa rotte…- si lamenta Oliva, trascinandosi sul pavimento.
-Oh, lascia vedere a me… e comunque non hai solo 10 ossa…- lo visita istintivamente Nocciola, distraendosi da Azzurro e Rufy.
-A no?!? Allora mi sono rotto tutte e 21 le ossa…-
-… uhm… no… sei tutto a posto… e comunque sono di più…-
-30? 40? 51?!?-
-State tutti bene? Mie Dee?!?- domanda Giallo, ispezionandoci.
-SCUSA TANTO SE SIAMO VIVI ANCHE NOI EH!!!!!- sbraita in coro il resto della ciurma.
Scuoto il capo, liberandomi delle ciarle di tutti, concentrandomi su Verde e esaminando ogni parte del suo corpo, controllando che sia tutto a suo posto.
-Sto bene, mocciosa…- mi accarezza il viso -… niente di rotto…-
-Lasciami vedere…- apro le sue mani, osservandogli i palmi.
-Se insisti…- si avvicina a me, sfiorandomi la pelle del viso con la punta del naso -.. ma non prenderci troppo gusto a farmi da infermiera…- sussurra sensuale al mio orecchio, facendomi arrossire.
-Si, stai bene…- sorrido, alzandomi da terra e raggiungendo gli altri.
Nocciola sta controllando tutti, come da bravo medico di bordo qual è, e io ne approfitto per guardarmi attorno nella stanza in cui ci siamo catapultati. Noto che tra il marasma generale di mattoni rossi pezzati, calcinacci volanti e intonachi smembrati, alcune mensole sono rimaste in piedi.
Su di loro, impolverati e legati a un esile bigliettino identificativo scritto con calligrafia storta, ci sono vari oggetti: una fionda gigante verde legata a una borsa beige, una lunga katana dall’elsa decorata con ossi vari, un pacchetto di sigarette,  un bastone bombato di metallo blu elettrico e tre katane legate assieme.
Sbarro gli occhi, fissandoli sulle ultime tre armi, riconoscendole: sono quelle che Verde usava nel combattimento contro Zenit in mare, per difendermi.
Deglutisco, studiando ogni centimetro di stanza rimasta in piedi dopo il nostro disastroso arrivo. Osservo le macerie ammucchiarsi tra loro, sollevando una leggera nebbia grigia, mentre la foschia dei miei ricordi inizia a diradarsi.
Mi avvicino alla mensola, sorda ai richiami dei miei compagni.
Conosco tutti questi oggetti, sono familiari come i loro volti.
Riconosco le spade i Verde, una rossa, una nera e quella bianca, la più importante per lui. Le accarezzo con lo sguardo, ritrovando in fondo all’anima, mille immagini in cui la loro scintillante lama mi ha allontanato dalla morte. I ricordi mi trapassano la cornea nocciola, annebbiandomi la vista e sostituendo alle macerie penzolanti, spade incrociate su dune di sabbia e tra le liane di una foresta immersa tra nuvole bianche.
Deglutisco, scuotendo il capo e spostando lo sguardo sul pacchetto di sigarette.
Sono lontane, ma riesco a sentirne il forte odore di mentolo, misto a qualcosa di più spezzato e forte.
Cannella… origano… coriandolo…
-Casa…- sussulto, associando l’intenso profumo che emana quel pacchetto sgualcito a un luogo così familiare e protettivo da venir chiamato casa direttamente dal mio cuore.
-Ra-ragazzi…- chiamo tutti attorno a me, indietreggiando di un passo dalla mensola.
Mi accerchiano curiosi, restando imbambolati davanti agli oggetti polverosi, che silenziosamente ci fissano da sopra il ripiano, richiamando momenti ed emozioni celate.
Oliva si getta ad afferrare la gigantesca fionda verde, portandosela sotto al pronunciato naso e accarezzandola dolcemente, stringendo possessivo la tracolla nocciola.
-Questa…- mormora, passando il palmo aperto su una fascia bianca stretta sull’impugnatura -… questa è mia…-
Lo fisso concentrarsi sull’arma, prima di aprire la borsa e immergere sicuro la mano, rovistando vigorosamente.
Accanto a me, Giallo si stiracchia il collo, prima di afferrare deciso il pacchetto di sigarette e stringerlo forte tra le dita. Le nocche della sua mano sbiancano fino a scricchiolare, prima di battere esperto il fondo del pacchetto e farne saltar fuori una lunga cicca bianca.
La morde con i denti, dandole fuoco rapidamente con un piccolo fiammifero che sporge dal pacchetto. Sbuffa, avido e affamato di tabacco, un sospiro, aprendo poi le labbra a creare una leggera nuvola di fumo, liberando nell’aria un acre odore di mentolo e cannella.
-Dio…- sbuffa nascondendo lo sguardo sotto la frangia -… quanto mi è mancato…-
Sorrido per il rilassamento estremo delle sue labbra sorridenti, seguendo, con la coda dell’occhio, la bronzea mano di Verde afferrare le katane e alzarle nella luce solare che entra nella stanza squarciata.
Le osserva attento, corrugando le sopracciglia nel riordinare le immagini, fugaci e roventi, che gli appaiono agli occhi.
-Sono le tue…- sussurro piano -… mi hai salvato un mucchio di volte con loro…-
Ghigna, annuendo e legandosele al fianco.
Sorrido, riconoscendolo finalmente come l’uomo ghignate e spavaldo del mio sogno.
-Dev’essere il magazzino delle armi…- afferma saggia Robin, mentre Niveo afferra la katana decorata -… qui devono aver riposto tutte le nostre cose dopo la prima perquisizione…-
-Davvero?!? Allora c’è anche il mio cappello!!!!!!!!!!-
Esaltato, Rufy inizia a rovistare in ogni dove, chiamando a gran voce il suo adorato copricapo.
Non gli degno più di tanta attenzione, nemmeno quando lancia una pezzuola nera contro Verde, urlandogli che è la sua bandana da combattimento.
Tremante, mi alzo sulle punte dei sandali, a sfiorare l’asta metallica blu che resta solitaria sulla mensola.
L’accarezzo appena, sentendola vibrare sotto i polpastrelli al mio tocco leggero. È fredda, quasi ghiacciata, ma sento una vena pulsante di calore attraversarla nel centro di essa. Inclino il capo, osservandolo bene.
Ho la strana sensazione di smarrimento e di piacevole tormento.
Come quando si è in mare, e una terribile tempesta si espande nel cielo oscurandolo con le sue nubi oscure. Il cuore inizia a pompare a mille, l’adrenalina ti scalda le vene, ma non provi paura, almeno io non la proverei. Anzi.
Mi ecciterei davanti a questa nuova potenza naturale, ghignandole contro e affrontandola strafottente e sicura di me.
Sorriso, afferrando saldamente l’asta metallica.
La faccio roteare esperta nel palmo della mano, sentendola vibrare allo stretto contatto morbido delle mie dita, per poi lanciarla in aria e riafferrarla saldamente dietro la schiena con due semplici polpastrelli.
La sento vibrare percettibilmente sulla pelle, scintillando una nostalgia romantica e soave, come la pioggia primaverile.
-Si…- sussurro piano -… mi sei mancato anche tu, Sansetsukon…-
-TROVATO!!!!!!-
Con un urlo ghignate, Rufy riemerge da una montagna di assi legnose spezzate, esibendo nell’aria polverosa un sgualcito cappello di paglia con un fascia rossa .
-Piciù!!!!- lo bacia stringendolo con entrambe le mani –Mi sei mancato così tanto!!!! E ora…- se lo infossa sul viso, lasciando visibile solo il suo ghigno divertito -… spacchiamo tutto e riprendiamoci le nostre vite!!!!!-
Esplodiamo in un boato di urla e acclamazioni, gettandoci verso il cortile, attraversando e scavalcando le macerie prodotte.
Già da lontano possiamo notare l’ammassarsi confuso e ringhiante dei marine, che scesi dal pian superiore ci attendono al varco per fermarci. Forti ruggiti provengono dalle finestre dell’ala dei pazienti, non appena mettiamo piede all’aria aperta del cortile, segno che gli altri finti malati si sono accorti di noi e che ci sostengono.
Con slancio e forza, ci lanciamo contro i soldati, avventandoci violenti.
-GOM GOM PISTOL JET!!!!-
Con un solo pugno, Rufy stende tutta la prima linea, che non ha nemmeno il tempo di rendersi conto del nostro attacco e difendersi, ritrovandosi già stesi a terra.
-Pop Green: arma mortale Banana Jam!!!!-
Con precisione impressionante, Oliva lancia tre piccole banane rosse nell’aria, che sia aprono come bocche, ricadendo e ingurgitano parecchi uomini.
-Super!!!! Sei super… ehm… Usop?!?- urla incerto Azzurro.
Il ricciolo si ferma, osservandolo esterrefatto, prima di sorridergli e mostragli il pollice alto.
-Si, Franky!!!!- allarga le labbra carnose.
Li fisso sorridente. Ma certo!!!
Quei due sono Franky e Usop, i migliori carpentieri e aggiusta tutto del mondo!!!!
Mi sorprendo, ricordandomi di loro, e subito mi volto verso Nocciola, che sferra zoccolate potenti, urtando con le sue corna parecchi soldati oltre le mura protettive.
Lui è il nostro medico, il nostro tenero e dolce medico, che s’imbarazza e ondeggia ad ogni complimento. Lui è, lui è…
-Chopper!!!!- grido, sparando istintivamente un fulmine contro un marine che prova ad attaccarla da dietro le spalle.
La renna si volta a fissarmi, sorridendo felice con i lacrimoni agli occhi.
-Oh Nami!!! Ti ricordi di me!!!!- piange gioioso.
-E come potrei dimenticarmi del miglior medico del Grande Blu?!?- gli faccio la linguaccia, roteando il bastone nell’aria e scagliando varie cariche elettriche sui soldati che ci circondando.
Ridacchio, emanando una lingua di fuoco tra i soldati, ustionandoli e facendoli allontanare da noi, mentre avanziamo tra il caos generale.
-Dos Flor…- chiama soave Robin, facendo fiorire due mani sulla schiena di un marine, e spezzandogli il collo.
Sorrido compiaciuta: non ho sbagliato le mie deduzioni sulla pastiglia lilla.
Stiamo ricordando, stiamo ricordando davvero!!!!
A colpi di lotta avanziamo nel cortile, come con grandi scossoni e immagini spezzate, la nostra mente si riapre ai ricordi, lasciandoli avanzare in noi.
Alcuni sono lievi, timidamente appena accennati, come i litigi con Rufy per la sua ingordigia, o le domane oscene di…
-Brook!!!! Che cavolo fai?!?-
-Yohohoho-ho!!! Ma Franky, mi pare ovvio: bevo un sorso di thè!!! Yohohoho-ho!!!!!- gorgheggia esibendo un termos, uscito da chissà dove, e una tazza con il teschio afro.
-Slurrrrrr…- emette un terribile risucchio, affrontando con la mano libera un avversario –…oh dolce Nami, mi mostri le tue mutandine?!?-
Ecco, appunto…
Altri ricordi invece sono travolgenti, disorientanti.
Ti annebbiano la vista e di rubano le forze, gravandoti sulle spalle come macigni irremovibili.
Alcuni ricordi sono pesanti come il dolore che conservano.
-LANCE TEMPO!!!!!- urlo affannata, lanciando un potete tuono contro un gruppo armato.
Respiro a fatica, cercando di mantenere lo sguardo sul campo di battaglia, e di non perdermi nelle immagini che mi si affacciano sugli occhi, annebbiandomi la vista.
Stringo la mia arma con entrambe le mani, socchiudendo un occhio e ringhiando, mentre lo sguardo si offusca, facendomi perdere la cognizione della battaglia.
Tento di abbattere un soldato, lanciandogli addosso una lingua di fuoco, ma quello si butta di lato, rimbalzando sul terremo come e fosse un morbido letto…
 
Un letto…
Un letto di fortuna. Sgualcito, logoro, assemblato alla bene e meglio con paglia e coperte varie.
Sopra ci riposa qualcuno…
 
Scuoto il capo, tornando alla realtà appena in tempo, riuscendo a controbattere l’affondo di lama di un marine con l’asta del bastone, difendendomi.
-M-maledizione!!!!- digrigno i denti, opponendomi alla sua forza.
Ruoto le suole delle scarpe, fino a girare su me stessa e spostare il Sansetsukon in posizione orizzontale, agitandolo contro il soldato e colpendolo sul basso ventre, facendolo accasciare al suolo. Sbuffo per lo sforzo, preparandomi a fronteggiare uno spadaccino della marina che avanza lanciato verso di me, sguainando in aria la sua spada…
 
Spade…
Ce ne sono tre a lato del giaciglio. Non sono abbandonate, no, sembrano solamente in attesa.
In una silenziosa fremente attesa.
In attesa di cosa?
Sospiro, non so nemmeno io perché. È un respiro profondo, paziente, in sospeso nel tempo e nello spazio. Attendo anch’io.
Attendo, come le katane, il suo risveglio...
 
Digrigno i denti, serrando gli occhi per lo sforzo di concentrarmi e rivivere il ricordo.
Tutte le mie energie si dividono tra il passato che riaffiora e il presente che lotta. Sento lunghe scie di sudore freddo colarmi dalle tempie e giù sulla schiena, rabbrividendomi la pelle che sussulta scossa.
Con difficoltà riesco a fronteggiare lo schermidore della Marina, inchinandomi a terra per evitare il suo affondo, e colpendolo con la punta affilata del bastone tra le costole. Lo sento mugugnare un’imprecazione sopra la mia testa, prima di cadere al suolo e rimanervi rannicchiato e inerme.
Deglutisco, affaticata dal combattimento ma soprattutto dai flash improvvisi e sconvolgenti della mia mente.
I ricordi che sto vivendo mi gravano su tutto il corpo, appesantendo non solo le membra, per lo sforzo di sostenerli assieme alla lotta, ma anche la mente, scossa e ferita dal carico emotivo che rivivo rivedendomeli davanti agli occhi.
Lo sguardo torna ad annebbiarsi, e cerco di contrastarlo aggrappandomi alla mia arma, ma le energie mi vengono meno e perdo l’equilibrio, ritrovandomi carponi nel ghiaino appuntito del cortile.
Alzo gli occhi offuscati sui miei compagni, in netta difficoltà come me nel lottare e rivivere loro stessi nel medesimo attimo. Ansimo, mordendomi le labbra e affondando le dita nella terra del cortile.
Siamo quasi arrivati al portone principale, mancano pochi metri, ma essi sono ricoperti di nemici armati fin sopra i denti. Scuoto il capo, oscillando i ricci ramati danti al viso, tentando in tutti i modi di rialzarmi e riprendere a combattere. Con fatica riesco a rialzarmi, evitando così il corpo inanime di un marine cadere a terra.
-MIA DEA!!!! TUTTO BENE?!?-
Mi volto verso Sanji, il biondo casanova che da sempre mi tratta come una principessa, annuendogli debolmente.
-Tutto bene Sanji!!!!- urlo, mandandolo in overdose di cuoricini nel sentirmi pronunciare il suo nome.
-SI RICORDA DI ME!!!!!!!!!!!!!!!!- sbava, roteando calci in ogni dove.
Stringo nelle mani il Sansetsukon, ansimando debole, mentre torno a fronteggiare i marine, ma anche la mia memoria torna all’attacco, trascinandomi nuovamente nel ricordo confuso ma terribilmente pesante…
 
-Dorme ancora…- sussurro, posando una mano sulla fronte tiepida del ragazzo.
È addormentato sulla branda, tranquillo e sereno.
-Gli serve riposo…- cerca di rasserenarmi Chopper, cambiandogli le varie fasciature sul busto.
-Ma è da tre giorni che dorme!!!! Quanto ancora deve poltrire?!?- sbuffo, spazientita.
Ma la mia non è nervosismo per la sua famosa poltroneria. È solo preoccupazione nel non vederlo ancora in forze e sveglio.
Vorrei poterlo aiutare in qualche modo…
-Standogli vicino lo aiuti già tantissimo…- sorride la renna, facendomi notare di aver espresso ad alta voce il mio ultimo pensiero.
Arrossisco, borbottando una scusa qualsiasi, per poi tornare ad accarezzare la zazzera verde. È fresca e morbida, e nonostante le bende strette attorno alle tempie che gli scompigliano i capelli, il verde rimane rigogliosamente ordinato.
Vorrei sapere se anche i suoi pensieri, in questo lungo riposo, si stanno riordinano, riprendendo energie dopo il duro scontro.
Sospiro.
Vederlo così mi fa male. È un dolore atroce, che raggiunge il centro del petto, trafiggendolo con ferocia.
“Quest’immagine, di te bendato e addormentato, non riuscirò mai a togliermela dalla testa…” penso tristemente, rievocando altri mille ricordi della sua degenza dopo vari scontri.
Chopper ha finito di cambiargli la fasciatura e ora corre verso il capitano, per sistemare le bende anche a lui.
Passo la mano tra i suoi capelli ancora una volta, incantandomi nel frusciare silenzioso del suo capo. I suoi tenebrosi occhi sono chiusi, e la mascella sempre contratta in un ghigno è rilassata in un’espressione pacifica.
-Mi manchi…- gli sussurro piano, avvicinandomi a lui e stropicciando il vestito rosso che indosso contro il profilo del letto -… mi manchi tanto Zo…-
 
-AAAAHHHH!!!!-
Mi getto a terra, reggendomi il fianco ferito, scalciando contro il marine che sto affrontando, allontanandolo da me, mentre mi proteggo alzando il Sanset sopra la testa.
Qualcun alle mie spalle ha approfittato del mio scontro con il soldato per attaccarmi, ferendomi al fianco destro. Sollevo la mano dalla ferita al bacino, sbarrando gli occhi sul palmo macchiato di sangue. Stringo i denti per la rabbia, non tanto per il dolore.
Assottiglio lo sguardo sulla ferita, studiando i tre affilati tagli che mi lacerano la maglia e la pelle sottostante.
Ringhio, ruotando il capo al’indietro, per vedere in faccia il vigliacco che ha osato attaccarmi alle spalle. Dilato gli occhi, fissandolo, e istintivamente mi alzo per essere pronta ad affrontarlo.
Digrigno i denti, reggendomi con una mano la ferita, con l’altra il Perfect Clima, facendolo ruotare sul palmo davanti a me.
-Maledetta!!!!- sibilo incendiandola con lo sguardo.
Lei sorride soavemente, arricciando le sue labbra da zolletta di canditi, stringendosi, al polso di una mano, un guanto da cui sporgono tre affilate lance d’argento. Avanza con i suoi piccoli passi, sorridendomi con il suo sguardo folle.
-Mia cara…- cinguetta, spostandosi qualche ciuffo di capelli dalla fronte -… dovresti parlare con termini più femminili…-
-Ha ragione Miss…- ghigno -…vada a fancuolo, lurida arpia… così le va meglio?!?- sghignazzo, portando la seconda mano sull’asta metallica, pronta allo scontro.
Miss grugnisce offesa, scattando verso di me e alzando il braccio armato in aria, per poi affondarlo contro il mio petto. Riesco a fermarla opponendo l’asta elettrica tra noi, incastrandola tra le 3 lance, che si incurvano a far leva per sfilarmela dalle mani.
-Non sei per niente ubbidiente, Arancione…- ringhia.
-Io non mi chiamo Arancione!!! Io sono…
 
… Mocciosa…-
Un gemito leggero mi sveglia nella notte.
Mi sono appisolata sul bordo del suo letto, mentre gli facevo da guardia.
Mi alzo scombussolata, strofinandomi gli occhi pieni di sonno. Mi ha realmente chiamato, o sto impazzendo?
-Buzzurro…?- gli accarezzo il viso circondato da bende -…buzzurro, mi hai chiamato?-
Si muove un po’, stringendo e allargando le nocche delle mani sul lenzuolo sgualcito del letto. Tremante, apre gli occhi, posandoli su di me.
Sbatte un po’ le palpebre, prima di ghignarmi in faccia.
-Ciao… mocciosa…-
Le labbra mi tremano, mentre gli occhi si riempiono di lacrime.
-Oh Zo…
 
-AAAHHH!!!!-
Di nuovo mi ritrovo a terra, sovrastata dalla piccola ma forzuta figura della Miss.
Il Clima mi scivola dalle mani, lanciato con forza dagli artigli dell’infermiera, cadendo a pochi metri da me in un tintinnante eco.
Maledizione!!!
Ero sul punto di ricordarmi il nome del mio buzzurro di nuovo, e ancora lei si è intromessa. Ringhio furiosa per il suo interveto inopportuno, scalciando sotto la sua mole.
Sembra piccola e fragile, ma ha un peso notevole, che sta caricando con cattiveria su di me, schiacciandosi sul busto, mentre preme con foga la mano non armata sul collo, affondandola sulla mia gola.
-Zenit sarà orgoglioso del mio operato…- delira, pesando la mano per inchiodarla alla mia carotide, mentre con la mano guantata e artigliata mi carezza il profilo del viso, tagliandomi la pelle.
Mi dimeno, cercando di liberarmi, ma sono debole sia per gli scontri che ho già dovuto affrontare, sia per gli sforzi sostenuti per restare lucida contro il peso dei ricordi che riaffioravano.
-Da-dannata!!!!- sibilo, sentendo che il fiato inizia a venirmi meno.
Lei avvicina il viso al mio, strusciando la fronte sudata alla mia tempia. Sghignazza, sostituendo il suo zuccheroso sorriso, a un latrato schizofrenico.
-Zenit è qui…- m’informa -… sta lottando con il tuo capitano…-
Stiro la gola sotto il peso crescente della sua presa su di me, scalciando a più non posso e graffiando l’aria cercando di liberarmi, ma la presa della Miss è terribile.
Soffio, lacerandole la pelle della sua mano con tutte le unghie, ma lei non mi sente nemmeno. Le ferisco il polso, che inizia a sanguinare copiosamente, ma lei non se ne accorge, totalmente drogata dal pensiero che il suo superiore possa vederla in azione.
Stacco una mano dal suo polso teso a soffocarmi, allungando il braccio verso il Sansetsukon, provando con tutte le forze rimastemi ad afferrarlo, ma è troppo lontano.
-Te l’avevo detto, mia cara…- mi sussurra stucchevole, notando i miei tentativi di liberazione fallire -… non puoi fare nulla per scappare di qui…-
L’aria non entra più nei polmoni, che si spremono dolorosi.
Sento che i ricordi tornano a pesarmi sulla mente, reclamando il loro spazio e togliendomi energie per combattere.
Fra tutti, un singolo pensiero rimbomba, assordandomi terribilmente.
È forte, tenace, tentatore e battagliero.
Romba tra le sinapsi, bramando la libertà che gli devo, smaniando per riprendersi il suo pesante posto dentro di me.
Tento con tutte le forze di restare lucida, di fronteggiare la presa soffocante della Miss, e al contempo di liberarmi, graffiando e colpendo in ogni dove la donna, ma è tutto inutile.
-Zenit apprezzerà molto la tua morte…- sorride.
Le lacrime mi pizzicano gli occhi, reclamando aria, mentre la testa mi scoppia per il male che mi assale per i troppo ricordi accumulati che stanno per esplodere.
Annaspo, sibilando disperatamente.
No, no, no.
Non può finire così.
Dopo tutta la fatica di ricongiungermi agli altri, di recuperare i nostri ricordi, di ricordarmi disperatamente il nome del mio buzzurro, non posso morire per mano di questa zolletta di merda. Digrigno i denti, evocando tutte le mie energie.
Voglio sopravvivere.
Voglio tornare me stessa e ricordarmi tutto.
Voglio sapere il nome del mio buzzurro.
Affondo le unghie nel polso di Miss Toffee, tentando ancora di allontanarlo da me.
-La tua resistenza inizia a scocciarmi…- uggiola, alzando la mano artigliata in aria per darmi il colpo di grazia.
Vedo le tre lame scintillare sotto il riverbero del sole, mentre il sorrisetto di Miss si apre ancor di più sulle sue labbra.
-Le tue ultime parole?- sorride con gli occhi lucenti di pazzia.
Deglutisco, mordendomi un labbro.
Se questo sarà il mio ultimo respiro, allora voglio usarlo al meglio.
Per lui…
Qualcosa esplode dentro la mia mente, irradiando luce, immagini, suoni ed emozioni in tutto il mio corpo. Sento un gran calore salirmi dal petto, salendo rapido la gola e affiorandomi in bocca.
Senza rendermene conto urlo, urlo con tutto il fiato che ho, e l’unica parola che riesco a pronunciare, è quella che amo di più al mondo.
La sola ed unica.
La parola perfetta del mondo.
-
ZORO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-

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Capitolo 12
*** Zenit: dove i ricordi si eclissano ***


Zenit: dove i ricordi si eclissano

 

-ZORO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
Gli artigli scintillano un’ultima volta sotto il riverbero solare, prima di scattare verso di me, mirando alla gola stretta nella morsa d’acciaio di Miss.
Dilato le iridi nocciola, fino a renderle rosate, sentendo pulsare, vivide e dolorose, le vene scarlatte che serpeggiano sul bianco dell’occhio per l’assenza dell’aria, mentre fisso lo sguardo sulle tre lamine assassine che rapide si scagliano su di me.
Mantengo gli occhi aperti.
Voglio affrontare la morte in faccia, fissandola nei suoi bui occhi.
Tento di deglutire, per ricacciare infondo allo stomaco il dolore del soffocamento,  strozzandomi con il mio debole e ultimo respiro, mentre le lame scintillanti arrivano a graffiarmi la pelle.
Digrignando i denti, fisso gli occhi lucidi di pazzia dell’infermiera, che, mettendo in fuori i canini, sogghigna omicida. Ha i capelli neri spioventi sugli occhi, la fronte madida di sudore forsennato e paranoico, le labbra increspate in un ghigno spesso rotto a metà da frasi sussurrate, sconnesse per l’idolatria che emana nell’invocare Zenit e nel dedicandogli il mio requiem.
Il suo sorriso è tagliente come la sua arma, malvagia allegoria della tagliente e falsa cortesia che somministra a tutti i prigionieri dell’istituto, come una mortale medicina,
-Muori…- ride, conficcando più rudemente gli artigli sui primi strati di pelle della mia gola, allentando la presa su di essa con l’altra mano -… muori, pirat… AAAAHHHH!!!!!-
Sgrano gli occhi, spalancando la bocca muta.
Sento l’aria grattarmi il palato, tentando di scivolare lungo la gola, da cui pochi rantoli fuggono strozzati e indecifrabili.
Ma poi…
Accade tutto in un attimo.
Così veloce che riesco a seguirlo solo con lo sguardo, senza coglierlo con la mente.
Veloce, scattante, lucente come un fulmine nel buio della tempesta, una lama candida bordata di fiamme blu e argento si frappone tra le lame arcuate di Miss, sporche delle prime gocce del mio sangue, intrecciandosi tra loro.
Invece che piegarsi e flettersi, come era successo prima al mio Sansetsukon, la spessa lama trancia di netto le lamine d’acciaio, scaraventando le punte unte di cremisi lontano e urtando contro la presa ferrea della Miss, che cade all’indietro spinta da una forza sovrumana, quasi demoniaca, balzando in mezzo alla mischia rumorosa che mi accerchia.
Respiro a fatica, libera dalla presa opprimente dell’infermiera.
Prendo profonde e fresche boccate d’aria, spalancando le labbra a soddisfare il disperato bisogno d’ossigeno dei miei polmoni, mentre la lama d’argento resta ferma sopra di me.
I miei occhi fissano l’arma bianca retrocedere all’indietro, mostrandomi ogni sfaccettatura della sua splendente lama. Sul ferro battuto e laccato, tra le onde cobalto, intravedo un ghigno soddisfatto del suo portentoso colpo contro l’avversaria, che si espande mefistofelico per tutta la spada, inebriandola di compiacenza.
Conosco questa spada.
Mi ha salvato altre volte, abbattendo e spezzando armi di ogni tipo.
È la Sandai kitetsu.
Gli occhi iniziano a riempirsi di lacrime, mentre ancora me ne sto sdraiata a terra tra la polvere del cortile dell’istituto, circondata da marine armati e in lotta contro i miei Nakama, i cui passi gettano polvere e sassi tutt’attorno a me.
Mi mordo le labbra per non singhiozzare e perdere nuovamente il respiro, cercando di estendere al meglio i miei sensi per coglierlo accanto a me.
Sbarro gli occhi contro il cielo azzurro e sereno sopra di me, percependo il pulviscolo sotto le mani rilassate lungo i fianchi, odorando il pesante profumo di terra e polvere da sparo che aleggia nell’aria, che si mischia al suo piccante aroma di salsedine mista ferro. Sorrido, restandomene stesa a terra, aspettandolo.
Lo sento avvicinarsi, pesta i suoi passi con forza dietro al mio capo, attento a non calpestare alcun riccio ramato che si espande attorno a me. Chiudo gli occhi, reprimendo le lacrime e costringendomi a respirare con regolarità per non farlo preoccupare per la mia salute, anche se il sorriso smagliante, che tento inutilmente di celare mordicchiandomi le labbra, dovrebbe tranquillizzarlo lo stesso.
Si ferma accanto al mio capo, facendomi ombra con la sua possente mole.
Un freddo fruscio mi avverte che sta riponendo le sue katane, facendomi sorridere imbarazzata.
-Possibile…- ghigna, trattenendo a stento l’euforia nella sua voce -… che debba sempre salvarti io il culo… Nami?-
Al suono del mio nome, schiudo l’occhio destro, aprendolo verso di lui e ammirandolo estasiata.
Stringe le braccia al petto, cercando di assumere un’aria severa e disinteressata, ma il brillare dei suoi occhi e il sorriso sghembo che gli storce le labbra, tradiscono la sua felicità.
Ridacchio, facendogli la linguaccia.
-Bhè, dovrai pur saldare il tuo enorme debito con me, no… Zoro?-
Sghignazza divertito, fissandomi con il nero pozzo del suo occhio.
Osserva ogni mia prosperosa curva, mangiandosela con gli occhi mentre ne controlla la salute. Si sofferma pochi attimi sulla gola lievemente ferita, studiandola attendo, inclinando il capo su un lato e grugnendo contro il lieve danno che mi ferisce la pelle. Stessa reazione per i piccoli tagli sul fianco del primo attacco di Miss, superficiali come quelli al collo.
Ridacchio.
Siamo in mezzo ad una battaglia tremenda, i cui spari provengono da ogni dove, volando sopra le nostre teste, con le urla e i richiami dei nostri compagni che atterrano decine di uomini in pochi minuti, e con Zenit che si sta fronteggiando con il nostro Rufy a poca distanza da noi… e lui si preoccupa di certi taglietti?!?
Lo fisso ridacchiando, perdendomi nel profilo duro e netto del suo viso, cullandomi sulle curve delle labbra sottili e incantandomi sotto il suo sguardo. Nuovamente, perdutamente, i nostri sguardi s’incrociano, mescolandosi magnetici. Il legame che da sempre ci unisce, lega ancora una volta le nostre anime, fondendole tra loro e combaciandole a formare un unico passato, colmando le lacune dell’altro che ancora persistono dentro di noi, creando una vita da sempre condivisa tra noi due.
Vedo le sue labbra sorridermi complici della nostra miscela d’anime, inebriandosi quanto me, del delicato stimolo che inizia ad affiorare tra il marasma generale, ombra di un desiderio trattenuto troppo a lungo.
Mi mordo un labbro, assottigliando gli occhi, nascondendo una luce malandrina che improvvisamente li accende.
-Bhè, non mi aiuti ad alzarmi, buzzurro?- lo prendo in giro per attirarlo nella mia trappola.
Lui sbuffa, fingendo fastidio, ma poi mi porge una mano, piegando leggermente le ginocchia, incurvandosi verso di me. Veloce, afferro con entrambe le mani la sua tesa, alzandomi con il busto verso di lui, ma invece che muovermi verso l’alto, assieme alla spinta che si sta dando con le gambe robuste, lo trattengo a terra facendogli da peso morto, strattonandolo fino a fargli perdere l‘equilibrio, riuscendo ad attirarlo verso di me, costringendolo a piegare il busto in avanti.
Non gli lascio nemmeno il tempo per protestare o inveire, che premo le labbra sulle sue baciandolo.
Lascio la presa sulla mano che mi ha offerto per alzarmi, abbracciandolo per le spalle e spingendogli il capo verso il mio con foga estrema, premendo con forza la bocca sulla sua, baciandolo con passione. Sento il respiro venirmi meno, il cuore impazzire per questo folle gesto, e l’anima ringraziarmi per averlo finalmente compiuto.
Stringo con possessione Zoro a me, leccandogli le labbra e assaggiando avida il suo salato sapore.
È meraviglioso, inebriante, alcolico, dannatamente stordente.
Gli mordo le labbra, avida del suo sapore, abbandonandomi totalmente alle scariche elettriche di piacere che invadono il mio copro per questo nostro primo bacio. Sento la pelle rabbrividire piacevolmente, risvegliando desideri e pensieri del mio passato ancora assopiti, richiamandoli a vivere questo attimo.
La lingua scivola sulla sua bocca, attratta come una calamita dall’incrocio delle sue labbra sottili e ghignati. Ansimo contro il suo respiro pesante, scossa da veloci e scottanti immagini di lui a dorso nudo mentre si allena sulla Sunny, o durante un suo duro scontro.
La mente mi si affolla di desideri carnali e impronunciabili, segregati per orgoglio e vergogna in fondo all’anima per anni, e che ora esplodono per questo lieve contatto.
-… Zoro…- ansimo, baciandolo con foga, e accorgendomi solo ora che le sue rozze e callose mani mi abbracciano per la vita, reggendomi contro il suo torace.
Con uno schiocco, apre le labbra, permettendomi di violarle vorace e lussuriosa, approfondendo il bacio fino a fondere i nostri respiri in uno solo. Affondo le mani tra i suoi corti capelli, vedendomi davanti agli occhi la mia mano accarezzarli durante una notte di vedetta, approfittando del suo sonno pesante ed esausto, o mentre si riposa dopo una dura battaglia, bendato e infermo nel letto dell’infermeria.
-…Zoro…-
La sua lingua slitta sulla mia, zittendo le mie parole, soddisfando i miei desideri, realizzando i miei sogni. Le mani mascoline scivolano dai fianchi sulla schiena, immergendosi tra i capelli rossi, arricciandosi tra loro, scivolando come onde nel mare, aggrappandosi alle mie spalle, assicurandosi che sia tutto reale e non una follia.
-… Zoro…-
A ogni respiro, ripeto il suo nome, finalmente tornato sulle mie labbra.
Il suono che la mia mente ha cercato disperatamente per tutto questo tempo, mi esplode nel petto, a livello del cuore, salendo come fuoco in gola ed espandendosi caldo e inebriante in bocca, mischiandosi alla danza delle nostre lingue.
Finalmente, dolcemente, passionalmente, le mie corde vocali possono vibrare animate nel caos della battaglia, liberando un muto urlo d’invocazione del passato, che liberatorio tuona tra noi, scarcerando tutti i nostri ricordi.
Suoni, immagini, profumi, carezze nascoste, parole non dette, litigate con mille sfumature d’intesa e affetto, sorrisi provenienti dal cuore…
I ricordi si affollano sui miei occhi, riprendendosi il proprio trono del Passato, riempiendo quel dannato vuoto che scompare come cenere nel vento, volando lontano da me e alleggerendo la mia anima, ormai on più pesante di tristezza e malinconia.
Separiamo le nostre bocche umide e ansimanti, prendendo fiato inginocchiati uno davanti all’altro, con le fronti frapposte a reggere i reciprochi pensieri.
Stringo le mani attorno alla sua nuca, sorridendo alla sua tenera presa sulla schiena, che mi regge e accarezza.
-Mi ricordo di te, Zoro…- sussurro piano, prendendo fiato.
Punto gli occhi sui suoi, accarezzandogli con i pollici le basette verdognole, pizzicandogli l’accenno di barba ispida.
-Mi ricordo del tuo coraggio, della tua forza, del tuo onore…- si avvicina a me, ghignando alle mie parole -… mi ricordo di Alabastra, di Thriller Bark, di Sabaudy…-
Si avvicina ancora, portando una mano tra i capelli ad accarezzarmeli, tranquillizzando i terribili pensieri risvegliati con troppa fretta, riportando a galla immagini dolorose e non.
-Mi ricordo…- ridacchio, fissandolo malandrina -… che sei pigro, maleducato e disorientato…- grugnisce, storcendo il naso -… ma mi ricordo anche che ti amo lo stesso… e che non ho mai avuto il coraggio di confessartelo…-
Abbasso lo sguardo, rossa d’imbarazzo, cercando di celare una timidezza non mia che m’imporpora le gote. Una sua mano scivola dalla mia nuca, fin sul mento, costringendomi ad alzarlo per intrecciare nuovamente gi sguardi.
-A dire il vero…- mi accarezza il viso -… questa è la terza volte che me lo dici solo oggi…-
Si avvicina maggiormente, striando il collo verso di me, sussurrando a fil di voce.
-E io solo due… devo recuperare…-
-Tu non mi hai detto due volte che mi ami!!!- soffio, arricciando le labbra divertita.
-Te lo dico ora… ti amo…-
Affamato, si getta sulle mie labbra, mordendole fino a farmele aprire, infilando smanioso la lingua tra esse e baciandomi passionalmente, lasciandomi senza fiato.
Mi stringo a lui, chiudendo gli occhi e perdendomi sulle nostre bocche unite, sulle nostre lingue guizzanti e intrecciate, sui nostri respiri affannosi e bramosi d’altro di più piccante e appassionato.
Sorrido, incapace di trattenermi.
Credevo di averlo smarrito, cancellato per sempre dalla mia mente, dal mio passato, ma non si può rassettare la memoria del cuore.
Il dottor Zenit non ha vinto. Io non mi sono arresa, non ho perso la battaglia: io ho vinto.
Ho sconfitto lui, la sua mielosa infermiera sorridente, la sua pillola azzurra, le sue bugie. Sono riuscita a riprendermi la mia vita, il mio passato, i miei ricordi, il mio buzzurro.
Mi sono ripresa me stessa.
Mi aggrappo alle sue spalle, lambendogli il palato e riuscendo a intrappolare la sua lingua tra le labbra, che subito iniziano a lappare, obbligandolo a liberare brevi e rochi mugugni di piacere. Le sue forti mani mi afferrano i fianchi, spingendomi a terra, dove torno a distendermi come prima, ma con una grande differenza: sopra di me ora c’è lui, e non Miss Toffee.
Le sue labbra si spostano a baciarmi il contorno della bocca, mordicchiandola sull’Arco di Cupido, per poi tornare a premere con forza contro le mie labbra gonfie e carnose, succhiandole desideroso di andare oltre.
-Mocciosa…- ringhia, sollevandomi sull’addome la maglia, e scivolando con una mano sulla pelle bianca del ventre, che rabbrividisce piacevolmente.
Animata, gli alzo anch’io la maglia sulla schiena, facendo poi slittare lievemente le dita su tutta la colonna vertebrale, incendiandola di sfavillati scosse elettriche che gli drizzando la pelle. Il bacio diventa più smanioso, passionale, spinto a trovare un piacere assoluto che bramiamo da tempo indefinito.
Agguanto una sua natica, ormai perduta nel desiderio più sfrenato, tentando di calargli i pantaloni e sentirlo totalmente mio. Le sue rude mani mi stringono per i fianchi, alzandomi l bacino contro il suo, facendomi notare quanto anche lui mi desideri.
Provo a togliergli la maglia, e avere così più pelle da baciare, ma con una forte spinta, Zoro mi alza da terra, stringendomi tra le sue braccia, sollevandoci dal ghiaino appuntito.
Estrae fulmineo, con la mano libera dal sorreggermi, una sua katana, frapponendola a quella macchiata di sangue di un marine.
-Maledetto!!!!!- ringhia rabbioso –Che cavolo vuoi?!? Non vedi che io e la mia mocciosa stiamo cercando di avere… di avere…-
-… un po’ d’intimità…- gli suggerisco in un soffio sull’orecchio sinistro, prima di mordicchiarlo.
-… un po’ d’intimità…- ghigna, stringendomi ancora di più a lui e fissandomi con la coda dell’occhio.
-Dannati!!!!! Questa è un campo di battaglia!!!!! Non una zona prive!!!!!- libera la sua spada il soldato, tornando all’attacco.
Ghignando, Zoro si volta totalmente verso di me, premendo lussuriosamente le labbra sulle mie, mentre con un solo fendente abbatte l’avversario, non concedendogli nemmeno un briciolo della sua attenzione.
-Scocciatore…- mugugna, succhiandomi le labbra.
-Mmmhhh… però ha ragione…- mi allontano dalla sua bocca, posando le mani sul suo torace -… siamo in mezzo a una battaglia, non in una cabina della Sunny… nono si ci comporta così in uno scontro…-
Mi fissa, storcendo il naso urtato dalla mia osservazione.
-Io il galateo degli scontri non l’ho mai letto…- borbotta, tornando a baciarmi.
Ridacchio, assecondandolo.
Ci eravamo totalmente dimenticati della lotta accesa e furente attorno a noi, completamente assorti l’uno dall’altro. Ogni nostro senso era polarizzato verso le sensazioni del proprio corpo, nel scoprire e provare i brividi che il tocco dell’altro provoca in noi.
Sento le sue labbra premersi affamata sulle mie, lottando contro di esse, e non contro la marina che ci accerchia, per spadroneggiarle e prendere il controllo del nostro baciarci.
Ridacchio, divertita dal suo sconsiderato modo di fare. Nonostante la lotta impazzi attorno a noi, a lui importa soltanto di me, di baciarmi, di stringermi forte al petto e di sentirmi sua.
Arrossisco, capendo quanto mi voglia bene, e cerco di farglielo capire anch’io baciandolo con ancor maggior furia, ma il nostro tanto sospirato momento di intimità dovrà aspettare ancora un po’…
Felina, scivola dalla sua presa, accovacciandomi a terra e afferrando, con mani svelte, il Clima abbandonato a pochi passi da noi, sgattaiolando alle spalle del buzzurro, per alzarlo in arai e contrapporlo all’artiglio spuntato che si stava per scagliare contro le spalle del mio buzzurro.
-Miss…- assottiglio lo sguardo e stringendo forte l’asta del Sanset tra le mani -… colpire alle spalle un avversario, è sleale: me lo aspettavo da lei!!!!-
L’infermiera ringhia, digrignando le due file di denti rosse del sangue del suo labbro rotto. Gli occhi sono ridotti a fessure latranti di rabbia, i capelli scomposti e sciolti, sparsi sul capo come foglie raccolte alla rifusa sotto un albero, la pelle tirata per la collera.
-Maledetta…- sibila a denti stretti, spingendo la mano armata contro di me -… io ti ammazzo…-
Retrocedo di un passo, scontrandomi con la schiena possente di Zoro, che ha sfoderato tutte e tre le sue katane per fronteggiare i soldati che ora ci accerchiano.
Molti di loro hanno già sguainato le loro armi, ma non hanno il coraggio di eseguire il primo affondo contro di lui, intimoriti dalla bravura che scaturisce solo dal suo sguardo.
Rilasso le spalle tese contro il suo costato, sentendomi al sicuro e protetta, certa che mi guarderà le spalle come io proteggerò le sue.
Con forza, mi oppongo all’attacco di Miss, vietandole ogni affondo e costringendola a retrocedere di un passo.
-Dannati…- sbotta Zoro, sfilandosi la sua bandana dal braccio con i denti, e legandosela la capo impugnando le spade -… me la pagherete per aver rovinato il momento d’intimità mio e della mia mocciosa…-
Si stringe la bandana nera sugli occhi, sottolineandone l’oscurità del suo sguardo.
-… nemmeno le vostre preghiere più sentite vi slaveranno…-
Ridacchio, spintonando con il sedere il suo, strusciandolo poi contro i suoi pantaloni.
-Mi piaci quando fai il demonio…-
Mi rivolge un ghigno, fissandomi malizioso.
-Non hai ancora visto niente, mocciosa…- allunga una mano armata fino a sfiorarmi una natica, che pizzica con le punte delle dita.
Sorrido, abbandonando il capo contro la sua spalla, lasciando che i ricci rossi ondeggino sulla sua maglia chiara, risaltando come fuoco tra la neve. Mi addosso a lui, liberandomi in tanto degli artigli di Miss con una spianta, e beffandola roteando davanti a me l’asta climatica.
-Mi sei mancato buzzurro…- ammetto in un sussurro.
-Anche a me, mocciosa…- mi accarezza un fianco -… ma sta pur certa che più nessuno ci dividerà…-
Nel medesimo secondo, ci scagliamo all’attacco, distanziandoci di pochi passi, in modo da mantenere i contatto delle nostre ombre e di poter correre in aiuto dell’altro in caso di bisogno, ma abbastanza da non ferirci accidentalmente.
Abile, Zoro affronta tre marine alla volta, mentre io mi occupo di Miss Toffee.
Mi avvento contro di lei, che si scaglia feroce in avanti, brandendo la sua arma spuntata. Spezzo il Clima, roteando nei palmi le aste metalliche, che iniziano a sfavillare elettriche, emanando piccole scariche.
-Ti ammazzo, pirata!!!!!- ringhia, lanciando le lame spuntate contro le mie braccia nude, ma riesco a fermare il colpo con un’asta, opponendola alla sua mano, e a puntare l’altra sul suo addome scoperto.
-Little Lance Tempo…- sibilo, e una lieve scossa attraversa il suo ventre, scurendo la divisa macchiata di polvere nel centro di essa, segnando il punto d’entrata del mio attacco.
Scossa, Miss retrocede di qualche passo, reggendosi con la mano libera l’addome.
Ne approfitto, e mi guardo alle spalle per controllare la situazione di Zoro, ritrovandomelo a bisticciare con Sanji, che spinge indiavolato un piede contro le spade incrociate del buzzurro.
-Ma che fate , idioti?!?- li richiamo, sbraitando sopra la confusione della ressa.
-NAMI SWAAAANNNNN!!!!!!- ulula il biondo, mordendo feroce la sua cicca –QUESTO MARIMO DI MERDA DICE CHE SEI LA “SUA MOCCIOSA”!!!!!! È UN DANANTO BUGIRDO!!!!-
-IO NON SONO UN BUGIARDO… E POI CHI SAREBBE IL MARIMO DI MERDA, OKAMA DI UN CUOCO??!!!??-
Scuoto il capo, schiaffeggiandomi la fronte. Per fino in mezzo a una battaglia riescono a litigare quei due!!!!
-PIANTATELA IDOITI, O IO… AHHH!!!-
Cado a terra, colpita alle spalle dagli artigli spuntati di Miss, che come sul fianco, penetrano letali nella carne, riuscendo però a ferirmi più gravemente di prima, atterrandomi.
-NAMI!!!!-
Le grida dei miei due compagni si perdono nel caos della battaglia, mentre alcuni marine gli attaccano, distraendoli da me.
Digrigno i denti, rialzandomi col busto da terra.
Il sangue fuoriesce zampillando dalla spalla destra, macchiandomi la schiena, mentre Miss ritrae la mano alzandola in aria per un secondo attacco.
Mi tampono la ferita con una mano, reggendo nell’altra il Sansetsukon alzato davanti a me, mentre lei ghigna sull’orlo della pazzia.
-Zenit da qui ci può vedere: sarà fiero di me!!!!- delira, sgranando gli occhi fino a rendere, le iridi scure, due puntini indistinguibili nel bulbo bianco.
Mi volto a cercare tra il marasma Rufy e Zenit, che si affrontano a poco più di duecento metri da me.
Il dottore brandisce una lunga spada ricurva, con cui taglia l’aria, spingendola tagliente contro Rufy, la cui pelle di gomma si lacera gravemente sulle braccia e sulle gambe, sanguinando copiosamente.
Il suo adorato cappello di paglia è calato sullo sguardo, nascondendolo agli occhi di tutti, lasciando libere alla luce del sole solamente le labbra strette in una smorfia di disgusto per il medico. La sua blusa rossa è a brandelli, tagliuzzata dai fendenti dell’avversario, ma testarda, non vuole cedere proprio come il suo proprietario.
Stringe i pungi davanti a se, leggermente piegato sulle ginocchia e messo di profilo, pronta a contrattaccare Zenit, il cui camice medico svolazza attorno a lui aperto, lasciandogli maggior libertà di movimenti.
Torno a fissare Miss, totalmente ammaliata dalla visione combattiva e strafottente del suo superiore, che ghigna come se avesse già battuto il mio capitano.
Mollo la presa sulla spalla dolorante, riunendo il Sansetsukon, roteandolo in aria con ferocia. L’asta scivola vibrate sulle dita, muovendosi in cerchio sopra la mia testa, mischiando i suoi componenti naturali.
-Zenit è il migliore…- blatera l’infermiera, ruotando lo sguardo dal dottore a me, fissandomi con occhi allucinati.
-Zenit è un pazzo…- ringhio -… un ladro… uno stupido visionario…-
Le mie parole l’incendiano di rabbia, facendola quasi schiumare dalla bocca.
Torna all’attacco, gettandosi contro di me e muovendo agile la mano artigliata con affondi veloci e saettanti, tutti diretti a zone vitali del mio corpo.
Retrocedo, schivando i colpi e mantenendo una buona distanza per la preparazione del mio attacco. Con la coda dell’occhio controllo che Zoro stia bene, notandolo affrontare un energumeno armato di mazza ferrata, prima di saltare all’indietro e portare il Clima davanti a me.
Ormai siamo tutti riuniti a pochi passi dal portone principale, e solamente il nostro Rufy e Zenit ci sperano dalla libertà.
Sento dietro di me i colpi del loro scontro, che fendono l’aria, spingendola contro di noi e i soldati, alzando sassi e polvere pesante.
-Sei patetico pirata!!!!- ringhia Zenit, scagliandosi contro Rufy, e abbattendo la lama della sua spada contro il terreno.
Manca il bersaglio, ma lo spostamento d’aria spinge indietro il moro, che retrocede rudemente sul ghiaino, slittandoci sopra come su una lastra di ghiaccio. Di certo il dottore ha una forza segreta dovuta a chissà che, magari frutto di qualche suo pazzo esperimento, e la sua arma dev’essere di Algamatolite.
-Che credete di fare?!? Siamo più di 1000 marine, e voi solo 9…- continua, roteando su un fianco l’arma -… non avete speranza…-
Miss Toffee parte all’attacco, distraendomi dalla discussione, ma la fermo, trattenendo i suoi artigli contro l’asta metallica. Le scaglio addosso una nuova scarica elettrica, trapassandola usando il guanto come punto d’entrata del fulmine, che si propaga su tutto il corpo, ma il colpo non basta per fermarla del tutto e lei, seppur ansimante e debole, si prepara per un altro attacco.
-Non ve ne andrete mai dall’Istituto Manari… sarete per sempre miei pazienti…-
La voce del dottore riecheggia grave e solenne nel mio cranio, rimbombando crudele.
No, si sbaglia: noi ce ne andremo.
Noi ci salveremo.
-… non sarete più cacciatori di tesori, non sarete più gente libera, non sarete più pirati: sarete ombre di uomini e donne di un tempo che fu, un tempo che ho distrutto…-
Deglutisco, gettando la paura, di una tale minaccia, in fondo allo stomaco, spingendo lontana da me Miss, e digrignando i denti guerrigliera e pronta a tutto per riprendermi la mia libertà.
- … figli di un passato che ho reso solo mio…-
L’asta mi trema nelle mani, sgranando gli occhi.
No.
Mai più voglio sentirmi vuota, senza un passato.
Mi guardo attorno, trovando l’occhio di Zoro a fissarmi, anche lui scottato dalle parole di Zenit. Io reagisco con la paura, bloccandomi nel centro della battaglia, lui con la rabbia, avanzando demoniaco e furioso tra i soldati, fino a giungermi accanto.
Scuoto il capo, riprendendo lucidità e tornando ad affrontare Miss, che si ostina ad attaccarmi con il suo guanto di lamine, bloccato contro l’asta del Clima.
Un forte boato dietro di noi esplode nell’aria, espandendosi contro i vari duelli intrapresi all’ombra del portone dell’istituto. Percepisco una grande fonte di calore dietro di me, mentre una densa nebbia di calore ambula a raso terra.
-Sarete solo scorze di carne e ossa senza contenuto… sarete sol…-
-STA ZITTO!!!!-
La voce di Rufy zittisce ogni cozzare di spada e bocca di fuoco, sovrastando il caos generale della battaglia, riuscendo a fermare il delirare di Zenit, che blocca la sua lama al fianco, sorpreso dall’urlo vitale di un nemico che credeva già morto.
-Sta zitto, dannato!!!!-
La sua voce è così forte e vibrante, che è impossibile non fermarsi ad ascoltarlo, mentre avanza verso Zenit correndo, lanciandosi a pugno chiuso su di lui, che resta fermo e immobile, impaurito da una forza vitale così travolgente.
Il cappello svolazza dal capo di Rufy, liberando la chioma scompigliata, ricadendogli sulle spalle e svelando gli occhi carichi d’ira e odio. Corre con tutta la forza che ha in corpo, mentre le sue membra fumano donandogli quell’energia, e quella forza sovrumana, oltre ogni limite dell’essere, che solo lui sa governare.
-L’UOMO NON È FATTO DI OSSA, CARNE E PELLE!!!!!!- urla con tutto il suo fiato - L’UOMO È FATTO DI RICORDI, BELLI E BRUTTI, E TU NON HAI ALCUN DIRITTO DI GIOCARCI!!!!!-
Allargo le labbra in un sorriso, cercando con lo sguardo Zoro, che si affretta a corrermi accano. Le nostre braccia tese a lottare si sfiorano, unendosi in una memoria tattile racchiusa sulle nostre pelli. La mia, morbida e intatta, si amalgama alla sua dura e segnata dalle cicatrici, colmando quei vuoi di guerre e scontri, con il sentimento che ci unisce.
- OGNUNO DI NOI È PADRONE DEL SUO PASSATO, E NESSUNO PUO’ APPROPRIARSENE!!!!! TU SEI SOLO UN DANNATO CHE SI DIVERTE A RUBARE I RICORDI!!!!!!-
Incrocio gli occhi con il suo nero e profondo, trovando l’orizzonte della mia navigazione. Lui è il mio ricordo completo, tutta la mia memoria è racchiusa nel suo sguardo, non nelle sinapsi del mio cervello.
Gli anni su Coconat Village, l’amore di Bellmer, la crudeltà di Aarlong, la gioia della libertà, l’affetto di una famiglia come la nostra, l’amore di una vita…
Zoro è il mio passato, e sarà anche il mio futuro.
Non sto farneticando, non sto dando di matto.
Io non sono pazza.
No, non lo sono io…
-TU SEI SOLO UN PAZZO CHE SI CREDE UN DIO!!!!!! GEARD SECOND PISTOL JET!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
Il calore del colpo si espande per tutto il cortile, ripulendolo dalle bigie e dagli inganni, purificando il presente dal male di cui è impestato, e ridonando libertà al passato, spinto battagliero verso il futuro…
 

***

 
La notte buia è illuminata dal chiaro di luna.
Quasi fosse timida, sul cielo stellato si affaccia appena un piccolo spicchio del satellite, permettendosi appena di rischiarare le onde del mare infrangersi contro la coffa della Sunny. Silenziose e sincronizzate, le onde schiumeggiano sul legno beige, stuzzicando la polena leonina, facendola sorridere.
Anche lei è felice per la sua nuova libertà, gioiosa nel poter tornare a bagnarsi con le onde del mare.
Mi stringo nella sua camicia nera, unico indumento che mi copre nella notte.
Sorridente, mi addosso al balconcino della palestra, abbandonando i miei pensieri al moto del mare.
Ci stiamo allontanando dal misero e spoglio scoglio che ospitava l’Istituto Manari, che riesco appena ad intravedere tra le ombre notturne, appena pronunciato sul fine dell’orizzonte dietro alla bianca scia della Sunny. In verità le mure di cinta non erano per difesa o di deterrente per i prigionieri alla fuga, ma bensì uno scudo per nascondere agli occhi di tutti il mare che circondava il faraglione, evitando che ogni pirata si ricordasse del proprio amore per l’oceano, rievocando il suo passato.
Dopo la sconfitta di Zenit e dei suoi, in particolare di Miss Toffee che mi sono divertita a fulminare per bene con ogni scarica elettrica che il mio Sansetsukon è in grado di creare, abbiamo liberato ogni prigioniero della clinica, ridonandogli la propria memoria grazie alle pastiglie lilla che avevo rubato dallo studio del folle medico.
Chopper è riuscito a ricrearne in gran quantità, in modo che ce ne fossero per tutti, aiutando a curare i vari bucanieri catturati dal plotone di Zenit.
Abbiamo anche scoperto che centinaia di navi piratesche erano ormeggiate in una piccola baia ai piedi dello scoglio, tutte di proprietà delle varie ciurme prigioniere nell’istituto.
Non appena Franky ha ritrovato la Sunny, è scoppiato a piangere, ancorandosi a braccia spalancate sulla ciglia della nave, baciandola e promettendole di non abbandonarla mia più, mettendosi subito al lavoro per verificare che i sottoposti del medico militare non l’avessero rovinata.
Abbiamo avuto un po’ di tempo a disposizione prima di ripartire, e Robin ne ha approfittato per scartabellare i vari articoli di giornale e attestai di Zenit, racchiusi le suo sgabuzzino segreto dello studio.
Zenit era un vice ammiraglio della Marina, che con i suoi lungi viaggi in mare, si era guadagnato abbastanza fama e credenziali da poter operare un proprio progetto personale: l’Istituto Manari.
Con l’appoggio di varie truppe mediche e scienziate, era riuscito a creare un componente chimico in grado di congelare i ricordi del passato di qualsiasi essere vivente a cui venisse somministrata, permettendo così di ricreare una personalità e un’esistenza all’interno della mente del soggetto.
Praticamente, una formattazione completa su chiunque si volesse operare.
Il Governo Mondiale e la Marina avevano appoggiato i suoi deliranti studi, credendoli ottimi per la reintroduzioni di pericolosi criminali e delinquenti nella vita normale, e in cambio di qualche ottimo risultato nell’eliminazione almeno mentale di un ricercato, Zenit ne guadagnava la più totale libertà da qualsiasi vincolo della legge, operando come e dove voleva.
Senza nessuno a fermarlo, Zenit è la sua flotta di finti infermieri, navigava nei mari circostanti lo scoglio su cui faceva sede l’istituto, attaccando e saccheggiando ogni nave che riuscivano ad approdare, di pirati o meno che fosse, rubandone ogni tesoro e usando i componenti dell’equipaggio come cavie per i suoi esperimenti sui ricordi, o semplicemente come aggiunta ai suoi trofei vaganti senza meta nella sua clinica.
-… fino all’arrivo di Rufy…- sospiro un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
Navigo con lo sguardo sugli astri, ripensando velocemente agli ultimi eventi.
Se non ci fosse stato Rufy, a quest’ora sarei nella mia fredda e buia cella a dormire, ignara di chi io sia.
E invece sono qui, sotto il firmamento stellato, cullata dalle onde del mare, sulla Sunny, a casa, con il vento che soffia tra i capelli sciolti e il profumo dei mandarini a custodire i miei pensieri.
Mi stringo nelle braccia, scaldandomi nell’esile stoffa scura della camicia.
Tutto è tornato alla normalità: i ricordi, i pensieri, gli affetti…
Siamo tornati i Mugiwara di sempre, più unti che mai e memori della nostra unione come ciurma, ma soprattutto come famiglia.
Rufy ci ha salvato nuovamente, ancora una volta, ma sono ben conscia, che ciò che veramente mi ha salvato è stato…
-Mocciosa…?!?-
Ruoto il capo all’indietro, bloccando i miei pensieri, improvvisante apparsi dietro di me come richiamati dalla voce della mia anima.
Poso lo sguardo sulla figura completamente nuda di Zoro avanzare verso di me, emergendo dalla penombra della palestra e mostrandosi alla timida luce lunare.
Lo guardo teneramente, soffermandomi sui suoi addominali scolpiti e su tutto il suo fisico scultoreo, scendendo ad ammirare ancora la totale assenza di vestiti su tutto il suo corpo.
Mi lecco le labbra, assaggiando l’incantevole sapore della sua pelle che ancora persiste sulla mia bocca, inebriandomi del sapore dei nostri baci.
Alla fine, dopo la battaglia e il ritrovo della Sunny, quel buzzurro ha preteso di avare il “nostro momento d’intimità”, segregandomi nella sua palestra per ore, e trattenendomi qui anche durante la notte.
Non che a me sia dispiaciuto in fin dei conti…
Gli sorrido, tornando a fissare le stelle luminose sopra di me.
Mi abbraccia da dietro, cingendomi per i fianchi e schiacciandosi contro la mia schiena, affondando il viso tra i capelli. Struscia il naso tra essi, aspirandone l’intenso arma fruttato di mandarino, baciandomi qualche ciocca e le tempie.
-Che fai qui?- mi sussurra all’orecchio, baciandomi sul collo.
Mi stringo a lui, incrociando le braccia sopra le sue e ricambiando i suoi baci.
-Guardo lo zenit…- sussurro, facendolo quasi sobbalzare.
Solleva il capo dalla mia gola, fissandomi stranito.
Non riesco a trattenere una risatina per il suo sguardo confuso, strusciando la fronte contro la sua e baciandolo a fior di labbra.
-Lo zenit…- alzo un braccio al cielo, indicando il gruppo di stelle esattamente sopra le nostre teste -… è il punto del firmamento notturno che si estende in perpendicolare sopra di noi… in parole povere: la porzione di cielo sopra le nostre teste…-
Alza lo sguardo al firmamento, fissandolo come un bambino che cerca di comprendere perché i fiori sboccino solo a primavera, stirando il collo verso l’alto.
Mi rigiro tra le sue braccia, accoccolandomi sul suo petto nudo e caldo, posando il capo sui pettorali, su cui inizio a fare le fusa.
-Sai…- mormoro piano, accarezzandogli un piccolo graffio procuratesi nella battaglia di oggi -… Bellmer una volta mi ha detto che oltre lo zenit i ricordi si eclissano…-
Alzo gli occhi sui suoi, tornati a posarsi su di me, a polarizzare la mia anima.
Gli accarezzo il viso, sfiorandogli la pelle con la punta dei polpastrelli, scendendo dallo zigomo sinistro, segnato dalla punta della cicatrice all’occhio, fin sulle sue labbra, che disegno lentamente, marcandomele per sempre nella mente.
-…  e restano solo i sentimenti più veri e forti…-
Poso il polpastrello sul centro della sua bocca, non a zittirlo, ma a percepire le parole che non dice sulla pelle, come se la sua voce potesse parlarmi attraverso vibrazioni silenziose alle orecchie, ma non al cuore.
-Credo avesse ragione…- sussurro, fissandolo negli occhi -… se i nostri sentimenti non fossero stati così forti e veri, sarebbero scomparsi come i ricordi, e noi saremmo ancora rinchiusi nell’Istituto Manari… avremmo potuto guardarci negli occhi miliardi di volte, ma saremmo rimasti degli estranei l’uno per l’altro per sempre…-
Inclino il viso su un lato, sorridendo malinconica a questa dura realtà.
-… il mio amore per te mi ha salvata…-
Serio, mi accarezza il contorno del viso, sfiorandomi le labbra anche lui.
Mi accarezza dolcemente, posando appena il polpastrello sulle labbra.
Piano si inchina a baciarmi, castamente, senza fretta e lussuria, come mi ha baciato fino a pochi attimi fa mentre ci amavamo. Sento le sue labbra accarezzarmi piano, dolcemente, sussurrandomi parole di conforto che giungo dritte al cuore.
-Ti amo…- mormora serio -… è il nostro amore è il sentimento più forte e vero di tutti i mari… i ricordi, i pensieri, le parole che ci siamo detti, non hanno valore senza questo sentimento…-
Prende una ciocca di capelli tra le dita, arricciandola a lato del mio capo.
-Non c’è zenit che tenga: io non mi scorderò mai di te… nessun pazzo sarà mai in grado di cancellarti dalla mia testa, ne tanto meno il nostro amore…-
Le mie labbra si aprono in un sorriso smagliante, mentre mi getto al suo collo, baciandolo con foga e strattonandolo a me, aggrappandomi alle sue spalle e biascicando, tra l’incrocio delle nostre bocche, che è l’amore della mia vita.
Piano, rientriamo nella palestra, lasciando che lo zenit si perda nella note, mentre l’alba si alza sul mare, rischiarando le nebbie del tempo e lasciando che i ricordi prendano posto, sotto la luce del giorno, accanto ai sentimenti…
 
 



ANGOLO DELL’AUTORE:
Giunge a termine questa folle FF.
È stata un’impresa, l’ammetto, non tanto per la scarsità d’immaginazione ma per altri vari problemi.
Non mi scuserò mai abbastanza per i ritardi di pubblicazione, gli errori grammaticali (Shane92, non mi bacchettare più, ti prego!!!!), la scrittura frettolosa e i momenti di sclero puro (Se non ci fosse stata Aluah sarei finita nell’Istituto Manari dopo il 4° capitolo…), ne tanto meno per questo finale scontato e misero.
Ma finalmente sono riuscita a mettere la parola FINE anche a questa storia, e sarei una zolletta di zucchero sorridente e mielosa di m***a se non ringraziassi, in ordine sparso e folle, tutti coloro che hanno seguito, ricordato, preferito e recensito la FF.
Quindi GRAZIE a:aurybrachi, barbarita, bic, Bruli, cege, celiane4ever, Cherri_chan, Elisa8830, fantasy90, farsid, FM107.9RADIOCAOS, Ice_179, Jake Kokoro, martychanfantasy, JCMA, kiko90, Lily Evans 93, metaldolphin, Mech, miyuki90, monkey d mary, Moyoko, Nakura, Night chan, nihalsennar, pinklemon91, Shane92, Shike, TwinElis, Zonami84, Buffy1990, emyleerosejordan, Fiorechan, lady eva, Mizori11, Mymoon96, rogi, Sweet_ Nanami e tutti coloro che hanno recensito, e che spero commentino anche questo ultimo capitolo.
E un più sincero e adorato ringraziamento a Shane92, sempre pronta a riportarmi sulla retta via della grammatica italiana, ad Aluah, capo per honoris causa del team di supporto psicologico, Martychanfantasy per le recensioni dettagliate ed esilaranti, Yuki31 per le spinte rurobin e BornThisWay per avermi mandato a cagare e detto di cancellarmi da EFP.
Grazie di cuore…

Zomi

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