La squadra è la famiglia

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Una convocazione inattesa. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Decisione del periodo autunnale. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Primo giorno. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Niente di irreparabile ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Guadagnarsi il rispetto ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Accettazione. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Una serata tra compagni ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Novità del nuovo anno. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Azione sotto la pioggia ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. L'ordine di un soldato. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Dolorose considerazioni. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Il coraggio di guardarsi negli occhi. ***
Capitolo 13: *** Epilogo. Due anni dopo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Una convocazione inattesa. ***


Capitolo 1. Una convocazione inattesa.



Quartier Generale di East City.
Ottobre1911


“Soldato semplice Kain Fury a rapporto!” chiamò secca la voce del comandante.

Il ragazzo si alzò di scatto dalla panca della mensa dove stava seduto in solitudine e corse subito verso l’ingresso dove l’attendeva il suo superiore.
“Signore!” esclamò facendo un saluto impeccabile per non tradire la propria apprensione.
“Hai l’ordine di recarti presso l’ufficio del Colonnello Mustang, immediatamente. A quanto pare c’è bisogno di te per una radio” spiegò l’uomo.
“Certo, signore. Vado subito!” annuì il giovane, trattenendo a stento un respiro di sollievo: per un tremendo istante aveva temuto di aver fatto qualcosa di sbagliato o che uno dei suoi commilitoni gli avesse di nuovo giocato qualche brutto tiro.
Fu solo quando iniziò ad avviarsi che si rese conto da chi era stato convocato.
 
Era abbastanza teso mentre camminava lungo i corridoi del Quartier Generale dell’Est. Quella parte del complesso militare era praticamente proibita ai soldati semplici come lui ed infatti incontrava soltanto persone che andavano dal rango di sergente in su. Questo lo faceva sentire parecchio a disagio, tanto che aveva il timore che qualcuno lo fermasse e gli chiedesse perché era lì, senza magari credere alla sua storia.
Certo, si era fatto una discreta fama per la sua bravura con i gingilli elettronici e si era distinto dal resto dei suoi compagni di Accademia per il suo rendimento elevato, tanto che gli era stato concesso di terminare i corsi con un semestre d'anticipo. Ma come conseguenza si era verificato quello che era successo alle scuole superiori: non si era integrato molto bene con i suoi compagni. E venir convocato da una personalità così importante come il colonnello Mustang sicuramente non sarebbe passato inosservato e molto probabilmente ci sarebbero state ripercussioni su di lui.
Però vedere di persona l’Eroe di Ishval, quella leggenda vivente, sarebbe stato davvero emozionante. Per lui che aveva appena diciotto anni l’Alchimista di Fuoco era un vero e proprio idolo: si raccontavano decine di storie su di lui che lo lasciavano sempre a bocca aperta.
Finalmente arrivò davanti alla porta dell’ufficio che gli era stato indicato e bussò lievemente.
“Dannazione Havoc! – disse una voce dall’interno – Si può sapere che cosa stai combinando?”
“Lasciami fare, Breda! – commentò una seconda voce – Vedrai che con un paio di colpi ben assestati questo stupido aggeggio tornerà a funzionare senza bisogno di un tecnico!”
“Non credo che sia una buona idea…” disse una terza voce.
“Eddai, ragazzi, fatemi provare!”
“Havoc, ti avviso: non ho nessuna intenzione di fare richiesta per una nuova radio e giustificare il fatto che quella che abbiamo sia stata ridotta in pezzi.” a dire questa frase fu una quarta persona, il cui tono era notevolmente seccato.
La situazione era spinosa ed era chiaro che la radio che stava lì dentro rischiava di essere brutalizzata: una cosa che Kain Fury non poteva tollerare.
Senza nemmeno rendersene conto abbassò la maniglia ed entrò.
“Scusate, ho provato a bussare, ma non mi avete sentito…” disse flebilmente mentre cinque volti si giravano verso di lui.
“E questo nanetto chi sarebbe?” chiese un ragazzone biondo con una sigaretta in bocca che a Fury ricordava pericolosamente i bulli che spesso e volentieri se la prendevano con lui.
“Che ci fai qui, recluta? - gli fece eco un altro soldato dai capelli rossicci, parecchio robusto, ma dagli occhi grigi molto penetranti – Guarda che l’asilo per voi è dall’altra parte del Quartier Generale”
“Veramente… - cercò di giustificarsi Fury – mi è stato detto di venire qui per una radio.”
“Saresti il tecnico?” si sorprese il biondo avvicinandosi e squadrandolo: Fury, punte di capelli comprese, gli arrivava appena all’altezza del cuore.
“Si… - annaspò con disperazione, cercando di recuperare la calma - cioè, volevo dire...soldato semplice Kain Fury a rapporto, signore!”
“Havoc smettila di spaventarlo incombendogli addosso in quel modo. Non lo vedi che lo stai terrorizzando? – disse un altro uomo nella stanza – Vieni qui, soldato, e fatti vedere bene.”
Deglutendo rumorosamente, Fury oltrepassò Havoc e si portò davanti alla scrivania che stava in fondo all'ufficio e per la prima volta vide da vicino l’Alchimista di Fuoco Roy Mustang.
Non era una figura imponente come si era aspettato: era un uomo nemmeno sulla trentina, dai finissimi capelli neri che ricadevano sulla fronte a sfiorare gli occhi sottili e scuri. Il suo sguardo era indagatore e autoritario, ma non era teso a mettere a disagio le persone: era come se fosse estremamente curioso di vedere chi aveva davanti. Tuttavia la sua persona aveva un qualcosa di incredibilmente magnetico ed il giovane soldato ne rimase intrappolato.
Accanto all'alchimista stava una donna, dai corti capelli biondi e profondi occhi castani: Fury capì che doveva trattarsi del tenente Riza Hawkeye, pure lei eroe della guerra di Ishval; nel Quartier Generale girava voce che nessuno avesse una mira pari alla sua.

“Quanti anni hai, soldato?” chiese il colonnello riportandolo alla realtà.
“Diciotto, signore” rispose il giovane ritrovando miracolosamente la voce.
“E hai già finito l’Accademia?” il sopracciglio destro dell'alchimista si inarcò leggermente.
“Sì, signore. Ho completato sei mesi fa.”
“Capisco. Hai fatto due anni in uno, vero?”
“Sì signore.”
“Davvero notevole. In ogni caso, – cambiò discorso, accennando col mento ad un tavolo dietro Fury – quella è la radio che ci hanno gentilmente fornito. Ma a quanto pare fa di tutto meno che funzionare. Mi hanno riferito che sei parecchio bravo con queste cose: vediamo che sai fare.”
Girandosi verso l’apparecchio incriminato Fury si rese conto che la situazione non era molto rosea. Si trattava di un modello vecchio e decrepito: sicuramente uno di quelli che il Quartier Generale aveva deciso di utilizzare prima di mandare in pensione in maniera definitiva. Questo significava mancanza di pezzi di ricambio ed un sistema ormai stanco e mal funzionante.
Tuttavia il giovane non si perse d’animo e si avvicinò all’apparecchio, prendendo le cuffie e iniziando a muovere le manopole. Dopo qualche secondo chiese:

“Qualcuno di voi ci ha per caso fatto qualcosa o la situazione era questa da principio?”
“Diciamo che abbiamo provato a cimentarci un po’ tutti; – disse il colonnello, scrollando le spalle con noncuranza – ma forse abbiamo solo peggiorato la situazione.”
Nel frattempo guardava con occhi incuriositi quel ragazzino che iniziava a tirare fuori dei piccoli strumenti: cacciavite, fili, rondelline... sembrava che avesse un vero e proprio negozio di ferramenta dentro le sue tasche. Di certo sapeva come destreggiarsi perché in pochi secondi aveva aperto la cassa della radio e aveva iniziato a sondare col cacciavite gli intricati complessi elettronici.
“Ehi, ragazzino, sei sicuro di sapere quello che fai?” chiese Breda accostandosi con curiosità.
Fury, preso com'era dal suo lavoro, si dimenticò del timore che nutriva per quelle persone e spiegò con disinvoltura:

“I fili sono vecchi ed i circuiti interni pure, ma non è questo il problema principale. Credo che… - e prese una minuscola torcia – ecco! Alcune valvole di trasmissione sono saltate dalle loro posizioni... accidenti, hanno perso la loro sede ed è impossibile che ci siano ancora pezzi di questo tipo in circolazione.”
“Quindi niente possibilità?” chiese Havoc.
“Non ci saranno mai pezzi simili in magazzino, ma forse...” mormorò il giovane rivolto più a se stesso alle altre persone intorno a lui che lo fissavano con curiosità.
In particolare il Colonnello aveva indirizzato tutta la sua attenzione a quella testa dai dritti capelli neri, con i lineamenti così giovanili che gli davano meno dei suoi diciotto anni. Non gli erano sfuggiti gli occhi scuri, dietro le lenti degli occhiali, che brillavano d’intelligenza mentre montava insieme delle strane rondelle tirate fuori dalla tasca. Dopo qualche secondo, il giovane le infilò nella radio e provò a premere il pulsante d’accensione. E la spia luminosa indicò che l'apparecchio era tornato a funzionare.

“Ehi…il pivellino ce l’ha fatta!” esclamò Havoc.
“La radio ora funziona, signore!” sorrise Fury chiudendo l’apparecchio con gentilezza e iniziando a rimettere i suoi attrezzi in tasca. Poi si portò davanti al colonnello e si mise sull’attenti.
“Ottimo lavoro, soldato Fury, – sorrise il superiore annuendo – puoi tornare al tuo plotone. Se la radio ci darà altri problemi saprò chi chiamare.”
“Grazie mille, signore! – salutò il giovane, arrossendo, prima di girarsi e di dirigersi verso la porta – Per qualsiasi cosa sono sempre a sua disposizione.”
 
Come il giovanissimo soldato fu uscito, il colonnello chiamò a sé l’uomo che durante la scena non aveva detto nulla, limitandosi ad osservare con silenziosa attenzione.
“Falman, fammi un favore: procurami entro domani tutto il materiale su quel ragazzino.”
“Si signore.” annuì il maresciallo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Decisione del periodo autunnale. ***


Capitolo 2. Decisione del periodo autunnale.


 
La mattina successiva il maresciallo Falman posò una sottile cartelletta sulla scrivania del colonnello Mustang.
"Il materiale che mi ha chiesto, signore" annunciò, impassibile.
“Molto bene, ottimo lavoro Falman. Vediamo un po’... ecco qua il nostro soldato semplice Kain Fury. – mormorò estraendo i fogli e dando loro una rapida occhiata. Dopo aver annuito in maniera impercettibile li passò alla sua assistente - Tenente, per favore, leggi questo rapporto.” 
Prima che la donna iniziasse a leggere si girò verso la finestra, fissando il cielo particolarmente limpido di quella mattinata d'ottobre.
La voce del tenente iniziò:
“Kain Fury, matricola 3467, nato il 9 settembre 1893. Entrato all’accademia militare nel 1910; qui si distingue per gli altissimi voti in tutte le materie teoriche che gli consentono di terminare il corso in un anno invece che in due, anche se ufficialmente, per motivi regolamentari, la sua promozione è avvenuta con un solo semestre di anticipo rispetto alla durata normale. Data di fine corso: aprile 1911.
Effettivamente le tabelle allegate mostrano una media impressionante; però per quanto riguarda l’uso delle armi, viene definito nella media, senza particolari meriti..."
“Bah, il classico secchione: - commentò Havoc, dalla sua scrivania – quelli come lui a scuola li picchiavo dalla mattina alla sera.”
“...Particolarmente portato nelle materie tecniche – continuò il tenente, ignorandolo – mostra incredibili doti nel settore comunicativo. Per quanto riguarda…”
“Mi basta questo. – disse il colonnello, interrompendola – Devo dire che il ragazzino mi piace: aveva lo sguardo di uno che sa quello che fa mentre sistemava quella radio. Ho deciso: lo voglio nella squadra.”
“Cosa?! – si stupì Havoc alzandosi e fissando il suo superiore con incredulità – Ma colonnello... è un pivellino!”
“Un pivellino che è esperto di apparecchi elettronici più di tutti noi messi insieme: uno come lui non può che esserci utile. Inoltre mi è sembrato parecchio sveglio... quindi, caro Havoc – Mustang rivolse un’occhiata annoiata ma esplicita al sottotenente - fammi il favore di non spaventarlo troppo quando si unirà a noi.”
Ma nonostante quelle parole, il biondo non era per niente soddisfatto di quella situazione.
“Questa poi! - sbottò - Dannazione, vieni Breda... andiamo a berci qualcosa. Su, Falman, vieni pure tu.”
Il sottotenente rosso ed il maresciallo si scambiarono un'occhiata e poi seguirono Havoc verso l'uscita dell'ufficio.
Come la porta si fu chiusa, nemmeno troppo gentilmente, il colonnello si girò verso la sua assistente.
“Leggi l’ultima parte del rapporto, quella relativa alle doti caratteriali” la invitò con un sorriso gentile.
“Caratterialmente è una persona molto disponibile e pronta ad aiutare, ma ha dimostrato diverse difficoltà di interazione sin dal primo anno d’Accademia.” terminò il tenente, con voce sommessa.
“Non era il caso che lo leggessi in presenza di Havoc e Breda, e sono certo che Falman manterrà il silenzio.” disse l’uomo, sorridendo.
“I ragazzi non sembrano molto entusiasti della sua scelta, signore. - commentò lei - Forse l’arrivo del soldato Fury provocherà scompiglio più che altro,”
“Tu cosa ne pensi, tenente?"
La donna riflettè per qualche secondo, riportando lo sguardo sui fogli che aveva appena letto.
“Penso che il soldato Fury sia uno di quei ragazzini fin troppo gentili che finiscono sempre per essere trattati male dai bulli... cosa che pare confermata dal rapporto. E’ intelligente, certo, ma non è il tipo di soldato che manderei in prima linea.” disse infine in tutta franchezza.
“Insomma, anche tu hai dei dubbi in merito al suo inserimento in squadra.” dichiarò Mustang.
“Ho imparato a fidarmi del suo istinto colonnello e non metto in dubbio quanto deciso. Ma vorrei chiederle se c’è altro dietro la sua scelta, oltre le indiscusse capacità tecniche che Fury dimostra.”
“Mi conosci fin troppo bene, tenente” sorrise il colonnello.
“Da anni ormai, signore”
“Beh, se devo essere sincero, di quel soldato mi ha colpito proprio la gentilezza e la timidezza... e quando ho letto la parte del rapporto relativa al suo carattere non ho avuto altri dubbi. Voglio una squadra affiatata e collaborativa: non che consideri gli altri dei cattivi soggetti, tutt'altro, ormai li conosco da anni, ma credo che qualcuno con il buon carattere di Fury aiuterebbe ad amalgamare meglio il team. - annuì con determinazione - Secondo me può dare un fondamentale contributo: l’ho visto carico di entusiasmo e buona volontà. Se Havoc non lo distrugge nelle prime settimane penso che il piccoletto diventerà un ottimo elemento per tutti noi.”
“Se Havoc non lo distrugge nelle prime settimane...” ripeté il tenente con un sospiro.
 
Completamente ignaro del discorso che lo aveva appena riguardato, Fury stava nel cortile ad approfittare di una pausa durante lo svolgimento del lavoro nel reparto comunicazione. Seduto a gambe incrociate su un basso muretto, assaporava la leggera brezza autunnale che ancora portava ricordi dell'estate. In momenti simili gli piaceva pensare a casa sua e alla campagna che la circondava: di certo le foglie dovevano aver iniziato ad ingiallire nel piccolo bosco che vedeva dalla finestra di camera sua....Si chiese se l'uccellino che aveva curato l'ultima volta che era stato a casa era riuscito a trovare un nido dove passare i mesi freddi: sua madre, sorridendo, gli aveva garantito che sicuramente ce l'avrebbe fatta e che in primavera sarebbe tornato a vedere se il suo guaritore era ancora lì.
Mentalmente prese nota che doveva assolutamente scrivere ai suoi genitori dell'incredibile onore che aveva avuto nell'incontrare il grande Alchimista di Fuoco e di tutta l'emozione che aveva provato: sarebbe stato piacevole raccontare loro qualcosa di così bello... in genere le sue lettere parlavano del suo lavoro nel settore comunicativo, ma senza alcuna esperienza degna di nota.
Nel frattempo aveva tirato fuori dalla tasca delle piccole rondelline, identiche a quelle sistemate il giorno prima nella radio del colonnello, e aveva iniziato a giochicchiarci, provando a montarle in diversi modi. 
“Ehi, soldato, sempre giocando con le costruzioni?” disse una voce davanti a lui.
Alzando lo sguardo con sorpresa, Fury vide che si trattava di alcuni suo compagni di plotone che lo fissavano con un sogghigno per niente rassicurante.
“Attenti ragazzi, guardate che stiamo parlando con il grande Kain Fury. Adesso viene anche convocato dai gradi più alti!” disse un altro con finta apprensione.
Con un misto di preoccupazione e rassegnazione, il giovane capì che la sua convocazione del giorno prima da parte del colonnello Mustang era giunta all’orecchio dei suoi compagni, proprio come aveva temuto.
“Allora, soldato, è vero sì o no?” gli chiese il primo che aveva parlato, uno dei suoi più incalliti tormentatori.
“Beh... sì, è vero. Ho aggiustato la radio del colonnello Mustang” mormorò in tutta sincerità, non sapendo che altro dire.
“Oh, wow! E nonostante tutto parli con noi, poveri inferiori!” continuò quello con finta sorpresa.
“Non capisco perché dici una cosa simile…io…” cercò di districarsi da quella situazione.
“Non lo capisci? – gli chiese l'altro, prendendolo per il colletto così improvvisamente che le rondelle caddero per terra – Ascolta, quattrocchi, ti distruggo insieme alla tua secchionaggine! Non mi piace che quelli come te vadano in giro a farsi belli con i superiori!”
“E che dovevo fare? – si lamentò il ragazzo serrando gli occhi e preparandosi a ricevere un pugno – Dire di no alla chiamata?”
“Questi non sono problemi miei! Ma vedi di stare al tuo posto, non so se capisci cosa intendo!” e con un ultimo strattone lo lasciò andare e si allontanò con i suoi amici.
Rimettendosi a posto il colletto e sospirando di sollievo per non aver avuto ripercussioni fisiche, almeno questa volta, Fury si accorse delle rondelline cadute nel camminamento e si inginocchiò a raccoglierle. Con rammarico ne prese una che era stata calpestata: provò a rimetterla dritta, ma non ci fu nulla da fare.

Alzandosi guardò quelle ancora integre nel palmo della mano e ripensò a come la radio del colonnello avesse ripreso a funzionare grazie a loro. Il buonumore che era sparito per quei terribili minuti gli tornò di colpo: no, non avrebbe permesso ai suoi compagni di rovinargli il bellissimo ricordo del giorno precedente.
Guardando l’orologio vide che era ora di rientrare a lavoro, così si mise le rondelle superstiti in tasca e corse verso l’edificio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Primo giorno. ***


Capitolo 3. Primo giorno.



"Dove posso trovare il soldato Fury?” chiese una recluta entrando nella stanza del Reparto Comunicazioni.

“Eccomi.” rispose l’interessato, emergendo da sotto un tavolo con un cacciavite dietro l’orecchio e le mani piene di cavi elettrici e dirigendosi verso il nuovo arrivato, uno dei pochi compagni di plotone con cui non aveva mai avuto dei problemi.
“Ho un messaggio per te: – disse il ragazzo – ha detto il capitano che devi recarti subito dal colonnello Mustang. Con la massima urgenza!”
“Cosa? – esclamò Fury colto di sorpresa, lasciando cadere i cavi – Il colonnello Mustang? Vado subito!”
Mentre correva per i corridoi, rischiando di impattare contro chiunque incontrasse, nella sua mente passarono gli scenari più terribili che potesse immaginare: la radio esplosa, il colonnello furioso, una punizione esemplare, la sua carriera militare finita.
Solo quando arrivò davanti alla porta, si costrinse a fermarsi un attimo per ricomporsi il minimo indispensabile.
Trattenendo il respiro, bussò una volta ed entrò.

“Soldato semplice Kain Fury a rapporto come richiesto, signore!” esclamò salutando il colonnello e cercando di controllare il fiatone.
 “Riposo, soldato, e vieni qui davanti. – replicò Mustang dalla sua scrivania – Sai perché sei stato convocato?”
“Presumo per la radio, signore. Ha dato nuovi problemi? Speravo che le sedi delle valvole che avevo improvvisato bastassero, ma forse posso…”
“La radio funziona perfettamente” lo bloccò il colonnello.
“Ah si?” la perplessità era così visibile nella faccia del ragazzo che l’alchimista non poté fare a meno di sorridere
“Ho fatto richiesta al tuo plotone per trasferirti.”
“Cosa?” il giovane rimase a bocca aperta dimenticandosi che forse non era il modo più appropriato di rivolgersi ad un superiore.
“Esattamente quello che ho detto: da oggi in poi sei mio diretto sottoposto, Fury. Le pratiche sono in via di assolvimento, ma ho avuto la concessione di averti disponibile da subito.”
“Signore, io…io… - balbettò il ragazzo arrossendo, mentre gli occhi neri brillavano per l’emozione e tutto il terrore accumulato svaniva come neve al sole – la ringrazio tantissimo per questo grande onore.”
“Mi ringrazierai dimostrandomi che ho visto giusto su di te. Ma per prima cosa ho il grande piacere di presentarti il mio discutibile team. – ridacchiò iniziando a indicare le altre persone presenti nella stanza – Lei è il tenente Riza Hawkeye, mia assistente personale nonché guardia del corpo. Il ragazzo biondo che l’altra volta ti ha spaventato tanto è il sottotenente Jean Havoc, il suo grande amico di bagordi è il sottotenente Heymans Breda, mentre quello più grande è il maresciallo Vato Falman. Signori, questo è il vostro nuovo compagno: il soldato Kain Fury”
Fury si girò verso i suoi nuovi commilitoni, speranzoso di incontrare la loro approvazione, ma ciò che vide non fu molto incoraggiante: gli sguardi variavano dall’indifferenza del maresciallo Falman, che gli rivolse appena un cenno, all’ostilità nemmeno troppo simulata, specie del sottotenente Havoc. Solo il tenente Hawkeye gli rivolse un sorriso incoraggiante. Ma Fury era abbastanza accorto da sapere che i suoi compagni più stretti sarebbero stati quelli che ora stavano alle loro scrivanie con il broncio.
E intuiva che l’ostilità di persone come loro poteva essere molto diversa rispetto a quella di semplici compagni di plotone.

“Non credo ci siano problemi a farti iniziare subito. – continuò il colonnello alle sue spalle, riattirando la sua attenzione – Ma non credo che quel cacciavite ti servirà, almeno per il momento.”
“Cacciavite? – mormorò Fury perplesso. Poi si ricordò all’improvviso dell’attrezzo che aveva dietro l’orecchio e si affrettò a metterlo in tasca – Mi scusi, signore. Ma la sua chiamata è stata davvero improvvisa!”
 
“Bene soldato – disse il tenente Hawkeye quando il giovane si fu sistemato alla scrivania a lui assegnata, proprio accanto ad Havoc – hai mai svolto compiti di amministrazione?”
“Ho seguito il corso base previsto all’Accademia, signora, ma non mi è mai stato chiesto di occuparmene da quando sono soldato regolare” rispose il ragazzo prendendo la pila di documenti che gli veniva data.
“Tze! – borbottò Havoc – Cominciamo bene…”
“Le conoscenze del corso dovrebbero essere sufficienti per iniziare. – continuò il tenente, lanciando un’occhiataccia al suo collega – Questi sono documenti differenti che vanno oltre la mera amministrazione degli uffici generali: però molte parti sono simili. Tieni, questo è un rapporto che ho stilato io: osservalo bene e poi prova a compilarne uno tu relativo al caso su quell’altro dossier. In genere un lavoro simile si fa in mezz’ora, ma considerata la tua posizione di nuovo arrivato ti concedo quaranta minuti.”
“Quaranta minuti?” si impanicò Fury osservando la corposa pila di fogli.
“Si, soldato.- annuì con praticità la donna, con un tono che non ammetteva repliche - Fra quaranta minuti voglio vedere cosa sei riuscito a combinare. Puoi iniziare.”
“E ricorda, pivello, – disse Havoc accendendosi una sigaretta – devi scrivere senza errori di ortografia, altrimenti avrai una nota sul diario!”
Troppo spaesato per dare soddisfazione a quella provocazione, Fury si gettò immediatamente nella lettura del rapporto esemplificativo. Sulle prime gli venne quasi da piangere per la mole d’informazioni che conteneva e si chiese come potevano anche solo pensare che in quaranta minuti assimilasse tutto. Come se non bastasse sentiva su di sè le occhiate di tutti gli altri, come se si aspettassero che lui scoppiasse in lacrime da un momento all'altro.
Tuttavia, dopo un minuto di panico, si costrinse a calmarsi e ad analizzare la situazione: gli stavano chiedendo un compito che secondo loro era fattibile e dunque si trattava solo di capire come fare. Iniziò ad osservare fascicolo del tenente e improvvisamente intuì la soluzione: gli doveva servire solo da esempio e doveva individuare quali fossero le parti che effettivamente erano utili; la maggior parte erano informazioni  che non lo interessavano. Era come scomporre una radio carica di fronzoli: alla fine il circuito base era semplice e nascosto e lui non doveva fare altro che liberarlo.

Fu quindi con grande stupore di tutti che dopo un solo quarto d’ora prese in mano la penna e iniziò a scrivere. Aveva ragione il tenente: le basi gli bastavano. L’aver letto il fascicolo gli aveva permesso di individuare le modifiche da apportare a una struttura fondamentale che lui conosceva già. Si gettò anima e corpo in quel rapporto e fu con sua stessa sorpresa che dopo venti minuti esclamò:
“Finito!”
“Molto bene, soldato, – annuì il tenente Hawkeye prendendo i fogli in mano – lo controllerò più tardi e ti dirò com’è andata”
 
“Allora, tenente?” chiese il colonnello durante la pausa pranzo.
“Ci sa fare: – ammise la donna, sfogliando i fogli dalla calligrafia pulita – ha capito in fretta come districarsi. In genere i nuovi arrivati perdono un sacco di tempo a leggere interamente il rapporto esemplificativo, ma lui ha estrapolato subito quello che gli serviva. Certo, c’è qualche ingenuità di fondo, ma sono cose che era impossibile sapesse. Ma nel complesso è un lavoro più che buono.”
“Da uno a dieci che voto daresti?"
“Un rapporto così è da sette, ma considerato che l’ha fatto un ragazzino che non ha visto materie d’amministrazione dal corso base dell’Accademia direi che è da otto.”
“Bene, bene... – sorrise enigmatico l’alchimista, girando il cucchiaino nella tazza di caffè. Poi alzò lo sguardo sulla sua assistente e proseguì - Ti voglio chiedere un grande favore, tenente: potresti prenderlo, diciamo, sotto la tua ala protettiva almeno per queste prime volte? Dubito che gli altri siano molto propensi ad aiutarlo e non voglio che si scoraggi troppo davanti a simili atteggiamenti…è come aggiungere un nuovo ingrediente ad un impasto: bisogna amalgamare il tutto con cura e pazienza.”
“Va bene signore” annuì la donna.
 
“Tieni, soldato, – disse il tenente, un'ora dopo, restituendo il rapporto a Fury – te la sei cavata bene per essere la tua prima volta.”
“Grazie signora” arrossì il giovane, felice di incontrare approvazione.
“Ti ho segnato a matita alcune parti dove c’è ancora lavorare. Sono quelle parti specialistiche che era difficile che conoscessi: ti ho messo delle note a lato, così ti puoi basare su quelle.”
“Davvero? Grazie tenente, è stata davvero gentile!” esclamò, sorridendo con riconoscenza alla donna.
“Lecchino” mormorò Havoc senza nemmeno alzare gli occhi dai fogli che stava controllando.
Il commento ovviamente fu udito da tutta la stanza e Fury abbassò lo sguardo confuso, mentre si sedeva al suo posto.
Il sottotenente era quello che l’aveva preso maggiormente in antipatia, era chiaro. Per un secondo, Fury si chiese se era il caso di tentare di chiarire che lui voleva solo ringraziare il tenente per la gentilezza che gli aveva fatto... ma lanciando una timida occhiata al collega e vedendo la sua espressione ostile, capì che era molto meglio tacere. Sospirando con tristezza pensò che la situazione non era molto diversa da quella del suo ex-plotone: non era riuscito simpatico nemmeno alla sua nuova squadra.

Improvvisamente sentì due occhi indagatori su di sé. Alzando lo sguardo vide che Mustang lo fissava con attenzione e con qualcosa interpretabile come aspettativa. Fu quell'occhiata a fargli dimenticare tutti quei problemi: lavorare per l’Alchimista di fuoco andava oltre qualsiasi sogno che aveva osato fare e non voleva perdere quest'occasione; avrebbe fatto del suo meglio.
Iniziando a lavorare su un nuovo fascicolo si sentì determinato come mai gli era successo in vita sua.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Niente di irreparabile ***


Capitolo 4. Niente di irreparabile.



Una settimana dopo Fury credeva di aver raggiunto un delicato compromesso con il resto della squadra: bastava che facesse il suo lavoro in silenzio, riducendo al minimo il parlare, e sembrava che gli altri si dimenticassero della sua presenza per la maggior parte della giornata. Certo, non era proprio una situazione idilliaca, ma prendere anche la minima iniziativa poteva significare scatenare le attenzioni non proprio gradevoli di Havoc. Col passare dei giorni l'astio che il sottotenente provava nei suoi confronti non era per niente diminuito: mentre Breda e Falman si limitavano più che altro ad ignorare il nuovo arrivato o a rivolgergli la parola in caso di necessità, Havoc non mancava mai di punzecchiarlo con battute o commenti cattivi.
Invece il tenente continuava ad essere gentile nei suoi confronti: non passava giorno che gli desse qualche utile consiglio o lo incoraggiasse con lievi cenni del capo. Per Fury quei gesti erano un vero toccasana: era certamente determinato a dimostrarsi degno di essere stato scelto dall'alchimista di fuoco, ma spesso si sentiva profondamente a disagio per quell'isolamento che gli altri gli avevano imposto.
Ma del resto, esclusa l'età maggiore dei componenti della squadra, la situazione non era molto dissimile da quella vissuta prima a scuola e poi in Accademia...
In ogni caso, anche quel giorno il soldato semplice si apprestava a svolgere il suo lavoro d'amministrazione che, ormai, non gli creava più alcun problema.
Tuttavia, dopo qualche minuto, il colonnello lo chiamò alla propria scrivania.

“Bene Fury, - annunciò, guardandolo con attenzione - le pratiche per il tuo trasferimento sono state espletate. Tieni, questa è l’autorizzazione ad andare in armeria a prendere qualcosa per te.”
“Un’arma, signore?” chiese il ragazzo perplesso leggendo il foglio.
“Sì, soldato. Se non ricordo male in Accademia vi fanno fare pratica soprattutto col fucile, vero?”
“Sì, fucile e poi la pistola a basso calibro che continuiamo a tenere anche terminato il corso.”
“Fammela vedere.”
Fury tirò fuori dalla fondina che teneva alla cintura la pistola d’ordinanza e la porse al colonnello. Questi la prese e rigirandola tra le dita rise:
“Con questa non colpisci manco un barattolo posto a dieci metri di distanza e ti si inceppa al terzo colpo se provi a sparare di seguito”
“Ma è quella che viene fornita dall’esercito” protestò Fury arrossendo per quei commenti impietosi.
“Certo. Per evitare che i novellini appena usciti dall’Accademia, in particolare le teste calde, facciano troppo gli idioti in prove di coraggio e simili. Almeno si limitano i danni. E’ dopo circa due anni da quando si terminano i corsi che si dotano i soldati di armi più decenti.” e con disinvoltura prese dalla propria fondina una pistola nera e lucida e la porse a Fury.
Il soldato non se ne intendeva molto di armi, era uno dei pochi campi in cui non brillava, ma gli bastò una sola occhiata per capire l'abisso di differenza tra quella che era chiaramente una pistola professionale e la sua... poco più che un giocattolo. Tuttavia era ancora perplesso:

“Ma signore, io ho terminato il corso ad aprile di quest’anno. Non mi è concesso avere altre armi al di fuori di quella…”
“Infatti ti ho fatto un’autorizzazione speciale. Non mi va che un membro della mia squadra sia praticamente disarmato. Sottotenente Havoc, Tenente Hawkeye, andate in armeria con Fury e cercate di trovargli qualcosa di decente.”
Fury si girò verso gli altri e vide che mentre il tenente si alzava immediatamente al comando, Havoc aspettò qualche secondo prima di scostare la sedia con aria annoiata. 
Con un leggero brivido lungo la schiena, mentre restituiva l'arma al colonnello, Fury sperò che nelle successive ore andasse tutto bene.

 
“Perché siamo qui a fare da babysitter?” chiese Havoc accendendosi una sigaretta.
“Perché non saprebbe come districarsi con tutte le armi a disposizione qui, e tu sai bene che una pistola sbagliata può essere la differenza tra la vita e la morte” rispose con semplicità il tenente cercando un’arma che si potesse adattare al suo protetto.
“Ma lasciamolo in ufficio dato che è tanto bravo a fare rapporti e riparare radio. Insomma, tenente…è un piccolo secchione, di quelli che vogliono farsi belli agli occhi dell’insegnante.” sbottò il biondo fissando con risentimento Fury che guardava disorientato le armi su un tavolo poco distante.
“Se ti riferisci all’episodio dei miei appunti sul suo rapporto, io ritengo che volesse solo essere educato e non fare il lecchino, come invece l'hai definito tu. Almeno, se proprio non ti piace, evita di insultarlo apertamente: non lo merita.”
“Non capisco cosa ci trovi il colonnello in lui” continuò il sottotenente ignorando il rimprovero.
“Sei geloso?”
“No. E’ che... è solo uno stupido soldatino semplice, tutto qui. Non ci vedo tutto questo gran prodigio. Non c’era bisogno di farlo entrare nel gruppo.”
Ma il tenente scosse il capo con ostinazione:

“No, non è più uno stupido soldatino semplice: ora è un nostro compagno, che ti piaccia o meno. Tornando a noi, credi che un’ M5 potrebbe andare?” chiese prendendo la pistola in questione dall’espositore
“Si ammazza al primo colpo…”
“Parlo sul serio. – sospirò la donna controllando che l’arma fosse in ordine - E’ abbastanza maneggevole, considerando che lui è piccolo di stazza. Inoltre non è molto complicata e ha discreta precisione”
“Il rinculo manderà a terra quel nanetto…” borbottò Havoc prendendo la pistola che gli veniva passata; gli occhi azzurri si spostarono sulla figura di Fury, calcolandone rapidamente peso e resistenza.
“In quel caso dovrà lavorare sull’equilibrio” ammise lei con la sicurezza di chi maneggia le armi da anni.
“E vada per l’M5. Ehi, tappo! Vieni qui!”
Il ragazzo si avvicinò e fissò la pistola che Havoc teneva in mano.
“Questa è un’ M5. - gli spiegò il biondo - E’ probabilmente la pistola che si adatta meglio a te: vatti a mettere le protezioni per il poligono che voglio proprio vedere come te la cavi.”
 
SBANG!!!! Ci dovevate essere, ragazzi – esclamò Havoc, qualche ora dopo, mentre prendeva un caffè con i suoi compagni – è stato pazzesco: non ho mai visto un imbranato di questo livello.”
“E’ finito a gambe all’aria per il rinculo?” ridacchiò Breda
“Ancora meglio! La pistola gli è praticamente partita di mano andando a schiantarsi in mezzo alla sua faccia e facendo saltare la protezione e i suoi occhiali da secchione. E’ riuscito a fare una cosa veramente assurda... l’M5 è una delle armi più facili da usare eppure lui ci si è praticamente distrutto.”
“Non credi di esagerare ora, Havoc? - chiese Falman, con serietà - In fondo è normale che non fosse abituato a una pistola così diversa dal gingillo che aveva” 
“Non è questione di abitudine o meno – commentò il sottotenente con sicurezza – è questione di essere veramente imbranati.”
“E ora dove si trova il nostro infallibile cecchino?” chiese Breda con un sorriso sarcastico
“In infermeria a trattenere le lacrime: l’ha accompagnato il tenente. Spero vivamente che il colonnello inizi a rivalutare il pivello! Non basta essere bravi a riparare radio o fare rapporti.”
“Speriamo che non si sia fatto troppo male” mormorò Falman.
“Tranquillo, Falman. - scrollò le spalle il biondo, facendo un profondo tiro con la sigaretta e guardando il fumo che saliva verso il soffitto - L’ho rimesso in piedi e mi è bastata un’occhiata per capire che non era una ferita grave. Avrà solo un gran mal di testa per il resto della giornata e magari gli resterà una bella cicatrice per vantarsi!”
 
Fury, seduto su un lettino dell'infermeria, lanciò un lamento simile al guaito di un cane mentre il medico gli levava gli ultimi frammenti di occhiale dal taglio in fronte.
“Ragazzino, nessuno ti ha detto che non si gioca con le armi di papà?” sbottò l’uomo prendendo un pezzo di garza e pulendo la ferita
“Ma…io…” balbettò mentre serrava gli occhi per il dolore.
“E’ stata una prova andata male: – intervenne il tenente Hawkeye, in piedi accanto al giovane soldato – non si aspettava un rinculo simile da una nuova pistola”
“Che mammoletta! - concluse il medico mettendo un grosso cerotto sul naso e un altro sulla fronte – Ti è andata bene: gli occhi sono illesi e la botta solo superficiale: tanto sangue, ma pochi danni... quando sei entrato qui con la maglietta zuppa di sangue pensavo peggio. Procurati nuovi occhiali e tieni questi cerotti per una settimana prima di tornare qui.”
“Sissignore... grazie mille per la medicazione” mormorò il soldato alzandosi ed uscendo insieme al tenente.
“Come va?” chiese la donna mentre camminavano nei corridoi
“Tutto bene, signora” rispose lui cercando di mostrarsi forte nonostante il dolore.
“Mi dispiace. Avrei dovuto preparati maggiormente al contraccolpo; non eri abituato, ci dovevo pensare”
“Oh, ma non si deve scusare, signora. E’ stato un incidente: la prossima volta farò attenzione” promise Fury tenendo lo sguardo basso
“Ehi, non è il caso di stare con lo sguardo a terra: può succedere a chiunque.”
“Cosa? Oh no, tenente, non si preoccupi. E’ che senza occhiali vedo sfocato e preferisco tenere lo sguardo sul pavimento per evitare fastidio agli occhi”
“Hai occhiali di riserva?”
“Certo, sono previdente”
“Bene. Adesso vai nel dormitorio e riposa un po’. La botta che hai preso è stata comunque forte e tra poco avrai un bel mal di testa: e prima che tu ribatta che stai bene, sappi che questo è un ordine, soldato. Niente discussioni” dichiarò posandogli una mano sulla spalla esile.
“Va bene, signora. Grazie mille per la sua premura.”
 
Sdraiato nel letto Fury fissava il soffitto cercando di non pensare alla figuraccia che aveva fatto. Perché doveva succedere? Stava andando tutto così bene... Non avrebbe mai immaginato che una pistola all’apparenza simile a quella fino ad allora usata, potesse avere un contraccolpo del genere. Era stata una botta così improvvisa che nemmeno riusciva a mettere insieme i dettagli: era nitido solo il dolore lancinante al naso e alla fronte e tutto quel sangue che colava. Ricordava vagamente la cascata di maledizioni di Havoc mentre lo rimetteva in piedi ed il tenente che lo chiamava e gli premeva qualcosa sulla ferita... doveva essere proprio stordito.
Alzò le mani verso la lampada, congiungendo pollici e indici a creare una pistola, come faceva da bambino. Si sentì incredibilmente incapace, come quando a scuola faceva qualche figuraccia e ci voleva tutto il coraggio del mondo per non fare caso alle risate degli altri. Quando succedeva tornava a casa e si rinchiudeva in camera sua, cercando conforto in quei piccoli apparecchi elettrici che smontava e rimontava da quando aveva sei anni. Suo padre più di una volta gli aveva intimato di reagire “da vero uomo”. Ma non era sempre facile: spesso sentiva l’esigenza di isolarsi da chi non lo capiva, di metabolizzare l’evento... e, proprio come gli succedeva ora, sentiva il bisogno disperato di sua madre che, senza dire una parola, si sedeva accanto a lui, nel pavimento di legno, e aspettava pazientemente che l’angoscia si esaurisse e con il suo sorriso gli faceva capire che in fondo non era successo niente di irreparabile.
“Niente di irreparabile… - si ripetè sommessamente, chiudendo gli occhi e accorgendosi di aver improvvisamente sonno - si tratta solo di rialzarsi in piedi.”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Guadagnarsi il rispetto ***


Capitolo 5. Guadagnarsi il rispetto.


Il giorno dopo, mettendo la mano sulla maniglia dell'ufficio, Fury dovette trovare tutto il coraggio del mondo per entrare ed affrontare gli sguardi di tutti per via di quei due vistosi cerotti che aveva in viso.
E difatti, come entrò, cercando di essere più silenzioso del solito, l'attenzione dei suoi colleghi si volse immediatamente verso di lui.

“Ecco il nostro tiratore scelto!” annunciò Breda che in quel momento si trovava vicino alla porta. 
Il giovane arrossì a quella battuta, ma poi rimase incredulo quando il sottotenente rosso gli sollevò il mento con la mano e lo squadrò con cura. Fu un'analisi di pochissimi secondi, prima che il robusto soldato facesse un lieve cenno del capo e gli desse una lieve spinta verso la sua scrivania.

“Ehi, Fury – sorrise nel frattempo Mustang, alzando lo sguardo dal giornale che stava leggendo – vacci piano con l’entusiasmo. Mi hanno raccontato che hai avuto un’esperienza al dir poco esplosiva.”
Il soldato non seppe come reagire e si augurò che il buonumore del colonnello significasse che non lo considerava un inetto e che non avesse cambiato idea su di lui. D'impulso cercò con lo sguardo il tenente Hawkeye, ma notò con rammarico che non era presente.
“E’ stato un incidente, signore, – disse arrossendo – ma cercherò di migliorare. Mi eserciterò ogni giorno, lo prometto.”
“Lo spero proprio. Si presume che tu debba sparare agli altri e non a te stesso. Havoc ci ha fatto un ampio resoconto della tua prodezza: non credo di aver mai sentito una storia simile.”
“Sicuramente non nel Quartier Generale dell’Est, colonnello” ghignò Havoc, soddisfatto delle parole del suo superiore.
“Comunque voglio che tu impari a usare quell’arma come si deve, Fury. E chi può farti da maestro meglio del nostro Havoc?” sorrise l’alchimista di rimando.
“Cosa?” replicarono in coro i due interessati.
“Dato che hai descritto così dettagliatamente la prodezza del nostro soldato semplice, di certo sei in grado di correggere i suoi errori, sottotenente. – dichiarò Mustang tornando a guardare il giornale e girando pagina – Penso che non ci siano problemi a iniziare già da stasera, dopo che terminate di lavorare qui: non credo che tu abbia impegni importanti, vero Havoc?”
Fury immaginò che le porte dell’inferno si aprissero davanti a lui: adesso si sarebbe trovato faccia a faccia con Havoc, senza nessuna possibilità di salvezza. Aveva supposto, anzi sperato, che se proprio qualcuno l’avrebbe aiutato sarebbe stato il tenente Hawkeye; aveva anche pensato di chiederglielo lui stesso. Quest’idea del colonnello aveva spiazzato tutti. Si arrischiò a lanciare un’occhiata ad Havoc e vide gli occhi azzurri del sottotente fissarlo pericolosamente. Con una morsa allo stomaco capì che le lezioni con questo nuovo maestro sarebbero stato veramente orribili.
“Ahi, ahi, ahi. – commentò Breda – non vorrei essere nei tuoi panni, soldato semplice Fury.”
 
“Tieni quella dannata schiena dritta e le gambe larghe, idiota!”
Fury cercò di fare quanto gli veniva richiesto e tese di nuovo la pistola verso il bersaglio. Era notte fonda ed era ormai più di due ore che stava al poligono con Havoc che non gli aveva dato un attimo di tregua. Le braccia gli tremavano per lo sforzo e le mani erano sudate e piene di crampi: trovare il feeling con quella pistola era tutto meno che facile. Era riuscito finalmente a non farsela scappare di mano e a non cascare all’indietro per il rinculo, ma pensare a stare in piedi, con le gambe che non sentiva quasi più, gli impediva di prendere una buona mira e il bersaglio aveva ricevuto ben pochi colpi, nessuno dei quali letale. Come se non bastasse le ferite del giorno prima gli pulsavano dolorosamente e il fatto di avere la protezione premuta contro la fronte e il naso peggiorava la situazione di minuto in minuto.
A questo si aggiungeva il livello di difficoltà dato dal suo insegnate. Il sottotenente, infatti, ci andava giù pesante con i commenti sarcastici e gli insulti, proprio come il peggiore degli istruttori, e Fury aveva la netta impressione che ci trovasse parecchio gusto ad umiliarlo così.
“Ma come cavolo hai fatto a passare il corso? Due anni in uno in Accademia! Che diamine… spara meglio mia nonna in sedia a rotelle! Si può sapere a chi hai dato le chiappe per entrare nell’esercito?”
Quella frase arrivò nel delicato attimo in cui premeva il grilletto e la pistola esplose il colpo per poi cadere a terra.
Fury si accasciò sulle ginocchia levandosi disperatamente la protezione dagli occhi e dalle orecchie, in preda a un pesante attacco di claustrofobia. La testa gli pulsava in maniera dolorosa e si sentiva addosso un crescente senso di nausea.
“Raccogli la pistola, tappo! – disse Havoc portandosi minacciosamente vicino a lui – non abbiamo ancora finito. Non ci muoviamo di qui finchè non colpisci quel dannato bersaglio in un punto vitale. Ho dovuto rinunciare a un appuntamento con una ragazza per colpa tua.”
“Signore, – supplicò il ragazzo al limite delle lacrime – potrei andare un attimo fuori a prendere un po’ d’aria? Solo un minuto”
“E magari vorresti anche una tazza di caffè? Alzati subito!”
“Credo… di star per vomitare… ” mormorò Fury sentendosi percorrere da brividi freddi lungo la spina dorsale.
“Cosa?! Prova a vomitare qui e giuro che ti faccio pulire tutto con la lingua!”
“Va bene… riprendiamo… ” mormorò a denti stretti il ragazzo, deciso a non arrendersi; ma fu costretto a serrare gli occhi per trattenere un conato improvviso.
“Sei sicuro di farcela?” chiese dubbioso il sottotenente notando il pallore estremo sul viso del suo allievo.
“Nessun… problema, signore!” replicò lui prendendo la pistola e rimettendosi encomiabilmente in piedi.
Non si sarebbe arreso, era deciso a rialzarsi anche questa volta, altre cento se necessario. Anche a costo di svenire avrebbe dimostrato che ce la poteva fare. Con tutta la forza rimasta, ignorando una nuova vertigine, tese la pistola e sparò. Questa volta il rinculo non incontrò resistenza e il ragazzo fu catapultato all’indietro, ma invece di cadere a terra venne afferrato dalle braccia di Havoc.
“Non sei più nelle condizioni di sparare” dichiarò l’uomo.
Fury avrebbe voluto ribattere che poteva ancora andare avanti, ma il forte odore di sigaretta emanato da Havoc fece avere la meglio alla nausea e fu obbligato a inginocchiarsi per contrastare un’attacco di vomito.
Passarono interminabili secondi prima che la voce di Havoc, non priva di una certa gentilezza, dicesse:
“Stai male davvero, eh? Vai in bagno a riprenderti. Per stasera mi sa che ne hai avuto abbastanza”
Fury cercò di raddrizzarsi, ma il sapore della polvere da sparo che aveva in bocca divenne così forte da scatenare un nuovo conato che trattenne a stento. Il suo corpo gli mandava chiari segnali che muoversi era fuori discussione.
“Non trattenere l’aria che è peggio, – disse Havoc – usa il naso per respirare. Bravo… così. Mi sa che il bagno non lo raggiungi manco in due mesi. Forza, andiamo!”
Fury sentì una mano prenderlo per la collottola proprio come un gattino e in un attimo si ritrovò in piedi.
“Pensa a trattenere il vomito e a muovere le gambe. Se ti aiuta tieni gli occhi chiusi – ordinò il sottotenente - ti guido io, nanetto”
Iniziò a camminare, tenuto in piedi dalla presa del sottotenente. Un passo dopo l’altro, mentre la nausea lo travolgeva sempre di più, cercando prepotentemente di uscire. Fu solo dopo interminabili minuti che sentì la mano di Havoc mollarlo.
“Ok, credo che da qui possa farcela da solo… poi tieni il viso sotto l’acqua fresca per qualche minuto. Vedrai che dopo sarai in grado di tornare al tuo alloggio.”
Sentendo i passi che si allontanavano Fury cercò di ringraziare il sottotenente per l’aiuto, ma l’unico impulso che gli mandò il suo corpo fu di inginocchiarsi nel gabinetto e dare sfogo alla bile che lo stava travolgendo.
Quella notte imparò che il suo corpo poteva rigettare una quantità inimmaginabile di roba.

 
Proprio mentre Fury aveva quell'incontro ravvicinatto con il gabinetto, il tenente ed il colonnello si apprestavano ad uscire dall'ufficio dopo una nottata di straordinari per recuperare il lavoro arretrato dell'alchimista.
“Colonnello posso parlarle?” chiese il tenente Hawkeye, mentre rimetteva a posto la scrivania.

“Dimmi pure, tenente. Hai altre pratiche da farmi sbrigare per punire la mia negligenza di stamattina, mentre eri assente?” disse Mustang sbadigliando e stiracchiandosi.
“Signore, lo sa bene che non deve trascurare il lavoro. Anche in mia assenza.” replicò la donna seccamente, sottolineando quell'ultima frase con una pila di fogli sbattuti sulla scrivania.
“Va bene, va bene! Comunque fammi indovinare: volevi parlarmi di Fury e Havoc, vero?”
“Sì, colonnello. Ho saputo da Falman della sua idea di mettere quei due insieme nel poligono di tiro”
“E sei preoccupata per il tuo protetto, vero?” la squadrò lui con maliziosa attenzione.
“Sì, colonnello. – ammise la donna – Ieri non si è fatto nulla di grave per miracolo: avrei dovuto capire prima che aveva bisogno di maggiori avvertimenti. Avrei dovuto occuparmi io di queste lezioni; del resto è sotto la mia responsabilità per sua stessa richiesta, signore”
“Non hai nulla di cui rimproverarti per ieri. – sorrise l’uomo – Comunque oggi mi sono permesso di mandarti a fare quelle commissioni proprio perché ho ritenuto che fosse il momento opportuno per mettere Havoc alle strette.”
“Alle strette?”
“Se ho visto bene la determinazione del nostro soldato semplice, credo che Havoc da stasera inizierà a rispettarlo; anche se sarà difficile per lui ammetterlo. Lo so che forse da un lato sarebbe stato meglio che Fury facesse pratica con te che sei meglio disposta nei suoi confronti, ma dall’altro era il momento giusto per far entrare quei due in contatto diretto.”
“Forse ha ragione, signore” sospirò il tenente
“Ti sei davvero affezionata al nostro Fury – constatò l’alchimista alzandosi dalla sedia e andando a mettersi il cappotto nero – e questo è un bene. Ma permettigli di spiccare il volo, tenente.”
“E’ un membro della squadra, signore. E’giusto dargli tutto il mio appoggio” si giustificò la donna.
“Come fai con tutti noi, del resto. – sorrise Mustang - Comunque sono sicuro che se il ragazzo supera lo scoglio del sottotenente, tutto sarà in discesa. Andiamo adesso, stare in ufficio a quest’ora è deprimente”

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Accettazione. ***


Capitolo 6. Accettazione.



La mattina seguente Fury guardava con aria rassegnata il vassoio con la colazione. Sapeva di dover mangiare qualcosa, ma dopo aver rigettato l’impossibile nemmeno otto ore prima, anche la tazza di the gli appariva nauseante. Sapere che poi, in ufficio, il sottotenente Breda avrebbe di certo portato qualcosa da mangiare, magari dall’odore intenso, lo depresse a tal punto da fargli emettere un flebile lamento.

Tuttavia si costrinse a prendere un pezzetto di pane imburrato e a metterselo in bocca, masticando lentamente e cercando di convincersi che non avrebbe vomitato di nuovo.
Per cercare di distrarsi sfogliò il libro che aveva posato accanto al vassoio.

Era stato molto sorpreso quando una decina di minuti prima un suo ex compagno d’Accademia era venuto a restituirglielo. Gli aveva annunciato che presto il suo plotone sarebbe stato smembrato ed i ragazzi inviati in diverse località di Amestris. Sarebbe dovuto toccare anche a lui, ma l’essere entrato nella squadra del colonnello l’aveva tenuto fuori da queste manovre.
Per quanto non avesse mai avuto rapporti molto stretti con i suoi ex compagni, si sentì dispiaciuto della loro partenza: in quella mensa non c’erano altri visi conosciuti e si sentiva in qualche modo lasciato indietro.

Sfogliando le pagine ingiallite arrivò all’immagine di uno dei primi modelli di radio e sorrise. A dire il vero quel libro non era uno di quelli forniti per i corsi, ma era suo personale, comprato quando aveva appena dieci anni. L’aveva trovato in un negozio di libri usati ed era un vecchio volume sulla storia dell’elettronica. Forse era superato, del resto era molto vecchio, ma era lì che lui aveva imparato i primi rudimenti teorici, le terminologie, i ruoli di tutti quei meccanismi che, prima di quella lettura, aveva montato seguendo l’istinto. Non sapeva nemmeno perché l’aveva portato in Accademia, ma al momento di fare le valigie non aveva potuto fare a meno di metterlo nello zaino. Era stato come portarsi dietro un vecchio amico su cui fare affidamento.
“Sai che quel volume è parecchio raro?” disse una voce facendolo sobbalzare.
Il maresciallo Falman si sedette davanti a lui.
“Signore” salutò Fury alzandosi in piedi.
“Lascia stare i saluti formali, soldato Fury, – sorrise l’uomo spostando di lato il proprio vassoio della colazione  – posso dare un’occhiata al tuo libro?”
“Certamente… ” annuì il ragazzo porgendo l’oggetto in questione e risedendosi. Dimenticandosi dei residui di crampi allo stomaco, approffitò dell’attenzione che l’uomo stava rivolgendo al volume per studiare meglio il suo superiore. Se doveva essere sincero Falman lo incuriosiva abbastanza: non era mai stato molto loquace in sua presenza, ma non si era nemmeno mostrato apertamente ostile come Havoc; anzi, le poche volte che aveva avuto a che fare con lui  si era dimostrato cortese, senza lanciargli nessuna frecciatina. Certo non poteva paragonarlo alla gentilezza del tenente Hawkeye, ma non poteva fare a meno di restare affascinato dall’intensità con cui quell’uomo dai capelli bianchi e neri stava studiando le pagine del suo libro. Gli parve quasi di riconoscersi, di vedere se stesso davanti ad una radio nuova.
“E’ un’edizione di almeno quarant’anni fa. – disse l’uomo dopo qualche minuto, chiudendo il libro e spingendolo verso Fury – Dove l’hai trovato?”
“In un negozio di libri usati del mio paese, più o meno otto anni fa, signore”
“L’autore è uno dei pionieri delle moderne radio, lo sapevi?”
“Davvero?” si affascinò Fury sentendolo parlare della materia che adorava
“E’ stato lui a creare le basi del codice che usano oggi i militari nei loro canali. Questo libro, in particolare, nasce dai suoi appunti”
“Era un militare?”
“Non da subito. Pare che fosse molto giovane quando iniziò, ma solo successivamente entrò nell’esercito. Comunque ci sono altri libri scritti da lui, lo sapevi? Sono molto specialistici quindi dubito che tu li abbia visti in Accademia.”
“Sul serio? – esclamò il ragazzo sporgendosi in avanti, mentre gli occhi si illuminavano – Saprebbe dirmi quali sono i titoli, signore?”
Falman si bloccò, sorpreso da questo slancio improvviso di quel soldato che tendeva a stare sempre zitto nell’ufficio, tuttavia non potè fare a meno di sorridere per quell’entusiasmo, così simile a quello di un bambino.
“Te ne posso procurare un paio io stesso, soldato Fury” annuì.
 
“Allora Havoc, come è andata la tua serata da bambinaia?” chiese Breda tirando fuori con aria soddisfatta una ciambella dalla busta che aveva portato in ufficio
“Lascia stare che è meglio. – sospirò il sottotenente adagiandosi nello schienale della sua sedia - Ma dimmi piuttosto se al bar c’era Gilly”
“Quella biondina con cui dovevi uscire? Oh certo che c’era… in compagnia di un altro ragazzo!”
“Cosa?! Non è possibile!”
“Si vede che si è fatta forza ed è andata avanti con la sua vita, nonostante il suo eterno amore per te!” sogghignò il compagno
“Accidenti a quel tappo di Fury! – sbottò Havoc accendendosi una sigaretta – Speravo di combinare qualcosa con lei: c’era affinità, lo sentivo.”
“E l’affinità di Fury con l’M5?”
“Almeno ha imparato a non distruggersi la faccia e a non cadere all’indietro. Ha fegato il ragazzino" ammise pensosamente
"Sai qual'è la verità? - sorrise Breda, fissando con intensità la sua ciambella, quasi contenesse le risposte alle domande dell'universo - E' che quel soldatino sta iniziando a piacere anche a te"
"Perché a te piace?" gli chiese Havoc con aria seccata, ma sicuramente una reazione molto più tranquilla rispetto a quella che avrebbe avuto una settimana prima ad una simile affermazione.
"Sì, mi piace - ammise il rosso, senza troppe esitazioni - così come piace a Falman. Se mai ho avuto qualche dubbio è stato all'inizio: prendere un novellino come lui in una squadra esperta come la nostra in apparenza non è molto saggio. Ma devo dire che Fury mi ha sorpreso di giorno in giorno e sono arrivato a provare un grande rispetto per lui. Un altro soldato sarebbe impazzito per le tue provocazioni"
"Se ti piace così tanto perché non l'hai difeso come fa il tenente?" chiese ancora Havoc
"Perché prima dovevi capire pure tu che il nostro piccoletto ha fegato e coraggio da vendere: sei il mio miglior amico, Havoc, ma a volte hai dei grandissimi preconcetti che devi superare da solo" ridacchiò Breda
"Va bene, va bene - lo bloccò Havoc - riconosco che, tutto sommato, non è male. Ma per ora al poligono di tiro è una vera tragedia. Non credo di aver mai passato due ore così frustranti come quelle di ieri notte. Io avrei dovuto vomitare, non lui!”

“Chi sarebbe che ha vomitato?” chiese improvvisamente la voce del tenente Hawkeye.
“Oh, buongiorno tenente – salutò Breda – gradisce una ciambella?”
“No grazie, sottotenente Breda. Allora potrei sapere se la persona che ieri ha vomitato è per caso il soldato Fury?”
“Sì – ammise Havoc col broncio – evidentemente due ore di poligono sono troppe per lui. Ma mi sono assicurato che arrivasse al bagno senza vomitare l’anima nel pavimento”
“Potevi pensarci prima che forse due ore erano troppe, considerata la botta presa il giorno prima!”
Havoc non seppe che rispondere di fronte a quella sfuriata, ma proprio in quel momento la porta si aprì ed entrarono Falman e Fury.
“Salve a tutti” salutò Falman andando a sedersi alla sua scrivania
“Buongiorno a tutti - gli fece eco Fury. Poi vide Hawkeye e sorrise – Oh, bentornata tenente!”
“Grazie soldato Fury – salutò la donna, notando con preoccupazione le occhiaie sotto gli occhi del ragazzo e il colorito pallido della sua faccia – va tutto bene?”
“Sì, signora”
“Ho saputo che ieri hai fatto lezione con il sottotenente Havoc. Come è andata?”
“Sono riuscito a tenere la pistola e a sparare senza soffrire troppo il contraccolpo. Certo devo ancora migliorare la mira, ma è andata sicuramente meglio del primo tentativo” dichiarò il ragazzo con grande ottimismo.
“Visto, tenente – sorrise Havoc lanciando uno sguardo soddisfatto alla donna – è tutto intero”
“E se nelle prossime lezioni riesci a fargli centrare il bersaglio direi che sarà un grande passo avanti. - intervenne Mustang entrando – Salve a tutti, ragazzi.”
“Buongiorno capo – salutò Breda – una ciambella?”
“No grazie – disse Mustang arricciando il naso – hanno un profumo troppo dolce… perfino la faccia di Fury sembra risentirne”
“Allora non mi preoccuperò di offrirne una a lui.” rise l’uomo
In effetti Fury dovette fare un notevole sforzo per mandare giù quell’odore intenso di glassa. Si sedette alla scrivania pronto a iniziare la giornata, ma si bloccò perplesso, rendendosi improvvisamente conto che c’era qualcosa di diverso. Era come se l’ufficio fosse cambiato… eppure niente era fuori posto. Si mise a guardare i suoi compagni: Falman sedeva tranquillo davanti a un grosso volume, il tenente Hawkeye era già alla scrivania del colonnello e gli stava porgendo dei documenti, ignorando lo sguardo di protesta di quest’ultimo. Breda stava mangiando una delle ciambelle mentre con una mano prendeva una cartelletta.
“Tutto bene, ragazzo?” gli chiese una voce accanto. Girandosi si sorprese nel vedere che Havoc lo guardava con uno sguardo annoiato, ma non cattivo
“S… sì signore” balbettò
“Meglio così: stasera voglio vederti centrare almeno una volta quel dannato bersaglio” dichiarò con un mezzo sorriso prima di prestare la sua attenzione al proprio lavoro.
“Va bene”
Mentre prendeva un nuovo fascicolo in mano l’illuminazione arrivò improvvisa. Oggi c’era meno ostilità nell’aria. La tensione dei primi giorni si era notevolmente allentata: tutti sembravano più rilassati. E persino Havoc gli aveva parlato in maniera normale. Questo significava solo una cosa: non era più un estraneo, ma un membro accettato dal gruppo.
Sorridendo chiuse gli occhi e inspirò profondamente: nonostante il sapore di glassa fin troppo pungente delle ciambelle di Breda, l’aria di quell’ufficio non gli era mai sembrata così limpida. E così facendo non si accorse di come il colonnello lanciò una significativa occhiata al tenente Hawkeye e che questi volgendosi a guardarlo sorrise sollevata. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Una serata tra compagni ***


Capitolo 7. Una serata tra compagni.




Fury rilesse le ultime frasi scritte e annuì soddisfatto. Mise in ordine i fogli e li piegò attentamente, provvedendo quindi a inserirli nella busta. Era stato tutta la pausa pranzo a buttare giù quella lettera ai suoi genitori: cercare di mettere per iscritto tutti gli avvenimenti che erano successi in quelle settimane senza scrivere un romanzo era stato davvero difficile. Aveva deciso di omettere che ora, nel suo naso, nascosta dal ponte degli occhiali, c’era una piccola cicatrice orizzontale: per quanto il taglio provocato dall’M5 non si fosse rivelato profondo e fossero passati più di venti giorni, gli era rimasto quel segno. Havoc gli aveva consigliato di andarne fiero, perché pochi potevano vantarsi di essere stati messi a tappeto dal rinculo un’M5.
Scrivendo l’indirizzo sulla busta si rese conto che per la prima volta, da quando era partito da casa, era impaziente di imbucare una lettera dove, oltre agli avvenimenti particolari, raccontava la sua vita quotidiana e parlava abbondantemente dei suoi compagni di lavoro. E questo, sotto un certo punto di vista, era molto più soddisfacente dell’annunciare che aveva avuto il permesso di finire l’Accademia in un solo anno o che era stato preso nella squadra di uno dei più importanti alchimisti di stato. Era bello sapere di avere compagni, anche se non osava definirli amici per via della differenza d’età.
“Ehi, Fury. Come mai non sei venuto a mangiare?” chiese Breda mentre rientrava in ufficio con Falman e Havoc.
“Oggi ho preferito mangiare qualcosa qui – spiegò il ragazzo – dovevo scrivere una lettera e ho approfittato della pausa”
“Hai scritto alla tua fidanzatina?” chiese l’uomo con malizia accostandosi a lui
“Cosa? Oh no, signore – arrossì Fury che era del tutto ignorante in materia di ragazze – io non ho la fidanzata. E’ una lettera ai miei genitori”
“Fai bene a tenerti lontano dalle donne, ragazzino! – sospirò Havoc arruffandogli i capelli con aria infelice – Sono brave solo a spezzarti il cuore”
“Non ti preoccupare per lui, Fury – ridacchiò Breda – E’ stato semplicemente scaricato per l’ennesima volta!”
“Ti avevo detto di stare zitto!” scattò Havoc
“La tua faccia parlerebbe comunque da sola. Si capisce benissimo!”
I due iniziarono a battibeccare con Fury che stava seduto proprio in mezzo e si girava disperatamente prima verso l’uno e poi verso l’altro, sperando che la situazione non si scaldasse troppo. Da quando era stato accettato nel gruppo i due soldati avevano mostrato la loro vera indole e dunque sapeva che non era un reale litigio: erano come due fratelli… ma aveva imparato che spesso queste discussioni potevano degenerare.
“Comunque basta! – esclamò infine Havoc – ho deciso! Stasera vi voglio tutti al pub. Devo dimenticare questa storia”
“Anche io?” chiese il ragazzo sorpreso da quel “tutti”. Era la prima volta che veniva coinvolto in un’uscita di gruppo.
“Certo, pure tu! Scommetto che è dai tempi dell’Accademia che non esci, vero?”
“Ma all’Accademia non erano consentite uscite la sera, signore”
“Ovvio, ma si andava di nascos… aspetta. Fammi capire bene. Non sei mai scappato dall’Accademia per andare al pub?”
“No” ammise candidamente Fury e subito si trovò addosso gli sguardi dei suoi compagni.
“Scherzi? – si sorprese Breda – Tutti almeno una volta in Accademia hanno… Io non vorrei dire, ma la situazione è molto grave. Ragazzo, almeno una volta in vita tua hai bevuto alcolici?”
“Ad essere sinceri non mi è mai capitato di… ” non terminò la frase che Havoc lo prese per le spalle
“Bisogna rimediare a questo scempio! Falman, Breda, è nostro dovere aiutare il ragazzo! Stasera dopo il lavoro non ci sono scuse: vieni al pub con noi, soldato Fury.”
“Ma dovrei esercitarmi al poligono insieme a lei, signore.”
“Oggi si salta. Questo è molto più importante”
 
“Credete che ci faranno problemi?” disse Falman dubbioso
“Beh, male che vada ha il tesserino dell’esercito. Però, diamine Fury, perché ti dovevi vestire così?” chiese Breda
“Cosa c’è che non va, signore?” chiese il giovane fissando la sua felpa bianca e i suoi jeans.
“C’è che sembri un ragazzino! In questo locale non puoi bere se non hai diciotto anni, lo sai? Li dimostri appena”
“Infatti li ho compiuti tre mesi fa, signore”
Però doveva ammettere che in mezzo ai suoi compagni sembrava proprio piccolo. Era strano vederli in borghese, al di fuori del contesto di lavoro. Per quanto fossero tutt’altro che eleganti, nei loro indumenti casual facevano molta più figura di lui e lo facevano sembrare più giovane di quanto in realtà fosse.
Sinceramente era abbastanza preoccupato dell’esito di quell’uscita, soprattutto perché l’obbiettivo, nemmeno troppo segreto, era di fargli provare alcolici. Aveva cercato di protestare, ma alla fine aveva dovuto cedere all’entusiasmo dei suoi compagni decisi a fargli questa particolare iniziazione. In fondo non ci poteva essere nulla di male…
Si sedettero a un tavolo e Falman disse
“Direi che è il caso di non esagerare. Qualcosa di leggero considerato che è la prima volta.”
“Ci penso io, ragazzi! – prese l’iniziativa Havoc – Ehi, Jenny! Vieni qui!”
Una cameriera si avvicinò al tavolo.
“Ciao Jean, era da qualche giorno che non ti vedevo! - disse sorridendo – E lui chi è? Il fratellino di qualcuno di voi?”
A questa frase Breda e Falman scoppiarono a ridere, mentre Fury arrossiva.
“No. – ribattè Havoc – è un nostro collega che deve essere iniziato al meraviglioso mondo degli alcolici. E prima che tu lo chieda: ha compiuto i diciotto anni.”
“Va bene, mi fido – disse la ragazza – Allora, soldato, vuoi iniziare con qualcosa di particolare o faccio io?”
“Io non saprei” balbettò Fury
“Tu porta il solito per tutti – sorrise Havoc – iniziamo con quello!”
 
Alle due del mattino la cameriera si avvicinò al loro tavolo
“Ragazzi, dobbiamo chiudere. Forse è il caso che svegliate il vostro amico”
“Forse è il caso… ” ammise Falman guardando Fury mezzo collassato sul tavolo.
“Da quanto è in queste condizioni?” chiese Havoc finendo l’ultimo bicchiere e stiracchiandosi
“Da almeno un’ora e mezza – rispose Breda controllando l’orologio alla parete – credo che sia crollato al settimo bicchiere, ma sono sicuro che era mezzo andato già dopo il primo.”
“Credi che abbiamo esagerato?”
“Vi avevo detto che non dovevamo fargli mischiare tutta quella roba… Su, Fury! Svegliati che è ora di tornare al quartier generale” chiamò Falman, scuotendolo con gentilezza.
Il ragazzo aprì debolmente gli occhi e si fece rimettere in posizione seduta dai compagni. Li guardava stordito e non sembrava essere in grado di capire dove si trovasse. Come provarono a metterlo in piedi si accasciò pesantemente contro Havoc.
“No, decisamente non regge gli alcolici” sentenziò Breda risollevandolo
“Che cosa facciamo? – chiese Falman – Non è assolutamente in grado di stare con gli occhi aperti, figuriamoci camminare”
“Dannazione. Ho capito! Forza, caricatemelo in spalla. - sospirò Havoc intercettando gli sguardi significativi che gli altri gli rivolgevano – La prossima volta gli faccio bere solo una tazza di latte o al massimo un succo di frutta. Per lo meno è piccolo e non pesa niente.”
 Si avviarono verso il quartier generale, con Fury che aveva rinunciato a qualsiasi tentativo di stare cosciente e si era beatamente addormentato sulle spalle di Havoc.
“Guarda come dorme – sogghignò Breda – ma non vorrei essere nei suoi panni quando si sveglierà con i postumi di sbornia”
“Speriamo che domani sia in grado di lavorare. – sospirò Havoc – Di certo il tenente Hawkeye darà la colpa a noi. A volte pare una chioccia con il suo pulcino.”
“Beh forse è normale che essendo così giovane… – iniziò Falman, ma poi impallidì – Buonasera colonnello!” salutò scattando sull’attenti.
Mustang stava davanti a loro, con indosso un elegante abito scuro, reduce probabilmente da una serata a teatro e con una bellissima donna al suo fianco. L’alchimista li squadrò con con rassegnazione, poi si staccò dalla sua compagna e si avvicinò ad Havoc e al suo passeggero.
“Fury, sei ancora vivo?” chiese picchiettando con l’indice la fronte del ragazzo. Questi alzò lievemente la testa, in pieno dormiveglia, e fissò il suo superiore
“Ciao… ” biascicò prima di collassare di nuovo sulla spalla del sottotenente
“Nessuno pensava che si riducesse così per qualche bicchiere” si giustificò Breda
“Cercate di rimetterlo in piedi per domani o di trovare una buona scusa con il tenente. – ordinò il colonnello girandosi per raggiugere la donna che lo aspettava con un sorriso. – Buonanotte”
 
“Potevi avere abbastanza buon senso da fermarti dopo il primo bicchiere, soldato!” lo rimproverò il tenente la mattina successiva.
Fury decise che era meglio stare zitto e non ribattere che non aveva potuto fermarsi, dato che Havoc, nei primi quattro giri, gli aveva praticamente infilato il bicchiere in bocca e non aveva mollato la presa finchè non aveva trangugiato tutto il contenuto.
Il sottotente e gli altri avevano fatto un miracolo: a furia di caffè e di rimedi più o meno ortodossi contro l’ubriacatura (tra cui fargli fumare una sigaretta), erano riusciti a rimetterlo in piedi. Ma non avevano potuto evitare che fosse incredibilmente stordito e con un gran mal di testa. E che quindi il tenente se ne accorgesse
“Mi scusi, signora – mormorò Fury mortificato, mentre le parole del suo superiore rimbombavano dolorosamente nella testa – le assicuro che non berrò mai più in vita mia”
“Di certo non con me a impedirtelo - commentò Havoc – non voglio portarti a spalla ogni volta”
“E lo dici dopo che tu e i tuoi compagni l’avete trascinato in quel posto, sottotenente Havoc?” ribattè la donna
“E dai, tenente – disse Mustang venendo in soccorso dei suoi sottoposti – è stata una serata tra uomini. Succede che finisca così. Inoltre Fury è molto migliorato rispetto a quando stanotte mi ha salutato con un ciao”
“Che cosa avrei fatto?” impallidì il ragazzo
“Niente di grave – lo rassicurò il colonnello con aria divertita – eri proprio andato, giovanotto”
“Colonnello, non ci si metta anche lei, adesso. – ammonì il tenente. Poi squadrò un’ultima volta Fury e sospirò – Forza soldato, mettiti al lavoro. Direi che abbiamo perso anche troppo tempo con questa storia. Vedi solo di non ripresentarti più in queste condizioni.”
Fury si sedette alla sua scrivania, giurando a se stesso che non avrebbe bevuto mai più. Quel giorno lavorare sarebbe stato davvero duro e guardando i suoi compagni che sembravano non risentire minimamente della serata di ieri, si chiese come fosse possibile reggere quelle bevande così devastanti.
Prendendo un nuovo dossier si accorse che sul tavolo c’era ancora la lettera che doveva spedire ai suoi genitori; per un attimo gli venne in mente di aprirla e di aggiungere anche il resoconto di quella nottata assurda. Ma poi scosse il capo e la lasciò così: alcolici, sigarette… in fondo c’erano delle cose che era meglio che una madre non sapesse.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Novità del nuovo anno. ***


Capitolo 8. Novità del nuovo anno.

 

Il nuovo anno era iniziato da qualche settimana ma quella nuova data nei calendari non sembrava fare tanto effetto.
Da qualche giorno una pioggia ininterrotta cadeva su East City, monotona fitta e insistente: il suo ticchettio scandiva le giornate dei soldati, rendendoli cupi e svogliati.
Nell’ufficio dell’alchimista di fuoco si respirava questo tipo d’atmosfera: quel tempo, con le nuvole che nascondevano il sole da giorni, rendeva tutti malinconici, tanto che persino Havoc e Breda sembravano giù di morale.
Fury guardò la finestra con tristezza: avrebbe dato chissà cosa per un raggio di sole che preannunciasse la fine di quel tempaccio e riportasse un po’ di vita tra i suoi compagni. Era ormai più di tre mesi che era entrato nella squadra del colonnello e amava profondamente quei soldati: non gli era mai capitato di stringere rapporti così stretti con delle persone, ovviamente al di fuori dei propri genitori. Stare in quell’ufficio, in loro compagnia, lo faceva sentire protetto e al sicuro, ma soprattutto felice: era meraviglioso saper di poter contare su quelle persone che, nel corso delle settimane, gli si erano avvicinate sempre di più, anche nelle piccole cose quotidiane. Non avrebbe mai pensato che avere una squadra potesse essere così simile ad avere una famiglia.
E, ovviamente, non era bello che la propria seconda famiglia fosse così immusonita dal maltempo…
Il soldato semplice guardò i documenti a cui lavorava pensando ad un modo per tirare su il morale degli altri, ma nonostante lo sforzo non gli venne in mente niente.
 “Tutti qui a rapporto” disse la voce del colonnello penetrando come un fulmine quel silenzio.
Improvvisamente tre uomini e una donna scattarono in piedi dalle loro scrivanie, seguiti dopo qualche frazione di secondo dal membro più giovane della squadra. Per lui questa era una novità assoluta, perché la voce dell’alchimista di fuoco non aveva usato il tono deciso del comando, ma era stata più pacata. Eppure era bastata a spazzare via la depressione e caricare l’aria di aspettativa.
Come furono davanti alla scrivania, il colonnello girò verso di loro un rapporto che aveva guardato tutta la mattina.
“Falman, il nome Slynt ti dice qualcosa?” chiese con noncuranza, come se stesse conversando del più e del meno.
“E’ un noto criminale. – rispose prontamente il maresciallo – Quattro omicidi negli ultimi cinque anni: il primo qui a East City e poi tre a Central City. E’ sempre sfuggito alla cattura. Non si aveva notizia di lui da almeno due anni, tanto che alcuni ipotizzavano che fosse morto.”
“A quanto pare è approdato di nuovo qui. C’è stato un omicidio ieri notte, con arma da fuoco: l’obbiettivo era un’alta carica dell’esercito di cui non posso fare il nome, ma a morire è stata una delle sue guardie del corpo. I testimoni hanno raccontato di aver visto un uomo corrispondente alla sua descrizione. Il Generale Grumman mi ha incaricato di occuparmi del caso, quindi preparatevi all’azione.”
“Sissignore!” risposero subito i militari
Lo sguardo dell’alchimista si posò poi sull’ultimo arrivato del gruppo, come se stesse soppesando un’importante decisione.
“Fury, per coordinare le manovre avrò bisogno che tutti siano provvisti di un collegamento radio. Voglio una comunicazione chiara entro un raggio di almeno tre chilometri”
“Signorsì!” rispose prontamente il ragazzo.
“Non è tutto: voglio un secondo canale, ma questa volta solo ed esclusivamente per le persone presenti in questa stanza.”
“Intende… senza nessun collegamento alla rete ufficiale?” si sorprese lui.
“Esatto, e lo voglio entro domani sera”
Fury si passò la mano tra i dritti capelli neri riflettendo sulla difficoltà di creare un canale completamente nascosto, cosa che non aveva mai fatto, in così poco tempo, senza ausilio di…
“Sto aspettando una risposta, soldato” la voce del colonnello lo riportò all’ordine
“Sissignore, sarà fatto. Vado subito a prendere il materiale per lavorare!” disse il ragazzo scattando sull’attenti e correndo verso la porta.
“Ah, un’altra cosa: – lo bloccò Mustang – sei un membro effettivo della squadra già da tre mesi ormai, quindi mi aspetto che tu partecipi personalmente alla missione.”
Il ragazzo si limitò ad annuire ed uscì dalla stanza.
Il colonnello tornò a rivolgere l’attenzione agli altri suoi sottoposti e si accorse, non senza aspettarselo, che gli sguardi non erano molto contenti.
“Signore, se posso permettermi, – iniziò il tenente – ritengo che non dovrebbe farlo partecipare all’azione. Non è pronto, non ancora.”
“Havoc, il ragazzo sa sparare bene ormai?” chiese Mustang invece di rispondere alla protesta ed evitando di guardare negli occhi la sua assistente.
Il sottotenente si accorse che gli altri lo guardavano con timore, soprattutto il tenente, ma non poté negare la realtà dei fatti davanti al suo superiore.
“Sì, è pronto, però… - si trovò ad aggiungere subito dopo - signore, anche io sono d’accordo col tenente. Saprà anche sparare discretamente, ma è troppo piccolo. Alla sua età i ragazzi sono ancora al secondo anno d’Accademia e non affrontano di certo missioni come le nostre”
“L’ho fatto entrare in squadra perché lo ritengo un elemento valido – tagliò corto Mustang, scuotendo il capo con ostinazione – non perché diventasse una mascotte da coccolare. Inoltre non lo sto mettendo da solo con la sua M5 davanti ad una banda di assassini, né sta andando in trincea a combattere. Data la sua inesperienza non sarà solo, ma farà squadra con te, Breda, va bene? Nei piani prestabiliti avrete il classico ruolo di copertura. Al peggio sparerà qualche colpo, ma niente di grave, siete contenti?”
“Va bene, signore” annuì Breda, con un lieve tono di disappunto.
“Adesso veniamo a noi, c’è la possibilità di un imprevisto di cui vorrei parlarvi.” disse, iniziando ad esporre il piano. Ma fu consapevole per tutto il tempo che nessuno dei suoi uomini era soddisfatto della decisione presa.
 
Quando lavorava a macchinari elettronici gli capitava di perdere la cognizione del tempo.
Tantissime volte sua madre era entrata in camera sua a notte fonda e l’aveva dolcemente rimproverato di essere ancora alzato, ma quest’abitudine non l’aveva mai persa.
“Sei ancora qui, Fury?” disse il tenente Hawkeye, sovrapponendosi in qualche modo alla voce di sua madre.
“Oh, sissignora” si sorprese il ragazzo alzando la testa dalle piccolissime apparecchiature a cui stava lavorando.
“Sono venuta a prendere alcuni componenti della pistola che ho qui in ufficio e così ho visto le luci accese. – spiegò andando verso la sua scrivania e frugando nei cassetti. Poi si avvicinò a lui e gli sorrise dolcemente – E’ tardi ormai, dovresti andare a letto”
“Devo ancora finire delle cose. – ammise il soldato, arrossendo leggermente e giocherellando con una rondellina – A proposito, questo è il suo, tenente” sorrise poi porgendole dei piccoli auricolari collegati ad un minuscolo apparecchio
“Ce l’hai fatta a creare quanto richiesto dal colonnello?”
“Quasi. Nella trasmittente che porterete ho installato un sensore che percepisce il segnale che sto creando appositamente con questa radio portatile. Ha un codice protetto e non viene recepito da altre antenne: in questo modo potremo comunicare tra di noi nel raggio d’azione di tre chilometri circa, come richiesto. Domani mattina come l’avrete tutti farò una prova.”
Non disse che per fare una cosa simile gli era occorsa tutta la sua inventiva e tante ore di lavoro ininterrotto, considerato che doveva lasciare tempo per la prova con tutti i membri della squadra ed eventuali modifiche. Si sentiva distrutto e gli facevano male gli occhi, ma non si era sottratto a questo compito così delicato che gli era stato assegnato. Però, nonostante la stanchezza, non poteva fare a meno di sentirsi soddisfatto: le sfide tecnologiche gli provocavano sempre una scarica d’adrenalina ed inoltre, dopo mesi passati a fare solo lavoro d’ufficio, era stato bello potersi dedicare di nuovo al proprio grande amore.
“Sei davvero un bravissimo tecnico” si complimentò il tenente riportandolo alla realtà
“Grazie”  arrossì, grattandosi i capelli corvini con imbarazzo. Poi il suo sguardo si spostò sulla scatola di munizioni che la donna stava mettendo nella propria tracolla ed inevitabilmente i suoi pensieri andarono alla richiesta del colonnello di partecipare direttamente all’azione.
Se doveva essere sincero aveva cercato di non pensarci per tutta la giornata, riflettendo sul fatto che un vero soldato non doveva nemmeno porsi dei dubbi così infantili e stupidi come quelli che ogni tanto gli sfioravano la mente… insomma, se aveva imparato ad usare la pistola ed il fucile un motivo c’era.
Tuttavia…
Questi suoi turbamenti dovevano essere così evidenti nell’espressione del suo volto che il tenente decise di affrontare l’argomento.
“Come hai sentito, il colonnello vuole che partecipi pure tu alla caccia.”
“Sì” annuì Fury non riuscendo a nascondere l’apprensione; anche perché non sapeva assolutamente in cosa consisteva il piano: nessuno gli aveva detto nulla e lui non aveva osato chiedere. Forse per questo tipo di cose era ancora troppo piccolo e basso di grado.
“E’ stato deciso che seguirai il sottotenente Breda nell’azione di copertura. – gli spiegò la donna - Non dovrebbe esserci nulla di complicato. E avrete i fucili, quindi non dovrai usare l’M5.”
“Va bene. – annuì lui, lieto di sapere che non sarebbe stato da solo. Poi cercò di sorridere - Però credo di esser ormai venuto a patti con la pistola: sto continuando a esercitarmi diverse volte alla settimana.”
“In azione è tutto diverso. – gli spiegò la donna senza mezzi termini, scuotendo il capo - Non sei al poligono di tiro con tutto il tempo e la tranquillità per prendere la mira: devi essere veloce. Affidarti all’istinto.”
Fury abbassò il capo davanti a quel gentile rimprovero che lo riportava alla dura realtà militare. Si chiese se fosse il caso di parlarle di quella sua grande paura e alla fine le parole uscirono da sole:
“Crede che… che dovrò…”
“Uccidere? – concluse il tenente con gentilezza - Prima o poi ti toccherà: se non questa, la prossima volta. Ma nel tuo ruolo di copertura di domani non dovrebbe succedere; però tieni sempre gli occhi aperti e stai attento, capito?”
“Sissignora. Io… so che prima o poi dovrò farlo. Ma se dovesse succedere… è molto… - non riuscì nemmeno a terminare la frase. Orribile? Mostruoso?  Un vero soldato non avrebbe dovuto fare una domanda simile, soprattutto a quella donna che di uomini ne aveva uccisi tanti…e quando era successo aveva la sua stessa età. – Mi scusi, non dovevo.”
Il tenente sorrise con infinita comprensione e gli prese le mani tra le sue, in un gesto materno
“Non è una cosa facile da spiegare, mio piccolo soldato. Di certo… ti cambia la vita. Vorrei poterti preparare a questo, ma è una cosa che nessuno di noi potrebbe mai fare. – la stretta si accentuò - Tu promettimi solo che farai attenzione, va bene?”
“Sì signora, lo prometto” annuì lui in parte confortato dal contatto con quelle mani così calde. In realtà, avrebbe tanto voluto stringersi a quella donna, così rassicurante e gentile, per far passare del tutto le sue paure, ma non poteva certo compiere un gesto simile.
Quindi rimasero così per qualche secondo, cercando di convincersi entrambi che domani sarebbe andato tutto bene, che non ci sarebbe stato bisogno di uccidere nessuno.
“Molto bene. Adesso cerca di finire il tuo lavoro e poi concediti qualche ora di sonno” disse la donna lasciando la presa con gentilezza.
“Va bene. Tenente?”
“Dimmi”
“Perché il colonnello mi ha chiesto di fare un canale segreto? Non sarebbe bastato avere… ”
Non terminò la frase perché la donna gli mise l’indice davanti alle labbra, bloccandogli le parole
“Sei ancora all’inizio, Fury, ma vedrai che imparerai presto.”

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. Azione sotto la pioggia ***


Capitolo 9. Azione sotto la pioggia.

 

“Sistemati lì, ragazzo.” disse Breda, mentre prendevano posizione.
“Va bene.” annuì Fury rannicchiandosi contro il parapetto del terrazzo dove avevano avuto ordine di appostarsi.
“Squadra in posizione, colonnello.” annunciò il sottotenente al piccolo microfono.
“Perfetto, vi ricevo forte e chiaro. – disse la voce negli auricolari di entrambi - State lì e attendete, vedremo di spingerlo verso di voi.”
Il collegamento si interruppe e per la prima volta da quella mattina, Fury ebbe occasione di rendersi conto che effettivamente stava davvero prendendo parte ad un’azione del team dell’alchimista di fuoco. Le radioline, le prove ed i preparativi erano stati così rapidi che non gli avevano lasciato tempo di pensare: aveva reagito meccanicamente a tutti gli ordini che gli erano stati impartiti.
Ma adesso, in quei momenti di tranquillità…
Il soldato semplice si arrischiò a guardare la strada, tre piani sotto di loro, dove di lì a poco sarebbero dovuti arrivare i suoi compagni. Nelle esercitazioni in Accademia non facevano fare simulazioni in posti così alti.
Mentre tornava a rannicchiarsi dietro il parapetto, le sue mani strinsero ulteriormente il fucile con cui avrebbe dovuto svolgere il suo ruolo di copertura: cercava nel contatto con quel freddo legno un minimo di conforto, ma non si sentiva per niente tranquillo.
“Tutto bene?” chiese Breda fissandolo con attenzione.
“Sissignore.” mormorò lui cercando di controllare il tremito alla voce.
Nonostante tutto non voleva apparire debole, non voleva che gli altri lo considerassero solo un peso. Sapeva di essere effettivamente troppo giovane per azioni simili, ma non poteva dimenticare che il tenente Hawkeye, alla sua stessa età, era stata mandata ad Ishval e lì aveva dimostrato tutto il suo valore.
Non posso venire meno alla fiducia che mi hanno accordato…
“Coraggio, fai un paio di respiri profondi – gli consigliò il sottotenente – e vedrai che passa tutto.”
“E’ la prima missione… ” mormorò Fury quasi in tono di scusa.
“Tranquillo, ci siamo passati tutti” sorrise il grosso soldato dandogli una lieve pacca sulla spalla.
Stare tranquillo.
Come gli sembrava impossibile in quel momento.
Cercò di nuovo di convincersi che era tutto a posto, che non ci sarebbe stato nulla di diverso dalle simulazioni che aveva fatto in Accademia, eccetto l’altezza dell’edificio. In fondo Havoc e il tenente Hawkeye erano tra i migliori soldati di tutto il distretto dell'Est: probabilmente lui, come copertura, sarebbe dovuto solo restare a guardare.
Si costrinse quindi a ingoiare il groppo che gli si era formato in gola e si mise ad attendere. Lanciando uno sguardo a Breda vide che questi era tranquillamente seduto con la schiena poggiata contro il muro e sorrideva, come se quella fosse la più normale giornata di lavoro. Sembrava quasi che da un momento all'altro dovesse tirare fuori qualcosa da mangiare dalla tasca.
Resosi conto di quell'occhiata, l’uomo dai capelli fulvi dichiarò:
“Rilassati Fury, ci potrebbe essere da attendere. Ed, in ogni caso, saremo avvisati con largo anticipo.”
 
Era passato parecchio tempo, anche se non avrebbe saputo quantificarlo. Il cielo coperto e la lieve pioggia rendevano impossibile vedere la posizione del sole. A giudicare dal numero di volte in cui aveva cambiato posizione dovevano essere lì da più di un'ora. Dagli auricolari tutto taceva, tanto che più di una volta aveva controllato il suo apparecchio per vedere se si era rotto, ma semplicemente non arrivava nessuna comunicazione.
Si chiese se era normale tutta questa attesa e stava per chiederlo al suo compagno, quando, improvvisamente, sentì una lieve interferenza ed un segnale acustico, segno che il colonnello aveva attivato la linea segreta e ora erano tutti in collegamento tra di loro.
“Bene signori, è accaduto l’imprevisto di cui vi avevo parlato: si comincia. Breda, procedete come stabilito! Falman tu raggiungimi al punto S.”
“Ricevuto capo!” sogghignò Breda abbandonando la posizione seduta.
“Che succede?” domandò Fury perplesso alzandosi a sua volta.
“Vieni, ragazzo: – ordinò dirigendosi verso le scale – c'è stato un cambiamento di programma e ora l'esercito ufficiale esce di scena per far spazio a noi.”
“Che significa?” chiese mentre stava dietro al suo compagno.
“Significa che un pesce grosso ha appena abboccato all'amo del colonnello.”
“E… e la posizione di copertura al sottotenente e al tenente?”
“Andiamo a farla, ma in un altro posto!”
Iniziò quindi una corsa che non avrebbe mai dimenticato, mentre la pioggia continuava a cadergli addosso rendendo la sua uniforme sempre più pesante. Anche gli occhiali ormai erano pieni di gocce e la visuale era piuttosto limitata. Ma nonostante questo continuava a seguire la sagoma di Breda che, a dispetto della sua stazza robusta, aveva una velocità e resistenza invidiabili.
Avrebbe voluto tanto sapere cosa stava succedendo e perché c'era stato quel cambiamento di programma così improvviso, ma tutto quello che poteva fare era sentire il colonnello e gli altri che comunicavano alla radio, con una serie di frasi secche e ordini che sicuramente facevano parte di un piano precedentemente discusso a tavolino. Ma quando l'avevano progettato?
Lui non era stato minimamente messo al corrente di tutte queste cose: gli sembrava di vivere un’esperienza surreale con tutte quelle voci che si succedevano nelle sue orecchie, sicure e professionali. I battiti del suo cuore continuavano a farsi più rapidi, mentre si imponeva di tenere il passo del sottotenente rosso.
“Breda, Fury,- disse la voce di Mustang all’improvviso, e il soldato semplice quasi si paralizzò nel sentire pronunciare il suo nome – fate attenzione! Il nostro ospite è un osso duro e sta venendo verso di voi!”
“Cosa? Maledizione! - sbottò Breda, fermandosi in mezzo alla strada – Dovevamo essere noi a prenderlo di sorpresa, non il contrario!”
“Che vuol dire?” chiese Fury accostandosi al suo superiore con timore.
Aveva percepito il cambiamento d’atteggiamento del sottotenente ed una nuova tensione gli attanagliò ogni fibra del suo essere. Qualcosa non stava andando come previsto.
“Resta dietro di me, ragazzo. – ordinò Breda - Questo è un cliente difficile e non era previsto che fosse lui a trovare noi.”
“Ma chi è? Non è Slynt l’assassino?” osò chiedere Fury, cercando di dare un volto a questo nemico invisibile.
“No, questo è uno che all'esercito sta creando diversi problemi. Zitto ora! - si guardò intorno – è qui vicino.”
A quel punto Fury si accorse che se prima a tremargli erano state solo le mani, adesso gli tremavano anche le gambe.
Il loro ruolo di copertura era completamente saltato.
Tu promettimi solo che farai attenzione, va bene?
Certo, era stato facile prometterlo al tenente, la sera prima, nella sicurezza dell’ufficio.
Ma come si faceva a stare attenti quando non sapevi nemmeno dove stava il tuo avversario?
“Breda, attenzione che in quella zona c’è anche Slynt: - li avvisò la voce del colonnello – Havoc e il tenente l’hanno certamente colpito, ma non sappiamo quanto possa essere grave la ferita e dunque quanto possa essere pericoloso. Il nostro vero obbiettivo ci vuole fregare, ma non è ancora detta l'ultima. Cercate di intrappolarlo in qualche edificio. Noi abbiamo bisogno di almeno dieci minuti per essere lì.”
“Certo, capo. Come se fosse facile” borbottò Breda disponendosi a eseguire l'ordine e facendo cenno a Fury di mettersi schiena contro schiena con lui.
“Che facciamo?” chiese Fury cercando di evitare che la voce gli tremasse.
Guardandosi intorno si rese conto che la corsa li aveva portati in una zona di periferia con diversi palazzi abbandonati: tutto era così silenzioso, se si eccettuava il rumore della pioggia, e sembrava che il periocolo fosse nascosto diestro ogni angolo, ogni finestra sporca, ogni muro rovinato.
Quasi a confermare le sue sensazioni, arrivò uno sparo che lo mancò di pochi centimetri e andò a colpire la canna del suo fucile. Sentì una dolorosa scossa che gli attraversava le dita e le mani e mollò immediatamente la presa sull’arma che cadde a terra.
“Dannazione! Fury, corri dentro quel palazzo!” ordinò Breda dandogli una spinta e sparando subito dopo nella direzione da dove era provenuto il colpo.
Impattando contro quel muro sul quale era stato spinto con violenza dal compagno, Fury si costrinse a ricacciare indietro le lacrime e raggiunse la porta. La spalancò con violenza e si buttò contro la parete laterale, seguendo l’istinto di offrire all’avversario il minor bersaglio possibile.
“Sottotenente Breda!” chiamò, ma guardando da una finestra vide che la strada era deserta: il suo compagno era sparito, evidentemente costretto a rifugiarsi in qualche altro edificio.
E ora che faccio? – si chiese nel panico.
Allontanandosi dai vetri e chiudendo con cautela la porta, si girò per esaminare la stanza.
L’illuminazione era molto scarsa, ma sufficiente a fargli vedere che era una sorta di vecchio ufficio, di cui restava ancora qualche pezzo di mobilio divorato dalle tarme e dalla polvere.
Portando la mano verso la tasca dove portava la radiolina, si chiese se era il caso di chiamare il colonnello per chiedergli cosa doveva fare: tuttavia, considerando la situazione di pericolo in cui si trovava la squadra, era saggio contattarlo? In fondo lui era relativamente al sicuro rispetto agli altri… sicuramente l’alchimista avrebbe preferito dare la precedenza alla cattura dei nemici e quindi…
Con la coda dell’occhio colse un movimento dall’altra parte della stanza e sentì il suo cuore smettere di battere.
Non era solo

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. L'ordine di un soldato. ***


Capitolo 10. L’ordine di un soldato.

 

Fury, Breda, mi sentite? Che è successo?” chiamò la voce dell'alchimista di fuoco
Ci hanno attaccati, signore, ma ho capito dove sta il nostro pesce. Ho bisogno di rinforzi. Il ragazzo è dentro un altro palazzo: per poco non lo facevano fuori.” disse la voce di Breda
Resistete! Arrivano Havoc ed il tenente…”
Ma per Fury quelle parole furono una magra consolazione: gli sembrava che in quella vecchia stanza nessuno dei rinforzi l’avrebbe potuto mai raggiungere. Era come se si trovasse in un posto completamente alienato dal resto del mondo, dove gli unici lievi contatti con la realtà esterna erano quelle voci negli auricolari.
“Fury, tutto bene?” chiamò la voce del colonnello.
“Io… ” ansimò il ragazzo
Stai calmo... dimmi com'è la situazione. Sei ferito?
Fury avrebbe tanto voluto parlare, ma la voce gli era morta in gola e si sentiva veramente perduto.
Il movimento che aveva colto qualche secondo prima era stato fatto da un uomo che aveva appena abbandonato il suo nascondiglio dietro un vecchio armadio e ora avanzava lentamente verso di lui.
Il volto dai lineamenti duri e decisi aveva un non so che di animalesco: diverse cicatrici deturpavano quei tratti e sembravano evidenziare ulteriormente gli occhi slavati… occhi che guardavano Fury come una bestia che ha appena trovato una preda inaspettata.
Era l’uomo che il soldato aveva visto il giorno prima nel rapporto del colonnello: Slynt l’assassino
“Ciao, ragazzino: – disse con un ghigno l’uomo – adesso fai il bravo e non chiamare aiuto.”
 
Come si procedeva quando un efferato assassino stava nella tua stessa stanza? Nessuna lezione all'Accademia l'aveva preparato a questo. Nessuna simulazione gli aveva spiegato come si calmava il battito del cuore e la sensazione di viscere attorcigliate che gli attanagliava lo stomaco. Nessuno gli aveva detto che il vero terrore era così paralizzante.
Una piccola parte della sua mente continuava a sentire degli spari e si sorprese a pensare che Breda doveva essere ancora fuori a combattere. Ma tutto il resto della sua persona era intrappolato da quello sguardo animalesco che sembrava trarre energia dalla sua paura.
Fury, rispondimi!” continuava a chiamarlo il colonnello.
Ma la voce dell’alchimista non venne nemmeno percepita dalla mente di Fury: l’assassino aveva ripreso a muovere dei passi verso di lui, continuando a tenerlo intrappolato con lo sguardo.
Una lontanissima parte del cervello del soldato si rese conto che l’uomo era ferito: la giacca era sporca di sangue, con il braccio sinistro che pendeva pesantemente sul fianco e anche i passi che muoveva erano leggermente esitanti. Ma nonostante tutto la forza brutale emanata da quella persona era tale che il giovane ne era completamente intrappolato.
“Sbaglio o sei disarmato, ragazzo? - chiese Slynt facendosi avanti – hai lasciato cadere il tuo fucile a terra?”
Fury si trovò a pensare che non era proprio disarmato, nella fondina aveva la sua M5. Ma l'idea di muovere la mano e prenderla gli appariva surreale.
“Tu sei... Slynt”  balbettò.
“Che bravo, e tu invece sei un povero soldatino alle prime armi, si capisce subito. Però scommetto che hai una pistola con te, vero? Adesso fai la cortesia di darmela.”
Slynt? Dannazione! Tenente, muoviti! E' bloccato con l'assassino!
 “Ci sono quasi, signore!
Fury, non fare mosse azzardate! Resisti che arriviamo! Prendi tempo!
“Porta la mano alla custodia e tira fuori la pistola, ragazzo. Dammela e ti assicuro che me ne andrò da qui senza farti nulla, da bravo” c’era una suadente gentilezza in quella voce e Fury scoprì che la sua mano si stava muovendo verso la fondina. Era come se la volontà di quell'uomo prendesse possesso del suo corpo.
Afferrò l'impugnatura dell'M5 e la tirò fuori.
“Perfetto, ora gettala verso di me.”
Una parte della sua mente voleva lanciare l’arma, far andare via quell'uomo e far finire tutto. Ma un lontano barlume di lucidità gli disse che non aveva nessuna garanzia che una volta data la pistola sarebbe stato risparmiato.
In preda all’istinto di conservazione, tese l'arma contro il suo avversario. Si pentì subito di quel gesto temerario, ma non riuscì ad abbassare le braccia.
“Cosa vuoi combinare, ragazzo? - chiese l'uomo sogghignando e facendosi avanti – le braccia ti tremano e sei terrorizzato. Non sei nemmeno in grado di premere il grilletto. Hai mai sparato a una persona?”
Quella domanda lo congelò. Lui non aveva mai sparato a nessuno: non aveva mai fatto del male a  creatura vivente. Nonostante lui fosse un soldato e quell'uomo un assassino... come poteva anche solo pensare di compiere un gesto così orribile?
“Io non posso sparare – balbettò mentre lacrime di angoscia gli colavano sulle guance – non posso...”
Fury!” chiamò Mustang.
“Dammi quella pistola! – disse Slynt a voce più alta – oppure giuro che me la prendo da solo, piattola!”
Dannazione! Fury, reagisci e spara! Quello ti ammazza!” esclamò il colonnello che aveva sentito la minaccia dell'uomo.
“Non ci riesco! Colonnello, non posso!” pianse. Non era come premere il grilletto davanti a un bersaglio di cartone, davanti aveva una persona viva. Non era un assassino!
“Dammi quella maledetta arma!”
“Io non posso!” gridò il ragazzo serrando le palpebre.
Proprio in quel momento Slynt, intuendo che non era più in grado di gestire il gioco psicologico col ragazzo, si mosse verso di lui, con tutta la velocità consentita dalle sue ferite.
Fury, spara! E' un ordine!” esclamò secca la voce del colonnello.
Il soldato aprì gli occhi, premette il grilletto e il colpo partì, colpendo in pieno l’assassino a un paio di metri da lui.
In tutte le ore al poligono non aveva mai centrato un bersaglio in maniera così perfetta.
 
Colonnello, qui io e Breda abbiamo preso il pesce. Tutto in ordine!
Portatelo al quartier generale. Falman, vai a informare le altre divisioni che la missione è finita!
Sissignore!”
Fury… Fury, maledizione, rispondi!
Dannazione, non avrei dovuto lasciarlo solo. Fermo tu! Non osare muoverti!
Sono quasi arrivata!
Le voci venivano da tanto lontano, come se l’auricolare avesse avuto un guasto e facesse sentire solo l’eco. Forse se le stava solo sognando, come stava sognando quella pozza rossa che si allargava sotto quell’uomo disteso a terra davanti a lui. Doveva essere per forza un sogno, perché non era possibile che una persona potesse perdere tutto quel sangue e avere quell’espressione così orribile nel viso. E poi lui non avrebbe mai potuto sparare così perfettamente da colpire un punto vitale al primo colpo.
Una goccia di pioggia stava scivolando lungo la sua lente destra: gli dava fastidio alla vista, si sarebbe dovuto levare gli occhiali e pulirli. Magari il sangue che vedeva era solo dovuto alle lenti sporche. Per migliorare la situazione doveva prima di tutto abbassare le braccia e lasciare quella pistola. Era semplice, perché non ci riusciva?
“ Fury eccomi! – esclamò il tenente Hawkeye spalancando la porta e puntando la pistola – Oh, cielo… no!”
Era strano, la voce del tenente era sia dentro la stanza che negli auricolari.
Ma lui ora doveva abbassare la pistola: quella goccia sugli occhiali era così fastidiosa.
“Fury… Fury! – mormorò la donna accostandosi a lui – E’ tutto a posto, sono qui. Da bravo, adesso abbassa le braccia e lascia la pistola.”
“Non… non ci riesco, mi dispiace. Vorrei tanto, ma…” sussurrò senza riuscire a girarsi a guardarla.
 “Ssh, tranquillo ti aiuto io – lo tranquillizzò lei posando le mani sulle sue e allentando gentilmente la sua presa dall’arma – è tutto finito, piccolo soldato. Adesso vieni, andiamo fuori a prendere un po’ d’aria”
Tenente che succede?” chiese la voce del colonnello
“E’morto per colpa mia… ” riuscì a dire senza distogliere gli occhi da tutto quel sangue.
“Non guardare. – mormorò la donna stringendolo a sé e conducendolo verso la porta – Non guardare più, ti prego. Colonnello, l'assassino Slynt è morto, mentre il soldato Fury è… fisicamente illeso.”
Capisco... Portalo via da lì.
“Vieni, piccolo – sussurrò il tenente – ci sono io a proteggerti, va tutto bene”
Fury annuì con inerzia a quell’affermazione.
Ma nonostante fossero usciti fuori da quella stanza maledetta, il sangue non andava via dalla sua mente.


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Dolorose considerazioni. ***


Capitolo 11. Dolorose considerazioni.

 

Se non fosse stato per la pioggia che si vedeva cadere dalla finestra, si poteva pensare che la scena fosse un dipinto, per l’immobilità che la caratterizzava. La donna soldato stava in piedi davanti ai vetri: in genere così dritta e fiera, in quel momento sembrava che sostenesse tutto il peso del mondo da sola.
L’alchimista di fuoco entrò silenziosamente e rimase per qualche secondo a fissare la sua assistente prima di avvicinarsi a lei.
“Abbassi la guardia in questo modo, tenente?” chiese.
“La prego, signore, non è il momento. E comunque l’ho sentita da quando ha aperto la porta” disse la donna continuando a fissare la pioggia che cadeva.
“Allora sono tranquillo. Posso ancora fidarmi di te come guardia del corpo.”
Non ci fu nessuna risposta questa volta.
Mustang prese a guardare la pioggia che cadeva fitta ed insistente nel cortile del Quartier Generale: gli alberi, il terreno… tutto sembrava incredibilmente pesante.
“Ho letto il rapporto dell’autopsia sul cadavere di Slynt: – riprese dopo qualche minuto di silenzio – a quanto pare era stato ferito da te o da Havoc nell’inseguimento precedente; aveva un proiettile nella gamba desta e una grave ferita nel braccio. Un altro si sarebbe arreso, ma non lui: tuttavia non era chiaramente in condizioni di continuare la fuga e quindi si dev’essere rifugiato in quell’edificio.”
Ci fu solo un breve cenno del capo e il colonnello dichiarò:
“Avete salvato la vita del ragazzo: dubito che in condizioni normali quell’uomo si sarebbe fatto uccidere così facilmente. Dovresti essere sollevata.”
Ancora una volta non ci fu nessuna risposta: la verità era che Mustang sapeva benissimo cosa bruciava l’anima della sua assistente.
“Non lo potevi proteggere da qualcosa di inevitabile per un soldato, tenente; – sospirò con stanchezza dopo qualche secondo  – sarebbe successo, prima o poi.”
“Lo so, signore. – rispose finalmente lei - Ma per Fury non era ancora il momento. Non a diciotto anni… non come è stato per me. Avrei dovuto insistere maggiormente e impedirle di farlo partecipare alla missione: avrei dovuto proteggerlo ancora.”
“Hai ragione, non sarebbe dovuto succedere così presto. – annuì Roy cupamente – Sono io che ho fatto un errore imperdonabile nel calcolare i rischi… Ma oramai è successo ed il ragazzo è forte: si rialzerà.”
“Ma non sarà più lo stesso, signore. – replicò con amarezza la donna - Lei non era lì quando sono arrivata, non ha visto i suoi occhi… la morte sul suo viso… la consapevolezza di…” non proseguì la frase, ma Mustang terminò per lei.
“… di essere un assassino. No, non l’ho vista nel suo viso, ma l’ho vista troppe volte a Ishval, proprio come te. Nei soldati e nei civili… in quei ragazzini che impugnavano le armi per proteggere le loro famiglie o semplicemente loro stessi. Molti erano anche più piccoli di lui.” replicò amaro il colonnello.
“Lo so che è da stupidi, ma il fatto è che continuo a dirmi che forse…”
“Che forse potevamo preservare la sua innocenza? –terminò il colonnello al suo posto – Che sarebbe stata una sorta di redenzione?”
“Non ho mai pensato a Fury come a un riscatto per l’orrore che abbiamo visto a Ishval, colonnello. La prego di non fraintendere.”
“Mi sono spiegato male. E’ che alla fine ci siamo tutti affezionati a lui proprio perché è arrivato con quella… purezza che noi abbiamo perso da tempo, in quel posto maledetto. Lui aveva nello sguardo quell’ottimismo, quella fiducia nella vita che… - si fermò incrociando le mani dietro la schiena e sorrise con amarezza. – In realtà sono uno sciocco, tenente. Da una parte mi dico che è stato meglio levarsi subito il dente, ma in fondo alla mia anima continuo a ripetermi che avevate ragione tu e Havoc: avrei dovuto lasciarlo fuori dall’azione; avrei dovuto proteggerlo, ancora per un po’di tempo. Mi sento davvero patetico.”
La donna guardò per la prima volta il suo superiore e si accorse che gli occhi neri, in genere così decisi, erano pieni di stanchezza. Era raro che Roy Mustang si lasciasse andare in questo modo.
“Non so lei, colonnello, ma a me sembra di essere un genitore che ha sbagliato tutto.” confessò.
“Forse non è tanto fuori luogo come paragone: – ammise Mustang con un sorriso tirato - del resto questa squadra è un po’ una famiglia, no? L’unica cosa che mi consola è che sicuramente con lui ci sono i suoi… fratelli maggiori. Almeno non affronterà l’incubo da solo.”
Il tenente riuscì a trovare un minimo di conforto in quelle parole.
“E’ tardi per stare qui in ufficio, considerato che domani avremo molto lavoro da fare. Andiamo, signore?”
“Vai pure avanti. Io resto ancora qualche minuto.”
“Va bene. Buonanotte, colonnello.”
“Tenente?” la chiamò Mustang quando stava per arrivare alla porta.
“Signore?”
“E’ strano quello che sto per dire ma… – iniziò senza girarsi verso di lei – devo confessarti che domani avrò paura di affrontare il suo sguardo ”
“La capisco. – mormorò la donna - Ma non può evitarlo: dobbiamo prenderci le nostre responsabilità.”
 
Niente di irreparabile.
No, questa frase non suonava più come una volta; ora suonava come la nota uno strumento musicale  che ti ha accompagnato per tutta la vita, ma che all’improvviso si rompe. Perché c’era qualcosa di irreparabile nella vita, qualcosa di orribilmente irreparabile.
Stava seduto sul pavimento della sua stanza, la schiena contro il bordo del letto, con le braccia che stringevano le ginocchia al petto. Cercava conforto in quella posizione fetale che spesso gli aveva dato l’illusione di essere protetto dal mondo esterno, ma questa volta non funzionava: si sentiva oppresso, con l’angoscia che gli premeva dentro il petto e che non accennava a diminuire.
 Se chiudeva gli occhi poteva vedere ancora la pozza di sangue che si allargava sotto il corpo di quell’uomo. Era un pluriomicida, una persona malvagia: sarebbe morto comunque per mano del boia. Eppure c’era qualcosa di sbagliato in quello che era successo. Non aveva il diritto di prendere una vita in questo modo… così facilmente: una sola pressione sul grilletto.
Il tenente aveva ragione: nessuno l’avrebbe potuto preparare a delle sensazioni simili; non il colonnello, non Havoc, non sua madre: nessuno.
Il mondo gli sembrava vuoto, pieno di orrore, di incubi. Non era una goccia di pioggia sugli occhiali, era la realtà: aveva ucciso un uomo. Sentiva ancora le braccia del tenente che lo tenevano stretto, la sua voce che continuava a dire che andava tutto bene. Ma era una bugia, non andava tutto bene. Non era come fare una figuraccia a scuola ed essere presi in giro. Era scoprire di essere capace di levare una vita.
Continuava a ripetersi che era un soldato, e dunque aveva fatto solo il suo dovere. Ma proprio non riusciva a sentirlo come una giustificazione.
Con che coraggio poteva rialzarsi e dirsi che non era niente di irreparabile?
Trasse un breve singulto e subito dopo sentì bussare.
“Ciao ragazzo, eccoti qui” disse una voce mentre la porta si apriva e Havoc, Breda e Falman entravano.
“Per favore - mormorò il giovane, senza riuscire a guardarli – non voglio vedere nessuno.”
“Mhpf – sbuffò Havoc facendosi avanti – non è proprio una bella accoglienza. E pensare che sto rinunciando a una serata al pub per te.”
“Non far caso a questo idiota, Fury. – disse Breda inginocchiandosi accanto a lui – Dovresti levarti questa giacca, ragazzo: è ancora fradicia e rischi di prendere un brutto raffreddore.”
Con apatia non si oppose alle mani del sottotenente che provvidero a levargli l’indumento e poi gli misero una coperta sulle spalle.
“Dai, - proseguì il rosso, provvedendo a frizionargli i capelli umidi con la stessa – asciughiamo questa chioma, piccoletto… coraggio.”
E lui rimase fermo, come un bravo bambino, solo in parte consapevole di quei gesti gentili e del sollievo che la coperta calda stava dando al suo corpo irrigidito.
“Direi che va meglio, – annuì Falman sedendosi nel pavimento, proprio accanto a lui – ora non ci resta che aspettare.”
“Non ne voglio parlare” scosse il capo con voce rotta.
“Nessuno vuole che ne parli. – replicò quietamente il maresciallo, mentre Breda finiva di asciugargli i capelli e li arruffava con gentilezza – Diciamo che la nostra presenza è necessaria”
 “Non capisco per cosa sia necessaria” sussurrò.
“Non sforzarti di capirlo, ragazzo – disse Havoc, sistemandosi nella sedia della scrivania accanto al letto– verrà da sé.”
“Come è giusto che succeda” gli fece eco Breda alzandosi in piedi e portandosi accanto al suo pari di grado.
“Che cosa verrà da sé?” serrò gli occhi, mentre una prima lacrima iniziava a cadere. Non aveva immaginato che le voci dei compagni potessero fargli un simile effetto.
“Ecco, ci siamo: – disse con gentilezza Falman posando la mano sopra la sua testa – direi che siamo arrivati proprio al momento giusto.”
Quel gesto e quelle parole furono la goccia che fece esplodere la diga. A una lacrima ne seguì una seconda e in pochi attimi fu scosso da violenti singhiozzi che gli laceravano l’anima. La mano del maresciallo lo guidò gentilmente nel proprio grembo e lui si aggrappò con gratitudine ai pantaloni del suo commilitone, come se fossero un’ancora in mezzo a una tempesta.
E pianse disperatamente, come mai gli era successo in vita sua.
Tuttavia nessuno dei suoi compagni cercò di consolarlo, di bloccare il suo pianto: si limitavano a stare accanto a lui, con la mano di Falman che gli accarezzava i capelli.
Perché erano lacrime che andavano versate… per la perdita irrimediabile dell’innocenza.
“Dannazione – mormorò la voce di Havoc – qui non c’è nemmeno un posacenere. Eppure sarà una nottata lunga:”



 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. Il coraggio di guardarsi negli occhi. ***


Capitolo 12. Il coraggio di guardarsi negli occhi.

 

La mattina dopo la sveglia nei dormitori suonò impietosa, tirando giù i soldati dai loro letti e obbligandoli ad iniziare una nuova giornata di lavoro.
Nella sua stanza Fury aprì gli occhi e si mise a sedere nel letto: si sentiva svuotato e sfinito e per qualche istante ebbe l’illusione che tutto quello che era successo il giorno prima era stato solo un bruttissimo sogno. Ma quando vide di indossare ancora i pantaloni e la camicia della divisa e di avere addosso una coperta, la realtà dei fatti gli piombò addosso come un macigno.
Per qualche secondo fu tentato di rifugiarsi sotto quella coperta, serrare gli occhi e riaddormentarsi, cullandosi nell’oblio, ma non era abituato a nascondersi dietro questi sotterfugi e così, con un sospiro si alzò.
Mentre si dirigeva verso il bagno per farsi una doccia si accorse che nella scrivania, accanto ai suoi occhiali, vi era un bicchiere pieno di mozziconi di sigaretta. Si fermò a prendere in mano quell’improvvisato posacenere e si chiese quanto i suoi compagni fossero rimasti in quella stanza, anche dopo che aveva ceduto al sonno. La loro presenza, così forte e tangibile, era riuscita a confortarlo… tuttavia, non poteva dire di stare bene: qualcosa era stato spezzato e si sentiva dolorosamente diverso.
Facendosi la doccia si trovò a ripensare a quanto si vantassero i suoi compagni di Accademia quando stavano al poligono di tiro.
“Ucciderò un sacco di nemici”
“Con questa pistola farò fuori un sacco di gente
Quante volte aveva sentito frasi simili?
Ed invece, per ironia della sorte, quello che era il più giovane e meno bravo, probabilmente era stato il primo ad avere questo discutibile onore: sparare a una persona.
Sperò vivamente che nessuno di loro dovesse mai provare quello che aveva passato lui ieri.
Con questi cupi pensieri, finì di prepararsi e uscì dalla stanza.
Non aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
 
Man mano che si avvicinava all’ufficio sentiva il suo cuore che si faceva pesante.
Teneva lo sguardo basso: aveva paura di incontrare i suoi compagni, il tenente, il colonnello; aveva il terrore che, guardandoli, li avrebbe considerati diversamente e la stessa cosa sarebbe accaduta a loro. Avrebbe dato chissà cosa perché tutto ritornasse indietro, perché nessun rapporto finisse sul tavolo di Mustang e, di conseguenza, nessuna missione sotto quella pioggia… niente spari, niente sangue.
“Eccoti qui, soldato. Rischiavi di farci fare tardi.” salutò la voce di Breda.
Fu costretto a dare una fugace occhiata e vide con sorpresa che insieme al robusto soldato c’erano Havoc e Falman: erano tutti fuori dalla porta e si rese conto che lo stavano aspettando. Per un secondo fu tentato di mormorare qualche parola di scusa e scappare via, ma non se lo meritavano dopo quello che avevano fatto per lui ieri notte.
Trattenendo il fiato alzò lo sguardo e si stupì.
Negli occhi azzurri di Havoc, così come in quelli grigi di Breda e quelli di Falman c’era una profonda comprensione, un tacito riconoscimento: tutti loro sapevano cosa voleva dire uccidere, provare l’angoscia di levare la vita a una persona. Non se ne vantavano: probabilmente anche loro avevano passato la notte a cercare di allontanare la vista del sangue che avevano versato. E questa ferita dell’anima era sempre stata nei loro occhi, ma lui non l’aveva saputa leggere fino a quel momento. Ma adesso poteva: era un soldato e loro erano i suoi compagni, i suoi fratelli. E avevano bisogno l’uno dell’altro.
Fu come se un macigno gli fosse stato levato dall’anima: non si sarebbe mai più trovato da solo.
Un primo timido sorriso riuscì ad affiorargli sulle labbra: adesso era pronto ad affrontare di nuovo la sua vita.
 
Roy Mustang sedeva alla scrivania e guardava l’ufficio ancora vuoto. Era arrivato presto quella mattina, non sapeva perché. Forse era preoccupato per quello che poteva vedere nel momento in cui sarebbero arrivati i suoi uomini: aveva tanto vantato il fatto che il ragazzo fosse forte, ma aveva paura di veder entrare una creatura spezzata.
Fury era diverso: non era come Havoc, Breda e Falman che erano entrati al suo servizio già grandi e con il loro bagaglio di esperienza. Quel ragazzo, con i suoi appena diciotto anni, era arrivato ancora innocente, pieno di idealismo e di entusiasmo e di un’incrollabile fiducia e ammirazione nei confronti del suo superiore. Lui, in quanto tale, avrebbe dovuto essere maggiormente responsabile e pensarci due volte prima di coinvolgerlo così presto in una missione armata. Forse ora Fury l’avrebbe guardato come il peggiore dei criminali, come il mostro che gli aveva ordinato di compiere quell’orribile gesto. Adesso il ragazzo sapeva cosa voleva dire uccidere e questo lo poteva portare a rivalutare un cosiddetto eroe della guerra di Ishval: e non avrebbe avuto nemmeno tutti i torti.
Forse con lui era stato davvero un genitore che ha sbagliato tutto.
Non ebbe tempo di fare altre riflessioni che la porta si aprì e quattro soldati entrarono, andando a sedersi ai loro posti. Il colonnello fece finta di niente, rispondendo vagamente ai loro saluti.
Poi si decise ad affrontare la situazione:
“Fury, vieni qua, subito!” ordinò.
Si alzò in piedi e attese che il giovane arrivasse davanti alla scrivania:
“No, vieni qui, oltre la scrivania, accanto a me.”
Attese di sentire quella presenza al suo fianco e poi si girò e abbassò lo sguardo su quel soldato così piccolo di statura, pronto a prendersi la responsabilità di quanto avrebbe visto; e fu con notevole autocontrollo che rimase impassibile.
Dietro le lenti, quegli occhi neri, lievemente arrossati per le lacrime che sicuramente aveva versato ieri notte, lo fissavano aspettando il suo ordine. Non c’era odio o repulsione, ma la stessa fiducia di sempre: come un bimbo che guarda il suo eroe. Ma al posto dell’innocenza di un bambino, nel profondo dello sguardo, c’era una nuova, dolorosa, maturità, così strana in quel viso ancora infantile.
“Signore?” chiese Fury interrompendo i suoi pensieri.
“Ieri hai lasciato la tua M5 sul campo di battaglia, soldato Fury.” disse prendendo l’arma in questione dalla cintura e porgendogliela.
Non ci fu esitazione nella mano che si allungò a prendere l’impugnatura della pistola: il giovane la ripose nella fondina, senza dire nulla, senza smettere di incontrare il suo sguardo.
Mustang allungò la mano destra e la mise sui capelli neri e dritti. Rimase così per un interminabile secondo, cercando di trasmettergli con quel gesto tutto il sollievo e l’orgoglio che provava nei suoi confronti…
Poi strinse le ciocche scure con fermezza e scrollò la testa del ragazzo.
“Ahia! Colonnello, mi sta facendo male!”
“Dannazione a te, Fury! – disse seccamente mentre lo scrollava - La prossima volta che ti do un ordine non devi avere nessuna esitazione ad eseguirlo, mi sono spiegato? Se ti dico di sparare lo devi fare subito, chiaro? Potevi restarci secco e io mi sarei dovuto cercare un nuovo esperto di comunicazione, senza contare che quell’assassino sarebbe scappato costringendoci a fare gli straordinari!”
“Ahi! Sissignore! - guaì Fury arrossendo – Le giuro che non si ripeterà mai più!”
“Me lo auguro vivamente. Adesso fila subito all’ufficio investigazioni! – terminò l’alchimista lasciando la presa – Devi ancora fare il tuo rapporto per quanto successo ieri. Spero che avrai il buon gusto di non dire niente del tuo canale segreto altrimenti ci procurerai solo noie.”
“Vado subito, signore” disse il soldato massaggiandosi la testa, tra le risate soffocate di Havoc e Breda.
Come Fury fu uscito il sottotenente biondo si accese una sigaretta:
“Va tutto bene, colonnello: il soldatino è forte e sa rialzarsi.”
“Non ho mai avuto dubbi in merito, Havoc.” mentì Mustang seccato girandosi a guardare fuori dalla finestra. Si sentiva dannatamente fiero del piccolo della squadra: ora aveva la certezza che tutta la sua famiglia l’avrebbe seguito ovunque.
E lui era determinato ad arrivare in cima e a non lasciare indietro nessuno di loro.
 
Il tenente Hawkeye rientrò in ufficio all’ora di pranzo, dopo aver passato la mattinata a sbrogliare le questioni diplomatiche relative alla cattura dell’infiltrato all’interno dell’esercito. Il colonnello si era preso la briga di spiegare la situazione solo al Generale Grumman, ma al resto dei superiori dell’esercito aveva dovuto pensarci lei, come al solito.
Si era aspettata di non trovare nessuno ed invece fu con sorpresa che vide Fury chino al suo posto intento a sistemare i piccoli apparecchi radio che avevano utilizzato durante la missione: se anche si accorse della sua presenza, il ragazzo non disse nulla.
In silenzio la donna si accostò alla scrivania e guardò quella testa bruna che volgeva tutta l’attenzione al suo lavoro. Le mani si muovevano sicure e delicate su quei meccanismi così piccoli: avrebbero dovuto fare sempre quello e non premere un grilletto.
“Tenente?” chiamò con voce timida il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
“Dimmi, Fury.”
“Aveva ragione, tenente, – iniziò con un sospiro dopo una prima esitazione – è qualcosa che ti cambia completamente la vita. Sa… mia madre mi diceva sempre che non c’è nulla di irreparabile, ma mi sono reso conto che non è così.”
“Mi dispiace - mormorò la donna abbassando lo sguardo su uno degli auricolari che giacevano nel tavolo – avrei tanto voluto che evitassi quest’esperienza almeno per qualche tempo. Avrei dovuto…”
“Non fa niente. Del resto sono un soldato, no? - continuò la voce di Fury – Adesso so che cosa si prova ad uccidere a una persona e se devo essere sincero non vorrei farlo mai più in vita mia. Mi è bastata una volta per... non saprei nemmeno come descriverlo. Però sono deciso ad  andare avanti, senza venire meno ai miei doveri, per quanto dura possa essere.”
Aveva detto tutto sommessamente, ma con una fermezza del tutto nuova.
Il tenente alzò lo sguardo e incontrò quello del soldato.
I suoi occhi neri le sembrarono così diversi: in essi c’erano una nuova consapevolezza, che lei conosceva troppo bene, ma anche profonda determinazione; come se avesse fatto i conti con la propria anima e con quello che aveva dovuto fare il giorno prima, accettando le responsabilità che ne derivavano.
“Sono fiera delle tue parole, Fury.” sorrise. E lo era davvero, ma non poteva fare a meno di sentirsi triste nel constatare che il ragazzo che aveva tanto protetto non c’era più, costretto a crescere così all’improvviso.
Si stava rassegnando all’idea di non poter più vedere quella dolcezza infantile che tanto le aveva scaldato il cuore, quando Fury riprese a parlare: 
“Sa, il colonnello si è parecchio arrabbiato con me perché ho esitato a eseguire gli ordini. – confessò con un sorriso contrito passandosi la mano tra i capelli neri, più arruffati del solito – Però  dopo mi ha anche detto che il canale che ho creato è stato davvero utile per la missione e che devo tenerlo sempre pronto per qualsiasi eventualità. Allora ho pensato che posso renderlo ancora più potente in modo da avere una maggiore copertura: crede che sia una buona idea? Non si sa mai con il colonnello…” e c’era la solita energia in quelle affermazioni, il solito entusiasmo che cercava la sua approvazione. La morte gli aveva ferito l’anima, ma lui non aveva rinunciato a se stesso: non si era perso.
“Sì, mi sembra un’ottima idea. – riuscì a dire la donna trattenendosi a stento dall’abbracciarlo – Non si sa mai con il colonnello.” 
“Tenente?” la chiamò di nuovo dopo una lieve esitazione.
“Sì?”
“Non l’ho mai ringraziata per essersi presa cura di me per tutto questo tempo… per avermi tenuto le mani quella sera, e per avermi stretto in un momento così difficile come ieri: grazie di tutto, davvero.” le guance del ragazzo erano arrossite lievemente, come accadeva sempre quando si trovava a dire qualcosa che lo  imbarazzava.
“Sei un membro della squadra, Fury. Qui ci aiutiamo tutti a vicenda” sorrise lei concedendosi di sistemargli una ciocca di capelli neri.
“E’ vero. In fondo… è come una famiglia, non trova?”  
“E’ un buon paragone – ammise piena di orgoglio per il suo piccolo soldato. Poi cambiò argomento – Comunque non so se l’hai notato, preso come sei dai tuoi grandi progetti: ha finalmente smesso di piovere e le nuvole si stanno aprendo. Non eri tu che avevi detto, qualche giorno fa, che non vedevi l’ora che uscisse il sole?”
“Davvero? – si girò lui verso la finestra con il viso illuminato dalla gioia – Finalmente! Questo tempo era proprio insopportabile!”
Vedendo quell’espressione Riza Hawkeye sorrise e ripensò con gratitudine a quel giorno di qualche mese fa quando la vecchia radio si era rotta ed era servito un tecnico. Perché anche se quel ragazzo non poteva essere la redenzione dei suoi peccati, le aveva appena fatto scoprire che una parte di lei non era andata irrimediabilmente perduta nelle sabbie di Ishval, come invece aveva creduto.

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Capitolo 13
*** Epilogo. Due anni dopo. ***


Epilogo. Due anni dopo.


 
Una giornata di pioggia improvvisa, come sempre succedeva a gennaio.
Nonostante fosse mattina le nuvole erano così dense da dare l’idea che fosse sera avanzata; le vie di East City erano deserte, la gente preferiva restare a casa in simili giornate, mentre gocce sottili e fitte cadevano dal cielo, creando piccoli fiumi lungo i margini delle strade.
Ad interrompere quella monotonia per qualche secondo era una figura in uniforme che correva sotto la pioggia.
 
Il sergente maggiore Kain Fury si rimproverò per l’ennesima vota di essersi dimenticato, la sera prima, di passare nel negozio di elettronica per ordinare quei pezzi speciali che gli servivano. Non aveva potuto fare richiesta ai magazzini dell’esercito perché, ovviamente, gli servivano per qualcosa che il colonnello voleva tenere riservato. E quindi, considerata l’urgenza, gli era toccato uscire nonostante la pioggia.
Si fermò a riprendere fiato sotto l’insegna di un negozio e, girandosi, vide il suo riflesso nel vetrina.
A settembre aveva compiuto vent’anni, ma la maggior parte della gente continuava a ritenerlo più giovane di quanto in realtà fosse: i suoi lineamenti, infatti, avevano mantenuto la delicatezza infantile che, insieme alla sua statura non proprio eccezionale, lo facevano passare per un adolescente. A dire il vero, nell’ultima visita che aveva fatto a casa, sua madre aveva constatato con orgoglio che era cresciuto di almeno un centimetro ed era diventato leggermente più robusto. Ma era una magra consolazione, considerando che il sottotenente Havoc l’aveva da poco sollevato in aria con un braccio solo, in una serata al pub in cui era particolarmente brillo e aveva voluto fare una scommessa con Breda.
Da un ciuffo di capelli cadde una goccia che prese a scivolargli lungo la lente sinistra: asciugandosela si trovò a ripensare alla prima volta che aveva ucciso un uomo e si era disperatamente attaccato all’idea che il sangue fosse solo un effetto dello sporco sugli occhiali. Erano passati due anni e la ferita all’anima che gli aveva provocato quel gesto era ancora lì e non se ne sarebbe andata mai. In quell’arco di tempo gli era capitato di sparare altre volte, fortunatamente solo per aiutare i suoi compagni nelle azioni di copertura… tuttavia era perfettamente consapevole che se si fosse presentata la necessità avrebbe ucciso di nuovo.
Non era più un ragazzino, ma un soldato e non si sarebbe sottratto al suo dovere.
Tuttavia era confortato dall’immensa fiducia che nutriva nei confronti del suo superiore: sapeva che il colonnello non gli avrebbe mai dato un ordine così terribile se non fosse stato estremamente necessario. Già, il colonnello… non aveva mai più esitato ad eseguire un suo comando ed ormai aveva imparato a riconoscere tutte le sfumature nella sua voce e nei suoi atteggiamenti. Adesso quando convocava la squadra per qualche missione, si alzavano tutti contemporaneamente.
 
Sperando che la pioggia diminuisse almeno un po’ , si mise una mano in tasca e prese un paio delle sue inseparabili rondelline; se le mise tra le dita e iniziò a giocarci distrattamente.
Non vedeva l’ora di tornare al Quartier Generale, cambiarsi, e bere qualcosa di caldo per scongiurare un raffreddore. Di sicuro il tenente l’avrebbe rimproverato per essere uscito con questo tempaccio: certe cose non cambiavano mai, ma in fondo non gli dispiaceva.
Del resto in una famiglia ci si prende cura uno dell’altro.
Stava ridacchiando all’idea dell’inevitabile sgridata e delle conseguenti prese in giro degli altri, quando una delle rondelle gli sfuggi di mano.
“Oh no!” gemette, rincorrendo il piccolo pezzo di metallo che rimbalzava sul marciapiede e si fermava a pochi metri di distanza.
Si inginocchiò a riprenderlo e lo rimise in tasca. Dato che ormai era di nuovo sotto la pioggia tanto valeva riavviarsi, tuttavia si accorse che dal vicolo davanti al quale si era fermato proveniva un leggero movimento.
Si fece avanti, guardando incuriosito tra alcune cassette di legno abbandonate.
“Ciao piccolino!” esclamò illuminandosi in volto.
Davanti a lui c’era un cagnolino, di razza indefinita, bianco e nero. Era rannicchiato su se stesso e tremava per il freddo: le cassette non costituivano un riparo adeguato ed il pelo era tutto bagnato. Come si accorse della presenza del soldato guaì tristemente.
Fury allungò la mano verso quel musino tremante e permise all’animale di annusarlo e dopo un primo esame il cucciolo gli leccò le dita.
“Vieni, – mormorò dolcemente, prelevandolo dal vicolo – sei tutto infreddolito, poverino.”
Si sbottonò la parte superiore della giacca dell’uniforme e infilò dentro la bestiola, in modo da ripararla dalla pioggia. A contatto col calore del suo corpo il cagnolino parve rassicurarsi e si accoccolò al suo petto.
“Sei così piccolo. Di certo non posso lasciarti in mezzo alla strada, con questo tempo poi…”
Per un momento gli venne in mente che forse non avrebbe potuto portarlo al Quartier Generale: il regolamento parlava chiaro… niente animali nei dormitori. Poi il cucciolo abbaiò e lo sentì muoversi dentro la giacca fino a che il muso non spuntò fuori.
“Non ti preoccupare. – sorrise il sergente maggiore incamminandosi – Purtroppo io non ti posso tenere, ma conosco diverse persone a cui chiedere. Sono come una famiglia per me e sono certo che qualcuno di loro sarà disposto a prenderti.”
 
Entrando in ufficio con il cucciolo ancora nascosto dentro la giacca, si accorse che non c’era nessuno: evidentemente si stavano tutti concedendo una pausa.
“Aspetta qui, - disse posandolo sul pavimento – vado a cambiarmi e poi penso a procurarti qualcosa da mangiare.”
Andò negli spogliatoi e si levò con impazienza la divisa fradicia. Se ne mise una pulita, si asciugò rapidamente i capelli neri e poi corse verso l’ufficio, portandosi dietro un asciugamano per asciugare il cucciolo.
Come stava per aprire la porta sentì il grido di Breda seguito dalla voce di Havoc:
“Che hai da urlare, Breda?”
“Havoc, fai attenzione! Guarda… laggiù, laggiù!”
“Ma bene, e quello che sarebbe?” chiese la voce del tenente
“Direi che è un cane…” rispose la voce di Falman
Con un sospiro Fury mise la mano sulla maniglia. Le premesse non erano delle migliori, ma nel suo inguaribile ottimismo era certo che, in un modo o nell’altro, il cucciolo avrebbe trovato casa.
Chissà… magari al colonnello piacevano i cani. 

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