In Balìa Di Un Lupo

di Carmen Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Mio Primo Amico ***
Capitolo 2: *** La Scuola Di La Push ***
Capitolo 3: *** Uno Strano Invito ***
Capitolo 4: *** Uno Stronzo Di Ragazzo ***
Capitolo 5: *** Un Armistizio Sudato ***
Capitolo 6: *** Forse Un Nuovo Lahote ***
Capitolo 7: *** Come Cappuccetto Rosso ***
Capitolo 8: *** Un Altro Bacio ***
Capitolo 9: *** In Prova ***
Capitolo 10: *** A Stretto Contatto ***
Capitolo 11: *** Una Coppia ***
Capitolo 12: *** Una Scampata Frittata ***
Capitolo 13: *** Tutti Insieme Malauguratamente ***
Capitolo 14: *** Una Brutta Faccenda ***
Capitolo 15: *** Una Proposta Indecente ***
Capitolo 16: *** Peggio Di Un Incubo ***
Capitolo 17: *** La Verità ***
Capitolo 18: *** In Balìa Di Un Lupo ***



Capitolo 1
*** Il Mio Primo Amico ***



 

Mi piaceva il colore lilla.
Eppure ero andata a finire in una località tutta verde. E bagnata. Sembrava un po’ viscida in realtà, proprio come i rettili che tanto odiavo.
E un’altra cosa che voglio dire è che amavo il brutto tempo, le temperature fredde, la neve… ma a La Push era davvero tutto troppo esagerato.
Io e mia madre eravamo arrivate in quel posto strepitoso da quattro giorni e mentre lei si divertiva a far nascere qualche bambino, io me ne stavo sotto il portico a fissare le pozzanghere traboccanti d’acqua e la pioggia che scendeva imperterrita dal cielo.
Avrei potuto iniziare a farmi un giro di amici o per lo meno chiacchierare con qualcuno, ma quel simpatico villaggio sembrava desolato.
Non era successo come accadeva nei film, nessuno si era presentato alla nostra porta con una gustosa torta di mele di benvenuto. A me piacevano le mele.
Ogni tanto sentivo solo il motore di qualche vecchio pick-up che si aggirava fra le case e nient’altro né risate di bambini né qualcuno che discuteva.
Quando decisi di aver guardato sin troppo di quel panorama da cartolina, capii che era arrivato il momento di fare qualcosa per evitare di cadere irrimediabilmente in un sonno eterno. Oppure, peggio ancora, decidere di iscrivermi a un corso d’uncinetto.
Rientrai in casa e sul mio esile corpicino da quasi diciassettenne, infilai un impermeabile giallo, vecchio ricordo di una gita a Gardaland. Dal mio armadio presi uno zainetto mettendoci dentro la mia amata fotocamera, due barrette di cioccolato e il libro Istant Inglish – nel caso avessi trovato un posticino tranquillo e non bagnato per ripassare ancora una volta il mio inglese.
Ritornata vicino all’uscio, decisi che era il caso di lasciare un bigliettino a mia madre, giusto per evitare che le prendesse un colpo se fosse rientrata dal lavoro troppo presto. Da quando ci eravamo trasferite era diventata molto apprensiva, manco potesse rapirmi l’uomo di Neanderthal.
Mi allacciai gli scarponcini da trekking – mai avuti in vita mia – e poi mi diedi un’occhiata allo specchio.
Beh, i miei lunghi capelli rossi si abbinavano perfettamente all’impermeabile, come anche i miei occhi verdi. Forse avrei preferito un colorito di pelle più scuro, ma il mio bianco carta andava benissimo.
Scrollai le spalle e uscii dal retro donando un’occhiataccia alla piccola piscina gonfiabile che avevo comprato con tanto amore, credendo di poterla adoperare e che invece si stava riempiendo di acqua piovana, proprio come il mio cervello.
Il villaggio era interamente circondato da una fitta boscaglia e doveva esserci anche un fiume nascosto da qualche parte. Non ci impiegai molto a inoltrarmi nella foresta e ragionai che nonostante avessi paura dei serpenti, delle lucertole e di tutti quegli essere infernali, non ci avevo pensato due volte ad avviarmi nel loro mondo. Tuttavia ero sicura di trovare tantissime cose belle da fotografare.
Una volta in mezzo alla vegetazione, abbassai il cappuccio del mio impermeabile e mi guardai intorno.
I rami degli alberi erano così fitti che impedivano alla pioggia di oltrepassarli, ogni tanto venivo colpita soltanto da qualche gocciolina fredda.
Estrassi dallo zaino la mia fotocamera e iniziai a immortalare la natura: qualche cespuglio di bacche, un uccellino che scrollava le ali, un bruco che zampettava su un rametto. Che bel bottino! Sicuramente qualcuna delle mie amiche italiane mi avrebbe invidiato vedendo quelle foto su Facebook.
Ah certo, l’importante è crederci.
Se avessi fatto in tempo, sarei andata anche in spiaggia, ma sinceramente avevo un po’ di paura. Quello non era mare, era oceano. E già solo la parola, mi terrorizzava. Immaginavo che da quelle acque scure uscisse un calamaro gigante.
Toccai lo schermo della mia fotocamera e con il review, andai a vedere le immagini scattate, ritrovandomi a corrugare la fronte quando nell’ultima foto, notai qualcosa di strano… e non aveva il colore verde… era argentato. Un argento scuro e aveva anche due occhi luccicanti e due orecchie…
«Ah!», esclamai facendo un salto all’indietro. Inciampai in una radice e mi ritrovai col sedere per terra e col cuore che a momenti mi sarebbe scoppiato dalla paura.
Rimasi immobile, guardando il cespuglio di bacche che avevo fotografato poco prima. E lei era ancora lì… o forse era un lui.
Mi stropicciai le labbra con le dita e rimasi immobile mentre il lupo veniva allo scoperto con le orecchie appiattite sulla testa e gli occhi… gli occhi rotondi.
Amavo gli animali e avendo avuto già un cagnolino, sapevo a priori che quando gli occhi erano rotondi e le orecchie appiattite, conseguiva un bello scodinzolare.
Però quello non era un cagnolino era un lupo e pure bello grosso!
Mi alzai lentamente, cercando una pietra o un bastone per potermi difendere se non sia mai avesse voluto attaccarmi. E non ho ancora ben capito perché non svenni irrimediabilmente quando notai che la faccia del lupo arrivava sopra la mia testa.
Non che fossi alta, ma dannazione!
Forse era una razza speciale di lupo che viveva a La Push. O si nutriva di rifiuti tossici, tipo le tartarughe ninja che erano diventate giganti dopo aver fatto il bagno nelle scorie radioattive.
Per un attimo pensai di fuggire via, ma ero certa che a quel punto avrei innescato il suo gusto per la caccia e mi avrebbe inseguito e amabilmente ucciso come una gazzella. Anzi no, quelli erano i leoni, i lupi rincorrevano le volpi, i conigli.
«Ciao lupo», sussurrai salutandolo con una mano. «Ti prego non uccidermi non ho nemmeno compiuto diciassette anni ancora».
Il lupo si acquattò sul terreno, poggiando la testa sulle zampe anteriori e continuò a guardarmi con quei suoi occhi neri e luminosi.
Forse era addomesticato…
A ogni modo, visto che non sembrava malintenzionato, avrei potuto tentare di sgattaiolare via e tornare sul sentiero che mi avrebbe riportato al villaggio, scampando così ogni pericolo. Del resto non avrei dovuto impiegarci molto, avevo camminato per pochi minuti, al massimo potevo aver percorso un chilometro e mezzo.
Un miglio Alex, qui si dice un miglio.
Però, adesso che ci pensavo, quel lupo mi piaceva. Ed era così mansueto…
Ero certa che quella sarebbe stata l’esperienza più elettrizzante che avrei fatto in tutti gli anni che sarei stata costretta a vivere lì, quindi perché rinunciarci?
A limite tornavo a casa senza una mano…
Avanzai di un passo e lui non si mosse. Due passi e lui rimase ancora immobile. Tre passi.
«Allora sei un bravo lupo», dissi accarezzandogli la schiena con la punta della mia scarpa. Il lupetto continuò a non dare segni di squilibrio così mi chinai appena e allungai una mano verso la sua testa.
Feci scivolare le dita sul suo folto pelo, beandomi di quella morbidezza. «Sei bellissimo», mormorai mentre continuavo ad accarezzarlo e a prendere più confidenza con lui. D’altronde perché avrei dovuto avere paura? Era molto simile a un cane e anche loro potevano essere addomesticati. Uccidevano solo per cibarsi e se avesse avuto fame, mi avrebbe già attaccato.
«Se ti lasci scattare qualche foto, prometto di regalarti una barretta di cioccolato».
Pensai che fosse meglio riempirgli la pancia, giusto per mettermi sul sicuro.
Alle mie parole il lupo piegò la testa di lato, come se non mi capisse. Beh, che cosa pretendeva? Era pur sempre un animale. Oppure non capiva l’italiano?
Si mise seduto e mi guardò con la lingua che gli penzolava da un lato. I suoi occhi erano strani ed io che avevo un grosso spirito di osservazione, non potevo non notarlo. I lupi che avevo visto nei documentari in televisione, avevano uno sguardo selvatico, e anche se cacciavano, uccidevano e avevano delle gerarchie, il loro sguardo era innocente. Come se ogni loro azione fosse dettata da qualcosa che neppure loro capivano e cioè l’istinto.
Quel lupo era diverso.
Colsi l’occasione per scattargli qualche foto. Avrei fatto dei bei poster e anche dei collage se fossero venute bene.
In quel momento decisi che una volta all’università avrei preso veterinaria, sì era sicuro.
Si chiama college in America, non università.
Come promesso, dopo che il lupo aveva posato per me senza fare i capricci, estrassi una barretta di cioccolato e gli girai intorno mentre lui si lasciava osservare in tutta la sua bellezza.
«Credo che dovrò darti un nome, sai lupo?».
Il lupo mugolò e piegò ancora una volta la testa di lato, così decisi di parlare in inglese, tanto…
«Fuffy! Ti piace come nome?».
L’animale si accasciò improvvisamente a terra con la lingua fuori dalla bocca e gli occhi sgranati.
«Oh mio Dio! Ti senti male?».
Mi chinai vicino a lui e lo scossi dalle scapole e lui colse l’occasione per rubarmi la cioccolata dalla mano e per poco non mi fece fuori anche due dita.
«Furbo!», ridacchiai sentendo la barretta scricchiolare fra le sue fauci. Forse era scappato da un circo o aveva un padrone che l’aveva cresciuto mansueto come un agnellino.
Quando ebbe finito, mi leccò il viso più volte e poi trotterellò via, lontano da me. Mi sembrava felice. Che strana sensazione.
«Posso chiamarti Fuffy?».
Lui si voltò dalla cima di una piccola collinetta e…scosse la testa. Sbarrai gli occhi. Mi aveva detto no? Anzi… stavo parlando davvero con un animale?
Abbassai le spalle e lo salutai con una mano guardando il suo corpo immenso e argentato che spariva fra i cespugli.
«Ehi, domani, dopo la scuola ti porto altra cioccolata!», urlai nel vuoto.
Beh, per lo meno avevo racimolato un amico. Il mio primo amico.
 
 

Angolino Autrice

Ciao a tutti! Ecco l'ennesima storia e ne sono felicissima. E' dedicata ad Alessandra, è lei la protagonista di questa storia :* 
Sono già avanti di parecchi capitoli e spero che vi piaccia allo stesso modo in cui piace a noi. Ringrazio Martina per la splendida immagina e per il supporto e Alessandra perchè senza la sua idea e il suo immancabile supporto, non avrei fatto un bel niente.
Grazie a tutti in anticipo e alla prossima! <3
-Carmen

 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** La Scuola Di La Push ***



 

E se fino al giorno prima, avevo pensato che quel villaggio fosse disabitato – tipo il set di qualche film western dove ogni tanto si vedevano rotolare piccole balle di fieno – adesso dovevo ricredermi.
Ero di fronte al cancello del liceo della scuola della Riserva e il piccolo cortile antistante all’edificio pullulava di ragazzi.
Probabilmente l’unico motivo per cui non avevo ancora incontrato nessuno di loro, era perché trascorrevano il loro tempo libero al di fuori del villaggio, magari nella vicina cittadina Forks.
Mi venne subito da ridere… come poteva una città chiamarsi Forchette?
Mi sollevai il cappuccio della felpa e poi sistemai per bene la fibbia del mio zaino.
Dovevo attraversare quel piccolo vialetto alla velocità della luce, prima che qualcuno mi notasse.
Sapevo bene che non potevo evitare l’inevitabile, ma una cosa sarebbe stata ritrovarmi davanti agli occhi di una classe di quindici studenti e un’altra, molto più imbarazzante, sarebbe stata ritrovarmi osservata da centinaia di occhi curiosi.
Mi chiesi perché non avessi pensato prima a tutti quegli inconvenienti; era inutile che ora continuassero a turbinarmi in testa, sarebbe dovuto accadere prima di acconsentire al mio trasferimento.
Io in quell’ambiente ero un vero pugno in un occhio.
La Push era una Riserva indiana, tutti i ragazzi avevano il colorito ramato, gli occhi scuri, i tratti spigolosi e i capelli nerissimi. Io invece avevo la pelle così chiara che a momenti diventava trasparente e i capelli? Vogliamo parlare dei capelli? Rossi… era impossibile non notarmi e a me non piaceva attirare l’attenzione.
Mi chiesi se in America, fosse abituale come in Italia, usare nomignoli tipo pel di carota o Rosso Malpelo… forse Rosso Malpelo me lo sarei risparmiata, non credevo che studiassero Verga.
Andiamo, smettila Alex!
Non potevo essere sempre così pessimista. Magari lì mi vedevano come una divinità… o come una strega.
Scrollai le spalle e poi mi abbassai il cappuccio. Prima mi notavano, prima ridevano di me e prima ci avrei fatto l’abitudine. E se poi avessero deciso di evitarmi, io avevo il mio lupo.
Prima di muovere un altro passo però, vidi gli occhi di un ragazzo puntati su di me. Teneva l’angolo della bocca sollevato in un sorriso divertito e le braccia incrociate sul petto. «Hello!».
Ah già sono in America, Alex è ora di cambiare modalità linguistica.«Hello…».
Ringraziai mia madre per avermi obbligato a frequentare per un intero anno una maledetta scuola privata di lingue.
«Non mi dire che vuoi saltare il primo giorno di scuola», sorrise. «No, perché… io sarei d’accordo con te», continuò senza attendere una mia risposta.
Il ragazzo aveva i capelli corti e sbarazzini, un sorriso amichevole e l’accenno di due fossette sulle guance. Era molto alto e forse un po’ troppo fisicato per la sua età, che non sapevo quale fosse, ma per frequentare il liceo non poteva avere più di diciotto anni.
Fece un passo avanti e notai che aveva un ciondolo a forma di zanna che gli penzolava appena sotto il collo.
«Piacere, Seth Clearwater».
«Io sono Alex Cinopri».
Seth fece una smorfia. «È quasi impronunciabile il tuo cognome».
«Per me è semplicissimo invece», dissi un po’ contrariata.
«Credo che dovrò fare un po’ di stretching con la lingua», asserì socchiudendo gli occhi.
Gli feci un cenno del capo e proseguii verso la scuola con le labbra strette.
Io non sono permalosa…
E poi lui credeva di avere un bel cognome? Acquachiara? Al mio vecchio liceo lo avrebbero preso a carciofate in testa.
«Allora», riprese Seth affiancandomi. «Da quale strano paese vieni?».
Alla fine! Il mio era uno strano paese? E lui che viveva tra lupi mutanti, pioggia e calamari giganti, allora?
Nonostante gli stessi per rifilare una battuta tagliente, il suo tono ilare e la risata che trattenne in gola, mi fecero desistere… e sorrisi. Mi piaceva la sua voce, il modo sciolto in cui si muoveva e poi era stato carino a parlarmi.
«Paese? Io preciserei… pianeta».
«Oh, oh! Più sei strana e più sei la benvenuta al Liceo di La Push, te ne accorgerai presto».
«Me ne sono già accorta, fidati».
«Sei in seconda?».
Scossi la testa e mi sentii gratificata. Sembravo più giovane di quello che ero! «Sono in terza e devo sbrigarmi ad andare a prendere il mio orario, prima che suoni la campana».
«Posso accompagnarti così fai…».
«Ehi Seth! Vieni qui!».
Qualcuno lo richiamò e anche io mi ritrovai a girare il capo verso quella voce, senza capire da chi arrivasse direttamente. C’era un gruppetto di cinque ragazzi intenti a parlare tra di loro, solo uno sembrava disinteressato e mi fissava con la faccia storta e le mani nelle tasche dei jeans. Anche per loro valeva lo stesso pensiero che avevo fatto con Seth… erano troppo grossi; forse erano ripetenti oppure anche loro, come quel lupo che avevo incontrato nella foresta, avevano fatto il bagno nelle scorie radioattive.
E se l’avessi fatto anche io questo bagno miracoloso? Il colore dei miei capelli sarebbe cambiato?
Quel ragazzo continuava a fissarmi, era come sconcertato dalla mia presenza ed io avrei tanto voluto lanciargli una pietra in testa per farlo smettere. Che cosa aveva da guardare? Gli diedi un’occhiataccia sbattendo un piede in terra.
«Che cos’ha il tuo amico da guardare?», chiesi fra i denti.
Seth rise di gusto. «Probabilmente sta pensando a come mangiarti meglio».
Sbarrai gli occhi. «Siete una tribù di carnivori?».
«Già… più di quanto immagini», mi sussurrò vicino all’orecchio. Un brivido mi corse lungo la schiena e senza neppure salutarlo entrai di corsa nell’edificio. Se Seth volesse farmi provare ribrezzo, c’era riuscito alla grande.
Presi l’orario delle mie lezioni e superai senza non troppi problemi il trauma di essere presentata davanti alla classe di spagnolo. Che poi, maledizione! Non mi era bastato, inglese, francese, greco e latino? Anche spagnolo?
Per fortuna nessun altro professore ritenne necessario che qualcuno conoscesse l’ultima arrivata e credo che il fatto che fosse il primo giorno mi aiutò, oppure semplicemente visto il destino che mi attendeva, da lassù mi avevano voluto risparmiare almeno quell’imbarazzo.
Quando entrai nell’aula di scienze, i miei occhi ricaddero subito su di lui: l’amico di Seth con la faccia fa gangster. Ma a chi voleva mettere paura?
Sicuramente era un cacasotto e faceva il gradasso solo con le ragazzine come me. Non avrebbe mai avuto il coraggio di accarezzare il mio lupo. Puah!
Purtroppo l’unico posto libero era davanti al suo, così andai a sedermi proprio lì. Per qualche strana ragione avvertivo i suoi occhi che mi perforavano la schiena, forse era solo suggestione. O stava fissando i miei capelli? Maledetto!
Il professore di scienze si chiamava Polpeth… lo devo specificare a quale parola italiana mi somigliava?
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia e per evitare che succedesse, chinai la testa sul mio libro e pensai a delle cose brutte, come il calamaro gigante che mi affogava nelle acque tetre di la Push.
Quando finalmente la campanella suonò, mi alzai velocemente; la mia prossima lezione, prima della pausa pranzo, si trovava dall’altra parte dell’edificio e non volevo arrivare tardi.
Quando mossi il primo passo però, andai a sbattere contro un muro in carne ed ossa.
«Ahi!», esclamai toccandomi il naso.
«Dovresti guardare dove metti i piedi».
«Anche tu, visto il dolore che provochi a chi ti sbatte contro».
«Questa mi è nuova», mormorò aspro.
Il gangster, amico di Seth, era più alto di me. Non gli arrivavo nemmeno al mento, per cui il mio desiderio di guardarlo direttamente negli occhi e dirgli che era un poppante, svanì. Tuttavia doveva piantarla o me lo sarei mangiato vivo! Niente male come idea, sembrava appetitoso.
Ma che diavolo sto dicendo?
Il ragazzo si dileguò e anche se qualche psicopatica parte di me lo trovava bellissimo, sperai di non incontrarlo più.
E come si dice, chi di speranza vive disperato muore?
Esatto! Perché Paul Lahote diventò una vera e propria persecuzione. Era inutile contare le lezioni che avevamo in comune, perché erano quasi tutte!
E che io provassi uno strano formicolio allo stomaco quando lo vedevo ogni giorno, significava solo che mi nauseava, non che mi piaceva. Anche perché lui continuava a guardarmi male, a non parlarmi e a grugnire quando mi trovava insieme a Seth.
Forse era uno di quegli sfigati che si atteggiava a bello e dannato, guadagnandosi le risatine ammiccanti delle ragazze più audaci.
Poco me ne importava comunque, a me stava antipatico.
 
Dopo ben due settimane di scuola, avevo deciso di smetterla di rifiutarmi di fare l’ora di ginnastica, presentando un certificato medico falso – come un sorriso che avrebbe potuto riservarmi Paul – e stavo prendendo a schiaffi un pallone.
Che volevano da me quegli svitati? Io nella mia scuola in Italia neppure l’avevo la palestra, la nostra ora di educazione fisica si svolgeva nel cortile a smaltarci le unghie.
Era davvero eccitante che il professor Bass – nome fichissimo che mi faceva pensare a Gossip Girl – s’impegnasse così tanto a farmi vedere le posizioni di pallavolo, ma io ero impedita nelle cose fisiche. Forse solo quello stupido di Paul mi avrebbe fatto cambiare idea… No, non l’ho pensato veramente.
E poi all’improvviso, mentre allungavo le braccia verso l’alto, intenta a intercettare una palla, un pallone da calcio mi colpì alla testa.
Mi massaggiai la parte dolorante, guardandomi intorno per fulminare il babbeo che non seguiva le regole e sparava pallonate a destra e a sinistra.
Non mi meravigliai affatto quando notai la faccia divertita di Paul. Oh, anche lui sapeva ridere, bene bene.
«Lahote, sei sempre il solito».
«E tu chi sei?», protestò allargando le braccia. «Come fai a conoscermi?».
«Quando mi offri ai professori per le interrogazioni, lo conosci il mio nome però, eh?», dissi fra i denti.
«Ma quando mai…».
«Sei davvero simpatico, sul serio».
«Anche tu con quell’accento mi fai proprio ridere».
Brutto cafone, insulso. Gli feci un gestaccio e tornai ai miei allenamenti e lo odiai più di quanto non lo odiassi già.
Però, il ragazzo tutto muscoli e niente cervello, all’uscita di scuola, mi spiazzò.
«Ti do un passaggio, basta che la smetti di tenermi il muso».
Pensai, anzi, era quasi certo che stessi per dire di no. Io lo odiavo. Però notai che era in moto e che quindi sarei dovuta stare dietro di lui. E mi sarei dovuta anche aggrappare ai suoi fianchi.
Forse potevo smettere di tenergli il muso per una volta…
E da quel preciso momento, da quando decisi di dargli e darmi una possibilità, tutto cambiò.


Angolino Autrice

Ciao a tutti :) Ed ecco il secondo capitolo di questa storia, che sta andando benissimo, molto meglio di quello che mi aspettavo e ne sono felicissima. Ringrazio tutti voi che avete letto, siete in tantissimi e un ringraziamento speciale a chi ha deciso di lasciarmi due righe per farmi sapere che cosa ne pensava della storia, siete fondamentali e chi scrive come me, lo sa. Ringrazio pure le mie sostenitrici\minacciatrici fisse, Alessandra e Martina.
Visto che siamo in ambito lupesco, vi lascio i link di qualche altra mia storia: 
- Jacob/Renesmee White Sand
- Paul/Rachel La Bussola dell'Amore
- Sam/Emily|Leah Scorcio Di Paradiso
A prestissimo, un abbraccio <3 <3 <3
-Carmen

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Capitolo 3
*** Uno Strano Invito ***


«Ci sei mai salita su una moto?», mi chiese Paul porgendomi un casco.
«Ma figurati», dissi afferrandolo. «Dovevo venire a La Push per salire in sella a un due ruote».
«Allora sei davvero arretrata».
«Guarda che era una battuta», risposi acida incantandomi per un attimo alla postura appena arcuata e sexy delle sue spalle.
«La mia no. E ora sali».
Brutto cafone. Questa volta se l’era davvero meritato il mio pensiero cattivo.
Mi allacciai il cinturino del casco e feci per sollevare una gamba per mettermi in sella, ma notai che lui il casco non lo aveva messo. «Ehi, non vale però».
Paul voltò il viso verso di me e mi osservò dalla vita in su, facendomi irrigidire. «Che ti prende adesso?».
«Metti il casco», gli ordinai.
«Non ci penso proprio a rovinare i miei capelli», disse sicuro attirando l’attenzione di un gruppetto di ragazze che passavano di lì, si erano messe persino a starnazzare… davvero patetico!
«Non ci tieni alla tua vita?».
«Pensa alla tua di vita. E ora sali», disse per la seconda volta.
Scoccai la lingua sul palato e poi mi sedetti dietro di lui. Con il petto sfregai alla sua schiena e fu strano quel contatto. Era la prima volta che lo toccavo, o che gli ero così vicina. E fu ancora più strano quando gli misi le mani sui fianchi.
«Tieniti».
Un tuono riecheggiò da lontano insieme al rumore di altri veicoli che ci sorpassavano, mentre noi stavamo sul ciglio della strada come se nulla fosse.
Cercai di concentrarmi su altro, sarebbe stato migliore persino immaginarmi tra le grinfie del famigerato calamaro gigante purché… purché la smettessi di avvertire quelle sensazioni.
Oddio, ma perché Lahote mi stava facendo quell’effetto? Persino la sua nuca mi attirava e immaginai di baciarlo proprio lì, fra l’attaccatura dei capelli e il bordo della sua t-shirt.
«Tieniti!», ripeté alterato.
«Mi sto tenendo», bofonchiai imbarazzata.
«No, tu mi stai toccando che è diverso».
«Come se fosse piacevole toccarti! Sei tutto duro!».
«E non hai ancora toccato niente…».
Prima che potessi tirargli un pugno sulla schiena, mi afferrò le mani portandomele intorno alla sua vita e partì a tutta velocità.
In quel momento decisi che Paul Lahote era un pazzo psicopatico. E pure fottuto. Doveva aver sicuramente superato i settanta chilometri orari ed io lo stringevo talmente forte che mi facevano male le braccia.
Però un risvolto positivo lo avevo trovato... Anzi no, sto scherzando.
Mentre ormai avevo preso gusto ad abbracciarlo, li avevo sentiti… i suoi addominali! Era come uno di quei ragazzi delle pubblicità di biancheria intima. Ma che sport faceva quel maledetto? E perché si ostinava a essere come piaceva a me?
E poi era caldo… caldo come un fuoco o come il sole d’estate.
Strofinai la guancia sulla sua schiena e poi accorgendomi di ciò che avevo appena fatto, lo morsi.
«Vai piano Lahote!».
Lui nemmeno mi sentì e non fece una piega al mio morso. Schifoso di un mutante.
Attraverso la sua t-shirt sentii il suo odore, era buono da morire e poi chiusi gli occhi. Forse Paul aveva intenzione di portarmi nella città delle Forchette a bere una Coca insieme, oppure mi avrebbe fatto conoscere gli altri fighi dei suoi amici. Poi dopo qualche istante mi maledissi da sola.
«Sembri un polipo, ti vuoi staccare?».
Aprii gli occhi e anche la bocca quando vidi la mia casa; scesi dalla sua moto più veloce della luce.
«Polipo ci sarai tu».
«Eri tu quella avvinghiata, non io».
«Non è colpa mia se andavi a trecento!».
Paul sollevò un sopracciglio e poi mise il cavalletto riscendendo con agilità dal due ruote. «Carina come scusa, davvero».
Ma che voleva? Perché mi veniva in contro con quella camminata da Dio dell’Olimpo e quell’infarto-sorriso che avrebbe fatto resuscitare anche i morti?
Arretrai di un passo e inciampai all’indietro sui gradini del portico, ritrovandomi seduta.
«Ridammi il casco», ordinò.
«Ah già», arrossii e me lo slacciai. Ero inciampata con una scodella in testa… meglio di così.
Glielo scagliai addosso e lui senza difficoltà lo prese e lo lanciò verso la sua moto facendolo agganciare al manubrio.
Si sedette a fianco a me e all’istante mi mancò il fiato.
Perché non se ne andava? Anche se pensavo che fosse saggio fare riposare la moto prima di intraprendere un altro viaggetto…
«Che vuoi?», sbottai quando notai il suo sguardo fisso su di me.
«Niente, stavo pensando».
«Anche tu riesci a farlo?», bofonchiai legandomi i capelli con un elastico che tenevo al polso.
Lui piegò un po’ la testa di lato e i suoi occhi attenti scorsero sul mio viso. Oddio, mi imbarazzava. E… ed era bellissimo visto così da vicino: le sue labbra erano stupende, scure e umide. Allungò una mano e mi portò una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio. Stavo per morire, lo giuro.
«Senti Alex io…».
Non ci potevo credere! Voleva chiedermi di uscire! Avrei detto di sì, poco ma sicuro. Al diavolo che non lo sopportavo con le sue continue battutine sarcastiche, tanto per baciarsi non serviva la voce. Smettila, pervertita!
«Sì?», sussurrai sentendo il mio cuore andare a mille all’ora. Non credevo che potesse battere così forte, per fortuna lui non poteva sentirlo.
Paul si era avvicinato ancora di più, tanto che pensavo di non riuscire più a sostenere il suo sguardo.
«Mi fai conoscere tua madre?».
Sbattei le palpebre più volte e non so chi mi trattenne dal tirargli una gomitata in pieno muso. Mi aveva ingannato! Bastardo di un indiano.
«Mia… mia madre?».                            
«Sì, qui in giro dicono che sia una bella gnocca».
No, davvero, questo non potevo sopportarlo. Mi alzai di scatto e aprii la porta di casa richiudendomi dentro.
Quel ragazzo che tanto mi piaceva, aveva dei gusti strani. Non che mia madre fosse brutta, ma aveva il doppio della sua età, dannazione. Eppure io ce lo vedevo benissimo che abbordava donne mature; con quel fisico sicuramente faceva sangue persino a mia nonna.
Ma oltre al fisico c’era qualcos’altro? Ovviamente no.
Mi sfilai le scarpe e tolsi la felpa ripiegandola su una sedia, poi sentii bussare alla porta.
«Paul che vuoi?», urlai.
Disse qualcosa, che per via della porta che ci separava non capii e visto che non avevo intenzione di starlo a sentire, me ne andai in cucina a mangiucchiare una mela.
La nostra casetta era piccola e rossa. Niente a che vedere con quella che avevamo in Italia, ma era accogliente e c’era tutto ciò che ci serviva.
Diedi un primo morso alla mela e mi poggiai contro il lavandino cercando in tutti i modi di non pensare a quello sfacciato. Poi, come se niente fosse, me lo ritrovai davanti.
Sussultai. «Come hai fatto a entrare?».
«Dalla porta».
«L’avevo chiusa», esclamai a voce stridula.
Lui mi affiancò e si chinò sul mio viso per poi mordere la mela che avevo fra le mani. Lo fece lentamente, fissandomi negli occhi e con le labbra mi sfiorò anche un dito.
«Sono bravo a superare gli ostacoli», soffiò piano.
Il tozzo di mela che avevo morso, mi si fermò a metà gola. Mi sentii tanto Biancaneve che aveva bisogno del bacio di un principe. Non stavo respirando, ma mica me ne importava. E poi se avessi tossito, lui si sarebbe accorto dell’effetto che mi faceva.
«Dovresti respirare se non vuoi morire così giovane».
A quel punto tossii freneticamente e ripresi fiato per poi spintonarlo. «Chi ti ha dato l’ordine di entrare in casa mia? Se mia madre dovesse rientrare non le piacerebbe trovarmi in tua compagnia».
«Perché, sono così brutto?».
Sì, sei brutto come un attore di Hollywood.
«Oltre a essere brutto, dovresti essere un ragazzo».
Paul allargò le narici. «Hai qualche dubbio sul mio sesso?».
«Emh… senti Paul…».
«Stasera ti va di uscire con me?».
«Vuoi farmi vedere di che sesso sei?». Non l’ho chiesto veramente, vero?
Paul ridacchiò. «Sarò clemente, ti porto a una festa».
«Oh…».
«Sembri delusa Alex».
«Sono contentissima invece», alzai il mento dispettosa. «Constatare quanto poco uomo sei, non è nelle mie corde».
Paul fece per afferrarmi ma mi divincolai girando intorno al tavolo. «Ehi non prenderti troppa confidenza, Lahote. Ti ricordo che sei in casa mia arbitrariamente».
Indossava una t-shirt bianca che gli aderiva come una seconda pelle. La forma dei suoi bicipiti era perfettamente delineata e le sue braccia erano percorse da fasci di vene gonfie.
Sicuramente stringeva forte. I suoi abbracci dovevano essere qualcosa di divino. Invidiai a morte tutte le ragazze che aveva avuto e le presi anche in giro perché se l’erano lasciato sfuggire.
«Ma quale confidenza? Ormai ci conosciamo da due settimane», ridacchiò divertito.
A quel punto fui io a sollevare un sopracciglio. «Mi ignori tutto il tempo e parli con me solo per rompere le scatole».
«E che cosa vuoi di più dalla vita?».
«Un Lucano».
«Eh?», chiese confuso.
«Niente Paul, vattene. Ora devo andare a schiacciare dei ragni in giardino».
«Ah beh, di certo non posso trattenerti», si diresse verso l’uscita senza più donarmi una sola occhiata, ma poco prima di richiudersi la porta alle spalle, parlò. «Stasera passo alle sette e non tardare altrimenti ti lascio qui».
«Cafone!», esclamai inorridita, ma lui era già sparito e sicuramente se la stava ridendo alla grande.
Bene, erano le tre del pomeriggio. Era meglio che iniziassi a prepararmi, ero già in ritardo.

 

Angolino Autrice

Paul è davvero sgarbato con Alex, però è sempre lì... entra pure in casa sua e la invita a una festa... vedremo che cosa combinerà! 
Ringrazio tutti per le recensioni e i complimenti che mi lasciate, mi fate felice *-*
Alla prossima, un bacione <3

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Capitolo 4
*** Uno Stronzo Di Ragazzo ***


Da quando Lahote era andato via, non ero riuscita a prendere pace. Pensai addirittura che mi avesse lanciato una di quelle maledizioni indiane, o roba simile.
Avevo fatto lo shampoo e seppur avessi asciugato i capelli a malapena, erano elettrizzati come se avessi preso una scossa. Che noia… avrei voluto tenerli sciolti per una volta.
E come se non bastasse, il mio armadio sputava fuori più vestiti di quelli che credevo di possedere e il mio specchio bluffava alla grande: il mio seno sembrava voler esplodere, ma portavo solo una terza.
Sospirai e mi lanciai sul letto abbracciando un cuscino. In Italia partecipavo sempre a delle feste e non avevo mai avuto dei problemi così insormontabili nello scegliere i vestiti giusti. Che cosa mi stava succedendo?
Ecco, sempre colpa di Lahote.
Mancava un quarto d’ora alle sette e mi trovavo ancora in alto mare. Tanto ero presa dall’euforia di quell’invito che neppure gli avevo chiesto che tipo di festa era, in modo da potermi regolare sull’abbigliamento. Per giunta non avevo neppure il numero di cellulare per poterglielo chiedere.
Quel pallone gonfiato mi aveva chiesto di uscire, ci vedevamo ogni santissimo giorno a scuola, mi riempiva i capelli di palline di carta e non si era preso la briga di chiedermi il numero di telefono. Brutto cafone! Maleducato!
Di certo quell’essere immondo non si meritava tutti i miei accorgimenti, tutte quelle paranoie che mi stavo facendo.
Indossai un jeans aderente e a vita bassa e sopra una maglia verde smeraldo che mi lasciava la schiena scoperta. Poi guardai la mia scarpiera e riflettei su che scarpe indossare: le solite snickers o potevo osare con dei tacchi? Io con i tacchi? Mi feci una grassa risata perché non sapevo camminarci e ogni qual volta osavo indossarli, mi trasformavo in un tirannosauro imbizzarrito.
Ok, feci la cretinata del secolo e misi i tacchi, dei semplici stivaletti alla caviglia, per lo meno sembravo più alta e sarei arrivata prima alla bocca di Paul.
Ovviamente i miei pensieri erano alterati dalla maledizione indiana.
Con un po’ di matita e del lucidalabbra il mio trucco era perfetto, così dopo aver fatto la coda, andai nel corridoio a passeggiare avanti e indietro per abituare i miei piedi a quelle scarpe malefiche.
Tanto, sicuramente, Paul avrebbe tardato per accentuare ancora di più la sua noncuranza verso niente e nessuno ed io avevo il tempo di imparare a volteggiare come una soubrette.
Quando guardai di nuovo l’orologio erano le sette e un minuto e proprio in quello stesso istante sentii un colpo di clacson.
… Non ci potevo credere. Non poteva essere Paul e non poteva essere lui per due motivi fondamentali. Il primo era l’assenza di ritardo e il secondo era perché qualsiasi altro ragazzo si sarebbe sprecato almeno a bussare alla porta di casa.
«Alex, credo che sia per te», disse mia madre sbucando dal salotto.
«Già lo credo anche io», ammisi sconfitta.
«Chi è quel giovanotto?», chiese curiosa.
«Un giovanotto», ronfai prendendo la mia giacca dall’appendiabito. «Il più stupido che potessi mai incontrare».
«Ah bene, buon divertimento allora», mi salutò con una mano. «E rientra per le undici».
«Credo che rientrerò prima, mamma».
«Meglio, lo sai che non mi sento sicura a mandarti in giro da sola in questo posto».
«Ma che cosa vuoi che mi succeda?», finsi un tono spaventato. «E poi sto uscendo insieme a un tizio che farebbe un baffo a Hulk».
Mia madre mi guardò perplessa così la salutai velocemente e uscii di casa.
Quando mi voltai per vedere dove fosse Lahote lo ritrovai a qualche metro da me, poggiato contro la staccionata del portico, con braccia e gambe incrociate. Indossava un maglioncino di filo blu con lo scollo a V e i suoi immancabili jeans usurati.
Iniziò a guardarmi dalla punta dei piedi fino ai capelli e a me corse un brivido lungo la schiena. «Che hai da guardare?», chiesi sulla difensiva.
«Sembri quasi una ragazza stasera, complimenti Alex».
«E tu invece sei sempre lo stesso, un emerito…».
Con uno scatto fulmineo mi fu davanti e mi poggiò un dito sul naso. «Shh…», m’intimò. «Non ti rovinare con le tue stesse mani». Affondò con le dita dei miei capelli facendomi trattenere il respiro e poi tirò via l’elastico, lasciando che i capelli mi ricadessero sulle spalle. «Adesso sei ok».
Increspò le labbra in un accenno del suo infartosorriso maledettamente sexy e poi si allontanò rientrando in auto.
Lo seguii sentendomi una zombie e quando richiusi lo sportello e mi ritrovai con lui a pochi centimetri in un ambiente così piccolo, intimo e silenzioso, mi venne quasi il panico.
I suoi capelli sfioravano il tettuccio e le ginocchia arrivavano sotto al volante poggiandosi contro l’involucro del contachilometri. Tutto del suo corpo gridava saltami addosso, subito!
Com’era possibile che non avesse una ragazza? Forse la sua stronzaggine era talmente conosciuta che qualunque persona sana di mente, si rifiutava di uscire con lui o di stare al suo fianco per più di cinque minuti.
«Spero che tu non sia fidanzato», dissi piccata guardando davanti a me.
«Perché t’interessa?».
Lo guardai e notai che stava sorridendo… ma maledizione! Più il tempo passava e più era bello, non era possibile. Forse i funghi che avevo mangiato a pranzo erano allucinogeni. E magari fra qualche istante mi avrebbero fatto vedere un Paul nudo, proprio come mamma l’ha fatto.
Oh, Santo cielo sto impazzendo!
«M’interessa solo non fare brutte figure in mezzo alla gente».
«Non preoccuparti, vederti insieme a me ti farà guadagnare punti».
«Certo che la tua cafonaggine non ha limiti», grugnii girando lo specchietto retrovisore nella mia direzione per sistemarmi al meglio i capelli.
Notai che Paul mi stava fissando, ma evitai di dargli peso, il mio stomaco stava già facendo troppi capricci.
A un tratto allungò un braccio e mi accarezzò il mento con delicatezza, anzi dolcezza. Paul Lahote il burbero era capace di un simile gesto? Anzi… Paul Lahote mi stava accarezzando?
Incrociai i suoi occhi e d’impulso gli diedi uno schiaffo sulla mano. «Pensa a guidare!».
Il cuore mi stava rimbombando nelle orecchie e le mani avevano preso a sudare all’istante come se avessi aperto un rubinetto!
«So fare più cose contemporaneamente».
Portai di nuovo lo specchietto retrovisore nella sua posizione e Paul lo sistemò meglio storcendo le labbra.
Oddio, non ci potevo credere, mi aveva accarezzato…
«Questa festa è tanto lontana?».
«Sembra che tu sia impaziente di arrivare, Alex», disse con voce suadente e convinta.
«Perché stai facendo questa voce, Paul?».
«Che voce?», chiese confuso.
«Da film hard!».
Eravamo usciti dai confini della riserva e adesso stavamo percorrendo una strada asfaltata in salita.
«E tu che cosa ne sai delle voci da film hard?», sghignazzò. «Mi piacciono i tuoi gusti, sai? Credo che potremmo trovare diversi passatempi insieme io e te».
Oh lo credevo anche io…
«Sì, come prenderti a calci per esempio».
«Ti piace usare la violenza?».
«Su di te sì».
«Bene allora ti concedo di legarmi al letto».
Mi poggiai una mano sulla fronte e scossi la testa. Più non volevo pensare alla fisicità che poteva scatenarsi tra di noi e più lui mi ci faceva pensare.
E purtroppo non potei fare a meno di immaginare lui legato al mio letto e io che toccavo quel corpo da favola e baciavo quella bocca peccaminosa.
Per la mia sanità mentale, per il resto del tragitto rimanemmo in silenzio. Ormai avevo costatato che con lui non si poteva avere un dialogo normale o decente, per cui era meglio evitare fino a che potevo.
Nel sentiero erboso che costeggiava la strada, avevo visto il cartello di Forks illuminato da un faretto e subito dopo ci eravamo inoltrati in quella tranquilla cittadina. Arrivati all’ingresso di un grande cortile, Paul parcheggiò e spense il motore.
«Eccoci arrivati al liceo di Forks».
«Danno una festa a inizio anno?», chiesi stupita.
«Sì, qui sono un po’ strani per fortuna».
Quando scesi dall’auto notai che c’era molto movimento e alla festa dovevano esserci un sacco di persone. Forse mi sarei divertita sul serio!
Anche lì non mancava la boscaglia ed ero più che certa che esistesse un sentiero che collegasse la cittadina a La Push. Il giorno dopo, sarei andata a controllare.
Paul mi aspettava impalato dietro al suo pick-up.
«Non ti saresti fatto male se mi avessi aperto lo sportello, sai?».
«Guarda che non siamo in una favola, principessa. Svegliati».
«Si chiama soltanto buona educazione».
«Figuriamoci».
Si poggiò con i gomiti al cofano della sua auto e si guardò intorno. «Non entriamo?».
«Sto aspettando i miei amici».
«Ah».
Interessante, davvero. I suoi amici erano strafichi e non vedevo l’ora di conoscerli tutti quanti di persona. Per il momento avevo stretto amicizia solo con Seth, che era quello più affabile mentre gli altri erano molto simili a Paul, sembravano dei tipi tenebrosi e tormentati che dovevano nascondere un macabro segreto all’umanità.
Mi poggiai di fianco a Paul stringendomi le braccia al petto e guardandomi la punta delle scarpe.
Stargli vicino era piacevole e non ne capivo il motivo. Forse perché era talmente grande che avrei potuto perdermi nei suoi abbracci o perché… semplicemente mi piaceva da morire e volevo che facesse un gesto affettuoso nei miei confronti.
Ma che cosa sto dicendo?In macchina mi aveva accarezzato e l’avevo scansato! Ero la contraddizione in persona!
«Ehi Alex!», mi richiamò Seth.
Sorrisi mentre lui si avvicinava a noi accompagnato da Embry Call che faceva uno strano verso rivolgendosi a Paul.
«Ciao Seth! Stai proprio bene stasera», ammisi guardandolo attentamente.
Jeans scuro e camicia nera con le maniche ripiegate fin sotto il gomito, gli davano l’aria da ragazzaccio che sa il fatto suo.
Oh, nessuno gli avrebbe dato quindici anni e avrebbe rimorchiato anche le diciottenni.
«E tu sei proprio una bomba, perché non vieni a scuola vestita così?», ridacchiò donandomi un buffetto sulla guancia.
«Con questi tacchi? Mi vuoi davvero morta allora».
«E Jacob e Quil?», chiese Paul facendo un passo avanti. Allungò un braccio verso di me e sentii la sua mano che scorreva dietro la mia schiena finché non si poggiò su un fianco.
Oh mio Dio! Stavo per morire, sicuramente.
Neppure finii di ascoltare quello che si stavano dicendo perché mi ero persa in mondi fantastici dove Paul era il mio principe azzurro e mi trattava come una principessa e non come un gatto fastidioso.
«Vogliamo andare?», mi chiese contro l’orecchio.
Annuii. E andiamo pure all’Inferno.
 
Come avevo immaginato, la festa era affollata. Ci trovavamo nella palestra del liceo di Forks adibito a discoteca e con delle grosse palle rotanti e luccicanti che facevano da lampadario. Ma non erano passate di moda? Comunque era tutto come si vedeva nei film, identico!
A quanto avevo capito da Embry, quella festa serviva per raccogliere dei fondi per qualche progetto speciale, solo che stranamente noi non avevamo pagato nessuna quota all’entrata.
Per fortuna nessuna ragazza indossava degli abiti particolari, nessun vestito pomposo o strascico, anzi erano tutte abbastanza scoperte, con minigonne inesistenti e top che lasciavano ben poco all’immaginazione.
Che peccato, a saperlo prima, avrei potuto osare di più.
Eravamo ancora vicino all’entrata, Paul si era allontanato da me e scrutava la folla che ballava.
Quella specie di tocco che mi aveva riservato nel parcheggio, era svanito ben presto e lui era diventato il solito di sempre, distaccato e imperscrutabile.
Mi grattai la nuca e in uno slancio demente, mi avvicinai a lui toccandolo con un gomito, ma senza guardarlo.
«Che c’è?», mi urlò contro l’orecchio.
«Andiamo a ballare?».
La sua risata piena mi colpì l’orecchio e sentii anche le sue labbra sfiorarmi il lobo e le sue mani che mi cingevano i fianchi.
Deglutii, ma mi girai a fissarlo. «Che cosa c’è di divertente, Paul?».
«Io non ballo nemmeno se mi ammazzano».
«Sei sicuro? Perché io un modo per ammazzarti lo trovo di sicuro».
«Non ho dubbi, acida come sei».
Sbuffai e mi portai i capelli dietro le orecchie. E assolutamente nemmeno ci pensai ad allontanarmi da lui o a scansare le sue mani.
Sarei potuta morire il giorno dopo – tipo a causa del famigerato calamaro – e il fatto di essere stata sciocca da impedirgli di toccarmi, sarebbe potuta essere una di quelle cause che non mi avrebbero fatto passare oltre. Ed io di rimanere in una dimensione parallela, proprio non ne avevo voglia.
«Non sono solo acida, ho altre qualità», protestai.
«Io sono uno di quei ragazzi che se non vedo, non credo», soffiò con voce provocante.
Maledetto di un ragazzo indiano col fisico più bello del mondo! Mi stava provocando…
Il suo respiro mi colpì la guancia e le sue mani… erano così calde…
«E io sono una di quelle persone che se ci vuoi credere è bene, altrimenti non me ne frega niente».
Due ragazze ci passarono davanti e vidi Paul che le seguiva attentamente con lo sguardo, soffermandosi sul loro sedere, stretto in una stoffa simile a plastica. Quando svanirono inghiottite nuovamente dalla folla, il maledetto fischiò compiaciuto.
Non riuscii a trattenermi dal fastidio e digrignai i denti. Se non avessi rischiato di dargli sin troppo gusto, gli avrei anche tirato un calcio negli stinchi a quello stronzo di ragazzo.
Mi sganciai dalle sue mani. «Allora che facciamo?», richiesi impaziente. Eravamo a una festa e di solito quando si decide di partecipare, è perché si ha intenzione di divertirsi.
Io avevo deciso di accettare l’invito perché me l’aveva chiesto Paul, di ballare o sculettare non me ne importava un granché, ma di certo non me ne volevo stare impalata come una statua davanti alla porta.
«Tu che cosa vuoi fare?».
«Voglio ballare», cantilenai.
«Oh che noia, vai a ballare con qualcun’altro».
Stronzo di un ragazzo per la seconda volta. Forse non aveva ben capito con chi aveva a che fare. Che cosa pensava? Che fossi una ragazzina che gli sbavava dietro per ottenere qualche sua piccola attenzione?
Gli tirai un calcio nello stinco con tutta la forza che possedevo, poi lo lasciai lì impalato insieme ai suoi amici e mi buttai nei tanti corpi che si muovevano a ritmo di musica.
Brutto stronzo fottuto! Mi aveva chiesto di uscire e poi mi rispondeva a quel modo. E certo! Aveva visto quelle due galline sculettare e doveva andare a catturarle, giustamente io ero diventato un impiccio e voleva liberarsi di me.
Mi venne un magone alla gola ma lo ingoiai di nuovo, non potevo piangere per una cosa così stupida, non potevo. E poi non avevo bisogno di lui per divertirmi, potevo farlo anche da sola.
Iniziai a ballare cercando di non slogarmi una caviglia, visto le scarpe che indossavo. La musica era così alta da spaccare i timpani e qualche ragazzo mi si avvicinò con un sorriso smagliante, evidentemente loro apprezzavano qualcosa che Paul nemmeno notava.
Vaffanculo, Lahote.
«Ciao!».
«Ciao!», risposi a uno sconosciuto con dei lucidi capelli neri che sparavano in ogni direzione. Lo avevo intravisto anche a scuola qualche volta. Tornò ad avvicinarsi di nuovo al mio orecchio. «Sei Alex, vero?».
Annuii guardando i suoi occhi scuri dal taglio allungato e le spalle larghe. Era anche amico di Seth.
«Sei quella nuova».
Annuii ancora e lui mi sorrise prima di accarezzarmi un gomito e farmi un gesto con la testa affinché capissi che era meglio se uscissimo da quel marasma.
«Vuoi qualcosa da bere?».
«Sì, grazie».
Ecco come si faceva, non come quello zulù di Lahote.
«Io mi chiamo Chris», sorrise il ragazzo. «E vivo anche io alla Riserva».
«Ti ho intravisto a scuola».
«Anche io», sorrise.
Chris mi gettò un’occhiata veloce, poi si poggiò una mano su un fianco. «Sei qui da sola?».
Mi strinsi nelle spalle e mi guardai intorno. Nessuno mi cercava, Paul non si vedeva e sicuramente era in bagno a farsi un ripasso di qualche gallina. Brutto stronzo!
Mi venne di nuovo un magone. «Ero con delle persone, ma li ho persi di vista».
Il nuovo arrivato mi passò un bicchiere con del punch e ne bevvi un lungo sorso.
Non mi stavo divertendo per niente. Anche se Chris parlava e parlava, aveva una voce piacevole ed era davvero carino, io non smettevo di guardarmi intorno alla ricerca del bastardo.
«Dai torniamo a ballare, Alex».
E proprio quando mi dirigevo di nuovo verso la pista da ballo, vidi Paul. Era in un angolo di spalle e davanti a lui a ridosso del muro c’era una ragazza. Se non si stavano baciando ci mancava poco.
Brutto figlio di…
«Scusami», farfugliai a Chris e poi me ne andai a passo spedito, fuori dalla sala, fuori dalla scuola, fuori dal cortile.
Continuavo a guardare la punta delle mie scarpe finché non le vidi tutte sfocate.
Oh mio Dio! Stavo piangendo, non ci potevo credere!
Corsi sempre più in fretta, ma dove stavo andando proprio non lo sapevo. E la cosa più orribile era che piangevo perché ero gelosa di lui! E lo volevo tutto per me.
Con quel buio, non potevo proprio entrare nel bosco, così proseguii per la strada, tanto prima o poi sarei arrivata a casa…
Mi tolsi le scarpe e mi asciugai le lacrime con la manica della giacca. Ero così arrabbiata, così arrabbiata!
Iniziai a parlare in italiano, tanto che cosa me ne importava? Anzi era meglio, così se mai qualcuno mi avesse sentito non mi avrebbe dato della maleducata.
«Vaffanculo! Brutto stronzo che non sei altro!».
Lanciai i miei stivaletti nell’erba, non mi piacevano ed erano un peso. E li avevo indossati per fare colpo su di lui, lui che mi aveva trattato come una stupida ragazzina invitandomi a una festa e poi abbandonandomi.
Ero da sola ed ero anche nuova, proveniente da un altro paese, qualcuno avrebbe potuto approfittarsi della situazione e lui nemmeno a questo aveva pensato.
Risi amaramente… perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi?
In lontananza vidi il cartello di Forks, quindi ero sulla strada giusta per ritornare al villaggio. In caso avrei fatto l’autostop.
In quel silenzio a volte interrotto dal fruscio degli alberi scossi dal vento, sentivo solo i miei maledetti singhiozzi. Poi però sentii altro…
Mi venne una pelle d’oca talmente forte che drizzai persino la schiena. C’era qualcosa che si agitava fra i cespugli.
«Chi c’è?», chiesi a voce stridula. «Chi c’è!», urlai facendo un paio di passi indietro.
Pensai che fosse meglio ritornare alla festa prima che qualche animale selvatico mi sbranasse… e proprio mentre quel macabro pensiero mi attraversava la mente, lo vidi… il mio lupo. Fuffy.
La sua testa sbucava da un grosso cespuglio di bacche, proprio com’era successo la prima volta che lo avevo visto. I suoi occhi neri scintillavano al buio e aveva le orecchie tese.
Dove c’è un lupo solitamente ce ne sono altri, eppure io sapevo con certezza che quello fosse proprio lui. Ormai era inconfondibile, avevamo parlato un sacco di volte.
Mi asciugai le lacrime, ma vederlo mi fece piangere ancora di più, per qualche strano motivo.
«Ciao, sei arrivato proprio in un brutto momento».
Si scrollò il pelo, ma rimase acquattato tra i cespugli, così fui io ad avvicinarmi. Gli accarezzai la criniera folta e argentata e poi anche la testa e il muso.
«Fuffy, spero che tu non abbia mai problemi di cuore, perché credimi è una rogna», farfugliai tra i singhiozzi.
Lui piegò la testa di lato, come se non mi capisse e poi mi leccò sulla faccia.
«Che schifo», dissi ripulendomi.
Affondai il viso nella sua pelliccia e avrei voluto addormentarmi con lui, era così confortante il suo corpo.
«Paul è uno stronzo, non gli rivolgerò mai più la parola», gli confidai. «Lo odio».
Il mio lupo piegò la testa di lato. Mi fece una gran tenerezza e gli diedi un bacio su quelle guanciotte. Non aveva l’odore di un animale selvatico che strana cosa.
«Lo so che non mi capisci», ridacchiai tra i singhiozzi donandogli dei colpetti tra le scapole. «Sto parlando anche in italiano…».
Poi vidi i fari di una macchina avvicinarsi e il lupo si ritirò nel buio. Sconsolata, feci un lungo respiro e l’auto si fermò davanti a me abbassando il finestrino.
«Alex, che cosa diavolo stai facendo qui da sola? Sali immediatamente». Era Seth.


Angolino Autrice

Ahi ahi! Cominciano le grane e Lahote è sempre più stupido, ma la pagherà. Il prossimo capitolo è dal suo punto di vista e vedremo che punizione gli infliggerà Alex.
Grazie a tutti per le recensioni sono fantasticheeeeeeeee!
<3 <3 <3

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Capitolo 5
*** Un Armistizio Sudato ***


 

Porca puttana!
Mi sa tanto che mi ero cacciato in un altro casino a cui per il momento non volevo dare il nome.
Il buio ricopriva ogni cosa, ma la mia vista da lupo era ottimale anche di notte per fortuna.
Corsi a più non posso fino al villaggio, affondando con le unghie nel terreno e sventrando ogni cespuglio che mi capitava a tiro; dovevo arrivare prima che Seth lasciasse Alex a casa.
Quel moccioso non poteva farsi i fattacci suoi? Avrei trovato io un metodo per riportarla a La Push, o farla ritornare alla festa e invece lui mi aveva messo i bastoni tra le ruote.
Alex piangeva accarezzandomi e anche se parlava in quella maledetta lingua italiana, il mio nome era comparso più volte fra le sue parole.
Le si era sbavato il trucco, aveva le guance arrossate, le labbra un po’ gonfie… eppure era bellissima lo stesso.
Non riuscivo a credere che piangesse per me, che cosa le avevo fatto?
Solo perché non avevo voluto ballare, piagnucolava come una poppante? O per caso mi aveva visto mentre abbordavo quella ragazza? Ma non era possibile, ero nascosto in un angolo. E poi che cazzo, mica stavamo insieme io e lei!
«Paul sei sempre il solito».
La voce di Jacob mi scoppiò in testa e ringhiai di fastidio.
«Avresti potuto abbordare lei, invece di quella bambola gonfiabile»,disse Embry, anche lui apparso dal nulla.
«Tornate alla festa e fatevi i fattacci vostri».
«Festa finita, amico. E poi ci siamo stati già abbastanza, c’è il branco di Sam che controlla lì».
«Paul, me la passi?», sghignazzò Embry.
«Passare cosa?».
«Alex. Mi piace e quei suoi capelli rossi hanno un non so che di… eccitante».
«Perché me lo chiedi coglione?».
«Magari ti da fastidio, l’hai anche invitata alla festa…».
«Sono stato solo gentile, visto che è appena arrivata», dissi infastidito.
Sentii Jacob ridere sommessamente e se mi fosse stato vicino lo avrei morso fino a farlo sanguinare, brutto bastardo. Mi prendeva per il culo.
«Bene, domani allora vedo se riesco a farci uscire qualcosa», finì Embry gongolando.
Mutai in un attimo, prima di non riuscire più a frenare i miei pensieri e mi rivestii velocemente, acquattandomi tra la boscaglia che circondava il retro della casa di Alex.
Mandai al diavolo Embry, figuriamoci se gliel’avrei passata. Che continuasse pure a trastullarsi con quelle oche che gli andavano dietro.
Seth aveva appena parcheggiato la macchina di sua sorella nel vialetto e aveva spento fari e motore.
Erano in silenzio, non stavano parlando e il riflesso del parabrezza non mi lasciava vedere che cosa stesse accadendo nell’abitacolo.
Mandai al diavolo anche Seth e ripromisi a me stesso di ricordare che il giorno dopo avrei dovuto fargli un bel cazziatone. L’avevo notato come guardava Alex, non ero mica deficiente. Avevo anche visto dove si posavano le sue mani quando la toccava.
Sbuffai per allentare la tensione. Ancora non avevo capito perché me la prendevo così tanto. Era solo una ragazza e a me le ragazze piovevano addosso. Ma maledetto me, mi sentivo come se avessi fatto davvero qualcosa di sbagliato.
Aveva ragione mio padre quando mi diceva che le lacrime di una donna possono avere dei poteri magici su un uomo.
Alex finalmente riscese dall’auto con le braccia strette al petto e la testa bassa e mentre Seth ingranava la marcia per andare via, uscii fuori dai cespugli e la raggiunsi.
«Alex», la richiamai a bassa voce e lei sussultò cercandomi fra le ombre.
«Che diavolo ci fai qui?». La sua voce raschiò l’aria.
«Tecnicamente sei venuta alla festa con me e saresti dovuta tornare con me», le dissi avvicinandomi di un passo.
«Sto rischiando di urlare, sul serio. Paul vattene, non è aria».
«Mi spieghi che cosa ti prende?».
«Credo davvero che tu sia un deficiente e dopo questa domanda, lo credo ancora di più».
Aprì la porta di casa, senza aggiungere altro, lasciandomi lì impalato come uno stoccafisso. Perché sono un deficiente?
Acida. Femmina acida.
Comunque dovevo ricordarmi di farle capire in qualche modo che odiavo quello stupido nome che mi aveva affibbiato: Fuffy. Che cos’ero un Chiwawa?
Lo so, non c’entrava niente con ciò che era appena accaduto, ma dovevo farlo il prima possibile.
Allora perché ero un deficiente?
Io ci ripensai tutta la notte e anche quando ero nel piazzale della scuola accerchiato dai miei amici, non riuscivo a smettere di pormi quella domanda.
Ovviamene avrei potuto chiedere a quei quattro dementi di darmi una risposta sensata, ma ero sicuro che mi avrebbero fatto incazzare ancora di più.
Alex ancora non si era vista ed io ero impaziente di sapere che tipo di comportamento mi avrebbe riservato. Magari l’arrabbiatura della serata precedente le era passata, magari aveva le sue cose da femmina e io non c’entravo nulla…
Allora perché mi aveva dato del deficiente? Oh mio Dio, le donne!
La campana suonò proprio quando una leggera pioggerellina cominciava a scendere dal cielo. Gli studenti si affrettarono a entrare e proprio in quel momento vidi Alex che parlottava e sorrideva a Seth.
Sorrideva, quindi era felice. Forse avrei potuto parlarle.
Presi lo zaino in spalla e mi avvicinai a loro a passo spedito.
«Ehi», esordii.
Alex nemmeno mi guardò. «Ciao Seth, ci vediamo a pranzo», disse dileguandosi.
Carini i jeans che indossava, il suo sedere era davvero…
«Ma che cazzo le prende?», sbottai verso Seth.
Lui guardò oltre me infilandosi una mano in tasca, poi come la migliore delle checche, mosse la testa per scostarsi il ciuffo nero dagli occhi.
«Ci sei o ci fai Paul?».
«Che cosa significa?».
«Veramente non sai che cosa le prende?».
Allargai le braccia. «No, porca miseria!».
«L’hai invitata a una festa e l’hai lasciata da sola».
Sbarrai gli occhi, quella era una vera e propria bugia! Una calunnia per diffamarmi. «Lei ha lasciato me da solo, Seth e mi ha dato anche un calcio».
«Le hai detto che era noiosa e che doveva ballare con qualcun altro, ci credo che ti ha dato un calcio. Poi ti ha visto quando ti strusciavi con quella».
Grugnii, dando un calcio a una pietra davanti a me e proseguii verso l’ingresso. «Non ho fatto niente di male».
Seth mi seguì. «Inviti una ragazza a una festa e poi ti fai vedere con un’altra? Sai, Paul, quando inviti qualcuna è perché ti interessa e se lei accetta è perché è interessata».
«Ah sì? Chi l’ha inventata questa legge?».
Seth sospirò e si dileguò nei corridoi ed io mi diressi alla mia aula. Dio che noia, non mi piaceva come mi sentivo.
Dovevo cercare di sistemare la situazione con quella rossa altrimenti non avrei preso pace.
Pure Seth mi dava torto che amico di merda.
All’ora di spagnolo lei era davanti a me. Cominciai ad arrotolare delle palline di carta e gliele lanciai nei capelli per attirare la sua attenzione, ma non fece altro che attirare quella del professor Polpeth che mi mise anche una nota, brutto bigotto fottuto.
Le palline di carta si trasformarono in molliche di pane a mensa, in palline di creta durante l’ora di arte il giorno dopo, in palline da tennis il giorno dopo ancora in palestra.
Si trasformarono in sassolini al suono della campanella in cortile, o ancora in gessetti durante l’interrogazione di matematica… ma fu tutto inutile. Avrei potuto lanciarle anche un masso gigantesco in testa, lei non mi rivolgeva neppure lo sguardo. E che cazzo però! Era passata una settimana, nemmeno un assassino si fa soffrire in questo barbaro modo.
Poi successe l’impensabile.
Il lunedì successivo quando preparavo la mia cerbottana con una penna sventrata, Alex me la cacciò via dalle mani e la spezzò in due.
La guardai inorridito per aver distrutto la mia micidiale arma e aver poggiato persino le spoglie sul mio banco, sorridendomi come un angelo vendicatore.
«Così la smetti di rompermi le scatole tutto il tempo, Lahote».
«Come mai mi stai parlando?».
«Perché oggi ho tempo da perdere».
«Quindi ce l’hai ancora con me?».
«Fino alla morte».
«Potrei farmi perdonare», dissi sporgendomi in avanti e ammiccando con gli occhi. «Un bacio lo vuoi?».
«Non vorrei vomitare Lahote, levati dai piedi».
Si sedette donandomi le spalle e si spostò i capelli dietro la schiena con fare dispettoso.
Era l’unica che aveva rifiutato un mio bacio. Stiamo parlando di un mio bacio! Va bene, ci andava a perdere solo lei. Non sapeva neppure che cosa significava essere baciata da Paul Lahote. Dio perdonala perché non sa ciò che fa.
Quando il professore la chiamò all’interrogazione, vidi il modo in cui la maglia le fasciava il seno, ma che cosa si era messa in testa? Da quando in qua si va a scuola in certe condizioni?
Quando l’ora finì e la vidi prendere il suo zaino e allontanarsi velocemente, l’afferrai da un braccio e la tirai verso di me. Lei mi guardò inviperita.
«Accetti un segno di pace?».
«Dipende…», sussurrò.
Le misi un braccio intorno alle spalle e insieme a lei m’inoltrai nei corridoi per raggiungere la mensa, eravamo in pausa pranzo. «Ti offro i miei crauti».
«Te li puoi tenere, fanno schifo».
Poggiai le labbra sulla sua tempia e poi riscesi sulla sua guancia che diventò subito rovente. Sentii distintamente il suo cuore che batteva come un tamburo. Le facevo uno strano effetto, credevo proprio di piacerle, anche se si comportava da stronza. Mettendoci a paragone io ero un pulcino pronto a essere schiacciato da un rinoceronte… no?
«Hmm… se ti do il mio budino?».
«Iniziamo a ragionare».
Le scoccai un bacio sulla guancia e poi la lasciai andare.
«Che l’armistizio abbia inizio».
 

 

Angolino Autrice

Ciao! :) Quando rileggo i capitoli non faccio altro che ridere, mi sembra quasi che non sia io a scriverli hahaha! 
Spero che questo capitolo vi faccia capire qualcosa di ciò che ruota nella testolina di Paul. Non vedo l'ora di postare il prossimo capitolo,  l'ho riletto quattro volte e avevo le lacrime agli occhi dalle risate.
Grazie per le recensioni, sn benzina! Visto che qui amiamo i lupi vi lascio il link di una mia shot, l'ho postata ieri sera ed è su Jacob  Attimi
Alla prossima <3

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Capitolo 6
*** Forse Un Nuovo Lahote ***


La mensa della scuola era affollata e rumorosa come sempre.
C’era una calca inimmaginabile di studenti fra i tavoli e anche in fila per prendere il vassoio col proprio pranzo.
Paul era ancora e stranamente di fianco a me ed io ero troppo immersa nella libidine del suo recente bacio sulla guancia per capire la motivazione per la quale nessuno replicava al fatto che non stessimo rispettando la fila, ma l’avessimo del tutto oltrepassata.
Forse aveva il pass stronzo del villaggio o bullo della scuola.
A un certo punto decisi che ero stata per troppo tempo in silenzio, cinque minuti erano davvero un’eternità e non volevo che lui pensasse di avermi in pugno o di avermi fatto capitolare in qualche modo, perché non sarebbe mai accaduto. Mai e poi mai!
«Dimmi Lahote, ti sei fatto il bagno nell'acqua santa?», gli chiesi guardandolo sbattendo le palpebre.
«E' già tanto se mi lavo, poi figurati se vado a usare acqua santa».
Feci una smorfia disgustata e lui ridacchiò sotto i baffi. Quel suono gutturale gli fece muovere il polo d'Adamo su e giù e il mio stomaco protestò furiosamente, come se fossi sul punto di morire e l'ansia la faceva da padrona. Maledizione! Era solo quel maledetto di Lahote!
«Pane?», mi chiese prendendo un piccolo panino.
«Sì grazie».
«Acqua naturale o frizzante?».
«Naturale... ma davvero Paul, la finisci? Rischio di rimanere traumatizzata a vita».
«Ok, modalità gentilezza in persona, archiviata per sempre. L’hai voluto tu».
Inarcai le sopracciglia e afferrai una mela, dirigendomi verso i tavoli alla disperata ricerca di un posto libero, cosa che avrebbe dovuto fare lui se fosse stato un vero uomo, però Paul sembrava più impegnato a dispensare sguardi languidi da topo di fogna a qualsiasi studentessa del sesso opposto.
Un fastidio acuto minacciò di farmi rivoltare lo stomaco, quindi decisi di ignorarlo.
Feci lo slalom tra i diversi zaini abbandonati sul pavimento e scansai per un pelo un arancio che volava da un tavolo all’altro. Quello sembrava un campo di battaglia altro che una mensa.
Notai un ragazzo che mi sorrideva, ma lo ignorai, chi lo conosceva?
«Ehi Alex vieni, ho trovato un posto».
Mi voltai verso Paul che stava dando delle pacche amichevoli a un ragazzino di primo anno. Ero distante per sentire ciò che gli diceva e non riuscii neppure a leggere il suo labiale, ma il ragazzino e il suo amico si alzarono dileguandosi alla velocità della luce.
Lo raggiunsi, capendo subito quale azione malvagia aveva compiuto. «Li hai minacciati!», sbottai, poggiando il vassoio sul tavolo inciso con mille nomi e frasi d'amore.
«No, gli ho fatto una promessa invece».
«Ah, che promessa?».
«Che li avrei picchiati se non mi avessero lasciato il posto libero», disse sedendosi di fronte a me, dall’altro lato del tavolo.
Sfoderò il suo infartosorriso che non vedevo da un po’ e mi brontolò lo stomaco. Era sicuro, Paul doveva avere qualche pietra di criptonite infilata nelle tasche, ogni qual volta mi era vicino m’indeboliva il fisico e succedevano cose strane.
Indossava una t-shirt grigia che per poco non si strappava e sopra una camicia a quadri sbottonata.
Spostai subito lo sguardo prima che la mia testa iniziasse a immaginare scene a luci rosse e cosa più importante che lui se ne accorgesse.
«Prima o poi troverai qualcuno più cattivo di te che te la farà pagare».
«Ne dubito».
Aprii la bottiglietta d’acqua e ne bevvi un sorso e non capii come fosse possibile che il mutante avesse già mangiato metà del contenuto del suo vassoio.
«Oggi studiamo insieme», esordì a bocca piena, poi si alzò e si sedette a fianco a me… all’istante mi passò la fame.
Non potevo mangiare con lui così vicino, se mi fossi sbrodolata che figura ci avrei fatto? No, no, no!
«Sì? Chi l’ha deciso?».
«Io».
Rosicchiai un po’ di pane al sapore di carta e poi giocai con le patatine nel mio piatto.
Ma che ne era stato di Lahote? Non che mi dispiacesse quel nuovo lui… però rischiavo veramente di farmi strane idee come per esempio quella che gli piacessi.
Mi tirai mentalmente un pugno. Dopo come si era comportato con me alla festa, non potevo ricaderci come una stupida.
«Hai fatto una specie di muta», dissi concentrata alle sue mani.
Dio mio… ricordai quando mi aveva accarezzato la schiena e scacciai all’istante anche quell’immagine maledetta.
Paul storse le labbra prima di avvicinarsi le dita alla bocca e leccarsele. Oh Dio mio!
«Una muta… come un lupo?».
«A limite come un serpente, hai cambiato pelle».
«Oh, ma la smetti con questa storia? Io sono sempre lo stesso».
«Peggio per te, sei un cogli…».
Mi tappò la bocca all’improvviso e mi incenerì con lo sguardo. «Non ti allargare però. Sappi che io non mi faccio problemi a picchiare una femmina».
«Credici!», disse ad alta voce una ragazza con un caschetto nero che stava passando di lì. «Mi ha picchiato centinaia di volte, non che io me ne sia stata ferma, però è un ragazzo manesco».
«Oh, vattene al diavolo Leah», le disse contrariato.
Non ci potevo credere! Ma di che razza di ragazzo mi ero invaghita?
Gli diedi una gomitata, gli pestai un piede, gli diedi anche una testata, ma lui non accusò dolore, al contrario io mi ero procurata qualche danno, sicuramente.
Mi bloccò le mani afferrandomi i polsi. «Sembri una scimmia».
«Lasciami andare!», urlai cercando di mordendogli una mano.
Altri due posti allo stesso tavolo furono occupati. «Disturbiamo?», sorrise Seth allungandosi a baciarmi una guancia. Chris invece, il ragazzo che avevo conosciuto alla festa, strizzò un occhio a Paul. Non sapevo che si conoscessero.
«Sì, disturbate. Non vedete che ci stavamo scambiando delle dolci effusioni? Andatevene», grugnì Paul.
«No, rimanete pure ragazzi. Qui con Lahote è una noia, non fa altro che mettermi le mani addosso e insultarmi!».
«Ah davvero Alex?», disse stringendo lo sguardo su di me. «Secondo me invece ti piace quanto ti tocco».
Vidi Seth sbattersi una mano sulla fronte, mentre Chris alzò gli occhi al cielo.
«Infatti, allo stesso modo di come mi piace essere toccata da un cactus».
Com’ero brava a dire le bugie! Non avrei mai sperato di migliorare a quel modo, ero diventata un vero e proprio portento grazie a Lahote. Prima o poi avrei trovato il modo per ringraziarlo, magari gli avrei cucinato dei dolcetti a forma di cacca di cane.
Infilzai un pezzetto di carne e con cautela me lo infilai in bocca. Nessuno sbrodolamento, potevo continuare.
«Alex, hai da fare oggi?», mi chiese Chris all’improvviso.
«No».
«Sì», disse Paul sovrapponendo la voce alla mia.
«Davvero Paul? Che cos’avrei da fare, sentiamo», chiesi accigliata.
«Dobbiamo studiare».
Lo ignorai. «Che cosa avevi in mente Chris?».
«Mi accompagni in città? Devo fare un regalo. Però andiamo nel tardo pomeriggio, quindi hai tutto il tempo per studiare».
Vidi Paul rivolgergli un’occhiataccia però Chris non se ne curò.
«Ci sto», acconsentii.
«Ora andiamo, vi lasciamo finire il pranzo. Ciao!».
«Ciao», li salutai guardandoli andare via, mentre Paul non si sprecò.
«Sono venuti a rompere le palle e ora se ne sono andati», borbottò con la mascella contratta.
«Sono tuoi amici, Lahote, che problema hai?».
«Non si mangia con la bocca piena, ti stai sbrodolando».
Oddio, lo sapevo!
 
 
Ero tornata a casa con Chris che si era offerto gentilmente di darmi un passaggio e ora stavo sistemando i cuscini del divano.
C’era un po’ di disordine e se non avessi sistemato prima del rientro di mia madre, avrei subìto tutte le sue lamentele. Non che me ne importasse, però a tarda sera la sua voce poteva diventare un tantino petulante.
Stavo anche aspettando Paul, ma ovviamente non lo ammetterò mai nemmeno a me stessa davanti allo specchio.
Non morivo dalla voglia di trascorrere il tempo insieme a lui, era solo il mio stupido corpo che aveva bisogno delle cosiddette coccole.
Mi feci una grassa risata mentre spolveravo le mensole della mia camera. Paul non era affatto adatto alle coccole, lui era buono per un bel corpo a corpo. Per ciò che volevo fare io ci voleva Seth o anche Chris. Ma a me piaceva Lahote, che ci potevo fare?
Mi cambiai e indossai un pantaloncino e una t-shirt larga e comoda e poi presi il libro di storia e iniziai a leggere il capitolo che ci avevano assegnato.
Chris sarebbe venuto per le sei e avevo il tempo di fare una bella pennichella, di fare lo shampoo e mettere anche lo smalto.
Non avevo ancora fatto amicizia con nessuna ragazza, solo con maschi, come sempre del resto. Si vede che ero più simile a loro.
Bussarono alla porta e il cuore mi saltò in gola. Era Paul! Alla fine era venuto!
Scattai giù dal letto e mi guardai allo specchio per vedere se avevo qualcosa fuori posto. Ero un disastro! Ma fino a dieci minuti prima mi sentivo quasi bella!
«Arrivo!».
Riscesi scalza per le scale e quando fui sull’uscio notai i miei calzini rosa con le farfalle. Sbarrai gli occhi e me li tolsi appallottolandoli e lanciandoli dietro al divano del salotto.
Aprii la porta e ritrovai Paul con le mani sui fianchi. «Perché ci hai messo così tanto per scendere? Ti sei guardata allo specchio?».
«Ma figurati… non ero nemmeno di sopra», mentii.
«Oh sì che eri di sopra invece».
«Ma che vuoi Lahote? Che sei venuto a fare?».
Avanzò fino a entrare, senza chiedere permesso, proprio come se fosse casa sua. «Speravo di trovare tua madre, che sfiga».
Sbuffai guardando il soffitto e poi sbattei la porta di casa, dirigendomi verso le scale che portavano al piano superiore.
«Vuoi studiare o te ne vuoi andare?».
Fece ciondolare la testa, indeciso sul da farsi. «Per adesso saliamo in camera tua, dopo decido cosa è meglio fare».
«Togliti le scarpe, non vorrei usarle come arma contro di te».
Paul sembrò perplesso.
«Mi sporchi casa ed io ho appena finito di pulire. O hai paura che ti puzzino i piedi?», lo derisi con le mani sui fianchi.
Lui sospirò facendo roteare gli occhi e si sfilò le scarpe lasciandole all’angolo della porta d’entrata. Mi raggiunse sulle scale e mi superò. Il mio sguardo si andò a posare proprio sul suo sedere perfetto e sul movimento che faceva con le spalle.
«Lo so che ti piace il mio sedere Alex, ma non mi sembra il caso di guardarmi così intensamente».
Mi aveva smascherato! Ma come poteva essere!
Gli corsi dietro e gli tirai la maglia e lo precedetti in camera. «Sei proprio simpatico quando t’impegni, Alex».
«Tu non lo sei mai, Lahote».
Ghignò prima di chiudere la porta ed io lo guardai male. La mia stanza era troppo piccola per contenere tutti e due e ne ero estremamente felice, saremmo stati vicini. Però la parte sana di me prese un piccolo sopravvento.
«Apri la porta».
«Mi piace l’ambiente intimo», ammiccò.
«Tu sei un maniaco, apri la porta».
«Siamo comunque soli in casa, nessuno potrebbe aiutarti se avessi delle cattive intenzioni. Nemmeno se si presentasse un intero esercito».
La mia buona stella mi stava aiutando, che bella sensazione.
Tornai a sedermi sul letto e incrociai le gambe voltando la pagina del libro. Paul si aggirava come un segugio e ficcanasava dappertutto, senza curarsi della mia presenza. Il solito zulù.
«Studiamo? Non ho molto tempo».
«Io non voglio studiare», dichiarò venendosi a sdraiare a fianco a me. Si portò le braccia dietro alla testa e la maglietta striminzita che indossava si sollevò scoprendogli parte dell’addome. I miei occhi ricaddero subito lì e cercai di non fare strane espressioni, ma stavo vedendo i suoi addominali! Ma come poteva averli così scolpiti a quell’età? Viveva in palestra? E quei jeans a vita bassa, lasciavano vedere l’elastico dei boxer insieme alla peluria che risaliva verso l’ombelico o riscendeva verso…
Adesso potevo anche morire crocifissa per quello che mi riguardava.
Mi buttai all’indietro sprofondando con la testa nel cuscino e chiusi gli occhi. Mi sentivo strana, come succedeva sempre quando c’era lui nei paraggi, era la maledizione indiana o la criptonite o… non saprei.
«E allora che cosa vuoi fare?», sussurrai guardando il soffitto bianco della mia camera.
«Ah, pensavo fossi svenuta, invece parli ancora».
«Infatti la tua vicinanza mi fa questo effetto. Sei soporifero».
Si alzò sui gomiti e mi gettò un’occhiataccia scettica, poi invece sollevò l’angolo della bocca. «Io potrei farti divertire sul serio».
«Tipo? Prendendomi a calci?».
«Mi sottovaluti, piccola».
No piccola non lo posso sopportare, no! Sta annientando le mie barriere!
«Prendendomi a pugni o torturandomi?».
«Hai una brutta opinione di me eh?», chiese con finta tristezza. «Non credi che sia in grado di fare anche buone azioni?».
«A dire il vero no. Però puoi spiegarmi che cosa intendi».
«Potremmo riordinare il tuo cassetto della biancheria intima, quella è una buona azione», si trattenne dal ridere e gli tirai un cuscino in faccia. «A meno che non usi i mutandoni di mio nonno».
«Dio mio tu sei… tu sei…».
«Non trovi le parole, tesoro?».
«Studiamo che è meglio».
«Sì, non vorrei che ti eccitassi troppo a sentire la mia voce».
Afferrò il libro mettendoselo sulle gambe e iniziammo a studiare.
Maledizione!
 
 

 

Angolino Autrice

Ciao!  Le cose fra questi due si evolvono o no? Mah... Lahote sembra dare qualche primo segno di cedimento, Alex ne ha dati più di uno... vedremo come andrà a finire...
Grazie e alla prossima, Buona Pasqua!
Altre mie due OS sui lupi, se vi va, fateci un salto : Sulla Linea Di Confine   
Attimi
Baci <3 <3 <3 

 
 

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Capitolo 7
*** Come Cappuccetto Rosso ***


C’era qualcosa che non andava nella mia testolina.
Non che non ne fossi già consapevole, ma ora era troppo.
La maledizione indiana si era insinuata persino nei miei sogni e Lahote compariva ogni dove.
Avevo trascorso la serata insieme a Chris per cercare un regalo di compleanno adatto a sua sorella, al ritorno avevo discusso con mia madre perché aveva ritrovato un paio di calzini appallottolati dietro al divano e poi ero andata a letto. Da quando Paul era andato via erano passate 18 ore su per giù, eppure anche adesso che mi trovavo di fronte al cortile della scuola, se mi concentravo riuscivo a sentire la sua voce provocante e ricordavo le sue battutine a memoria.
Non potevo andare avanti a quel modo, mi serviva un espellente naturale, qualcosa che me lo facesse dimenticare.
Percorsi il vialetto fino all’entrata e poi m’inoltrai nei corridoi affollati, dovevo raggiungere il mio armadietto per recuperare qualche libro.
Non avevo proprio voglia di fare lezione, piuttosto sarei andata a fare amicizia col calamaretto gigante. Ma in quella scuola erano tutti infami, se mi assentavo avrebbero subito chiamato mia madre e ci mancava solo che mi mettesse in punizione, dopo non avrei potuto più cibare il mio lupetto e sarebbe morto di fame.
Inserii la combinazione del lucchetto e aprii l’anta dell’armadietto, ricordando quali materie avevo alle prime ore, ma mi venne un vuoto di memoria.
«Buongiorno piccola», una voce mi sussurrò all’orecchio, un torace caldo si poggiò contro la mia schiena.
Sgranai gli occhi e il grigio dell’armadietto svanì sostituito dal nulla… avvertivo solo… piacere.
Deglutii e mi feci forza. «Ho un nome io, Paul».
«Buongiorno Alex», disse divertito.
Le sue mani si poggiarono sui miei fianchi per poi circondarmi completamente. Il suo mento mi puntellava la spalla.
«Buongiorno», risposi.
Eddai Alex, tira fuori il tuo sarcasmo non può essere svanito!
Il cuore stava per esplodermi, lo sentivo e il mio stomaco mi colpiva dall’interno.
«Mi piaci stamattina, ti dona il lilla», disse sicuro mentre faceva scorrere le labbra sulla mia guancia.
Che maniaco! Continua…
«Ti sei svegliato di buon umore stamattina?».
«No», ridacchiò. «Solo più voglioso».
Gli diedi una gomitata e mi girai, ma lui m’inchiodò con le spalle contro l’armadietto. Guardarlo in viso, quegli occhi ancora un po’ assonnati, le labbra carnose e scure e un accenno di barba sulle guance, mi diede il colpo di grazia. «Non hai incontrato nessun animale per la strada con cui potere sfogare le tue voglie?».
Paul scosse la testa e poggiò le braccia dietro di me, imprigionandomi col suo corpo.
«Perché mi guardi così?», dissi appena, quando notai il suo sguardo cambiare. Sentivo il suo respiro sulla bocca e ciò significava che era davvero tanto vicino. Il suo profumo era buono, somigliava all’odore di pino che aveva il mio lupo.
«Come ti guardo?».
«Come se…come se mi volessi mangiare».
«In effetti è proprio quello che voglio fare, sono il lupo cattivo».
Sollevò l’angolo della bocca in un sorriso sbilenco e non resistetti dal poggiargli una mano sul petto.
«Io però non sono cappuccetto rosso».
«Hai i capelli rossi, è la stessa cosa».
Si avvicinò ancora di più e le sue labbra sfiorarono le mie. Non staccai gli occhi dai suoi per un solo istante e nemmeno lui lo fece. Trattenni il respiro finché non sentii la pressione più decisa della sua bocca e poi il mondo si capovolse, i colori dietro ai miei occhi si mescolarono insieme ai nostri sapori. Mi stava baciando.
E che bacio, un signor bacio. B maiuscola.
Le sue labbra erano dolci ma pretendevano, erano gentili ma intense. Sentii la sua lingua sulle mie labbra e morii mille volte mentre gli lasciavo libero accesso.
Quello era un bacio da Paul: impetuoso, bollente e ribelle.
Mi succhiò il labbro inferiore e poi tornò a baciarmi. Le sue labbra erano morbide e non volevo che si fermasse.
Mi faceva male il petto dell’emozione e ciò che facevo non mi sembrava mai abbastanza, potevo prendere di più.
Si staccò all’improvviso mentre io avrei voluto continuare fino all’infinito.
Mi liberò dalla sua presa, si voltò e… se ne andò.
Ci impiegai un po’ per riprendermi, mi accorsi che mi tremavano le ginocchia.
«Lahote!», lo richiamai puntandogli un dito contro. «Che cosa hai fatto!».
«Hai sognato tutto», disse alzando le mani in segno di resa «Ora ti sveglierai e capirai che era troppo bello per essere vero», rise e svoltò l’angolo scomparendo alla mia vista e alla mia possibile imminente incursione, che avrei fatto comunque.
Presi qualche libro alla rinfusa e andai verso la mia classe, anche se non ricordavo più che materia avessi alla prima ora. Sbagliai due volte prima di arrendermi e guardare sul diario che avevo la lezione di chimica. Arrivai in ritardo e mi scusai col professore che si limitò a gettarmi un’occhiataccia e m’indicò l’unico posto libero dove potevo sedermi.
Oddio vicino a Paul!
Strinsi i denti evitando il suo sguardo spavaldo e raggiunsi il banco doppio, lasciando lo zaino sul pavimento. Paul aveva preso una specie di appunti su un foglietto che riguardavano l’esperimento del giorno. Non capii la sua scrittura geroglifica.
«Non ti azzardare più a baciarmi», ringhiai fra i denti infilzandogli una mano con una matita.
Lui sorrise e non si fece male, perché neppure guardò la matita che lo feriva. «Quello lo chiami bacio?».
«Che cos’era allora? Una danza di lingue?».
«Tu mi hai infilato la lingua in bocca, io volevo farti solo la respirazione, visto che erano almeno trenta secondi che non respiravi», asserì beffardo.
«Vattene al diavolo».
«Ci andrò, magari con qualcuna che bacia meglio».
«Io invece rimarrò qui a trovare qualcuno che non bacia come un bradipo».
Paul assunse un’aria perplessa. «Cos’è un bradipo?».
«Un animale, migliore persino di te».
«Facciamo questo esperimento, prima che ti metta le mani addosso».
«Che schifo, un uomo che picchia una donna», sibilai contrariata.
«Non intendevo picchiarti, ma… darti piacere. Credo che quello sia l’unico modo per fare sparire la tua acidità».
Lo credo anche io tz.
 
 
Io e Paul continuammo a lanciarci battutine taglienti per l’intera ora e per giunta arrivammo ultimi nella classifica degli esperimenti meglio riusciti.
Per fortuna l’ora successiva era ginnastica e quindi non ero costretta a stare in un piccolo spazio con la sua presenza incombente alle mie spalle o peggio ancora di fianco a me.
Purtroppo quel bacio mi stava tormentando, non riuscivo a pensare ad altro e il mio stomaco non mi dava tregua.
Arrivata negli spogliatoi, mi cambiai indossando la divisa di pallavolo, ascoltando delle improbabili strategie che stavano organizzando le mie compagne di squadra per battere gli avversari.
«Alex, ci dispiace, ma oggi starai in panchina».
Tanto per cambiare. «Non c’è nessun problema, non avevo proprio voglia di giocare».
Mi era andata bene, a volte avevo fatto da raccattapalle, davvero umiliante.
Quindi si prospettavano due ore all’insegna della noia o a limite avrei potuto rifarmi gli occhi guardando i ragazzi che giocavano a basket. Ci sarebbe stato anche Jacob Black e lui era davvero un bel tipo, altro che Paul.
Quando varcai la porta della palestra vidi subito Lahote che palleggiava sorridente, mentre parlava con una ragazza dell’ultimo anno vestita da cheerleader. Sembrava che le stesse facendo una radiografia, razza di maniaco fottuto!
Dio che fastidio! Ma perché non guardava anche me in quel modo? Che frustrazione!
Drizzai le spalle e proseguii lungo il mio cammino senza degnarlo neppure di uno sguardo. Che bravo, il solito maschio adolescente con gli ormoni a mille che ragiona con le sue parti basse. Non mi sarei più lasciata fregare da lui, poco ma sicuro. La prossima volta che si sarebbe avvicinato a me, lo avrei respinto, e basta con le battutine a doppio senso o con quelle ore di studio inutili, tanto non studiavamo mai.
Poi qualcuno mi palpò il sedere. Mi girai pronta a urlare contro Paul e la sua maledetta sfacciataggine. Come osava prendersi gioco di me davanti a tutti quegli studenti?
Mi sentii avvampare e mi girai, ritrovandomi davanti a un ragazzo che conoscevo solo di vista e a volte mi aveva dispensato qualche languido sorriso a mensa.
«Come ti permetti, idiota!», esclamai arrabbiata.
«Non ho resistito alla tentazione, scusa», ridacchiò.
Poi una palla da basket lo colpì in pieno volto facendolo barcollare. Si portò le mani in viso e si lamentò per il dolore.
Mi guardai intorno per capire chi l’avesse colpito e vidi Paul col volto scuro che mi stava raggiungendo, ma Jacob lo spingeva all’indietro aiutato anche da Seth.
«TU.SEI.MORTO!», urlò infine contro il ragazzo a cui usciva un rivolo di sangue dal naso.
«Lahote, dal preside, subito!», esclamò il professor Bass.
Paul si scrollò di dosso le mani dei suoi amici e obbedì allontanandosi mentre il professore venne a tamponare il sangue al malcapitato. «Vai in infermeria e poi anche tu dal preside», gli ordinò.
Mi sentii tutti gli occhi puntati addosso e sarei voluta scomparire nel nulla. Il professore mi gettò un’occhiata eloquente e poi mi sospinse verso il campo di pallavolo.
«Mi dispiace», si limitò a dire.
Rimasi da sola in panchina a fissare nel vuoto, ogni tanto passavo delle bottigliette d’acqua alle mie compagne.
Poco più il là c’erano gli amici di Paul che giocavano a basket e non appena vidi Jacob sedersi alle panchine lo raggiunsi, tanto nessuno avrebbe reclamato la mia presenza.
Non avevo fatto nulla, eppure mi sentivo in colpa per Paul.
«Ciao», lo salutai.
«Oh, ciao Alex. Tutto bene?».
«Diciamo di sì… ma non vorrei che Paul venisse sospeso. Perché l’ha fatto?».
Jacob puntò gli occhi nei miei. «Non gli sta molto simpatico Ron».
«Ah…». E perché io avevo pensato che fosse geloso di me?
«Che cosa ci fai tu qui? Il tuo posto è dall’atra parte», disse Paul apparendo dal nulla.
«Tranquillo fratello, solo un saluto».
«Solo un saluto», ripetei guardandolo. Mi sembrava ostile adesso e non mi piaceva come mi guardava.
«Non ti hanno sospeso, vero?».
«Purtroppo no», grugnì voltandomi le spalle e dirigendosi in campo.
Jacob si strinse nelle spalle e mi diede un buffetto sulla spalla prima di seguirlo.
Perché era arrabbiato con me? Mi venne un magone alla gola e lo inghiottii tornando alla mia panchina.
I suoi cambiamenti di umore mi facevano girare la testa.
 
 
Angolino Autrice

Paul è geloso o è solo l'impressione? eheheh, comincia a toppare il lupacchiotto!
Alex stava per morire dopo che l'ha baciata. Che cosa succederà nell'altro capitolo?
Grazie a tutti per le recensioni e a presto!
-Carmen

 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Un Altro Bacio ***



Paul non mi aveva degnato di un solo sguardo per tutte le restanti ore di lezione. Si era seduto a debita distanza da me ed io non avevo avuto il coraggio di avvicinarmi, temevo che mi riservasse qualche brutta battuta o quel suo tono ostile che tanto odiavo.
Ancora non avevo capito che cosa gli avessi fatto di tanto brutto per avercela con me in quel modo.
Quando tornai a casa non avevo voglia di studiare, così indossai il mio impermeabile giallo e andai nel bosco a cibare il mio lupo.
Lungo il sentiero mi sembrò di vedere qualcuno fra la vegetazione, ma sicuramente mi sbagliavo, doveva essere l’effetto delle ombre.
Mi recai sempre nello stesso punto e mi guardai intorno, sperando che il mio lupo uscisse dai cespugli, invece ero da sola.
Il giorno dopo sarei andata a ritirare le sue fotografie a un negozietto poco distante da casa mia, così avrei fatto un bel collage.
Mi sentivo triste e se Fuffy fosse venuto, avremmo giocato un po’ e avrei dimenticato Paul, anche se per poco.
Mi avvicinai a un albero poggiando la schiena contro il suo tronco e scivolai in terra; subito dopo presi l’hamburger che avevo preparato per lui e iniziai a mangiarlo, almeno avevo qualcosa da fare.
Poi dai cespugli uscì un lupo, trotterellando divertito. Non era il mio lupo, quello aveva il pelo rossiccio!
Urlai dallo spavento e il boccone mi andò di traverso. Ci doveva essere un branco! Gattonai per allontanarmi però Fuffy sbucò davanti ai miei occhi bloccando la mia avanzata.
«Oh, sei arrivato finalmente! Quel lupo voleva uccidermi!», dissi aggrappandomi al suo collo. Beh non era vero, però non potevo conoscere le sue intenzioni.
Il mio lupo ringhiò verso l’altro che sbuffò dalle narici e se ne andò.
«Non ci credo, sei il capobranco? O è la tua fidanzata?».
Fuffy mi ignorò e si sdraiò in terra ed io gli andai a galoppo poggiando il mento sulla sua testa. «Sai, quando ero piccola in Italia uscì un sacco a pelo a forma di peluche, alcuni avevano la testa da orso o da tigre che facevano da cuscino. Tu saresti potuto essere il mio sacco a pelo».
Gli accarezzai il muso guardandolo dall’alto e i suoi baffi mi punsero. «Dovresti passare dall’estetista sai? Questi baffi appuntiti non sono per niente belli, né da vedere né da toccare». Il mio lupo finse di addentarmi le dita. Era pure un animale burlone, che carino!
Affondai col naso nel suo pelo e lo accarezzai intensamente. «Dio mio, odori di Paul… come diavolo è possibile?».
Sì, avevano lo stesso odore di pino, persino lo stesso calore. Forse stavo impazzendo, ma anche i loro occhi erano un po’ simili.
«A proposito di Paul, sai Fuffy, credo proprio che mi odi. Oggi non mi ha dato retta… però stamattina mi ha baciato».
Strofinai la faccia nel suo pelo e mi agitai, quel pensiero mi faceva andare su di giri.
«Oddio mi ha baciato, ti rendi conto?».
Scesi dalla sua schiena e mi sedetti di fronte a lui tirandogli le guance all’infuori. «Devi sorridere! È una cosa bellissima».
Il lupo mi guardava negli occhi, erano lucidi, splendevano come ossidiana. Poi mi leccò il viso.
«Oh mi hai baciato anche tu! Ti giuro che è stato meglio il tuo bacio che quello di Lahote!».
Ci rotolammo un po’ nell’erba, era delicato quando mi dava le zampate e pensai che sarebbe stato meno pericoloso giocare con lui che con Paul. Sicuramente quell’indiano mi avrebbe rotto qualcosa con la sua delicatezza di elefante.
«Ora devo proprio andare, sta diventando buio», gli diedi un bacio sul naso quando chinò il viso sul mio. «Se domani non ho tanti compiti, torno».
Mi voltai e lui mi seguì per tutto il percorso finché non mi ritrovai sul retro del mio giardino. Era premuroso il mio lupo, com’ero felice di averlo trovato.
Quando rientrai in casa sprofondai sul divano e mi addormentai. Non sentii neppure mia madre rientrare dal lavoro, ero davvero stanca.
Mi svegliai all’alba del giorno dopo con una coperta indosso e le braci di un fuoco che fumavano nel camino.
Riscaldai del latte e ne bevvi qualche sorso prima di andare a fare una bella doccia rigenerante. Quella mattina ero particolarmente attiva, infatti prima di vestirmi mi cambiai parecchie volte davanti allo specchio. In fine optai per una minigonna di jeans con sotto degli spessi collant neri e un maglioncino dello stesso colore con lo scollo a V.
Mi misi lo zaino in spalle e m’incamminai verso scuola sperando di arrivare prima che iniziasse a piovere. I capelli mi erano venuti straordinariamente bene che quasi stentavo a crederci.
Quando arrivai di fronte al cortile della scuola, lo vidi all’istante… Paul. Per tutto il tragitto avevo cercato di non pensare a lui e per un po’ ci ero riuscita.
Avrei tanto voluto fare finta di niente, avrei voluto dimenticare quel suo bacio, ma era tutto inutile.
Aveva messo la moto sui cavalletti e si era seduto sulla sella lateralmente poggiandosi col gomito al contachilometri. Indossava un giubbotto di pelle nero e dei jeans chiari con delle scarpe sportive. Era bellissimo e lì di fronte a lui a qualche metro di distanza c’era la ragazza che si era spupazzato alla festa del liceo di Forks.
Sarei dovuta entrare direttamente a scuola, lo so e invece feci tutto il contrario. A causa  della paura che quella gallina gli si avvicinasse, fui io ad avvicinarmi a lui.
Non avevo idea di che cosa dirgli e molto probabilmente visto il suo umore sempre cupo, mi sarei allontanata dopo quindici secondi esatti.
«Ciao», dissi tenendo la fibbia del mio zaino.
Lui si girò e mi squadrò dai piedi alla testa. «Ciao», rispose.
I suoi occhi erano attenti e mi scrutavano forse in attesa di qualcosa, ma non avevo la più pallida idea di che cosa dire o peggio ancora che cosa fare, così mi arresi. Mi rendeva insicura.
«Ci vediamo in classe», dissi veloce prima di allontanarmi, però lui mi afferrò le dita.
«Vieni qui», disse senza tirarmi verso di lui. Mi stava lasciando scelta.
Non appena mossi un passo verso di lui però, mi attirò a sé poggiandomi contro il suo petto.
Rimasi senza fiato ma ero troppo felice per allontanarmi.
«Vuoi farti perdonare per ieri?», chiesi sollevando il viso verso di lui.
«Perché che cos’ho fatto?», disse mettendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Mi hai ignorato per tutto il tempo». Alzai il mento indispettita e lui abbozzò un sorriso che mi sembrò dolce.
«Da quando in qua vuoi che non ti ignori?».
Socchiusi gli occhi e lo guardai torva. «Smettila di fare così».
«Così’ come?», sussurrò avvicinando la bocca alla mia.
Sospirai, avevo perso le parole. Che maledetto effetto mi faceva!
«Così… come uno scemo».
Lui annuì con l’angolo destro della bocca sollevato in un sorriso di scherno, poi mi bacio a metà bocca. Il mio stomaco sprofondò e l’impulso fu quello di scostarmi da lui e scappare via, ma i suoi occhi incontrarono i miei e non ci riuscii più. E quando si avvicinò di nuovo per un altro bacio, lo ricambiai, circondandogli le spalle con un abbraccio.
Stavo per morire me lo sentivo, quel bacio mi stava sconvolgendo la mente.
Le sue labbra erano stranamente calme e si muovevano lente sulle mie. Erano un po’ umide e morbidissime. E… baciava benissimo. Non mi sarei mossa di lì finché non l’avrebbe fatto lui, poco me ne fregava che apparivo come una ninfomane.
«Ora dovresti smetterla», mormorò mordendomi il labbro inferiore mentre mi accarezzava la schiena.
«Di fare che cosa?», chiesi accarezzandogli il viso con le mani.
«Di baciarmi, potrei perdere la mia reputazione».
Ecco, era troppo bello per essere vero. Il momento da film romantico era stato bruscamente interrotto.
«Reputazione?».
Paul mi strappò un altro bacio e annuì. «Potrebbero pensare che sei la mia ragazza e perderei lo stuolo delle mie ammiratrici».
«Oh scusa, non vorrei mai», dissi facendogli un sorriso. «Vado a trovare qualcuno che non ha questo tipo di problema, magari Chris».
Mi girai e mi scostai i capelli dietro le spalle con fare dispettoso, prima di entrare a scuola.
Dio, mio mi tremavano le ginocchia, non ci potevo credere. Il cuore fra poco avrebbe dato forfeit, batteva troppo veloce.
«Ehi aspettami, dove te ne vai in giro con questo pezzo di stoffa», disse guardandomi dalla vita in giù.
«Si chiama gonna sai?».
«La gonna è più lunga».
«Comunque dovresti smetterla di baciarmi», dissi fra i denti aprendo il mio armadietto.
«Sì, hai ragione lo farò». Mi sorrise maleficamente prima di scomparire fra i corridoi. Maledetto indiano!


Angolino Autrice

Buona sera a tutti... ma che combina Paul? Dovrebbe fare pace con la sua testa, anche se in questo capitolo è stato un pochino più dolce degli altri, tranne che nel finale.
Che cosa succederà nel prossimo? Ehehehe! Non vedo l'ora di farvi leggere il capitolo!
Se vi va, passate da una mia nuova fantasy, la scriviamo in 2 con Martina! Sì tratta di Dei dell'Olimpo :D
Twin Fires
A presto!

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Capitolo 9
*** In Prova ***



La giornata a scuola era stata molto pesante.
Non appena ero ritornata a casa, avevo riempito la vasca con dell’acqua bollente e mi ero immersa dentro beandomi del buon’odore del bagnoschiuma.
È inutile precisarlo, ma per tutto il tempo avevo pensato a Lahote, al suo bacio fuori dalla scuola e alle sue parole poco carine, a cui ormai ero abituata.
Uscii dalla vasca quando l’acqua era ormai fredda e la pelle delle dita si era raggrinzata tutta.
Dovetti correre al piano inferiore per accendere il circuito di riscaldamento o ci sarei rimasta secca prima di sera. Non capivo come fosse possibile che facesse più freddo in casa che fuori.
Indossai un cardigan e il pantalone di una tuta e m’infilai sotto le coperte a studiare qualche capitolo arretrato di storia, cercando di non pensare a quanto avrei voluto avere una sottospecie di storia con l’indiano. Mi chiesi come sarebbe stato ricevere i suoi sms, i suoi inviti e le sue attenzioni. Oddio, ne sarei stata felice. Quel pensiero fu un soporifero naturale perché mi addormentai senza neppure rendermene conto.
«Tesoro, sveglia», la voce di mia madre mi destò.
«Perché?», grugnii.
«Altrimenti stanotte la passi in bianco e poi io sto andando a lavoro».
«Turno di notte?».
«Sì purtroppo», mi diede un bacio sulla guancia mentre si allacciava la cinta del cappotto. «Chiudi a chiave la porta e ricorda di controllare che tutte le finestre siano chiuse».
«Hai ragione, non vorrei che entrasse qualche lucertola».
«Io pensavo a qualche ladro».
«Mamma, non è possibile che tu non ti sia ancora accorta che qui non succede mai niente? Nemmeno un incidente? È a dir poco frustrante».
Mia madre mi diede un bacio sulla fronte. «A domattina. Ci sentiamo più tardi per la buonanotte».
«Mamma sono grande ormai!», scalciai le coperte e infilai un paio di calzettoni di spugna, poi aprii il cassetto della scrivania prendendo l’ennesimo plico delle fotografie del lupo.
«Non c’entra niente, ti chiamerò lo stesso. Ciao».
«Ciao mamma».
La seguii al piano inferiore e dopo aver chiuso la porta a chiave andai in salotto ad accendere un bel fuoco nel camino, almeno mi avrebbe fatto un po’ di compagnia mentre sceglievo le foto per il quinto collage del lupo o forse era il sesto. In camera pian piano avevo riempito tutte le pareti con i suoi poster.
Mi sedetti sul tappeto, accessi anche la TV lasciandola a basso volume e poi iniziai la cernita delle foto. Gliene avevo fatte davvero tantissime, forse qualcuna avrei potuto presentarla a qualche mostra.
Il mio lavoro, però, fu interrotto da qualcuno che bussava freneticamente alla porta di casa. Sbuffai, pensando che mia madre avesse dimenticato qualcosa e invece quando aprii, mi ritrovai davanti a Paul.
«Che cosa ci fai tu qui?», chiesi scettica.
Dio, com’era bello. Aveva una felpa nera col cappuccio, i soliti jeans e un cartone di pizza fra le mani.
«Che cosa ti sembra che voglia fare?».
Entrò in casa allargando un infartosorriso che mi fece tremare le ginocchia e si diresse in salotto.
«Lahote!», lo richiamai. «Non chiedi nemmeno se c’è mia madre!».
«Alex, non cominciare a dare di matto, vieni qui. E poi lo so che tua madre non c’è».
«Allora, mi dici perché sei qui?».
Appoggiò la pizza sul tavolo e si tolse la felpa lasciandola sullo schienale di una sedia. Nel farlo la canottiera che portava sotto, si sollevò lasciandomi piena di visione del suo ventre.
«Sono venuto per mangiare una pizza», disse a bassa voce sistemandosi la maglia.
Il mio cuore accelerò l’andatura. Voleva trascorrere del tempo con me e aveva portato anche una pizza vista l’ora di cena vicina.
«Grazie per il pensiero».
«Non dovresti ringraziarmi, la pizza è per me».
Socchiusi le palpebre e lo spinsi andando a sedermi di nuovo sul tappeto a continuare il mio lavoro.
«Perché non vai a mangiare la tua pizza sul ciglio della strada? Magari ti investe un camion».
«Questa è cattiveria pura», grugnì con un sorrisetto sedendosi sul tappeto a fianco a me. Averlo così vicino, sapendo che in casa non c’era nessuno e noi avremmo potuto… avremmo potuto fare qualsiasi cosa volessimo, mi faceva girare la testa.
Afferrò due cuscini e se li sistemò dietro la schiena.
«Sei davvero sexy con quei vestiti addosso. Quei calzini sono il pezzo forte».
Per poco non mi strozzai! Se avessi saputo che mi avrebbe fatto visita, avrei indossato qualcosa di più decente. «Togliti le scarpe!», gli ordinai.
Lui sbuffò e obbedì, poi continuò la sua presa in giro. Io avevo in mente un buon modo per metterlo a tacere.
«Quel maglioncino però non è niente male… bella scollatura».
«Lahote, perché non la smetti?», grugnii dandogli una gomitata. Mi sembrò di aver colpito un muro.
«Perché mi piace farti incazzare», rise addentando un pezzo di pizza. Ne presi anche io una fetta incurante delle sue proteste e poi gli diedi un’altra gomitata.
«Che cosa devi fare con queste foto?».
«Niente che ti riguardi».
«Carino il cagnolone, come si chiama?».
«Fuffy».
Paul fece una smorfia schifata. «Ti assicuro al trecento per cento che lui vorrebbe che gli cambiassi nome».
Lo guardai di traverso. «Tu cambieresti il nome a tuo figlio dopo averlo chiamato per intere settimane in un modo?».
«Ma che paragoni fai?».
«Oh, ma sta zitto Paul!».
Mormorò qualcosa di incomprensibile e mi afferrò dalla vita strascinandomi verso di lui, sopra di lui. Oh Dio!
Persi la parola mentre la sua bocca scorreva invitante e pericolosa sulla mia, le sue mani mi accarezzavano la schiena al di sotto della maglia.
«Bene, questo è il modo migliore per non farti parlare inutilmente», soffiò sulle mie labbra.
Con le fiamme del fuoco vicino, i suoi occhi avevano delle sfumature ambrate. «Idiota, imbecille, cretino».
Fece una risata rauca e la sua presa si rafforzò intorno a me. Avvertivo ogni parte del suo corpo: il petto dove tenevo poggiate le mani, le ginocchia che si scontravano con le mie, il suo respiro. E il mio maledetto cuore che batteva all’impazzata.
«Dovresti ammettere che ti piaccio», disse dandomi un bacio.
«Se fosse vero non avrei problemi a dirlo», controbattei ricambiando il suo bacio.
I capelli mi scivolarono in avanti, sul suo viso e lui me li scostò dietro l’orecchio, tornando a baciarmi.
«Io ho dei poteri sai?».
«Hmm… qualcosa del tipo: dico trenta parolacce di fila senza prendere fiato?».
«Stupida», mormorò mordendomi le labbra. «Qualcosa del tipo: sento che il tuo cuore tra poco esplode».
«Anche il tuo cuore batte veloce», dissi dandogli una gomitata. E in effetti era vero, le mie mani erano poggiate sul suo petto e lo percepivo.
«Quello è il mio normale battito».
«Sei malato? Hai qualche aritmia?».
Mi allontanai da lui pulendomi la bocca con il dorso della mano e ostentando una faccia schifata.  «Fammi stare alla larga, non vorrei chiamare l’ambulanza».
«A limite la chiamerai per te. Di certo a me non accadrà niente».
«Perché non la smetti di fare lo sbruffone? Quanto sei odioso!».
Paul si accarezzò la pancia e cercò di afferrarmi di nuovo per trascinarmi verso di lui, ma non ci riuscì. Per quanto l’idea di baciarlo o di vedere che cosa avesse in mente di farmi, fosse uguale a mille, non mi sarei fatta usare a suo piacimento.
«Perché non vai a importunare qualche altra ragazza?».
Lui sembrò pensarci su. «Sei quella più vicina».
«E allora ti conviene trovarne un’altra, perché non mi toccherai più e io da domani uscirò con Chris. Capisci di appuntamenti, passeggiate mano nella mano, pizza insieme… queste cose qui insomma», dissi disinvolta addentando un altro pezzetto di pizza.
«Certo che sei proprio antica».
«Certo che tu sei un cretino se pensi di potermi prendere in giro».
Paul scoppiò a ridere. «Come lo hai capito?».
«Perché sei prevedibile come un criceto con la ruota».
Lo so, non avrei dovuto, ma mi intristii. Io lo provocavo e lui rispondeva proprio come mi aspettavo, aveva ammesso di prendermi in giro. Non aveva fatto una piega nemmeno quando avevo detto che avrei cominciato a uscire con Chris.
Raccolsi tutte le foto e le portai di sopra impiegandoci più tempo del previsto perché mi era venuto da piangere.
A me piaceva! E per lui ero solo un gioco.
Proprio prima di riscendere giù sentii la porta di casa sbattere. Sbarrai gli occhi e corsi in salone e proprio come temevo Paul se n’era andato. Non mi aveva neppure salutato!
Con i denti stretti in una morsa chiusi tutte le finestre e spensi le luci e mi rintanai in camera mia. Piansi anche, rannicchiandomi nel mio letto dove nessuno poteva vedermi e sentirmi e giurai che dal giorno dopo non mi sarei fatta più ingannare da quello stronzo! Ne avevo abbastanza!
«Ehi».
«Ahh!», urlai sobbalzando al buio. Cercai l’interruttore della lampada sul comodino ma non lo trovai. «Chi c’èèè! ».
«Sono io, che diavolo urli?».
«Come sei entrato!!!».
«Hai lasciato la porta aperta».
Il mio letto si affossò. «Vattene subito! Subito!», urlai.
«Perché piangevi?».
«Io non stavo piangendo! Vattene Paul!».
«Sì che piangevi!».
«Mi manca il mio pesciolino rosso che ho dovuto abbandonare nelle fognature per venire qui».
«Una vera crudeltà…».
Mi rimisi sotto le coperte coprendomi fin sotto il naso. Pensai che se lo ignorassi lui sarebbe andato via lasciandomi in pace, invece si sdraiò con me, sull’altro lato del letto e incrociò le braccia dietro la testa.
«Ce l’hai con me, perché non mi piaci?», mi chiese.
Non risposi e gli girai le spalle. «Quando te ne andrai sarà sempre troppo tardi. Tanto non darò mai via la mia verginità per uno stronzo come te, risparmia la fatica, Lahote».
«Sei vergine?», chiese con un po’ di sorpresa.
«Per chi diavolo mi hai preso? Certo che lo sono, ho sedici anni».
Paul non replicò più e rimanemmo in silenzio a lungo, tanto che a un certo punto pensai che si fosse addormentato. Poi invece sentii cingermi la vita, il suo mento si poggiò sulla mia spalla. «Ti devo dire una cosa», sussurrò piano.
Non risposi, altrimenti lo avrei fatto nel peggior modo che conoscevo e lo lasciai parlare sentendomi una stupida che gli consentiva tutto, solo perché ero cotta di lui.
«Tu…», sussurrò al mio orecchio. Si mosse irrequieto e forse non soddisfatto da ciò che stava per dire, ricominciò. «Domani pomeriggio ti va di uscire con me?».
«Ti ho già detto che uscirò con Chris».
«Esci con me, quello è un bamboccio».
«Per lo meno non mi prende in giro o non vuole portarmi solo a letto. Gli piaccio sul serio».
«Anche a me piaci sul serio», disse a voce quasi inudibile. Chiusi gli occhi perché credevo alle sue parole ed ero soltanto una stupida bambina! Dopo ciò che mi riservava ogni santo giorno, non potevo credergli così, senza il minimo dubbio.
«Non mi sembra…».
«Oh andiamo, Alex. Perché sarei qui allora?».
Mi girai verso di lui e gli puntai le dita sul petto. «Perché sono una ragazzina sola, nel bel mezzo della notte, che ti lascia campo libero ogni volta che vuoi! Dopo che mi avrai portato a letto, non mi guarderai più!», tremai al pensiero e all’angoscia che mi invadeva. «E non oso nemmeno immaginare che cosa andrai a raccontare di me ai tuoi amici».
Lui alzò le mani. «Non ti toccherò, come non ti ho toccato fin’ora. Mi sono solo limitato a dei baci, giusto? Credi che sia da me una cosa del genere?».
«No».
«Bene, quindi mi credi».
«No! Non ancora!».
«Mettimi alla prova!».
«Dormi con me stanotte», gli chiesi agitata. Mi sfilai il cardigan e il pantalone della tuta rimanendo in intimo. Anche se indossavo un completino bianco e rosso di Betty Boop che importava. «E non mi toccare…. Non in quel modo».
Lo sentii imprecare tra i denti. «E va bene, ma se lo farò domani uscirai con me e manderai Chris al diavolo».
«Che sia fatta la tua volontà», cantilenai chiudendo gli occhi e poggiandomi con la testa sul suo petto. 
Yuppi! Oddio… qualcuno si era impossessato del mio corpo ed esultava contro la mia volontà!
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti! Ecco un nuovo capy di questa storia che tanto mi piace, Alex e Paul.
Che cosa combineranno questi due? ehehehe lo vedremo nel prossimo capitolo.
A presto e grazie per le recensioni!

 
 

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Capitolo 10
*** A Stretto Contatto ***



Il silenzio nella mia stanza cominciava a diventare insopportabile. Non riuscivo neppure a prendere sonno.
Volevo solo che Paul mi mettesse le mani addosso e che mi stringesse. E volevo sentire i suoi sospiri contro il mio orecchio, il suo corpo contro il mio e… oddio tutto!
Mossi le gambe irrequieta e strofinai la guancia sul suo petto. Era bollente, un qualcosa fuori dal comune, però non sembrava avesse la febbre. Per tutto il tempo il suo cuore aveva battuto allo stesso modo, leggermente veloce e pensai che avesse davvero qualche specie di aritmia.
«Aspetta un attimo», disse piano Paul allontanandosi da me.
«Mi hai svegliato», grugnii infastidita.
«Certo, perché tu dormivi, come no».
Lo vidi sfilarsi la maglia e anche i pantaloni e lasciarli all’angolo del letto. Oh Dio!
«Ti sei spogliato!», asserii fintamente indignata mentre tornava sotto le coperte.
«Ci sono cinquanta gradi qui sotto».
Tornai a poggiarmi sul suo petto e lui iniziò ad accarezzarmi i capelli, intrecciai le gambe alle sue senza potermi trattenere. La sua peluria mi solleticava la pelle e d’impulso strofinai il naso sul suo petto.
Il mio problema era dove mettere le mani. Le tenevo rannicchiate contro il suo ventre, ma avrei voluto passargliele intorno al collo e stringerlo e salire su di lui e baciarlo fino a stare male.
Ma perché mi facevo tutti questi problemi? Lui non si disturbava, perché io sì? Tanto, mica per forza dovevo fare sesso con lui… ma almeno me lo sarei goduto.
Sollevai un po’ la testa e poggiai le labbra sulle sue.
«Che fai?», chiese Paul senza ricambiare.
«Ti bacio, non si vede?».
«Mi provochi più che altro», mormorò ammorbidendo le labbra.
Gli infilai le mani nei capelli e premetti la bocca più forte sulla sua e lui finalmente rispose. Le sue mani si ancorarono sui miei fianchi stringendomi e mi lasciai sfuggire un sospiro di piacere.
Si girò su di me mettendo una gamba fra le mie e iniziò a baciarmi sul collo, sentivo la sua lingua che scorreva sulla mia pelle. Una sua mano scivolò sul mio sedere che strinse, per poi risalire lungo la coscia.
Stavo per morire me lo sentivo…
Le sue spalle erano forti e sentivo i suoi muscoli flettersi quando li accarezzavo.
Con i denti mi abbassò una bretella del reggiseno e mi ricoprì di baci l’intera spalla, fino a ritornare alla mia bocca. E lo fece lentamente e dolcemente… sentii un vuoto allo stomaco.
«Ora meglio se dormiamo», disse con voce roca dandomi un ultimo bacio.
Avrei voluto replicare ma non ci riuscii, mi vergognavo troppo.
Quando si allontanò da me mi affrettai a girarmi e nascondere la faccia nel cuscino. Dio che vergogna!
Lui stette a distanza per un po’, poi il sonno ebbe il sopravvento.
 
Quando mi svegliai il mattino dopo pensai di non trovarlo e invece era rimasto e dormiva ancora. Mi stropicciai gli occhi sollevandomi su un gomito e lo osservai sentendomi schifosamente bene. Era supino con una mano sulla pancia e la testa leggermente inclinata verso il mio lato. Le lenzuola lo coprivano dalle gambe in giù, ma quello che stavo vedendo era abbastanza per stordirmi a vita, ve lo assicuro.
Aveva le labbra imbronciate e i capelli spettinati ed era più bello di quando era sveglio perché quello era l’unico momento in cui non ostentava quell’espressione perennemente imbronciata.
Più lo guardavo e più mi sentivo felice, era assurdo.
Era ancora prestissimo per svegliarsi, così decisi di andare a fare una doccia in camera di mia madre e poi sarei andata a preparare la colazione e così feci. Dopo la doccia  indossai dei jeans e un maglioncino verde, poi scesi a preparare due cappuccini, presi anche qualche biscotto e salii di nuovo al piano superiore. Prima di entrare di nuovo in camera mi sentii patetica. Ma che cosa stavo facendo? Gli stavo portando la colazione a letto, sul serio?
Tirai un calcio alla porta che si spalancò e Paul sobbalzò.
«Sempre la solita», grugnì abbracciando il mio cuscino.
«Svegliati piuttosto, tra un po’ torna mia madre».
Poggiai il vassoio sul mio comodino e mi sedetti sul letto sorseggiando il mio cappuccino. «Ti ho portato la colazione», dissi vaga.
«Così me ne vado prima?».
«E magari…», mentii.
Lui mi guardò e ridacchiò divertito sfilandomi la tazza tra le dita. «Riesco a capire quando menti, non farlo Alex. Sei una pessima bugiarda».
Addentai un biscotto e lo ignorai. L’ultima cosa che volevo fare era iniziare a litigare con lui dopo la notte che avevamo trascorso. Anzi pensavo che fossimo a una svolta, magari il nostro rapporto evolveva una volta per tutte.
Bevve il cappuccino e mangiò l’intera confezione dei biscotti, senza togliere gli occhi da me. Io nel frattempo facevo zapping col telecomando alla ricerca di qualche cartone animato decente, ma lì trasmettevano ancora Candy Candy, roba da pazzi.
«Lo sai, mi piaceva il tuo completino di stanotte», ridacchiò all’improvviso.
Ma davvero? Gli piaceva Betty Boop? «Me ne ricorderò per non indossarlo più», risposi acida.
Lui fece una smorfia e poi rassettò la stanza più volte. «Devi tenere molto a Fuffy», costatò guardando i collage alle pareti.
«Sì, è stato il mio primo amico. Credo che a volte sia un umano intrappolato in quel corpo… è troppo intelligente».
Paul mormorò. «Di sicuro quel nome che gli hai dato fa schifo e prima o poi te lo farà capire».
«Che ti importa del nome che gli ho dato? Sei insistente a volte sai?».
«Ma ti sembra un nome da dare a un lupo gigante? Fuffy? Dai fa ridere».
«Come sai che è gigante?».
«…Io ci vivo qui sciocchina».
Gli feci la linguaccia e lui esasperato fece orbitare gli occhi e cambiò discorso. «Comunque ho mantenuto la mia promessa, non ti ho toccato».
«Tu mi hai toccato, eccome!».
«Se è per questo anche tu hai allungato le mani. Ma ho mantenuto la parola, per cui oggi esci con me e dai buca a Chris».
«Vedremo», borbottai al settimo cielo. Insisteva per uscire con me! Gli piacevo allora!
«Se non mantieni la parola mi comporterò di conseguenza», minacciò alzandosi e iniziando a rivestirsi.
«Cioè?».
«Lo vedrai, mia cara».
«Che fai minacci?».
«Sì, brava. Hai capito le mie intenzioni».
Mi fece un cenno del capo prima di dirigersi verso la porta ed io lo guardai spaesata.
«Vuoi un passaggio a scuola più tardi?», mi chiese senza guardarmi.
«…emh, sì. Va bene».
Lui annuì e scomparve alla mia vista andando via. Quando rimasi da sola iniziai a saltellare dalla gioia per tutta la casa accendendo persino lo stereo al massimo de volume.
Quando fu ora misi il giubbino e presi lo zaino chiudendo la porta a chiave. Mia madre non aveva ancora fatto ritorno, forse era stata trattenuta al lavoro. Avevo sistemato la mia camera cancellando ogni traccia di Paul e avevo riordinato anche il salotto. Mi ero accorta che il cuscino dove aveva dormito e anche il suo posto, era intriso del suo odore ed ero rimasta immobile a respirarlo.
Riscesi i gradini della veranda e camminai lungo il sentiero prima di vedere Paul spuntare dietro la curva. Sgommò, impennò e infine si fermò a pochissimi centimetri dalle mie ginocchia con un grosso sorrisone.
«Ma sei scemo!», gli inveii contro.
«Rilassati». Mi tappò la bocca con un bacio che mi fece dimenticare il motivo per cui stavo urlando, il motivo per cui esistevo.
Sentii le sue mani calde sul mio viso e la sua bocca dolce che mi cercava con insistenza. Quando si staccò da me mi ritrovai imbambolata a fissarlo. «Non ci starai prendendo gusto a baciarmi?», chiesi quasi senza voce.
«Mai quanto te». Mi passò il casco e riaccese il motore, quindi non replicai anche perché non sapevo che cosa dire.
Effettivamente amavo i suoi baci e non avrei mai voluto smettere, quindi aveva ragione.
Lo abbracciai senza che stavolta me lo dicesse lui e in pochi minuti arrivammo a scuola. Sicuramente avremmo avuto addosso gli sguardi di tutti e per una volta l’idea mi piaceva. Almeno quelle galline avrebbero capito che era meglio se stavano alla larga, che a lui piacevo io e nessun’altra. Ma era davvero così? O alla prima occasione Paul sarebbe finito nel letto di qualcuna, con la stessa facilità con cui era finito nel mio?
Parcheggiò la moto e ad attenderci trovammo Jacob e Embry.
«Che fine hai fatto Paul? Sei sparito».
«Ne parliamo dopo, devo andare ora», disse in breve.
«Ciao Alex».
«Ciao ragazzi», li salutai.
Li lasciammo lì impalati come stoccafissi, ma a loro non sembrò pesare e pensai che con Paul ci fossero abituati a quell’atteggiamento.
«In che senso sei sparito?», chiesi stranita a Paul che faceva finta di niente.
«Dovevamo uscire insieme ieri sera, solo che io ero con te».
«Potevi dirglielo…», azzardai.
Lui mi gettò un’occhiata interrogativa e si strinse nelle spalle. «Figuriamoci se gliel’avrei detto. Manco morto».
«Qual è il tuo problema?», chiesi arrabbiata. Perché quel ragazzo doveva essere così stupido? Che c’era di male a dire i suoi amici che aveva trascorso il suo tempo con me, si vergognava? O lo prendevano in giro?
«Io non ho nessun problema».
«Invece sì, ed è evidente».
Non rispose ma mi afferrò la mano incrociando le dita alle mie. Il mio stomaco si contorse e sicuramente avevo l’espressione di uno spauracchio a causa di quel gesto improvviso e del tutto inaspettato. Lahote mi aveva preso la mano davanti a tutta quella gente?
Chi ci vedeva poteva scambiarci per una coppia di… fidanzati! Oh mio Dio, non respiravo più!
Guadai Paul di sottecchi e lui era tranquillissimo, il volto rilassato, gli occhi fissi davanti a sé, le spalle arcuate in quel modo sexy.
Respira Alex, stai per morire! Incitai me stessa.
Avevo dimenticato il motivo per cui ero arrabbiata e volevo prendere a pugni Lahote. Dovevo smetterla con queste amnesie improvvise.
«Ti vergogni di dirgli che eri con me?».
«No Alex, perché dovrei vergognarmi?».
«Perché sei un maschio e i maschi sono cretini fino al midollo».
«Non mi piacciono i commenti e li evito finché posso. Ora basta rompere con queste paranoie», disse sbuffando.
Tz, brutto cafone di un indiano.
Gli lasciai la mano e incrociai le braccia sul petto camminando per la mia strada, distante da lui. Ma non appena intercettai lo sguardo bramoso di qualche gallina che intercettava quello di Paul, gli tornai vicino e gli presi la mano stizzita. Ora mi toccava anche fargli da guardia del corpo. «Dovresti metterti un sacchetto in testa prima di venire a scuola», sibilai arrabbiata.
«Sì lo so», disse pieno di sé. «Attiro troppo l’attenzione».
«Sì infatti, la tua bruttezza è talmente appariscente che non fai altro che attirare sguardi indiscreti. Non vorrei che diventassi il bersaglio di un gruppo di bulli».
Paul si accigliò e mi diede uno schiaffetto sul muso. «Spari una marea di cazzate da quella bocca. Faresti prima a dire che sei gelosa marcia».
«Io?», scoppiai a ridere.
Mi aveva scoperto! Maledetto Lahote!
 
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti <3 Questi due sono sempre più pazzerelli. Ma chissà se Paul si è finalmente deciso a comportarsi da umano... mah vedremo!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e grazie infinite per le recensioni.
Al prossimo capitolo! 
-Carmen

 
 

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Capitolo 11
*** Una Coppia ***


Paul stava per venire a prendermi!
Oddio mi tremavano le ginocchia, non ci potevo credere. E chi l’avrebbe mai pensato che un indiano mi avrebbe fatto quell’effetto, proprio a me che venivo dal nuovo mondo.
Perché continuava a venirmi in mente il cartone animato di Pocahontas? Che diamine, i nostri ruoli erano diversi, nelle nostre condizioni sarei stata io il capitano Smith. E poi quella storia finiva male.
Mi strofinai il viso freneticamente, dovevo calmarmi a tutti i costi o Paul si sarebbe accorto del mio nervosismo e me l’avrebbe fatto pesare fino all’inverosimile.
M’infilai con la testa nell’armadio rendendomi conto che non ragionavo più secondo le mie volontà, ma stavo scegliendo i miei abiti in base a ciò che pensavo sarebbe piaciuto a Lahote. Che sconfitta! Ecco come arriva la distruzione di una donna: con l’innamoramento.
Sbarrai gli occhi coprendomi la bocca con una mano. Che cosa avevo pensato? Io innamorata? No, no, no! Mi ero sbagliata, era solo la maledizione indiana che mi stava sfinendo con gli ultimi attacchi a sorpresa.
Mi accasciai sul pavimento stringendomi le ginocchia fra le braccia. Non potevo essermi innamorata di Paul, non potevo. Era il ragazzo più disturbato e antipatico e pazzo che avessi mai conosciuto. Non sapeva nemmeno comportarsi con una ragazza, era uno zulù…
Che destino crudele che mi attendeva, mi ero rovinata con le mie stesse mani. Ero saltata in un burrone sapendo che sarei morta.
Scrollai le spalle e mi riscossi, forse non era vero che mi ero innamorata, ero sono invaghita e presa da lui per la serie di smancerie forzate a cui mi aveva sottoposto nell’ultimo giorno.
Ora che l’avrei rivisto, mi sarei resa conto che era una stupida cotta e che potevo ignorarla benissimo, uscendo con qualcun altro e immaginando anche di baciarlo quel qualcun altro.
Mi alzai e indossai una mini gonna che più mini non si poteva e anche una maglietta aderente con un piccolo scollo a V.
Ai ragazzi piaceva guardare le ragazze che andavano in giro con poca stoffa addosso, quindi a Paul sarei piaciuta. Ovviamente non ero volgare, non avevo le tette o il sedere di fuori, ero solo in tiro. E basta. Volevo fare colpo, ma non su Lahote, su qualcun altro che avrei incontrato per strada. I capelli li lasciai sciolti e non perché a Paul piacevano di più, ma solo perché erano puliti e la piega mi era venuta benissimo. Un po’ di trucco giusto per non sembrare un cadavere e poi degli stivaletti bassi.
Alex respira espira, respira espira. Ce la puoi fare.
Riscesi di sotto facendo meno rumore possibile, mia madre dormiva perché aveva avuto il turno di notte.
Lahote aveva detto che sarebbe venuto a prendermi alle cinque ed ero in orario. Forse era meglio farlo aspettare un po’.
Sono cotta, sono cotta!
Poi sentii il clacson della sua auto e il mio cuore mi diede il colpo di grazia. Che cosa avrebbe pensato chi ci avrebbe visto insieme? Che eravamo una coppia o degli amici? Che impressione davamo agli altri?
Deglutii e mi feci forza uscendo di casa, avevo dimenticato la sua cafonaggine di non sprecarsi nemmeno a suonare al campanello. Giusto io dovevo trovarlo uno de genere.
«Era ora!», disse con tono fastidioso il mio nemico. Era poggiato contro il cofano dell’auto e sembrava che stesse facendo uno di quei servizi fotografici per un giornale di moda. Gli mancavano gli occhiali da sole e qualcuno che gli spalmava l’olio sul corpo.
«Sono in perfetto orario», replicai dopo essermi ripresa dallo shock.
«Ho suonato ben due volte, non mi sembra carino farmi aspettare qui fuori al freddo e al gelo».
Sollevai un sopracciglio mentre lo raggiungevo. Tutto sommato ero calma, quei battibecchi erano un toccasana e tenevano a bada il mio nervosismo tramutandolo in rabbia violenta.
«Poverino, mi dispiace. La prossima volta resta in macchina e accendi il riscaldamento».
Vidi gli occhi di Paul scorrermi addosso con una strana luce. Mi si rizzarono i peli sulla nuca e lo ignorai, ma non mi riuscì bene.
«Vuoi farmi litigare con qualcuno oggi, Alex?».
«Perché mai?».
«So che vuoi fare colpo su di me», sghignazzò. «Ma se non ti vai a cambiare, con me non ci esci».
«Tu sei pazzo! Sono solo una gonna e una maglia!».
Lahote fece una smorfia e s’infilò in auto sbattendo anche la portiera fortissimo tanto che temetti che a momenti sarebbe caduta per terra.
Lo seguii e lo guardai furibonda. «Qual è il tuo problema?».
«Che sei nuda!».
«Cos’è ti fa schifo?».
Paul mi guardò spalancando gli occhi. «Se fossimo da soli, no. Non mi farebbe schifo. Ma visto che stiamo andando in centro e c’è pieno di gente… Va bene niente, andiamo e chiudiamo il discorso».
«No, tu ora continui!», dissi puntandogli un dito contro.
«Sei nella mia auto e non mi dai ordini. Allacciati la cintura piuttosto e non urlare ci sento il doppio di te, non vorrei che mi scoppiasse qualche timpano».
Incrociai le braccia sul petto e m’imbronciai, però la mia anima stava ballando la samba.
Lahote era geloso!  Bene, questo era un punto a mio favore.
«Dove mi porti?».
«A un combattimento di galline». Ah! Come quelle che lo inseguivano a scuola? O galline vere?
Lo guardai con orrore e lui mi ignorò. «Si scommette e si vincono dei soldi».
«Non riuscirai a convincermi, Paul».
«Tanto ci andiamo lo stesso».
Ma a Forks c’era un posto dove si organizzavano combattimenti di galline? Che crudeltà, non c’erano dei limiti. Forse facevano combattere anche dei teneri criceti.
I miei pensieri furono interrotti dalla sua risatina bastarda. Mi girai pronta a impalettarlo come si fa con i vampiri e lui mi attirò a sé baciandomi una guancia.
«Sei proprio scema certe volte».
«Tu sempre…», sussurrai in preda all’ansia. Dio, il suo odore era così buono, non avrei mai voluto staccarmi da lui.
«Ti pare che al nostro primo appuntamento ti porto a un combattimento di galline?», disse dolce.
Il mio sangue si riscaldò bruciando un po’ di veleno. «E dove mi porti?».
«Sono indeciso sul campo da bocce o un incontro di Sumo».
«A questo punto era meglio il combattimento di galline», grugnii abbassando le palpebre.
«Dio mio! Alle donne non va mai bene niente! Ti ho fatto ben tre proposte, Alex. Tre!».
«Voglio solo una cioccolata calda».
«E a me non mi vuoi?», mi sussurrò contro l’orecchio. Forse la sua frase non era stata del tutto grammaticalmente corretta... ma chi se ne fregava!
Il mio stomaco protestò. «No…».
«Non sei brava a dire le bugie».
Non risposi più o mi sarei cacciata in guai seri. Se si fosse accorto di quanto gli morivo dietro mi avrebbe fatto i chiodi.
Arrivati in centro posteggiò l’auto in un ampio parcheggio e come per miracolo mi aprì la portiera.
«Wow, adesso credo che potrei morire».
«Spiritosa».
Paul mi guardò per un attimo fisso e poi mi si avvicinò prendendomi il viso fra le mani.
Il suo sguardo ero intenso. Diverso.
Non avevo la più pallida idea di che cosa gli passasse per la testa ma per una volta non m’importava. Che volesse prendermi in giro di nuovo o volesse farmi notare le mie debolezze, al diavolo tutto.
Le sue labbra si posarono sulle mie dolcemente. Vidi i suoi occhi chiudersi e per una strana conseguenza li chiusi anche io.
Anche quel bacio era diverso. Sapeva di resa. Una resa in senso positivo. Ci misi qualche istante a capirlo, giusto il tempo che passasse il solito stordimento causato dalla sua vicinanza e del suo sapore che si mescolava al suo odore, al suo calore, ai suoi tocchi, creando uno dei mix più letali per me, capaci di portarmi a compiere dei gesti estremi. Ne ero sicura. E proprio come avevo pensato poco prima che venisse a prendermi per l’appuntamento, la mia testa formulò di nuovo quel pensiero: ero innamorata di lui. Ero innamorata di lui con tutta me stessa e non ci potevo fare niente.
Un’ulteriore conferma mi arrivava dall’assenza del mio solito sarcasmo, anche lui si era stancato di venirmi sempre in aiuto.
Gli circondai le spalle con le braccia e lo strinsi più forte di quello che avrei dovuto intrecciando poi le dita ai suoi capelli.
Volevo stare con lui. Nel senso che volevo starci insieme, volevo che diventassimo una coppia, che mi presentasse ai suoi amici come la sua ragazza. Volevo trascorrere le giornate con lui, volevo conoscere i suoi lati più profondi… i lati più intimi del suo carattere, quello che non mi mostrava mai per paura, per vergogna o per semplice stupidità.
Sentii le sue mani stringermi i fianchi, scorrermi sulla schiena e accarezzarmi i capelli.
Non appena avvertii le sue labbra che stavano per allontanarsi dalle mie, aprii gli occhi e lo trovai a fissarmi con quelle sue pupille scure e luminose così simili a quelle del mio lupo.
Oddio, dovevo essere un pessimo spettacolo. Mi aspettavo una delle sue battutine taglienti che a quel punto mi avrebbero fatto rimanere male e invece Paul, contro ogni mia aspettativa, stette in silenzio e mi abbozzò anche un sorriso. Sto sognando?
Che anche lui avvertisse che qualcosa fra di noi stava cambiando? Mi prese per mano e mi guidò lungo un marciapiede che fiancheggiava una strada trafficata con molti negozi.
Non avevo il coraggio neppure di fare una stupida domanda. Cercai la vecchia Alex dentro me, ma sentivo solo un lungo eco, nessuna risposta da lì dentro. L’unica cosa che avrei fatto volentieri e senza pensarci un attimo – oltre a buttarmi addosso a Paul e fare cose indicibili – era colpire con una palla da bowling tutte quelle stupide ragazze che non facevano altro che mangiarselo con gli occhi, facendole cadere come tanti birilli, e poi avrei completato l’opera salendoci sopra con un trattore.
Lui era mio! Mio! E soltanto mio! Paul Lahote e Alex Cinopri… fico.
Avrei cominciato a scrivere i nostri nomi dappertutto, ne ero certa.
«Il tuo silenzio mi preoccupa», disse all’improvviso.
«Davvero?», chiesi un po’ scettica. Solitamente ai maschi non piacevano quelle che parlavano in continuazione.
«I miei baci ti fanno questo effetto?».
«Già, come inalare gas soporifero, dovresti saperlo ormai». Ecco l’acidità era tornata in fretta.
Paul si girò attirandomi a sé e mi sollevò il mento con un dito. «Facci l’abitudine, piccola. Perché non ho nessuna intenzione di smettere», concluse baciandomi.
Bacio, piccola, facci l’abitudine, bacio, voce sexy, non ho nessuna intenzione di smettere, bacio.
«Che cosa vuoi dire?», chiesi senza fiato.
«Che d’ora in poi sei la mia ragazza».
Oh mio Dio! Sembrava che volesse mangiarmi da un momento all’altro e la cosa mi piaceva come non mai!
«Sono la tua ragazza», ripetei fra me e me.
«Non ti piace l’idea?», chiese accigliato storcendo quelle labbra bellissime.
«Sì, no… cioè».
Paul ridacchiò trascinandomi dentro a un bar affollato. «La tua risposta è stata chiarissima Alex. Per adesso non ti chiederò di farmi una dichiarazione in piena regola».
Ma che razza di usanze avevano in America? Si faceva ancora la dichiarazione come ai tempi di mio nonno? Davvero stravagante come cosa. A ogni modo, in Italia avevo avuto qualche straccio di storiella platonica e nessuno mi aveva chiesto di diventare la sua ragazza come aveva fatto Paul. Diciamo che lui aveva deciso che dovevo essere la sua ragazza senza avermelo chiesto, mentre gli altri mi avevano sempre fatto la domanda fatidica: ti vuoi mettere con me? Oppure, ti fa se ci frequentiamo fissi?
Oddio che cose patetiche!
«Non voglio la dichiarazione, Alex, stavo solo scherzando».
«Figuriamoci», borbottai.
Ci inoltrammo fra i pochi tavoli rotondi circondati da divanetti a mezza luna con l’imbottitura bordò. Ed io che pensavo che a momenti avrei visto uomini asiatici sovrappeso combattere prendendosi dalle mutandone bianche.
Paul si sedette e mentre lo raggiungevo mi prese dai fianchi portandomi sulle sue ginocchia. Un suo braccio mi circondò la vita e l’altro mi circondò le gambe come se volesse coprirmi.
Scoccai la lingua sul palato. «Che stai facendo?».
«Non vuoi stare in braccio a me?», chiese confuso.
«Sì che voglio», risposi troppo in fretta, maledetta me! «Intendo, con il braccio che stai facendo?».
«La tua gonna è schifosamente corta. Te l’avevo detto…».
Le mie barriere caddero definitivamente. Quel poco che erano rimaste si polverizzarono. Il fatto che evitasse il mio sguardo, che avesse pronunciato quelle parole con un piccolo broncio infischiandosene di apparire debole ai miei occhi, mi fece capitolare.
Strofinai il naso sulla sua guancia. «Sei geloso».
Eccola, sentivo di nuovo quella dannata voglia di coccole, di cose fra fidanzati, che fino ad allora mi ero solo limitata a immaginare o a guardare nei film.
«Io geloso?», ridacchiò senza convinzione.
Lo baciai ripetutamente sulle labbra, per niente disturbata dall’andirivieni dei clienti e da qualche paia di occhi indiscreti che ci osservava.
«Allora, non ti darà fastidio sapere che l’appuntamento con Chris è soltanto rimandato, vero?».
«No infatti…», sussurrò toccandomi appena le labbra con la lingua. «Aspetta che cos’hai detto? Esci con Chris?».
«Esatto».
«Ma non se ne parla proprio. Tu ora sei la mia ragazza», disse con tono nervoso.
Lo strinsi forte a me baciandolo fino al collo. Avvertii la pelle d’oca sul suo corpo, la vidi: piccoli puntini sollevati sulla nuca. Ma prima che potessi dire altro, Paul m’interruppe.  «Che diavolo ci fa mio padre qui?».
Seguii il suo sguardo e davanti alla porta dell’entrata, notai un uomo alto e ben piazzato con i capelli appena brizzolati sulle tempie e la carnagione scura, aveva gli stessi occhi di Paul. E al suo fianco c’era… «Quella è mia madre!», esclamai sorpresa.
«Hmm… bene, bene», mormorò Paul malizioso. «Bel bocconcino tua madre, meglio di come l’immaginavo».
«Non essere idiota», sibilai pizzicandogli un fianco e nascondendomi subito dietro a un menù. «Siamo nei guai! I nostri genitori non possono uscire insieme!».
«Quali guai?», disse Paul sorridente. «Questa è una gran botta di cu… fortuna».
Oh certo, solo per la sua mente contorta e deviata poteva essere un colpo di fortuna. Per la mia no!
 


Angolino Autrice

Oh oh, ma questi due stanno facendo le cose serie? Non ci credo!  A ogni modo, Paul sembra che si sia un po' calmato con la stronzagine e lo stesso anche la nostra Alex. Che cosa succederà nel prossimo capitolo? Ehehehe rideremo, ve lo anticipo!
Ringrazio tutti voi lettori e coloro che mi hanno lasciato delle splendide recensioni <3
Grazie alla mia cuoricina soprattutto <3
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Una Scampata Frittata ***


Osservai minuziosamente i movimenti che compiva mia madre al fianco del padre di Paul.
Ma come ci ero finita in quella situazione? Tutte a me dovevano capitare.
Quella era una tresca e io non ne sapevo nulla e brava mammina! Da quando in qua usciva con qualcuno e non mi diceva niente? Pensandoci bene da quando lei e mio padre avevano divorziato non l’avevo più vista con nessuno, ma in fondo pensavo che qualche appuntamento seppur sporadico lo avesse avuto.
«Avete lo stesso sedere», mormorò Paul strappandomi alle mie riflessioni. «Anzi, il tuo è più grosso».
Spalancai la bocca dandogli una gomitata sul petto e poi toccandomi dolorante. «Che buzzurro che sei! La galanteria non è il tuo forte».
Lui fece un’espressione spaesata come se non capisse perché lo avevo rimproverato. A volte mi chiedevo se c’era o ci faceva. Che imbecille.
«Pensa se si mettono insieme», ridacchiò Paul nascondendosi dietro a un menù imitando la mia azione.
«Diventeremmo fratellastri», gracchiai inorridita.
«Già», rise ancora. «Non è meraviglioso? Potrei entrare e uscire dalla tua camera da letto, senza problemi. Magari condivideremo anche lo stesso bagno».
«Piuttosto mi taglio la testa, Paul».
«E faremo la doccia insieme…».
«Mi faccio impalettare come un vampiro piuttosto».
Alla mia frase Paul socchiuse gli occhi storcendo appena le labbra. «Che cosa hai detto?».
«Sai che cosa sono i vampiri, Lahote?».
Lui sollevò le sopracciglia e si strinse nelle spalle.
«Forse a La Push non è ancora arrivata questo tipo di conoscenza, comunque i vampiri sono quegli uomini che succhiano il sangue ad altri uomini per vivere. Se li vuoi uccidere devi trafiggergli il cuore con un paletto di legno».
«Ma parli sul serio?».
«Certo!», allargai le braccia esasperata. Ma che problema aveva? Sembrava che vivesse su un altro pianeta.
«Grazie per l’informazione, ne terrò conto».
Un cameriere si presentò al nostro tavolo con un block-notes e una penna fra le dita.
«Che cosa prendete?», ci chiese con un sorriso.
Sentii la mano di Paul scorrere sulla mia coscia mentre si chinava appena su di me. «Cioccolata calda allora?».
«Sì», confermai guardando per un attimo la sua mano. Mi piaceva la confidenza con cui mi toccava, come se fossi sua. Sentii il sangue che veloce affluiva dal mio petto fino al viso.
Bevemmo la cioccolata, mentre il locale diventava sempre più affollato. Compagnie di amici e coppie di fidanzati ci circondavano, alcuni chiacchieravamo, altri ridevano prendendosi in giro.
Mia madre e il padre di Paul erano nell’angolo opposto della sala e ogni tanto gli gettavo un’occhiata incuriosita pronta a stupirmi se avessi visto delle… affettuosità, però non ne vidi. Erano vicini e si sorridevano, ma non si avvicinarono mai superando la soglia di sicurezza. Al suo contrario io non perdevo occasione per avvinghiarmi al corpo gigante di Paul, a volte con delle stupide scuse, altre volte per malmenarlo.
Mi prese il mento e mi baciò a stampo lentamente. «Questo è quello che dovremmo fare», quasi mi rimproverò.
«Ah… e perché non lo facciamo?».
«Perché tu non la smetti di usarmi come sacco da boxe».
Wow, che idea! Avrei potuto appenderlo nudo al soffitto della mia camera e poi giocare con lui a prenderlo a pugni oppure a torturarlo… in modo piacevole però.
Ma Alex! Che pensieri sconci!
Lo attirai e me prendendogli il viso fra le mani. Toccarlo, baciarlo e stargli accanto stava diventando terribilmente facile, tanto che pensai che quando non saremmo stati insieme, avrei avvertito la sua mancanza.
«Il fatto è… che non baci molto bene Paul».
Lui allargò un sorriso. «Sì, come no».
«Lo sai che sono sincera».
«Nemmeno quel babbeo di Seth ti crederebbe».
Scoccai la lingua sul palato e mi scostai i capelli dietro la schiena e vidi lo sguardo di Paul spostarsi dai miei occhi. «I nostri genitori stanno andando via».
«Seguiamoli!», esclami scattando in piedi.
«Alex sei impazzita! Se dovessero andare a fare sesso da qualche parte, vuoi che rimanga scioccato?».
Senza badare alle sue parole, lo trascinai da un braccio al loro inseguimento.
Dovevo assolutamente sapere che cosa stesse combinando mia madre!
Camminammo dietro di loro lungo il marciapiede del centro, rimanendo a qualche decina di metri di distanza. Ancora tutto tranquillo, niente effusioni, sfioramenti né ammiccamenti. Semplice normalità. «Paul, forse è un’uscita tra amici», ipotizzai stranita.
«Ti dico soltanto… tale figlio tale padre».
Gli diedi una gomitata, una delle tante. «Casomai è il contrario e comunque non fare il latin lover della situazione, sei solo un bamboccio con gli ormoni in subbuglio che non sa nemmeno come comportarsi con una ragazza. Ti ricordo che abbiamo dormito insieme ed io ero quasi nuda e non mi hai nemmeno sfiorato. Poppante», dissi tutt’un fiato.
Solo dopo qualche istante di silenzio mi accorsi di che cosa avevo detto. Mi ero forse rincretinita? Mai stuzzicare uno come Lahote, era capace di tutto!
«A dire il vero ti ho toccato e mi sono fermato», disse con tono leggero, le mani in tasca. «Volevo farti capire che non ero lì per quello, comunque se avessi insistito solo un po’ tu avresti ceduto».
Scoppiai a ridere. «Cosa te lo fa credere?».
«Intuito maschile», asserì stringendosi nelle spalle. «Senti, ma dobbiamo seguirli ancora per molto?».
Da quando in qua i maschi avevano l’intuito? Dovevo andare a La Push per sentire la stronzata del secolo.
«Paul! Ma è mia madre! Potrebbe accaderle qualcosa di brutto».
«Non è un assassino mio padre, sai? E tua madre è un’adulta. Inoltre credo che le farebbe piacere infrattarsi con qualcuno».
Prima che potessi colpirlo, mi avvolse con le braccia sollevandomi e premendo la bocca sulla mia. La mia rabbia si dissolse all’istante e mi sentii leggera.
«Andiamo a fare un giro e poi ti riaccompagno a casa, fra un po’ ho impegno».
M’imbronciai. Uffa, eravamo stati insieme così poco e poi che impegno aveva? Più importante di me che ero la sua ragazza adesso?
Mi imposi di non chiederglielo, fare la fidanzatina gelosa non era nelle mie corde e poi figuriamoci se mi fossi sprecata a dargli una soddisfazione simile. Quel Lahote era capace di costruirsi una statua da solo, tanto era pieno di sé.
Entrammo in auto e mi allacciai la cintura mordicchiandomi le labbra.
«Che impegno hai?».
Lo vidi togliere il freno a mano e poi ingranare la marcia, con quel suo stile disinvolto e sexy. Sentii ancora quella vocina che mi urlava: saltagli addosso, subito!
«Niente di che», rispose vacuo.
«Se ti annoi con me basta dirlo».
Disgraziata Alex! In quel momento mi venne in mente una frase che i miei bisnonni dicevano spesso quando erano ancora vivi e io avevo all’incirca sette anni. Tanto mi traumatizzò quel modo di dire che non dimenticai mai quelle parole: ti strappo il cuore dal petto e lo mangio.
Ecco, quello avrei dovuto fare con me stessa invece che parlare.
«Io mi diverto con te», disse tranquillo. Il suo tono mi sembrò sincero. «Ammetto che mi diverto di più quando dormi, però…».
Ecco, ti pareva. «Perché non parlo?», ruggii.
«No», mi gettò un’occhiata maliziosa. «Ti lasci… toccare senza opporti in continuazione».
«Che cosa?!», urlai.
«Secondo te era possibile che trascorressi la notte con te senza toccarti?», scoppiò a ridere mentre facevamo qualche giro in città, nelle vie più trafficate.
«Stai scherzando?!».
Lui non rispose, ma mi avvolse la vita per portarmi vicino a sé e mordermi una guancia.
«Come fai a dubitare delle mie parole?», continuò imperterrito.
«Ti credo», dissi assecondandolo. Era ora che la facesse finita prima che gli strappassi il cuore dal petto e lo mangiassi. «Peccato che tu non abbia avuto il coraggio di farlo quando io ero ancora sveglia…», gli poggiai una mano sulla coscia e lo accarezzai risalendo lentamente.
Lo sguardo di Paul si adombrò e la sua presa si rafforzò. Intuii che volesse dire qualcosa, ma rimase in silenzio, senza replicare.
Wow! Ecco il modo per farlo tacere, sedurlo!
Che arma che avevo scoperto!
Sentii la sua bocca che mi cercava e gli diedi ciò che voleva, fino a qualche secondo prima che un violento colpo di clacson ci fece sobbalzare.
Paul imprecò e sterzò bruscamente fermando l’auto sul ciglio della strada mentre dal lato opposto la stessa cosa fece un’altra vettura, accendendo le doppie frecce.
«Per poco non facevo una frittata», disse Paul per niente preoccupato. Si accinse a scendere dall’auto così lo seguii e quando davanti a noi vidi i nostri genitori pronti a iniziare una specie di guerriglia, mi sbattei una mano in faccia.
Di male in peggio.
 
 
 
Angolino Autrice

Mi sa che Alex e Paul si sono appena messi nei guai ahahah, nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle.
Volevo specificare che in questa storia l'imprinting non esiste, non è una pecurialità che possiedono i lupi.
Ringrazio Alessandra per il suo stimolo costante a farmi scrivere <3 <3 <3
Al prossimo capitolo!!!
 

 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Tutti Insieme Malauguratamente ***


Mia madre non appena mi vide si trasformò in una specie di mostro, tipo Medusa. Le mancavano solo i serpenti in testa ed era l’esatta fotocopia malefica.
«Stavate pomiciando mentre guidava?!», sbottò isterica, con i miei stessi occhi verdi spalancati dall’orrore e dalla sorpresa e i capelli anch’essi del mio stesso colore sciolti sulla schiena.
«Io…».
«Ma ovviamente no!», esclamò Paul mentre con l’espressione seria scrutava i nostri genitori uno a fianco all’altro di fronte a noi.
«Imbecille vi abbiamo visto», replicò subito suo padre fulminandolo con un’occhiataccia.

Paul mi gettò uno sguardo veloce, poi si grattò una guancia.
Oddio! Non aveva niente da dire a nostra discolpa! Dovevo assolutamente concordare con suo padre, era un imbecille.
«Quante volte ti ho detto che non devi fare idiozie quando sei alla guida? Specie se c’è qualcuno con te?».
«Avevo tutto sotto controllo, papà».
«Sì, immagino. Con quale parte del tuo corpo stavi controllando tutto?».
Mi strozzai con la saliva e iniziai a tossire freneticamente rischiando di morire soffocata. Ma come poteva dire certe cose!
Anche il Signor Lahote doveva essere uno con poco sale in zucca, altrimenti Paul da chi aveva ereditato le sue infallibili doti?
Pensavo che mia madre avesse la mia stessa reazione e invece la vidi annuire a labbra strette accordando col suo amico… o ragazzo.
Ma ragazzo si può dire quando si sorpassa una certa età? Oppure si dice sin da subito fidanzato, il tipo o uno che frequento?
«Papà! Non ci credo che mi fai queste domande!».
«Sembra che io abbia cresciuto un animale più che un figlio», borbottò adirato verso mia madre che incrociò le braccia sul petto.
«E io? Che cosa dovrei dire? Sembra che abbia cresciuto un’ochetta che non pensa prima di agire».
Sollevai un sopracciglio. Mia madre mi aveva dato dell’ochetta?! Ochetta, diminuitivo, riduttivo, dispregiativo o quel che sia di oca?
Oh mio Dio! Ma nell’ospedale in cui lavorava le avevano fatto qualche esperimento? Era forse impazzita? Oppure il padre di Lahote aveva indirizzato il suo flusso malefico su di lei?
«Aspettate qui, fermi», iniziò mia madre furente prima di toccare delicatamente il braccio del suo amico esortandolo a seguirla.
Si allontanarono di qualche metro e iniziarono a parlottare fra di loro.
A quel punto mi voltai verso Paul che sembrava concentrato a pensare. Quanto impegno per una cosa che non gli sarebbe mai riuscita.
«Paul!», sibilai.
«Sta zitta! Sto ascoltando ciò che dicono!».
Lo guardai con una smorfia e poi mi voltai verso i nostri genitori. Col rumore delle auto che passavano e la distanza, non si sentiva un emerito niente. Paul era un cretino, ormai era evidente e nemmeno nelle situazioni più gravi la smetteva di fare il buffone.
«Non si sente un bel niente, piantala di fare lo scemo».
«Shh!», mi ammonì.
Sbattei un piede in terra a ritmo di una marcia funebre che mi echeggiava nella mente e aspettai che qualcuno donasse segni di vita. E chi l’avrebbe mai pensato che avrei evitato per un soffio un probabile incidente mortale nel paese delle Forchette, mentre baciavo un indiano mutante che mi aveva lanciato una maledizione?
Ah… come rimpiangevo la mia bella Italia.
Se fossi ritornata con quel bagaglio di esperienza sarei diventata subito una donna di spettacolo o del cinema, del calibro di Monica Bellucci.
«Si prospetta una serata interessante», gongolò Paul con un sorrisetto di traverso.
«Più interessante di questa?».
«Stasera ceneremo insieme».
«Paul, grazie per il tuo slancio fuori luogo di galanteria, ma credo che se mi azzardo a dire una cosa del genere a mia madre, mi dà un colpo in testa e mi butta in un pozzo».
«Non era un invito», disse Paul. «Mio padre e tua madre lo hanno deciso e avverrà a casa mia».
Aprii la bocca scioccata da quella rivelazione. Ma erano tutti impazziti? Possibile che fossi rimasta solo io quella sana di mente?
Una cena da Lahote era assolutamente fuori luogo! Da escludere a priori! Per la mia sanità mentale dovevano ritornare nelle nostre accoglienti mura domestiche e fare uno di quei discorsi madre figlia, sull’importanza della vita.
«Non vedo l’ora di farti vedere il mio letto», ammiccò divertito.
«E io non vedo l’ora di dire a tuo padre che sei gay».
«Ci ha appena beccato che ci baciavamo, Alex».
«Non me lo ricordare», dissi tappandomi le orecchie. «Comunque io sono molto convincente se voglio e non escluderei che tuo padre mi creda».
Paul non replicò limitandosi a scoccare la lingua sul palato con disappunto.
Restammo per qualche minuto in silenzio, mentre i nostri genitori continuavano a parlottare tra di loro. Sembrava che stessi aspettando una sentenza di morte, ma perché non la piantavano? Non era successo niente di grave e visto che facevano tante storie, mi sarei messa d’impegno e avrei fatto un fioretto promettendo di non fare più cose pericolose.
Il Re e la Regina cattiva ci raggiunsero tutti impettiti col mento all’insù. Fu il padre di Paul a parlare, mia madre si limitò a fulminarmi come per dire ogni parola che dirai potrà essere usata contro di te in tribunale. Pensa te! Che madre screanzata.
«Ora vi infilate in macchina e ci precedete sulla strada. Non superare i venti miglia orari e dirigiti a casa nostra, porta Alex con te», ordinò il padre di Paul con tono serio.
Allora Lahote non mi aveva preso in giro. Ma come diavolo aveva fatto ad ascoltare i loro discorsi da quella distanza? Forse lui e suo padre avevano organizzato tutto per attirarci nella loro trappola e ucciderci esportandoci gli organi e vendendoli ai trafficanti messicani.
«Va bene papà, ci vediamo a casa», rispose come un figlio provetto. «Però se non supero i venti miglia orari, arrivo a mezzanotte».
«Piantala e sali su quell’auto».
«Seguilo», m’intimò mia madre. «E ragiona sulle tue azioni».
M’imbronciai e tornai nell’abitacolo allacciandomi la cintura e mantenendo il doppio della distanza di sicurezza da Paul.
Era sempre colpa sua, uffa.
Ora sarei morta d’imbarazzo in casa sua, qualunque cosa i nostri genitori avessero intenzione di fare. Sperai che almeno si fosse sbagliato riguardo alla cena. Non potevo mangiare davanti a Paul! Io tendevo a sbrodolarmi…
Purtroppo come temevo il percorso fino al villaggio durò pochissimo, tanto che non ebbi nemmeno il tempo di riordinare i pensieri.
Sicuramente dopo quella serata avrei tolto mia madre dallo stato di famiglia.
Parcheggiamo all’unisono davanti il piccolo portico di casa, il Re e la Regina ci precedettero e mi accorsi con che disinvoltura mia madre entrava nell’abitazione facendomi capire che non era la prima volta che era lì. E brava mammina! Anche le tresche adesso!
Quando arrivai sull’uscio mi bloccai e Paul dietro di me, mi venne a sbattere.
«Che ti prende?».
«Non posso entrare», dissi risoluta.
«Perché mai?»,
«Perché qualcuno mi deve invitare… come si fa con i vampiri»,
Paul mi sorpassò guardandomi quasi schifato. «Ma che diavolo di problema hai?», poi si dileguò lungo il corridoio lasciandomi lì impalata come un’ebete. E io che mi aspettavo il suo sostegno!
Patetica! Non sei mica in una favola!
«Puoi entrare», dissi a me stessa. «Tanto il tuo destino è già segnato».
Raggiunsi il piccolo salotto dove mia madre e il Signor Lahote mi aspettavano in piedi con sguardo truce da assassini. Pensai che avessero messo Paul già in ginocchio sui ceci, ma era beatamente seduto sul divano.
Sorpassai una credenza di legno sopra alla quale c’era una fotografia di Paul da bambino in primo piano con un sorriso sdentato.
Ah bene, anche lui era stato bambino. Ed io che pensavo che fosse stato sempre in quel modo.
Mi sedetti accanto a lui e ancora una volta fu suo padre a iniziare uno sproloquio che sarebbe stato infinito, ma visto che non prevedevo il futuro, non lo sapevo ancora.
A ogni modo ascoltai a tratti, la mia mente e il mio corpo erano troppo stanchi. Avevo appena trascorso delle ore in compagnia di Paul e nessuno di loro due sapeva che cosa significava, lo spossamento che causava al mio debole corpo di quasi diciassettenne.
Siete degli irresponsabili, potevate rimanere feriti o ferire qualcun altro. I miei insegnamenti di anni e anni sono andati in fumo. Cresci figli e cresci porci.(Questo l’aveva detto mia madre, perché è un detto italiano). Siete ormai grandi e dovete capire l’importanza di certe cose. Sei in punizione. (Ecco di nuovo la vipera). La tua auto è sequestrata a tempo indeterminato. Se la tua pagella sarà insufficiente di toglierò anche la moto. E toglierò la Tv via cavo. (Eccola di nuovo! Io non potevo perdermi i programmi su Disney Channel! Amavo il mondo di Patty!). D’ora in poi non chiedermi più soldi, vai a spaccare legna! E ti assegnerò le faccende di casa!
Quando finalmente finirono sembrava che mi avessero infilato in una lavatrice. Mi chiesi quanto tempo fosse trascorso, ore? Giorni?
I big, si dileguarono per andare non so dove e io rimasi a fianco a Paul a sbattere le ciglia come fanno quei bambolocci elettronici che poi dicono anche le frasi. «Ho fame. Ti voglio bene. Pupù. Coccole.».
«Che diavolo stai dicendo?», sbottò Paul esasperato buttando la testa all’indietro sullo schienale.
«Niente. Comunque volevo sapere se ci hanno ordinato di rimanere qui seduti».
«Ovvio che no».
«Dove sono andati adesso?».
«A preparare qualcosa per la cena». Oh no!
Mi avvicinai un altro po’ a lui finché il mio ginocchio non sfiorò il suo. «Paul, perché si sono alleati contro di noi? Non mi sembra giusto…».
«Vanno a letto insieme e Dio solo sa che cosa si sono messi in testa».
«Non è vero», dissi schifata.
«Oh sì che è vero. Io lo fiuto a un miglio o anche più. Quei due stanno insieme e fin’ora lo hanno tenuto ben nascosto».
«Dobbiamo fare qualcosa o ci distruggeranno».
Paul ghignò prima che i nostri genitori ci richiamassero, intimandoci di raggiungerli.
Ci obbligarono ad apparecchiare la tavola e poi a sederci, in pratica ci trattavano come burattini. Se non fossi stata in difetto avrei preso la situazione di petto e avrei cercato di risolvere a quattr’occhi con mia madre. A ogni modo, la signorina doveva raccontarmi un sacco di cose. Non esiste che dopo qualche mese che arriviamo in un posto nuovo lei fa la tresca con uno sconosciuto e nemmeno me lo accenna, scherziamo? Avrei potuto subire seri danni psicologici che mi avrebbero indotto a fare uso di stupefacenti o atti di bullismo.
Deglutii quando tutti e quattro ci sedemmo intorno al piccolo tavolo rotondo.
Nei piatti spiccavano dei pisellini e un polpettone ripieno opera di mia madre, figuriamoci.
Mangiammo per un po’, per fortuna anche i Lahote non facevano la preghiera prima di un pasto e pensai a quel punto che forse gli indiani non avevano una religione.
«Allora», iniziò mia madre. «Voi due siete fidanzati?».
Il polpettone si fermò a metà gola e lo deglutii dopo un tempo inimmaginabile. Che invadenza!
Io non risposi, Paul nemmeno.
«Rispondete su, nessuno vi uccide». Oh, io non ci avrei giurato.
«Fidanzati come… quelle cose serie, con l’anello, promessi sposi, progetti…», la voce di Paul si affievolì.
«No. Semplicemente, state insieme?».
«Sì».
Bravo il mio ometto gigante, aveva preso in mano la situazione; non appena fossimo rimasti da soli, lo avrei ricompensato come si deve.
«Alex, non me ne avevi parlato», asserì mia madre con tono più gentile adesso.
«Nemmeno tu mammina», risposi acida sbattendo le ciglia adorabilmente.
«Le cose da adulti sono differenti», mi ammonì con la voce, cosicché non replicai più e tornammo in silenzio per qualche minuto.
«Quindi voi due fate sesso», costatò il Signor Lahote con la stessa delicatezza di una gru che scava una fossa.
«Emh».
«Paul a proposito di questo devo farti un discorsetto ed è bene che ascolti anche tu Alex».
«No, questo no, per favore!», urlai disperata. Sarebbe stato meglio l’olio di ricino, l’asportazione del fegato senza anestesia e i marchi  di fuoco sulla faccia.
«Papà, non c’è bisogno. Sei arrivato tardi, ci ho già pensato da me a informarmi».
«Ma io devo essere certo che tu sappia tutto correttamente».
Oh mio Dio! Dovevo fare qualcosa per uscire da quel circolo vizioso o sarei morta.
Mi toccai lo stomaco con una smorfia. «Ho la nausea».
E poi corsi in bagno a tutta velocità chiudendomi a chiave. Mi sembrò un’azione intelligente, sul serio.
Solo dopo capii che mi ero cacciata in un altro guaio perché accorgendomi di un chiacchiericcio nel corridoio, mi ero appoggiata alla porta con l’orecchio e avevo sentito qualcosa che mi scioccò.
«Ha la nausea… è incinta»,
Dio aiutami tu!
 
 
 
Angolino Autrice

Ciao a voi! Ho riso rileggendo il capitolo, forse si intravede un po' la mia passione per TVD ahaha :)
Le cose per i piccioncini sembrano complicarsi un po', ma forse Paul con la sua intelligenza fuori dal comune riuscirà a venirne fuori illeso. Forse.
Grazie a tutti voi che leggete e recensite la storia <3
Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Una Brutta Faccenda ***



Per tutto il tragitto verso casa io e mia madre non ci eravamo scambiati nemmeno una parola.
Ero uscita viva da quella cena improvvisata e del tutto inaspettata a casa Lahote, dove avevo scampato un linciaggio per aver pomiciato alla guida di un auto mettendo a repentaglio l’umanità; avevo scampato un discorso sulla contraccezione che avrebbe fatto rabbrividire persino uno scheletro senza pelle ed ero riuscita a convincere mia madre che ero vergine!
Mi chiedo come potesse solo pensare che fossi incinta. Avevo finto di avere la nausea solo per quell’improbabile discorso che lei e il suo ragazzo, volevano farci.
Siamo nel 2013.  Chi vuoi che non sappia come si pratica sesso sicuro? Cominciano dall’elementari a fare vedere stupidi libri illustrati sul corpo umano e sulla riproduzione…
Ecco perché i giovani sono deviati e non pensano ad altro.
Ero arrabbiatissima con lei, anche se era del tutto irrilevante.
«Comunque sei in punizione», iniziò con tono intimidatorio che a detta di Paul avrebbe fatto paura solo a un baco da seta.
«Che cosa?», sbottai spalancando la bocca nello stesso istante in cui lei spalancava la porta di casa. «E che cosa avrei fatto?».
Mia madre mi gettò un’occhiataccia, lasciò le chiavi sul tavolino dell’entrata e si diresse su per le scale, verso la sua camera da letto. «Oltre a fare cose pericolose alla guida?».
«Ma Paul aveva tutto sotto controllo!».
«Certo, come se io non fossi stata un’adolescente prima di te».
Che discorsi faceva? Il padre di Paul le aveva deviato la mente, porca miseria.
«Quindi, quale sarebbe la mia punizione?», chiesi inacidita, incrociando le braccia sul petto.
«Una settimana in cui farai solo casa e scuola».
Sbarrai gli occhi. «Mamma, non puoi farmi questo!».
«Oh sì che posso, sono tua madre».
Non poteva essere che avessi una sfiga così grossa. Stare una settimana in punizione significava non vedere Fuffy e lasciare Paul allo sbaraglio. Già mi immaginavo tutte quelle brutte galline che gli ronzavano intorno e lui che si gasava con un brutto pollo dominante. Dovevo uscire da quella situazione al più presto, altrimenti il mio fidanzamento non sarebbe durato nemmeno tre giorni.
«Non è giusto, la mia vita sociale ne risentirà e i miei amici mi allontaneranno. Mi ritroverò da sola presa di mira dai bulli e i miei voti caleranno. E mi verrà la depressione».
«Quanto blateri», borbottò mia madre. «Comunque rassegnati perché avresti dovuto avere più giorni di punizione, visto che non mi hai detto neppure che stavi con Paul».
«Ma ci siamo messi insieme solo oggi. E poi tu non mi hai detto niente della tua relazione col Signor Lahote, quindi siamo pari», la seguii fino a poggiarmi allo stipite della sua stanza.
«Io sono adulta, grande e vaccinata tesoro. Tu sei ancora un’adolescente e fra me e Joshua c’è solo una bella amicizia».
«Andiamo mamma, vuoi prendermi in giro? Guarda che ce ne siamo accordi anche io e Paul che c’è dell’altro. Noi che siamo adolescenti», rimarcai l’ultima parola.
«Sta crescendo qualcosa», disse con tono incerto infilandosi il pigiama. «Ma ti ripeto, sono cose da adulti».
«E perché le mie non possono essere cose da adolescenti?», mi sembrava giusto come ragionamento o no?
Mia madre sospirò e si avvicinò accarezzandomi i capelli. «Tesoro, cerco solo di proteggerti. Quando sarai madre anche tu, mi capirai. Adesso comprendo la tua arrabbiatura, ma credimi ti servirà».
Quindi dovevo aspettare altri quindici anni per capire le sue motivazioni? Non era un po’ troppo?
«Non è giusto!».
«Invece è giustissimo e ora fila a letto che è tardi», asserì baciandomi la fronte.
Sospirai rassegnandomi. Tanto lo sapevo bene che non le avrei fatto cambiare idea per niente al mondo. Mah, forse aveva ragione lei comunque era ingiusto che mi prendessi una punizione per aver fatto una sciocchezza. Perché mia madre non era come quelle che si vedevano nei telefilm? Bastavano delle scuse e giurare di non fare più la marachella e tutto finiva. Invece lei a momenti mi fustigava.
«Ti piace sul serio?», chiesi sollevandomi i capelli in uno chignon.
«Sì», ammise senza mezzi termini.
«Anche a me… anche a me piace sul serio Paul», ragionai grattandomi il mento. «Mamma sai che cosa credo?».
«No, Alex. Dimmi pure», rispose esasperata infilandosi sotto le coperte.
«Che è una cosa impossibile, hanno preso due piccioni con una fava. A questo punto credo davvero che siamo vittime di una maledizione».
Mia madre sospirò e chiuse l’ abat-jour  sul comodino. «Vai a letto altrimenti la tua punizione sarà eterna».
«Posso dormire con te?», chiesi con tono mieloso.
«Certo, ma non credere di potermi fare cambiare idea».
«Hmm… allora mi risparmierò una notte insonne visti i tuoi discorsetti extrasensoriali che fai durante il sonno. Dormi bene!», la derisi soddisfatta e poi le richiusi la porta sentendo i suoi grugniti di disapprovazione.
Perché era così bello prendere in giro un genitore? Ahahah! Poi visto la punizione che mi aveva affibbiato c’era ancora più gusto nel farlo.
La mia euforia svanì in un battibaleno, giusto il tempo di raggiungere la mia stanza con le pareti tappezzate delle foto del mio lupo.
Uffa… non volevo quella maledetta punizione, mi avrebbe fatto stare lontano da Paul e da Fuffy e non volevo, senza di me rischiavano grosso, ognuno per differenti motivi: il lupo sarebbe potuto morire di fame e Paul soffocato dalle ragazze che gli si buttavano addosso.
Prima di riaddormentarmi decisi che avrei trovato un modo di vederli a tutti i costi, al diavolo la punizione. 
Mi sarei trasformata in cat woman come facevo da bambina…
 
Che destino avverso il mio.
Erano tre giorni che pioveva a dirotto e di andare nel bosco non se ne parlava proprio. Il mio lupo doveva arrangiarsi da solo uccidendo qualche tenero scoiattolo, per i miei manicaretti avrebbe dovuto aspettare.
Paul invece non si era visto proprio né a scuola né in nessun altro posto, tipo la mia camera. Non mi aveva neppure fatto una telefonata e il suo cellulare era perennemente spento.
Quel pensiero mi fece sprofondare nella tristezza e nel terrore più assoluto. E se suo padre lo avesse convinto a chiudere con me per via della sua relazione con mia madre? Magari gli aveva detto che non ne poteva uscire niente di buono vista la situazione e lui si era lasciato trascinare.
Deglutii accasciandomi su una delle sedie della nostra piccola cucina. Non si comporta così un vero fidanzato… non sparisce per tre giorni senza preoccuparsi di te.
Avevo una strana sensazione che serpeggiava in fondo al mio stomaco. E se mi avesse lasciato?
No, non poteva! Maledetto indiano! Non poteva avermi fatto innamorare di lui e mollarmi dopo tre giorni.
Afferrai il cellulare e gli mandai un sms. Solo dopo mi accorsi di quanto fosse patetico, ma non avevo il potere di tornare indietro nel tempo.  
 
Se mi vuoi lasciare basta dirlo.
 
Poggiai il cellulare sul tavolo e guardai l’orologio alla parete, segnava le due del pomeriggio. Mia madre sarebbe tornata alle sette dal lavoro, per cui avevo cinque ore di libertà.
Sapevo bene che avrebbe potuto telefonare da un momento all’altro per accertarsi che fossi realmente a casa, come aveva già fatto nei giorni scorsi. Però forse avrei potuto inventare la scusa che dormivo o ero sotto la doccia. O avrei preso un’altra settimana di punizione per aver disobbedito, ma a quel punto non me ne importava. Se Paul mi avesse lasciato la mia voglia di uscire sarebbe stata pari a zero e avrei potuto vedere il mio lupo lo stesso incontrandolo di mattina presto.
Infilai la giacca e corsi verso la casa di Paul, dovevo sapere. Dovevo sapere e basta. Perché non voleva più parlare con me, perché non veniva a scuola?
Forse era malato… sì ma il tempo e la forza per un sms avrebbe dovuto averli lo stesso, non costava fatica pigiare cinque volte i tasti del cellulare. Ciao sono vivo.
M’infilai il cappotto e gli stivaletti e corsi sotto la pioggia come una disperata per raggiungere in fretta la casa di Paul. Più che cat woman dovevo sembrare un pesce fuor d’acqua che annaspa, ma non ci pensiamo adesso. Il mio tentativo di bagnarmi poco, ovviamente non funzionò e una volta di fronte all’abitazione rossa, mi ritrovai a sollevare un sopracciglio.
«Alex… che cosa ci fai qui?», mi chiese Jacob sorpreso quanto me.
«E tu che cosa ci fai qui?», lo osservai partendo dalla testa e finendo al bordo dei sui calzoncini. «E che cosa diavolo ci fai mezzo nudo?». Non che non fosse un bel vedere, ma c’erano cinque gradi, forse meno.
«Niente», scrollò le spalle con noncuranza. «Ho fatto una corsetta nel bosco e avevo caldo, così ho tolto qualche indumento».
Lo guardai di sottecchi, non me la raccontava giusta. A La Push erano tutti così strani! «Corri sotto questa pioggia… Okay faccio finta di crederci», mi guardai intorno e nessun altro dei suoi amici girovagava nei paraggi.
«Comunque hai notizie del tuo amico?», gli chiesi stizzita.
Jacob scrollò ancora le spalle. «Quale amico? Ne ho tanti».
«Ernesto».
«Io non ho amici che si chiamo in quello strano modo».
Certo perché Embry o Quil erano nomi normale. E non parliamo del suo che in italiano sarebbe stato Giacobbe Nero. Che si erano fumati i genitori quando gli avevano dato il nome?
«Appunto. Chi pensi che stia cercando?».
«Paul?».
«Ma dai! Come sei perspicace», risi per finta dandogli una pacca sul braccio. Era di marmo… proprio come quello di Paul. «Non sapevo che avessi un tatuaggio Jacob».
«Sì, evito di mostrarlo non vorrei che corresse all’orecchio di mio padre».
Jacob sembrava schivo, lo osservai stranita cercando di capire che cosa gli prendesse, ma prima di dire qualsiasi cosa fu lui a parlare. «Io devo andare adesso, vuoi un passaggio?».
«Jacob devo vedere Paul», dissi a denti stretti. Sapeva la motivazione per cui ero lì e non capivo perché facesse così l’indifferente.
«Non c’è».
«E allora che cosa ci facevi qui».
«Lo cercavo, ma qui non c’è», ripeté con uno strano tono.
Mi venne un nodo alla gola quando capii la motivazione del suo comportamento. Era palese che stesse coprendo Paul. Forse era in camera con una ragazza…
Mi mancò il respiro, ma reagii subito. Mi precipitai dentro casa a grandi passi sentendo la voce di Jacob alle spalle che mi richiamava. Salii le scale quasi correndo e quando arrivai davanti alla sua stanza e aprii la porta rimasi pietrificata.
Paul c’era. Non era da solo.
Mi sentii sotto osservazione e guardai il volto della ragazza mora che un giorno a mensa mi aveva detto che Paul l’aveva picchiata spesso, si chiamava Leah. E poi guardai Embry e Chris.
Feci un passo indietro e andai a sbattere contro il petto di Jacob che mi trattenne dalle braccia. «Che cosa gli è successo?», chiesi senza voce.
Paul era disteso nel letto, sembrava malato ed era molto pallido. Era ricoperto dalle lenzuola fin sotto al mento e si vedeva la fronte imperlata dal sudore.
«Ha la febbre?», chiesi ancora non ricevendo una risposta.
«Sì Alex, ti conviene uscire da qui al più presto se non vuoi contrarla anche tu. È una brutta febbre», disse Chris.
«E perché voi siete qui?».
«… Noi…».
«Noi l’abbiamo già contratta», rispose Leah alzandosi dalla sedia.
Mi venne incontro finché non mi fu davanti e mi costrinse a indietreggiare, poi richiuse anche la porta.
Mi sentivo stralunata, come se avessi preso una grossa botta in testa.
«Che stai facendo?».
«Senti Alex è meglio che tu vada a casa. Domani Paul forse tornerà a scuola e potrai parlarci».
«No che non me ne vado», ribattei con la rabbia che montava.
«Non è sicuro qui».
«Quello è il mio ragazzo», dissi a denti stretti e con le lacrime che minacciavano di uscire.  «Io da qui non me ne vado se non mi accerto delle sue condizioni. Voglio stare qui».
Leah guardò Jacob appoggiato contro la ringhiera delle scale come se volesse fargli una domanda silenziosa.
Lui sbuffò e poi spalancò la porta facendomi cenno di entrare. «Solo qualche minuto, Alex».
Ehi! Ma chi diavolo si credevano di essere? Okay erano i suoi amici ma non stavano esagerando troppo con la premura? Era una febbre non la peste bubbonica.
Anche se non era il caso, per un istante invidiai il loro rapporto. Non avevo capito quanto fossero legati, non lo avevo nemmeno immaginato. Si conoscevano da sempre, avevano un legame profondo che io non sarei mai riuscita a raggiungere… purtroppo.
E comunque Leah che cosa ci faceva nella camera del mio ragazzo? Era l’unica femmina in un gruppo di maschi… non mi piaceva.
Mi avvicinai al letto sentendo gli occhi di tutti puntati addosso. Mi venne il dubbio che Paul fosse sul punto di morte, perché erano così seri? Non capivo! Maledetti indiani capaci di confondere le menti dei comuni mortali.
Mi sedetti sul bordo del letto e accarezzai il braccio di Paul. «Ehi…», lo richiamai piano.
Aveva davvero una brutta cera e occhiaie profonde. Vedendo che non mi rispondeva gli accarezzai il braccio con un po’ più di forza e lo richiamai di nuovo. «Ehi Paul? Mi…».
Prima di terminare la frase mi accorsi di sentire umido contro la mano. La guardai ancora appoggiata sul braccio di Paul ricoperto dal lenzuolo che ora era completamente intriso di sangue.
Sbarrai gli occhi e in un impeto scostai le lenzuola e ciò che vidi… ciò che vidi mi fece cadere atterra senza sensi.
 

Angolino Autrice

Che sarà successo a Paul? Alex fa tanto la forte ma alla vista del sangue cade come una pera cotta!
La storia va avanti e siamo arrivati al momento in cui si devono scoprire delle verità, più di una in realtà.
Spero che il capitolo vi piaccia!  :)
Alla prossima baci <3 <3

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Capitolo 15
*** Una Proposta Indecente ***


Una mano mi scosse dal braccio facendomi svegliare.
«Mamma…».
«Tesoro, che cos’hai? Non ti senti bene?».
Sollevai appena la testa dal cuscino sentendomi gli occhi bruciare, la mia testa era simile a un macigno e avevo dei brividi di freddo.
«No, per niente».
Mi coprì fin sotto al mento così richiusi di nuovo gli occhi e improvvisamente le immagini della mia mano insanguinata comparirono nella mia mente facendomi sussultare.
«Paul!», esclamai alzandomi sui gomiti.
Vidi mia madre guardarmi con un sopracciglio alzato, così mi affrettai a dire qualcosa. «Credo… credo che Paul stia male».
Era ferito e anche molto gravemente altrimenti da dove usciva tutto quel sangue? Aveva intriso persino le lenzuola.
«Sì, suo padre mi ha detto che ha preso una brutta influenza».
Corrugai le sopracciglia. «Ha solo l’influenza? Sei sicura?».
Mia madre annuì con fermezza annodandosi la cinta della vestaglia. «Certo, Joshua me ne avrebbe parlato e poi lavorando in ospedale se suo figlio avesse avuto qualcosa di più grave, lo avrebbe portato a visita».
Mi leccai le labbra secche con il cuore che batteva veloce e mi accasciai di nuovo fra le coperte con la testa svuotata e allo stesso tempo pesantissima.
Possibile che mi fossi immaginata tutto? No che non era possibile: io ero andata a casa di Paul, ero salita in camera sua e avevo insistito per vederlo perché i suoi amici si ostinavano a fare i loschi dei miei stivali. E poi tutto quel disgustoso sangue… ero sicuramente svenuta e qualcuno mi aveva portato a casa, forse Chris o Jacob.
Mia madre mi poggiò un termometro di quelli moderni sulla tempia e dopo qualche secondo tintinnò. «Hai 39 Alex».
«Ho preso un po’ di pioggia al ritorno da scuola», mentii. «Qualche sfigato mi ha rubato l’ombrello».
«Ora ti porto un’aspirina, tu riposa».
Annuii stancamente sentendo un dolore acuto alle ossa, tipico dell’influenza e mi girai di lato decidendo che non appena si sarebbe abbassata un po’ la febbre e avessi iniziato a ragionare come si deve, avrei telefonato a Jacob per saperne di più.
Forse la febbre alta mi aveva fatto delirare e quindi i ricordi di quella giornata erano sconnessi, e poi se Paul fosse stato davvero male come pensavo che stesse, il signor Lahote l’avrebbe portato in ospedale e mia madre ne sarebbe stata a conoscenza. Sì, era sicuro, si trattava di un brutto scherzo della mia mente dovuto alla temperatura alta e niente più. Già… però perché non ricordavo com’ero tornata a casa? Le ipotesi erano soltanto due: la prima è che fossi veramente svenuta a causa di un calo di pressione o Dio solo sa il perché, oppure… mi avevano cancellato la memoria!
Facendo delle stupide supposizioni mi addormentai, risvegliandomi ogni tanto quando vedevo la sagoma sfocata di mia madre che mi dava quelle aspirine dal pessimo sapore o mi porgeva del tè.
Trascorsi a letto due giorni e non feci altro che dormire, mi sentivo come se avessi scalato l’Everest – letteralmente a pezzi – persino mia nonna a ottant’anni stava meglio di me con le ossa.
Quando mi accorsi di emanare un odorino delizioso di pesce marcio decisi che era arrivata l’ora di alzarmi e magari se mi fossi sentita un po’ meglio avrei anche cambiato le lenzuola.
Erano le tre di notte e feci tutto più silenziosamente possibile, altrimenti mia madre mi avrebbe affogato nella doccia se mi scopriva a lavarmi dopo la febbre alta che avevo avuto. Ma che cosa pretendeva che facessi scoppiare un’epidemia di peste a La Push?
Così mi lavai, buttai nel cesto le lenzuola sporche e rifeci il letto impiegandoci mezz’ora talmente andavo a rilento.
Quando sul comodino vidi il mio cellulare non resistetti all’impulso di prenderlo e provare a telefonare Paul. Sapevo che era notte fonda, ma in caso fosse stato raggiungibile avrei subito riattaccato.
A ogni modo il suo cellulare era ancora spento.
Mi infilai di nuovo nelle lenzuola, sentendomi fresca e pulita e mentre cercavo di prendere sonno un lungo ululato fece tremare i vetri della finestra.
Mi alzai di scatto in preda al panico e col cuore che mi batteva ferocemente nel petto, scostai le tende.
E se Fuffy fosse stato in pericolo? Mi stropicciai le labbra con le dita osservando la foresta scura che si estendeva al di là della recinzione del mio giardino.
Era notte fonda e non potevo uscire di casa, a parte il fatto di essere ancora in punizione e con l’influenza, potevo finire veramente sbramata.
Oltre al mio lupo, ce n’era anche un altro dal pelo rossiccio, quindi potevano essercene benissimo altri tre o quattro, forse si facevano la guerra per proteggere il loro territorio, proprio come succedeva nei documentari.
Già mi immaginavo i titoli dei giornali: ritrovata ragazza senza testa nella foresta. Ragazza scomparsa si teme per la sua vita, ritrovato un ciuffo dei suoi capelli rossi fra i cespugli.
Okay Alex è ora di smetterla.
Era ritornato il silenzio e tutto sembrava immobile e sperai tanto che Fuffy fosse sano e salvo. Era il mio primo amico, gli volevo un mondo di bene e il saperlo lì fuori al freddo e al gelo, mi faceva intristire. Chissà se mia madre avrebbe acconsentito a tenerlo nel nostro giardino? Avrei dovuto chiederglielo, forse se alla fine dell’anno fossi stata promossa, avrebbe acconsentito.
Deglutii amaramente cercando di scacciare a tutti i costi quei brutti pensieri e poi ritornai a letto. Il mio lupo argentato era forte e poi era il capobranco, era agile e gigante, nessuno avrebbe potuto fargli mai del male.
Mi girai di lato infilando le mani sotto il cuscino e guardai le lancette fosforescenti della sveglia sul comodino per un’ora e mezza e seppur mi sentissi stanchissima non riuscii a prendere sonno, per di più i brividi che mi scuotevano preannunciavano di nuovo l’alzarsi della temperatura.
Poi a un tratto sentii uno strano scricchiolio e una sagoma apparve dietro ai vetri della mia finestra che si aprì con un sibilo appena udibile.
Mi venne un colpo ma  non riuscii nemmeno ad aprire la bocca per urlare.
Ecco, era arrivata la mia fine: morire a La Push. Dio mi aveva fatto una grossa carognata.
«Ti prego non farmi soffrire. Fallo in fretta».
«Ma tu non dormi mai? Che diavolo…».
«Paul!».
«Shh! Non vorrai svegliare tutto il vicinato!».
Mi tappai la bocca con una mano e con l’altra aprii la lampada.
Mi chiesi come cavolo avesse fatto Paul a salire fino in camera mia. Perché tutto ciò a cui pensavo mi riportava alla questione delle scorie radioattive?
Sul serio, a La Push c’era qualcosa che non andava e forse era quello il motivo per cui era invaso solo da turisti che in massimo una settimana andavano via. Nessun cretino si soffermava lì, tranne me e mia madre, ovviamente.
Comunque… ero felice di vederlo! La febbre gli era passata e il fatto che fosse lì era la prova concreta che avevo delirato di brutto e il ricordo di lui insanguinato era solo frutto della febbre alta.
Scalciai le coperte e gli saltai addosso, felicissima di vederlo. Quando ero andata via da casa sua quella sera della cenetta in famiglia, non ci eravamo salutati nemmeno come si deve, mi ero dovuta limitare ad agitare la mano da destra a sinistra come la regina Elisabetta durante le sue brevi apparizioni in pubblico.
«A quanto vedo sei felice di vedermi», disse tenendomi cavalcioni su di lui, abbozzando uno dei suoi sorrisi sexy che mi fecero fare un triplo salto mortale allo stomaco.
Sbarrai gli occhi. Ma che cosa mi stava succedendo? Le mie barriere protettive mi avevano abbandonato del tutto, adesso ero come una ragazza vera che stravede per il suo fidanzato grezzo e dispettoso!
«No, avevo solo voglia di fare un po’ di esercizio fisico».
Paul sollevò un sopracciglio e solo allora notai un livido sotto al suo zigomo.
«Io conosco un buon tipo di esercizio fisico».
«Ah bene, allora insegnamelo, non vorrei più ricorrere a questi mezzucci».
«Si tratta di sesso, Alex».
Mi liberai dalla sua stretta e corsi dall’altro lato della camera. «Non dire scemenze! Sei sempre il solito idiota! E comunque, con chi hai fatto a botte?».
«Con Quil, ci siamo un po’ divertiti».
«Cos’è, una cosa che si fa tra indiani? Tipo quei rituali per stabilire chi è il maschio che feconderà tutte le donne del villaggio?».
Paul si strinse nelle spalle e mi ignorò andando a sdraiarsi sul letto.
«Dai vieni qui», mi esortò sussurrando. «Non fare la solita cretina».
Lo raggiunsi a una velocità inaudita e gli piantai un gomito nello stomaco per punizione, poi mi misi a cavalcioni su di lui guardando il suo volto. Stava bene… niente a che vedere con la brutta cera che ricordavo avesse qualche giorno prima. Indossava una t-shirt a mezza manica e i jeans, come se fosse estate insomma, niente di anormale per lui. Per essere maggiormente sicura che non fosse ferito, gli accarezzai il braccio fin sotto alla manica che sollevai. Non c’era nessun taglio, nessuna ferita e in così pochi giorni era impossibile che fosse guarito. Però… c’era un tatuaggio, che fino ad allora io non avevo mai notato.
«E questo da dove sbuca fuori?».
«Parli dei miei muscoli invidiabili?».
«No, del tatuaggio», brontolai.
«Ma se è da più di un anno che ce l’ho, sei tu che non sei stata molto attenta. Comunque è sempre coperto, lo avresti visto solo se mi avessi spogliato».
«Tz», scoccai la lingua sul palato. «Ora non ti ho spogliato, eppure l’ho visto lo stesso. È uguale a quello che ha lo svitato di Jacob che fa jogging mezzo nudo nella foresta con un tempo da lupi», asserii tutto in un fiato.
«Ottimo spirito di osservazione», disse con leggerezza.
«Perché mai avete lo stesso tatuaggio?!», sbottai increspando le labbra. Ma facevano parte di qualche setta? No, perché davvero quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Oppure… oppure erano dei supereroi come The Avengers che combattevano unendo le loro forze per sconfiggere i cattivi!
«Beh, siamo amici e abbiamo deciso di condividere qualcosa».
Lo guardai negli occhi attirata da quello strano luccichio che caratterizzava gli occhi del mio lupo. Paul era serio, la sua anima era intrappolata chissà dove, era letteralmente imperscrutabile.
Allungò una mano fino alla mia coscia e mi accarezzò, rimanendo cupo.
«I tuoi amici ti hanno detto che ti ho fatto visita mentre stavi poco bene?».
Lui annuì distaccato.
«Tu… tu sanguinavi…», azzardai non contenta. Mi sentivo tanto l’ispettore Gadget.
Paul corrugò le sopracciglia. «Sì, ero morto e ora sono resuscitato».
«Quindi adesso sei uno zombie».
«Piccola, tu vedi troppa televisione».
Alzai il mento mettendomi i capelli dietro l’orecchio e poi mi chinai su di lui fino a strofinare il naso sul suo collo.
Mi era mancato tantissimo, più di quanto potessi immaginare. E quella era una cosa orribile, sul serio, la mia vita e i miei umori non potevano essere condizionati da un indiano supereroe.
Le sue braccia si strinsero intorno a me e mi beai di quel calore.
«Carini i tuoi sms, davvero», ridacchiò sotto i baffi. «Hai pensato che volessi mollarti eh?».
«Mica te li ho mandati io, mia madre ha sbagliato a prendere il cellulare e visto che li abbiamo uguali…».
«Sì, come no».
«Guarda che è la verità», dissi mordendogli una guancia. «Comunque anche Leah in camera tua mi sembra un po’ troppo».
Paul mi afferrò il mento costringendomi a guardalo. Stava per scoppiare a ridere, gli si leggeva in faccia e io dovevo fare qualcosa per uscire da quella sorta di soggiogamento.
«Sono in punizione», gli rivelai soddisfatta.
«Dici sul serio?».
«Già… colpa tua che al volante ti metti a fare cose pericolose».
«Colpa tua che mi provochi», rimbeccò. «Voi femmine non fate altro che provocare, provocare… poi vi lamentate quando si passa all’azione».
«Perché parli al plurale? C’è qualche altra che ti provoca?», gracchiai sentendo le mie mani prendere fuoco a causa della voglia che avevano di stringere il collo di qualcuna di quelle galline spennacchiate che al suo passaggio starnazzavano impazzite.
«No, no… è solo», la sua piccola esitazione mi fece capire che c’era dell’altro sotto.
«Dimmi chi è Paul».
«Non so di che parli».
«A davvero? Mi sa di sì invece…», risposi agitata, ma lui mi prese il viso poggiando le labbra sulle mie e approfondendo subito un bacio che mi diede l’impressione di avere la febbre a 40°, anzi a 50°.
«Senti…», sussurrò appena. «Vedi di togliere di mezzo questa punizione perché domani è il compleanno di Seth e io ti voglio con me».
Ansimai sulla sua bocca, era come se mi stesse facendo una proposta indecente. Oddio, sono diventata un mostro!
«E mio padre ha il turno di notte, ho casa libera».
«Paul, stai cambiando discorso facendomi una proposta indecente, questo è un vero colpo basso», rimbeccai a stento mentre le sue mani scivolavano verso il mio fondoschiena.
«Lo so», ridacchiò al mio orecchio.
«Poi perché a casa tua?! Anche qui sono spesso da sola», dissi con ovvietà.
«Sono molto attaccato al territorio io», scese a baciarmi il collo e sospirai chiudendo gli occhi.
Beh, come diversivo contro la febbre mi serviva proprio. Ma una cosa era certa: io a casa sua non ci sarei andata mai e poi mai!!!
 
 
 
 Angolino Autrice

Che combineranno questi due? E Alex, visto che è in punizione, disobbedirà a sua madre per raggiungere Paul? Io ho una vaga idea...
Un particolare grazie a tutti i recensori affezionati a questa storia e a tutti coloro che l'hanno inserita tra le preferite, seguite e ricordate.
Un bacione e alla prossima. <3
-Carmen

 
 
 

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Capitolo 16
*** Peggio Di Un Incubo ***


«Mamma mia!», esclamai osservando la mia figura alla specchio. «Sono meglio di Cenerentola stasera!».
Feci un giro su me stessa, il tessuto del mio vestitino lilla frusciò avvolgendomi come una spirale per poi tornare morbido a coprirmi fino a metà coscia. «Signorina, stasera farai impazzire il tuo fidanzato», continuai strizzando l’occhio al mio riflesso.
Avevo deciso di rompere quel mio stato di reclusione forzato, dovuto alla punizione inflittami da mia madre, partecipando al compleanno di Seth, la prima persona ad avermi parlato non appena iniziata la scuola.
Ovviamente il fatto che stessi disobbedendo non dipendeva dalla proposta indecente che mi aveva fatto Lahote – quella a causa della febbre la ricordavo davvero vagamente – volevo solo andare alla festa di Seth e divertirmi. Poi volevo che tutti sapessero che ero la fidanzata di Paul e infine desideravo trascorrere del tempo con lui, nel suo habitat naturale, giusto per vedere come si comportava in mezzo a persone che conosceva da sempre. E il fatto che fossi in tiro e avessi indossato della biancheria intima che non prevedeva pupazzetti di nessun tipo era solo un caso, non dipendeva dalla sua proposta – che ricordavo davvero vagamente.  Tz.
Mentre riflettevo a un modo poco imbarazzante per spogliarlo una volta rimasti da soli nella sua camera… – ecco  la maledizione che ritorna a farsi viva con i suoi effetti afrodisiaci – qualcuno bussò alla porta. Sobbalzai rischiando di strozzarmi con la mia stessa saliva e mi infilai sotto le coperte per tentare di nascondere il vestito, poi per fortuna mi ricordai di avere chiuso la porta a chiave.
«Chi è?», chiesi con voce stridula.
«Perché ti sei chiusa a chiave?», brontolò mia madre dall’altro lato.
«Emh… una precauzione mamma! Pensavo fossi già andata via e io fossi rimasta da sola contro tutti i mostri di La Push».
«Apri avanti».
«Mamma non mi reggo in piedi! Ti prego!», dissi sentendomi andare a fuoco.
«E va bene, io vado a lavoro comunque, mi raccomando prendi l’aspirina».
Sbattei le ciglia facendo un sorriso smagliante che lei non poté vedere. «Certo mamma».
«Più tardi ti telefono».
Oddio! Ma perché doveva essere così logorroica? Per fortuna non avevo preso da lei, io parlavo solo quando strettamente necessario, altrimenti Paul me l’avrebbe detto, giusto?
«Spero di sentire lo squillo se sarò profondamente addormentata».
«Okay, il mio turno finisce alle dieci di stasera».
«Cercherò di aspettarti sveglia mami! A dopo!».
Non appena andò via scalciai subito le coperte per evitare di sudare e di sprigionare batteri dannosi all’umanità e corsi subito in bagno a pettinarmi i capelli, lasciandoli sciolti. Misi anche un filo di trucco e del profumo. Per le scarpe, visto che volevo evitare di cadere faccia in avanti di fronte a tutti gli amici del mio amoruccio, optai per delle ballerine semplici e comode con cui potevo anche volteggiare se ne avessi avuto l’occasione.
Quando finii di prepararmi mi assicurai che l’auto di mia madre non fosse nel posteggio sotto casa e poi afferrai il cellulare pronta a telefonare a Paul, ma lui mi anticipò, così risposi.
“Lo sai che al telefono hai la voce di un trans?”, dissi per farlo un po’ arrabbiare. Io non ho mai detto di essere una fidanzata modello, una di quelle noiose sempre appiccicate. Dovevo tenere il rapporto vivo insomma.
“Ma se non ho ancora parlato”, rispose scocciato.
“Beh, era una cosa che volevo dirti già qualche giorno fa”.
“Perfetto, non ti telefonerò più”, concluse riattaccandomi il telefono in faccia. Ma che cafone! E perché doveva essere sempre così dannatamente permaloso, limitava le mie potenzialità di ragazza con tanto senso dell’umorismo.
Lo richiamai pronta a dirgliene di tutti i colori, se pensava che mi sarei scusata per paura che mi tenesse il muso si sbagliava di grosso.
“Senti Paul, sei un cretino”.
“Ha parlato…”.
“Cos’è? Hai la luna storta?”, sbottai infastidita.
“Io ho la luna storta? Stai scherzando vero?”.
“Sì”, feci una finta risata o davvero avrei mandato la serata all’aria. “Stavo scherzando e con te non si può fare…”.
“Vabbé, sei pronta?”.
“Sì”.
“Ci vediamo da Seth allora”.
“Che cosa? Non mi vieni nemmeno a prendere?”.
Paul Lahote era un essere insulso e subdolo, arrivista e spesso meschino, a volte lo identificavo con Gollum de Il Signore degli Anelli. Però Gollum era molto più bello e con gli occhioni così dolci… Ma ormai mi era capitato quel ragazzo, non potevo buttarlo via così, non era da me.
“Stavo scherzando scemetta. Dammi cinque minuti e sono da te. Un bacio”.
Mi si aggrovigliò lo stomaco e sbarrai gli occhi drizzando la schiena. Quel maledetto indiano aveva persino la facoltà di mutare da Gollum a Legolas, in un batter di ciglia.
Feci una corsetta sul posto per scaldarmi i muscoli e poi misi la giacca nera e una piccola tracolla dove infilai il cellulare per ogni evenienza.
«Che Dio me la mandi buona stasera», asserii guardando il soffitto e pregando che mia madre non mi sgamasse, altrimenti mi avrebbe dato un altro mese di punizione. Mi sentivo un po’ in colpa per ciò che stavo facendo, però anche in quel caso non volevo essere una figlia modello o mia madre si sarebbe stancata di me.
Per evitare che la febbre tornasse mi ero imbottita di aspirina e poi avevo risceso le scale a gran velocità uscendo sul pianerottolo. Era pieno giorno ancora, appena le tre del pomeriggio e mi chiesi perché a La Push si festeggiavano i compleanni a quell’ora… non era troppo presto? Oppure semplicemente la sera qualcuno aveva degli impegni. L’aria fredda mi pizzicava le guance e le cosce e il cielo era nuvoloso come sempre solo che non sembrava che dovesse piovere per fortuna.
Paul arrivò sgommando, lasciando due solchi sul terreno. Feci una smorfia e lo guardai sorridere divertito mentre apriva il finestrino. «Senti, non sono il principe azzurro che scende dall’auto e viene a prenderti fin laggiù, quindi muovi il tuo culon…culetto».
Gli alzai il dito medio e mi scostai i capelli dietro la schiena sollevando il mento. Avrei potuto impedire alla mia mente di pensare, ma quella riflessione era troppo forte: Paul Lahote era uno bastardo nato!
Lo raggiunsi con lentezza esasperante vedendolo sbuffare più volte.  «Non ti piace nemmeno la camminata al rallentatore, mutante?», chiesi entrando nell’abitacolo.
Paul mise in moto e si avviò lungo la strada. «Dimmi tesoro, quale altro telefilm soprannaturale hai visto oggi?».
Tesoro. Il mio tesoro!Oddio avevo ragione io, era Gollum!
«Tu non vedi la tv, quindi è inutile che te lo dica».
Gli gettai un’occhiata con l’intento di farlo velocemente e con disappunto, ma non accadeva mai, maledizione. Avevo un’attrazione fisica nei suoi confronti che mi lasciava stordita e ogni volta che lo guardavo anche solo per rivolgergli un’occhiataccia, mi incantavo. Aveva il suo solito abbigliamento casual, jeans e maglietta che stringeva dappertutto eppure c’era sempre qualcosa di nuovo che notavo di lui e adesso era la sporgenza delle clavicole…era cosi sexy.
«Comunque ciao eh», esclamò con rimprovero. Non l’avevo salutato? Ah no, ero troppo arrabbiata perché aveva insultato il mio sederino.
«Ciao», risposi e lui si chinò a baciarmi a metà bocca con un sorriso adorabile. Improvvisamente mi venne in mente la sera prima, quando mi aveva detto di avere casa libera e mi agitai sul sedile. Chissà se voleva prendermi solo in giro… sperai tanto di no. Oddio Alex finiscila!
Però volevo realmente stare con lui, da sola, senza impicci e scoprire che cosa avesse in mente… Paura! Paura!
Io ero una psicopatica peggio di Paul, ormai era sicuro. Come si può essere così avventanti da andare nella tana del lupo senza riflettere bene? Era ovvio che mi avrebbe mangiato!
«Perché sei nervosa?», mi chiese stranito.
«I… io nervosa? Ma quando mai».
Paul arricciò le labbra e io mi domandai se non riuscisse a leggermi nella mente. Non potevo essere stata così sfigata a trovare un ragazzo che riuscisse a farlo. Scandagliai la mia memoria alla ricerca di qualche personaggio che fosse in grado di leggere nella mente e per fortuna non ne trovai, ma ciò non significava che Paul non potesse essere il primo, perché al di là di tutto il mio fidanzato aveva qualcosa fuori dal comune.
«Il livido ti è già scomparso?», chiesi sorpresa.
«Sì, mio padre ha delle creme miracolose».
«Mia madre no, eppure lavorano nello stesso posto».
Paul fece spallucce prima di guardare le mie gambe molto scoperte. «Che c’è?», chiesi un po’ insicura.
«Con le tue gambe a salsiccia non dovresti indossare quelle gonne così corte».
Gli tirai un cazzotto sul braccio e sentii le mie ossa della mano scricchiolare. «Io non ho le gambe a salsiccia, tamarro!».
Lui abbozzò un sorriso ma subito dopo mi fulminò con un’occhiataccia tagliente. «La prossima volta che indossi una cosa del genere giuro che te la strappo di dosso».
Interessante, davvero.
«La gelosiiia più la scacci e più l’avraaai!», canticchiai fra me e me.
«E questa dove l’hai sentita?», borbottò aspro.
Non feci in tempo a rispondere perché il cellulare di Paul iniziò a squillare e lui rispose molto velocemente. “Sì? Ah, capisco. Bene, a fra poco”, quando riattaccò fece un testacoda sulla strada facendomi sbattere una tempia al finestrino. «Ma sei impazzito?».
«Dio, ma non potevi tenerti!».
«Perché stai tornando indietro?».
«Seth ha annullato la festa», rivelò guardando lo specchietto retrovisore. «E devo raggiungere Jacob per fare una cosa importante».
Giuro che all’istante mi venne un magone in gola che non riuscii a scacciare in nessun modo. Avevo passato l’intero pomeriggio a prepararmi per farmi bella ai suoi occhi e lui mi stava riportando a casa dopo soli cinque minuti. Anche se Seth aveva annullato la festa potevamo stare da soli io e lui, visto che lo facevamo di rado. Mi aveva detto di avere casa libera e avevo anche rischiato che mia madre mi scoprisse…
E se Jacob fosse solo una scusa? Se avesse dovuto incontrarsi con un’altra ragazza? Non ne potevo più di tutti quei misteri, di quelle fughe improvvise, di lui che mi teneva nascoste un sacco di cose.
Per quanto possa sembrare sciocca la mia mente funziona più che bene e capisco quando c’è dell’altro sotto.
Quando arrivammo a casa scesi dell’auto senza nemmeno guardarlo e andai verso il portico sentendo i suoi passi dietro di me. Infilai la chiave nella serratura e aprii la porta decisa a sbattergliela in faccia, ma lui mi afferrò da un polso costringendomi a voltarmi.
«Che ti prende?», mi chiese a denti stretti.
«Mi prende che… », lo guardai negli occhi sentendo una fitta in fondo allo stomaco. «Basta Paul, sul serio. Non ne posso più. È meglio se smettiamo di vederci».
Serrò la mascella, i suoi occhi scuri divennero ancora più scuri. «Non fare la capricciosa, vado via perché è importante».
«Io ero in punizione!», esclami con voce tremante. «Con la febbre per giunta! Ho disobbedito pur di stare con te! Perché per me tu sei la cosa più importante!», mi asciugai una lacrima traditrice. «Ma per te non è così, è palese».
Paul sospirò assottigliando poi le labbra. Forse stava pensando a qualcosa da dire o forse no. A ogni modo se teneva a me, qualcosa per giustificarsi l’avrebbe detta, le parole sarebbero uscire da sole, anche un semplice scusa. E invece non successe, fece scena muta. Probabilmente era quello che voleva.
Feci un passo indietro e lui non mi fermò. Un altro passo e niente, così chiusi la porta e mi poggiai a essa scivolando sul pavimento. Il mio cuore andò in pezzi.
Non appena sentii il motore della sua auto sempre più lontano, iniziai un pianto ininterrotto come non facevo da tempo ormai, forse anni. Nemmeno pensare razionalmente mi aiutava, come per esempio essere certa che era stato meglio interrompere la storia adesso e non più avanti quando sarei stata molto più innamorata.
Tirai su col naso e mi trascinai in cucina a cuocere un hamburger per il mio lupo e nel frattempo tolsi le ballerine sostituendole con un paio di stivaletti. Se Paul pensava che mi sarei rintanata in casa mentre lui si divertiva alle mie spalle, se lo scordava. Nemmeno mi tolsi l’abito lilla, lo volevo rovinare così da buttarlo via e non vederlo mai più.
Uscii dal retro del mio giardino, avevo all’incirca un’ora di tempo prima che facesse buio e mi diressi verso il bosco percorrendo il solito sentiero. Evitai di pensare a lui e a quella brutta sensazione di essere niente, di non sapere che cosa fare, come reagire.
Non pensavo che sarebbe stato così brutto lasciare un ragazzo. Adesso, a cose fatte quasi me ne pentivo… No, no! Non dovevo pensare quelle cose, avevo preso la giusta decisione, Paul mi nascondeva qualcosa, ne ero sicura e visto che ero la sua fidanzata avrebbe dovuto parlarmene non mentirmi in continuazione.
«Fuffy! Dove sei finito?», chiesi guardandomi intorno. Se non si sbrigava avrebbe dovuto mangiare l’hamburger freddo.
«Andiamo che fra un po’ sarà buio!».
Zampettavo nel fango, sbirciando fra gli alberi. Sperai che quella non fosse una delle poche volte in cui il mio lupo mi dava buca, avevo bisogno di rotolarmi un po’ con lui nel fango.
«Signorina, buonasera».
Mi girai di scatto quando sentii una voce maschile e piegai la testa di lato stranita quando vidi uno sconosciuto poggiato contro un tronco d’albero con le braccia conserte. Aveva un volto… strano, non seppi dargli un’età approssimativa, ma di sicuro era giovane.
«Ciao», dissi un po’ sulle mie.
«Hai perso il tuo cane?».
«Beh… a dire il vero no».
Lo sconosciuto sorrise e avanzò verso di me con passo leggiadro. Lo invidiai, sul serio, io non avrei mai camminato con quella grazia. «Che cosa fai tutta sola nel bosco?».
Che cosa ci faceva lui nel bosco non io. Accennai un sorriso forzato e m’incamminai di nuovo verso il sentiero che portava a La Push, quel tipo poteva essere un maniaco, un assassino. «Ora devo proprio andare, scusami», mi affrettai a dire, ma il ragazzo mi si parò davanti e sobbalzai non avendolo visto muoversi. Aveva gli occhi… rossi.
«Fiche le tue lentine, ma ora lasciami passare».
«Ci sto pensando», rispose con voce soave.
Il cuore iniziò a battere veloce, non mi piaceva quel tono e la tranquillità che mostrava. Deglutii guardando la sua pelle perfetta e avvertendo note di un dolce profumo, forse il suo.
«Ehi Alex, ti ho trovato!».
Da un cespuglio sbucò fuori Paul, mezzo svestito con l’espressione spiritata e la voce stridula. Ma che cosa diavolo ci faceva nel bosco in quelle condizioni?
Lo sconosciuto di fronte a me si girò a guardarlo con un sorriso, poi lo vidi respirare l’aria, come se annusasse qualcosa e la sua espressione s’incupì.
«Alex…», sibilò Paul allungando una mano verso di me invitandomi ad avvicinarmi a lui.
«Che vuoi!», sbottai esasperata mettendomi i capelli dietro l’orecchio. «Vattene via!»,
A quel punto lo sconosciuto mi portò un braccio intorno alle spalle avvicinando la bocca al mio orecchio. «Hmm… che ne dici se…».
«Allontanati da lei!», esclamò Paul correndo verso di noi. Mi salì di nuovo il cuore in gola, non avevo mai visto nessuno correre a una tale velocità, poi spiccò un balzò e… «Oddio!!!», urlai in preda al panico, quando Paul scomparve sostituito dal un lupo argentato che altro non era che il mio Fuffy! Qualcun altro mi afferrò per un braccio lanciandomi letteralmente via. Urlai ma non sentii la mia voce. Urlai ancora più forte quando avvertii un bruciore alle mani e alle ginocchia. E poi vidi… tre lupi che si avventavano sullo sconosciuto dagli occhi rossi, dilaniandolo e lanciando pezzi della sua carne ogni dove.
Un conato di vomito mi scosse fin dentro l’anima e mi raggomitolai su me stessa per difendermi da ciò che mi stava accadendo intorno.
È tutto un brutto incubo Alex, svegliati. Svegliati!
 
 
Angolino Autrice

Buona domenica a tutti :3 
Eccoci qui con un nuovo capitolo, dove finalmente Alex scopre che Fuffy altro non che il suo Paul. Come reagirà alla scoperta non appena superata la paura?
Anche questa storia è quasi alla fine, mancano solo due capitoli e poi ci saluteremo...
Alex e Paul mi mancheranno un casino.
Un bacio e alla prossima!

 
 
 
 

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Capitolo 17
*** La Verità ***


Chissà da quanto tempo ero immobile seduta sul mio letto con lo sguardo perso nel vuoto.
La mia stanza era immersa nel silenzio, alcune impronte di fango sporcavano la moquette e Paul stava imbronciato appoggiato al davanzale.
Tutt’intorno le foto di Fuffy si prendevano gioco di me… Ecco da dove derivava il suo sguardo intelligente.
Non riuscivo a crederci, no davvero. Nonostante le immagini di quei disgraziati minuti che avevo trascorso nel bosco – in cui avevo visto cose impossibili – non ci credevo.
Non era vero che Paul si era trasformato in un lupo e non era vero che aveva ucciso quel ragazzo facendolo a pezzi. Apprezzavo la sua gelosia, ma uccidere un essere vivente per mancanza di autocontrollo non potevo accettarlo.
Un attimo solo… ma Paul si era trasformato in un lupo? Ero davvero sicura? Forse avevo inalato delle spore velenose di qualche fungo!
Mi strofinai la faccia con le mani notando poi il mio vestito lilla ridotto uno straccio, proprio come avevo desiderato quando Paul mi aveva riaccompagnato a casa dopo aver saputo che il compleanno di Seth era stato annullato.
«Alex…».
«Tu sei…».
«Sì», disse cupo senza lasciarmi finire.
«Sì che cosa?», sbottai alterata. «Non sai nemmeno che cosa volevo dire!».
Paul si leccò le labbra incrociando le braccia sul petto. Non l’avevo mai visto così taciturno e pensieroso. «Che cosa volevi dirmi?».
«Che sei un impostore! Un traditore! Un assassino!».
Paul sollevò un sopracciglio con aria scocciata. Indossava solo dei pantaloncini ridotti davvero male, sembrava che stessero per disintegrarsi sotto ai miei occhi.
«Non essere sempre così tragica. Io non sono un assassino».
«Hai ucciso quel povero ragazzo!», dissi avvertendo un’ondata di pelle d’oca che m’investiva per intero. «Paul, hai ucciso un ragazzo», ripetei rendendomi conto della gravità di quell’azione. La mia mente stava elaborando l’accaduto poco a poco.
Lui non rispose e io mi alzai di scatto iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza, mordicchiandomi le labbra a sangue. Con che razza di persona ero stata? Di chi mi ero innamorata?
«Vattene Paul, vattene via».
«Piantala Alex».
«Vuoi uccidere anche me?».
«Era un vampiro», rivelò senza guardarmi, con profonde ombre sotto agli occhi. Sembrava che l’avesse sputato di forza contro la sua volontà.
Quello sconosciuto era un vampiro? Uno con i denti aguzzi che succhia il sangue alle sue vittime? Un parente del conte Dracula su cui avevano fatto centinaia di telefilm di cui andavo pazza?
Scoppiai a ridere con le lacrime di paura che mi traboccavano dagli occhi, finché non mi accasciai sul pavimento e le risa svanirono lasciando il posto solo al pianto ininterrotto.
«Non è vero, mi stai prendendo solo in giro».
«No… e lo sai bene».
«Ma non sono in quel modo i vampiri!», singhiozzai battendo un pugno in terra.
«Ah no? E dimmelo tu come sono».
«Non hanno gli occhi rossi in primis!», risposi stizzita. «E quello lì non aveva nemmeno i denti appuntiti!».
Paul si mise una mano sulla faccia scuotendo la testa in senso negativo. «La realtà è ben diversa da ciò che mostrano in televisione. E poi hai mai visto ragazzi con gli occhi rossi?».
«Certo! Alle feste…».
«Non usava lenti a contatto».
Bene, quindi esistevano i vampiri. E anche i lupi. Bene, sì. Lo sapevo che nell’aria di La Push c’era qualcosa che non andava e i miei sospetti erano fondati.
«Quindi tu… uccidi i vampiri?».
«A quanto pare».
Mi misi i capelli dietro l’orecchio tirando su col naso. «E perché devi farlo tu? Non c’è tipo, un ammazza vampiri? Come Buffy?».
«Faccio finta di non aver ascoltato», mormorò Paul serrando la mascella.
«Esistono anche gli elfi? Le fatine turchine? Dimmi che le fatine turchine sono nel bosco perché ho proprio bisogno di fare esaudire un desiderio adesso».
«E che cosa vorresti, sentiamo».
Che cavolo! E io che pensavo che fosse tutto un incubo. A questo punto potevo cominciare a ricredermi perché probabilmente esisteva anche il principe azzurro e i sette nani e io mi sarei divertita ad andare in giro con loro. «Io vorrei….», iniziai a dire fissando Paul. Rividi il momento in cui si era trasformato da umano a lupo gigante e venni colta da un scossa elettrica di paura.
Io vorrei che tu non fossi un mostro. Ecco che cosa avrei voluto dirgli, ma Paul mi fissava così intensamente negli occhi che mi fece perdere la parola.
«Intuisco quando hai paura», sussurrò contrariato.
«Io vorrei…», provai di nuovo senza lasciarmi condizionare dalle sue parole.
Io vorrei che tu non fossi un mostro. Ripetei nella mia testa vedendo Paul che si passava la mano sulla nuca quasi con disperazione.
Come potevo essere così stupida? Le lacrime cominciarono a tornare giù più copiose di prima.
Lì di fronte a me c’era Paul che in realtà era il mio Fuffy, il lupo che adoravo. E Fuffy non era un mostro. Se avessi dovuto paragonarli, il mostro era Paul perché l’animale era dolce, affettuoso e premuroso.
Mi strofinai gli occhi, non riuscivo più a ragionare bene, ero troppo confusa.
Poi due mani forti mi strinsero le spalle facendomi sollevare dal pavimento. Finalmente si era degnato di fare qualcosa oltre a starsene impalato a distanza di sicurezza.
«Alex, lo so che è difficile da credere. Anche io ero incredulo quando mi è capitato».
«Sei un lupo», piagnucolai tenendomi il viso fra le mani. «Come quello di Cappuccetto Rosso, sei cattivo».
«A essere più precisi sono un licantropo mutaforma e non sono cattivo».
I miei lamenti crebbero incontrollati e poggiai la fronte contro il suo petto duro.
«Alex non ti farò del male», disse con voce dolce accarezzandomi i capelli. «Te lo giuro, non ti farò nel male. Mai».
«Tutto questo perché mi hai riportato a casa! A quest’ora ero ancora felice e spensierata!».
«Lo sei ancora… lo sarai tra qualche minuto».
«Guardami!», esclamai scansandolo. «Sono un disastro! Il vestito strappato, sporca di fango con la mente sconvolta…».
«Hai dimenticato il trucco sbavato».
«E il trucco sbavato…», aggiunsi guardandolo inviperita.
Paul mi prese il viso con uno scatto avvicinandosi a me. Sentivo la pressione delle sue mani calde sulle guance e il suo respiro sulla mia bocca. «Prendi nota di quello che sto per dire perché non lo sentirai molto spesso».
«Che cosa?», dissi piano guardando le similitudini che avevo già notato con Fuffy, come le sue iridi brillanti e il suo odore.
«Anche se sei un completo disastro, sei bellissima».
«Bugiardo».
«Sei bellissima», ripeté baciandomi.
«Lo dici apposta, così dimentico la faccenda del lupo».
«No, io non voglio che tu la dimentichi. È ciò che sono. Mi dispiace che tu lo sia venuta a sapere così, a dire il vero doveva rimanere un segreto», disse piano sulle mie labbra, tra un bacio e l’altro.
«Alcune persone uccidono per mantenere i segreti».
«Okay, conosco un modo per ucciderti».
Mi prese cavalcioni come se stesse sollevando un pezzo di carta e mi poggiò sul letto, senza staccarsi da me.
Ma scusate un attimo… che stava succedendo? Mi resi un attimo conto della situazione: le mie gambe intorno ai suoi fianchi, il suo petto contro il mio, la sua lingua… Okay va tutto bene, niente di preoccupante.
Sentii uno strappo, ma non me ne curai e infilai le dita nei suoi capelli, decidendo di partecipare a qualsiasi cosa avesse in mente di fare. Tenendomi impegnata almeno non ripensavo a ciò che avevo scoperto, rischiando di diventare pazza.
Paul scese a baciarmi sul collo così colsi l’occasione per prendere un po’ di respiro. «Paul che stai facendo?».
«Ciò che avremmo dovuto fare a casa mia, se non ci fosse stato nessun intoppo», disse con voce rauca.
Sentii un colpo allo stomaco dall’agitazione.
«Non c’è bisogno di agitarsi», mi disse tornando a baciarmi sulle labbra.
«Ti sembro agitata?», protestai con difficoltà.
«Mi accorgo quando menti», disse soddisfatto. «E sento il tuo corpo».
Oh mio Dio! E se mi fosse venuto mal di pancia avrebbe sentito i miei rumori intestinali? Santo cielo, era un mostro!
Tossicchiai imbarazzata. «Non mi sembra il momento di fare questo…», dissi indicando la nostra posizione compromettente, poi notai che il mio vestito lilla era scomparso e per poco non ci rimasi secca.
Paul mi accarezzò una coscia e si piegò di lato liberandomi dal suo corpo, ma stringendomi più forte di prima. Aveva il viso immerso nei miei capelli.
Non eravamo mai stai così vicini e non parlo solo di fisicità. Avevo scoperto un grosso segreto che eliminava molti ostacoli fra di noi.
«E allora non faremo niente», disse accondiscendente.
Dio, ma perché si arrendeva così presto? Mamma mia…
«Ora che so una cosa molto importante di te, devo rivelarti anche io un paio di segreti», iniziai abbracciandolo.
Lui mi baciò la punta del naso e poi di nuovo le labbra soffermandosi e respirandoci sopra. Mi faceva impazzire quando lo faceva.
«Sentiamo, dimmi uno di questi segreti indicibili».
«Un giorno a scuola ho lanciato un uovo dalla finestra con l’intento di colpire la prof d’italiano».
«Hmm… cavoli che coraggio», mi prese in giro. «E l’hai colpita?».
«No».
«Poi?».
«Ho rubato dieci euro a mia madre».
«Wow… ho una fidanzata proprio ribelle», continuò a prendermi in giro, così gli tirai una gomitata. «Ti ho lasciato! Non stiamo più insieme!».
Paul mi guardò negli occhi con serietà, i capelli che gli sfioravano appena la fronte e le labbra umide e rosse.
«Stai approfittando della mia pazienza, piccola bambina italiana».
«Tz, bambino ci sarai tu».
«Sei tu che ti comporti come tale, sempre!», mi gettò un’occhiata addosso e io tentai di coprirmi, visto che ero spudoratamente in intimo. «Per fortuna non hai quei pupazzi disegnati sulla biancheria».
Betty Boop perdonalo per ciò che ha detto!
«Senti Fuffy…».
Paul mi guardò truce. «Mi deprimi con quel nome del cavolo. Perdo tutta la mia mascolinità».
Scoppiai a ridere e salii su di lui lasciandomi avvolgere dalle sue braccia. «Aspetta che te la faccio tornare…».
Ripresi a baciarlo sempre con più foga con qualcosa che si agitava nello stomaco, ma nel mio caso non erano farfalle, ma qualcosa di più grosso, scoiattoli forse. Si trattava di Cip e Ciop, sì.
Gli accarezzai il torace per poi ritornare con le mani fra i suoi capelli. Oddio… perché avevo una voglia così matta di dirgli ti amo?
Idiota che non sei altro, Alex ripijate!
Avevo appena scoperto che il mio fidanzato era un lupo e io volevo rivelargli i miei sentimenti. Che cosa avevo in testa, zucchine?
Però… volevo dirglielo! Non so perché, ma volevo, qualcosa dentro di me mi spingeva a farlo.
«Ti amo».
Il respiro mi si bloccò in gola quando sentii quelle parole pronunciate dalla voce flebile di Paul. L’aveva sussurrato fra un bacio e un altro – e una palpata e un’altra – e io ero completamente… stralunata!
«Che cosa hai detto?», chiesi evitando che perdesse il ritmo di ciò che stava facendo. Piacere e dovere possono anche camminare insieme, non per forza uno viene prima dell’altro.
«Che ti amo», disse slacciandomi i gancetti del reggiseno.
«Emh… non credo di aver capito».
«Hai capito benissimo invece», disse minacciandomi con gli occhi.
«Il fatto è che io non capisco bene l’inglese, lo sai».
«Sì, come no», soffiò come un gatto attirandomi di nuovo a lui. Wow com’era… ma perché era così irruento! Maledetto lupo indiano!
«Invece posso dirti ti odio in italiano?», chiesi facendo gli occhi a cuoricino e mantenendo fermo il reggiseno al suo posto.
«Sentiamo», disse stringendomi un fianco.
Respirai a fondo. «Ti amo».
Paul gemette sulle mie labbra e mi rubò l’ennesimo bacio. «Hmm… suona bene. Questa parola è fatta apposta per noi».
«Visto?», gongolai.
«Credo che potrei ripeterla all’infinito».
«Fallo».
«Ti amo», disse in italiano e il mio cuore si spezzò e si ricompose mille volte. «Ti amo e per questo che ti ucciderei volentieri».
Sì, uccidimi pure mille volte, a queste condizioni ci sto. Passarono degli istanti in cui rischiai di andare letteralmente a fuoco, era come una lenta e infinita agonia in attesa… stavo aspettando qualcosa di più, un piacere più forte.
Paul all’improvviso sospirò. «Alex, io ti voglio per cui deciditi…».
Che romanticismo, quello che avevo sempre desiderato insomma. «Ho scelta?».
«O sì o no», disse sbrigativo.
«Ho cambiato idea, stavolta non la voglio la scelta. È sì e basta», dissi tutt’un fiato con l’impressione che mi stessi riducendo di dimensioni pian piano, sarei diventata una formica. I lupi non mangiano le formiche, giusto?
Paul non disse più niente, ma si trasformò… non in lupo naturalmente, ma in un ragazzo vero, premuroso e amorevole.
Mai i suoi tocchi e baci erano stati più dolci e intensi. Mi sentivo morire… ma stavamo veramente per…
Oddio! Non ci volevo pensare!
Avevo l’ansia e lo stomaco si contraeva in continuazione però sapevo che era la cosa giusta. Stavo per fare l’amore con Paul ed era la cosa giusta. La più giusta che avessi mai fatto da quando ero a La Push, quella che sembrava più naturale persino del mio stesso parlare.
Mi baciò il collo e le spalle mentre scorrevo con le mani sulle sue braccia delineando la forma dei suoi muscoli affusolati.
Capii quando era il momento giusto e lo capì pure lui, non so come…
Si unì a me lentamente, sostenendosi sui gomiti, forse pensando che fosse troppo pesante per me, ma lo tirai in avanti in modo che il suo corpo aderisse al mio e non ci fosse nessun tipo di distanza fra di noi.
Repressi un gemito in gola, ma mi piacque quell’insieme di sensazioni, un misto di piacere e dolore.
Ero felice di fare quella mia prima esperienza con lui. Il mio Fuffaul o Pauluffy.
Lo amavo da morire. Oddio… e ci sapeva fare.
So che aspettate che vi racconti qualche particolare piccante, ma adesso non mi sembra proprio il caso. Magari vi accennerò qualcosina la prossima volta, se sarò ancora viva. Bye bye.



Angolino Autrice

Ciao a tutti :D come va? Ecco l'ultimo capitolo prima dell'epilogo in cui non sembra che Alex sia poi così sconvonta... secondo appena superata la sorpresa sarà felicissima di fare parte di quel mondo fatto di magia. 
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, sono consapevole che è un po' più lungo rispetto a tutti gli altri, ma dovevo spiegare un po' di cose.
Rigrazio tutti voi lettori e ci leggiamo alla prossima, ovvero l'ultimo capitolo :(
Un bacione <3

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Capitolo 18
*** In Balìa Di Un Lupo ***


Paul mi guardava con le braccia incrociate sul petto.
Ci aveva preso gusto a mettersi in quella posa, pensava mica di essere fico? Se non fosse stato mezzo nudo – l’unica cosa positiva di lui in quel momento – gliel’avrei detto che somigliava proprio a Mastrolindo.
«La pianti di guardarmi, Paul?».
«La tua faccia mi fa troppo ridere».
«Però la tua faccia continua a rimanere seria, come mai?».
Paul sbuffò guardando verso l’alto con la sua solita espressione indolente.
Ci trovavamo in mezzo alla vegetazione, nel punto in cui di solito incontravo Fuffy e tutto perché avevo insistito a voler vedere la sua trasformazione passo dopo passo; quando avevo assistito la prima volta era troppo scombussolata e non lo avevo assimilato proprio bene.
Da quel giorno erano trascorse due settimane, due settimane in cui io e il mio mutante non facevamo altro che trascorrere il nostro tempo a rotolarci tra le coperte o sull’erba o ancora sulla spiaggia. Avevo persino vinto la paura del famigerato calamaro gigante. A detta di Lahote non esisteva, ma se mai avesse osato entrare nelle acque della Riserva per farmi del male, lo avrebbe ucciso, fatto a rotelline e fritto in padella. Ovviamente tutta la premura del mio fidanzato derivava dalla sua voglia di fare… non fatemi dire quella parola, è così imbarazzante!
Mi toccai le guance bollenti con i palmi delle mani ricordando come mi sentivo ogni qual volta che mi si avvicinava, ogni qual volta mi baciava sapendo che non ci saremmo più fermati… a come mi strappava la biancheria di dosso – Betty Boop pace all’anima sua – e al modo in cui si fondeva a me come se volesse raggiungere il centro del mio essere.
«Alex, in quale mondo ti sei persa?», mi chiese all’improvviso facendomi sussultare.
«Emh…», mi grattai una tempia rimanendo seduta sull’erba a gambe incrociate.
«Hmm… piccola pervertita», ghignò tra i denti. «Oggi ti è piaciuto nello stanzino dei bidelli, eh?».
Brutto maledetto! Ed io che volevo tenerlo nascosto!
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Che maniaco! «Sì, direi che è stata la cosa più romantica che io abbia mai fatto».
Voglio dire… in mezzo a rotoli di carta igienica e stracci lerci, è un’esperienza ineguagliabile.
«Lo sapevo che avrebbe fatto effetto», disse con soddisfazione.
«Già, come una pillola al cianuro».
«Esistono?», chiese sollevando un sopracciglio.
«No, non credo. Ma per te la farei fare appositamente».
Paul grugnì facendo una smorfia. «Allora devo trasformarmi?».
Arricciai le labbra mettendomi i capelli dietro l’orecchio e mi sollevai dal terreno facendo qualche passo verso di lui. Poi lo abbracciai forte. «Perché non mi trasformi?», chiesi sommessamente sulle sue labbra.
«Che cosa?», sbottò sconcertato infilando le mani nei miei capelli.
«Sì, ho deciso, Paul. Voglio diventare un licantropo anche io, dai!», esclamai vedendo la sua faccia dubbiosa. «Almeno avremo un’altra cosa in comune».
«Sarebbe l’unica», precisò.
«Voglio aiutarti a uccidere i vampiri, dai, dai, dai!».
«Ah che peccato, pensavo che volevi fare sesso estremo… sai com’è, da lupo puoi assumere posizioni inimmaginabili».
Lo guardai sott’occhio fulminandolo e gli morsi forte il labbro. Doveva sfatare ogni mio desiderio, altrimenti non si chiamava Lahote. E poi ero io la pervertita?
«Trasformami», chiesi convinta.
«Ma la smetti?», mi strinse forte i fianchi. «Non posso farlo, bisogna avere il gene per diventare come me. Non è mica un virus che posso trasmetterti con un graffio o un morso».
«Quindi sei un licantropo fasullo, ho capito. Che sfigato», sibilai scoccando la lingua sul palato.
«Certo, adesso sono io lo sfigato».
Se proprio ci riflettevo bene quella sfigata ero soltanto io. Ed ero anche incantata e stupida. E quelle sensazioni scaturivano quando ripensavo a tutti i segreti che avevo spifferato a Fuffy e invece sotto al suo pelo argentato c’era quel cretino di Lahote che gongolava o mi prendeva in giro.
Erano state tante le occasioni in cui mi ero sfogata con lui, a partire dalla festa di raccolta fondi al liceo di Forks, dove Paul mi aveva abbandonato per trastullarsi con una di quelle galline che gli gironzolavano sempre attorno.
«Allontanati», disse infine. «Mi trasformo, prima che faccia notte».
Feci qualche passo indietro mentre lui si distanziava sempre di più.
«Non ti scandalizzi se mi vedi nudo, vero?».
«Ah ah», feci una finta risata. «Tanto che vuoi che veda? Non ho nemmeno portato la lente di ingrandimento».
«Ci vuole la lente di rimpiccolimento per me», asserì vagamente offeso.
Oh, gli uomini e la loro virilità da strapazzo, facevano ridere.
«Sì amore, hai ragione», concordai con lui.
«Come mi hai chiamato?».
«Amore», ripetei abbassando la voce. Ormai mi ero rassegnata alla maledizione che incombeva su di me.
Paul si trattenne dal ridere – brutto imbecille –  e tornò vicino a me cingendomi la vita e strofinando il naso contro il mio collo. Amavo quelle sue sporadiche dimostrazioni d’affetto.
«Se vuoi che mi trasformi devi dirmi che mi ami», disse sollevando il mento, quasi mi stesse facendo un dispetto.
Risi di gusto aggrappandomi alle sue braccia. «Sogno o son desta?».
«Puoi fare la persona seria per una volta?».
Ma perché di solito non lo ero? Sulla mia fronte c’era forse scritto Gioconda? Ero una ragazza molto seria e posata, solo con una testa un po’ incasinata. Era per questo che ero così intelligente. D’altronde, non avevo scoperto che a La Push c’era qualcosa di strano prima che vedessi Paul trasformarsi in lupo e smembrare quel vampiro?
«Perché vuoi che te lo dica?», temporeggiai.
«Perché sì», disse fissandomi negli occhi intensamente.
Si trattava di una stupida questione di principio. Odio i maschi!
«Paul a volte le parole non servono».
«Io lo voglio sentire».
Rimase fermo e impettito a fissarmi negli occhi e io mi ritrovai a sbuffare ulteriormente. Gliel’avevo già detto milioni di volte in italiano, solo che lui pensava che significasse ti odio. Era arrivata l’ora di scoprire le mie carte, che noia! Mi sarebbe piaciuto continuare con quella farsa un altro po’, ma le cose belle hanno sempre una fine.
«Ti amo», dissi in italiano. «Ti amo», ripetei in inglese.
Paul assottigliò le labbra e ridusse gli occhi a una piccola fessura, così mi affrettai a rispondere alla sua domanda silenziosa. «In verità tutte le volte che credevi di dirmi ti odio in italiano, mi dicevi ti amo».
«Mi hai sfruttato».
«Un pochino», mormorai. Ma diciamocelo fra noi, il ti amo è la parola più conosciuta del mondo, chiunque conosce la sua traduzione in più lingue, persino io! Paul come sempre doveva differenziarsi.
Mi baciò con dolcezza, piegando la testa di lato. «Sono felice di aver incontrato una pazza».
«La pazzia è genialità», rimbeccai.
«Sì, come no».
«Ora trasformati, non ho più tempo da perdere. Ti ricordo che sto aiutando le marmotte a fare le loro tane».
Paul fece orbitare gli occhi. «Già, effettivamente non posso farti perdere altro tempo prezioso. Non vorrei che le marmotte rimanessero senza casa, sai con questo tempaccio».
«Appunto».
Mi scoccò un altro bacio e si allontanò di una decina di metri, rimanendo di spalle.
L’avevo già visto nudo, non mi scandalizzavo per una volta in più, al contrario mi beavo di quel corpo perfetto.
«Che pudico», sibilai contrariata.
Lui sbuffò e anche se non potevo vedere la sua faccia, ero certa che stesse sorridendo.
Bastarono una manciata di secondi, si udì una specie di strappo, il suo corpo si arcuò ed ecco che apparve Fuffy.
La mia bocca si spalancò e sgranai pure gli occhi. Era assurdo. E impressionante.
Un attimo prima era Paul e adesso era Fuffy, come poteva essere? Possibile che nel mondo esistessero delle persone con tali capacità ed io lo avevo scoperto solo a diciassette anni?
Fuffy si voltò, le orecchie appiattite dietro le orecchie, gli occhi rotondi come ogni volta che ci incontravamo.
Tornai a sedermi, accorgendomi che mi tremavano le ginocchia dall’emozione. Ciò che stavo vivendo era inconcepibile e tremendamente bello.
«Vieni», dissi allargando le braccia.
Lui si avvicinò e quando fu abbastanza vicino, strofinò la testa contro la mia.
«Non vorrai immischiarmi le pulci, vero?», dissi accarezzandogli la collottola con entrambe le mani.
Lo sentii ringhiare e subito dopo leccarmi la faccia, per poi afferrarmi la maglia e tirarmi all’indietro fino a farmi sdraiare a metà su di lui.
Poggiai la testa sulla sua e chiusi gli occhi. Fuffy era il mio Paul, potevo desiderare di meglio? Come si suol dire avevo preso due piccioni con una fava, quando mi stancavo di uno, passavo all’altro e viceversa.
Strofinò il muso contro il mio collo e ora, in ogni azione che compiva, ci vedevo gli atteggiamenti di Paul, persino il continuo sbuffare. E mi piaceva da matti.
Potevo essere così stupida da essere in balìa di un lupo?
Be’ c’è di peggio, sicuramente. Come essere in balìa di un ragazzo.
Strizzai le palpebre resami conto del mio pensiero. Mi ero incastrata con le mie stesse mani, visto che Paul e Fuffy erano la stessa cosa! Che destino crudele il mio.
Emisi un sospiro di sollievo e strinsi forte Fuffy, il suo pelo morbido e dal buon’odore schiacciato contro la mia guancia.
 «Ucciderò mia madre se vorrà tornare in Italia».
Paul emise un lungo mugolio che per quella volta m’imposi di pensare che fosse di approvazione per la mia frase.
«Il mio destino è segnato, piccolo gigante peloso», lo sbaciucchiai e lui mi mostrò le zanne. Mamma mia, com’era permaloso.
«Paul Lahote o Fuffy il lupo, ci sposeremo un giorno».
Il lupo sgranò gli occhi e si defilò indietreggiando lontano da me e nascondendosi dietro un cespuglio.
«Brutto idiota», mormorai sdraiandomi sul terreno e incrociando le braccia dietro la testa. «Non vuoi darmi nemmeno un lieto fine, mutante che non sei altro».
Due braccia forti mi avvolsero, una bocca si poggiò calda sulla mia. «Vuoi uccidermi prima del tempo, Alex?».
«Perché, scusa? Qui a La Push il rito del matrimonio prevede dei sacrifici? Tipo che la moglie debba uccidere il marito?».
«Okay ci rinuncio», borbottò aspro, baciandomi ancora.
Lo strinsi forte a me e incrociai i suoi occhi neri e luminosi, accarezzandogli i capelli. «Scherzavo. Non posso sposarmi e buttare la mia gioventù con te, sarei pazza».
«Bene, così ragioniamo».
«Però…», iniziai e Paul sorrise. «Però un giorno ci sposeremo lo stesso, te lo giuro».
E che diamine! Era ora che facessi anche io una maledizione, non era giusto che fino ad allora l’avesse lanciata solo lui.
«E divorzieremo il giorno dopo», continuò sollevando una mano.
«Ovviamente», concordai battendo il cinque contro il suo palmo.
«E ci restituiremo tutti i regali».
«Sì, devo rivederli, almeno ci guadagno qualcosa».
«Bene», asserì risoluto. «Siamo d’accordo, quindi?».
«Sì», dissi baciandolo.
«Così sia».
Rimanemmo lì sdraiati fino all’arrivo del buio, a farci improbabili promesse e a litigare per poi fare pace.
Non avrei mai pensato che andare a La Push avrebbe cambiato inesorabilmente la mia vita, facendomi conoscere una persona così speciale e un mondo totalmente nuovo.
Forse per la prima volta nella mia vita ero davvero felice e appagata. Non sentivo più quella sorta di insoddisfazione che mi spingeva sempre a cercare qualcosa a cui non sapevo dare un nome perché non sapevo nemmeno io di che cosa fossi alla ricerca.
Adesso lo sapevo bene. Eccome. Tutto ciò che volevo si racchiudeva in un solo nome, formate da quattro stupide lettere: Paul.
Paul, che col suo atteggiamento burbero mi aveva conquistato e ogni giorno che passava diventava sempre più importante.
Paul, il mio lupo. E il mio primo e unico grande amore.


Angolino Autrice Immensamente Triste

Ciao a tutti :)
Oggi sono un po' senza parole, mi dispiace concludere la storia, ma che ci posso fare, c'è un inizio e una fine. Bene, passiamo ai ringraziamenti. Innanzitutto Alessandra, perchè senza di lei questa FF non ci sarebbe stata, è lei che mi ha dato l'idea e mi aiutava negli sviluppi, quindi buona parte del merito della riuscita di questa storia va a lei. Grazie tesoruccio <3
Ringrazio le ragazze che mi scrivevano su facebook, Martina, Robby, Anna e tutte le altre, voi sapete chi siete.
Ringrazio tante le PandaCloe, BTR efp e Cangu300 per la recensione di segnalazione all'amministrazione, per l'inserimento della storia fra le scelte del sito.
Ringrazio tutti i recensori dal primo all'ultimo, siete parte fondamentale per la mia ispirazione.
E infine ringrazio ogni singolo lettore silenzioso che ha seguito la storia con piacere.
Tornerò a scrivere e magari posterò anche qualche extra sul futuro di Alex e Paul. 
Spero di trovarvi ancora qui a condividere con me qualche altra pazzia.
Un bacione e a presto <3 <3 <3

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