The Once and Future

di Arte84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


*N.d.A. Dal punto di vista cronologico, vorrei inserire questa FF subito dopo le prime 2 puntate della 5° serie di Merlin. Mi sono sempre divertita ad aggiungere nuovi personaggi a quelli che già in genere si conoscono e cambiare un po’ le carte in tavola. Non me ne vogliate! Inoltre, spero di non risultare eccessivamente descrittiva! E’ che mi piace, tramite le parole, dare la possibilità al lettore di materializzare (per quanto posso) luoghi, personaggi e trame nel modo più vivido possibile. Ed è bene che sappiate che non sono una scrittrice ;) Credo sia importante sapere che questa FF è nata sul treno delle 6:26 che prendo tutte le mattine per andare a lavoro: è evidente che la sonnolenza gioca brutti scherzi! Tutte le critiche, sia buone che cattive – ma non troppo -, sono bene accette! Grazie!!!
Revisionato: Settembre ’13.
 

Capitolo I

 
Uther ed il suo gradito ospite, osservavano dalla finestra i due bambini giocare nel cortile. Re Andrew di Castlesea era venuto in visita ufficiale a Camelot assieme alla sua scorta di cavalieri e a sua figlia di 5 anni. I due re si conoscevano da molti anni e quella visita, oltre ad essere una visita diplomatica tra due regni confinanti, era anche l’occasione di una rimpatriata tra vecchi amici.
“Crescono così in fretta! Ancora qualche anno e ci ritroveremo davanti un uomo coraggioso ed una splendida donna” disse sospirando re Andrew.
“Già. Noi non possiamo far altro che lavorare per rendere i nostri regni solidi così da consegnarli un giorno nelle loro mani” rispose Uther.
“E’ pronto il trattato?” chiese Andrew distogliendo lo sguardo dalla finestra.
“Sai che è solo una mera formalità burocratica” spiegò Uther avvicinandosi al grosso tavolo di quercia pieno di scartoffie, “l’amicizia tra i nostri regni è oramai secolare e l’aggiunta della postilla sul matrimonio tra i nostri figli non farà altro che rafforzarla.”
“Ne sono sicuro” rispose sorridendo l’ospite guardando nuovamente i bambini in cortile.
 
“E questo! E questo! E questo!” urlava la piccola Artemisia mentre menava fendenti con una piccola spada di legno ad Arthur.
“Sei brava per essere una femmina!” rispose il bambino, che con un colpo del suo spadino fece cadere di mano la spada della sua compagna.
“Hei! Non vale!” s’imbronciò la bambina, socchiudendo i brillanti occhi neri.
Ridendo, il piccolo Arthur spiegò: ”Guarda che oramai ho 6 anni e il mio addestramento è già iniziato! Sono abbastanza grande per andare a cavallo e per conoscere le cose che fanno i re!”.
“Ah si? E allora che cosa stanno facendo il tuo papà e il mio papà ora?” chiese con espressione sarcastica Artemisia mentre con una mano si spostava dal viso roseo una ciocca ribelle di capelli ramati.
“Un trattato di alleanza tra Camelot e Castlesea” disse preparato il principino; e spiegò ancora: ”si prendono accordi per le terre e i soldati. E mio padre ha detto che un giorno io e te ci sposeremo, ma non preoccuparti perché io gli ho detto che non voglio.”
Punta sul vivo, la piccola principessa incrociò le braccia e lo guardò indispettita: ”E perché non vuoi? Vuoi un’altra principessa?”
“No, non voglio nessun matrimonio! Voglio solo fare la guerra!” e le puntò lo spadino contro con fare minaccioso.
“Ma i nostri padri non vogliono la guerra! E’ per questo che dobbiamo sposarci! Non sai proprio niente di quello che fanno i re! Hai detto una bugia” e così dicendo afferrò con entrambe le mani lo spadino di Arthur e lo tirò.
Lui oppose resistenza ma lei lo lasciò andare, così che il bambino cadde all’indietro sulle pietre del cortile.
“Se non mi sposerai allora diventerò un soldato più forte di te!” disse tra le risa Artemisia.
“Non puoi! Sei una femmina!” protestò Arthur alzandosi.
La bambina recuperò lo spadino che aveva perso prima e lo sfidò: ”Difenditi!”.
Il cortile di Camelot risuonò delle urla e delle risa dei bambini fino al tramonto.
 
24 anni dopo
 
I sassoni si spingevano sempre più vicino a Camelot. Incursioni su incursioni, villaggi depredati, popolazione uccisa o ridotta in schiavitù. L’alleanza con Morgana li aveva resi ancor più assetati di sangue e bottini.
L’inverno era oramai alle porte e si sperava che il freddo portasse una sorta di tregua ma a quanto pare non era così. Le sentinelle avevano segnalato una possibile razzìa in un villaggio vicino entro un paio di giorni e alle prime luci dell’alba, Arthur, Merlin e un drappello dei migliori cavalieri di Camelot erano partiti per tendere un’imboscata al manipolo sassone prima dell’ennesimo assalto agli innocenti contadini.
Il re aveva deciso di tendere l’agguato in una radura a poche miglia dal villaggio: per la conformazione del luogo, si poteva facilmente prenderli di sorpresa ed accerchiarli.
“Quando i sassoni si troveranno esattamente al centro della radura, allora li assaliremo” questi erano stati gli ordini. I soldati presero posizione dentro il fitto bosco, mimetizzandosi tra gli arbusti, mentre la cavalleria comandata da Arthur si era appostata appena dietro di loro.
“Eccoli!” disse sottovoce al re sir Leon.
“Tenetevi pronti” rispose Arthur. Alzò la spada e quando vide  i sassoni al centro della radura urlò: “Ora!!!”.
Fanteria e cavalleria accerchiarono i sassoni che, presi di sorpresa, si misero in posizione di difesa. Il re, sir Leon, sir Gwaine, sir Elyan, sir Mordred e sir Parsifal menavano fendenti a tutti i nemici che capitavano sotto tiro mentre Merlin, nelle retrovie, dovette suo malgrado deviare qualche colpo, altrimenti mortale, con la magia. Vide un sassone che assaliva da dietro Parsifal senza che lui se ne accorgesse. Mormorò un incantesimo: la mano armata del sassone gli si ritorse contro e Parsifal, girandosi su sé stesso, lo infilzò in pieno petto.
“Bene” disse Merlin tra sé, proprio nel momento in cui, con la coda dell’occhio, vide Arthur inciampare su di un cadavere e cadere su un fianco, mentre dall’alto di un cavallo, un sassone armato di mazza chiodata stava per colpirlo.
Non fece a tempo a mormorare un altro incantesimo che un cavaliere si interpose col suo cavallo bianco tra il nemico ed il re, colpendo dal basso verso l’alto il grosso sassone con la sua spada.
Il cavaliere, scese da cavallo, allungò il braccio verso Arthur per aiutarlo al alzarsi e corse contro altri due sassoni, avendola vinta molto facilmente.
Era abile e veloce nei movimenti, nonostante non fosse di grossa stazza. Il guerriero non portava la cotta di maglia, ma, al di sopra di una leggera tunica nera, indossava un’armatura completa dipinta di blu scuro e tenuta unita da lacci di cuoio robusto e fibbie argentate. Un elmo gli copriva interamente la testa ed il viso, permettendo a mala pena di intravedere gli occhi.
Usava una spada a lama lunga di tipo leggero mentre lo scudo era blu scuro come l’armatura e portava dipinto sopra un simbolo.
“Non porta le insegne di Camelot” pensò Merlin osservando il nuovo venuto.
Dopo pochi altri istanti, la sortita contro i sassoni finì. Non c’erano state perdite tra i soldati di Camelot, mentre i sassoni erano stati tutti uccisi, compresi quelli che avevano tentato la fuga.
Il misterioso guerriero recuperò il suo cavallo, il bagaglio ed un mantello ripiegato nella bisaccia. Arthur, ancora affannato dallo scontro, gli si avvicinò e osservò lo stemma cucito sul mantello e dipinto sullo scudo: la torretta grigia di un castello appoggiato su delle onde marine argentate.
Era un simbolo nobiliare e gli sembrava familiare.
“A chi devo il mio ringraziamento per l’aiuto in battaglia e per avermi salvato la vita?” chiese Arthur.
Il guerriero si girò verso di lui e si sfilò l’elmo.
Una cascata di morbidi capelli ramati si appoggiò sulle spalle del guerriero circondandogli il viso roseo e dalla carnagione chiara, mentre due occhi d’onice brillante gli rivolsero un dolce sorriso. Una ragazza! Arthur era rimasto senza parole e con gli occhi spalancati per la sorpresa.
“Non so se ti ricordi di me” gli disse la ragazza ancora sorridendo mentre con una mano si spostava dal viso una ciocca ribelle di capelli ramati.
Per un attimo, Arthur vide in quegli occhi gli stessi occhi di una bambina, nel cortile del castello di Camelot….”Artemisia!!!” disse il re ridendo ed allargando le braccia. “Non ci posso credere! Sei proprio tu?!”
“Vedo che sei un re dalla lunga memoria!” gli disse Artemisia trasformando il dolce sorriso in un’espressione sarcastica.
Merlin e gli altri cavalieri, ancora più sorpresi ed increduli, guardarono incuriositi il proprio re abbracciare quella misteriosa ragazza.         
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

 
Rientrarono a Camelot nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno. Il re smontò da cavallo e si avvicinò alla regina in attesa nel cortile, posandole un bacio sulla guancia.
“Mia regina, questa è la principessa Artemisia di Castlesea.” disse Arthur, “cara amica d’infanzia e oggi sorprendentemente mia salvatrice!”.
Gwen accolse Artemisia e prese tra le sue mani quelle della principessa: “E’ per me un immenso piacere accogliere a Camelot la principessa di Castlesea. Farò immediatamente preparare le migliori stanze per Voi e, dopo un bel bagno caldo ed esservi riposata, mi racconterete  a cena cosa è successo”.
“Mia signora, vi ringrazio per l’accoglienza e accetto ben volentieri il riposo e la cena, però chiamatemi Artemisia: non mi piacciono le formalità!”
“Nemmeno a me! Chiamami pure Gwen” rispose la regina sorridendo. Le due donne si presero a braccetto ed entrarono a palazzo, seguite da Arthur e dagli altri cavalieri.
Merlin raccolse il bagaglio del re e si avvicinò a Gaius, che osservava la scena: “Che sai di questa principessa? E’ molto bella, mi sembra una brava ragazza oltre ad essere un cavaliere molto forte!”
Gaius cominciò a raccontare: “Castlesea, a sud, è un regno molto importante per il suo sbocco sul mare. Ha un porto marittimo e commerciale fondamentale per i contatti con il continente” spiegò.
“Molte delle merci che si vendono al mercato di Camelot vengono da lì. Il suo re si chiama Andrew è ha sempre regnato in modo retto e giusto, e la sua amicizia con Uther ha rafforzato l’alleanza e la pace tra i confini. Molti anni fa, quando Arthur e la principessa erano ancora dei bambini, re Andrew e Uther rafforzarono l’alleanza tra i due regni con un nuovo patto che prevedeva il matrimonio dei proprio rispettivi figli al compimento del 16° compleanno della principessa”.
Merlin spalancò gli occhi: ”Matrimonio? Uther ha provato parecchie volte ad accasare Arthur…. Come mai questo matrimonio è saltato?” volle sapere.
“Qualche anno dopo aver stipulato il patto,” continuò Gaius “ci fu una grande tempesta marine sulle coste di Castlesea e re Andrew diede asilo ad un gruppo di sopravvissuti ad un naufragio. Giunse voce che queste persone fossero dei Druidi. Si disse che, nonostante re Andrew sapesse chi fossero, li aveva accolti, rifocillati e curati, permettendo loro di lasciare Castlsea tranquillamente una volta messisi in forze”.
“Se fossero capitati a Camelot, non credo che Uther li avrebbe accolti così!” osservò Merlin.
“Esattamente. Non si è mai saputo se re Andrew fosse o meno a conoscenza della reale identità dei naufraghi. Ad ogni modo, ciò bastò a creare una crisi diplomatica tra i due regni. La situazione peggiorò inoltre quando il sovrano di Caslesea si sentì accusato da Uther di proteggere i druidi. Infine il buon senso di re Andrew fece rientrare la crisi, ma pretese che il matrimonio tra Arthur e sua figlia fosse cancellato dal patto di alleanza. Uther cercò di opporsi, ma i suoi continui sospetti su Andrew resero la decisione irrevocabile. I due principi si conoscono sin dall’infanzia e in questi anni si sono scritti spesse volte, rimanendo in amicizia.”
Merlin guardò la principessa a braccetto con Gwen: “Quindi avrebbe potuto essere lei la regina di Camelot….” osservò il giovane.
“Già. Dicono che abbia l’intelligenza e la saggezza di suo padre e il cuore buono e  la bellezza di sua madre. La regina Gratias morì quando lei era ancora molto piccola. Sarà una grande regina per Castlesea. E’ giunta voce che re Andrew sia malato. Per quanto riguarda le sue velleità guerresche, ne so quanto te, Merlin” concluse Gaius rientrando a palazzo assieme al giovane stregone.
 
L’alloggio era spazioso ed arioso, con un grande letto a baldacchino che invitava al riposo. Nella stanza adiacente, più piccola, era stata preparata in tutta fretta ed efficienza una grande vasca di stagno, fumante di acqua calda e sali profumati. Su di un tavolinetto accanto alla vasca, invece, erano ripiegati dei teli di lino freschi di bucato con accanto una boccetta di vetro contenete un prezioso unguento per la pelle e una spazzola per i capelli.
Invogliata dalla vista della vasca, la principessa Artemisia cominciò a spogliarsi.
Il suo viaggio a Camelot era già deciso da tempo, era stato solo per un caso fortuito che, lungo il suo tragitto, si fosse imbattuta nello scontro tra i sassoni e Arthur. E la fortuna ha voluto che oltre ad intervenire contro il nemico comune, fosse addirittura riuscita a salvare il re di Camelot.
Presa dalla furia della battaglia non aveva quasi fatto caso al fatto di averlo salvato da morte certa. Quando le si era avvicinato per ringraziarla, lo stupore negli occhi del giovane re ero lo stesso di quel bambino biondo con il quale aveva giocato da piccola.
Tante volte aveva pensato a lui, e lui aveva abitato insistentemente i suoi sogni di ragazzina, ogni volta che arrivava a Castlesea il corriere con una missiva del principe di Camelot indirizzata a lei. Era davvero felice che Arthur l’avesse riconosciuta: quando l’aveva abbracciata, sembrava che le sue ampie spalle e le braccia forti l’avessero avvolta completamente, isolandola da ciò che li circondava. Per un attimo aveva respirato il suo profumo. Un tuffo al cuore!
Accompagnata da questi pensieri, Artemisia si lasciò scivolare nell’acqua calda con sollievo.
La regina Guineviere in persona aveva accompagnato Artemisia nelle stanze preparate per lei. Era stata gentile e dolce e doveva essere una donna straordinaria. Conosceva la sua storia: era stata la serva di Morgana, ed Arthur era andato contro tutte le convezioni sociali e le tradizioni delle famiglie reali sposandola. Lo ammirava per questo: si era sposato per amore.
Se le cose fossero andate diversamente….
Se l’odio di Uther per la magia non fosse stato così accecante… Suo padre aveva saputo solo dopo molti giorni che i naufraghi erano dei druidi, ma ciò non avrebbe cambiato il corso degli eventi: c’erano donne spaventate, bambini piccoli e uomini feriti.
Conoscendo la generosità di suo padre, non credette che avrebbe potuto comportarsi altrimenti, anche se avesse saputo la loro origine. Lei stessa avrebbe fatto le medesime cose.
Se le cose fossero andate diversamente, se suo padre non si fosse risentito dell’indignazione di Uther, sarebbe stata la sposa di Arthur.
Si sentì avvampare in volto. Prese un bel respiro, si tappò il naso con la mano e immerse la testa nell’acqua fumante. 
 
“E’ davvero molto bella”.
“Dovresti vedere come combatte! Era una furia!”.
I sovrani di Camelot si stavano preparando per il banchetto di benvenuto per la principessa di Castlesea.
Gwen aveva dato precisi ordini al tutta la servitù affinchè fossero preparati tutti i piatti più buoni che le cucine del castello potevano sfornare e che la sala da pranzo fosse decorata con drappi rossi e fiori appena colti dai giardini reali.
“Non sapevo che foste amici d’infanzia” disse la regina.
“Abbiamo spesso giocato assieme da bambini. Dopo la rettifica al trattato voluta da re Andrew, abbiamo avuto una fitta corrispondenza: io le scrivevo del mio addestramento e lei mi consigliava dei libri da leggere. Eravamo due ragazzini” spiegò Arthur, concentrato sulla fibbia del suo mantello che non voleva saperne di chiudersi “Ma dov’è Merlin, quando serve?” protestò spazientito.
“So della rettifica: avreste dovuto sposarvi” disse Gwen in tono neutro, aiutando il marito a sistemare la fibbia e il mantello sulle sue spalle.
“Lo volevano i nostri padri. Se oggi penso che mi sarei dovuto sposare a 17 anni…. Ridicolo! Non per Artemisia, ovviamente… Per fortuna le cose sono andate diversamente. Ho sposato la donna che amo” dichiarò il giovane re guardando sua moglie sorridere.
 
“Mmmm…si, va bene così” pensò Artemisia guardandosi allo specchio. Solo nelle occasioni ufficiali indossava abiti adatti al suo rango e con sé ne aveva portato solo uno. Ma pensò che era troppo elegante, troppo formale per quella cena. Per il resto, preferiva vestire comodamente. Quindi indossò dei pantaloni neri, una camicetta verde chiaro di lino senza bottoni e, sopra questa, un corpetto in velluto nero con allacciatura sulla schiena.
Nonostante non fosse un abbigliamento troppo femminile, sentiva che le sue forme fossero comunque risaltate dal pantalone aderente e dal corpetto allacciato stretto. C’erano molti cavalieri in giro e non le piaceva mettersi in mostra, per cui ci ripensò. Ma oramai era tardi per cambiarsi.
Allora calzò degli stivali in morbido cuoio alti fino alle ginocchia. Decise di fare due trecce sulle tempie e di legarle poi dietro la nuca. Il resto della folta chioma ramata la lasciò libera e ribelle. Stava finendo di sistemarsi i capelli quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti”.
“Mia signora, volevo avvisarvi che tra poco sarà servita la cena”.
“Entra!” disse la ragazza “Tu sei… Merlin, giusto? Il servitore di Arthur”.
“Si, mia signora” rispose Merlin ”ma non sono ad uso esclusivo del re, se avete bisogno potete chiedere a me”.
La principessa si girò a guardarlo: “Chiamami pure Artemisia. Come ho detto alla tua regina, non mi piacciono le formalità. Ho sempre avuto un rapporto familiare con tutti quelli che lavorano nel castello di mio padre: se Arthur si fida di te, mi fiderò anche io di te” rispose la principessa sorridendo.
Merlin rispose con un cenno del capo ed un ampio sorriso.
“Allora!” esclamò poi Artemisia battendo le mani “Ho una fame terribile! Dai, accompagnami”. “Volentieri!” disse ridendo Merlin.
La bella principessa gli trasmetteva sensazioni positive: dopo le incursioni sassoni, Morgana e la profezia su Mordred, di una persona allegra come lei in giro per Camelot, ce n’era bisogno.
 
“… e così mi ha salvato!” concluse Arthur, seduto a cena con la moglie, la principessa Artemisia e tutti i suoi cavalieri.
“Ma come fate a combattere così bene, principessa?” chiese curioso sir Leon.
“Dalla morte di mia madre, il re mio padre non si è più risposato. Ho voluto imparare a combattere per poter difendere Castlesea autonomamente, come farebbe un figlio maschio” prese un sorso di vino “Ed anche per poter nuovamente sconfiggere Arthur in uno scontro di spada” dichiarò subito dopo Artemisia.
“ooooohhhooo!” esclamarono all’unisono i cavalieri.
“Nuovamente?” chiese divertito Mordred.
“Devi sapere che, quando eravamo solo dei ragazzini, ho battuto molte volte il tuo re a duello” disse la principessa rivolta al giovane ma guardando divertita di sottecchi il re che sbuffava.
“Ma…non è assolutamente vero!” protestò Arthur, tra le risate generali.
“Come sta vostro padre?” chiese Gwaine.
“Molto meglio, grazie, altrimenti non me la sarei sentita di partire e lasciarlo solo”.
“E per quanto tempo rimarrete?” incalzò Parsifal.
“Fino a quando Arthur non ne avrà abbastanza di buscarle da me!” esclamò Artemisia mentre i cavalieri ridevano a crepapelle. Continuò poi con tono più serio ”Sono qui per imparare, in effetti. La vostra tecnica militare funziona efficacemente contro le incursioni nemiche. Negli ultimi mesi anche Castlesea ha subito numerosi attacchi sassoni sui confini: siamo preparati contro gli assalti via mare, ma non posso dire altrettanto di quelli via terra. Spero che qualcuno tra voi sia così gentile da mostrarmi le strategie militari del vostro esercito” concluse rivolta ai cavalieri.
“Mi offro io!” ripeterono in coro tutti i cavalieri.
“Preparati, perchè dovrai difenderti da ben altro tipo di incursioni nei prossimi giorni!” dichiarò divertita Gwen, tra i cavalieri schiamazzanti.
“Resta tutto il tempo che vuoi, Artemisia” disse il re guardando l’amica negli occhi.
“Grazie Arthur” rispose la ragazza con un cenno del capo e contraccambiando lo sguardo. Artemisia poi abbassò gli occhi sul piatto che aveva davanti: sapeva come difendersi dai corteggiamenti cavallereschi, ma davanti a quegli occhi si sentiva totalmente indifesa.
 
La pianura era una distesa di cadaveri, il cielo aveva assunto la stessa colorazione rosso ruggine del sangue che inzuppava il terreno. Mordred con gli occhi cattivi ferisce a morte un Arthur dallo sguardo incredulo e spento. Il re cade in ginocchio, il silenzio è assordante. Poi, da lontano sembra arrivare l’eco di un gemito squillante, come il pianto di un neonato….
Merlin si svegliò di soprassalto scosso dai brividi. Il cuore batteva così forte che sembrava volergli uscire dal petto e non riusciva a calmare il respiro affannoso. Con la mano si asciugò il sudore freddo della fronte. Dalla finestra si vedeva la luna ancora alta nel cielo.
“Merlin, cosa succede?“ chiese Gaius entrando nella stanza. Guardando quel volto familiare, Merlin sembrò riacquistare la calma.
“Credo… credo di non aver digerito l’arrosto” rispose il ragazzo.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

 
Nei giorni a seguire, il freddo secco di fine autunno aveva lasciato il cielo sgombro dalle nuvole, permettendo  al sole tiepido di illuminare il castello di Camelot e la città bassa.
Artemisia aveva libero accesso ai campi addestramento e alle scuderie.
Stava imparando molte cose: come dispiegare un battaglione ed organizzare la retroguardia, come sfruttare le condizioni climatiche e la morfologia del campo di battaglia, come difendersi in caso di assedio. Informazioni utili che avrebbe trasmesso, via lettera e poi al suo ritorno, al Generale di Armata di Castlesea, Carleon di Hir, in modo da potenziare l’esercito.
Tutti i cavalieri, a turno, si erano presi il compito di illustrare quanto più possibile alla loro ospite. Spesso però la fanciulla scappava per ritagliarsi un po’ di tempo per stare da sola. Tra una spiegazione ed una dimostrazione sul campo, Gwaine e gli altri la invitavano a fare lunghe passeggiate, gite a cavallo o le regalavano fiori.
Non le sarebbe dispiaciuto accettare tutti gli inviti, ma non voleva che fosse fraintesa o, addirittura, creare ostilità fra di loro. Erano così gentili e carini con lei, dallo sfacciato Gwaine, al signorile Leon, dal generoso Parsifal, ai timidi Mordred ed Elyan: creare problemi era l’unica cosa che voleva.
Per questo declinava ogni invito e scompariva quando poteva.
 
Il sole era quasi al tramonto e Arthur stava salendo le scale della torretta con l’animo sollevato, gli ultimi dispacci avevano portato notizie positive: a quanto pare i primi freddi avevano calmato le razzie sassoni ed i confini parevano riposare tranquilli.
Gli piaceva salire da solo sul punto più alto del castello, spingere lo sguardo fino ai confini del suo regno, respirare il vento e riordinare i pensieri.
Uscì all’esterno della piccola porta ma a quanto pare qualcuno l’aveva preceduto.
C’era una persona seduta sul cordolo della guglia della torretta, con la schiena appoggiata all’indietro e le gambe allungate sulla balaustra.
“Hai invaso il mio spazio” dichiarò deciso Arthur.
Artemisia si raddrizzò a sedere: ”Pensavo che gli ospiti a Camelot potessero andare dove volessero” disse ironica.
“Tranne negli spazi personali del re” mugugnò lui.
La ragazza lo guardò seria alzando un sopracciglio.
“Scherzo!” dichiarò il sovrano con un mezzo sorriso e le sedette accanto, assumendo la sua stessa posizione rilassata.
“Ti ricordi quando venivamo qua a giocare di nascosto?” gli chiese Artemisia dopo qualche attimo di silenzio “La tua nutrice ce lo proibiva perché era pericoloso, ma noi ci salivamo lo stesso”.
“E fingevamo che una strega ci avesse trasformato in due giganti che vedevano da quassù la gente e le case piccole piccole” aggiunse Arthur sorridendo.
“Una vita fa. Era tutto così semplice”.
Artemisia si alzò in piedi e si affacciò alla balaustra, stringendo attorno al corpo un ampio e caldo scialle di lana bianca filata. Arthur ne osservò il viso dal delicato profilo illuminato dagli ultimi raggi del sole: le labbra piene e rosse, i lunghi capelli dai riflessi ramati mossi dal vento e le forme del corpo fasciate dalla lana. Si scoprì ad osservarla più del necessario.
Si riscosse: ”Allora, quale tra i miei migliori cavalieri lascerà Camelot per Castlesea?”
“Cosa?” chiese Artemisia perplessa, girandosi e dando le spalle al panorama.
“Sono tutti pazzi di te. Posso garantire per ognuno di loro, se vorrai sposarti” dichiarò il giovane alzandosi ed affacciandosi accanto a lei.
Artemisia gli si affiancò divertita: “Non fare il malizioso! Non sono innamorata di nessuno di loro, né ho avuto un colpo di fulmine. Certo, sono gentili, coraggiosi e fisicamente prestanti quanto basta da sconvolgere la mente di una donna rispettabile con pensieri perversi”.
A questa frase, Arthur scoppiò in una sonora risata.
“Ma, per quanto mi costi dirlo, e quindi non vantarti per questo, vorrei un giorno fare come hai fatto tu: sposarmi per amore. Per ora non c’è nessuno e il matrimonio non è nei miei pensieri”.
Compiaciuto dal complimento, Arthur assunse un’aria pensosa: “Mmmm…e il soldato dagli occhi verdi che di notte ti lasciava le rose rosse fuori dalla porta di camera tua? Che fine ha fatto?”. “Chi?” chiese allarmata la principessa.
“Più volte mi scrivesti di lui, di quanto fosse bello, coraggioso e romantico…”.
Artemisia scoppiò a ridere quasi alle lacrime, con Arthur che la guardava interdetto.
“Non è mai esistito, me lo sono inventato!” dichiarò lei tra le risa.
“Inventato? Mi hai mentito? Perché?” chiese Arthur stupito.
“Tu mi scrivevi di cavalli, duelli…. E io per provocarti mi sono inventata la storia del soldato innamorato di me, che mi corteggiava” dichiarò lei, stropicciandosi un occhio.
“Provocarmi?” chiese ancora più perplesso il re, girandosi a guardarla.
“Esatto, volevo destare in te dell’interesse, farti ingelosire. Ma non ho mai capito se c’ero riuscita” disse la giovane ricambiando lo sguardo.
Entrambi appoggiati alla balaustra, le loro spalle si toccavano. Arthur non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, scuri, profondi e brillanti: “Si, un po’ m’ero ingelosito. Avevo paura che non mi scrivessi più”.
C’era troppa poca distanza tra i loro volti, tanto che Artemisia percepì il respiro di Arthur sul suo viso. Arrossì e distolse lo sguardo: ”Allora…. Missione compiuta!” scherzò assumendo un’aria trionfante.
“Mi ritiro, comincia a fare troppo freddo qui” mentì poi. In realtà sentiva la faccia bollente.
Arthur non riuscì a spiccicare parola e il freddo non lo sentiva più nemmeno lui. Avvertì il sangue pulsare velocemente nelle vene. Decise di rimanere sulla torretta ancora un po’, mentre guardava Artemisia scomparire dalla porta.
 
Era già qualche giorno che Merlin aveva notato un comportamento strano da parte di Arthur e di Artemisia. Si punzecchiavano e scherzavano come due commilitoni, ma spesso notava lo sguardo di uno di loro posarsi su l’altro. E quando l’altro ricambiava lo sguardo, si risolveva tutto con un sorriso imbarazzato.
“Artemisia, ho portato la legna per il camino”, disse Merlin entrando nelle stanze della principessa con in braccio una fascina.
 La ragazza, appoggiata al muro, guardava assorta qualcosa dai vetri della finestra e non s’era accorta di Merlin.
Il giovane si avvicinò a lei e notò che stava guardando Arthur nel cortile di Camelot che dava disposizioni alle guardie per il turno notturno.
“Artemisia” chiamò nuovamente Merlin.
La ragazza trasalì: “Merlin! Non ti ho sentito entrare!”.
“Perdonami, non volevo spaventarti. Ho portato la legna per il camino. Stanotte farà freddo” disse il giovane avvicinandosi al camino.
Sistemò la fascina di legno che aveva ancora in braccio e cominciò a sfregare due pietre focaie per accendere il fuoco.
“Ti trovi bene a Camelot?” chiese Merlin mentre le scintille delle pietre focaie cominciavano ad intaccare la legna.
“Oh si! Molto bene. Siete tutti così gentili con me “ rispose Artemisia sedendosi al tavolo e raccogliendo distrattamente un libro.
“Anche Arthur?” chiese vago Merlin sistemando con un’asta di metallo la fascina oramai accesa.
Artemisia lo guardò un po’ sorpresa: “E’ un caprone, ma non posso dire che non sia gentile” rispose poi ridendo.
Anche Merlin rise: “Buonanotte mia signora” augurò il giovane.
“Buonanotte Merlin.“
Il giovane mago uscì dalla stanza con una strana sensazione.
 
Era una magia potente, che solo la Grande Sacerdotessa poteva conoscere; solo un essere forte come lei poteva sostenerne il peso.
Morgana voleva che Arthur morisse tra le più atroci sofferenze. E quell’arma così faticosa da costruire poteva farlo.
“Sei sicura che sia il migliore?” chiese perplessa Morgana a re Odin “Deve puntare dritto al cuore”. “E’ l’arciere migliore di tutto l’esercito” rispose lui sicuro “Capace di infilzare due uomini con una sola freccia”.
“Basta che ne colpisca solo uno e che gli spacchi il cuore”.
“E così sarà, mi signora” rispose serio l’arciere, in piedi accanto a re Odin: un ragazzo alto e giovane, dall’espressione truce.
Compiaciuta, Morgana gli consegnò la lunga e letale freccia di legno di tasso: “Abbine cura. E fa che centri appieno il suo obbiettivo, altrimenti nessun nascondiglio sarà troppo sicuro e lontano da me” disse con un ghigno al giovane.
Il soldato annuì, sistemò la freccia nella faretra ed uscì.
 
La segnalazione era stata chiara: un contingente sassone si stava radunando a nord, presso il fiume Glen. Se avessero invaso l’intera zona e si fossero accampati stabilmente, i sassoni avrebbero interrotto tutte le comunicazioni con le terre del nord ed avere facile accesso a Camelot.
Bisognava intervenire prima che l’intero esercito sassone si trasferisse vicino al fiume e le temperature invernali fossero troppo rigide per una spedizione militare.
Arthur ed il Gran Consiglio si erano radunati alla tavola rotonda per decidere il da farsi ed anche Artemisia partecipò alla discussione.
Fu deciso di partire il giorno seguente ed attaccare i sassoni prima che fosse troppo tardi.
Alle prime luci dell’alba, l’esercito e tutti i cavalieri di Camelot erano pronti a partire.
“Cosa stai facendo?” chiese Arthur accompagnato da Merlin, vedendo Artemisia accanto al suo cavallo, vestita con l’armatura completa, armata di tutto punto e i lunghi capelli legati in una morbida treccia.
“Mi sembra chiaro, no?” rispose lei sistemando le briglie del suo animale.
“E’ troppo pericoloso” dischiarò Arthur contrariato.
Artemisia voltò la testa verso di lui spalancando gli occhi, come se avesse detto una stupidaggine.
Il re di Camelot sbuffò: “Va bene, ma rimani vicina a me” e montò a cavallo.
“Nominata seduta stante guardia del corpo del re! Quale onore!“ disse ridendo la ragazza facendo un occhiolino ad un Merlin sghignazzante.
Arthur fece una smorfia contrariata. Montarono sulle loro cavalcature e partirono.  
  

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

 
Il battaglione era schierato e la cavalleria di Arthur aveva preso posizione.
Il contingente sassone era in numero inferiore.
Tra le urla, il nemico attaccò in modo disorganizzato.
“All’attacco! Forza!” urlò Arthur.
La cavalleria guidata dal re si gettò contro il nemico decimandolo, mentre il battaglione fermava gli assalti uccidendo chiunque osasse opporsi.
 
L’arciere si era appostato dietro una grossa roccia, nel punto in cui il fiume saltava dalla collina per immettersi nella tranquilla vallata, dove ora infuriava la battaglia. Da quel punto strategico poteva osservare l’andamento dello scontro.
Nella mischia aveva già individuato il re di Camelot, ma decise di aspettare il momento giusto.
Lo scontro con i sassoni era stato organizzato per questo: eliminare più soldati e cavalieri fosse possibile e uccidere Arthur con la freccia di Morgana. Non importava poi se lo scontro si fosse risolto a favore dell’uno o dell’altro schieramento.
Si alzò dalla sua posizione nascosta. Incoccò la freccia al suo arco, lo tese e attese pochi istanti.
 
Il grosso sassone non voleva saperne di morire: essersi reso conto che una donna lo stava tenendo a bada, anche se a fatica, l’aveva reso furioso. Artemisia era sfinita.
Merlin se ne accorse e, mormorando un’ incantesimo, fece inciampare il sassone che stramazzò a terra. A quel punto, fu facile per la principessa colpirlo all’addome.
Merlin, soddisfatto, si spostò furtivamente dietro un albero a seguire sir Leon ed Elyan contro un lanciere sassone a cavallo.
Lo scontro stava per terminare a favore di Camelot.
Artemisia, affannata, si guardò attorno soddisfatta: anche Arthur, a qualche passo da lei, sembrava stanco ma aveva ancora abbastanza energia per dare ordini a Parsifal, Gwaine e a Mordred, i quali si allontanarono per eseguirli.
Alzò distrattamente gli occhi verso la collina e lo vide: un’ arciere s’era alzato da dietro un grande spuntone di roccia e aveva teso il suo arco.
La freccia era puntata verso…
“Arthur!” urlò Artemisia. Coprì velocemente i pochi passi che li dividevano, gli si gettò addosso e lo abbracciò guardandolo negli occhi.
L’arciere scoccò la freccia.
“Cosa…” mormorò Arthur sorpreso da quell’abbraccio improvviso.
Con un sibilo, seguito da un rumore secco, la freccia bucò la corazza di Artemisia, penetrando a fondo nella carne della sua spalla destra. Il suo corpo sussultò per il colpo.
“No!” urlò Arthur abbracciandola e sostenendola.
Parsifal, Gwaine e Mordred si resero subito conto di quanto era accaduto e tornarono indietro di corsa. Anche Merlin, sentito l’urlo di Arthur, era corso verso di lui.
“Cos’hai fatto?” urlò Arthur ad artemisia, tenendola ancora abbracciata, mentre l’appoggiava delicatamente a terra.
“Sono una brava guardia del corpo” riuscì a dire in un soffio Artemisia prima che un dolore fortissimo la facesse contorcere. 
“Dobbiamo sfilare la freccia!” disse Merlin acquattandosi accanto alla principessa ed esaminando la ferita.
Parsifal afferrò con una mano il dardo e lo strappò con un colpo secco e deciso.
Artemisia urlò e l’azzurro degli occhi di Arthur che la guardavano fu sostituito da una profonda oscurità.
 
Dopo aver lasciato il comando a sir Leon, Arthur prese in braccio Artemisia svenuta, montò a cavallo aiutato da Mordred e, tenendola ben stretta col braccio sinistro, spronò il cavallo verso Camelot con la destra, seguito a ruota da Merlin.
Solo alla vista delle guglie del castello, Arthur rallentò un po’ quella folle corsa.
La mano di Artemisia strinse forte il braccio di Arthur. Il re abbassò lo sguardo e vide che aveva ripreso conoscenza.
Gli occhi d’onice lo guardavano dolci e brillanti, a contrasto col colorito spento delle guance: “Andrà tutto bene” gli disse e richiuse gli occhi abbandonando la testa sulla sua spalla. “Muoviamoci!” intimò Arthur a Merlin, che annuì.
Il re strinse ancora di più forte Artemisia e spronò nuovamente la sua cavalcatura, mentre sentiva le lacrime pungergli gli occhi e un senso d’angoscia inondare il suo cuore. 
 
La stessa Gwen spogliò la principessa dall’armatura e Gaius lavò la ferita dopo averla esaminata, mentre Merlin preparava un unguento lenitivo da applicarci sopra.
“La freccia è stata maledetta, sire” dichiarò Gaius tendendo al re la freccia raccolta da Merlin “Si tratta di una magia molto potente. Solo le Grandi Sacerdotesse posseggono tale potere. Altrimenti la ferita della principessa non sarebbe mortale”.
“Morgana…” sussurrò Merlin.
“Era diretta a me” disse pensoso Arthur guardando l’arma tra le sue mani.
“Dalle venature nerastre comparse sulla ferita, temo che il veleno della freccia sia già entrato in circolo”
Gli occhi di Arthur si velarono di lacrime e strinse le labbra con rabbia. Guardò Artemisia priva di conoscenza agitarsi lievemente per il dolore, mentre Gwen le tamponava la fronte con una pezza imbevuta di acqua di rose.
“Dammi una soluzione, Gaius. Devo salvarla” chiese il giovane re.
Gaius si fece pensieroso e sospirò: “Una leggenda vuole che le acque del lago Llyn siano un deterrente contro ogni sorta di maledizione e sortilegio. Si potrebbe tentare lavando la ferita con quell’acqua.” raccontò Gaius.
“Sicuro che funzioni?” chiese Merlin.
“E’ un tentativo. Almeno allieverà le sue sofferenze. Questo tipo di sortilegio uccide le sue vittime col dolore” disse greve Gaius “E il dolore vero e proprio non è ancora cominciato”.
La rabbia montò nel petto di Arthur; guardò Merlin che rispose deciso al suo sguardo.
“Partiamo subito”.
 
Arthur non riusciva a darsi pace ed il senso di colpa lo tormentava: la freccia era destinata a lui. Artemisia gli aveva fatto da scudo col suo corpo a costo di morire.
Stupida e testarda ragazza!
Nella mente gli si presentò l’immagine dei suoi occhi sereni, neri e profondi che avevano assunto un’espressione stupita nel momento in cui il dardo l’aveva colpita. Aveva sentito il rumore che aveva prodotto la punta della freccia nel bucare l’armatura e penetrare nella carne morbida.
Stupida e avventata!
Non voleva perderla: il solo pensiero di non poter più guardare quegli occhi, di non ricevere più per sé quei dolci sorrisi, di non essere più l’oggetto del suo scherno che tanto lo divertiva.
Il pensiero di ciò lo angosciava. E tutto a causa sua! Doveva salvarla.
Merlin seguiva il suo re a fatica: il lago Llyn era a una giornata da Camelot ma con la furia con cui incitava il suo cavallo, avrebbe coperto la distanza in qualche ora.
“Arthur, dobbiamo fermarci per far riposare i cavalli! Altrimenti non riusciremo nemmeno a tornare” gli urlò dietro.
Ma Arthur non lo avvertì nemmeno.
“Arthur! Arthur!”.
Il re tirò le briglie del suo animale con rabbia: “Non possiamo fermarci!” urlò.
“Solo per un’ora! I cavalli sono sfiniti!” chiese Merlin.
Si fermarono e scesero da cavallo. Arthur sfilò la spada dalla cintura sul fianco, la gettò con un moto di stizza a terra e si sedette sulle foglie secche che coprivano il suolo.
Merlin, dopo aver legato i cavalli ad un albero, porse ad Arthur una borraccia.
Il re aveva l’espressione stravolta: “Non preoccuparti. Porteremo l’acqua a Camelot in tempo” assicurò Merlin. Il re bevve l’acqua e non rispose.
Merlin gli si sedette difronte: “Tieni molto a lei?” chiese dopo qualche attimo di silenzio.
“E’ la più cara amica che ho. Mi ha salvato la vita per ben due volte. E’ il minimo che possa fare” disse poi più calmo.
Guardò Merlin difronte a lui: i muscoli della mascella di Arthur si contraevano, facendo percepire al suo compagno una profonda inquietudine.
“Cosa provi per lei?” azzardò a chiedere Merlin.
Arthur lo guardò ad occhi sgranati, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso: “Che domanda è? E’ mia amica e …” sospirò frustato e si umettò le labbra “Non lo so, Merlin. So solo che ogni volta che mi guarda, ogni volta che mi è vicina, mi sento ribollire dentro. Sono tentato di cercare il suo sorriso come posso, di attirare le sue battute. E’ un comportamento stupido, lo so. Certe volte non so come comportarmi, cosa dire”. S’interruppe per un momento.
“Ma amo Gwen” riprese deciso allargando le mani.
“L’amore più cambiare col tempo. Può evolversi diventando più forte, così come può trasformarsi in un profondo affetto” disse saggiamente Merlin.
“Che ne sai tu dell’amore?” chiese Arthur con la fronte aggrottata.
“Non saprei, ma osservo molto” rispose ridendo.
Arthur lo guardò pensoso. “Dobbiamo andare” disse poi alzandosi.
 
Arrivarono in prossimità del lago poco dopo, quando già era calato il buio. La notte era fredda, ma serena: la luna illuminava le acque piatte del lago Llyn e tutto il panorama incontaminato circostante.
“Raccogliamo l’acqua e accampiamoci per qualche ora. Con la prima luce ripartiremo” disse Arthur.
Merlin si avvicinò alle acque gelide e calme ed istintivamente s’inginocchiò per immergerci la mano.
Il tempo si fermò.
Il silenzio lo circondava: non sentiva più il richiamo della civetta notturna, né lo sbuffare agitato dei cavalli. Si girò verso Arthur: era rimasto immobile come una statua, mentre prendeva una borraccia attaccata alla sella della sua cavalcatura. Tutto era fermo ed immobile.
“Cosa vuoi dalle acque di Llyn, giovane stregone?”.
Merlin si girò di scatto verso quella voce. Un piccolo esserino luminoso lo guardava con fare curioso. Le ali, simili a quelle di una libellula, battevano veloci rilasciando una scia argentata vicino al naso del ragazzo.
“Chi sei?” chiese Merlin.
“Sono la fata guardiana del lago e preservo queste sacre acque da tutti coloro che vogliono usarle per scopi malvagi” spiegò.
“Il mio re desidera usare l’acqua del lago per uno scopo nobile: salvare una vita”.
“Se il suo intento è nobile e i suoi sentimenti puri e sinceri, l’acqua sprigionerà tutti i suoi portentosi benefici. Me se così non fosse, l’acqua avrà la stessa utilità di quella putrida di uno stagno. Puoi garantire per lui?” dichiarò la fata.
“Garantisco” rispose Merlin.
Non finì di rispondere che la fata era già scomparsa. La civetta strideva, i cavalli sbuffavano e il rumore degli stivali pesanti di Arthur risuonò sul ghiaietto in riva al lago.
Arthur si piegò e riempì fino all’orlo la borraccia: “Tutto bene Merlin?” chiese poi.
Merlin annuì; aveva ancora la mano immersa nell’acqua fredda.  
 
Arrivarono a Camelot mentre il sole era al tramonto.
Arthur e Merlin si misero a correre per i corridoi fino alla porta delle stanze di Artemisia, dove Gaius era in attesa.
Presa la borraccia con l’acqua del fiume Llyn, si avvicinò al letto, dove la principessa si agitava per il forte dolore. Il suo viso delicato era pallido e il corpo scosso da brividi.
Con l’aiuto di Gwen, la sollevarono e Gaius versò l’acqua sulla ferita, mentre Merlin pregava, sicuro che i sentimenti con i quali Arthur aveva raccolto quell’acqua fossero sinceri.
Gaius stette ad osservare cosa accadeva; il colore nerastro che oramai aveva coperto la candida pelle della schiena si andò ad attenuare.
Il medico reale guardò sorridendo il re, che si rilassò sospirando.   
 
“Sei un uomo generoso. Ora però và a riposare” disse sorridendo Gwen al marito.
Arthur ricambiò il sorriso e la vide allontanarsi nel corridoio.
Si girò verso la porta socchiusa della stanza di Artemisia e la vide svegliarsi.
Entrò e si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo: “Come ti senti?”
“Come se fossi stata investita da una mandria di mucche furiose” scherzò lei schiarendosi la voce. “Hai ancora la forza di scherzare?” chiese il re sorridendo.
“E’ la seconda volta che ti salvo la pelle: non farci l’abitudine” aggiunse Artemisia.
Tentò di mettersi a sedere con un gemito di dolore. Arthur l’aiutò a sollevarsi delicatamente sui cuscini abbracciandola e tirandola su: era leggera e calda.
Quando si scostò, a sorprese a guardarlo seria; il viso aveva ripreso il suo naturale colore, mentre le guance le si coloravano di un delicato rossore.
“Grazie Arthur” mormorò in un soffio Artemisia, posando una mano sulla guancia del re.
Il giovane sentì un brivido percorrergli la schiena e il cuore accelerare i suoi battiti.
Prese quella mano e le posò un bacio sul palmo senza staccare gli occhi dei suoi; si alzò ed uscì dalla stanza con l’animo e le sensazioni in tempesta.  

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

 
Artemisia era impaziente: non riusciva a restare ferma immobile a letto secondo le direttive di Gaius. Fortunatamente, già dopo qualche giorno, riusciva a muovere le articolazioni ed i muscoli della spalla destra senza sentire troppo dolore. L’armatura aveva retto bene e la ferita non era profonda.
Gaius e Merlin entravano ed uscivano dalla sua stanza di continuo occupandosi di lei, mentre i cavalieri a turno andavano a trovarla per soffermarsi a parlare. Era entrata in confidenza con la regina, la quale passava tutti i pomeriggi a farle compagnia.
Solo Arthur non era più entrato nelle sue stanze dalla sera in cui s’era ripresa dal veleno grazie alle acque del lago Llyn.
Pensava a lui. Ci pensava troppo. Certe volte, quando Gwen le riferiva che Arthur spesso chiedeva delle sue condizioni di salute, sentiva una sorta di senso di colpa nei suoi confronti pungerle l’animo.
Perchè più di tutto sentiva un’altra cosa: chiudeva gli occhi e il palmo della mano su cui Arthur aveva posato le labbra lo sentiva bruciare. Arthur, a quanto pare, chiedeva di lei, ma non aveva mai bussato alla sua porta. Sperava di vederlo, ma solo per avere la conferma che era tutto normale. Ma il tempo passava e lei aspettava.
Perché non veniva a farle visita? Che si trovasse anche lui a combattere contro delle sensazioni che non doveva provare? Aveva percepito un qualcosa nell’azzurro dei suoi occhi quella sera…
Si sforzò di cacciar via quel pensiero: forse era arrivato il momento di lasciare Camelot, di tornare a casa. Prima che quelle sensazioni si trasformassero in qualcosa di più doloroso di una ferita di guerra.
 
La pianura era una distesa di cadaveri, il cielo aveva assunto la stessa colorazione rosso ruggine del sangue che inzuppava il terreno. Il silenzio era assordante.
Emrys, al centro della pianura, la guardava col suo cipiglio severo ponendole una muta domanda: “E’ questo quello che vuoi?”.
Poi, da lontano, sembrò arrivare l’eco di un gemito squillante, come il pianto di un neonato. Un suono così innocente che in lei suscitò paura, angoscia, terrore….
Morgana urlò.
Il cuore sembrava come impazzito e le lacrime le bagnavano il viso. Si passò una mano sul volto e si guardò attorno: era nella sua stanza.
Si alzò dal letto di scatto, come se scottasse e si avvicinò al tavolo. Prese la brocca d’acqua e si versò da bere. Cos’era quel gemito, quel pianto di bambino? Perché l’aveva atterrita? L’acqua fresca ridiede vita alla sua gola riarsa.
Qualcuno bussò alla porta: “Avanti” disse con voce rauca.
Era Odin: “Mia signora, non volevo disturbarti ma abbiamo un problema”.
Morgana gli rivolse una smorfia irritata: ”Ancora, Odin? Dopo avermi detto che Arthur si era salvato a causa dell’incapacità del tuo miglior arciere, ci sono ancora questioni da risolvere?”.
“Se la principessa di Castlesea non fosse intervenuta…”.
“Storie!” sbottò la strega, “Ti ricordo che mi avevi assicurato che era capace di infilzare due uomini con una freccia, o sbaglio? Avrebbero dovuto morire entrambi! Che occasione sprecata!”.
Odin deglutì a fatica e non rispose.
Morgana si sedette e dopo qualche istante chiese: “Qual è il problema?”.
“Bendegit di Dumnon vi chiede udienza. Vuole lasciare la causa assieme ai suoi uomini” disse re Odin d’un fiato, aspettandosi la reazione della strega.
“Cosa?” strepitò Morgana.
Bendegit di Dumnon e i suoi uomini erano tra i guerrieri più sanguinari di cui Morgana poteva disporre. Sempre assetati di sangue e bottini, non avevano pietà per nessuno, predando e stuprando ogni volta ne avessero occasione. La sacerdotessa non poteva permettere che lasciassero la guerra contro Camelot.
Morgana si alzò e raggiunse a grandi passi la stanza del trono di pietra con l’intenzione di parlare con Bendegit. Si sedette sul suo seggio; il capo sassone era lì ad aspettarla.
Il solo suo sguardo poteva incutere timore al cavaliere più coraggioso. Imponente, superava di una testa tutti i guerrieri sassoni ed aveva mani così grandi e forti da poter stringere ed incrinare le ossa del cranio di un uomo. Un ghigno feroce era costantemente dipinto sul suo volto, peggiorato da due occhi di brace e da una profonda cicatrice che gli deturpava la guancia sinistra.
“Allora, Bendegit di Dumnon, per quale motivo dovrei fare a meno dei tuoi servigi? Non mi sembra che a te ed ai tuoi uomini manchino oro e conquiste violente” chiese Morgana senza alcun timore per quell’uomo.
“Lady Morgana, ho accumulato abbastanza oro e abbastanza perdite tra i miei uomini per decidere di lasciare queste terre. Camelot non ci interessa più; andremo ad est” rispose Bendegit con voce profonda e risoluta.
Si voltò, dirigendosi con grandi falcate verso l’uscita.
Negli occhi di Morgana la rabbia venne sostituita da un improvviso guizzo risoluto: aveva avuto un’idea. Una soluzione che avrebbe avvantaggiato entrambi.
“Bendegit, aspetta”. Il sassone si girò irritato. “Se continuerai a servirmi, potresti avere qualcosa di più dell’oro. Qualcosa degno di un guerriero valoroso come te” disse la strega con un sorriso ambiguo.
L’espressione feroce di Bendegit non mutò, ma Morgana lesse nei suoi occhi una certa curiosità.
“Una sposa” disse Morgana “Una principessa che porta in dote un regno ricco e potente.”
 
Arthur con una mossa rapida, disarmò la giovane recluta: il ragazzo, preso alla sprovvista, si scoprì e fu buttato a terra dal suo re.
Merlin e i cavalieri presenti al campo addestramento applaudirono.
“Devi essere più deciso e non scoprire il fianco in modo così plateale” ammonì Arthur al giovane. “Il prossimo!” chiese poi il re di Camelot.
“Eccomi!” disse una voce dietro di lui.
Il suono di quella voce provocò una strana sensazione ad Arthur; si girò e vide Artemisia togliersi il pesante mantello con bordo di calda pelliccia. La principessa, senza distogliere lo sguardo dal re di Camelot, allungò la mano verso un soldato vicino. Questo, un po’ esitante, prese la sua spada e la porse ad Artemisia.
“Non puoi fare sforzi” disse pacato Arthur.
“Non ne farò, non preoccuparti” disse lei, divertita.
Un mormorio sorpreso e divertito si levò tra i cavalieri presenti.
“Signori miei! Si accettano scommesse!” esclamò Gwaine.
Artemisia rise. Non aveva ancora detto a nessuno che sarebbe partita a giorni per Castlesea, quindi voleva godersi con Arthur del resto del tempo che si era concessa.
La principessa alzò la lama d’acciaio verso Arthur: “Non fare il gentil cavaliere facendomi vincere di proposito, perché io sarò cattiva” aggiunse sorridendo tra gli schiamazzi divertiti dei cavalieri pronti a godersi lo spettacolo.
Arthur non riuscì a fare a meno di riscaldarsi con quel sorriso insolente. Le era mancato in quei giorni quel sorriso. Pensò di essere un codardo perché non era stato capace di comprendere ed affrontare l’emozione che gli scatenava, quindi era semplicemente scappato. Lui che combatteva contro i sanguinari e feroci sassoni aveva avuto paura del sorriso di una ragazza.
“Allora?” chiese Artemisia impaziente.
Arthur annuì e d’improvviso attaccò al fianco sinistro di Artemisia, la quale si scansò agilmente.
La principessa allungò la sua spada che si cozzò con un sordo rumore metallico con quella del re. Abilmente, Arthur attaccò ancora e, scontrandosi duramente contro la difesa di Artemisia, le si parò difronte, afferrò il braccio armato della sua avversaria e glielo bloccò dietro la schiena.
Si trovarono viso contro viso a distanza ravvicinata. Arthur pensò di aver sbagliato: avrebbe dovuto rigirarsi e disarmarla. Gli parve di sentire il calore di quel corpo morbido contro la sua cotta di maglia.
Artemisia non si scompose, ma aveva il cuore in gola: doveva assolutamente sciogliersi da quella forte presa.
“Sono felice di vedere che stai bene” disse ad un tratto Arthur.
Lei lo guardò seria e ad Arthur sembrò di affogare in quegli occhi neri. Artemisia colpì al fianco il suo avversario col braccio libero, con la spada lo disarmò e gli fece lo sgambetto.
Arthur cadde a terra di schiena sul terreno semighiacciato e si vide la punta di una spada puntata alla gola. Gli spettatori esplosero in urla divertite e applausi.
“Ho vinto!” dichiarò Gwaine, incassando una moneta da un riluttante Parsifal.
Artemisia lo aiutò ad alzarsi, mentre Arthur non poteva fare a meno di ridere.
“E pensare che non mi sento ancora completamente in forma” disse la principessa. Lanciò la spada al soldato che gliela aveva prestata e recuperò il suo mantello.
“Voglio la rivincita!” le disse Arthur.
“Non credo che ci sarà” gli rispose Artemisia. Ad Arthur non sfuggì lo sguardo triste con cui l’aveva guardato.
La ragazza si avvicinò a Merlin mentre si sistemava il cappuccio del mantello: “C’è un po’ di belladonna e melissa nel bosco?” gli chiese.
“Si, certo…perché?”
“Perché quella testa di fagiolo mi ha fatto ritornare il dolore alla spalla. Ma non lo deve sapere” gli intimò, premendogli il dito indice sulla bocca.
La principessa si voltò a guardare il re: una nuova recluta s’era fatta avanti.
“Andiamo” disse Artemisia prendendo Merlin sotto braccio ed avviandosi nel bosco vicino alle mura della città.
 
Erano già tre giorni che Bendegit di Dumnon perlustrava le mura di Camelot aspettando pazientemente che ne uscisse la sua futura sposa.
Aveva deciso che avrebbe agito da solo: non era facile sfuggire alle sentinelle a guardia del camminamento difensivo. Camelot era difesa bene.
Era impaziente, ma Morgana era stata chiara: doveva fare in modo che non ci fossero i termini per invalidare la loro unione. Avrebbe incantato la principessa con la pozione che la strega gli aveva preparato, così Artemisia di Castlesea sarebbe stata sua di spontanea volontà, senza alcun problema.
Sentì delle voci. Si appostò dietro un albero e vide che la sua occasione era finalmente arrivata: Artemisia, accompagnata da un servo, camminava verso la sua direzione.
Era davvero bella: quasi gli dispiaceva usare la magia. Avrebbe ucciso il servo e avrebbe preso lì nel bosco la ragazza. Se la immaginò sotto di sé che scalciava, mentre lui le apriva le gambe e la prendeva con la forza. Al solo pensiero si eccitò, ma cercò di calmarsi.
Presto sarebbe stata sua moglie e l’avrebbe avuta tutte le volte che ne avesse avuto voglia.
 
“Non era meglio andare da Gaius e far controllare la ferita? Di belladonna e melissa ne ha in abbondanza” disse Merlin.
“Il dolore sta passando e poi volevo fare due passi. Magari più tardi” rispose Artemisia.
“Certo che è stato divertente! Hai dato ad Arthur una bella lezione”.
“S’è distratto ed io ne ho approfittato. Tutto qui. E’ un avversario temibile” disse la principessa in tono neutro.
“Perché non vuoi dargli la rivincita?” chiese il giovane stregone.
“Il mio soggiorno qui a Camelot sta per terminare, non ce ne sarebbe il tempo. Deve addestrare le nuove reclute” rispose con aria triste.
“Vuoi andare via?”
“Devo tornare a casa, Merlin. Sono in pensiero per mio padre”. Artemisia sospirò e si soffermò a guardare un grande leccio quasi spoglio delle sue foglie.
“Sicura che sia solo per questo?” chiese con aria vaga Merlin. Artemisia lo guardò interrogativa. “Non è che per caso vai via per ciò che ti lega ad Arthur?” chiese Merlin.
Artemisia sgranò gli occhi e arrossì e il giovane fu certo della sua impressione.
“Non so di cosa tu stia parlando” specificò lei, rivolgendo nuovamente gli occhi all’albero.
“Ho visto come vi guardate. E so che Arthur non è venuto a farti visita nemmeno una volta, durante la convalescenza, per evitare di affrontare ciò che sente”.
 Artemisia, si fece seria: “Come lo sai? Te lo ha detto lui?”.
Il giovane mago annuì.
La principessa sospirò: “E’ sconveniente, Merlin. Arthur è un uomo sposato: siamo solo amici e tali dobbiamo rimanere. Sono una donna e capisco quando un uomo ti guarda in un modo diverso dal normale. Io non credo di averlo mai incoraggiato o fatto capire qualcosa. Almeno, spero di non averlo fatto inconsapevolmente” concluse agitata, rigirandosi a guardare il sole tramontare tra gli alberi.
“Andare via da Camelot non è la soluzione, io credo...” e Merlin fu sbattuto a terra: un uomo dalla stazza imponente l’aveva colpito alla testa.
Artemisia si girò di scatto e tirò fuori un pugnale.
“Mia adorata, è così che mi accogli?” disse lo sconosciuto con aria truce allargando le braccia.
Artemisia si diresse verso di lui brandendo la sua arma, ma Bendegit tirò fuori da un sacchettino una piccola bottiglietta. L’aprì e ne spruzzò il contenuto sul viso della principessa, gettando a terra la bottiglietta.
Merlin, stordito dal colpo ricevuto, vide un liquido giallastro colpire in faccia Artemisia, la quale si fermò improvvisamente a guardare il suo nemico.
Il liquido evaporò e Bendegit le si avvicinò con aria soddisfatta: “Qui, stasera, dopo il primo turno di guardia” e corse via sparendo tra gli arbusti. Artemisia lo guardò andare via senza fare niente, con un’espressione quasi catatonica.
Merlin si alzò a fatica, tenendosi la testa: “Artemisia! Stai bene?”
Dopo un’istante di silenzio, Artemisia gli rivolse un sorriso euforico: “Com’è affascinate quell’uomo!”.
Merlin pensò che il colpo in testa gli stava facendo avere le allucinazioni.
 
“Interessante” disse Gaius nel suo studio, mentre con una grossa lente esaminava la bottiglietta che Merlin aveva raccolto.
“E’ magia, vero? Il suo contenuto è evaporato subito dopo” disse pensieroso Merlin.
“Dalla reazione che ha avuto la principessa, sarebbe bene tenerla sotto controllo. Ora è nelle sue stanze, vero? Ho paura che questo sia un filtro d’amore. Descrivimi quell’uomo” chiese Gaius.
“Alto, forte, imponente: per le vesti, era un sassone, ne sono sicuro. Aveva una cicatrice sulla guancia sinistra”.
Gaius si riscosse: “Una cicatrice? Potrebbe essere Bendegit di Dumnon, il Demonio Sfregiato, così lo chiamano. E’ un sanguinario e si dice sia a servizio di Morgana. Ciò spiegherebbe la magia”.
“Perché avrebbe dovuto usare un filtro d’amore su Artemisia? Avrebbe potuto rapirla o, peggio, ucciderla” riflettè il giovane stregone.
Gaius si sedette al tavolo degli strumenti: “Ucciderla, non credo. Rapirla per ottenere che cosa, poi? Rifletti Merlin: con un filtro d’amore potrebbe far sì che la principessa si conceda a lui senza troppi sforzi”.
Il giovane sgranò gli occhi per ciò che stava pensando: “Potrebbe sposarla, ottenendo il regno di Castlesea e privando così Camelot di un’importante alleato. Si scatenerebbe una guerra”.
Nel silenzio che seguì, Merlin sentì il richiamo della guardia e gli vennero in mente le parole che il sassone aveva sussurrato alla principessa: “Il primo turno di guardia è finito!”.
Uscì di corsa dallo studio di Gaius per raggiungere le stanze di Artemisia. Col fiato, corto bussò alla porta. Nessuna risposta. Bussò di nuovo, ma ricevette solo silenzio.
Spazientito, spalancò la porta: le stanze erano vuote.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

 
“Temiamo sia vittima di un incantesimo” disse Gaius, dopo aver spiegato al re, assieme a Merlin, quanto era accaduto.
“E’ la cosa peggiore che potesse capitare a Camelot e a Castlesea; dobbiamo annullare l’incantesimo” disse Arthur, che rabbrividì al pensiero di ciò che poteva fare Bendegit di Dumnon ad Artemisia.
Immaginò per un attimo la sua pelle morbida sotto le mani assassine di quel sassone: sentì una sorta di formicolio pervadergli la nuca. Non erano pensieri da fare in quel momento, si rimproverò. Ma certamente, quel demonio avrebbe potuto farle del male.
“Dove sarà ora?” chiese preoccupata Gwen ancora in vestaglia, dopo che Merlin aveva avvisato lei ed Arthur mentre  poco prima che andassero a dormire.
La voce della moglie riscosse il re: “L’avrà portata nella fortezza di Bamburgh: è lì che Bendegit e i suoi uomini tornano dopo le loro razzie” osservò. Calmo all’apparenza, Arthur strinse nervosamente le mani a pugno.
“Nella biblioteca reale dovrebbe esserci una pianta dettagliata della fortezza” ricordò Gaius. Arthur annuì: “Bene. Partiremo all’alba”.
 
Arthur era già pronto nel cortile di Camelot. Una leggera brina semighiacciata rendeva lucide e scivolose le pietre della pavimentazione, mentre l’aria umida trasformava il suo respiro e quello del suo cavallo in una nuvoletta di vapore.
Il sole non era ancora sorto e sarebbe comunque stato difficile individuare l’alba tra le spesse nuvole grigie e buie.
“Siete già qui” disse alle sue spalle Merlin.
“Anche tu sei già pronto” disse di rimando Arthur, sistemandosi i guanti.
“Non ho dormito: ho assistito Gaius tutta la notte nel preparare la pozione giusta che sciogliesse l’incantesimo. Speriamo funzioni” sospirò Merlin.
“In che senso?” chiese il re accigliato.
“Nel senso che esistono centinaia di filtri d’amore ed altrettante soluzioni per sciogliere i loro effetti. Non sappiamo con precisione quale abbia usato Morgana” spiegò Merlin.
“E se non dovesse funzionare?” volle sapere Arthur.
Merlin spalancò gli occhi con un’espressione incerta, scrollando la testa. Aveva pensato a quell’eventualità. Ma, mentre parlava con Gaius, gli venne in mente quando su Arthur venne usato un sortilegio simile affinchè si innamorasse di Lady Vivian e di come non fosse riuscito a sciogliere il maleficio, nonostante i suoi numerosi tentativi.
Solo un potere immenso e antico quanto il mondo aveva risolto tutto: l’amore. Il bacio di Gwen, l’amore di Arthur, riuscì a sciogliere l’incantesimo. Merlin pensò che, se la pozione non avesse funzionato, forse l’amore avrebbe liberato Artemisia dal maleficio e lui era certo su chi fosse la persona di cui era innamorata.
Come fare poi per farli baciare… a questo ci avrebbe pensato nel caso fosse necessario.   
Gwaine e Parsifal raggiunsero nel cortile Arthur e Merlin e partirono.
 
La fortezza di Bamburgh si ergeva scura e sinistra su una vasta vallata, circondata da colline e da una fitta foresta. Era lì che Bendegit di Dumnon, il Demone Sfregiato, aveva il suo quartier generale. Non sarebbe stato facile entrare.
“Aspetteremo che il sole tramonti, ci muoveremo col buio. La fortezza, all’epoca dei miei avi, apparteneva a Camelot e dalle piante che ci ha fornito Gaius, sappiamo dell’esistenza di un’entrata sotterranea che porta direttamente alle prigioni dell’ala sud che si affaccia sulla foresta. Da lì potremmo infiltrarci nella fortezza e cercare Artemisia” spiegò Arthur.
“Una volta raggiunto il primo livello, io e Merlin troveremo Artemisia mentre tu, Gwaine e tu, Parsifal, farete da guardia e interverrete nel caso venga dato l’allarme. Saremo fuori di lì e diretti a Camelot prima che Bendegit si renda conto di quello che è accaduto”.
Merlin e i due cavalieri annuirono.
 
La luna aveva cominciato a fare capolino dalle grosse nuvole scure cariche di neve.
Arthur, Merlin, Gwaine e Parsifal, con le spade sguainate, raggiunsero come ombre veloci l’ala sud della fortezza.
Trovarono una porticina di legno marcio, coperta di arbusti secchi e muschio: fu molto facile romperne la serratura e penetrare nella fortezza. Percorsero un lungo corridoio buio, freddo e umido, che sembrava non essere frequentato da molto tempo. La luce di una sola torcia quasi del tutto consumata alla fine del corridoio, rivelò loro di essere arrivati alle prigioni della fortezza.
“Le celle sono vuote e non c’è nessuno a guardia” disse Merlin sottovoce.
“Bendegit e i suoi uomini uccidono tutti, non saprebbero che farsene di prigionieri” spiegò Gwaine.
Dalle prigioni, ebbero accesso ad una lunga scala che portava al livello superiore della fortezza.
I passi rumorosi di una sentinella misero in allarme Arthur che fece segno a Parsifal: la guardia non ebbe il tempo di girare l’angolo che si trovò con la gola tagliata.
Proseguirono ancora in avanti e sentirono voci ubriache, canti e schiamazzi provenire da quella che doveva essere la sala più grande della fortezza.
Gwaine e Parsifal si appostarono, mentre Arthur e Merlin proseguirono lungo il corridoio. Una serie di stanze vuote e spoglie di ogni mobilio davano lungo il camminamento fino a quando non ne individuarono una con una sentinella a fare la guardia.
“Deve essere li che la tengono” disse in un soffio Arthur.
Prese il suo pugnale, lo soppesò con la mano e lo lanciò. Colpì al collo la guardia che si accasciò a terra senza fare rumore.
Mentre Merlin a fatica trascinava la guardia dietro una colonna, Arthur entrò nella stanza.
A differenza delle altre stanze, questa era riccamente arredata con arazzi alle pareti e tappeti, un tavolo rotondo con della frutta in un ampio piatto d’argento e una brocca di fine ceramica, un letto con una pesante coperta ricamata. Bottino di guerra, osservò il re.
In un angolo, Artemisia era seduta a una console di legno dorato con un grande specchio, mentre si acconciava i capelli.
La principessa vide riflesso nello specchio Arthur, seguito da Merlin. Si alzò dalla console e ad Arthur mancò il respiro.
Artemisia lo guardava sorridente. Indossava un abito lungo blu scuro, ricamato con migliaia di perline di fiume, cucite assieme da un filo d’argento in modo da formare arabeschi a forma di onde e spirali. Il corpetto leggermente scollato fasciava magnificamente il seno prosperoso, lasciando le spalle seminude; mentre un velo finissimo e trasparente copriva le braccia fino ai polsi. I capelli erano stati raccolti elegantemente in una crocchia bassa sulla nuca fermata da altre perline, ma che lasciavano cadere strategicamente qualche ciocca di capelli arricciata.
“Arthur! Merlin! Bendegit ha esaudito la mia richiesta e vi ha invitato al matrimonio! Siete arrivati appena in tempo: fra poco il mio adorato promesso verrà a prendermi. Gwen dov’è? Sta aspettando giù?” chiese Artemisia.
Arthur si riscosse da quella visione che l’aveva lasciato a bocca aperta: “Adorato promesso? Matrimonio?” chiese interdetto.
“Certo! Sono in ritardo e questi capelli non collaborano!” disse la principessa rigirandosi verso lo specchio per sistemarsi i fermagli di perline.
Merlin le si avvicinò, prendendo un’oggetto dalla tasca: “Artemisia, ho una cosa per voi”.
La ragazza si girò e Merlin, aperta la boccetta, né lanciò il contenuto sul viso di Artemisia, così come aveva visto fare da Bendegit.
Il liquido la colpì in pieno ed evaporò, mentre Merlin ed Arthur ne aspettavano l’effetto con faccia curiosa.
Artemisia si toccò il viso perplessa; poi guardò furiosa Merlin: “Ma cosa ti è venuto in mente? Vuoi che mi si sciolga il trucco? Non posso presentarmi in disordine al mio matrimonio!”.
Merlin la guardò deluso, l’antidoto di Gaius non aveva funzionato.
“Gli ho detto io di farlo” disse con espressione colpevole Arthur.
“Cosa?” urlò Artemisia avvicinandosi al re.
Merlin gli fece segno da dietro le spalle di Artemisia e capì cosa aveva in mente: “Perdonami per quello che sto per fare” disse Arthur.
Prese la brocca dal tavolo e la ruppe in testa alla principessa. Nello stesso momento, Merlin le calò un ampio mantello sulla testa, mentre Arthur tempestivamente si caricò in spalla Artemisia che cadeva svenuta.
Uscirono dalla stanza di corsa e raggiunsero Gwaine e Parsifal ancora appostati all’entrata della sala.
Nello stesso momento in cui i due cavalieri si accodarono ad Arthur e a Merlin, un sassone fu distratto da un movimento sospetto nel corridoio: “Allarme! Intrusi!”.
I cinque corsero per le scale che davano alle prigioni. Parsifal richiuse dietro di loro un cancelletto incastrandoci una torcia.
“Sire, proseguite. Noi ci apposteremo fuori dalle prigioni: creeremo un diversivo e faremo credere a Bendegit che siamo diretti verso le colline” disse Gwaine.
“Va bene, ma fate attenzione. Vi aspetteremo nella foresta, nei pressi della grande quercia prima che faccia giorno” precisò il re.
Uscirono dalla fortezza e si inoltrarono tra gli alberi.
Raggiunsero in breve tempo la radura dove cresceva una grande ed antica quercia e dove avevano lasciato legati i cavalli. Arthur posò delicatamente Artemisia, ancora svenuta, su una coperta che Merlin aveva sistemato sul terreno.
La coprirono poi col mantello che le aveva sciolto tutti i capelli: “Aspettiamoci ritorsioni: per colpa nostra è tutta spettinata” disse divertito Merlin.
 “La pozione non ha funzionato. Come faremo a sciogliere il maleficio?” chiese Arthur, per nulla divertito dalla battuta.
Merlin sospirò: “Credo proprio che ci servirebbe colui di cui è innamorata”.
Arthur lo guardò sollevando un sopracciglio, mentre sistemava dei legnetti per accendere il fuoco. “E’ ciò che mi ha detto Gaius” mentì Merlin. Non aveva avuto quell’informazione da Gaius, bensì dal grande drago. “Secondo lui, il potere dei filtri d’amore, se non esiste antidoto, verrebbe comunque annullato dall’amore vero. Ma ovviamente non è detto che sia così! A Camelot, Gaius preparerà un’altra pozione” concluse cercando di sviare il discorso.
Era oramai certo che c’erano dei sentimenti che univano Artemisia ed Arthur, ma non voleva esserne complice. Gwen era sua amica e presto Artemisia sarebbe tornata a Castlesea.
Eppure non avvertiva nessuna sensazione di pericolo quando pensava ad una relazione tra loro. Sperò che, in un modo o in un altro, si sarebbe presto trovata una soluzione.
“Riposiamoci mentre aspettiamo Gwaine e Parsifal” consigliò Merlin mentre si sistemava per la notte.
Arthur distolse lo sguardo pensieroso dalla principessa, si sedette e si coprì con una coperta.
 
Quando fu certa che Arthur e Merlin erano profondamente addormentati, Artemisia si alzò cercando di fare meno rumore possibile. Si coprì col mantello e si avviò a piccoli passi verso la grande quercia e i cavalli legati.
“Dove stai andando?” chiese Arthur dietro di lei.
Scoperta, Artemisia si mise a correre perdendo il mantello, ma Arthur la inseguì e in pochi passi si gettò su di lei bloccandola.
Artemisia riuscì a non cadere, si liberò spingendolo via e si girò a guardarlo furibonda: “Lasciami! Devo tornare da Bendegit!”
“Stai vaneggiando! Ha usato un incantesimo per indurti a sposarlo” rivelò Arthur.
“Non è vero! Lo sposo perché lo amo! Tu sei solo un arrogante! Un caprone!” inveì fuori di sè Artemisia. Arthur sembrava divertito da quegli insulti.
Merlin si svegliò di colpo per le urla di Artemisia, si mise a sedere e si girò a guardare la scena poco distante.
“Perché mi impedisci di sposarlo? Sei un ingrato! Mi sono anche offerta di combattere assieme a te e cosa è successo? Mi sono beccata una freccia! Avvelenata per giunta! Maledetta me quando ho deciso di venire a Camelot! Credi che per me sia facile? Esserti vicina e sapere che non… che non… che non potrai mai essere…” balbettò, mentre una nuova consapevolezza fece breccia nella sua mente.
Arthur a quel punto la guardò serio e le si avvicinò guardandola dall’alto della sua altezza: non s’era mai accorto di quanto fosse piccola rispetto a lui.
“Mai essere cosa?” chiese il giovane.
“Basta!” urlò stanca Artemisia e fece per girarsi ed andarsene.
Arthur l’afferrò per un braccio, la tirò a sè e la baciò. Un bacio veloce ed improvviso che durò pochissimo: si staccò da lei quasi subito.
Artemisia prese un grosso respiro e si riscosse, l’incantesimo era stato spezzato.
Arthur la teneva ancora per il braccio, quando Artemisia lo guardò interrogativa: “Arthur?”.
Il giovane re non resistette oltre: la strinse a sé e la baciò ancora. Dopo un attimo di sorpresa, Artemisia lo abbracciò forte.
Il bacio, inizialmente timido, quasi come se si studiassero, divenne profondo e possessivo. Artemisia sentì la lingua di Arthur esplorarle la bocca, affamato di lei: non potè far altro che abbandonarsi e farsi travolgere da quelle sensazioni.
Qualche perlina dell’abito di Artemisia si scucì e cadde tra le foglie per il tocco deciso del re lungo la schiena e i fianchi della principessa.
Arthur emise un gemito di piacere quando avvertì il corpo della principessa fremere contro il suo e sotto le sue mani.
“Sire! Principessa! Dove siete? Merlin!” le voci di Gwaine e Parsifal erano vicine.
Artemisia si staccò dall’abbraccio e lo spinse via facendo un passo indietro. La principessa e Arthur si guardarono sconvolti, rossi in volto e affannati. Arthur prese coscienza che se non l’avesse cacciato via, avrebbe perso il controllo e l’avrebbe presa lì e fatta sua tra le foglie secche e le radici dell’antica quercia.
I cavalieri li raggiunsero ed Artemisia si allontanò a testa bassa per recuperare il mantello, mentre Arthur si appoggiò al grande albero cercando di riprendere il controllo delle emozioni.
“Stai bene, Merlin?” chiese Gwaine incuriosito dall’espressione strana dipinta sul volto dell’amico. Merlin si scoprì di essere ancora a bocca aperta per ciò che aveva visto: “Eh?... Si, tutto bene” rispose.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

 
Nevicava e una spessa coltre bianca e silenziosa aveva coperto i tetti del castello di Camelot e le case del villaggio.
Arthur guardava fuori dalla finestra quel meraviglioso spettacolo: non riusciva a prendere sonno nonostante fosse notte inoltrata.
Erano rientrati al tramonto, quando già le gocce di una fitta pioggerella si stava trasformando in nevischio: Artemisia, avvolta nel mantello e col grande cappuccio calato sulla testa, non aveva profferito una sola parola e nemmeno gli aveva rivolto una sola occhiata.
Dal canto suo, si sentiva confuso per le emozioni che non era riuscito a controllare. Se non fossero arrivati Gwaine e Parsifal, avrebbe perso il controllo di sé.
Cos’era? Desiderio carnale? Sfidava chiunque a non essere attratto da lei. Da uomo avrebbe potuto trovare quella giustificazione, ma sarebbe stata solo una scusa.
Desiderava il corpo di Artemisia, affondare il viso nei suoi capelli, sentire sotto le sue mani la morbidezza della pelle, così come desiderava semplicemente un suo sorriso, un suo sguardo. Quegli occhi neri, profondi e lucidi che l’avevano guardato sconvolta sotto l’antica quercia. Quegli occhi che gli sondavano l’anima ogni volta che li puntava nei suoi. Quegli occhi da cui era fuggito e che aveva cercato di evitare mentre lei era in convalescenza, per poi affogarci dentro non appena se li era trovati davanti.
Non era solo lussuria, era qualcosa di più. Quel qualcosa che dentro di lui era scoppiato quando l’aveva baciata velocemente, senza rendersi conto di cosa stava facendo. Un qualcosa che gli era esploso dentro l’anima quando con quel bacio veloce aveva spezzato l’incantesimo e si era reso conto di essere lui la persona di cui Artemisia era innamorata. Una consapevolezza diventata certezza, constatò.
Che fosse questo l’amore?
Si girò verso il letto, a guardare Gwen dormire serenamente.
Era certo che non esistesse nessun’altra regina migliore di lei. Ma l’amava? Con lei era stato tutto naturale, nonostante le difficoltà per sposarla:  ne avevano passate tante assieme, la stimava, l’apprezzava e provava un profondo affetto per lei.
Affetto? Che sia solo questo a legarlo alla moglie? Con Gwen non aveva mai provato quello che provava ora con Artemisia.
Un sentimento tenero e bruciante allo stesso tempo, dolce come il miele e sferzante come il vento freddo del nord. Un miscuglio di emozioni e sensazioni che non aveva mai provato prima per nessuna.
Nemmeno per Gwen, pensò con rammarico.
 
Arthur, seduto al tavolo, non riusciva a concentrarsi. Era la quarta volta che cercava di leggere il documento che aveva tra le mani.
Nei giorni successivi aveva incrociato Artemisia ai campi addestramento o nei corridoi del castello, sempre accompagnata da qualche cavaliere. Un mezzo sorriso, un cenno del capo, mai una parola.
Proprio quella mattina aveva saputo da sua moglie che avrebbe passato la giornata nelle stanze della principessa per aiutarla a preparare i bagagli per il giorno dopo.
“Torna a Castlesea. Non ti ha informato?” aveva chiesto Gwen alla vista dello stupore del marito. No, non l’aveva informato.
Merlin stava rassettando la stanza del re e non aveva fatto a meno di notare il turbamento di Arthur.
Qualcuno bussò alla porta: “Avanti” disse il giovane re, gettando stancamente il documento sul tavolo.
Artemisia si affacciò dalla porta e Arthur si alzò di scatto dalla sedia.
“Dobbiamo parlare” disse seria la principessa avvicinandosi al tavolo.
Arthur aprì la bocca per parlare, ma Artemisia lo anticipò: ”Poco fa è arrivato questo dispaccio da parte di mio padre” disse porgendogli una pergamena arrotolata.
 Arthur raccolse il foglio mentre ascoltava.
“La neve non ha fermato i sassoni. Le sentinelle di mio padre hanno segnalato la presenza di un grosso contingente a mezza giornata di marcia dalla roccaforte di Tintagel”.
“Tintagel? Si trova ai confini dei nostri due regni” osservò Arthur mentre scorreva il documento.
“Secondo il rapporto delle spie, pare che Odin e i suoi generali vogliano attaccare entrambi i fronti. Ho rispedito la staffetta a Castlesea con l’ordine di mobilitare l’esercito. Credo che la possibilità di un attacco congiunto da parte nostra sia l’unica soluzione” aggiunse la principessa.
“Sono d’accordo. Convocherò il consiglio per il primo pomeriggio” disse il re.
“Dovrò quindi rimandare la partenza di qualche giorno” disse Artemisia dopo un attimo di silenzio, appoggiandosi con entrambe le mani alla scrivania.
“Perché non mi ha avvisato?” chiese Arthur con tono duro.
“Te lo sto dicendo ora” aggiunse Artemisia.
Merlin fece finta di voltarsi affaccendato in qualcosa.
Arthur appoggiò istintivamente la sua mano su quella della principessa; il contatto tra la loro mani sembrò sorprenderli entrambi.
“Dobbiamo parlare. Non possiamo far finta di niente” disse sottovoce il giovane re, godendo di quel contatto furtivo. Averla così vicina e non poter far niente, lo fece sentire impotente.
Artemisia scostò la mano ed incrociò le braccia al petto: “Dobbiamo invece, non c’è niente da aggiungere. Non siamo due persone qualunque: tu sei il re di Camelot e hai una regina da amare, io sono la futura regina di Castlesea e devo difendere la mia terra e il mio popolo ora che il re mio padre non ne ha la forza. Non possiamo permettere che dei sentimenti momentanei prendano il sopravvento” e lo guardò mordendosi il labbro inferiore.
“Momentanei?” chiese in un soffio Arthur guardandola negli occhi. Ciò che ne lesse era tutto il contrario di ciò che la sua bocca diceva.
Artemisia non resistette oltre: “Ci vediamo al consiglio” disse uscendo dalla stanza, prima che il nodo che le era salito in gola si sciogliesse in pianto.
Arthur strinse le mani a pugno sul tavolo così forte che le nocche diventarono bianche. Si accorse dello sguardo serio di Merlin: “Hai sentito tutto, vero?” chiese il re sedendosi infastidito.
“Più che sentito, ho visto quello che successo nella foresta di Bamburgh” precisò Merlin.
“Non puoi avere idea, Merlin, di cosa significa essere intrappolato in un destino che non rispecchia i propri desideri” sospirò il re dopo una breve pausa di silenzio.
Merlin non rispose, ma il suo sguardo rivelava più di mille parole.
 
L’esercito di Camelot arrivò nei pressi della fortezza abbandonata di Tintagel dopo due giorni di marcia forzata. Il sole aveva assistito l’esercito, sciogliendo un po’ di neve lungo il tragitto.
Un nutrito contingente proveniente da Castlesea era arrivato già da qualche ora e stava allestendo l’accampamento.
Un soldato con le insegne di Castlesea era lì pronto ad accogliere re Arthur e la principessa Artemisia. Era alto e la stazza sotto la corazza rivelava un fisico forte e muscoloso. I capelli bruni  erano tagliati corti alla foggia militare, rivelando una fronte ampia illuminata da due acuti ed intelligenti occhi chiari; accolse gli ospiti con un grosso sorriso cordiale.
“Carleon!” chiamò entusiasta Artemisia smontando da cavallo.
Lo raggiunse ridendo per abbracciarlo e fu sollevata da terra dalle grosse braccia del cavaliere. Arthur smontò da cavallo, trattenendo a fatica un leggero pungolo di fastidio alla vista di quella scena. Chi era per avere una tale confidenza con lei?
Artemisia prese per mano quell’uomo e si avvicinò ad Arthur e agli atri cavalieri: “Re di Camelot e nobili cavalieri, vi presento Carleon di Hir, generale d’armata dell’esercito di Castlesea, soldato integerrimo e valoroso, uomo leale e grande amico” disse fiera Artemisia.
“Sarà mio onore servire il re di Camelot così come servo da moli anni il re di Castlesea” disse Carleon con voce calda e profonda, adatta alla sua figura. Aggiunse poi: “ A tal proposito, porto i saluti di re Andrew”.
“Grazie per l’accoglienza, Carleon di Hir: contraccambiamo i saluti del re di Castlesea” disse cortese Arthur.
“Come sta mio padre?” chiese apprensiva Artemisia.
“Abbastanza bene, vista la situazione. E ho un messaggio per te da parte sua”.
Carleon afferrò la treccia della principessa e la strattonò, ma senza usare la grande forza di cui era sicuramente in possesso.
“Ahio!” urlò Artemisia, portandosi le mani alla testa.
 “Torna presto, ma soprattutto torna tutta intera a casa. Mi manchi. Ti voglio bene, papà” disse Carleon telegraficamente.
“La prossima volta, fatti scrivere un messaggio!” protestò la ragazza tenendosi ancora la testa, tra le risate generali.
Anche Arthur sorrise. Il generale si congedò, mentre Merlin e i cavalieri si sparpagliavano attorno all’accampamento.
Arthur si avvicinò ad Artemisia mentre era intenta a prendere le sue cose dalla cavalcatura: “Allora il soldato dagli occhi verdi esiste. Mi hai mentito ancora” disse indispettito.
Artemisia si girò a guardare prima Carleon poi Arthur: “Non sono verdi, sono grigi. Mai stata più sincera” disse lei senza riuscire a trattenere un sorriso davanti all’evidente gelosia del re.
 
Carleon accompagnò Arthur ed Artemisia, seguiti da Merlin, all’interno della fortezza di Tintagel. Erano molti anni che non era abitata, ma il generale di Castlesea aveva tenuto che il re e la principessa non passassero la notte nelle tende dell’accampamento ma tra quelle vecchie mura di pietra.
“Andava bene anche la tenda” aveva protestato Artemisia.
“Sarò più tranquillo se vi saprò al coperto qui. Sono sicuro che stanotte nevicherà” disse Carleon in un tono che non ammetteva repliche.
 
Carleon aveva avuto ragione: appena tramontato il sole, aveva cominciato a nevicare fitto.
Arthur stava congelando, nonostante il caminetto acceso. Alloggiava in una sala molto grande che forse non era una camera da letto, per cui il calore del piccolo camino non riscaldava quelle fredde mura. Ricordò che Artemisia era stata alloggiata in una stanza molto più piccola; forse la sua veniva riscaldata bene.
Dopo un attimo di esitazione, prese la coperta di lana dal letto da campo che Merlin gli aveva preparato, se l’appoggiò sulle spalle e si avviò lungo il corridoio semibuio. Davanti alla porta della camera di Artemisia si fermò, ci ripensò e si voltò per tornarsene indietro.
Artemisia aprì la porta e s’affacciò fuori: “Ah, sei tu. Ho sentito i passi. Problemi?”.
Arthur si voltò a guardarla con l’espressione di un bambino beccato con le dita nella marmellata: “Nella mia stanza fa troppo freddo, pensavo che nella tua, forse il camino funziona meglio…”
“Su, entra” disse pacata la principessa.
Arthur entrò e notò che indossava una camiciola di lanetta bianca corta che le lasciava le lunghe gambe nude. Si sentì avvampare in volto e pensò di aver fatto un errore ad andare da lei.
“Se non hai problemi, puoi dormire sul tappeto davanti al camino: è pulito” disse Artemisia mentre si avviava al suo letto.
“Grazie” mormorò Arthur andandosi a stendere sul tappeto. Il calore della stanza lo fece sentire meglio.
Un cuscino lo colpì in faccia: “Ne ho due, uno puoi tenerlo tu” disse Artemisia.
Arthur lo stropicciò, se lo sistemò sotto la testa, si girò su un fianco e s’accorse che il profumo di Artemisia s’era impresso sulla stoffa. Sapeva di fiori.
La certezza del non dover essere lì gli era palese, mentre annusava il cuscino.
Artemisia, rannicchiata sotto le lenzuola, si dannò per averlo fatto entrare. Faceva davvero così freddo nella sua stanza? Non riusciva a non pensare che lui era li a pochi passi da lei che dormiva. Lo senti rigirarsi, e rigirarsi ancora.
“E scomodo il tappeto?” chiese Artemisia.
“No, anzi è morbido. Non riesco a dormire” sospirò Arthur, mettendosi a sedere e passandosi una mano fra i capelli.
La principessa si alzò avvolgendosi nella coperta e si andò a sedere accanto a lui: “Nemmeno io. Sei preoccupato per domani?” chiese.
“Un po’ si. Non è facile rilassarsi la notte prima di una battaglia”.
“Bhe, pensa che domani a quest’ora saremo tutti ubriachi per i festeggiamenti della vittoria. Oppure tutti morti a festeggiare nell’aldilà il trapasso” osservò sarcastica Artemisia.
Arthur rise: “Quindi, nella seconda ipotesi, questa sarebbe l’ultima notte della nostra vita”.
“E pensa: la stai passando in mia compagnia. Che fortuna, eh?” scherzò lei.
Arthur la guardò dolcemente: “E pensa: non vorrei essere in nessun’altro posto” disse.
Artemisia sentì il cuore batterle forte nel petto e distolse lo sguardo dall’azzurro penetrante dei suoi occhi.
“Quindi, quel Carleon…” prese a dire il re dopo un altro un attimo di silenzio, massaggiandosi il mento con la mano.
Artemisia roteò gli occhi: “Ancora? Lo conosco da tanti anni, è un uomo onesto e leale. No, non c’è nessun rapporto particolare tra noi che non sia pura amicizia. E si, mi ha chiesto di sposarlo un bel po’ di volte ma io ho sempre rifiutato perché non ne sono innamorata. Mentre penso, modestamente, che sia totalmente perso per la sottoscritta”.
Arthur rise di gusto, mostrandosi soddisfatto.
“Cos’altro vuoi sapere? Se ci siamo…diciamo così… divertiti qualche volta?” incalzò lei.
Arthur, a bocca aperta per lo stupore, strabuzzò gli occhi.
Artemisia strinse le labbra, impassibile: “Ebbene, si! Da ragazzi ci siamo divertiti. Ma sono passati tanti anni, ormai…”.
“Non ci posso credere…” prese a dire Arthur, scrollando la testa.
La principessa fece spallucce, non curante: “Lo sai che sono una testa calda. Come avrei fatto ad imparare a combattere, sennò? Mio padre mi definisce una ribelle selvaggia. E si danna chiedendosi da chi abbia preso e se ci fosse stato tra i nostri antenati qualche squilibrato.  Eravamo dei ragazzini, io e Carleon. Ma è finita lì”.  
“Ed è ancora al tuo servizio… Non mi piace. Decisamente, non mi piace” disse contrariato lui.
Artemisia sospirò: “Lo conosco da una vita. Mi fido di lui, Arthur. E’ il soldato più valoroso che conosca. Gli ho affidato la mia vita, così come spesse volte ha fatto mio padre con la sua. Ma il mio cuore…” s’interruppe, rendendosi conto che era andata ingenuamente a toccare un discorso che doveva restare chiuso.
“Così il mio” disse d’un fiato Arthur. Istintivamente, si presero per mano, intrecciando le dita.
“E’ tutto sbagliato” disse Artemisia.
“Ho sempre seguito il mio cuore e sono sempre stato criticato, soprattutto da mio padre. Ma non me ne sono mai pentito.”
“Arthur, non si può. Non si tratta ora di Camelot o di Castlesea. Non possiamo andare avanti con la consapevolezza di fare del male a noi stessi e a chi ci sta intorno. Vivere di nascosto ciò che proviamo? No, sarebbe troppo doloroso” disse Artemisia con la voce incrinata.
Arthur osservò i suoi occhi lucenti riempirsi di lacrime e una fitta di dolore gli attanagliò il petto. Artemisia aveva regione, ma il solo pensiero di dover rinunciare a lei lo atterrì.
La prese tra le braccia e baciò quelle lacrime, seguendo con la labbra il percorso che prendevano sul viso di Artemisia. Ne seguì una che andò a bagnarle la bocca e la baciò.
Un bacio tenero, dolce e allo stesso tempo calmo, quasi a voler dilatare il tempo ed allungare i minuti in ore, le ore in giorni.
Con un sospiro Artemisia si staccò da Arthur per rivolgergli un sorriso tra le lacrime; un sorriso così dolce e struggente che il cuore di Arthur mancò di un battito.
Artemisia, con un movimento leggero, si sfilò la camicia da notte, mostrandosi alla luce rossastra del fuoco nuda e vulnerabile. Arthur la sollevò un po’ per poi farla stendere sul tappeto.
Stette un attimo a guardarla per imprimere nella mente l’immagine del suo viso e del suo corpo nudo. Artemisia lo lasciò fare senza coprirsi.
Si piegò poi su di lei e si baciarono con passione stavolta, la stessa che li aveva travolti sotto l’antica quercia.
Come due sconosciuti, si esplorarono con la bocca e le mani. Artemisia tirò via la camicia di Arthur e quasi tremò quando sentì il calore di quel corpo a contatto col suo. Il giovane re cominciò a baciarle il collo per poi scendere al seno, assaporando il sapore che aveva la sua pelle: un sapore unico, che non aveva mai assaggiato.
Non riusciva ormai a pensare con lucidità, il desiderio di lei si era fatto lacerante ed Artemisia si abbandonò totalmente sotto di lui, pronta a farsi rubare l’anima.
Arthur si mosse sopra di lei, che quasi presa dalla paura che potesse andar via da un momento all’altro, gli circondò i fianchi con le gambe.
“Mia, solo mia” disse Arthur in un gemito provocato da quel contatto. “Mio, solo mio” gli fece eco Artemisia.
Arthur si attardò un po’ sulla soglia, voleva che quel momento durasse fino a quando avesse avuto aria da respirare e vita da vivere. Poi la penetrò, continuando a baciarla profondamente, mentre Artemisia emise un gemito soffocato quando lo sentì entrare.
“Quando sei nelle mie braccia il mondo non mi preoccupa più” disse Arthur guardandola negli occhi.
“E lì mi troverai per sempre, finchè le stelle non cadranno dai cieli” rispose Artemisia.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

 
La pianura era una distesa di cadaveri, il cielo aveva assunto la stessa colorazione rosso ruggine del sangue che inzuppava il terreno. Il silenzio era assordante.
Emrys, al centro della pianura intrisa di morte, la guardava col suo cipiglio severo ponendole una muta domanda: “E’ questo quello che vuoi?”
Poi, da lontano, sembrò arrivare l’eco di un gemito squillante, come il pianto di un neonato. Un suono così innocente ma che in lei suscitò paura, angoscia, terrore.
Emrys tiene stretto al petto un fagotto avvolto in uno scialle bianco di lana filata.
“Albion non sarà abbandonata a sé stessa”.
Morgana si svegliò di soprassalto tremando di paura, mentre la neve cadeva silenziosa fuori dalla piccola finestra del suo maniero.
 
Arthur e Artemisia, distesi nudi l’uno di fronte all’altro, si guardavano riposandosi dall’ondata di emozioni che li aveva travolti.
“Non so cosa ne sarà di noi” disse Arthur rispondendo alla domanda senza voce letta negli occhi di Artemisia. “So solo che se domani dovessi morire, non avrò nessun rimpianto perché ho avuto la possibilità di vivere questa notte assieme a te” aggiunse il giovane re accarezzandole la schiena. Un profondo senso di inquietudine, però, pesava sul petto di Artemisia: si alzò a sedere coprendosi con la coperta.
“La notte non è un tempo eterno, finirà presto” disse sottovoce la principessa guardando la neve scendere dal cielo attraverso i vetri appannati della grande finestra. I fiocchi irregolari erano candidi contro l’oscurità dello sfondo.
Anche Arthur si alzò e l’abbracciò da dietro, infilando il naso tra l’orecchio e il collo: “In questa notte, forse l’ultima della nostra vita, sono diventato una persona libera grazie a te. Un giovane uomo, libero di amare una donna” sussurrò  tra i suoi capelli, respirandone il profumo.
“Ma all’alba, liberi non lo saremo più, nonostante l’amore” aggiunse Artemisia.
“L’alba è ancora lontana. Ti prego, ti supplico: sii ancora mia” concluse Arthur scostando la coperta che la copriva.
La principessa gli rivolse un sorriso triste e lo baciò, riaccendendo quella passione che si era sopita prima. Si girò e gli si sedette cavalcioni sulle gambe: “Tua, solo tua” disse sussurrando.
Arthur la prese ancora, dolcemente, fino a quando i loro corpi e i loro respiri si fusero in uno e i loro cuori non cominciarono a battere all’unisono.
 
Merlin si alzò tutto intirizzito dal freddo poco prima che albeggiasse. Nonostante la neve della notte, il cielo appariva sgombro dalle nuvole: forse il sole avrebbe fatto da spettatore all’imminente battaglia. L’accampamento stava per prendere vita dopo il riposo notturno.
Andò nella tenda dove erano state allestite le cucine per prendere latte, miele, pane e formaggio da portare nelle stanze di Tintagel.
La prima stanza che avrebbe incrociato era quella di Arthur: salì le scale col vassoio ancora sbadigliando, pensando che quel poltrone di un re stesse ancora dormendo aprì la porta della stanza.
“Arthur?” domandò entrando.
Il camino era spento, il letto disfatto, ma non c’era nessuno. Posò il vassoio sul tavolino chiedendosi dove fosse andato. Uscì portando il piatto destinato ad Artemisia.
Sentì la voce pacata di Arthur da fuori la porta della stanza. Si sorprese: il re di Camelot era già sveglio. Entrò e per poco il vassoio non gli cadde da mano.
Arthur, con indosso solo le braghe, era in piedi al centro della stanza, teneva stretta a sé la principessa e teneva la testa piegata ed affondata nel suo collo e nei lunghi capelli.
Artemisia reggeva con le mani un lenzuolo che la copriva solo sul davanti, lasciando la schiena nuda fino alla curva delle natiche.
Entrambi si girarono di scatto verso Merlin, che li guardava a bocca aperta e col vassoio in precario equilibrio.
“Merlin!” urlò Arthur mentre Artemisia si tirava il lenzuolo fino a sopra la testa coprendosi per intero.
Merlin uscì quasi di corsa, chiudendosi la porta alle spalle e rovesciando il latte sul vassoio.
“Non muoverti da lì fuori!” urlò in tono imperioso Arthur dalla dietro l’uscio. I
l giovane re sollevò il lenzuolo per vedere Artemisia, che rideva: “Non preoccuparti, ci si può fidare di lui”.
“Lo so. Lui sapeva già. A dispetto di quel che pensi, Merlin è un ragazzo intelligente e sensibile” rispose Artemisia.
Arthur alzò un sopracciglio interrogativo, poi la guardò ancora ridere della sua espressione perplessa. Avrebbe passato la vita intera a guardarla ridere così.
Si strinsero sotto il lenzuolo e si baciarono.
 
Arthur uscì poco dopo dalla stanza e Merlin era lì, ancora col vassoio in mano ad aspettarlo. Richiuse la porta e lo guardò a braccia conserte e con cipiglio arrabbiato: “Quando imparerai a bussare?”.
Artemisia riaprì la porta, si affacciò dallo stipite e allungò il braccio nudo verso Merlin :”Grazie per la colazione, Merlin”, preso il vassoio gli fece l’occhiolino e richiuse la porta.
Arthur gettò l’occhio alla porta e sospirò. Poi s’incamminò verso la sua stanza e Merlin lo seguì. D’un tratto si girò puntandogli l’indice contro il naso, ma fu anticipato dalle parole serie di Merlin: “So bene che ciò che vi unisce sono sentimenti sinceri, ma avete pensato alle conseguenze? E a Gwen ci hai pensato?”.
Il dito minaccioso cadde nel vuoto e l’espressione di Arthur cambiò come se qualcuno avesse interrotto un bellissimo sogno svegliandolo con una secchiata d’acqua gelata. Si riscosse mentre Merlin lo guardava ancora severo.
“Il destino è crudele con me e con chi mi è vicino. Ora ho una battaglia da vincere. Quando tornerò a Camelot, vedrò cosa fare”.
 
Il suono delle urla gli rimbombava ancora nelle orecchie e la sua corazza era lorda di sangue non suo. Il suo respiro si condensava in una nuvoletta di vapore e le bruciavano gli occhi. Si sentiva sfinita, svuotata. La battaglia era stata vinta, ma a quale prezzo? Quella guerra logorante sarebbe mai finita?
Vedeva troppo morti attorno a lei; la neve aveva perso il suo candore e si era colorata di rosso scuro.
“Artemisia? Stai bene?” chiese Carleon. Appena affannato e sporco di fango e sangue, il giovane generale la guardò preoccupato.
 “Si, sono solo stanca” disse rauca lei.
Gli occhi della principessa osservarono lo scenario attorno: “Dov’è il re di Camelot?” chiese con una nota apprensiva nella voce; nella mischia lo aveva perso di vista.
“Sta bene, stava riunendo i cavalieri” rispose Carleon.
Artemisia sospirò di sollievo: “Rientriamo al campo” ordinò.
 
Arthur riorganizzava, dava ordini e disposizioni. Si guardava attorno, ma non vedeva Artemisia. L’ansia lo agitava mentre gli si presentava nella mente l’immagine di lei  a cavallo che brandiva la spada, seguita a ruota da Carleon di Hir. Per un attimo pensò che se c’era lui a proteggerla, allora poteva star tranquillo.
“Arthur!” disse una voce familiare dietro di lui. Gwen smontò da cavallo e gli corse in contro. “Guinevere! Cosa ci fai qui?”.
“Sapevo che sarebbe stata una dura battaglia. Io e Gaius siamo venuti per portare cure ai feriti”.
Arthur la guardò grato, mentre con la mente era ancora in ansia per Artemisia.
“Mi sento sollevata ora che vedo che stai bene” disse la regina di Camelot; gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
Arthur alzò gli occhi e vide Artemisia, stanca e pallida, che li guardava.
La principessa si girò e si rinfilò l’elmo per non far vedere a nessuno le lacrime che non riusciva a trattenere.
 
Sola, sul letto della sua stanza tra le mura di Tintagel, sentiva gli schiamazzi dei soldati provenire dagli accampamenti attorno alla fortezza.
I sovrani di Camelot erano rimasti a festeggiare con i cavalieri, mentre lei, dopo aver dato onore ai soldati di Castlesea, si era dileguata con la scusa della stanchezza e di un forte mal di testa, lasciando Carleon fare le sue veci.
 Voleva solo dormire, ma il camino acceso le ricordava quanto era accaduto appena la notte prima. Poteva ancora sentire i baci di Arthur sulla pelle. Bruciavano nella loro estrema dolcezza.
Si tirò la coperta sulle gambe.
Come aveva solo potuto immaginare anche solo per un attimo che le cose potessero cambiare?
Ha una moglie! Stupida! Stupida!
Per quanto potesse essere sicura dei sentimenti di Arthur per lei, le cose non dovevano andare così. Cosa credeva di fare? Cosa credeva sarebbe accaduto di diverso dopo una notte assieme?
Era un sogno impossibile, come quelli che faceva da ragazzina.
Stupida allora, e stupida ora.
La porta si aprì e Merlin si affacciò dallo stipite: “Posso?”
“Oramai sei entrato” disse Artemisia tirando su col naso.
“Ti ho portato qualcosa da mangiare e un tonico di Gaius per il mal di testa”. Il giovane posò un vassoio sul tavolino e si sedette sul ciglio del letto.
“Come ho potuto essere così incosciente, Merlin” sbottò Artemisia “Da ragazzina ho sognato così tante volte di diventare la sua sposa. Ora sono una donna adulta con delle responsabilità verso la propria gente. Ho appena combattuto per difendere il mio regno e quello di un alleato. E cosa faccio? Perdo totalmente la ragione e la dignità per un uomo che non potrò mai amare. Lo sapevo: ma ho fatto finta di niente”.
“Non essere così severa con te stessa. L’amore ci porta in sentieri che a mente lucida non percorreremmo mai. Non credere che per Arthur sia facile: ha una faccia così tirata che sembra averla persa la battaglia, non vinta.”
Artemisia scoppiò in lacrime e a Merlin si strinse il cuore.
“Il destino, già molto tempo fa, ha deciso che non era possibile stare assieme. Possiamo solo assecondarlo seguendo il percorso che è stato scritto per noi” disse la principessa prendendo fiato tra le lacrime. “Sarà doloroso, ma è l’unica scelta che abbiamo”.
 
Come aveva potuto non pensare a questa eventualità? Un’erede avrebbe rafforzato Camelot e così la successione al trono. Il suo sogno era stato chiaro, chiarissimo.
Molti pensieri affollavano la mente di Morgana, mentre ascoltava il rapporto disastroso di re Odin.
“Questa è la conseguenza del fare di testa tua. Un attacco in pieno inverno contro non uno, ma ben due eserciti. Anche il soldato più inesperto avrebbe capito che era un suicidio” commentò in tono sprezzante la strega.
Si alzò dal suo trono e cominciò a percorrere a piccoli passi la sala: “Ora basta con attacchi e scaramucce. Ci serve una spia a Camelot: deve essere i miei occhi e le mie orecchie. Voglio sapere qualsiasi cosa fa quella serva che gioca a fare la regina: ogni novità che la riguarda, ogni suo spostamento, ogni suo discorso, ogni suo cambiamento fisico”.
Odin la guardò interrogativo, ma Morgana non gli diede nessuna spiegazione.  

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

 
Era stato tutto deciso: i due eserciti vittoriosi sarebbero rientrati nei propri regni la mattina successiva.
“Credo che, dopo quanto avvenuto, i regni di Camelot e Castlesea debbano redigere un nuovo trattato, a completamento di quello già in vigore, firmato da re Andrew e re Uther molti anni fa”.
Il saggio consiglio di Carleon di Hir, durante la riunione sotto la grande tenda, aveva messo tutti d’accordo. “Il trattato fu firmato a Camelot e credo sia giusto rinnovarlo nello stesso luogo” aggiunse.
“Non credo che mio padre possa sopportare il viaggio” intervenne la principessa Artemisia.
“Come erede al trono, sono sicuro che re Andrew delegherà te, mia signora: ha profonda fiducia nel tuo operato” disse affettuosamente Carleon.
“Il trattato verrà redatto tra quattro settimane esatte, a partire da domani: ciò comporta la presenza delle parti contraenti almeno una settimana prima, per redigere gli accordi e preparare la cerimonia” precisò Arthur.
“Saremo a Camelot tra tre settimane, allora” affermò Artemisia.
 
Mentre sistemava le sue cose nel bagaglio sul letto, Artemisia sentì qualcuno entrare nella stanza e chiudere la porta. “Grazie Merlin, ma ho tutto..”.
Delle forti braccia la strinsero sotto al seno e le circondarono le spalle, mentre una testa si piegò sulla sua ad annusarle i capelli.
“Merlin! Cosa fai?” scherzò ridendo.
“Per quanto voglia bene a quel ragazzo, se avesse fatto una cosa del genere gli avrei mozzato di netto la testa” disse Arthur.
“Non dovresti essere qui” disse Artemisia ritornando seria, ma senza scostarsi da quell’abbraccio.
“Il solo pensiero che dovrò aspettare tre settimane per poterti rivedere mi fa impazzire” disse Arthur.
Le scostò i capelli per baciarle il collo. Quel contatto le provocò dei brividi caldi lungo la schiena. “Arthur ti prego…”. Le cercò la bocca ma lei si ritrasse a malincuore da lui e dal suo abbraccio allontanandosi di qualche passo.
La principessa si girò, poi, per poterlo guardare negli occhi: “Ma cosa stiamo facendo?” gli disse in tono doloroso. “Tra tre settimane tornerò a Camelot, e poi? Per una settimana sarò lì, magari a cercarci tra gli sguardi degli altri o a nasconderci dietro una colonna per una bacio? Amarci di nascosto, come due clandestini? E se venissimo scoperti? Uno scandalo inaccettabile! E dopo la firma del trattato? Tu sei il re di Camelot e Castlesea è la mia terra, la mia casa. E lì che devo stare, mio padre ha bisogno di me”.
Arthur la guardava con occhi lucidi: “Sei più ragionevole di me. Io sono sempre stato un impulsivo” pronunciò dopo qualche istante, senza staccare gli occhi dai suoi.
Le si avvicinò e le prese il viso tra le mani: ”Ma se vuoi che io rinunci a te, allora mi chiedi l’impossibile. Se è questo che vuoi, lo farò. Sappi solo che l’amore che provo per te, nessuno lo porterà via”.
“Non lo so cosa ti sto chiedendo, Arthur”.
Il re la strinse: “Ricordi? Perché, quando sono tra le tue braccia, il mondo non mi preoccupa più”.
“E lì mi troverai per sempre, finchè le stelle non cadranno dai cieli” riprese la principessa, sorridendo al ricordo evocato da quelle parole.
Si baciarono a lungo, come se fosse l’ultima volta.
 
A Castlesea il clima era mite anche in inverno. Il mare, in quella stagione, era uno specchio lucido in cui poter guardare anche il cielo.
Dalla balconata della sua stanza, il vento frizzante scompigliava i capelli di Artemisia, mentre respirava a pieni polmoni l’odore di sale e sabbia che le solleticava il naso. Un aroma così familiare che le evocava lontani ricordi.
Stare accanto a suo padre e tornare nel luogo che amava di più l’aveva rasserenata per un po’. Anche solo osservare il lento ed infinito movimento delle onde la rendeva quieta.
Come aveva previsto Carleon, re Andrew aveva dato a sua figlia pieni poteri decisionali ed esecutivi negli accordi con Camelot. L’indomani all’alba sarebbero partiti e avrebbe potuto nuovamente rivedere gli occhi di Arthur.
Come si sarebbe dovuta comportare nei prossimi giorni? Evitarlo? Ma come poteva, se l’unica cosa che desiderava era essere stretta dalle braccia di Arthur, ascoltare la sua voce, perdersi nei suoi occhi e nei suoi baci?
Si riscosse scuotendo la testa e gettando all’indietro i capelli che le cadevano sugli occhi: doveva pensare al trattato.
Quel poco di serenità che aveva riacquistato a Castlesea fu sostituita da una sorta di euforia mista ad inquietudine. Una sensazione aspra e dolce che la punse nell’animo.
 
La principessa Artemisia ritornò a Camelot assieme a Carleon di Hir ed a una scorta di pochi soldati con le insegne di Castlesea.
I sovrani accolsero la delegazione con tutti gli onori.
Artemisia cercò di evitare gli sguardi colmi di parole di Arthur, talmente era oppressa dalla tentazione di corrergli incontro. Un desiderio che si frantumò subito dopo, quando Gwen l’abbracciò affettuosamente, acuendo il senso di colpa che provava nei suoi confronti. Venne sistemata nelle stesse stanze del suo precedente soggiorno.
“Posso?”.
“Quand’è che imparerai a bussare?” chiese ridendo Artemisia, felice di rivedere il volto di Merlin affacciarsi alla sua porta. “Sono felice di rivederti” disse la ragazza abbracciando il giovane “Come vanno le cose qui a Camelot?” chiese poi.
Merlin iniziò a sistemare il bagaglio della sua ospite: ”Beh… le solite cose: la popolazione lavora, i cavalieri si allenano, Arthur si strugge…”.
Artemisia si lasciò cadere sul letto: “Aiutami, Merlin. Non so che fare. A Castlesea non ho fatto che pensare a lui tutto il tempo. E ora, quando che me lo sono trovato davanti, avrei voluto che la terra m’avesse inghiottito”.
Merlin non seppe che risponderle. Aveva pensato molto a ciò che era accaduto tra loro. Arthur, in quelle settimane, gli era parso un animale in gabbia: si impegnava negli allenamenti, strapazzando le giovani reclute; usciva di buon ora per andare a caccia e rientrare solo a tarda sera; cercava di risolvere tutte le questioni del regno, anche quelle più sciocche, forse per non soffermarsi a pensare troppo. Inoltre era sicuro che quel comportamento non era rimasto invisibile a Gwen.
Si chiedeva in continuazione perché le cose fossero andate in questo modo. Quale forza impone agli uomini di percorrere certe strade, anziché altre? Quale sorte era in serbo per Arthur ed Artemisia?
“Ma ho preso la mia decisione” disse ad un tratto la principessa, interrompendo i pensieri di Merlin.  
 
Quel tardo pomeriggio, Artemisia e Carleon di Hir, seduti al grande tavolo, si confrontavano circa gli accordi da stipulare, quando qualcuno bussò.
“Avanti”; Arthur entrò. Artemisia avvertì un tuffo al cuore. Il momento era arrivato.
“Lasciaci, grazie Carleon” chiese cordialmente la principessa. Il cavaliere uscì congedandosi con un cenno del capo.
Il sole al tramonto illuminava la stanza, dipingendo riflessi di rosso liquido tra i capelli di Artemisia. “Mi sei mancata” sussurrò Arthur dopo qualche istante di silenzio passato ad ammirarla.
“Anche tu” ammise Artemisia alzandosi.
Arthur le si avvicinò, ma lei lo fermò con un gesto della mano: ”Dobbiamo fare un accordo. Tra noi due”.
Lo guardò risoluta, incrociando le braccia come a darsi forza per ciò che stava per dire: “A Tintagel mi hai chiesto se avresti dovuto rinunciare a me. La stessa domanda me la sono posta io nelle ultime tre settimane”.
Arthur la guardava in attesa; Artemisia continuò: “Anche per me sarebbe impossibile rinunciare a te. Il mio cuore ti appartiene da quel pomeriggio in cui mi dondolasti davanti al naso quella lucertola morta”.
“Urlasti così tanto che intervennero le guardie” sorrise Arthur al ricordo di quello scherzo. “Ciononostante, dopo questa settimana qui a Camelot, una volta rientrata a Castlesea, non esisteremmo più l’uno per l’altra” disse d’un fiato, quasi spossata dallo sforzo che aveva fatto.
Ad Arthur sembrò mancare la terra sotto i piedi, mentre Artemisia ricacciava indietro le lacrime e si mordeva la lingua.
“Una settimana?”
“Una settimana. Poi basta” confermò lei, umettandosi le labbra.
I muscoli della mascella di Arthur si contrassero nervosi: “Ho pregato che questo momento non arrivasse mai”.
“C’è un’alternativa?” chiese Artemisia, quasi sperando che lui ne avesse una.
Arthur strinse le labbra in una linea sottile. Pensò a Gwen, a Camelot. Deglutì a fatica e fece non con la testa.
La principessa annuì: “Allora è l’unica soluzione che abbiamo, l’unica strada che il destino ci ha lasciato da percorrere. Governeremo i nostri regni in modo giusto e retto. E’ per questo che siamo qui: per permettere che la pace duri nelle nostre terre. E’ il nostro dovere. Sto rispondendo a quelle domande, sto chiedendo a te e a me stessa di fare l’impossibile”, oramai le lacrime scendevano copiose dagli occhi d’onice di Artemisia, che non fece niente per fermarle. “Ma concedimi in questa settimana la possibilità di essere ciò che sono stata per te a Tintagel quella notte, l’ultima della nostra vita.”
Arthur l’abbracciò forte e lei non si ritrasse “Lo sarai per sempre. Mia, solo mia”.
Artemisia si rincuorò tra le sue braccia, cercando di godere profondamente di quell’attimo.
Gwen, passeggiava per il corridoio dopo aver dato disposizioni per la cena. Arrivò davanti alla porta delle stanze di Artemisia e notò che era socchiusa. Sentì la voce di suo marito, anche se non distinse le parole.
Allungò la mano per entrare ma qualcosa la trattenne e rimase ad ascoltare.
“Quando sono tra le tue braccia, il mondo non mi preoccupa più” disse il giovane re.
“E lì mi troverai per sempre, finchè le stelle non cadranno dai cieli” rispose Artemisia, evocando quelle parole che oramai appartenevano solo a loro.
Gwen avvertì il sangue gelarsi nelle vene.
 
Si ricordò di quello che era accaduto la sera prima delle nozze. Che fosse una punizione per aver baciato Lancillotto, quella maledetta sera? Non sapeva perché aveva ceduto a quel vecchio amore. Conosceva bene però il dolore provato dopo che Arthur l’aveva bandita dal regno. Un dolore quasi fisico, che prende alla testa e alla stomaco.
Un dolore che non l’aveva lasciata un attimo e che si era sciolto come neve al sole quando Arthur era tornato da lei.
Non aveva pagato abbastanza? E quella principessa? Aveva sedotto suo marito senza alcun ritegno. Aveva creduto di aver incontrato una ragazza sincera e forte, un’amica con la quale parlare.
Era invece una serpe velenosa.
Quando era successo? Aveva notato quanto Arthur fosse stato inquieto nelle settimane dopo Tintagel, ma credeva che fosse dovuto alla preoccupazione e all’ansia della battaglia che non aveva ancora smaltito.
Invece, oltre alla battaglia, a Tintagel era accaduto qualcos’altro.
Gwen scese di corsa le scale che portavano al cortile e si scontrò con Merlin, che quasi perse l’equilibrio nell’urto.
“Cosa succede?” chiese Merlin allarmato alla vista del volto sconvolto della regina.
Gwen proseguì a grandi passi come se Merlin non ci fosse stato.
La regina s’inoltrò nel bosco: aveva bisogno di respirare aria pulita e fresca. Si fermò col fiatone e si portò le mani ai fianchi cercando di riprendere fiato.
Non poteva far niente, pensò poi. Un bel niente. Se avesse suscitato uno scandalo, avrebbe compromesso i rapporti tra Camelot e Castlesea. Si portò le mani al viso e si scoprì improvvisamente impotente.
Non poteva far altro che pregare che quei giorni passassero veloci. Poi avrebbe fatto di tutto per riconquistare il suo Arthur e tornare ad essere la sua regina.
 
Avevano imparato a ritagliarsi degli spazi che appartenevano solo a loro. Anche durante le riunioni o ai banchetti, di nascosto dagli altri, si guardavano per qualche istante. E in quegli istanti esistevano solo loro due.
Seduti vicini, si cercavano le mani sotto la tavola. Riuscivano a scambiarsi qualche bacio furtivo senza pronunciare nemmeno una parola.
La torretta del castello era diventata il loro rifugio. Lì potevano tenersi stretti ed immaginare come sarebbe stata la vita assieme, mentre il cielo di Camelot li guardava.
Arthur si dissetava alle sue labbra. Artemisia si faceva stringere forte, fino a quando non le mancava il respiro. Assaporavano ogni attimo che gli veniva concesso, con l’amara consapevolezza che erano gli ultimi.
Arthur aveva confidato la sua pena a Merlin, l’unica persona che sapeva tutto. Il giovane mago non se la sentì di rifiutare il favore che il suo re gli aveva chiesto con le lacrime agli occhi: “Aiutami a vivere questi giorni con lei”.
“Ho paura che Gwen sappia” rivelò il giovane mago.
“Quando tutto sarà finito, Gwen riavrà suo marito” dichiarò il re, ripensando alla freddezza di sua moglie la sera dell’arrivo di Artemisia.  
 
La sera prima della cerimonia del trattato, Artemisia, seduta alla finestra, era già pronta per andare a letto. Aveva spento tutte le candele, voleva rimanere al buio, ma la luna faceva penetrare la sua luce argentata attraverso i vetri della finestra illuminando obliquamente la stanza. Un’ombra aprì la porta ma non ne ebbe paura, né si proccupò.
“Cosa ci fai qui?” chiese sottovoce. Per risposta ebbe un bacio schioccante.
Arthur la prese in braccio e l’adagiò sul letto. Artemisia lo tirò a sè per la camicia, mentre Arthur la baciava senza lasciarla quasi respirare e infilava le mani sotto la camicia da notte.
Il tocco delle dita calde sul suo seno, fece gemere Artemisia che sfilò la camicia di Arthur che teneva ancora stretta tra le mani.
Le ampie spalle del giovane si illuminarono della luce della luna: i muscoli si tesero creando luci e ombre ad ogni movimento mentre spogliava Artemisia.
La sensazione di profonda gioia nel vedere gli occhi di Arthur su di sé a guardarla nuda come era successo a Tintagel, non le permise di soffocare un singhiozzo di commozione. Lo sentì sorridere.
Arthur le passò una mano sotto la testa, tra i capelli, e la sollevò prima per baciarla, poi tirarla indietro e farsi offrire il collo e poi più giù, verso la carne morbida e bianca dei seni.
Si mosse su di lei cercando di contenersi, perchè anche se il desiderio lo struggeva, voleva centellinare ogni istante per viverlo appieno.
Artemisia si abbandonò alle mani, alla bocca e alla lingua di Arthur offrendosi totalmente: il suo respiro addosso era caldo.
Ubriaca di baci e carezze, la principessa sentì il peso di Arthur su di lei e aprì le gambe per accoglierlo. Arthur inarcò la schiena e la penetrò.      
Entrambi sussultarono, scossi da un’emozione profonda ed intensa, come tuffarsi nell’acqua di un lago senza vederne il fondo.
“Ti amo” sussurrarono le labbra di Artemisia attaccate a quelle di Arthur.
 
Gwen attese tutta la notte Arthur. Aveva detto che andava alla taverna assieme a Merlin. Pianse.     

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X

 
Un leggero chiarore proveniva dalla finestra, ma la stanza era ancora buia. Artemisia aprì gli occhi, ancora stretta ad Arthur. Il giovane dormiva placidamente con il braccio destro a circondare i fianchi della principessa e le gambe intrecciate alle sue. Intrappolata in quella posizione non riuscì a muoversi e ne fu felice.
Alzò gli occhi per guardarlo: con gli occhi percorse il profilo del naso, la curva forte della mascella, la piega dolce delle labbra; e pensò a cosa si poteva provare a svegliarsi tutte le mattine per guardarlo così. Ma non s’intristì; quella mattina una profonda felicità le pervadeva l’anima.
Aveva ricevuto tanto in quei giorni passati assieme a lui. Anzi, troppo: più di quanto potesse desiderare nella situazione in cui s’erano infilati.
Le bastava, anche se non ne sarebbe mai stata sazia.
Spostò appena un ginocchio e Arthur, a quel movimento, rivolse la testa verso Artemisia con un gemito rilassato.
“Ti ho svegliato, scusa” sussurrò la principessa tirandosi su per accarezzargli i capelli.
“Non dormivo. Pensavo” rispose Arthur aprendo gli occhi per guardarla. Fu come se il cielo azzurro dell’estate le si palesasse davanti.
“Davvero? E a cosa pensavi?” chiese lei ridendo e perdendosi in quell’azzurro.
Arthur sbadigliò e poi assunse un’espressione pensierosa:“Che potrei inserire una clausola nel trattato: il re di Camelot e la principessa di Castlesea devono incontrarsi periodicamente… diciamo… ogni due settimane, per parlare di fondamentali questioni di potere, per il bene dei nostri regni. Magari in un luogo neutro…tipo Tintagel, ti piace Tintagel? So che quel posto ti è piaciuto quanto me”.
Artemisia annuì ridendo.
Lui continuò: “E Tintagel sia. Poi lì credo che cinque o sei giorni ci bastino. Me li farei bastare. Cinque o sei giorni ogni due settimane. Chiusi nella fortezza…a discutere…”
“Clausola sostanzialmente ridicola. Non credo che si possa fare”.
“Io sono il re e tu sarai regina. Possiamo fare quello che vogliamo”.
“Sai che non è così” rispose Artemisia con una vena di tristezza nella voce.
“Nemmeno una postilla?” insistette Arthur.
Artemisia fece no con la testa: ”Magari fosse facile così come hai detto. Per cosa poi? Essere amanti per tutta la vita?” chiese in tono amaro.
“Allora non voglio essere più il re di Camelot”.
Artemisia lo baciò per non sentire altre assurdità. Arthur la strinse facendo scorrere le dita sulla pelle morbida di lei. Sentendosi nuovamente eccitato dalle labbra della principessa, cambiò posizione mentre le accarezzava la schiena nuda, fino alle gambe.
“Devi andare via, è tardi” fece Artemisia con un mezzo sorriso.
“Dobbiamo finire di… discutere. Pensa di essere a Tintagel, a discutere di pace”.
Arthur seguì con la lingua la curva del seno di Artemisia.
“Sei uno stupido” ansimò la principessa.
“Non stupido. Pazzo. Per colpa tua” rispose Arthur, che continuava ad esplorare curioso il corpo della sua amata.
 
Come due adolescenti incoscienti delle cose della vita. Ecco, loro due erano questo.
Artemisia guardò la veste appoggiata sul letto: quella che avrebbe indossato per la firma del trattato. Sarebbe seguito un banchetto e anche le danze.
Accarezzò la morbida seta verde dalle cuciture d’oro illuminata dai raggi tiepidi del sole di fino inverno. Era l’ultimo giorno a Camelot prima di tornare a casa.
Arthur. Al pensiero di non rivederlo più, lo stomaco si ribellò. Era accaduto anche il giorno prima di sentirsi nauseata. Il nervosismo faceva brutti scherzi.
Aveva saputo che a Camelot girava una febbre intestinale e quindi pensò di passare da Gaius, prima di prepararsi.
 
Merlin rientrò nello studio e trovò Gaius intento a visitare Artemisia. La principessa, stesa sul tavolo, gli rivolse un sorriso, mentre l’anziano medico le tastava il ventre.
“Cosa succede? Non stai bene?” volle sapere.
Gaius si rivolse al giovane con sguardo greve: “Merlin, forse è meglio che attendi fuori”.
“Gaius, per me Merlin può anche restare” disse cortese Artemisia.
“Altezza, devo farle qualche domanda, diciamo… intima” intervenne serio Gaius.
“Ripeto: Merlin può restare. Però Gaius, non farmi preoccupare” disse in tono apprensivo mentre si rimetteva seduta.
Merlin si avvicinò per sedersi anch’egli.
Gaius sospirò e lanciò un’occhiata veloce a Merlin. Poi si rivolse ad Artemisia: “Ecco, mia signora. Avete avuto rapporti… intimi con qualcuno nelle scorse settimane?”.
Artemisia spalancò gli occhi: “Io… Cosa c’entra col mio mal di stomaco?”.
“E’ importante, altezza”.
Artemisia strinse le labbra e annuì, mentre Merlin guardava perplesso ora Gaius ora Artemisia, cercando di capire cosa stesse accadendo.
Gaius continuò: “Per caso avete notato se il vostro mese non si sia presentato con la sua ovvia regolarità?”.
La principessa aggrottò la fronte e si fermò un momento a riflettere.  Poi alzò gli occhi verso il medico con un’espressione allarmata.
Gaius capì lo sconcerto della fanciulla: “Credo proprio che siate in attesa, mia signora” sentenziò. Merlin sgranò gli occhi e quasi non cadde a terra da seduto.
Artemisia afferrò con forza il braccio di Merlin: “Merlin, non è possibile!”.
Gaius guardò il giovane con un’espressione stravolta: ”Merlin, tu cosa?”.
Il giovane mago alzò le mani: “Non guardare me! Io non ho fatto niente! E’ stato Arthur!”.
“Arthur? Volete farmi venire un infarto?” urlò Gaius.
Artemisia lasciò il braccio di Merlin per portarsi la mano davanti alla bocca per reprimere un singhiozzo.
“Dimmi che ti sbagli, Gaius. Che non ne sei sicuro” chiese quasi sussurrando.
“Sono sicuro, principessa” dichiarò serio il medico. Poi guardò Merlin: “Arthur? Il re e la principessa…” sussurrò a bassa voce. Il giovane mago annuì a conferma.
Artemisia si alzò per riprendere fiato dopo essersi accorta che stava trattenendo il respiro.
“Arthur ne deve essere informato” ammise Merlin.
“Assolutamente no!” disse Artemisia voltandosi verso di lui “Dobbiamo solo saperlo noi e nessun’altro. Non deve uscire fuori dalle pareti di questa stanza”.
“Mia signora, perdonatemi, ma…” intervenne Gaius.
“Vi prego, non informate Arthur ne nessun altro. Oggi ci sarà la firma, il banchetto… Domani tornerò a Castlesea. Arthur non deve sapere niente…” disse con voce rotta dalle lacrime, mentre misurava sconvolta a piccoli passi lo spazio tra il tavolo e la finestra.
Merlin si alzò e fermò Artemisia per le braccia: “Calmati e riflettiamo assieme”.
Artemisia annuì e lo abbracciò per abbandonarsi alle lacrime.


E Merlin vide. La pianura era una distesa di cadaveri, il cielo aveva assunto la stessa colorazione rosso ruggine del sangue che inzuppava il terreno. Mordred che ferisce a morte Arthur. Il silenzio e lo sgomento erano assordanti.
Poi, da lontano, sembra arrivare l’eco di un gemito squillante, come il pianto di un neonato. Abbassò lo sguardo su ciò che teneva stretto al petto: un fagotto avvolto in uno scialle bianco di lana filata.
“Albion non sarà abbandonata a sé stessa”.


“Merlin, cos’hai?”.
La voce gonfia di pianto di Artemisia lo riportò alla realtà. Gaius, accorgendosi di quanto accaduto al giovane amico, si alzò dal suo scranno: “Principessa, ora credo che sia meglio che riposiate. Andate nelle vostre stanze e dormite un po’. Verrà Merlin a chiamarvi quando sarà il momento di prepararvi”.
Merlin era ancora fermo immobile, anche dopo che Artemisia era uscita accompagnata da Gaius.
“Cosa hai visto?” chiese l’anziano medico.
Merlin si girò a guardarlo con un sorriso ambiguo: “Gaius, è possibile che ciò che era stato deciso circa il futuro di Arthur e Artemisia si sia ripresentato quando si pensava che le cose fossero andate diversamente? Mi spiego: era destino che Arthur e Artemisia si dovessero sposare, ma non è stato così. Nonostante ciò, gli eventi si sono modificati in modo tale che loro potessero comunque amarsi e quindi creare la generazione futura di Albion”.
“Il destino e le sue vie sono perlopiù sconosciute a noi mortali. Hai visto il bambino?”.
Merlin annuì. Gaius continuò seguendo il filo dei ragionamenti: ”Un’erede al trono che possa riunire due dei più potenti e ricchi tra i Cinque Regni sotto il suo dominio. Un dominio legittimo per nascita. Era ciò che volevano Uther e re Andrew di Castlesea. Anche se Arthur e Gwen avessero un figlio, oltre ad essere minore per età, non avrebbe la stessa legittimità a governare. Sappiamo che Gwen non è di provenienza nobile. E’ possibile che il sogno di Uther e di re Andrew si stia concretizzando ugualmente, nonostante le cose siano andate diversamente”.
“Da quanto tempo sapevi che erano amanti?” aggiunse poi improvvisamente in tono di rimprovero.
Merlin lo guardò con espressione colpevole: “Da prima che lo sapessero loro, forse. Non si può andare contro l’amore” concluse con una rassegnata alzata di spalle ed un sorriso
 
Non riuscì a riposare. Mille domande e nessuna in particolare le occupavano la mente. Comprese solo che sarebbe stato ancora più doloroso lasciare Arthur. Eppure sapeva che non poteva dirglielo. Avrebbe badato a se stessa e a quella piccola vita da sola. Non avrebbe dovuto più piangere come una bambina lamentosa.
Avvolta nel telo di lino dopo il bagno, Artemisia si sentì meglio anche dalla sensazione di nausea. Il vestito era ancora sul letto che l’aspettava. Se lo infilò: la seta verde scese morbida come una carezza lungo i fianchi. Non aveva il corpetto perché le cuciture in oro disegnavano delle morbide linee seguendo quelle del suo corpo, mentre una fascia dorata avvolgeva la stoffa sotto il seno. Lasciò i capelli lisci e morbidi lungo la schiena e le spalle, così come li portava sempre a Castlesea. Infine indossò il diadema di diamanti del suo regno e una collana d’oro con uno smeraldo a forma di goccia, che per la lunghezza della catena, s’appoggiò nell’incavo tra i seni.
Qualcuno bussò: “Avanti”.
“Artemisia, sei pron..” Merlin rimase a bocca aperta “Siete una vera regina, mia signora”. mormorò.
“Grazie, Merlin. Sei gentile”.
Gli si avvicinò, gli prese le mani tra le sue e i suoi occhi brillarono di tristezza: “Ti prego, Merlin non giudicarmi. Io amo con tutta me stessa Arthur. Il cielo mi ha fatto dono della possibilità di vivere questo amore per lui anche se per poco. Non so cosa accadrà da oggi in poi. Ma sento di essere pronta ad affrontare qualsiasi cosa per amor suo, soprattutto ora che il cielo mi ha fatto un altro dono. Non ho mai potuto parlare con te chiaramente, di sapere come la pensavi a riguardo. Anzi, mi hai consolato quando hai potuto. Ma non voglio che Arthur sappia niente, che soffra e così, più di tutti, Gwen. Aiutami. Sei caro ad Arthur e per me la tua amicizia è preziosa. Continuerai ad essermi amico?” .
Merlin aveva davanti una creatura meravigliosa: capì il perché Arthur ne era così innamorato. “Artemisia, il tuo segreto è al sicuro con me. Così come è sicura la mia amicizia”.
 
La principessa di Castlesea percorse la navata della sala del trono accompagnata dal fidato Carleon di Hir, sotto lo sguardo ammirato dei cavalieri di Camelot, della delegazione ospite e dei nobili del regno.
Arthur non riuscì a  nascondere l’emozione alla sua vista. Solo la regina, seduta sul suo trono, guardava davanti a sé, con volto impassibile.
Davanti ad Arthur era stata allestita una tavola coperta da un drappo porpora, sulla quale era aperta una grande pergamena con gli accordi scritti a mano dagli esperti scrivani di Camelot.
Il giovane re allungò la mano e accolse quella della principessa per accompagnarla accanto a lui. “Oggi è un giorno importante” esordì il sovrano a voce alta per essere ascoltato da tutti “Oggi il regno di Camelot e il regno di Castlesea si giurano nuova alleanza, in nome della pace e della prosperità tra i nostri popoli”.
Arthur appose la sua firma sulla pergamena e Artemisia fece lo stesso a nome di suo padre.
Il maestro di cerimonie sciolse della ceralacca sul documento e il re e la principessa premettero i rispettivi sigilli nel liquido rosso, per sancire l’alleanza.
I cavalieri, i delegati e i nobili applaudirono e inneggiarono al re, alla regina e alla principessa

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

 
La sala dei banchetti era decorata a festa: drappi porpora col dragone ricamato in oro, simbolo dei Pendragon, si alternavano a drappi blu cobalto con la torre e le onde del mare filati in argento.
Sul lungo tavolo e in ogni angolo della sala rose rosse e bianche provenienti dalle serre di Camelot profumavano l’aria con il loro aroma intenso.
Cacciagione e altri piatti elaborati venivano serviti agli ospiti e il vino era costantemente versato nei calici di cristallo, colorandoli di riflessi rubino.
Poi iniziarono le danze: al ritmo del flauto, cavalieri e dame si riunirono in cerchio, per poi dividersi in file e a coppie. Sir Leon invitò Artemisia che accettò subito l’invito.
“Mi concedete un tale onore, maestà?” la voce suadente di Carleon di Hir colse di sorpresa Gwen, seria e silenziosa fino a quel momento.
Il sorriso del cavaliere formò delle piccole rughette attraenti agli angoli degli occhi, mentre due fossette comparivano sotto il velo di barba delle guance.
La regina sorrise e accettò di buon grado e si unì alle danze. Alla fine della ballata, Carleon baciò la mano della regina che tornò a sedersi accanto al re, mentre Artemisia non ebbe il tempo di riposarsi che accettò l’invito di Gwaine.
“Affascinante quel Carleon di Hir” azzardò Gwen ad Arthur, che seguiva le danze sorseggiando del vino. “Sarà un ottimo compagno per Artemisia” aggiunse.
“In che senso?” chiese Arthur senza spostare lo sguardo.
“Nel senso che presto o tardi Artemisia dovrà sposarsi e assicurare un futuro a Castlesea, oltre ad aver bisogno del sostegno di una persona saggia e coraggiosa. Credo proprio che lui sia la persona più adatta”.
Gwen notò l’adombrarsi degli occhi del marito.
“Già” rispose laconico il re, bevendo un altro sorso di vino.
Aveva colpito nel segno: domani andranno via e tornerai ad essere quello di prima; tornerò ad essere la tua regina, pensò Gwen sollevata.
 
“Ci mancherete, principessa” disse Gwaine, e Parsifal, Mordred ed Elyan, accanto a lui, approvarono.
“Anche voi mi mancherete: siete stati degli ottimi insegnanti e dei divertentissimi compagni” affermò Artemisia guardando ognuno di loro negli occhi.
I cavalieri si congedarono tranne Mordred: ”Principessa, se vi capiterà nei giorni a venire, vi prego di salutare da parte mia la spiaggia dietro il promontorio della torre vecchia di Castlesea”.
“Sei stato a Castlesea?” chiese curiosa Artemisia.
Il giovane annuì: “Molti anni fa, mia signora. Conservo un caro ricordo di quella spiaggia” rispose il cavaliere sorridendo.
“Allora, spero sarai presto mio ospite, Mordred, così da poter fare una passeggiata assieme su quella spiaggia”.
 Mordred sorrise cortese con un cenno del capo e si allontanò lasciando Artemisia con una strana sensazione.
 
La luna era già alta, e cavalieri alticci e dame stanche avevano lasciato la sala.
“Farai tardi anche stanotte?” chiese Gwen ad Arthur con tono distaccato.
Arthur aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo sguardo rassegnato di sua moglie non gli permise di proferire parola.
La regina si voltò e s’incamminò nel corridoio in direzione delle stanze.
Era oramai certo che sapesse. L’ultima cosa che voleva era addolorarla, ma in realtà quanto aveva sofferto in quei giorni?
Artemisia. Il pensiero di lei s’era nuovamente insinuato nella mente e nell’animo. L’aveva vista lasciare la sala poco prima in compagnia di Carleon.
Uscì dalla sala in direzione del corridoio opposto. Stava per girare l’angolo quando sentì la voce di Artemisia: si fermò ad ascoltare.
“Hai bevuto un bel po’, eh?” disse ridendo la principessa.
“Solo un bicchiere. Il vino qui a Camelot è di ottima qualità ma sa essere molto forte” rispose Carleon di Hir “Prende la testa quanto basta per poter provare di nuovo”.
“Mmm?”.
“Sposami Artemisia”.
 La principessa lo guardò con affetto “Carleon, me lo hai chiesto già tante volte…”.
“Dodici, compresa questa”.
Artemisia spalancò gli occhi “Dodici? Così tante? Le hai anche contate?”.
“Potrei elencare data e luogo di ognuna. La prima volta… Ti ricordi la prima volta?” chiese l’uomo.
La voce di Artemisia si fece morbida: “Si, quella volta, la prima, la ricordo”.
“Prendesti tempo, poi litigammo… Quando mi confessasti che volevi dirmi si, me che ci avevi ripensato…” rise.
“Carleon, ti prego. Castlesea è piena di nobildonne bellissime che cadrebbero ai tuoi piedi ad un solo cenno. E ho notato che anche qui a Camelot hai riscosso un certo successo” disse divertita Artemisia.
“E’ solo una la donna che voglio. Possibile che non riesca a conquistarti?”.
La principessa si prese la testa fra le mani: “Ho già un po’ di… problemi da affrontare…”.
Carleon sembrò non capire.
“Quando sarà il momento te ne parlerò”.
“E alla mia dodicesima proposta cosa rispondi? Mi piace sentirti dire no” aggiunse ridendo.
Artemisia non rispose, mentre il riso sommesso del cavaliere si era acquietato.
Arthur sentì rombargli rumorosamente il cuore nelle tempie in quel silenzio così prolungato.
“Credo che… ci penserò” le sentì dire in tono incerto.
Carleon prese fiato come se avesse fatto le scale di corsa “Il vino di Camelot fa venire le allucinazioni? Ho sentito bene?”
“Ripeto: prima di dare subito una risposta, vorrei pensarci” rispose la principessa guardando la luna attraverso la grande vetrata.
Carleon d’impulso le prese un braccio per girarla verso di sé, ma con tocco leggero: “Ci penserai, per poi ripensarci ancora? Non voglio insistere però cerca di pensare di meno e agire d’istinto. Molto tempo fa mi volevi. Me lo ricordo bene. Mio malgrado, lo ricordo benissimo” concluse sornione.
Artemisia sorrise: “Hai bevuto troppo. Va a dormire che domani partiamo presto” disse allontanandolo con un gesto lento della mano.
Carleon la studiò per un istante senza riuscire a parlare, poi annuì. Le diede un bacio sulla fronte e si allontanò.
Arthur sentiva la mano fargli male: l’aveva stretta così forte attorno all’elsa della spada da cerimonia da provocargli dolore.
“Dimmi che non dicevi sul serio” disse facendo un passo avanti e spuntando da dietro l’angolo.
Artemisia sobbalzò: “Da quando ascolti le conversazioni altrui?”.
Lo sguardo duro di Arthur non ammetteva alcuna risposta.
“Prima o poi dovrò sposarmi” concluse lei.
Arthur sentì l’eco delle parole di Gwen nelle orecchie.
“E poi ho detto che voglio pensarci, non ho detto mica di si” continuò la ragazza.
Arthur sospirò sentendo male al petto. Si umettò le labbra: “Non devi giustificarti con me: so che è patetico quello che ti ho detto. Meglio lui che un altro” e rabbrividì al pensiero delle mani di quel cavaliere su ciò che sentiva appartenergli. Soprattutto cercando di scacciare il pensiero che Carleon aveva già posato, molto tempo prima di lui, le mani sul corpo della principessa.
“Meglio lui?” chiese la ragazza. Artemisia fissò gli occhi nei suoi, che con la semioscurità del corridoio erano diventati di un blu intenso: sentì un fitta al cuore e istintivamente si posò una mano sul grembo.
Quanto avrebbe voluto gridargli, urlargli con quanto fiato aveva nei polmoni ciò che aveva scoperto quella mattina. Si morse la punta della lingua con gli incisivi.
“Il nostro accordo è ancora valido?” chiese ad un tratto Arthur. Le si avvicinò ed le affondò le dita tra i capelli.
Artemisia gli prese la mano e lo condusse nella sua stanza. Non ebbe il tempo di chiudere la porta alle sue spalle che Arthur le prese il volto fra le mani per baciarla.
Non si era mai sentito così privo di coraggio, tanto sciagurato nella consapevolezza di voler qualcosa sapendo di non poterla davvero avere. Una cosa semplice, in fondo: voleva stare con lei. L’abbracciò stretta anche se aveva decine di motivi per non stringerla tra le braccia. In quell’istante dimenticò tutto; esisteva lei sola.
“Non voglio andar via” sussurrò Artemisia, staccando d’improvviso la sua bocca da quella di Arthur.
Il re la guardò con tanta pena che le sembrò di aver ricevuto uno schiaffo: non trovò le parole, era solo pura e sconsolata emozione.
La principessa gli strofinò il naso sulla guancia per annusarne il profumo.
“Fermami adesso, perché dopo sarà troppo tardi” le disse Arthur con voce roca.
“Non voglio fermarti, non chiedermelo”.
Arthur la baciò ancora; la destra le sosteneva la nuca, mentre con la sinistra le scioglieva il nastro del vestito. La seta verde cadde a terra senza far alcun rumore. Con tocco delicato delle dita, Artemisia sfilò il mantello di porpora e poi slacciò la cintura con la spada da cerimonia, producendo un forte suono metallico quando questa cadde a terra. Tirò via dalla testa la cotta di maglia pesante e poi la tunica di lino, lasciando Arthur a petto nudo.
I sospiri, i profumi, i baci, le carezze. Una notte, un tempo infinito, in cui tutto sarebbe svanito, eccetto loro due.
Arthur la sollevò per poi adagiarla sul letto. Artemisia si aprì come i petali di un fiore e Arthur le prese l’anima per donarle allo stesso tempo la sua. Artemisia era sua e lo sarebbe stata sempre. Non contava chi loro fossero, dove e nemmeno perché.
 
Carleon, ancor prima dell’alba, era già in piedi pronto a partire. Stava per passare lungo il corridoio delle stanze, quando incrociò Arthur in camicia, diretto chissà dove. Sembrava arrabbiato.
“Maestà, perdonatemi. Non ne ho avuto il tempo ieri e approfitto di questo incontro per ringraziarla dell’ospitalità e …”
“Abbi cura di Artemisia. Altrimenti dovrai risponderne a me” e detto ciò lo superò e si rincamminò per la sua strada.
Carleon quasi rabbrividì a quella minaccia e a quegli occhi ardenti.
 
La luce dell’alba filtrò attraverso i vetri colorati delle ampie finestre. Arthur vagava per la sala del trono, in attesa. Un sensazione straziante lo divorava: il pensiero di perderla, di non poterla più stringere tra le braccia, di non sentire più il suono della sua voce. La stessa sensazione che gli aveva pervaso l’anima per un attimo quando era stata ferita dalla freccia di Morgana.
Se quello era l’amore, allora poteva affermare di non aver mai amato. Fu come se i pezzi della sua vita si ricomponessero davanti agli occhi per portarlo a quel preciso momento.
Avrebbe voluto tornare indietro per rivivere dieci, cento, mille volte il dono che le aveva fatto di sé; un dono ricambiato. Una sorta di senso di unità, di appartenenza che lei sola aveva acceso.
La vedeva ancora lì davanti a lui, avvolta nel lenzuolo che ne disegnava le forme morbide, i capelli ramati sparsi disordinatamente sul cuscino, la bocca di corallo socchiusa al leggero respiro del sonno, le lunga ciglia a coprire gli occhi d’onice.
Una settimana. Si poteva dare un tempo alle cose? si chiese.
Sentì una lacrima solleticargli la guancia.
 
Merlin raggiunse Artemisia in attesa prima dell’uscita del cortile. Lo guardò sorridendo: “Non potevo andarmene senza averti salutato”.
“Nemmeno io” aggiunse il giovane. Le porse una sacca: “Qui ci sono un po’ di tonici e rimedi che ti ha preparato Gaius, utili per … i prossimi mesi. Ognuno corredato di istruzioni”.
Artemisia raccolse la sacca e l’aggiunse al suo bagaglio: “Ringrazia Gaius, da parte mia” poi gli prese le mani tra le sue “Promettimi che mi scriverai e che presto verrai a trovarmi. Ma soprattutto promettimi che avrai cura di Arthur”.
“Come ho sempre fatto. Te lo prometto Artemisia”.
Si abbracciarono affettuosamente e Artemisia non riuscì a trattenere una lacrima: “Abbi cura di te”.
 
Arthur dalla balconata guardava Artemisia, Carleon di Hir e i soldati della delegazione di Castlesea, montare a cavallo. I cavalli s’incamminarono, creando l’eco nel cortile ancora addormentato con il suono degli zoccoli sulle lastre di pietra.
Artemisia, incappucciata e avvolta nel pesante mantello, alzò gli occhi e incrociò il suo sguardo con quello di Arthur.
Si ricreò quell’attimo in cui solo loro ed i loro pensieri esistevano. E quell’attimo durò fino a quando la giumenta di Artemisia non oltrepassò le porte della città.
Arthur sentì come se qualcosa, dentro, gli si fosse spezzato. Merlin, che aveva raggiunto il suo re sulla balconata, gli poggiò una mano sulla spalla.
“E’ come se qualcuno m’avesse strappato il cuore dal petto e l’avesse gettato via. Con lei, va via anche una parte di me” riuscì a dire.
Merlin pensò a quelle parole come profetiche.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

 
Coccolato e vezzeggiato da Gwen, Arthur alternava momenti tranquilli ma pieni di cose da fare a momenti in cui voleva restare solo con i suoi pensieri.
Gwen era sicura che non fosse totalmente sereno, ma era certa che col tempo avrebbe dimenticato quella ragazza.
“Non è necessario che fai tutto questo per me” disse una sera alla moglie, mentre gli serviva personalmente la cena.
Punta sul vivo, Gwen si girò a guardarlo seria: “Ora che la tua amante non è più qui, mi è tutto più facile. Fammi fare”.
Arthur ebbe un piccolo sussulto: “Amante?”.
“Certo, credevi che non lo sapessi?”.
“Purtroppo ero sicuro che tu lo sapessi” ribattè lui. “Ma non è la mia amante”.
Gwen si sedette con calma: “E cosa sarebbe, allora?” volle sapere.
Arthur vagò con lo sguardo nella stanza senza guardare niente di particolare. Non seppe che rispondere.
“Fino a poco tempo fa dicevi di amarmi. La sera stessa che quella principessa è arrivata qui a Camelot, mi ha detto di quanto eri stato fortunato a sposarti con la donna che amavi”.
“E’ così, Gueneviere” dichiarò il re.
“E allora cosa è cambiato? Alla prima bella ragazza che passa, perdi la testa così?”.  
Arthur continuò a non parlare, rigirando una posata tra le dita.
Gwen intravide la sua difficoltà e decise di rincarare la dose: “Da quando se ne è andata, ringrazio il cielo che quella serpe, quella sgualdrina non sia più qui!”
Arthur, d’impeto, s’alzò dal tavolo strusciando rumorosamente la sedia sul pavimento ed uscì dalla stanza, ancora senza dire una parola.
 
Da quando Artemisia era tornata a Castlesea, le condizioni di re Andrew erano peggiorate. Artemisia si sentiva impotente davanti alle sofferenze del padre; i migliori medici del regno scuotevano la testa visitandolo e non potevano far altro che preparare la principessa, presente notte e giorno al capezzale del padre, al peggio.
In capo ad un mese, re Andrew, re di Castlesea, morì.
La perdita del padre gettò nello sconforto Artemisia e l’intero regno per la morte dell’amato re.
Arrivarono messaggi di cordoglio da tutte le terre di Albion. Arrivò anche un messaggio da Camelot: condoglianze sentite ed ufficiali da parte dei sovrani.
Allegato al messaggio, c’era però una lettera affettuosa di Merlin, in cui scriveva del sincero dispiacere suo, dei cavalieri, ma soprattutto di Arthur.
Quelle parole la rincuorarono e non potè far altro che pensare agli occhi azzurri di Arthur, così presenti e vivi nella sua mente, cercando una sorta di consolazione.
Nei giorni successivi alla morte del re, Artemisia riuscì però a farsi forza: la piccola vita che sentiva crescere nel suo grembo le infondeva sicurezza e volontà di non lasciarsi andare.
 
Come stava? Cosa faceva? Pensava ancora ai momenti passati assieme?
Arthur fu tentato migliaia di volte da quando era partita di scriverle, ma si imponeva di non farlo.
“Non esisteremo più l’uno per l’altra”; avevano deciso questo.
Se le avesse scritto, avrebbe in qualche modo infranto il loro accordo. Da Camelot era partito un solo messaggio, scritto dallo scrivano di corte: una lettera di cordoglio per la morte di re Andrew.
Quando gli era stata portata quella pergamena da firmare e chiudere col sigillo reale, le sue mani furono prese da un leggero tremito: per un lungo momento, aveva strofinato tra pollice ed indice la pergamena. Infine, aveva apposto la sua firma.
Pensò che quel foglio avrebbe toccato le dita di Artemisia. Magari bagnate di lacrime per il lutto. Quanto stava soffrendo in quei giorni?
E lui non poteva starle vicino, nè poteva scriverle che il suo unico pensiero, giorno e notte, era lei e per lei, scriverle parole di conforto per infonderle un po’ di coraggio, ora che sarebbe stata incoronata regina.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla stringere tra le braccia ancora una volta.
 
La corte di Castlesea era in fermento: il periodo di lutto era terminato e il giorno successivo, la principessa Artemisia sarebbe stata incoronata regina.
La sera prima, Carleon di Hir si presentò nelle stanze di Artemisia.
La trovò seduta sulla sedia a dondolo che era stata di suo nonno prima e di suo padre poi; la stessa sedia sulla quale sua madre la cullava da bambina. La sua figura sembrava affondare nella grande struttura di legno rivolta verso la finestra a rimirare il mare.
Carleon si addolorò a vederla così: la ragazza spavalda e coraggiosa sembrava diventata improvvisamente debole sotto il peso della perdita del padre e delle enormi responsabilità che l’attendevano. Eppure una sorta di serenità e consapevolezza aleggiava nei suoi occhi neri.
“Carleon, siedi con me” l’accolse la principessa indicando una panca di fronte a lei.
Il cavaliere si sedette, la sua imponente mole curva sotto lo sguardo di Artemisia.
“Come procedono i preparativi?”.
“E’ già tutto pronto. La corte e la città non vedono l’ora di acclamare la loro regina” dichiarò sorridendo.
“Bene” commentò lei.
Lo guardava intensamente, come se lo stesse valutando.
Carleon la trovò bellissima, anche con la semplicissima veste nera a lutto che indossava.
Poi, Artemisia si allungò sulla sedia e prese le mani del cavaliere tra le sue, così piccole rispetto a quelle, senza spostare gli occhi: “Carleon, tu sei la persona migliore di questo mondo: mi sei stato sempre vicino e trovarti costantemente al mio fianco in questi giorni difficili mi è stato di profondo conforto”.
“Conosci il legame che mi univa a tuo padre, così come sai quanto tengo a te” disse Carleon con voce calda, stringendole le mani tra le sue.
“Lo so: ed è per questo che ti chiedo di perdonarmi” sospirò Artemisia.
Gli raccontò tutto: dei giochi dell’infanzia e dell’amore di una ragazzina. Una ragazzina che, diventata donna, ha amato il suo amore di ragazza diventato uomo, ricambiata. Un amore impossibile, un amore che è stato messo a tacere, che è stato nascosto e messo da parte a causa di ciò che loro erano.
Un amore che si è poi trasformato in una nuova vita, pulsante ed energica, nuova linfa vitale dentro le vene.
Carleon ascoltò prima paziente, poi con stupore ed infine indignazione le parole della sua principessa: “Arthur Pendradon” sibilò tra i denti.
“Ti prego, Carleon, lui non sa niente”.
”Cosa?” urlò quasi il cavaliere.
“E non deve sapere niente. Ragiona a mente fredda e pensa alle conseguenze”rispose Artemisia con voce severa.
Carleon si alzò di scatto dalla panca reprimendo l’insopprimibile voglia di prendere un cavallo, andare a Camelot e infilzare Arthur, fino a vederlo morire soffocato nel suo stesso sangue.
Rabbia e gelosia nei confronti di quel giovane re che aveva approfittato di Artemisia e che non doveva nemmeno conoscere le conseguenze della sua scempiaggine.
Appoggiato alla spalliera della panca, strinse le mani attorno al legno liscio e si sostenne per calmarsi.
Artemisia si alzò e gli posò una mano sulla spalla: “Ti avevo detto che avrei pensato alla tua proposta di matrimonio. E’ per questo che ti chiedo perdono. Perdono del mio egoismo; di aver pensato, anche solo per un momento, che sposando te avrei potuto nascondere tutto, giustificando quindi la nascita di un figlio. Ma soprattutto perdonami se non ti amo così come tu vorresti”.
Carleon si calmò del tutto, prendendo dei grossi respiri col naso. Si girò a guardarla dopo qualche attimo di silenzio, con occhi rassegnati: “Non hai niente da farti perdonare. Non sei stata egoista” si umettò le labbra “Ma sii egoista ora. Sposami ugualmente così che io possa prendermi cura di te e crescere questo figlio come se fosse mio”.
Artemisia allungò la mano per fargli una carezza e lo guardo con profondo affetto: “No, Carleon. Sarebbe impulsivo e mi chiederesti di farti del male. Sei la persona più cara che ho, ora che mio padre non c’è più”.
Il cavaliere raccolse la mano della principessa e le pose sopra un bacio: “Cosa posso fare, allora?”
“So di chiederti troppo, ma stammi vicino, Carleon” gli disse.  
 
La grande sala del trono era il capolavoro degli artigiani di Castlesea: piastrelle e mosaici nei toni del bianco, del verde marino e del blu cobalto coprivano le pareti e l’alto soffitto, mentre tessere in pasta di vetro lucido e madreperle rivestivano le sottili colonne che dividevano la sale in tre parti, dando così l’impressione al visitatore di immergersi nel mare che bagna le coste del regno.
Per la cerimonia di investitura, la sala era stata allestita con grandi drappi blu ed argento col simbolo del regno e fiori di ogni foggia e colore: primule rosa, crochi gialli, anemoni lilla, fresie bianche, tulipani arancioni, garofani screziati, rose rosse.
In quello scenario, sembravano tanti pesciolini colorati che fluttuavano tra i nobili del regno e le dame ingioiellate che affollavano l’ampio spazio.
Artemisia entrò dalle grandi porte di legno e percorse la sala: vestiva un semplice abito ricamato color grigio perla, sul quale aveva indossato una casacca drappeggiata a strascico di colore nero: nonostante le insistenze delle persone che servivano a corte, non aveva voluto lasciare del tutto il lutto, a testimonianza del dolore della perdita di re Andrew che non l’avrebbe lasciata nemmeno, e soprattutto, in quella occasione.
Per chi assistette, però, quella casacca nera era un presagio funesto, un’ombra oscura in tutto quel colore.
La corona in oro, madreperla, corallo e pietre preziose che fu di sua madre era posata su un cuscino di porpora, tra le mani del maestro di cerimonia.
Seduta sul trono dei suoi avi, Artemisia venne incoronata regina di Castlesea tra le ovazioni del popolo.
 
Erano passate settimane e settimane e Morgana non riusciva a darsi pace. La spia le inviava messaggi cifrati in giorni precisi e lei li leggeva carica di apprensione e astio.
Nessuna notizia ufficiale, né una voce di corridoio. Nessun cambiamento fisico evidente.
Anzi, a quanto pareva, negli ultimi tempi, i sovrani di Camelot non sembravano più così uniti ed affiatati quanto in genere apparivano.
Una crisi matrimoniale?
Morgana schioccò la lingua: “Nauseante”, sbuffò infastidita.
Eppure il suo sogno era stato chiaro, quasi reale: Camelot avrebbe avuto un erede, forse colui che avrebbe unito Albion sotto il regno di una sola persona.
“Albion non sarà abbandonata a sé stessa”.
La voce di Emrys le rimbombava ancora in testa e nelle orecchie, martellante.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

 
“Sono riuscito a tenere segrete solo poche cose ad Arthur, ma in questo caso non ci sono riuscito, per cui ora sa delle nostre lettere. Ma per quanto riguarda le tue condizioni, puoi star certa che non sa niente. Non ficcherebbe mai il naso nella mia corrispondenza privata però mi chiede continuamente tue notizie, ogni qual volta arriva il corriere. Per quanto si sforzi di appianare la situazione con Gwen e cerchi di nascondere ciò che in realtà prova, credo che soffra intimamente il non poterti rivedere. Smuoverebbe i cieli per riabbracciarti.”
 
“Grazie di cuore Merlin, sappi che le tue lettere mi sono di profondo conforto e compagnia. Mi rendo conto di quanto sia gravoso per te e Gaius non far trapelare notizie. E’ già cosa difficile qui per me nascondere qualcosa che, col tempo, diventa sempre più evidente. Puoi dire ad Arthur semplicemente questa verità: che sto bene e la vita trascorre tranquilla a Castlesea. Ma, per favore, non dirgli che ogni mio pensiero, ogni mio gesto, ogni mio respiro è per lui. Io ed Arthur ci siamo scambiati una promessa; il cielo non voglia che uno di noi due cedi. Ti supplico: stagli sempre vicino.”  
 
La corrispondenza tra Merlin e Artemisia era fitta e continua: la regina di Castlesea attendeva con ansia ogni missiva e quando una di queste arrivava, la leggeva avidamente per poi rispondere subito. Così venne a sapere della trappola di Morgana e della morte di Elyan; ripensò al giovane cavaliere e al suo sorriso luminoso e pianse per lui.
Fece scrivere un messaggio di cordoglio a Gwen per la perdita del caro fratello, sperando che accettasse il suo sincero dispiacere.
Intanto, per conto suo, aveva diradato sempre più le uscite e le visite ufficiali. Riuscì a nascondere la sua condizione con dei vestiti larghi; poi, quando la gravidanza cominciò ad essere sempre più evidente, interruppe quasi del tutto i rapporti con l’esterno.
Aveva deciso di far divulgare la notizia di un prolungamento del lutto di re Andrew fino all’inizio dell’autunno, cioè fino alla nascita del bambino.
Solo Carleon di Hir, la sua nutrice, il cerusico di corte e pochi servi fidati avevano accesso alla sua presenza.
Nonostante ciò, lavorava continuamente, affidando le incombenze pratiche a Carleon.
Il bambino cresceva e scalciava, sentirlo muovere era una gioia per lei. Quando si sentiva troppo stanca e sola, si sedeva sulla grande sedia a dondolo a guardare il mare tingersi delle tonalità del cielo d’inizio estate e fantasticava. Immaginava Arthur accanto a lei, le mani sulle sue e poi sul suo ventre, ad accarezzare il loro bambino.
Oppure pensava a quella notte a Tintagel. Cosa avrebbe dato per tornare a rivivere quella notte, a stringersi ancora ad Arthur, a sentire ancora i suoi occhi addosso e i loro cuori fondersi in un solo battito!
Si rifugiava in quei pensieri fino a quando, una volta aperti gli occhi, si rendeva conto che la realtà era ben diversa.
Le cose erano diverse e sarebbero state diverse negli anni a venire. Avrebbe difeso suo figlio con le unghie e con i denti da ogni pericolo, come una leonessa coi suoi cuccioli. Nel suo grembo c’era l’erede al trono di Castlesea: lo avrebbe educato così come aveva fatto suo padre con lei.
Sarebbe diventato un regnante grande quanto il suo amatissimo e rimpianto nonno.
 
“Oggi ha fatto molto caldo. Dovresti riposare” disse Carleon seduto alla scrivania, accanto alla sua regina.
“Non sono stanca. E anche se lo fossi, questo documento è troppo importante per poter essere trascurato”.
Il sole al tramonto, colorava di raggi aranciati la stanza di Artemisia mentre una leggera brezza marina rinfrescava l’aria del torrido pomeriggio di fine estate appena trascorso.
Appoggiata all’ampio schienale della sedia, la regina scorreva con occhi concentrati il documento che aveva fra le mani. La sottile veste di lino azzurro faceva risaltare la carnagione chiara e i lunghi capelli ramati raccolti morbidamente dietro la nuca, lasciando scoperte le braccia e fasciando delicatamente il ventre prominente.
Carleon non poteva fare a meno di guardarla: quanto l’amava?
Più di quanto potesse lui stesso immaginare. Ma lei aveva amato un altro, e lo amava ancora.
La frustrazione e la gelosia che aveva provato per ciò che era successo, erano stati sostituiti da un profondo senso di protezione nei confronti di Artemisia e del suo bambino. Non avrebbe potuto mai avere il suo cuore, ma aveva accettato di rimanere accanto a lei, e lo avrebbe fatto per tutta la vita se fosse stato necessario. Anche solo per assaporare momenti come quello, da solo con lei.
Era ciò che si era promesso di fare da ragazzo, quando in una lontana e calda estate, calda come quella, Artemisia era stata sua. Quando la vita era diventata più dolce per i suoi baci. Quando si era illuso di poterla sposare. Ma la vita aveva deciso diversamente.
Magari, per davvero, un giorno sarebbe riuscito a conquistarla…
Carleon sospirò rumorosamente.
“Insisti?” chiese Artemisia alzando gli occhi dal documento. Il generale la guardò con falso disappunto. “Pensala come vuoi, ma non andrò a riposare nemmeno se mi trascini via per i capelli”. “Non provocarmi. Sai bene che potrei benissimo farlo. Mi trattengo solo per il bambino” minacciò  Carleon con un mezzo sorriso.
Un luccichio furbesco attraversò gli occhi d’onice della regina: “Minaccia pure. Ma quando tornerò in forma, sarò in grado di rispondere alle tue minacce verbali con i fatti”.
“Non vedo l’ora” dichiarò ridendo il generale.
Artemisia lo guardò ridere e si rese conto di quanto fosse preoccupato per lei: “Sono davvero una persona pessima. Cosa farei senza di te, Carleon? E io non faccio niente per te” ammise sincera.
Il cavaliere si rilassò sulla sedia: “Siete una grande regina. Restare accanto a voi e potervi servire, mia signora, è la mia ricompensa più grande”.
Artemisia guardò di nuovo il documento che aveva ancora in mano, ricacciando indietro le lacrime che avevano cominciato a pungerle sulle ciglia. Si sentì in colpa per essersi sentita sola. Non lo era affatto: aveva il suo bambino e Carleon. Ma anche Castlesea e il suo popolo.
Poi prese il pennino, lo intinse nell’inchiostro e firmò la pergamena.
“Stavolta te la do vinta. Vado a riposare” disse tirando su col naso e senza sollevare gli occhi. Si alzò ma prima di allontanarsi, posò una mano sulla guancia del cavaliere e gli baciò la tempia.
“Avresti dovuto rispondere:” si schiarì la voce e cercò di emulare il tono imperioso del cavaliere “senza di me non siete nient’altro che una ragazzina cocciuta!”
Carleon rise di gusto alla sua imitazione.
“Hai perso un’occasione!” aggiunse poi. E con passo leggero, Artemisia uscì.
La brezza marina portò al naso di Carleon odore di sabbia e mare.
Chiuse gli occhi e rivide Artemisia nuda sotto di lui, i capelli bagnati, la pelle fresca contro la sua.
Un’altra vita.
 
Le cose tra Gwen ed Arthur erano quasi tornate alla normalità. Il re aveva dimostrato quanto ci tenesse a lei quando le era stato vicino per la morte di Elyan e, soprattutto, quando aveva rotto il maleficio di Morgana. Eppure il suo sesto senso la teneva ancora vigile ed attenta.
Un campanello d’allarme sempre teso al minimo segnale e che aveva cominciato a suonare come impazzito nella sua testa dopo aver presieduto quel pomeriggio al consiglio per via dell’attacco a Stawell.    
 
Dopo aver saputo da Mordred la vera identità di Emrys, ora un nuovo senso di profonda soddisfazione aveva pervaso Morgana. Inoltre, il sospetto che le si era insinuato nella mente era stato confermato.
“Bravo il mio fratellino! Darsi all’adulterio! A quanto pare non sei il re integerrimo e leale che fai credere” pensò dopo aver ricevuto il messaggio della spia.
Vista la totale mancanza di notizie importanti da Camelot e lo strano prolungamento del lutto della nuova regina di Castlesea, una strana sensazione l’aveva messa in allerta.
Una sensazione ed un sospetto che si erano rivelati veritieri. In fondo Arthur era figlio di suo padre…
Si sarebbe divertita visto che, a quanto pareva, lo stesso Arthur era ignaro di tutto.
 
Mordred osservò Morgana mentre leggeva il messaggio scritto su di un piccolissimo foglietto portato da un corvo. Notò che non era quello che veniva mandato di solito dalla spia a Camelot.
La strega si girò verso di lui con un ghigno: “Mio caro Mordred, avrai l’occasione di ripagare Arthur con la sua stessa moneta”.
 
Il fresco della sera preannunciava la fine della calda estate per far posto all’arrivo dell’autunno. Artemisia respirò l’aria frizzante che entrava dalla finestra con sollievo, dopo aver sopportato l’afa estiva.
I giorni dell’attesa erano quasi al termine, non mancava molto al parto. Ma la sua mente era occupata anche da altri pensieri. Da una delle ultime missive di Merlin, aveva saputo di ciò che era accaduto con Mordred. Ne fu molto addolorata.
Inoltre aveva appena avuto notizia dell’attacco di Morgana a Stawell. Il presidio era stato raso al suolo: uomini, donne e bambini uccisi, nessuno era stato risparmiato.
La strega, dopo un periodo di apparente calma, era ritornata all’attacco con i suoi sassoni. Per un momento ne fu quasi contenta: in caso di attacco, dopo la nascita del bambino, avrebbe potuto proteggere personalmente i confini e guidare in prima persona l’esercito.
Qualcuno bussò alla porta: “Avanti”.
“Artemisia, è arrivata questa per te. Sembra essere urgente”. Carleon le porse una lettera.
La regina riconobbe la grafia di Merlin; le aveva scritto da poco, cosa era accaduto per mandarle un nuovo messaggio?
Aprì la lettera e si avvicinò alla scrivania, sotto lo sguardo attento di Carleon.
Artemisia lesse rapidamente ciò che era scritto, vacillò e allungò una mano sul tavolo per sostenersi.
Carleon afferrò prontamente le spalle della regina e la guardò preoccupato: “Cosa c’è scritto?”.
Artemisia si appoggiò al cavaliere e deglutì come se non avesse più saliva in bocca: “Dopo quello che è successo a Stawell, Arthur ha deciso di attaccare di sorpresa Morgana e i sassoni nei pressi delle Montagne Bianche, al valico di Camlann. In virtù del trattato tra Camelot e Castlesea, vorrebbe chiederci appoggio militare. Merlin mi ha scritto per avvisarmi che Arthur in persona verrà qui”.      

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

 
Castlesea, 13 anni prima
 
La spiaggia dietro il promontorio della torre vecchia era affollata di persone e la quindicenne Artemisia camminava in lungo e in largo tra di loro, studiando la situazione. La spaventosa tempesta della notte aveva lasciato l’aria umida, il mare sconvolto e il cielo ancora grigio e pieno di nuvole pesanti.
La scogliera che digradava verso il mare era invasa dai detriti e dai relitti di ciò che era stata una nave.
La giovane principessa si rivolse ad un vicino soldato: “Dobbiamo allestire un ospedale da campo dove soccorrere i feriti. I più gravi li porteremo al castello. Inoltre servono urgentemente acqua e cibo”.
Il giovane si allontanò impartendo ordini.
Un bambino di circa dieci anni tirava per un braccio una bambina più piccola che piangeva disperata.
Artemisia li notò e si avvicinò a loro: “Cosa succede?”.
I bambini la guardarono e non risposero. La principessa si piegò sulle ginocchia: “Siete feriti?”.
Il bambino fece no con la testa, mentre la bambina non la smetteva di piangere.
“Non dovete avere paura, qui siete al sicuro, nessuno vi farà del male” disse loro sorridendo. Artemisia, prese dalla sua borsa a tracolla la borraccia dell’acqua e loro bevvero avidamente. La bambina sembrò calmarsi: “Dov’è la mia mamma?” chiese.
“Se mi dici come si chiama, la cercherò e la porterò da te” disse dolcemente la principessa.
Dopo un paio d’ore una mamma poté riabbracciare sua figlia e riportare l’altro bambino da suo padre, sotto lo sguardo soddisfatto della principessa.
 
                                                                               ***

Dopo aver lasciato il comando dell’esercito a Leon lungo il tragitto verso Camlann, Arthur e Merlin piegarono a sud, in direzione di Castlesea.
L’appoggio militare da parte del regno alleato sarebbe stato fondamentale quanto il suo intervento in prima persona nella richiesta, secondo quando era stato stabilito nel trattato. Avrebbe potuto mandare una delegazione, certo.
Era il desiderio pressante di infrangere la promessa che si erano fatti, a spingere Arthur ad andare a Castlesea. Non poteva resistere oltre.
Arthur pensò che era un po’ come a Tintagel o in tutte le altre battaglie combattute durante quella logorante guerra: a Camlann potrebbe morire.
Ma prima di lasciare il mondo, voleva rivedere Artemisia, riabbracciarla, annusare il suo profumo, riempirsi gli occhi del suo sorriso.
Non era riuscito a mantenere la promessa. Arrivato a quel punto, non importava nient’altro.
Accanto ad Arthur, Merlin sperava che il suo messaggio fosse arrivato per tempo ad Artemisia e pensò a cosa aspettava il suo re, una volta arrivati a destinazione. Prima della partenza, aveva rivelato ad Arthur del messaggio, giustificandosi sul fatto che era meglio che Artemisia fosse a conoscenza del suo arrivo e dei progetti per Camlann.
Camlann… Le sue orecchie non avrebbero mai voluto sentir pronunciare quel luogo.
Sperò che Artemisia gli dicesse la verità: magari avrebbe ritirato l’esercito e deciso di non combattere, perché prestissimo sarebbe diventato padre.
Il destino, la profezia, poteva nuovamente cambiare?
 
I brillanti occhi grigi di Carleon, guardarono freddi il re di Camelot avvicinarsi a cavallo.
S’accorse che stringeva i denti e tormentava con l’unghia del pollice l’elsa lavorata della spada che portava allacciata alla cintura al fianco destro.
La voglia di mozzare la testa ad Arthur Pendragon non gli era affatto passata e ora che se lo trovava di fronte era più forte che mai.
“Benvenuto Maestà. Siamo stati informati della sua venuta. La stavamo aspettando” disse in modo formale.
“Grazie per l’accoglienza, Carleon di Hir. Dov’è la regina Artemisia?” chiese Arthur, cercando di reprimere l’impazienza.
“La regina vi attende. Seguitemi” disse scuro in volto il generale e si girò per entrare a palazzo.
Gli occhi di Arthur tradirono un moto di preoccupazione: “Cosa succede? La regina sta bene?”.
“Si, sta bene” rispose laconico Carleon senza guardarlo e il tono gelido con cui aveva parlato non permise ad Arthur di chiedere altro.
Il cavaliere proseguì lungo il corridoio del palazzo, seguito da un Arthur preoccupato e da un Merlin impassibile. Arrivati davanti ad una grande porta di vetro intarsiato, Carleon si fermò, aprì la porta e guardò Arthur con voltò imperturbabile.
Arthur non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Entrò accigliato, mentre Carleon richiudeva la porta dietro di lui.
Merlin, rimasto fuori, guardò il cavaliere che si congedò con un cenno del capo.
Era arrivato il momento.
 
La stanza era grande e luminosa, con al centro un grande tavolo pieno di documenti, fogli e rotoli sparsi in modo disordinato. A sinistra, una porta divideva lo studio dalla stanza da letto. A destra una grande finestra dava su di una loggia rivolta verso il mare. Di fronte alla finestra semichiusa, una grande sedia a dondolo di legno lucido e scuro, era rivolta al panorama.
Artemisia era seduta lì: si intravedevano solo le mani strette ai braccioli e i piedi coperti dall’orlo di un vestito blu scuro.
Arthur, con un groppo in gola, fece un paio di passi verso la sedia.
“Non avvicinarti” disse Artemisia.
Il giovane re si bloccò perplesso: “Artemisia, ma cosa succede? Sei malata?”.
“No, non sono malata, Arthur” rispose in tono pacato la regina. 
“Se è per l’accordo che c’era tra noi, lo so bene che non era necessario che venissi personalmente….”.
“Sono già stata informata al riguardo. Il contingente sarà pronto per domani mattina all’alba per congiungersi ai tuoi. Carleon lo guiderà” lo interruppe Artemisia.
“Bene” rispose Arthur, mentre la paura di non essere stato perdonato da Artemisia a causa della sua venuta cominciava ad artigliargli lo stomaco.
Fece un altro passo in avanti: “Ti prego, Arthur. Non fare un altro passo di più”.
“Ma mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?” chiese spazientito.
“Arthur, devo farti una domanda. Ciò che provavi per me è mutato in questi mesi?” chiese tutto in un fiato Artemisia.
Arthur fece un sospiro: “Si, è cambiato”.
Nonostante fosse seduta, Artemisia si sentì mancare.
Ma Arthur continuò: “E’ cambiato perché è ancora più forte. Lontano da te ho compreso che l’amore che provavo era solo una minima parte di ciò che provo ora. Oggi meno di quanto sarà domani e il giorno dopo ancora. Sono stato ai patti, ragionevolmente. Lontano da te, per un po’ mi sono illuso di poterti dimenticare o almeno di riuscire a non pensarti più. Mi sbagliavo”.
Artemisia strinse gli occhi forte per l’emozione. Avrebbe voluto alzarsi e abbracciarlo, ma si trattenne.
“E’ giunto il momento che tu sappia, Arthur. Ti ho tenuto nascosta una cosa, così come l’ho nascosta a tutti”.
Arthur notò che le mani di Artemisia stavano stringendo così forte il legno della sedia che non si sarebbe meravigliato nel vederlo rompersi.  
“Di cosa stai parlando?” chiese senza nascondere l’inquietudine nel suo tono di voce.
Artemisia prese fiato e parlò: “Il giorno del trattato di Camelot, ho scoperto di essere in attesa di un figlio”.
Dalla finestra semichiusa, entrò il rumore delle onde del mare e il richiamo di due gabbiani in volo.
Arthur non riuscì a pensare a cosa dire e a cosa fare. Gli mancò il fiato come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco da un avversario invisibile.
Avvertiva solo la lingua secca contro il palato.
Increspò le labbra, appoggiò le mani ai fianchi e abbassò la testa. Poi la rialzò: “Non.. Non è…” riuscì a balbettare.
“Ti prego di non mettere in dubbio la mia parola. Sei l’unico uomo con cui sono stata” rispose in tono deciso la regina.
Arthur si passò una mano sul viso: “Scusa, ma… Perché non me lo hai detto? Io… Santo Cielo, Artemisia! Perché? E perché non vuoi che mi avvicini a te?”.
Artemisia si fece coraggio, si alzò in piedi e si girò a guardarlo. Era più bella di quanto ricordasse. Poi i suoi occhi furono spinti in giù, verso il suo ventre prominente. La regina notò il cambiamento di espressione di Arthur: gli occhi stupiti e sconvolti si addolcirono.
Il giovane aprì la bocca per parlare senza staccare gli occhi dal grembo della regina, ma Artemisia lo anticipò: “Non te l’ho detto perché… Ti rendi conto di cosa sarebbe accaduto? Ho cercato di ragionare a mente fredda, ho pensato che fosse l’unica cosa da fare. Non avevo altra scelta. Non pretendo che tu capisca, né voglio per forza di cose il tuo perdono. E se non mi vorrai perdonare, lo capirò. Ma ciò non cambia la sostanza dei fatti”.
Arthur riuscì a guardarla negli occhi, gli stessi che gli avevano fatto compagnia nei suoi sogni durante le lunghe notti distanti da lei.
“Hai sbagliato” riuscì a dire.
“Non sempre ciò che si ritiene giusto per sè è ugualmente giusto per gli altri. Ma ti amo Arthur. Ti ho sempre amato e ti amerò fino a quando avrò respiro” rispose Artemisia.
“Hai portato da sola sulle spalle un così grande peso” cominciò a dire Arthur avvicinandosi.
“Sola? Da quando ti ho lasciato non lo sono mai stata” rispose Artemisia abbassando lo sguardo e accarezzandosi il grembo.
Ormai di fronte a lei, Arthur allungò la mano sul suo grembo. Quel tocco e il calore che emanava gli diedero una scossa di energia.
Artemisia lo guardò sorridendo. Quante volte aveva immaginato quella scena? E ora che accadeva non le sembrava possibile.
“Non ti perdonerò mai” disse Arthur serio senza togliere la mano.
“Lo accetto” rispose lei.
Si presero per mano intrecciando le dita, per sempre o per poche ore.
 
La luna e le nuvole scure che la circondavano creavano migliaia di luccichii che comparivano e scomparivano sulle onde increspate del mare.
Tre uomini incappucciati, acquattati al muro sul limitare della scogliera, notarono le due sentinelle a guardia dell’ingresso ovest a pochi passi l’uno dall’altra.
Uno dei tre si espose, tese l’arco e scagliò la sua freccia. La guardia si accasciò a terra con un tonfo. L’altra sentinella non fece a tempo a girarsi verso il compagno che un incappucciato gli tagliò la gola emettendo come unico suono un sinistro gorgoglio di sangue.
Entrarono nel palazzo e quello che doveva essere il capo fece un segno agli altri due.
Quelli, con un cenno della testa, ubbidirono e s’inoltrarono nel corridoio, mentre l’altro salì silenzioso su per le scale, verso le stanze della regina.
 
Il suono delle campane d’allarme squarciò il silenzio notturno. Arthur si alzò di scatto dal letto dove si era addormentato serenamente accanto ad Artemisia.
“Cosa può essere?” chiese preoccupata la regina.
Arthur raccolse la sua spada: “Vado a controllare. Tu non muoverti da qua”.
Uscì di scorsa andando a sbattere contro Merlin: “Merlin io vado a vedere cosa succede, tu rimani con Artemisia. Non lasciarla da sola neanche per un secondo”.
“Va bene” rispose ed entrò nella stanza della regina.
Il re di Camelot percorse il corridoio fino a che non sentì dei forti schiamazzi. Qualcuno stava combattendo. Si diresse di corsa verso quei rumori.
Carleon di Hir stava combattendo contro due uomini incappucciati. Arthur non ci pensò due volte e si gettò nella mischia.
Con un colpo diretto, Carleon trafisse uno dei due nemici al fianco ma stava a sua volta per essere colpito alla schiena dall’altro. Arthur si girò per difenderlo e squarciò di netto il ventre dell’incappucciato.
Carleon riprese fiato appoggiando una mano al muro e a denti stretti dovette riconoscere l’intervento provvidenziale di Arthur: “Grazie, Maestà”.
“Da dove sono entrati?”
“Molto probabilmente dall’ingresso ovest. Una guardia di ronda ha trovato assassinate le due sentinelle che sorvegliavano la porta e ha dato l’allarme. Quando ho sentito le campane me li sono travati praticamente davanti alla porta della mia stanza, sire” spiegò il generale.
“Dalle armature sembrano sassoni” osservò Arthur.
Una guardia con le insegne di Castlesea arrivò trafelato e vide i cadaveri a terra. Carleon si alzò per tutta la sua mole aggrottando la fronte arrabbiato: “Domani tu e gli altri farete i conti con me”. “Generale, un servo ha visto i nemici entrare dall’ingresso ovest, ma ha parlato di tre uomini” disse il giovane soldato senza distogliere gli occhi dai corpi senza vita.
Carleon e Arthur si girarono a guardarsi. Pensarono entrambi alla stessa cosa.
Senza perdere tempo, s’infilarono lungo il corridoio che portava alle stanze di
Artemisia.
 
Artemisia si era alzata e aveva tirato fuori il suo pugnale dal nascondiglio tra le piume e la lana del materasso del suo letto. Si girò di scatto e lo puntò contro Merlin che entrava in quel momento nella sua stanza.
“Sono io!” s’affrettò a dire il giovane stregone alzando le mani preoccupato.
“Lo so, ma sappi che è quello che ti aspetta se ti ostini ad entrare senza bussare” rispose la regina con un lampo divertito negli occhi.
“Stavolta sto ubbidendo ad un ordine di Arthur” spiegò Merlin sorridendo.
La porta della stanza si spalancò d’improvviso e un guerriero incappucciato e dal volto coperto irruppe nella stanza brandendo una spada.
Mordred non s’aspettava di trovare lì Merlin: per reazione lo scaraventò contro il muro con la magia. Il giovane preso di sorpresa, sbattè la schiena e la testa duramente, perdendo i sensi.
Artemisia osservò impotente Merlin a terra, ma si fece coraggio e puntò il pugnale contro il nemico. “Un druido! Ti manda Morgana, vero?” disse la regina.
Mordred la guardò e ammirò il suo coraggio, ma fece ciò che si era prefissato di fare.
Lui voleva Arthur: uccidere a sangue freddo una donna indifesa e per giunta in attesa di un bambino l’avrebbe reso più meschino di quanto non fosse stato lo stesso re di Camelot condannando a morte la sua Kara. Inoltre non aveva niente contro Artemisia, anzi.
Ricordò di quando una giovane e nobile fanciulla si era prodigata a portare soccorso a lui e ai druidi che erano naufragati sulle coste di Castlesea.
Più tardi aveva saputo che quella ragazza era Artemisia, la principessa di quel regno.
Fin dall’inizio aveva deciso di andare contro il volere di Morgana. Incutere terrore nel cuore di Arthur, facendogli credere di avere il potere di distruggere ciò che amava quando meno se lo sarebbe aspettato, per ora era sufficiente.
Poi, la sua vendetta sarebbe arrivata. Doveva solo pazientare.  
Guardò ancora la regina, rinfoderò la spada e scappò via.
Artemisia, rimasta col braccio a mezz’aria, non capì. E poi quegli occhi azzurri che si erano intravisti le erano così familiari…
Un dolore atroce le attraversò il ventre, si piegò sulle ginocchia e strinse i denti con forza.
Merlin, ancora stordito, si guardò attorno cercando di focalizzare dove si trovava. Vide Artemisia a terra dolorante e la soccorse: “ Artemisia! Sei ferita?”.
“Non sono ferita, non mi ha fatto niente” rispose affannata.
“Ma cos…”.
 La regina afferrò con forza il braccio del ragazzo in ginocchio accanto a lei: “Merlin, credo che il bambino stia per nascere”.  

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV

 
Merlin aiutò Artemisia ad alzarsi e poi a sedere sul letto.
“Adesso chiamo il medico, poi…” disse il giovane preso dal panico.
“Aspetta Merlin” disse la regina. “Prima che arrivino tutti, ho bisogno che tu mi faccia una promessa”.
Il ragazzo la guardò che respirava a fatica, mentre piccole gocce di sudore cominciavano ad imperlarle la fronte: “Ma certo, mia signora”.
Artemisia lo prese per mano: “Il guerriero che è venuto qua era un druido. Non so per quale motivo non mi abbia ucciso, ma non importa. Forse voleva solo spaventarmi e ci è riuscito benissimo. Vuol dire che Morgana sa di me, di Arthur e del bambino. A questo punto sono sicura che mio figlio è in pericolo. Una volta nato, nel caso dovesse accadermi qualcosa…“.
“No, Artemisia, non devi..”
La regina lo interruppe umettandosi le labbra: “Lasciami parlare, Merlin, ti prego. Il bambino sta nascendo in anticipo e non è un evento positivo. Nel caso dovesse accadermi qualcosa, prendi mio figlio e portalo in luogo sicuro, nascondilo a Morgana. Nascondilo anche a Carleon e ad Arthur, se è necessario. Quando sarà il momento e sarà abbastanza grande, lo riporterai a Castlesea. Ho già provveduto a tutto, molto tempo fa, nel caso ci fosse stato bisogno”.
Merlin la guardava indeciso, mentre la mano di lei sul suo braccio stringeva forte la sua giacca.
“Promettimelo, Merlin. Promettimi che salverai la mia piccola Sybil”.
Gli occhi di Artemisia brillavano di decisione e dolore. A Merlin si strinse il cuore.
“Sy… Sybil?” balbettò Merlin.
La regina, affaticata, si passò una mano sul viso: “Si. E’ da un po’ che ho la sensazione che sia una femmina” rispose Artemisia sorridendo a fatica.
Albion non sarà abbandonata a se stessa.
L’eco delle sue stesse parole ascoltate durante la terribile visione della morte di Arthur, cominciarono a risuonargli nella mente.
Merlin si inginocchiò davanti al letto: “Ve lo giuro sulla mia vita, mia signora”.
 
Arthur e Carleon erano ormai fuori dalla porta delle stanze reali quando sentirono Artemisia urlare. Merlin si precipitò fuori, sbattè il naso contro i due e quasi non cadde.
Arthur lo afferrò per le spalle, ma il giovane lo anticipò: “Bisogna chiamare il medico! Il bambino sta per nascere!”
 
Il medico di corte, la nutrice e alcune serve erano dentro la camera da letto della regina già da un po’. Il borbottio tranquillo del medico e l’incoraggiamento materno della nutrice, si alternavano ai gemiti di dolore di Artemisia, attutiti dalla porta chiusa.
Merlin osservava Arthur pallido e sudato con la bocca serrata, appoggiato al muro, mentre Carleon di Hir percorreva avanti e indietro a grandi passi la stanza con al centro lo scrittoio.
Il giovane generale poi si fermò a braccia incrociate, respirando profondamente, dopo aver sentito un gemito più forte della regina.
“L’ami, vero?” chiese una voce.
Carleon si girò in direzione di quella domanda: “Più di quanto tu creda, Arthur Pendragon” rispose rauco il cavaliere.
“Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto per lei in questo periodo così difficile. Artemisia mi ha raccontato. Non posso nemmeno immaginare quanto sia stato complicato per te starle vicino nonostante ciò che provi e …”.
“E allora non dire altro” lo interruppe Carleon duramente, rivolgendo nuovamente gli occhi alla porta chiusa.
Arthur non se la prese per il tono irrispettoso che aveva usato nei suoi confronti, anzi, il suo tono divenne ancora più sommesso: “Sappi che ti invidio profondamente perché le sei rimasto accanto quando io, invece, ne sono rimasto escluso.” continuò.
Si scambiarono uno sguardo senza dire altro.
Merlin notò che dalla porta non proveniva alcun suono o voce. Anche Carleon e Arthur lo notarono e tesero le orecchie.
Ad un tratto, il vagito disperato e squillante di un bambino che veniva al mondo e faceva il suo primo respiro echeggiò tra le mura.
I tre uomini si scambiarono sorrisi e sospiri di sollievo. Sentivano ancora il vocio concitato delle persone nella stanza e il pianto del bambino che andava calmandosi.
Il medico uscì fuori improvvisamente con una serva: “Deve essere ghiacciata l’acqua, hai capito? E non dimenticare l’aceto. Fa presto!” ordinò e la ragazza si allontanò di corsa.
“Cosa succede?” chiese Carleon, scuro in volto.
“Generale, Maestà. E’ una femmina: sta bene, è forte e sana”.
Merlin, alle spalle di Arthur, sorrise: Artemisia aveva avuto la sensazione giusta.
Il medico continuò con aria preoccupata: “Ma il parto si è anticipato di qualche settimana ed è stato molto difficile per la regina, perché non era ancora pronta e quindi ha sofferto molto. Stiamo tentando di fermare una forte emorragia”. 
 
L’alba aveva lasciato il posto ad un sole mattutino ancora caldo, nonostante l’entrata dell’autunno. Erano passate ore e nessuna notizia positiva era stata data.
Arthur, Carleon e Merlin erano ancora in attesa.
Il medico uscì fuori e i tre gli si avvicinarono per ascoltarlo: “Abbiamo tamponato l’emorragia, ma la regina è molto debole. Ha chiesto di parlare col generale. Vi prego di non affaticarla troppo, mio signore”.
Arthur incassò quelle parole come se fosse stato colpito in pieno viso. Artemisia forse stava morendo e lei chiedeva di Carleon!
Si morse il labbro fino a che non sentì male.
 
Carleon di Hir entrò nella stanza silenziosamente.
Le finestre erano aperte, facendo entrare l’aria tiepida. Il profumo fresco del mare si mescolava a quello dolce delle rose e a quello pungente dell’aceto di mele.
Artemisia giaceva immobile nel letto; era pallida e due occhiaie scure erano comparse sotto gli occhi.
A vederla così, Carleon avvertì una fitta al petto. Si avvicinò e si affacciò nella piccola culla accanto al letto: una bambina dalle guance rosee e paffute dormiva serenamente. Sorrise quella vista.
La regina aprì gli occhi: quando lo vide sorrise e allungò la mano verso di lui.
Carleon raccolse quella mano e la baciò sedendosi sul ciglio del letto. “Artemisia, io… “.
“Ascoltami, mio caro Carleon. Dirti quanto io tenga a te e quanto ti sia riconoscente sarebbe troppo lungo e non ne ho la forza. Quando guardo al passato, tu sei sempre lì con me. Perché tu ci sei sempre stato. Il compagno di una vita. Se avessi dovuto per forza di cose sposare qualcuno, avrei sposato solo te e nessun altro” disse sorridendo. “La vita si è presa gioco di noi” aggiunse poi, con amarezza.
Carleon non trattenne le lacrime. Artemisia gli lasciò la mano per asciugargli le lacrime sul volto con le dita.
“Ma non avrei avuto il tuo amore” dichiarò lui, avvertendo il tocco leggero di quelle dita sul viso.
“Ti sbagli, Carleon. Tu hai sempre avuto il mio amore. Sin da quando eravamo dei ragazzini E’ il destino che ha deciso diversamente, che ha guidato le nostre vite, le nostre scelte e i nostri sentimenti verso percorsi diversi.”
“Non sai che avrei dato per un tuo si…. E se te lo chiedessi ora?” chiese il cavaliere, tirando su col naso.
“Chiedimelo” lo incoraggiò lei.  
“Vuoi sposarmi Artemisia?”
“Si, Carleon”.
Il generale, preso dal momento, fece ciò che per rispetto, educazione ed imbarazzo non aveva mai osato fare in quegli anni, ma che aveva sempre sognato di fare: la baciò sulla bocca.
Incontrò con le sue quelle stesse labbra calde e morbide che aveva baciato, bagnate di acqua di mare, molto tempo prima.
Poi si strinse forte a lei e s’accorse di quanto fosse fragile e debole.
“Devo impartirti un ultimo ordine” mormorò la regina, il respiro appena affannato che faceva il solletico all’orecchio di Carleon.
Alzò il viso per guardarlo negli occhi: “Tu sai dove si trovano l’anello e il sigillo reale. Appena tornata da Camelot, mesi fa, ho redatto un documento in cui affido a te la reggenza del regno di Castlesea, fino alla maggiore età dell’erede al trono, nel caso mi fosse accaduto qualcosa”.
Carleon la guardò prima sorpreso e poi severo, aggrottando la fronte: “Non posso farlo, Artemisia. E non sarà nemmeno necessario, perché tu starai bene e…”.
Ma Artemisia lo interruppe: “E’ un ordine della tua regina, Carleon. E se non vuoi che te lo ordini, giurami che eseguirai le mie volontà. Sei l’unico di cui mi fidi totalmente e l’unico a cui potrei lasciare Castlesea. Il documento è stato firmato in presenza di testimoni ed è inconfutabile. Nel frattempo, la mia Sybil verrà portata in un posto sicuro, fino a quando ogni pericolo che incombe su di lei non sarà cessato”.
Gli occhi brillanti e ardenti di Artemisia, non permisero a Carleon di rifiutare.
 
Carleon uscì dalla stanza della regina senza guardare chi o cosa avesse di fronte. Arthur s’era alzato di scatto e mentre gli si stava avvicinando, Carleon disse: “La mia regina vuole vedervi, Maestà”.
Arthur fece un cenno a Merlin ed entrò.
Artemisia, vedendo Arthur entrare, tentò a fatica di sollevarsi, senza riuscirci. Arthur allora la prese subito tra le braccia per sollevarla e stringerla a sè: ”Non devi affaticarti”.
“Volevo presentarti tua figlia Sybil” rispose con affanno la regina.
Arthur guardò allora la bimba dormire nella culla accanto al giaciglio: fu come innamorarsi di nuovo. Una nuova e profonda emozione lo pervase. Quel senso di appartenenza che Artemisia gli aveva trasmesso col suo amore, ora era racchiuso in quella creatura così piccola.
“Sybil” ripetè Arthur, assaporando il suono che produceva quel nome sulle labbra. ”Sybil” ripetè “E’ la cosa più bella che abbia mai visto” dichiarò con le lacrime agli occhi.
Artemisia si strinse ancora a lui con l’ultimo briciolo di energia che le era rimasto.
“La proteggerò da tutto e da tutti. A Camlann distruggerò Morgana, per amore di Camelot e per amore suo. E poi tornerò da voi. Siete voi ora il mio mondo, la mia vita” dichiarò Arthur guardando negli occhi Artemisia.
La regina gli prese il volto fra le mani: “Lei sarà al sicuro, mentre tu combatterai. Ma tu vivi, per me e per lei”.
Arthur la baciò e la strinse ancora, come se, lasciandola, potesse andare via da un momento all’altro.
“Arthur, io non credo di….” sussurrò Artemisia.
Arthur s’accorse che quel corpo che stringeva tra le braccia aveva cominciato a tremare e a lui sembrò di soffocare.
“Riposati, amore mio, così che quando starai meglio, potremmo portare Sybil a Camelot, e poi sulla spiaggia di Castlesea e….” un singhiozzo gli squassò il petto e non gli permise di continuare a parlare.
Artemisia non rispose; Arthur ascoltava solo il respiro affannoso di lei sul suo collo.
“Quando sei nelle mie braccia, il mondo non mi preoccupa più” riuscì poi a dire il giovane re.
“E lì mi troverai per sempre, finchè le stelle non cadranno dai cieli” gli rispose la regina in un soffio.
Non si rese conto per quanto tempo la tenne stretta a sé. Si riscosse solo quando sentì Sybil che cominciava a lamentarsi.
Le braccia di Artemisia che prima lo stringevano, ora giacevano inerti sul lenzuolo. La spostò un po’ e la testa che teneva appoggiata sulla spalla cadde all’indietro, senza vita.
Rotto. Spezzato. Il cuore di Arthur si frantumò in una miriade di schegge sanguinanti, come colpito da un dardo di ghiaccio perenne proprio al centro.
Urlò scosso dal pianto, affondando il viso contro quel corpo ancora caldo ma che non respirava più.
Poi, l’appoggiò delicatamente sui cuscini, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
Sorrideva.
 
La porta della stanza della regina si aprì piano: né uscì Arthur, con le spalle curvate da un peso invisibile; quasi zoppicante, si dovette appoggiare allo stipite della porta per rimanere in piedi.
Di fronte a lui, Carleon, gli occhi arrossati, le labbra serrate e i pugni stretti.
Si guardarono e piansero.
 
C’era una battaglia da combattere, una guerra da vincere. Rimanere in quel luogo non avrebbe fatto altro che prolungare la sofferenza.
Decisero cosa fare senza nemmeno scambiarsi troppe ed inutili parole. Sarebbero tornati da lei per onorarla con la vittoria.
Arthur si era rivestito dell’armatura e, col fiato spezzato dal dolore, aveva baciato le manine di sua figlia, che aveva ripreso a dormire tranquilla, cullata dalla vecchia nutrice che singhiozzava.
“Tornerò presto” mormorò il re.
Nel primo pomeriggio, il re di Camelot e Carleon di Hir, col contingente armato di Castlesea, partirono per unirsi all’esercito di Camelot, diretti al passo di Camlann.
Merlin li vide partire dalla finestra dello studio di Artemisia.
Poi si girò a guardare la culla in cui dormiva la piccola Sybil. La nutrice aveva chiesto il suo aiuto per portarla in quella stanza, lontana dalla morte che aveva preso sua madre.
Avrebbe raggiunto Arthur più tardi.
Aveva una promessa da mantenere.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Epilogo

 
Aveva vagato senza meta per un giorno e una notte nei boschi, fino a quando Carleon di Hir non l’aveva trovato addormentato sotto un albero, vinto dalla stanchezza.
Il generale, nonostante si fosse ripulito velocemente, aveva ancora la grossa corazza incrostata dal sangue dei nemici e ammaccata in più punti. Sulla sua tunica bianca, poi, si allargava una macchia scarlatta a causa di una ferita al braccio sinistro, medicata e fasciata alla meno peggio.
Si inginocchiò accanto a lui e con la mano lo scosse leggermente: “Merlin, svegliati!”.
Il giovane stregone aprì gli occhi per incrociare quelli grigi, limpidi e tristi di Carleon.
“Sei ferito, ragazzo?” gli chiese porgendogli la borraccia dell’acqua.
Merlin bevve avidamente e poi riprese fiato, guardandolo: “Io no, ma tu si”.
“Non preoccuparti per me. Ho saputo che eravate diretti ad Avalon, che il re era stato ferito in battaglia e sono partito tre giorni fa per cercarvi. Ad un certo punto ho perso le vostre tracce. Dov’è Arthur?”.
Merlin avvertì nuovamente il dolore pulsare nel petto e il fiato spezzarsi. Si portò una mano al viso mentre un singhiozzo lo fece tremare d’improvviso.
Carleon capì e gli strinse la spalla con una mano, in muto cordoglio.
 
Il generale, seduto accanto a lui, ascoltò il racconto di Merlin senza dire una parola.
Poi si alzò stanco: “E’ ora che ritorni a Castlesea. Devo onorare la mia regina, così come tu hai onorato il tuo re”.
Anche Merlin si alzò in piedi, benchè facesse fatica a controllare le gambe tremanti.
“Sybil è stata affidata a te, vero?” disse ad un tratto Carleon, girandosi a scrutargli gli occhi blu. Merlin annuì.
“Artemisia si fidava di te. Io mi fiderò di te. Quando riterrai opportuno, riporta l’erede a Castlesea, così che il regno abbia nuovamente la regina che si merita. E anche Camelot. La regina Guineviere comprenderà”.
Poi prese una sacca con acqua e provviste e gliela consegnò: “Abbi cura di te e della principessa”. Montò a cavallo, diretto a sud, verso la costa.
 
Ealdor era un’isola felice. Gli eventi dolorosi degli ultimi giorni non avevano nemmeno sfiorato la vita dolce e tranquilla degli abitanti del villaggio.
Riconobbe la casa dal tetto rosso e dalle mura bianche di calce grezzo, uguale al quelle vicine ma familiare in tutto.
Merlin sfiorò la porta di legno e questa si aprì senza fatica, cigolando sui cardini.
Una donna, con le mani bianche di farina, lavorava al tavolo la pasta morbida formando delle pagnotte. Al rumore della porta che si apriva, Hunith si girò e lo vide. Merlin la guardò e non ci fu bisogno di dire niente; gli si avvicinò per abbracciarlo e Merlin sciolse sulla spalla della madre quel pianto liberatorio e disperato che aveva, chissà come, trattenuto.
“Dov’è?” chiese, con gli occhi lucidi e il naso rosso dopo essersi calmato.
“Vieni” disse Hunith sorridendo, quindi lo prese per mano per condurlo nella stanzetta attigua. “Una donna che ha da poco partorito s’è offerta per allattarla. Avresti dovuto vedere come succhiava! Sembrava una piccola lupacchiotta! Poi s’è addormentata subito e l'ho messa nella culla in cui mettevo a dormire te. L’ho fatta sistemare dal falegname del villaggio”.
Merlin e sua madre si affacciarono nella piccola culla di legno chiaro, odorosa di resina nuova.
“Ma guarda un po’! E già sveglia!” esclamò ridendo Hunith.
Benchè avesse portato in braccio la bambina per tutto il tragitto a cavallo fino a Ealdor, solo in quel momento Merlin cominciò ad osservarla meglio.
Il nasino, i piedini, la bocca rossa, un ciuffo di sottilissimi capelli ramati e gli occhietti azzurri.
Il giovane allungò la mano ad accarezzare la rosea pelle della guancia e poi la piccola mano.
Le minuscole dita di Sybil si strinsero attorno all’indice della mano di Merlin.
Possibile che un esserino così piccolo avesse tanta forza?
Albion non sarà abbandonata a se stessa.
Intrappolato in quella piccolissima stretta, Merlin capì che c’era ancora speranza. Il futuro di Albion era racchiuso lì, in quella manina che gli stringeva il dito.
Avrebbe aspettato il ritorno del suo Arthur, il re del passato e del futuro.
Ma nell’attesa avrebbe avuto qualcuno di cui occuparsi.
 
Fine
 
N.d.A. Innanzitutto, ringrazio quanti hanno letto e recensito, e anche quanti leggeranno in futuro quello che io ho definito “un simpatico delirio”. Ringrazio, in special modo, il mio Niko, mia sorella, le ragazze del forum MerlinItalia e del Merlin Italia GDR che hanno seguito questa storia fin dall’inizio e aspettavano con ansia (!!?!) e curiosità ogni nuovo capitolo, riempiendomi di incoraggiamenti e complimenti *_* . Non faccio l’elenco, ma loro sanno a chi faccio riferimento e ringrazio ognuna di loro!
Alcune precisazioni: i luoghi menzionati, sono presi dalle leggende arturiane e usati da me a solo scopo narrativo. Qualsiasi errore o imprecisione è dovuto solo a me e spero li perdoniate.
Il regno di Castlesea, il re Andrew, Artemisia, Carleon di Hir e Sybil sono, ovviamente, frutto della mia immaginazione.
Per chi me lo ha chiesto: Artemisia si chiama così in onore della pittrice Artemisia Gentileschi, vissuta tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600 e che è la mia artista preferita.
 
Revisionata Settembre 2013

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