Son of the Evil di Keaira Elenath (/viewuser.php?uid=32136)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rained by the Sky ***
Capitolo 2: *** A strange interest ***
Capitolo 3: *** Worries and Duties ***
Capitolo 4: *** The Escape ***
Capitolo 5: *** Who are you? ***
Capitolo 1 *** Rained by the Sky ***
Capitolo Uno – Piovuta dal cielo.
Nolwen
si sentì scivolare e infine iniziò a cadere come
se stesse scendendo lungo un tunnel senza fine e buio.
Stava cadendo nel vuoto ad una velocità impressionante.
Cercò di
concentrarsi e invocare l’aiuto delle sue ali nere, ma
sembrava
quasi che queste non volessero collaborare. In realtà la
discesa
così veloce le impediva di concentrarsi a dovere.
Le sua ali erano
particolari. Spuntavano solo quando era abbastanza concentrata, erano
collegate al sistema nervoso centrale e non era mai stato facile averne
la padronanza.
Infatti Nolwen era stata addestrata sin da piccola a metodi di
concentrazione e meditazione antichi, che l’avevano aiutata
ad
avere il controllo sul suo corpo e sulle sue magnifiche ali oscure.
Ma queste non crebbero dalla
sua schiena, come succedeva di solito. Troppa era la tensione di Nolwen
perché si potesse concentrare.
Mentre cadeva, non riusciva a pensare a niente, solo a quando sarebbe
finito quel tunnel e dove avrebbe portato.
I suoi lunghi capelli neri
volavano tutti verso l’alto, spinti dalla forza del vento che
soffiava a milioni di chilometri a quella velocità.
Ogni tanto girava lo sguardo
verso l’alto, per cercare di capire quanta distanza avesse
potuto
percorrere. Ma era tutto inutile. Ora non si vedeva più
niente
nemmeno in alto. Era tutto buio.
Talmente oscuro che non sembrava di avere gli occhi aperti.
Ad un certo punto un piccolo
spiraglio di luce s’incominciò a intravedere dal
basso.
Finalmente Nolwen poteva vedere la punta dei suoi piedi nudi.
Più cadeva nel vuoto, più si avvicinava a quella
luce bianca, quasi accecante.
Era quasi arrivata vicino
alla fine del tunnel quando iniziò a rendersi conto di dove
stava per ‘precipitare’.
Attraversò la luce
bianca, al contatto tra il suo corpo e la luce, ci fu un bagliore
accecante, che dalla Terra di Mezzo gli uomini videro come fosse un
fulmine a ciel sereno.
I primi che videro questo lampo accecante, furono gli uomini che
scappavano da Osgiliath.
Nolwen cadde dal cielo, come fosse appena uscita da una nuvola e
precipitò con forza sul terreno.
Strano a dirsi, ma non si
fece niente. Si rialzò appena, solo un po’
intontita. Per
il resto era tutta intera, seppure indossasse solo un mezzo vestito
quasi tutto stracciato, nero e sporco. Le gambe e piedi nudi, pieni di
graffi, come le braccia.
E sul suo viso una cicatrice sotto il sopracciglio destro e un labbro
che sanguinava.
Era poco pensando alla caduta che aveva fatto.
Da dove provenisse questa
creatura ancora non si sapeva. Solo qualcuno molto saggio, che avesse
conoscenze sul mondo e sulla sua creazione, avrebbe potuto conoscere la
sua provenienza. Qualcuno come uno stregone.
Ma di questo si parlerà più in la.
Ora Nolwen si trovava
proprio sulla traiettoria su cui si dirigevano, galoppando a cavallo
alla velocità del vento, gli uomini della guardia di Minas
Tirith.
Diretti a tutta velocità, verso Minas Tirith, inseguiti da
orchi e Nazgul.
La cittadella era stata
invasa, ed erano rimasti in pochi a difenderla, gli ultimi
sopravvissuti, il resto di loro erano stati spazzati via come
polvere.
Tra loro c’era il capitano Faramir, rimasto per ultimo
infondo al gruppo di guardie, per difendere i suoi uomini.
La distanza da Osgiliath a
Minas Tirith non era molta. Ma in quel momento sembrava una distanza
enorme e bastava a far si che i Nazgul terminassero lo sterminio delle
guardie di Gondor.
A metà strada,
già un quarto degli uomini era stato abbattuto. Alle spalle
dei
cavalieri, oltre ad esserci i Nazgul, avanzavano minacciose grosse
nuvole nere.
Proprio in quel momento, le
grandi porte di Minas Tirith si aprirono. Un uomo a cavallo
uscì
sfrecciando dalle grandi mura, un cavaliere bianco. Si trattava di
Gandalf. Correva più veloce del vento, in aiuto a quegli
uomini
in bilico tra la vita e la morte.
Improvvisamente, il cavallo
che cavalcava Faramir, cadde a terra, trafitto alla zampa da una
freccia degli orchi. Molti di loro seguivano ancora i superstiti,
correndo all’impazzata.
Faramir ormai atterra e un
po’ stordito per la caduta, era bloccato sotto il peso del
cavallo. Tentò di alzarsi, ma la sua gamba sinistra era
intrappolata. Cercò di recuperare la sua spada, ma
inutilmente,
era incastrata anch’essa.
Verso di lui, avanzava un gruppo di orchi, pronti ad ucciderlo.
Nolwen si era appena alzata
in piedi, provando cosa significasse usare le gambe, cosa che non aveva
mai fatto prima di quel momento, non molto almeno. Solitamente era
aiutata dalle sua ali, ed era come se aleggiasse nell’aria
invece
di camminare.
E solo in quel momento si accorse della mandria di cavalli impazzita
che la puntava.
Ma la sua vista superiore a
qualsiasi essere umano, elfo o nano, riuscì a percepire un
altro
pericolo poco più lontano: il capitano Faramir stava per
essere
ucciso da un esercito di orchi.
Senza pensarci due volte
Nolwen iniziò a correre – anche se a fatica, con
le gambe
tremanti – verso Faramir, evitando i cavalli che le
arrivavano
incontro.
Passo dopo passo prendeva
sempre più velocità, finche ad un tratto i suoi
piedi si
staccarono dal suolo: le sue ali nere, finalmente arrivate in suo
soccorso.
Planò nel cielo alla velocità della luce,
attraversando le nuvole, dividendole a metà.
In un attimo fu davanti a Faramir.
Restò ferma davanti a lui, osservandolo dalla testa ai
piedi, cercando di capire la situazione.
Sembrava una creatura che
non capiva cosa stesse succedendo e cercasse spiegazioni. Poi
iniziò a giragli intorno lentamente.
Faramir dal canto suo, la guardò sgomento. Le sua ali nere
erano quelle che lo sconvolgevano di più.
Chi era quella nuova strana creatura? Un’altra diavoleria di
Sauron?
Nel frattempo le ali di Nolwen scomparvero lentamente, tornando a far
parte della sua schiena e del suo corpo.
Improvvisamente la strana
creatura caduta dal cielo iniziò a parlare. Ma non era il
linguaggio corrente. Faramir non capiva niente di quello che gli stava
dicendo.
Sembravano domande.
Il capitano la fissò
muto. Non si fidava di lei, non sapeva da che parte stava.
Probabilmente era lì per finire il lavoro degli orchi e
ucciderlo.
Nolwen si accorse che non
rispondeva ancora e si zittì anche lei. Lentamente
iniziò
a comprendere che l’uomo non capiva quello che gli stava
dicendo.
Il suo era il linguaggio oscuro, conosciuto solo dalle creature di
Sauron e dal demone stesso.
E lei non amava parlare la lingua corrente. Non conosceva tutti i
termini e i significati.
Quindi dovette adottare il sistema più primitivo che
conoscesse: i gesti.
Si avvicinò piano al
capitano, il quale intanto si era spostato, come se fosse pronto a
difendersi dopo essere stato attaccato.
Nolwen iniziò a fargli cenno di stare tranquillo, ma non era
così semplice come aveva immaginato.
Stava per avvicinarsi di più quando sentì forti
urla provenire alle sue spalle.
La giovane creatura si voltò di scatto. Le ali nere
riapparvero all’istante.
Un’orda di orchi si avvicinava velocemente a lei e a Faramir,
pronti a sterminarli.
Nolwen rimase lì immobile, in attesa del loro arrivo.
Si pose tra il capitano e il gruppo di orchi.
In quel momento Faramir
iniziò a chiedersi da che parte potesse stare quella
ragazza. Il
dubbio di aver sbagliato a non fidarsi quando sembrava che volesse
aiutarlo, lo avvolse del tutto, facendolo sentire uno stupido.
<< Scappa!!!
>>
disse Faramir << Non
puoi farcela contro di loro, ti
uccideranno…scappa! >>
ripetè alzando la voce.
Nolwen si voltò a guardarlo. I loro sguardi si incrociarono.
Ancora una volta il capitano Faramir rimase sgomento, senza parole.
Gli occhi di Nolwen non
avevano un colore normale, come quello umano. Nemmeno gli elfi avevano
degli occhi così, sebbene Faramir non ne avesse visti poi
così tanti.
Gli occhi della ragazza
erano grigi, molto chiari. Le iridi non esistevano, al loro posto si
rifletteva la luce bianca del cielo.
Ci si perdeva ad osservarli.
Nolwen si avvicinò
velocemente a Faramir, senza preoccuparsi che lui potesse spaventarsi,
afferrò una spada che era poco più in la del
capitano e
tornò in direzione degli orchi.
Faramir era ancora lì
fermo, senza riuscire a parlare, senza riuscire a spiegarsi quello che
stava succedendo, senza capire chi fosse quella strana creatura molto
simile ad una ragazza umana.
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Capitolo 2 *** A strange interest ***
Capitolo
Due - A strange interest
Nolwen non si
mosse, nonostante le intimidazioni di Faramir a scappare via,
restò ferma dove si trovava, a pochi metri dal capitano, tra
lui e la torma di orchi che arrivava correndo a tutta
velocità verso di loro.
Faramir cercava
continuamente di liberarsi: la sua gamba era ancora incastrata sotto il
cavallo che gli orchi avevano trucidato.
Probabilmente era
rotta, perché non appena faceva una minima mossa, il dolore
era fortissimo, lacerante. Nonostante fosse chiaro che ogni tentativo
di liberarsi sarebbe stato inutile, tentò più e
più volte.
In ogni caso,
ormai era tardi: gli orchi erano visibili a pochi metri di distanza.
Erano arrivati.
Nolwen strinse di
più la spada che reggeva in mano, e ora la puntava
minacciosamente verso di loro.
Il suo portamento
era incredibile: assolutamente immobile, lo sguardo fisso verso il
nemico, le braccia tese, le mani ben strette sull’elsa della
spada.
Perfetta.
Ogni suo muscolo
era fermo, e allo stesso tempo pronta a scattare al minimo cenno di
attacco. I suoi occhi, freddi, inespressivi, erano fissi in un solo
punto, non si scostavano minimamente dal loro bersaglio.
Per un istante,
prima di avvicinarsi ulteriormente, gli orchi si fermarono tutti ad
osservarla.
La sua figura,
seppure non fosse eccessivamente solenne, incuteva un senso di timore.
La sola fermezza
era da temere.
Improvvisamente si
innalzò un urlo dalla prima schiera di orchi. Un urlo che
aveva in se qualcosa di demoniaco, come se ci fosse stata una vera
bestia lì in mezzo, enorme e imponente. L’urlo di
battaglia degli orchi, che il più delle volte serviva
soprattutto per incutere timore all’avversario.
Ma Nolwen
conosceva bene quel suono. Ne conosceva anche di peggiori. E mai
nessuno l’aveva smossa o fatta rabbrividire minimamente.
In risposta a
quell’urlo, ella stessa emise un sibilo, simile a quello di
un serpente, stringendo i denti, schiudendo appena le labbra e
mostrando i suoi denti, quattro dei quali molto appuntiti, quelli
superiori.
I muscoli del suo
viso si erano contorti in un’espressione rabbiosa.
Uno ad uno, gli
orchi iniziarono a correre verso di lei, tenendo alte sulle loro teste
le loro armi dall’aspetto grezzo e malandato, ma
terribilmente pericolose.
Il capitano
Faramir gridò ancora una volta alla
‘strana-ragazza’ di andarsene, e scappare via, ma
ancora una volta, Nolwen fece finta di non sentirlo.
A gruppi di due o
tre, cercarono di colpirla. A volte si gettavano su di lei anche in
cinque o sei.
Ma lei, Nolwen, la
strana creatura caduta dal cielo, dalla cui schiena fuoriuscivano
lunghe ali nere e poteva volare, era molto più veloce e
forte di quanto apparisse e di quanto lo fossero gli orchi.
Uno ad uno, li
scansò con gesti veloci, quasi impercettibili agli occhi
degli orchi e degli uomini.
Faramir stesso
riusciva a stento a seguire i suoi movimenti.
Delle volte
spariva del tutto e la si ritrovava in volo, in discesa verso il gruppo
di orchi.
Questi
continuarono ad avventarsi verso di lei, in mano martelli grezzi e
spade affilate, certi di avere la vittoria in pugno.
Ma non appena si
avvicinavano, Nolwen li colpiva ancora e ancora, con mosse aggraziate e
veloci, potenti e distruttive, riducendo gli orchi a semplici mucchi di
carne.
Quei poveri stolti
non conoscevano onore, e non sapevano nemmeno quando era ora di
arrendersi e battere la ritirata.
In pochi minuti,
l’intero squadrone di orchi era stato ridotto in polvere da
questa giovane, strana ragazza.
Un ultimo orco
infame si era avvicinato silenziosamente a Faramir, il quale era
riuscito finalmente a liberarsi dalla morsa del cavallo, ma avendo la
gamba ferita gravemente, non era riuscito ancora ad alzarsi in piedi.
Il capitano si
accorse quasi all’ultimo della spada che pendeva sulla sua
testa. I suoi occhi rimasero fissi sul viso dell’orco.
Quell’istante
sembrò durare ore.
Cercava con le
mani, a tastoni, la sua spada, ancora incastrata sotto il peso del
cavallo ormai morto.
Non
c’era più niente da fare.
L’orco
strinse più forte la spada fra le sue grinfie e la
caricò velocemente verso la testa di Faramir.
Gli occhi serrati,
ormai certo che fosse la sua fine, il capitano si accorse subito che
qualcosa non andava. Non aveva sentito niente: la spada
dell’orco che lo trafiggeva, il dolore inumano di qualche
secondo prima della morte…niente.
Alzò la
testa verso il suo boia.
La spada era ferma
a mezz’aria, vicina al suo viso.
E anche
l’orco era quasi completamente immobile.
Girò di
più la testa.
Il petto
dell’orco era trafitto da una grande freccia, la quale aveva
squarciato la sua armatura, ed era entrata attraverso il suo corpo,
fuoriuscendo per metà dall’altra parte.
Era stata lanciata
con molta potenza e perfezione.
L’orco
cadde rumorosamente per terra, all’indietro, sospinto dalla
forza della freccia.
Opera di Nolwen,
ancora immobile, a pochi metri di distanza, con l’arco degli
orchi stessi, ancora in mano.
Nel frattempo
Gandalf aveva fatto scappare i Nazgul , con la magia del suo bastone, e
stava portando in salvo i cavalieri. Non aveva visto
l’accaduto, erano troppo lontani dai suoi occhi Faramir e
Nolwen.
Faramir rimase
immobile ad osservare la ragazza. Incredulo dello spettacolo appena
avvenuto davanti ai suoi occhi.
Nolwen, fino a
quel momento ancora immobile con l’arco in mano,
abbassò l’arma e iniziò a fissare anche
lei il capitano, senza scostare lo sguardo da lui.
Quell’uomo,
chissà per quale strano motivo, la incuriosiva
terribilmente. Era sempre stata incuriosita da loro, dagli uomini,
aveva sempre voluto conoscerli e imparare qualcosa della loro cultura,
ma mai ne aveva avuto occasione. Aveva solo potuto osservarli da
lontano, accucciata sulle alte torri delle loro città.
Faramir si mise
seduto, cercando lentamente di alzarsi, ma gli era quasi del tutto
impossibile, per via della gamba rotta.
All’improvviso
accanto a lui apparve Nolwen.
Si era avvicinata
così silenziosamente, che Faramir sobbalzò appena
dallo spavento.
Tuttavia non era
spaventato da lei. Non aveva più dubbi che non fosse
lì per ucciderlo.
La ragazza
avvicinò le mani alla gamba di Faramir, dov’era
ferita, e iniziò a fare strani gesti circolari, a
pochi centimetri di distanza, come se la stesse studiando con
le mani stesse, e cercasse di capire cosa fosse successo.
All’improvviso
apparve una luce rossa, intensa. Faramir ne fu accecato per qualche
istante, mentre Nolwen la fissava noncurante, continuando a tenere le
mani sulla ferita.
Dopo qualche
secondo, tutto sparì.
Scostò
le mani, e la ferita ora non c’era più, era
completamente sparita, così com’era sparito il
dolore alla gamba.
Faramir era basito.
Non credeva
assolutamente ai suoi occhi, eppure era successo, era tutto reale.
Alzò
piano la testa, osservando dal basso all’alto la ragazza,
fino ad arrivare al suo viso.
Lei ora lo
guardava incessantemente negli occhi, come se cercasse qualcosa. E lui,
in qualche modo, era inevitabilmente attratto da quello sguardo, del
quale non riusciva a distaccarsi: ora anche lui era incuriosito, e
cercava qualcosa da quello sguardo.
I suoi occhi poi
erano davvero particolari. Niente iridi, solo una piccola luce bianca,
intensa e attorno un colore grigio-azzurro. Osservandoli sembrava quasi
che dentro essi scorresse qualche misteriosa magia.
Nolwen non disse
una parola. Rimase muta.
D’altro
canto, come poteva parlare?
Non conosceva la
lingua degli uomini, e il linguaggio oscuro avrebbe potuto destare
orecchie, che fino a quel momento non avevano avvertito la sua fuga.
Alzò
una mano, lentamente, verso il viso del capitano.
Con due dita,
scostò una ciocca di capelli che gli copriva gli occhi,
disturbando quel legame di sguardi che si era creato tra loro.
Sul volto di
Faramir si dipinse un piccolo sorriso.
Nolwen non sapeva
cosa fosse un sorriso. Per un attimo ebbe un piccolo sobbalzo
all’indietro, leggermente impaurita.
Tornò
ad avvicinarsi al viso dell’uomo.
Osservò
a lungo le sue labbra, stupefatta e avvicinandosi terribilmente, sempre
di più al suo viso.
La sua
‘innocenza’ era terribilmente chiara,
così come lo era la sua poca conoscenza degli uomini.
Faramir per un
attimo ebbe paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Tentò
anche lei di sorridere.
Portando le mani
sul suo viso, vicino alle labbra, cercando di sentire con le dita il
movimento dei muscoli del volto. Per pochi secondi ci
riuscì. Riuscì a sorridere al capitano, mostrando
ancora di più la bellezza.
Fu solo
quell’attimo, in cui entrambi si scambiarono un lungo sguardo
e un sorriso, che sembravano celare qualcosa di più.
Ma un attimo dopo,
Nolwen iniziò a sentirsi strana.
Le si chiudevano
gli occhi.
Le mani ricaddero
lungo i fianchi, spinte in basso dalla gravità. Non riusciva
più a controllarle.
Improvvisamente,
svenì.
Cadde tra le
braccia del capitano Faramir, il quale l’afferrò
prontamente.
La
guardò preoccupato, senza capire cosa le fosse successo,
così all’improvviso.
Portò
una mano sul suo viso, delicatamente, per far si che si voltasse verso
di lui.
Ora poteva
osservarla ancora meglio. Sembrava ancora più bella e dolce
mentre era così, a occhi chiusi, come se stesse dormendo.
Per un attimo fu tentato di accarezzare la sua guancia, ma le sue mani
erano sporche e ferite, e aveva paura di farle male…lei
sembrava così fragile.
Il capitano non
riusciva a capire cosa potesse essere successo, e non voleva
chiederselo più di tanto, non ora che erano ancora entrambi
in pericolo.
Gli orchi non
erano di certo composti solo da quel gruppo che Nolwen aveva
prontamente sterminato…
Il resto della
loro armata sarebbe arrivato lì a momenti. E lui doveva
portare via da lì entrambi, subito.
Si alzò
in piedi, lentamente, tenendo sempre la ragazza tra le sue braccia.
La prese in
braccio per bene.
Fu ancora stupito
di appurare che la sua gamba non gli faceva affatto male. Era come se
non fosse successo niente, e non se la fosse fratturata.
E tutto grazie a
quella strana ragazza.
La
fissò ancora una volta. Fissò il suo viso.
Poi si mise in
marcia, più veloce che poteva, e con quanta più
delicatezza potesse per non scuotere troppo Nolwen, diretto verso le
mura di Minas Tirith, sperando che qualcuno li avvistasse e arrivasse
in loro soccorso.
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Capitolo 3 *** Worries and Duties ***
Capitolo
Tre
– Worries and Duties
Stava per calare
il pomeriggio su Minas Tirith.
Il cielo non era
mai stato così oscuro dall’altra parte della
regione, proprio di fronte alla grande città bianca.
Osgiliath ormai
era completamente ricoperta da nuvole nere, che rendevano
l’atmosfera pesante. Era brulicante di orchi.
Le guardie alle
porte di Minas Tirith, guardavano dritto davanti a loro, cercando di
non lasciare che i loro cuori fossero raggiunti dal timore e
dall’orrore di tutto quel buio.
Faramir
aprì gli occhi, in un sussulto.
Restò
per qualche istante con gli occhi fissi sul soffitto.
Poi, sentendosi un
po’ intontito, girò lo sguardo, osservandosi
attorno, spaesato. Con fatica, alzò la testa, portando una
mano su di essa, e restando immobile con il resto del corpo.
Era disteso nel
suo letto.
Osservò
attentamente le sue vesti, le sue mani: era stato medicato delle ferite
superficiali, e ripulito da testa a piedi.
Fece ricadere la
testa sul cuscino, chiudendo gli occhi. I suoi pensieri erano confusi.
Sentiva un peso sul petto, una sensazione, come se avesse dimenticato
di fare o dire qualcosa. Come se ci fosse qualcosa di incompiuto.
Tentò
di sforzarsi, cercando di concentrare i pensieri.
L’impressione era quella di aver sognato. Nella sua mente
passavano a scatti le immagini della battaglia ad Osgiliath. E poi la
successiva fuga verso Minas Tirith, inseguito dagli orchi.
Era tutto molto
confuso, per questo in un primo momento aveva pensato ad un sogno. Ma
pian piano iniziò a prendere coscienza che tutto era
successo realmente.
Riaprì
gli occhi, spalancandoli.
L’ultima
immagine che gli era passata nella mente, era quella di Nolwen, la
strana ragazza/creatura, che gli aveva salvato la vita e che lui stesso
aveva cercato di portare in salvo, tra le mura della città.
Sedette al letto.
Per qualche secondo gli si annebbiò la vista, per la
velocità con cui si era sollevato.
Iniziò
a ricordare come fosse giunto lì, nella sua stanza.
Una volta davanti
alle porte di Minas Tirith, Gandalf gli era andato in contro,
accompagnato da un pugno di guardie e un hobbit.
Il giovane
capitano, aveva camminato per chilometri, portando in braccio Nolwen,
priva di sensi. Era allo stremo delle forze, affaticato e come se non
bastasse, aveva ancora uno strano dolore alla gamba, lì dove
Nolwen aveva guarito la frattura.
Dopo, tutto
divenne buio.
Prima di svenire
anch’egli, non aveva avuto il tempo di dire nulla riguardo
alla ragazza.
Scese velocemente
dal letto, barcollando un po’ non appena fu in piedi, diretto
verso l’uscita della sua stanza. Doveva sapere che ne era
stato di lei, dov’era adesso e se fosse stata curata.
Era terribilmente
preoccupato. Non essere riuscito a spiegare chi fosse quella ragazza, -
anche se nemmeno lui sapeva esattamente chi e cosa fosse - poteva
essere molto grave.
Non capiva nemmeno
perché fosse così preoccupato.
Forse
perché lei era imprevedibile. Per non dire strana. Una
creatura fuori dal comune. E nonostante avesse dimostrato di essere
molto più forte di qualsiasi altro essere vivente sulla
Terra di Mezzo, gli ispirava un senso di innocenza strano. Dovuto forse
al fatto che non capiva la lingua corrente, e ai suoi gesti, simili a
quelli di una bimba che scopre le sue mani per la prima volta.
Figurarsi come
potevano reagire coloro che non la conoscevano affatto, persone dalla
mentalità chiusa e spaventate dai tempi oscuri che li
circondavano.
Cosa sarebbe
successo se improvvisamente Nolwen si fosse svegliata, e avesse
spiegato le ali? E se qualcuno, spaventato, avesse iniziato ad urlare?
E se lei avesse attaccato chiunque le si fosse trovato davanti, solo
per difendersi?
Le guardie
sarebbero intervenute e...avrebbero potuto ucciderla.
Tormentato da
questi pensieri, Faramir aumentò il passo, con fatica.
La gamba che si
era fratturato durante la battaglia e che Nolwen era riuscita a
guarire, gli doleva ancora. In alcuni momenti era costretto a zoppicare.
Attraversò
i lunghi corridoi della sua casa, e senza nemmeno indossare qualche
veste che lo coprisse un po’ di più dal freddo,
rispetto alla maglietta leggera che portava, ne uscì,
diretto al palazzo reale, enorme, dalle mura bianche e candide ma
solide e imponenti.
L’aria
fuori era gelida, pungente, ma Faramir sembrava non avvertirne gli
effetti.
Era talmente
ansioso di sapere dove fosse la ragazza, da non pensare nemmeno per un
attimo che avrebbe potuto congelare.
Arrivò
davanti al palazzo reale e fece per entrare nella sala del trono,
spalancando le enormi porte che la precedevano, con la sola forza delle
sue braccia, senza lasciare che qualcuno lo aiutasse.
Lì si
riuniva la corte di solito, ma era soprattutto la stanza
dov’era il trono del Re di Gondor.
Gandalf, il
piccolo hobbit, Pipino, e sire Denethor, sovrintendente di Gondor,
nonché padre di Faramir, erano lì, intenti a
discutere. Si voltarono per vedere chi fosse appena entrato dalla porta.
Di Nolwen, nemmeno
l’ombra.
Faramir si
guardò attorno, mentre avanzava verso di loro, cercando con
lo sguardo in ogni angolo, dietro le colonne, la presenza della ragazza.
Gandalf e Pipino
attesero che Faramir si avvicinasse, guardandolo fisso mentre avanzava,
con un’aria che non si poteva decifrare. Denethor invece,
dopo aver visto suo figlio entrare nella sala, aveva prontamente
voltato lo sguardo da un’altra parte. Sul suo volto
un’espressione disgustata e fredda.
Sembrava odiasse
quel ragazzo.
<<Mithrandir...padre...>>
disse Faramir, salutandoli e fermandosi di fronte a loro.
Denethor non
rispose; Gandalf fece un piccolo inchino con il capo, e sorrise.
C’era
troppo silenzio. Ed era strano. Faramir si aspettava che suo padre o
Gandalf, avessero iniziato a parlare, e gli avessero fatto tante
domande. E invece nessuno dei due apriva bocca.
Uno fissava
dall’altra parte della stanza, e l’altro lo
guardava negli occhi, costernato e leggermente irritato.
Abbassando lo
sguardo, Faramir si accorse solo in quel momento di non aver fatto
conoscenza del piccolo mezz’uomo. Sapeva che si trattava di
un hobbit. Ne aveva incontrati due, qualche giorno prima, aiutandoli a
fuggire da Osgiliath e dai Nazgul.
Allungò
la mano verso di esso.
<<Non
credo di conoscerti...>>
Il
mezz’uomo a sua volta, stese il suo piccolo braccio e strinse
la mano dell’uomo.
<<Peregrino
Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino...e voi dovete essere
Faramir...>> disse sorridendo.
Tornò quasi subito
serio, guardandosi attorno.
L’atmosfera
non era per niente serena.
Per di
più Denethor, teneva ora gli occhi fissi sulle mani di
Faramir e Pipino, unite in un cordiale saluto. Le guardava con sospetto
e odio. Sembrava quasi che volesse spezzare quel legame solo con lo
sguardo.
Pipino
lasciò lentamente la mano del capitano e abbassò
il capo, sentendosi quasi in colpa.
Non era da lui
agire così, però si sentiva in debito con sire
Denethor, per via del suo primogenito, Boromir. Questi aveva salvato la
vita di Pipino e Merry – suo parente – dalle
grinfie degli Uruk-hai, sacrificando la sua vita.
Quindi i
sentimenti di Pipino erano profondamente legati a quell’uomo
e alla sua famiglia, per quello che aveva fatto per lui e per il valore
dimostrato.
Faramir, dopo aver
osservato a lungo le espressioni dei tre uomini, senza venire a capo
del motivo per cui fossero così cupi, decise di prendere la
parola. Non solo detestava essere all’oscuro di qualcosa che
doveva essere importante, ma era ancora molto preoccupato per Nolwen.
<<Dov’è
la ragazza che era con me?>> chiese rivolto
a Gandalf.
Quest’ultimo,
lo guardò ancora negli occhi, poi girò la testa
verso Denethor, guardandolo sottecchi e con sospetto.
<<E’
quello che vorrei sapere anche io...>>
disse, rispondendo al
giovane capitano.
Anche Faramir
girò lo sguardo verso suo padre. Ora era ancora
più agitato di prima, se possibile.
<<Padre...>>
fece un passo in avanti.
Denethor si
alzò in piedi, velocemente, avvicinandosi a suo figlio, e
fermandosi a un pelo da lui.
<<Padre?
Hai ancora il coraggio di chiamarmi padre? Dopo quello che hai
fatto???>>
Faramir, immobile,
rimase ad osservarlo, confuso dalle sue parole.
Che cosa aveva
fatto?
<<Voglio
parlare da solo con lui...>>
continuò poi sire
Denethor, senza degnare di uno sguardo Gandalf e Pipino, invitandoli ad
andarsene senza troppi complimenti, voltando le spalle a tutti e
tornando a sedere sul trono del sovrintendente.
Lo stregone e
l’hobbit si scambiarono un’occhiata fugace e poi
guardarono Faramir. Fecero un piccolo inchino e si voltarono verso
l’uscita.
Prima di andare
via, Gandalf posò una mano sulla spalla di Faramir, quasi a
volerlo consolare e dargli forza. Sembrava sapesse bene cosa lo
aspettava.
Dopo di che, i due
uscirono dalla sala del trono, chiudendo alle loro spalle la porta.
Ora Denethor e
Faramir erano faccia a faccia.
I due si
guardavano negli occhi: Denethor, freddo e rabbioso; Faramir, scosso e
incuriosito.
Il giovane
capitano non riusciva a capire il perché di
quell’atteggiamento così arrabbiato nei suoi
confronti. Non che prima di allora fosse mai stato affettuoso con lui.
Non era mai stato il prediletto di suo padre, e lo era ancora di meno
da quando aveva stretto amicizia con Gandalf. Ma era già da
un po’ di tempo che non capiva perché lo trattasse
ancora più freddamente del solito, più
precisamente da quando era morto suo fratello Boromir.
La sala del trono,
una stanza enorme, circondata da alte colonne in marmo nero, era caduta
in un silenzio surreale. Non si percepiva nemmeno il sibilo sottile del
vento, attraverso le imponenti finestre.
<<Hai
spedito l’anello del potere a Mordor, nelle mani di un
mezz’uomo...>> la voce di
Denethor, irata e
imponente, irruppe in quel silenzio, echeggiando nella grande sala.
Faramir
continuò a fissarlo. Aveva messo da parte questo
particolare, troppo preso dagli ultimi avvenimenti. Ma in effetti era
qualcosa di importante.
<<Doveva
essere riportato qui. Tenuto al sicuro. Lontano dagli occhi di
tutti...>> lo sguardo del sovrintendente
celava un velo di
pazzia.
<<Ne
abbiamo già parlato padre. E sapete che non sono
d’accordo con quello che dite. L’anello a Minas
Tirith, ci avrebbe distrutto tutti...>>
rispose Faramir, con
tono gentile, ma deciso <<...ho fatto quello che ritenevo
giusto.>>
Denethor lo
guardò con ancora più disprezzo in viso. Ora
sembrava che avesse davanti un viscido orco, piuttosto che suo figlio.
<<Ciò
che ritenevi giusto?...Sempre tu ami apparire giusto e leale, come i
grandi Re di un tempo...>> lo
canzonò suo padre.
<<Dov’è
lei?>> chiese Faramir, non curante delle sue
provocazioni.
Non voleva tornare
a discutere con suo padre sull’anello e sul suo destino. Ne
avevano discusso costantemente, ogni giorno, litigando puntualmente.
Nonostante tutto, voleva bene a suo padre, e non avrebbe mai voluto
disobbedirgli o mancargli di rispetto.
<<Lei
chi? Quella COSA che ti sei portato dietro?>>
rispose in tono
dispregiativo Denethor.
Lo sguardo di
Faramir si fece più duro e severo.
<<Questa
è l’unica cosa buona che hai fatto in tutta la tua
vita a dire la verità...hai portato qui un’arma
più potente dell’anello stesso...>>
sul
viso di Denethor si dipinse un sorriso maligno.
Non sapeva di cosa
stava parlando, ma Faramir iniziava a sentirsi davvero infuriato.
<<Dimmi
dov’è...>> disse
lentamente,
avvicinandosi sempre di più a suo padre.
Questi lo
guardava, senza rispondergli, sorridendo soltanto.
<<DIMMI
DOV’E’!!!>>
urlò infine
Faramir, prendendo suo padre dalle vesti, e strattonandolo appena. Non
era mai stato così arrabbiato in vita sua. Il respiro era
affannato dalla rabbia.
Faramir era un
uomo dai modi gentili, regali. Un uomo paziente e pacato. Non era da
lui quell’atteggiamento. Ma in quel momento non riusciva ad
agire in altro modo.
Strinse di
più le mani sulle vesti.
<<E’
nella stanza a nord...la stanza ‘di
sicurezza’>>
Le mani di Faramir
si aprirono lentamente, lasciando andare suo padre dalla presa. La sua
agitazione era arrivata al culmine, per non parlare della sua rabbia.
Denethor, seppure
avesse infine risposto alla sua domanda, non si era spaventato o non
aveva perso per niente la sua freddezza e quel sorrisino da chi ne
sapeva di più di tutti.
Il giovane
capitano gli diede le spalle, senza aggiungere una parola di
più, e si avviò verso la stanza di cui aveva
parlato, più velocemente che poteva.
Ma prima che
lasciasse la sala, sentì la voce di suo padre.
<<Guardati...hai
così tanto sostenuto che l’anello del potere
influenza la mente e l’animo degli uomini, ed ora tu stesso
ti comporti come se l’avessi con te...rinnegato!>>
Era una chiara
provocazione, alla quale Faramir non rispose, mantenendo il controllo
di se stesso, con molta fatica.
Uscì
dalla sala, chiudendo bene la porta alle sue spalle.
Rimase
lì per un attimo, poggiato di schiena alla porta, cercando
di calmarsi. Si era reso conto di aver esagerato. Egli stesso non si
era riconosciuto in quel piccolo attimo in cui aveva minacciato suo
padre. Si convinse che la tensione della situazione di quei giorni
oscuri, doveva averlo influenzato. Non si curò affatto delle
parole di sue padre, riguardo l’influenza
dell’anello, su di lui.
Riprese a
camminare, verso le stanze a nord del palazzo reale, molto simile a una
torre.
La stanza di
sicurezza era una specie di prigione, dove venivano accompagnati i
prigionieri ritenuti ‘importanti’. Tuttavia era una
stanza gelida, con un piccolo giaciglio fatto di tre coperte sottili, e
una finestra minuscola da cui entrava a stento della luce. Molto simile
ad una stanza delle torture.
Da qui, la
preoccupazione crescente di Faramir.
Nolwen dormiva, ancora svenuta dopo aver combattuto
contro tutti quegli orchi.
Si dimenava nel
sonno ogni tanto, con piccoli scatti improvvisi delle braccia e delle
gambe.
Un particolare di
questa ‘creatura’, era che non aveva mai sognato.
Non poteva sognare. Gli era stato negato sin dalla nascita. E se ora si
dimenava nel sonno, era solo per via della voce che le stava parlando
in quel momento, una voce mostruosa, greve: la voce di Sauron.
<<Manke
naa? (Dove sei?)>> le chiedeva la voce,
poderosa e intensa.
Dal tono, sembrava che mentre parlava, dalle sue labbra uscissero
fiamme di fuoco.
La stessa domanda
continuava a ripetersi nella mente di Nolwen, sempre più
veloce, finchè non si svegliò. Si tirò
su di scatto, restando acquattata per terra, ricurva sulla schiena,
china sulle ginocchia e con le mani poggiate per terra. Muovendosi
avanti e indietro per la stanza, come un granchio dei mari occidentali.
Si
fermò, continuando a guardarsi attorno.
Non aveva la
più pallida idea di dove si trovasse.
Si alzò
in piedi per guardare fuori dalla piccola finestra, l’unica
in tutta la stanza. Da lì si vedevano le alti torri di Minas
Tirith, e in lontananza si intravedeva anche Osgiliath.
Dunque si rese
conto di essere a Minas Tirith.
Ma dove precisamente?
Non
provò a scappare. Non sapeva se era prigioniera o un ospite.
Non sapeva niente, e non voleva agire in modo sbagliato, sfondando la
porta. Cosa che avrebbe potuto fare con una semplicità
assoluta.
Era confusa, ma riusciva a mantenere la calma. Inoltre possedeva una
saggezza di cui ben pochi potevano vantare.
Sedette accucciata
per terra, in attesa che qualcuno entrasse dalla porta, di fronte a
lei.
Nel frattempo,
ripensò alla voce che aveva sentito mentre dormiva.
Era abituata alla
sua voce, l’aveva sempre sentita sin da quando era nata. Era
sempre stata con lei, non l’aveva mai abbandonata. E nemmeno
ora l’aveva fatto.
Nemmeno ora che
lei era...scappata.
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Capitolo 4 *** The Escape ***
Capitolo
Quattro - The Escape
Sire Denethor rimase immobile nel palazzo reale,
al suo posto, affianco al trono del Re di Gondor.
Sedeva
su un seggio di marmo nero, il cui
schienale era piuttosto rialzato, e per raggiungerlo, doveva salire due
gradini, anch’essi in marmo nero.
Rispetto
a quello del Re, era molto più piccolo,
ma la sua presenza lì vicino stava a simboleggiare la sua
importanza.
Il
Sovrintendente era ancora lì, dopo che
Faramir, suo figlio, gli aveva voltato le spalle senza rispondere alle
sue
provocazioni. Le braccia poggiate lungo i braccioli del seggio, strinse
le mani
su di essi, stringendo forte come se volesse frantumarli con la sua
sola forza.
Era
in collera con lui, più del solito.
Non
solo perché era il prediletto di Gandalf ma
ora anche perché aveva ignorato del tutto le sue parole,
assumendo un
atteggiamento più maturo rispetto al solito. Quelle parole
erano sempre state
molto dure, e per Faramir, erano un colpo al cuore ogni volta che le
sentiva.
Denethor
quasi si compiaceva del dispiacere che
si dipingeva sul volto di suo figlio, quando lo sminuiva. E nonostante
tutto,
il giovane capitano, Faramir, non aveva mai osato rispondere per le
rime a suo
padre, magari litigando. Lui cercava solo di fargli capire quanto le
sue parole
fossero cattive.
Ma
ora non era più così.
Qualcosa
era cambiato...
E
dato che non facevano più effetto quelle parole,
Denethor sentiva l’animo bruciare di rabbia.
Si
alzò in piedi.
Sapeva
che adesso Faramir stava per raggiungere
quella ragazza/creatura di cui avevano parlato. Appena suo figlio era
tornato a
Minas Tirith, Denethor aveva mandato le sue guardie a prendere Nolwen e
l’aveva
fatta rinchiudere nella stanza di sicurezza.
Sapeva
anche questo, dell’arrivo di Nolwen.
Di
solito le sue guardie non facevano quasi mai
domande sui suoi ordini, ma quel giorno, sul loro volto, si scorse
chiaramente
il disappunto. E la motivazione, fu : << E’ alleata con il
nemico
>>.
Il
motivo per cui Denethor fosse così sicuro
delle sue parole e sapesse tutto in anticipo, era che aveva fatto uso
del
Palantir, ancora una volta, senza che nessuno lo sospettasse.
Il
Palantir, la Pietra di Minas Anor, era una
sfera perfetta, che in stato di riposo, appariva fatta di vetro o
cristallo
massiccio, di colore nero cupo.
Il
suo nome, in elfico, significava
‘lugimirante’, e la sua particolarità
era infatti, di dare visioni lontane nel
tempo e nello spazio, e di poter comunicare con un altro Palantir,
trasmettendo
l’un l’altra le immagini di quanto la circondava.
Concentrandosi su determinati
obbiettivi, si potevano pilotare queste visioni, e avere tutte le
informazioni
necessarie, attraverso le altre Pietre. Tuttavia il loro uso non era
semplice,
e il diritto di scrutarle era riservato ai sovrani di
Nùmenor prima, e poi agli
eredi di Anàrion e di Isildur.
I
Palantir, erano considerati pericolosi, proprio
perché una trasmetteva immagini all’altra. E se
una fosse caduta in mani
sbagliate (come successe tempo addietro, quando una fu nelle mani di
Sauron),
avrebbe potuto causare non poche disgrazie, rivelando strategie di
battaglia e
decisioni dell’avversario.
Gli
unici Palantir ancora esistenti a quel tempo,
erano appunto quello di Minas Anor, e quello di Orthanc.
Nessuno,
a Minas Tirith, aveva mai osato usarla
in precedenza, proprio perché si sapeva quanto potesse
essere pericolosa e che
solo gli eredi del Re potevano scrutarle.
Ma
sire Denethor, sentendosi autorizzato come
Sovrintendente del Re, ne aveva fatto uso durante gli ultimi anni,
venendo a
capo di informazioni non vere, e soprattutto attirando
l’attenzione di Sauron.
Questi,
non aveva più con se il Palantir, ma
essendo un puro spirito demoniaco, aveva il potere di vedere attraverso
esse. E
avendo questo potere, aveva anche modo di manipolare le visioni e
così irretire
chiunque stesse scrutando il Palantir.
Ed
era proprio quello che era successo a sire
Denethor.
Egli
aveva avuto visioni riguardanti suo figlio
Boromir e il modo in cui era morto, completamente distorte rispetto
alla
realtà. Così come, aveva visto Gandalf
comportarsi in modo strano e portare
tutte le situazioni della Terra di Mezzo a suo favore.
E
ancora, aveva visto Nolwen. Ma in questo Sauron
non c’aveva messo lo zampino. Anzi egli stesso rimase a
guardare attraverso il
Palantir di Denethor, ciò che veniva mostrato. Erano strane
immagini di Nolwen,
che egli stesso non seppe interpretare.
Denethor
le interpretò come ostilità, ovviamente,
e sentendosi completamente conscio delle sue azioni, diede
l’ordine di
rinchiuderla, in modo da prevenire qualsiasi azione da parte della
ragazza/creatura, in attesa di una decisione definitiva sulla sua sorte.
Ora
però che suo figlio Faramir, stava per andare
da lei, si sentiva turbato e non più tanto al sicuro. Doveva
sapere cosa voleva
suo figlio da quella ragazza.
Voleva
coglierlo in fragrante, mentre cospirava
contro di lui.
Perché
ne era sicuro: suo figlio tramava per
rovesciare il suo trono. La sua paura, lo aveva reso cieco alla
verità.
Si
voltò e facendo il giro attorno al trono del
Re, si diresse verso una porta che si trovava proprio lì
dietro. Portava a varie
‘scorciatoie’ in giro per il palazzo reale, e solo
chi le conosceva bene,
riusciva a trovare la giusta strada, senza perdersi.
Nel
frattempo, Faramir era finalmente giunto al
corridoio che portava alla stanza di sicurezza. Il palazzo reale era
molto
grande, e aveva una serie infinita di corridoi.
I
suoi passi echeggiavano lungo i vari androni,
silenziosi, freddi e vuoti. Il suo avanzare era l’unico suono
percepibile.
Più
avanzava, più pensava al posto in cui si
trovava Nolwen.
Quella
stanza, al contrario delle celle per i
prigionieri, si trovava in una delle torri più alte. A
questo era dovuta
soprattutto la temperatura così bassa all’interno
della stanza.
Due
uomini erano a guardia della porta, immobili
accanto ad essa, uno a destra e uno a sinistra. Un altro era seduto
poco più in
la, colui che custodiva la chiave.
Camminando
verso di loro, Faramir iniziò ad avere
il dubbio che quell’uomo non gli avrebbe consegnato
facilmente la chiave della
stanza, o eseguito i suoi ordini.
Seppure
egli fosse un capitano di Gondor, quelle
guardie erano anche sotto il comando del Sovrintendente e dovevano
rispondere
prima a lui.
Decise
comunque di tentare, e sperare di non
dover ricorrere alla forza – cosa che detestava -.
La
guardia si alzò subito in piedi, non appena
vide avvicinarsi il capitano.
Fece
il saluto militare che gli spettava.
Faramir
lo salutò a sua volta, ma senza dire
niente. Lo guardò per un attimo negli occhi, per poi
avvicinarsi alla porta
della stanza, lentamente, senza degnare di uno sguardo le altre due
guardie.
Doveva
avere un’aria autoritaria e sicura. Erano
le carte vincenti di chi si trovava al comando. Al minimo cenno di
insicurezza,
avrebbe potuto lasciar intendere che ci fosse qualcosa che non quadrava.
Ma
lui era abituato a queste situazioni. E poi,
era davvero più forte di quanto si potesse pensare.
Moralmente, era un uomo
tutto d’un pezzo, pronto a morire per i suoi principi, e per
aiutare chi avesse
bisogno.
Si
fermò davanti alla porta, e si girò di lato,
verso la guardia con le chiavi, fissandolo, in attesa.
Questi,
era rimasto fermo dov’era, senza aver
seguito il capitano, cosa che invece lui si aspettava facesse.
<<
Cosa aspetti?
>> disse Faramir,
osservandolo dritto negli occhi.
<<
S-signore?
>> chiese la guardia.
Sembrava confuso, ma sapeva bene a cosa si riferiva il capitano.
Faramir
alzò di più la testa, drizzò la
schiena,
e lo fissò severamente. La sua figura si fece più
poderosa.
<<
Apri - questa- porta
>> rispose,
scandendo tutte le parole, lentamente, con un leggero tono irritato
nella voce.
La
guardia, continuò a guardarlo, indeciso sul da
farsi. I suoi ordini erano chiari, e i suoi doveri erano verso il suo
sovrano,
sire Denethor.
Ma
anche il capitano Faramir era un suo
superiore, nonché leale capitano da anni, e uomo di cui si
fidava, come tutti
in città: era un uomo in cui tutto il popolo di Gondor
riponeva una grande
fiducia e rispetto.
Dopo
aver esitato per qualche istante, la guardia
si decise, facendo qualche passo in avanti verso il capitano.
Tese
la mano, e infilò la chiave nella serratura.
Ancora
una volta esitò. Girò lo sguardo verso il
capitano, guardandolo incerto, quasi come a voler chiedere
pietà.
<<
Signore, non crede che...
>>
balbettò la guardia.
<<
Te lo ripeto per
l’ultima volta, apri
questa porta...! >> Faramir non gli diede
il tempo di finire la frase. Il
suo sguardo severo ora era fisso ancora di più sulla
guardia, e attendeva solo
un’altra esitazione, per sollevarlo dall’incarico e
farsi consegnare la chiave.
Al
‘quasi ruggito’ del capitano Faramir, la
guardia si fece forza, girò la chiave nella serratura,
aprendo la porta.
Il
capitano posò la mano sulla maniglia, e prima
di aprire la porta, si voltò verso la guardia.
<<
Qualsiasi cosa sentiate,
non intervenite,
non aprite la porta...sono stato chiaro? >>
Faramir non sapeva perché gli
avesse detto così, ma sapeva che voleva restare un
po’ solo con Nolwen, capire quale
fosse la situazione e chi fosse lei, senza essere disturbato.
La
guardia annuì con la testa, una sola volta,
uscì la chiave dalla serratura, e si voltò per
tornare al suo posto.
Faramir,
staccò finalmente lo sguardo da lui, e
girò la testa verso la porta. Spinse in giù la
maniglia, e l’aprì, lentamente.
Il
suo sguardo si posò subito all’interno della
stanza, ma era buio. Non si vedeva quasi nulla. Solo un piccolo
spiraglio di
luce penetrava dalla finestra, del sole che lentamente tramontava, e
illuminava
una piccolissima parte di quella stanza.
Fece
qualche passo in avanti, lentamente.
Chiuse
la porta alle sue spalle, e si rigirò
verso la stanza.
Pian
piano i suoi occhi si abituarono al buio, ma
troppo tardi perché potesse evitare di essere preso alla
sprovvista.
Si
ritrovò di spalle al muro: qualcosa stringeva
attorno al collo e lo teneva immobile vicino al muro.
Per
quanto si sforzasse di liberarsi, non ci
riusciva. Portò le sue mani vicino a ciò che lo
stava strozzando, e capì che si
trattava di due mani, gelide e esili.
La
figura che lo aveva aggredito, e che ora lo
stava strozzando, si fece più avanti, sotto lo spiraglio di
luce, lasciando che
la sua immagine finalmente si rivelasse: era Nolwen.
Faramir
la fissò, sorpreso. Respirava a stento,
per cui non riuscì più di tanto a trattenere il
suo stupore.
Istintivamente,
strinse di più le mani attorno a
quelle di Nolwen, tentando di liberarsi. Ormai l’aria nei
polmoni era quasi del
tutto esaurita. Sentiva il sangue stringergli la testa, quasi come se
da un
momento all’altro avesse potuto esplodere.
Nolwen
non accennava ad allentare la presa. Era
in preda ad un attacco di rabbia intenso. Non distingueva il volto
dell’uomo,
in quell’aggrovigliarsi di emozioni negative. Ai suoi occhi
era uno dei tanti
uomini che per tanto tempo aveva osservato da lontano.
Più
Faramir stringeva le mani attorno alle sue,
più le mani di Nolwen si stringevano attorno al suo collo,
come una tenaglia.
Fu
un attimo, in cui la ragazza aveva
improvvisamente allentato la stretta, come presa da un attimo di
ripensamento,
che Faramir riuscì a liberarsi: respinse le mani di Nolwen,
e prima che lei
potesse rendersene conto, afferrò le sue braccia bloccandole
dietro la schiena.
Era immobilizzata. Anche volendo, non le sarebbe stato facilissimo
liberarsi,
persino per lei. Avrebbe dovuto muoversi parecchio prima di essere
libera.
<<
Non voglio farti del
male...>>
disse a stento Faramir. Doveva ancora riprendere fiato del tutto.
Nonostante
le sue parole, Faramir si accorse che
Nolwen non opponeva nessuna resistenza. Sembrava si fosse arresa. Era
immobile
sotto la sua presa. Il che era già molto strano di per se.
Aveva visto la forza
di quella ragazza, era sicuro che se avesse voluto, si sarebbe potuta
liberare
in qualsiasi momento.
Questo
non lo aveva fermato dal provare a
bloccarla, se non altro per difendersi anziché lasciare di
essere ucciso
facilmente.
La
osservò per un attimo, senza abbassare la
guardia nemmeno per un attimo.
Nolwen
fissava il pavimento. Il suo viso era
quasi del tutto coperto dall’ombra dei suoi capelli. Non si
scorgeva la minima
espressione su di esso.
<<
Manke
im? (Dove sono?) >> sussurrò Nolwen,
in un tono cupo, ma con una voce
molto sottile e dolce.
Dopo
un attimo, in cui Faramir fu completamente colto
alla sprovvista – per la seconda volta -
allentò
appena la presa sulle braccia della
ragazza.
Ancora
non capiva quello che gli diceva, ma il
suo stupore non era per quello, quanto nel tono in cui Nolwen aveva
parlato.
Sembrava essere completamente calma.
Che
fosse un trucco?
Attese
ancora qualche attimo prima di decidere
cosa fare. Se era una trappola, non poteva cedere nemmeno per un
attimo. Il
minimo cenno di distrazione avrebbe potuto costargli la vita.
La
ragazza non si mosse. A vederla, si poteva
pensare che fosse completamente senza forze.
Alla
fine Faramir decise: con molta delicatezza,
lasciò andare Nolwen. Voleva fidarsi. Ma allo stesso tempo
mantenne alzata la
guardia.
Nolwen
era ancora ferma. Il suo corpo non
accennava il minimo movimento.
Solo le sue labbra si muovevano e ripetevano
sottovoce sempre la stessa frase: << Manke
im? >>
Faramir
non sapeva cosa fare. L’unica cosa che
gli veniva in mente al momento, era di chiedere aiuto a Mithrandir. Era
l’unico
nel raggio di miglia che potesse capire quella ragazza, e che
probabilmente
potesse aiutarla.
Ma
non fece in tempo ad agire, che alle sue
spalle sentì la porta aprirsi lentamente, accompagnata da
una ventata di aria
gelida proveniente dai corridoi.
Il
capitano girò velocemente su se stesso, pronto
a rimproverare la guardia. Era certo che fosse lui. Era pronto ad
ammonirlo, la
sua espressione si era trasformata improvvisamente, era in collera.
Non
appena fece per aprire bocca, una voce – che
non era quella aspettata – lo precedette.
<<
Vuole sapere dove si
trova…Conserva la
rabbia per un altro momento, Faramir figlio di Denethor…>>
un lungo
bastone precedette l’entrata nella stanza dell’uomo
al quale apparteneva quella
voce <<…adesso
dobbiamo portare via di qui questa creatura…>>
gli
occhi dello stregone si fermarono su Faramir, la solita espressione
comprensiva
e allo stesso tempo severa <<…in fretta…>>
aggiunse infine.
Mithrandir,
‘il grigio pellegrino’, ora divenuto ‘il
bianco’, era proprio lui.
Pensando a quanta fortuna lo aveva appena investito, Faramir si
rigirò verso
Nolwen. Questa era ancora per terra, senza forze, ma stavolta il suo
sguardo
era fisso su Mithrandir. O almeno ci provava.
I
suoi occhi si socchiudevano alla vista della
bianca luce emanata dallo stregone. Era una luce che racchiudeva
purezza e
innocenza, e ai suoi occhi l’effetto era simile
all’acqua fredda versata su
lava incandescente.
Mithrandir
ricambiava lo sguardo della ragazza.
La sua espressione per un attimo lo aveva tradito, rivelando una forte
preoccupazione.
<<
Andiamo…
>> sussurrò Faramir,
avvicinandosi a Nolwen con cautela, tendendole la mano.
La
ragazza la osservò, poi fissò gli occhi di
Faramir, poi Mithrandir e infine di nuovo la mano del capitano. Come
una
creatura impaurita e indifesa, che non comprende quello che le accade
attorno.
Faramir
girò lo sguardo verso Mithrandir, appena
più indietro di lui, fissandolo, cercando di capire cosa
potesse fare.
Ma
prima che lo stregone potesse parlare, Faramir
sentì sfiorare la punta delle sue dita, da qualcosa di
gelido, che lentamente
saliva sulla sua mano, sino a ricoprirne il palmo.
Tornò
velocemente con lo sguardo su Nolwen. Era
la sua mano.
Faramir
la cinse appena con la sua e con
delicatezza la tirò verso di se, per aiutarla ad alzarsi.
Erano pronti per
uscire dalla stanza.
Il
capitano non aveva idea di come Mithrandir
fosse riuscito a oltrepassare la guardia, ma conoscendolo –
almeno in parte –
non se lo chiese più di tanto.
Lo
stregone si affacciò alla porta per
controllare bene che non ci fosse nessuno ad ostacolare il loro
passaggio.
Lanciò uno sguardo infondo al corridoio, e scorse Pipino,
intento a fare la
guardia, che sventolava il braccio segnalando il via libera.
<<Ora!>>
disse Mithrandir, lasciando
passare avanti Faramir e Nolwen, per poi seguirli. Chiuse alle sue
spalle la
porta della stanza, serrandola bene.
Uscendo,
Faramir vide le guardie della Torre, in
piedi ad occhi aperti, ma completamente immobili. Sembrava che il tempo
per
loro si fosse fermato.
Passarono
velocemente attraverso quella stanza e
il corridoio che la precedeva.
Dopo
che Mithrandir ebbe ‘sistemato’ le cose con
le guardie, passò avanti al gruppo, guidandoli attraverso
gli altri corridoi.
Faramir non aveva più idea di dove si trovassero, nonostante
conoscesse bene
quel palazzo. Succedeva tutto così in fretta e con
agitazione, che per un
attimo perse il senso dell’orientamento.
Finalmente
arrivarono davanti ad una porta.
L’attraversarono
e si ritrovarono tutti e quattro
in una stanza.
Erano
fuori dal palazzo reale, e il capitano non
aveva la più pallida idea di come ne fossero usciti.
La
stanza era piccola. Al centro un tavolo in
legno, rotondo, non molto grande. Un camino al centro della parete,
appena più
dietro del tavolo, preceduto da qualche poltrona e un lungo divano.
Sul
lato sinistro v’era un altro piccolo
scomparto, la stanza da letto.
Una
grande finestra chiudeva il tutto, ad arcata,
seguita da un balconcino, non molto grande, ma abbastanza da ospitare
Mithrandir
e Faramir, i quali subito vi si recarono per parlare tranquillamente.
Pipino
rimase con Nolwen.
La
fece accomodare nella stanza da letto,
assicurandosi che stesse al caldo, porgendole ogni sorta di coperta.
Quella
ragazza era così fredda, che non aveva pensato nemmeno per
un attimo potesse
essere fatta proprio così. Pensò solo che avesse
molto freddo, un ragionamento
logico dopo ch’ella era rimasta in quella stanza-prigione
fredda per ore.
Che
dolci gli Hobbit. Erano premurosi sempre e
comunque. Pur non sapendo che qualcosa poteva costituire un pericolo
per loro.
Uscì
dal piccolo scompartimento da letto, senza
porta, e si sedette ad una sedia che affacciava lo sguardo proprio
sulla
stanzetta.
Intanto
Mithrandir e Faramir erano intenti in una
discussione, fuori, sul balconcino, della quale all’interno
della stanza, non
si sentiva la minima parola.
<<
Ogni spiegazione a suo
tempo…>>
disse Mithrandir <<…per
ora devi solo sapere che abbiamo dovuto portarla
via di lì, non solo perché tuo padre avrebbe
potuto farle più male di quello
che già le stava facendo facendola rinchiudere in una stanza
così squallida, ma
anche perché in quella alta torre è facilmente
rintracciabile da…>>
girò
lo sguardo verso nord, verso le nuvole nere in lontananza, verso le
montagne
scure <<…Sauron…>>
concluse.
Faramir
lo guardò interrogativo.
Cosa
c’entrava Sauron con Nolwen? Perché avrebbe
dovuto cercarla? Si conoscevano? E soprattutto, Mithrandir cosa sapeva
di lei
esattamente?
Non
pose nessuna di queste domande.
Da
uomo saggio qual’era, sapeva bene che lo
stregone non avrebbe risposto a nessuna delle sue domande. Gli avrebbe
rivelato
tutto al momento opportuno, quando meglio egli l’avrebbe
ritenuto.
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Capitolo 5 *** Who are you? ***
Capitolo
Cinque – Who
are you?
Era scesa la
notte su Minas Tirith.
Alla luce
della Luna la città assumeva un fascino tutto suo.
Una patina
soffice di luce bianca sembrava avvolgere le mura.
Era buio
tutto attorno. Le stelle erano nascoste da macchie
oscure. Si poteva scorgere solo all’orizzonte una forte tempesta di
luci rosse
e grandi nuvole, ancora più scure della notte, avanzare verso Minas
Tirith.
Nella città
c’era silenzio.
Tutti gli
abitanti erano chiusi nelle loro case.
Nelle
stradine si potevano udire solo i passi lenti delle
guardie a cavallo.
Era strano
pensare che anni a dietro, in tempi più tranquilli e
sereni, in quelle piccole stradine della città, in quelle ore, gli
abitanti fossero
tutti in strada per festeggiare o semplicemente per passeggiare; Minas
Tirith
era illuminata da mille torce, e voci di donne e bambini riempivano
l’aria
della dolce melodia delle loro risate; Il tintinnio di bicchieri che si
scontravano per brindare.
Tutto era
svanito adesso.
Ora che
all’orizzonte una minaccia avanzava incontrastata.
Tra le tante
case addormentate e buie, spiccava un’unica
finestra ancora illuminata dalla fioca luce del camino. In mezzo a
tutto quel
buio era ben visibile, molto in alto rispetto a tutte le altre case. La
vista
dalla finestra di quella casa, affacciava bene su tutta la città e
quasi oltre
le mura, mostrando un panorama surreale, da sogno.
Accostato
alla finestra, un uomo molto alto e dalla lunga barba
bianca, scrutava l’orizzonte con aria pensierosa.
Una lieve
luce rossastra, proveniente dalla pipa che l’uomo
stava fumando, nè svelò lo sguardo: due occhi azzurri, molto chiari, di
cui
alcune piccole rughe ne sottolineavano la saggezza e allo stesso tempo
la
forza.
Seppure
Gandalf avesse dimenticato come si fumava, non si
arrese.
Tossiva ogni
qual volta il fumo arrivava in gola, quasi vicino
ai polmoni.
Ma per quanto
sgradevole fosse la sensazione, gli ricordava
tempi più felici, passati tra i prati della Contea, a volte in
compagnia di
Bilbo, guardando le stelle e ascoltando il dolce suono della natura.
Senza
pensieri così tristi, come la sua mente ora ne era piena.
Senza timore per le persone care.
*Bei tempi…*
pensò, sorridendo appena.
Il suo
sguardo, fisso dritto davanti a se, scrutava oltre le
mura della Città Bianca, oltre le rovine di Osgiliath, sulle montagne
oscure di
Mordor.
Avesse
potuto, avrebbe tramutato i suoi occhi in quelli di un
falco, e avrebbe sorvolato minuziosamente quelle montagne, alla ricerca
di un
segno di vita da soccorrere.
O meglio, due
segni di vita.
Quelli di
Frodo e Sam.
Dei due
giovani hobbit non aveva avuto più notizie da un tempo
ormai troppo lungo da ricordare, eccetto quelle riferitogli da Faramir.
Avrebbe tanto
voluto poterli scorgere da così lontano.
Gandalf
pregava che i due hobbit avessero ancora la forza per
andare avanti, e che nessuno gli facesse del male.
Eppure
confidava in loro. Seppure fossero creature molto
piccole, sapeva bene quanta forza di volontà ci fosse negli hobbit,
come lo
stesso Bilbo Baggins gli aveva dimostrato nel corso degli anni.
In cuor suo,
era preoccupato per entrambi, ed un lieve senso di
colpa lo accompagnava dal giorno in cui si erano dovuti separare,
poiché
avrebbe voluto essere lì con loro fino alla fine.
E nonostante
questo, sapeva bene che c’era un valido motivo per
cui lui ora si trovava a Minas Tirith insieme a Pipino e Faramir, e
tutta la
gente di Minas Tirith, in attesa di una inevitabile guerra.
Ora più che
mai capiva e comprendeva il motivo della sua
presenza lì.
Con l’arrivo
di Nolwen, la strana creatura piovuta dal cielo,
il cerchio iniziava a chiudersi, ogni cosa occupava il suo posto sulla
strada
tracciata dal destino, e tutto cominciava a essere più chiaro.
Da ciò che
Faramir gli aveva raccontato, aveva intuito chi
fosse quella ragazza un po’ strana, spuntata fuori dal nulla, salvando
la vita
del capitano di Gondor.
Ma Gandalf
non aveva ancora osato farne parola con Faramir e
Pipino, né tantomeno aveva costruito un vero e proprio pensiero a
riguardo.
La sua era
una sensazione, ma non di quelle comuni tra gli
uomini. Bensì qualcosa che solo uno stregone come lui poteva percepire
e capire
allo stesso modo.
Nella sua
mente si era risvegliato un ricordo, non meno
importante e legato al destino dell’anello e dell’intera Terra di
Mezzo. E
altrettanto pericoloso quanto quello di distruggere per sempre l’anello
del
potere.
Era
importante adesso per lui, capire quanto la ragazza sapesse
dell’anello, e soprattutto capire bene chi fosse e da dove provenisse.
Al momento
l’unica certezza per Gandalf era che la sua presenza avesse qualcosa a
che fare
con l’anello e con Sauron stesso. Il resto era tutto molto vago nella
sua
mente.
Peccato che
il tempo fosse completamente contro di lui: la
minaccia di Mordor avanzava ormai sempre più veloce, poteva avvertire
la forza
maligna che lentamente scendeva sulla città; e nella stessa Minas
Tirith covava
una minaccia pericolosa e potente, quella del Sovrintendente Denethor,
alla
ricerca della fuggitiva Nolwen, pronto a tutto pur di trovarla.
Stavolta,
Gandalf ne era sicuro, avrebbe avuto le informazioni
che cercava da lei, persino con la forza. Persino sacrificandone la
vita.
Non c’era più
tempo da perdere, ogni prossima mossa avrebbe
dovuto essere cauta ma rapida.
Da grande
stregone qual era Gandalf, sarebbe riuscito
sicuramente a venire a capo delle informazioni di cui necessitava da
Nolwen.
Sperava solo che la ragazza gli avrebbe parlato spontaneamente e con
sincerità.
Prese un
respiro profondo d’aria fresca, come a voler placare
l’inquietudine che ormai regnava comoda nel suo animo.
I suoi lunghi
capelli bianchi e la barba ondeggiavano con
leggiadria al passaggio del vento. Era tutto così tranquillo a Minas
Tirith.
Fin troppo per i suoi gusti.
E infatti si
trattava di una finta-calma, il silenzio che di
solito precedeva un grande boato.
Un rumore di
zoccoli di cavallo attirò l’attenzione di Gandalf.
Rivolse lo
sguardo in basso, verso la strada.
Un uomo a
cavallo avanzava lentamente nella quiete della città,
guardandosi attorno con circospezione.
Il suo volto
era coperto dal cappuccio del lungo mantello,
posato sulle sue spalle. Su di esso era ricamato l’albero bianco di
Minas
Tirith.
*Faramir..*.
Il suo
incedere lento e silenzioso, gli suggeriva che fosse
accaduto qualcosa e non era neanche tanto difficile immaginare con
chi...
Faramir era
di ritorno dalla Sala del Trono, da una consultazione
con sire Denethor.
Era stato
convocato da lui a corte, con urgenza.
Facile era
anche immaginarne il motivo: la prigioniera era
scappata e l'ultimo visto in sua compagnia, e peggio ancora ad aprire
la porta
della cella, era stato proprio Faramir.
E adesso era
di ritorno da quel 'colloquio' durato ore.
Gandalf non
se ne era reso conto ma, in effetti, era passato un
bel po’ di tempo da quando il capitano era andato via quel pomeriggio.
Si guardò
attorno quasi d'istinto, per vedere se qualcuno lo
avesse seguito.
Probabilmente
era per questo che Faramir procedeva lento e
cauto.
Se l’avessero
pedinato fin lì, avrebbero trovato quello che
Denethor cercava: Nolwen.
Il Capitano
fermò il cavallo a pochi passi dall’abitazione in
cui vi erano Gandalf, Pipino e Nolwen. Un ultimo sguardo attorno e
scese dalla
sella. Diede qualche carezza al cavallo e poi si girò per entrare in
casa, disinvolto.
Sembrava che
nessuno lo avesse seguito.
Una volta
entrato, Gandalf si fece avanti, invitando il
capitano ad accomodarsi a una delle sedie lì vicine.
<< No,
grazie Mithrandir… >> disse Faramir,
alzando la mano, fermando la cortesia dello stregone << …Ho
cavalcato
per ore prima di arrivare qui, per timore di essere seguito, e prima
ancora
sono rimasto seduto nella Sala del Trono per tutto il tempo del
colloquio con
mio padre…Ora l’ultima cosa che voglio è sedermi… >> Sorrise, anche se con molta fatica. C’era ben
poco da ridere ormai di tutta la situazione.
<< Io
invece mi accomodo. Per tutto il tuo tempo a
cavallo e al colloquio con tuo padre, non sono riuscito a restare
seduto…
>> aggiunse Gandalf, trasformando il faticoso sorriso di Faramir
in un
vero sorriso.
Poggiando le
mani sulla spalliera della sedia di fronte a
quella di Gandalf, Faramir si sporse appena a sinistra, cercando di
sbirciare
nella stanza affianco.
<< Lei
come sta? E’ sveglia? Le posso parlare?..
>> continuava a tenere lo sguardo sulla stanza.
Gandalf girò
appena la testa, verso la camera << Riposa
ancora. Non so se sia il caso di svegliarla... >> Il suo
tono di voce
era diminuito, quasi avesse paura di svegliare la ragazza << Aveva
delle notevoli ferite su gran parte del corpo. Le ho curate meglio che
potessi,
ma sembrano ferite che non spariranno così facilmente. >>
Spostò lo
sguardo verso Faramir.
E così fece
anche il capitano, incuriosito dalle parole di
Gandalf.
<< Deve
avere sofferto molto, sarebbe meglio se
riposasse più che può. Anche se, io personalmente vorrei rivolgerle
alcune
domande molto importanti. E il tempo scarseggia. Ma come dicevo, per
ora è
meglio aspettare.>>
Faramir annuì
lentamente. Capiva quello che voleva dire
Gandalf, neanche lui avrebbe avuto il coraggio di disturbare il sonno
di
Nolwen. Certo avrebbe tanto voluto saperne di più su di lei, capire chi
fosse,
da dove venisse, come si chiamasse…
<< Adesso puoi
dirmi cosa c’entra Sauron con… lei?
>> chiese a Gandalf, ricordandosi di una frase che
egli stesso
aveva detto quel pomeriggio, riferito a Sauron e ad un pericolo che
rappresentava.
Gandalf non
si aspettava quella domanda, attese un po’ prima di
rispondergli, sapendo che doveva pesare bene ogni parola, perché poteva
essere
frainteso.
<< Ho
il sospetto che Sauron abbia un qualche legame
con questa ragazza. Ora non so spiegarti il perché, ma c’è qualcosa
nella mia
mente, un ricordo lontano… qualcosa sussurrato al mio orecchio quando
non ero
ancora qui…>> i pensieri nella sua mente ripresero a
marciare,
cercando di ricordare quando e dove, ma era praticamente impossibile.
Era come
voler ricordare il momento della propria nascita, e i primi anni di
vita… impossibile.
Tornò a
fissare Faramir, e gli sorrise confortante.
<< Forse
mi sbaglio, ed è una normalissima ragazza con
un grande coraggio e una notevole forza.>>
Ma entrambi
non potevano fare a meno di pensare che aveva
salvato la vita di Faramir, lottando contro un gruppo di orchi.
Una qualsiasi
ragazza avrebbe potuto si avere il coraggio di
restare e combattere, ma le probabilità di sopravvivere non sarebbero
esistite.
Doveva a
tutti i costi esserci qualcosa di particolare in
Nolwen.
La forza
sorprendente era solo uno degli interrogativi
inspiegabili.
<< Ha
parlato in elfico quando eravamo nella
cella.>> disse Faramir <<In un primo momento non
avevo
capito, ma dopo un pò dal suono l’ho riconosciuto. Era elfico, ne sono
sicuro…>>
Gandalf annuì
<< Si, era elfico. Ti aveva chiesto di
dirle dove si trovava. L’ho sentito… >>
<< Ma…>>
Faramir esitò << …non ha
le sembianze di un elfo. Non ne ho mai visti in carne e ossa, so solo
quello
che narrano le nostre storie, e ricordo come li descrivono. E lei…l’hai
vista
anche tu Mithrandir, non sembra affatto un elfo. In più ha quelle ali
nere…
come quelle di un drago.>>
<<
No, hai ragione…>> rispose Gandalf
<< …tuttavia ha parlato in elfico
antico, e non è una lingua usata da chiunque.>>
Più i due
cercavano risposte alle loro domande, ragionando tra
loro sulle varie eventualità, più non riuscivano a venire a capo di chi
e cosa
fosse quella ragazza.
Alla fine,
Faramir si sedette, volgendo lo sguardo verso la
camera dove riposava la loro ospite.
Pipino si era
addormentato su di una panca ai piedi del letto
dove dormiva Nolwen, imbottita di coperte per rendere soffice come un
materasso
il ripiano.
A vederli
sembrava quasi che il piccolo hobbit fosse lì di
guardia.
Aveva un
espressione beata mentre dormiva. Strano come
riuscisse a dormire così tranquillo, mentre fuori incombeva una guerra,
e
peggio ancora la distruzione dell’intera umanità.
Non che
questo facesse dell’hobbit un essere superficiale, ma
più che altro incorreggibile.
La giovane
ragazza invece, sembrava avere un sonno piuttosto
agitato. Si girava e rigirava nel letto in continuazione, a volte aveva
dei
piccoli scatti, rimbalzando sul letto come se vi fosse caduta sopra da
metri di
altezza.
Era
profondamente addormentata, ma la sua mente anziché
riposare, era tormentata dalla voce di Sauron che le parlava in
continuazione.
<< Sei
andata via da me. Tu sei mia, il tuo posto è al
mio fianco, la tua casa è qui. Nessuno ti vorrà con se, dovunque
andrai, perché
appartieni a entrambi e nessuno dei figli di Eru. Verrò a
prenderti!>>
Con questa
frase che rimbombava nelle sue orecchie, Nolwen si
svegliò ancora una volta di soprassalto. Sedette sul letto, guardandosi
attorno
spaesata.
Per un attimo
non ricordava come fosse arrivata lì.
I suoi occhi
chiarissimi scrutarono la stanza per ogni
centimetro, e le sue orecchie erano pronte ad udire un qualsiasi rumore
che
potesse darle un orientamento.
Lentamente
cominciò a collegare gli avvenimenti, e a ricordare.
Avvicinò le
mani al viso, coprendo gli occhi.
Quella voce
nella sua mente era un vero tormento.
La sua testa
non ne poteva più, sentiva che era sul punto di
esplodere.
Con gli occhi
chiusi spostò le mani verso le tempie,
massaggiando con movimenti circolari la testa.
Una specie di
meditazione, per
placare il dolore e riprendere il controllo di se stessa.
Per quanto
tempo fosse rimasta immobile in quella meditazione,
non si sa.
Tuttavia
alzando lo sguardo verso la porta, dove Gandalf e Faramir
esitavano, Nolwen intuì che le era sfuggito il controllo, lasciando che
la
meditazione durasse più del previsto.
Rimase a
fissare i due per un bel po’, in silenzio.
Non si
muoveva; il suo sguardo non lasciava trasparire la
minima emozione.
<<Ben
svegliata…>> Gandalf e Faramir, erano
fermi vicino alla porta della camera. Fissavano la ragazza.
Nolwen non
aveva avvertito la loro presenza prima di quel
momento, cosa che di solito non succedeva dato che ogni suo senso era
perfetto,
e niente poteva avvicinarsi a lei senza che se ne accorgesse.
Mentre
meditava queste capacità diminuivano.
Non disse
nulla inizialmente. Alzò lo sguardo e spostò le mani
dalle tempie, tornando a posarle sul letto su cui era seduta.
Fissò i due
volti: prima quello di Gandalf, in cui riconobbe
qualcuno di cui Sauron le aveva parlato.
Non era
certissima che si trattasse di lui.
Se fosse
stato lui, lo stregone che voleva eliminare l’intero
mondo che le apparteneva, avrebbe dovuto prendere in fretta una
decisione ed
agire.
Non essendo
sicura però che si trattasse proprio di lui, decise
di prendersi del tempo e analizzare bene la situazione.
Poi spostò lo
sguardo su Faramir.
Il capitano
aveva catturato la sua attenzione sin dal giorno
prima, riuscendo a incuriosirla. Le era difficile distogliere lo
sguardo da
quell’uomo. Forse perché non ne aveva mai visti da così vicino, ed
erano a suo
parere strani quanto affascinanti quelle ‘creature’.
Inoltre lui e
la sua razza erano quelli che più si avvicinavano
al suo aspetto fisico, facendola sentire parte di qualcosa.
Ancora meno
facile era distrarsi da lui, ora che si fidava un
po’ di più.
Ricordava che
era stato grazie a quell’uomo se era uscita da
quella stanza gelida.
Ricordava la
sua mano tesa.
Un semplice
gesto, che le aveva trasmesso un grande senso di
sicurezza. La stessa che adesso provava attraverso il suo sguardo.
Faramir,
anche lui, non poteva fare a meno di fissare con una
certa attenzione la ragazza. C’erano così tante cose che non sapeva di
lei, e
le poche cose che aveva potuto vedere erano talmente fuori
dall’ordinario, da
non poter fare altro che aumentare la voglia di parlarle e conoscerla.
Gli fu
difficile trattenere tutte le domande che voleva porre.
<< Capisci
quello che dico?>> disse in
elfico Gandalf, distogliendo l’attenzione di Nolwen da Faramir.
Lo fissò per
un attimo.
<< Si…
stregone…>> rispose Nolwen, - sempre
in elfico- con un pizzico di durezza nella sua voce, e guardandolo con
uno
sguardo investigativo.
Quel
nomignolo lo disse di proposito, cercando una reazione
nell’uomo.
Era chiaro che non si fidava molto di Gandalf.
La sua mente
era stata riempita per anni dalle menzogne di Sauron,
riguardo uno stregone molto potente e tutti gli abitanti della Terra di
Mezzo.
Bugie che per lei potevano essere verità e viceversa.
Ed era
proprio perché non sapeva quanto ci fosse di vero in
quello che le era stato detto che si trovava lì adesso, e rischiava la
sua
vita.
Il dubbio le
era nato nel cuore un giorno di autunno, qualche
mese prima.
Si trovava in
perlustrazione con un gruppo di orchi, alla
ricerca dell’unico anello, dopo una soffiata da parte di uno dei tanti
servi di
Sauron, e furono colti di sorpresa.
Un agguato
degli elfi, in cui molti morirono, tra orchi ed
elfi.
Stava
combattendo con la spada contro uno di loro, aveva
l’armatura addosso compresa di elmo che le copriva il volto lasciando
visibili
solo le labbra e il mento, era difficile riconoscere il suo vero
aspetto -
anche perché sporca di terriccio e con qualche graffio - decisamente
diverso da
quello di un orco.
Durante il
combattimento il suo elmo venne colpito violentemente
dallo scudo del suo avversaio.
Si ruppe per
metà, ed essendo di metallo, per evitare di farsi
più male di quanto giù se n’era fatta, lo sfilò via velocemente,
gettandolo per
terra.
L’elfo di
fronte a lei, preso dallo stupore, perse la
concentrazione e fu ferito.
Nolwen rimase
ferma dinanzi a lui, puntandolo con la spada, in
attesa del da farsi, incerta se fosse giusto o meno mettere fine alla sua
vita.
Quello fu il
primo segno che qualcosa non andava bene.
Non si era
mai tirata indietro davanti al nemico.
Ma
quell’elfo… il modo in cui l’aveva guardata dal momento in cui
aveva svelato il suo volto…
Era davvero
stupito di quello che aveva visto.
Poteva
leggere sul suo volto le domande e lo stupore.
Era per
quello che Sauron le aveva sempre raccomandato di
tenere l’elmo davanti ai nemici?
La spada le
cadde dalle mani.
Si sentiva
come mai in vita sua, agitata e senza sicurezze,
completamente sperduta. Il volto di quell’elfo, la sensazione di bontà
che
emanava, la fierezza, la giustizia erano tutte cose a cui non aveva mai
fatto
caso in tutti quegli anni. Non aveva occhi rossi e desiderosi di
vendetta come
tutte le creature che l’avevano sempre circondata. I suoi occhi,
limpidi e chiari,
cercavano solo pace. Lo avvertiva.
E la luce
bianca da cui sembrava avvolto ne evidenziava ancora
di più le qualità buone e giuste.
Fece qualche
passo indietro, allontanandosi dall’elfo che
continuava a guardarla sgomento.
Era sicuro
che non si trattasse di un orco o di una magia, perché
se così fosse stato lui sarebbe già morto. Nessun orco o servo di
Sauron
avrebbe mai esitato.
<< Chi sei? >>
le chiese sconvolto.
<< Cosa ci fai con
questi orchi? Perché combatti contro di noi? >>
Sul viso di
Nolwen caddero alcune lacrime di cui non si
accorse, troppo terrorizzata.
E mentre
cercava di allontanarsi il più possibile da lì,
lottando con se stessa visto che una parte di lei voleva restare e
capire perché
quell’elfo le faceva quelle strane domande, un orco si avvicinò
correndo alle
sue spalle, impugnando un grande martello di metallo.
Nolwen si
sentiva disorientata per spostarsi, restò ferma ad attendere
che quell’essere si avvicinasse.
Il suo
obbiettivo era l’elfo.
Rimase a
guardare tutta la scena dall’inizio alla fine.
L’elfo non
parlava, non chiese pietà, non chiese aiuto nemmeno
a lei, anche se Nolwen poteva leggere nel suo sguardo una richiesta di
aiuto.
Ancora le
domande dell’elfo le frullavano nella mente.
Era strano come fosse riuscito in pochi attimi a disorientarla.
La verità era
che quelle domande se l’era poste anche lei, più
volte. Ma vedendo che nessuno attorno faceva lo stesso o avesse
risposte, non
aveva mai approfondito.
Improvvisamente
sfilò dalla cintura un coltello dall’aspetto
elegante, somigliava ad uno di quelli elfici, fece un piccolo giro su
se stessa
e trafisse con forza sul fianco l’orco che era ormai giunto davanti
all’elfo,
pronto per ucciderlo.
L’orco rimase
un attimo pietrificato, emanò un forte urlo di
dolore, guardando con stupore fisso negli occhi Nolwen.
Dopotutto era
il suo capitano.
Dall’armatura
squarciata dell’orco iniziò ad uscire rapidamente
del sangue nero. Dopo pochi istanti, il corpo in fin di vita cadde
violentemente per terra, portando con se il pugnale di Nolwen.
L’elfo,
ancora disteso per terra, rimase immobile ad osservare
la scena.
Nolwen,
anch’essa completamente ferma, abbassò lo sguardo verso
le sue mani ricoperte di sangue.
Si sentiva
terrorizzata, forse per la prima volta in vita sua.
Sbarrò gli
occhi, ormai lacrimanti.
Aveva ucciso
uno dei soldati sotto il suo comando, per
risparmiare la vita di un elfo.
Girò lo
sguardo verso di lui.
Lo guardò
impaurita, cercando una parola di conforto, un
qualcosa che potesse spiegare cosa fosse accaduto.
Ma prima che
l’elfo potesse dire qualcosa, un forte suono
proveniente dal corno degli orchi, riecheggiò nell’aria attorno a loro.
Istintivamente
Nolwen aprì le ali e si alzò in volo.
Non voleva
restare lì neanche un minuto di più. Era troppo
terrorizzata.
Tenne sempre
lo sguardo sull’elfo mentre si alzava sempre di
più nel cielo, finchè non lo vide più.
Da quel
giorno il dubbio si era insinuato tra i suoi pensieri.
Tornò con la
mente al presente.
Gandal e
Faramir la guardavano ancora, in attesa di una sua
parola.
Intanto
Pipino si era svegliato. Anche lui la guardava, solo
che il suo sguardo era più rilassato.
Sembrava
volesse sorriderle.
<< Mi conosci
dunque? Sai chi sono? >> chiese d’un tratto Gandalf,
incuriosito dal
modo in cui l’aveva chiamato qualche istante prima la ragazza.
Lei annuì.
<< Credo di si,
Olòrin… >>
I due si
guardarono, entrambi stupiti.
Nolwen stessa
non sapeve bene perché lo aveva chiamato con quel
nome.
Gandalf era
visibilmente colpito. Quel nome non era usato da
anni. Solo in Valinor si era sentito nominare.
Questo crebbe
ancora di più la curiosità verso di lei da parte
dello stregone.
E lo stesso
accadde a Nolwen verso se stessa.
Sembrava
conoscesse cose di cui non sapeva nulla. Come fossero
racchiuse nel profondo del suo animo.
La reazione
di Gandalf le aveva confermato che poteva trattarsi
proprio di lui.
Faramir,
osservando entrambi, cercava di capire cose stesse
succedendo.
Dal momento
in cui la ragazza aveva pronunciato quel nome,
Gandalf era rimasto in silenzio, visibilmente confuso per poter parlare
ancora.
Il capitano e
Pipino si scambiarono un’occhiata interrogativa.
Nessuno dei due capiva cosa stava a significare quel nome.
<< Il tuo nome
invece qual è? >> la voce piccola e serena di Pipino
interruppe il
silenzio che aveva riempito la stanza. Usava il linguaggio corrente,
quello che
tutti parlavano e potevano capire. Probabilmente pensando che lei lo
capisse.
<< Io sono
Peregrino Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino. >> continuò l’hobbit,
indicando se stesso.
<<
Lui è
il capitano Faramir… penso vi conosciate già… >> facendo un cenno
col capo verso il capitano, Pipino andava
avanti con le presentazioni.
Alla fine
arrivò il turno di Gandalf.
Ma prima che
potesse parlare, Nolwen lo interruppe.
<< Nolwen… >>
indicò se stessa.
Pur non
capendo appieno il linguaggio degli uomini, aveva
capito quello che stava dicendo Pipino, anche attraverso il linguaggio
dei
gesti.
Gandalf parve
riprendersi dal suo stato di trance in cui si era
rinchiuso pensando alla ragazza.
Guardò Nolwen
ancora una volta. Il suo nome non gli era
familiare.
Questo era il motivo per cui si sentiva leggermente infastidito. Lei
pareva
conoscere tutto di lui. E lui, per quanto si sforzasse, ancora non
ricordava
niente di lei.
In realtà non
sapeva che neanche lei infondo sapeva poi tanto,
ed era ancora in dubbio su Gandalf.
Ogni
informazione ricevuta sino a quel momento, le diceva che
era proprio lui lo stregone di cui Sauron le aveva sempre parlato.
Eppure
cercava di nascondere a se stessa questa realtà.
L’aspetto
candido e i modi gentili di Gandalf, le rendevano
difficile credere che potesse essere un mostro.
Qualcosa che
diede di nuovo da pensare a Nolwen, sulla
veridicità delle parole di Sauron.
Gandalf
chiese scusa, e si ritirò nella stanzetta accanto,
sedendosi davanti al camino, più pensieroso che mai.
Non era
pronto per sapere tutto riguardo Nolwen. Doveva cercare
di farsene una ragione. Al momento opportuno, era sicuro, avrebbe
ricordato.
<<
Nolwen… bel nome! >> rispose Pipino.
<<
Sembra elfico… >> continuò, guardando Faramir.
Improvvisamente
si sentì un brontolio nella stanza.
Faramir e
Nolwen si voltarono verso Pipino.
Era il suo
stomaco.
<< Ehm,
chiedo scusa. Credo che adesso farò uno spuntino…
>> disse dirigendosi verso le borse posate vicino al tavolo in
legno.
Dentro v’era una piccola parte di provviste.
Erano troppe
ore che Pipino non toccava cibo. Era affamato.
Rimasero solo
Nolwen e Faramir in quella stanza.
Il capitano
non voleva andare via e lasciarla sola. Non voleva
neanche farle domande.
Non in quel
momento.
Adesso sapeva
il suo nome, e tanto gli bastava.
E poi era
sicuro che mille domande l’avrebbero indispettita.
Nolwen si
girò sul letto, mettendo i piedi sul pavimento. La
superficie era persino più calda rispetto ai suoi piedi freddi. Ma non
li
ritirò su.
Voleva
gustare quel contatto tra la sua pelle ed il pavimento
in marmo fino alla fine.
Osservò i
suoi piedi e le sue gambe. Li avevi usati di più
nelle due giornate precedenti, che in tutta la sua vita.
Faramir si
avvicinò e sedette sul letto, accanto a lei.
Nolwen
distolse lo sguardo da terra, spostandolo sul capitano.
Eccoli lì, di
nuovo… i suoi occhi. Il suo sguardo era riuscito
di nuovo ad attirarla.
Lo stesso
succedeva a Faramir.
Questi, per
un attimo, esitò, distogliendo lo sguardo da quello
di Nolwen e ripensando alle parole del padre e di Gandalf.
Se era vero
che Nolwen aveva un legame con Sauron, era
probabile che avesse qualche potere simile a quello dell’anello? Un
potere che
attirava in modo indescrivibile chiunque si avvicinasse troppo e tirava
fuori
la parte malvagia di una persona?
Tornò con lo
sguardo su quello della ragazza.
Lei era
ancora lì che lo fissava. I suoi occhi sembravano così
innocenti, come l’espressione sul suo viso.
Niente dava a
vedere che potesse essere un arma del male.
Eppure lui
aveva visto di cosa era capace.
Pensandoci
bene, se era davvero un’arma di Sauron, era
perfetta.
Nessuno
avrebbe sospettato di lei, così minuta, palesemente
debole. Avrebbe potuto sorprendere tutti, sterminandoli con semplicità.
Eppure, più
la guardava, più questi suoi sospetti – fondati,
con tanto di prove - non riuscivano a trovare appiglio.
Tutto quello
che gli suscitava era un grande senso di
protezione.
Desiderava
proteggerla, anche se non sapeva bene da cosa.
Sollevò una
mano, portandola vicino al viso di Nolwen.
Lei ebbe un
piccolo scatto indietro, non riuscendo a capire
quel gesto. Ma poi, rassicurata dallo sguardo di Faramir e dal suo
sorriso, si
rilassò.
La mano del
capitano si fermò accanto alla sua guancia.
L’accarezzò
con la parte esterna della mano, con quattro dita,
sfiorando appena la sua fredda pelle con dolcezza.
Era la prima
volta che Nolwen riceveva un gesto simile.
Non sapeva
cosa pensarne. Ma le piaceva.
Sentì il suo
viso riscaldarsi, proprio nel punto in cui Faramir
l’aveva accarezzata.
Anche questo
era la prima volta che succedeva.
Socchiuse gli
occhi, assaporando quella sensazione, lasciandosi
trasportare da pensieri affettuosi, a lei del tutto sconosciuti.
Per la prima
volta si sentiva libera, fluttuante, quasi al
sicuro.
Il capitano
continuò ad osservarla. Era di una bellezza unica.
Si chiese
perché non potesse essere proprio quello il motivo
per cui ne era così attratto.
Si chiese
anche come avrebbe potuto una creatura così bella
essere legata a Sauron.
Ma lasciò le
risposte a quelle domande ad un altro momento.
Ora tutto
quello che voleva era riposare la mente e il corpo.
Erano stati due giorni sfiancanti.
Abbassò la
mano e si stiracchiò appena con la schiena.
Nolwen riaprì
gli occhi lentamente.
La fine di
quel contatto l’aveva riportata nuovamente alla
realtà.
Guardò
Faramir. Il suo viso era nascosto in parte dai capelli
castani che gli ricadevano in avanti, ma aveva notato che era stanco o
comunque
molto affaticato.
Esitando più
volte con la mano, cercò di ricambiare quel gesto,
quella carezza.
Pensava che
se aveva fatto sentire lei così leggera e al sicuro
, avrebbe potuto trasmettere la stessa sensazione a lui.
Ma la sua
mano si fermava sempre a metà percorso.
Aveva timore.
Una delle pochissime volte in vita sua in cui
aveva timore di qualcosa.
Faramir aveva
notato tutti i suoi movimenti, e aveva iniziato a
ridere, divertito dalla sua indecisione.
Prima che
Nolwen mettesse giù la mano arrendendosi, lui l’afferrò
con sicurezza, con la sua mano.
La strinse
appena.
La ragazza ebbe un piccolo sobbalzo. Adesso lo guardava incuriosita.
Ancora una
volta, la mano di Nolwen fu avvolta dal calore della
pelle del capitano.
Attirò piano
la mano della ragazza verso di lui, avvicinandola
al suo viso, alla sua guancia, in modo che le dita di Nolwen la
sfiorassero.
Ripete
l’azione, dall’alto al basso, per due volte, molto
lentamente.
Alla terza,
lasciò la sua mano.
Nolwen
continuò da sola ad accarezzargli la guancia.
Sentiva la
leggera sensazione di ruvido dovuta alla barba di
Faramir. Tuttavia la sua pelle era soffice.
Dopo un po’,
Faramir riportò la sua mano su quella di Nolwen.
La fermò sulla sua guancia, mentre l’accarezzava. Si sentiva già un po’
più
sollevato.
Girando lo
sguardo verso di lei, le sorrise.
<< Hai l’aria di
una persona che non ha mai ricevuto una carezza… >> le disse.
Sapeva che
non capiva bene, ma non importava, perché sapeva
anche che in qualche modo riusciva a comprendere.
E difatti
Nolwen capì cosa voleva dirle.
Cercò di
sorridere, come aveva fatto il giorno prima, e fece un
piccolo cenno con la testa, annuendo alla sua affermazione.
<< Hantale (Grazie)
>> le disse Faramir, per averlo salvato il giorno prima.
All’improvviso
Nolwen si trasse indietro, liberandosi la mano dalla
presa di Faramir.
Si guardò
attorno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione,
un suono molto sottile. Percettibile solo da orecchie molto sensibili.
Si alzò in
piedi, seguita da Faramir, il quale non riusciva a
capire cosa le stesse succedendo.
<< Cosa c’è…?
>> le chiese, ma senza risposta.
Gandalf e
Pipino li raggiunsero nella stanza, dopo aver sentito
la voce del capitano e dopo aver visto gli strani movimenti della
ragazza.
Finchè una
voce imponente invase l’intera stanza, facendo
tremare tutto, muri e pavimenti compresi.
<< Torna da me!
>> era il linguaggio oscuro di Mordor.
Solo udirlo
era un male per le orecchie.
Pipino e
Faramir si coprirono le orecchie, completamente
infastiditi da quella voce.
Era come se
le loro orecchie fossero state pervase da un suono
troppo forte.
Gandalf
resistette, e guardò la reazione di Nolwen.
Lei si era
avvicinata alla finestra, guardando fuori. Non sembrava
spaventata.
Era chiaro
che capiva quello che era stato detto.
Anche Gandalf
si affacciò alla finestra, e vide che fuori per
le strade della città buia, era uscita la metà delle persone, dalle
loro case.
Quella voce
doveva aver scosso l’intera città, e dovevano
averla udita tutti.
Le persone
erano spaventate, cercavano informazioni l’uno dall’altro
riguardo quello che era successo. Nessuno però poteva dare risposte
certe,
tutti ipotizzavano ad un attacco da parte di Mordor.
Non sarebbe
stato niente di cui preoccuparsi se di lì a poco
non fossero arrivate le guardie di Minas Tirith.
Si dirigevano
proprio verso l’abitazione in cui si trovavano
Gandalf, Pipino, Faramir e Nolwen.
Denethor
probabilmente aveva di nuovo fatto uso del Palantir.
Lo stregone
si voltò velocemente verso Nolwen e posò le sue
grandi mani sulle spalle della ragazza.
<< Devi dirmi tutto
adesso! Prima che le guardie ci raggiungano e ti portino via. Chi sei
tu?!?
>>
Alla fine
aveva alzato troppo la voce.
Nolwen era
rimasta a fissarlo. Così come Faramir e Pipino.
Lei ancora
non parlava, guardava fuori e poi si rigirava verso
Gandalf.
Alla fine
riprese il controllo di se stessa.
Portò le mani
su quelle di Gandalf, le strinse forte,
facendogli male, e le spostò.
<< Mankoi lle irma sint? (Cosa desideri sapere?)
>> gli chiese, con un
tono serio e altezzoso.
<< Im Nolwen (Io sono Nolwen)… Avo ista man im (Non so chi sono)
>> lo
sguardo di Nolwen si fece più triste e la voce meno altezzosa, era
adesso un po’
tremolante.
Era sincera.
Non sapeva
più chi era.
A quale
popolo apparteneva.
Dov’era la
sua casa.
Fidarsi di
quell’uomo, quello
stregone, poteva essere un grande rischio se quello che Sauron le aveva
detto
era vero.
Se non fosse
stato vero però non
sarebbe cambiato poi tanto. Sapere che lei era una creatura di Sauron
l’avrebbe
fatto insospettire e probabilmente l’avrebbe rinchiusa di nuovo in
quella
stanza.
Se adesso era
lì, in tutti i confort
di quella stanza, lo doveva al fatto di aver salvato Faramir.
Guardò un
ultima volta il capitano.
Si
scambiarono entrambi uno sguardo
pieno di domande.
Poi tornò a
guardare Gandalf. Lasciò
le sue mani.
<< Io sa gad nin (Fa che mi prendano) >> disse
Nolwen, tornando
ad assumere un atteggiamento coraggioso e fiero.
Gandalf la
scrutò confuso per un po’.
Alle mille
domande che si poneva su
di lei, se ne aggiunsero altre mille.
Quella
creatura non era lì per
distruggerli. Almeno questo gli fu finalmente chiaro.
Lo capì dallo
sguardo della ragazza
di poco prima. Aveva visto la sua debolezza. Era forte fisicamente, ma
la sua
mente era fragile.
Aveva bisogno
anche lei di risposte
probabilmente.
<< Aprite questa porta, in nome del Sovrintendente di Gondor!
>>
due colpi alla porta e dopo quella voce si udirono a pochi passi da
dov’erano
loro.
Faramir e
Gandalf si guardarono.
Senza che dicessero nulla, si spostarono per la casa, in silenzio,
raccogliendo
le borse e sistemando le robe in modo che nessuno sospettasse di nulla.
<< Dartha lle ennas. Nauth nin. (Resta lì. Ci penso io.)
>> disse
Gandalf a Nolwen, parlando sottovoce.
La ragazza
rimase senza parole,
insicura.
Sedette di
nuovo al letto, tirando
verso di se le lenzuola.
Gandalf
lasciò la stanza, chiuse la
porta dietro di se e sedette ad una delle sedie che erano attorno al
tavolo.
Faramir e Pipino erano anch’essi lì seduti.
Il piccolo hobbit si alzò per
avvicinarsi alla porta. L’aprì.
Un soldato
alto e robusto fece qualche
passo in avanti nella stanza, scostando con maleducazione il piccolo
mezz’uomo,
senza nemmeno chiedere se potesse entrare.
Quando vide
che lì v’era anche il
capitano Faramir, lasciò quell’aria altezzosa e fece il suo saluto
militare.
<< Cosa succede qui? >>
chiese subito Faramir.
<< Signore, ci manda il
Sovrintendente. Dice che qui dentro si nasconde la fuggitiva, signore.
>>
il soldato restò sull’attenti. Alle sue spalle si aggiunsero altri due
soldati.
Fuori dalla
porta ce n’erano di
sicuro altri due.
<< Qui ci siamo solo noi tre…
>> disse con fermezza Faramir.
Il soldato
che aveva parlato, lanciò
uno sguardo alla porta della stanzetta affianco. Ma non osò parlare.
Scambiò
un’occhiata con il suo
compagno, al suo fianco, e tornò con lo sguardo sul capitano.
<< Dobbiamo controllare quella
stanza signore… >> indicò la porta << …è un ordine del Sovrintendente.
Lui… sapeva che lei era qui. Mi ha autorizzato ad ignorare i suoi
ordini.
>>
Era
palesemente a disagio in quella
situazione. Dover disobbedire agli ordini del suo capitano, era
qualcosa che
non avrebbe mai immaginato di poter fare. Tuttavia rispondeva anche
agli ordini
del Sovrintendente.
Faramir non
osò girare lo sguardo
verso Gandalf, il quale rimase immobile.
Non sapeva
cosa fare, se avesse fatto
una minima mossa, avrebbe dato a vedere che nascondevano qualcosa.
<< Fate pure… >> rispose
Gandalf, sotto lo stupore di tutti, compresi Faramir e Pipino.
<< Se avete da perdere del
tempo, prego… qui non c’è nessuno oltre noi tre. >>
Invitò con la
mano i soldati ad
entrare nella stanza.
Faramir non
osava muovere un muscolo.
Ma non appena il soldato mise la mano sulla maniglia della porta,
lanciò a
Gandalf uno sguardo interrogativo.
Di rimando,
lo stregone gli rispose
sorridendo sereno. Era tutto sotto controllo.
La porta fu
aperta violentemente dal
soldato, avvisato della forza della fuggitiva. Fece qualche passo in
avanti.
Nella stanza
vi erano una candela
mezza usata, ancora accesa, un letto sfatto, mobili in legno e una
finestra
aperta.
Nessuna
traccia di Nolwen.
Prima di
tornare nella stanza
antecedente, il soldato diede un ultima occhiata attorno, persino sotto
il
letto. Ma nulla ancora.
<< Chiedo scusa per l’intrusione signore. Riferirò a sire
Denethor che…
>>
<< …si sbagliava! >> disse severo Faramir.
Accompagnò i
soldati alla porta, con
gentilezza e poi la richiuse dietro di se.
Non ce
l’aveva con loro, infondo
erano solo uomini che eseguivano degli ordini. Non era nulla di
personale.
Si allontanò
velocemente dalla porta,
per andare nella stanza.
Nolwen non
c’era davvero più.
Gandalf e
Pipino si avvicinarono.
Lo stregone
non sembrava stupito, e
Faramir gli chiese il perché.
<< E’ una creatura intelligente. Ha sentito che stavano per
entrare e se
avessimo cercato di ostacolarli ci avrebbero bloccati e sarebbero
entrati
comunque. Con la sola differenza che adesso non staremo qui a farci
domande. Dev’essere
uscita dalla finestra. Ma tornerà, stanne certo. E’ ancora troppo
debole e poi
adesso… ha soltanto noi.>>
Nonostante la
spiegazione, Faramir era preoccupato.
Guardò fuori
dalla finestra, mentre
teneva in mano il lenzuolo sotto il quale Nolwen s’era addormentata il
pomeriggio.
In cuor suo,
sperava che tornasse
presto.
#Nda: Salve! E' passato un bel pò di tempo da quanto ho iniziato
a scrivere questa storia. Precisamente sono quasi due anni. Dopo varii
problemi e dubbi, ho deciso di tornare a dedicarmi alla mia fanfiction
lasciata a metà. Penso si possa notare una notevole differenza rispetto
alle prime stesure, dovuta alle mie esperienze, alla crescita emotiva e
professionale. Spero non crei confusione nella lettura, ma ne dubito.
Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che possa ancora piacere il mio
lavoro. Altrimenti continuerò comunque per la mia strada, infondo sono
affezionata a questa storia e voglio darle una fine.
Buona lettura e grazie per aver letto.
Namarie!#
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