Son of the Evil

di Keaira Elenath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rained by the Sky ***
Capitolo 2: *** A strange interest ***
Capitolo 3: *** Worries and Duties ***
Capitolo 4: *** The Escape ***
Capitolo 5: *** Who are you? ***



Capitolo 1
*** Rained by the Sky ***


Capitolo Uno – Piovuta dal cielo.

Nolwen si sentì scivolare e infine iniziò a cadere come se stesse scendendo lungo un tunnel senza fine e buio.
Stava cadendo nel vuoto ad una velocità impressionante.
Cercò di concentrarsi e invocare l’aiuto delle sue ali nere, ma sembrava quasi che queste non volessero collaborare. In realtà la discesa così veloce le impediva di concentrarsi a dovere.
Le sua ali erano particolari. Spuntavano solo quando era abbastanza concentrata, erano collegate al sistema nervoso centrale e non era mai stato facile averne la padronanza.
Infatti Nolwen era stata addestrata sin da piccola a metodi di concentrazione e meditazione antichi, che l’avevano aiutata ad avere il controllo sul suo corpo e sulle sue magnifiche ali oscure.
Ma queste non crebbero dalla sua schiena, come succedeva di solito. Troppa era la tensione di Nolwen perché si potesse concentrare.
Mentre cadeva, non riusciva a pensare a niente, solo a quando sarebbe finito quel tunnel e dove avrebbe portato.
I suoi lunghi capelli neri volavano tutti verso l’alto, spinti dalla forza del vento che soffiava a milioni di chilometri a quella velocità.
Ogni tanto girava lo sguardo verso l’alto, per cercare di capire quanta distanza avesse potuto percorrere. Ma era tutto inutile. Ora non si vedeva più niente nemmeno in alto. Era tutto buio.
Talmente oscuro che non sembrava di avere gli occhi aperti.
Ad un certo punto un piccolo spiraglio di luce s’incominciò a intravedere dal basso. Finalmente Nolwen poteva vedere la punta dei suoi piedi nudi.
Più cadeva nel vuoto, più si avvicinava a quella luce bianca, quasi accecante.
Era quasi arrivata vicino alla fine del tunnel quando iniziò a rendersi conto di dove stava per ‘precipitare’.
Attraversò la luce bianca, al contatto tra il suo corpo e la luce, ci fu un bagliore accecante, che dalla Terra di Mezzo gli uomini videro come fosse un fulmine a ciel sereno.
I primi che videro questo lampo accecante, furono gli uomini che scappavano da Osgiliath.
Nolwen cadde dal cielo, come fosse appena uscita da una nuvola e precipitò con forza sul terreno.
Strano a dirsi, ma non si fece niente. Si rialzò appena, solo un po’ intontita. Per il resto era tutta intera, seppure indossasse solo un mezzo vestito quasi tutto stracciato, nero e sporco. Le gambe e piedi nudi, pieni di graffi, come le braccia.
E sul suo viso una cicatrice sotto il sopracciglio destro e un labbro che sanguinava.
Era poco pensando alla caduta che aveva fatto.
Da dove provenisse questa creatura ancora non si sapeva. Solo qualcuno molto saggio, che avesse conoscenze sul mondo e sulla sua creazione, avrebbe potuto conoscere la sua provenienza. Qualcuno come uno stregone.
Ma di questo si parlerà più in la.

Ora Nolwen si trovava proprio sulla traiettoria su cui si dirigevano, galoppando a cavallo alla velocità del vento, gli uomini della guardia di Minas Tirith. Diretti a tutta velocità, verso Minas Tirith, inseguiti da orchi e Nazgul.
La cittadella era stata invasa, ed erano rimasti in pochi a difenderla, gli ultimi sopravvissuti, il resto di loro erano stati spazzati via come polvere.
Tra loro c’era il capitano Faramir, rimasto per ultimo infondo al gruppo di guardie, per difendere i suoi uomini.
La distanza da Osgiliath a Minas Tirith non era molta. Ma in quel momento sembrava una distanza enorme e bastava a far si che i Nazgul terminassero lo sterminio delle guardie di Gondor.
A metà strada, già un quarto degli uomini era stato abbattuto. Alle spalle dei cavalieri, oltre ad esserci i Nazgul, avanzavano minacciose grosse nuvole nere.
Proprio in quel momento, le grandi porte di Minas Tirith si aprirono. Un uomo a cavallo uscì sfrecciando dalle grandi mura, un cavaliere bianco. Si trattava di Gandalf. Correva più veloce del vento, in aiuto a quegli uomini in bilico tra la vita e la morte.

Improvvisamente, il cavallo che cavalcava Faramir, cadde a terra, trafitto alla zampa da una freccia degli orchi. Molti di loro seguivano ancora i superstiti, correndo all’impazzata.
Faramir ormai atterra e un po’ stordito per la caduta, era bloccato sotto il peso del cavallo. Tentò di alzarsi, ma la sua gamba sinistra era intrappolata. Cercò di recuperare la sua spada, ma inutilmente, era incastrata anch’essa.
Verso di lui, avanzava un gruppo di orchi, pronti ad ucciderlo.
Nolwen si era appena alzata in piedi, provando cosa significasse usare le gambe, cosa che non aveva mai fatto prima di quel momento, non molto almeno. Solitamente era aiutata dalle sua ali, ed era come se aleggiasse nell’aria invece di camminare.
E solo in quel momento si accorse della mandria di cavalli impazzita che la puntava.
Ma la sua vista superiore a qualsiasi essere umano, elfo o nano, riuscì a percepire un altro pericolo poco più lontano: il capitano Faramir stava per essere ucciso da un esercito di orchi.
Senza pensarci due volte Nolwen iniziò a correre – anche se a fatica, con le gambe tremanti – verso Faramir, evitando i cavalli che le arrivavano incontro.
Passo dopo passo prendeva sempre più velocità, finche ad un tratto i suoi piedi si staccarono dal suolo: le sue ali nere, finalmente arrivate in suo soccorso.
Planò nel cielo alla velocità della luce, attraversando le nuvole, dividendole a metà.
In un attimo fu davanti a Faramir.
Restò ferma davanti a lui, osservandolo dalla testa ai piedi, cercando di capire la situazione.
Sembrava una creatura che non capiva cosa stesse succedendo e cercasse spiegazioni. Poi iniziò a giragli intorno lentamente.
Faramir dal canto suo, la guardò sgomento. Le sua ali nere erano quelle che lo sconvolgevano di più.
Chi era quella nuova strana creatura? Un’altra diavoleria di Sauron?
Nel frattempo le ali di Nolwen scomparvero lentamente, tornando a far parte della sua schiena e del suo corpo.
Improvvisamente la strana creatura caduta dal cielo iniziò a parlare. Ma non era il linguaggio corrente. Faramir non capiva niente di quello che gli stava dicendo.
Sembravano domande.
Il capitano la fissò muto. Non si fidava di lei, non sapeva da che parte stava. Probabilmente era lì per finire il lavoro degli orchi e ucciderlo.
Nolwen si accorse che non rispondeva ancora e si zittì anche lei. Lentamente iniziò a comprendere che l’uomo non capiva quello che gli stava dicendo. Il suo era il linguaggio oscuro, conosciuto solo dalle creature di Sauron e dal demone stesso.
E lei non amava parlare la lingua corrente. Non conosceva tutti i termini e i significati.
Quindi dovette adottare il sistema più primitivo che conoscesse: i gesti.
Si avvicinò piano al capitano, il quale intanto si era spostato, come se fosse pronto a difendersi dopo essere stato attaccato.
Nolwen iniziò a fargli cenno di stare tranquillo, ma non era così semplice come aveva immaginato.
Stava per avvicinarsi di più quando sentì forti urla provenire alle sue spalle.
La giovane creatura si voltò di scatto. Le ali nere riapparvero all’istante.
Un’orda di orchi si avvicinava velocemente a lei e a Faramir, pronti a sterminarli.
Nolwen rimase lì immobile, in attesa del loro arrivo.
Si pose tra il capitano e il gruppo di orchi.
In quel momento Faramir iniziò a chiedersi da che parte potesse stare quella ragazza. Il dubbio di aver sbagliato a non fidarsi quando sembrava che volesse aiutarlo, lo avvolse del tutto, facendolo sentire uno stupido.
<< Scappa!!! >> disse Faramir << Non puoi farcela contro di loro, ti uccideranno…scappa! >> ripetè alzando la voce.
Nolwen si voltò a guardarlo. I loro sguardi si incrociarono.
Ancora una volta il capitano Faramir rimase sgomento, senza parole.
Gli occhi di Nolwen non avevano un colore normale, come quello umano. Nemmeno gli elfi avevano degli occhi così, sebbene Faramir non ne avesse visti poi così tanti.
Gli occhi della ragazza erano grigi, molto chiari. Le iridi non esistevano, al loro posto si rifletteva la luce bianca del cielo.
Ci si perdeva ad osservarli.
Nolwen si avvicinò velocemente a Faramir, senza preoccuparsi che lui potesse spaventarsi, afferrò una spada che era poco più in la del capitano e tornò in direzione degli orchi.
Faramir era ancora lì fermo, senza riuscire a parlare, senza riuscire a spiegarsi quello che stava succedendo, senza capire chi fosse quella strana creatura molto simile ad una ragazza umana.

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Capitolo 2
*** A strange interest ***


Capitolo Due - A strange interest

Nolwen non si mosse, nonostante le intimidazioni di Faramir a scappare via, restò ferma dove si trovava, a pochi metri dal capitano, tra lui e la torma di orchi che arrivava correndo a tutta velocità verso di loro.
Faramir cercava continuamente di liberarsi: la sua gamba era ancora incastrata sotto il cavallo che gli orchi avevano trucidato.
Probabilmente era rotta, perché non appena faceva una minima mossa, il dolore era fortissimo, lacerante. Nonostante fosse chiaro che ogni tentativo di liberarsi sarebbe stato inutile, tentò più e più volte.
In ogni caso, ormai era tardi: gli orchi erano visibili a pochi metri di distanza.
Erano arrivati.
Nolwen strinse di più la spada che reggeva in mano, e ora la puntava minacciosamente verso di loro.
Il suo portamento era incredibile: assolutamente immobile, lo sguardo fisso verso il nemico, le braccia tese, le mani ben strette sull’elsa della spada.
Perfetta.
Ogni suo muscolo era fermo, e allo stesso tempo pronta a scattare al minimo cenno di attacco. I suoi occhi, freddi, inespressivi, erano fissi in un solo punto, non si scostavano minimamente dal loro bersaglio.
Per un istante, prima di avvicinarsi ulteriormente, gli orchi si fermarono tutti ad osservarla.
La sua figura, seppure non fosse eccessivamente solenne, incuteva un senso di timore.
La sola fermezza era da temere.
Improvvisamente si innalzò un urlo dalla prima schiera di orchi. Un urlo che aveva in se qualcosa di demoniaco, come se ci fosse stata una vera bestia lì in mezzo, enorme e imponente. L’urlo di battaglia degli orchi, che il più delle volte serviva soprattutto per incutere timore all’avversario.
Ma Nolwen conosceva bene quel suono. Ne conosceva anche di peggiori. E mai nessuno l’aveva smossa o fatta rabbrividire minimamente.
In risposta a quell’urlo, ella stessa emise un sibilo, simile a quello di un serpente, stringendo i denti, schiudendo appena le labbra e mostrando i suoi denti, quattro dei quali molto appuntiti, quelli superiori.
I muscoli del suo viso si erano contorti in un’espressione rabbiosa.
Uno ad uno, gli orchi iniziarono a correre verso di lei, tenendo alte sulle loro teste le loro armi dall’aspetto grezzo e malandato, ma terribilmente pericolose.
Il capitano Faramir gridò ancora una volta alla ‘strana-ragazza’ di andarsene, e scappare via, ma ancora una volta, Nolwen fece finta di non sentirlo.

A gruppi di due o tre, cercarono di colpirla. A volte si gettavano su di lei anche in cinque o sei.
Ma lei, Nolwen, la strana creatura caduta dal cielo, dalla cui schiena fuoriuscivano lunghe ali nere e poteva volare, era molto più veloce e forte di quanto apparisse e di quanto lo fossero gli orchi.
Uno ad uno, li scansò con gesti veloci, quasi impercettibili agli occhi degli orchi e degli uomini.
Faramir stesso riusciva a stento a seguire i suoi movimenti.
Delle volte spariva del tutto e la si ritrovava in volo, in discesa verso il gruppo di orchi.
Questi continuarono ad avventarsi verso di lei, in mano martelli grezzi e spade affilate, certi di avere la vittoria in pugno.
Ma non appena si avvicinavano, Nolwen li colpiva ancora e ancora, con mosse aggraziate e veloci, potenti e distruttive, riducendo gli orchi a semplici mucchi di carne.
Quei poveri stolti non conoscevano onore, e non sapevano nemmeno quando era ora di arrendersi e battere la ritirata.
In pochi minuti, l’intero squadrone di orchi era stato ridotto in polvere da questa giovane, strana ragazza.

Un ultimo orco infame si era avvicinato silenziosamente a Faramir, il quale era riuscito finalmente a liberarsi dalla morsa del cavallo, ma avendo la gamba ferita gravemente, non era riuscito ancora ad alzarsi in piedi.
Il capitano si accorse quasi all’ultimo della spada che pendeva sulla sua testa. I suoi occhi rimasero fissi sul viso dell’orco.
Quell’istante sembrò durare ore.
Cercava con le mani, a tastoni, la sua spada, ancora incastrata sotto il peso del cavallo ormai morto.
Non c’era più niente da fare.
L’orco strinse più forte la spada fra le sue grinfie e la caricò velocemente verso la testa di Faramir.
Gli occhi serrati, ormai certo che fosse la sua fine, il capitano si accorse subito che qualcosa non andava. Non aveva sentito niente: la spada dell’orco che lo trafiggeva, il dolore inumano di qualche secondo prima della morte…niente.
Alzò la testa verso il suo boia.
La spada era ferma a mezz’aria, vicina al suo viso.
E anche l’orco era quasi completamente immobile.
Girò di più la testa.
Il petto dell’orco era trafitto da una grande freccia, la quale aveva squarciato la sua armatura, ed era entrata attraverso il suo corpo, fuoriuscendo per metà dall’altra parte.
Era stata lanciata con molta potenza e perfezione.
L’orco cadde rumorosamente per terra, all’indietro, sospinto dalla forza della freccia.
Opera di Nolwen, ancora immobile, a pochi metri di distanza, con l’arco degli orchi stessi, ancora in mano.

Nel frattempo Gandalf aveva fatto scappare i Nazgul , con la magia del suo bastone, e stava portando in salvo i cavalieri. Non aveva visto l’accaduto, erano troppo lontani dai suoi occhi Faramir e Nolwen.

Faramir rimase immobile ad osservare la ragazza. Incredulo dello spettacolo appena avvenuto davanti ai suoi occhi.
Nolwen, fino a quel momento ancora immobile con l’arco in mano, abbassò l’arma e iniziò a fissare anche lei il capitano, senza scostare lo sguardo da lui.
Quell’uomo, chissà per quale strano motivo, la incuriosiva terribilmente. Era sempre stata incuriosita da loro, dagli uomini, aveva sempre voluto conoscerli e imparare qualcosa della loro cultura, ma mai ne aveva avuto occasione. Aveva solo potuto osservarli da lontano, accucciata sulle alte torri delle loro città.
Faramir si mise seduto, cercando lentamente di alzarsi, ma gli era quasi del tutto impossibile, per via della gamba rotta.
All’improvviso accanto a lui apparve Nolwen.
Si era avvicinata così silenziosamente, che Faramir sobbalzò appena dallo spavento.
Tuttavia non era spaventato da lei. Non aveva più dubbi che non fosse lì per ucciderlo.
La ragazza avvicinò le mani alla gamba di Faramir, dov’era ferita, e iniziò a fare strani gesti circolari, a pochi centimetri di distanza, come se la stesse studiando con le mani stesse, e cercasse di capire cosa fosse successo.
All’improvviso apparve una luce rossa, intensa. Faramir ne fu accecato per qualche istante, mentre Nolwen la fissava noncurante, continuando a tenere le mani sulla ferita.
Dopo qualche secondo, tutto sparì.
Scostò le mani, e la ferita ora non c’era più, era completamente sparita, così com’era sparito il dolore alla gamba.
Faramir era basito.
Non credeva assolutamente ai suoi occhi, eppure era successo, era tutto reale.
Alzò piano la testa, osservando dal basso all’alto la ragazza, fino ad arrivare al suo viso.
Lei ora lo guardava incessantemente negli occhi, come se cercasse qualcosa. E lui, in qualche modo, era inevitabilmente attratto da quello sguardo, del quale non riusciva a distaccarsi: ora anche lui era incuriosito, e cercava qualcosa da quello sguardo.
I suoi occhi poi erano davvero particolari. Niente iridi, solo una piccola luce bianca, intensa e attorno un colore grigio-azzurro. Osservandoli sembrava quasi che dentro essi scorresse qualche misteriosa magia.
Nolwen non disse una parola. Rimase muta.
D’altro canto, come poteva parlare?
Non conosceva la lingua degli uomini, e il linguaggio oscuro avrebbe potuto destare orecchie, che fino a quel momento non avevano avvertito la sua fuga.
Alzò una mano, lentamente, verso il viso del capitano.
Con due dita, scostò una ciocca di capelli che gli copriva gli occhi, disturbando quel legame di sguardi che si era creato tra loro.
Sul volto di Faramir si dipinse un piccolo sorriso.
Nolwen non sapeva cosa fosse un sorriso. Per un attimo ebbe un piccolo sobbalzo all’indietro, leggermente impaurita.
Tornò ad avvicinarsi al viso dell’uomo.
Osservò a lungo le sue labbra, stupefatta e avvicinandosi terribilmente, sempre di più al suo viso.
La sua ‘innocenza’ era terribilmente chiara, così come lo era la sua poca conoscenza degli uomini.
Faramir per un attimo ebbe paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Tentò anche lei di sorridere.
Portando le mani sul suo viso, vicino alle labbra, cercando di sentire con le dita il movimento dei muscoli del volto. Per pochi secondi ci riuscì. Riuscì a sorridere al capitano, mostrando ancora di più la bellezza.
Fu solo quell’attimo, in cui entrambi si scambiarono un lungo sguardo e un sorriso, che sembravano celare qualcosa di più.
Ma un attimo dopo, Nolwen iniziò a sentirsi strana.
Le si chiudevano gli occhi.
Le mani ricaddero lungo i fianchi, spinte in basso dalla gravità. Non riusciva più a controllarle.
Improvvisamente, svenì.
Cadde tra le braccia del capitano Faramir, il quale l’afferrò prontamente.
La guardò preoccupato, senza capire cosa le fosse successo, così all’improvviso.
Portò una mano sul suo viso, delicatamente, per far si che si voltasse verso di lui.
Ora poteva osservarla ancora meglio. Sembrava ancora più bella e dolce mentre era così, a occhi chiusi, come se stesse dormendo. Per un attimo fu tentato di accarezzare la sua guancia, ma le sue mani erano sporche e ferite, e aveva paura di farle male…lei sembrava così fragile.
Il capitano non riusciva a capire cosa potesse essere successo, e non voleva chiederselo più di tanto, non ora che erano ancora entrambi in pericolo.
Gli orchi non erano di certo composti solo da quel gruppo che Nolwen aveva prontamente sterminato…
Il resto della loro armata sarebbe arrivato lì a momenti. E lui doveva portare via da lì entrambi, subito.
Si alzò in piedi, lentamente, tenendo sempre la ragazza tra le sue braccia.
La prese in braccio per bene.
Fu ancora stupito di appurare che la sua gamba non gli faceva affatto male. Era come se non fosse successo niente, e non se la fosse fratturata.
E tutto grazie a quella strana ragazza.
La fissò ancora una volta. Fissò il suo viso.
Poi si mise in marcia, più veloce che poteva, e con quanta più delicatezza potesse per non scuotere troppo Nolwen, diretto verso le mura di Minas Tirith, sperando che qualcuno li avvistasse e arrivasse in loro soccorso.





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Capitolo 3
*** Worries and Duties ***


Capitolo Tre – Worries and Duties

Stava per calare il pomeriggio su Minas Tirith.
Il cielo non era mai stato così oscuro dall’altra parte della regione, proprio di fronte alla grande città bianca.
Osgiliath ormai era completamente ricoperta da nuvole nere, che rendevano l’atmosfera pesante. Era brulicante di orchi.
Le guardie alle porte di Minas Tirith, guardavano dritto davanti a loro, cercando di non lasciare che i loro cuori fossero raggiunti dal timore e dall’orrore di tutto quel buio.

Faramir aprì gli occhi, in un sussulto.
Restò per qualche istante con gli occhi fissi sul soffitto.
Poi, sentendosi un po’ intontito, girò lo sguardo, osservandosi attorno, spaesato. Con fatica, alzò la testa, portando una mano su di essa, e restando immobile con il resto del corpo.
Era disteso nel suo letto.
Osservò attentamente le sue vesti, le sue mani: era stato medicato delle ferite superficiali, e ripulito da testa a piedi.
Fece ricadere la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi. I suoi pensieri erano confusi. Sentiva un peso sul petto, una sensazione, come se avesse dimenticato di fare o dire qualcosa. Come se ci fosse qualcosa di incompiuto.
Tentò di sforzarsi, cercando di concentrare i pensieri. L’impressione era quella di aver sognato. Nella sua mente passavano a scatti le immagini della battaglia ad Osgiliath. E poi la successiva fuga verso Minas Tirith, inseguito dagli orchi.
Era tutto molto confuso, per questo in un primo momento aveva pensato ad un sogno. Ma pian piano iniziò a prendere coscienza che tutto era successo realmente.
Riaprì gli occhi, spalancandoli.
L’ultima immagine che gli era passata nella mente, era quella di Nolwen, la strana ragazza/creatura, che gli aveva salvato la vita e che lui stesso aveva cercato di portare in salvo, tra le mura della città.
Sedette al letto. Per qualche secondo gli si annebbiò la vista, per la velocità con cui si era sollevato.
Iniziò a ricordare come fosse giunto lì, nella sua stanza.
Una volta davanti alle porte di Minas Tirith, Gandalf gli era andato in contro, accompagnato da un pugno di guardie e un hobbit.
Il giovane capitano, aveva camminato per chilometri, portando in braccio Nolwen, priva di sensi. Era allo stremo delle forze, affaticato e come se non bastasse, aveva ancora uno strano dolore alla gamba, lì dove Nolwen aveva guarito la frattura.
Dopo, tutto divenne buio.
Prima di svenire anch’egli, non aveva avuto il tempo di dire nulla riguardo alla ragazza.
Scese velocemente dal letto, barcollando un po’ non appena fu in piedi, diretto verso l’uscita della sua stanza. Doveva sapere che ne era stato di lei, dov’era adesso e se fosse stata curata.
Era terribilmente preoccupato. Non essere riuscito a spiegare chi fosse quella ragazza, - anche se nemmeno lui sapeva esattamente chi e cosa fosse - poteva essere molto grave.
Non capiva nemmeno perché fosse così preoccupato.
Forse perché lei era imprevedibile. Per non dire strana. Una creatura fuori dal comune. E nonostante avesse dimostrato di essere molto più forte di qualsiasi altro essere vivente sulla Terra di Mezzo, gli ispirava un senso di innocenza strano. Dovuto forse al fatto che non capiva la lingua corrente, e ai suoi gesti, simili a quelli di una bimba che scopre le sue mani per la prima volta.
Figurarsi come potevano reagire coloro che non la conoscevano affatto, persone dalla mentalità chiusa e spaventate dai tempi oscuri che li circondavano.
Cosa sarebbe successo se improvvisamente Nolwen si fosse svegliata, e avesse spiegato le ali? E se qualcuno, spaventato, avesse iniziato ad urlare? E se lei avesse attaccato chiunque le si fosse trovato davanti, solo per difendersi?
Le guardie sarebbero intervenute e...avrebbero potuto ucciderla.
Tormentato da questi pensieri, Faramir aumentò il passo, con fatica.
La gamba che si era fratturato durante la battaglia e che Nolwen era riuscita a guarire, gli doleva ancora. In alcuni momenti era costretto a zoppicare.
Attraversò i lunghi corridoi della sua casa, e senza nemmeno indossare qualche veste che lo coprisse un po’ di più dal freddo, rispetto alla maglietta leggera che portava, ne uscì, diretto al palazzo reale, enorme, dalle mura bianche e candide ma solide e imponenti.
L’aria fuori era gelida, pungente, ma Faramir sembrava non avvertirne gli effetti.
Era talmente ansioso di sapere dove fosse la ragazza, da non pensare nemmeno per un attimo che avrebbe potuto congelare.
Arrivò davanti al palazzo reale e fece per entrare nella sala del trono, spalancando le enormi porte che la precedevano, con la sola forza delle sue braccia, senza lasciare che qualcuno lo aiutasse.
Lì si riuniva la corte di solito, ma era soprattutto la stanza dov’era il trono del Re di Gondor.

Gandalf, il piccolo hobbit, Pipino, e sire Denethor, sovrintendente di Gondor, nonché padre di Faramir, erano lì, intenti a discutere. Si voltarono per vedere chi fosse appena entrato dalla porta.
Di Nolwen, nemmeno l’ombra.
Faramir si guardò attorno, mentre avanzava verso di loro, cercando con lo sguardo in ogni angolo, dietro le colonne, la presenza della ragazza.
Gandalf e Pipino attesero che Faramir si avvicinasse, guardandolo fisso mentre avanzava, con un’aria che non si poteva decifrare. Denethor invece, dopo aver visto suo figlio entrare nella sala, aveva prontamente voltato lo sguardo da un’altra parte. Sul suo volto un’espressione disgustata e fredda.
Sembrava odiasse quel ragazzo.
<<Mithrandir...padre...>> disse Faramir, salutandoli e fermandosi di fronte a loro.
Denethor non rispose; Gandalf fece un piccolo inchino con il capo, e sorrise.
C’era troppo silenzio. Ed era strano. Faramir si aspettava che suo padre o Gandalf, avessero iniziato a parlare, e gli avessero fatto tante domande. E invece nessuno dei due apriva bocca.
Uno fissava dall’altra parte della stanza, e l’altro lo guardava negli occhi, costernato e leggermente irritato.
Abbassando lo sguardo, Faramir si accorse solo in quel momento di non aver fatto conoscenza del piccolo mezz’uomo. Sapeva che si trattava di un hobbit. Ne aveva incontrati due, qualche giorno prima, aiutandoli a fuggire da Osgiliath e dai Nazgul.
Allungò la mano verso di esso.
<<Non credo di conoscerti...>>
Il mezz’uomo a sua volta, stese il suo piccolo braccio e strinse la mano dell’uomo.
<<Peregrino Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino...e voi dovete essere Faramir...>> disse sorridendo. Tornò quasi subito serio, guardandosi attorno.
L’atmosfera non era per niente serena.
Per di più Denethor, teneva ora gli occhi fissi sulle mani di Faramir e Pipino, unite in un cordiale saluto. Le guardava con sospetto e odio. Sembrava quasi che volesse spezzare quel legame solo con lo sguardo.
Pipino lasciò lentamente la mano del capitano e abbassò il capo, sentendosi quasi in colpa.
Non era da lui agire così, però si sentiva in debito con sire Denethor, per via del suo primogenito, Boromir. Questi aveva salvato la vita di Pipino e Merry – suo parente – dalle grinfie degli Uruk-hai, sacrificando la sua vita.
Quindi i sentimenti di Pipino erano profondamente legati a quell’uomo e alla sua famiglia, per quello che aveva fatto per lui e per il valore dimostrato.
Faramir, dopo aver osservato a lungo le espressioni dei tre uomini, senza venire a capo del motivo per cui fossero così cupi, decise di prendere la parola. Non solo detestava essere all’oscuro di qualcosa che doveva essere importante, ma era ancora molto preoccupato per Nolwen.
<<Dov’è la ragazza che era con me?>> chiese rivolto a Gandalf.
Quest’ultimo, lo guardò ancora negli occhi, poi girò la testa verso Denethor, guardandolo sottecchi e con sospetto.
<<E’ quello che vorrei sapere anche io...>> disse, rispondendo al giovane capitano.
Anche Faramir girò lo sguardo verso suo padre. Ora era ancora più agitato di prima, se possibile.
<<Padre...>> fece un passo in avanti.
Denethor si alzò in piedi, velocemente, avvicinandosi a suo figlio, e fermandosi a un pelo da lui.
<<Padre? Hai ancora il coraggio di chiamarmi padre? Dopo quello che hai fatto???>>
Faramir, immobile, rimase ad osservarlo, confuso dalle sue parole.
Che cosa aveva fatto?
<<Voglio parlare da solo con lui...>> continuò poi sire Denethor, senza degnare di uno sguardo Gandalf e Pipino, invitandoli ad andarsene senza troppi complimenti, voltando le spalle a tutti e tornando a sedere sul trono del sovrintendente.
Lo stregone e l’hobbit si scambiarono un’occhiata fugace e poi guardarono Faramir. Fecero un piccolo inchino e si voltarono verso l’uscita.
Prima di andare via, Gandalf posò una mano sulla spalla di Faramir, quasi a volerlo consolare e dargli forza. Sembrava sapesse bene cosa lo aspettava.
Dopo di che, i due uscirono dalla sala del trono, chiudendo alle loro spalle la porta.

Ora Denethor e Faramir erano faccia a faccia.
I due si guardavano negli occhi: Denethor, freddo e rabbioso; Faramir, scosso e incuriosito.
Il giovane capitano non riusciva a capire il perché di quell’atteggiamento così arrabbiato nei suoi confronti. Non che prima di allora fosse mai stato affettuoso con lui. Non era mai stato il prediletto di suo padre, e lo era ancora di meno da quando aveva stretto amicizia con Gandalf. Ma era già da un po’ di tempo che non capiva perché lo trattasse ancora più freddamente del solito, più precisamente da quando era morto suo fratello Boromir.
La sala del trono, una stanza enorme, circondata da alte colonne in marmo nero, era caduta in un silenzio surreale. Non si percepiva nemmeno il sibilo sottile del vento, attraverso le imponenti finestre.
<<Hai spedito l’anello del potere a Mordor, nelle mani di un mezz’uomo...>> la voce di Denethor, irata e imponente, irruppe in quel silenzio, echeggiando nella grande sala.
Faramir continuò a fissarlo. Aveva messo da parte questo particolare, troppo preso dagli ultimi avvenimenti. Ma in effetti era qualcosa di importante.
<<Doveva essere riportato qui. Tenuto al sicuro. Lontano dagli occhi di tutti...>> lo sguardo del sovrintendente celava un velo di pazzia.
<<Ne abbiamo già parlato padre. E sapete che non sono d’accordo con quello che dite. L’anello a Minas Tirith, ci avrebbe distrutto tutti...>> rispose Faramir, con tono gentile, ma deciso <<...ho fatto quello che ritenevo giusto.>>
Denethor lo guardò con ancora più disprezzo in viso. Ora sembrava che avesse davanti un viscido orco, piuttosto che suo figlio.
<<Ciò che ritenevi giusto?...Sempre tu ami apparire giusto e leale, come i grandi Re di un tempo...>> lo canzonò suo padre.
<<Dov’è lei?>> chiese Faramir, non curante delle sue provocazioni.
Non voleva tornare a discutere con suo padre sull’anello e sul suo destino. Ne avevano discusso costantemente, ogni giorno, litigando puntualmente. Nonostante tutto, voleva bene a suo padre, e non avrebbe mai voluto disobbedirgli o mancargli di rispetto.
<<Lei chi? Quella COSA che ti sei portato dietro?>> rispose in tono dispregiativo Denethor.
Lo sguardo di Faramir si fece più duro e severo.
<<Questa è l’unica cosa buona che hai fatto in tutta la tua vita a dire la verità...hai portato qui un’arma più potente dell’anello stesso...>> sul viso di Denethor si dipinse un sorriso maligno.
Non sapeva di cosa stava parlando, ma Faramir iniziava a sentirsi davvero infuriato.
<<Dimmi dov’è...>> disse lentamente, avvicinandosi sempre di più a suo padre.
Questi lo guardava, senza rispondergli, sorridendo soltanto.
<<DIMMI DOV’E’!!!>> urlò infine Faramir, prendendo suo padre dalle vesti, e strattonandolo appena. Non era mai stato così arrabbiato in vita sua. Il respiro era affannato dalla rabbia.
Faramir era un uomo dai modi gentili, regali. Un uomo paziente e pacato. Non era da lui quell’atteggiamento. Ma in quel momento non riusciva ad agire in altro modo.
Strinse di più le mani sulle vesti.
<<E’ nella stanza a nord...la stanza ‘di sicurezza’>>
Le mani di Faramir si aprirono lentamente, lasciando andare suo padre dalla presa. La sua agitazione era arrivata al culmine, per non parlare della sua rabbia.
Denethor, seppure avesse infine risposto alla sua domanda, non si era spaventato o non aveva perso per niente la sua freddezza e quel sorrisino da chi ne sapeva di più di tutti.
Il giovane capitano gli diede le spalle, senza aggiungere una parola di più, e si avviò verso la stanza di cui aveva parlato, più velocemente che poteva.
Ma prima che lasciasse la sala, sentì la voce di suo padre.
<<Guardati...hai così tanto sostenuto che l’anello del potere influenza la mente e l’animo degli uomini, ed ora tu stesso ti comporti come se l’avessi con te...rinnegato!>>
Era una chiara provocazione, alla quale Faramir non rispose, mantenendo il controllo di se stesso, con molta fatica.
Uscì dalla sala, chiudendo bene la porta alle sue spalle.
Rimase lì per un attimo, poggiato di schiena alla porta, cercando di calmarsi. Si era reso conto di aver esagerato. Egli stesso non si era riconosciuto in quel piccolo attimo in cui aveva minacciato suo padre. Si convinse che la tensione della situazione di quei giorni oscuri, doveva averlo influenzato. Non si curò affatto delle parole di sue padre, riguardo l’influenza dell’anello, su di lui.
Riprese a camminare, verso le stanze a nord del palazzo reale, molto simile a una torre.
La stanza di sicurezza era una specie di prigione, dove venivano accompagnati i prigionieri ritenuti ‘importanti’. Tuttavia era una stanza gelida, con un piccolo giaciglio fatto di tre coperte sottili, e una finestra minuscola da cui entrava a stento della luce. Molto simile ad una stanza delle torture.
Da qui, la preoccupazione crescente di Faramir.

Nolwen dormiva, ancora svenuta dopo aver combattuto contro tutti quegli orchi.
Si dimenava nel sonno ogni tanto, con piccoli scatti improvvisi delle braccia e delle gambe.
Un particolare di questa ‘creatura’, era che non aveva mai sognato. Non poteva sognare. Gli era stato negato sin dalla nascita. E se ora si dimenava nel sonno, era solo per via della voce che le stava parlando in quel momento, una voce mostruosa, greve: la voce di Sauron.
<<Manke naa? (Dove sei?)>> le chiedeva la voce, poderosa e intensa. Dal tono, sembrava che mentre parlava, dalle sue labbra uscissero fiamme di fuoco.
La stessa domanda continuava a ripetersi nella mente di Nolwen, sempre più veloce, finchè non si svegliò. Si tirò su di scatto, restando acquattata per terra, ricurva sulla schiena, china sulle ginocchia e con le mani poggiate per terra. Muovendosi avanti e indietro per la stanza, come un granchio dei mari occidentali.
Si fermò, continuando a guardarsi attorno.
Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
Si alzò in piedi per guardare fuori dalla piccola finestra, l’unica in tutta la stanza. Da lì si vedevano le alti torri di Minas Tirith, e in lontananza si intravedeva anche Osgiliath.
Dunque si rese conto di essere a Minas Tirith.
Ma dove precisamente?
Non provò a scappare. Non sapeva se era prigioniera o un ospite. Non sapeva niente, e non voleva agire in modo sbagliato, sfondando la porta. Cosa che avrebbe potuto fare con una semplicità assoluta.
Era confusa, ma riusciva a mantenere la calma. Inoltre possedeva una saggezza di cui ben pochi potevano vantare.
Sedette accucciata per terra, in attesa che qualcuno entrasse dalla porta, di fronte a lei.
Nel frattempo, ripensò alla voce che aveva sentito mentre dormiva.
Era abituata alla sua voce, l’aveva sempre sentita sin da quando era nata. Era sempre stata con lei, non l’aveva mai abbandonata. E nemmeno ora l’aveva fatto.
Nemmeno ora che lei era...scappata.











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Capitolo 4
*** The Escape ***


Capitolo Quattro - The Escape

Sire Denethor rimase immobile nel palazzo reale, al suo posto, affianco al trono del Re di Gondor.

Sedeva su un seggio di marmo nero, il cui schienale era piuttosto rialzato, e per raggiungerlo, doveva salire due gradini, anch’essi in marmo nero.
Rispetto a quello del Re, era molto più piccolo, ma la sua presenza lì vicino stava a simboleggiare la sua importanza.
Il Sovrintendente era ancora lì, dopo che Faramir, suo figlio, gli aveva voltato le spalle senza rispondere alle sue provocazioni. Le braccia poggiate lungo i braccioli del seggio, strinse le mani su di essi, stringendo forte come se volesse frantumarli con la sua sola forza.
Era in collera con lui, più del solito.
Non solo perché era il prediletto di Gandalf ma ora anche perché aveva ignorato del tutto le sue parole, assumendo un atteggiamento più maturo rispetto al solito. Quelle parole erano sempre state molto dure, e per Faramir, erano un colpo al cuore ogni volta che le sentiva.
Denethor quasi si compiaceva del dispiacere che si dipingeva sul volto di suo figlio, quando lo sminuiva. E nonostante tutto, il giovane capitano, Faramir, non aveva mai osato rispondere per le rime a suo padre, magari litigando. Lui cercava solo di fargli capire quanto le sue parole fossero cattive.
Ma ora non era più così.
Qualcosa era cambiato...
E dato che non facevano più effetto quelle parole, Denethor sentiva l’animo bruciare di rabbia.
Si alzò in piedi.
Sapeva che adesso Faramir stava per raggiungere quella ragazza/creatura di cui avevano parlato. Appena suo figlio era tornato a Minas Tirith, Denethor aveva mandato le sue guardie a prendere Nolwen e l’aveva fatta rinchiudere nella stanza di sicurezza.
Sapeva anche questo, dell’arrivo di Nolwen.
Di solito le sue guardie non facevano quasi mai domande sui suoi ordini, ma quel giorno, sul loro volto, si scorse chiaramente il disappunto. E la motivazione, fu : << E’ alleata con il nemico >>.
Il motivo per cui Denethor fosse così sicuro delle sue parole e sapesse tutto in anticipo, era che aveva fatto uso del Palantir, ancora una volta, senza che nessuno lo sospettasse.
Il Palantir, la Pietra di Minas Anor, era una sfera perfetta, che in stato di riposo, appariva fatta di vetro o cristallo massiccio, di colore nero cupo.
Il suo nome, in elfico, significava ‘lugimirante’, e la sua particolarità era infatti, di dare visioni lontane nel tempo e nello spazio, e di poter comunicare con un altro Palantir, trasmettendo l’un l’altra le immagini di quanto la circondava. Concentrandosi su determinati obbiettivi, si potevano pilotare queste visioni, e avere tutte le informazioni necessarie, attraverso le altre Pietre. Tuttavia il loro uso non era semplice, e il diritto di scrutarle era riservato ai sovrani di Nùmenor prima, e poi agli eredi di Anàrion e di Isildur.
I Palantir, erano considerati pericolosi, proprio perché una trasmetteva immagini all’altra. E se una fosse caduta in mani sbagliate (come successe tempo addietro, quando una fu nelle mani di Sauron), avrebbe potuto causare non poche disgrazie, rivelando strategie di battaglia e decisioni dell’avversario.
Gli unici Palantir ancora esistenti a quel tempo, erano appunto quello di Minas Anor, e quello di Orthanc.
Nessuno, a Minas Tirith, aveva mai osato usarla in precedenza, proprio perché si sapeva quanto potesse essere pericolosa e che solo gli eredi del Re potevano scrutarle.
Ma sire Denethor, sentendosi autorizzato come Sovrintendente del Re, ne aveva fatto uso durante gli ultimi anni, venendo a capo di informazioni non vere, e soprattutto attirando l’attenzione di Sauron.
Questi, non aveva più con se il Palantir, ma essendo un puro spirito demoniaco, aveva il potere di vedere attraverso esse. E avendo questo potere, aveva anche modo di manipolare le visioni e così irretire chiunque stesse scrutando il Palantir.
Ed era proprio quello che era successo a sire Denethor.
Egli aveva avuto visioni riguardanti suo figlio Boromir e il modo in cui era morto, completamente distorte rispetto alla realtà. Così come, aveva visto Gandalf comportarsi in modo strano e portare tutte le situazioni della Terra di Mezzo a suo favore.
E ancora, aveva visto Nolwen. Ma in questo Sauron non c’aveva messo lo zampino. Anzi egli stesso rimase a guardare attraverso il Palantir di Denethor, ciò che veniva mostrato. Erano strane immagini di Nolwen, che egli stesso non seppe interpretare.
Denethor le interpretò come ostilità, ovviamente, e sentendosi completamente conscio delle sue azioni, diede l’ordine di rinchiuderla, in modo da prevenire qualsiasi azione da parte della ragazza/creatura, in attesa di una decisione definitiva sulla sua sorte.
Ora però che suo figlio Faramir, stava per andare da lei, si sentiva turbato e non più tanto al sicuro. Doveva sapere cosa voleva suo figlio da quella ragazza.
Voleva coglierlo in fragrante, mentre cospirava contro di lui.
Perché ne era sicuro: suo figlio tramava per rovesciare il suo trono. La sua paura, lo aveva reso cieco alla verità.
Si voltò e facendo il giro attorno al trono del Re, si diresse verso una porta che si trovava proprio lì dietro. Portava a varie ‘scorciatoie’ in giro per il palazzo reale, e solo chi le conosceva bene, riusciva a trovare la giusta strada, senza perdersi.


Nel frattempo, Faramir era finalmente giunto al corridoio che portava alla stanza di sicurezza. Il palazzo reale era molto grande, e aveva una serie infinita di corridoi.
I suoi passi echeggiavano lungo i vari androni, silenziosi, freddi e vuoti. Il suo avanzare era l’unico suono percepibile.
Più avanzava, più pensava al posto in cui si trovava Nolwen.
Quella stanza, al contrario delle celle per i prigionieri, si trovava in una delle torri più alte. A questo era dovuta soprattutto la temperatura così bassa all’interno della stanza.
Due uomini erano a guardia della porta, immobili accanto ad essa, uno a destra e uno a sinistra. Un altro era seduto poco più in la, colui che custodiva la chiave.
Camminando verso di loro, Faramir iniziò ad avere il dubbio che quell’uomo non gli avrebbe consegnato facilmente la chiave della stanza, o eseguito i suoi ordini.
Seppure egli fosse un capitano di Gondor, quelle guardie erano anche sotto il comando del Sovrintendente e dovevano rispondere prima a lui.
Decise comunque di tentare, e sperare di non dover ricorrere alla forza – cosa che detestava -.
La guardia si alzò subito in piedi, non appena vide avvicinarsi il capitano.
Fece il saluto militare che gli spettava.
Faramir lo salutò a sua volta, ma senza dire niente. Lo guardò per un attimo negli occhi, per poi avvicinarsi alla porta della stanza, lentamente, senza degnare di uno sguardo le altre due guardie.
Doveva avere un’aria autoritaria e sicura. Erano le carte vincenti di chi si trovava al comando. Al minimo cenno di insicurezza, avrebbe potuto lasciar intendere che ci fosse qualcosa che non quadrava.
Ma lui era abituato a queste situazioni. E poi, era davvero più forte di quanto si potesse pensare. Moralmente, era un uomo tutto d’un pezzo, pronto a morire per i suoi principi, e per aiutare chi avesse bisogno.
Si fermò davanti alla porta, e si girò di lato, verso la guardia con le chiavi, fissandolo, in attesa.
Questi, era rimasto fermo dov’era, senza aver seguito il capitano, cosa che invece lui si aspettava facesse.
<< Cosa aspetti? >> disse Faramir, osservandolo dritto negli occhi.
<< S-signore? >> chiese la guardia. Sembrava confuso, ma sapeva bene a cosa si riferiva il capitano.
Faramir alzò di più la testa, drizzò la schiena, e lo fissò severamente. La sua figura si fece più poderosa.
<< Apri - questa- porta >> rispose, scandendo tutte le parole, lentamente, con un leggero tono irritato nella voce.
La guardia, continuò a guardarlo, indeciso sul da farsi. I suoi ordini erano chiari, e i suoi doveri erano verso il suo sovrano, sire Denethor.
Ma anche il capitano Faramir era un suo superiore, nonché leale capitano da anni, e uomo di cui si fidava, come tutti in città: era un uomo in cui tutto il popolo di Gondor riponeva una grande fiducia e rispetto.
Dopo aver esitato per qualche istante, la guardia si decise, facendo qualche passo in avanti verso il capitano.
Tese la mano, e infilò la chiave nella serratura.
Ancora una volta esitò. Girò lo sguardo verso il capitano, guardandolo incerto, quasi come a voler chiedere pietà.
<< Signore, non crede che... >> balbettò la guardia.
<< Te lo ripeto per l’ultima volta, apri questa porta...! >> Faramir non gli diede il tempo di finire la frase. Il suo sguardo severo ora era fisso ancora di più sulla guardia, e attendeva solo un’altra esitazione, per sollevarlo dall’incarico e farsi consegnare la chiave.
Al ‘quasi ruggito’ del capitano Faramir, la guardia si fece forza, girò la chiave nella serratura, aprendo la porta.
Il capitano posò la mano sulla maniglia, e prima di aprire la porta, si voltò verso la guardia.
<< Qualsiasi cosa sentiate, non intervenite, non aprite la porta...sono stato chiaro? >> Faramir non sapeva perché gli avesse detto così, ma sapeva che voleva restare un po’ solo con Nolwen, capire quale fosse la situazione e chi fosse lei, senza essere disturbato.
La guardia annuì con la testa, una sola volta, uscì la chiave dalla serratura, e si voltò per tornare al suo posto.
Faramir, staccò finalmente lo sguardo da lui, e girò la testa verso la porta. Spinse in giù la maniglia, e l’aprì, lentamente.
Il suo sguardo si posò subito all’interno della stanza, ma era buio. Non si vedeva quasi nulla. Solo un piccolo spiraglio di luce penetrava dalla finestra, del sole che lentamente tramontava, e illuminava una piccolissima parte di quella stanza.
Fece qualche passo in avanti, lentamente.
Chiuse la porta alle sue spalle, e si rigirò verso la stanza.
Pian piano i suoi occhi si abituarono al buio, ma troppo tardi perché potesse evitare di essere preso alla sprovvista.
Si ritrovò di spalle al muro: qualcosa stringeva attorno al collo e lo teneva immobile vicino al muro.
Per quanto si sforzasse di liberarsi, non ci riusciva. Portò le sue mani vicino a ciò che lo stava strozzando, e capì che si trattava di due mani, gelide e esili.
La figura che lo aveva aggredito, e che ora lo stava strozzando, si fece più avanti, sotto lo spiraglio di luce, lasciando che la sua immagine finalmente si rivelasse: era Nolwen.
Faramir la fissò, sorpreso. Respirava a stento, per cui non riuscì più di tanto a trattenere il suo stupore.
Istintivamente, strinse di più le mani attorno a quelle di Nolwen, tentando di liberarsi. Ormai l’aria nei polmoni era quasi del tutto esaurita. Sentiva il sangue stringergli la testa, quasi come se da un momento all’altro avesse potuto esplodere.
Nolwen non accennava ad allentare la presa. Era in preda ad un attacco di rabbia intenso. Non distingueva il volto dell’uomo, in quell’aggrovigliarsi di emozioni negative. Ai suoi occhi era uno dei tanti uomini che per tanto tempo aveva osservato da lontano.
Più Faramir stringeva le mani attorno alle sue, più le mani di Nolwen si stringevano attorno al suo collo, come una tenaglia.
Fu un attimo, in cui la ragazza aveva improvvisamente allentato la stretta, come presa da un attimo di ripensamento, che Faramir riuscì a liberarsi: respinse le mani di Nolwen, e prima che lei potesse rendersene conto, afferrò le sue braccia bloccandole dietro la schiena. Era immobilizzata. Anche volendo, non le sarebbe stato facilissimo liberarsi, persino per lei. Avrebbe dovuto muoversi parecchio prima di essere libera.
<< Non voglio farti del male...>> disse a stento Faramir. Doveva ancora riprendere fiato del tutto.
Nonostante le sue parole, Faramir si accorse che Nolwen non opponeva nessuna resistenza. Sembrava si fosse arresa. Era immobile sotto la sua presa. Il che era già molto strano di per se. Aveva visto la forza di quella ragazza, era sicuro che se avesse voluto, si sarebbe potuta liberare in qualsiasi momento.
Questo non lo aveva fermato dal provare a bloccarla, se non altro per difendersi anziché lasciare di essere ucciso facilmente.
La osservò per un attimo, senza abbassare la guardia nemmeno per un attimo.
Nolwen fissava il pavimento. Il suo viso era quasi del tutto coperto dall’ombra dei suoi capelli. Non si scorgeva la minima espressione su di esso.
<< Manke im? (Dove sono?) >> sussurrò Nolwen, in un tono cupo, ma con una voce molto sottile e dolce.
Dopo un attimo, in cui Faramir fu completamente colto alla sprovvista – per la seconda volta - allentò appena la presa sulle braccia della ragazza.
Ancora non capiva quello che gli diceva, ma il suo stupore non era per quello, quanto nel tono in cui Nolwen aveva parlato. Sembrava essere completamente calma.
Che fosse un trucco?
Attese ancora qualche attimo prima di decidere cosa fare. Se era una trappola, non poteva cedere nemmeno per un attimo. Il minimo cenno di distrazione avrebbe potuto costargli la vita.
La ragazza non si mosse. A vederla, si poteva pensare che fosse completamente senza forze.
Alla fine Faramir decise: con molta delicatezza, lasciò andare Nolwen. Voleva fidarsi. Ma allo stesso tempo mantenne alzata la guardia.
Nolwen era ancora ferma. Il suo corpo non accennava il minimo movimento.
Solo le sue labbra si muovevano e ripetevano sottovoce sempre la stessa frase: << Manke im? >>

Faramir non sapeva cosa fare. L’unica cosa che gli veniva in mente al momento, era di chiedere aiuto a Mithrandir. Era l’unico nel raggio di miglia che potesse capire quella ragazza, e che probabilmente potesse aiutarla.
Ma non fece in tempo ad agire, che alle sue spalle sentì la porta aprirsi lentamente, accompagnata da una ventata di aria gelida proveniente dai corridoi.
Il capitano girò velocemente su se stesso, pronto a rimproverare la guardia. Era certo che fosse lui. Era pronto ad ammonirlo, la sua espressione si era trasformata improvvisamente, era in collera.
Non appena fece per aprire bocca, una voce – che non era quella aspettata – lo precedette.
<< Vuole sapere dove si trova…Conserva la rabbia per un altro momento, Faramir figlio di Denethor…>> un lungo bastone precedette l’entrata nella stanza dell’uomo al quale apparteneva quella voce <<…adesso dobbiamo portare via di qui questa creatura…>> gli occhi dello stregone si fermarono su Faramir, la solita espressione comprensiva e allo stesso tempo severa <<…in fretta…>> aggiunse infine.
Mithrandir, ‘il grigio pellegrino’, ora divenuto ‘il bianco’, era proprio lui.
Pensando a quanta fortuna lo aveva appena investito, Faramir si rigirò verso Nolwen. Questa era ancora per terra, senza forze, ma stavolta il suo sguardo era fisso su Mithrandir. O almeno ci provava.

I suoi occhi si socchiudevano alla vista della bianca luce emanata dallo stregone. Era una luce che racchiudeva purezza e innocenza, e ai suoi occhi l’effetto era simile all’acqua fredda versata su lava incandescente.
Mithrandir ricambiava lo sguardo della ragazza. La sua espressione per un attimo lo aveva tradito, rivelando una forte preoccupazione.
<< Andiamo… >> sussurrò Faramir, avvicinandosi a Nolwen con cautela, tendendole la mano.
La ragazza la osservò, poi fissò gli occhi di Faramir, poi Mithrandir e infine di nuovo la mano del capitano. Come una creatura impaurita e indifesa, che non comprende quello che le accade attorno.
Faramir girò lo sguardo verso Mithrandir, appena più indietro di lui, fissandolo, cercando di capire cosa potesse fare.
Ma prima che lo stregone potesse parlare, Faramir sentì sfiorare la punta delle sue dita, da qualcosa di gelido, che lentamente saliva sulla sua mano, sino a ricoprirne il palmo.
Tornò velocemente con lo sguardo su Nolwen. Era la sua mano.
Faramir la cinse appena con la sua e con delicatezza la tirò verso di se, per aiutarla ad alzarsi. Erano pronti per uscire dalla stanza.
Il capitano non aveva idea di come Mithrandir fosse riuscito a oltrepassare la guardia, ma conoscendolo – almeno in parte – non se lo chiese più di tanto.
Lo stregone si affacciò alla porta per controllare bene che non ci fosse nessuno ad ostacolare il loro passaggio. Lanciò uno sguardo infondo al corridoio, e scorse Pipino, intento a fare la guardia, che sventolava il braccio segnalando il via libera.
<<Ora!>> disse Mithrandir, lasciando passare avanti Faramir e Nolwen, per poi seguirli. Chiuse alle sue spalle la porta della stanza, serrandola bene.
Uscendo, Faramir vide le guardie della Torre, in piedi ad occhi aperti, ma completamente immobili. Sembrava che il tempo per loro si fosse fermato.
Passarono velocemente attraverso quella stanza e il corridoio che la precedeva.
Dopo che Mithrandir ebbe ‘sistemato’ le cose con le guardie, passò avanti al gruppo, guidandoli attraverso gli altri corridoi.
Faramir non aveva più idea di dove si trovassero, nonostante conoscesse bene quel palazzo. Succedeva tutto così in fretta e con agitazione, che per un attimo perse il senso dell’orientamento.

Finalmente arrivarono davanti ad una porta.
L’attraversarono e si ritrovarono tutti e quattro in una stanza.
Erano fuori dal palazzo reale, e il capitano non aveva la più pallida idea di come ne fossero usciti.
La stanza era piccola. Al centro un tavolo in legno, rotondo, non molto grande. Un camino al centro della parete, appena più dietro del tavolo, preceduto da qualche poltrona e un lungo divano.
Sul lato sinistro v’era un altro piccolo scomparto, la stanza da letto.
Una grande finestra chiudeva il tutto, ad arcata, seguita da un balconcino, non molto grande, ma abbastanza da ospitare Mithrandir e Faramir, i quali subito vi si recarono per parlare tranquillamente.
Pipino rimase con Nolwen.
La fece accomodare nella stanza da letto, assicurandosi che stesse al caldo, porgendole ogni sorta di coperta. Quella ragazza era così fredda, che non aveva pensato nemmeno per un attimo potesse essere fatta proprio così. Pensò solo che avesse molto freddo, un ragionamento logico dopo ch’ella era rimasta in quella stanza-prigione fredda per ore.
Che dolci gli Hobbit. Erano premurosi sempre e comunque. Pur non sapendo che qualcosa poteva costituire un pericolo per loro.
Uscì dal piccolo scompartimento da letto, senza porta, e si sedette ad una sedia che affacciava lo sguardo proprio sulla stanzetta.
Intanto Mithrandir e Faramir erano intenti in una discussione, fuori, sul balconcino, della quale all’interno della stanza, non si sentiva la minima parola.
<< Ogni spiegazione a suo tempo…>> disse Mithrandir <<…per ora devi solo sapere che abbiamo dovuto portarla via di lì, non solo perché tuo padre avrebbe potuto farle più male di quello che già le stava facendo facendola rinchiudere in una stanza così squallida, ma anche perché in quella alta torre è facilmente rintracciabile da…>> girò lo sguardo verso nord, verso le nuvole nere in lontananza, verso le montagne scure <<…Sauron…>> concluse.
Faramir lo guardò interrogativo.
Cosa c’entrava Sauron con Nolwen? Perché avrebbe dovuto cercarla? Si conoscevano? E soprattutto, Mithrandir cosa sapeva di lei esattamente?
Non pose nessuna di queste domande.
Da uomo saggio qual’era, sapeva bene che lo stregone non avrebbe risposto a nessuna delle sue domande. Gli avrebbe rivelato tutto al momento opportuno, quando meglio egli l’avrebbe ritenuto.

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Capitolo 5
*** Who are you? ***


Capitolo Cinque – Who are you?
 
Era scesa la notte su Minas Tirith.
Alla luce della Luna la città assumeva un fascino tutto suo.
Una patina soffice di luce bianca sembrava avvolgere le mura.
Era buio tutto attorno. Le stelle erano nascoste da macchie oscure. Si poteva scorgere solo all’orizzonte una forte tempesta di luci rosse e grandi nuvole, ancora più scure della notte, avanzare verso Minas Tirith.
Nella città c’era silenzio.
Tutti gli abitanti erano chiusi nelle loro case.
Nelle stradine si potevano udire solo i passi lenti delle guardie a cavallo.
Era strano pensare che anni a dietro, in tempi più tranquilli e sereni, in quelle piccole stradine della città, in quelle ore, gli abitanti fossero tutti in strada per festeggiare o semplicemente per passeggiare; Minas Tirith era illuminata da mille torce, e voci di donne e bambini riempivano l’aria della dolce melodia delle loro risate; Il tintinnio di bicchieri che si scontravano per brindare.
Tutto era svanito adesso.
Ora che all’orizzonte una minaccia avanzava incontrastata.
Tra le tante case addormentate e buie, spiccava un’unica finestra ancora illuminata dalla fioca luce del camino. In mezzo a tutto quel buio era ben visibile, molto in alto rispetto a tutte le altre case. La vista dalla finestra di quella casa, affacciava bene su tutta la città e quasi oltre le mura, mostrando un panorama surreale, da sogno.
Accostato alla finestra, un uomo molto alto e dalla lunga barba bianca, scrutava l’orizzonte con aria pensierosa.
Una lieve luce rossastra, proveniente dalla pipa che l’uomo stava fumando, nè svelò lo sguardo: due occhi azzurri, molto chiari, di cui alcune piccole rughe ne sottolineavano la saggezza e allo stesso tempo la forza. 
Seppure Gandalf avesse dimenticato come si fumava, non si arrese.
Tossiva ogni qual volta il fumo arrivava in gola, quasi vicino ai polmoni.
Ma per quanto sgradevole fosse la sensazione, gli ricordava tempi più felici, passati tra i prati della Contea, a volte in compagnia di Bilbo, guardando le stelle e ascoltando il dolce suono della natura.
Senza pensieri così tristi, come la sua mente ora ne era piena. Senza timore per le persone care.
*Bei tempi…* pensò, sorridendo appena.
Il suo sguardo, fisso dritto davanti a se, scrutava oltre le mura della Città Bianca, oltre le rovine di Osgiliath, sulle montagne oscure di Mordor.
Avesse potuto, avrebbe tramutato i suoi occhi in quelli di un falco, e avrebbe sorvolato minuziosamente quelle montagne, alla ricerca di un segno di vita da soccorrere.
O meglio, due segni di vita.
Quelli di Frodo e Sam.
Dei due giovani hobbit non aveva avuto più notizie da un tempo ormai troppo lungo da ricordare, eccetto quelle riferitogli da Faramir.
Avrebbe tanto voluto poterli scorgere da così lontano.
Gandalf pregava che i due hobbit avessero ancora la forza per andare avanti, e che nessuno gli facesse del male.
Eppure confidava in loro. Seppure fossero creature molto piccole, sapeva bene quanta forza di volontà ci fosse negli hobbit, come lo stesso Bilbo Baggins gli aveva dimostrato nel corso degli anni.
In cuor suo, era preoccupato per entrambi, ed un lieve senso di colpa lo accompagnava dal giorno in cui si erano dovuti separare, poiché avrebbe voluto essere lì con loro fino alla fine.
E nonostante questo, sapeva bene che c’era un valido motivo per cui lui ora si trovava a Minas Tirith insieme a Pipino e Faramir, e tutta la gente di Minas Tirith, in attesa di una inevitabile guerra.
Ora più che mai capiva e comprendeva il motivo della sua presenza lì.
Con l’arrivo di Nolwen, la strana creatura piovuta dal cielo, il cerchio iniziava a chiudersi, ogni cosa occupava il suo posto sulla strada tracciata dal destino, e tutto cominciava a essere più chiaro.
Da ciò che Faramir gli aveva raccontato, aveva intuito chi fosse quella ragazza un po’ strana, spuntata fuori dal nulla, salvando la vita del capitano di Gondor.
Ma Gandalf non aveva ancora osato farne parola con Faramir e Pipino, né tantomeno aveva costruito un vero e proprio pensiero a riguardo.
La sua era una sensazione, ma non di quelle comuni tra gli uomini. Bensì qualcosa che solo uno stregone come lui poteva percepire e capire allo stesso modo.
Nella sua mente si era risvegliato un ricordo, non meno importante e legato al destino dell’anello e dell’intera Terra di Mezzo. E altrettanto pericoloso quanto quello di distruggere per sempre l’anello del potere.
Era importante adesso per lui, capire quanto la ragazza sapesse dell’anello, e soprattutto capire bene chi fosse e da dove provenisse. Al momento l’unica certezza per Gandalf era che la sua presenza avesse qualcosa a che fare con l’anello e con Sauron stesso. Il resto era tutto molto vago nella sua mente.
Peccato che il tempo fosse completamente contro di lui: la minaccia di Mordor avanzava ormai sempre più veloce, poteva avvertire la forza maligna che lentamente scendeva sulla città; e nella stessa Minas Tirith covava una minaccia pericolosa e potente, quella del Sovrintendente Denethor, alla ricerca della fuggitiva Nolwen, pronto a tutto pur di trovarla.  
Stavolta, Gandalf ne era sicuro, avrebbe avuto le informazioni che cercava da lei, persino con la forza. Persino sacrificandone la vita.
Non c’era più tempo da perdere, ogni prossima mossa avrebbe dovuto essere cauta ma rapida.
Da grande stregone qual era Gandalf, sarebbe riuscito sicuramente a venire a capo delle informazioni di cui necessitava da Nolwen. Sperava solo che la ragazza gli avrebbe parlato spontaneamente e con sincerità.
Prese un respiro profondo d’aria fresca, come a voler placare l’inquietudine che ormai regnava comoda nel suo animo.
I suoi lunghi capelli bianchi e la barba ondeggiavano con leggiadria al passaggio del vento. Era tutto così tranquillo a Minas Tirith. Fin troppo per i suoi gusti.
E infatti si trattava di una finta-calma, il silenzio che di solito precedeva un grande boato.
 
Un rumore di zoccoli di cavallo attirò l’attenzione di Gandalf.
Rivolse lo sguardo in basso, verso la strada.
Un uomo a cavallo avanzava lentamente nella quiete della città, guardandosi attorno con circospezione.
Il suo volto era coperto dal cappuccio del lungo mantello, posato sulle sue spalle. Su di esso era ricamato l’albero bianco di Minas Tirith.
*Faramir..*.
Il suo incedere lento e silenzioso, gli suggeriva che fosse accaduto qualcosa e non era neanche tanto difficile immaginare con chi...
Faramir era di ritorno dalla Sala del Trono, da una consultazione con sire Denethor.
Era stato convocato da lui a corte, con urgenza.
Facile era anche immaginarne il motivo: la prigioniera era scappata e l'ultimo visto in sua compagnia, e peggio ancora ad aprire la porta della cella, era stato proprio Faramir.
E adesso era di ritorno da quel 'colloquio' durato ore.
Gandalf non se ne era reso conto ma, in effetti, era passato un bel po’ di tempo da quando il capitano era andato via quel pomeriggio.
Si guardò attorno quasi d'istinto, per vedere se qualcuno lo avesse seguito.
Probabilmente era per questo che Faramir procedeva lento e cauto.
Se l’avessero pedinato fin lì, avrebbero trovato quello che Denethor cercava: Nolwen.
Il Capitano fermò il cavallo a pochi passi dall’abitazione in cui vi erano Gandalf, Pipino e Nolwen. Un ultimo sguardo attorno e scese dalla sella. Diede qualche carezza al cavallo e poi si girò per entrare in casa, disinvolto.
Sembrava che nessuno lo avesse seguito.
Una volta entrato, Gandalf si fece avanti, invitando il capitano ad accomodarsi a una delle sedie lì vicine.
<< No, grazie Mithrandir… >> disse Faramir, alzando la mano, fermando la cortesia dello stregone << …Ho cavalcato per ore prima di arrivare qui, per timore di essere seguito, e prima ancora sono rimasto seduto nella Sala del Trono per tutto il tempo del colloquio con mio padre…Ora l’ultima cosa che voglio è sedermi… >>  Sorrise, anche se con molta fatica. C’era ben poco da ridere ormai di tutta la situazione.
<< Io invece mi accomodo. Per tutto il tuo tempo a cavallo e al colloquio con tuo padre, non sono riuscito a restare seduto… >> aggiunse Gandalf, trasformando il faticoso sorriso di Faramir in un vero sorriso.
Poggiando le mani sulla spalliera della sedia di fronte a quella di Gandalf, Faramir si sporse appena a sinistra, cercando di sbirciare nella stanza affianco.
<< Lei come sta? E’ sveglia? Le posso parlare?.. >> continuava a tenere lo sguardo sulla stanza.
Gandalf girò appena la testa, verso la camera << Riposa ancora. Non so se sia il caso di svegliarla... >> Il suo tono di voce era diminuito, quasi avesse paura di svegliare la ragazza << Aveva delle notevoli ferite su gran parte del corpo. Le ho curate meglio che potessi, ma sembrano ferite che non spariranno così facilmente. >> Spostò lo sguardo verso Faramir.
E così fece anche il capitano, incuriosito dalle parole di Gandalf.
<< Deve avere sofferto molto, sarebbe meglio se riposasse più che può. Anche se, io personalmente vorrei rivolgerle alcune domande molto importanti. E il tempo scarseggia. Ma come dicevo, per ora è meglio aspettare.>>
Faramir annuì lentamente. Capiva quello che voleva dire Gandalf, neanche lui avrebbe avuto il coraggio di disturbare il sonno di Nolwen. Certo avrebbe tanto voluto saperne di più su di lei, capire chi fosse, da dove venisse, come si chiamasse…
<< Adesso puoi dirmi cosa c’entra Sauron con… lei? >> chiese a Gandalf, ricordandosi di una frase che egli stesso aveva detto quel pomeriggio, riferito a Sauron e ad un pericolo che rappresentava.
Gandalf non si aspettava quella domanda, attese un po’ prima di rispondergli, sapendo che doveva pesare bene ogni parola, perché poteva essere frainteso.
<< Ho il sospetto che Sauron abbia un qualche legame con questa ragazza. Ora non so spiegarti il perché, ma c’è qualcosa nella mia mente, un ricordo lontano… qualcosa sussurrato al mio orecchio quando non ero ancora qui…>> i pensieri nella sua mente ripresero a marciare, cercando di ricordare quando e dove, ma era praticamente impossibile. Era come voler ricordare il momento della propria nascita, e i primi anni di vita… impossibile.
Tornò a fissare Faramir, e gli sorrise confortante.
<< Forse mi sbaglio, ed è una normalissima ragazza con un grande coraggio e una notevole forza.>>
Ma entrambi non potevano fare a meno di pensare che aveva salvato la vita di Faramir, lottando contro un gruppo di orchi. 
Una qualsiasi ragazza avrebbe potuto si avere il coraggio di restare e combattere, ma le probabilità di sopravvivere non sarebbero esistite.
Doveva a tutti i costi esserci qualcosa di particolare in Nolwen.
La forza sorprendente era solo uno degli interrogativi inspiegabili.
<< Ha parlato in elfico quando eravamo nella cella.>> disse Faramir <<In un primo momento non avevo capito, ma dopo un pò dal suono l’ho riconosciuto. Era elfico, ne sono sicuro…>>
Gandalf annuì << Si, era elfico. Ti aveva chiesto di dirle dove si trovava. L’ho sentito… >>
<< Ma…>> Faramir esitò << …non ha le sembianze di un elfo. Non ne ho mai visti in carne e ossa, so solo quello che narrano le nostre storie, e ricordo come li descrivono. E lei…l’hai vista anche tu Mithrandir, non sembra affatto un elfo. In più ha quelle ali nere… come quelle di un drago.>>
<< No, hai ragione…>> rispose Gandalf << …tuttavia ha parlato in elfico antico, e non è una lingua usata da chiunque.>>
Più i due cercavano risposte alle loro domande, ragionando tra loro sulle varie eventualità, più non riuscivano a venire a capo di chi e cosa fosse quella ragazza.
Alla fine, Faramir si sedette, volgendo lo sguardo verso la camera dove riposava la loro ospite.
 
Pipino si era addormentato su di una panca ai piedi del letto dove dormiva Nolwen, imbottita di coperte per rendere soffice come un materasso il ripiano.
A vederli sembrava quasi che il piccolo hobbit fosse lì di guardia.
Aveva un espressione beata mentre dormiva. Strano come riuscisse a dormire così tranquillo, mentre fuori incombeva una guerra, e peggio ancora la distruzione dell’intera umanità.
Non che questo facesse dell’hobbit un essere superficiale, ma più che altro incorreggibile.
La giovane ragazza invece, sembrava avere un sonno piuttosto agitato. Si girava e rigirava nel letto in continuazione, a volte aveva dei piccoli scatti, rimbalzando sul letto come se vi fosse caduta sopra da metri di altezza.
Era profondamente addormentata, ma la sua mente anziché riposare, era tormentata dalla voce di Sauron che le parlava in continuazione.
<< Sei andata via da me. Tu sei mia, il tuo posto è al mio fianco, la tua casa è qui. Nessuno ti vorrà con se, dovunque andrai, perché appartieni a entrambi e nessuno dei figli di Eru. Verrò a prenderti!>>
Con questa frase che rimbombava nelle sue orecchie, Nolwen si svegliò ancora una volta di soprassalto. Sedette sul letto, guardandosi attorno spaesata.
Per un attimo non ricordava come fosse arrivata lì.
I suoi occhi chiarissimi scrutarono la stanza per ogni centimetro, e le sue orecchie erano pronte ad udire un qualsiasi rumore che potesse darle un orientamento.
Lentamente cominciò a collegare gli avvenimenti, e a ricordare.
Avvicinò le mani al viso, coprendo gli occhi.
Quella voce nella sua mente era un vero tormento.
La sua testa non ne poteva più, sentiva che era sul punto di esplodere.
Con gli occhi chiusi spostò le mani verso le tempie, massaggiando con movimenti circolari la testa.
Una specie di meditazione, per  placare il dolore e riprendere il controllo di se stessa.
Per quanto tempo fosse rimasta immobile in quella meditazione, non si sa.
Tuttavia alzando lo sguardo verso la porta, dove Gandalf e Faramir esitavano, Nolwen intuì che le era sfuggito il controllo, lasciando che la meditazione durasse più del previsto.
Rimase a fissare i due per un bel po’, in silenzio.
Non si muoveva; il suo sguardo non lasciava trasparire la minima emozione.
 
<<Ben svegliata…>> Gandalf e Faramir, erano fermi vicino alla porta della camera. Fissavano la ragazza.
Nolwen non aveva avvertito la loro presenza prima di quel momento, cosa che di solito non succedeva dato che ogni suo senso era perfetto, e niente poteva avvicinarsi a lei senza che se ne accorgesse.
Mentre meditava queste capacità diminuivano.
Non disse nulla inizialmente. Alzò lo sguardo e spostò le mani dalle tempie, tornando a posarle sul letto su cui era seduta.
Fissò i due volti: prima quello di Gandalf, in cui riconobbe qualcuno di cui Sauron le aveva parlato.
Non era certissima che si trattasse di lui.
Se fosse stato lui, lo stregone che voleva eliminare l’intero mondo che le apparteneva, avrebbe dovuto prendere in fretta una decisione ed agire.
Non essendo sicura però che si trattasse proprio di lui, decise di prendersi del tempo e analizzare bene la situazione.
Poi spostò lo sguardo su Faramir.
Il capitano aveva catturato la sua attenzione sin dal giorno prima, riuscendo a incuriosirla. Le era difficile distogliere lo sguardo da quell’uomo. Forse perché non ne aveva mai visti da così vicino, ed erano a suo parere strani quanto affascinanti quelle ‘creature’.
Inoltre lui e la sua razza erano quelli che più si avvicinavano al suo aspetto fisico, facendola sentire parte di qualcosa.
Ancora meno facile era distrarsi da lui, ora che si fidava un po’ di più.
Ricordava che era stato grazie a quell’uomo se era uscita da quella stanza gelida.
Ricordava la sua mano tesa.
Un semplice gesto, che le aveva trasmesso un grande senso di sicurezza. La stessa che adesso provava attraverso il suo sguardo.
Faramir, anche lui, non poteva fare a meno di fissare con una certa attenzione la ragazza. C’erano così tante cose che non sapeva di lei, e le poche cose che aveva potuto vedere erano talmente fuori dall’ordinario, da non poter fare altro che aumentare la voglia di parlarle e conoscerla.
Gli fu difficile trattenere tutte le domande che voleva porre.
<< Capisci quello che dico?>> disse in elfico Gandalf, distogliendo l’attenzione di Nolwen da Faramir.
Lo fissò per un attimo.
<< Si… stregone…>> rispose Nolwen, - sempre in elfico- con un pizzico di durezza nella sua voce, e guardandolo con uno sguardo investigativo.
Quel nomignolo lo disse di proposito, cercando una reazione nell’uomo.
Era chiaro che non si fidava molto di Gandalf.

La sua mente era stata riempita per anni dalle menzogne di Sauron, riguardo uno stregone molto potente e tutti gli abitanti della Terra di Mezzo. Bugie che per lei potevano essere verità e viceversa.
Ed era proprio perché non sapeva quanto ci fosse di vero in quello che le era stato detto che si trovava lì adesso, e rischiava la sua vita.
Il dubbio le era nato nel cuore un giorno di autunno, qualche mese prima.
 
Si trovava in perlustrazione con un gruppo di orchi, alla ricerca dell’unico anello, dopo una soffiata da parte di uno dei tanti servi di Sauron, e furono colti di sorpresa.
Un agguato degli elfi, in cui molti morirono, tra orchi ed elfi.
Stava combattendo con la spada contro uno di loro, aveva l’armatura addosso compresa di elmo che le copriva il volto lasciando visibili solo le labbra e il mento, era difficile riconoscere il suo vero aspetto - anche perché sporca di terriccio e con qualche graffio - decisamente diverso da quello di un orco.
Durante il combattimento il suo elmo venne colpito violentemente dallo scudo del suo avversaio.
Si ruppe per metà, ed essendo di metallo, per evitare di farsi più male di quanto giù se n’era fatta, lo sfilò via velocemente, gettandolo per terra.
L’elfo di fronte a lei, preso dallo stupore, perse la concentrazione e fu ferito.
Nolwen rimase ferma dinanzi a lui, puntandolo con la spada, in attesa del da farsi, incerta se fosse giusto o meno mettere fine alla sua vita.
Quello fu il primo segno che qualcosa non andava bene.
Non si era mai tirata indietro davanti al nemico.
Ma quell’elfo… il modo in cui l’aveva guardata dal momento in cui aveva svelato il suo volto…
Era davvero stupito di quello che aveva visto.
Poteva leggere sul suo volto le domande e lo stupore.
Era per quello che Sauron le aveva sempre raccomandato di tenere l’elmo davanti ai nemici?
La spada le cadde dalle mani.
Si sentiva come mai in vita sua, agitata e senza sicurezze, completamente sperduta. Il volto di quell’elfo, la sensazione di bontà che emanava, la fierezza, la giustizia erano tutte cose a cui non aveva mai fatto caso in tutti quegli anni. Non aveva occhi rossi e desiderosi di vendetta come tutte le creature che l’avevano sempre circondata. I suoi occhi, limpidi e chiari, cercavano solo pace. Lo avvertiva.
E la luce bianca da cui sembrava avvolto ne evidenziava ancora di più le qualità buone e giuste.   
Fece qualche passo indietro, allontanandosi dall’elfo che continuava a guardarla sgomento.
Era sicuro che non si trattasse di un orco o di una magia, perché se così fosse stato lui sarebbe già morto. Nessun orco o servo di Sauron avrebbe mai esitato.
<< Chi sei? >> le chiese sconvolto.
<< Cosa ci fai con questi orchi? Perché combatti contro di noi? >>
Sul viso di Nolwen caddero alcune lacrime di cui non si accorse, troppo terrorizzata.
E mentre cercava di allontanarsi il più possibile da lì, lottando con se stessa visto che una parte di lei voleva restare e capire perché quell’elfo le faceva quelle strane domande, un orco si avvicinò correndo alle sue spalle, impugnando un grande martello di metallo.
Nolwen si sentiva disorientata per spostarsi, restò ferma ad attendere che quell’essere si avvicinasse.
Il suo obbiettivo era l’elfo.
Rimase a guardare tutta la scena dall’inizio alla fine.
L’elfo non parlava, non chiese pietà, non chiese aiuto nemmeno a lei, anche se Nolwen poteva leggere nel suo sguardo una richiesta di aiuto.
Ancora le domande dell’elfo le frullavano nella mente.
Era strano come fosse riuscito in pochi attimi a disorientarla.

La verità era che quelle domande se l’era poste anche lei, più volte. Ma vedendo che nessuno attorno faceva lo stesso o avesse risposte, non aveva mai approfondito.
Improvvisamente sfilò dalla cintura un coltello dall’aspetto elegante, somigliava ad uno di quelli elfici, fece un piccolo giro su se stessa e trafisse con forza sul fianco l’orco che era ormai giunto davanti all’elfo, pronto per ucciderlo.
L’orco rimase un attimo pietrificato, emanò un forte urlo di dolore, guardando con stupore fisso negli occhi Nolwen.
Dopotutto era il suo capitano.
Dall’armatura squarciata dell’orco iniziò ad uscire rapidamente del sangue nero. Dopo pochi istanti, il corpo in fin di vita cadde violentemente per terra, portando con se il pugnale di Nolwen.
L’elfo, ancora disteso per terra, rimase immobile ad osservare la scena.
Nolwen, anch’essa completamente ferma, abbassò lo sguardo verso le sue mani ricoperte di sangue.
Si sentiva terrorizzata, forse per la prima volta in vita sua.
Sbarrò gli occhi, ormai lacrimanti.
Aveva ucciso uno dei soldati sotto il suo comando, per risparmiare la vita di un elfo.
Girò lo sguardo verso di lui.
Lo guardò impaurita, cercando una parola di conforto, un qualcosa che potesse spiegare cosa fosse accaduto.
Ma prima che l’elfo potesse dire qualcosa, un forte suono proveniente dal corno degli orchi, riecheggiò nell’aria attorno a loro.
Istintivamente Nolwen aprì le ali e si alzò in volo.
Non voleva restare lì neanche un minuto di più. Era troppo terrorizzata.
Tenne sempre lo sguardo sull’elfo mentre si alzava sempre di più nel cielo, finchè non lo vide più.
Da quel giorno il dubbio si era insinuato tra i suoi pensieri.
 
Tornò con la mente al presente.
Gandal e Faramir la guardavano ancora, in attesa di una sua parola.
Intanto Pipino si era svegliato. Anche lui la guardava, solo che il suo sguardo era più rilassato.
Sembrava volesse sorriderle.
<< Mi conosci dunque? Sai chi sono? >> chiese d’un tratto Gandalf, incuriosito dal modo in cui l’aveva chiamato qualche istante prima la ragazza.
Lei annuì.
<< Credo di si, Olòrin… >>
I due si guardarono, entrambi stupiti.
Nolwen stessa non sapeve bene perché lo aveva chiamato con quel nome.
Gandalf era visibilmente colpito. Quel nome non era usato da anni. Solo in Valinor si era sentito nominare.
Questo crebbe ancora di più la curiosità verso di lei da parte dello stregone.
E lo stesso accadde a Nolwen verso se stessa.
Sembrava conoscesse cose di cui non sapeva nulla. Come fossero racchiuse nel profondo del suo animo.
La reazione di Gandalf le aveva confermato che poteva trattarsi proprio di lui.
Faramir, osservando entrambi, cercava di capire cose stesse succedendo.
Dal momento in cui la ragazza aveva pronunciato quel nome, Gandalf era rimasto in silenzio, visibilmente confuso per poter parlare ancora.
Il capitano e Pipino si scambiarono un’occhiata interrogativa. Nessuno dei due capiva cosa stava a significare quel nome.
<< Il tuo nome invece qual è? >> la voce piccola e serena di Pipino interruppe il silenzio che aveva riempito la stanza. Usava il linguaggio corrente, quello che tutti parlavano e potevano capire. Probabilmente pensando che lei lo capisse.
<< Io sono Peregrino Tuc, ma tutti mi chiamano Pipino. >> continuò l’hobbit, indicando se stesso.
<< Lui è il capitano Faramir… penso vi conosciate già… >> facendo un cenno col capo verso il capitano, Pipino andava avanti con le presentazioni.
Alla fine arrivò il turno di Gandalf.
Ma prima che potesse parlare, Nolwen lo interruppe.
<< Nolwen… >> indicò se stessa.
Pur non capendo appieno il linguaggio degli uomini, aveva capito quello che stava dicendo Pipino, anche attraverso il linguaggio dei gesti.
Gandalf parve riprendersi dal suo stato di trance in cui si era rinchiuso pensando alla ragazza.
Guardò Nolwen ancora una volta. Il suo nome non gli era familiare.
Questo era il motivo per cui si sentiva leggermente infastidito. Lei pareva conoscere tutto di lui. E lui, per quanto si sforzasse, ancora non ricordava niente di lei.

In realtà non sapeva che neanche lei infondo sapeva poi tanto, ed era ancora in dubbio su Gandalf.
Ogni informazione ricevuta sino a quel momento, le diceva che era proprio lui lo stregone di cui Sauron le aveva sempre parlato.
Eppure cercava di nascondere a se stessa questa realtà.
L’aspetto candido e i modi gentili di Gandalf, le rendevano difficile credere che potesse essere un mostro.
Qualcosa che diede di nuovo da pensare a Nolwen, sulla veridicità delle parole di Sauron.
Gandalf chiese scusa, e si ritirò nella stanzetta accanto, sedendosi davanti al camino, più pensieroso che mai.
Non era pronto per sapere tutto riguardo Nolwen. Doveva cercare di farsene una ragione. Al momento opportuno, era sicuro, avrebbe ricordato.
<< Nolwen… bel nome! >> rispose Pipino.
<< Sembra elfico… >> continuò, guardando Faramir.
Improvvisamente si sentì un brontolio nella stanza.
Faramir e Nolwen si voltarono verso Pipino.
Era il suo stomaco.
<< Ehm, chiedo scusa. Credo che adesso farò uno spuntino… >> disse dirigendosi verso le borse posate vicino al tavolo in legno. Dentro v’era una piccola parte di provviste.
Erano troppe ore che Pipino non toccava cibo. Era affamato.
Rimasero solo Nolwen e Faramir in quella stanza.
Il capitano non voleva andare via e lasciarla sola. Non voleva neanche farle domande.
Non in quel momento.
Adesso sapeva il suo nome, e tanto gli bastava.
E poi era sicuro che mille domande l’avrebbero indispettita.
Nolwen si girò sul letto, mettendo i piedi sul pavimento. La superficie era persino più calda rispetto ai suoi piedi freddi. Ma non li ritirò su.
Voleva gustare quel contatto tra la sua pelle ed il pavimento in marmo fino alla fine.
Osservò i suoi piedi e le sue gambe. Li avevi usati di più nelle due giornate precedenti, che in tutta la sua vita.
Faramir si avvicinò e sedette sul letto, accanto a lei.
Nolwen distolse lo sguardo da terra, spostandolo sul capitano.
Eccoli lì, di nuovo… i suoi occhi. Il suo sguardo era riuscito di nuovo ad attirarla.
Lo stesso succedeva a Faramir.
Questi, per un attimo, esitò, distogliendo lo sguardo da quello di Nolwen e ripensando alle parole del padre e di Gandalf.
Se era vero che Nolwen aveva un legame con Sauron, era probabile che avesse qualche potere simile a quello dell’anello? Un potere che attirava in modo indescrivibile chiunque si avvicinasse troppo e tirava fuori la parte malvagia di una persona?
Tornò con lo sguardo su quello della ragazza.
Lei era ancora lì che lo fissava. I suoi occhi sembravano così innocenti, come l’espressione sul suo viso.
Niente dava a vedere che potesse essere un arma del male.
Eppure lui aveva visto di cosa era capace.
Pensandoci bene, se era davvero un’arma di Sauron, era perfetta.
Nessuno avrebbe sospettato di lei, così minuta, palesemente debole. Avrebbe potuto sorprendere tutti, sterminandoli con semplicità.
Eppure, più la guardava, più questi suoi sospetti – fondati, con tanto di prove - non riuscivano a trovare appiglio.
Tutto quello che gli suscitava era un grande senso di protezione.
Desiderava proteggerla, anche se non sapeva bene da cosa.
Sollevò una mano, portandola vicino al viso di Nolwen.
Lei ebbe un piccolo scatto indietro, non riuscendo a capire quel gesto. Ma poi, rassicurata dallo sguardo di Faramir e dal suo sorriso, si rilassò.
La mano del capitano si fermò accanto alla sua guancia.
L’accarezzò con la parte esterna della mano, con quattro dita, sfiorando appena la sua fredda pelle con dolcezza.
Era la prima volta che Nolwen riceveva un gesto simile.
Non sapeva cosa pensarne. Ma le piaceva.
Sentì il suo viso riscaldarsi, proprio nel punto in cui Faramir l’aveva accarezzata.
Anche questo era la prima volta che succedeva.
Socchiuse gli occhi, assaporando quella sensazione, lasciandosi trasportare da pensieri affettuosi, a lei del tutto sconosciuti.
Per la prima volta si sentiva libera, fluttuante, quasi al sicuro.
Il capitano continuò ad osservarla. Era di una bellezza unica.
Si chiese perché non potesse essere proprio quello il motivo per cui ne era così attratto.
Si chiese anche come avrebbe potuto una creatura così bella essere legata a Sauron.
Ma lasciò le risposte a quelle domande ad un altro momento.
Ora tutto quello che voleva era riposare la mente e il corpo. Erano stati due giorni sfiancanti.
Abbassò la mano e si stiracchiò appena con la schiena.
Nolwen riaprì gli occhi lentamente.
La fine di quel contatto l’aveva riportata nuovamente alla realtà.
Guardò Faramir. Il suo viso era nascosto in parte dai capelli castani che gli ricadevano in avanti, ma aveva notato che era stanco o comunque molto affaticato.
Esitando più volte con la mano, cercò di ricambiare quel gesto, quella carezza.
Pensava che se aveva fatto sentire lei così leggera e al sicuro , avrebbe potuto trasmettere la stessa sensazione a lui.
Ma la sua mano si fermava sempre a metà percorso.
Aveva timore. Una delle pochissime volte in vita sua in cui aveva timore di qualcosa.
Faramir aveva notato tutti i suoi movimenti, e aveva iniziato a ridere, divertito dalla sua indecisione.
Prima che Nolwen mettesse giù la mano arrendendosi, lui l’afferrò con sicurezza, con la sua mano.
La strinse appena.
La ragazza ebbe un piccolo sobbalzo. Adesso lo guardava incuriosita.

Ancora una volta, la mano di Nolwen fu avvolta dal calore della pelle del capitano.
Attirò piano la mano della ragazza verso di lui, avvicinandola al suo viso, alla sua guancia, in modo che le dita di Nolwen la sfiorassero.
Ripete l’azione, dall’alto al basso, per due volte, molto lentamente.
Alla terza, lasciò la sua mano.
Nolwen continuò da sola ad accarezzargli la guancia.
Sentiva la leggera sensazione di ruvido dovuta alla barba di Faramir. Tuttavia la sua pelle era soffice.
Dopo un po’, Faramir riportò la sua mano su quella di Nolwen. La fermò sulla sua guancia, mentre l’accarezzava. Si sentiva già un po’ più sollevato.
Girando lo sguardo verso di lei, le sorrise.
<< Hai l’aria di una persona che non ha mai ricevuto una carezza… >> le disse.
Sapeva che non capiva bene, ma non importava, perché sapeva anche che in qualche modo riusciva a comprendere.
E difatti Nolwen capì cosa voleva dirle.
Cercò di sorridere, come aveva fatto il giorno prima, e fece un piccolo cenno con la testa, annuendo alla sua affermazione.
<< Hantale (Grazie) >> le disse Faramir, per averlo salvato il giorno prima.
All’improvviso Nolwen si trasse indietro, liberandosi la mano dalla presa di Faramir.
Si guardò attorno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione, un suono molto sottile. Percettibile solo da orecchie molto sensibili.
Si alzò in piedi, seguita da Faramir, il quale non riusciva a capire cosa le stesse succedendo.
<< Cosa c’è…? >> le chiese, ma senza risposta.
Gandalf e Pipino li raggiunsero nella stanza, dopo aver sentito la voce del capitano e dopo aver visto gli strani movimenti della ragazza.
Finchè una voce imponente invase l’intera stanza, facendo tremare tutto, muri e pavimenti compresi.
<< Torna da me! >> era il linguaggio oscuro di Mordor.
Solo udirlo era un male per le orecchie.
Pipino e Faramir si coprirono le orecchie, completamente infastiditi da quella voce.
Era come se le loro orecchie fossero state pervase da un suono troppo forte.
Gandalf resistette, e guardò la reazione di Nolwen.
Lei si era avvicinata alla finestra, guardando fuori. Non sembrava spaventata.
Era chiaro che capiva quello che era stato detto.
Anche Gandalf si affacciò alla finestra, e vide che fuori per le strade della città buia, era uscita la metà delle persone, dalle loro case.
Quella voce doveva aver scosso l’intera città, e dovevano averla udita tutti.
Le persone erano spaventate, cercavano informazioni l’uno dall’altro riguardo quello che era successo. Nessuno però poteva dare risposte certe, tutti ipotizzavano ad un attacco da parte di Mordor.
Non sarebbe stato niente di cui preoccuparsi se di lì a poco non fossero arrivate le guardie di Minas Tirith.
Si dirigevano proprio verso l’abitazione in cui si trovavano Gandalf, Pipino, Faramir e Nolwen.
Denethor probabilmente aveva di nuovo fatto uso del Palantir.
Lo stregone si voltò velocemente verso Nolwen e posò le sue grandi mani sulle spalle della ragazza.
<< Devi dirmi tutto adesso! Prima che le guardie ci raggiungano e ti portino via. Chi sei tu?!? >>
Alla fine aveva alzato troppo la voce.
Nolwen era rimasta a fissarlo. Così come Faramir e Pipino.
Lei ancora non parlava, guardava fuori e poi si rigirava verso Gandalf.
Alla fine riprese il controllo di se stessa.
Portò le mani su quelle di Gandalf, le strinse forte, facendogli male, e le spostò.
<< Mankoi lle irma sint? (Cosa desideri sapere?) >> gli chiese, con un tono serio e altezzoso.
<< Im Nolwen (Io sono Nolwen)… Avo ista man im (Non so chi sono) >> lo sguardo di Nolwen si fece più triste e la voce meno altezzosa, era adesso un po’ tremolante.
Era sincera.
Non sapeva più chi era.
A quale popolo apparteneva.
Dov’era la sua casa.
Fidarsi di quell’uomo, quello stregone, poteva essere un grande rischio se quello che Sauron le aveva detto era vero.
Se non fosse stato vero però non sarebbe cambiato poi tanto. Sapere che lei era una creatura di Sauron l’avrebbe fatto insospettire e probabilmente l’avrebbe rinchiusa di nuovo in quella stanza.
Se adesso era lì, in tutti i confort di quella stanza, lo doveva al fatto di aver salvato Faramir.
Guardò un ultima volta il capitano.
Si scambiarono entrambi uno sguardo pieno di domande.
Poi tornò a guardare Gandalf. Lasciò le sue mani.
<< Io sa gad nin (Fa che mi prendano) >> disse Nolwen, tornando ad assumere un atteggiamento coraggioso e fiero.
Gandalf la scrutò confuso per un po’.
Alle mille domande che si poneva su di lei, se ne aggiunsero altre mille.
Quella creatura non era lì per distruggerli. Almeno questo gli fu finalmente chiaro.
Lo capì dallo sguardo della ragazza di poco prima. Aveva visto la sua debolezza. Era forte fisicamente, ma la sua mente era fragile.
Aveva bisogno anche lei di risposte probabilmente.
<< Aprite questa porta, in nome del Sovrintendente di Gondor! >> due colpi alla porta e dopo quella voce si udirono a pochi passi da dov’erano loro.
Faramir e Gandalf si guardarono. Senza che dicessero nulla, si spostarono per la casa, in silenzio, raccogliendo le borse e sistemando le robe in modo che nessuno sospettasse di nulla.
<< Dartha lle ennas. Nauth nin. (Resta lì. Ci penso io.) >> disse Gandalf a Nolwen, parlando sottovoce.
La ragazza rimase senza parole, insicura.
Sedette di nuovo al letto, tirando verso di se le lenzuola.
Gandalf lasciò la stanza, chiuse la porta dietro di se e sedette ad una delle sedie che erano attorno al tavolo. Faramir e Pipino erano anch’essi lì seduti.
Il piccolo hobbit si alzò per avvicinarsi alla porta. L’aprì.
Un soldato alto e robusto fece qualche passo in avanti nella stanza, scostando con maleducazione il piccolo mezz’uomo, senza nemmeno chiedere se potesse entrare.
Quando vide che lì v’era anche il capitano Faramir, lasciò quell’aria altezzosa e fece il suo saluto militare.
<< Cosa succede qui? >> chiese subito Faramir.
<< Signore, ci manda il Sovrintendente. Dice che qui dentro si nasconde la fuggitiva, signore. >> il soldato restò sull’attenti. Alle sue spalle si aggiunsero altri due soldati.
Fuori dalla porta ce n’erano di sicuro altri due.
<< Qui ci siamo solo noi tre… >> disse con fermezza Faramir.
Il soldato che aveva parlato, lanciò uno sguardo alla porta della stanzetta affianco. Ma non osò parlare.
Scambiò un’occhiata con il suo compagno, al suo fianco, e tornò con lo sguardo sul capitano.
<< Dobbiamo controllare quella stanza signore… >> indicò la porta << …è un ordine del Sovrintendente. Lui… sapeva che lei era qui. Mi ha autorizzato ad ignorare i suoi ordini. >>
Era palesemente a disagio in quella situazione. Dover disobbedire agli ordini del suo capitano, era qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter fare. Tuttavia rispondeva anche agli ordini del Sovrintendente.
Faramir non osò girare lo sguardo verso Gandalf, il quale rimase immobile.
Non sapeva cosa fare, se avesse fatto una minima mossa, avrebbe dato a vedere che nascondevano qualcosa.
<< Fate pure… >> rispose Gandalf, sotto lo stupore di tutti, compresi Faramir e Pipino.
<< Se avete da perdere del tempo, prego… qui non c’è nessuno oltre noi tre. >>
Invitò con la mano i soldati ad entrare nella stanza.
Faramir non osava muovere un muscolo. Ma non appena il soldato mise la mano sulla maniglia della porta, lanciò a Gandalf uno sguardo interrogativo.
Di rimando, lo stregone gli rispose sorridendo sereno. Era tutto sotto controllo.
La porta fu aperta violentemente dal soldato, avvisato della forza della fuggitiva. Fece qualche passo in avanti.
Nella stanza vi erano una candela mezza usata, ancora accesa, un letto sfatto, mobili in legno e una finestra aperta.
Nessuna traccia di Nolwen.
Prima di tornare nella stanza antecedente, il soldato diede un ultima occhiata attorno, persino sotto il letto. Ma nulla ancora.
<< Chiedo scusa per l’intrusione signore. Riferirò a sire Denethor che… >>
<< …si sbagliava! >> disse severo Faramir.
Accompagnò i soldati alla porta, con gentilezza e poi la richiuse dietro di se.
Non ce l’aveva con loro, infondo erano solo uomini che eseguivano degli ordini. Non era nulla di personale.
Si allontanò velocemente dalla porta, per andare nella stanza.
Nolwen non c’era davvero più.
Gandalf e Pipino si avvicinarono.
Lo stregone non sembrava stupito, e Faramir gli chiese il perché.
<< E’ una creatura intelligente. Ha sentito che stavano per entrare e se avessimo cercato di ostacolarli ci avrebbero bloccati e sarebbero entrati comunque. Con la sola differenza che adesso non staremo qui a farci domande. Dev’essere uscita dalla finestra. Ma tornerà, stanne certo. E’ ancora troppo debole e poi adesso… ha soltanto noi.>>
Nonostante la spiegazione, Faramir era preoccupato.
Guardò fuori dalla finestra, mentre teneva in mano il lenzuolo sotto il quale Nolwen s’era addormentata il pomeriggio.
In cuor suo, sperava che tornasse presto.





#Nda:  Salve! E' passato un bel pò di tempo da quanto ho iniziato a scrivere questa storia. Precisamente sono quasi due anni. Dopo varii problemi e dubbi, ho deciso di tornare a dedicarmi alla mia fanfiction lasciata a metà. Penso si possa notare una notevole differenza rispetto alle prime stesure, dovuta alle mie esperienze, alla crescita emotiva e professionale. Spero non crei confusione nella lettura, ma ne dubito. Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che possa ancora piacere il mio lavoro. Altrimenti continuerò comunque per la mia strada, infondo sono affezionata a questa storia e voglio darle una fine.
Buona lettura e grazie per aver letto.
Namarie!#

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