Il cristallo del potere

di Netmine
(/viewuser.php?uid=178752)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il mercante ***
Capitolo 3: *** Al mercato ***
Capitolo 4: *** La semina ***
Capitolo 5: *** Una felice scoperta ***
Capitolo 6: *** Un sogno interrotto ***
Capitolo 7: *** Incontri nel buio ***
Capitolo 8: *** Nuove domande ***
Capitolo 9: *** Un addio (?) ***
Capitolo 10: *** Il focolare ***
Capitolo 11: *** Il focolare (pt.2) ***
Capitolo 12: *** Amanith ***
Capitolo 13: *** Primi insegnamenti ***
Capitolo 14: *** Il compleanno ***
Capitolo 15: *** Il compleanno (pt. 2) ***
Capitolo 16: *** L'accettazione ***
Capitolo 17: *** Una forte esperienza ***
Capitolo 18: *** Una decisione difficile ***
Capitolo 19: *** Miraggio o Realtà? ***
Capitolo 20: *** L'inizio ***
Capitolo 21: *** Una terribile scoperta ***
Capitolo 22: *** Una candela ***
Capitolo 23: *** La fuga ***
Capitolo 24: *** Il bosco ***
Capitolo 25: *** Il ritorno del mercato ***
Capitolo 26: *** Una notte al caldo ***
Capitolo 27: *** Dell'acqua calda e dei vestiti puliti ***
Capitolo 28: *** Gestione del potere ***
Capitolo 29: *** Padre e figlio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Image and video hosting by TinyPic

Era una mattina di dicembre e il vento freddo penetrava in casa attraverso le finestre ormai troppo vecchie.

Carol si alzò dal letto e si strinse nella vestaglia, un po' lunga per lei, di sua madre. Un giorno se ne sarebbe comprata una anche lei.. Se lo ripeteva ormai da un anno ma non vi era ancora riuscita.
Con la lentezza e la calma di chi si sveglia presto la mattina, mise a bollire dell'acqua in un pentolino e si preparò un infuso al tiglio, come faceva ogni giorno.

Mentre sorseggiava il suo infuso, assaporandolo e godendo al massimo del calore che le fluiva nel corpo, non riusciva a non pensare al sogno che ormai si ripeteva da un mese

-Il tempo era soleggiato, e un bel tepore si irradiava dal sole fino alla pelle di Carol. Quel giorno aveva deciso di andare a fare una passeggiata per raccogliere dei fiori e per salutare la quercia che lei e suo padre avevano piantato quando lei aveva solo quattro anni. 
Tutto intorno a lei era bello e luminoso, la rugiada sull'erba e sulle foglie brillava come se fosse fatta di cristallo e gli uccellini cinguettavano allegri intorno a lei, rimanendo nascosti tra i rami degli alberi. Aveva con se un cestino dove poggiava i fiori più belli e le bacche che raccoglieva.. 
Ad un certo punto il sole venne oscurato da una grossa nuvola grigia, quasi nera, e Carol sentì l'agitazione e l'angoscia crescere dentro di se, senza conoscerne il motivo. Delle creature si muovevano cautamente e silenziosamente nel sottobosco, ma Carol sentiva i loro movimenti come amplificati nella sua testa e scorse i loro occhi.. Lupi. Iniziò a correre a perdifiato verso la sua quercia, la sua Amanith (così l'aveva chiamata da piccola, quando ancora non riusciva a pronunciare la parola "diamante"). 
Giunta ai piedi di Amanith si buttò sulle ginocchia e iniziò a scavare nella terra, graffiandosi le mani e continuando, nonostante il dolore, fino a quando non trovò una grossa radice. Si strappò dal collo la collana con il bellissimo quarzo fantasma e pronunciò delle parole a lei estranee. 
Immediatamente sentì un calore intenso, troppo intenso, fluire nel suo corpo. Urlò dal dolore e, attraverso esso, toccò l'anima di Amanith e si fuse con essa. Conobbe ogni suo ramo e ogni sua foglia, le sue radici e i luoghi lontani dove esse si spingevano, conobbe il sottosuolo e tutte le creature che lo abitavano. Era entrata in contatto con la terra, con la natura e sentiva di poterla dominare, allora rise, rise istericamente, rise perché non riusciva a crederci e in quel momento ebbe paura di se stessa. 
Sentì che vicino alle radici di Amanith si era appostato un lupo e che nella terra circostante vi era una grossa roccia acuminata. La sollevò e la scagliò con tutta la sua forza contro il lupo che cadde a terra guaendo e contorcendosi per il dolore. Stava per farlo anche con tutti gli altri, accecata dalla paura e dalla furia del momento, ma si fermò appena in tempo per accorgersi di che cosa aveva fatto. Aveva ucciso un lupo. Aveva ucciso senza pensarci quando avrebbe solo potuto metterlo in fuga! Riprese il controllo e spaventò gli altri lupi senza ferirli gravemente.
Quando anche l'ultimo andò via, la sua anima si separò da Amanith e lei pianse a lungo prima di strappare il cristallo dalla radice, ricoprirla con la terra e correre via.-


"E' solo uno stupido sogno. Avrò sentito dei lupi e mi sarò impaurita e, visto che ci sto' pensando così tanto, si ripete da tanto tempo. Dovrei pensare ad altro, distrarmi! E magari concentrarmi sul lavoro.. E poi io non posseggo nessuna pietra preziosa e non avrei mai la possibilità di comprarla" Così Carol giustificava il suo sogno.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il mercante ***


Erano ormai passati quasi tre mesi dall'inizio dei sogni di Carol. Febbraio stava finendo e, con le prime giornate soleggiate, sarebbero arrivati in città anche i venditori ambulanti. 
Era il periodo dell'anno che preferiva perché, anche se non poteva comprare nulla, ogni volta che andava in città per comprare la carne e il pane o per vendere i manufatti insieme al padre, rimaneva affascinata dai meravigliosi gioielli e dagli strani oggetti che quei venditori portavano in città. 
 
Una mattina Carol si svegliò e, come succedeva ogni settimana, trovò delle monete sul tavolo. Le infilò in un borsellino attaccato alla cintura, bevette il suo infuso e andò a sellare il cavallo per recarsi in città.
Il tragitto per arrivarvi non era molto lungo, solamente un'ora o poco più, e Carol lo trascorse pensando alle bellezze che vi avrebbe trovato. 
 
Quando vi arrivò, la sua delusione fu infinita. Nella piazza centrale, che di solito in quel periodo era piena di tendone e gente che entrava a mani vuote e usciva carica di oggetti preziosi e unici, non c'era nessuno, tranne qualche passante e le poche persone che vi si erano fermate per godere del sole.
Carica di delusione comprò il pane e la carne e tornò immediatamente a casa.
 
Passò un altro mese e finalmente i venditori arrivarono in città. Ormai Carol aveva perso ogni speranza di vederli quell'anno e così rimase molto sorpresa quando arrivò in città con i suoi pochi spiccioli e trovò la piazza piena di voci, tende e buoni odori. Comprò in fretta il pane e la carne e vi tornò.
Notò che quell'anno vi erano meno tende del solito ma non le importava, era felice del fatto che ci fossero! 
Entrando nella prima, color terra bruciata, venne invasa dall'odore di dolci e biscotti vari. Tra i tanti odori riconobbe quello dei biscotti allo zenzero, i suoi preferiti, e decise di comprarne quel che riusciva con una moneta. Avrebbe voluto chiedere alla proprietaria il perché del ritardo, ma aveva un espressione poco socievole e decise di chiedere a qualcun'altro.
Girò altre due tende vedendo delle bellissime statuine in vetro, legno o pietra, delle casette per gli uccellini, che sarebbero state molto bene di fronte a casa sua e perfino delle selle nuove, che avevano un buonissimo profumo, non come la sua che ormai era logorata dal tempo, con una staffa attaccata con della corda e che cominciava a puzzare. 
Tutto quello che vide era fuori dalla sua portata, ma era lo stesso contenta di aver potuto vedere anche quell'anno tante belle cose.
 Per ultime lasciò le tende che vendevano gioielli, non ne era mai stata attratta particolarmente, ma le piaceva lo stesso passare di lì e scambiare quattro chiacchiere con i mercanti. 
Oltre ad esse vide un umile banchetto in legno, poco visitato, dietro il quale stava un ragazzo molto in carne e dall'aspetto simpatico. Vi si avvicinò  e vide un sacco di bellissimi orecchini, anelli, bracciali, pietre e anche collane. In particolare una la colpì, era un cristallo trasparente, a forma di prisma esagonale con le due estremità leggermente appuntite, una delle quali era avvolta da un filo di rame che vi si intonava perfettamente. 
"E' un quarzo fantasma, una pietra molto rara" il mercante le si era  avvicinato e ora le stava mostrando il ciondolo "Vedi, all'interno non ci sono aloni. E' una pietra pura e molto bella"
"Si, lo è davvero." Carol ne era affascinata, non riusciva a distogliere lo sguardo "Quanto costa?" 
"Venti monete" 
Carol tornò in sé e si accorse che non avrebbe mai potuto permettersela "E' molto bella, spero che tu la venda a qualcuno che le renda onore" disse con un mezzo sorriso da cui traspariva un principio di tristezza.
Il mercante sorrise "Penso di avere appena trovato quella persona" e le mise al collo il ciondolo "Ti sta molto bene"
Carol guardò la pietra, se la girò tra le mani "Si, è molto bella, ma non posso comprarvela" e, detto questo, se la sfilò e la riposò sul banchetto. "Ma, ditemi, come mai quest'anno siete arrivati così tardi?" disse, per distogliere l'attenzione dal sentimento di vuoto che si era creato nel suo petto quando si era allontanata dal ciondolo.
"Briganti" il volto del mercante si infiammò dalla rabbia "Conoscevano il nostro tragitto e ci hanno colti di sorpresa... Andrebbero puniti! Arricchirsi rubando ad altri il loro duro lavoro... Che modo vile per farlo!"
Carol capì che era meglio cambiare argomento "Quanto resterete quest'anno?"
"Meno del solito, penso che tra un mese  al massimo ci rimetteremo in viaggio"
Quelle parole furono come una pugnalata nel petto per Carol. Avrebbe dovuto vedere quel ciondolo ancora per tanto tempo, sapendo che non se lo sarebbe mai potuto permettere. "Che peccato... Comunque devo andare, il cielo si sta imbrunendo e casa mia è lontana"
"Spero di vedervi di nuovo" disse il mercante mentre Carol si allontanava. Anche lei sperava di rivederlo ed egoisticamente sperava anche che nessuno comprasse quel ciondolo.
 
Durante il tragitto per tornare a casa, Carol continuò a pensare a quel gioiello e  a chiedersi come mai l'avesse colpita così tanto. "Ma certo, il mio sogno!" La pietra era pressoché identica a quella che aveva sognato, per questo l'aveva colpita!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Al mercato ***


Durante la settiman,a Carol non fece altro che lavorare e mettere da parte qualche spicciolo nel tentativo di comperare quel ciondolo. Ne aveva parlato con sua madre e lei era d'accordo a lasciarle prendere quello che rimaneva dalle compere in città, se per lei era davvero così importante.
 
Era passata una settimana. Carol si alzò prima del solito per poter andare in città a comperare la carne e il pane presto, prima che gli altri cittadini vi andassero, sperando  di poter ottenere uno sconto... o almeno di trovare qualcosa che costasse di meno! Ma, sul tavolo, non trovò le monete. 
Pensò che ci dovesse essere uno sbaglio, magari sua madre si era scordata di metterle sul tavolo la sera prima... Ma certo, doveva essere così! 
Andò in camera dei suoi genitori e si avvicinò silenziosamente al letto per non svegliare anche suo padre, era rientrato molto tardi a casa la sera prima perché aveva avuto molti manufatti da completare. 
"Mamma...Mamma..." Quello di Carol era quasi un bisbiglio, ma bastò per far aprire gli occhi alla signora Robins. "Mamma, ieri vi dovete essere dimenticati i soldi" 
La signora Robins si stropicciò gli occhi e rispose con voce assonnata "No, Carol. Oggi tu e tuo padre andrete in città a vendere. E' il periodo migliore per farlo. Va a preparare qualcosa da mangiare, lo sveglio io." Detto questo, si girò nel letto e iniziò a chiamare gentilmente il signor Robins. 
Carol li aveva sempre ammirati per la loro forza di spirito e il loro amore e sperava di trovare anche lei un compagno di vita da amare in quel modo, un giorno o l'altro.
 
Quando il signor Robins uscì dalla stanza trovò sul tavolo una tazza fumante di tè con un goccio di limone e, accanto ad essa, tre biscotti allo zenzero, ma nessuna traccia di sua figlia. 
 
Dopo qualche minuto, Carol entrò in casa e vide il padre ancora in vestaglia. 
"Papà! Faremo tardi se continui di questo passo!" Si sfregò le braccia per riscaldarle, nella fretta si era dimenticata di indossare un maglione. "Ho già sellato i nostri cavalli, manca solo che carichi la merce"
Il signor Robins non riusciva a trattenere le risate. L'ultima volta che l'aveva vista così operosa di prima mattina e così contenta di andare a vendere in città era stata anche la prima volta che l'aveva fatto "Ma, Carol, il sole non è ancora sorto!"
"Si, ma sorgerà tra poco. Il cielo inizia a schiarirsi..." 
"Carol, di solito odi andare in città per vendere... Non ti piace dover stare ferma ad aspettare e trattare con tanta gente sgarbata. C'è qualcosa che devo sapere?" Bran sollevò un sopracciglio assumendo un'aria molto buffa.
"No, niente... Semplicemente prima arriviamo, più vendiamo! E poi è il periodo dei venditori ambulanti e sai che mi piace molto guardare quello che hanno da vendere... Potremmo posizionarci anche noi nella grande piazza, no?"
Bran annuì, si alzò e si diresse verso la sua camera "Tra poco sarò pronto. Tu carica i cavalli. Trovi tutto nella stalla!"
 
Alle nove del mattino Carol e suo padre avevano allestito la loro esposizione nella grande piazza, accanto alla tenda color terra bruciata.
Non vendettero molto quel giorno perché la gente era più interessata a quello che non poteva avere tutto l'anno, ma guadagnarono abbastanza soldi per poter comprare quello che serviva e portare a casa abbastanza monete per il mese successivo.
 
Durante la mattinata, Carol ebbe anche la possibilità di passare di nuovo dal mercante del ciondolo. Parlarono a lungo del più e del meno e lei notò che la mercanzia che proponeva era identica a quella della settimana prima, come se non avesse venduto niente, ma decise di non farglielo notare, non sarebbe stato garbato.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La semina ***


Passò un altra settimana. 
Carol lavorava al massimo, insieme a suo padre e in casa. Aveva un chiodo fisso: quel ciondolo. Spesso, durante la giornata, sentiva la sua presenza intorno al collo, come se lo stesse portando addosso, e tentava di non abbassare lo sguardo per non fare svanire quella bellissima illusione.
 
Marzo era iniziato, le giornate soleggiate erano sempre più frequenti  e le persone più sorridenti. Anche Carol ne era contenta, ma in cuor suo era dispiaciuta che il tempo stesse passando così velocemente. Ogni mattina contava le sue monete sperando che durante la notte fossero aumentate.
 
Il sole iniziava a splendere nel cielo e Carol bevette la tua tisana sull'uscio per godere dei suoi primi raggi. 
Quella mattina le monete sul tavolo erano almeno il doppio, stava iniziando il periodo della semina. 
 
Arrivò in città di buon ora, nella piazza i tendoni erano raddoppiati. Incuriosita, cercò il banchetto del mercante per chiedergli spiegazioni, ma non lo trovò. Una fitta le attraversò il petto. Se ne era andato... Dopotutto, era ovvio... Gli affari non erano andati bene per lui.
Con il cuore stretto in una morsa, Carol andò a comprare il pane e la carne, come al solito, e dei semi per l'orto di casa. 
Quella sera, a cena, Carol non disse una parola. 
 
La mattina dopo l'intera famiglia si alzò di buon ora. Dovevano iniziare la semina.
Carol indossò il vestito più vecchio e logoro che aveva. Era pieno di strappi e le stringeva sulle spalle, ma serviva allo scopo. 
La giornata fu estenuante e tutti tentarono di alleviare la fatica chiacchierando, tranne Carol. Sentiva ancora il peso del gioiello al collo, sentiva che le apparteneva, ma era perduto. 
Prima di andare a letto,  tirò fuori da una crepa nel pavimento il suo logoro borsellino: aveva nove monete... In ogni caso non le sarebbero bastate.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una felice scoperta ***


La settimana passò molto lentamente e, quando arrivò il giorno delle compere, Carol si alzò più tardi del solito. Il sole era già alto nel cielo da almeno un ora quando iniziò a prepararsi l'infuso di tiglio.

Verso mezzogiorno arrivò in città, facendo il giro largo per evitare di passare dalla piazza. Non era allegra come al suo solito, ma si sforzò di chiacchierare e scambiare battute con il macellaio e con tutti coloro che incontrò durante la mattina. Era stata così convincente che le avevano persino regalato un sacchetto dei suoi biscotti preferiti! 
Caricò il cavallo e si preparò per tornare a casa, ma era ora di pranzo e decise di fermarsi un altro po' e mangiare dei biscotti prima di rimettersi in marcia, faceva molto caldo e non voleva rischiare di svenire per la fretta di andare via. 
Cominciò a sgranocchiare un biscotto e a passeggiare senza una meta precisa.
Finì altri due biscotti e intravide i primi tendoni. Stava per cambiare strada, ma decise di non farlo, d'altronde molti di essi non li aveva ancora visitati ed era troppo curiosa per voltarsi semplicemente e tornare indietro. 
C'erano sei tendoni in più rispetto a due settimane prima e quello che la colpì di più era di uno strano colore a metà tra il viola e il blu al cui interno sedevano padre e figlia in mezzo ad una quantità inimmaginabile di tesori. C'erano gli oggetti più disparati, dai quadri d'autore agli insetti nella resina, dai libri più antichi ai più moderni, testi religiosi per ogni culto e, non ne era sicura, ma credeva di aver visto anche carte e bastoncini per prevedere il futuro.
Quando uscì di lì, la morsa al suo petto si era allentata, aveva fatto bene a non voltarsi.
Entrò in tutti i tendoni fino ad arrivare alla più piccola. Era ben nascosta e un passante disattento non l'avrebbe notata. 
Quando vi entrò non seppe se darsi della stupida o mettersi a piangere dalla gioia... Seduto su dei cuscini, in un angolo, vi era il mercante e, tutto intorno a lui, ben disposti, vi erano molti più gioielli di quanti non ve ne fossero nel banchetto. L'aria era piena dell'odore di tabacco e del fumo della sua pipa.
"Sono contento di vederti di nuovo" il mercante non guardava Carol, ma sentiva che stava parlando con lei.
"Salve... Ero passata la settimana scorsa e non vi ho visto, così ho pensato che foste andato via... Avrei dovuto pensare che anche aveste montato uno spazio tutto vostro, non so perché non ci ho pensato subito!" la voce di Carol era tremante, sembrava che dovesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
"Non lo hai fatto perché non ne avrei avuto motivo. Avevo poca merce e, in questo modo, sarei stato ancor meno visibile"
"E allora perché lo avete fatto?"
"Perché non mi interessa vendere i miei gioielli a gente qualunque" 
"Che volete dire? Non vi capisco... In un mercato si va per vendere" 
" 'Spero che troviate qualcuno che le renda onore.' Non erano queste le tue parole?" fece una pausa per trarre una lunga boccata dalla pipa "Ebbene, è questo che cerco. I miei gioielli non sono per tutti e coloro a cui sono destinati trovano sempre la via"
Carol iniziò a pensare di avere a che fare con un pazzo, anche se c'era qualcosa in lui che le trasmetteva tranquillità e una parte di lei accettava le sue parole come veritiere. 
Non sapeva come rispondere e rimase in silenzio a guardare i nuovi gioielli. Ognuno era unico nel suo genere ed elaborato in ogni particolare... Proobabilmente, se fosse stato più elastico, il mercante sarebbe stato ricco. 
Chiacchierarono per un'altra mezz'ora, di cose semplici e senza più enigmi. Il mercante le mostrò alcuni dei gioielli di cui andava più orgoglioso, spiegandole il loro significato e a quali tipologie di persone sarebbero stati adatti.
"Si sta facendo tardi, ti devo salutare. Ti troverò la prossima settimana?" il mercante le fece un cenno che interpretò come un si e tornò a sedersi sui suoi cuscini.

Carol si mise in strada verso casa, felice come non mai, le piaceva accompagnarsi al mercante e apprendere da lui. Avrebbe voluto che restasse di più, ma sapeva che le rimanevano ancora poche settimane e che non aveva molto tempo per trovare le monete che le mancavano.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un sogno interrotto ***


-Era notte. La grande piazza dormiva. Una sola tenda proiettava luce nel buio. Carol vi si avvicinò, era molto piccola rispetto alle altre e le era familiare. 
La luce che ne fuoriusciva era troppo forte e troppo concentrata per poter essere prodotta da delle candele e c'era uno strano suono, quasi un ronzio. Aguzzò l'udito e si avvicinò silenziosamente alla tenda. Qualcuno al suo interno stava recitando una sorta di poesia in una lingua a lei sconosciuta..-
 
Carol si svegliò di soprassalto quando un raggio di sole le colpì il viso.
Si vestì in fretta e partì a tutta velocità verso la città, poteva trattenervisi solo fino al primo pomeriggio e non voleva perdere un solo secondo in più.
 
Le faccende da sbrigare in città si erano moltiplicate, così come le monete che le davano per sbrigarle, ma, con un po' di ingegno, Carol era riuscita a mettere da parte più monete del solito nelle ultime due settimane, aveva scoperto che se comprava il pane sfornato diverse ore prima nel momento in cui se ne sfornava del nuovo costava circa la metà e che, con un po' di gentilezza e disponibilità, ogni prezzo poteva essere leggermente abbassato.
 
Finite le compere andò nella piazza e puntò dritta verso la piccola tenda del suo sogno. Appena vi fu abbastanza vicina sentì il rassicurante odore della pipa del mercante, era ancora lì!
"Benvenuta e bentrovata, Carol. Sai di essere la mia cliente più assidua?" Nel tono del mercante c'era qualcosa che la fece sorridere. Come se a prenderla in giro fosse stato un suo caro amico.
"Allora mi dispiace per voi, specialmente se anche gli altri vostri clienti non vi hanno comprato niente!" 
Il mercante rise di cuore e continuò a sistemare i suoi, già ben ordinati, gioielli. Carol gli si avvicinò e notò un piccolo scomparto che prima non aveva visto, vi erano sopra tante piccole boccette con liquidi e polveri all'interno. Ne sollevò una dal contenuto liquido e di uno strano colore "Che cos'è questo?" 
Il mercante si girò appena per notare che era una delle boccette e tornò al suo lavoro "C'è scritto nell'etichetta, Carol"
Effettivamente sulla boccette c'era una striscia di carta dove era stato scritto un nome, ma Carol non era in grado di leggerlo "V..Vele..Vele.."
Il mercante si interruppe e si girò verso di leii meravigliato "Non sai leggere?"
"No, signore"
La ragazza ne sembrava molto imbarazzata "Perché non me ne hai parlato prima?" il mercante si fermò un attimo a riflettere, come se fosse davvero importante saper leggere "Sulla boccetta c'è scritto 'veleno di serpente', lo utilizzo spesso nei filtri che preparo"
Carol si fece elencare quasi tutti i contenuti delle boccette e poi aiutò ben volentieri il mercante a disporre meglio la merce.
 
Lavorarono fino ad ora di pranzo. 
Quando finirono erano esausti e il mercante iniziò ad accendere un fuoco per prepararsi da mangiare.
"Posso farti una domanda?" 
"Certamente, dimmi pure, e siediti con me a mangiare" 
Carol avrebbe voluto raccontargli del sogno e chiedergli spiegazioni ma si rese conto che sarebbe apparsa stupida o, ancor peggio, pazza, perciò lasciò perdere. "No, niente.. Non importa"
Il mercante sollevò le spalle e addentò un pezzo di pane.
"Qual'è il tuo nome?" 
"Wedirs"
"Un nome poco comune, eh?"
"Già.."
Carol lasciò perdere, ovviamente non gli piaceva parlare di sé, e mangiò lentamente la tenera carne. 
 
Dopo pranzo Carol salutò Wedirs e tornò velocemente a casa per aggiungere al suo tesoro personale anche i risparmi di quel giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Incontri nel buio ***


Carol si svegliò di soprassalto, piangendo e con un grido soffocato in gola. Il corpo le tremava e non riusciva a smettere di piangere, nonostante non avesse più lacrime. A volte i sogni diventano veri e propri incubi capaci di farti stare male senza che tu sappia come spiegartelo.
 
Nonostante iniziasse a fare caldo, quella mattina Carol si preparò un infuso di tiglio, le dava sempre conforto e ne aveva bisogno. 
Bevendolo, un po' di tensione abbandonò il suo corpo e ripensò all'incubo. Riusciva solo a ricordare che, arrivando in piazza, era riuscita a vedere in lontananza Wedirs.. Era insieme agli altri venditori ambulanti, se ne stava andando via. Lei si era messa a correre a perdifiato, si era ferita i piedi e gli aveva urlato di non andarsene, ma lui non l'aveva sentita. Infine si era accasciata a terra e, continuando a piangere, aveva preso il borsello dove aveva custodito le sue venti monete. 
Corse in camera sua a prendere il borsello e ne versò il contenuto sul tavolo. Aveva ben diciotto monete d'oro e qualche spicciolo.. Non aveva mai avuto così tanti soldi in vita sua, ma ancora non bastavano.
 
Il sole ancora non era sorto quando Carol si mise a cavallo per arrivare in città e il tragitto fu abbastanza difficile perché, si sa, i cavalli non vedono bene al buio e dovettero sfruttare al massimo la loro sintonia per seguire il sentiero senza incorrere in incidenti.
Non erano molto lontani dalla città quando Carol scorse qualcosa che si muoveva cautamente nel sottobosco. Per un secondo, i suoi occhi incrociarono un paio di occhi molto strani, la pupilla era allungata e l'iride aveva due colorazioni, internamente arancione ed esternamente andava a sfumare verso il giallo più acceso. Non aveva mai visto degli occhi simili. Tutto il suo corpo si irrigidì per la paura e ciò fece spaventare anche il cavallo. Dopo poco più di un secondo l'animale distolse lo sguardo e corse via velocemente. Carol si sforzò il più possibile di allentare la tensione e poi, concentrata sulla strada per individuare ogni possibile pericolo, spronò il cavallo al galoppo verso la città.
 
Quella mattina era particolarmente agitata e svolse le compere senza neanche accorgersene e, nello stesso modo arrivò alla tenda del mercante.
 
Wedirs stava svolgendo la sua solita seduta di meditazione mattutina quando sentì qualcuno arrivare nei pressi della sua tenda, doveva essere lei. 
Aprì gli occhi e si avviò verso l'entrata con un sorriso, era sempre felice di incontrare quella ragazzina. 
"Carol, cara, perché non entri?" Era così sicuro che fosse lei da aver pronunciato quelle parole prima di guardarla, ma appena le scorse il volto si preoccupò e le circondò la vita con un braccio per farla entrare dentro. Aveva il volto stralunato e il corpo le tremava. Stringeva compulsivamente le due sacche che aveva in mano e sembrava sotto shock.
 
Un odore dolce le saliva alle narici dalla tazza che teneva stretta tra le mani, sembrava che ci fosse del miele ma gli altri odori non riusciva a distinguerli. 
Era seduta su due morbidi cuscini e di fronte a lei era seduto Wedirs che la incitava a bere dicendole che le avrebbe fatto bene.
Vedeva tutto un po' sfocato e la sua voce le arrivava alle orecchie flebile e alterata. Bevette un sorso e la tensione del suo corpo diminuì. Allentò la stretta mortale con cui stringeva la tazza e bevve un altro sorso,  ora il volto del mercante riacquistava i suoi contorni e la sua voce era meno lontana. Bevve ancora fino a quando non cadde lentamente in un sonno profondo e ristoratore.
 
Dopo un paio di ore Carol si svegliò e annusò l'odore che c'era nell'aria, non era quello della sua stanza. Toccò il giaciglio, molto diverso dal suo letto, e la coperta pregiata che non si sarebbe mai potuta permettere. 
"Come stai, Carol?" Era la voce di Wedirs e, immediatamente, Carol ricordò le strane vicende di quella mattina.
Si strinse le coperte addosso e si mise a sedere. "Molto meglio, grazie per tutto quello che hai fatto per me. Te ne sono grata"
"Non essere sciocca. Sei venuta da me a chiedere aiuto, dovrei ringraziarti io per la fiducia che mi hai dato" 
"Beh.. Grazie lo stesso!" Carol si guardò intorno e vide che non erano nella solita tenda ma in una un po' più piccola e completamente vuota se non fosse stato per il grande tappeto che ricopriva il terreno e il giaciglio di paglia dove stava lei. 
Avrebbe voluto chiedergli dove fossero di preciso, ma il mercante non c'era più e lei era ancora troppo stanca per uscire.
Mangiarono una zuppa calda e Carol scoprì che erano nel terreno dietro una vecchia stalla abbandonata a pochi passi dalla piazza e che era lì che Wedirs dormiva.
 
Aspettò di vedere tornare il colorito sulle guance della ragazza prima di chiederle di quella mattina. 
"Carol, posso chiederti che cosa è successo?"
La ragazza posò la ciotola che aveva appena svuotato e si mise a sedere stringendosi nella coperta, come se potesse proteggerla dai ricordi. "Ecco, stamattina stavo venendo in città di buon ora, ancora non era sorto il sole quando mi misi a cavallo, e il sentiero era buio.. Avevo i sensi in allerta per evitare ogni pericolo e.." Si fermò e fece un lungo respiro "E vidi uno strano animale nel sottobosco. In realtà vidi solo i suoi occhi, ma mi terrorizzarono e, quando corse via, spinsi il cavallo al galoppo verso la città.. Per fortuna mancava solo un chilometro o poco più.." Carol guardò a lungo il volto di Wedirs, come se potesse comprendere i suoi dubbi. "Non mi credi, vero?" 
"No, Carol. Ti credo, ma vorrei saperne di più. Ricordi qualcosa di questa creatura?"
"Solamente gli occhi" la voce di Carol tremava "La pupilla era allungata e l'iride era di due colori diversi, arancione all'interno e sfumava verso il giallo all'esterno.. Mi ha guardata fissa negli occhi per poco più di un secondo e le ginocchia hanno iniziato a tremarmi.. Dopodiché non ricordo più niente, se non confusamente"
Wedirs trasse un lungo sospiro e si sforzò di mantenere un'espressione neutrale, aveva avuto ragione fin dal principio e quella ragazzina era più forte di quanto non pensasse.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Nuove domande ***


Dopo pranzo, Carol e Wedirs tornarono nella solita tenda piena di gioielli affascinanti e a lei tornò in mente lo strano sogno che l'aveva portata ad uscire di casa così presto. 
Vide per terra le due sacche delle compere di quel giorno e vi si mise a frugare per trovare gli spiccioli avanzati, ma erano davvero pochi, visto che non era stata abbastanza presente da riuscire ad accaparrarsi la merce a prezzo inferiore. 
Li contò e si rese conto che, uniti a tutti i suoi risparmi, non arrivavano neanche a fare diciannove monete d'oro. Con un sospiro pesante li unì al resto nel suo borsello e mandò uno sguardo malinconico al ciondolo che tanto la ossessionava.
"Grazie di tutto quello che hai fatto per me oggi, amico. Penso che sia ora di ritornare a casa" Detto questo Carol uscì, ma rimase interdetta nel guardare fuori e rientrò subito nella tenda. "Ma dove sono tutti gli altri? Sembrano essere rimasti solo i mercanti che sono arrivati in ritardo.. E neanche tutti!" sembrava sinceramente sconvolta, come se qualcuno avesse rubato le tende e i venditori durante la notte.
"Carol, è passato più di un mese da quando siamo arrivati in città e non siamo più l'attrazione del momento. Per questo motivo ieri mattina sono partiti in molti alla volta del prossimo paese" 
Carol iniziava a comprendere. Era passato molto tempo anche se non se ne era accorta. "Tu come mai sei rimasto?"
"Questo paese mi piace, la gente è allegra e disponibile con noi. E per di più io ho sempre viaggiato con il gruppo di venditori che è arrivata due settimane fa, quindi ho deciso di trattenermi un po' più a lungo del solito" il petto di Carol si gonfiò di felicità, sarebbe rimasto ancora! "Ma credo che la settimana prossima leveremo anche noi le tende" 
Le salirono le lacrime agli occhi nel sentire quelle parole e rispose con voce tremante "La.. la settimana prossima?" 
"Si, Carol. Ma non temere, avremo tempo di vederci un'ultima volta e tu potrai acquistare il tuo cristallo" Le sorrise con quell'espressione tipica di chi la sa lunga, che riuscì a ristabilire l'umore di Carol. Non avrebbe avuto motivo di mentirle.
"Posso farti una domanda?" 
"Certamente, Carol."
"Come mai questi ultimi venditori sono arrivati così tardi? Voglio dire, se viaggiavate insieme, come mai tu sei arrivato prima di loro?
Wedirs accese la pipa e lasciò trascorrere qualche minuto prima di parlare "Incontrammo il primo gruppo di venditori circa tre mesi fa e, da quel momento ci unimmo a loro, nonostante i nostri tipi di merce fossero diversi.. Ma ci trovammo bene e continuammo a viaggiare con loro fino a quando non arrivammo nelle vicinanze di questo paese. In quel momento iniziarono le discordie all'interno del nostro gruppo, solamente meno della metà di esso si volle avventurare fino a questa piazza e solo io decisi di attraversare l'ultimo tratto con gli ignari mercanti. Sapevo che sarei arrivato prima, che qualcosa ci proteggeva, e che qualcuno qui mi aspettava. 
Tutto quello che ti posso dire è che gli altri presero una via diversa e incapparono diverse volte in gruppi di ladri e briganti e per questo il loro viaggio è stato ritardato così tanto"
Carol era molto incuriosita da quel racconto, sapeva che c'era qualcosa che non le aveva detto. Leggendo tra le righe poteva scorgere i margini di un segreto a lei celato.
"Perché la vostra mercanzia è diversa dalle altre?"
"Te l'ho già detto una volta, Carol. La nostra merce non è per tutti. Solamente chi sa cosa cercare viene da noi e solo chi viene scelto vi vede del bello"
Più che chiarire i suoi dubbi, quella domanda li aveva amplificati, perciò tentò con un'altra "Come mai molti non sono voluti venire qui? E perché solamente tu ti sei fidato della via che avrebbero intrapreso gli altri?"
"Carol, non credi di star chiedendo un po' troppo per una giornata sola?" vedendo che la ragazza continuava a guardarlo, in attesa, decise di dirle ancora qualcosa "Sei proprio testarda! E' una qualità che apprezzo in una giovane ragazza come te"lei continuava a guardarlo senza accennare ad arrendersi. Scosse la testa e sospirò
"Allora devi sapere che, a diverse miglia da questo paese, avemmo un cattivo presagio sull'esito del viaggio. Mancava ancora molto tempo prima di arrivare qui e, per un certo periodo, credemmo che non ci saremmo mai arrivati. I più vigliacchi tagliarono la corda e così rimanemmo solamente in nove. 
A poche miglia dalla città però, sentimmo in agguato dei ladri e tutti decisero di cambiare strada e di andare per la via più lunga. Solamente io rimasi, per via di un sogno premonitore. Le uniche cose che ricordai furono che qualcuno avrebbe protetto la mia via e che sarei dovuto arrivare qui al più presto"
Tutti quei racconti si potevano unire in uno solo, la cui unica cosa che era riuscita a dedurre Carol era che quelle persone erano fuori dal comune. Avrebbe voluto chiedere molto altro ancora, ma non lo fece.. Forse, in fondo, non voleva sapere.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Un addio (?) ***


La settimana trascorse lentamente. Carol era costantemente distratta e la notte stava sveglia fino a tardi pensando al mercante, ai mercanti, e a tutte quelle stranezze..

Arrivò l'ultima notte prima del grande giorno e Carol andò a dormire molto presto.
La mattina dopo si svegliò di buon ora e si mise in cammino verso il paese. Fece le sue compere, che le fruttarono ben due monete e corse verso la piazza.

La ragazza entrò nella sua tenda, Wedirs non l'aveva mai vista così raggiante. Senza aspettare che lei parlasse, si diresse verso lo scaffale con il ciondolo di quarzo e vi annodò un morbido nastro di velluto. 
"Ce l'ho fatta, Wedirs! Ho le venti monete!" 
Quasi non respirava dalla gioia e questo rese particolarmente allegro il mercante, che trattenne a malapena le risate mentre le spostava i lunghi capelli biondi e le annodava il ciondolo al collo "Non avevo dubbi, Carol. Ti è costato tanti sforzi, ma ora è tuo.. E ti sta anche molto bene!" Colse una luminescenza istantanea scaturire dal ciondolo e ogni suo dubbio svanì, era suo e così doveva essere. 
Mentre la ragazza soppesava il ciondolo tra le mani, lo lasciava ricadere sul petto e girava su se stessa facendolo sobbalzare in un turbinio di stoffa e capelli, Wedirs si avvicinò ai suoi cuscini per la meditazione e ne trasse una cintura di pelle dotata di più tasche. "Carol, lascia che ti regali anche questo e il suo contenuto, ti saranno utili" la porse alla ragazza che accettò il regalo con occhi lucidi e ne trasse fuori un fermacapelli a pettine in argento nel quale era incastonata, tramite un elegantissimo disegno, una pietra ovale color giallo-bruno. "E' una pietra fossile, deriva dalla resina, e al momento giusto saprai come utilizzarla" Il mercante sorrise sinceramente e abbracciò la ragazza "Ora vai a guardare per un ultima volta le altre tende e a sfoggiare il tuo nuovo gioiello, le mie pietre le conosci ormai"
"Addio, Wedirs. Non so come ringraziarti di tutto questo"
"Ci rivedremo, Carol. E il miglior modo per ringraziarmi è portare con onore quel gioiello al collo ogni giorno"
Si guardarono ancora per qualche istante, poi la giovane uscì dalla tenda.

Carol era così felice per il ciondolo che non riuscì neanche a rattristarsi per il saluto con il mercante e cominciò a girare le altre cinque tende.. Avevano tutte oggetti strani e i mercanti che vi stavano dentro erano poco inclini alle chiacchiere e a dare spiegazioni sulla merce che proponevano. Con quel carattere che si ritrovavano era quasi impossibile spiegarsi le loro vesti pregiate, nessuno avrebbe mai comprato da persone tanto sgradevoli. 
Come ultima tenda visitò quella che tanto l'aveva colpita il primo giorno che erano arrivati nel paese, e questa volta non prestò molta attenzione alla merce perché, da dietro una massa di cuscini, colse per un istante un movimento e subito dopo sentì su di se lo sguardo strano del mercante. 
Camminava lentamente all'interno della tenda e sentiva il suo sguardo trafiggerle la schiena. 
Un altro movimento da dietro i cuscini e un lembo della tenda si sollevò. Un bambino di circa dieci anni entrò nella tenda con la faccia e le manine sporche di terra e il mercante gli si avvicinò e lo prese in braccio teneramente. Carol si diede della sciocca, doveva essere stato quel bambino a giocare nella tenda e lei era entrata in paranoia.
Ma c'era qualcosa di strano nello sguardo dei due.. C'era qualcosa di strano nei loro occhi, che però non riuscì a determinare con esattezza.
Carol uscì lentamente dalla tenda e si avviò verso il suo cavallo, tutti quei mercanti le sembravano strani e il loro modo di fare pieno di misteri ma, forse, era solamente la sua immaginazione che correva troppo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Il focolare ***


Carol tornò a  casa di buon ora, il sole non era ancora calato del tutto quando finì di strigliare il cavallo.
Era molto contenta di quella giornata e corse in casa, felice di passare un po' di tempo con i suoi. Nel soggiorno c'erano sua madre e il suo fratellino che stavano intrecciando una nuova cesta per raccogliere la frutta e la verdura. Appena la videro si fermarono e Richard le corse incontro per abbracciarla, era il più piccolo della famiglia e anche il più dispettoso, ma era capace di far ridere sempre tutti. Carol gli scompigliò i corti capelli ramati e lo prese in braccio per dargli un bacio sulla fronte. Il piccolo scoppiò a ridere "Non sono più piccolo io, non li voglio i bacini!"
Carol finse una voce da persona autoritaria "Ah si? Se non vuoi i bacini, allora avrai il solletico!" si buttò pesantemente a terra con il bimbo tra le braccia e iniziò a solleticarlo.
"Carol, non vorrai mica uccidere il mio piccolo aiutante?" Richard si liberò dalla sua presa e andò a nascondersi dietro la sedia della mamma, facendo uscire ogni tanto la testa per farele le smorfie a cui lei rispondeva e mimava di tagliargli la lingua ogni volta che le faceva le linguacce.
Passò così un ora mentre Richard e la signora Robins intrecciavano la cesta e Carol preparava qualcosa da mangiare, per fortuna quell'anno l'orto era venuto davvero bene e riuscì a preparare una buona e abbondante insalata da accompagnare alla carne comprata quel giorno.
Un po' più tardi arrivarono il signor Robins e Connor, il quale da poco aiutava il padre nella sua falegnameria. 
"Ehi Connor, come va con il lavoro?" Carol si divertiva a prenderlo in giro perché aveva sempre sostenuto che non avrebbe trovato difficoltà nell'aiutare il padre e che, se ce la poteva fare lei, per lui sarebbe stata una passeggiata.
Connor grugnì "Dimmi che c'è della carne stasera, sono stremato!"
"Ma come, un uomo grande e forte come te si fa stremare da un lavoro adatto anche alle femminucce?" sorrise sarcasticamente ma, intercettando lo sguardo di dissapprovazione del padre, tornò seria. "Non te la prendere, fratellino, anche per me i primi tempi era così dura, se non di più!"
"Scommetto che non ti ha mai fatto lavorare quanto ha fatto lavorare me oggi" dopodiché Connor iniziò ad elencare tutto quello che aveva fatto durante il giorno, vantandosi di come aveva eseguito bene ogni lavoro e del fatto che non si era mai fermato. Il signor Robins gli diede una pacca sulla spalla "Hai fatto davvero un ottimo lavoro oggi, figlio mio. Ma adesso lascia portare le cose in tavola a tua sorella, così potremo mangiare"
Durante la cena nessuno parlò, come erano soliti fare. I pasti erano i momenti in cui potevano riprendersi dalle stanchezze e rifocillarsi e a nessuno mai andava di chiacchierare prima di aver finito.
"Carol, cara, era questo il ciondolo che ti piaceva tanto?" la signora Robins si asciugò le mani sul vestito e sfiorò i contorni della collana. "Ti dona. Sembri più grande e risalta i tuoi occhi" il suo sguardo era pieno di ammirazione e di orgoglio, amava la figlia con tutto il cuore e la rendeva felice vederle addosso qualcosa di così femminile.
Carol sorrise timidamente, sapeva di averla fatta contenta. Trascorreva molto del suo tempo con il padre da quando, a quattordici anni, aveva iniziato a lavorare con lui e spesso aveva atteggiamenti poco femminili, non le interessavano i gioielli, né i vestiti, né i modi per rendersi più bella agli occhi dei ragazzi, e tutto quello aveva sempre un po' ferito sua madre. "Mi è piaciuto subito e non sono riuscita a fare a meno di comprarlo" in un momento si ricordò del regalo che Wedirs le aveva fatto "Aspetta un attimo, ho qualcos'altro da farti vedere!" posò il piatto che stava lavando e corse a prenderlo. "Ecco, il mercante è stato molto gentile, mi ha regalato questo fermacapelli" 
La signora Robins lo prese e lo osservò per qualche istante "Deve averti preso molto a cuore!" sembrava sinceramente sorpresa "E' lavorato benissimo e l'ambra è pur sempre una pietra preziosa, che buon uomo!"
Carol ripensò a Wedirs con nostalgia, era davvero un buon uomo e sperava di riincontrarlo prima o poi. Scacciò via la tristezza in un lampo e diede le spalle alla madre "Mi mostri come si mette?"
Gli occhi della signora Robins erano lucidi mentre acconciava i capelli alla figlia e più volte si dovette fermare per asciugarsi il viso. "Ecco fatto, girati!" 
Carol si voltò lentamente e lo sguardo di sua madre la fece arrossire e sorridere stupidamente "Sei bellissima, Carol!"
"Attenta, che se ti acconci così papà non ti fa più uscire di casa!" 
"Connor, sei uno stupido!" Tutti scoppiarono a ridere e Carol ringraziò mentalmente il fratello per aver alleggerito il momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Il focolare (pt.2) ***


-La notte era arrivata al limite ei primi uccellini cinguettavano felici sui rami. Carol si girò nel letto, era molto stanca e voleva riposare un altro po'.
Un fragore. Rumore di vetri rotte. Rumore di passi. Carol si volse nella direzione da cui provenivano quei suoni. La finestra era in frantumi, il letto del piccolo Rich non c'era, e in camera sua c'erano tre grosse figure ammantate in abiti  neri e verde smeraldo che le impedivano di scorgere i loro volti. Avrebbe voluto alzarsi e correre via, ma la paura la bloccava nel letto. Si coprì il viso con le logore coperte, come se l'avessero potuta proteggere. Delle mani la afferrarono e la sollevarono di peso. Scalciò e si dimenò, si appigliò ad ogni angolo della stanza ma nulla riuscì a fermare quegli esseri. In un lasso di tempo che a Carol parve infinito, la trascinarono fuori dalla finestra e la gettarono di peso nel retro di un carretto. Aveva le mani sanguinanti ma ciò non le impedì di tentare con tutte le sue forze di scappare e urlò, ma nessuno la sentì..-
"Carol, stai bene?" Richard era salito sul suo letto e la scuoteva leggermente. 
Carol aprì gli occhi, le doleva la gola e le mani le pulsavano. "Si, piccoletto. Era solo un incubo"
La faccia del fratellino la fece sentire in colpa, doveva essersi davvero preoccupato per lei. Le porse il pupazzo dal quale non si separava mai, era la sua guardia del sonno! "Dormi con Rendal, così non farai più i sogni cattivi!" aveva l'aria furbetta e con quel pigiamino era impossibile resistergli.
Carol alzò un lembo della coperta "Vieni a dormire con me, piccola peste!" Richard si accoccolò tra le braccia della sorella, stringendo il prezioso pupazzo, e prese subito sonno. Lei gli diede un bacio sulla fronte, pensando a quanto fosse fortunata, e cadde in un sonno profondo e ristoratore.
 
La mattina dopo si alzò con delicatezza dal letto, per non svegliare il fratellino, e si diresse in cucina dove iniziò a preparare la colazione per la famiglia.
Il tempo delle tisane era finito, ormai faceva troppo caldo, e il signor Robins aveva finalmente acquistato due pecore dalle quali ricavavano latte e formaggio in abbondanza. Preparò per ognuno una scodella di latte riscaldato con delle spezie, nel latte della signora Robins aggiungeva una stecca di cannella, mentre in quello di Connor aggiungeva dei chiodi di garofano e qualcosa di particolare per ognuno di loro. Andò in giardino a raccogliere della frutta fresca e vide che i cespugli di fragole erano carichi di succulenti frutti, ne colse i più maturi e dolci insieme ad un paio di mele. 
Imbandì la tavola al meglio, ad ogni posto c'era una graziosa scodella in legno riempita di latte tiepido e al centro del tavolo c'era un piatto sul quale erano disposte le fragole e le mele tagliate e sistemate ordinatamente. Prese un pezzetto di mela e uno di fragola, il suo lo mangiò e utilizzò la fragola per far svegliare Richard e, insieme, andarono a svegliare Connor e i signori Robins.
Quel giorno a Carol toccava la pulizia della stalla e dei loro pochi animali. Indossò il suo vestito da lavoro e si tolse il ciondolo. Impiegò circa un ora per strigliare i cavalli e cambiare il fieno nelle loro stalle, ma la parte peggiore arrivò quando dovette mungere le pecore. Era la prima volta che lo faceva e impiegò delle ore a rincorrerle per il recinto tentando di farle fermare, diventando l'attrazione della mattinata per tutta la famiglia.
 
Durante il pomeriggio aveva dovuto solamente raccogliere delle verdure per la sera, perciò trovò il tempo di pulirsi e andare a fare una lunga passeggiata.
Erano tornate da poco le giornate soleggiate e ancora non si era mai allontanata da casa sua verso la piccola collinetta che stava lì vicino. Ogni anno, in quel periodo, si riempiva  di meravigliosi fiori colorati e le farfalle più belle volavano ovunque. Carol adorava quel posto, che per lei aveva anche un grande significato affettivo perché da piccola vi aveva piantato una quercia che ora stava crescendo sana e forte e che le offriva riparo dal sole durante le giornate soleggiate.
Camminò per quasi un ora prima di intravedere Amanith e la distesa di fiori che la circondava, sentì la gioia pervaderla e affrettò il passo. 
Non appena la raggiunse, posò il grande cestino e chiuse gli occhi, appoggiandosi comodamente al tronco.
Vi dormì delle ore, facendo strani sogni nei quali era capace di comunicare con la grande quercia attraverso il suo spirito, o qualcosa di simile.. Non ricordava molto, ma ciò le bastava per farla sorridere della propria fantasia.
Raccolse un po' di fiori che quella sera avrebbe legato in un mazzo a formare un centrotavola floreale unico e si avviò verso casa, ripromettendosi di tornare presto a trovare la sua quercia.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Amanith ***


Passò così un mese, tra strani sogni su uomini incappucciati, lavori in e fuori casa e giornate passate all'ombra di Amanith.
Era un pomeriggio particolarmente soleggiato e ogni compito da svolgere era  doppiamente faticoso. Sbrigò in fretta tutte le faccende che le spettavano e, preso il suo cestino, andò a trovare la sua quercia. Le sembrava ogni giorno più bella, ogni sua foglia era perfetta e ogni giorno ve n'era qualcuna nuova che creava nuova ombra. 
Da una delle tasche della cintura, trasse fuori una manciate di semi e scavò delle piccole buche nel terreno, appena fuori dalla zona di ombra, dove li inserì e poi ricoprì di terra. "Sai, Amanith, mi hanno detto che ne cresceranno dei bellissimi fiori blu che staranno benissimo qui.. E, se non ricordo male, simboleggiano l'intelligenza e l'onestà, perciò mi sono sembrati perfetti per questo nostro piccolo angolo" Spesso parlava con Amanith come se lei potesse ascoltarla e capirla, le dava conforto ed era convinta che la facesse crescere meglio. 
Come al solito, si appoggiò al tronco della quercia e cadde lentamente nel sonno mentre osservava ogni piccolo dettaglio di quel meraviglioso posto, ascoltò gli uccelli cinguettare nascosti tra i rami e vide il vento scombinare le foglie degli alberi.. 
Dopo un paio di ore si risvegliò, ma rimase ancora un po' con gli occhi chiusi per godere della serenità del momento a cavallo tra il sonno e la veglia.. Nella sua testa sentiva una voce, parlava in una lingua strana, ma riusciva a comprenderla. Diceva "Carol, amica mia.. Tristi sono i giorni che presto dovrai affrontare. Godi della pace più assoluta, finché puoi"
Carol pensava di stare ancora sognando e non si sorprese quando rispose in quella stessa lingua "Chi sei tu? E che cosa vuoi dirmi?"
"La tua più cara amica, così mi hai chiamato più volte"
"Amanith? E' un altro dolce sogno questo? Abbiamo passato tante ore insieme nei miei sogni e, ogni volta che mi sveglio, mi rammarico di non poterne ricordare niente di più che vaghi tratti"
"Puoi aprire gli occhi, se ti può rendere più sicura di quello che sto per dirti"
Carol fece come aveva detto, aprì gli occhi. Era sveglia, o almeno così sembrava. Si diede in pizzicotto e passò lievemente il palmo di una mano sull'erba. 
"Ora hai la certezza di non star sognando?" 
Carol annuì e poi, non credendo che la quercia potesse averla vista disse "Si, ora ne ho la certezza. Ma, dimmi, cosa sei? Non sarai forse uno di quegli antichi pastori di alberi di cui si sente ogni tanto parlare nelle favole?"
"Ahimè no, Carol. Sono bloccata in questo punto, come tutti i miei simili, eppure, a modo mio, sono in molti luoghi in questo momento. Sono qui e sono anche laggiù, vicino a quella roccia, sono alle tue spalle così come sono di fronte a te. Sono in tutti i luoghi dove le mie radici e i miei rami si estendono, ma non posso camminare liberamente, né parlare, come gli alberi delle tue favole"
"Ma in questo momento stai parlando con me, com'è possibile allora?"
"Questa che ci permette di discorrere non è una mia abilità, Carol"
"Cosa vuoi dire?"
"La tua anima è pura e potente, amica. Ancora non ne sei in grado, ma possiedi l'abilità di fondere la tua anima con ogni creatura e, in questo modo, di capirla e dominarla"
Carol era sconvolta, aveva completamente dimenticato le parole profetiche con le quali era iniziato quel discorso. Sapeva solo che quello non era un sogno e che stava parlando con un albero.. E non come si parla di solito alle piante o agli animali! Aveva una vera e propria conversazione con un albero! 
La testa le iniziò a pulsare, se la prese tra le mani.
"Carol, devi stare calma. Non aver paura. Calmati" 
Avrebbe voluto darle ascolto, ma non ci riusciva. Stava parlando con un albero, e allora? Non per questo doveva essere pazza, né doveva avere poteri eccezionali! 
Si sforzò di respirare lentamente e profondamente. Il dolore alla testa pian piano diminuì, fin quasi a sparire del tutto.
"Vuoi dire che io posso parlare con le piante? Com'è possibile?"
"Non posso spiegartelo ora, Carol. Non sei ancora pronta per capire, ma la verità è già in te" Un alitò di  vento soffiò dalle fronde dell'albero fino al viso della ragazza, portando con se una piccola foglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Primi insegnamenti ***


Carol rimase in silenzio per tutta la sera, il suo sguardo era perso nel vuoto e non si accorgeva che qualcuno le stesse parlando fino a quando non le pizzicavano un braccio o la facevano ritornare al mondo reale in altri modi.
Andò a letto presto, pensando ancora a quello strano pomeriggio, e i suoi sogni rappresentarono la sua inquietudine. Sognò alberi parlanti, piante che battibeccavano e fiori che lodavano la propria bellezza.. Si svegliò in piena notte, per colpa di quei sogni non era riuscita a dormire bene e la testa le faceva male. 
Si preparò una tazza della sua tisana preferita e si rimise a letto. Sognò ancora alberi parlanti, ma questa volta era diverso: gli alberi non erano degli esseri abominevoli, ma delle entità dotate di anima e vogliose di comunicare con il mondo, e lei non era una pazza, ma una ragazza speciale che riusciva a comprenderli e a liberarli dal loro silenzio.
 
La mattina dopo Carol si svegliò di buon ora e, preparata la colazione per tutta la famiglia, prese la cesta e andò da Amanith.
"Amanith, scusa per la reazione che ho avuto ieri.. Tutto mi sembrava così improbabile! Pensavo che fosse un sogno, un brutto sogno.. Ma ora sono pronta a sentire quello che hai da dirmi e da insegnarmi" Carol aspettò una risposta che non arrivò, si sedette con la schiena contro il tronco della quercia e sorrise scuotendo la testa. 
Chiuse gli occhi e si immerse nella natura, una dolce brezza le accarezzava il viso e la rugiada della notte le inumidiva il vestito.
"Carol, oggi sei venuta prima del solito" era di nuovo quella voce, era di nuovo Amanith!
Carol tenne ben chiusi gli occhi per non rompere quella fragile magia "Si, sono venuta per parlarti.. Hai sentito ciò che ho detto prima?"
"Io ho sentito te, ma tu ancora non potevi sentire me"
"In che senso? Perché non potevo sentirti?"
"La tua anima, Carol. E' la tua anima che comunica con il mondo che ti circonda e può farlo solamente se tu glielo permetti"
"La mia anima.. E come faccio a liberarla?"
"Ancora non l'hai capito? Devi liberare la mente da ogni pensiero e immergerti nella natura. Solo così puoi liberare la tua anima"
"Tu mi hai detto che posso parlare con tutte le piante, allora  perché riesco a farlo solamente con te?"
"Perché le nostre anime sono legate. Per questo motivo ti viene più semplice, quasi naturale, fonderla con la mia"
Carol iniziava ad essere confusa "Le nostre anime sono legate?"
"Si, Carol. Il giorno della tua nascita venisti scelta. Hai sempre avuto l'abilità di parlarmi e da piccola lo facevi di continuo, senza preoccupartene. Ma poi crescesti e io dovetti celare la mia voce per non farti spaventare"
"Io non ricordo di aver parlato con te da piccola! E, se non mi hai più parlato per non spaventarmi, perché mi parli ora?"
"Perché ora sei pronta ad apprendere, il tuo destino sta per compiersi e devi sapere"
"Devo sapere, cosa?" 
"Come liberare la tua anima, come entrare in contatto con la natura e come dominarla, quando ne necessiti"
"Insegnami"
"Non avere tanta fretta, Carol. Avremo bisogno di tanto tempo e oggi dovrai allenarti a liberare la mente da ogni pensiero, tutto parte da questo"
Carol annuì "Dimmi cosa devo fare" 
"Chiudi gli occhi. Non pensare a nulla. Senti il vento sul viso, il rumore delle foglie che si muovono, la consistenza dell'erba e della terra sotto i tuoi palmi.. Ce la puoi fare?"
Carol annuì, concentrata "Si, posso farcela"
"Bene. Ora annulla la mia voce e concentrati.."
Passarono così delle ore, Carol non seppe dire quante, ma le sembrava di essere in quel luogo da secoli. 
Quando riaprì gli occhi, il sole era alla massima altezza nel cielo, doveva essere mezzogiorno e lei sarebbe già dovuta essere a casa. Tentò di alzarsi, ma le ginocchia le tremarono e cadde al suolo.
"Non avere fretta, Carol. Hai esaurito le tue energie, non puoi metterti in cammino ora. Riposa."
Carol sapeva di non avere altra scelta, anche se si fosse sforzata di alzarsi non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Si distese sul terreno e dormì. 
 
"Carol! Carol!" 
Era la voce di Connor. Si svegliò e vide che il cielo stava diventando scuro, era ormai pomeriggio inoltrato.. "Connor! Sono qui!"
Dopo nemmeno un minuto, Connor le fu davanti con aria di rimprovero "Perché sei scomparsa oggi? Mamma e papà sono molto prreoccupati!"
Carol si stropicciò gli occhi "Scusami. Mi sono addormentata e ho perso la cognizione del tempo.."
Connor sbuffò, tentando di mantenere l'aria infastidita mentre guardava la sorella stropicciarsi gli occhi e sbadigliare. "Dai, alzati! Poi lo spiegherai a mamma e papà.. Ma se ti avessero vista così non sarebbero riusciti nemmeno loro a rimanere arrabbiati con te, sei troppo comica!" Non riuscì più a trattenere le risate. La sorella aveva tutta la faccia sporca di terra e, più si strofinava il viso per svegliarsi, più si sporcava.
"Che hai da ridere, Connor?"
Si sforzò di smettere di ridere e assunse un'aria indifferente "No, niente. Andiamo a casa, sù!"
 
"Carol, che hai combinato alla faccia?" La signora Robins la gardò con aria sconvolta.
"Hai la faccia tutta sporca di cacca" disse Richard mentre correva da lei.
Carol finalmente capì il motivo delle risate del fratello e si girò a fulminarlo con lo sguardo. Quello, per tutta risposta, fece spallucce e andò a sedersi.
"Devo essermi sporcata con la terra.. Ero molto stanca e mi sono addormentata.. Scusate" Sembrava sinceramente dispiaciuta e imbarazzata per il suo comportamento.
La signora Robins sospirò "Dai, sciacquati il viso. Non fa niente, basta che non succeda mai più una cosa del genere" 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il compleanno ***


Passarono così i mesi successivi. Ogni volta che ne aveva la possibilità, Carol andava da Amanith e si spingeva al limite delle sue forze per imparare tutto quello che poteva. Imparò a meditare, ad espandere l'anima oltre il corpo e a mantenere quello stato il più a lungo possibile. Imparò a rintracciare l'anima  delle altre piante e a rassicurarle per potervi fondere la propria. Imparò a conversare con esse, a comprenderle, e imparò che erano molte le lingue che parlavano. Imparò ad entrare profondamente in contatto con loro fino a non distinguere più la differenza tra le loro forme, senza perdere coscienza se stessa. Imparò come conoscere il territorio attraverso le radici degli alberi e tante cose aveva ancora da imparare. 
Si allenava giorno e notte, ogni giorno. 
In casa non era molto presente, ma faceva del suo meglio per non mancare ai suoi doveri e non fare preoccupare i suoi familiari. 
 
Una mattina venne svegliata da un buonissimo odore che proveniva dal salotto. 
Stropicciandosi gli occhi e sbadigliando ancora, vi andò e trovò la tavola imbandita con mille leccornie. "Mamma! Che bell'aspetto.. Ma potevo pensarci io, hai già tante cose a cui pensare.." Carol vide delle buste che conosceva molto bene "Ma quelle vengono dalla pasticceria della signora Bergin? Quando li avete presi?" li aprì, curiosa "Sono i miei preferiti!!" La pasticceria della signora Bergin era la migliore della città e la sua specialità erano i biscotti allo zenzero e quelli alla cannella di cui erano piene le due buste. 
La signora Robins sorrise affettuosamente "Devi ringraziare Connor per questo. Ieri, mentre eri fuori, è andato in città a prenderteli"
Carol si sedette a tavola, sinceramente scossa dal gesto del fratello. Era un ragazzo generoso, ma di solito si limitava a intagliarle qualcosa in un pezzo di legno "Papà e gli altri dove sono? Rich non era a letto.."
"Dovrebbero arrivare a momenti, hanno una bella sorpresa per te.." Tentava di fare la misteriosa ma le si leggeva chiaramente in faccia che non vedeva l'ora di spifferare tutto.
"Una sorpresa per me? Perché?" 
Si mise a ridere e prese un biscotto, porgendone un altro a Carol "E' il tuo compleanno, scemotta! Oggi diventerai ufficialmente adulta.. Sono così fiera di te!" L'abbracciò stretta e le scompigliò i capelli prima di mandarla in camera a  mettere qualcosa di grazioso per l'occasione.
Carol era ancora perplessa, come poteva essere già il suo compleanno? Non le sembrava che fosse passato così tanto tempo, eppure il clima era cambiato. Il caldo era diventato soffocante, e animali e piante avevano bisogno di molta più acqua.. Ancora incredula si mise uno dei suoi abiti preferiti, indossò il ciondolo e raccolse i capelli come le aveva insegnato sua madre.
Dopo mezz'ora circa si sentì finalmente il rumore del carretto e delle voci.. Più di quelle che sarebbero dovute essere!
Carol corse fuori dalla porta "Ailis, Dairiel!" vide le sue due care amiche d'infanzia e le scesero delle lacrime. Non passava più tanto tempo con loro da quando, qualche anno prima, si era trasferita fuori paese e questa era stata per lei la cosa più difficile da superare. 
Si abbracciarono "Mi siete mancate tanto!"
La ragazza bassa dai capelli rossi si asciugò gli occhi "Non è più lo stesso in paese senza di te.."
Carol la strinse ancora più forte "Lo so, Dairy.. E quando avvicino ho sempre molte cose da fare e non riusciamo a vederci.. Ma vi prometto che passeremo più tempo insieme!"
Le tre entrarono in casa e si sedettero sul letto di Carol per raccontarsi tutto, nessuna di loro aveva segreti con le altre.
Parlarono per ore del più e del meno, Ailis e Dairiel avevano davvero molto da raccontare a Carol e le raccontarono tutti gli avvenimenti più esilaranti che riuscirono a ricordarsi.
Ailis tirò fuori da una borsa un piccolo pacchetto che porse a Carol. Era  rettangolare e ricoperto con una bellissima carta blu notte. "E' per te. Un regalo di compleanno da parte nostra.. Non è niente di speciale, ma così avrai qualcosa di nostro sempre con te" La ragazza aveva gli occhi rossi e questo commosse Carol più di qualunque altra cosa, poiché Ailis era sempre stata molto riservata e poco incline a manifestare le proprie emozioni. 
Scartò il pacchetto con molta cura. Sotto la carta si celava un elegante scatola, vi tolse il coperchio. Sul fondo c'era un braccialetto formato da tante piccole sfere di legno intagliate. Era molto semplice e unico, oltre che perfetto per lei. "Ragazze, è bellissimo.. Grazie del pensiero, non lo toglierò più!"
Dopo aver indossato il braccialetto, prese il coperchio per richiudere la scatola e ne scivolò fuori una lettera.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Il compleanno (pt. 2) ***


Carol raccolse timidamente la busta, rigirandosela tra le mani più volte senza aprirla "E' stato un pensiero grazioso da parte vostra scrivermi due righe.. Ma io ancora non so leggere perciò credo che dovrà leggermela una di voi"
Ailis e Dairiel si guardarono a vicenda, perplesse "Carol, non l'abbiamo scritta noi.. E non ho idea di come possa esserci finita.." 
"Magari è scivolata accidentalmente quando il mercante ha chiuso il pacco.." 
Carol sorrise e guardò ancora una volta quella busta con curiosità "Magari potremmo darle una sbirciatina.. Non c'è niente di male, no?"
Ailis prese la busta e la aprì con estrema lentezza, esasperando ogni gesto e ricevendo pizzicotti dalle due amiche. 
"Allora, che dice?" Dairiel si era sporta oltre la spalla di Ailis per poter leggere. 
"Carol, è per te"
"Per me? Da parte di chi?"
"Un certo Werdis.. No, Wedirs!" 
"Può darsi che sia stato il mercante che ci ha venduto il braccialetto, non pensi Aily? Nessun altro può avercela messa."
"Si, è probabile, ma quando? Non l'ho notato, eppure sono stata molto attenta.."
Prima che si perdessero in chiacchiere, Carol le interruppe "Wedirs? Si! Era uno dei mercanti che sono venuti in paese ad inizio anno.. Che ha scritto?" vedendo che le due amiche si erano di nuovo messe a chiacchierare, fantasticando su chi potesse essere e perché avesse scritto una lettera a Carol, sbuffò pesantemente per attirare l'attenzione "Aily, per favore, continua a leggere.." si accorse di non essere stata molto garbata e si corresse subito "Così potremo levarci ogni dubbio!"
La ragazza sorrise e annuì "Allora, c'è scritto:
Cara Carol,
Oggi sono venute queste due giovani ragazze da me per cercare un regalo, sembrano conoscerti bene, non hanno avuto alcun dubbio su cosa prenderti.
Ad ogni modo, ti scrivo per incoraggiarti a non mollare. So che è dura, e che dovrai rinunciare a molto, ma so anche che puoi farcela. 
Ricorda di non mettere mai da parte il cuore e che avrai sempre qualcuno vicino a te.
Molti dipendono da te e da uno dipendi tu, non te ne dimenticare.
Presto ci rivedremo e spero di trovarti più forte, curiosa e coraggiosa che mai. 
Con affetto, Wedirs"
Le ragazze fissarono Carol. Sul loro volto si alternarono diverse emozioni: curiosità, preoccupazione, ansia, perplessità e tante altre. 
Dairiel, la più curiosa delle due, si sporse in avanti verso di lei per poterla ascoltare meglio "Penso che avrai molto da raccontarci"
In quell'istante, Carol venne attanagliata dai dubbi. Si fidava ciecamente delle sue due amiche, ma avrebbe potuto raccontare loro che parlava con gli alberi senza farsi prendere per pazza? Avrebbe potuto raccontare loro dei suoi sogni senza farle preoccupare? Avrebbe potuto raccontare loro del mercante e dei suoi sospetti senza apparire allarmista ed estremamente fantasiosa? 
Si diede della stupida e mise da parte ogni dubbio. Erano le sue migliori amiche, non c'erano persone migliori per liberarsi di quel peso e, magari, per confrontarsi.
Raccontò loro tutto: dai sogni sul ciondolo a quello che aveva fatto per averlo, dei regali che le aveva fatto il mercante e del bel rapporto che si era instaurato tra di loro, dei suoi sospetti sugli altri mercanti e, infine, anche di Amanith. 
Quando iniziò a parlare della quercia, sui loro volti si dipinse un espressione che ben conosceva e che la ferì profondamente, non le credevano. Ma, più raccontava e più dettagli dava, più i dubbi sparirvano dal loro volto fino a quando non vi rimasero solamente stupore e meraviglia.
Parlarono a lungo e Carol disse loro tutto quello che sapeva, raccontò ogni suo sogno e descrisse nei minimi particolari ogni momento. 
La tensione che vi era all'inizio nella stanza andò via via scemando, fino a quando non vi rimasero dentro solamente tre care amiche che sapevano tutto l'una delle altre e che si sarebbero sostenute a vicenda fino alla fine.
Rimasero in quella stanza per diverse ore, riprendendo a parlare spensieratamente e cancellando momentaneamente ogni problema.
 
Passarono il resto della giornata tutti insieme, risero e scherzarono in allegria e il piccolo Rich non perse di vista Carol per un solo secondo, se non quando andava a prenderle qualcosa per non farla alzare. Ripetè per tutto il giorno che era il suo giorno super-speciale e che avrebbe fatto tutto lui. 
Di sera, le tre amiche finsero di  addormentarsi per far prendere finalmente sonno a Rich e poi, silenziosamente si sedettero a terra per continuare a parlare un po' prima di addormentarsi. 
"Carol, è tutto il pomeriggio che penso a quella lettera.. Non promette nulla di buono, sai? Dice che molte cose cambieranno e che non sarà facile.. L'unica cosa che mi rincuora è che dice che non sarai sola" Dairiel sembrava davvero preoccupata per la sorte dell'amica.
"Lo so, Dairy. Ci ho pensato anche io per tutto il pomeriggio e non riesco a fare a meno di pensare alle parole di Amanith, anche lei mi ha ammonito riguardo al mio futuro, e ad uno strano sogno che ho fatto qualche mese fa. Ve ne ho parlato, quello in cui venivo portata via da degli strani uomini. Mi chiedo che cosa significhi.."
"E' tutto così strano.. Non riesco a credere che ti stia succedendo una cosa del genere! Ma ricorda che noi saremo sempre unite" Ailis si sporse e circondò con un braccio le spalle di Dairiel e con l'altro quelle di Carol, le altre due fecero lo stesso e rimasero così per qualche istante prima di alzarsi e mettersi a letto.
"Domani vi porterò a conoscere Amanith, se vi va" Carol sbadigliò e chiuse gli occhi "Buona notte"

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** L'accettazione ***


La mattina successiva si alzarono di buon ora e prepararono la colazione per tutti, con i dolci rimasti dal giorno prima. Mangiarono in allegria e Dairiel e Ailis sembravano sentirsi come in casa propria, erano parte della famiglia ormai e Carol non ne sarebbe potuta essere più contenta. 
Dopo la colazione, le tre amiche uscirono per andare da Amanith, promettendo di rientrare presto e aiutare a preparare il pranzo.
 
"Non ci credo, conosceremo una quercia che parla!" Dairiel era paonazza in viso e sembrava molto emozionata.
"Calma, Dairy! Forse a noi sembrerà una normale quercia, Carol ha detto che Amanith non parla nel vero senso della parola.." volse lo sguardo verso Carol in cerca di aiuto.
"Amanith è una quercia come tante altre, è saggia e calma, ma non ha degli strani occhi nella corteccia, né cammina o parla, come gli alberi delle favole. Riesco a parlarle perché, per qualche motivo, ho questo dono e, attraverso la meditazione riesco ad entrare in contatto con lei e con piante e alberi in generale.. Per adesso riesco a conversare a lungo solamente con lei, ma mi ha assicurato che questo è niente rispetto a quello che potrei fare e che un giorno farò" Carol sorrise e alzò gli occhi al cielo vagando con lo sguardo "Sono davvero curiosa di scoprire cosa sono realmente in grado di fare"
Le due amiche la guardarono affascinate. Parlava di quel suo dono con tanto amore, passione e curiosità che risultava quasi impossibile distogliere lo sguardo dal suo volto così assorto e speranzono.
Ailis sorrise e affrettò il passo "Dai, non abbiamo molto tempo e siamo molto curiose di vederti all'opera!"
Camminarono speditamente per qualche minuto ancora, prima di iniziare ad intravedere la radura. 
Entrandovi, Dairiel e Ailis rimasero affascinate, erano molti anni che non accompagnavano l'amica in quel posto e si erano dimenticate di quanto fosse bello. Il prato era pieno di fiori di tutti i colori, qua e là sorgevano dei piccoli e graziosi arbusti e all'altra estremità della radura si ergeva, imponente e spettacolare, quella maestosa quercia di cui tanto aveva parlato.
Carol era contenta dello stupore delle sue amiche perché aveva dedicato tanto amore a quel posto per farlo diventare così bello e ne era orgogliosa. 
Si avvicinò speditamente ad Amanith e vi si inginocchiò accanto, chiuse gli occhi e appoggiò il palmo sinitro contro la sua corteccia, mentre nella mano destra stringeva il ciondolo, non sapeva esattamente perché, ma aveva scoperto che la aiutava a concentrarsi. Eliminò progressivamente ogni rumore dalla sua mente, finché non rimasero solamente lei e la quercia. 
"Bentrovata, Carol"
"Amanith! Che piacere sentire la tua voce! Mi dispiace di non essere venuta ieri, ma mi ero dimenticata che del mio compleanno"
"Non te ne rammaricare, cara, oggi sei qui. E' l'oggi ciò che più conta quando si deve apprendere"
Carol annuì "Ma avrei voluto passarlo anche con te. C'erano tutte le persone a me più care e oggi due di esse sono venute qui con me"
"Ho visto, ti puoi fidare di loro?"
"Assolutamente si, non mi tradirebbero mai"
"Allora sono le benvenute" 
 
Dairiel e Ailis erano rimaste ai margini della radura, guardando da lontano la loro amica. 
Non appena vi era entrata, era improvvisamente cambiata. Il suo portamento era diverso, più elegante, e la sua gestualità era divenuta rituale. 
Si inginocchiò con lentezza accanto alla quercia, dando loro le spalle, e le appoggiò una mano, mentre con l'altra si strinse qualcosa al petto. Calò lentamente la testa, come se si fosse addormentata e, dopo qualche minuto, la rialzò di scatto e si volse verso la quercia con sguardo assente. 
Non riuscirono a staccare gli occhi da Carol neanche per un secondo, era immobile e fissava la quercia come vi potesse vedere attraverso, non faceva altro, eppure ai loro occhi era qualcosa di meraviglioso e solenne. 
Dopo un paio di minuti Carol riabbassò di colpo la testa e un'intensa folata di vento scompigliò i capelli e le vesti di Dairiel e Ailis, che in quel momento si scossero dalla sorta di trance nella quale erano entrate. 
Carol si voltò a guardarle "Siete le benvenute"

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Una forte esperienza ***


Le due ragazze si guardarono a lungo prima di iniziare ad avvicinarsi a Carol. Anche se sembrava tornata in se, c'era qualcosa in lei che le turbava.
Ad un paio di passi da lei, si fermarono e rimasero immobili, non sapendo bene che fare. "Venite qui, vicino a me"
Fecero un altro passo e poi un altro ancora, fino a quando non arrivarono alle spalle di Carol. Lei chiuse di nuovo gli occhi ed entrò in trance, girandosi, poi, con sguardo assente, verso la quercia.
 
"Cosa vuoi mostrare loro?"
"In realtà, non ne ho idea. Ero così entusiasta di presentarvi, che non ho pensato al modo! Non puoi parlare con loro, vero?"
"Da sole non potrebbero raggiungermi, dovresti fare da tramite. Ma non parlo la vostra lingua e suppongo che loro non parlino la mia"
Carol non si era posta quel problema, visto che non lo aveva mai avuto "Potresti farle entrare in contatto con te e farle entrare nel tuo corpo"
Amanith sembrò dubbiosa "Si potrebbe anche fare.. Ma ne sono in grado? E, sopratutto, come potrebbero reagire?"
Carol dovette ammettere che non ne aveva idea "Per il fatto della capacità, si può sempre tentare.. E non penso che reagirebbero male" 
Mentalmente si congedò da Amanith e si voltò a guardare le due amiche, che intanto erano rimaste immobili "Vi andrebbe di provare qualcosa di unico?" la curiosità si dipinse sui loro volti "Se riuscirete ad entrare in trance e fidarvi di me, potrò farvi entrare in contatto con Amanith.. Una per volta. Chi vuole provare?"
Inizialmente, nessuna delle due si fece avanti, poi Ailis si prese di coraggio "Voglio provare io"
Carol sorrise e annuì "Allora mi devi ascoltare molto bene"
 
Sotto la guida di Carol, Ailis chiuse gli occhi e tentò progressivamente di eliminare ogni suono e ogni distrazione dalla sua mente, ma le risultava molto difficile poiché sentiva lo sguardo insistente di Dairiel su di se e ogni volta che riusciva ad annullare un suono ne percepiva un altro.
Passò così molto tempo prima che riuscisse ad eliminare dalla sua mente ogni cosa tranne la voce di Carol 
"Bene, ora poggia le mani sull'erba e sentine la consistenza tra le dita" 
Poggiò le mani sul terreno umido e strinse dei ciuffetti d'erba tra i polpastrelli, sporcandoseli leggermente di terra.
"Ora.. respira profondamente" inspirò una grande boccata d'aria e la espirò più e più volte, ogni respiro allentava la tensione del suo corpo "..Lentamente" rallentò e continuò a trarre profondi respiri. Tutta la tensione che aveva accumulato, senza accorgersene, ora era svanita. Si sentiva alleggerita.
"Poggia una mano sulla mia spalla" 
Ailis allungò una mano e la posò sulla spalla dell'amica. Un fremito le attraversò il corpo ed ebbe la tenazione di allontanarla.
Dairiel, alle sue spalle, era sull'attenti. 
Respirò profondamente e si lasciò tenere la mano da Carol. 
"Ora devi fidarti di me"
Annuì, o almeno pensò di averlo fatto, senza averne nessuna certezza.
"Resta concentrata sull'erba e sulla mia spalla"
Strinse forte gli occhi e si concentrò al massimo delle sue possibilità. Il mondo iniziò a cambiare, come se fosse stata proiettata da qualche altra parte nell'universo. 
Si girò di scatto verso la sua sinistra. Sedute sul prato c'erano due giovani ragazze, una era Carol e l'altra non la conosceva, ma le infondeva timore e rispetto. Vi si avvicinò e sentì che parlavano in una strana lingua a lei incomprensibile. La giovane sconosciuta rivolse i suoi occhi viola verso la nuova arrivata e la fissò con intensità, poi lo scenario cambiò un'altra volta. 
Ora Ailis si trovava di fronte alla grande quercia e Carol le era molto vicina. Le si avvicinò fino a riuscire a poggiarle le labbra sull orecchio "Ricorda, fidati di me" detto questo, la spinse energicamente  verso l'albero.
Ailis alzò istintivamente le mani per proteggersi il volto, ma non ne ebbe bisogno. Non andò a sbattere contro l'albero, ma vi entrò dentro. Esso, per tutta  risposta, fremette. Si accorse di non essere più una ragazza, in quel momento era un albero! Sentiva ogni ramo e ogni foglia su di essi. Sentiva le radici e ne percorreva mentalmente il tragitto fino ad arrivare molto lontano, pur rimanendo ferma. 
Era euforica e non avrebbe mai voluto lasciare quella forma, ma, dopo qualche minuto, ne venne strappata via per tornare al mondo reale.
 
Carol aprì gli occhi e si voltò a guardare l'amica. Aveva il volto rigato dalle lacrime e gli occhi ancora chiusi. Le spostò i capelli dal volto "Aily, tutto a posto? Stai bene?"
La ragazza aprì gli occhi e se li asciugò con una manica. Annuì "Si, è stata un esperienza unica. Avrei voluto che durasse di più"

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Una decisione difficile ***


Il vento soffiava impetuoso, insinuandosi in ogni insenatura, facendo sbattere le finestre e dando vita a rumori assai inquietanti.
Carol si svegliò quando sentì sbattere qualcosa pesantemente contro la finestra. Aspettò con ansia di vedere cosa sarebbe accaduto, ma dopo un paio di secondi si tranquillizzò. Erano passate due settimane dal suo compleanno e negli ultimi giorni aveva passato più tempo del solito con Amanith, la quale la incitava a dare il meglio di se. 
"Non ti resta più molto tempo" aveva detto un giorno
"Tempo per cosa?"
"Per apprendere"
Da quel momento in poi, Carol divenne molto più ansiosa e attenta ad ogni cosa che le accadeva intorno.
"Presto dovrai andartene da qui, Carol. Il tuo destino ti porterà lontana" le aveva detto pochi giorni prima, e Carol lo sapeva ormai da tempo.
"Come farò a sapere quando dovrò andare?"
"Lo capirai"
Quella conversazione aveva messo Carol ancor più sull'attenti e il cattivo tempo degli ultimi giorni le stava pian piano logorando i nervi. 
Avrebbe voluto prepararsi una tisana calda per tranquillizzarsi, ma la casa era davvero fredda, così decise di accoccolarsi tra le coperte e tentare di riprendere sonno.
-Il vento le sferzava il viso e il corpo con tutta la sua potenza, quasi impedendole di andare avanti. La pioggia le inzuppava i capelli e i vestiti e le rendeva difficile tenere aperti gli occhi. Camminava risoluta accanto al suo cavallo, come se avesse una meta e non volesse ritardare di un solo secondo. Nella mente le scorrevano le immagini della sua famiglia e delle sue amiche, mentre ricordava le premonizioni di Wedirs e Amanith, che ora le apparivano chiare. Camminava, e camminava ancora. Un albero si schiantò al suolo producendo un enorme boato. Il cavallo si imbizzarrì, terrorizzato, e Carol cadde a terra...-
Si svegliò di soprassalto. La finestra della sua camera aveva sbattuto ancora una volta per il vento. Vide il viso sereno del fratellino e gli occhi le si riempirono di lacrime. Se li asciugò e si andò a coricare accanto al piccolo. "C'è qualcosa che non va, sorellona?"
"No, ometto, dormi sereno" Gli accarezzò i capelli e gli baciò la fronte, poi si strinse forte a lui e tentò di cacciare dalla mente ogni pensiero.
 
La mattina seguente si alzò di buon ora e preparò la colazione, lo faceva ogni mattina, ma quella volta per lei era speciale. Dopodiché si chiuse in stanza, uscendone solo ogni tanto per andare nella stalla e tornare con le braccia stracariche di roba. 
Connor la osservò durante tutta la mattinata, mentre aiutava la madre nel giardino. Era molto curioso di sapere cosa stava combinando, glielo si leggeva negli occhi.
Era da tutta la mattina che si affaccendava per casa, cercando di isolare quello che le sarebbe stato necessario una volta partita... Una volta partita... Ogni volta che si fermava per un secondo e pensava a quello che stava per fare, le lacrime iniziavano a rigarle il viso. Non voleva lasciare la sua casa, eppure la sera prima aveva sentito che era arrivato il momento... Doveva partire, ma per andare dove? Cosa le avrebbe riservato il futuro? Non sapeva rispondere a nessuna di quelle e delle tante altre domande che la attanagliavano. La testa le scoppiava e l'unica cosa che sapeva era che qualcosa la spingeva a partire e le diceva che non c'era tempo da perdere.
Tornò a separare gli oggetti. Non aveva molte cose da portare: alcuni vestiti, delle coperte, i doni del mercante e la sua lettera e anche la giovane foglia di Amanith che qualche tempo prima aveva raccolto e che si era conservata perfettamente...
Stava sistemando il tutto in una sacca, quando Connor entrò in stanza "Carol, che stai combinando?"
"Dovrai occuparti tu di Richard, da oggi in poi. Sarai il maggiore di casa, non fare scoraggiare mamma e impegnati con papà, so che ce la puoi fare"
"Che stai dicendo, Carol?!"
"Dico che me ne sto andando - devo andarmene - e spero di poter tornare un giorno. Non voglio salutare gli altri, non mi lascerebbero andare, perciò dì loro che li amo dal più profondo del mio cuore e che vorrei poter restare al loro fianco per sempre" gli occhi le si arrossarono ma riuscì a trattenere le lacrime.
"Dove? Dove devi andare? Perché?" 
"Non lo so, Connor... Ti sembrerà una follia, ma so che devo andare via... Lo faccio anche per voi. Ho paura che, se non me ne andrò al più presto, cose orribili accadranno anche a voi e non potrei mai perdonarmelo"
"Carol non riesco a capire di cosa stai parlando. Io..."
Carol lo fermò e lo abbracciò, scoppiando a piangere "Tornerò a spiegartelo, te lo prometto. Intanto potrai fidarti sempre di Ailis e Dairiel, loro sano gran parte di questa storia e potrebbero aiutarti... Non farti abbattere e sii forte anche per me"
Prese la sacca e si incamminò verso la porta della stanza "Connor, dovrò prendere anche un cavallo. Prendo Teseo, Leila è incinta e presto vi risarcirà del danno... Mi dispiace, non lo farei se non fosse necessario" detto questo uscì dalla stanza, assicurò la sacca alla sella del cavallo e partì al galoppo, allontanandosi velocemente da casa sua e dalla sua vecchia vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Miraggio o Realtà? ***


Senza nemmeno rendersene conto, aveva guidato il cavallo verso Amanith. Smontò e le corse incontro.
"Amanith" la sua voce era tremante e rotta dal pianto
"Carol, cara, stai tranquilla, andrà tutto bene. Non hai nulla da temere"
"E' arrivato. Il momento è arrivato.." fece una lunga pausa "Ho lasciato casa mia, ma non so dove andare.. Chi devo cercare? Cosa mi attende? Sono troppe le domande a cui non so rispondere! Perché sto facendo tutto questo?"
"Ascoltami, Carol" la voce di Amanith era avvolgente e le trasmetteva serenità "Non devi temere, ogni tua domanda avrà una risposta. Segui il tuo cuore, ti porterà nel posto giusto e quando incontrerai qualcuno di importante sul tuo cammino, te ne accorgerai. In quanto al tuo futuro, non so cosa ti attende, ma so che è indissolubilmente legato al mio e che sarò sempre con te, anche quando non potrai udire la mia voce o riposare alla mia ombra. Ti auguro tutta la fortuna del mondo, che il vento ti sia amico e che la luna e le stelle proteggano il tuo riposo. Ora vai, e non voltarti più indietro"
Il collegamento tra loro due si interruppe molto lentamente e, anche quando Carol montò nuovamente a cavallo, potè continuare a sentire in lontananza la sua rassicurante presenza.
 
La sua nuova vita stava per cominciare e il suo stomaco ruggiva dalla fame. 
Era ormai quasi sera, aveva cavalcato per tutto il pomeriggio ed era stremata. Si fermò non lontano dalla strada principale e assicurò le redini di Teseo ad un ramo, dopodiché gli tolse la sella e iniziò ad accendere un fuocherello e preparare un giaciglio per la notte. 
La cena non era un granché e non riuscì completamente a saziarla dopo le fatiche del giorno, aveva portato solamente degli ortaggi che aveva trovato nell'orto di casa, ma quei sapori le ricordavano la sua famiglia, che già le mancava molto. Il giaciglio che era riuscita a sistemare non era un granché e sarebbe stato molto meno confortevole se non si fosse portata la sua fedele coperta logora. Vi si accoccolò e si addormentò con il caldo della brace che le riscaldava il corpo.
 
La mattina dopo si svegliò con le prime luci dell'alba, completamente riposata. Il suo vestito era un po' sporco di terra, così come le sue mani, e si era leggermente ferita le gambe, ma era tutto trascurabile per essere la sua prima notte lontana da casa. 
Per colazione prese dalla cesta due mele, una per lei e una per il suo compagno di viaggio, dopodiché tornò a montare in sella e continuò a seguire il sentiero che sperava l'avrebbe presto condotta ad un paese o un villaggio.
 
Dopo qualche ora di viaggio iniziò ad intravedere le prime capanne, segno che lì vicino ci doveva essere un centro abitato. Non si era mai avventurata da quella parte del sentiero, eppure avrebbe dovuto farlo! Il villaggio che le si presentava agli occhi era molto piccolo ma estremamente bello. Non ne era molto lontana, eppure riusciva a vederlo nella sua totalità dal punto in cui si trovava: era semi-circolare, al centro di esso vi era una chiesa - una di quelle grandi e con le campane! - e tutto intorno si estendeva la città, formata da piccole case dai tetti rossi, botteghe variopinte e viottoli e piazzette piene di alberi e fiori. 
Carol rimase estasiata e, senza accorgersene, quasi si fermò in mezzo al sentiero per ammirarlo. Il paesaggio assomigliava molto ad un quadro che Carol aveva sempre ammirato nella bottega della fioraia, ma non credeva che esistessero realmente luoghi così belli creati dall'uomo.
Un carro le passò a pochi centimetri da un piede e il cocchiere le urlò qualcosa di incomprensibile, che comunque la risvegliò dalla sua trance.
Anche dall'interno il villaggio era molto grazioso, non c'era molta gente in giro, ma ogni volta che si avvicinava alle porte di qualche locanda o grande bottega veniva inondata dal vociare di gente. Quell'atmosfera era davvero strana per lei, abituata alla tranquillità della campagna e del suo paese, e decise di fermarsi solo alla seconda locanda. Sebrava più tranquilla rispetto agli altri locali, inolre di fronte ad essa c'era una stalla dove i viaggiatori avrebbero potuto far riposare i cavalli e anche quello giocava a suo favore.
L'interno della locanda era male illuminato e l'aria stracarica di odore di tabacco, alcool e cibo. Carol tossì e si stropicciò gli occhi più e più volte prima di riuscire ad abituarsi all'ambiente e a riuscire a vedervi qualcosa. Il locale era più grande di quanto avesse immaginato e c'era molta gente seduta ai tavoli, intenta a bere, fumare, mangiare o giocare d'azzardo con i dadi. Tra di essi passavano, ad intervalli regolari tre ragazzi con delle buffe uniformi da lavoro verdi e azzurre, in realtà una di esse era una ragazza e non doveva avere per niente una vita semplice lì dentro. 
Inizialmente l'interno le era sembrato male illuminato, ma vi era almeno una candela per ogni tavolo, sul soffitto si concentravano grosse nubi di fumo che si spandevano sempre di più e il pavimento era appiccicoso per via degli alcolici dolciastri riversati in terra. Dietro un bancone era seduto un uomo alto e dai tratti molto duri che fissava Carol mettendola in soggezione. Dopo qualche momento di esitazione, decise di avvicinarsi, non senza aver prima meditato sull'opzione di darsela via a gambe levate! 
Nonostante l'aspetto, l'uomo era molto gentile e si mostrò disponibile per farle avere una stanza. 
Prima che uscisse dalla stanza, Carol lo fermò "Scusi, posso chiederle ancora una cortesia?"
Il suo sguardo non  era molto convinto ma annuì "In cosa posso aiutarla ancora?"
Carol si rigirò un lembo del vestito tra le mani, come faceva sempre quando era nervosa "Ecco.. Non ho molti soldi, posso permettermi la camera ma non per molto e mi interessava sapere se vi sarebbe servita una mano in più." cambiò tono per sembrare più sicura di se e avere qualche possibilità in più "So cucinare e trattare con la gente, potrei anche pulire per terra o servire ai tavoli.."
La interruppe alzando una mano in segno di stop e la squadrò dalla testa ai piedi con tanta insistenza da farla arrossire "Abbiamo bisogno di belle ragazze come te qui, si può fare. Ma allora via da qui, ti faccio vedere la tua nuova stanza" La condusse di nuovo verso la sala da pranzo e la fece entrare in una piccola apertura che non aveva notato, lì dietro vi era un corridoio su cui davano due porte. Si fermò e indicò quella a sinistra "Là dormono Jack e Alexander" proseguì verso l'altra porta e l'aprì "Qui, invece, dormirai tu insieme a Rosie" le porse delle chiavi e una veste che aveva preso mentre Carol non vi faceva attenzione "Per oggi riposati, domani mattina inizierai il tuo turno"

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** L'inizio ***


Sopraffatta dalla stanchezza e dalle emozioni, Carol si addormentò quasi immediatamente, senza neanche avere il tempo di cambiarsi d'abito o guardarsi intorno.
Dopo qualche ora la portà sbattè e si svegliò di soprassalto, sopprimendo a stento un urlo e stringendosi le coperte al petto. Di fronte a lei c'era una figura che non riusciva bene ad identificare poiché la sola luce che illuminava la stanza proveniva dal corridoio e faceva si che la sua ombra si proiettasse in modo molto minaccioso. La figura si spostò dalla porta e un po' di luce la illuminò, era la ragazza che aveva visto servire ai tavoli. Che stupida che era stata a non pensarci, doveva dividere la camera con lei! 
"Tranquilla, sono la tua coinquilina. Capisco di avere una brutta cera dopo una giornata di lavoro, ma non credevo di fare così tanta paura!" Sorrise e le si avvicinò porgendole la mano "Piacere, Rosie"
A Carol girava la testa per il brusco risveglio e ci mise un po' prima di rendersi conto che avrebbe dovuto stringerle la mano "Piacere mio, Carol"
La ragazza si sedette sul letto e si mise a proprio agio mentre Carol tentava di guardare altrove arrossendo un po' per la timidezza, non aveva mai avuto una compagna di stanza oltre i suoi fratelli e le sue migliori amiche e non aveva pensato a cosa avrebbe comportato. 
Quando si voltò di nuovo verso la ragazza, lei la stava osservando e sorrideva "Ti ci abituerai, non preoccuparti. Piuttosto, quanto hai intenzione di restare qui?" era seduta con le piante dei piedi una contro l'altra e se li teneva inisieme con una mano, risultando un po' buffa.
Carol sorrise, stava facendo di tutto per metterla a suo agio e lo apprezzava davvero molto "Beh, credo di restare un mese al massimo... Magari metterò da parte qualche risparmio per poter partire" si tolse una ciocca di capelli dal viso e se la portò dietro l'orecchio "In ogni caso, non credo di rimanere molto"
La ragazza si mise sotto le coperte e spense la candela che aveva portato in camera per fare un po' di luce "Non esserne così sicura, questa città ti assorbe completamente. Ti incatena qui fino a quando non sei più in grado di andartene" il suo tono era giocoso, ma c'era un nonsoché di serio "Dormi bene e preparati al turno di domani, non è per niente semplice trattare con certi clienti!"
Carol annuì anche se sapeva di non poter essere vista "Buona notte anche a te, Rosie"
La ragazza già russava e Carol non era ancora riuscita a riprendere sonno, la stanza era buia e sembrava estendersi all'infinito. Non l'aveva osservata bene e non avrebbe nemmeno saputo dire quanto era grande in realtà e se c'era qualcos'altro oltre i due letti e il comodino tra di essi. 
Era molto emozionata per il debutto del giorno successivo, non aveva mai lavorato a contatto con la gente e quello che sapeva fare lo aveva fatto solo in casa... Certo, non aveva mai avuto problemi a rapportarsi con la gente, ma quelle a cui era abituata erano condizioni completamente diverse! Sfiorò con i polpastrelli il braccialetto che le sue amiche le avevano regalato e una lacrima di tristezza e malinconia le rigò il viso, chissà quando avrebbe potuto riabbracciare i suoi cari...
 
Pensieri e sogni tristi le attanagliarono la mente per tutta la notte perciò la mattina seguente, quando Rosie la scosse leggermente per farla svegliare, faticò molto ad alzarsi dal letto per prepararsi. La stanza era illuminata di nuovo dalla candela e, finalmente, Carol potè osservare un po' il posto dove si trovava: la stanza non era grandissima, ma abbastanza accogliente per due persone. Era di forma rettangolare, quasi quadrata, e infondo ad essa c'erano i due letti. Alle spalle del letto di Carol, c'era un grande armadio e una toletta rustica stracolma di oggetti e prodotti per la cura personale. Nel resto della stanza non c'era un granché, dei tappeti ricoprivano il pavimento, sparsi a terra c'erano molti cuscini e appeso alla parete c'era uno specchio più alto di lei dove Rosie si stava rimirando la veste da lavoro. 
Carol prese la sua e la indossò. Era composta da uno stretto corpetto azzurro pastello con le maniche a sbuffo dalle quali uscivano dei polsini verde pastello, che Rosie dovette aiutarla ad indossare, e un'ampia gonna dello stesso colore con un nastro dello stesso verde pastello dei polsini da annodare con un fiocco. Non era esattamente il genere di vestito che avrebbe mai indossato, ma non le stava male. Tenne il ciondolo al collo, ma mantenendolo nascosto dentro il corpetto per paura di averlo rubato e si raccolse i capelli alti sulla testa, così come piacevano a sua madre.
Uscità dalla stanza si imbattè in uno dei due ragazzi della sera prima, il più basso, che emise un lungo fischio "Sei uno schianto!" Carol arrossì e abbassò lo sguardo. Il ragazzo le porse una mano "Piacere, io sono Alexander, Alex per gli amici!" lei gli strinse la mano rimanendo in silenzio "E tu sei...?"
Carol si coprì il volto per l'imbarazzo "Oh, scusami, il mio nome è Carol. Piacere di conoscerti!"
Il ragazzo le sorrise e la prese per un polso camminando velocemente, quasi saltellando, verso la sala da pranzo "Fai presto che se no ci resteranno solo gli avanzi!"
Nella sala c'era un gruppo di persone con le vesti dei loro stessi colori, probabilmente altri lavoratori della locanda, ed erano tutti seduti intorno ad un tavolo dal quale proveniva un buonissimo odore "Avanti, non essere timida!" Alexander si era già seduto e le stava facendo cenno di prendere posto accanto a lui. 
Non per nulla c'era un buonissimo odore nella stanza, la tavola era piena di mille dolci ed erano tutti a loro disposizione! A Carol sembrava quasi di star prendendo parte ad un banchetto regale "Non farti scappare nulla, avrai bisogno di energie durante la giornata!" Rosie era seduta vicino a lei e le aveva passato una cesta con dei biscotti. Alexander allungò una mano e ne prese uno "Sono davvero buoni questi" sputacchiava mentre parlava e questo fece ridere di cuore Carol.
La colazione fu allegra e si rese conto di trovarsi già bene in quell'ambiente... Forse, in fin dei conti, Rosie non aveva avuto tutti i torti la sera precedente.
 
La mattinata passò molto velocemente, ai tavoli non c'era quasi nessuno e Carol stette tutto il tempo in cucina a preparare dolci da servire a pranzo e a cena, ma non le dispiacque affatto.
"Carol, che ci fai ancora qui? Vai a risistemarti e torna in fretta! Tra poco si mangia!" Rosie la guardava stralunata, come se fosse stato ovvio che a quel punto non sarebbe dovuta più essere in cucina, lei sembrava fresca e riposata, non come dopo una mattinata di lavoro, mentre Carol aveva il vestito pieno di farina e l'acconciatura distrutta.
La stanza ora era illuminata bene. La luce passava atttraverso una finestra abbastanza grande di cui non si era accorta prima di quel momento. Si rassettò e uscì con lo stomaco che le brontolava insistentemente. "Strano che ti sia abituata di già ai nostri ritmi" Carol saltò in aria e il cuore le cominciò a battere a mille. 
"Non volevo farti spaventare, il mio nome è Jack" disse il ragazzo dalla voce calda e profonda facendole l'occhiolino.
Carol arrossì e sorrise stupidamente giocando con una ciocca dei suoi capelli "Il piacere è tutto mio, il mio nome è Carol"
"Lo sapevo già" rispose l'altro passandole accanto e sfiorandole appena le mani con le sue. "Per abituarmi a questi ritmi ci ho messo un paio di giorni, sai? Svegliarsi alle 5 del mattino, pranzare ad appena mezzogiorno e cenare appena i clieni vanno via non è cosa da tutti! Sono curioso di vedere come arriverai a stasera"
Il pranzo era speciale per Carol, così come la colazione, e se lo godette a pieno.
Qualche ora dopo iniziarono ad arrivare molti clienti, anche se Carol non ne aveva visto neanche uno entrare dalla porta... Probabilmente perché l'ambiente era di nuovo pieno di fumo o perché era troppo attenta a non combinare disastri anche il suo primo giorno di lavoro. 
Stette quasi tutto il pomeriggio in cucina, solamente molte ore più tardi Rosie le chiese il cambio. 
Era già più difficile di quanto non pensasse passare tra i tavoli con boccali di birra e vassoi pieni di cibo senza far cadere nulla, ma se ci si mettevano anche i clienti ubriachi che la spingevano a destra e a manca diventava praticamente impossibile! 
Un uomo le afferrò un braccio con energia, facendole rovesciare il contenuto di un boccale addosso, e la guardò fissa negli occhi con uno sguardo che le fece venire i brividi lungo tutto il corpo e che la terrorizzò "Sei ancora in tempo, vattene!" disse, prima di lasciarla bruscamente e farla cadere a terra. Un paio di braccia le circondarono le spalle e la aiutarono ad alzarsi "Grazie mille" 
"Non ringraziarmi. Ti porto in camera" 
Una volta in camera, Carol si sedette e si massaggiò il braccio.
"Ti ha fatto male?"
"Non ti preoccupare, niente di grave! Piuttosto, come faccio con il turno? Dovrei essere di là ora..."
"A questo ci penso io. Sei nuova, non possono pretendere troppo  da te! Hai  già fame?"
Effettivamente lo stomaco già le brontolava per la fame da ore, anche se non se n'era accorta. "Quando si cena?"
Il ragazzo uscì dalla stanza senza degnarla di una risposta e chiudendosi la porta alle spalle. Carol era molto perplessa dal suo atteggiamento, ma non ci fece caso più di tanto e si mise sotto le coperte, lasciando ancora un po' la luce accesa. 
Bussarono alla porta. "Chi è?"
"Ti ho portato qualcosa da mangiare, sto entrando!" in mano portava un vassoio con del pane, dei formaggi e molti salumi. 
"Grazie mille, non avresti dovuto" 
"Questo e altro per te" la sua voce era molto affascinante e la grazia con la quale si muoveva lo era ancora di più. Posò il vassoio ai suoi piedi e uscì senza dire una parola.
Con lo stomaco pieno, tornò a distendersi e a pensare a quella giornata... Era stata decisamente stancante, ma si trovava bene con i suoi colleghi. 
Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine degli occhi di quell'uomo. C'era una certa urgenza nel suo sguardo e, indubbiamente, paura... Ma di che cosa?

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Una terribile scoperta ***


Ogni giorno che passava in quella locanda le faceva amare sempre di più i suoi colleghi e in special modo la sua compagna di stanza e i due della porta accanto. 
Era già passata una settimana e Carol scoprì con molto piacere che quella domenica era completamente di riposo per lei e Rosie.
"Carol, hai mai fatto un giro in città da quando sei qui?"
"Beh... C'è stata quella volta in cui Daniel non è venuto a portarci la carne perché stava male e io..."
"Non intendevo per lavoro, ma per fare un giro di negozi e vedere le bellezze che ci sono in giro! Ci sono anche dei ragazzi niente male, sempre che tu non ti sia già presa una cotta!" Le fece l'occhiolino e Carol le rispose con una linguaccia, sapeva che trovava attraente Jack e ogni volta che poteva le lanciava qualche frecciatina. "Metti dei bei vestiti e preparati, ti farò spendere in pochi momenti tutte le monete che hai racimolato!"
Carol strorse il naso a quel pensiero "Non vorrei spendere neanche mezza moneta, a dire il vero" e iniziò a vestirsi.
"Carol, che roba è quella?" Rosie stava guardando quasi disgustata il vestito che Carol aveva indosso.
"E' l'unico vestito che ho, oltre quelli che Rog ci dà da indossare a lavoro" si guardò allo specchio. Effettivamente, era sgualcito e sformato, con un paio di buchi più o meno grossi e aveva ancora dei rimasugli di terra "Okay, non è un granché a dire il vero, ma potrebbe essere peggio"
Rosie scosse la testa con aria sconsolata "Addio passeggiata spensierata, ti dobbiamo trovare dei vestiti!"
Quando era arrivata, Carol non aveva notato molto di quel villaggio oltre i luoghi che le sarebbero potuti interessare per riposarsi, e, per sbrigare le consegne, non si era mai avventurata oltre la macelleria che distava si e no cinquanta metri dalla locanda... Insomma, non aveva ancora avuto modo di guardarsi intorno e scoprì che quel posto le piaceva davvero tanto, ogni cosa rispecchiava le sue aspettative e le sue vecchie fantasie su città lontane e sfarzose che non avrebbe mai potuto visitare.
 
Passò un'altra settimana e l'uomo inquietante che le aveva fatto male la prima sera tornò a prendere posto nella locanda. Stava seduto in un tavolo un po' isolato rispetto agli altri e scriveva tutto il tempo, fermandosi solamente per osservare Carol con sguardo truce. Lei tentava di evitarlo il più possibile e, ogni volta che poteva, mandava qualcun'altro al suo posto a prendere le ordinazioni. 
Una volta le capitò di passare accanto al suo tavolo, sentì il suo sguardo fisso su di lei, ma non volle incontrarlo. Tenne gli occhi bassi per tutto il tempo e così colse uno squarcio di quello che quell'uomo aveva scritto. La calligrafia era disordinata, tutto era scritto a stampatello e alcune parole erano così calcate che con un pizzico di forza in più avrebbe stracciato il foglio. C'era scritto "TI PRENDERANNO. SARAI UNA DI LORO. SCAPPA. SCAPPA. SCAPPA.." oltre quelle prime due frasi, tutto il foglio era invaso da quell'unica parola: "scappa". Sembrava che lo avesse scritto per farlo leggere proprio a lei, ma perché voleva che se ne andasse? 
 
"Ti preoccupa quel tipo, eh? Se vuoi ti chiamo il grande e potente Jack per ucciderlo e salvare la sua donzella!" Carol scoppiò a ridere.
"Alex, sei un comico mancato. Che ci fai qui a lavorare come cameriere?"
Mise su un aria disperata e afflitta "Come potrei mai abbandonarvi? " Appoggiò l'avambraccio al muro e vi nascose il viso rendendo la voce ancora più teatrale e scuotendo la testa "Non potrei! Perché voi mi amate e non sopravvivreste un giorno solo senza di me! E' questa la mia missione"
Carol gli diede un pizzicotto ed entrambi risero di cuore. 
Era ancora preoccupata per quello strano uomo, lavorava in quella locanda da un mese e lui era ancora lì... Iniziava a pensare che non se ne sarebbe mai liberata. 
 
Passarono altre due settimane e finalmente ebbe nuovamente un intera giornata di riposo, questa volta senza Rosie.
Di mattina si svegliò con le prime luci dell'abla, tardi rispetto all'orario al quale era ormai abituata, indossò un vestito lilla e bianco che aveva comprato con Rosie e uscì. C'erano tante di quelle bellezze che non aveva ancora visitato in quella città, non finiva mai di riservarle sorprese. 
Per tutta la mattina girò per le stradine, osservando i bambini che vi giocavano e le vetrine dei negozi. Quella volta però le uniche monete che spese furono quelle per comprarsi un panino con i semi di girasole per il pranzo e dei biscotti allo zenzero. 
Dopo pranzo andò in un piccolo giardino a godere un po' del tepore del sole, reso lieve da una brezza fresca. Era strano che ci fosse ancora bel tempo, doveva essere più o meno novembre, ma di certo non se ne sarebbe lamentata. 
Distesa sul prato, con il sole che le riscaldava leggermente il viso, Carol si abbandonò ai suoi pensieri e si estraniò dal mondo così tanto da non rendersi conto di ciò che le accadeva intorno. Un'ombra le si proiettò sul viso. Aprì gli occhi e urlò dal terrore quando vide chi ne era la causa. Non aveva mai visto bene i suoi lineamenti, ma aveva sempre notato che era molto malmesso e sicuramente anziano- o almeno così le era parso nella locanda! Ora poteva vedere il suo volto: era scavato e aveva delle enormi occhiaie, ma i suoi lineamenti erano giovani ed i suoi occhi anche. Sembrava un vecchio in tutto e per tutto ma, se lo si sapeva osservare, ci si accorgeva di quel qualcosa che rendeva la sua età indefinibile. 
Si portò l'indice difronte alla bocca "Shh. Non urlare. Non voglio farti del male, non te ne ho mai voluto fare" Carol era impaurita e l'uomo se ne accorse "Non mi credi. So di averti ferita, ma è stato involontario!" quasi urlò quest'ultima frase, come se lo tormentasse.
"Allora perché lo hai fatto?"
"Non mi aspettavo di vedere un'altro come me qui! Ero contento, ma sapevo che ti avrei dovuta avvertire e questo mi faceva soffrire molto. Stavo lottando contro di me, non volevo ferirti" sembrava sincero e Carol non ebbe il cuore di replicare.
"Come te? Che avremmo in comune?" 
"Sei reale! Tu sei reale e lo sono anche io!" cambiò repentinamente umore e rise di gusto "Sei reale" ripetè, assaporando quelle parole.
Carol iniziò a pensare di avere a che fare con una persona malata, provava compassione per lui e al contempo lo temeva.
"Non capisci... Niente qui è reale! Sono stato solo per così tanto tempo..." Carol si mosse in direzione dell'uscita, bastava che tornasse in strada e qualcuno l'avrebbe aiutata "Non lo fare, Carol. Non lo fare. Tu credi che io sia pazzo e forse con il tempo lo sto diventando, ma sono loro ad avermi fatto diventare così. Prima qui non c'era niente oltre una piccola chiesa e un cimitero. Il mio compito era quello di prendermi cura dei morti e delle loro sepolture ma, qualche mese fa, tutto si trasformò: una mattina mi svegliai e al posto del cimitero c'era questa bellissima città, ma non c'era nessuno. Soltanto dei vecchi cadaveri con la pelle raggrinzita e niente più. Credetti di stare impazzendo fino a quando non arrivasti tu. Allora tutto si animò e i corpi che io avevo custodito per tanti anni presero vita per te, per incasrarti qui"
Carol era più confusa che mai, quello non sembrava il discorso di un pazzo e i suoi occhi dicevano il vero. "Perché qualcuno dovrebbe volermi incastrare? E come fa tutto questo ad essere stato costruito in una notte?"
"Non ho mai detto che l'abbiano costruito. Sei tu ad averlo fatto, con la tua fantasia"
Carol scosse la testa "Non può essere frutto della mia fantasia! Non ne sarei mai capace!"
L'uomo le posò una mano sulla spalla "Prova a non immaginare nulla.. Anzi, prova ad immaginare intensamente qualcosa"
Carol lo guardò a lungo e poi annuì. Ripensò al piccolo tendone di Wedirs, al suo interno e al suo tipico odore. "Ora apri gli occhi" aprì gli occhi e vide che lì di fronte a lei c'era la tenda blu dove aveva passato tanto tempo. Il cuore cominciò a batterle a mille, si alzò e corse a perdifiato verso la locanda.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Una candela ***


Alla locanda tutto si svolgeva come al solito: i ragazzi passavano tra i tavoli portando pietanze e i clienti mangiavano, fumavano e bevevano fino a star male. 
Fino a quella stessa mattina le sarebbe sembrato un posto accogliente ma, in quel momento, le sembrava solamente di star vivendo un incubo. Ora le sembrava che la stanza fosse abitata da creature malvagie e terrificanti, non più da esseri umani e compagni di avventura. 
Chiuse gli occhi e si portò le mani a coprire le orecchie, flettendo un po' le ginocchia. 
Il mondo le tremava sotto i piedi. 
Stava per svenire.
 
Schiuse gli occhi e portò le mani a proteggerli dalla luce. 
"Carol! Finalmente ti sei ripresa, ci siamo preoccupati molto per te!" Rosie in piedi accanto a lei e le scostò una ciocca di capelli dal viso, sorridendo affettuosamente "Non hai nemmeno idea di che spavento ci hai fatto prendere"
Carol sorrise imbarazzata e tentò di alzarsi, ma le venne un capogiro e delle mani forti e robuste la acchiapparono per le spalle "Dove sono?"
"Per l'esattezza, sei distesa nel mio letto e lì dovrai rimanere almeno per il resto della notte"
"N...Nel tuo letto?" Carol si strinse le coperte al petto pensando di star dormendo nello stesso posto di Jack.
"Si, ma non ti preoccupare, per stanotte utilizzerò il letto di Alex e lui starà con Rosie... Hanno bisogno di riposare! Hanno lavorato molto oggi e sembrerebbero dei cadaveri domattina se dovessero anche pensare alla tua salute" sorrise e a Carol sarebbe sembrato più sexy che mai se non avesse pronunciato quella frase. 
In un momento ricordò tutto e venne nuovamente sopraffatta dalle emozioni. "Stai male?" Jack la aiutò a stendersi e le rimboccò le coperte. Sembrava un vero amico e Carol quasi non riusciva a capacitarsi del fatto che non lo era... Che nessuno di loro lo era!
"Non mi sento molto in forze.. Probabilmente è meglio che io dorma un altro po'" Carol chiuse gli occhi e cadde lentamente in un sonno travagliato.
 
Era passata una settimana ormai e Carol non era riuscita a trovare un modo per svignarsela; di giorno non avrebbe mai potuto e la finestra della sua stanza dava su un cortile interno della locanda... Non sembrava avere vie di fuga! Aveva provato a vedere com'era la locanda di sera, ma era sempre in piena attività fino a tarda notte, perciò scartò anche quell'opzione. 
Anche quella mattina si svegliò e andò a fare colazione con tutti gli altri, aveva deciso di far finta che fosse solamente un brutto scherzo, se no non avrebbe mai potuto restare in quel posto... Ma aveva paura e quello strano uomo non si era più fatto vedere in giro!
Di pomeriggio tornò in camera e trovò una grande scatola sul suo letto "Quella è per te, Carol" era aperta e si vedeva che qualcuno vi aveva rovistato dentro "L'ha portata quello stranissimo uomo che ti fissa sempre, ma non temere, ho controllato che dentro non ci fosse niente di strano"
Carol si maledisse per non essere stata presente e aver permesso che lei vi ficcasse il naso, magari c'era qualcosa di importante dentro! "Quando l'ha portato?"
"Stamattina, mentre eri dal macellaio. Dovevi vederlo" Rosie sghignazzò "Era davvero comico! E' arrivato con questa enorme scatola, che probabilmente pesa quanto lui, tutto buttato all'indietro per reggerla e con il volto paonazzo, non so come ho fatto a non scoppiare a ridere! Ha detto che ti aveva vista qualche giorno fa nel parco e che te ne eri andata lasciando lì le tue compere... Mi chiedo perché se le sia tenute per così tanto tempo! Senti a me, quello non voleva per niente riportartele." 
Carol era ancora seria in volto, quella mattina aveva comprato solamente due buste dei suoi biscotti preferiti, non certo un negozio intero!! 
"Suvvia Carol, non c'è bisogno che ti preoccupi!" Rosie le si avvicinò e uscì dalla scatola un bellissimo ed elaborato vestito "Vedo che sono riuscita a contaggiarti! E io che credevo che volessi mettere dei soldi da parte, questo è MOLTO meglio!" il vestito era bellissimo e Carol lo guardò sbalordita, doveva aver speso un occhio della testa per poterselo permettere! "Comunque è ora di andare... E finalmente non hai più l'aria cupa! Non ti aspettavi proprio di riaverlo indietro, eh?" 
Carol si sforzò di sorridere e annuì "Pensavo proprio di averlo perso... E con lui praticamente tutti i soldi che avevo guadagnato! Mi sa che dovrò rivalutare quell'uomo, si è rivelato buono in fin dei conti"
 
Quella stessa sera si rifece vivo alla locanda, occupò come al solito il suo tavolo appartato e distaccato, un po' in ombra e che permetteva una buona visuale sulla porta della cucina. 
Fissò per tutta la sera Carol, come aveva sempre fatto, e, come sempre, lei provò del timore nei suoi confronti, anche se decisamente minore rispetto alle volte precedenti.
"Carol, ha chiesto di te al suo tavolo" disse Alex indicando l'uomo con la testa "Certo che è strano forte! Sembra quasi che abbia paura di tutti quanti qui" sorrise all'idea e diede una piccola spinta a Carol nella sua direzione.
"Grazie di esser venuta, Carol. Hai ricevuto il mio pacco?" 
Carol annuì.
Si sentiva osservata. 
Si girò e vide che una delle cuoche si era avvicinata alla porta e la fissava con insistenza. Si spostò in modo da nascondere l'uomo dalla visuale. "Come mai mi hai portato.." lui la fermò prorompendo in una risata spettrale.
"Ragazzina, non c'è bisogno che mi ringrazi, non me ne sarei mai fatto nulla delle tue vesti! Il mio nome è Jekar, lieto di fare la tua conoscenza" le porse una mano che Carol si affrettò a stringere e sentì al tatto qualcosa di freddo che si nascose immediatamente nella manica del vestito "Potresti portarmi un'altra candela per il mio tavolo?"
 
Tornò in camera prima di Rosie e vide che l'oggetto che Jekar le aveva dato era una chiave, ma non c'era nessuna scritta o indicazione, che se ne sarebbe dovuta fare? La posò nel marsupio, insieme alle cose più importanti e si mise a letto. 
Chiuse gli occhi per tentare di dormire, ma la luce della candela le dava fastidio... La luce della candela... Jekar le aveva chiesto una, candela eppure non ne aveva mai volute anzi, spesso e volentieri, spegneva quella che già c'era al suo tavolo, che fosse un messaggio? In un attimo, le tornò alla mente uno dei pomeriggi passati con Wedirs.
 
-Carol era difronte ad uno scaffale ricolmo di piccole ampolle piene di liquidi o polveri e una in particolare aveva colpito la sua attenzione: il contenuto dell'ampolla era nero come l'inchiostro, ma sul cartellino non c'era appuntato nessun nome "Che cos'è questo?" 
Wedirs si alzò con la sua solita lentezza e, preso il cartellino bianco, accese un fiammifero "E' più semplice se te lo mostro" avvicinò il fiammifero al cartelllino e su quest'ultimo apparve una scritta. Carol era sbalordita "Quest'inchiostro è di vitale importanza in alcune situazioni"-
 
Carol si alzò dal letto e iniziò a frugare nella scatola che le aveva portato Jekar. Dopo un bel po', trovò un foglio piegato all'interno di un vestito, lo stirò con le mani e lo avvicinò alla fiamma della candela, sperando di non farlo bruciare. 
Quasi immediatamente apparvero le prime righe. Più leggeva, più si sentiva scossa e al contempo tranquilla. 
Aveva trovato una via di fuga.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** La fuga ***


Era la sua unica possibilità, se l'avessero scoperta non avrebbe avuto più alcuna via di fuga. Doveva riuscire. 
 
Intorno alle 03:30 si alzò cautamente dal letto. Tirò fuori da sotto il cuscino il marsupio multitasche che le aveva regalato Wedirs e nel quale aveva messo le cose più importanti, quelle a cui non avrebbe mai rinunciato. Da sotto il letto prese una sacca nella quale aveva messo tutto il resto dei suoi averi. 
Ogni suo passo sembrava rimbombare per la stanza, come se ci si stesse aggirando un gigante imbranato. Non vedeva molto di quello che la circondava ma, per fortuna aveva imparato a muoversi anche al buio in quella stanza. Si avvicinò al comodino e prese la candela facendo cadere qualcosa che produsse un rumore assordante. La paura si impadronì del suo corpo. Trattenne il respiro per qualche secondo e si rilassò un po' non vedendo nessuna reazione in Rosie. 
Effettivamente era quasi inutile aver paura, quello doveva essere l'orario in cui tutti loro cadevano nel sonno più profondo e soltanto in caso di estrema urgenza si sarebbero risvegliati, o almeno così le aveva detto Jekar. 
 
Mentre rifletteva, era già uscita dalla stanza ed era arrivata alla porta che dava sulla grande sala centrale. Non le rimaneva che attraversarla, aprire la porta col passepartout che le aveva dato Jekar e andarsene il più in fretta possibile da quel posto. 
Stava per entrare nella sala quando sentì del rumore di passi provenire da lì dentro -Dannazione! C'è qualcuno ancora 'sveglio'- pensò Carol. Effettivamente, sapeva che sarebbe potuto accadere perché, per non essere troppo vulnerabili, di notte c'era sempre una guardia. Ma il loro sistema aveva una pecca poiché, la stragrande maggioranza delle volte, durante il cambio di guardia c'era un'arco di tempo che andava dai cinque ai quindici minuti nei quali tutti entravano in quello stato di sonno profondo. 
-Con la mia fortuna questo potrebbe anche essere appena arrivato e dovrei aspettare qui delle ore- Posò la sacca a terra molto cautamente, senza produrre alcun rumore -E poi la prossima guardia potrebbe essere chiunque! Anche uno dei miei 'amici'... O magari è già uno di loro a fare la guardia! In questo caso sarei spacciata... Lui tornerebbe da questa parte e mi troverebbe di sicuro..- Era davvero nervosa e continuò a divagare così fino a quando non sentì dei passi avvicinarsi. La guardia veniva verso di lei. Lo sapeva, era spacciata! Si appiattì contro il muro e trattenne il fiato, ogni muscolo del suo corpo era contratto e il suo cuore batteva così forte che sembrava poter esplodere da un momento all'altro. Era arrivato dietro la porta, non gli mancava altro che girare la maniglia e poi Carol sarebbe stata bell'e spacciata. Le scale cigolarono, stava salendo!
Appena non sentì più alcun rumore, tirò un respiro di sollievo e sciolse tutti i muscoli. Prese la sacca da terra e in una mano impugnò saldamennte la chiave della sua salvezza. Entrò nella grande sala e la attraversò velocemente, senza correre, stando attenta a non fare baccano. Arrivata alla porta, cercò a tentoni la toppa e fece svariati tentativi prima di riuscire ad infilarvi la chiave e aprirla. 
Chiuse la porta alle sue spalle e delle mani le afferrarono un braccio. Urlò a squarciagola. 
"Sta zitta!" era la voce di Jekar "Ora vieni con me" Carol annuì e i due iniziarono a correre a perdifiato sino ad arrivare ad una baracca al limitare del villaggio "Questa è casa mia" emise un lungo fischio e dal retro arrivò al trotto Teseo.
Carol corse incontro al suo cavallo, com'era possibile che si fosse dimenticata di lui? -Chissà cosa gli sarebbe successo se non se ne fosse occupato lui...- "Ti ringrazio infinitamente"
Jekar scosse la testa ed entrò in casa. Dopo qualche minuto ne uscì fuori e porse una cartina a Carol "Qui ci sono tutti i villaggi che potrai incontrare lungo la via e anche i sentieri più semplici per arrivarci, non è molto estesa ma è il meglio che sono riuscito a fare nei lunghi anni che ho trascorso qui. Ora ti conviene andartene, prima che ti vengano a cercare"
Carol annuì. Legò la sua sacca alla sella di Teseo e lo tenne per le briglie "Andiamo" 
 
Camminarono quasi seguendo il perimetro della città fino a quando Jerkis non fu soddisfatto "Da qui la strada sarà semplice. Non so dove ti condurrà il tuo viaggio o se questa sia la strada più veloce per arrivare alla tua meta, ma di sicuro lo è per trovare un posto sicuro. C'è un villaggio ad una ventina di kilometri da qui, dovresti arrivarci in pochi giorni"
Carol si girò a guardarlo, stupita dal fatto che non aveva accennato minimamente ad andare con lei "E tu non vieni? Odi questo posto, vuoi scappare più di quanto non lo voglia io!"
"Non posso, sono incatenato qua... Almeno finchè ci sarai tu" fece una pausa e sospirò "Non so cosa mi attende" 
Carol era seriamente dispiaciuta di avergli causato così tanti mali e avrebbe voluto aiutarlo in qualche modo "Vieni con me, non hai nessuna responsabilità nei loro confronti!"
Jekar sorrise amaramente "A dire il vero ce l'ho, sono il loro custode. Ma non è per questo che non posso andare via" Portò le mani avanti e iniziò a camminare nella direzione che aveva indicato a Carol. Dopo qualche passo, con grande sorpresa, si bloccò, nonostante fosse evidente che stesse utilizzando tutte le sue energie per andare avanti.
"Sei bloccato qui dentro..."
Jekar annuì "Ma tu no, vattene. La tua lontananza potrebbe liberarmi" pronunciò le ultime parole senza crederci molto, ma gli si leggeva una feroce speranza negli occhi.
Senza dire altro, Carol montò a cavallo e si allontanò dal villaggio.
 
Jekar rimase a guardare la ragazza andare via ancora per qualche secondo -Almeno ho salvato lei- 
Alle sue spalle la città stava cadendo a pezzi, l'aria era piena delle urla dei morti che ritornavano al loro stato originario, c'era un gran caos.
Passarono dei minuti e iniziò a sentire che la pelle gli formicolava. Iniziava a bruciare. Chiuse gli occhi e attese, ricordando le parole che aveva sentito in sogno la fatidica notte in cui tutto quello aveva avuto inizio "Loro torneranno in vita e lei verrà qui. Proteggili, non farla scappare, o diventerai come loro"
Aprì gli occhi; del villaggio non rimaneva niente. Erano rimasti solamente la vecchia chiesa e le sue tombe. 
Sorrise e una lacrima rigò il suo viso, era tornato tutto come doveva essere. La lacrima corse lungo il suo viso lasciandovi una scia salata e, quando si esaurì, il suo cuore cessò di battere.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Il bosco ***


Cavalcò per ore, senza mai fermarsi, senza riposare. Voleva fuggire da quella che stava per diventare la sua trappola, ma desiderava ancor di più fuggire dal ricordo dell'unico amico che aveva avuto in quel villaggio... Voleva fuggire dal ricordo dei suoi occhi e del suo sacrificio.
 
Quando il sole cominciò a calare, cercò un buon riparo per la notte e accese un fuoco sul quale preparare qualcosa da mangiare e che avrebbe tenuto lontano gli animali selvatici.
Carol mangiò a sazietà, per fortuna non si era dimenticata di prendere un po' di cibo dalla cucina durante il suo ultimo turno, e si stese in un giaciglio improvvisato. 
Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva la speranza di salvezza negli occhi di Jekar mista alla consapevolezza della sua condanna. 
Soltanto dopo parecchie ore la stanchezza vinse sul rimorso e la trascinò nel dolce mondo dei sogni.
 
-. . . Un movimento improvviso. 
Il mondo intorno a lei cominciò a vacillare. 
Un suono fuori posto. 
I volti dei suoi nuovi amici cominciarono a sbiadire e sul villaggiò calò l'oscurità.
Rumore di zoccoli sbattuti con forza sul terreno.
La voce di Jekar "Svegliati, ragazza. Svegliati".- 
 
Carol spalancò gli occhi, nonostante fossero gonfi e pesanti a causa del pianto. Teseo, legato ad un albero, era nel panico; nitriva, terrorizzato, e sbatteva con insistenza gli zoccoli sul terreno strattonando il muso per tentare di liberarsi dalle redini che lo legavano. Carol gli si avvicinò e tentò di tranquillizzarlo, riuscendo semplicemente a placarlo leggermente... E sentì anche lei quello che gli aveva fatto paura. Nel bosco qualcosa si muoveva ed era molto vicino a loro.
In men che non si dica, legò le sacche alla sella ed estrasse un tizzone ardente dal fuoco che aveva preparato per la notte, non doveva aver dormito molto, dopodiché prese Teseo per le redini e cominciò a camminare più in fretta possibile. 
Quando anche la luce del fuoco si estinse, non sapeva più che fare, così si sedette a terra vicino al suo cavallo e attese l'alba.
 
Con lo spuntar del sole, potevano finalmente ricominciare il loro cammino. Carol prese la cartina e la studiò a lungo, tentando di  capire dove fosse capitata e quale fosse il sentiero più vicino. Per fortuna la mappa era molto dettagliata e riuscì a raggiungere il sentiero da seguire prima di mezzogiorno. 
Cavalcarono tutto il giorno, fermandosi solamente per mangiare, sperando di raggiungere il villaggio per la notte, ma essa li colse prima che vi arrivassero. 
Per la seconda notte dovettero dormire nel bosco, ma questa volta Carol si sentiva più sicura vista la prossimità del sentiero. Come la sera prima si creò un giaciglio e vi si distese, sperando di poter dormire qualche ora.
 
Un dolce profumo le solleticava le narici, le sembrava di essere tornata a casa sua e di star preparando la tisana per tutta la famiglia. Tanti bei ricordi le invasero la mente e si sentì felice, ma la felicità durò poco perché quell'odore era vero, non un inganno portato dal sonno.
Aprì gli occhi e vide che il fuoco era stato acceso di nuovo, sopra vi era un pentolino e un maestoso cavallo nero era legato di fianco a Teseo. 
"Buongiorno anche a te" la voce proveniva da dietro di lei e la fece sobbalzare dallo spavento. Si girò lentamente e vide una ragazzina, non molto più grande di lei, con la faccia sporca, i capelli arruffati e qualche legnetto tra le braccia. 
"Buongiorno, mi chiamo..."
"Carol. Lo so. Il mio nome è Aileen, piacere di conoscerti" Le sorrise e Carol non potè far altro che ricambiare. 
"Come sai il mio nome?"
La ragazza sorrise di nuovo e le porse una tazza ricolma di tisana "Niente domande prima di aver fatto colazione! Ho passato due giorni davvero stancanti per starti dietro" sbuffò e prese una mela da una tasca del suo abito.
"Eri tu? Mi hai fatta spaventare da morire!" sorseggiò la tisana aspettandosi delle scuse che non arrivarono "E poi, perché mi stavi seguendo?"
Aileen scosse la testa "Avrai tutto il tempo di farmi delle domande durante il tragitto.
La testa di Carol era piena di domande che avrebbe voluto porle, ma decise di aspettare. Di una cosa era certa, non sembrava per niente pericolosa. Piuttosto sembrava bella e molto diversa dal resto delle ragazze che aveva visto in vita sua: il suo viso era magro al punto giusto, con dei magnifici occhi blu tendenti al viola, le labbra sottili e il naso piccolino. I capelli erano raccolti in una morbida coda alta, dalla quale alcuni si liberavano per coprire la fronte e che le incorniciavano perfettamente il viso... Ma, più della perfezione del suo viso, Carol fu colpita dal suo abbigliamento: portava una camicia verde scura e ben sagomata, tenuta in vita da una larga cintura di cuoio dalla quale scendevano varie piccole sacche in pelle, le gambe erano fasciate da dei pantaloni di pelle nera che sparivano in un paio di stivali maschili e, sopra la camicia, portava uno smanicato di lana grezza. 
"Non sei di queste parti, vero?"
"Non esattamente... Ho provato a vestirmi come fate voi ma lo trovo così scomodo! Come fai a cavalcare con quella lunga gonna?" roteò gli occhi e fece finta di indossare una gonna e inciampare ovunque. Era così buffa che Carol non riuscì a trattenersi e rise di cuore.
"Credo che andremo d'accordo noi due!"
Aileen spalancò gli occhi e montò a cavallo "Lo spero bene, se no il viaggio sarebbe molto stressante!"

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Il ritorno del mercato ***


Erano passati già un paio di mesi da quando Carol era andata via, ma i suoi genitori ancora non erano riusciti ad accettarlo. Da quel momento la vita di Connor era diventata molto più difficile di quanto non lo fosse mai stata: in casa svolgeva i compiti che normalmente toccavano a Carol oltre ai suoi e passava più tempo possibile con il piccolo Richard che chiedeva incessantemente quando sarebbe tornata sua sorella. Inoltre in casa era calato un velo di tristezza e malinconia che ricopriva ogni cosa, perché nessuno riusciva a spiegarsi l'accaduto.
 
Negli ultimi giorni Connor aveva lavorato fino allo sfinimento insieme a suo padre. In pochi giorni sarebbe stato imbandito il mercato annuale in città e il sig. Robins era riuscito ad aggiudicarsi un punto centrale dove poter vendere la sua merce, perciò le aspettative per quell'anno erano molto più alte degli anni precedenti e, di conseguenza, la fatica impiegata nei preparativi. Ma, per la prima volta, quell'evento non portò altro che sconforto in casa.
 
Il gran giorno era arrivato. 
Il sole non era ancora sorto e già tutta la famiglia era nella piazza del villaggio a sistemare nel modo migliore la merce. Ancora non c'era quasi nessuno, ma nell'aria si poteva già sentire l'odore del pane fresco preparato in abbondanza accompagnato da una punta dolce, segno che le prime torte e i primi biscotti erano già stati sfornati.
Nonostante tutto, Connor era elettrizzato all'idea di far parte del mercato. Era la prima volta che vi accompagnava il padre e si sentiva importante, come se quello potesse renderlo grande agli occhi dell'intero villaggio.
"Connor, che ne dici di andare a comprare un pezzo di pane per tutti noi? Ma non esagerare come al solito, durante la giornata avremo modo di comprare qualcos'altro!" Bran sorrise e porse delle monete al figlio. La sua eccitazione per quell'evento lo feriva profondamente perché gli ricordava quanto Carol amasse il mercato e con quanta eccitazione aspettava l'arrivo dei carri dei mercanti ogni anno, ma al tempo stesso lo rendeva infinitamente felice perché non aveva più visto Connor tanto coinvolto da qualcosa da quando Carol era andata via.
"Certo papà, sarò di ritorno in un lampo!"
 
Era di ritorno dal forno e mangiava un pezzo di pane mentre pensava al mercato, a come avrebbe parlato con i clienti e a come proporre ogni articolo nel modo migliore, quando una brezza gli fece venire la pelle d'oca e lo indusse a guardare dentro un vicolo. La c'erano due persone, molto singolari nell'aspetto, coperte quasi interamente da un abito nero informe; la sola vista lo fece rabbrividire, era come se da loro si propagasse nell'aria un'aura di malvagità. Parlavano sicuramente tra di loro perché uno dei due gesticolava ampiamente, come fanno alcuni, ma Connor non riuscì a capire di cosa. Eppure, dentro di lui, qualcosa gli diceva che era importante scoprirlo.
Mosse un primo passo per avvicinarsi al vicolo e tentare di avere qualche informazione in più.
"Connor!" era così impegnato ad osservare i due uomini da non accorgersi che qualcuno gli si era avvicinato.
"Morna! Che ci fai qui tutta sola?" Prese la piccoletta in braccio e le diede un bacio su una guancia.
"Sto andando al mercato con la mia sorellona!" 
In quel momento girò l'angolo Dairiel, con le guance rosse e il fiatone "Morna! Non farlo mai più! Monella!" 
La piccola si mise a ridere "Era solo uno scherzetto" 
"Buongiorno Dairiel, anche per me è un piacere vederti, sai?"
"Oh, scusa Connor. Mi ha fatto correre per tutto il villaggio... E' Proprio instancabile! Comunque, che ci fai tu qui? Sei venuto per aiutare tuo padre al mercato?"
Connor fece scendere dalle sue braccia Morna e arrossì leggermente "Si, quest'anno ci sono anche io" 
"Stai diventando grande a vista d'occhio, sono sicura che i tuoi saranno fieri di te! Ci vediamo più tardi, voglio proprio vederti all'opera!" Dairiel si incamminò con Morna. Erano davvero comiche insieme: Dairiel aveva il passo stanco e i capelli in disordine per la corsa, così come il vestito, mentre la piccola Morna era un fiume di energia, camminava saltellando e correva di qua e di là per vedere ogni cosa.
Connor era così contento di aver incontrato Dairiel che si era quasi dimenticato dei due uomini nel vicolo e, quando si sporse per controllare, vide che non c'erano più.
 
Verso le nove del mattino il mercato iniziò a riempirsi di compatori e venditori, c'erano teli con sù la merce ovunque e, dove non c'erano teli, c'erano delle maestose tende colorate. 
La gente passava e osservava tutto quanto, alcuni si fermavano a chiedere il prezzo di questo o quello, alcuni passavano più volte senza mai fermarsi. 
Ad ora di pranzo Connor e Bran avevano già venduto molta merce, più di quella che si sarebbero mai aspettati. 
 
"Connor, sei qui fermo da tutto il giorno. Perché non vai a farti un giro?" vedendo l'aria contrariata sul viso del figlio, aggiunse "Abbiamo tutti bisogno di una pausa, per dare il meglio di noi. Quando tornerai, andrò io"
Connor annuì "Non starò via molto"
Il mercato era molto più pieno di mercanti di quanto non sembrasse dalla sua posizione, ce n'erano così tanti che si estendevano anche oltre la piazza e dappertutto c'era gente che guardava e comprava. 
C'era merce di ogni genere possibile e immaginabile, anche cose che Connor non aveva mai visto in vita sua e delle quali si chiedeva persino a cosa servissero o cosa fossero! Sembrava esserci un pezzo di ogni parte del mondo, certa merce doveva di sicuro provenire da paesi molto lontani e aver affrontato viaggi fantastici... Eppure c'era qualcosa che lo interessava ancora di più di quelle merci. 
Sembrava che non fosse stato lui il primo a vedere quei due strani uomini vestiti di nero. Alcuni raccontavano di aver sentito quell'aura di malvagità in città a seguito dei due uomini, altri raccontavano di averne visti anche più di due per volta in altri villaggi. Ma, ovunque fossero stati visti, non avevano portato altro che guai.
Connor fu rapito specialmente dalla storia di un mercante, sembrava saperne molto a riguardo, e decise di aspettare che la gente se ne andasse per tornare a fargli qualche domanda.
Tornò da suo padre e gli diede il cambio "Scusa, ci ho messo più del previsto, ma c'è tanta merce fantastica! Scommetto che anche tu rimarrai affascinato da tutto questo e perderai tanto tempo, anche se l'hai visto già altre volte!"
 
Era quasi ora di cena e Connor pensò che fosse il momento ideale per andare a cercare il mercante. Era tutto molto più suggestivo e attraente con le lampade accese ad illuminare la merce, ma non si fermò nemmeno una volta.
Arrivò davanti alla tenda dove lo aveva visto quel pomeriggio e solo in quel momento iniziò a chiedersi cosa avrebbe pensato di lui il mercante e a come porre le domande nel modo giusto.
Entrò, ma non vide nessuno. Solo una montagna di gioielli in un ambiente troppo piccolo per poterli davvero contenere tutti "Salve, c'è qualcuno qui dentro?"
Un lembo della tenda si sollevò mostrando quell'uomo "Salve, mi dica"
"Spero di non averla interrotta durante la sua cena" 
"Oh no, non si preoccupi. Cercava qualcosa in particolare?" Mentre parlava, prese una pipa e del tabacco da uno scaffale e iniziò a fumare, riempiendo la tenda di un gradevolissimo odore.
"Ehm..." Connor era visibilmente in imbarazzo "Il mio nome è Connor Robins, sono qui anche io in veste di mercante. Oggi pomeriggio sono passato qui vicino e vi ho sentito parlare degli uomini vestiti di nero... Sembravate saperne molto e allora..."  si fermò, esitante.
"Suvvia, non siate in imbarazzo. Volevate saperne di più? Posso raccontarvi quello che so, essere curiosi non è ancora diventato un male!" si sedette su una pila di cuscini, continuando a tirare lunghe boccate dalla sua pipa "In ogni caso, non ne so molto più di chiunque altro. Cosa ti interessava sapere?"
"Ecco... Penso di averli visti anche io oggi, mi sono sembrati molto strani e malvagi... Non so se tutto ciò abbia senso, ma li ho visti di sfuggita eppure sono convinto che siano degli esseri spregevoli"
"Hai perfettamente ragione, ragazzo mio. Non è la prima volta che li incontro sulla mia via e spesso dove sono comparsi sono successi fatti sgradevoli. Ma qui sembrano essere solamente in due, il che potrebbe essere un bene visto che ho sempre sentito parlare di gruppi più numerosi. In ogni caso.." si fermò un istante per tirare una boccata dalla pipa. Il cuore di Connor batteva a mille per la tensione "Sembra che stiano cercando qualcuno"
"Perché dici questo?"
"Sembra che in tutte le città dove sono passati sia scomparso qualcuno; o prima del loro arrivo, o insieme a loro. Anche qui è scomparsa una ragazza, se non sbaglio"
"Si,mia sorella. Ma tu come fai a saperlo?"
"Le voci girano, ragazzo mio, spesso la gente si ferma a parlare con me del più e del meno, sarà l'ambiente ad ispirarli" si guardò intorno, quasi invitando il ragazzo a fare lo stesso. L'ambiente era stracolmo di gioielli e ampolle, più di quante non ne potesse davvero contenere, ma aveva un non so che di familiare e rassicurante "Comunque, se è tua sorella la ragazza scomparsa, ti consiglio di stare molto attento, potrebbero venire a cercare te e la tua famiglia per arrivare a lei"
"Ma noi non sappiamo nulla di Carol... E' semplicemente andata via senza una spiegazione"
"Loro non possono saperlo questo, non credi?" spense la pipa e si alzò dai suoi cuscini "E' stato un picere parlare con te, ragazzo, spero di rivedersi presto" e, detto questo, alzò un lembo della tenda e uscì, lasciando Connor impaurito per sua madre e il piccolo Richard e a chiedersi in cosa si fosse realmente cacciata sua sorella.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Una notte al caldo ***


"Prima o poi mi dirai dov'è che stiamo andando?" Carol e Aileen erano in viaggio da un paio di giorni e la curiosità di Carol era quasi incontenibile, non riusciva a spiegarsi perché la sua compagna di viaggio si ostinasse a non volerle svelare la loro destinazione. Eppure si fidava di lei, passavano ore e ore a conversare e, quando si fermavano, le insegnava a leggere. Non sapeva quasi nulla su Aileen, eccetto che era lì per proteggerla e svolgere una sorta di missione.
Aileen sbuffò facendo sollevare una piccola ciocca di capelli che era sfuggita dalla coda "E tu prima o poi smetterai di chiedermelo?"
"E' normale che io lo voglia sapere, non credi? Dopotutto mi sto affidando a te, una semi sconosciuta, e il minimo per farlo dovrebbe essere sapere dove sto andando!"
Aileen rallentò il suo cavallo per accostarsi a Carol "Sai che non te ne posso parlare. Vorrei, ma non posso. Perciò ti chiedo di fidarti di me e non fare sciocchezze"
"Almeno  posso sapere quanto dovremo cavalcare ancora? Questa sella inizia a diventare terribilmente scomoda!" si alzò sulle staffe e fece finta di stiracchiarsi. Aileen allungò una mano e diede un colpo sul posteriore di Teseo, che partì al galoppo accompagnato dalle urla di Carol. 
"Ci metteremmo molto di meno se tu non fossi così pigra e camminassi più velocemente!"

Al tramonto iniziarono a cercare un posto dove passare la notte, dopodiché Aileen portò Carol con se a cercare qualcosa da mangiare.
"Spero che tu ti ricordi qualcosa della lezione sulle bacche di ieri, perché oggi sarai tu a raccoglierle mentre io cerco qualcosa di più sostanzioso!"
Un ora dopo Carol tornò all'accampamento con la svolta del vestito piena di mirtilli e lamponi. Aileen era già lì, aveva acceso un fuoco sul quale stava facendo cuocere un coniglio e delle verdure.
"Finalmente sei tornata! Pensavo di aver messo a cuocere la cena troppo presto. Su, fammi vedere che hai trovato" Carol le si avvicinò e le mostrò il suo bottino "Mmh, fragole di bosco, le mie preferite! In questo periodo dell'anno sono particolarmente buone, ottimo lavoro!" Carol sospirò, aveva sbagliato nel riconoscere quel frutto, ma almeno non aveva raccolto nulla di velenoso "Dai, siediti e inizia a mangiare. E' pronto!"
Carol si sedette e iniziò a mangiare il suo coniglio "Sicura di non volere un po' di carne? Non è un problema per me lasciartene"
"No, Carol, tranquilla. Non mangio carne" 
Carol la guardò sbigottita "E come riesci ad essere sempre piena di energie?"
Aileen fece spallucce "Credo di non averne bisogno... e comunque non mi piace l'odore"

Il mattino dopo Carol si svegliò, come sempre, con l'odore della tisana preparata da Aileen. 
Mangiarono frutti di bosco, bevettero la tisana e si rimisero a cavallo "Stasera non dovremo accamparci nel bosco"
La notizia inaspettata fece sì che Carol non si accorse di un ramo con il quale si graffiò una guancia "Ahia!!" disse, passandosi una mano sul graffio "Davvero? Siamo finalmente arrivati?"
"Non ancora, ma possiamo fermarci per qualche tempo in città. Lì, forse, potro dirti di più riguardo al nostro viaggio"

Era pomeriggio inoltrato quando Carol avvistò le prime case. Ne era così contenta che non ci pensò su due volte prima di partire al galoppo.
"Ferma, Carol! Qui è meglio muoversi con calma" Aileen la raggiunse e prese in mano le redini di Teseo "Guarda là, ai margini della citta"
Carol ci mise un po', ma riuscì a vedere quello che Aileen le indicava "Non ho mai visto nulla del genere..." Ovunque, ai margini della città, c'erano gruppi di due o tre uomini 
armati e ben mimetizzati tra le felci "Dobbiamo davvero fermarci qui?"
"Si, Carol. Sta tranquilla, sono solamente spanventati... Inoltre, tutta questa protezione non va che a nostro vantaggio" strinse le gambe intorno al ventre del suo cavallo e quello partì lentamente al trotto, seguito da Teseo. 
Circumnavigarono la città fino ad arrivare a quella che doveva essere l'entrata principale; difronte a loro si trovavano delle barricate fatte in legno e sorvegliate da molti uomini armati, molti di loro sembravano troppo piccoli per essere lì. Aileen rallentò ancora fino ad andare al passo "Segui me e non fiatare, intesi?" 
"Altolà!" A parlare era stato uno degli uomini armati, un ragazzino dell'età di Carol con la paura negli occhi ma la voce ferma e sicura, così come il fucile che imbracciava "Chi siete voi?" l'aria era densa di tensione.
Aileen posò le redini e parlò con calma e lentezza "Siamo soltanto due viaggiatrici in visita da un vecchio parente" 
Il ragazzo non sembrava essersi rassicurato; chiamò altri due uomini e fece scendere le ragazze da cavallo "Se non vi dispiace, manderemo a chiamare questo vostro parente. Voi intanto potete sostare qui" le accompagnò fino ad un fuocherello e le fece sedere su un tronco lì vicino "Dovete dirci il vostro e il suo nome"
"Siete molto gentili. Il mio nome è Shaila, mentre la mia amica si chiama Karola" sentendo quei due nomi, Carol quasi si strozzò con la sua stessa saliva. "Il signor Drevon, proprietario della biblioteca cittadina, ci aspetta"

Dopo circa mezz'ora uno degli uomini armati si avvicinò alle due ragazze e disse qualcosa agli uomini che erano rimasti a far loro da guardia. "Scusateci per l'inconveniente, ma di questi tempi la prudenza non è mai troppa"
Aileen si alzò, si sistemò i vestiti e sorrise, come se non fosse accaduto niente di particolare "Non preoccupatevi, sappiamo cosa è successo e ci sentiamo più sicure a visitare la vostra città dopo aver sperimentato sulla nostra pelle lo splendido lavoro che fate per proteggerci. Karla, ringrazia anche tu e andiamo dal caro signor Drevon" 
Carol si alzò e accennò a quegli uomini dei ringraziamenti molto impacciati e adornati di sorrisi palesemente falsi prima di correre dietro ad Aileen.
Quando arrivarono di nuovo davanti al cancello, un'uomo di mezz'età, dai capelli bianchi e l'andatura leggermente zoppicante, andò loro incontro con un grosso sorriso stampato sul volto "Shaila!! Oh, bambina mia, da quanto tempo che non ti vedevo!! Ma guardati, come sei cresciuta... Sei davvero una bellissima ragazza, gli uomini impazziranno per te!" 
Aileen sorrise all'uomo e lo abbracciò affettuosamente, poi si voltò verso Carol "Zio Ruel, questa è la mia amica Karola, ti ho parlato tanto di lei, ricordi?"
"Oh, ma certo! Karola, è un vero piacere conoscerti." Le strinse la mano così forte da farle temere di essersi rotta qualcosa "Ma ora venite con me, ragazze. Dovete essere stanche! Ditemi, com'è stato il viaggio?"
Aileen e il signor Drevon continuarono a parlare del più e del meno, in questo modo Carol ebbe modo di studiare attentamente la città che le era sembrata così strana vista dall'esterno. Ma, all'interno, sembrava normale; c'erano piccole botteghe sparse ovunque, la gente passeggiava serena e ogni tanto si intravedeva una piccola chiesa.
Si fermarono di fronte ad un'imponente casa, la cui facciata esterna era piena di iscrizioni e rappresentazioni mitologiche "Eccoci arrivati alla mia umile dimora" 
"Oh, zio Ruel, la smetterai mai di fare il finto modesto? Sai benissimo che questa casa è spettacolare!" disse Aileen con un tono esageratamente civettuolo.
Con un sorriso compiaciuto sulle labbra, il signor Draven le accompagnò nella stalla per sistemare i cavalli. "Entriamo da qui" disse, e aprì una piccola porta che di sicuro Carol non avrebbe mai notato.
Una volta entrati in casa l'ambiente cambiò drasticamente. "Ruel, dammi tutte le novità. Chi sono venuti a prendere in questo villaggio?"
Il signor Drevon si sedette su una poltrona e si prese la testa tra le mani "Mi avevano mandato qui per proteggerlo, Aileen, ma sono arrivato troppo  tardi. Purtroppo non sempre riusciamo ad avere le informazioni sui prescelti in tempo per salvarli dai Kravmak. L'hanno preso loro prima che potessi fare qualcosa per lui... Ma vedo che almeno tu non hai fallito" e, dicendo questo, volse lo sguardo verso Carol.
Aileen scosse la testa "No, io ho avuto solo molta fortuna. Questa ragazza ha capito da sola di doversene andare da casa sua, se no non so se sarei arrivata in tempo nemmeno io"
Il signor Draven rise in maniera cupa "Beh devi essere una ragazza coraggiosa" disse, guardando Carol.
"A dire il vero no, signore. Ho avuto bisogno di molto tempo prima di trovare il coraggio di lasciare casa mia e ce l'ho fatta solo grazie all'appoggio di Amanith, lei sapeva cosa era giusto fare..." sorrise amareggiata "E sono qui solamente grazie ad un'uomo dal cuore puro che mi ha salvato da una città stregata nella quale ho passato mesi senza mai avere il minimo dubbio sulla sincerità della gente che mi circondava."
"Ragazzina, quello che stai affrontando non è facile per nessuno. Men che meno per chi non sa cosa sta succedendo! E' normale che tu abbia avuto delle remore ad abbandonare la tua vita per buttarti a capofitto nell'ignoto, ed è normale che tu non abbia pensato ad una trappola quando ti sei imbattuta in quella città! Dopotutto, perché qualcuno avrebbe voluto tendertela? Non angosciarti per tutto questo, presto capirai. Ma ora raccontami di questa Amanith, che genere di creatura è?"
"E' una quercia, signore"
Il signor Drevon si perse per un attimo con lo sguardo nel vuoto, poi annuì e iniziò ad incamminarsi verso una rampa di scale, facendo cenno alle ragazze di seguirlo"Prego, chiamami pure Ruel. Sei in famiglia qui. E ora credo che sia ora per tutti di andare a riposare, ci aspetta una lunghissima giornata domani"


Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Dell'acqua calda e dei vestiti puliti ***


La stanza di Carol era enorme e piena di oggetti di lusso; il letto era a due piazze e il materasso morbidissimo, così come il guanciale. Accanto ad esso c'era un comodino di legno molto grazioso e abbastanza spazioso da farci entrare gran parte delle sue cose. Accanto alla porta c'erano un'armadio enorme con una strana rappresentazione sbiadita sopra e uno specchio a grandezza naturale. Sulla parete opposta c'era una grande finestra che dava su una piccola terrazza stracolma di fiori colorati e nella parete di fronte al letto c'era una porta che dava l'accesso ad un piccolo bagno privato con tanto di doccia e vasca da bagno.
Carol si era svegliata molto presto, abituata ai ritmi che le aveva imposto Aileen, e, non sentendo alcun rumore provenire da fuori, decise di farsi un bel bagno rilassante prima di scendere ad incontrare gli altri nella sala da pranzo.
Mentre l'acqua scorreva nella vasca si prese qualche minuto per osservarsi allo specchio: era dimagrita, i vestiti le andavano un po' larghi sui fianchi e sul seno,  il suo viso era molto scavato, gli zigomi erano un po' troppo sporgenti rispetto quello a cui era abituata, e i capelli erano quasi irrecuperabilmente pieni di fango e sporcizia, così come i vestiti. 
Le mancavano i tempi in cui era a casa, la gioia nel preparare la colazione per la famiglia, ridere e scherzare, essere completamente felici e spensierati... Ora la tristezza le si leggeva negli occhi e la stanchezza sul viso. Sperava che tutto quello che stava affrontando avesse realmente un senso e che finisse presto per poter tornare a casa. 
Con un sospirò distolse lo sguardo dallo specchio e prese degli asciugamani "Magari un bel bagno caldo mi farà bene, è da tanto che non ne faccio uno!"

Carol si deliziò dell'acqua calda, dei sali da bagno e dei vari saponi per quasi un'ora. Quando uscì dalla vasca sembrava rinata, aveva finalmente il volto pulito e pieno di vigore. Si spazzolò per bene i capelli e, ancora avvolta nell'asciugamano andò a prendere il suo ciondolo dal comodino, sentiva come il bisogno di tenerlo al collo. Quella mattina decise di non indossare il vecchio e lercio vestito di sempre, ma quello color verde smeraldo che le aveva regalato Jekar. Si guardò di nuovo allo specchio: non c'erano paragoni da poter fare con la ragazza di prima. Questa Carol sembrava una principessa, una principessa con un velo di tristezza e l'aria di chi ne ha passate molte e sa che ne dovrà ancora passare molte.

"Carol, ti trovo in splendida forma oggi" Ruel era seduto ad un capo del lungo tavolo e Aileen gli era accanto.
"Buongiorno Carol, si vede che siamo ragazze" Aileen le fece l'occhiolino, facendo una faccia davvero buffa. 
"Buongiorno" Carol sorrise e si mise a sedere a tavola. C'erano due torte giganti ricoperte di glassa e fiorellini e dei biscotti dall'aspetto appetitoso oltre ad una teiera stracolma di tè bollente "Ho già l'acquolina in boccca!"
Tra un boccone di torta e l'altro, Aileen guardava di soppiatto Carol. "Che succede, Aileen?"
"Nulla" disse, con la bocca piena "Sei solo un po' strana oggi" 
Carol scoppiò a ridere "Tu invece sei buffa come al solito!"
Continuarono a scherzare, spensierate, ancora per un po'. Ruel invece stava in disparte ad ascoltare la conversazione con lo sguardo perso nel vuoto. 
Carol si riempì a più non posso "Era tutto buonissimo, Ruel"
"Ne sono lusingato, Carol. E sono contento che tu abbia mangiato molto perché da oggi dovrai iniziare a darti da fare" 
Carol lo guardò con un'aria interrogativa "A darmi da fare per che cosa di preciso?"
"Ora ti spiegheremo tutto. Seguitemi nel soggiorno, lì avremo dei posti più comodi per sederci"
Il soggiorno era un'ampia stanza rotonda con le pareti completamente ricoperte da librerie e con sei poltrone disposte in circolo. Ruel si sedette sulla più logora, e fece cenno alle ragazze di sedersi accanto a  lui.
"Aileen, cosa le hai spiegato della missione?"
"Niente, Ruel. Non sapevo ancora cosa poterle dire e per cosa, invece, avrei dovuto aspettare"
"Benissimo. Carol, tu hai una vaga idea del perché ti trovi qui?"
Carol ci riflettè un po', passandosi tra le mani il ciondolo "Credo che sia iniziato tutto quando ho visto questo per la prima volta... Ma non ho idea del perché io sia qui"
"E' quasi esatto. Il tutto è iniziato con la tua nascita, sin da allora eri destinata a trovare il ciondolo ed esso ha scatenato in te delle doti extraordinarie che ti hanno condotta qui. Ora vorrei che tu mi dicessi in cosa consistono esattamente queste doti e come si sono manifestate"
"Io... Credo di poter parlare con le piante" arrossì e abbassò lo sguardo "So che può sembrare incredibile e infantile, ma un giorno come un'altro sono andata a prendermi cura della mia quercia e lei mi ha parlato. Da quel momento mi ha aiutata a sviluppare questo 'potere' e ad estenderlo anche ad altre piante, ma mai ho sentito una pianta vicino come ho sentito lei"
"Normale, perché lei è la tua guida"
"La mia guida?"
"Si, è stata la tua prima insegnante. La prima con cui hai stretto un legame e finché non ne stringerai uno più forte le vostre vite saranno legate. Quando morirà una delle due, la stessa sorte toccherà all'altra" l'espressione sul volto di Carol era di pura confusione "Riesci solo a comunicare con le piante? Hai mai provato a manipolarle?"
"A dire il vero no, ma non credo di esserne in grado. Soltanto stabilire un contatto prosciuga quasi tutte le mie energie"
"Hai solo bisogno di allenamento. Ed è quello che farai con Aileen... Hai qualcosa di Amanith? Potrebbe risultare molto utile"
"Si, dovrei avere una vecchia foglia da qualche parte... Ma ormai sarà marcia!"
Aileen sorrise sotto i baffi "Tu vai a cercarla, non si sa mai che ci sia qualcosa di recuperabile!"
Carol salì in stanza ed estrasse da una tasca del marsupio la vecchia foglia; sarebbe dovuta essere marcia e invece era verde e piena di vita come il giorno in cui le era scivolata tra le mani.
Tornò in soggiorno e la mostrò a Ruel "Com'è possibile che è ancora così?"
"Perché è un dono che ti ha fatto. Ricordi quello che ho detto poco fa sul vostro legame? Ora andate in giardino, ci vediamo ad ora di pranzo"

"Che voleva dire poco fa?"
"Voleva dire che il legame che hai con quell'albero... Come hai detto che si chiama?"
"Amanith"
"Ecco, che il legame che hai con Amanith può essere espresso anche tramite quella foglia. Lei sarà verde e sana finché anche voi lo sarete. Ora è un po' più chiaro?"
"Diciamo di si... Anche se tutto mi suona ancora molto strano. Ma non mi avete detto perché sono qui"
Aileen sorrise e si sforzò di diventare misteriosa "Perché era il tuo destiiiiino" disse agitando le mani in modo buffo di fronte al viso "Ora però dobbiamo concentrarci. Fammi vedere come fai a comunicare con le piante"
Carol si avvicinò ad un pino e annuì. Si inginocchiò e sprofondò i palmi nel terreno. Sbarazzò la mente, la lasciò libera, nessun pensiero la sfiorava, dentro il suo corpo c'era solo un crescendo di emozioni diverse portate dall'esterno. Rimase in quella posizione per quelle che lei avrebbe giurato essere ore e poi sentì una presenza accanto a lei, ci si avvicinò e vi si aggrappò con le unghia e coi denti, ma non riuscì a stabilire un contatto.

Qualcuno le aveva appena appoggiato qualcosa di fresco sulla fronte. "Che succede?"
Ailleen era inginocchiata accanto a lei e le stava tamponando la fronte con una pezza bagnata "Sei svenuta, Carol. Ma non ti devi preoccupare, è normale all'inizio"
"Sono svenuta?" solo in quel momento Carol si rese conto di essere distesa accanto al pino "Accipicchia, questo non mi era ancora successo!"
Aileen sorrise "Vedo che ti senti già meglio! Perché non provi a sederti?"
Carol barcollava un po', ma ci riuscì "Voglio riprovarci!"
Aileen scosse la testa "Non ora, è meglio iniziare con qualcosa di più semplice. Appena te la senti, avvicinati a quelle margherite e prova a stabilire un contatto con loro"
Carol annuì e vi si avvicinò. Assunse la stessa posizione di prima, il suo viso era la rappresentazione della serenità. Sembrava che nulla al mondo potesse scalfirla in quel momento. Dopo qualche minuto riaprì gli occhi e si sforzò di sorridere guardando Aileen "Sembra... Sembra che le faccia simpatia" aveva il fiatone ed era molto pallida. Aileen le mise un braccio intorno alla vita e la accompagnò dentro casa "Per adesso credo che possa bastare, sei stata bravissima, Carol"

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Gestione del potere ***


L'indomani mattina Carol si svegliò particolarmente tardi. La testa le pulsava e sentiva tutto il corpo indolenzito. Tentò di alzarsi ed ebbe un fortissimo conato di vomito. 
Tutto quello le ricordò di una volta in cui aveva rubato del vino dalla tavola dei suoi genitori ed era andata a berlo di nascosto nella stanza con Connor; a quel pensiero un sorriso le illuminò il volto.
"Vedo che almeno sei allegra!" Carol saltò in aria per lo spavento e sentì lo stomaco capovolgersi dentro di lei.
"Aileen, che ci fai qua?" 
La ragazza soffocò una risata con una mano "Sembra quasi che tu abbia preso una sbronza ieri... Ruel me l'aveva detto di costringerti a mangiare qualcosa, ma sembravi davvero troppo stanca per qualunque cosa!" posò un oggetto sul comodino "E' quasi ora di pranzo, Ruel mi aveva mandata su a svegliarti qualche minuto fa"
Carol girò appena la testa per vedere cosa aveva appoggiato Aileen. Aveva la vista leggermente offuscata e un martellio iniziava a farsi sentire nella sua testa. Si stropicciò gli occhi "E quello cos'è?" sembrava un pettinino argentato, con all'estremità un particolare intreccio di nodi al cui centro c'era una pietra di qualche tipo gialla e vagamente verde. Carol non avrebbe saputo dire bene per quale motivo, ma le sembrava qualcosa di elegante... Quasi regale. Un regalo che non si fa tutti i giorni. "Non è già il mio compleanno e ho perso ogni ricordo degli ultimi mesi, vero?"
"Ah, no, Carol! Ruel ha creato questo per te ieri sera. Sarà un ottimo modo per tenere la foglia di Amanith sempre vicino a te!" si alzò dalla sedia e si andò a sedere sul letto, facendolo sobbalzare "Ce la fai ad alzarti?"
Carol tentò di scuotere la testa, ma si rese conto che così peggiorava solo la situazione. Aileen uscì dalla stanza senza dire una parola.

Uno spiraglio di luce entrava dalla finestra e andava troppo vicino al volto di Carol, che tentò di sottrarsi a quella tortura senza fare movimenti bruschi. Così Aileen la ritrovò con le gambe scoperte e la coperta arrotolata a coprire tutta la nuca.
"Oddio, Carol!! Non ti si può lasciare sola nemmeno cinque minuti!" più la guardava, più le veniva da ridere "Sei davvero unica! Ora mettiti a sedere e bevi quest'infuso, ti farà bene" le tolse di forza la coperta da sotto la nuca e la trovò con gli occhi chiusi, troppo strizzati per essere gli occhi di qualcuno che dormiva, e la bocca ogni tanto aveva uno spasmo simile ad un sorriso. "Guarda che mi riprendo il pettinino se non apri subito gli occhi... Ebbrava, vedo che l'avevi previsto!" il viso di Carol si contrasse nel tentativo di trattenere un sorriso "... Ma avevi forse previsto anche questo?" con un gesto brusco le tolse le coperte di dosso "E ora potrei andare a scostare la tenda... Oppure potresti alzarti e assecondarmi"
Carol aprì solo un occhio per vedere dove fosse l'amica. Effettivamente aveva già una mano sulla tenda e un sorriso di pura cattiveria le si andava dipingendo in faccia "Guarda che lo faccio..." scostò leggermente la tenda.
"E va bene, va bene!" Carol alzò una mano in segno di resa "Certo che sei stressante, tu! Nemmeno i miei fratelli sapevano essere così odiosi"
Aileen le fece una smorfia e la aiutò a sedersi "Oh, daaaaaaai, non tenermi il broncio!" il tono era volutamente civettuolo e strappò a Carol un sorriso accompagnato da uno sguardo di finto odio "Ora bevi quest'infuso che ti ha preparato Ruel. Con tutti i capricci che hai fatto si sarà pure freddato"
Carol avvicinò la bocca alla tazza e un odore nauseabondo le fece torcere il naso "Ma che ci ha messo dentro? Questa cosa puzza!"
"Non fare i capricci e bevi, o non avrai la forza di alzarti per tutta la giornata"
Carol grugnì e mandò giù un sorso di quella roba, tentando di non respirare. Dopo il primo sorso, la bevve tutta in un batter d'occhio. "Era davvero buona! Bastava tapparsi il naso... Non è che Ruel ne ha un'altro po'?"
"Non credo, ma vestiti e raggiungici al piano inferiore. Potrai chiederglielo  tu."
Carol si sentiva effettivamente mille volte meglio di qualche minuto prima. Si alzò dal letto, il mondo girò leggermente intorno a lei, ma dopo una frazione di secondo era già tornato tutto alla normalità. Andò ad aprire un'anta dell'armadio e, accanto al suo vestito verde, era appesa una nuova mise molto simile a quella indossata da Aileen. Sopra vi era stato appuntato un foglietto con uno spillo. 'Indossate questa oggi, Carol. I vostri vestiti non sono più adatti a quello che dovrete fare.' 
Carol era un po' perplessa ma indossò quei pantaloni di pelle, troppo aderenti per lei, la canottiera color bianco sporco, con uno spazio per le braccia esagerato, e gli stivali alti fino al ginocchio, stranamente comodi e morbi. Si guardò allo specchio e quasi non si riconobbe. Il suo aspetto era molto mutato con quei vestiti, ma c'era anche qualcos'altro di diverso. Il suo volto le sembrava più sottile, il naso era sempre stato in quel modo? Raccolse i capelli in una coda alta. E le orecchie? Erano davvero sempre state di quella forma? Carol sospirò, doveva essere semplicemente ancora stanca dopotutto e, in ogni caso, si piaceva molto quel giorno. Inoltre notò che nei pantaloni c'erano i passanti, così si sarebbe potuta portare dietro il suo marsupio. Se lo allacciò alla cinta, lasciandolo pendere un po' sulla coscia destra. Non si era mai sentita così soddisfatta di sè in vita sua... Con quell'aspetto sembrava forte, non più una ragazzina incapace di difendersi da sola.
Qualcuno bussò alla porta "Carol, stai bene?"
"Si, si, ho solo avuto qualche problema con questi vestiti!"
"Posso entrare?"
"Ma certo, così mi dirai anche se li ho messi nel modo giusto... Sai, non vorrei fare una figuraccia."
Aileen aprì la porta e rimase ferma a guardare Carol con gli occhi quasi fuori dalle orbite "Fai attenzione, o ti cadranno a terra!"
Aileen la guardò con aria interrogativa. Carol sorrise, imbarazzata "Intendevo gli occhi, sembrava che stessero per schizzarti via."
"Lo so è che... Sei davvero strana vestita così! Ma ti manca ancora un dettaglio." Aileen le sistemò qualcosa appena sopra l'orecchio destro "Non sarebbe cortese non indossarlo oggi"
Carol si rese conto solo in quel momento che la sfumatura verde all'interno di quella pietra era la foglia che aveva dato il giorno prima a Ruel. Ora si sentiva ancora più grata per quel dono, perché le ricordava casa.

Pranzarono e si sedettero tutti insieme nel soggiorno. Ruel prese un enorme tomo impolverato, soffiò via la polvere che riuscì e si andò a sedere nella sua poltrona. 
"Questo è un libro che ben presto dovrai iniziare a leggere, Carol. Parla di tutte le piante e delle loro risposte alla magia. Spiega come dominarle ed entrare in contatto con loro ad un livello più profondo. Ti sarà molto utile. Per oggi mi limiterò ad introdurti la prima parte; parla dei vari tipi di connessione con il mondo della natura e dei metodi di concentrazione. Al momento tu hai bisogno di parecchi minuti per riuscire a cogliere l'essenza di una pianta e senza il contatto diretto non riusciresti ad ottenere nemmeno quello. Per iniziare va bene, è uno dei metodi più facili, ma vedrai che ci sono diversi metodi da poter utilizzare. In futuro, con l'allenamento e il nostro aiuto potrai collegarti a più piante contemporaneamente, potrai guarirle... E chissà quante altre cose scoprirai di poter fare!" lo sguardo di Ruel era acceso dalla passione e la sua voce era quasi un sussurro. Un bisbiglio evocatore di sentimenti e passioni sconfinate. "Ma per fare tutto questo dovrai dare il massimo, ogni giorno. Non dovrai mai arrenderti alle difficoltà. Pensi di essere in grado? Pensi di poterlo fare?"
Carol era rimasta col fiato sospeso. Annuì, decisa. "Si, lo posso fare"
Ruel si girò verso di Aileen, i due si scambiarono un cenno d'intesa che Carol non colse. "Vieni con me, Carol. L'allenamento inizia ora"
Carol e Aileen andarono nel giardino sul retro "Per prima cosa dobbiamo irrobbustire il corpo. Oggi inizieremo con dei semplici esercizi per gli addominali e per le braccia, domani mattina, all'alba, inizieremo con la corsa"
"All'alba?"
"Si, così avremo il resto della giornata per dedicarci allo studio, alla magia e al resto degli esercizi"
Passarono così la prima ora a fare addominali, piegamenti sulle gambe e sulle braccia e tanto altro. Alla fine Carol non riusciva più nemmeno a parlare per il fiatone, Aileen, invece, sembrava fresca come una rosa. "Come...Come fai?" 
Aileen sorrise "Mi alleno da tutta la vita, Carol. Ora ti porto una spremuta d'arance, ti farà bene"
Si presero una mezz'ora abbondante di pausa in cui conversarono sulle attività del giorno e su come le avrebbero organizzate nei giorni seguenti; alla fine stabilirono mezz'ora di corsa la mattina e quattro sessioni da mezz'ora di allenamento durante il giorno.
"Te la senti di provare a comunicare di nuovo con qualche fiore?"
Carol non era molto sicura di riuscirci in quello stato ma annuì "Posso provarci" Si diresse verso la margherita del giorno prima, vi si inginocchiò accanto, chiuse gli occhi e tentò di concentrarsi come faceva di solito, ma i dolori ai muscoli la distraevano molto. Affondò con forza le dita nel terreno. Serrò gli occhi e pensò ad Amanith, alla sua radura... Tutte immagini che avevano sempre evocato in lei uno stato di serenità e calma, ma la pace del mondo non riusciva a penetrare nel suo animo. 
Rimase lì, con gli occhi sbarrati e il corpo a contatto con il terreno per svariati minuti senza alcun risultato. 
La frustrazione si fece largo in lei, aveva detto che non avrebbe mollato difronte alle avversità, ma in quel momento non avrebbe desiderato altro. Sentì un calore fortissimo provenire dal ciondolo posato sul suo petto. Estrasse una mano dal terreno e lo afferrò con forza, desiderando di essere più forte e più determinata. Desiderando di non deludere nessuno. Il calore aumentò a dismisura fino a farle bruciare il palmo della mano. Carol urlò e cadde a terra. Aileen era alle sue spalle, la stava scuotendo con forza, ma Carol non se ne accorse perché il quel momento il suo corpo era superfluo. Percepiva ogni arbusto in quel giardino, anche il più piccolo filo d'erba. Vedeva il suo corpo e da esso, all'altezza del cuore, fuoriuscivano sottili fasci di luce che formavano un reticolo su tutto ciò che lo circondava. Era estasiata, non aveva mai visto niente di più bello in vita sua e non aveva mai provato niente di più bello in vita sua; era  leggera, libera dal vincolo materiale del corpo, e sarebbe potuta diventare ognuna di quelle piante... Sentì una forza impossibile da frenare tirarla indietro, allontanarla da quello stato di ebbrezza e, con un suono assordante, ritornò nel suo corpo. Aprire gli occhi le risultò particolarmente difficile, le palpebre erano pesanti e il suo corpo sembrava di nuovo a corto di energie. Momentaneamente rinunciò.
"Che le è successo, Aileen?"
"Io... Io non so davvero come sia successo, Ruel. Carol stava facendo quello che aveva sempre fatto, non le stava riuscendo molto bene, ma era concentrata e determinata... E, ad un certo punto, ha stretto in un pugno il suo wengan e ha scatenato un'energia fuori da ogni immaginazione per una ragazza alle prime armi come lei. Non credevo che sarebbe mai potuto succedere."
"Invece lo avresti dovuto sospettare, Aileen. Non ti sei accorta che sta mutando?" il tono di Ruel era di rimprovero e leggermente minaccioso. Carol avrebbe voluto alzarsi e chiedere di cosa stessero parlando, ma non ne aveva le forze.
"Non ho dato molta importanza a quei cambiamenti, pensavo fossero dovuti al contatto con noi"
"In parte hai ragione, ma di solito la trasformazione è più lenta. In quella ragazza c'è più di quanto tu possa immaginare." Ruel sospirò pesantemente e Carol percepì lo scricchiolio della sua poltrona. Dovevano averla portata in soggiorno. "Presto dovremo dirle tutto, per il suo bene"
Carol era tanto concentrata ad ascoltare il discorso da non rendersi conto che il suo corpo iniziava a formicolare. Ora coglieva solamente una frase ogni tanto. "Speriamo..."
"..Dovrà accettarlo... Non può più sottrarsi.."
Non riusciva più a distinguere di chi fosse la voce. "E' soltanto una ragazzina..."
"... il mondo intero"
Carol sprofondò in uno stato di completa alienazione dal mondo esterno e dormì per giorni e giorni, affinché il suo corpo recuperasse totalmente le energie.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Padre e figlio ***


Dopo la conversazione avuta con il mercante quella sera, Connor era rimasto molto silenzioso. Persino a casa non disse una parola... Eppure tutti si aspettavano di vederlo entusiasta per quel suo primo giorno di vendite al villaggio, ma quella sua irrequietudine passò per stanchezza e nessuno se ne preoccupò.

Si girava e si rigirava nel letto che una volta era appartenuto a sua sorella, guardava il piccolo Richard nel letto accanto al suo e si chiedeva come avrebbe fatto a proteggerlo se quegli uomini fossero arrivati a loro. Non sapeva combattere; non gli era mai pesato in vita sua, non aveva mai voluto imparare, ma, in quel momento, si sentiva oppresso da quel pensiero.
Quella notte fece sogni di guerriglia, sogni irrequieti e ansiosi, sogni di paura e di dolore. 

"Papà, ti andrebbe di insegnarmi a combattere?"
"Se ti fa piacere, Connor, sarò ben felice di insegnarti tutto quello che so. Ma, dimmi, come mai questo desiderio?"
"Non mi ero mai reso conto di quanto fosse importante, ma non sono più un bambino e non ho mai fatto a pugni con gli altri ragazzi, né ho mai tenuto in mano una spada da allenamento... Se mi dovesse succedere qualcosa, sarei completamente indifeso, come una ragazza!"
Bran sorrise affettuosamente pieno di orgoglio e gli battè una mano sulla spalla "Andiamo a lavorare, più tardi ti insegnerò qualcosa"

La mattinata passò serenamente; c'era meno gente del giorno prima, ma riuscirono ugualmente a vendere qualcosa senza arrivare ad ora di pranzo stremati.
Bran prese del pane leggermente raffermo e del formaggio da una sacca, li divise in due parti uguali e si sedette a mangiare con suo figlio "Come ti sebrano queste giornate? Credevo che saresti stato più contento di affiancarmi qui in paese, ma sei comunque un ottimo aiutante... Credo proprio che nel giro di qualche anno potresti essere tu a guidare la baracca e a portarti Rich come aiutante"
Connor quasi si strozzò con un pezzo di pane "Grazie papà, non puoi aver idea di quanto queste parole mi rendano orgoglioso di me stesso... ma non pensare di sfuggire così ai tuoi impegni!" rise. Non era mai stato bravo ad esternare le sue emozioni, perciò tentava sempre di cambiare argomento.
Bran sorrise e posò il suo pranzo su un fazzoletto "Quello ti conviene conservartelo per dopo, Connor."
Connor, un po' conffuso, imitò il padre e lo seguì mentre si allontanava dalla loro merce. Si fermò di botto e si girò scagliando un pugno che sfiorò appena la guancia di Connor. Il ragazzo rimase di stucco e il massimo che  riuscì a fare in quel momento fu chiudere gli occhi, ebbe uno spasmo al viso.
Bran sospirò "Ci sarà molto lavoro da fare. Intanto, vediamo di cominciare con i riflessi." prese delle pietroline da terra e iniziò a lanciarle, prima lentamente e poi sempre più velocemente verso Connor "Prendile, prendile, Connor!" urlava ogni tanto, quando qualche pietra colpiva il ragazzo. "Non ti fermare!" ... "Non ti scoraggiare, prendile!" ... "Forza, Connor, come vuoi schivare dei pugni se non riesci a farlo con delle pietroline?"
Connor si sentiva umiliato e stressato. Le pietre lo colpivano dappertutto sul busto e sulle gambe; ogni tanto ne deviava una ferendosi un braccio, ogni tanto riusciva ad afferrarne una con le mani, ma ce ne erano sempre delle altre. Dopo un po' le pietre cessarono; entrambi avevano il fiatone. 
"Va bene così, per ora, torniamo al nostro pranzo."
Connor seguì nuovamente il padre, questa volta rimanendo un po' indietro e sforzandosi di non piagnucolare. Il suo stomaco brontolava, per fortuna avevano messo del pane da parte.

Il pomeriggio passò velocemente, non si videro in giro gli uomini vestiti di nero, né si sentì parlare di loro. 
Connor si sentiva molto più sereno rispetto al giorno prima, magari quegli esseri non avevano trovato quello che stavano cercando ed erano semplicemente andati via.
Quando il sole calò, Bran mise di nuovo alla prova i riflessi del ragazzo. "Connor, prendi al volo" gli aveva lanciato una statuetta intagliata nel legno "Sta attento a non far cadere la nostra merce, figliolo" in questo modo, forse perché gli oggetti erano più grandi, forse perché Connor era davvero attento ad ogni mossa che faceva o forse perché Bran li lanciava lentamente e nel modo piu semplice possibile, Connor non fece cadere nulla per terra.

"Connor, tesoro, che ti è successo?" Disma si portò una mano alla bocca e spalancò gli occhi, preoccupata.
"Mamma, tranquilla, non è successo nulla. Papà ha solo mantenuto la promessa di insegnarmi a combattere."
Lo sguardo severo e fulminante della donna si spostò su Bran, il quale portò le mani avanti come per proteggersi da una furia che si sarebbe abbattuta su di lui "Tuo figlio mi ha chiesto di farlo diventare un vero uomo, non potevo certo rifiutare!"
"Potevi evitare di conciarlo così!" nel corso nella giornata sul corpo di Connor si erano andati formando tanti lividi violacei, anche intorno ad alcuni graffi che aveva sulle braccia "Sembra che lo abbiano aggredito!"
Bran stava per dire qualcosa, ma Connor lo precedette "Mamma, gli ho chiesto io di farlo e non mi dispiace avere qualche livido se servirà allo scopo."
Disma scosse la testa e tornò a preparare la cena "Ci rinuncio, siete due testoni!"

I giorni trascorsero così, tra vendite, allenamenti e momenti di allegria. 
Connor non si era mai sentito così vicino a suo padre nè così intimorito dalla sua figura. Non aveva mai capito a pieno la forza e l'agilità che si nascondevano dentro quel corpo da contadino e artigiano; era un ottimo combattente e un altrettanto ottimo maestro. In pochi giorni i riflessi di Connor erano diventati quasi perfetti e imparò presto anche le techiche base del combattimento corpo a corpo, le sue spalle si erano leggermente allargate e dei muscoli si andavano scolpendo nel suo fisico.
Bran, in vita sua, non era mai stato tanto orgoglioso di suo figlio. In poche settimane era diventato abbastanza abile da rendere divertente un combattimento.

"Avanti, Connor, fatti sotto!" Bran aveva appena mandato suo figlio al tappeto colpendolo alla mascella. Il ragazzo, leggermente instabile sulle proprie gambe, si alzò e si fiondò nuovamente sul padre che gli assestò una gomitata dietro una spalla "Ti lasci troppo scoperto, Connor, tenta di immaginare il tuo corpo mentre vai all'attacco e di coprire ogni spazio in cui ti si potrebbe colpire" intanto il ragazzo aveva datò un calcio nel retro del ginocchio del padre, facendolo crollare a terra "Astuto..." Bran si alzò e si scagliò verso il figlio che schivò un primo colpo e gliene assestò uno dritto sotto il mento. Cadde una seconda volta a terra.
Connor gli si avvicinò e tese una mano per aiutarlo ad alzarsi "Bel combattimento, papà, ma la prossima volta non lasciarti colpire di proposito."
Bran sorrise, sperava che il figlio non se ne fosse accorto "Sei migliorato molto."

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1663780