You Can Imagine the Christmas Dinners

di ardenteurophile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Nota di Servizio:
Dlin-Dlon! Siamo lieti di comunicare ai gentili lettori che la storia è stata finalmente spostata al posto giusto! Grazie per la pazienza! Enjoy the reading!
 

CHAPTER ONE

 

 
“Tua madre vive qui?” Mormorò incredulo John mentre risalivano il lungo sentiero di ghiaia che conduceva alla casa. Era una notte abbastanza fredda; si strinse il cappotto addosso, desiderando ardentemente che Sherlock gli avesse lasciato indossare il suo maglione di lana preferito. Apparentemente non era ‘appropriato’ per questo tipo di evento sociale. John pensò che iniziava a capirne il motivo.
Sherlock confermò con un borbottio, scoccando un’occhiata gelida al maniero che si innalzava di fronte a loro, circondato da ampi giardini e piante di Pioppo.
“Tecnicamente è di Mycroft, naturalmente. È sempre stato così… esibizionista.”
“Esibizionista? Sherlock, ci sono dei dannati pavoni!” esclamò John, individuandone uno che si faceva strada per il prato.
“Pacchiano.”
“Mi sento come se fossi finito al maniero dei Malfoy o qualcosa del genere. Sono nel maniero dei Malfoy?”
Sherlock si voltò leggermente e alzò un sopracciglio a John con aria inquisitoria.
“Fammi indovinare. Non hai mai letto Harry Potter.” Sospirò John. Si chiese se Sherlock ne avesse almeno mai sentito parlare. Si chiese se Sherlock sapesse almeno cosa fosse un mago.
“È uno di quei riferimenti alla cultura popolare che ti piacciono tanto? Sai che non ho né il tempo né la propensione per questo, John.”
“Non capisco perché non ti rimetti al passo con I tempi quando ti annoi. Come accade… ogni singola settimana? Invece di, oh non lo so, sparare alla pareti e fare esperimenti su cose che dovrebbero essere il mio pranzo.”
“Irrilevante.”
“Potremmo rispondere dannatamente meglio al quiz del pub se vorresti.” Brontolò John, ripensando all’ultima disastrosa volta in cui aveva trascinato Sherlock giù fino al loro locale per il quiz del giovedì sera.
Avevano raggiunto il porticato (appariscente e severo, con degli strani basamenti di marmo ad entrambi i lati della porta), e Sherlock si allungò per suonare il campanello, voltandosi verso John con una strana espressione sul viso.
“John, io ho le mie aree di competenza, e tu le tue; sono distinte ma complementari. È una delle tante ragioni del perché la nostra collaborazione è così preziosa per me.”
John sbatté le palpebre, colto alla sprovvista come sempre quando Sherlock gli faceva uno dei suoi strani, intricati complimenti.
“Oh. Bene, questo è… bene.”
Sherlock gli sorrise un po’ maniacalmente, e la porta si spalancò di fronte ai due.
“Sherlock, tesoroooo!” squillò un energico saluto di benvenuto, a cui Sherlock sussultò un poco, ed una donna vestita in porpora ed oro – Mamma Holmes, assunse John – si avventò sul suo amico in una nuvola di profumo e boa piumati. A John ricordò decisamente il pavone che aveva appena visto.
“Buon Natale, madre…” udì un borbottio soffocato dalla spalla di Mamma Holmes.
La donna arretrò all’improvviso e rivolse il suo sguardo a John. Era alta, con l’elegante (forse in qualche modo cavallina) struttura ossea di Sherlock e palpebre pesanti. I suoi capelli dovevano essere stati corvini, ma ora erano più brizzolati e raccolti sulla parte alta della testa con una stravagante crocchia.
“E questo deve essere il tuo ragazzo –“
“- amico-“ biascicò in fretta John, più che solito a correggere questa assunzione negli ultimi tempi.
“Compagno.” Sherlock tagliò corto, appoggiando la mano appena più in alto del fondoschiena di John per guidarlo all’interno della casa. “Madre, lui è John Watson.”
“Aracelia Holmes.” Si presentò, abbassandosi anche verso John per baciargli le guance.
“È un piacere conoscerla.” Disse, inghiottendo di colpo una ventata di profumo. “Buon Natale.”
“John è un dottore, madre.” Affermò Sherlock, con qualcosa nel suo tono che risuonava stranamente come orgoglio. John gli scoccò un occhiata, un tantino disorientato.
“Ehm, sì. È vero.”
“Oh, lo so, caro, so tutto su di te. Sono così felice di conoscerti finalmente; accomodati.”
Si spostò a lato per lasciarli entrare del tutto ed entrambi passarono oltre la soglia, mentre John si chiedeva cosa davvero Aracelia Holmes sapesse di lui, e chi le avesse raccontato tutto.
La casa era calda e accogliente dopo il gelo della note invernale, e davvero arredata con molto gusto per la stagione – nonostante John potesse intuire che Sherlock disapprovasse, dato che in quel momento sembrava stesse fissando un mazzo di agrifoglio e vischio con intenti omicidi.
Furono spediti in un ampio salotto da Aracelia, che versò ad entrambi uno sherry e poi scomparve per andare a “vedere come stanno andando le cose in cucina, miei cari.” John non era sicuro riguardo chi stesse cucinando, ma non sarebbe stato sorpreso se la casa fosse stata completa di un intero esercito di ‘aiutanti’. La gente faceva ancora uso di aiutanti?
“Esibizionista.” Affermò nuovamente Sherlock, tirando si con il naso verso un enorme albero di Natale ricoperto di ghirlande dorate e palline di vetro.
“Suvvia, Sherlock, comportati bene.” Una voce da dietro di loro li raggiunse, e John si voltò per scorgere Mycroft scivolare nella stanza. “Non vogliamo che succeda come l’anno scorso, non è vero?”
John represse una risatina quando notò che Mycroft indossava una cravatta rossa e verde con le renne. Sherlock alzò gli occhi teatralmente.
“L’anno scorso è stata tutta colpa tua, Mycroft, come tu ben sai.”
“Colpa mia? Colpa mia! E immagino che l’incidente con il ripieno sia stato sempre colpa mia. Salve di nuovo, dottor Watson.”
“John, la prego. Salve Mycroft.” Disse John, sorridendo affabilmente mentre stringeva la mano dell’uomo. Sentiva che almeno qualcuno doveva comportarsi da persona civile e matura lì dentro, e poteva immaginare che Sherlock o Mycroft non sarebbero stati quel qualcuno.
“Mi dispiace che la famiglia non sia al completo.” continuò Mycroft. “Di solito organizzavamo una festa abbastanza grande a Natale, ma capisci, Mamma non gradiva più l’idea di avere ospiti negli ultimi anni, non da quando Sherlock ha dato fuoco al –“
“Mycroft.” Borbottò Sherlock, abbandonandosi su una poltrona con un tonfo mentre ingurgitava il suo sherry.
John alzò un sopracciglio e ridacchiò.
“Ha appiccato fuoco a qualcosa? Fammi indovinare, era un esperimento.”
“Così dice.” Confermò Mycroft. Si piegò leggermente verso John e abbassò il tono di voce. “Ma io credo che stesse cercando di evitare di mangiare le sue verdure.”
Sherlock si immusonì, accavallando le gambe con stizza.
“Ho proclamato un divieto globale su tutti gli esperimenti durante il periodo natalizio.” Spiegò John a Mycroft. Una delle sue idee più brillanti, riteneva; Sherlock gli aveva domandato si aspettava che gli comprasse un regalo (da qualcun altro sarebbe sembrato un tantino offensivo; con Sherlock era stato davvero sorpreso che gli fosse anche solo passato per la testa) e gli aveva chiesto invece un pochino di pace e tranquillità durante la stagione natalizia. Per ora stava andando bene, solo una piccola ricaduta con le unghie dei piedi.
“Davvero?” esclamò Mycroft, incuriosito. “E ha accettato? Mi sorprendi.”
“È un regalo.” Sbottò Sherlock dall’angolo. “A Natale è tradizione scambiarsi regali con coloro a cui si è più affezionati.”
“È bello che tu conosca la teoria, Sherlock, non hai mai fatto un regalo in tutta la tua vita.” Affermò Mycroft.
Sherlock si accigliò.
“Non ho mai avuto qualcuno a cui farne uno.”
John si sentì improvvisamente arrossire, e si schiarì la voce, tentando di guardare dappertutto tranne che Sherlock. Fu lieto che Aracelia scelse proprio quel momento per ripiombare nella stanza, portando con se un vassoio di bicchieri.
“Cari, la cena sta per essere servita, se volete seguirmi. Sherlock, smettila di stravaccarti su quella poltrona, non è educato. Mycroft, potresti andare a prendere un paio di bottiglie di rosso in cantina? Non il ’67 se non ti dispiace, è un regalo di Natale in anticipo dagli Adler e ho qualche sospetto che sia avvelenata.”
John sbatté le palpebre, incerto se avesse capito male l’ultima frase, finché non si ricordò di chi Aracelia fosse madre  e decise che probabilmente non aveva affatto frainteso. Mycroft annuì e scomparve giù per l’atrio, lasciando che Sherlock e John seguissero la donna nella sala da pranzo.
John prese un respiro profondo.
Sarebbe stata una lunga notte.

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Nota della traduttrice:
Ovviamente non è un lavoro mio, i meriti vanno tutti ad ardenteurophile, io sono solo l’umile traduttrice.
 

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


CHAPTER 2

 

La sala da pranzo era enorme come il resto della casa e agghindata nel medesimo stile, con agrifoglio, nastri e ghirlande colorate. Sul piano di un’imponente tavolata era imbandito un banchetto di Natale in tutto e per tutto: un tacchino così grosso che John stentava a credere che fosse mai riuscito a muoversi, enormi cumuli di patate arrosto oltre al resto dei contorni e crackers natalizi[1] posizionati lungo tutto il tavolo. Si sentì un po’ come il Piccolo Tim che vagava in un romanzo Dickensiano.
Solo allora realizzò che c’era già qualcun altro seduto al tavolo, e tirò un sospiro di sollievo sapendo che non sarebbe non stato l’unico ospite invitato a cena.
"Anthea?"
L’assistente personale di Mycroft alzò lo sguardo dal Blackberry su cui stava tamburellando e gli rivolse un ghigno alquanto contorto.
“Non oggi.” Si rivolse o John.
Soffiò divertito e prese posto dove Aracelia gli stava indicando.
“Qual è oggi, quindi?”
Sembrò rifletterci per qualche istante, inclinando la testa da una parte e guardandosi attorno.
“Forse… Mary?” propose, incerta.
“Oh, ovvio.” Esclamò Sherlock, sfilandosi il cappotto prima di sedersi di fronte a John. “Ovvio, banale. E non mi piace quel nome, in ogni caso.”
Mycroft ritornò a grandi falcate con le mani ricolme di bottiglie di vino, e dopo averne appoggiata una sul tavolo e fatto accomodare Aracelia, si sedette con un movimento armonioso.
“Cosa ne pensi di Donna?” suggerì canzonatorio, unendosi alla conversazione, per non cambiare argomento. “Oppure Blitzen. O Comet, o Cupid; quello che preferisci.”
La sua assistente rise, scuotendo la testa.
“Holly. [2]” Statuì, afferrando un rametto di agrifoglio dal tavolo come per precisare la sua scelta.
“Holly.” Concordò John.
“Che Holly sia, allora!” canticchiò Aracelia, gesticolando a Mycroft di versare il vino. “Perciò ora ci conosciamo tutti. In ogni caso devo insistere che quei telefoni scompaiano durante tutta la serata; sono sicura che il Paese si potrà governare da solo per un paio d’ore.”
Holly scoccò un occhiata un po’ dubbiosa a Mycroft, che tuttavia le annuì, e infilò riluttante il Blackberry in tasca.
“Questo vale anche per te, Sherlock.” Aggiunse un po’ bruscamente: il suo secondogenito stava di nuovo tamburellando su quell’odioso iPhone rosa, osservò John. Avrebbe voluto scagliarlo lontano dopo quello che era successo alla piscina, ma Sherlock aveva insistito che gli sarebbe stato utile avere un numero anonimo personale da cui inviare messaggi, e che John si stava comportando da sentimentale senza motivo nell’associare un telefono ad un brutto ricordo. John rabbrividì al pensiero, decisamente dell’opinione che si stava comportando da sentimentale per un’ottima ragione.
Sherlock li scrutò torvamente e cacciò il telefono nella tasca della sua giacca.
“Ti ringrazio. Ora, Sherlock, potresti affettare, per favore?”
Mycroft si pietrificò con la bottiglia a mezz’aria, scandagliando sua madre come se fosse assolutamente uscita di senno.
“Mamma.” Le bisbigliò tra i denti, piegando la bocca a lato. “Davvero credi che sia una buona idea? Dopo quello che è successo l’ultima volta?”
Sherlock sospirò, frustrato.
“Riesco a sentirti, Mycroft, lo sai? Sono seduto proprio qui.”
“Beh, forse è ora di dargli un’altra possibilità.” Affermò Aracelia, malgrado John avesse notato un leggero tremore nella sua voce.
“È tutto a posto, madre.” Dichiarò Sherlock, con tono glaciale. “Non vorrei che a Mycroft si agitasse. Può farlo John.”
Gli occhi di tutti al tavolo saettarono verso John.
“Vorresti fare tu gli onori?” domandò Mycroft, quasi supplichevole.
“Naturalmente.” Rispose un sorridente John  mentre afferrava il trinciapollo, chiedendosi cosa fosse riuscito a fare Sherlock di così terribile al tacchino l’ultima volta. Decise che non voleva saperlo.
“Cucini per Sherlock a casa, non è vero?” Gli domandò Aracelia per intavolare una conversazione. John alzò le spalle, annuendo appena.
“Suppongo di sì. Beh, spesso si dimentica di mangiare, e a me piace cucinare, quindi…”
“Abbiamo sentito che sei un ottimo cuoco.” Continuò con un sorriso a trentadue denti. “Sono così felice che Sherlock abbia finalmente trovato qualcuno che si prenda cura di lui. Stavamo iniziando a perdere le speranze.”
John fece rimbalzare uno sguardo un tantino ansioso tra lei e Sherlock, domandandosi se la donna stesse davvero implicando quello che pensava stesse implicando, o se fosse talmente abituato che la gente implicasse qualcosa che non riusciva più a distinguerlo ormai.
“Può essere un po’ una peste.” Concordò piano, adagiando il tacchino sul piatto di ognuno dei convitati.
“Solo un uomo molto coraggioso avrebbe accettato l’incarico.” Ridacchiò Mycroft.
John sorrise ansiosamente e si risedette, gesticolando al banchetto di fronte a sé.
“La cena sembra deliziosa, signora Holmes.” Si complimentò, e lei sorrise riconoscente. Sherlock li guardava ancora in cagnesco mentre pugnalava le sue patate arrosto.
“Vorrei che tu sapessi, Mycroft, che la mia relazione con John è di fatto più equa di quello che tu sembri voler insinuare.”
John non era sicuro che il riferimento di Sherlock alla loro relazione fosse davvero d’aiuto, date le circostanze. Ancora.
“In che senso?” domandò Mycroft.
“Beh!” esclamò Sherlock che sembrava occhieggiare in giro in cerca di una risposta. “Ho comprato il latte l’altro giorno.” John grugnì nel bicchiere di vino.
“Sì, e l’hai abbandonato in salotto ed è andato a male prima che mi accorgessi che fosse lì.”
Sherlock sembrò imbarazzato per qualche istante, ma si riprese velocemente.
“Ho riordinato casa la settimana scorsa!”
“Solo perché così avresti avuto abbastanza spazio per trascinarci quella pecora morta che volevi esaminare.”
“Beh… ti porto sempre fuori a cena!”
John gli rivolse un largo sorriso, ammettendo quel particolare aspetto.
“Questo è vero, lo fai sempre. Ed è anche molto gentile da parte tua. Tuttavia, se riuscissi ad aiutare il proprietario di un ristorante thailandese nel vicino futuro, mi farebbe piacere. Ho una voglia matta di cibo thai.”
Sherlock lo esaminò, concentrato, prima di annuire.
“Avresti dovuto dirlo.”
“Di solito non ne ho bisogno con te.” Gli fece notare John.
“Naturalmente.”
John si chiese se Sherlock sarebbe andato a chiedere ad ogni singolo proprietario di ristorante thailandese a Londra se avesse bisogno di qualche favore o di risolvere qualche problema. Lo avrebbe ritenuto capace di farlo.
Aracelia sorrise indulgentemente.
“Oh, ma sentiteli, bisticciano. Siete solamente una vecchia coppia sposata, non è così?!”
“Non siamo –“ incominciò John, pronto a passare alla modalità automatico, solo per essere interrotto da un insistente Sherlock. “Non siamo vecchi, madre.”
John socchiuse gli occhi e scrutò gli altri convitati attorno al tavolo. Stava incominciando ad avere un vago sospetto sull’intera faccenda.
“Perciò, signora Holmes. Ha detto di aver sentito parlare molto di me. Cos’è che ha sentito esattamente…?”
Arcelia alzò un sopracciglio al suo interrogativo, nello stesso istante la testa di Sherlock scattò, con un’espressione simile al panico dipinta in volto. John incontrò il suo sguardo al di là del tavolo con un cipiglio leggermente inquisitore.
“Qualcuno – gradirebbe – ancora – del – vino?” scandì all’improvviso Sherlock, alzandosi di scatto dalla sedia. Incominciò a riempire casaccio i bicchieri di tutti fino all’orlo, lasciando una scia di goccioline di vino rosso lungo la tovaglia per l’entusiasmo. John le fissava, la sua mente fu riportata con forza alla traccia di gocce di sangue che lui e Sherlock avevano seguito nella neve un paio di settimane prima. Il Caso del Coltello Scomparso. Aveva quasi terminato il post per il suo blog. Sorrise al ricordo dell’espressione sul viso di Sherlock quando gli aveva spiaccicato addosso una palla di neve nel bel mezzo di una scena del crimine.
La signora Holmes ignorò lo strano comportamento del figlio.
“Beh, che sei un dottore, mio caro, e che eri nell’esercito una volta – complimenti. E che bevi moltissimo tè, mi ha detto. Sì, veramente molto, moltissimo tè, apparentemente.”
John si rilassò, sollevato.
“E che suona per te con il suo violino, cosa che ti piace, e che andate a cena fuori spesso, o talvolta rimanete a casa e cucini per lui, e qualche volta sei disposto a sacrificare la vita per lui.” Aggiunse Mycroft, con un po’ di disappunto. “Non dovresti farlo, davvero, John. Ingigantisce solamente il suo ego.”
John sbatté le palpebre. E anche Sherlock, notò.
“E poi…” continuò Aracelia. “Mi ha chiesto di imparare a sferruzzare così da poterti regalare un nuovo maglione. Pensa che tu sia veramente un amore quando li indossi”
“Oh mio Dio.” Esclamò John, fissando il suo amico a bocca aperta dall’altro lato del tavolo.
“Oh mio Dio.” Ripeté Sherlock, ravviandosi i capelli per evitare gli occhi di John.
“Signora Holmes.” Incominciò John. “Mi dispiace, ma glielo devo dire, credo che si sia fatta l’idea sbagliata su di me e Sherlock. Non siamo… voglio dire, io non…”
Sherlock alzò improvvisamente lo sguardo e fissò John così intensamente, così supplichevolmente che John lasciò morire le ultime parole in gola. Percepì il suo respiro arrancare un po’ nel petto e deglutì, sospettando che se ne sarebbe pentito in futuro.
“Io non credo… davvero che gli piacciano i miei maglioni, per nulla, non mi ha lasciato indossare il mio preferito questa sera. Ahahah!” Esclamò, forzando una risatina che sembrava falsa persino per le sue stesse orecchie.
Sherlock gli ricolse uno sguardo di pura gratitudine.
“Ah, John, mi dispiace ma non potevo semplicemente lasciarti venire a casa di Mycroft senza il tuo miglior completo, per quanto sia scomodo. Quando saremo a casa ti prometto che ti libererò immediatamente da quei vestiti.”
Sherlock alzò suggestivamente un sopracciglio e John per poco non si strozzò con una patata. Holly ghignò dal lato opposto della tavolata.
“Andiamo, andiamo ragazzi.” li avvertì Aracelia, sebbene non sembrasse davvero infastidita: al contrario infatti, sembrava… orgogliosa? John scosse lievemente la testa, optando per concentrarsi sulla cena.
Magari se avesse finto che nulla di tutto ciò stesse accadendo, sarebbe semplicemente scomparso.
“Quindi, Mycroft…” tossì Shelock, che palesemente aveva optato che un repentino cambio di argomento fosse necessario. “Come va… il governo?”
Mycroft scanagliò scaltramente il fratello minore da dietro le palpebre.
“Non c’è bisogno di fingere che ti interessi.”
“Pensavo che le riunioni di famiglia servissero a questo?” questionò Sherlock in tutta innocenza. John represse un grugnito nella sua cena: c’era qualcosa nei loro battibecchi fraterni che gli faceva sentire la mancanza di Harry. Decise di fare una capatina per andare a trovarla nel fine settimana. Era sicuro che avrebbe adorato la storia di come ora tutti i membri della famiglia di Sherlock, come del resto quelli della sua, fossero convinti che rappresentassero la coppia del momento.
“Molto bene. Il governo è in perfetta salute, nonostante quello che I giornali vogliono farvi credere. Holly ed io lavoriamo duramente per assicurarla.”
Alzò il bicchiere verso la sua assistente che sorrise, imporporandosi appena.
“Lavorare con una coalizione è stato interessante.” Suggerì Holly. “Naturalmente sin dal principio il Primo Ministro era completamente consapevole di chi fosse Mycroft e della sua… posizione, ma il novellino ha avuto un po’ di problemini. Sta ancora imparando.”
John scoccò un occhiata in tralice a Sherlock che stava annuendo educatamente, seppur con un’espressione totalmente smarrita. Si morse le labbra e ingoiò una risata.
“Qualcosa di divertente?” Inquisì Mycroft, alzando un sopracciglio. Sherlock si voltò accigliato verso John, riducendo gli occhi a due fessure.
“Ah, ehm. Sì, è solo che…” incominciò John, prima di lasciarsi andare in un risolino. “A dire il vero Sherlock non sa chi sia il Primo Ministro, non parliamo poi di coalizioni.”
Holly lo fissò scioccata prima di scoppiare in una sonora sghignazzata. John si unì a lei con risata quasi isterica, realizzò poi, dati gli eventi della serata fino a quel momento.
“Oh, non siate ridicoli, miei cari, ovviamente Sherlock conosce chi è il Primo Ministro.” Esclamò Aracelia, sventolando leggermente la mano. “Non è vero, tesoro?”
Sherlock si concentrò con interesse sulla sua cena infilzando un broccolo con la forchetta.
“Ovviamente lo so.” Borbottò imbronciato.
Mycroft alzò un sopracciglio, divertito.
“E chi sarebbe, ti prego?”
Gli occhi di Sherlock rimbalzarono da un lato all’altro a gran velocità, evidentemente cercando di ripescare l’informazione dall’archivio nel suo cervello. John quasi collassò in una nuovo attacco di risatine alla vista dell’espressione di puro panico tatuata su tutto il suo volto.
“Ehm…” rispose Sherlock, osservando ansiosamente Mycroft e azzardando palesemente un tentativo. “Tu?”
Mycroft gettò la testa all’indietro in una risata sguaiata. Sembrava un suono ridicolmente grossolano da un uomo che di norma era così composto, pensò John.
“No Sherlock, non sono io.” Ribadì alla fine, quando ebbe ripreso fiato. Sherlock si accigliò, costernato. “Non sono io il primo ministro, no.”
“Ci è abbastanza vicino, a dire la verità.” Sussurrò Holly allungandosi verso John con fare cospiratorio.
“E questo fa di te…?” Domandò ad alta voce.
“Ah.” Gli rivolse un sorrisetto. “Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna. E il suo Blackberry.”
John apprezzò la battuta sghignazzando, finché realizzò che Sherlock stava osservando la loro conversazione con uno sguardo stranamente accanito. Improvvisamente questi raggiunse e prese possesso della sua mano dall’altra parte del tavolo. John farfugliò qualcosa, cercando allarmato gli occhi dell’amico, tuttavia Sherlock gli rivolse semplicemente un sorriso stringendogli debolmente la mano.
“Quindi, non conosco il nome del Primo Ministro.” Concluse con un’alzatina di spalle verso Mycroft. “Non è rilevante, è il lavoro che importa. Tutto il resto è solo deviante.”
Il sopracciglio di Mycroft saettò verso l’alto.
“È solo il lavoro che importa, quindi?”
Gli occhi di Sherlock balenarono per un istante verso John.
“Non sono contrario a certe attività extra curricolari ogni tanto.”
John deglutì aria lungo la sua gola arida. Aveva la sensazione a dir poco inquietante che la situazione stesse sfuggendo completamente al di fuori del suo controllo.
Aracelia si alzò improvvisamente, appoggiando una mano sulla spalla di Mycroft.
“Mi servirebbe il tuo aiuto per preparare il dessert, Mycroft.” Lo esortò. “E poi passeremo ai cracker e ai regali.”
Mycroft annuì ed entrambi si diressero fuori dalla sala, che tutto d’un tratto si ghermì di camerieri che sembravano essere stati evocati dal nulla per aiutare a sparecchiare. John aveva ragione riguardo agli aiutanti, pensò.
Non appena Aracelia scomparve, Holly estrasse il suo Blackberry immediatamente e iniziò a pigiare furiosamente i tasti. Ci fu silenzio per un istante: John inceneriva Sherlock con un occhiata, Sherlock ricambiava con uno sguardo un tantino… colpevole?
Holly imprecò improvvisamente contro una misteriosa e-mail e si alzò, scusandosi, per poi sgattaiolare fuori dalla stanza con il telefono appiccicato all’orecchio.
“Sherlock, che cazzo sta succedendo?  Sei… hai detto alla tua famiglia che siamo un coppia?”
“No.” Borbottò Sherlock, seccato. “Ovviamente no.”
John sventolò un po’ le braccia, totalmente incredulo.
“Allora cosa–“
“Io… solamente mi sono limitato a non correggerli quando lo hanno dedotto.” Ammise Sherlock. “Non sembrava importante all’inizio, e poi…”
“E poi? E poi cosa, Sherlock?”
“Sembravano così orgogliosi di me per una volta...” La sua voce venne improvvisamente meno, mentre fissava la sua tovaglietta. “Non mi piaceva l’idea di rivelar loro la verità.”
John si lasciò sfuggire un sospiro, incapace di rimanere arrabbiato quando il suo amico sembrava così smarrito.
“Capisco.”
Sherlock evitava il suo sguardo, giocherellando con i polsini della sua camicia.
“Avresti potuto avvertirmi.” Asserì John alla fine.
Sherlock alzò gli occhi verso di lui, intuendosi ormai perdonato, e irruppe in un improvviso sorriso strambo che gli fece mancare il fiato. Si ripeté di non preoccuparsi di quello che potesse significare, naturalmente: quando Sherlock sorrideva in quel modo, non seguiva mai nulla di buono.
“Inoltre, in pratica siamo comunque una coppia.” Affermò Sherlock con nonchalance.
“No, non è ve– Sherlock! In che senso siamo in pratica una coppia?”
John provò con tutte le sue forze a tralasciare il fatto che la sua voce stesse rassomigliando sempre di più ad uno starnazzio acuto.
“Assumiamo gli stessi comportamenti che ho osservato in altre coppie di fatto.” Statuì Sherlock con un tono simile a quello che utilizzava per spiegare un crimine apparentemente ovvio a Lestrade. “Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo insieme, escludendo gli altri. Ci capiamo l’un l’altro senza bisogno di parole: siamo uniti, quindi, e abbiamo speso abbastanza tempo insieme da riuscire a leggere l’uno attraverso l’altro abbastanza facilmente. Non ho un carattere facilmente leggibile, perciò devi aver passato un’immensa quantità di tempo a studiarmi. D’altro canto, tu sei abbastanza semplice da leggere e quindi ignorare, tuttavia mi ritrovo stranamente incapace a farlo.”
John lo fissò basito, percependo il rossore che si faceva largo attraverso il suo corpo, mentre un inquietante sensazione d’orrore e – qualcos’altro? – lo investiva. Sherlock continuò imperterrito, apparentemente nemmeno vicino alla conclusione.
“Cibo, poi, che ne pensi del cibo? Andiamo a cena spesso, cosa che sono consapevole che le coppie amano fare, ed è sempre pagata da me. Un ruolo tradizionalmente maschile quindi; al contrario quando mangiamo a casa tu preferisci cucinare la mia cena, ergo tu sei mia moglie. Personalmente rifuggo a questa definizione dei ruoli, ma queste sono le prove. Condividiamo anche spese finanziarie, nonostante io sia il maggior contribuente, ovviamente.”
John aprì la bocca per protestare.
“Infine, John, ho osservato che il tuo battito cardiaco è leggermente accelerato ogniqualvolta mi trovi vicino a te, più di quello che dovrebbe derivare semplicemente dal brivido provocato da una qualsiasi delle avventure in cui siamo invischiati in ogni momento; inoltre le tue pupille sono spesso dilatate quando sei attorno a me, più o meno come lo sono ora. Questi caratteristiche conducono alla conclusione che tu provi una qualche attrazione verso di me, al di sopra ed oltre la semplice amicizia.”
John brontolò.
“Sherlock, non c’è niente di niente che è semplice riguardo la nostra amicizia.”
“Inoltre, ho catalogato sintomi simili sulla mia persona che trovo difficile spiegare in altro modo: per esempio, il mio battito è abbastanza irregolare e i miei palmi…” si soffermò su di essi per qualche istante. “Sono alquanto orribilmente sudaticci.”
John sbatté le palpebre verso di lui, ora completamente sconcertato.
“Tu sei… attratto da me?” Chiese, lentamente.
“Tu sei attratto da me.” Statuì Sherlock.
“Io… Sherlock–“
Improvvisamente le porte della sala si spalancarono e Mycroft e Aracelia fecero il loro ingresso, carichi di vassoi di budino di Natale tortini natalizi. [3]”
“Scusate se vi ho fatto aspettare ragazzi!” Trillò Aracelia. “Dove si è cacciata Holly?”
John scollò il suo sguardo da Sherlock, chiedendosi se la sua espressione sembrasse così fuori di sé come lui si sentiva.
“Ha fatto un salto fuori per un minuto.” Spiegò, balzando in piedi. “Vado a cercarla.”
Non riuscì a fuggire dalla stanza abbastanza velocemente per i suoi gusti.

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Ndt:
[1] Per chi non lo sapesse, i Christmas crackers sono parte della tradizione natalizia inglese. Si presentano come una sorta di caramella allungata, generalmente ricavata dal cilindro del rotolo della carta igienica ricoperta di carta da regali se costruiti in casa. Si apre in coppia, in quanto ogni persona ne tira un estremità finché il cracker non si rompe. Ne fuoriescono dolci o piccoli regalini (precedentemente inseriti nel tubo, ovviamente!)
[2] Holly significa proprio agrifoglio in inglese. È un gioco di parole che non credo si riesca a tradurre in italiano.
[3] Di nuovo, sono dolci tipici inglesi, non hanno uno specifico nome in italiano.
 
Nota della traduttrice:
No, davvero, chi non muore si rivede!
Io non sono morta, ma il mio pc lo è stato per un mese, perciò, dopo una meritata vacanza è tornato giustamente senza nemmeno l’ombra di tutti i miei file salvati (mi sono mangiata le mani per non avere fatto un back-up dei dati!).
Perciò, non solo sono in un ritardo mostruoso, ma mi è toccato pure tradurre di nuovo la storia. Einstein faceva bene a dubitare della tecnologia.
In ogni caso, cosa ne pensate? Fatemi sapere se non siete troppo occupati a tirarmi pomodori virtuali in faccia!

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


CHAPTER 3

 

John schizzò fuori dall’enorme portone principale della villa, inspirando profondamente ingenti quantità d’aria gelida. Holly era appollaiata su uno dei basamenti in marmo accanto alla porta, Blackberry in una mano e una sigaretta nell’altra. Alzò lo sguardo al suo arrivo improvviso.
“Oh mio Dio. Oh mio Dio.” Mormorò, ravviandosi i capelli e accasciandosi al suo fianco contro il muro.
“I battibecchi di Mycroft e Sherlock stanno diventando un po’ troppo per te?” Domandò con un sorrisetto.
“No, no.” le spiegò. “Sherlock mi stava solo porgendo omaggio di alcune deduzioni…di quelle dell’ambito piuttosto personale.”
“Ah.”
Gli allungò il pacchetto di sigarette che lui tuttavia rifiutò con un gesto della mano, sebbene dovesse ammettere di essere più che un tantino tentato, nonostante non fumasse da anni ormai. Era conscio che Sherlock stava facendo del suo meglio per smettere e non voleva rendergli le cose più difficili rientrando in casa con la puzza di –
- Gesù, da quando aveva iniziato a prendere tutte le decisioni basandosi su quell’idiota del suo coinquilino?
Digrignò i denti.
“Holly.” Esclamò improvvisamente. “Cosa ne pensi, ehm, intendo. Ti piacerebbe andare a bere qualcosa insieme qualche volta? Solo noi.”
Si voltò verso di lui, scrutandolo minuziosamente da capo a piedi, prima di regalargli uno di quei sorrisi leggermente impietositi che era così esperta a fabbricare.
“E riguardo a Sherlock?”
“Io e Sherlock non stiamo insieme!” Urlò John, agitando le braccia in aria per la disperazione.
Holly alzò gli occhi al cielo.
“John. Ovviamente state insieme.”
“No, non è così, non stiamo davvero, davvero insieme. Sta solo facendo credere a Mycroft e a sua madre che siamo una coppia, non capisco per quale strampalata ragione – non chiedermi che cosa frulli per la testa di quell’uomo, sul serio – ma non usciamo assieme.”
“Oh, no, non ho detto che voi uscite assieme” replicò tranquillamente Holly.
“E anche se – aspetta.” John sbatté le palpebre. “Hai detto che non pensi che noi usciamo insieme.”
“No, voi non uscite insieme.”
“Oh, grazie Signore.” Esclamò John, afflosciandosi contro la parete.
“Non ancora.” Aggiunse, guadagnandosi un’occhiataccia da John.
“Sta’ zitta.”
“Mycroft e ‘Mamma’ ci credono, però.” Affermò, calcando l’ultima parola con un’intonazione incredibilmente simile alla sinuosa  pronuncia strascicata di Mycroft. “A quest’ora avresti pensato che l’avrebbero capito; a dire il vero, non è che siano quel che si dice persone disattente.”
John sbuffò una risata amara.
“Ma negli ambiti che riguardano Sherlock, ritengo che si siano lasciati un po’ accecare dall’emozione che lui abbia davvero permesso a qualcuno di rimanergli accanto.  Non è mai accaduto realmente prima d’ora. Beh, una volta, forse, all’università. Non così.”
John si morse il labbro mentre una manciata di emozioni contrastanti si dichiaravano guerra nel suo petto, il tutto unito ad una vaga pugnalata di qualcosa che pensò si potesse identificare come gelosia. Non era molto sicuro di cosa avesse combinato per guadagnarsi le attenzioni di questo irritante e sbalorditivo uomo – o era meglio forse dire sbalorditivamente irritate, si chiese. Sembrava che la confusione emotiva stesse diventando il suo pane quotidiano nella vita accanto a Sherlock. Solo confusione in generale, sul serio.
“E ovviamente, resta il fatto che siete ovviamente attratti profondamente l’uno dall’altro.” Continuò Holly.
“Io – cosa –no, no, io non – non siamo una dannata coppia.”
Gli rivolse un sorrisetto prima di ritornare a tamburellare sul suo telefono.
“Esci con me.” Propose nuovamente John, girandole attorno e fissando intentamente il suo viso. “Andiamo. Sono un ragazzo a posto, coinquilino pazzo a parte. Tu sei una ragazza a posto, capo pazzo a parte. È perfetto. Potremo raccontarci un sacco di storie!”
Holly alzò un sopracciglio, un’espressione di consapevolezza dipinta in volto.
“Vuoi uscire… e trascorrere la serata a parlare di Sherlock Holmes?”
“No, io-“ John scosse la testa, confuse. “Non intendevo quello.”
 
“John” si rivolse all’uomo afferrandogli le mani, dopo aver fatto scivolare il cellulare in tasca. “Facciamo finta che io esca con te – cosa che non farò, a proposito, perché sono molto più concentrata sulla mia carriera e non ho tempo per gli appuntamenti. Le relazioni richiedono troppo sforzo per una minima ricompensa.”
“Sembra quasi che sia tu quella che debba uscire con Sherlock.” Sorrise John, aggiungendo subito “… non che qualcuno qui stia uscendo con Sherlock.”
“Ma facciamo finta che accetti. Poniamo che mi porti al bar, o forse a cena, o persino a teatro. Mettiamo di trascorrere una bella serata.”
“Sì? E se fosse così?”
“E ora poniamo che tu riceva un messaggio nel bel mezzo dell’appuntamento da Sherlock Holmes che ti chiede di precipitarti a destra e a manca senza preavviso. Dove vorresti essere?”
John assunse un cipiglio pensoso.
“Beh, potrebbe essere in pericolo. È in pericolo? Teoricamente, intendo.”
“Non è in pericolo, no. Teoricamente. Ma non è questo il punto, John. Ti ho chiesto dove vorresti essere.”
John la fissava mentre diverse espressioni contrastanti si facevano strada sul suo viso. Rimasero così per un lungo istante, l’ombra di un sorriso sulle labbra di Holly mentre aspettava che il ragionamento di John raggiungesse la sua inevitabile conclusione.
“Oh, porca puttana.” Esclamò alla fine, lasciando scivolare la testa tra le mani.
“Siamo una cazzo di coppia.”
Holly gli concesse un paio di pacche sulla spalla in segno di comprensione.
“Lo so.”
Si alzò dal basamento e spinse il portone principale dopo un’ultima occhiata al suo Blackberry.
“É meglio rientrare.” Propose gentilmente a John.
“Non possiamo semplicemente stare qui fuori?” guaì John. “Per favore?”
“Staranno per mangiare il dolce ora. Saprà che abbiamo parlato di lui, lo sai.”
John annuì stancamente.
“E non vuoi deludere la Mamma.”
Scuotendo la testa, John si lasciò condurre docilmente dentro la villa. Non era sicuro che fosse Mamma quella che aveva paura di deludere.
 

________________________
 
 
Nota della Traduttrice: Okaaaay capitolo TRE! Non ci sono grandi note, non c’è davvero molto da dire, capitolo corto ma risolutivo. Non lo adorate anche voi John quando cerca di negare l’evidenza?
In ogni caso, avviso che il prossimo capitolo potrà essere pubblicato un tantino in ritardo, causa esame imminente di chimica (brrr… vorrei avere il cervello di Sherlock per una volta).
Fatemi sapere se vedete erroracci o strafalcioni, siccome non sono provvista di beta, potrebbe essermi scappato qualcosa.
Au revoir mes chers ;)
OceanMind

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


CHAPTER FOUR



Rientrarono nella sala da pranzo accompagnati da un rumore di risate. Dai lati opposti della tavolata Mycroft e Aracelia tiravano un cracker, entrambi concentrati per lo sforzo di impadronirsene, mentre le risatine di Aracelia per il figlio si intervallavano a piccoli urletti.
Sherlock indossava una coroncina di carta viola, notò John divertito, che da un lato gli era scivolata su un occhio. Sentì il cuore gonfiarsi di uno strano affetto che aveva finito con l’associare a quell’uomo ridicolo, e per un momento, osservando la scenetta festiva una volta rincasato dal gelo invernale, non poté che percepire l’intimo calore della famiglia riunita a Natale.
L’atmosfera si dissipò immediatamente nell’istante in cui fecero nuovamente ingresso nella stanza e si ritrovarono gli occhi di tutti puntati addosso, mentre Mycroft alzava un sopracciglio a Holly. John arrischiò  uno sguardo cauto a Sherlock, che lo scandagliò sgranando gli occhi di rimando,  cercando segni del suo destino sul volto dell’amico. Oh, dannazione.  La sua occhiata rimbalzò furtivamente tra lui ed Holly, evidentemente deducendo l’intera conversazione in un colpo solo, e quindi si rasserenò.
“Ti ho tenuto da parte un cracker, John.” Gli disse porgendogliene uno con noncuranza.
John esitò, mentre la sensazione che accettarlo andasse in qualche modo oltre il cracker stesso si faceva largo in lui. Sherlock lo fissava attentamente, il sopracciglio leggermente aggrottato.
Allungò la mano e ne afferrò un’estremità.
“Grazie.”
John ritenne che Il crack che ne risultò fosse anticlimatico come non mai. Non riusciva davvero a capire lo scopo dei cracker. Raccolse il suo premio dal tavolo per poi ritornare a sedersi al suo posto.
“Un kit da cucito da viaggio.” Dichiarò. “Molto utile.”
Sherlock ridacchiò.
“Adesso puoi rammendarmi le calze.” Affermò, mentre una scintilla attraversava i suoi occhi. John si ricordò della loro conversazione lo fulminò con lo sguardo, promettendosi di non svolgere faccende di casa per il resto del mese. Poteva aver ammesso a sé stesso che lui e Sherlock avrebbero potuto essere una sorta di coppia, ma non c’era verso che lui fosse diventato anche sua moglie.
“Ci deve essere un modo di assicurarsi che tu rimanga sempre con la parte più lunga del cracker, mi aspetto che tu abbia fatto qualche tipo di studio a riguardo.” Sostenne. “Mi hai lasciato vincere!”
“Naturalmente. Tuttavia,” Sherlock spiegò senza togliergli gli occhi di dosso. “Io ho già il mio premio.”
John deglutì, il calore che risaliva fino alla nuca. Con la coda dell’occhio poteva vedere Holly ghignare con aria soddisfatta.
“… oh, davvero?” tentò, con una voce di qualche ottava più alta del normale. “E cosa sarebbe?”
Sherlock si stampò in faccia un sorriso malvagio, quindi tirò fuori qualcosa dalla tasca della giacca.
“È una piccola lente d’ingrandimento!”
Fece un cenno verso l’oggetto come per provare il punto.
“Molto adatta, non credi, John? Non raggiunge gli standard del mio equipaggiamento naturalmente, ma è un ornamento divertente. È più lo stile di Anderson, immagino.”
John scosse la testa, rassegnato. Era abituato a sperimentare un certo grado di frustate intellettuali quando era nelle vicinanze di Sherlock, ma se avesse aggiunto i ‘sentimenti’ al tutto… beh, sarebbe solamente stato ridicolo. E lui sarebbe stato ridicolo a farlo. Ed era ridicolo per averlo già fatto.
Si aiutò versandosi un altro grosso bicchiere di vino e rabboccò gli altri allo stesso tempo. Mycroft era nel bel mezzo di qualche aneddoto divertente riguardo ai corridoi del potere e John si decise a riportare la sua attenzione all’intera tavolata, cercando nel contempo di ignorare fermamente il calore della coscia di Sherlock contro la propria.
“… e alla fine è saltato fuori che la banana era solo una parte del suo pranzo!” terminò Mycroft con una risata sguaiata.
John si era perso il succo e la maggior parte della storia ma rise comunque, cercando disperatamente di dissimulare che fosse assolutamente normale partecipare al cenone di Natale della famiglia del proprio coinquilino nonostante allo stesso tempo si stesse fingendo di uscire con il suddetto coinquilino, che si era appena capito che forse davvero si voleva frequentare, ma non si potesse comunicare al suddetto che sarebbe stato piacevole farlo in quanto tutti gli altri nella sala pensavano che lo si stesse già facendo. [1]
E come ciliegina sulla torta, il proprio coinquilino probabilmente sapeva tutto quanto ed era già cinque passi avanti…
O questo o (peggio) si era completamente dimenticato di tutto quello che avevano discusso in precedenza ed era andato avanti occupando il suo cervello con qualcos’altro di totalmente imperscrutabile e ridicolo.
“Ridicolo.” Borbottò John, guadagnandosi un’occhiata pungente da Sherlock.
“Non credi!” ridacchiò Mycroft che evidentemente stava pensando si stesse riferendo al suo aneddoto della banana. “Qualcuno vuole altra Torta di Natale?”
Si alzò e iniziò a distribuirne a tutti con un gesto plateale.
“Ah, tesoro, mi piace sentire i racconti del tuo lavoro.” Asserì Aracelia, sorseggiando il suo vino. “Mi piacerebbe che mi dicessi qualcosa in più del tuo, Sherlock.”
Sherlock si accigliò.
“Non hai mai approvato il mio lavoro, madre.”
“Beh,” ponderò. “Non molto. Ma se è importante per te… neanche tu non hai mai approvato I miei tentativi nell’interior design.”
Sherlock emise un suono sprezzante.
“Troppa malva.”
Aracelia alzò gli occhi al cielo come per implicare che Sherlock non avesse assolutamente alcun gusto. Dato che l’idea di decorazione di Sherlock era spalmare vernice gialla sui muri e poi spararvi contro, John fu in qualche modo incline a concordare con lei su questo punto.
“Beh, sono sicura che il buon dottore ci delizierà con alcuni racconti delle tue avventure.” Affermò, alzando le sopracciglia a John. Questi scoccò un’occhiata a Sherlock, che scosse le spalle per sottolineare la sua indifferenza.
“Naturalmente.” Annuì.
“Insieme ad una fetta di torta e un bicchiere di sherry in salotto, allora.” Continuò Aracelia, che improvvisamente balzò in piedi e uscì dalla stanza facendo ondeggiare platealmente il vestito. Le uscite drammatiche dovevano scorrere nel patrimonio genetico di famiglia, rifletté John.
Si alzarono tutti e seguirono Aracelia lungo l’atrio mentre Sherlock borbottava qualcosa a denti stretti. Sebbene avessero cenato in sala da pranzo, diverse candele erano state accese nel salotto insieme ad un fuocherello scoppiettante nel caminetto, ed in quel momento la stanza appariva avvolta da una calda luce tremolante. Per quanto Sherlock l’avesse sbeffeggiata, pensò John, Aracelia aveva decisamente occhio per queste cose: si sentì come se avesse appena messo piede in  una cartolina di Natale all’epoca Vittoriana.
“Allora John” iniziò Aracelia una volta che tutta la comitiva si era accomodata e ruminava allegramente la torta di Natale. “Raccontami un po’ delle tue avventure con il mio giovanotto.”
John scansionò la sua mente alla ricerca di una storia adatta.
“Umm, immagino che siccome siamo in tema e non l’ho ancora scritta sul mio blog, potrei raccontarvi de ‘L’Avventura del Carbonchio Azzurro’… [2]”
Fu interrotto da uno sbuffo divertito di Sherlock che si era appollaiato accanto a lui sul (enorme e non particolarmente comodo) divano.
“‘L’Avventura del Carbonchio Azzurro’?” Esclamò  incredulo. “È così che la chiamerai? Vorrei che la smettessi di affibbiare questi nomi fantasiosi ai post del tuo blog, John.”
“La smetterò di dare nomi fantasiosi quando tu la smetterai di comportarti come qualcuno appena uscito da un dannato romanzo.” Replicò John. Sherlock gli rivolse uno sguardo torvo.
“Continua, John.” Lo incoraggiò Aracelia.
“Bene. Una mattina di un paio di settimane fa sono sceso in cucina; era una settimana decisamente gelida e metà degli autobus era stata cancellata. Sherlock era seduto sul divano, avvolto nella sua vestaglia, quella viola mi pare –“
“E di quale rilevanza sarebbe il colore della mia vestaglia?” Lo interruppe Sherlock. John alzò le spalle.
“Nessuna. La sto solo raccontando come la ricordo.”
“In ogni caso, perché ti ricordi il colore della mia vestaglia?” Domandò. “Riesci a malapena a ricordarti dove lasci le chiavi. Nonostante il fatto che sono sempre o nella tua tasca, o sul tavolino in salotto o vicino alla teiera. Come fai a non capirlo ogni volta, per me rimane un mistero.”
“Perciò a me non è permesso notare il colore della tua vestaglia ma a te è permesso notare dove ho l’abitudine di lasciare le chiavi?” Ribatté John, consapevole che la sua voce stava diventando più acuta dall’esasperazione.
“È il mio lavoro.” Rispose Sherlock, enfatizzando l’ultima parola.
“Non è il tuo lavoro, non su di me!”
“Beh, allora è il mio hobby.”
“Beh allora io l’ho notata perché non te l’avevo mai vista indosso e ho pensato che ti stesse–“
Improvvisamente John divenne scomodamente consapevole  che tutti gli occhi nella sala erano puntati meticolosamente su di loro.
“… bene.” Terminò la frase debolmente. Per sua sorpresa, Sherlock arrossì e distolse lo sguardo. Si schiarì la voce.
“Comunque, stavo dicendo. Sherlock era seduto sul divano. Non so cosa stesse indossando. Non ne ho idea. Non ho notato.”
Holly ridacchiò in segno di apprezzamento..
“E stava fissando un cappello di feltro davvero orribile, che sembrava fosse stato calpestato o trascinato per le fogne o qualcosa del genere, e che a quanto pare gli era stato consegnato proprio quella mattina…”
Quindi John proseguì nella descrizione de ‘L’Avventura del Carbonchio Azzurro’ (forse sarebbe stato meglio cambiare il nome per il post del blog, rifletté). Escluso Sherlock, il resto della compagnia si rivelò un pubblico eccellente: Holly e Aracelia infilavano ‘ooh’ e ‘aah’ nei punti giusti e Mycroft, che stava diventando gradualmente sempre più ubriaco di sherry, cercava di dedurre tutto nella storia prima di quanto avesse fatto il fratello al tempo. Sherlock sbuffò lungo tutto il racconto e continuò ad interrompere ogni volta che il coinquilino affermava qualcosa di anche leggermente errato, ma John intuiva quanto in realtà fosse decisamente compiaciuto che le sue gesta venissero raccontate di fronte ad un fuoco scoppiettante e ad ascoltatori che le gradivano.
Si ritrovò ad apprezzare molto il modo in cui le orecchie del suo amico si tingevano leggermente di rosa ogniqualvolta lui stesso lodava le sue azioni; in realtà c’era la possibilità che si stesse divertendo un po’ troppo ad accumulare manciate di aggettivi adoranti, fino al punto che Sherlock se ne accorse e gli rivolse uno sguardo sofferente.
Un ora e mezza e parecchi sherry dopo, John aveva terminato il suo racconto (che si sarebbe risolto molto più velocemente senza le interruzioni di Sherlock), e i fratelli Holmes si erano imbarcati in una discussione riguardo ai relativi meriti e pecche degli ombrelli pieghevoli e non.  Mycroft sembrava sostenere la superiorità dei classici sulla base dello stile, mentre Sherlock era a favore dei pieghevoli in quanto praticità e trasportabilità.
Sherlock stava anche migrando gradualmente verso il suo lato del divano, notò John (anche se stava facendo finta di ignorare la questione). Si chiese vagamente se forse avrebbe potuto prendere la mano a Sherlock. Era il suo compagno, dopo tutto. Beh, non il suo vero compagno. Ma stava decisamente facendo finta di essere il suo compagno. Oh, beh, qualsisasi cosa stesse succedendo in quel frangente. Gli sarebbe piaciuto far sapere a Sherlock che in qualche modo per lui andava bene continuare la sceneggiata e fingere di stare assieme, per il momento almeno. La sua testa iniziava a galleggiare un po’ per via degli effetti dell’alcool che si stava facendo strada. Prima Sherlock aveva afferrato la sua mano a tavola, così semplicemente, perché era così semplice per Sherlock e non per lui?
“Cosa ne pensi, John?”
John staccò lo sguardo dalla mano sinistra di Sherlock, che aveva fissato per gli ultimi dieci minuti.
Sembrava che Mycroft gli stesse parlando.
“Scusate, riguardo a cosa?” domandò.
“Classici o pieghevoli?” gli rispose bruscamente Sherlock, evidentemente seccato che John non avesse seguito la sua conversazione sugli ombrelli francamente affascinante.
John ci pensò per un attimo, dopodiché fu assalito da un attacco i risatine isteriche.
“Credo che non sia la lunghezza del manico che conti.” Esclamò. “Ma come lo si usi.”
Sherlock lo scandagliò come se gli fosse cresciuta una testa in più, a quel punto Mycroft gettò indietro la testa e si abbandonò ad una risata fragorosa. Continuò e continuò, la sua risata che risuonava per tutto il salotto, finché non si calmò e si strofinò gli occhi.
“Dottor John Watson.” Affermò. “Può restare, credo. Lei mi piace proprio.”
“Anche a me.” Concordò Aracelia, che in qualche modo era riuscita a rimanere tranquilla e imparziale durante tutta la conversazione sugli ombrelli. “Il che mi ricorda, possiamo scambiarci i regali ora? Si sta facendo tardi.”
 
________________________

Ndt: [1] Chiedo scusa se la traduzione è imprecisa, tuttavia se guardate la storia originale l'autrice imposta lo sproloquio di John usando participi e gerund, che in inglese è corretto, per l'amor del cielo, ma in italiano è davvero difficile da rendere. Ho preferito non aggiungere punti o altro e tenere questo pensiero molto lungo, quindo chiedo perdono in amticipo per eventuali errori che so che sono lì ma io non vedo. (sigh*)

[2] La storia è presa dal canone, così anche io ho tradotto il titolo come in italiano è stato tradotto da persone ben più qualificate di me.

Ps: Ci terrei ad aggiungere che cerco di mantenere la traduzione più letterale possibile (nel senso che cerco di cambiare l'impostazione del racconto il meno possibile), tuttavia a volte ci sono espressioni che in italiano suonano davvero meglio, così preferisco aggiungerle.
Naturalmente se vedete erroracci fatemi sapere, così provvedo a correggere! (consigli e critiche bene accette!)

Buon giorno ragazzuoli!
Non sono beeeeeeeeellissssssimi? Mi rendo conto che questo capitolo è ancora di passaggio, ma il bello deve ancora venire!
Mi rendo conto che pubblicare una fanfiction di Natale a Pasqua non sia molto canonico, tuttavia ho deciso di fare l'anticonformista (sì, vabbé!).
Scherzi a parte, ora che il periodo esami è terminato, potrò tornare ad aggiornare con una maggiore regolarità.
Grazie mille a coloro che seguono questa fic e abbiate pazienza con la traduttrice, poverina.
A presto (promesso)
OceanMind

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***


CHAPTER FIVE

 

 
Aracelia si volse e racimolò un mucchietto di regali da sotto l’albero. John fu investito da un attacco di panico improvviso: aveva portato il suo regalo per Sherlock – l’aveva lasciato in un sacchettino di plastica accanto alla porta – ma avrebbe dovuto comprare regali anche a tutti gli altri? Non ci aveva nemmeno pensato, dopotutto non aveva mai incontrato Aracelia, non conosceva neppure il vero nome di Holly e certamente non poteva dirsi amico di Mycroft – più un ostaggio occasionale. Non parevano il tipo di conoscenze per cui si dovesse comprare un regalo. D’altro canto molti aspetti della sua vita non si stavano rivelando normali in quei giorni.
Holly era intenta a strappare un piccolo pacchetto finemente incartato che le era stato allungato da Mycroft; l’espressione da posata donna in carriera che John era solito osservare sul suo volto era sostituita da un’estasiata agitazione. Alla fine riuscì ad aprire il pacco da cui scivolò… un altro Blackberry.
“È l’ultimo modello.” Gongolò Mycroft. Holly strillò prima di buttargli le braccia al collo.
“Come facevi a saperlo!”
“È personalizzato. Pressoché su misura per te, mia cara. Penso che lo troverai abbastanza… utile. Può essere utilizzato per controllare lo sterzo di qualsiasi macchina,  gestire qualunque dispositivo elettronico nel raggio di dieci metri e rintracciare la posizione precisa di ogni telefono acceso – insieme ad un mucchio di altre, beh, applicazioni un po’ più losche.”
Holly emise un piccolo mugolio mentre accarezzava il suo nuovo giocattolo.
“Qualsiasi cosa tu voglia aggiungere, basta farmelo sapere e dirò a Q di provvedere immediatamente.” Aggiunse Mycroft.
John soffiò una risatina.
“Q? Sul serio?”
“Quentin Bleakley. La persona incaricata della nostra area tecnologica, io lo chiamo Q e lui chiama me M… adoriamo le nostre piccole battute.” Spiegò sghignazzando Mycroft. John rise. Prima di quella sera non avrebbe mai sospettato che Mycroft conoscesse il significato della parola ‘battuta’, eppure stava rivelando di possedere una sorta di senso dell’umorismo.
“James Bond?” strascicò Sherlock, “John mi ha costretto a guardarli tutti. Davvero una scemenza sensazionale, non capisco perché gliel’ho permesso.”
John alzò gli occhi.
“Beh, facciamo sempre quello che vuoi fare tu.”
“Tipo cosa?”
“Tipo misurare la crescita delle unghie nei cadaveri. Tipo iniettare ai meloni i veleni più disparati. Tipo guardare gli episodi di Jeremy Kyle – e l’ultima della lista è la peggiore, a proposito.”
Sherlock si lasciò scappare un sbuffo di derisione, non disse nulla. John lo intese come un segnale di sconfitta per quella specifica battaglia.
Aracelia stava estraendo una sciarpa di seta ornata con complessi ricami dalla carta da regalo sulle sue ginocchia, altra cortesia di Mycroft naturalmente. La esaminò con piacere e se la avvolse al collo. Probabilmente costava più di tutti i suoi averi, rifletté John.
“Oh tesoro, è magnifica.” Esclamò. “Hai un gusto impeccabile nell’abbigliamento.”
 “A proposito,” Mycroft si rivolse al fratello. “Il tuo nuovo guardaroba ti aspetta a Baker Street per quando sarai di ritorno, Sherlock. Avevo pensato ad un cappotto con un taglio meno svolazzante, nel nome della praticità, ma sono cosciente di quanto adori infilarlo sventolandolo drammaticamente.”
Improvvisamente il contrasto tra lo stile di vita austero di Sherlock e il suo vestiario firmato di eccezionale fattura ebbe perfettamente senso
“Di’ grazie, caro.” Lo sollecitò Aracelia.
“ ’zie.” Borbottò Sherlock con lo sguardo fisso sul pavimento.
“E hai preso qualcosa per qualcuno quest’anno?” Domandò dolcemente, con una nota divertita nella sua voce.
“John.” Affermò, gli occhi che non abbandonavano il pavimento. John annuì con un sorriso.
“Si, certo, ha promesso di non fare alcun esperimento nell’appartamento durante le vacanze di Natale. Non posso tenerlo lontano dal 221c, naturalmente, ma almeno le esplosioni sono un po’ più attutite là sotto.
“No, ho anche una cosa… un’altra.” Mormorò un tantino imbarazzato mentre si allungava per estrarre qualcosa dalla tasca del suo cappotto, che aveva gettato a casaccio sullo schienale di una delle poltrone. Spinse il pacchetto nelle mani di John. Era incartato con un foglio di giornale.
“Bella carta da regalo.” Commentò sottovoce Mycroft.
“La carta di giornale è un materiale perfettamente adeguato per impacchettare.” Ribatté acidamente Sherlock.
John aprì il pacchetto con cautela, perfettamente cosciente che ciò che Sherlock pensava potesse essere un bel regalo probabilmente sarebbe stato qualcosa che la maggior parte delle persone sane di mente non avrebbe nemmeno voluto sfiorare. Non era sicuro di cosa aspettarsi, davvero. Magari l’orecchio di qualcuno.
Era un Moleskine[1] nero, personalizzato con le iniziali J.H.W in rilievo sulla copertina. John percorse le lettere con il pollice.
“Ti piace?” Domandò ansiosamente Sherlock, un lampo di preoccupazione negli  occhi che John non era sicuro che tutti gli altri avrebbero potuto notare
“Lo adoro, Sherlock.” Confermò, sorridendo apertamente.
“È per gli appunti sui casi.” Spiegò Sherlock. “E per tutto ciò che vorrai scrivere a riguardo, davvero. Ora non dovrai più aggiornare quel blog osceno. Il mondo sarà risparmiato.”
John rise.
“Ma nessuno così sarà più in grado di leggerli. Questo è più o meno il punto di scrivere un blog, Sherlock.”
“Potrei leggerli io.” Gli rispose piano. John lo guardò con un cipiglio confuse, ma non portò avanti la discussione.
“Anche io ho qualcosa per te.” Gli comunicò balzando in piedi in modo da recuperare il sacchettino di plastica dall’altra parte della stanza. “Non è molto, io… sei una persona difficile a cui fare regali.”
“Non ho bisogno di regali.” Ribatté Sherlock, che tuttavia prese il pacchetto che John gli aveva offerto.
“Sì, appunto. Proprio per questo sei così complicato.”
Sherlock stracciò la carta da regalo immediatamente e alzò gli occhi quando scoprì un enorme libro sulle costellazioni dell’universo.
“Contiene una mappa stellare estraibile.” Disse John mentre combatteva per tenere un’espressione impassibile.
“Perché dovrei aver bisogno di una mappa stellare estraibile?” Esclamò Sherlock, esasperato.
“Perché è importante, credo che abbia anche le figure in 3D, in realtà. Per renderlo un pochino più divertente. Comunque, avevi detto che potevi apprezzare le stelle.”
“Posso apprezzarle, ma non mi interessano.” Protestò Sherlock, ripetendo passo passo le parole che aveva utilizzato nella loro ultima conversazione sull’argomento. E nella penultima. E in quella prima ancora.
“Beh.” Affermò John. “Qualche volta le cose che apprezziamo iniziano anche ad interessarci.”
Sherlock alzò immediatamente il viso, stupefatto, e lo scandagliò minuziosamente. John si mosse, a disagio, ma sostenne il suo sguardo senza sbattere le palpebre. Poteva quasi vedere gli ingranaggi che lavoravano nel suo cervello.
“Sì, immagino sia così.” Mormorò Sherlock. Di scatto aprì il libro sulle sue ginocchia, mentre I suoi occhi stavano già schizzando tra le pagine con quella strana e distaccata concentrazione a cui John era ormai avvezzo.
“Se avessi saputo che stavamo usando il Natale come scusa per insegnare a Sherlock qualche nozione generalmente conosciuta, gli avrei comprato una copia di ‘Politica per Negati’.” Commentò seccamente Mycroft.
“È veramente un bel pensiero, John.” Asserì gentilmente Aracelia, cercando ovviamente di rimediare al fatto che Sherlock non lo avesse ringraziato, malgrado a John non importasse davvero. Ci era abbastanza abituato. La signora Holmes e Holly tubarono quindi sopra la scatola di cioccolatini al peperoncino che la padrona di casa aveva comprato per lei; entrambe d’accordo sul fatto che fosse un’ottima idea aprirla immediatamente.
“Dovremo iniziare ad avviarci.” Annunciò Sherlock all’improvviso, chiudendo il libro con un tonfo.
“Oh, no, non potete, ragazzi, starete qui stanotte. E tu non puoi chiedermi di imparare a sferruzzare e poi non rimanere per vedere i frutti del mio lavoro.”
Sherlock impallidì mentre fissava sua madre che stava raccogliendo alcuni pacchetti bitorzoluti da sotto l’albero.
“Oh, non l’avrai fatto sul serio.” Sospirò. Nel momento in cui Aracelia allungò loro i regali, John notò che anche Mycroft stava osservando la scena, alquanto sconcertato. Si sentì strano a non averle comprato nulla: si annotò di indagare sulla data del suo compleanno e spedirle una bottiglia di vino o qualcosa di simile. Preferibilmente non avvelenato.
“Maglioni per miei ragazzi, per tenervi caldi.[2]” Esclamò allegramente mentre strappavano la carta. John osservò il cumulo di lana grigia e blu che aveva scartato, largo e deforme, ma certamente comunque un maglione. Sembrava fosse persino un tentativo di maglione a trecce.
“È… straordinario.” Commentò, infilandoselo dalla testa. “Adoro un buon maglione.” Era davvero troppo grosso, ma John aveva sempre pensato che dovesse essere il timbro di un autentico maglione natalizio. Sorrise raggiante ad Aracelia, che sembrava estasiata che apprezzasse il suo operato.
Udì un gridolino strozzato dalla sua destra
“Malva?”
Sherlock stava esaminando un maglione di un viola sporco, con un’enorme ‘S’ rossa decorata sul petto
“Il malva ti sta bene, tesoro. Ora mettilo, fammi vedere se ti va bene.”
“Sì, mettilo su, Sherlock.” Si intromise la voce un leggermente smorzata di Mycroft, che stava litigando per infilarsi un maglione arancione con una ‘M’ marrone sul petto. Quando finalmente la sua testa riuscì a spuntar fuori, John dovette combattere per trattenere le risate alla vista di Mycroft Holmes, Magnifico Manipolatore Governativo (probabilmente il suo titolo ufficiale, rifletté), indossare un peloso maglione arancione acceso.
L’immagine dell’espressione inorridita di Sherlock dopo essersi infilato il proprio non aiutò: era lungo quasi fino alle ginocchia, e con i capelli arruffati il suo amico sembrava proprio un bambinetto petulante. John provò ad immaginare cosa avrebbero detto Lestrade e la sua squadra se avessero potuto vedere il grande Sherlock Holmes, e sentì le risate rigirarsi più volte nel petto.
Stava facendo un ottimo lavoro per non sghignazzare, finché non incrociò gli occhi di Holly già stracolmi di risa silenziose insieme alle lacrime che le rigavano il volto, e non riuscì a trattenersi un secondo di più: scoppiò in un’ondata di risolini, Mycroft e Aracelia  gli fecero compagnia. Risero fin quando gli addominali non iniziarono bruciare, fin quando persino Sherlock si arrese alla risata collettiva con il suo ghigno distintivo, con il quale sembrava sempre che metà della sua faccia fosse allarmata dal rumore che proveniva dall’altra metà.
Alla fine riuscirono a fermarsi – sebbene non prima che Aracelia li avesse costretti a posare per diverse foto con i loro maglioni – e collassarono sul divano.
“Ho paura di non averle portato nulla.” Si scusò John.
“Oh, va bene lo stesso. Oltretutto, sono solo felice che Sherlock abbia trovato qualcuno che badi a lui ora, è abbastanza come regalo per l’anno intero.” Gli sorrise. Sherlock si immusonì e raggomitolò le ginocchia dentro il maglione.
“Beh.” Le rispose John. “Anche lui si prende cura di me, lo sa.”
“Ma davvero?” Intervenne Mycroft, allungandosi un po’ verso di loro, le mani giunte in maniera simile a suo fratello minore. “Interessante… prego, continua.”
“Ehm. Beh, una volta mi ha preparato una tazza di tè.”
Mycroft grugnì.
“Se mi addormento sul divano lui di solito mi copre con il suo cappotto.” Continuò John,  pensando ad alta voce. “Sa sempre se mi serve un po’ di pace quando studio le mie riviste mediche. In qualche modo è in grado di capire quando sto facendo un incubo ed inizia a suonare il violino per calmarmi.
“Non sapevo te ne fossi accorto.”
John annuì distrattamente, la sua testa che scorreva la lista delle centinaia di piccoli gesti che mostravano  la considerazione  di Sherlock per lui. Non ci aveva mai pensato prima, di come dimostrasse che ci tenesse a lui senza renderlo manifesto, come molte persone avrebbero fatto. Gli provocò una strana sensazione di calore nel petto.
“Quando ordiniamo cinese sa sempre che voglio metà riso e metà spaghetti, ha imparato a tenere le parti del corpo in uno scomparto separato del freezer, il che è un netto miglioramento. Ovviamente, mi salva la vita qualche volta.”
In effetti, più di qualche volta, rifletté. Non sarebbe stato necessario prima, nella sua penosa vita precedente in scala di grigi. Guardò il suo amico, gli strani occhi color ardesia, gli zigomi affilati, l’incessante teatro della sua esistenza, e non fu sicuro del perché non se ne fosse accorto prima.
“Infatti, penso che probabilmente mi abbia salvato la vita in più di un senso.” Affermò tranquillamente.
Sherlock si volse improvvisamente verso di lui, allargando quasi impercettibilmente gli occhi mentre cercava il viso di John, evidentemente  esaminando tutti i possibili significati dietro alle sue parole. Per la prima volta sembrava fosse sprovvisto di una risposta concisa e tagliente. Per un attimo John fu incerto su come continuare nel modo migliore.
Quindi si avvicinò e intrecciò le sue dita a quelle di Sherlock, con la naturalezza  di chi lo avesse fatto migliaia di volte, e fu ricompensato con un sorrisino timido.
“AWWWWWWWWWWWWWWWW!” strillò Holly verso di loro, chiaramente sotto i fumi di un po’ troppo sherry. John provò a lanciarle uno sguardo, ma non riuscì davvero a cancellare il sorriso dal suo volto.
“Penso che sia meglio che porti Holly a casa, Mamma.” Comunicò Mycroft, osservando ansiosamente la sua assistente personale. “Inizierà a blaterare tra qualche minuto, e chi sa quali segreti di stato potrebbe spifferare.”
Holly gli fece una linguaccia.
“Oh, non dire sciocchezze, Mycroft.” Gli intimò Aracelia. “Abbiamo un ottimo letto per lei qui. Può andare nella Stanza Blu, credo. L’ho sempre trovato il posto più rilassante per svegliarsi con un dopo sbornia. E tu non puoi semplicemente lasciarmi in questa enorme casa per tornare nei tuoi appartamenti a Londra questa sera, non a Natale!”
Mycroft sospirò.
“Suppongo che sia appropriato che assuma il mio  ruolo di capofamiglia una volta ogni tanto, molto bene.”
“E tu ti fermi, Sherlock?” Gli domandò sua madre. “Ho fatto preparare una camera a parte per te e John, se potessi solamente darmi una mano con il letto…”
John deglutì rumorosamente. Naturalmente la signora Holmes non avrebbe mai pensato di sistemarli in camere separate. Tutto d’un tratto le cose sembravano scorrere un tantino velocemente.
“Se sta bene a John…” azzardò Sherlock con uno sguardo incerto. John annuì lentamente, cercando ( con molta probabilità inutilmente) di nascondere il panico nei suoi occhi.
“Sì, sarebbe… sì.” Mormorò mentre sentiva il sangue che sfrecciava verso il suo viso. Beh, per la maggior parte verso il suo viso. Percepì un lieve gemito farsi strada per la sua gola, anche se non era sicuro se per desiderio o per disperazione. Non era facile da definire un confine tra i due quando si parlava di Sherlock.
“Eccellente. L’arrangiamento è pienamente soddisfacente, madre.” Affermò Sherlock con un sorrisino vagamente predatorio. Era l’espressione a cui John aveva fatto perfettamente l’abitudine quando si fiondavano per le strade di Londra alle costole del criminale della settimana. La scoperta non lo rese molto più tranquillo.
Aracelia si alzò e Sherlock la seguì fuori dalla stanza con ancora indosso quel ridicolo maglione, che lo faceva sembrare un bambino che arrancava dietro la madre. Cosa che, immaginò John, era vera. Li osservò mentre scomparivano, tentando di pensare a tutto meno al fatto che avrebbe condiviso un letto con il suo coinquilino. Collega. Migliore amico. Qualunque cosa fosse Sherlock.
Al suono di un lento applauso alle sue spalle John si volse, trovando Mycroft che batteva le mani teatralmente.
“Complimenti John, oh, molto bravo.” Disse. “Ci sono quasi cascato. Mamma è stata sicuramente ingannata. Davvero condividerai il letto con lui? Confesso di essere decisamente impressionato.”
La bocca di John si spalancò.
“Mycroft, cosa…?”
Mycroft agitò la mano. Sprezzante.
“Oh, non avrai creduto che anch’io pensassi veramente che foste una coppia? Dammi qualche credito in più. Vi ho tenuto  sotto sorveglianza per i nove mesi scorsi, confido che l’avrei notato. È gentile da parte tua continuare con la farsa stasera per il bene di Sherlock.”
John si ravviò i capelli sconfitto, occhieggiando Holly per un po’ d’aiuto. Sfortunatamente si era addormentata e stava sbavando sul cuscino.
“Quindi tu… non credevi fossimo una coppia?” Domandò, decisamente confuso. Mycroft alzò gli occhi.
“Naturalmente no, John.”
John non era sicuro se stesse per mettersi a urlare o scoppiare in una risata. Dopo aver impiegato l’intera serata fingendo di essere impegnato con Sherlock perché tutti credevano che stessero insieme, sembrava che a malapena nessuno lo pensasse –né Holly, né Mycroft. Si chiese se ameno Aracelia  lo credesse, o se stesse reggendo il gioco a sua volta. Stavano tutti solamente fingendo? Anche Sherlock? Anche lui?
“Tu gli fai bene, però.” Continuò Mycroft. “È bello che abbia un amichetto con cui giocare. E sembrava così orgoglioso quando ci ha detto che aveva finalmente trovato un ‘ragazzo’. E pare che tu gli abbia persino inculcato una scintilla d’altruismo, cosa che è oltremodo emozionante.”
John era ancora intento ad aprire e chiudere la bacca come un pesciolino, senza la più pallida idea su cosa dire. Mycroft lo stava osservando curiosamente.
“Scusa, personami.” Balbettò alla fine. “Ho appena scoperto che vivo in una finzione.”
Mycroft rise.
“Penso che la scelta del suo regalo per te sia alquanto  interessante. Molto significativa.” Proseguì.
“In che senso?” Domandò John. Che fossero gli Holmes a cavar deduzioni dai doni natalizi.
“È possessivo.” Rispose Mycroft, lanciando a John uno sguardo tagliente. “Sherlock non ha mai amato condividere i suoi giocattoli.”
“Cosa intendi dire?”
“Monopolizza già sia il tuo tempo che la tua attenzione. In questo modo,  se lui ha qualcosa a che fare con questo, non scriverai più neanche nel tuo blog. I tuoi pensieri saranno per lui e lui soltanto.”
John vi rifletté per qualche istante, immaginando le cose che avrebbe scritto se avesse saputo con certezza che solo Sherlock sarebbe stato l’unico a leggerle. Si sentì arrossire un poco.
“Forse alcuni dovrebbero esserlo.” Affermò alla fine. Mycroft alzò un sopracciglio ma non disse nulla, come se si aspettasse che John avrebbe continuato.
“Ora scusami, Mycroft.”  Asserì, balzando in piedi. “Credo che dovrei andare a cercare il mio ragazzo. Buona notte.”
Si avviò tranquillamente verso l’ingresso mentre un sorriso a trentadue denti si faceva largo sul suo viso, in ricordo del silenzio sbalordito che aveva appena lasciato.

 
 
 


 
Ndt:
[1] Moleskine è una marca molto famosa di cancelleria il cui articolo di punta sono le agende. Quando si attribuisce l’articolo alla marca infatti si intende proprio l’agenda basica su cui prendere appunti.
[2] La frase originale è un gioco di parole tra l’inglese ‘jumper’, ossia maglione, e il verbo ‘to jump’, che significa saltare (letteralmente sarebbe stato qualcosa come “maglioni per I miei ragazzi, i miei ragazzi salterini.”). Non era molto coerente, perciò ho preferito stravolgere totalmente la frase, cambiandone proprio il significato per renderla adeguata al contesto. Se conoscete/vi viene l’illuminazione per traduzioni migliori, siete liberissimi di scriverlo! :D
 
Oh, ma non è tutto così intimo e natalizio? (anche se di questo passo finirò di tradurre alle idi di agosto)
Non so voi, ma io adoro il personaggio di Sherlock in questo racconto, anche se un tantino OOC. Non vi ricorda un pulcino smarrito? Un bambino con le mani sporche di caramella che aspetta alzato Babbo Natale?
Okay, forse sto esagerando. Decisamente.
Capitolo mooooolto fluffoso, ma ce la faranno i nostri eroi a confrontarsi una buona volta?
Cercherò di aggiornare più velocemente possibile, intanto un ENORME GRAZIE a chi segue/ricorda/preferisce/recensisce questa fanfiction.
OceanMind
 

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Lo so, lo so che è passato un intero MESE! Ma l'università mi tiene impegnata come non mai! Godetevi il capitolo!



CHAPTER SIX



Si avviò ciondolando nella direzione in cui Sherlock e la signora Holmes si erano incamminati e salì la prima scalinata per il piano superiore che individuò, sebbene non avesse una reale idea su dove lo stesse conducendo. Fortunatamente non trascorse molto tempo prima di sentire il suono delle loro voci da una stanza alla fine del corridoio. Si stava dirigendo a passi decisi verso la porta, quando le parole di Sherlock interruppero il suo cammino.
“… occhi molto espressivi, che trovo interessanti, si può leggere ogni pensiero sul suo viso, cosa che dovrei reputare tediosa naturalmente, oh, tedioso, noioso, noioso, ma non lo è, madre, perché non lo è? Confesso che non ne ho idea, a prima vista è così pedestre, eppure –“
John si schiacciò contro la parete, pregando che non avessero sentito i suoi passi. Era sicuro che il suo coinquilino stesse parlando di lui; le sue parole erano offensive, davvero, tuttavia non riuscì a concentrarsi su quell’aspetto. Si ritrovò invece a pensare unicamente allo sfrenato sproloquio di Sherlock e all’improvviso formicolio ardente che si diffondeva per tutto il suo corpo.
“ –ed è comunque un brav’uomo, e leale in un modo che non riesco molto a capire… ma c’è una certa oscurità contrastante in lui, una brama di pericolo, di distruzione. Deve essere questo che lo attrae di me, alla fine, è come la falena con la fiamma[1]. E io sono più splendente della maggior parte delle persone. Ma che cosa, in questo scenario, desidera la fiamma dalla falena? Solamente riscaldarla, illuminare il suo cammino? O consumarla, divorarla, rovinarla? Madre, non posso permettere a me stesso di rovinarlo, semplicemente non posso.”
“Forse ti stai accreditando troppo potere, Sherlock” risuonò la voce paziente di Aracelia. “Chi ti dice che lo puoi rovinare? Chi ti assicura che non possa succedere il contrario?”
Ci fu silenzio per un istante.
“Lui, rovinare me?” domandò Sherlock, incredulo. “Impossibile.”
“Eppure riusciresti a tornare al tuo stato di solitudine ora che hai visto che esiste un’alternativa?”
John poteva sentire i passi di Sherlock su e giù per la stanza, insieme ad un rumore sordo, come se qualcuno stesse sprimacciando un cuscino.
“No, non riuscirei” mormorò Sherlock. “Ma non è per questo che è impossibile. Non potrebbe rovinarmi perché è troppo buono anche per farlo. Non credo assolutamente che lo farebbe.”
“Beh” tentò Aracelia, un tantino scettica. “L’amore è cieco, Sherlock.”
“Ma io no.”
Altro silenzio, per qualche secondo, e John poté udirli agitare una trapunta. Si sentiva in colpa per averli origliati, ma non poteva impedirsi di smettere di ascoltare: la prospettiva di conoscere cosa passasse veramente per la testa del suo amico era troppo allettante.
“Pensavo che lo approvassi, comunque” esclamò improvvisamente Sherlock.
“Lo approvo” confermò l’altra, e John sentì quello che pensava fosse un bacio schioccato sulla guancia – o fronte? – di Sherlock. “Voglio solo che tu sia sicuro di lui prima di gettarti in qualsiasi cosa.”
Sherlock borbottò un gemito confuso.
“È un tantino troppo tardi per quello adesso, madre, lo sai… mi ci sono gettato ancora un po’ di tempo fa.”
“Ah, sì” sospirò. “E da quanti mesi state assieme ora?”
“Oh, ho perso il conto.”
John era deluso che non avesse risposto chiaramente, sarebbe stato desideroso di sapere esattamente da quanto tempo fossero in quella relazione stabile.
“Beh, finisci tu qui, Sherlock, io devo andare ad aiutare Mycroft a mettere Holly a letto. Ti mando su John.”
John si pietrificò contro la parete non appena la porta la porta si aprì e comparve Aracelia. Non c’era nessun luogo in cui nascondersi, nessun posto in cui andare, perciò poté solamente ritirarsi nell’ombra, rabbrividendo per l’imbarazzo di essersi fatto beccare così sfacciatamente.
“Una parola, John” mormorò fermamente mentre lo superava senza interrompere il suo passo o mostrare alcun segno di sorpresa. Con una sensazione di crescente trepidazione, il dottore la seguì per diversi corridoi fino ad una stanza arredata in modo stravagante, che concluse dovesse essere proprio la sua. Si voltò per rivolgersi a lui una volta chiusa la porta dietro di loro.
“Non intendevo origliare, Aracelia, mi dispiace, io –“
“Oh non essere sciocco” tagliò corto. “Chiunque avrebbe fatto la stessa cosa. Io per prima. Quello che voglio sapere è se sei certo di iniziare una relazione con mio figlio.”
John la fissò perplessamente.
“Perché, se non sei sicuro, ti raccomando di non procedere. Non sono sicura che possa sopravvivere al colpo.”
“Aspetti” la fermò John, lentamente. “Sta dicendo che… sta dicendo che lei sa che non siamo una coppia?”
“Oh, naturalmente so che non siete una coppia” affermò , scuotendo impazientemente una mano. “Ma siete sul punto di diventarla, adesso, e malgrado questo fosse il piano generale, ho bisogno che tu sia sicuro di sapere in cosa stai per farti coinvolgere.”
“Ma… Mycroft ha detto che lei…” cominciò John, un po’ frastornato, e non per la prima volta nella serata.
“Oh, Mycroft, Mycroft. Sherlock ha pensato che sia io che Mycroft gli abbiamo creduto quando ci ha raccontato di te, Mycroft è dell’idea che solo io ci sia cascata. Come al solito avevano torto entrambi sul mio conto.”
“Ma come…?”
“Mycroft non è l’unico a cui piace interessarsi di Sherlock. Anche io mi preoccupo per il ragazzo.”
John scosse la testa, incredulo.
“E lei sapeva anche che Mycroft sapeva che noi non eravamo una coppia?” domandò. “Perché non gli ha detto che sapeva?”
“Una cosa che potresti non sapere dei miei ragazzi, perché non lo dimostrano sempre, è che farebbero qualsiasi cosa per compiacermi” spiegò Aracelia. “Ritengo che Sherlock abbia inscenato questa particolare frottola per due ragioni. La prima, perché gli dava la possibilità di fantasticare riguardo ai suoi sentimenti per te, su cui si può soffermare ogniqualvolta parla a me o a Mycroft. La seconda, perché credeva mi avrebbe reso orgogliosa. Non gli ho detto che conoscevo la verità perché volevo che sentisse che ero orgogliosa di lui.”
John annuì lentamente.
“E non è orgogliosa di lui?” chiese.
“Sono davvero molto orgogliosa di lui” ribattè, quasi come se fosse stata insultata. “Anche se lui è normalmente convinto del contrario. Fino a non molto tempo fa, non avrei mai creduto che fosse capace di un simile interesse e attaccamento verso un altro essere umano. Ma tu sei arrivato, Dottor Watson, e l’hai cambiato.”
Arrossì malgrado tutto, spostando il suo sguardo sul pavimento.
“Per quanto riguarda Mycroft” continuò. “Gli fa piacere di sapere che sono orgogliosa di Sherlock, e di sapere che Sherlock era compiaciuto del mio orgoglio… non vedo perché avrei dovuto togliergli la soddisfazione.”
“E come sapeva che Mycroft conosceva la verità?”
“Oh, faccio sorvegliare anche lui. Non ne ha idea, naturalmente, quindi preferirei che questa cosa restasse tra noi.”
John si sedette pesantemente sul bordo del suo letto, strofinandosi stancamente gli occhi. D’un tratto non ne volle più sapere di quella ridicola e sospettosa famiglia doppiogiochista, i cui membri spiavano l’uno le mosse dell’altro, tentando costantemente di raggirarsi.
“Quindi volevate solamente continuare in questo modo” esclamò, incapace di nascondere la nota di amarezza nella sua voce. “Questa ridicola… ragnatela di bugie, questa finzione, pur sapendo che per tutto il tempo nessuno di voi neppure ci credeva.”
“Naturalmente no” rispose severamente Aracelia. “Ritengo che sia molto più semplice e meglio sotto ogni punti di vista se la finzione diventasse  semplicemente una realtà di fatto.”
John alzò piano lo sguardo. Aracelia sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva incontrato al piano di sotto: i suoi occhi d’acciaio e calcolatori rispecchiavano appieno la vera madre di Sherlock Holmes. Aspettò che continuasse, conscio che se fosse assomigliata minimamente a suo figlio, non avrebbe potuto astenersi dall’esplicare l’apparente ‘genialità’ delle proprie azioni.
“Vedi John, sebbene sia io che Mycroft avessimo accesso agli stessi filmati delle telecamere di sorveglianza di te e Sherlock, ne abbiamo ricavato conclusioni leggermente differenti” proseguì. “Mycroft ha dedotto – correttamente ovvio – che voi non eravate di fatto insieme, cosa di cui anch’io ero completamente a conoscenza.”
“Ma?”
“Hai conosciuto i miei figli, John. Sai bene quanto me che sono  più bravi con i fatti e con i numeri che con i sentimenti. Fortunatamente io sono… poliglotta, qualcuno potrebbe dire. Sono riuscita a osservare piuttosto facilmente che eri inesorabilmente infatuato, anche senza  averti incontrato di persona. Ho concluso che uno dei migliori modi di farlo capire anche a te, sarebbe stato quello di costringerti a confrontarti con i  tuoi stessi sentimenti.”
La fissò basito, incapace ormai di eludere il fatto che forse aveva commesso lo sbaglio di sottovalutare totalmente Aracelia Holmes. Sherlock naturalmente era un detective brillante con una logica straordinaria, ma sfortunatamente la maggior parte del tempo non possedeva la capacità di comprendere ed empatizzare con i sentimenti delle persone. Non riusciva a visualizzare come sarebbe stato se improvvisamente avesse iniziato a capire le emozioni della gente. Abbastanza spaventoso, suppose, e molto simile a quella situazione.
“Capisci, John, il nostro particolare dono di famiglia sembra manifestarsi in modi leggermente diversi. Sherlock è un osservatore di fatti. Mycroft è un manipolatore di fatti. E io… beh io sono una manipolatrice di persone” concluse con nonchalance.
John scosse tristemente il capo, non molto sicuro su come avrebbe dovuto sentirsi.
Aracelia si sedette accanto a lui e gli sorrise dolcemente - ora somigliava nuovamente alla madre del cenone -e gli afferrò la mano.
“Come ti senti?”
“Mi sento…” cercò nella sua testa la parola esatta. “Manipolato.”
La donna scoppiò in una risatina.
“Preferirei che lo pensassi più come ad un… accoppiamento. Pensa che sia una sorta di Cupido.”
Sbuffò.
“Si, certo, lo farò. Un Cupido davvero deviato e inquietante.”
Aracelia gli rivolse un sorriso un tantino sinistro.
“Quindi… alla fine… Sherlock non sa nulla riguardo a tutto questo?” domandò , leggermente disperato. Non era sicuro che avrebbe saputo convivere con tutto quello se Sherlock fosse stato parte attiva dello stratagemma, qualsiasi fossero state le sue motivazioni.
“Sono decisamente certa che Sherlock non è stato nulla se non sincero con te questa sera. Se potessi fare a meno di accennargli alla nostra piccola conversazione…”
“Naturalmente” le assicurò subito John.
“Ma tornando alla motivazione per cui ti ho trascinato qui – sei sicuro di tutto questo, John?”
“È una conversazione del tipo ‘se gli farai del male, ti ucciderò’?” inquisì John alzando un sopracciglio. Aracelia non gli rispose, ma gli rivolse solamente uno sguardo glaciale, le palpebre semichiuse.
“Ah” continuò. “Beh, se questo è il caso. Sì, sono sicuro. Penso che sia l’unica cosa di cui sono sicuro ora come ora.”
Sembrò soddisfatta della risposta, perciò si alzò in piedi con un movimento fluido e spalancò la porta. John esitò.
“Allora vai, schizza via.” E aggiunse “credo che tu abbia un Holmes che ti aspetta.”
John ridacchiò e balzò in piedi, dirigendosi verso la porta.  Quando fu sull’uscio si voltò.
“Non ho ancora deciso bene se ringraziarla o gridarle contro“ affermò. “Ma, erm, grazie. Per il maglione, almeno.”
Gli sorrise.
“Sei un uomo particolare, John Watson.”
E con quello, la porta gli fu sbattuta in faccia.
Dopo un paio di respiri per riprendersi, John si avviò per il corridoio da cui era arrivato.

 
 
BuonGiornoATutti!
Ora che la vera identità di Mamma Holmes (A.k.a Wonder Woman) è stata finalmente svelata, il prossimo capitolo sarà tutto un programma, con tanto momenti Johnlock. Quanto amore!
Continuate a leggere questa fic, malgrado la lentezza della traduttrice, perché è veramente spiritosa e piacevole.
A presto, e un mega grazie/abbraccio a tutti quelli che non si sono ancora stufati di farmi sapere come la pensano e a quelli che seguano la storia nonostante i tempi estremamente dilatati.
Passiamo alle NDT:
[1] Sarebbe stato meglio tradurre ‘come una mosca al miele’, tuttavia la metafora continua nelle righe successive e non ho potuto inserire il modo di dire all’italiana. Non ho saputo trovare di meglio, scusate.

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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


CHAPTER 7

 

John trovò Sherlock spaparanzato sul loro letto – un brivido percorse la sua mente al pensiero del pronome possessivo mai usato prima d’ora – a prima vista decisamente dissoluto, per quanto lo potesse sembrare qualcuno ancora totalmente vestito. Pareva che si fosse liberato del maglione alla fine; davvero un peccato, pensò. Inoltre era totalmente assorto nella lettura di un manuale sulla cura delle api.
“John” lo apostrofò a mo’ di saluto non appena fece il suo ingresso nella stanza.
“Non sapevo ti interessassero le api” gli rispose, la voce più acuta e tesa di quanto avesse sperato tradiva lo stress della sua serata.
“Un hobby” replicò Sherlock con noncuranza, scoccando un’occhiata all’amico. La sua nonchalance si sgretolò immediatamente alla vista dell’espressione di John, e scattò a sedere impettito sul letto.
“Cos’è successo?” inquisì.
John esaminò velocemente ogni le possibile risposta alla domanda, pregando Dio che non apparissero tutte quante sulla sua faccia. Cosa avrebbe dovuto dire? Oh, ehi Sherlock, ho appena scoperto che nessuno in questo edificio crede davvero che noi stiamo insieme, tutta la tua famiglia – te incluso, a proposito – sta completamente dando i numeri, ciononostante sono venuto qui con l’espressa intenzione di condividere il letto con te stasera. No, meglio di no.
“Rispondimi John, cos’è successo?”
Scosse la testa, stimando che una parte della verità sarebbe stata meglio di niente quando si trattava di Sherlock.
“Niente, davvero, la tua famiglia è solo un po’… protettiva, tutto qui. Non l’avrei mai immaginato. Tua madre mi ha solo fermato per il solito vecchio:  ‘se gli farai del male, ti ucciderò’”.
Sherlock sembrava totalmente sconcertato.
“Se mi farai del male lei cosa?” ripeté incredulo.
“Mi ucciderà” completò John. “Non letteralmente. Beh, possibilmente letteralmente, non ne sono sicuro”.
Sherlock assunse un’espressione inizialmente stranamente toccata, che tutto d’un tratto si trasformò in una stranamente furiosa.
“Se ti ucciderà, io le farò del male” giurò veementemente. John scosse la testa, incredulo.
“Adorabile. Avete proprio quella che si dice una sana dinamica famigliare”.
Sherlock si rilasso sul cuscino e rivolse nuovamente la sua attenzione al libro, scoccando all’uomo occhiate occasionali tra una pagina e l’altra. John si lasciò cadere sulla sedia ad un angolo della stanza ed incominciò a tamburellare sul suo telefono con il pensiero che forse sarebbe riuscito a individuare con precisione sul suo blog l’esatto momento in cui la sua vita era diventata completamente ridicola e irriconoscibile. Ah certo, pensò, scorrendo tutti i suoi post. Naturalmente. Aveva incontrato uno svitato.
“Non vieni a letto?” Domandò improvvisamente Sherlock, in tono quasi piagnucoloso. John si schiarì la voce nervosamente.
“Ehm. Sì. In realtà sto lavorando ad un passo particolarmente impegnativo…”
Ci fu silenzio per un momento, prima che Sherlock evidentemente decretasse che John non potesse essere lasciato solo per più di una manciata di secondi.
“Cosa stai facendo?”
“Non riesci a dedurlo?” domandò, una nota di divertimento nella sua voce.
“Stai controllando se ci sono nuovi commenti sul tuo blog. Perché?”
“In caso ci fossero?”
“Non usare del sarcasmo, John, sei decisamente troppo buono per farlo”.
Sorrise, picchiettando una risposta ad uno dei tipici commenti immaturi di Harry. Questo andava bene, pensò, questo era normale. Poteva semplicemente fingere che fossero a Baker Street, che lui stesse navigando in internet mentre Sherlock leggeva un libro e che tutto andasse per il meglio.
“Ma potresti scrivere nella tua nuova agenda, non ti va?” suggerì Sherlock, il tono volutamente noncurante. John si voltò verso di lui, abbandonando la sua pretesa di normalità.
“Ah, già, la mia agenda. Ho parlato con Mycroft a riguardo. Lui è dell’opinione che quell’agenda è un sinonimo del tuo sentirti… ehm, possessivo nei miei confronti”.
Sherlock sbuffò e tornò al suo libro.
“I poteri deduttivi di Mycroft sono decisamente scarsi in certe aree, specialmente quella che riguarda me” spiegò.
“Pensa che tu voglia tenere tutti i miei pensieri per te. In questo modo nessun’altro potrebbe leggerli” continuò John, cercando di nascondere un sorriso. “Dice che non ti piace condividere”.
Sherlock rimase in silenzio, i suo occhi che vagavano per la pagina di fronte a lui. John non credette nemmeno per un istante che la stesse veramente leggendo.
“Sherlock” mormorò piano. Il suo amico alzò la testa.
“Lo sapevi” iniziò “che ci sono quasi duemila specie conosciute di api, suddivise in nove famiglie, che sono: Andrenidae, Apidae, Colletidae, Dasypodaidae, Halictidae, Magachilidae, Maganomiidae, Melittidae, Stenotritidae. Penso che le api da miele siano le più interessanti, e sono ampiamente considerate quelle socialmente più complesse; malgrado le loro azioni non siano così specifiche come le motivazioni individuali che si incontrano giorno per giorno, sembrano in ogni caso averne di proprie, identificabili nella loro società, una società che in quanto a strutture non ha nulla da invidiare alla nostra. Le api da miele sono del genere Apis , con un totale di sette specie riconosciute e quarantaquattro sottospecie…”
Il monologo di Sherlock sulle api si interruppe a metà frase; la stanza sembrava ronzare leggermente in sua assenza.  Come spesso succedeva quando dialogava con il suo amico, John si ritrovò a domandarsi se avesse di fatto ingurgitato Wikipedia. Anche se, per essere onesti, l’argomento solitamente verteva sulle varietà di veleni o sui metodi di strangolamento, non su insetti alati.
“Beh” si espresse John alla fine. “Sembra che tu sappia tutto quello che c’è da sapere sulle api, in ogni caso. Ma –“
Sherlock chiuse violentemente il libro con un risatina di derisione, gettandolo poi accanto sul letto.
“È una frazione essenziale di quello che bisognerebbe conoscere riguardo alle api. E la frazione essenziale di quello che io conosco su di loro. Ma un giorno, sì, spero di comprenderle quasi completamente. Non vedo l’ora che arrivi quel giorno, ma meglio, non vedo l’ora di intraprendere il processo che mi porterà lì”.
John assunse un cipiglio interrogativo.
“Ma questo cosa ha a che fare con –“
“Non faccio niente a metà, John”.
Sherlock era seduto dritto sul letto, lo sguardo elettrico, i capelli che ricadevano disordinatamente sul volto. John deglutì, il suo respiro si faceva largo nel petto, indeciso su cosa proferire esattamente in risposta ad una tale dichiarazione, tuttavia incapace di distogliere lo sguardo.
“A proposito, grazie per aver portato avanti la recita stasera” aggiunse Sherlock, abbassando gli occhi quando vide che John non rispondeva immediatamente. “So che non deve essere stato facile”.
John scrollò la mano in segno di rifiuto quasi irrequieto, scuotendo il capo nel frattempo.
“No, no, va bene, Sherlock, è tutto a posto –“
“Non sono esattamente la persona più facile da avere attorno, anche in circostanze normali. Avrei dovuto avvisarti con un discreto anticipo; sono arrivato alla conclusione che, dopotutto, tenerti informato delle mie azioni quasi inevitabilmente conduce ad un miglior risultato sul campo –“
“– si beh, me l’avresti potuto dire prima –“
“– ma onestamente non sapevo se avresti accettato a portare avanti questa sceneggiata a priori”.
John lo fissò, quindi scoppiò in una risata fragorosa.
“Non avevo capito che avrei potuto decidere se continuare o meno questa cosa a priori”.
Sherlock gli rivolse un sorriso quasi malinconico.
“Dovresti averlo. Avresti dovuto. Volevo vantarmi un po’, credo.”
“È comprensibile. Chi mai non vorrebbe vantarsi di questo avanzo di fusto ricoperto di cicatrici di guerra? Faccio un’ottima impressione con maglioni bitorzoluti e una patetica zoppia. Sono una scelta perfetta, chiunque sarebbe fortunato ad avermi. Sherlock, se mi avessi –“
“Lo sarebbe”.
“– una scelta, avrei fatto quello che faccio sempre, che vale a dire, avrei fatto quello che mi avresti chiesto. Qualsiasi cosa mi avresti chiesto, Sherlock.”
John si interruppe, leggermente ansimante, mentre entrambi processavano l’uno le parole dell’altro, scandagliandosi con gli occhi spalancati. Ci fu una lunga pausa.
“Quando hai detto che ti ho salvato la vita in più di un’occasione…” iniziò curioso Sherlock, il suo sguardo focalizzato su John.
“Lo intendevo sul serio. Quando hai detto che non fai le cose a metà…?”
“Lo intendevo sul serio. Quindi. Tu… faresti qualsiasi cosa ti chieda?”
John deglutì, sentendosi come se si trovasse sull’orlo di una specie di precipizio, mentre l’abisso gli lambiva già le caviglie e si attorcigliava tra loro, oscuro e seducente. Aveva solo due opzioni in quel momento, e sapeva quale avrebbe dovuto scegliere: allontanarsi dal precipizio, fare attenzione al crepaccio, liberare l’area. Prese un respiro profondo.
“Sì.”
“Qualsiasi cosa?”
“Sì, Dio Sherlock, sì”.
L’abisso lo reclamava.
Sherlock sorrise.
“Allora, John, vieni a letto” Mormorò con la sua voce grave e pericolosa.
John scattò in piedi immediatamente, ipnotizzato dal tono setoso di Sherlock.
Coprì i pochi passi che lo separavano da letto senza nemmeno realizzare di essersi mosso.
“Naturalmente”.
Gli saltò in mente, in un oscuro angolino del suo cervello, che era più che pronto a prendere ordini da quell’uomo. Gli saltò in mente, in un altro angolino, che probabilmente gli sarebbe piaciuto.
Sfilò malamente il ridicolo maglione di Aracelia e iniziò a far saltare i bottoni della camicia, mentre i suoi nervi parevano essere distesi sui carboni ardenti.  Arrischiò uno sguardo alle sue mani. Naturalmente erano salde. Quasi sorrise. Era stata una delle deduzioni più impressionanti di Mycroft.
“Non smetterò di scrivere sul mio blog” asserì fermamente. Gli occhi di Sherlock erano incatenati ai suoi.
“Se posso chiederti di non scrivere almeno di questo particolare caso…” replicò. John soffocò una risatina, poi si accigliò, le sue mani sospesero la loro attività. Gli occhi di Sherlock si fissarono sul suo petto, consapevoli dell’interruzione.
“Ti prego, continua a spogliarti” affermò, la sua voce educata e regolata, come se non stesse facendo nient’altro se non chiedere ad un cliente di raccontare i dettagli di un crimine.
“Sì, ma, aspetta. Sherlock, tu consideri questo – me –come un caso?”
D’un tratto John ebbe il brutto presentimento che tutto quello – l’intera notte che culminava in quel momento, francamente surreale, nella camera degli ospiti del maniero di Mycroft – fosse solo l’ennesimo degli esperimenti di Sherlock. Come i bulbi oculari nel microonde. O l’intera settimana senza bere nulla a parte Red Bull. O il repentino interesse nella pasticceria [1].
“Naturalmente no” rispose Sherlock, leggermente impaziente. “Lo considero Il Caso”.
Le lettere maiuscole erano quasi tangibili. I suoi occhi erano scuri, più scuri di quanto John li avesse mai visto, ma con una sfumatura di pazzia che conosceva molto bene – era la stessa folle intensità che scorgeva quando si trovavano nel bel mezzo di un caso. La stessa folle intensità che sapeva benissimo riflettersi nei suoi stessi occhi tutte le volte che si trovava da qualche parte vicino a quell’uomo.
“Sherlock –“ sospirò.
“Sembra che tu stia ancora indossando i tuoi vestiti. Credo che questo sia un problema a cui possa rimediare, ti prego, permettimi di aiutarti. Ho compiuto ampi studi in questo settore che credo abbiano qualche applicazione pratica”.
E all’improvviso lunghe dita affusolate percorrevano agilmente gli addominali di John,  completando rapidamente il lavoro con il resto della sua camicia. Il dottore si focalizzò su quelle pallide dita longilinee, quasi scheletriche, che aveva osservato accarezzare il violino centinaia di volte e accarezzare un cadavere con la medesima attenzione. Le stesse dita che in quel momento stavano sfiorando la sua pelle, esperte ma riverenti.
“Nessuno parla come te” masticò stupidamente, incapace di esprimere un pensiero più coerente. “Non nella realtà”.
“Nessuno lo fa? Noioso”  sussurrò strascicato Sherlock. “Nessun’altro ragiona come me, mi pare”.
John sollevò una mano, esitante, e fece scivolare le proprie dita sullo zigomo di Sherlock. Si aspettava che fosse freddo, in qualche modo, come il marmo, ma era morbido e caldo e incessantemente umano. Sherlock chiuse gli occhi e si abbandonò un poco al suo tocco, simile in tutto e per tutto ad un gatto troppo cresciuto.
“Non mi pare, no. Cosa stai pensando… in questo momento?” domandò.
Sherlock alzò un sopracciglio e fece scivolare la camicia dalle spalle di John, lasciando che svolazzasse a terra.
“Stavo pensando che mi piace scartare i regali a Natale” soffiò, la sua voce era seta e ciottoli splendenti e schegge di vetro. John sbatté le palpebre all’affermazione inaspettata,  per poi scoppiare in una risata fragorosa. Sherlock approfittò del momento di distrazione per afferrarlo per le cosce, spostare il suo peso all’indietro e trascinare improvvisamente John con sé nel letto, dove questi si ritrovò un istante dopo, ansimante e frastornato.
“Dove hai imparato –“
“Non mi crederesti se provassi a spiegartelo” lo stuzzicò Sherlock, gli occhi incatenati al volto di John, a pochi centimetri dal proprio.
“Mettimi alla prova.”
Un angolino della bocca di Sherlock si incurvò.
“Non ti dispiace se ci provo” mormorò, avvicinandosi all’altro e catturando le sua labbra con le proprie. John si lasciò sfuggire uno strilletto stupefatto, che fu subito smorzato da qualcosa di più apprezzabile nel momento in cui assaggiò la lingua di Sherlock nella sua bocca, che lappava, esplorava, reclamava la sua. Baciare quell’uomo era simile a qualsiasi altra attività svolta assieme lui, dalla conversazione alle precipitose maratone per l’intera Londra: ci si trovava sempre un passo indietro, tentando disperatamente di tenere il ritmo e comprendere non solo quello che era successo, ma anche quello che stava per accadere.
Sherlock si ritirò troppo presto, con fare pensoso.
“Hm. Molto meglio di quanto ricordassi” concluse dopo qualche secondo. John si accigliò.
“Molto meglio di – cosa?”
“Non fare il pappagallo, John. Baciarsi, l’atto del baciarsi è molto meglio di quanto ricordassi. Baciarsi, è passato un po’ di tempo dall’ultima volta”.
“Oh” concordò John, tentando di riportare il viso di Sherlock verso il suo, ma senza molta fortuna: il suo sguardo era assorto in quel distante scintillio, come se stesse guardando qualcosa dentro la propria testa. Assunse un’espressione leggermente accigliata, curiosa, come se avesse appena scoperto qualcosa.
“Sembrerebbe che l’atto fisico sia notevolmente migliorato dall’attaccamento emotivo. Interessante. Credi che –“
“Credo che dovresti baciarmi di nuovo” affermò John. Sherlock batté le palpebre, come se avesse realizzato in quell’istante la presenza del dottore.
“La prova di un esperimento è nella sua ripetibilità?” tentò John speranzoso, valutando che probabilmente la scienza sarebbe stata il metodo migliore per costringere Sherlock a fare qualsiasi cosa. Il detective ghignò semplicemente.
“Conosci i miei metodi, John. Applicali”.
Per un istante, John gli scoccò un’occhiata, quindi capovolse rapidamente la situazione in modo che Sherlock fosse intrappolato sotto di lui, il suo corpo sorprendentemente fragile tra le sue braccia. Si concesse qualche istante per sentirsi decisamente compiaciuto riguardo alle circostanze, finché non si accorse degli occhi trionfanti di Sherlock.
“Ottimo” si congratulò “Eccellente, sei in splendida forma stasera”.
John mugolò, impiegando un paio di secondi per accorgersi che ogni vittoria con quell’uomo era probabilmente una sconfitta camuffata, prima di attirare Sherlock a sé e baciarlo ferocemente. Questi rispose con lo stesso fervore, deciso come lo era in tutte le sue altre attività. Improvvisamente le sue mani sembravano essere ovunque, guizzando dall’anca al collo all’addome con leggerezza, con tocchi maliziosi che quasi facevano ringhiare John, frustrato.  Sherlock era tutto piatto e spigoloso, quasi etereo nella sua presenza, come se si potesse dissolvere in un battito di ciglia. John si appuntò quindi di non batterle, di non batterle mai, e in un momento di follia vide sé stesso, sveglio da giorni, solo per esserne sicuro.
“Non me ne vado da nessuna parte” mormorò Sherlock, la sua sconcertante mania di rispondere ai suoi pensieri invece che alle parole (che ammontavano a zero,  fino a quel momento, se si escludevano incomprensibili rantoli occasionali). Rilasciò un respiro che non  si era neanche accorto di aver trattenuto, solamente per prenderne immediatamente un altro nell’istante in cui Sherlock iniziò a succhiare e mordicchiare il collo di John, fino alla fine della gola, fermandosi a lappare sulle clavicole. John all'improvviso si rese conto di quello che Sherlock stava per scoprire e si irrigidì; nello stesso istante il detective interruppe le sue attenzioni.
“Oh” esalò piano, il suo dito che scorreva sul tessuto cicatriziale raggrinzito, i suoi occhi decisi e scintillanti per la curiosità. John ridacchiò amaramente.
“Sì, beh non sono così perfetto” borbottò. Sherlock lo scandagliò con uno sguardo laconico ed esasperato prima di ritornare ad un attento esame della cicatrice. Non era enorme, davvero, sebbene fosse sicuramente orrenda, si estendeva dalla parte interna della clavicola sinistra per tutta la lunghezza della spalla vera e propria.
“No, sei imperfetto, cosa che è decisamente più affascinante” asserì, tracciando il percorso della cicatrice con il pollice e quindi – con un gesto talmente intimo da far stringere e attorcigliare lo stomaco di John –con la lingua. Non è che facesse male, sebbene l’area fosse più sensibile, era più l’idea che quell’orribile pezzo di carne e pelle fosse degno di tempo, sforzo o passione di qualsiasi tipo. Ritrovò le proprie mani nei capelli di Sherlock, tirando e ravviando la sua zazzera di riccioli scuri, mentre le labbra del detective si muovevano ancora lungo la sua spalla.
Al suono dei gemiti di John, Sherlock si allontanò con uno sguardo determinato.
“Sei sicuro?” borbottò, malgrado il suo tono fosse forzato, come se la domanda fosse stata cavata dalla sua gola contro il suo volere. John rabbrividì leggermente mentre i suoi respiri si facevano sempre più veloci e pesanti.
“È solamente una cicatrice, Sherlock, non significa nulla, davvero. Non è ciò che sono.”
“No, intendevo dire - ” scosse vagamente la mano. “Questo. Tutto questo. Sei sicuro? Mi sembra di dover controllare”.
John ridacchiò.
“È un po’ tardi per chiedere, no?” ribatté, ma qualcosa negli occhi di Sherlock lo convinse a rispondere seriamente alla domanda. “Sì, sono sicuro. Sì”.
Sherlock gli regalò un ampio sorriso, innocente e sbilenco, che impedì a John di respirare. Si sfilò da sotto il corpo dell’altro per poi alzare le braccia e levarsi la camicia con un movimento fluido, senza nemmeno considerare i bottoni, e quindi gettar via ciecamente il tutto dal letto. John si ritrovò a fissare sfacciatamente a quella strana creatura aliena dagli arti longilinei, tutta gomiti e alabastro, che stava gattonando agilmente lungo il letto e salendo a cavalcioni del suo corpo disteso. Per un istante non riuscì a riconoscere la figura del suo migliore amico in quell’essere – la luce soffusa della camera da letto lo avvolgeva in maniera innaturale – finché questi si sistemò sopra di lui e scandagliò il suo corpo con quello sguardo inquisitorio ormai famigliare, sebbene normalmente non diretto a lui. Sherlock non si mosse.
“Cosa stai facendo?” domandò John, già sospettando la risposta prima di riceverla.
“Ti sto studiando”.
“Giusto. Dobbiamo aspettarci un saggio sull’argomento?”
Sherlock proseguì col suo esame, ma gli angoli della sua bocca si piegarono leggermente.
“Forse. Spero che sia uno studio trasversale, in qualche modo. Ci sarà bisogno di un mucchio di dati.”
Si abbassò improvvisamente e prese in bocca un capezzolo di John, ghignando quando l’altro gli rispose con dei gemiti entusiasti, affondando le unghie nelle spalle di Sherlock.
“Per esempio, persino questo fatto è molto interessante, e sicuramente merita una ricerca più approfondita” continuò con la voce baritonale che vibrava lungo il petto di John, il tono disinvolto che serviva solamente ad aumentare la sua eccitazione. “È necessario che sia catalogato, come sono sicuro che tu già sai”.
“È davvero un peccato non aver iniziato prima, sul serio” esalò John, improvvisamente conscio dei momenti sprecati seduti l’uno accanto all’altro a Baker Street, in taxi, sul treno: vicini quanto due persone potessero permettersi di esserlo, ma non abbastanza, non fino a quel momento. Sherlock gli scoccò una lieve occhiata rimprovero.
“È quello che ho provato a dirti da mesi” borbottò, rivolgendo nuovamente  la sua attenzione all’addome di John mentre le sue dita cercavano di averla vinta sulla fibbia della cintura. “Non capisco come avrei potuto essere più ovvio”.
“Verbalizzarlo sarebbe potuto essere d’aiuto” gli fece notare John.
“Sarebbe stato d’aiuto se tu non fossi stato così ottuso” ribatté Sherlock, lasciandosi sfuggire un breve suono di vittoria nel momento in cui riuscì ad aprire con successo la fibbia.
“Allora evidentemente l’intervento di tua madre è stato una benedizione, altrimenti non ci saremo mai arrivati da soli”.
John sentì, più che vedere, di aver detto la cosa sbagliata: Sherlock si irrigidì sopra il suo corpo, improvvisamente talmente duro e freddo da sembrare realmente di marmo.
“Mia madre?” ringhiò pericolosamente, la sua voce così calma che John riuscì mala pena ad udirla. Si scostò e lo fissò dritto negli occhi, indubbiamente leggendo ogni singola micro espressione sul suo volto. “Cos’ha fatto mia madre questa volta?”
John rimase in silenzio, sbattendo stupidamente le palpebre in quell’atmosfera di panico ed eccitazione non ancora svanita. Sembrò che Sherlock lesse tutto quello che c’era da sapere nella sua mancanza di risposte.
“Capisco” statuì freddamente, sollevandosi bruscamente da John per poi appollaiarsi sulla sponda del letto, a disagio. John si sedette, maledicendo la sua linguaccia a denti stretti per avergli consentito di parlare senza pensare, e appoggiò una mano sulla spalla di Sherlock nel tentativo di riguadagnare la sua attenzione. Questi lo ignorò, improvvisamente distante e intoccabile come l’uomo che aveva incontrato per la prima volta in un asettico laboratorio del Bart’s.
“Sherlock?”
“E ancora una volta sono una pedina nel gioco di Mamma” sputò amaramente Sherlock mentre le sue dita si contorcevano leggermente sulle ginocchia. John fissò il profilo dell’amico, arrischiandosi quasi a chiedere quali altri ‘giochetti’ Mamma avesse condotto in passato. Aveva il presentimento che nella famiglia Holmes i passatempi fossero qualcosa di più di Nascondino o Monopoli. Specialmente quando aggiungeva al resto il modo in cui Sherlock si riferisse costantemente all’incubo con Moriarty come ad un ‘gioco’, indipendentemente da quanto fossero diventate inappropriate le circostanze.
“Cercava solamente di aiutare” spiegò disperatamente, sicuro – nonostante conoscesse Aracelia veramente poco – che fosse la verità.
“Quindi non ha mai creduto –“ proseguì Sherlock, fermando il suo sguardo sul viso di John per scorgervi una conferma prima ancora che questi potesse formulare una frase. “No, certo che no, è stato stupido da parte mia”. Si voltò nuovamente, fissando meticolosamente la parete, i suoi pensieri ovviamente in qualche luogo molto lontano da quella minuscola ed insignificante camera da letto.
“Sconfitto. Di nuovo” borbottò furiosamente e d’un tratto John realizzò l’odio di Sherlock nell’essere superato, sebbene non accadesse frequentemente fuori nel mondo reale, e l’impotenza che doveva provare nell’essere costantemente raggirato dai membri della propria famiglia, manovrato da coloro che gli erano più vicini. Ed era davvero stato raggirato in quel caso, alla fine anche dallo stesso John, che normalmente non poteva nascondergli nulla di nulla. Si chiese se avesse dovuto parlargli delle macchinazioni di Aracelia nel preciso istante in cui aveva varcato la soglia della camera da letto, si chiese perché non l’avesse fatto – in fondo, la sua lealtà verso Sherlock normalmente surclassava ogni altra preoccupazione. Sospettava che la risposta fosse che avrebbe preferito vedere come la faccenda si sarebbe conclusa all’interno di quella finzione, piuttosto che distruggerla e vedere se invece avesse potuto resistere al di fuori di quelle quattro mura.
“Sherlock, l’ha fatto solamente perché era riuscita a capire i miei sentimenti nei tuoi confronti, e i tuoi nei miei, e pensava avessimo bisogno di una piccola spinta in più.”
Sherlock lo scrutò, gelido.
“il problema con Aracelia Holmes” spiegò, la voce tesa e tagliente per contenere l’emozione. “È che pensa che tutti coloro che la circondino necessitino di una piccola spinta in più. E nella maggior parte dei casi quella minuscola spintarella in più è la causa di un improvvisa ed imprevista caduta da un burrone. E lei continua comunque a credere che sia la cosa migliore per lei e per tutti gli altri, malgrado la scia di corpi malridotti ai suoi piedi”.
John chiuse velocemente gli occhi, lasciando saggiamente cadere l’argomento. Allungò la mano e la intrecciò con quella di Sherlock, sperando di poterlo persuadere con la sua presenza, se non altro. Sherlock la fissò, quindi la riappoggiò tranquillamente sul ginocchio dell’altro.
“Non permetterò a noi di diventare una delle sue vittime” statuì spassionato , prima di alzarsi e sorridere a John in maniera educata e leggermente forzata. “Si sta facendo tardi. Dovremmo andare a dormire”.
“In realtà, speravo in qualcosa di un tantino diverso dal dormire” replicò John, incapace di nascondere il desiderio dalla sua voce. Sherlock lo ignorò mentre si spogliava sbrigativamente fino ai boxer e si adagiava sotto le coperte con la schiena rivolta verso l’amico. Il dottore si lasciò sfuggire una serie di epiteti coloriti dentro la sua testa, prendendosi metaforicamente a schiaffi per avere rovinato le cose fra loro ancor prima che cominciassero.
“Sherlock –“ tentò ancora una volta, accarezzando leggermente la spalla del suo amico. Nessuna risposta.  Sospirò e si voltò per spegnere la lampada accanto al letto. Celato dall’oscurità, non vi era alcun rumore nella stanza escluso il debole respiro del detective. John fissò il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il soffitto se avesse potuto vederlo, meravigliandosi di quanto velocemente si fosse alterato il percorso della serata. Con Sherlock sembrava spesso di camminare sulle sabbie mobili, riuscendo a malapena a fare leva sul terreno.
“Sarò sempre qui domani mattina, Sherlock” sussurrò debolmente, non curandosi del fatto che le sue parole venissero sentite e registrate o meno. “E il giorno dopo, quello dopo e l’altro ancora. E se tua madre, o chiunque altro, ci spingerà giù da un burrone, beh, siamo sopravvissuti a molto peggio”.
Nessuna risposta, non se ne aspettava una. Si voltò dall’altra parte con la schiena verso Sherlock, in modo da essere in grado appena di percepire il calore del suo corpo, cosa che non risolse né il senso di frustrazione né l’eccitazione assillante.
Per lungo tempo rimase lì sdraiato, nell’oscurità della stanza, ad ascoltare il sistema di respirazione di Sherlock, che indicava almeno che anche lui era ancora sveglio. Un paio di volte tentò di voltarsi con l’intenzione di provare a parlargli nuovamente, o perlomeno fare qualche battuta idiota in modo da alleggerire la situazione. Non fece nulla di tutto ciò, e alla fine riuscì ad addormentarsi, troppo estenuato dai pensieri che gli frullavano in testa per star sveglio.
Trascorse molto tempo prima che il respiro di Sherlock si regolarizzasse e lui seguisse finalmente il dottore nel mondo dell’incoscienza, con le braccia attorno alle ginocchia ed una sfumatura grigiastra dell’alba che incominciava a sanguinare nel cielo notturno.

 
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Questo capitolo è stato veramente un PARTO plurigemellare. Tra la quantità spropositata di studio e le lezioni sempre più impegnative, sono riuscita a terminare il tutto solamente ieri sera alle tre di notte. Tra parentesi, non sono molto soddisfatta del risultato, è stato veramente un lavoraccio e mi sarebbe piaciuto soffermarmi meglio su determinate costruzioni. Tuttavia, temo che se lo avessi fatto avreste avuto tutto l’ambaradan pronto per il prossimo Natale, e tanti saluti alla puntualità.
Mi piacerebbe comunque che mi faceste sapere cosa ne pensate, consigli e suggerimenti vari sono graditi!
A proposito, la nota [1] si riferisce ad un altro lavoro dell’autrice, che è stato tradotto da Madame Butterfly ed è disponibile sul sito. Leggetelo, se non l’avete ancora fatto, da non perdere.
Questo bla bla bla è finito (finalmente). Vi lascio, alla prossima.
OceanMind
 

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