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di cardi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Lo odio. Odio starmene ore e ore seduta sul sedile della macchina e poi fare tre ore di fila per salire su una fottutissima nave e poi tornare ore e ore in macchina.

Certo, niente di tutto questo è paragonabile alla bellezza della vacanza. Ore e ore sdraiate sui lettini sotto il sole cocente, a guardare i bei ragazzi passarti davanti, a nuotare nel mare limpido della Croazia.

Odio il viaggio che bisogna fare per farsi solo quindici benedettissimi giorni di relax. Ma mi mancava troppo la mia piccola isoletta per rinunciare a tornarci per la quinta volta anche quest’anno. Abbiamo degli amici lì, e ci avrebbe fatto compagnia la famiglia di mia zia.. Beh, non che questo rientrasse perfettamente nei miei piani ovvio. Ma mia zia era una persona a posto, un po’ meno suo figlio. Un rompiscatole di prima categoria che doveva avere sempre l’ultima a meno che io non gli rifilassi una minaccia di una delle mie, ma alla fine gli volevo bene (?). Poi c’era mio zio, sempre in cerca di abbracci proprio da Me, quella che “non rompermi i coglioni, please e lasciami prendere il sole in pace”. Infine, c’era mia cugina, la più sopportabile di tutta la combriccola e diciamo che eravamo molto legate. Si può quasi dire che fosse la mia cugina preferita.. Ma lei non sa che gli dico così perché non ci sono altre cugine in giro...

Chiusi gli occhi per un nanosecondo mentre oltrepassavamo il cartello  “Benvenuto in Abruzzo comune di #cazzatevarie”.

“Non starai mica dormendo sorellona!” mi gridò nell’orecchio mia sorella. Alzai gli occhi stringendo i pugni e mi voltai verso di lei con tono duro “No, risposo gli occhi razza di idiota con due gambe” le sbraitai indicando l’orario dell’orologio della macchina. “04:12”

“Sai che questa frase non ha senso, vero?” disse in difesa, cauta.

“Non ribattermi di prima mattina, Arianna. Finirei per buttarti fuori dalla macchina con indosso solo un paio di pinne e un boccaglio” dissi acida rimettendo le cuffiette all’orecchio per tenermi sveglia. La vidi alzare le mani in segno di difesa e borbottare qualcosa per poi tacere.

Avevamo un’oretta buona per arrivare ad Ancona e prendere la nave delle 05:30, ovvero un’oretta buona per sentirmi a palla beatamente gli One Direction. Un’oretta buona per prepararmi psicologicamente alla presenza di mio cugino, e per prepararmi al puntualissimo mal di mare. Sbuffai voltando la testa verso il finestrino.

                                                        Un’ora dopo

Stavo tranquillamente leggendo il libro di narrativa che la mia orrida professoressa di lettere mi aveva assegnato per le vacanze quando la nave iniziò a compiere bruschi movimenti. Sbuffai, e chiusi il libro di scatto. Mio zio si avvicinò sussurrandomi “Si parte! Eccitata?” chiese stringendomi in un caloroso abbraccio. “Zio, controllati. – commentai distaccata- sono cinque volte che salgo su questa nave.. – dissi scocciata e alzandomi di scatto staccandolo da me- e basta con questi momenti affettuosi, diamine!” .

Guardai per un attimo la sua espressione attonita e risi a trentadue denti, mise il broncio. “Okay, ti do al massimo 12 secondi ma poi devi staccarti da me e non chiedermi un  abbraccio per tutto il giorno!”

Mi si accoccolò e un po’ in imbarazzo battei la mano sulla sua schiena con fare materno. Dopo poco corrugai la fronte e dissi “4-3-2-1... Basta!” mi alzai di scatto e mi misi il giacchetto di pelle per uscire fuori all’aria aperta e far perdere le mie tracce a quello scemo di mio zio, non feci in tempo ad infilare la seconda manica che mio padre mi fermò di botto con la sua macchina fotografica al collo.

“Sara, devi farmi un favore!” sbuffai, mentre la nave salutava il porto italiano con un suono strambo. Inarcai un sopracciglio guardando il soffitto e moderai la voce, possibile che non avessi un attimo di pace? “Dimmi...”

“Devi camminare.”

“Oh beh, si. Grazie del consiglio!” commentai acida.

“Dai, ascoltami! Devi camminare – gli lanciai un’occhiataccia sarcastica – senza mai fermarti, non importa su quante persone andrai a sbattere contro, cammina dritta per dritta senza fermarti mai, okay?”

“Se investirò qualche ragazzino, avrai un brutto peso sulla coscienza sai papy?” dissi apostrofandolo.

“Ma zitta!- si allontanò borbottando- ma che razza di figlia mia è uscita fuori?!”

Lo vidi sparire e mi guardai intorno, spaesata. Decisi di starmene zitta e di iniziare a camminare. La gente nel corridoio mi schivava e quella seduta mi squadrava come pensando fossi cieca. Stavo continuando ad avanzare impettita quando vidi qualcuno venirmi incontro. Non è che mi veniva proprio incontro, camminava anche lui, impettito, e non dava segno di scostarsi dalla linea che stava percorrendo con i piedi. La mia stessa. Lo guardia incuriosita, incoraggiandolo a continuare a camminare e venirmi addosso. Lui, sempre più vicino, ghignò divertito senza deviare. Oramai era una QUESTIONE PERSONALE, pensai. Alzai lo sguardo e allungai il passo per coordinarlo alle sue lunghe falcate a confronto delle mie gambe piccole. Si stupì per un attimo, quel ragazzo, ma sorrise ancora di più e avanzò di un passo. Quello che bastò, senza neanche accorgermene, per farci sbattere uno contro l’altro. Alzai lo sguardo, infastidita. Dico diamine! Gioco e gioco, ma alla fine cazzo ci fai lì in mezzo spostati, deficiente!! Ma non lo dissi ad alta voce, per fortuna, perché lo avrei urlato considerando la mia tolleranza.

I miei occhi si fusero per un nanosecondo con i miei mescolando il suo blu elettrico, il suo blu del colore del mare, con il mio castano scuro, il mio banalissimo castano scuro. Un brivido mi raggiunse la schiena e distolsi lo sguardo, imbarazzata. C’era qualcosa in quegli occhi, in quelle pozze d’acqua infinite,  qualcosa di già visto..

Posai le mani sul suo petto e mi allontanai da lui nello stesso tempo in cui mio padre fece la sua entrata battendo il cinque ad un altro uomo sulla quarantina che non avevo mai conosciuto.

“ahahhaha, sei stato grande!”  disse lo sconosciuto, a mio padre. Mentre lui si limitava a far scorrere il dito per mostrare le sue ultime foto fatte con la Nikon nuova di zecca. Lo sconosciuto mi porse la mano “Piacere, Marco. Tu sei ?”

“Scusa- dissi falsamente dispiaciuta – ma i miei genitori mi hanno insegnato a non parlare con gli sconosciuti.. Vero papà?” chiesi cercando supporto ma lui si esibì in una grande risata.

“Ma non è uno sconosciuto! E’ un fotografo anche lui, piccola! Come me”

Inarcai un sopracciglio infastidita “ e si può sapere cosa volevate concludere voi due mandandomi a sbattere contro una cinquantina di persone solo per poi farmi scontrare con questo ragazzo!?- dissi indicandolo, mi ricordai di lui e mi voltai- ah, mi scuso da parte loro, ma mio padre è mentalmente disturbato” dissi  squadrandolo.

“Ehm..- sussurrò il ragazzo dagli occhi del colore del mare- veramente lui, Marco, è mio padre” disse ridendo sfoggiando un sorriso degno di portare la S maiuscola. “E si.. Non solo tu hai un padre mentalmente disturbato.”

Okaaaay, la sua voce mi aveva un po’ sciolto, ma mi ricomposi e guardai saccente mio padre in cerca di spiegazioni.  I papà si misero simultaneamente le macchinette fotografiche al collo e il cosiddetto Marco-sono-il-papà-di-quello-bello spiegò “Oh, ho soltanto un amico a cui serviva una foto entro oggi e non avevo ancora trovato niente inerente a qualcosa di giovanile, quindi ho incontrato tuo padre e ci siamo messi d’accordo per creare una mezza specie di colpo di fulmine. E diciamo che la foto dei due innamorati che si scontrano non è venuta affatto male!” incrociai le braccia al petto, squadrandoli “gli innamorati che si vanno a sbattere contro ?! Sul serio, potevate cercare qualcosa di un po’ più deficiente ?”

“ahhahah! Dai non fare l’acidona.” Disse mio padre.

“Papà, senti, ti ricordi no, dobbiamo andare a vedere la puntata che ci siamo persi ieri sera di Dragon Ball!” si ricordò il ragazzo battendosi una mano sulla tempia e facendo balzare il ciuffetto moro più lungo del normale su e giù sulla propria testa.

“Bene, io me ne vado” commentai.

Mi misi finalmente bene il giacchetto e salutai con un cenno impercettibile della mano quagli altri due che mio padre si era portato appresso. Bene,  così non ne bastava uno disturbato mentalmente, eravamo a tre. Ma c’era da ammettere che per quanto quel ragazzo dovesse essere fissato con Dragon Ball, con quegli occhioni potevo anche passarci sopra.

 

 

 

TADDATARATAAAAAAAAAAAAAAAAAAA <3

Allora, via con le presentazioni. Questa storia è un modo per dimenticare tutto quello che è successo, perché tutto quello che scriverò qui mi è successo veramente, ma non voglio anticiparvi niente... Spero solo id esservi piaciuta e magari di avervi strappato anche qualche sorriso :D !

Ringrazio in anticipo, anche se lo farò anche nel prossimo capitolo che posterò e negli altro (se ci sarà qualcuno che lo farà) chi la inserirà nelle seguite, preferite e eccetera :3 e chi la recensirà! <3

 

-Levi

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Aprii la porta della nave per uscire fuori all’aria aperta e mi trovai davanti una ragazza, aveva lunghi capelli neri e lisci e gli occhi neri, era magra e abbastanza alta mentre sul suo visto traspariva uno sguardo severo. Doveva avere circa la mia età.

“Manuel!” ringhiò ad alta voce ad un bambino  sui cinque anni con i ricciolini marroni.

“Ehm—“ bisbigliai cercando di passare.

“Scusami, mio fratello...– disse indicandolo di sfuggita con uno sguardo complice, e il bambino corse via-  stupido ragazzino dove vai!?” sbraitò e fece per rincorrerlo.

“Scusami, ti serve una mano ?”chiesi cercando di rendermi utile. Immaginavo come fosse prendersi cura di un ragazzino, specie io che avevo il cugino più casinaro del mondo.

“Oh mio Dio grazie! Mi faresti un favore immenso! – disse sgranando gli occhi color pece- si chiama Manuel, e beh, lo hai visto. E’ tutto il tempo che mi fa fare su e giù per la nave!” disse sbuffando.

“Oh bene.. Credo, - disse e accennammo una risata- comunque sono Sara “ dissi e le strinsi una mano.

“Giada, piacere.- sorrise amichevolmente- allora, facciamo così, ti do il mio numero così se lo trovi mi invii un messaggio, tutto chiaro ?”

“Limpido” dissi e mi feci dettare velocemente il suo numero. Gli feci l’occhiolino e mi avviai da una parte della nave e lei si fece strada dalla gente nella parte opposta. Almeno mi ero trovata qualcosa da fare, dissi tra me e me. Giada era napoletana, lo si sentiva dall’accento strambo. Non che io ne avessi uno migliore, certo. Abitavo a Roma e diciamo che il mio italiano non poteva essere più che originale, ma ero fiera del mio accento anche se non si addiceva ad una “signorina educata della capitale” diceva mia madre con il mento alto.

Sentii un trambusto venire dal corridoio successivo e mi fiondai dentro. C’era un signore caduto a terra e si teneva sui gomiti imprecando tutte le parolacce possibili ed inimmaginabili. Accanto a Manuel ridacchiava per aver fatto cadere quel signore ma appena mi scorse si ricordò di me e scappò via.

“Piccolo ragazzino!” gridai sgomitando tra la gentaglia che assisteva alla scenetta per passare. “Manuel!” gridai più volte rincorrendolo .

Lo vidi fermarsi per riprendere fiato, cavolo quanto correva quel piccoletto su quelle gambe lunghe quando un mio polpaccio! Riprese a correre a più non posso ma non feci in tempo a realizzare da che parte fosse andato che andai a finire dritta dritta addosso ad una persona.

E ti pareva! Pensai tra me e me. Alzai lo sguardo scusandomi secca e mi girai in fretta per cercare un piccolo riccio di quel bambino ma qualcuno mi trattenne per un polso “Scusa devo andare” dissi sbrigativa senza guardare chi mi tratteneva nemmeno in faccia. Ma quel “qualcuno” non dava segni di lasciarmi andare allora mi girai seccata alzando un sopracciglio.

“Dimmi come mai ci dobbiamo scontrare sempre cosi, ragazzina.” Disse cauto lui.

“Sono di fretta, e non chiamarmi ragazzina io ho ... Ma che ti frega a te quanti anni ho io! Và, che devo perdere tempo a parlare con te. “ strattonai il polso e ripresi a correre all’impazzata facendo mangiare la mia polvere al ragazzo che mi aveva trattenuta.

Si okay, sei un bel ragazzo, questo non te lo toglie nessuno. Ci siamo scontrati, e questo lo sappiamo. Ero stata un po’ scontrosa, e questo lo sanno tutti. Lasciami in pace, pensai sul figlio di Marco.

Mi morsi un labbro, perché alla fine quelle attenzioni non mi dispiacevano.

Rallentai il passo e mi accostai vicino al bagno delle donne mentre un bambino baldanzoso camminava tranquillo e strafottente. Possibile che già a cinque anni avevo a che fare con una mini versione di bad boy?

Lo afferrai di soppiatto e gli tappai la bocca “Non urlare, Manuel.” Gli sussurrai all’orecchio nemmeno fossi un’inviata speciale della CIA.

Con il ragazzino in braccio feci fatica a prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloncini di jeans. Composi il numero che Giada mia aveva lasciato e scrissi “ho trovato il piccoletto, vediamoci sul retro della nave tra cinque minuti “ feci una faccina felice anche se il mio volto non era proprio lo specchio della felicità e mi avviai verso la zona scelta.

Stavo per svoltare l’angolo quando qualcuno mi si pose davanti, qualcuno che conoscevo già. Il ragazzo posò il braccio sul muro accanto a me e mi tagliò la strada “Chi è ?” disse, curioso indicando Manuel.

Sbuffai “Mio figlio” inventando.

“Fortunato il papà allora!” disse e pizzicò la guancia di Manuel con le due dita. Beh.. devo ammettere che la posizione in cui si era messo non aiutava a oppormi ma passai sotto il suo braccio e svoltai l’angolo sistemandomi una ciocca dei ricci biondi che era volata via dalla coda. Intravidi Giada con un libro in mano che aspettava, paziente.

“Manuel! “ strillò lei e Manuel assunse un’aria dispiaciuta. Guardai gli occhi verdi del bambino, così dolci e pucciolosi e quasi mi pentii di averlo sgridato. Ma poi, quando tolse lo sguardo rivolto alla sorellina si girò e mi fece la linguaccia strizzando gli occhi. Gemetti abbattuta e salutai Giada per poi tornare finalmente per i fatti miei.

Mi sistemai bella bella sulla parte superiore della nave, dove non c’era un’anima viva e mi misi a guardare il mare sconvolta dal fatto che non avevo ancora vomitato. Sentii lo stomaco brontolare contrariato e mi sedetti sul porta salvagenti con le spalle voltate verso la pista di atterraggio dell’aereo, usata in caso di emergenza. Il vento mi sferzava il viso, la coda si sciolse con una folata di vento troppo forte e i miei capelli iniziarono a fare su e giù come matti. Sbuffai raccogliendo l’elastico e infilandomelo al polso.

Mi voltai di scatto sentendo un rumore mentre Lui si sedeva a pochi metri da me. Possibile che con tutto lo spazio che quella nave avesse, lui doveva venire sul terrazzo, dove non c’era anima viva, e senza nemmeno un giacchetto per di più.

Mi sorrise di sfuggita e mi ammiccò, per poi infilarsi le cuffie e poggiare la testa sul muro. Lo guardai attentamente per la prima volta e mi ritrovai a guardarlo con gli occhi sgranati . Aveva ai piedi delle converse rosse, un paio di jeans chiari e una maglietta di e rossa di Superman. Aveva un ciuffo biondino troppo lungo che gli ricadeva davanti al viso e gli occhi, beh, quegli occhi così familiari... Quegli occhi così, così... Maledettamente vicini...

VICINI!?

Scrollai la testa e spinsi mettendo le mani sul petto del ragazzo che si era spostato davanti a me, spingendolo via. “Così mi consumi, angelo..”

“Ma per favore!” sbuffai mollandogli un pugno sulla spalla giocosa mentre le goti mi si arrossavano e abbassai la testa per non farmi vedere imbarazzata dal nomignolo che aveva usato.

Sentii il suo indice sfiorarmi il mento e alzandomelo delicatamente fino a trovarmi a guardarlo negli occhi. Malgrado fossi seduta e lui in piedi lo guardavo con il naso all’insù e arricciai il naso infastidita.

“Posso sapere il nome della ragazza che mi fissa da quando le sono andato addosso?” disse soffiandomi sul naso.

“Solo se gli dirai il tuo, Casanova!” dissi apostrofandolo e cercando di non guardarlo negli occhi.

“Non ho intenzione i farlo, cara mia!” rise sornione alla mia smorfia e cercò di seguire con gli occhi la direzione in cui stavo guardando.

“Allora penso che vivrai anche senza il suo nome” saltai agilmente e i capelli mi volarono su e giù con il corpo per poi avviarmi verso l’entrata, da dove ero venuta. Sentii il suo sguardo seguirmi allora mi morsi il labbro quando ancora non mi vedeva e, per fare una bella uscita, mi voltai lanciandogli un’ultima occhiata e facendo sarcastica “ciao-ciao” con la manina.

Non sarà certo per il suo sorriso e i suoi occhi che si guadagnerà qualche attenzione da me.

Aprii lentamente la porta per tornare all’interno della nave ma non feci in tempo a mettere piede sul pavimento coperto dalla moquette che mi battei una mano sulla tempia.

Mi ero scordata il giacchetto fuori.

Possibile che ogni volta che volevo fare qualcosa di figo doveva essere sempre tutto rovinato dalla mia sbadataggine ?!

Mia cugina si parò davanti a me all’improvviso e mi sorrise mettendomi un braccio attorno al collo facendomi entrare mentre l’aria calda si impossessava dei miei polmoni . “Sarè, tutto bene? Hai una faccia pallida... Sei morta e non te ne sei accorta?”

Alzai gli occhi al cielo per la scarsa presenza di umorismo nel cervelletto di mia cugina, ma infondo risi. Perché era per quello che la amavo tanto (?)

“Sono una demente, Francesca” buttai lì.

“E cosa è successo di così tanto grave! Ti è caduto il telefono giù per il ponte ed è andato a finire in acqua?”

“PEGGIO! Ho lasciato il giacchetto fuori !”

“Ah.. Allora scusa! Alzo le mani, ciccia” mi prese in giro. Mi voltai verso di lei e strinsi la mano a pugno sotto il suo mento ”Tu non sai cosa comporta questo!” dissi in preda ad un attacco di panico per aver rovinato la mia uscita strafiga.

“Okay, okay. Te lo vado a prendere io!” Mi addolcii subito e lasciai cadere la mai mano su un fianco ma non passò nemmeno un secondo che la abbraccia stritolandola come una pazza.

“WAAAAAAAA- urali con tutta la gente che mi guardava- ti amo, ti amo, ti amo! “ Misi una mano sulla mia bocca e feci finta di baciarla mentre un coro di “Oooooooooh” si levò dalla gente. Mi separai veloce da lei e li squadrai urlando “Fate sul serio?”

 

 

Sono sempre io, yaya.

E sono viva, e ho aggiornato prestissimo non fateci l’abitudine ahhahaha <3

 Vi voglio bene ! C’è mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo, spero vi siate fatti un sacco di ristae .

Bacioni

-         Levi

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Mi alzai dal lettino della nave un po’ sollevata di avere una scusa per separarmi da quella mezza specie di cosiddetto “letto”. Le onde si alzavano e si abbassavano dall’oblò e la Luna era alta in cielo, segno che doveva mancare poco alla mezzanotte e mezza. Ma la nave era ancora in subbuglio, tanta la gente che non riusciva a dormire. C’era chi non sopportava il letto e si lamentava, chi non sopportava chi non sopportava il letto e si lamentava e chi non riusciva a dormire perché quelle due di prima litigavano, insomma era tutto un giro complicato.

Girai la maniglia della porta e mi ritrovai nel buio, realizzai poi che non ero diventata cieca ma che qualcuno mi aveva tirato in faccia un coso nero, freddo e bagnaticcio... Me lo sfilai dalla testa e lo buttai a terra sulle Converse di qualcuno. Misi a fuoco e vidi che era un giacchetto.. il MIO giacchetto porca banana. “Oh santoddio il mio giacchetto!” e lo raccolsi per terra tutto fradicio. Davanti a me una voce stridula da donna urlò “Le mie scarpeee!!!!!”  come una femminuccia. Rimasi perplessa nel vedere il solito ragazzo con una faccia traumatizzata guardare le sue scarpe. Nemmeno io, che ero una femmina in piena regola, sapevo urlare in un modo così acuto! Sentii una fitta di gelosia..

“Il mio giacchetto.” Puntualizzai e poi lui isterico emise un gridolino indicando a palmi aperti e con tutte e due le mani verso il basso trattenendo un urlo in modo strambo “Le mie scarpe”

Alzai un sopracciglio e scoppiai in una risata buttando la testa indietro come un pazza e senza un minimo di vergogna buttai lì “Ma sei gay?”

Ci fu un attimo di silenzio in cui lui si riscosse e mosse la testa con il ciuffo che dondolò in avanti e in una frazione di secondo eliminò lo spazio che c’era tra di noi con un balzo.

Arrossi violentemente diventando del colore delle sue converse rosse e il mio naso si fiorò con il suo. Osservai attentamente la sua bocca carnosa e quando alzai gli occhi e vidi i suoi capii che anche lui mi stava osservando da vicino, troppo da vicino,  con tutte le mie sfaccettature ogni centimetro del mio viso. Dagli occhi marroni che odio tanto, alla bocca a cuore, al nasino all’insù. Nel tempo che passò nessuno dei due respirò e ogni attimo lo passavo con il terrore che lui si rendesse conto del mio aspetto e sospirasse deluso. Ma quando respirò un soffio d’aria si levò e mi sfiorò la guancia per poi far curvare la sua bocca in un sarcastico sorriso. Alzò la mano e mi arrotolò un capello, già arricciato di suo che usciva ribelle dalla coda disfatta. Ma quando i suoi occhi si incontrarono con i miei uscii dal mondo reale e tutto dannatamente programmato ed imperfetto. Annegai nei pozzi d’acqua limpida e mi persi nella loro grandezza. Senza accorgermene sentii le mie Converse alzarsi da terra e rimasi sulle punte, come sotto incantesimo avvicinai le mie labbra alle sue senza smettere di guardare quegli occhioni. In quel momento realizzai, che il mio grande terrore in quel momento sarebbe stato dimenticare il colore degli occhi di quel ragazzo.

Senti il suo respiro sulle mie labbra e con la mano sul suo petto il battito del suo cuore accelerare.

“Emh.. ma come li chiamiamo?” chiese una donna sulla trentina.

“Non so, io la chiamerei Sara la tua!” disse una donna accanto a lei sul lettino dell’ospedale.

“Bene, e che ne dici di ... Andrea!”

“Si penso vada bene per il mio.. Andrea, forte e coraggioso!” gli occhi della neomamma diventarono due cuoricini e voltò il figlio verso l’altra bambina appena nata. Sara incontrò gli occhi di lui e si perse nel loro blu. Tutto il resto del mondo sembrava lontano...

“Ti voglio bene sorellina” sussurrò una mamma in lontananza, lontana dai mondi dei due bambini, alla donna sdraiata sul lettino.

“Ti voglio bene anche io”

La neonata si riscosse e si guardò intorno. Persone che correvano in camici bianchi indaffarati a sdraiare la sua futura zia e a portarle via il figlio dalle braccia, le urla di lei . Le grida “Andrea!ANDREA!”

Pianti. Solo pianti. Poi il buio, duo occhi celesti nel buio e le lacrime che nascono ai lati le palpebre che sbattono e alternano l’oscurità fino a che quei due occhi, pieni di lacrime, si chiudono per sempre.

Sara sbattè le palpebre velocemente e tornò sulla pianta dei piedi. Guardò di sfuggita il ragazzo deluso e con la mano ancora sul suo petto lo allontanò alla distanza di prima. Non c’era stato nessun bacio. Lui, fingendosi indifferente, gli porse il giacchetto e lei cercò di tornare acida e sarcastica come sempre.

Prendendo in mano il suo giacchetto nero le gocce d’acqua scivolarono sul suo braccio e gli scappò un sorriso “Si può sapere cosa hai fatto con il mio giacchetto, la doccia per caso ?!”

“Mi sono fatto un giretto sulla nave..” disse indifferente.

“Con.IL.MIO.GIACCHETTO.?”

“Si...Va bene io vado, buonanotte” disse cercando di scappare per evitare una mia urlata sicuramente.

“Buonanotte” dissi secca e voltai le spalle sbattendomi la porta dietro. Il suono non si attutì e mi voltai vedendo una converse rossa spuntare tra lo stipite  della porta e un “Ahi” trattenuto.

La aprii e mi stampò un bacio secco sulla guancia “Sogni d’oro!” con un passo il roscio mezzo biondo scomparse nella sua cabina e io rimasi lì, impalata sentendo ancora le sue labbra calde sulla mia guancia.

Scrollai la testa e rientrai nella stanza, vedendo mia sorella dormire beata. Rimuginai ore sul sogno che avevo fatto ma non mi venne in mente niente. Era chiaro che le due mamme erano sorelle e di conseguenza i due bambini cugini... Ma quelle urla improvvise, i medici che allontanano la mamma... Mi rimbombava in testa “Andrea, forte e coraggioso”.. Si quello era il significato, il significato del nome Andrea.

Mi alzai dal letto, erano le tre passate e con indosso il giacchetto mi avviai fuori dalla nave. Feci un po’ di strada fino a che le gambe quasi mi cedevano e decisi di fermarmi lì, ovunque stavo. Doveva essere il dietro della nave, non passava nessuno. C’ero già stata e avevo trovato solo lui, ma forse se fosse venuto a cercarmi la mattina dopo mi avrebbe anche fatto compagnia appena sveglia. Me lo immaginai di sfuggita che con nonchalance cammina per la nave con un giacchetto da donna. Con il sorriso in volto e l’immagine di lui in testa mi addormentai mentre il vento sibilava sul mio corpo e Morfeo mi richiamava a lui. Solo una cosa avevo capito da quella serata.. Non era gay.

                                                            *-*

Quella mattina mi ero svegliata prima del dovuto e ma oramai il sole era già alto nel cielo e la costa della Croazia era nitida mentre le navi si avvicinavano alla nostra più recentemente. “Papà, ma per chi era il disco per cui hai scattato la foto?” chiesi.

“Per Lorenzo no, non ti ricordi, quel signore panciuto che vediamo sempre l’estate che-“

“Papà, mi ricordo di Lorenzo vai avanti!” lo bloccai.

“Beh, hai visto che la sera cantava nei locali in cambio di vitto e alloggio sull’isola no? Beh, ha deciso di fare un disco- sorrisi- che si incentra sull’amore e è da un anno che mi ha chiesto questa dannatissima foto, ma me lo sono ricordato solo adesso pensa un po’ e voi due beh eravate perfetti!”

Lo ringraziai, afferrai il libro di narrativa e uscii dalla sala da pranzo per arrivare sul tetto della nave e sedermi comodamente sul pavimento caldo e scivoloso. Poco dopo vidi i miei zii lontano da me mentre Leonardo, mio cugino, giocava sul pontile facendo finta di cadere. Afferrai il libro salutandoli di sfuggita con la mano e mi coprii la vista con la scrittura fitta fitta sfilandomi il giacchetto e lasciandolo accanto a me.  

Non so quante ore erano passate, fatto sta che stavo leggendo per la centesima volta la stessa riga quando chiusi di scatto il libro sbuffando. Alzando gli occhi vidi che ci eravamo avvicinati molto alla costa e il porto era ben visibile, sorrisi. Mio cugino stava ancora facendo finta di cadere continuamente dondolando da una parte e dall’altra come un ubriaco come se la nave stesse facendo una così grande oscillazione. Mi ritrovai ad incrociare le dita dietro la schiena e a sussurrare “Cadi, cadi cazzo cadi!” sperando che quel cretino cadesse così l’avrebbe fatta finita e si sarebbe messo a frignare catapultandosi nella cabina.

“Come sei crudele.” Sussurrò un ragazzo che si sedette senza pochi problemi davanti a me. Mi voltai e lo squadrai guardando in quei profondi occhi azzurri ma non riuscivo a reggere quello sguardo e li abbassai mordendomi un labbro. “Sono tre ore che fa su e giù così” Dissi gesticolando e mancandolo per poco con uno schiaffo involontario e sfiorandogli il ciuffo rosso-mezzo biondo.

“Ehi, occhio ai miei capelli!” ringhiò. “Sono la mia arma, devo essere perfetti.” Disse poi passandosi una mano tra di essi e ammiccando a due ragazzine con una tragica tempesta di ormoni in atto.

Gli bloccai un braccio guardandolo sincero “Con questo vento credimi, amico, anche io ci ho perso la speranza.” Sibilai poi guardando un riccio volato davanti agli occhi.

Sorrise mostrando una sfilza di denti perfetti. “Allora angelo, dove sei diretta? Su una stella?” disse.

“Punto primo: Angelo?! Cos’è non sapendo il mio nome mi dai i nomignoli? – risi di gusto- punto secondo: affari miei.”

“Scusa Scusa!- disse alzando le mani- comunque a dirti la verità si Angelo quando penso a te ti chiamo così visto che tu ti rifiuti di dirmi il tuo nome.” Mi indicò severamente.

“Sarai felice di sapere che nella mia mente tu sei : il roscio mezzo biondo.” Lo schernì

“Non sono roscio!” ribatté lui offeso. “Ho ragione. Discorso chiuso. E dimmi, Roscio mezzo biondo, dove sei diretto?” chiusi la questione.

“Su una piccola isola, niente di particolare...” “Oh, beh, incrociamo le dita che non sia la mia stessa!” dissi.

“Magari, così ti potrei tormentare ogni giorno!” disse mentre con gli occhi vagava nel cielo.

“Magari, così ti potrei denunciarti per stalking” sorrisi amara per poi voltare lo sguardo.

Lanciai il pugno in alto in segno di vittoria e iniziai una danza buffa davanti a lui mentre mi guardava sconcertato. Sorrisi e avvicinai il mio viso al suo posandolo sulla sua spalla in modo da avere la sua stessa visuale facendo finta di non aver notato il fatto che si era leggermente irrigidito e poi gli indicai un ragazzino, mio cugino per precisare, sdraiato per terra a lagnare per essere scivolato. Lui rise e ci battemmo il pugno “Povero ragazzino!” sospirò lui. “E’ uno stronzo, e non guardarmi così- aggiunsi alla sua faccia incuriosita- lo dico perché è mio cugino!!”

Un ghignò si formò sul suo volto e poi con voce roca disse “C’è anche una cugina nascosta per caso?”. Gli mollai un pugno sul braccio “Biondino vacci piano!”

“Gelosa?” “Mai, sconosciuto” risposi a testa alta mentre un sorriso increspava le nostre labbra. Una sirena si propagò in tutta la nave, segno che ci preparavamo a sbarcare. Saltai in piedi afferrando il libro decisa a fare l’uscita di prima ma senza la figuraccia con il giacchetto. Gli stampai un bacio sulla guancia e gli dissi “Buon viaggio roscio mezzo biondo” ammiccai e poi feci per andare verso l’entrata della nave, a raccogliere le mie cose ed ad abbandonare i ricordi di quel ragazzo al porto di Spalato, ma prima mi girai e gli feci “ciao-ciao” con la mano come avevo fatto prima per poi iniziare a scendere le scale.

Non avevo superato uno scalino che senti una mano forte afferrare il mio polso e bloccarmi “Angelo, dimentichi qualcosa” mi voltai sentendo la sua voce per incontrare i suoi occhi e il suo sorriso e... Il mio giacchetto tra le sue mani.

“Cazzo.” Borbottai afferrando il giacchetto.

“Ci tieni così tanto a fare questa uscita strafiga?” scherzò lui pizzicandomi la guancia.

“Troppo” non feci in tempo a salutarlo per poi andarmene con la vergogna sulle spalle che le sue mani si strinsero sul poggia mano delle scale incatenandomi tra lui e la ringhiera. Ero confusa e alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi “Francesco.” Disse semplicemente. Sorrisi capendo al volo ma non volevo dargli la soddisfazione di dirgli il mio nome e feci per andarmene ma mi strinse su di lui ancora di più “Allora?- fece per incoraggiarmi- Non mi farai mica baciare una sconosciuta dai capelli ricci, Angelo” si avvicinò pericolosamente a me, ma qualcuno mi salvò la pelle:

“Ricciolì? Dove sei? Corri tuo padre ti sta cercando!” chiamò mia cugina da sotto le scale non vedendomi per fortuna.

Cavolo che culo almeno non ha detto il mio nome, la ringraziai mentalmente e lui lasciò la presa.

“Ti cercherò al ritorno Angelo” disse lui facendo scoccare la lingua sul palato.

“Penso che mi farò trovare, Frà” lo apostrofai e ammiccando mi voltai scendendo le scale, mentre la mente vagava, vagava pensando già alla fine della mia vacanza...

Ma un pensiero ancora mi assillava... Chi era Andrea?

 

LEGGETEEEE TUTTI

Allora, spero vi piaccia. Ci ho messo il triplo del tempo per farlo solo doppiamente più lungo però è parecchio bello.. Insomma, spero di avervi intrigato.

Non so se riesco ad aggiornare molto presto perché devo partire una settimana e TARATTAATAA : Vado a New York.. Lo so, parto da Roma quindi immaginate l’orario in cui arriverò T_T

Mi mancherete fatemi trovare mille recensioni occhei ?

TAAANTO LOVE,

Levi

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mi scapicollai dalle scale nella speranza di scendere da quella nave il prima possibile quando vidi con la coda dell’occhio due persone che conoscevo bene.

“Manuel!” gridai mentre il ragazzino dai capelli mossi si nascondeva dietro le gambe della sorella, Giada. Li abbracciai e gli promisi che l’avrei cercata al ritorno. Mi salutò stringendo l’abbraccio mentre mi limitai a dare un buffetto sulla guancia a Manuel che stranamente non si ritirò. Gli sorrisi di sfuggita mentre mettevo piede sugli scalini e seguivo la folla mentre cercavo la riccia chioma mora di mia sorella e, trovata, la raggiunsi in corsa. Mentre superavo il pontile con lo zaino in spalla sentivo lo sguardo di qualcuno si di me ma in mezzo alla folla non riuscii ad individuare nessuno fino a che la mia attenzione non fu catturata da una donna giovane che spronava suo figlio ad avanzare velocemente mentre cercava di aprire la portiera della macchina. Francesco si posò sulla fiancata dell’auto lucida fino a che non sentii i suoi occhi infuocati su di me e quel blu elettrico si accese come non mai mentre mi portavo una bottiglia d’acqua alla bocca e gli sorrisi.

Mia sorella si fermò di scatto e sibilò “Chi è?”

“Chi è chi ?” feci la vaga.

“Chicchirichì, cretina quel tipo dico” disse e lo indicò.

“Non ne ho la più pallida idea sorellona.” Dissi muovendo una mano davanti al mio viso come per scacciare via l’argomento e alzare poi la mano per farmi vedere da mia madre che accendeva i motori della macchina. Dopo pochi passi mi infilai nella portiera e mi sedetti sui sedili posteriori e chiusi gli occhi mentre a palla si ripeteva incessante “Little Things” dei One Direction.

                                                                    *-*

Erano passate ore oramai e la stessa canzone si ripeteva mentre l’ennesimo traghetto della giornata ci faceva finalmente sbarcare sulla nostra meta : Luka.

Luka era la destinazione della mia famiglia da ben quattro anni e ogni anno portavamo un nuovo membro della nostra famiglia a visitarla. Era una delle tante isole della Croazia ma la cittadella e la sua acqua cristallina aveva catturato il cuore dei miei genitori dall’inizio. Avevamo anche degli amici lì, erano due o tre uomini sulla quarantina che lavoravano nei locali la sera in cambio id vitto e alloggio, si erano due musicisti. Fabio aveva i soliti capelli bianchi sempre appiattiti dal casco da moto e un paio di occhiali rotondi mentre Lorenzo era un uomo calvo e panciuto con il sorriso sempre stampato sulle labbra e con una spiccata passione per le donne russe. Li adoravo. Sapevano sempre tirarti su con il morale, li conoscevo da quando mio padre comprò la sua prima moto e diventò un ufficiale motociclista del loro gruppo. Imbarazzante non è vero?

Sorrisi quando vidi la nave aprire la portiera per far passare le macchine che una ad una entravano nel territorio Lukano. Misi un piede a terra prima di salire in macchina e respirai l’aria pulita e fresca della notte croata mentre le stelle quella sera sembravano guardarmi compiaciute e rallegrate del mio arrivo.  I miei zii suonarono dalla macchina dietro alla nostra il clacson e mio padre partì verso i nostri appartamenti.

Erano passati poco più di 20 minuti quando lasciammo la famiglia Desideri all’uscio di una casa a pochi passi dalla spiaggia di ciottoli e proseguimmo cento metri più avanti dove il nostro appartamento era già stato aperto e preparato. La brezza marina mi scompigliò i capelli e mia madre frugò nelle tasche della borsa in cerca delle chiavi e quando sentii tintinnare esse una macchina lucida sfilò sulla strada con gli abbaglianti accesi e si fermava accanto alla nostra casa. Entrai spedita in camera non curandomi dei nuovi vicini dell’anno e sprofondai  nel letto della mia stanza singola mentre mia sorella e i miei si accomodavano nelle stanze al piano di sopra.

Data la stanchezza, il mio cervello preferì prendersi una bella pausa ed evitò di fare sogni strambi.

La mattina dopo sentii mia madre chiacchierare dal balcone con una donna giovane dai capelli biondi e stampando un bacio sulla guancia a mia madre mi presentai all’altra donna in inglese. Ma la donna davanti a me scoppiò a ridere “Non sono straniera è inutile che sfoggi il tuo inglese, sono italiana” spiegò con una voce acuta.

“Oh. Beh, allora ciao sono Sara” mi presentai poi con una leggera stretta della mano. “Lavanda” sussurrò con uno strano accento mezzo mafioso per poi accennare un saluto con la mano e sparire dentro la casa accanto. Scrollai le spalle e afferrai un cornetto alla marmellata per poi andarmi ad infilare un costume intero.

Non amo far vedere agli altri il mio corpo, anzi mi vergogno un po’ non essendo tutta questa bellezza. Ho i capelli biondi chiari che mi ricadono ricci e corti sulle spalle dandomi l’aria un po’ da svitata e i miei occhi rovinano il mio viso con il loro marrone scuro. Ho una bocca a cuore che amo curvare in tante smorfie e il naso all’insù. Sono bassa, sfioro il metro e 55 centimetri per culo e posso vantarmi solo dei miei muscoli alle gambe per gli incessanti allenamenti di pallavolo, ma la mia pancia non è così piatta come tutti dicono ma mi considero giusto giusto sulla soglia dell’accettabile.

Afferrai un asciugamano arancione, il telefono e le ciabatte per non farmi male sui ciottoli della sabbia. LA spiaggia era davanti casa, superata la strada e quindi abbandonai gli oggetti che mi ero portata sul molo e mi buttai in acqua con un modesto tuffo a bomba.

sentii una risata rauca provenire dalle mie spalle mentre risalivo in superficie e scostandomi i capelli bagnati dal viso risalii sulla spiaggia trovandomi davanti l’ultima persona che avrei pensato di incontrare. Il mio sguardò vagò sui suoi i piedi fino al suo costume rosso dannatamente in contrasto con un apio di occhi blu elettrico che esploravano il mio corpo. Mi soffermai un po’ sui suoi addominali leggermente scolpiti fino a seguire sulle sue labbra carnose e sul mio telefono che stringeva allegramente in mano... Aspetta, aspetta..

“IL MIO TELEFONO” balbettai scandendo le sillabe .

“Ciao anche a te angelo.” Sorrise sadico mentre si leccava il labbro inferiore.

“Francesco hai tre secondi per scappare...” dissi cercando mi mantenere la calma. Il suo sguardo di posò sulle mie mani chiuse a pugno e poi vagò fino ai miei occhi che lo fulminarono con lo sguardo.

“MAI.TOCCARE.IL.MIO.CELLULARE.SENZA.IL.MIO.PERMESSO” ringhia avvicinandomi pericolosamente a lui.

“Come siamo aggressive” sorrise e fece un passo all’indietro per poi proseguire in corsa ai lati della strada. Lo seguii senza pensarci due volte e mi maledissi per non aver messo le ciabatte mentre l’asfalto stava consumando i miei piedini bagnati mentre la rabbia mi saliva a fior di pelle.  Lo vidi infilarsi in una siepe e sparire e mi fiondai tra le foglie anche io ritrovandomi sdraiata sopra di lui al bordo del bagnasciuga .

Sorrisi appena “Preso” ridacchiai ma poi sgranai gli occhi vedendo l’acqua dei miei capelli gocciolare su di lui e il suo corpo riempirsi di goccioline a contatto con il mio. Arrossi rendendomi conto di essere sopra di lui e mi morsi istintivamente un labbro. Mi misi sopra i gomiti per non pesargli ma lui mi ributtò sora i l suo petto tenendomi stretta per i polsi e ribaltando la situazione. Mi divincolai dalla sua stretta fino a che i nostri nasi non si sfiorarono poi mi immobilizzai.

“Vorrei essere io a morderti quel labbro” sussurrò accanto al mio orecchio con voce roca mentre il suo ciuffo mi solleticava la guancia. Arrossii di colpo diventando rossa come un peperone, penso sia stata la cosa più stramba che mi avessero mai detto. Per un attimo avrei avuto voglia di gridargli “FALLO, CAZZAROLA FALLO!”

Ma mi trattenni e ripetei le sue parole con sarcasmo “Non baceresti mica una sconosciuta dai capelli ricci o sbaglio?”

Soffiò e si alzò da terra per poi porgermi una mano con un ghigno sul volto ma non l’afferrai usando le mani per alzarmi da sola da terra. “Con te sarà più difficile di quanto penso probabilmente.” Disse più a se stesso che a me.

“Oooh, ti sbagli ciccio- dissi scherzosa mollandogli un pugno sul braccio- con me non sarà proprio.” Constatai.

“Questo lo dici te, Angelo” mi prese sotto braccio e poi lo vidi abbassarsi di scatto e far bassare le sue mani sotto le mie gambe per poi afferrarmi in aria a mo’ di principessa. Sgranai gli occhi e mi divincolai dalla sua stretta ma quasi finimmo per cadere a terra e mi aggrappai al suo collo “Sei pazzo” dissi “Mettimi giù. ADESSO.”

“Si, cosi finisci di trucidarti i piedi e tua madre si chiederà come mai ti sei voluta fare una bella passeggiata sull’asfalto bollente della strada.”

Ringhiai ma lui non mi ascoltò e iniziai una sfilza di cose per cui avrei potuto denunciarlo “Furto, rapimento di persona, stalking...” Mi tappò la bocca con una mano e per poi non caddi a terra senza la sua presa.

“Vuoi chiudere quel forno?”

“Vuoi lasciarmi stare?” ripetei con un sorriso sulle labbra.

“Ho un’idea: se ti dico che non ci proverò con te mai più mi dirai il tuo nome e ti farai portare in braccio?” disse sorridente per poi aggiungere “Oh, e mi presenterai tua cugina.”

“MAI MAI MAI PROPRIO MAI ?” chiesi. Per un attimo a dir la verità sperai che i suoi occhi si illuminassero di botto e che mi disse ‘No scherzavo, mi piace tormentarti’ ma annuì.

“Ci sto. “ dissi dopo aver preso un po’ di tempo per pensarci. Intanto eravamo arrivati davanti casa e mi lasciò andare sul pavimento freddo per poi voltarsi. “Oh, non dimentichi qualcosa?” dissi vaga.

“Anche tu dimentichi qualcosa, Angelo” disse lui ammiccando e subito capii.

“Prima il telefono, poi il nome” accordai e lui allungò la mano per darmi il mio telefono, prima che ci ripensasse lo afferrai e lui storse la bocca.

“Sono solo quattro,

due sempre usate e due poco usate,

il 20 e il 10 sono i miei giorni e il miei capelli segnano il corrispondente,

principessa non sono ma signora sarò un giorno.” Dissi recitando una filastrocca che sapevo sul mio nome a memoria.

“Ma non vale! Non è il tuo nome !”protestò alzando le braccia al cielo.

“sforza il cervelletto Francesco. “

Strinse  i pugni e pensieroso si avviò dentro casa e io feci lo stesso trovando mia cugina in salotto a vedere un programma in croato.

“Ti sei decisa ad imparare una lingua che non è il romanaccio?” dissi sorpresa passandomi un asciugamano tra i capelli mentre volavano sbarazzini.

“no, ma guarda quello lì..” disse indicando un ragazzo alla televisione niente male. Feci un’espressione abbastanza soddisfatta e mi batté il pugno “Not bad..” dissi.

La biondina sorrise “NOT BED?! Cavolo gente, quello è un figaccio da paura.” Urlò mia cugina.

“Vuoi starti zitta porca puttanta!- sputai- sopra ci sono i miei ci possono sentire!”

“Almeno io non urlo porca puttana e poi respira ci’ sono usciti fuori a prenotare il ristorante per stasera. “ respirai a fondo ma poi mi insospettii.

“Ma tu non hai una tua stanza scusa?”

“Non confesserò fino a che tu non mi dirai chi hai trovato.”

“Chi hai trovato chi che cosa dove?” chiesi leggermente in imbarazzo spostando il peso da un piede all’altro.

“Dai, un ragazzo come questo e ti saresti messa a guardare la televisione come un’ossessionata meno di due giorni fa e invece ora ti è indifferente. Dillo alla tua cuginetta- disse in modo dolcioso accarezzandomi la guancia- qualche croato bellino?”

“Non toccarmi.” Ribadì fredda e poi scoppiammo in una grande risata.

“Ma che croato!”

“Allora c’è un ragazzo!” disse cogliendo il mio punto debole.

“te lo presenterò” la interruppi... Infondo ero obbligata a farlo, glielo avevo promesso alla fine.

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE

Attenzione a me please <3

Bene domani mattina parto e spero che quando tronerò troverò un po’ di recensioni visto che ho aggiornato prima per non farmi aspettare troppo. Spero che siete disposti a disturbarmi e a commentare questo capitolo<3

Baci,

levi

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