Psychoanalysis.

di franceskik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First meeting. ***
Capitolo 2: *** Second meeting. ***
Capitolo 3: *** Third meeting. ***
Capitolo 4: *** Fourth meeting. ***
Capitolo 5: *** Fifth meeting. ***
Capitolo 6: *** Sixth meeting. ***
Capitolo 7: *** Seventh meeting. ***
Capitolo 8: *** Eighth meeting. ***
Capitolo 9: *** The last one. ***
Capitolo 10: *** The end. ***



Capitolo 1
*** First meeting. ***


Le pareti erano bianche, di quel bianco sporco, quel bianco asettico, trsite, monotono, sempre tutto uguale.
Quel bianco che incanta gli occhi, non appena li rivolgi al muro e, allora con poca delicatezza, ti porta al passato. Il tuo odioso passato.
Louis respirava a fondo, seduto in quella seggiola di velluto rosso. Muoveva l'indice sul suo ginocchio a ritmo di una canzoncina che dettava la sua mente.
Si stava ancora chiedendo perchè fosse lì.
Lo avevano mandato i suoi amici, ormai esasperati, iginocchiati a supplicarlo. "Che idiozia!" Continuava a ripetersi nella testa, come una cantilena.
Era tutto silenzioso intorno a sè, e si sa, il silenzio gioca brutta scherzi.
Louis pensava: pensava a cosa sarebbe stato il suo futuro dopo quelle 10 ore, pensava a cosa avrebbe detto a come lo avrebbe detto.
"Chi me lo ha fatto fare?" Continuava a chiedersi, confuso e impaurito da quell'aria perfettamente troppo rigida.
C'era una ragazza a poche sedie di distanza, avrà avuto più o meno quindici anni. Era magra, molto magra. Aveva gli occhi incavati, gli zigomi pronunciati, la bocca rosea. Teneva lo sguardo basso, intimorito, forse anche lei pensava, persa nel bianco di quel posto.
"Perchè è qua? E' così giovane.." Louis rifletteva. Sua madre, affianco a lei continuava a guardarla, senza toglierle gli occhi di dosso. Aveva l'aria preoccupata.
Era tutto troppo silenzioso. Non era uno di quei posti in cui si può scambiare due chiacchere, pensò Louis.
Magari chiedi "Come stai?" E finisci per ascoltare storie tragiche, drammatiche e in puro stile film malinconico anni '60.
A questo punto era meglio il silenzio, fatto di pensieri e preoccupazioni, sorrisi di speranza e smorfie di dolore.

"Il signor Louis Tomlinson?" Bianco anche il camice della signorina che si affiacciò dalla porta nera, era cordiale, impeccabile, professionale.
Louis si alzò, appoggiando le mani alla sedia e finendo di cantare quella canzoncina che lo torturava sin dal momento del risveglio mattutino.
Entrò cauto nella stanza, in punta di piedi, sibilando un "Buongiorno.." nel vuoto.
C'erano foto di bambini attaccate alle pareti, disegni col colore sbiadito, luci che coloravano la stanza. Un ambiente totalmente diverso, immensamente colorato.
"Prego, accomodati Louis." Suggerì la donna, indicando la sedia. Si alzò con cautela avvicinandosi ad un bancone rotondo, con degli scaffali pieni di bottiglie di bibite. "Gradisci qualcosa?" Domandò cordiale la signora. "No, grazie. Sono a posto così.." Rispose Louis, accomodandosi in una comoda poltrona nera.
"Sono Katylin" Affermò decisa la donna, allungando la mano destra. "Beh, lei mi conosce." rispose Louis, stringendo la mano di Katytlin.  La signora sorrise, iniziando a bere il suo drink.
"Come stai, Louis?" Il ragazzo si guardò attorno, doveva sicuramente esser uno scherzo, pensò. "Dove sono le telecamere?" Domandò sorridendo sarcasticamente. "Cosa?" Non capiva la donna. "E' tutto finto." Rispose lui. "Perchè?" Domandò incredula Katylin. "Non c'è il lettino, lei sta bevendo un drink alcolico e invece di raccontarmi storie di mostri, mi domanda come sto. Dev'essere uno scherzo organizzato dai ragazzi.." Affermò Lou, sotto lo sguardo divertito della donna.
"Louis, faccio la psicologa non una maga veggente. Ho ritenuto più comodo farti sedere sulla poltrona, bevo un drink perchè ne avevo voglia e beh, ti ho chiesto come stavi per cortesia, non pensavo ti desse tanto fastidio."
Louis rimase in silenzio, contemplando l'aria tranquilla della dottoressa. "Perchè pensi che i tuoi amici vogliano farti uno scherzo del genere?"
"E' l'unica risposta a questo. Sto bene, non ho problemi, non capisco perchè sia qua.." Louis rispose, osservando la dottoressa scrivere qualcosa su un quadernino, chiedendosi cosa stesse scrivendo di lui, dal momento che lo conosceva da neppure un'ora. "Già." Commento la donna. "Ma qua non vengano solo coloro che stanno male sai? Le persone si affidano a me semplicemente per parlare.."
"Io ho già i miei amici, con loro parlo molto." Confessò Louis, guardandosi attorno, osservando ogni disegno sul muro.
"A cosa sei interessato, Louis?" Domandò attenta la dottoressa, giocando con la sua penna, facendola roteare tra un dito e l'altro.
"Ai disegni. Sono fatti da bambini, vero?" Domandò Lou. Katylin sorrise. "Quello è stato fatto da un ragazzo di venti anni." Indicò una casetta colorata tutta di azzurro, storta, al lato del foglio. "E quello da un uomo di cinquanta." Indicò, questa volta, un gatto giallo, senza bocca e senza orecchie. "Sono disegni fatti da persone autistiche, tengo molto a questi dipinti." Louis sorrise, ascoltando le parole della dottoressa, provava una sorta di tenerezza per quella situazione.
"Sa, dottoressa: di là, c'è una ragazzina. Avrà più o meno quindici o forse sedici anni, ha l'aria triste, faccia entrare lei."
La dottoressa bevve un altro sorso del suo drink per poi rispondere, con estrema pacatezza, a Louis. "Si chiama Charlene, ha diciassette anni, viene qua ogni Venerdì con sua madre, parliamo molto quando lei lascia la ragazza per andare a fare commissioni. Ha appuntamento alle 17.00, così ho tutto il tempo per parlare con te."
Sul volto di Lou si spostò una smorfia di delusione, quasi d'ira.
"Raccontami di te, Louis." lo incitò Katylin, con un lieve sorriso sulle labbra.
"Non c'è molto da raccontare, effettivamente.." Il tono del castano era freddo e distaccato, quasi pieno di paura di aprirsi.
"Tutti abbiamo qualcosa da raccontare, tutti abbiamo una storia diversa. Faccio questo lavoro da ventitrè anni, di storie ne ho sentite, Louis. Una in più non fa la differenza.." La donna sorseggiò ancora un po' dal suo bicchiere, per poi alzarsi e riempirlo questa volta, solo d'acqua minerale naturale.
"Quanti incontri abbiamo?"
"Louis, ti spiego una cosa: venire qua non deve essere un obbligo, il mio obiettivo sarà farti attendere con voglia il Venerdì, al pensiero che tu venga qua. Ci riuscirò." Sorrise la donna, alzando il bicchiere verso Louis come a volergli dedicare un brindisi.
"Ho venticinque anni. Vivo a Londra, sono un cantante di una nota boyband internazionale. Ho due occhi, una bocca e so parlare." Faceva il sarcastico, Louis,
La dottoressa si limitò a sorridere, abbassando lo sguardo. Era un tipico comportamente da primo appuntamento.
"Ti piace cantare, Louis?"
"Faccio il cantante, le ho detto."
La dottoressa sorrise. "Già. Lo ricordo. Mi hai detto che fai il cantante in una famosa boyband.."
"Già." Rispose a tono il giovane. "Allora perchè questa domanda?"
"Tu non mi hai detto che ti piace cantare, Louis. Mi hai detto che fai il cantante in una boyband famosa, internazionale." Louis sospirò ansioso sotto le parole della dottoressa. "Molte volte si fanno cose che non amiamo, così: per abitudine. A te piace cantare?"
Il ragazzo sussurrò un leggero "Mi piaceva molto."
"E adesso? Perchè adesso non più, Louis?"
"Uno dei miei migliori amici, ci ha lasciati. Ha preferito prendere un'altra strada, ha lasciato la sua passione per colpa mia..."
La dottoressa scriveva nel suo quadernino, Louis parlava con aria fredda e distaccata, perchè, insomma, raccontare i propri stati d'animo ad una sconosciuta non è così banale e semplice.
"Ah, sì?" Domandò retorica Katylin. "Come si chiama questo tuo amico?"
Louis abbassò lo sguardo, iniziava a torturarsi le mani, strusciandole l'una con l'altra per asciugare il sudore. "Si chiama Harry, Harold, ma per tutti è Harry."
La dottoressa scrisse il nome di Harry sulla sua pagina.
"Vuoi parlarmi di Harry?"
"Sono le 17, dottoressa. Non vorrà mica far aspettare la ragazzina?"
La donna osservò gli occhi di Louis, erano lucidi e grandi, grigi di confusione, di dubbi, di malinconia.
"Hai ragione, Louis. Il tempo è finito."
Il giovane si alzò, seguito dalla dottoressa che, gentilmente, aprì la porta. "Ci vediamo venerdì, Louis."
"A Venerdì, Dottoressa."

La ragazza entrò nella stanza, seguita puntualmente dall'ansia di sua madre.
Louis avrebbe voluto mostrare ai suoi amici che ci sono persone più bisognose che necessitano di una visita dallo psicoanalista, ma i ragazzi gli avrebbero detto la stessa cosa di sempre:
"Ognuno ha i suoi problemi, Louis. Non è importante il problema in se per se, tanto quanto l'importanza che tu gli attribuisci."







Ma lo sapete che questa doveva essere una os? Lol.
Però boh, mi è venuta in mente una long e ho scritto, non so cosa ne verrà fuori, vi va di intraprendere questo viaggio con me?
Saranno 10 capitoli. Ogni capitolo sarà una visita dalla psicologa in cui Louis rivedrà i ricordi del passato e cercherà di trovare risposta per il futuro.
Beh, spero di avervi incuriosito almeno un po', altrimenti vorrà dire che sono un disastro!
Grazie mille per aver letto e se volete lasciate una piccola impressione iniziale, così per sapere se c'è qualcuno che leggerà questa ff.
Baci,
Fra.

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Capitolo 2
*** Second meeting. ***


Nella stanza era udibile solo il rumore dello spostarsi delle lancette, un tintinnio continuo e costante, invariabile e monotono.
Chi poteva immaginare che il 'tic-tac' di un orologio appeso sopra il muro di un ufficio psicologico, potesse assomigliare tanto alla vita di Louis?

Era seduto sulla sua sedia, con lo sguardo fisso sulla stessa ragazzina della settimana precedente. In fondo, Katylin aveva detto che ogni Venerdì aveva appuntamento con sua madre.
Sembrava tranquilla lei, scocciata e infastidita sì, ma per niente nervosa  o preoccupata.
Louis invece avrebbe pagato oro per scappare da lì, perchè doveva ascoltare una sconosciuta che voleva solo intromettersi nella sua vita? Non aveva senso.

Eppure non aveva senso neppure la vita di Louis, tutto quel dolore che ormai provava da mesi, tutti quei pensieri fuori luogo e i troppi dubbi che lo devastavano.
Sorrideva ogni volta che la ragazza alzava lo sguardo per guardarsi intorno, nella speranza di starle simpatico.

_Signor Tomlinson?_ Aprì la porta la stessa segretaria o infermiera o dottoressa della settimana prima.
_Sì.._ Louis si avvicinò alla porta, entrando e accertandosi che fosse chiusa alle sue spalle.
_La dottoressa la sta aspettando, prego._ La donna l'accompagnò in un ulteriore stanza. Katylin stava mangiando un budino di riso, Louis la guardò con aria storta.
_Louis! Finalmente..._ Gli sorrise lei, come se il ritardo dell'appuntamento fosse dovuto a lui che stava aspettando da un'ora e un quarto. _Accomodati._
_Non sa che è maleducazione mangiare sul luogo di lavoro?_ Puntualizzò il ragazzo, sedendosi nella poltrona di fronte alla scrivania della dottoressa.
_No. Non lo è._ La donna sorrise, appoggiando il suo budino sul piattino e allontanandolo dal computer. _Non è maleducazione, è solamente cattivo gusto, non è buon senso, ecco. Ma in fondo, al giorno d'oggi dov'è il buon senso?_
Louis gli lanciò uno sguardo amaro. Odiava le persone così precise, che tendano a puntualizzare tutto, odiava gli acculturati che fingono di governare il mondo.
_Di cosa parleremo oggi?_ Domandò scocciato lui, allungandosi sulla sedia, quasi a sdraiarsi.
_Non so, Louis. Di cosa vuoi parlare?_
_E' lei che detta legge, qua._ Ribattè Tomlinson, versandosi un po' d'acqua nel bicchiere che Katylin gli aveva lasciato davanti.
_Ti sbagli Louis. Non detto legge, tanto non seguiresti nessuna norma, quindi..._
_Giusta osservazione, dottoressa!_ Sorrise ironicamente, iniziando a bere.
_L'altra volta, prima che finisse l'ora, stavamo parlando dei tuoi amici. Ricordi?_
Lou posò il bicchiere sul tavolo, facendo un po' di rumore. La dottoressa si accomodò meglio sulla sua poltrona marrone e iniziò a giocherellare con la penna, lasciando che si spostasse da un dito all'altro.
_Sì, certo che mi ricordo._ Rispose flebile il venticinquenne, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro, palesemente imbarazzato.
_Parlavamo di Harry, il tuo amico.._
La voce di Katylin risuonava fredda all'orecchio del castano.
"Harry." Un nome, mille emozioni, un crampo allo stomaco, la gola secca, gli occhi che iniziano a farsi lucidi.
"Harry" Un semplice nome, di un semplice ragazzo che gli aveva devastato la vita.
"Harry" un ricordo ormai lontano.
_Ha visto il calo della borsa inglese?_ Domandò sprizzante Louis.
Katylin si lasciò andare ad una risatina un po' disturbata. _Louis.._ lo riprese.
_Che c'è? Ha detto che posso decidere io di cosa parlare._ Non faceva una piega.
_Eh no, Louis. L'hai scelto tardi, è maleducazione intervenire così. Ormai avevo dettato io di cosa parlare.._
Il ragazzo prese il bicchiere, bevve altri due sorsi per poi accavallare del gambe, facendo appoggiare il polpaccio destro sul ginocchio sinistro.
_Non è maleducazione, dottoressa. E' cattivo gusto. Ma in fondo, cosa non lo è al giorno d'oggi?_
Louis guardava fisso negli occhi neri della donna, con un sorriso orgoglioso e apparentemente puro e sano.
_Touchè, Tomlinson!_ Sorrise Katylin, per poi tornare seria un attimo dopo. _Perchè non vuoi parlare di lui?_
_Lui chi?_ Faceva finta di non capire, Louis.
_Harry._
Tomlinson si posò una mano sullo stomaco, accartocciandosi un po'. Maledetto stomaco. Giocava sempre brutti scherzi all'udire di quel nome che inizia con la 'H'.
_Non è che non ne voglio parlare..._ Mentì.
_Bene. Allora parliamone._ Commentò la dottoressa, finendo il suo budino di riso. _Stai bene, Louis?_ Domandò, osservando il ragazzo contorcersi dal dolore allo stomaco.
_Sì. Sì. Sto bene.. parliamone!_
_Perchè vi siete separati?_ Ingurgitò la pasta, per bere un sorso di vino rosso. _Come band, intendo.._ Aggiunse poi.
_Se n'è andato._ Rispose freddo Louis.
_Harry? Harry se n'è andato?_ Domandò Katylin, consapevole che sì, era proprio lui ad aver abbandonato tutto.
Tomlinson annuì.
_Perchè l'ha fatto?_
Louis respirò a lungo, cercando di prendere più aria possibile, perchè quando l'argomento era il bel dannato Styles, tutto l'ossigeno presente sembrava scomparire.
Osservò l'orologio accanto ad uno scaffale pieno di libri su Freud.
_E' finita l'ora, dottoressa._
Katylin osservò gli occhi rossi di Louis. Doveva capire, doveva andare a fondo. Perchè gli dava così noia parlare di Harry Styles? Cosa aveva fatto?
Cosa c'era sotto tutto quel dolore?
_Devo darti i compiti a casa, Louis._
Il ragazzo la guardò con aria storia. _Cioè?_
_Per venerdì devi scrivere su un foglio tre date importanti, le porterai qua e io le leggerò a voce alta._
Tomlinson annuì. _Ok. A Venerdì, dottoressa..._ Spostò la poltrona un po', per poter passare meglio e uscì dalla porta, sbattendola un po' più forte visto che era difettosa e al primo tentativo, se fatto con dolcezza, non si chiudeva quasi mai.

La ragazza si avvicinò con la madre, doveva esser proprio bella, peccato che coprisse il suo volto con un capuccio grigio.
_La porta è semi-aperta..._ Sussurrò Louis alla donna.
La ragazza alzò gli occhi, Louis sorrise ma non ebbe risposta.
Continuava a ripetersi che lì, in quello studio era letteralmente fuoriluogo. Quelle erano le persone bisognose, non lui.

***

Louis entrò piano in casa.
Una casa buia, disordinata, isolata, insensata. Sul pavimento le foto stracciate in cui lui ed Harry sorridevano, alcune avevano il bordo bruciato.
Si guardò intorno, scuotendo la testa, cercando di pensare a cosa avesse fatto questa volta, cosa fosse successo la sera prima, quando ancora pieno d'alcool in corpo era entrato in casa piangente.
Premette il tasto della segreteria, per ascoltare se ci fosse stato qualche messaggio.

"Ehy, Louis, come va? Stai andando dalla dottoressa Sparrock? Appena puoi chiamami. Ti voglio bene, coglione.."

Liam.
Quel ragazzo si preoccupava così tanto per Louis, senza motivo, pensava il castano. In fondo lui stava bene, era solo un po' stressato, forse troppo stanco, tutto qua.

Andò in cucina, aprì il frigorifero e si versò un bicchiere di latte freddo.
La cucina aveva uno strano sapore di ricordi.
Le sere passate a cucinare la cena, le battutine al tavolino, lo stesso tavolo in cui qualche volta avevano fatto l'amore.

Scosse ancora la testa, chiudendo gli occhi. Il bicchiere cadde, frantumandosi in mille pezzi, mentre il latte scivolava nel pavimento di marmo.
_Cazzo.._ Sussurrò di rabbia, con una mano sulla pancia, per alleviare la fitta di dolore.

Louis Tomlinson non aveva veramente niente da raccontare?





Eccooooomi qua.
Secondo capitolo, secondo incontro!
Ahiahiai, Louis mente, è così palese.. cosa sarà successo con Styles? Secondo voi?
Beh, lasciatemi un commento, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, davvero tanto.
Grazie mille della lettura, al prossimo capito!
Baci,
Fra.

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Capitolo 3
*** Third meeting. ***


Era silenziosa la sua casa. Un silenzio di ricordi, uno di quei silenzi che vorresti colmare col rumore delle labbra che si baciano tra loro.
Un silenzio che molto spesso, forse troppo, è stato riempito dal rumore discontinuo dei singhiozzi, di quello noioso dei conati di vomito, dalle urla che gridavano il suo nome.
Sempre lo stesso nome, quello per cui sorrideva e per cui non dormiva, quello che amava e detestava più di ogni altro nome al mondo.
Il suo nome.

_Non ho intenzione di venire._ Ribattè ancora Louis, iniziando a mettersi il cappotto marrone.
_Perchè, Louis? Ci divertiremo. Esci un po', cazzo.._ Provò a convincerlo Niall dall'altra parte del telefono.
_Troppa confusione, troppo caos, musica alta, no. Non ne ho voglia, non mi va proprio, Niall. Grazie comunque.._ Già, preferiva star solo, gli piaceva star solo.
_Ti prego, Lou..._ lo supplicò il biondo, con la voce caritevole, piena di domande a cui Louis, non intendeva dar risposta.
_Devo andare Niall, ho la visita. Divertitevi.._
Riattaccò, sbattendo contemporaneamente la porta di casa, salendo sul sedile in pelle della sua bella auto, asciugandosi gli occhi, per poi partire.

Teneva uno spiraglio aperto, con l'aria che entrava dal finestrino, facendo quel rumore costante, noiosissimo. Ma aveva bisogno d'aria, quindi pace.
Alzava il volume della musica e vagava con i pensieri. Nessun ricordo ben preciso, ce ne sarebbero stati troppi.
Semplicemente pensava, amava farlo, immergersi nel ritmo di una canzone e godersi ogni singolo secondo.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi, inclinare la testa, affondare la mano nei pantaloni e sorridere, pensando a ciò che amava di più.
Ma stava guidando, si contenne, doveva farlo, sempre. Doveva sempre comportarsi come la prassi voleva.

***

_Vuoi toglierti il cappotto, Louis?_ Chiese la dottoressa, versandosi un po' di caffè nella sua tazzina grigio-perlato.
_No, sto bene._ Rispose lui, allungandosi le maniche fino ad oltre il palmo, per infilare la mano dentro.
_Hai dormito?_
_Non molto. Perchè?_ Domandò curioso della domanda, Louis.
_Beh, hai gli occhi stanchi e due occhiaie non indifferenti.._ Gli sorrise la donna, risedendosi davanti a lui ed iniziando a sorseggiare il suo caffè.
Louis, spontaneamente, si specchiò sul vetro della finestra alle spalle della dottoressa.
Maledetta abitudine di non guardarsi allo specchio prima di uscire.
Aveva i capelli in disordine, l'espressione sconvolta, due occhiaie nere sotto le pupille dilatate, l'aria stanca, dimagrita, distrutta.

_Hai scritto quello che ti avevo chiesto, sul foglio?_ Domandò Katylin, finendo il suo espresso.
Louis infilò una mano in tasca, tolse un biglietto bianco piegato in due, lo aprì e l'allungò sulla scrivania, la dottoressa lo prese e lesse a voce alta.
_24 Dicembre 1991._
Louis osservava la dottoressa leggere le tre date. _Questa data?_ Domandò poi lei.
_E' la mia data di nascita. La ritengo importante, insomma, da lì nasce tutto._
Katylin sorrise, per poi continuare.
_23 Luglio 2010._ Alzò lo sguardo, gli occhi di Louis si fecero grandi. _E questa?_
_Nascono i One Direction. Davvero dottoressa non è informata?_ Scherzò lui, per smorzare la tensione. La stessa tensione che poi, aveva creato lui.
_Non da sapere quante volte andavate in bagno in una giornata._ Stette al gioco lei. _Che ricordi hai della band?_ Tornò seria, in seguito.
_Saremmo potuti andare più lontano, avremmo potuto continuare, fare un pezzo di storia della musica.._ Rifletteva lui.
_Intendevo come rapporti affettivi._
_Ah._ Louis si soffermò un secondo, tirò un sospiro a bocca aperta e continuò _Eravamo grandi amici. Adesso ci vediamo spesso, tutto normale._ Concluse poi velocemente, come a voler fuggire dal discorso.

Amava parlare di Niall, Zayn e Liam. Amava raccontare dei suoi amici e di tutti gli episodi comici che avevano avuto nel corso degli anni.
Ma non amava farlo così, in uno stupido studio psicologico, di fronte agli occhi attenti di una dottoressa che avrebbe appuntato ogni singolo scherzo fatto con loro, apostrofando i suoi amici come "Ragazzi dalla anormale adolescenza". Beh, non voleva. Voleva solamente finire quelle dieci visite il più presto possibile.

_Tutto qua?_ Domandò lei.
Louis annuì.
_15 Maggio._
Gli occhi del castano si fecero grandi, per poi socchiudersi tra le palpebre, luccicavano e soffrivano, era così palese..
Il suo cuore batteva ad un ritmo continuo.
Tun-Tun  Tun-Tun  Tun-Tun  Tun-Tun.
E poi aumentava di velocità, facendo sobbalzare il ragazzo dalla sedia, con il tremolio alle mani, la fronte calda, le lacrime che volevano scappare dagli occhi.
TunTunTunTunTunTunTun.

_Questa data, Louis?_
_La fine._ Sospirò lui, con gli ultimi tratti di fiato rimasti.
La dottoressa lo guardò con aria interrogativa, le sue guance erano diventate rosse, stava per piangere, forse.
_Cioè, Louis?_
_Era mattina. Dovevamo andare a New-York..-
_E?_ Lo incitò al discorso, la donna.
_Harry._ Il cuore del ragazzo non avrebbe retto, sentiva le gambe tremare e l'aria scomparire. _Harry prese le valigie. Se ne andò._
La dottoressa rimase immobile davanti lo sguardo di Louis.
Era impaurito, perso nel vuoto. Gridava, chiedeva aiuto, ma nello stesso tempo allontanava ogni occhio puntato su di lui.
Era freddo, ma nello stesso tempo aveva solo bisogno del calore d'un abbraccio.
Era forte, deciso, eppure fragile, debole, immaturo e bisognoso.
_Vuoi parlarne?_ Domandò lei, con la voce sussurrata.
Louis scosse la testa, simulando un 'no' poco convinto, asciugandosi le lacrime con la manica del cappotto marrone.
_Ok._ Sospirò la dottoressa, allungandogli il bicchiere d'acqua che teneva sempre lì per lui. _E' finita l'ora, Louis.._ Sospirò Katylin.
Lou alzò lo sguardo al muro, per osservare l'orologio. Già, era passato il tempo.
Si alzò dalla poltrona, scostandola un po' all'indietro.
_Non mi da compiti a casa?_ Domandò Louis, vicino alla porta, con la maniglia sotto il palmo della mano destra.
_Esci Louis, sorridi. Divertiti..._ Katylin sprofondò nei suoi occhi, sorridendogli.
_A venerdì, dottoressa._ Il tono di voce di Louis era cupo, rassegnato, come un 'non ci riesco' scritto tra le righe.
Uscì dalla stanza, sorridendo alla ragazzina che, come ogni Venerdì, era con sua madre in sala d'attesa.

***

Gettò le chiavi dell'auto sul mobile all'ingresso, togliendosi il cappotto.
Aveva pianto per tutto il viaggio di ritorno, non sapeva neppure il perchè, ma si sentiva così stanco..
Si tolse la t-shirt bianca.
Scavalcò il cartone di pizza sul pavimento, le loro foto sparse per terra e raggiunse il bagno.
Continuava a singhiozzare, sentiva le gambe deboli, avrebbero ceduto da un momento all'altro, si lasciò cadere sopra il water ed iniziò con i soliti conati di vomito.
Eccolo, ancora, quel silenzio interrotto.
Spingeva una mano sullo stomaco, per far uscire più dolore possibile dalla sua bocca.
Non era dolore, nè sofferenza. Era solo troppo alcool, cibo, se un piatto di pasta in tre giorni può esser considerato cibo, ovviamente.
Piangeva, singhiozzando, perdendo quasi lucidità, per poi alzarsi, bagnarsi la faccia e guardarsi allo specchio.

_Fai solo schifo. Schifo..._ Sussurrava contro la sua immagine riflessa. _Schifo..._ continuava a ripetere, con le lacrime che inondavano il suo volto, col respiro affannato.
Allungò una mano per aprire il mobiletto bianco alla destra del lavandino.
Ne prese una nuova, tolse il tappino di plastica, continuando a distruggersi di lacrime.
Col petto nudo, appoggiato leggermente al marmo bianco del lavabo, girò il polso sinistro.

L'immagine che gli si parava davanti lo disgustava e lo gratificava allo stesso momento.
Era viola, viola di lividi e rosso di ferite.
Aveva appena sanguinato qualche ora prima, precedentemente alla visita, ecco perchè era stato obbligato a tenere il cappotto.
Era bravo però, bravo nel suo lavoro, era forte e stava cotinuando.
Afferrò meglio la lametta nella mano destra, iniziando a passarla sul polso, piangendo di dolore, con un sorriso cattivo tra le labbra.
Le lacrime cadevano e si frantumavano nella bocca, ma lui non smetteva.
Era una droga e lo sapeva. Tutti i drogati sono consapevoli del male che si fanno, ma non riescono a smettere.
_Fai schifo.._ Continuava a barbottare, aumentando il movimento della lametta.
_Schifo.._ Ripeteva poi, cambiando polso, cambiando ferite e dolore. Adesso il destro.

_Vaffanculo, Harry._ Concluse poi, gettando la lametta insanguinata a terra, lasciandosi cadere, con la testa fra le mani, continuando a singhiozzare.
I polsi sanguinavano, stavano sporcando i jeans, i suoi bei pettorali scolpiti. Ne era indifferente..

_Fanculo..._ Urlò. Contro le mura della casa. Urlò di disperazione, di pianto, di dolore, di rabbia, di orgoglio. _Vaffanculo..._
Per poi tornare sopra la tavoletta bianca, a vomitare e riempire il silenzio di quella casa con altrettanto dolore.

"Esci, divertiti, sorridi, passa un buon week-end."
Ecco un tipico venerdì sera di Louis Tomlinson.
Come se Giovedì, Mercoledì, Martedì, Lunedì, fossero giorni di puro divertimento, poi.

Perchè chiedere aiuto non era mai stato più difficile, per Louis?





Drammatico: on.
Scusate ragazze, non è venuto come speravo, ma volevo pubblicare perchè mi avete chiesto di essere il più veloce possibile!
L'immagine di Louis che si taglia mi ha messo i brividi solo a scriverla, vi giuro.
Devo creare questa atmosfera, servirà per il futuro.
Spero che la storia non vi annoi, spero che non vi stia deludendo!
Lasciatemi un commento, ne sarei felice!
Grazie per aver letto, baci,
Fra <3.ss

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Capitolo 4
*** Fourth meeting. ***


La voce di Ed Sheeran si scontrava con le pareti quasi grigie della casa di Louis.
Era buio intorno alle sue pupille, quel buio tutto uguale, pauroso, quel buio che ti stanca gli occhi. Il volume dello stereo alzato fino a far male al timpano, Louis a carponi davanti al tavolino da thè, appena prima della cucina.
Cantava qualche parola, con la voce roca e bassa, stanca e libera, senza dar peso alle stonature o alle note troppo alte. Era molto che non vedeva Ed, ormai era famoso ed irraggiungibile anche per lui. Amava la sua voce, gli ricordava tutte le battute che faceva su lui ed Harry, le raccomandazioni, le frasi di canzoni che dedicava solo a loro. Sorrise.
Le ginocchia sul tappeto rosso che copriva gran parte del pavimento in salotto, la testa piegata verso il tavolino, un po' inclinata verso destra.
Le mani sul legno duro del tavolo, la carta di credito nella destra.
Preparò una striscia, allineandola bene, come Harry gli aveva sempre insegnato. Batteva la carta sul tavolo, per far cadere anche i granelli che rimanevano attaccati.
Posò la carta al bordo del tavolo, la mano sinistra premette contro il naso, così da coprire la narice sinistra. Sniffò.
Velocemente, senza paure, senza emozioni. Era routine.

"My, my, my, give me love.
My, my, my, give me love.
My, my, my, give me love."

Aspirò in un movimento veloce anche gli ultimi granelli rimasti sul legno, si massaggiò un po' la parte superiore del naso, quella vicino agli occhi, come se farlo avrebbe permesso alla cocaina di viaggiare più velocemente, di sballarlo più facilmente, come se farlo avrebbe fatto dimenticare tutto in maniera più efficace.
Si alzò da terra, balbettava qualche parola disconnessa in una melodia che si allontava del tutto dal ritmo della canzone, ma era troppo stanco, stressato e indifferente per preoccuparsene.

"Lou, come stai? E' così tanto che non ci vediamo... sabato sera cena a casa mia?"
Niall. Era così preoccupato per lui...
Louis lo ricordava singhiozzante il giorno in cui Harry se ne andò, oltre oceano, lontano da tutti.
Niall continuava a tremare tra le braccia di Zayn. "E' finito tutto.." continuava a ripetere, come in una cantilena, tra una lacrima e l'altra che gli indondava le guance arrossate.
Louis lesse il mesaggio, gettò il telefono sul divano, senza rispondergli. L'avrebbe fatto poi, se se ne fosse ricordato, ovviamente.
Sentiva la testa girare, era piacevole, avrebbe giurato a se stesso che non c'era migliore sensazione nella vita.
Errore.
Voleva solamente autoconvincersi che un orgasmo con Harry non era più forte, che un bacio del riccio non lo mandava al settimo cielo più di una striscia di coca.
Louis si autoconvinceva. Era forse, l'errore più grande che stesse commettendo.

"Ciao Louis,  sono Katylin, domani vieni in tuta, poi ti spiegherò. Baci!"
Uh, che bello, la psicologa!
Ignorò l'idea di risponderle, si avvicinò al frigorifero, aprì una birra e sdraiandosi sul pavimento della cucina iniziò a berla, con la cocaina che ormai si era impossessata del suo corpo e con l'alcool che sembrava voler rendere tutto più dannamente elettrizzante.

Beveva sempre un sorso di birra con Harry, dopo aver fumato una canna o essersi fatto una striscia piccola.
Harry adesso non c'era. La canna era diventata frequente, la striscia non era più piccola e rara e il sorso di birra si era trasformato in intere bottiglie giornaliere.
Harry adesso non era lì. Louis si stava rovinando.

***

Moriva dalla voglia di chiederlo, la curiosità invadeva Louis fin da bambino.
_Perchè mi ha fatto vestire così?_ Domandò Louis, appoggiandosi alla panchina del parco, mentre la dottoressa stava allacciando le stringhe bianche di una scarpa col piede posato vicino al sedere di Harold, seduto.
_Perchè correremo, Harry!_ Sorrise lei, rimettendo il piede a terra, iniziando a muovere le braccia e a saltellare sul posto così da scaldare i muscoli.
Il ragazzo scoppiò in una risata spontanea. _Ma lei la laurea dove l'ha presa?_ Rise, per poi accorgersi della battutina pungente che aveva appena fatto.
Katylin lo fissò attentamente, rideva di isterismo, di imbarazzo, chinando la testa all'indietro, coprendosi gli occhi. Sorrise, iniziando a correre piano, mentre Louis stava cominciando a seguirla.
Si guardava intorno, vedeva bambini giocare, famiglie sorridere, coppiette di anziani camminare a braccetto e ragazzi con la testa bassa, le cuffie all'orecchio, assorti nei propri pensieri.
_A cosa pensi, Louis?_Domandò la donna, continuando a mantenere il passo.
_A tutto questo.._ Rispose. Katylin rimase per un po' incredula e dubbiosa. _A cosa?_
_Guardi: il parco è il posto dove regna l'amore._ Affermò deciso Louis, continuando a correre, a guardarsi intorno. Coppiette di anziani, amore tra il bambino e i propri genitori che giocano a palla con lui, amore tra i ragazzi giovani e la musica. E' tutto così.._ Si fermò un secondo. _Così poetico.._ Concluse poi, con un sorriso dolce sul volto.
La dottoressa sorrise. _Ti piacerebbe venire al parco e interpretare uno di questi ruoli, Louis?_
Il ragazzo continuava a guardare davanti a sè, col vento che gli scompigliava i capelli, l'asfalto che si faceva difficile da percorrere e la testa che faceva un po' male.
Che razza di domanda era, quella? A tutti piace essere innamorati, no? A tutti piacciono le farfalle nello stomaco, i baci della persona che si ama, i 'ti amo' sussurrati, le bravate fatte con la stessa persona che magari, ti brontola, quando sbagli. A tutti piace, no?
_Forse._ Rispose freddo il ragazzo.
_Venivi qua con i ragazzi, con Harry?_
Louis scosse leggermente la testa. _Perchè quando deve nominarlo, lo divide sempre da 'i ragazzi'? Lui era compreso ne 'i ragazzi'._
Katylin si voltò, ma il castano non la stava guardando. _Pensavo aveste un rapporto diverso, errore mio, scusa._
Louis non rispose, probabilmente stava eliminando automaticamente ogni frase che lo riportasse al riccio.
_Perchè tu nomini così difficilmente il suo nome? Perchè parlando di lui, usi il passato?_ Chiese con la voce flebile la donna.
Il ragazzo rallentò la corsa, piegandosi un po' e mettendosi una mano sulla pancia.
_La milza?_
Domandò Katylin. _Già.._ Mentì lui. Sapeva benissimo che non era quello il motivo, lo sapeva benissimo. Così come lo sapeva benissimo anche la donna.
_Comunque uso il passato semplicemente perchè lui se ne è andato._ Riflettè poi Louis, sedendosi sulla panchina immersa nel verde, mentre Katylin si stava dilettando in qualche esercizio di streching.
_E perchè non lo nomini, mai? Intendo, col suo nome._
_Non è vero._ Si preoccupò di rispondere, cercando di sviare dal discorso.
_Non mi hai risposto, però._ Puntualizzò la dottoressa.
Louis era abile in questa materia. Sapeva come fare per sfuggire ad un argomento indesiderato.
_A quale domanda?_
_Venivi spesso qua con i ragazzi?_
Lou abbassò lo sguardo, giocando con un sassolino accanto al piede. _Con Harry. Sì.._
Katylin sorrise e non potè fare a meno di puntualizzare, ancora. _Vedi che il suo ruolo è sempre separato da quello degli altri ragazzi?_
Il castano si alzò velocemente. _Si sta facendo buoio, dottoressa._
_Vuoi che ti riaccompagni a casa?_ Domandò gentilmente lei.
_No, grazie. Prenderò un taxi._
Katylin sorrise, e _Ci vediamo Venerdì._ concluse, allontanandosi per qualche passo, per poi rivoltarsi e aggiungere _Portami qualche tua foto vecchia, per ricostruire il tuo percorso, ok?_
Louis arrossì, odiava quei momenti. _Ok._ Rispose, avviandosi verso casa.

***

Si sfilò la felpa. I suoi dannati polsi.
Erano viola, tendenti al giallo, Forse erano infetti.
Perchè?
Scosse la testa, toccandosi il destro con la mano sinistra. "Passerà.." pensò, non capendo che senza l'aiuto di nessuno non avrebbe potuto farcela.
Afferrò il telefono. Sei chiamate perse dai ragazzi. Quindici messaggi non letti. Lo spense, ignorando tutto.
Li avrebbe fatti preoccupare. Ancora una volta.

Si diresse in bagno, dopo aver aperto una bottiglia verde della sua amata birra.
Appoggiò la bottiglia vicino al water ed iniziò a vomitare, con conati quasi spinti da lui stesso, cercati e voluti.
Piangeva nel frattempo, toccandosi la fronte. Era freddo e continuava a tremare.
Doveva alzare solamente gli occhi, tutti avrebbero visto quanta sofferenza c'era dentro e senza troppe richieste da parte sua, l'avrebbero aiutato.
Ma continuava a tenere la testa bassa, continuava a mantenere la sua aria da duro, ecco perchè non stava cambiando niente e tutto stava solamente peggiorando.

Harry non era lì  e Louis stava facendo del male a se stesso.




Non odiatemi, lo so, ci ho messo una vita per aggiornare.. è colpa della schifosissima scuola e dei troppi compiti, sorry!
Comunque eccoci qua, con il nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Cosa nasconde Lou, secondo voi?
Grazie di aver letto, spero vi sia piaciuto. Lasciatemi un piccolo commento.
Baci,
Fra <3.


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Capitolo 5
*** Fifth meeting. ***


Afferrò la busta verde in cui aveva messo le foto, prese le chiavi dal tavolino vicino la porta ed uscì di casa.
Quaranta minuti dopo entrò nello studio, la sala d'attesa era piena di bambini. Louis aprì la porta guardandoli sorridente, un po' dubbioso, pensò che bambini piccoli così non avrebbero mai meritato di esser portati da uno strizzacervelli. Sorrise ad uno di questi che lo guardò attento, per poi sedersi nella sua solita poltroncina bianca, davanti a quella ragazza con sua madre, la solita ormai, da qualche settimana.

_Louis Tomlinson?_ La segretaria della dottoressa uscì lentamente dalla porta dello stanza incombente, con la sua cartellina in mano.
_Eccomi.._ Sussurrò Louis per poi avvicinarsi alla porta ed entrare.

_Buongiorno dottoressa!_ Salutò Louis.
_Giorno Louis!_ Rispose gentile come sempre lei, sorseggiando un po' di caffè amaro. Il suo preferito. _Accomodati pure. Come stai?_
_Come sempre, dottoressa._ Alzò le spalle Lou, come per ovvietà. Porse poi la busta alla signora, come se volesse concludere la pratica velocemente, senza troppi giri di parole.
_Quindi?_ Domandò Katylin.
_Sto bene dottoressa, sto bene.._ Ma il sospiro sollevato dal ragazzo diceva tutt'altro.
Come dicevano tutt'altro le sue occhiaie, i suoi chili persi, la sua faccia sconvolta, il sorriso spento, le sue labbra screpolate, gli occhi lucidi e il tremolio perenne che aveva.
La signora storse il volto in una smorfia di dissenzo. Per quanto ancora aveva intenzione di mentire, il ragazzo?
Non mentiva agli altri. Mentire agli altri in fondo non crea grossi problemi se riesci a farlo bene. Riesci a tenere la maschera e ce la puoi fare. C'è chi ha mentito agli altri per tuta la vita con una facilità disarmante.
Ma Louis Tomlinson stava mentendo a sè stesso, stava continuando ad autoconvincersi attraverso bugie non credibili neppure per un bambino piccolo.
E mentire a sè stessi crea enormi disagi, soprattutto se, come Louis, non lo si riesce a far bene.

_Queste sono le foto?_ Domandò la dottoressa iniziando a scartare la busta.
Louis accennò ad un 'sì' con la testa, annuendo.  La dottoressa sorseggiò con fare calmo il suo caffè, poggiando la tazza sulla scrivania e togliendo il pacco di foto dalla busta.
Erano cinque, forse sei foto. _Solo queste?_ Intimò delusa.
_Sono le più importanti._ Si giustificò Louis.
Katylin sorrise. Era impressionante la capacità di Louis Tomlinson di trovare sempre una risposta pronta e quasi attendibile.
Osservò la prima foto. Era piccolo, col caschetto di capelli castani, gli occhi strizzati in un sorriso sincero.
_Quanti anni avevi?_ Domandò sorridente la sdonna, continuando a godersi il bel faccino di un bambino piccolo.
_Cinque, forse sei._ Rispose Louis. _Ricordo quel giorno: dovevo giocare a calcio, così mio padre mi disse di iniziare a correre per riscaldare i muscoli._
Louis sorrise al ricordo. Sorrise in modo vero, genuino, di quel sorriso che aveva abbandonato dal niente, un giorno di alcuni mesi prima.
_Eri molto carino, sai?_ Intimò la donna, mettendo da parte la foto, per afferrare la seconda.
Nella seconda foto c'era un Louis adolescente, con i capelli sparati in qualcosa di molto simile ad una cresta, i vestiti larghi, forse un orecchino quello, nel lobo sinistro.
Katylin rise, seguita da Lou che si giustificò con un banale _Non avevo buon gusto, dottoressa._
La donna si ricompose e col sorriso sulle labbra, _E' tua sorella?_ chiese.
_Sì.._ Si sentì dire subito dopo con una vena di nostalgia.
_Da quanto non la vedi, Louis?_
Il ragazzo fissò la donna negli occhi. Come faceva? Come poteva capire queste piccole sfumature?
Davvero un pezzo di foglio che ti dice che sei laureato in psicologia, può permettere di controllare così una persona esterna?
Louis abbassò lo sguardo e _Dal giorno della separazione dei One Direction._ rispose.
_Posso chiederti perchè?_ Domandò poi la donna.
Dapprima Tomlinson scosse la testa, ma poi prese fiato e rispose. _Semplicemente perchè lei viveva con me qua, poi però.._ Tolse una lacrima velocemente dalla guancia sinistra. Katylin sorrise, di tenerezza, di protezione. _Poi persi tutti i miei risparmi e così.._ Gli tremava la voce, si sentiva abbandondato, stava crollando nei singhiozzi.
_Così lei tornò a vivere con tua madre._ Finì la dottoressa. Louis annuì. _Se non vuoi parlarn.._
_Va bene così._ Interruppe la dottoressa. _Vada avanti, dottoressa._
Katylin, così, posò anche la seconda foto per prendere la terza. Sorrise. _One Direction.._ Sospirò. Louis annuì, con lo sguardo cupo.
_E.._
_Non c'era._ Rispose ghiaccio Louis, sapendo che la donna sarebbe arrivata a parare sul fatto che Harold non fosse nella foto. _Quel giorno Gemma, sua sorella, si sposava._ Giustificò poi.
La dottoressa, affascinata dall'iniziativa di Louis, sorrise, per poi rispondere con un semplice 'Ok' e chiudere il discorso lì.
_Avevamo un'intervista radiofonica._ Iniziò a raccontare poi Louis. _Ecco perchè Zayn è vestito come un barbone.._ si lasciò andare poi, ridendo come un bambino.
_E' un bellissimo ragazzo._ Sentenziò la dottoressa.
_Un bellissimo barbone, intende dire?_ E rise, ancora. Con la testa inclinata all'indietro, gli occhi stretti, la bocca aperta.
Louis Tomlinson rideva così bene...
_Sai che l'altro giorno alla radio hanno passato la vostra canzone?_ Domandò la dottoressa.
Louis alzò lo sguardo, per fissarla meglio negli occhi. _Davvero?_  Si stupì poi.
_Sì. Davvero._ Si sentì rispondere e non potè far altro che portare alla mente ricordi che in fondo, gli facevano un male atroce.
_Quale?_ Domandò curioso.
_Quella il cui video è sulla spiaggia.._
Louis rise. _What Makes You Beautiful._ Notò poi, con la voce sibilante e le mani che tremavano.
_Ti va di raccontar.._ Provò la dottoressa ma Louis rispose con un _No._ freddo e distaccato.
Katylin, allora, prese l'ultima foto. Notò che era strappata dal lato sinistro, con i bordi bruciati, ingialliti dalla cenere.
Alzò lo sguardo per incrociare gli occhi del ragazzo, ma erano bassi e stavano osservando il pavimento.
_Questa?_ Domandò.
_Non avevo voglia che ci fosse anche lui, ok?_ Esplose Louis, con gli occhi lucidi e la mascella chiusa in una linea dura, piena di rabbia e di rancore e di rimorsi.
_Ok.._ Rispose la dottoressa, con tono pacato e tranquillo. _Un giorno mi parlerai di ciò che è successo, Louis?_ Chiese rassegnata.
_E' finita l'ora._ Chiuse il discorso Louis, lasciando la domanda della donna sospesa in aria, ad alleggiare tra dubbi ed incomprensioni.
La donna si alzò dalla sedia, posizionandosi davanti alla scrivania. _Aspetta.. le foto.._ Fermò il ragazzo, che era già davanti alla porta, anzioso d'andare.
_Le tenga, pure._ Rispose lui, freddo, per aprire la porta e uscire dopo che con _A venerdì._ salutò la dottoressa.

Katylin aveva venti lunghi anni d'esperienza alle spalle, eppure non sapeva come prendere Louis.
Non sapeva cosa dirgli, come dirglielo e quando dirglielo. Non sapeva perchè non volesse parlarne, perchè si ostinasse così tanto a negare.
Non riusciva neppure ad immaginare cosa fosse successo. Non lo sapeva e gli amici di Louis, che le avevano consigliato letteralmente 'di andarci piano', sembravano essere per lo più sconosciuti dei fatti che accaddero a Louis quando ancora stava con Harry.
Sostanzialmente la dottoressa poteva contare solo sulle parole di Louis.
Ma Louis Tomlinson stava nascondendo, mentendo ed omettendo.
Ma Louis Tomlinson si stava convincendo che stesse andando tutto bene, che niente fosse successo e questo non poteva aiutarlo.

L'autoconvinzione in fondo, è l'arma che i deboli usano quando cadono e sembrano non avere appoggio per rialzarsi.
E' l'arma della paura, che ti aiuta a credere di stare bene, per non avere il terrore o il minimo dubbio di poter avere bisogno.
L'autoconvinzione quindi, è spesso accompagnata dal suo amico orgoglio.
Lo stesso orgoglio che lasciò che Harry Styles se ne andasse qualche mese prima.



***


Louis si sdraiò sul divano, a peso morto, come faceva spesso quando Harry lo lasciava cadere per poi gravarci sopra.
Afferrò la birra che aveva appena appoggiato sul tavolino vicino a sè ed iniziò a bere, non sentendo quasi più il sapore dell'alcool in bocca, ormai il suo corpo si era abituato a tutto le peripezie che Louis gli imponeva.
Aveva gli occhi rivolti al soffitto e pensava.
Pensava alla visita, alla sua vita, al passato.
Pensava e beveva e piangeva, con la mano sullo stomaco invaso da crampi di nervosismo.
"Smettila.." sussurrava tra i denti, contro se stesso. Contro quella sofferenza, contro la vita.

Afferrò il suo iphone, sfogliò la rubrica.

Amore.


Restò ad osservare la schermata col suo numero per una decina di secondi, poi 'Chiama'.

Suonò a vuoto per quattro, cinque squilli. Louis stava per riattaccare ma..

_Pronto?_
Il cuore batteva, mancava il fiato e le gambe tremavano.
Aveva ceduto. Errore.
Cosa diavolo gli era saltanto in mente?

Il cuore ebbe la meglio, sentì la sua voce, sorrise automaticamente e si lasciò andare.
_Harry? Tesoro?_





Scusatemi, scusatemi, scusatemi.
Non sto pubblicando con una certa frequenza, ma non ho mai tempo. Scusatemi.
Comunque, vorrei ringraziare tutti coloro che fino ad adesso hanno recensito e inserito la storia tra le prefite, seguite e ricordate.
Mi date la forza di continuare a pubblicare, visto che non mi sta piacendo il modo in cui la scrivo.
Comunque sia, ecco il quinto capitolo. God, Louis rancoroso di fronte alla dottoressa e Louis che cede con Harry al telefono.
Secondo voi cosa si diranno?
Beh, se volete lasciate un piccolo commento.
Cercherò di aggiornare il prima possibile. Grazie mille, col cuore.
Baci,
Fra.

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Capitolo 6
*** Sixth meeting. ***


Quel venerdì, l'aria di quello studio psicologico aveva un sapore diverso. Era sporca, amara, estramamente pungente.
Louis aveva trascorso una settimana difficile, lasciandosi andare a pianti che lui stesso voleva nascondere, a tagli che lui stesso voleva evitare sulla sua pelle, a bottiglie di alcool che lui stesso decideva di ingurgitare senza l'ombra di esitazione.

Louis era immobile, seduto su quella sedia, con la gamba destra per metà accavallata sulla sinistra.
Il suo sguardo era perso, assorto tra pensieri e preoccupazioni. Era gonfio di lacrime e di dolore, bianco di paura e sciupato dalla rabbia.
I suoi occhi poi, stavano chiedendo aiuto.

_Puoi dirmi cosa succede, Louis?_ Era la decima volta, stimava Louis, che glielo stava chiedendo.
_Niente, dottoressa._ Mentì il ragazzo, ancora.
_Louis,_ Iniziò allora Katylin, con il tono di voce fermo e determinato, _Sono passati quarantatrè minuti da quando sei entrato da quella porta e ancora non hai espresso frase con più di due sillabe. Non che venire in questo studio ogni venerdì ti faccia piacere, ma non sei mai stato più freddo e distaccato di oggi. Quindi, perfavore, non prendermi per idiota. So che è successo qualcosa. Non lo dice la mia laurea, lo dicano i tuoi occhi. Sei liberissimo di non parlarmene, ma perfavore Louis, non continuare a mentire a te stesso._
La dottoressa teneva lo sguardo fermo sugli occhi languidi del ragazzo, che la guardava, con il cuore aperto, dolorante, pieno d'amore da regalare.
La guardava interessato, incuriosito e spoglio di ogni sua forza.
Sospirò, per poi portarsi una mano tra i capelli e sistemarseli e _Venerdì scorso l'ho chiamato._ Affermò freddo, sotto lo sguardo penentrante della donna.
Katylin lo fissava allora, con lo sguardo di una bambina impaurita, che si pone mille domande senza trovare alcun tipo di risposta plausibile.
Dove aveva trovato il coraggio?
Perchè aveva deciso di farlo?
Cosa gli aveva detto?
E soprattutto, Harry, come aveva reagito?

Era immobile, la donna, nella sua poltrona in vera pelle scura. Non era sicura che porgli tutti quei quesiti sarebbe stata la cosa giusta, così _Ah_ commentò fredda, per sorseggiare un po' del suo thè e chiedere poi, _Com'è andata?_
Louis scuoteva piano la testa, con un leggero sorrisetto doloroso sulle labbra, in segno quasi di dissenzo.
_E' andata come sapevo che sarebbe andata._
Katylin non chiese nulla di ciò che avrebbe voluto, nonostante la voglia e il dovere di sapere superasse il suo segreto professionale. _E allora, se lo sapevi, perchè lo hai fatto?_
Il ragazzo alzò piano lo sguardo, poggiando la gamba destra per terra e accavallando, con movimento cauti, la sinistra.
_E' un rischio, dottoressa. Nella vita si rischia. Non l'ha mai studiato?_ La donna restò inerme alle parole del giovane. _Ho deciso di chiamarlo semplicemente perchè avevo superato la linea del confine, perchè dovevo sapere come stava, ho voluto rischiare, sì. Ho deciso di chiamarlo semplicemente perchè.._
Si soffermò un po' e socchiudendo gli occhi concluse: _ Perchè la sua voce mi manca ogni secondo di più._
Abbassò lo sguardo, per poi spazzare via furiosamente una lacrima che altrimenti, avrebbe rigato tutta la guancia sinistra.
_Posso sapere cosa vi siete detti?_ Domandò gentile lei, sistemandosi meglio sullo schienale della poltrona.
Louis accennò ad un 'sì' con la testa, restando in silenzio, per poi iniziare a parlare. Sussurrava piano ogni singola parola, come se non volesse accelerare il tempo, come se volesse godersi ogni singola sfumatura del ricordo di Harry.
_Beh, semplicemente gli ho chiesto di tornare._ Affermò molto diretto il giovane. _Gli ho detto che mi manca, che sento il bisogno di riaverlo vicino. Gli ho detto che.._ La dottoressa continuava a guardare come fuggisse al suo sguardo, poi però alzò gli occhi e fissandola nelle sue pupille _Che mi dispiace._ Concluse umilmente.
Si passò ancora una mano tra il ciuffo di capelli che gli cadeva leggermente sulla fronte.
_E lui? Lui cosa ti ha detto, Louis?_
_Mi ha detto delle parole ben precise._ Grignò Harry, con lo sguardo basso, giocherellando con le sue mani che si incontravano e intrecciavano tra di loro le dita.
_Quali parole?_ Domandò allora di dovere la signora.
Louis accennò ad uno sguardo lieve con Katylin al quale, però, fuggì subito.
_Mi ha detto.._ Sospirò, un po', prima di parlare. _Mi ha detto "Non puoi pretendere di risolvere tutto con un 'mi dispiace'. Non adesso. Non ora che ho la mia vita"_
La dottoressa allora, si alzò dalla sedia, si posò sulla facciata della scrivania col suo fondoschiena e _Ti manca, non è così?_ Sussurrò a Louis, piegato e contorto sulla sedia, mentre con una mano si tratteneva la bocca dello stomaco che, come ogni volta che s' affrontava l'argomento, iniziava a bruciare.
_Sì. Sì, mi manca._ Ammise Louis con la voce flebile.
Katylin si staccò dal bordo della sua scrivania, si avvicinò al ragazzo e allargando le braccia, lo strinse forte a sè. Quasi come una sorella maggiore ha l'obbligo di saper fare.
_Sta' tranquillo, Louis._ Continuava a ripetergli in un orecchio, come in una cantilena che lui non riusciva a sopportare.
Come poteva stare tranquillo? Come?
Era impossibile evitare di piangere, urlare, bere, in situazioni come quelle. O forse non era impossibile, non lo era totalmente. Ma per Louis Tomlinson era inevitabile.
Con il volto sulla spalla della dottoressa ripeteva a se stesso _Sto bene. Sto bene. E' solo colpa mia, mi dispiace. E' solo e soltanto colpa mia._
Katylin lo strinse ancora più forte nell'abbraccio e alla domanda 'Cosa successe tra te ed Harry?' , Louis alzò lo sguardo, fissò l'orologio appeso al muro e _E' finita l'ora, dottoressa._ Sibilò asciugandosi le guancie dalle lacrime.
Katylin, con un sorriso forzato lo salutò e _ La prossima volta mi racconterai tutto, Louis?_ Chiese arresa.
Louis annuì, fu quello il suo ultimo gesto prima di chiudere la porta dell'ufficio alle sue spalle.


***


La casa di Louis puzzava. Puzzava di fumo, di erba, di qualche sigaretta venduta.
Puzzava di alcool, troppo, decisamente troppo alcool. Di droga, di coca, ecstasy, eroina.
Puzzava di ricordi, di lacrime, di serate passate a vomitare, a sanguinare ad imprecare contro le foto di quando ancora erano insieme, felicemente insieme.
Puzzava di loro, del loro passato, il loro sesso, il loro seme, i loro 'ti amo' nascosti in quattro mura.
Quella casa odorava di dolore. Ma il dolore diventa colpa. La colpa diventa esigenza e l'esigenza che Louis aveva era quella di scontare le sue pene.

Si avvicinò allo specchio del bagno. Tirò su con un movimento lento, entrambe le maniche della felpa. Aprì il mobiletto e afferrò le forbicine che teneva sempre a portata di mano. Si specchio, per poi fuggire immediatamente a quel riflessio che, sostanzialmente, non conosceva.
_Mi dispiace Harry. Mi dispiace.._ Si ripeteva, mentre dopo aver impegnato le forbici iniziò a passarle sul suo polso e sulla sua mano, con una serie di movimenti profondi, stringendo un po' gli occhi quando la lama faceva troppo male. Ma solo quando esagerava, perchè in fondo, Louis si era abituato al dolore. Ma soprattutto a quel dolore e soprattutto alla causa di quel dolore.
_Ti prego torna. Torna da me.._ Urlava, contro lo specchio, mentre passava le forbici sulla sua pelle che sanguinava e si tagliava di ferite che sarebbero state irrimarginabili.
_Torna, torna adesso Harry. Torna, cazzo. Torna._ Urlava, sempre più forte, con le lacrime che gli invadevano il volto e gli riempivano i polmoni.

Suonò il campanello, così Louis lanciò instintivamente le forbicine sporche di sangue sul pavimento.
Spostò le maniche della maglia sul polso e si avvicinò alla porta.
_Zayn!_ Salutò, felice di vedere l'amico dopo molto tempo. O forse, solo apparentemente felice.
Zayn abbracciò il castano. L'abbracciò forte. Poi, sulla soglia della porta, il suo sguardo si fermò sulla mano di Louis: stava sanguinando.
Malik l'afferrò di forza, Louis provò con due movimenti a disimpossersarzi della presa, ma non ci riuscì. Zayn lo fissò negli occhi e Louis, umiliato, abbassò lo sguardo.
Il minore così, con la sinistra afferrò la manica blu, la tirò su e restò qualche secondo immbile, con gli occhi spalancati, scioccato e traumatizzato dall'immagine che gli si presentava di fronte.
_Che cazzo sono, Louis?_ Sussurrò piano.
Ma Louis non aveva il coraggio di rispondere. Sentiva un nodo alla gola, sapeva che qualora avesse iniziato a parlare sarebbe scoppiato a piangere.
_Che minchia significano, Louis?_ Alzò il tono di voce, Zayn. Lou scosse la testa.
_Devi parlarmi?_ Gli domandò allora l'amico. Tomlinson annuì brevemente. I ragazzi allora si accomodarono sul divano e iniziarono quel discorso che Zayn, come gli altri ragazzi, aspettava da troppo tempo e che Louis, pur odiando quella consapevolezza, sapeva sarebbe arrivato.

Zayn Malik allora, davanti all'amico che piangeva, continuando a chiedergli perdono per la sua debolezza, si sentiva perso.
Si sentiva inutile ed impotente, si sentiva come nell'obbligo di dover fare qualcosa.
Zayn doveva risolvere la situazione, nonostante i ripetuti discorsi di Louis che voleva evitare all'amico una responsabilità troppo grande.








Meglio tardi che mai (?) Sono tornata, bellezze!
Pubblico una volta ogni morte di papa, lo so. Ma non ho ispirazione, voglia e motivazione di continuare.
Non ho tempo e soprattutto non mi piace questa ff, quindi la scrivo solo per quei pochi che la cagano e che ringrazio con ogni parte del mio cuore.
Ringrazio davvero tutti coloro che la leggono, che la recensiscono o l'aggiungono tra le ricordate, preferite e seguite. Grazie, di cuore.
Beh, Zayn scopre gli altarini e Louis si è sciolto con la dottoressa. Nel prossimo parlerà, finalmente, di qualche tratto del passato che porterà poi a tutto il problema con Harry! Secondo voi cosa succederà?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Grazie ancora della lettura,
Baci,
-Fra.








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Capitolo 7
*** Seventh meeting. ***


Le loro pelli si scontravano in scintille calde. Le mani di uno, sul corpo dell'altro. La bocca di uno, sul petto dell'altro.
Si erano baciati tutta la notte, silenziosamente. Si erano toccati, senza dire niente. Gemevano, guardandosi negli occhi, con le fronti incollate tra di loro, per poi abbandonarsi ad un bacio caldo. Nudi, su quel letto in cui decine di volte Harry aveva amato Louis, in cui Louis aveva pianto per il riccio, per il dolore, per la stanchezza.
Si scontravano i loro corpi caldi, sotto il lenzuolo bianco e faceva male per Louis: in fondo, era la prima volta, la prima persona dopo Harold ed era difficile, doloroso e assurdo sostituirlo, cambiare, lasciare tutto al passato.

Avevano parlato per tutto il pomeriggio, tra una lacrima ed un abbraccio, un sorso di birra ed una sigaretta.
Uno si confidava e l'altro ascoltava. Uno abbracciava e l'altro si abbandonava.
Adesso, adesso le labbra di Zayn erano calde sopra le ferite di Louis, sopra i tagli sul polso. Le leccavano, le baciavano, le guarivano, quasi.
"Faccio male?" Sussurrò a fior di pelle Malik, guardando Louis negli occhi, sotto di lui.
"No, Zayn." Rispose intimorito il castano, socchiudendo gli occhi quando lo sentiva sospirare, dolorante alla vista di una cicatrice più profonda.
Louis gli aveva tenuto nascosto tutto quello per troppo tempo, eppure Zayn non potè far atro che abbracciarlo, baciarlo e sussurrargli che stesse andando tutto bene.
Ma lui stesso sapeva che niente stava andando per il verso giusto.

"Avevo intenzione di dirti tutto, prima o poi." Sussurrò Louis, sotto il tocco delicato del moro.
"Va bene, Louis. Non sei solo, ok?" Bisbigliò allora l'amico, lasciando che un brivido percorresse tutta la spina dorsale del maggiore.
"Non succederà ancora questo, vero?" Domandò con la voce tremolante il castano. "Tu non tornerai a letto con me, vero?"
Zayn allora si sedette di fianco a lui, lo guardava spostandogli i capelli, cercando di penetrarlo con lo sguardo per arrivare a colpire il suo cuore.
"Louis, sai che non ti aiutarebbe. Non è questo ciò di cui hai bisogno, ma quando avrai bisogno di un abbraccio io sarò qui."
Una lacrima solcò la linea dura della guancia del castano, per andare nella mascella chiusa e ferrata.
Si alzò per abbracciare meglio l'amico e "Ti voglio bene, Zay." Gli sussurrò nell'orecchio sinistro, mentre il moro stringeva l'amico a sè, con le braccia muscolose dietro la schiena del castano, con la testa nella sua spalla. Lo stringeva forte, in un abbraccio che non si dimentica, perchè Zayn Malik sapeva che il suo migliore amico ne aveva bisogno.
"Non sei solo, Lou. Non sei solo. Non lo sei." Gli ripeteva, come in una cantilena nell'orecchio, aumentando la forza del suo abbraccio frase, dopo frase.

***


Quel Venerdì mattina era piuttosto fredda l'aria londinese, così Louis decise di infilarsi un maglione di lana, di quelli larghi, comodi, in cui amava rifugiarsi.
Che poi, Louis Tomlinson, passeggiava a mezze maniche a Dicembre: il freddo non era un suo nemico, nè un suo problema.
Lo erano però i tagli, le cicatrici, quei polsi martoriati di lividi e di segni che non sarebbero andati via, neppure col tempo, che si dice sia la migliore medicina.
Quelli sì che per Louis Tomlinson erano un problema e forse, allora, un maglione con le maniche lunghe avrebbe potuto nascondere molti difetti.

Era seduto in quella solita poltroncina, con davanti la stessa donna con lo stesso camice e la stessa espressione, come ogni venerdì.
Era lì ormai da trenta minuti, sorseggiava un po' d'acqua dal suo bicchiere, contando i secondi che lo separavano dall'agoniata libertà.
"Prima o poi dovremo affrontare l'argomento, Louis." Lo avvisava la donna, molto cauta e tranquilla.
"Quale?" Cercò di fare l'incosciente Louis, ma sapeva benissimo di cosa avrebbe dovuto parlare e cosa avrebbe dovuto spiegare.
"Voglio che tu mi racconti di Harry, di cosa è successo, di cosa avete passato." Rispose convinta la dottoressa.
"Non c'è molto da dire. Tutto qua.."
Katylin si alzò dalla poltrona in pelle, versandosi un po' di altro caffè nella sua tazzina in porcellana. "Beh, Louis.." Iniziò, sorseggiando. "Non posso aiutarti allora."
Lou, allora, accortosi che la signora davvero iniziava a stufarsi di quella situazione, si intimorì.
"Non posso aiutarti. Tu non vuoi parlare. Quella è la porta.." Concluse con tono freddo e sicuro la donna, indicandola.
Il ragazzo restò inerme a guardare la donna negli occhi. Sembrava tesa ed arrabbiata e quasi delusa.
Sospirò e "Ieri ho fatto sesso con uno dei miei migliori amici: Zayn." concluse poi, con sorriso sarcastico e presuntuoso.
Katylin allora lo guardava dritto nei suoi iridi azzurri, cercando di non esser troppo invadente e provando a formulare la domanda nel modo giusto: "Cosa hai provato?"
Louis, allora, ridendo cercò, invano, di interpretare la domanda e "In che senso?" chiese poi, gettando la spugna.
"Eri felice?" Fu un quesito diretto, apparentemente semplice, no?
Louis era felice? Aveva quel tipo di sorriso che non si può nascondere? Louis Tomlinson stava bene veramente?
"Sì.." Mentì Louis, con la voce roca, abbassando lo sguardo.
"Cerca di recitare meglio, Louis." Lo riprese allora la dottoressa, sotto lo sguardo debole e spoglio del ragazzo. Si sentiva disorientato, perso.
"Ero davver fel..." Ma prima che potesse finire la frase, Katylin lo interruppe: "Cosa ti mancava?"
Louis a quel punto, restò con gli occhi fissi alle sue mani, che si torturavano, che si toccavano, che tremavano nervosamente.
"Niente.." Mentì ancora, ostinandosi.
"Louis?" Lo riprese allora la donna, con voce ferma e scocciata.
Il castano sospirò, con tutta la forza che aveva nel suo corpo gracile e "I suoi ricci." Ammise sorridendo un po', di quel sorriso che è difficile trattenere.
La dottoressa allora si risiedette sulla propria poltrona, guardando Louis con aria soddisfatta ed orgogliosa. "Poi?" Domandò, cercando di farlo confidare il più possibile.
"I suoi occhi. I suoi occhi verdi mi illuminavano.." Sibilò Louis, continuando a guardare il pavimento, con la gola che pizzicava e la voce che si faceva flebile.
"Ma mi sono mancati anche i suoi baci e poi, poi le sue labbra calde.. e i suoi 'ti amo' di cui mi viziava sempre.."
Si lasciò andare, con le lacrime che scendevano libere per le guance arrossate, con i ricordi che scorrevano a ritmo di parola e il cuore che pulsava al solo pensiero di quel sorriso, del suo sorriso, del sorriso che gli mancava ogni giorno di più.
"Alla fine ti è mancato Harry, no?" Alluse la dottoressa, con quel tono di voce professionalmente persuasivo.
Louis non rispose, accennò ad un 'sì' muovendo la testa velocemente, per alzare lo sguardo e "E' finita l'ora, dottoressa." concludere.
Katylin, dunque, accompagnò il ragazzo alla porta.
"La prossima volta parleremo di Harry."
Louis osservò la dottoressa e dopo aver ascoltato il suo "Andrà bene, tranquillo." Salutò, chiudendo la porta alle sue spalle.





Buoooon Annooooo a tutte, bellezze!
Ok, odiatemi: pubblico una volta all'anno, ma non ho ispirazione, davvero. I'm so sorry!
Anyway, che ne pensate di questo capitolo?
Zayn e Louis? E se Louis trovasse la via di scampo da Harry grazie a Zayn?
Poi è riuscito ad aprirsi un po' di più con la dottoressa, finalmente il prossimo incontro sarà concentrato su Harry, quindi magari rivelerà cosa diavolo è successo, no? Voi a cosa pensate?

Beh, volevo informarvi che forse la storia verrà un po' più lunga del previsto. Erano stati calcolati dieci capitoli per dieci incontri, ma non so se sarò costretta, per il bene della trama, ad allungarla. Vedremo!
Detto questo, spero vi sia piaciuto e mi dispiace se non do il meglio di me, ma questo storia mi ripudia, lo sapete.
Grazie a tutte coloro che seguano la ff, spero possiate lasciarmi una recensione: mi farebbe davvero molto piacere.
Smetto di annoiarvi, auguri ancora bellezze.
Baci,
-Fra.


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Capitolo 8
*** Eighth meeting. ***


La lancetta dell'orologio sembrava girare ad un ritmo interminabile. Segnava le 18.30.
Era passata mezz'ora, mezz'ora di incontro, in silenzio. Louis se ne stava seduto sulla sua poltrona, la donna, dietro la sua scrivania con la mano appoggiata al bracciolo della sua sedia in pelle. La dottoressa gli aveva porto una domanda e Louis, da quel momento, si era chetato. Fissava il vuoto, con i suoi occhi di quell'azzurro spento. Si domandava ancora cosa lo spingesse a tornare ogni venerdì in quello studio e si sentiva solo, perso in un mare di dubbi a cui non sapeva dar risposta.

"Parlami di Harry. Cos'è successo?" Gli aveva chiesto Katylin. Che poi, una settimana prima avevano accordato che sarebbe saltato fuori l'argomento, eppure Louis non ce la faceva. Erano passati ormai cinque mesi circa da quando era rimasto solo nella loro casa piena di ricordi e ancora, al pronunciare del suo nome, all'udire un semplice 'Harry' si sentiva morire. Sentiva ogni odiosa cellula del suo corpo contrarsi dal doloro e sorride, in maniera quasi volontaria perchè in fondo, quello, era il nome più bello che avesse mai sentito.

"Louis?" Lo riporta alla realtà la donna e Louis, allora distoglie lo sguardo da quel vuoto che stava osservando, sorride alla donna e così, dal niente, inizia a parlare: la voce flebile, le mani che tremano e il cuore che pompa sangue ad una velocità incontrollata però, intanto parla sorridendo a qualche ricordo perchè non potrebbe mai piangere, lui non riesce a farlo davanti ad altre persone, proprio gli è impossibile.

"Ci siamo conosciuti in un bagno. E' buffo, sembra quasi una battuta, alla fine è andato tutto in merda." Sorride sarcasticamente Louis in un modo così falso da far paura e la donna abbassa lo sguardo. Continua a chiedersi cosa spinga il ragazzo a rintanarsi in un guscio freddo e duro, dietro una maschera che alla fine, non gli calza neppure a pennello. Nella voce di Louis legge rabbia e rancore, nei suoi gesti vede insicurezza e in quegli occhi, in quegli occhi dannatamente blu come il cielo, la dottoressa, vede troppo, decisamente troppo dolore.
"Continua, ti prego." Lo incita allora lei, dopo qualche secondo di silenzio.
" Si presentò abbastanza normalmente, ma lui è sempre stato uno a cui non piace quella normalità banale, così non allungò neppure la mano. Sorrise e dio, sapeva sorridere davvero bene." Rise Louis, rise al ricordo di quelle fossette, di quegli occhi, di quella voce che incontrò per la prima volta ed era ancora piccola, chiara, da sedicenne, insomma.
"Cosa ti ha colpito inizialmente di lui?" Domandò la dottoressa.
"Ha mai visto i suoi occhi?" Chiese allora retorico il ragazzo e la donna restò in silenzio. "I suoi occhi sono di un verde limpido, Aveva occhi bellissimi, a volte restavo ad osservarli per ore perchè lui con gli occhi sorrideva, diceva cose che le labbra non riuscivano a pronunciare e lui con gli occhi, quegli occhi.." Si fermò, abbassando lo sguardo un po' frustrato.
"Con quegli occhi?" Chiese allora Katylin.
"Lui con quegli occhi sapeva amarmi come, alla fine, nessuno aveva mai fatto." Concluse allora Louis con la voce bassa, che tremava, che sapeva di dolore, troppo forte.
La donna osservò le mani di Louis, si stringevano l'una con l'altra: sudavano, tremavano, cercavano un appoggio nel niente e si arrampicavano, con una forza ormai esperta, in specchi troppo ripidi.
"E poi? Poi cos'è successo?" Continuò la dottoressa. Sapeva che probabilmente parlarne avrebbe spinto Louis al dolore, eppure era il suo dovere, doveva fargli capire ciò che provava. Era una psicologa, non avrebbe risolto il problema, in fondo ogni suo paziente ha poi trovato la soluzione da solo, ognuno aveva cercato la propria forza interiore; doveva solo spingerlo verso il ricordo, l'ammissione delle sue debolezze: eppure, Louis non era un normale paziente e la dottoressa questo lo notò sin dal primo minuto del primo incontro.
"Poi ci siamo messi insieme, facevamo l'amore in quella camera piccola ad X-Factor, ci amavamo in silenzio, soli dietro le quinte e lui.. lui diventava ogni giorno più bello."
"Anche tu sei bello, Louis. Un bellissimo ragazzo." Sentenziò Katylin e Lou, allora, scosse la testa.
"Lui era perfetto. I suoi ricci sembravano dipinti, amavo scostarli quando gli finivano tra gli occhi. Quegli occhi, dio, facevo l'amore con quegli occhi ogni volta che incrociavo il suo sguardo e poi quella bocca, le sue labbra rosee erano morbide e dolci e mature e.."
Allora si lasciò andare ed iniziò a lacrimare, con la testa bassa nell'illusione di nascondere il suo viso martoriato dal pianto. Si bloccò perchè il nodo in gola impediva ogni qualsiasi forma di parola, sentiva le gambe perdere sensibilità ed era seduto.
"Louis.." Sussurrò la dottoressa e "Sto bene, sto bene." Sospirò lui. "Continuo.." E la dottoressa, all'udire di quella parola sorrise. Aveva una grande forza quel ragazzo.
"Siamo stati insieme per molto, nascosti, al buio, con la paura di rovinare tutto ciò che per tutta la vita abbiamo sognato. Non si può amare tra le bugie e le scuse, tra inganni e relazioni false, non si può dottoressa.." Continuò allora Louis.
Katylin si alzò dalla sua sedia, si versò un po' di caffè in una tazzina di ceramica, chiese anche a Louis ma lui non accettò, tornò quindi nella sua postazione.
"No, non si può Louis, hai ragione." Appuntò lei, sorseggiando il suo espresso.
"Io avevo una ragazza: Eleanor. Lui soffriva molto per questo, solo che.. che era il mio obbligo, venivo obbligato a far finta di amarla, baciarla in pubblico, abbracciarla qualche volta quando la notizia di noi due sembrava fondarsi. Obbligarono anche lui per un po'con un'altra donna, ma fu forte e riuscì a ribellarsi, io.. io non sono mai riuscito ad esser forte, dottoressa."
Katylin sorrise di tenerezza. "Lo sei molto di più di quanto tu non pensi, Louis."
Ma il ragazzo scosse la testa, si passò una mano tra i capelli e a quel punto sì, si liberò di ogni cosa.
"Fossi forte non sarei in uno studio psicologico. Fossi forte non piangere davanti a sconosciuti, fossi stato forte adesso sarei in tour, con la mia band. Fossi stato forte non avrei queste cicatrici sui polsi, sui fianchi, sulle braccia. Fossi stato forte avrei urlato contro il cielo ciò che pensavo, il mio amore, la mia determinazione. Fossi stato forte, dottoressa, non avrei permesso che lui, con tutti i nostri ricordi, scomparisse dalla mia vita."
Tremava, l'aveva detto: ce l'aveva fatta, ma tremava di paura, di terrore di giudizi, di panico, di dolore, di flashback allucinanti.
Aveva sempre sognato di esser una di quelle persone che puoi offendere con la consapevolezza che loro ti ridano in faccia, ma semplicemente era un ragazzo di venticinque anni e aveva paura di se stesso, della sua debolezza.
La dottoressa lo fissava negli occhi e quell'iridi celesti come il mare stavano chiedendo aiuto in una maniera così palese...
"Alza le maniche del maglione, Louis." Affermò senza giri di parole, con tono freddo, Louis abbassò lo sguardo sulla sua manica e alzò prima la sinistra con la mano destra e poi la manica destra con l'ausilio della sinistra.
Erano polsi viola di lividi e rossi di sangue appena passato, rossi di graffi e viola di dolore. Erano braccia troppo dimagrite e magre.
Quelle erano cicatrici di un passato doloroso, di quelli che tieni rinchiusi in una bolla perchè alla fine sei tu ad esserci stato bloccato.
"Riabbassale." Ordinò poi Katylin quasi scioccata. Non era la prima nè l'ultima volta in venti anni della sua carriera, ma non sopportava l'idea che un ragazzo così giovane e forte si stesse rovinando.
Ci furono attimi piccolissimi di silenzio che a Louis sembravano interminabili e poi "Perchè se ne è andato, Louis?" Domandò lei.
Touchè. Bingo! Colpito ed affondato.
Eccola pronta la domanda da un milione di sterline. "Perchè?"
Louis sospirò: "Era un brutto periodo, le cose tra noi stavano degenerando. I manager ci obbligarono a dei limiti odiosi: potevamo vederci privatamente solo due, forse anche una volta al mese quando eravamo troppo impegnati. Si era diffusa la notizia di un probabile matrimonio tra me e lei, ovviamente lui sapeva che era tutto falso, tutta una messa in scena creata dai nostri manipolatori però quando ti ritrovi il mondo che ti urla 'frocio di merda', quando ti ritrovi contro mille offese o mille congratulazioni per qualcosa di assurdo, finto e non voluto la tua razionalità va a farsi fottere." Concluse Louis col suo tono maturo, costante, comunque distaccato.
"E allora? Allora cos'è successo?" Domandò Katylin, ormai naufragata in quella storia, tra le parole di Louis, quelle che aspettava da tropppo tempo.
"Iniziammo a litigare, tra noi c'era tensione, c'era paura di sbagliare, equivoci continui. Una sera ero a Londra, in un locale notturno, con la musica nell'orecchio."
"Lui era con te?" Lo bloccò la dottoressa.
"No, lui non c'era." Rispose Louis. "Era a casa, a piangere, come ogni sera. Si avvicinò a me un ragazzo, diceva non mi avrebbe fatto niente, diceva di conoscermi, stimarmi come cantante. Aveva un sacchetto in mano: piccolo, trasparente. Andammo in bagno, ci facemmo due, forse tre strisce di coca a testa, era la mia prima volta. Sapevo di star sbagliando ma ero così nervoso, impulsivo.. io.. io non posso tornare indietro nel tempo."
Abbassò lo sguardo, le immagini sembravano passargli davanti il volto in maniera assurdamente concreta.
"Continua Louis, ti prego." Sussurrò la donna, estasiata dal coraggio del castano.
"Non ero abituato alla droga, ora.. ora lo sono. Iniziai a piangere, ad avere attacchi simili ad allucinazioni. Raccontai tutto a questo bastardo, di me, di Harry, di noi.
Il giorno dopo era tutto sul giornale: le foto dove io ero piegato al cospetto di una striscia: probabilmente era un giornalista, non so. Forse solo uno stronzo.. 'Outing.' 'One direction gay.' 'Harry e Louis insieme: scandalo fra le fan', riesco ancora a vedere quelle locandine. Tornai a casa la mattina seguente, per pranzo, Harry piangeva ed era a terra sanguinante, graffi grandi sul suo corpo. L'avevano chiamato i manager, ci licenziarono, buttarono a merda tutti quegli anni di lavoro, la carriera dei nostri amici. Spiegai ad Harry cosa fosse successo quella sera, volevamo venire allo scoperto ma non.. non in quel modo, ecco." Louis iniziò a piangere, alternando le parole ai singhiozzi, contraendo lo stomaco, sentendo la gola infiammarsi. "Io non ricordavo molto della sera precedente, forse tra me e quel tipo c'è stato qualcosa ma io.. io sono quasi totalmente sicuro di no. Mi confessai a lui, prese le valigie, disse che voleva tornare per qualche giorno a Holmes Chapel."
"E così non è più tornato?" Domandò Katylin con la voce quasi commossa.
"Due settimane dopo uscirono sul 'The Times' le foto di me e Eleanor, la incontrai solo per far chiararire tutto ai giornali, ovviamente loro pubblicarono le foto del nostro abbraccio come saluto. Nessuna intervista, niente di niente, solo inganni. Li ho denunciati ma non ci sono prove concrete. Harry vide le foto, mi chiamò immediatamente, ricordo le sue parole: "So che non sono stato un gioco per te, evidentemente tu però, odi esser serio, no? Sei solo un bambino Louis, ho solo creato una storia tra illusioni e speranze". Iniziai a piangere, non avevo parole, non avrebbe creduto a niente. Continuarono ad uscire notizie false, uscirono due foto in cui mi facevo una canna in un locale malfidato della Londra bene, ora sono in rovina: senza di lui, senza i soldi, senza amici. Ricevo minacce quasi quotidianamente, ricevo un 'gay, devi morire' ogni giorno. Vorrei esser più forte ma forse, forse Harry aveva ragione: sono solo un bambino."
E di fronte agli occhi di Katylin era incurvato, con la testa fra le mani a piangere come forse non aveva mai fatto davanti a nessuno: neppure sua madre.
La donna si alzò, posizionandosi davanti a lui, piegandosi sulle ginocchia. "Sei stato molto, molto bravo, Louis. Sono orgogliosa di te." Sussurrò, con una mano sulla schiena del ragazzo.
"A me.." Sospirò Louis, "A me manca.." Continuò. "Da morire." Concluse poi, con la voce talmente flebile da far impressione.
La dottoresa allora l'abbraccio. "Un giorno non troppo lontano Louis entrerai da quella porta col sorriso, ti prometto solo quello."
"Ho bisogno di lui.." Sospirò Louis. "Lo so." Rispose la dottoressa.
Il ragazzo si alzò, asciugandosi le lacrime. Fissò la donna negli occhi ed erano così comprensivi e dolci che forse, Louis, non l'aveva mai notato.
"Devo tornare Venerdì?" Domandò Louis.
"Parlare con qualcuno che è disposto ad ascoltarti non è un obbligo Louis, è una tua scelta. Sei tu che scegli, in qualsiasi occasione."
Louis restò per qualche secondo a contemplare le parole della dottoressa, poi salutandola uscì da quella porta.

Harry non sarebbe tornato, neppure i ricordi stavano tornando; alla fine non se ne erano mai andati.
Alla fine Louis ogni sera guardava il cielo Londinese cercando di collegare le stelle in una forma simile a quel sorriso.





Halleluuuuuja, ho aggiornato! Ahahahahhh. Scusatemi, odiatemi ma non vedo l'ora che sta storia finisca, lol.
Anyway, ecco il capitolo: finalmente Louis parla della situazione con Harry. Cosa ne pensate? Secondo voi Harry tornerà? Louis tornerà dalla psicologa?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, immagino che non seguiate più molto la storia, alla fine pubblico ogni morte di papa, avete ragione.
Voglio comunque ringraziare coloro che hanno recensito, messo tra preferite-seguite-ricordate. Grazie, di cuore!
Se vi va, quindi, lasciatemi una vostra opinione, mi farebbe piacere.
A -spero- presto,
-Fra.

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Capitolo 9
*** The last one. ***


Chiuse la cerniera della sua valigia Gucci.
Si promise, poco tempo prima, di non piangere. Ma gli occhi pizzicavano, la gola era secca e respirava a fondo per lasciare che i singhiozzi venissero inghiottiti.
Giurò a se stesso che prima o poi ce l'avrebbe fatta, cosi fu.
Passò un mese dopo l'ultimo incontro con la psicologa. Un mese di pensieri, rancori, sangue, dolore. Un mese di sorrisi, anche. Sogni. Ambizioni. Desideri. Voglia di star bene.
C'è un tempo per tutto, pensò Louis.
Un tempo per star male.
Uno per ricordare.
Un tempo per star bene, uno per dimenticare.
Adesso l'orologio segnava le 11.30 di un Sabato mattina. Era il suo tempo di star bene. Lo sapeva. Doveva semplicemente coglierlo al volo, perchè forse, non sarebbe tornato.

Afferrò la sua valigia. Era la loro casa, una casa di ricordi e d'emozioni, di sofferenza e d'amore.
Sarebbe stata sempre quella casa speciale nel cuore di Louis. Sarebbero stati sempre i ricordi a demolirlo, ma era arrivato il momento d'andare avanti, costruire mattone per mattone un nuovo muro dove appendere altre storie, altre esperienze, altre delusioni perchè no, ma anche altre vittorie.

Aprì la porta, lanciando un ultimo sguardo al rosso della parete in cui, una volta, c'erano le loro foto.
Sorrise.
E poi se ne andò, lasciando tutto alle spalle.
Avrebbe preso il primo volo, avrebbe volato fino alla meta.
Louis era stato un ragazzo modesto nella vita. Aveva ottenuto tanto, ma era abituato a donare tutto.
Aveva errato tante volte. Si era punito. Aveva risbagliato. Pensò perfino d'esser arrivato al culmine quando tentò di porre fine a tutto.
Ma fu così modesto ed umile da accettare un aiuto e ora, ora Louis Tomlinson era rinato.

L'areoporto aveva uno strano odore.
Si sentiva il rumore di passi, delle rotelle delle valigie percorrere il corridoio. Si sentivano le risate della gente, le lacrime di chi doveva partire.
Era un mondo a sè, quello. La mamma che abbracciava il figlio che tornava e il padre che, sorrideva alla bambina, promettendogli di rivederla presto.
Louis era solo, decise di esserlo. Odiava gli addii, rendevano tutto più difficile. Era questa la sua concezione non del tutto sbagliata.

"Volo 5289 in partenza. Prego i gentili passeggeri di avvicinarsi all'area controlli."

Quella voce metallica.
Dio, stava segnalando la sua fine in quel mondo. La sua rinascita.
La stessa voce che pose lo stop al suo saluto con Harry quando decise di andarsene. La stessa che adesso gli stava consigliando d'andare.
Louis afferrò la sua valigia.
Passò l'area controlli.

Ciao Londra.

***

"E' per lei, dottoressa." L'infermiera le consegnò una busta. "Grazie Charlotte." Gentile come sempre Katylin.
Entrò nel suo studio. Aveva ancora un'ora libera, poi ci sarebbe stato il primo appuntamento della giornata. Decise di aprire la busta.
Una lettera.

"Salve Dottoressa,
Sono proprio io: quel ragazzo che l'ha fatta dannare, sì. Quel giovane dalla corazza di ferro e il cuore di legno. Sono proprio io, Louis.
Spero stia bene. E' da un po' che non ci vediamo. Devo dire che mi è mancato parlare con lei, ma forse è stato meglio così.
Vorrei dirle tante cose. Vorrei sempre dire tante cose, ma non ho ancora capito perchè mi risulti così difficile, forse perchè alla fine, sono troppo debole.
Parto col farle sapere che il viaggio intrapeso con lei è stato tortuoso, a volte difficile, altre stressante.
E' stato la mia ancora di salvezza, il mio lago nel bel mezzo del deserto, la mia luce in fondo al tunnel buio.
Grazie, dottoressa. Grazie per avermi offerto due orecchie capaci di ascoltarmi, una bocca con la quale sorridermi e un abbraccio caldo, sempre pronto.
Grazie per avermi offerto una mano con la quale poter tornare in superficie, proprio quando pensavo di aver toccato il fondo.
Sa, dottoressa, sui miei polsi ci sono delle cicatrici che non andranno mai via.
Nella mia mente ci sono ricordi che neppure il vento più forte, riuscirà a eliminare. Ma è giusto così, alla fine.
E' parte del mio passato, di ciò che sono stato. Guarderò le mie braccia con un sorriso d'orgoglio, pensando che sì, ce l'ho fatta.
Ci vorrà del tempo per guarire del tutto, forse non guarirò neppure mai totalmente. Ma sono pronto a mettermi in gioco, a sfidare il destino, pronto ad una nuova vita.

Ho deciso di partire. Mi trasferirò a Boston, forse ho trovato lavoro nel teatro. E' sempre stato parte del mio sogno recitare.
Sa che al liceo mi dilettavo in alcune messe in scena? Non me la cavavo male, ma dovrò rispolverare alcune tecnice del mestiere.
Ho voglia di respirare un'aria nuova. Ho voglia di esplorare nuovi territori e varcare confini che pensavo non riuscissi a oltrepassare.
Non parlo di confini territoriali. Parlo della mia paura di sentirmi solo, del terrore che possa non uscire dallo stato in cui mi trovo.
Ma ce la farò, sì, ce la farò. Lei mi ha insegnato ad avere fiducia in me. E' il primo passo di un percorso da intraprendere per stare meglio. Non trova?
A Boston costruirò nuove fondamenta, nuova vita, nuovi sorrisi.
Le scriverò, le manderò alcune foto. Merita di vedere come riuscirò a stare bene. Lo merita, sarà solamente merito suo, sa?

Le piacciono le gomme da masticare?
A quattro anni, mia mamma mi disse una cosa. Ho impiegato ventidue anni per capirla.
Mi disse "Sai Louis, siamo come le gomme da masticare. Partiamo piccole, già formate. Cresciamo, della misura che vogliamo, come ci interessa diventare. Poi scoppiamo e ci rinnoviamo. Più grandi di prima, ancora migliori. Ancora più belle."
Ho sempre stimato mia madre, dottoressa. Un giorno avrò un bambino, le dirò questa frase a quattro anni. La capirà a ventisei, dopo sofferenze a cui io non potrò far niente. Ma ci riuscirà e arriverà un giorno in cui abbracciandomi, sarà fiero di me.

Mentre lei starà leggendo questa lettera, probabilmente sarò seduto su un sedile di un aereo di linea.
Avevo paura di volare, ma poi grazie al mio lavoro la fobia è stata superata.
Dottoressa, le cose passano. Col tempo, con l'esperienza, con un chiodo che scaccia l'altro, in un modo o in un altro passano.
Non se ne vanno, mai. Ma si superano. Si può tornare indietro e ritrovarle sulla propria strada, ma ne vale davvero la pena?

Beh, vede: non le ho detto neppure un millesimo di ciò che avrei dovuto e avrei voluto dirle.
Ma forse, il destino vuole che le debba spedire altre centinaia di lettere.
Grazie Katylin, grazie per aver reso la mia vita migliore.

Il suo paziente preferito.
Louis."

Aveva passato tanti casi, visto tanti problemi e visitato tanti pazienti, Katylin.
Ma Louis Tomlinson aveva due occhi diversi da tutti gli altri. Due occhi che non si penetravano, due occhi talmente abituati a far finta di star bene che anche per lei, anche per una delle migliori psicologhe inglesi, era difficile osservare. Due occhi bellissimi, vogliosi di migliorare, di star bene, di vincere su ogni ferita.

Louis Tomlinson meritava tutto il bene di questo mondo.

"Dottoressa?" L'infermiera entrò. "Ci sarebbero questi fascico.." Si bloccò. "Sta piangendo, dottoressa?" Chiese preoccupata.
Katylin sorrise, asciugandosi le lacrime.
"Mai stata più felice e orgogliosa di piangere, Charlotte."




sooorry for the late, babes.
Comunque, ecco l'ultimo capitolo.
Ci sarà l'epilogo, in cui spiegherò un po' di cose. Non ve lo perdete, belle!
Spero vi piaccia, sinceramente a me fa schifo. Ma sapete bene che questa storia non è stata il mio massimo, mi dispiace, davvero.
Lasciatemi una recensione se vi va.
Grazie a tutti coloro che si sono dedicati alla lettura di questa Fan Fiction. Grazie, col cuore.
-Fra.

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Capitolo 10
*** The end. ***


Era bello, bello come il sole di primavera che ti illumina il sorriso.
Bello come una giornata calda, passata al mare con i tuoi amici.
Bello come una cioccolata la vigilia di Natale, con la tua famiglia, l'albero, il fuoco che scoppietta accanto al  divano, i regali.
Bello come l'ultimo giorno, dell'ultimo anno di liceo. 
Bello come il bacio della persona che ami.
Bello come solo lui sapeva essere.

Gli occhi color caramello, erano perfetti per quel carnato ambrato, liscio, soffice. 
Era dolce, aveva il sorriso fragile quando abbassava lo sguardo, fiero e forte quando alzava gli occhi al cielo.
I riccioli sugli occhi, Louis continuava a spostarli; ma il ciuffo era lungo e allora ricadeva in mezzo, sul naso piccolo, a punta.
"Sei bellissimo" Gli sussurrò in un orecchio, quello sinistro per esser precisi.
Hamin sorrise.
Nessuno sorrideva come lui, Louis ne era certo.
Aveva le piccole fossette ai lati della bocca, leggere come una piuma.

Con le mani, accarezzava il volto di Louis. Ne disegnava ogni centimetro, percorrendo tutto il profilo.
"Non sono un peluche, amore." Sorrise Louis e Hamin ricambiò, ma non c'era paragone. 

Lo fissava con occhi caldi, con gli occhi dell'amore, con occhi d'orgoglio.
Lo fissava chiedendosi, come sarabbe andata.
Louis non lo sapeva, non se lo immaginava ma una cosa era certa: avrebbe scalato il monte più alto per vederlo brillare al meglio.
Era parte di lui in ogni sua cellula.
Era le sue lacrime, la sua risata, il suo cuore.
Era la sua parte complementare. La stella più bella da mostrare.
La parte migliore del castano.

"Ti amo." Sibilò Louis, abbracciandolo forte. Hamin lo strinse quasi involntariamente, con le sue braccia piccole sulle sue spalle.
Louis, socchiuse gli occhi, come si fa in quegli abbracci che vorremmo non finissero mai. Quelli veri, quelli più importanti.

Si voltò verso Gregory. "Grazie".

***

Gregory camminava al fianco di Louis da ormai un anno.
Si conobbero in un locale, su un divanetto sporco, in mezzo a tanto alcool, alla musica alta, alla droga, anche.
Gregory notò gli occhi di Louis, così belli, così puri, così spenti.
Si avvicinò a lui, presentandosi un po' banalmente, con forse troppo imbarazzo.
Era passato un anno, un anno insieme. Di notti d'amore. Di sorrisi. Di litigi e di passione. Un anno nel quale, la vita di entrambi, era stata sconvolta pezzo per pezzo.
Gregory, Greg come lo chiamava Louis, non aveva gli occhi verdi di Harry, nè quei riccioli perfetti che gli cadevano sulla fronte.
Greg non aveva la giovinezza di quel sedicenne di cui s'innamorò Louis, nè la forza di un adulto maturo che aveva sempre contraddistinto Harold.
Gregory, però, aveva amato Louis quando intorno, il castano, non aveva nessuno. Quando sul suo corpo c'erano cicatrici, sangue, lacrime e dolore.
Greg era vicino a Lou quando il fondo era vicino, quando sembrava non esserci cura.
Era lì quando Louis decise di rivelare a tutti la sua omosessualità, quando raccontò ai giornali la sua vita immersa in dieci incontri da una psicologa che gli cambiò la vita.

Gregory Swets era lì, nel suo abito nero, stilista italiano. Era lì col suo "sì, lo voglio." quando il 20 Giugno si sposarono.
Era bello Louis, dentro quella camicia bianca, con gli occhi che sorridevano, era perfetto con quella barba che gli donava l'aria da uomo maturo che mai aveva rivelato alle sue fan. Essere bambini, a volte, è semplicemente più facile.

Erano passati quattro anni da quando Louis Tomlinson aveva intrapreso quel viaggio con Katylin.
Quattro anni col suo compagno, marito, ancora di salvezza.
Quattro anni tra cene con i suoi vecchi amici e libri scritti.
Ora Louis, era un uomo. Un uomo che non aveva intenzione d'arrendersi. Mai.

Il 13 Giugno firmarono un foglio.
"Con la presente i sottoscritti:
Louis William Tomlinson e Gregory Charles Swets assumono su di sè qualsiasi responsabilità, dovere, obbligo nei confronti di Hadim Tomlison Swets, che riconoscono da oggi, 13 Giugno, come proprio primo genito acquisito."

Hadim era originario dell'Algeria. Un bambino salvato da una vita che non gli avrebbe donato sorrisi.
Ora Hadim aveva una casa, un pasto caldo, due genitori che avrebbero regalato il cuore ad ogni suo momento.

Hadim adesso ha quattro anni, frequenta l'asilo nei borghi londinesi.
Liam, Niall e Zayn hanno intrapreso una loro carriera come gruppo. Hadim riceve un loro regalo da ogni tappa che visitano. Li chiama "zii", è il loro piccolo.

Un giorno era seduto sulle ginocchia di Louis. Prese la grande mano destra di suo padre.
"Cosa sono questi, papà? Ti sei fatto male?"
Le cicatrici su quei dannati polsi.
Louis sorrise, guardando gli occhi caramello di suo figlio, così piccoli, così ingenui..
"Sai, amore, la mia felicità era dietro un filo spinato." Spiegò Louis. "Per prenderla ho dovuto saltare, allora mi sono graffiato, ma ora sto bene. Sono caduto, mi sono fatto del male, ma ne è valsa la pena. Ho trovato te, Hadim."
Quel ricciolo avrebbe capito le parole del padre quando sarebbe stato più grande, si limitò a sorridere, abbracciando Louis come fosse l'unica persona al mondo.
Lui baciò la fronte del figlio. A volte voleva isolarsi dal mondo, poi ripensandoci, era impossibile.
Il suo mondo era tra le sue braccia ogni volta che stringeva a sè quel bambino dagli occhi color del miele.

***

Era primavera, il sole era caldo nel cielo.
Gregory, Louis e Hadim uscirono per una passeggiata. Si fermarono alla gelateria del centro. Quella in cui andava sempre Louis, quando ancora era uno stupidissimo, bellissimo adolescente immaturo.
"Andate a scegliere i gusti, io mi siedo al tavolo."
Gregory e Hadim si avvicinarono al bancone, Louis si allontanò.

Sentì una mano sulla sua spalla. Tremò.
Riconosceva quel profumo, quella stretta forte. Avrebbe riconosciuto quel tocco tra mille pugni.
Si voltò.
Presente la sensazione che ti assale quando sembra di cadere nel vuoto? Ecco.
Non c'era più aria, più luce, più buio. Solo i suoi occhi, quel sorriso. Solo lui, davanti.
"Ciao Harry."
Lui restò in silenzio, continuava a fissare Louis come fosse il diamante più bello. Ironico no? Negli ultimi quattro anni l'aveva trattato come un banale pezzo di bigiotteria.
"Ciao Louis, come stai?"
Come doveva stare?
"Bene, Harry." Sibilò Louis. "Tu?" Stava trattenendo tutta la forza, non poteva permettersi di esser debole, non in quel momento.
"Sono appena tornato dall'America. Affari di lavoro." Rispose Harold.
Louis si sentì in dovere di indicare Hadim e Greg al bancone. "Lui è Gregory: mio marito e il bambino, beh, lui.. " Sospirò. "E' il nostro bellissimo figlio."
Harry si voltò di nuovo, immergendosi negli occhi azzurri del più grande.
"Mi ricordo.." E poi si bloccò.
"Cosa? Quando avevamo prospettato tutto questo insieme?" Domandò Louis. Il riccio non rispose, continuava a guardare dietro quegli iridi perfetti. "Matrimonio. Figlio. Futuro insieme. Ricordi questo?"
Il più piccolo annuì debolmente.
"Sì.." Ammise poi.
"Alcuni treni passano solo una volta, Harry. A volte deragliano. Succede una strage che non verrà mai, mai dimenticata. Ma.." Si bloccò. "Ma non ripassano più, poi.." Concluse Louis mentre sia Gregory che Hadim si stavano avvicinando.
"Gregory, Hadim? Lui è Harry.. un.." Si voltò verso il riccio, Louis: "Un mio amico." Affermò. Gregory strinse la mano al riccio, ci fu uno sguardo tra i due pieno di rancore.
Harry sorrise al bambino.
"Ora, è meglio che vada. Ho delle commissioni da fare." Interruppe poi Harold. "E' stato un piacere rivederti." Sussurrò con i suoi occhi verdi fissi in quelli blu.
Louis sorrise, ma non rispose.

Mentre Harry Styles si stava allontanando, Louis capì che finalmente la sua guarigione era arrivata al termine.
Quel ricordo, il ricordo di loro insieme, l'avrebbe lacerato per la vita, avrebbe occupato la sua mente fino alla fine.
La mente.
Il corpo no, quel corpo adesso doveva far l'amore con Gregory la sera e poi, la mattina, abbracciare Hadim prima d'andare a lavoro.

Adesso Louis Tomlinson aveva la sua famiglia, ringraziava Dio per non avergli mai fatto toccare il fondo.

Guardava quel filo spinato da lontano, aveva vinto lui.





Theeee eeeeeeend.
E' finita. Game over.
Non mi è mai piaciuta, non l'ho sviluppata come volevo, ma ormai questa fan fiction è passata. Ecco l'epilogo. Spero vi sia piaciuto.
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito la storia, l'hanno aggiunte nelle ricordate, nelle preferite e nelle seguite. Grazie.
Vorrei ringraziare coloro che anche, semplicemente, l'hanno solo letta e coloro che mi hanno spinta a finirla anche quando non avevo ispirazione.

Un finale non Larry, ma un finale felice. Louis è felice. Harry non abbandonerà mai nè la sua mente, nè il suo cuore, nè la sua memoria, ma Louis ora sta bene. Cosa ne pensate?
 
Lasciate una recensione, grazie per tutto.
Vi voglio bene.
Adiooooos.
-Fra.

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