Being Stiles Stilinski it's complicated

di CINNAM00N
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Being me ***
Capitolo 2: *** Little red sick hood ***



Capitolo 1
*** Being me ***


Like ships in the night
You keep passing me by
Just wasting time
Trying to prove who’s right
And if it all goes crashing into the sea
If it’s just you and me
Trying to find the light

Chasing your dreams since the violent fifth grade
Trying to believe in your silent own way
Cause we’ll be okay, I’m not going away





Being me.

Essere Stiles Stilinski è complicato.

Non lo è per via del fatto che il suo migliore amico è stato morso da un tipo pericoloso sbucato dal nulla, che è diventato il suo alfa dopo che lui stesso è diventato un lupo mannaro. Non lo è perché la ragazza che dice di amare da sempre è stata morsa ed è probabilmente l’unico esempio di persona immune su questo dannato mondo. Non lo è perché la ragazza del suo migliore amico fa parte di una famiglia di psicopatici cacciatori di esseri soprannaturali. E non lo è nemmeno perché il suo compagno/nemico di squadra di lacrosse è diventato un kanima, un abominio mitologico con il pallino degli omicidi.

Lo è perché Stiles ha una cotta incredibile da sempre per Scott McCall. Già, Scott. Il suo migliore amico barra cucciolo di licantropo barra bestione quando c’è la luna piena. E il fatto che questa cosa lo sconcerti ancora più dell’improvvisa apparizione di mostri assetati di sangue nella sua vita, in un qualche modo può aprire una finestra sulla portata dei suoi sentimenti e farvi immaginare l’intensità dei suddetti.

Essere Stiles Stilinski, come già detto, è complicato.

Lo è quando si alza la mattina con un unico pensiero in mente: un pensiero dagli occhi dolci e scuri e dai capelli castani e scombinati. Un pensiero incredibilmente buono e amaro al tempo stesso, che lo convince a muoversi e a sbrigarsi e a fare tardi comunque perché per quanto si sforzi finisce sempre per essere un casino iperattivo.

Lo è quando lo vede fuori dalla scuola e minaccia di prendergli un infarto; lo è non appena si ricorda che da quando Scott è diventato un mannaro può percepire i battiti cardiaci e può distinguere la verità dalla menzogna; lo è quando si nasconde dietro alla fittizia cotta che si è inventato di provare per Lydia: l’ha urlata in faccia a Scott per anni solo per distogliere l’attenzione dai propri sentimenti, così evidenti da fargli venire il sospetto e l’orrore potessero essere riconosciuti anche da quel babbeo, che quando non vuole vedere qualcosa riesce a negarlo nemmeno fosse cieco.

Lo è quando lo vede guardare Allison, e deve sforzarsi di distogliere lo sguardo e di fare finta di niente per non sentirsi morire e per non tradirsi da solo per colpa del proprio cuore malandato.

Lo è quando è costretto a recapitargli i messaggi di quest’ultima, a dirgli che lo ama con un tono da ‘ehy amico preferirei essere ovunque tranne che qui’ e a perdersi mentre lo vede sorridere in maniera così dolce; lo è quando per un secondo s’illude che stia parlando con lui, che i suoi occhi stiano brillando per via del fatto che è lui a pronunciare quelle parole, e infine lo è quando Scott risponde e ci mette in mezzo il nome di Allison.

Stiles Stilinski è incredibilmente stupido. O almeno, si sente uno stupido quando ripensa a determinate cose che ha fatto e ha detto, e si sente un completo imbecille quando si rende conto di avere la consapevolezza che le farà e le dirà di nuovo.

Quando ha beccato Scott che baciava per la prima volta Allison negli spogliatoi, e non è nemmeno riuscito a trovare la decenza di andarsene e di non spappolarsi il cuore mentre se ne rimaneva li, immobile, ad osservarli. Il solito idiota, con la bocca schiusa dallo stupore e le mani tremanti mentre spiava il sorriso più dolce del mondo diretto a qualcun altro.

“L’ho baciata.”

Già. Se ne era accorto. Non tanto per il fatto che li avesse visti, ma per via della stressante morsa all’altezza dello stomaco che gli rendeva difficile persino respirare. Eppure, aveva fatto finta di niente, o almeno, ci aveva provato. Aveva sorriso, con gli occhi spenti.

“Beh, bello.”

Bello un cazzo. Orribile. Una delle cose più orribili che gli fossero mai accadute.

Ma era andato avanti. Lo aveva fatto per Scott, per non abbandonarlo a se stesso, per proteggerlo; perché in ogni caso desiderava la sua felicità, a prescindere dal fatto che la consapevolezza di non poter essere felice di rimando a volte lo faceva impazzire.

Avrebbe davvero voluto essere innamorato di Lydia. La trovava una bella ragazza, quello sì, ma rimaneva questo e nient’altro. Una bella ragazza per la quale non provava nulla se non attrazione fisica. Una bella ragazza che non era in grado di competere con Scott nemmeno da lontano. Una bella ragazza che aveva odiato a morte quando aveva scoperto che aveva pomiciato con il suo migliore amico. Era stato tremendamente difficile ricordare a se stesso che non doveva tradirsi, che non doveva dire “come hai potuto baciarla, io ti amo da sempre”, ma bensì: “come hai potuto baciarla, io la amo da sempre”.

Era stata una delle esperienze più difficili della sua vita. Odiarlo, perdonarlo e infine amarlo ancora, sempre di più, mentre di nuovo si chiedeva perché. Faticava già ad accettare Allison, ma almeno lei poteva tollerarla, perché Scott la amava sul serio.

No, a dire il vero non poteva tollerarla. Ma amava Scott, e si era rassegnato al fatto di non poterlo mai avere, di doverglielo cedere; perlomeno finché non si erano lasciati, e lui si era sentito così in colpa per l’assurda felicità che provava e che faticava a nascondere. Si era sentito felice al punto che avrebbe potuto dirgli tutto, avrebbe potuto abbracciarlo forte e nascondere il capo nell’incavo tra il collo e la sua spalla e amarlo, amarlo per sempre.

L’aveva anche fatto ubriacare, e solo a pensarci si sarebbe preso a sassate in testa. L’unico ad ubriacarsi, alla fine, era stato lui. E c’era mancato poco così che sostituisse il nome di Lydia con quello di Scott. Alla fine, quando si era ritrovato a casa, solo ed incredibilmente lucido, aveva preso a testate il muro per davvero.

Come già detto, se ti chiami Stiles Stilinski e hai una cotta colossale per il tuo migliore amico che, come se non bastasse, è anche un lupo mannaro… la tua vita è complicata. Più di quanto, a volte, tu sia in grado di sopportare.

* * *

Stiles si allungò verso il comodino, recuperando in fretta e furia il termometro che, la sera prima, si era portato appresso in uno slancio di rara preoccupazione per se stesso. Si sentiva male. Peggio del solito, per intenderci, con un mal di testa da fracassargli il cranio e un mal di ossa in grado di stenderlo. Alla fine si era addormentato, esausto, senza nemmeno impostare la sveglia.

Quando si era svegliato aveva scoperto di essere in ritardo, un ritardo abissale, e di sentirsi, se possibile, ancora peggio di quanto non stesse quando si era addormentato. Aveva preso il termometro, se lo era ficcato sotto l’ascella ed aveva atteso, con una pazienza mista ad impazienza perché tutto quello che voleva era farsi del male vedendo il volto di Scott.

 “Trentanove?!” aveva starnazzato mentre leggeva il termometro, buttandolo poi per terra, quasi come se scottasse.

Suo padre era entrato in camera pochi minuti dopo, con la faccia da incazzato di chi sa che dovrà lamentarsi con il solito figlio ritardatario che, come è ovvio che sia, ha fatto tardi per l’ennesima volta.

“Stiles, che brutta cera” aveva detto invece, puntando poi lo sguardo verso il termometro riverso a terra. Era riuscito a recuperarlo battendolo sul tempo, e una volta letta la temperatura aveva sgranato gli occhi.

“Giorno di assenza meritata, direi.”

“Come? No, escluso, proprio no, io ci vado” aveva biascicato Stiles, facendo per togliersi le coperte di dosso e alzarsi dal letto.

Peccato che il suo corpo non ne volesse sapere di assecondarlo, e alla fine si era ritrovato nuovamente sul materasso, costretto all’immobilità dalle braccia di suo padre. Aveva continuato a muoversi ancora per un po’, sfidando il profondo senso di malessere che gli faceva girare la testa finché, alla fine, aveva dovuto arrendersi.

“Non se ne parla. Riposati, torno dopo con le medicine.”

“Ricevuto.” Aveva mormorato sommessamente, mentre l’umore sprofondava a meno infinito più uno e la sua voglia di vivere moriva lentamente.

Ok, era innamorato di Scott. Ok, doveva sopportare l’idea di vederlo guardare Allison con quel sorriso da rincoglionito e quell’aria da ebete che gli faceva venire voglia di prendere a pugni qualsiasi cosa si muovesse, respirasse, parlasse. Ma non vederlo per niente, no, era straziante. Doveva vederlo. Ne aveva bisogno.

Stiles chiuse gli occhi, sospirando. Si sentiva così male a causa della febbre?

Preferiva di gran lunga non pensarci.

Si addormentò, scivolando in un sonno pieno di incubi e di migliori amici insensibili e inebetiti da belle morette.

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Capitolo 2
*** Little red sick hood ***


And now you're gone it's like an echo in my head
And I remember every word you said

It's a cruel thing you'll never know all the ways I tried
It's a hard thing faking a smile when I feel like I'm falling apart inside

And now you're gone it's like an echo in my head
And I remember every word you said

 

Little red sick hood.

Alla fine tutti i suoi incubi si riducevano ad un ammasso di boscaglia nera come la notte, nella quale cercava di districarsi fino allo stremo delle forze. Poteva vedere Scott al di la dei rami dalle forme inquietanti, poteva vederlo sorridere, scherzare, in un posto sicuro e pieno di luce.

Eppure, per quanto Stiles si sforzasse di raggiungerlo, di spezzare rami, di evitare di ferirsi, non riusciva mai ad avvicinarsi. Anzi, si ritrovava spesso riverso a terra, con la faccia spiaccicata contro il terriccio umido e gli arti pieni di graffi. La cosa più brutta, poi, era che il dolore fisico era sempre surclassato da quello mentale. Era come se la testa stesse per scoppiargli da un momento all’altro: una terribile esplosione nella quale il suo cervello si schiantava contro la radura immersa nell’oblio, fondendosi con l’oscurità.

* * *

“No!” urlò, alzando il busto in uno scatto rabbioso mentre, ancora intontito, spalancava gli occhi.

Le pareti della sua stanza. Il suo letto. La familiare finestra dalla quale entrava appena uno spicchio di luce.

“Calmati, Stiles, era solo un incubo…”

E la voce di Scott.

Stiles si voltò di scatto: troppo in fretta, la testa gli girava da matti e la febbre, probabilmente, non si era ancora abbassata. Ma li c’era Scott, in grado di fargli perdere un battito e di fargli comparire agli angoli della bocca un sorrisino da ebete che, se non ci fossero stati i 39 gradi di temperatura (o forse si erano alzati?) a fornirgli una maschera dietro la quale nascondere i propri sentimenti, sarebbe sembrato fin troppo compromettente.

Come l’alcool. A pensarci, avrebbe potuto farsi venire la febbre più spesso. Niente sospetti per Scott e niente dolorose finte per lui. In più la lucidità era giusto un tantino meno compromessa di quando beveva qualcosa. Un compromesso perfetto.

“Eeeehy, amico”

Scott inarcò un sopracciglio e sorrise in quel modo che a Stiles faceva sempre pensare ‘Scott il migliore amico del mondo’ o ‘Scott la cosa più carina del mondo’; in quel caso lo fece sospirare forte mentre si lasciava andare contro il letto: la schiena pesantemente adagiata contro il materasso e un’espressione addolorata dipinta sul volto.

Era sleale: sorridere in quel modo era puro sadismo.

“Sai che sei davvero messo male?” chiese Scott, soffocando una risata dai toni particolarmente fastidiosi mentre si sedeva ai piedi del letto, infossando leggermente il materasso.

Stiles roteò gli occhi, sbuffando di nuovo.

“Ma come siete originali, tutti quanti. Potrei commuovermi, sul serio.”

“Ti ho portato le medicine. Tuo padre era impegnato col lavoro e non è potuto tornare a casa, e così mi ha incaricato di curare il suo piccolo cucciolo malato!”

Nonostante l’ultima parte della frase di Scott – oh, andiamo? Piccolo cucciolo malato? – Stiles ringraziò mentalmente suo padre con un fervore tale che, senza accorgersene, si mise di nuovo a sorridere. Se ne rese conto quando notò il ghigno buffo di Scott che lo guardava con insistenza, e allora mascherò il tutto con una smorfia seccata.

“Dammi qua, mr. Piccolo cucciolo malato!” gli ringhiò contro, alzando il busto ed allungandosi verso di lui per sfilargli di mano il piccolo sacchetto di carta.

Scott gli mise una mano sul busto e, senza difficoltà, lo fece sdraiare di nuovo.

“Stai buono, Stiles. Sei più strano del solito, e questo può voler dire una sola cosa: stai davvero male. Oppure hai bevuto, ma direi che è più probabile la prima.”

Stiles si mise a ridere.

“Mi complimento con te per la tua arguzia, amico!”

“Fai poco lo spiritoso. Se ancora non ti è chiaro, ho in mano le sorti della tua vita.”

Stiles strabuzzò gli occhi, mentre gli si inaridiva la bocca come nemmeno il deserto del Sahara. Le sorti della sua vita. Scott non avrebbe potuto trovare una frase più adatta: se invece delle medicine gli avesse dato le sue labbra – o qualcos’altro a caso – gli avrebbe garantito la felicità eterna e, molto probabilmente, la febbre sarebbe stata sconfitta dai suddetti sentimenti felici. Oppure la sua temperatura corporea sarebbe aumentata a dismisura e gli sarebbe esplosa la testa, semplice.

“Sono davvero in buone mani, allora.” Sussurrò con finto sarcasmo tra se e se, abbastanza forte da farsi sentire da Scott e abbastanza piano da nascondere l’esplosione che quella frase creava nel suo cuore.

Scott si sedette più vicino a lui, sorridendo in quel modo.

“Ecco” disse, cominciando ad aprire il sacchetto di carta “ora sì che cominciamo a ragionare.”

Stiles arricciò le labbra: “Curami e falla finita.”

C’erano dei momenti in cui non riusciva a sopportarlo, Scott. Lui faceva di tutto per nascondere quello che provava realmente, anche a costo di strapparsi il cuore dal petto, e cosa otteneva in cambio? Nulla. Niente. Nemmeno uno straccio di sospetto. Ovvio che questo fosse l’obiettivo che si prefissava di raggiungere, ma ottenerlo ogni dannatissima volta poteva diventare davvero frustrante.

“Questo cucciolo malato è davvero acido, oggi.” Grugnì Scott.

“Mi duole informarti che il tuo cervello sta velocemente regredendo a quello di un bambino di tre anni.”

Scott gli diede un piccolo pugno in testa, intimandogli il silenzio con uno sguardo ch’era un misto tra il serio e il divertito mentre, tutto impegnato, tirava fuori diverse confezioni di medicine dal sacchetto di carta. Erano entrambi poco efferati sull’argomento, ma quello che ne sapeva di più era sicuramente Scott: sua madre lavorava all’ospedale.

Ma Stiles si sarebbe fidato di lui in ogni caso. Per quanto lo riguardava, quelle medicine avrebbero pure potuto essere veleno: lui aveva altre cose per la testa. Decisamente.

“Ok, non toccare niente mentre io scendo a prendere un po’ d’acqua. Ah, il termometro dov’è?”

“Qui.” Mormorò Stiles, indicando con lo sguardo il comodino alla sua destra, sforzandosi di sorridere nonostante i pensieri stessero prendendo la piega sbagliata e lo stessero conducendo verso la tortuosa e poco piacevole strada della distruzione mentale senza vie di ritorno.

Scott annuì ed uscì dalla stanza.

E a Stiles, una volta recuperata un minimo di sanità mentale, prese un colpo. Scott era li e lui era uno schifo di quelli davvero tremendi – non aveva ancora avuto l’occasione di guardarsi allo specchio ma per come si sentiva doveva sicuramente assomigliare ad un troll o a qualche altra creatura mitologica davvero orrenda –. Era anche vero che Scott l’aveva visto in tutti i modi possibili – o quasi: con grande rammarico di Stiles alcuni settori rimanevano ancora completamente inesplorati –, ma questo non significava che ogni volta non fosse uno shock di quelli che ti segnano per la vita.

Doveva assolutamente darsi un contegno. O almeno lavarsi, dato che puzzava peggio di un licantropo bagnato. E si sa, i licantropi bagnati cauterizzano le narici.

Spalmò i palmi delle mani contro le lenzuola e, facendo forza sulle braccia, riuscì lentamente ad alzarsi dal letto. Peccato che, una volta in piedi, le cose non andarono come aveva previsto. Era troppo stanco, esausto, senza forze; perse l’equilibrio e finì con il fondoschiena per terra, le gambe divaricate e l’espressione inebetita dalla botta appena presa.

“Stiles!”

Non appenò entrò in stanza e lo vide in quel modo – di male in peggio, perfetto – Scott appoggiò il bicchiere d’acqua sul comodino e si accovacciò vicino a lui.

“Tutto ok?” gli mormorò, con uno sguardo profondo che – Stiles lo sapeva – aveva il preciso obiettivo di sondargli l’anima e leggergli qualche risposta a qualche silenziosa domanda inespressa. Beh, Stiles non gliele avrebbe fornite, quelle dannatissime risposte – davanti alle quali, tra l’altro, si ostinava comunque a rimanere cieco.

Silenzioso ed accigliato distolse lo sguardo, mostrandogli il profilo. E una smorfia di disappunto.

“Certo, Scott, tutto ok. Tranne per il fatto che mi scoppia la testa, ho i brividi ovunque e non riesco a reggermi in piedi.” …e faccio schifo e non sono riuscito nemmeno a darmi una sistemata, fanculo. E oh, tu continui a cercare di scannerizzarmi con i tuoi occhietti neri pieni di implicita cupidigia.

 Con calma, Scott lo aiutò a rialzarsi e adagiarsi contro il letto.

“Allora” cominciò, con un tono particolarmente serio “prima di tutto devi mangiare qualcosa.”

Tirò fuori dal sacchetto un piccolo dolce con la crema e una fragola solitaria appostata in cima, ridusse la carta ad un mucchio indistinto e accartocciato e centrò il cestino all’angolo della stanza con un tiro preciso, ben assestato.

“Non ho fame per niente.”

“Dai, Stiles…”

Stiles si coprì il volto con le mani, stropicciandosi gli occhi: “No, non mi va.”

“Non dirmi che devo mettermi a giocare al dottore e il paziente per riuscire a farti mangiare!”

Stiles si coprì completamente la faccia con le mani, soffocando una risata. Effettivamente, Scott non poteva immaginare quanto avrebbe potuto piacergli, giocare con lui al dottore e il paziente. Beh, magari una versione alternativa, ecco.

Scott si alzò dal letto, tossicchiando un paio di volte mentre si calava nella parte.

“Lei è il signor Stilinski, giusto?” chiese, inarcando un sopracciglio.

Stiles non riuscì a trattenersi: Scott dottore era una delle cose più adorabili ed esilaranti che avesse mai visto. Scoppiò a ridere, annuendo con foga.

“Beh, pare che nel suo sangue ci sia un’alta quantità di acidità repressa. Deve assolutamente mangiare questo dolce” e nel dirlo fece dondolare la mano con la quale teneva il dolcetto in maniera plateale “per ristabilire gli equilibri.”

“E se non lo faccio?”

“Il dottore si irrita, si trasforma in lupo e ti mangia in un sol boccone.”

“Che roba è? Una versione alternativa di Cappuccetto Rosso?” chiese Stiles, sconcertato.

Scott sorrise e si adagiò nuovamente sul letto, vicino a lui. Dopodiché gli prese la mano, allontanando delicatamente le dita dal palmo e appoggiandovi infine il dolce sopra.

“Dai, mangia, cappuccetto.”

“Va bene. Nonnina.” Acconsentì infine Stiles, con uno sbuffo teatrale e particolarmente lungo.

Ce la mise tutta per mangiare il dolce, ma alla fine ne lasciò comunque un pezzetto che, nauseato, appoggiò sul comodino senza nemmeno guardarlo.

Si concentrò su Scott, che lo stava ancora guardando in quella maniera apprensiva e preoccupata tanto in voga tra le nonnine. Stiles cercò di leggergli negli occhi qualcosa che assomigliasse a quello che provava lui, ma non trovò niente. Assolutamente niente. La cosa lo fece abbattere notevolmente e, con un movimento brusco, gli diede le spalle voltandosi verso il muro alla sua sinistra.

“Ma che ti prende, Stiles?”

“Perché non mi lasci in pace?” gli grugnì contro, accartocciandosi su se stesso.

“Perché sei il mio migliore amico e sono preoccupato per te.”

E Stiles non ci vide più.

Si voltò di scatto verso di lui, alzando il busto in un crescendo di foga che, per quanto si sforzasse, non riuscì proprio a controllare. Si ritrovò il volto di Scott incredibilmente vicino: gli occhi sinceramente sorpresi e la bocca schiusa dallo stupore.

Stiles strinse i pugni, cercando di calmarsi. Ma non servì a niente.

“E se fosse proprio questo? A disturbarmi, intendo? Ci hai mai pensato, eh? Eh?” gli urlò contro, con una potenza distruttiva che stupì perfino se stesso.

Scott trattenne il respiro, e a Stiles parve di intravedere una sorta di muta consapevolezza nei suoi occhi. Fu un lampo, un secondo, e poi il suo migliore amico abbassò lo sguardo.

“Cosa vorresti dire?” aveva la voce bassa al punto che, se Stiles non fosse stato così vicino alla sua bocca, probabilmente non l’avrebbe sentito.




// Ceinwein91: Grazie! Sono contenta che ti piaccia 8D
Keepsake: Muahahah! Grazie! e... avevo effettivamente pensato ad una cosina! ma niente spoiler 8D

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