The man who can't be moved

di leo rugens
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


leo rugens' stories 2013 ©
Disclaimer: Questa storia è stata scritta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla.
Non si tenta in alcun modo di stravolgere il profilo dei caratteri noti.
Alcune citazioni sono tradotte da me, e sono prese dai libri The Fault in Our Stars e The Perks of Being a Wallflower.
Sono completamente estraniate dal loro contesto originale.
Nessuno degli One Direction mi appartiene, in alcun modo.
La trama è ispirata alla canzone The Man Who Can't Be Moved dei The Script, la sottoscritta ha ovviamente rimpinzato il tutto con la sua sfrenata fantasia.
Se copiate, giuro che vi prendo a sprangate. 



Oh, salve a tutti!
Eccomi qui, ad intasare questo fandom con la mia ennesima fanfiction Larry Stylinson! Doveva essere una one shot, doveva. La mia Vale mi ha consigliato (costretto, a dirla tutta, ma la amo lo stesso) a scrivere il sequel, forse perché non voleva che finisse male. Ma chi sa, come finirà!
Questo intanto è il primo capitolo (saranno due, è una cosa molto breve) e vorrei sapere cosa ne pensate, davvero.
Non ci metto niente a premere su completa e lasciare tutti con il dubbio, me compresa.
Se mi volete contattare trovate tutto nella mia bio, tanto amore per tutti,

Sun.


 


"Addio", disse al fiore. 
Ma il fiore non rispose. 
"Addio", ripeté. 
Il fiore tossì. Ma non perché fosse raffreddato. 
"Sono stato uno sciocco", disse finalmente, "Scusami, e cerca di essere felice."
Fu sorpreso dalla mancanza di rimproveri. Ne rimase sconcertato, con la campana di vetro per aria.
Non capiva quella calma, quella  dolcezza. 
"Ma sì, ti voglio bene", disse il fiore, "e tu non l'hai saputo per colpa mia. Questo non ha importanza, ma sei stato sciocco quanto me. Cerca di essere felice. Lascia questa campana di vetro, non la voglio più."
"Ma il vento..." 
"Non sono così raffreddato. L'aria fresca della notte mi farà bene. Sono un fiore."
"Ma le bestie..." 
"Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle. Se no chi verrà a farmi visita? Tu sarai lontano e delle grosse bestie non ho paura. Ho i miei artigli."
E mostrava ingenuamente le sue quattro spine. 
Poi continuò: 
"Non indugiare così, è irritante. Hai deciso di partire e allora vattene."

Non voleva che lo vedesse piangere.

(Antoine De Saint-Exupéry - Le Petit Price)


 

The man who can't be moved


"How can I move on when I'm still in love with you?"

Capitolo uno.
 
***

Sistemò meglio lo zaino sulla spalla sinistra, combattendo il venticello che gli arrossava il naso.
I passanti spintonavano, correvano, «Ragazzo, stai attento a dove metti i piedi, per l’amor del cielo!»
Si limitava a stringere un po’ di più quei fogli ingialliti, delle scuse forse sussurrate,  i nuvoloni grigi del cielo che pesavano sulle spalle, un macigno. Lui, miracolo vivente, andava avanti, il giubbotto di jeans consumato sui gomiti, il guanto grigio a mezze dita sfilacciato, il buco nero alle spalle che risucchiava tutto, magari anche lui.


«Haz?»
Un naso che strusciava contro il suo collo, le dita intrecciate.
«Mh?»
«Ti amo.»
«Anche io.»


Il semaforo diventò verde e si affrettò ad attraversare l’incrocio, gli occhi un poco strizzati per la polvere che li irritava. Mancavano un paio di isolati, se ricordava bene. Non era cambiato niente: lo stesso café sull’altro lato della strada, il palazzo rosa accanto a un negozio di giardinaggio. Il suo pensiero volò , per gioco, anche alla sigaretta che fumò quel giorno.
La cicca era ancora lì sul marciapiede?
Se si sforzava riusciva quasi a vederla, l’impronta ancora calda delle labbra, il fumo che si disperdeva nell’umidità dell’aria.


«Lou, hai una sigaretta?»*
Gliela porse, guardandolo interrogativo. Harry odiava fumare, non sopportava la nicotina e tutte le dipendenze.
«Vuoi che te l’accenda?» Chiese, tastandosi le tasche alla ricerca dell’accendino.
«Oh, assolutamente no.» Rise lui, la sigaretta che ballava un poco.
«E perché la tieni in bocca?»
«Metafore, Tomlinson, metafore.»
Corrugò le sopracciglia, una tacita domanda che Harry afferrò al volo.
«Sto tenendo la morte fra le mie labbra, ma non le do il permesso di uccidermi accendendola.»
Sorrise scuotendo la testa, scompigliandogli i ricci con una mano.


«Signora, scusi…»
Una donna di mezza età lo superò scocciata, sbuffando. Lui non si diede per vinto e provò a fermarne un altro.
«Signore, ha un secondo?»
«Non compro niente.»
«Volevo solo chiederle un informazione.»
«Dimmi ragazzo.»
Tirò fuori una loro foto sgualcita dalla tasca del pantalone e la mostrò all’uomo.
«Ha visto il ragazzo con i ricci in giro da queste parti?»
«No, mi spiace.»
Neanche il tempo di mormorare un grazie che quello era già andato via. Sospirò sistemando meglio la sciarpa beige, che sapeva ancora di lui.


«Ma quella non è la mia sciarpa?»
«Solo per stasera, ti prego, sta benissimo con il maglione, e poi è tua!»
«Va bene, ma se la sporchi la lavi tu, a man…»
Un bacio frettoloso sulla guancia e lui fra le sue braccia.

«Harry, diavolo, sei diventato altissimo.»
«E tu devi farti la barba, pizzichi.»


«Ciao.»
«Ehi, posso chiederti una cosa?»
Il bambino lo guardò curioso, annuendo appena. Si chinò alla sua altezza, porgendogli la foto.
«Hai visto il ragazzo accanto a me nella foto da queste parti?»
«L’altro giorno al supermercato mentre mamma faceva la spesa. Perché?» Domandò, restituendogliela.
«Cosa ti rende felice?»
«Non lo so.»
«Allora riproviamo» Rise «Come ti senti quando sei felice?»
«Bene. Tanto.»
«Lui mi fa sentire così sempre.»
«Allora ritrovalo.» Guardò l’orologio della farmacia e spalancò gli occhi sorpreso «Devo andare a casa, ciao!»
Lo salutò con la mano finché non sparì all’angolo della via, l’elastico della fionda che penzolava fuori dalla tasca.


«Harry, piantala di leggere quel libro, gli involtini si freddano!»
«Non è 'quel libro', è The fault in our stars.» Borbottò entrando in cucina e guardandolo male.
Alzò lo sguardo dal suo piatto, smettendo di mangiare.
«E cos’ha di speciale?»
«Tutto, dice la sacrosanta verità ogni volta.»
«Tipo?»
«Ti ricordi quando mi leggevi i racconti che scrivevi alle elementari?»
Rise, e fra un sorriso e l’altro aggiunse un sì sussurrato.
«È  lì che ho capito di essere innamorato di te. »
«C’è un momento preciso in cui capisci di amare qualcuno?»
Annuì, baciandogli il naso.
«Perché ti innamori nello stesso modo in cui ti addormenti. Poco alla volta e poi, bum, tutto insieme.»**



Arrivò giusto davanti all’angolo della strada e, tirata fuori una coperta, si sedette senza tante cerimonie sul marciapiede.
Tolse il cappello di lana chiaro, inspirando a fondo e alzando, dopo secoli, gli occhi al cielo: era azzurro, come l’ultima volta.
A Louis piaceva, il cielo ma non perché gli ricordava i suoi occhi. Perché gli prometteva l’infinito, quello di cui tutti hanno paura ma ne sono terribilmente, inevitabilmente affascinati. Non aveva idea di cosa fosse. Non un otto a cui qualcuno aveva fatto lo sgambetto, non le promesse fatte a sedici anni al ragazzo di turno. L’infinito era nelle piccole cose. Nel tè fumante sul ripiano di cucina, nel libro mezzo rovesciato sul divano, nel sole che tramontava, nei pop corn bruciati dal microonde, nel CD graffiato della playlist dell’anno prima. Nella sua voce rauca la mattina, nei suoi messaggini stupidi, nei suoi morsi sulla guancia, nei suoi «Ehi Boo!».
O forse quella era perfezione? Non aveva mai distinto bene le due cose.
Forse perché andavano un po’ a braccetto, come il formaggio e le pere, pane e Nutella.
Forse perché Harry era entrambi: perfettamente infinito e infinitamente perfetto.


«Figliolo, non puoi stare qui.»
La sua attenzione fu catturata da un poliziotto panciuto, i pollici in tasca, le dita rilassate contro le cosce.
«Oh, io credo di sì invece.»
«Non vorrai una multa, vero?»
«Vede, io sto aspettando qualcuno. Non so quanto ci metterà ad arrivare. Magari fra dieci minuti svolta l’angolo, forse passerà fra un mese, un anno. Questo è il posto dove ci siamo conosciuti sa? E io lo aspetto qui. Non importa quanto ci metterà ad arrivare. Sa che, se vuole rivedermi, io sono qui.»
«A me basta che tu non faccia danni, ok?»
«Non li farò, stia tranquillo.» Sorrise.
L’altro se ne andò fischiettando, il cappello ben calcato in testa.


Una signora gli lanciò degli spiccioli, una ragazzina una banconota.
«Ma che diavolo? Non li voglio, non ne ho bisogno!»
Cercò di ridarli indietro ma loro erano già sparite, inghiottite dalla fretta delle strade.
«Che palle.» Mugugnò risedendosi a gambe incrociate, come quando era bambino e faceva i capricci.
Louis non era povero, non era un barbone. Aveva solo il cuore a pezzi, e quello non lo poteva riparare nessuno.


«Harry, piantala.»
Quello per tutta risposta morse ancora più forte il suo labbro inferiore.
Un ultimo bacio lieve a fior di labbra e riaprì gli occhi, il verde dei suoi occhi pronto a mangiare il mondo.
«Sei un assassino.» Borbottò massaggiandosi il collo, un segno rosso ben visibile sulla pelle chiara.
Sorrise, le fossette apparsero come sempre.
«Sai di buono, Boo.»
«Cannibale.»
«Ti amo.»
«Anche io.»



«Signora ha visto questo ragazzo?»
«No, mi spiace.»
La notte stava calando, un brivido gli scosse le braccia. Si affrettò a tirare fuori il sacco a pelo e a infilarcisi dentro.
Perché lo avrebbe aspettato giorno e notte, con la pioggia, la neve. Lui non si sarebbe mosso, semplicemente aspettava.


«Harry, dai, vieni qui.»
Si stese sul divano accanto a lui, immobile.
«Con ‘qui’ intendevo ‘abbracciamoci’.»
Lui sorrise fra le lacrime e nascose il viso nel petto di Louis, le lacrime che bagnavano  la maglia a righe.
«Non piangere Haz, ci sono io adesso.»



Louis amava Harry. Lo amava dal primo ricciolo fino alle dita dei piedi, per le fossette, quando piangeva in preda ad una delle sue crisi esistenziali, se sorrideva, quando guardava un film. E lui c’era sempre, in ogni momento. Cadeva, lo rialzava. Perdevano l’equilibrio, salvava entrambi.
«Sei la mia roccia, Louis.»
Perché si rifiutava di affondare.
«Tu la mia ancora, Haz.»


Ogni giorno che passava sempre più gente si fermava a parlare, a chiedere. Lui, pazientemente, spiegava a tutti. Alla vecchietta con il pane fresco in borsa, ai bambini, alle ragazze che 
«Oddio, che romantico!», anche ai piccioni, se gli andava.
Mentre si mangiava un panino al tonno si ritrovò davanti una donna in tailleur, con tanto di cameraman a seguito.
«Louis Tomlinson?»
«Si?»
«Ha un minuto?»
«Tutto il tempo che vuole.»


«Quindi, Louis, c’è qualcosa che vuoi dire a tutti noi prima che io chiuda il collegamento?»
Samantha, si chiamava così, tese il microfono verso di lui, così intimidito.
«Non c’è niente da dire, quello che sto facendo parla da sé. Io sono qui da tre mesi e sette giorni, aspetto lui. Forse passerò alla storia come il ragazzo che non si spostò o il ragazzo che aspettava. Insomma, uno di quei nomi alla Harry Potter.»
 Risata generale.
«Non so se vedrà mai questo servizio, se farò il giro del mondo restando seduto su un marciapiede. Non mi interessa essere in diretta televisiva. Voglio solo che lui sappia che io sono qui, dove ci siamo conosciuti, ad aspettare che svolti l’angolo.»
«Qui è Samantha Covers, linea allo studio. »


Sistemò meglio lo zaino accanto a sé, combattendo il venticello che gli arrossava il naso.
I passanti spintonavano, correvano, «Ragazzo, combina qualcosa, alzati e trovati un lavoro!»
Si limitava a stringere unpo’ di più quei fogli ingialliti, degli accidenti borbottati,  i nuvoloni grigi del cielo che pesavano sulle spalle, un macigno.
Lui, miracolo vivente, andava avanti, il giubbotto di jeans consumato sui gomiti, il guanto grigio a mezze dita sfilacciato, il buco nero alle spalle che risucchiava tutto, magari anche lui.


Correva, in ritardo come al solito.
Era rimasto troppo a casa di Stan e, a cinque minuti dal coprifuoco, si ritrovava dall’altra parte della città a correre come un dannato verso la fermata della metro più vicina.
Girò l’angolo, affrettandosi ancora di più, finendo addosso a qualcuno che lo fece cadere rovinosamente a terra.
«Oops!»
«Ciao!»



Non si sarebbe mosso, sapeva aspettare.
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Applausi al mio professore di Italiano che mi restituisce il tema (aka Capitolo due) dopo secoli, decenni, mesi, settimane!
Ok, a parte gli scherzi, venerate il mio Sognatore, perché è perfetto, anche se mi rende il tema Larry in ritardo.
Niente da dire, è l'ultimo capitolo di questa storia, sono così teneri vero? Poi con Ed Sheeran che canta Hush, little Baby di sotto fondo, credetemi, non aiuta.
Alla prossima, baci a tutti,

Sun.

Ps. le parti che avete visto con gli asterischi nel corso della storia sono le citazioni di questi due libri che ho letto in inglese e che ho tradotto da sola (:



Una sensazione si faceva strada dentro di lui.
Una sensazione che si era annidata nel corso di tutte le vite passate, di tutto l'amore che troppe volte nei secoli era stato costretto a finire.
Gli fece venire voglia di combattere al suo fianco.
Combattere per rimanere vivo abbastanza a lungo da vivere la sua vita con lui.
Combattere per l'unica cosa davvero buona, nobile, potente; l'unica cosa per cui valeva la pena rischiare tutto. L'amore."

(Lauren Kate - Fallen)



"A volte le cose belle entrano nella nostra vita così, dal nulla.
Non sempre siamo in grado di capirle, ma dobbiamo riporre in loro la nostra fiducia.
So che vuoi mettere in discussione ogni cosa, ma talvolta paga di più avere un po' di fede.
"

(Lauren Kate - Torment)

 




Al prof, che mi valuta Harry e Lous con un settemmezzo.

 

"How can I move on when I'm still in love with you?"


Capitolo due.

***


“Tesoro, è pronto!”
Si precipitò giù dalle scale, saltando l’ultimo gradino. Atterrò con un sonoro tonfo, scompigliandosi il ciuffo finito sugli occhi.
“Ti sei lavato le mani?” Domandò Anne appena entrò in cucina, il grembiule rosso legato in vita e il mestolo in mano, nella perfetta immagine da casalinga media inglese. Annuì distratto, sedendosi a capotavola e facendo scendere il gatto dal cuscino.
“Gemma non torna?”
“Tua sorella pranza fuori.”
Osservò sua madre scolare la pasta, condirla e metterla nel piatto. Un paio di ciuffi ribelli scapparono dalla pinza, regalandole un’aria sbarazzina e giovanile, una di quelle che incantano. Avevano appena cominciato a mangiare, quando qualcuno suonò il campanello.
“Vado io.” Mugugnò, pulendosi la bocca sporca di sugo con il tovagliolo.
Quando aprì la porta una ragazza, mai vista prima, gli sorrise tranquilla.
“Ci conosciamo?”
“Non credo proprio” Rise lei, facendo ondeggiare un poco la coda di cavallo “Ti vorrei solo chiedere un favore.”
La fissò curioso, spronandola ad andare avanti con lo sguardo.
“Guarda il notiziario delle sei, va bene Harry?”
E, così come era venuta, se ne andò, lasciandolo sulla porta, decisamente in contropiede, indeciso se stupirsi o meno.
“Cosa volevano?” Chiese Anne quando rientrò in cucina.
Scosse la testa in segno di diniego, lasciar correre la cosa era decisamente la soluzione migliore.



“Harry, spegni la TV, ho sonno!”
“Quindi?”
Quindi” Louis lo guardò, gli occhi stanchi scintillarono, solo un istante “Se il gladiatore muore per la quattrocentesima volta, io non riesco a dormire. E poi di là è tutto buio, da solo non ci vado.”
Rise, cercando il telecomando fra i cuscini del divano. “Ok, ho capito, andiamo a letto.”
Nella penombra della stanza, non ne era sicuro, gli sembrava di averlo visto sorridere.




“Tesoro, vado a fare la spesa!” Sua madre si affacciò alla porta di camera sua, la sciarpa legata in malo modo intorno al collo, le guance rosse per la fretta.
“Ho delle commissioni da sbrigare, dovrei tornare in serata.”
Alzò appena gli occhi dal cellulare, intento a rispondere a Liam.
“Va bene, a stasera ma’.”
Sospirò appena sentì la porta sbattere quasi fosse stato in apnea fino a quel momento. Odiava stare da solo.



“Harry, Harry, guarda!” Tirllò emozionato Louis appena i The Script salirono sul palco. “Oddio, quello è Danny!”
Sorrise, attirandolo a sé, mettendogli un braccio sulla spalla.
“Lo so Boo, evita di strillare come una ragazzina in piena crisi ormonale, che dici?”
Gli mormorò nell'orecchio, prima di baciargli il collo.




Il sole illuminava pigramente la stanza, riscaldando le pareti e le dita congelate di Harry. Leggeva tranquillo, buttato sul letto, le gambe incrociate e i gomiti sulle ginocchia. Per quanto Marzo quell’anno fosse –stranamente- bello, non aveva voglia del mondo là fuori. Degli uccellini che cantavano, dei bambini che si rincorrevano, delle cartelle aperte e degli autobus in ritardo.
Quasi fossero tutti annoiati, con la voglia di non fare assolutamente niente. Harry viveva- e forse ‘vivere’ non è neanche il termine giusto- per inerzia: si limitava a guardare, dalla finestra, qualcosa in cui non si riconosceva più.



“Harry, tu ci credi nella vita dopo la morte?”
“Io credo nel buio e basta. Nessun Paradiso, Inferno o dio. Il nero, quello totale.”
Louis sistemò meglio la maglia a righe, a riempire il silenzio il fruscio del vento fra l’erba.
Non ci credevano, nei desideri. Eppure erano lì, sdraiati in un prato, Agosto inoltrato, ad aspettare chissà cosa.
“Poi?”
“Nella fine. Perché continueremo a sopravvivere solo fino ad un certo punto. Potremmo resistere ad una collisione con il Sole, chissà, ma non resteremo per sempre. Quello che abbiamo scritto, pensato, scoperto. Tutto nel dimenticatoio, anche noi.”*
“Io invece, credo nell’infinito. Non quello delle stelle, o l’otto rovesciato tatuato sul polso. Io credo nell’infinito nella sua più piccola parte. Perché non è una sola, unica entità. Ce li hai presenti numeri compresi fra zero e uno?”
“Mhmh.”
“Quelli sono infiniti. E quelli fra zero e due?”
“Non sono infiniti anche quelli?”
“Esatto. Alcuni infiniti sono solo più grandi di altri. E, per quanto insignificanti, ti giuro che lo siamo anche noi.”**




Verso sera, dato che di sua madre non c’era traccia, scese al piano di sotto.
Passando in salotto accese la televisione, curioso di vedere quel famoso notiziario della BBC.
“E adesso la linea va alla nostra inviata speciale!”
“Grazie mille, Brad- Disse sicura la ragazza che poche ore prima aveva bussato alla porta di Harry -Sono qui, sulla IV Avenue con una storia che sfiora i limiti dell’assurdo.”
Si appoggiò allo stipite della porta di cucina, un bicchiere d’acqua fra le mani.
“Esattamente tre mesi fa, un ragazzo si è seduto all’incrocio fra la IV e Stradford Street, senza più muoversi. Ha resistito alla neve, alla pioggia, al vento. Lui e la sua storia, seduti su un marciapiede.”
Partì il filmato ed Harry, curioso, si gettò su divano, le ginocchia contro il tavolo di vetro del salotto.
“Allora Louis, c’è qualcosa che vorresti dire al mondo?”
“No, ma c’è qualcosa che vorrei dire a lui.”
Non poteva crederci. I capelli scompigliati, gli occhi vivi, la voce appena rauca e quel mezzo sorriso.
Eppure sapeva che era Louis, quel Louis.
“Ciao Haz, sono in diretta globale! Dici che la tele mi ingrassa? Da quando sono qui non faccio che mangiare panini al tonno, esploderò da un momento all’altro.”
Harry rise, sentendo gli occhi inumidirsi.
“Sono seduto qui da tre mesi, otto giorni e, credimi, conterei anche le ore, i minuti, i secondi, ma tutto quello che so dirti è che non mi sento più il culo. Ti ho cercato per un anno intero, non trovandoti da nessuna parte. Sono stato in America, sai? Mi sono laureato, ma sentivo che mi mancava qualcosa: te. Non avendo idea di dove tu fossi ho pensato di venire qui, dove ci siamo conosciuti. Tu e la tua distrazione che inciampate di continuo.” Mormorò Louis al microfono, scuotendo appena la testa “Qui ho già un sacco di soprannomi. Sinceramente mi sento un po’ troppo Harry Potter, fra ‘Il ragazzo che sapeva aspettare’ e ‘Testa di minchia, quando te ne vai di lì?’ non saprei quale scegliere. Non ho niente da dire, Harry. So solo che se vuoi ricominciare da capo, adesso sai dove trovarmi. Lo sapevi anche prima,a dirla tutta, ma adesso devi scegliere. Scegli me, scegli il nostro infinito. Prima che io muoia per assideramento, magari.”
“Qui è Samantha Covers, linea allo stud..”
Quasi non si rese conto di avere già la giacca addosso mentre cercava le chiavi della macchina. Mise in moto, ingranando la prima e premendo sicuro sull’acceleratore.




“Harry, sei proprio tu?” Chiese, quando un ragazzo, seppellito nella sciarpa fino alla punta del naso, gli si parò davanti.
“Sai Louis- Sussurrò, chinandosi davanti a lui ed accarezzandogli una guancia con il dorso della mano -Di idee idiote ne hai avute veramente tante, ma questa le batte decisamente tutte.”
“Ti amo anche io, Haz.

 

 

 

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