Quella sottile linea tra Luce ed Oscurità.

di _Eriky_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Isabella Swan non si era mai sentita una ragazza speciale. Si avvertiva diversa, sbagliata, ma mai unica. Era circondata da persone che la coccolavano, almeno fino ai 10 anni, poi, lentamente, se ne erano andati tutti. I suoi genitori avevano perso interesse per lei, sua nonna era morta. Per la piccola era stato un grande colpo, tutti sanno che nel mondo dei bambini la morte non è altro che un tragico incubo, un incubo che le aveva rapito la sua principale fonte di felicità.

 Non conoscendola, si sarebbe potuto dire che non era come tutti gli altri. Anche chi, però, Isabella la conosceva bene era certo di questa sua diversità. Di differenze rispetto agli altri ne aveva tante (da quelle più evidenti a quelle meno), ma ce n'era una che solo la nonna aveva avuto la possibilità di conoscere: lei era molto più matura dei bambini della sua età. Le bambole non le aveva mai apprezzate, la televisione nemmeno a parlarne. Lei amava quando sua nonna la metteva sulle ginocchia, ormai indebolite dalla vecchiaia, e le narrava di storie fantastiche. Le erano sempre piaciuti i lieti fini, si crogiolava in essi per rifugiarsi dalla dura realtà che la circondava. Si immaginava spesso a cavallo, correre felice tra i prati, accompagnata da un principe dalla voce soave. Se avesse avuto i capelli bruni o biondi, non le avrebbe mai fatto differenza, non se ne sarebbe nemmeno accorta. Questo costituiva quello che Isabella considerava il suo più grande difetto: era cieca. Tutto ciò che riguardava i colori era associato a vecchi ricordi datati prima del compimento dei 6 anni. A qualche mese dai festeggiamenti, i suoi occhi avevano cominciato a funzionare male. Pian piano le tonalità erano andate morendo, poi anche le sole ombre se ne erano andate, lasciandola in balia dello scuro oblio. Tutti i bambini l'avevano sempre lasciata da parte, evitata, come se quel problema alla retina potesse contagiarli e farli diventare come lei. La ripudiavano per quel difetto.

 

All'età di 9 anni aveva conosciuto la sua prima e unica amica: Angela. Lei non era come tutte le altre, lei non si spaventava se Isabella camminava con gli occhi chiusi o se le toccava il viso per poter avere un'idea dell'aspetto dell'amica, a lei non importava. Lei era una di quelle poche persone ancora incondizionate dalla differenza altrui. 

I primi anni che seguirono passarono stranamente felici per la povera bambina che cominciava a farsi ragazza. Si alzò di qualche decina di centimetri, spuntarono le prime curve, ma la cosa che più di tutto la scosse fu l'accorgersi di un vuoto nella sua vita. Non era la famiglia ciò che le mancava, né l'amicizia, ma uno dei sentimenti che tanti scrittori lodavano in continuazione, quello che permetteva il lieto fine alla conclusione della fiaba. A Isabella mancava qualcuno che l'amasse, che la volesse come fidanzata, che non la considerasse solo un peso. I racconti di appuntamenti, baci, cene, le riempivano la testa come parassiti. Ne soffriva molto, ma dava la colpa al destino: era lui che impediva che tutto ciò potesse capitare anche a lei.

Quando anche Angela cominciò a conoscere i primi ragazzi, però, le sembrò di impazzire. Non si sentiva all'altezza del mondo che la circondava.

Aveva capito che in quel luogo era la bellezza, l'apparenza, a farla da padrona, peccato che lei non sapesse nemmeno di cosa si trattasse a livello visivo. Non aveva criteri, soprattutto perché lei trovava interessante e appassionante tutto, all'infuori di se. Nessuno era come lei, nessuno veniva isolato come invece le succedeva. Da quel fatto aveva concluso che era lei ad essere sbagliata, non il mondo che la attorniava.

 

All'età di 16 anni la depressione aveva cominciato ad affiorare. I suoi genitori la vedevano sempre più come una maledizione, Angela tra pochi anni avrebbe scelto strade diverse dalla sua, lasciandola sola, del tutto.

Un giorno, una sua professoressa, impietosita dalla solitudine di cui si circondava la ragazza, provò a sollevarle il morale: uno dei pochi casi in cui qualcuno ci tentò. Dovette insistere molto prima di avere un indizio su cosa la preoccupasse. << In questo mondo l'importante è apparire ed io non so se sono degna di essere sul palcoscenico >> le aveva risposto Isabella. Si capiva che era molto intelligente anche moralmente, oltre che nelle materie scolastiche.

La professoressa insegnava scienze in America ormai da molti anni, ma le sue origini italiane le erano ancora molto care. Aveva cercato un modo per tirare su il morale alla sua alunna prediletta. Incespicò nel suo inglese non ancora perfetto e le disse il massimo che le era venute in mente per incoraggiarla. << Sai che in Italia la parte finale del tuo nome significa bellezza? >> Isabella aveva scosso la testa e aveva fatto un sorriso timido. << Il tuo nome ti rispecchia, sei bella come dice lui. Non preoccuparti degli altri, per certe cose sono loro i non vedenti. >>  Con questo discorso si aprì uno spiraglio nella mente della ragazza. Sapeva che se un giorno, qualcuno, l'avesse chiamata "Bella" le avrebbe fatto un complimento, anche se inconsciamente. Si rallegrò a quel pensiero, ma durò poco.  

Dopo neanche un mese l'invidia che cominciò a provare verso le sue coetanee la spinse a rinnegare quelle parole gentili. Lei non era bella, non lo sarebbe mai stata, per nessuno. Non avrebbe mai interessato anima viva con quei suoi occhi che erano lì solo per decorazione.

Si ritirò due giorni in camera sua, senza mangiare un solo boccone di cibo. Le salì la rabbia quando capì che i suoi genitori non se ne erano nemmeno accorti. Era divisa tra il rassegnarsi e il reagire, ma sapeva che non avrebbe mai fatto molti progressi nella sua vita sociale. Si decise di calmarsi e di concentrarsi su altro, convincendosi che nella vita ognuno è destinato ad amare ed essere amato.

Si fece molte domande nell'arco di quelle sere, da quelle dal significato profondo a quelle insulse, senza valore preciso. Si chiese se mai la vita avesse avuto un senso, se in Cina sulla pizza ci mettessero i grilli, se fosse veramente lei quella cieca o fosse il mondo a non vederla.

 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

Salve a tutte!

Vi ringrazio se siete arrivate a leggere fino a qui, mi fa molto piacere. Se non vi chiedo troppo, vi pregherei di lasciare una piccola recensione, anche negativa, per aiutarmi a costruire questa storia!

Se vi interessa il prossimo capitolo riguarderà Edward. Aggiornerò ogni venerdì, in caso di imprevisti anticiperò al giovedì.

Auguri a tutte le lettrici, baci e ancora grazie a chi ha letto! Spero che vi abbia incuriosito!

Eriky

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
Tra le più prestigiose famiglie che abitavano nella contea dello stato di Washington, i Cullen erano sicuramente i più famosi. Persone di origine aristocratica che avrebbero potuto mantenere loro e le prossime tre generazioni senza lavorare un secondo della propria vita.  
Malgrado la ricchezza, il Signor Carlisle Cullen e la sua rispettiva sposa, Esme Warren Cullen, non si erano dati all'ozio. La signora aveva fondato una ditta di arredamenti che stava prendendo piede in tutto il continente e il marito era uno dei più rinomati chirurghi degli interi Stati Uniti. Erano per la maggior parte del tempo impegnati, presi dalla loro occupazione, ma non per questo avevano trascurato la loro progenie.
 
Dal loro matrimonio erano scaturiti due ragazzi e una ragazza. Emmet, il maggiore, era sempre stato lo sportivo della famiglia. Era alto, muscoloso, con i capelli corti e neri, in totale contrasto con la chioma color miele del padre. La ragazza si chiamava Alice; aveva i capelli scuri come quelli di Emmet, era bassa di statura tant'è che i suoi fratelli si ostinavano a chiamarla "folletto" ed era un'appassionata dello shopping: aveva il vizio di non indossare più di due volte lo stesso abito.
Infine vi era l'ultimo in ordine d'età: Edward. Egli era particolare rispetto agli altri membri della famiglia. Come tutti gli altri era stato seguito da professori privati sin dai 3 anni d'età, che lo avevano aiutato ad acquisire un metodo di studio, che lo avrebbe poi portato, ad ottenere altissimi voti nella carriera scolastica. Era stato obbligato a seguire corsi di dizione e galateo, senza contare che aveva sviluppato un gran talento nel suonare il piano. Era un bambino modello, educato e compassionevole come suo fratello e sua sorella, finché non arrivò il momento di scegliere che posto occupare nella società che pian piano andava formandosi nelle classi delle scuole elementari.
 
Aveva 6 anni quando aveva compreso il delicato sistema che si creava tra le persone. Lui, durante i primi mesi scolastici, aveva osservato come contasse la supremazia, l'essere forti, e come per dimostrarlo fosse necessario scoraggiare gli altri. Non era stupido, sapeva che se fosse restato escluso dal gruppo di "forti" che andava via via formandosi, non  avrebbe più avuto occasione di farne parte. Fu una decisione sofferta.
 
La sua prima vittima fu un bambino affetto da un leggero "strabismo di Venere". Edward aveva controllato che l'èlite dei suoi compagni fosse abbastanza vicina da poterlo sentire, poi incominciò la recita.
<< Ehi tu! Ma da che parte guardi? Che ti è successo? Sembri un camaleonte! >> aveva gridato contro quel bimbo ormai con gli occhi lucidi, sul procinto di piangere. Una lacrima gli era scesa sulla sua guancia e per il piccolo Edward era stata la molla che fece scattare il senso di colpa. Embry, così si chiamava la sua vittima, non gli aveva fatto niente, eppure lo aveva insultato, fancendolo piangere.
Una pacca sulla spalla da parte di James lo aveva sollevato dal baratro dei rimorsi. Colui che lo aveva avvicinato non era altro che il "capo" di quel piccolo gruppo che tanto ammirava. << Hai proprio ragione >> gli aveva detto ridendo << Assomiglia proprio ad un camaleonte. Dai, vieni con noi. >> Così era entrato, così aveva cominciato ad andare sotto la luce dei riflettori.
 
La sua vita era diventata una lunga ed interminabile passerella. Non stava quasi mai da solo, in isolamento con se stesso. Quelle poche volte che gli capitava, trovava sempre il modo di non pensare troppo alla sua vita. Quando intorno a lui non c'era nessuno che gli potesse dare una "pacca sulla spalla" ristoratrice, i ricordi di quei sorrisi distrutti a causa sua tornavano alla vita, chiedendo vendetta. Ormai si era abituato, li considerava il prezzo da pagare per continuare a vivere nella sua felicità malata.
I suoi genitori si erano abituati alla sua assenza nei periodi non considerati speciali, come i compleanni ed anniversari. Quando vi era qualcuno in quell'abitazione, di Edward non vi era quasi mai traccia. Si rifugiava nei pub, nelle discoteche, a casa di amici ed amiche, come un drogato in cerca perenne della sua dose di importanza.
 
Edward aveva 16 anni quando fu espulso dall'ennesima scuola. I suoi buoni voti non erano bastati per risanare la grave lacuna che risultava nel comportamento. Bullismo, arroganza e continua maleducazione erano le cause delle ripetute visite dal preside. Bocciarlo non era stata una buona alternativa per la scuola, troppo timorosa della potenza che i Cullen detenevano.  Mandarlo via, lontano, sarebbe stato meno rischioso. Così era stato cacciato, ancora.
Carlisle ed Esme si erano infuriati, come sempre, con lui. Non accettavano l'idea di aver fallito, di aver cresciuto un figlio che disubbidisse ai criteri a lui imposti.
<< Edward, se ti farai espellere anche dal prossimo istituto, giuro che ti invio all'accademia militare! Lì non ci sono né donne né alcool, fai te i tuoi conti che non sei per niente stupido! >> Lo aveva ripreso suo padre, alzando la voce fino a raggiungere quel tono che significava la rabbia totale. Il ragazzo sapeva bene che cosa l'avrebbe aspettato in quel luogo che era destinato a essere la punizione più grande della sua vita. Si sarebbe dovuto rasare i capelli che tanto adorava, avrebbe dovuto strisciare nel fango, non avrebbe potuto bere e  intrattenersi con nessuno, ma soprattutto, sarebbe stato troppo vicino a se stesso.
 
Dopo poco tempo seppe il nominativo del luogo che sarebbe presto divenuto il suo nuovo teatro: Forks. Era un paesino insulso, sperduto da qualche parte in mezzo ai boschi, luogo lontano da ogni città fornita di pub e discoteche, luogo che i suoi genitori avevano scelto apposta per lui. Nessuno dei suoi amici si sarebbe spinto in una landa così desolata solo per godere della sua compagnia, poche persone lo avrebbero raggiunto per fargli una benché minima visita. Era sperduto, con la possibilità di ricominciare tutto da capo e dimenticare per sempre quei sorrisi che lui aveva infranto, ma si sa.. le brutte abitudini sono dure a morire.
 
Si sarebbe dovuto trovare una nuova compagnia ora che era rimasto solo, cosa che non doveva prolungarsi per molto. Il piano era semplice: trovare gente degna delle sue attenzioni, quella che già formava la classe vip dell'istituto e aggregarvisi. I modi per farsi notare erano così ben definiti che non ci fu neanche il bisogno di porsi il quesito, come non successe nemmeno il primo giorno alla Forks High School.
 
Si sentiva osservato mentre camminava con lentezza in direzione dell'entrata, ma non gli dispiaceva nemmeno. Con la coda dell'occhio analizzava tutti coloro che si trovavano nel parcheggio. Non ebbe il tempo di ammirare le distese verdi che lo circondavano, oppure il rosso mattone dell'edificio che, in contrasto con alberi sicuramente centenari, appariva come una parte di un antico castello: era concentrato su quella che considerava una vera e propria missione da fronteggiare.
Aveva affrontato le lezioni con noia, sonnolenza e indolenza. Non si era nemmeno accorto che i minuti passavano; come uno zombie senz'anima vagava per i corridoi, in attesa di quella gloria che gli avrebbe ridato vita.
 
Dovette aspettare fino all'ora del pranzo per poter intravedere la fama. Un gruppo di 2 ragazze e 3 tre ragazzi si faceva largo tra la calca di studenti, o meglio, gli studenti aprivano un varco per permettere ai 5 di passare, creando caos ai lati, dove persone si trovavano compresse tra i muri e la folla.
Aveva atteso che si sedessero a quello che molto probabilmente era il tavolo esclusivo, e vi si era avvicinato con fare baldanzoso.
<< Posso sedermi qui con voi? >> aveva domandato mostrando alle ragazze quel sorriso per cui molte cadevano ai suoi piedi. Mostrava apertamente solo metà dei suoi denti, lasciando l'altra quasi coperta. Si mise una mano tra i capelli ramati e inclinò la testa per trovare il suo profilo migliore.
<< Certamente.. >> sbavarono in coro le due ragazze, di cui non ricordò il nome fino a una settimana circa dal suo arrivo.
Gli altri non obbiettarono, anzi, sembrava che fossero contenti che qualcun altro avesse fatto la sua entrata nel gruppo, forse distogliendo da se l'attenzione da quelle adolescenti che parevano rapite da ogni parola pronunciata da Edward.
 
Egli sapeva che fra non poco avrebbe dovuto dimostrare chi veramente era, se avesse agito troppo tardi tutto si sarebbe smontato.
Le sue preghiere sembrarono essere esaudite quando due ragazze entrarono nella mensa. Una poteva essere definita normale, mentre al suo fianco l'altra portava davanti a se un bastone bianco, da cieco. Un piccolo senso di pena scavò nel suo cuore, ma appena capì che tutti si erano accorti del suo interesse verso quell'inusuale accoppiata, si sforzò per mettersi a ridere. Non fu una risata come quelle che si fanno tra amici, dopo una barzelletta o uno scherzo, fu come un allarme che gli permetteva di sentirsi meno in colpa verso chi tra poco avrebbe usato per i suoi scopi, per chi avrebbe sofferto per causa sua. Fu come un allarme che preparò l'orgoglio per essere soddisfatto e raggelò il cuore per non permettergli di distruggersi alla vista dello spettacolo che tra poco sarebbe avvenuto.
 

Angolino del manicomio dell'autrice

Buon venerdì a tutti!
Che dire.. Avete conosciuto l'Edward di questa storia: sensibile, ma dipendente dal giudizio altrui, dalla fama.
Penso che la fine vi abbia dato un indizio su cosa succederà nel prossimo capitolo.
 
Prima di lasciarvi vorrei ringraziarvi di cuore. Avere 10 recensioni e 33 persone che mi seguono al solo prologo.. mi commuove!
Grazie a tutte voi e al prossimo venerdì!
Un abbraccio a tutte e spero che vi sia piaciuto!
Eriky
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Si era abituata a sentire gli sguardi curiosi su di se, ma quella strana sensazione che le faceva fremere il cuore, era inusuale. Esso batteva forte, risuonava frenetico nella cassa toracica, percependo quel qualcosa che lei non avrebbe mai potuto capire in tempo.
Avvertiva chiaramente delle risate provenire dalla parte più odiata della mensa, la parte dove si trovavano i "vip". Ogni malcapitato che osava entrare in quella zona, non ne usciva uguale. Chi piangeva, chi era furioso e tirava calci a destra e a manca e chi, come lei, aveva l'anima spezzata. Provare a difendersi con quei 5 era una causa persa, non si aveva il tempo di ribattere. Ogni parola che usciva dalle labbra non sembrava lasciarle davvero, infatti pareva  che non se ne accorgessero nemmeno. Erano Jessica e Lauren quelle più tenibili, i ragazzi erano paragonabili a povere marionette. Di non essere perfetta già ne era a conoscenza, ma le loro affilate parole non miglioravano certo le cose.
Angela aveva provato a difenderla da quelle che definiva "le arpie", ma senza evidente successo. Isabella l'aveva pregata di lasciar perdere quell'impossibile missione, quel tentativo che avrebbe potuto portare anche lei sotto il loro miniro. 
 
Un tono completamente a lei sconosciuto raggiunse il suo orecchio. Era abituata alle risa acute delle ragazze e a quelle un po' più ruvide e profonde dei ragazzi, ma quella volta se ne era aggiunta un'altra. Non era possibile collegare quelle risate a nessuno studente della scuola, ne era certa: era addir poco impossibile che si fosse lasciata sfuggire un così meraviglioso miscuglio di suoni. Collegò quella voce al nuovo alunno di cui le stava parlando poco prima Angela, ma fu solo un pensiero momentaneo. Come il richiamo delle sirene di Ulisse, si fece inconsciamente trasportare verso quell'angolo che tanto temeva. Rassicurò Angela, chiedendole gentilmente di andare a prendere il pranzo per entrambe, mentre lei si avvicinava, inconscia di ciò che la stava aspettando.
Sapeva dove era collocati i tavoli, aveva dovuto impararlo. Per pura sicurezza, ma sempre sottomessa dalla vergogna, batteva davanti a se il bastone bianco, quel segno indistinguibile della sua cecità, marchio stampato sulla pelle che avrebbe sicuramente fatto nascere in quel ragazzo dalla voce sublime, quel senso di pietà che tanto odiava.
 
Ci fu un attimo di silenzio tra il caos della folla, quel raro e strano momento in cui tutti tacciono  e si sente solo una persona dire ciò  sarebbe meglio lasciare celato. << Non mi avevano detto che c'erano anche i fenomeni da baraccone qui! >> Esclamò l'unico da cui lei non sperava di sentir uscire quelle parole. Le sue risa erano tramutate da leggere e sinuose piume volteggianti nel vento, a gelide lame ferree che le stavano trafitte nella schiena. Una stilettata che avrebbe dovuto attendere, ma che aveva trascurato, presa dall'inibizione che quell'individuo le aveva donato, anche se per poco.
Altre risate cominciarono, ma queste risuonavano male, erano acide e per niente contagiose. Dopo di che il silenzio. Si chiese se stessero aspettando una sua reazione oppure si stessero burlando di lei a sua insaputa.
<< Allora, non hai niente da dire? >> ancora lui, ancora un colpo. Ormai era palese che volesse qualcosa da lei, voleva avere l'occasione di sminuirla ancora di più. L'inferno di Jessica e Lauren parve come niente a confronto con quello che stava affrontando in quegl'attimi. Loro non lasciavano via di fuga, ma tutto si fermava lì. Mentre con lui la singola parola sbagliata avrebbe reso più profonda la sua fossa.
 
Si vedeva costretta a ribattere, cosa che non aveva quasi mai fatto poiché troppo riservata e timida per preoccuparsene. Qualcosa che identificò vicino al suo stomaco, le suggeriva di astenersi dal cominciare una guerra già persa, insomma lui era al tavolo dei VIP, era uno di loro; qualcos'altro, però, la trattenne dall'andarsene: un lampo di rabbia la travolse, prendendo il controllo della sua mente e facendole dire le parole che già da tanto stava macchinando. << Ci sono i fenomeni da baraccone da quando sei arrivato tu >> sibilò tra le labbra, per poi girare le spalle ed andarsene lontano, picchiettando di fronte a se il bastone per evitare inconvenienti.
Non era sicura che l'avessero sentita, ma più si ripeteva la sua ultima frase, più le sembrava sempre meno d'impatto, sempre meno d'effetto.
 
Era cieca, non sapeva leggere nel pensiero, per questo non seppe che al contrario di quanto pensasse, le sue parole avevano fatto breccia nel nemico.
 
Aveva mangiato male, il cibo pesava come un macigno nel suo stomaco. Lo stress, le preoccupazioni, erano ancora lì anche se era passata quasi mezz'ora. Angela aveva sentito cosa era successo, tutti nell'istituto ne erano a conoscenza. Sapevano qualcosa che Isabella non voleva venir a conoscere: le reazioni dopo la sua fuga. Non le interessava, sapeva che se avesse scoperto il peggio, la sua bassa autostima le sarebbe arrivata sotto i piedi, l'avrebbe potuta calpestare ad ogni passo.
La pausa mensa era finita per quel giorno. Uno come tanti forse, o forse no.
Si chiese improvvisamente perché se la prendesse tanto, in fondo quel tizio non la conosceva e lei aveva permesso che i suoi insulti le toccassero il cuore più del dovuto. Ci ragionò per tutto il tragitto verso l'aula di inglese, sempre accompagnata dalla sua unica amica che non osava interromperla nel fiume dei suoi pensieri. All'ingresso si salutarono. Angela azzardò un abbraccio a cui la ragazza rispose teneramente: aveva disperatamente bisogno di un sostegno.
 
Sbatté il bastone contro gli angoli della porta ed entrò con sicurezza nella classe. Il professore la salutò educatamente, ma lei sembrò quasi non sentirlo. Si diresse sicura verso il suo banco in ultima fila, il più isolato. Si accomodò sulla sedia più vicina alla finestra che probabilmente illuminava la classe. Adorava quel posto: all'inizio pensava di seguire quella materia solo per il gusto di entrare nella stanza. C'era sempre una grande calma durante le lezioni, tutti lavoravano ed ascoltavano attentamente le spiegazioni. Quando pioveva le gocce scandivano melodiche armonie sul vetro della finestra, quando c'era il sole il calore pareva riscaldarle non solo la pelle, anche l'anima.
Appoggiò la fronte sudata contro il freddo laminato del banco. Si distese in attesa dell'arrivo dei compagni e del suono della campanella, che  avrebbe finalmente cacciato i fastidiosi pensieri che le vorticavano nella mente.
 
Cominciò a sentire i consueti passi degli studenti che entravano in classe. Lo stridere delle sedie turbava il silenzio che fino a pochi istanti prima regnava, poi, lentamente, tutto sembrò ritrovare la quiete.
Il professore stava incominciando a parlare quando la porta si era aperta. Nell'ambiente riecheggiarono dei passi a lei sconosciuti. Una piccola parte di lei sapeva cosa avrebbe potuto significare tutto ciò, ma si asteneva dal credere che un tale incubo l'avrebbe potuta perseguire fino in quella stanza.
<< Mi scusi professore, non trovavo la classe >> disse quella voce. Una miriade di "non può essere" si rovesciarono nella sua testa come una cascata, impendendole di sentire il luogo in cui veniva indirizzato il giovane studente. Non percepì quello che il professore sentenziò per il ritardatario: << Cullen, vada a sedersi vicino alla signorina Swan, in ultima fila. Mi raccomando si comporti bene. >>
Fu per questo, che forse, quando sentì una presenza al suo fianco il cuore cominciò a battere impazzito, come un uccello in gabbia: segregato nella sua prigione, inevitabilmente vicino al gatto affamato.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buon Pomeriggio a tutti!
Avete visto la reazione di Bella nei confronti di Edward. Come sempre ho dato uno spunto su quello che capiterà nel prossimo capitolo. Ora cosa pensate? Come si sarà sentito Edward? Come si comporterà questo gatto affamato con il nostro povero uccellino? Provate a pensarci mie adorate lettrici!
Ringrazio tutte voi per i complimenti che avete lasciato nelle recensioni (e non dimentichiamo le minacce di morte positive che, a loro modo, fanno piacere :D)! Anche chi si limita a leggere rende onore a questi capitoli!
Un bacio a tutte voi 59 e alla prossima!
Eriky

 
 
                                                                                    

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Gli sembrava di far fatica a respirare, di aver un peso sul petto di cui era impossibile disfarsi. Il senso di colpa era un compagno di viaggio ormai noto, ma quella volta vi era un qualcosa che non era capace di spiegarsi. Tra quei banchi di scuola, seduto accanto alla sua vittima, si interrogava senza trovare una risposta precisa.
Non era stata la prima a rispondere alla sua provocazione, lasciava sempre la possibilità. Lo faceva ogni volta, per provare a rendersi meno colpevole ai propri occhi, eppure trovava che quelle parole gli fossero entrate sotto la corazza, come una freccia che supera tutte le protezioni, lasciando solo uno straziante dolore intorno a se.
 
La guardava di sottecchi, come se potesse notare il suo sguardo posarsi su di lei. Era ferma, rigida, concentrata sulla lezione o almeno così pareva. Gli venne quasi naturale osservare il viso di quella ragazza, in fondo erano in ultima fila e il suo nuovo gruppo non era presente: non si sarebbe dovuto preoccupare di dare spiegazioni.
I capelli castano scuro le erano scivolavano leggiadri sulle spalle; le labbra erano piene, soprattutto quello inferiore, più carnoso di quello sovrastante.
Provò a saltare la parte del viso compresa tra la fronte e il naso, ma cedette nella curiosità. Come immaginava i suoi occhi erano chiusi, eppure la delusione cominciò a prendere il sopravvento. Maledisse quelle palpebre che gli impedivano di scorgere lo sconosciuto colore delle iridi. Che vigliacco era stato.
 
Improvvisamente la ragazza si era dette una leggere pacca sulla tempia, per poi girarsi all'improvviso dandogli le spalle. Si chinò per poi tornare seduta. Appoggiò sul banco una scatoletta nera e spinse un bottone, facendo così accendere una luce rossa. Edward ci mise un po' a classificare quell'oggetto come un registratore.
Riprese i suoi pensieri come se niente fosse successo.
Cosa era accaduto nella mensa era un ricordo indelebile, impresso a fuoco e riviverlo come se fosse nell'immediato presente era così facile.
 
Le aveva dato del fenomeno da baraccone, un insulto così pesante.. come se quella cecità se la fosse cercata apposta per apparire. Stupide parole per avere una altrettanto stupida fama.
Poi, lei gli aveva fatto notare di essere lui il vero fenomeno, quello veramente strano. Lì, a quel ricordo, scattò nuovamente la molla che teneva in sospeso quel dolore.
 
Purtroppo non ebbe il tempo di trarre conclusioni, la campanella lo avvertì duramente che il suo tempo al fianco della ragazza era finito. Ella si alzò di scatto, scappando dal suo posto e da lui, dimenticando maldestramente la piccola scatolina sul banco. Non se ne accorse, non se ne sarebbe resa conto finché non fosse ritornata a casa.
La mano di Edward si mosse lentamente, ma decisa, verso quel piccolo oggetto. Senza tanto pensare lo mise in cartella.
 
Uscì dalla classe con passo lento. Cosa avesse lasciato  non lo avrebbe capito tanto presto, eppure sentiva che tra quelle mura qualcosa si era formato.
Aveva saltato l'ultima ora di lezione fingendo un leggero malore. Era restato  5 minuti in infermeria, poi se ne era andato. Era uscito nel parcheggio e si era seduto sul cofano della sua macchina: una Volvo metallizzata, un regalo dei suoi, un mezzo che molti avrebbero voluto avere, eppure lui la usò come una semplice panchina. Sentiva il freddo delle lamiere penetrargli nei vestiti fino a raggiungere la pelle.
Si guardò intorno e notò lo splendore di quel paesaggio triste. Dietro qualche fila di alberi la luce veniva totalmente assorbita dalle fronde, lasciando solo buio e ombre. Il cielo era nuvoloso, cupo, malinconico. Sbuffò a causa dei suoi pensieri così deprimenti, ma che in fondo rispecchiavano ciò che cercava di celare.
 
In lontananza si cominciavano a udire urla e risate. Si tirò in piedi barcollando leggermente. Riconobbe la chioma bionda e quella bruna delle sue nuove compagne. Stiracchiò le braccia, stendendole verso il cielo. Prese un lungo sospiro e cominciò a sorridere: era più facile farsi credere felici che farsi biasimare per la propria tristezza, senza contare il fatto che, secondo le loro ideologie, triste e malinconico era sinonimo di sfigato, solitario rifiutato dalla società. Cosa avrebbe fatto per.. Tagliò il pensiero prima di far acidire la sua maschera, lasciando trasparire ciò che essa  nascondeva.
<< Edward!! >> urlarono in coro le due, scalpitando verso di lui. Fece una mezza risatina e le abbracciò entrambe, sperando così di trovare un appiglio: svagarsi era diventato d'obbligo quel giorno.
 
Avevano aspettato che arrivassero anche i ragazzi e, preso ognuno il proprio mezzo di trasporto, si erano avviati verso una meta a lui sconosciuta. Ci misero circa un quarto d'ora prima di arrivare a quello che pareva un pub. Era più piccolo di quelli che aveva frequentato in passato. La musica alta si disperdeva nell'immensità della foresta, le luci scarseggiavano ed erano poco intense, mentre la struttura esterna appariva più ad una capanna che a un locale.
Si fece coraggio ed entrò, preceduto dal gruppo. Si sedettero ad un tavolo vicino alla finestra ed ordinarono da bere. Per lui la scelta non fu molto difficile. Ordinò una vodka sotto lo sguardo stupito di tutti. Si fece grande, illustrando la sua grande capacità di reggere gli alcolici,  ma sorvolando su cosa gli provocassero intellettualmente. Erano un anestetico, un miracoloso anestetico che faceva scomparire tutto ciò che gli premeva il cuore, facendolo diventare quella maschera che ogni giorno indossava.
Cominciarono a parlare di ogni argomento su cui si potesse fare un minimo commento negativo: così finirono su ciò che Edward stava cercando di affogare nel bere. << Come ti è venuta in mente quella sulla Swan? >> gli chiese la mora scherzando.
<< Chi scusa? >> domandò lui dubbioso, anche se nell'intimo sapeva a chi si stessero riferendo.
<< Swan, Isabella Swan. Ma si, la cieca, il fenomeno da baraccone >> gli specificò meglio, ripetendo le sue stesse parole. Un coro di risa si alzò al cielo, per poi spegnersi a poco a poco, lasciandogli la parola.
<< Boh, mi è venuto naturale. >> rispose cercando di togliere ogni traccia di timidezza o incertezza nel tono della sua voce. Era quasi ubriaco, ma non per questo aveva perso la concentrazione verso la sua farsa.
<< Sei un grande! Pensare che poi ha dato a te del fenomeno! Oggi la Swan è anche impazzita! >> rise ora la bionda, alzando il bicchiere pieno di Martini, proclamando un brindisi. Tutti risposero, compreso lui, facendo tintinnare il vetro. Tutto, poi, cominciò ad essere distorto nella mente di Edward, come una nebbia che gli impediva di ascoltare l'esterno, eppure di vedere così chiaramente cosa succedeva al suo interno e scoprire cosa lo opprimeva. La guerra vi era, ecco cosa lo tormentava. Interessi e coscienza si scontravano, un duello tra cosa era giusto per lui e cosa era giusto per il mondo. Essere felici con se, avere poche briciole di felicità era una scusa sufficiente per mettere in secondo piano la vita degli altri? Ecco perché non aveva amici veri, ecco perché non aveva mai avuto una ragazza da non portare solo a letto, ma anche da accompagnare per la vita. Il gruppo lo ammirava per la forza e la sfrontatezza, ma nessuno lo apprezzava. Ammirazione o felicità, gruppo o solitudine, gli altri o lui.
 
Furono sempre questi gli interrogativi che si portò a casa, dopo l'uscita. Era ancora troppo grezza la loro conoscenza per permettergli di restare fuori la notte, quindi gli si prospettava una serata molto lunga. Prese lo zaino  e si avviò in camera. Come al solito non si fermò a guardare niente, ad osservare le sfumature delle ombre in contrasto con la luce della luna. Si sedette sul letto e rovesciò al suo fianco lo zaino. La piccola scatola nera balzò fuori, cadendo delicatamente sulla moquette del pavimento. L'osservò per un po', finche non si sedette vicino ad essa a gambe incrociate. La prese in mano tremando, come se fosse una bomba pronta ad esplodere.
La battaglia dentro di lui era ancora aperta, ma in quell'istante una parte prese dominio sull'altra. Ci fu un momento di puro silenzio prima che premesse il bottone, facendo accendere quella fioca luce rossa.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buongiorno a tutte!
Spero che siate contente che io abbia aggiornato in anticipo: è il mio regalo di pasqua per voi tutte 82!
Allora, abbiamo visto cosa hanno scatenato le parole di Bella. Vi starete sicuramente chiedendo che cosa voglia fare del registratore: quale parte di lui avrà prevalso?
Molte di voi hanno capito il futuro comportamento di Edward: non sarà la classica trasformazione da "stronzo" a "dolce agnellino", ma qualcosa di più complicato.
Bene, che dirvi d'altro? Buone feste, spero che le passiate bene! Vi ringrazio come sempre tutte, dalla prima all'ultima: chi legge, chi spreca 5 minuti del suo tempo per regalarmi un proprio parere!
Un bacio e ancora grazie
Eriky

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Il rumore della pioggia raggiungeva appena la sua mente. Ella stava ancora dormendo, in attesa dell'inevitabile risveglio. Il sogno si stava sgretolando a poco a poco, le linee bianche e nere che lo definivano, si stavano perdendo alla stessa velocità a cui Isabella riemergeva dall'incoscienza.
Si ritrovò infine tra le sue coperte di cotone, avvolta dal solito tepore rassicurante. Restò lì un po', prima di decidersi a mettere il primo piede sul parquet e lasciare il suo giaciglio.
 
Andò in bagno, cercando di sistemarsi meglio che poteva utilizzando il tatto. Si diresse poi alla scrivania, tenendo a mente che bastavano 6 passi per raggiungerla. Dal piano di sotto le voci di sua madre e suo padre rimbombavano, come al solito. Alzò mentalmente gli occhi al cielo, provando ad isolarsi da quelle parole che un figlio non vorrebbe mai sentire dire dal proprio genitore.
<< È colpa tua! Tu e la tua stramaledetta voglia di avere un figlio! Non ci troveremmo in questa situazione se mi avessi ascoltato! >> urlò sua madre, Renèe, ma le parole si distrussero contro la sua determinazione a non udire.
<< Chi è che non si è preoccupata? Chi ha dato i sintomi per scontati? >> le ribatté Charlie, suo padre.
La discussione continuava, eppure Isabella andava avanti a cercare tranquillamente i materiali da mettere in cartella. Sapeva per certo che tra poco avrebbero fatto pace con un abbraccio, un bacio. Sua madre si sarebbe messa a piangere, ma sarebbe stata subito consolata. La situazione si sarebbe appianata, anche se il problema restava. Un po' li invidiava, loro avevano qualcuno su cui contare, lei se stessa. Forse era per questo che non si concedeva il lusso di arrendersi, di lasciarsi andare: nessuno sarebbe accorso a raccogliere i cocci.
 
Si riprese momentaneamente dalle sue riflessioni accorgendosi di non trovare il suo registratore. Era indispensabile per lei non potendo prendere appunti sui compiti o sulle lezioni. Si ricordò di non averlo tirato fuori dallo zaino la sera prima, ancora sopraffatta dal ricordo della mensa.
Si fiondò sulla sedia su cui appoggiava sempre la cartella e ci si buttò a capofitto, ispezionando ogni angolo, ma senza risultati.
Si avvicinò al comodino vicino al suo letto, sempre contando i passi e premette la sveglia. "sono le 7.30" trillo con voce metallica.
Sperò di averlo lasciato, per sbaglio, nell'aula di inglese e corse giù, subito dopo aver recuperato il bastone. Il percorso lo conosceva a memoria, perciò non fu difficile aggirare gli ostacoli, mentre fu quasi doloroso notare la finta calma nel saluto dei suoi genitori.
Provò a farsi scivolare anche quella addosso, come l'acqua mentre si fa la doccia: essa cade, passa ovunque, per poi andarsene senza lasciar segno.
 
Il viaggio verso la scuola fu silenzioso, come sempre. Udiva il respiro leggermente accelerato del padre, ma ormai aveva smesso di chiedersi cosa lo turbasse: troppe volte era stata lei la risposta.
Percepì rallentare la macchina e si preparò aumentando la stretta sullo zaino. Aprì la portiera e salutò suo padre con calore, purtroppo ricevendo in risposta il solito "ciao" freddo e privo di vere emozioni.
Prese il consueto respiro profondo e si avviò, sperando come sempre che quel giorno fosse meno disastroso di quello precedente.
 
Angela l'avrebbe raggiunta dopo, doveva parlare con il suo.. Ragazzo..
Decise di andare anticipare la sua visita nell'aula d'inglese, usufruendo dei 10 minuti che mancavano all'inizio delle lezioni.
Fece come il pomeriggio ormai passato, picchiettando il bastone davanti a se. Arrivata alla soglia, sentì dei rumori all'interno della stanza e ringraziò il cielo per aver trovato qualcuno: se il registratore fosse stato lì, non avrebbe dovuto tastare ogni banco alla sua ricerca.
<< Scusi prof, ha per caso trovato il mio registratore? >> chiese cauta, dando per scontato che solo il professore potesse trovarsi nell'aula a quell'ora.
<< Ehm, mi dispiace deluderti.. ma non sono il prof. >> rispose la voce, quella che avrebbe potuto riconoscere tra mille. Passò un minuti di silenzio dove ognuno era caduto nell'imbarazzo più totale anche se nessuno dei due sapeva spiegarsene il perché. Edward prese coraggio e continuò inquieto << Il tuo registratore l'ho preso io per sbaglio, l'ho trovato ieri sera nel mio zaino. >> interruppe quella che già era una sorta di bugia e si avvicinò alla ragazza. Consegnò la scatolina nelle sue mani per poi congedarsi, velocemente, uscendo da quella porta come un fantasma.
Isabella si rigirò l'oggetto tra le mani, in parte contenta per aver ritrovato i suoi appunti, in parte scettica per la sua versione dei fatti. La campanella la distrasse dai suoi pensieri, ricordandole che le lezioni stavano per incominciare e tra queste vi era inglese. Si maledisse per non averci fatto caso prima, mentre si dirigeva, picchiettando il bastone, verso la classe di trigonometria.
 
Era nervosa, contrariata ed estremamente preoccupata. Un mix di emozioni si riversavano nella sua mente sconvolta: quella lezione di inglese l'aveva turbata molto. Quell'idea che lei definiva ironicamente grandiosa, le stava provocando un'infinità di dubbi e incertezze. Il prof aveva impartito un compito, una relazione sui lavori di Shakespeare  da fare rigorosamente in coppia. Un lavoro relativamente facile, ma che aveva uno svolgimento difficile da attuare: si sarebbero dovuti incontrare dopo scuola, lei e quello che aveva scoperto chiamarsi Cullen. In poche parole un incubo per la timida e riservata Isabella che con quel ragazzo voleva avere pochi contatti, se non nulli.
Si sentiva in dovere di prepararsi più del solito, avere chiari i contenuti per riuscire a concludere il prima possibile quella che si sarebbe trasformata sicuramente in una tortura, un altro modo per prenderla in giro.
Approfittò della calma che regnava nella casa, come tutti i pomeriggi, per sfogarsi un poco, per togliersi di dosso un po' di quel peso che le stritolava il cuore. Toccò il muro granuloso con il palmo della mano, lo accarezzò leggera, per poi tirare indietro il braccio e sferrare un pugno sulla superficie. Il bruciore sulle nocche era fastidioso e molto doloroso, ma la fece sentire meglio.
Salì in camera sua e prese il registratore: si sarebbe messa subito all'opera. Lo accese e si mise a cercare le parti riguardanti le spiegazioni su Shakespeare e le ascoltò ad una ad una. Fu mentre ripeteva per l'ennesima volta  la penultima che notò che vi era qualcosa di insolito. Attese prima di mandarlo indietro, come aveva fatto fino a quel momento, e si accorse di aver registrato qualcosa di anomalo. Lo riascoltò ed ogni volta che il pezzo ripartiva, tra quei suoni crittografati e spigolosi, una voce spuntava. Non una voce a caso, quella che odiava e temeva, quella del Cullen. Era stato lui a prendere il registratore, perciò poteva averci registrato sopra tranquillamente. Quello che però non riusciva a spiegarsi era quel "mi dispiace" lieve: era uno scherzo, un vero pentimento o sbagliava lei a capire? Questo mistero se lo portò con se fino all'indomani, senza arrivare ad una precisa soluzione.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buonasera!
Scusatemi per l'aggiornamento tardo, ma sono piena di impegni (i quali possono aspettare per questo aggiornamento).
Abbiamo scoperto cosa è stato registrato, ma anche che la loro conoscenza si deve evolvere a causa del progetto.
Scusate se non mi dilungo come al solito, ma sono veramente in ritardo.
Vorrei ringraziarvi tutte (e devo ammettere che siete veramente tante!), mi fa piacere aver creato qualcosa che coinvolga!
Un bacio
Eriky
 

 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Non sapeva come definire il suo stato d'animo. Fino a quella mattina si sentiva generoso, buono, apposto con la coscienza. Il ricordo di quella ragazza dagli occhi chiusi si era affievolito, anche i rimorsi erano calati, facendogli sembrare quel gesto come un grande passo avanti. Quando, però, in quell'aula era entrata lei, preceduta dal suo inconfondibile bastone bianco, tutto era crollato come un castello di carte. I suoi piani stabilivano di mettere sulla cattedra il registratore, come se fosse stata una bidella a lasciarlo lì, per poi dileguarsi senza che nessuno sapesse niente, soprattutto lei. Avrebbe ascoltato il messaggio, avrebbe sicuramente sentito la sua voce, poi le sarebbe toccato decidere se perdonarlo o no: gli pareva un progetto così perfetto. Invece non si era accorto dei picchiettii riecheggianti nel corridoio, era restato lì immobile a osservare i loro banchi: parevano così vicini, eppure non si mai erano scambiati una parola, lui non aveva avuto il coraggio di chiederle perdono mentre era a meno di un metro da lei. Aveva usato un registratore, un oggetto impersonale per farlo.
Le sue convinzioni iniziarono a bacillare, quando il principale argomento dei suoi pensieri sopraggiunse. Restò lì,immobilizzato, fermo come una statua. I suoi pensieri sembravano essersi placati, totalmente. Lei iniziò a parlare, ma le sue parole sembravano non raggiungerlo o almeno non totalmente. Una parte di lui recepiva, era allerta e comprendeva perfettamente ciò che la ragazza stesse dicendo; per quanto riguardava la maggior parte della sua concentrazione, invece, era ammaliata sul suo volto.
Dopo che Isabella ebbe finito di parlare, egli miracolosamente rispose, riprendendo parte della sua coscienza, per poi ricadere nel vortice di osservazioni che la sua mente macchinava.
Silenzio era ciò che lo circondava, ciò che cominciò a fargli provare un vano senso di disagio. In un istante si riprese, rammentando il motivo per cui lei era lì. Si avvicinò cauto, le diede il registratore in mano sfiorando la sua pelle liscia come una buccia di pesca, per poi scappare, come il suo istinto gli ordinava di fare.
Si ritrovò a chiedersi se quel bisogno di fuggire significasse un'insana paura di lei. La sua maschera rispose con uno sbuffo sonoro, dandola per pura follia. Il suo animo provò a supporre che non era lei la vera minaccia che avvertiva, ma il significato che si portava dietro.
Non era vero che registrare le sue scuse aveva cancellato tutto, non era assolutamente vero. Internamente sapeva bene che un semplice "mi dispiace" non avrebbe potuto coprire la lacuna che, in tutti quegli anni passati, tendeva ad allargarsi sempre di più.
 
Quella che presto sarebbe diventata la sua banda, lo avrebbe raggiunto nella mensa. Capitava raramente che uno dei componenti capitasse nella sua classe. Doveva frequentare per la prima volta ancora alcune lezioni, perciò non sapeva se la tortura chiamata "Swan" si sarebbe limitata soltanto nell'ora di inglese. Miracolosamente della ragazza non vi fu traccia.
La fortuna lo aiutò in tutte le altre ore, dove di Isabella non vedette neanche l'ombra; purtroppo per lui la buona sorte lo abbondò proprio nel momento di massimo bisogno, quando l'ora incriminata arrivò.
Entrò piano come se vi fossero nascoste delle mine al di sotto di ogni mattonella. Salutò il professore, per poi dirigersi verso il suo banco dove lei vi si era già accomodata.
<< Ciao >> mormorò lui flebile, ma abbastanza da farsi sentire.
<< Ciao >> rispose lei ancora più lieve di lui, come se non fosse altro che un ennesimo respiro e non una parola pronunciata.
Poi la lezione incominciò. Sembrò proseguire tranquillamente. Le spiegazioni professionali e dettagliate dell'insegnante facevano del professore un grande ammiratore del suo autore preferito, Shakespeare. Lo nominava ovunque e pareva voler infondere anche nei suoi studenti questa passione.
L'insegnante, verso la fine dell'ora richiamò l'attenzione di ogni studente presente nella classe. << Ragazzi, in conclusione voglio informarvi del progetto che sarete tenuti a fare. Il compito è un lavoro a coppie sulla vita di questo grandissimo personaggio della letteratura inglese. Dovrete presentarmi la sua vita e le sue opere come meglio credete. >> Spiegò. Edward si guardò intorno alla ricerca di un compagno di classe con cui avrebbe potuto collaborare per il materiale d'interrogazione. << Dimenticavo di dirvi che il compito deve essere svolto a casa e per non evitare litigi o incomprensioni, il vostro compagno di lavoro sarà colui che siede di fianco a voi in questo momento. >>
Quell'affermazione non lasciò via di scampo. Tra Isabella ed il ragazzo, il clima si raffreddò ancora di più. Nessuno dei due voleva rendere reale quella situazione che pian paino si stava formando nelle loro menti.
 
Il tempo entro cui il lavoro doveva essere portato a termine era un mese, quattro settimane in cui i ragazzi avrebbero dovuto lavorare insieme. Quasi la totalità della classe era eccitata al fatto di dover preoccuparsi esclusivamente dei lavori e non di improvvise ed odiate interrogazioni o verifiche. Alcuni erano anche contenti del compagno assegnatogli, mentre altri se ne lamentavano esplicitamente. Nell'aula vi era un gran fracasso, tranne nell'angolo più distante dalla cattedra, accanto alle finestre. Lì vi era silenzio, Isabella ed Edward erano seduti entrambi con le braccia incrociate, immobili. Non erano né felici né dispiaciuti, solamente scioccati. Il ragazzo provò a trovare un'idea per accelerare i tempi ed ella fece altrettanto. Una cosa che preoccupò solo Edward, però, fu come non fare scoprire alla sua banda la sua forzata vicinanza con la Swan. Avrebbero dovuto parlare esclusivamente nell'aula di inglese, avrebbe dovuto evacuare casa quando ella sarebbe arrivata o si sarebbe dovuto mimetizzare per andare da lei. Insomma tutto per non farsi riconoscere, tutto per non farsi vedere accanto a una "debole", una che dovrebbe essere la sua vittima. Ovviamente a questi ragionamenti, qualcosa di lui si rivoltò, ma non fu ascoltato. Era accecato dalla collera verso quel destino che lo aveva messo in una situazione tanto scomoda. Non bastava che si era scusato, non aveva avuto l'occasione di tagliare ogni ponte con lei, la sua presenza lo perseguiva ovunque.
 
Da quel giorno sfortunato si sentiva agitato ogni qualvolta si trovasse in sua presenza. Cominciava a percepire sempre più uno strano senso di inadeguatezza, si sentiva scoperto, indifeso. Perciò quando fu il  giorno del loro primo incontro extra-scolastico, l'agitazione prese il sopravvento.
 
L'appuntamento era nell'abitazione di Edward, verso le 16.  La casa era deserta, egli si era organizzato per far si che fosse tale. Lei sarebbe arrivata accompagnata, da chi non lo sapeva e non gli interessava.
Quando il campanello suonò, lui era comodamente sdraiato sul divano. Scattò in piedi come una molla. Si precipitò verso la porta, accorgendosi di avere le mani sudate all'inverosimile. Aprì lentamente e si trovò davanti Isabella. In lontananza una chioma castana, simile a quella della ragazza, scomparì dietro l'angolo velocemente. Poco dopo il rombo di un motore.
<< Ciao. Entra >> la invitò lui, propendendo un braccio verso l'interno dell'edificio. Lei si fece avanti lentamente, in quell'ambiente non famigliare. Portò davanti a se il bastone. Edward riavvicinò il braccio al volto, massaggiandosi il mento. Era così abituato con gli altri che non aveva nemmeno fatto caso all'inutilità del suo gesto.
La portò a fare il giro del primo piano, in modo che si potesse orientare. Cercava di dare il meglio che poteva, si sentiva in dovere di farlo. Per la prima volta dopo anni non fece altro che dare indicazioni sulla posizione degli oggetti, senza dover inventare stupide bugie sulla provenienza di strani articoli nella sua casa. Per una volta il silenzio non gli diede fastidio, anche se l'imbarazzo che esso celava era chiaro ad ognuno di loro.
Avevano quasi finito il giro della casa stavano passando per l'immensa cucina, attraverso cui avrebbero potuto raggiungere il salotto. Lì avrebbero incominciato il lavoro. Edward osservò per terra alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto renderle più difficile il suo passaggio. Purtroppo vide troppo tardi una scopa sporgere dalla fila di sgabelli. Udì un "aiuto" soffocato poco prima di sentire il freddo delle mattonelle sotto di se.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buonasera a tutti 106 che mi seguite! Sono orgogliosa di avervi presentato anche oggi un altro capitolo!
Devo ammetterlo, la tentazione di finire al suono del campanello era forte, eppure ho deciso che era meglio andare un poco più avanti nel corso degli eventi. Giusto per non sbilanciare i miei standard, il dubbio finale vi è stato lo stesso.
Ho provato con successo a rendere il capitolo più lungo, quindi spero di avere almeno, minimamente, accontentato le vostre richieste!
Ringrazio come sempre chi "semplicemente" legge o chi recensisce, regalandomi un sorriso ad ogni parola. Questa storia sta crescendo grazie a voi, tante idee non sarebbero mai arrivate!
Baci
Eriky

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Un profumo inebriante le risalì su per le narici. Sentiva il tessuto morbido della sua maglietta sotto le dita. Anziché del freddo pavimento che si aspettava di trovare, vi era qualcosa di morbido ma robusto, caldo, che infondeva un calore e uno strano senso di sicurezza. Ci mise un po' a riprendersi e a classificare quell'appoggio come il corpo di Edward. Ci mise ancora meno a ricostruire l'accaduto. La stava accompagnando per la casa, indicandole gli ostacoli. Sembrava gentile, ma Isabella sospettava del suo comportamento, ancora scettica su quel "mi dispiace", a cui non aveva saputo dare un fine. Stava spostando avanti il piede destro per compiere un altro passo, quando un qualcosa di piccolo ma resistente le aveva impedito di compiere il gesto ed era finita per atterrare sul malcapitato che le si trovava davanti: lui.
Si rimise in piedi più velocemente che poté, al limite delle sue capacità. Si accorse subito di avere il ritmo cardiaco accelerato. Diede la colpa alla caduta e non a quel calore che ancore le stava riscaldando il petto.
<< Scusa.. >> mormorò lei, incapace di esprimere al meglio il suo dispiacere. Sentì dei piccoli rumori davanti a se e si immaginò lui rialzarsi pian piano. Nella sua testa le prime linee che designavano il suo aspetto si erano formate. Era alto, più di lei, aveva le spalle larghe; le era sembrato di percepire piccole masse scolpite al di sotto della maglietta e le aveva identificate come muscoli. Una piccola parte di lei fu affascinata dal particolare.. Anche se durò poco poiché il pensiero fu subito distrutto. Lui era il nemico con cui era stata costretta a collaborare, non altro.
<< Fa niente, è stata colpa mia che non ti ho avvisato. >> rispose lui pulendosi con le mani i vestiti. << Andiamo dai, abbiamo un lavoro da fare. >>
 
La prese per mano istintivamente, solo per essere sicuro che non inciampasse ancora, senza nemmeno pensare al significato che quel gesto avrebbe potuto assumere nella mente di una ragazza sempre stata sola. Il cuore di lei riprese la frenetica corsa che aveva appena terminato, ma Isabella non se ne accorse nemmeno: il calore e la stretta che circondavano la sua mano erano la calamita dei suoi pensieri.
 
L'accompagnò fino al divano, dove poco prima era accomodato lui, e la fece sedere. Le chiese di aspettare un attimo mentre lui andava a prendere una sedia dalla cucina. Si posizionò davanti a lei: erano divisi da un tavolino basso su cui vi erano posizionati gli appunti e il libro. Lei frugò nella sua tasca destra, ricordandosi di averci riposto dentro il registratore. Lo esaminò con le dita, cercando un danno provocato dalla caduta, ma fortunatamente era integro. Si ricordò solo in un secondo momento che quella piccola scatolina si era già trovata tra quelle mura. Si chiese se Cullen non stesse guardando l'oggetto con curiosità, magari pensando se lei avesse già sentito le sue parole. "Si" gli avrebbe voluto urlare "le ho sentite le tue parole, ma sono false, come il tuo comportamento in quest'istante. Lo sappiamo entrambi che sei così gentile perché il tuo voto dipende dal mio". Si trattene però dall'esternare questi pensieri, soprattutto perché non le aveva ancora dato nessun motivo per cui la discussione sarebbe dovuta iniziare, inoltre anche il suo voto era legato a quello del ragazzo. Infine una misera ma significativa vocina, in un angolo della sua mente, le domandava semplicemente se fosse pronta a un simile scontro verbale con uno che pareva avere esperienza.
Ripose tutto in un cassetto in attesa di poterlo utilizzare o cancellare definitivamente, a seconda di cosa il futuro le avrebbe riservato.
Si misero a lavorare, parlando esclusivamente degli argomenti riguardanti il lavoro assegnatogli. Edward si dovette concentrare per non usare parola come "guarda" o "vedi" per indicarle concetti scritti sui libri di testo: sarebbe stato imbarazzante, come se già non fosse. Ripassarono alcune frasi, la vita del grande autore. Isabella era sempre stata affascinata dai suoi scritti, erano le storie di vite sprofondate nell'amore più vero anche se non in tutti i casi la vicenda finiva bene. Questo, però, non le importava. Tra quelle righe erano narrati i sogni che lei teneva nascosti fino al momento prima di addormentarsi, dove era inutile opporgli resistenza. I sogni, erano quelli che la ingannavano sulla sua vita, quelle speranze che durante la notte sembrano grandi, ma col sorgere del giorno diventano inutili. Un po' come le stelle che di notte illuminano il cielo buio, facendoti immaginare la moltitudine di mondi che quest'universo ospita e per ogni stella c'è un sogno che inevitabilmente, allo spuntare del sole, sarà eclissato fino alla notte successiva, nascosto da quella che tutti chiamano realtà. Isabella si era ipotizzata molte volte al posto di Giulietta, sapendo benissimo la fine della protagonista. Le sarebbe andato bene, morire dopo aver amato, dopo essere state amate. Quante volte piangeva al suono di quella frase che talvolta spuntava nella sua mente. Perciò le piaceva quell'argomento, perciò quelle ore passate a casa del ragazzo svanirono in poco. Edward aveva fatto il possibile per agevolare la situazione ad entrambi, leggendo e parlando molto, facendo si che anche Isabella potesse stare al suo passo.
Malgrado la voglia di entrambi di finire quell'incontro il prima possibile, ci fu un po' di titubanza quando fu il momento di salutarsi. La macchina dei Swan era parcheggiata davanti all'entrata e Isabella doveva solo uscire, eppure i passi le sembrarono più faticosi da compiere.
<< Allora ciao, alla prossima >> la salutò lui.
<< Si, alla prossima.. >> mormorò lei prima di lasciare la soglia.
Entrambi, appena furono al riparo dalla vista l'uno dell'altro, tirarono un sospiro liberatore: il primo incontro era andato.
 
Nella macchina il silenzio era interrotto da poche e brevi domande di routine. Sua madre era venuta a prenderla per accompagnarla a casa. Era un sabato perciò non aveva dovuto ottenere un permesso dal lavoro. Le chiedeva come erano andate le cose quel pomeriggio, se fosse andato tutto bene. La figlia rispondeva a monosillabi, limitandosi a poche parole o addirittura solo a cenni del capo.
Il viaggio non durò molto, ci misero 20 minuti per arrivare  a casa. Il veicolo parcheggiò esattamente davanti ai due scalini che portavano alla bianca veranda. Sua madre la guardò uscire e avviarsi verso l'entrata della  casa. Il cuore era sempre sanguinante alla vista della sua piccola, ormai non più tanto piccina.
 
 
Un altro monotono giorno era iniziato per Isabella o almeno così le era sembrato. Solita routine, soliti saluti, solito cibo e solita vita. Tutto era apparentemente normale fino a quando le lezioni ormai erano giunte alla fine.
Si trovava nel parcheggio, più precisamente era seduta su una panchina ai lati di esso, in attesa di essere riportata a casa. Solo i rombi delle vetture interrompevano la quiete di quella rara giornata di sole. Si godeva i flebili raggi che le riscaldavano il viso, che le facevano venire l'istinto di sorridere. Si stava stringendo nella felpa a maniche lunghe quando, all'improvviso, delle risate la raggiunsero. Provò subito a sentire se anche la sua si trovasse tra loro, ma non ve ne fu traccia.
Riprese a godersi il sole, pregando la provvidenza divina, implorando che la lasciassero in pace in quel giorno che pareva tanto bello, scongiurando di non farle rubare per almeno un giorno il sorriso.
Cominciò a percepire i passi, il leggero scricchiolio dei sassi sotto le suole. Il rumore si avvicinava sempre più e cominciò a perdere in parte le speranze, sapeva già cosa sarebbe successo: come al solito non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarla, nessuno avrebbe impedito al gruppo in arrivo di farle del male nella maniera peggiore. Insultandola.
<< Ahah guardate! La Swan tutta sola! >> Iniziò Jessica. Le sue parola promisero male alla ragazza che cominciava a preparasi allo scontro di cui era già sicura uscirne amareggiata e sconfitta.
<< Isabella hai visto.. >> disse la bionda quando arrivò abbastanza vicina alla postazione della ragazza. Si sentivano le mezze risatine soffocate dei compagni che avevano formato un semicerchio intorno alla panchina.
Tutto sembrò durare all'infinito. Ad un tratto una voce conosciuta si intromise nella discussione. Era distante, eppure si comprendeva benissimo i nomi che venivano chiamati.
<< Jessica! Ragazzi! >> Li richiamò Edward avvicinandosi. << Ragazzi volete venire al bar con me? Offro io! >> incitò.
Attratti dall'offerta di alcolici gratuiti, l'attenzione su Isabella decadete a  poco a poco, facendo si che si dimenticarono velocemente della ragazza. << Andate avanti a prendere le macchine, la mia è qua. >> precisò il ragazzo indicando con un dito la vettura, posizionata a qualche passo dalla panchina. Tra applausi e discorsi i 5 si allontanarono, lasciando i due da soli.
<< Grazie.. >> sussurrò lei ancora scettica.
<< Ciao Isabella >> le rispose lui prima di infilarsi nella vettura e sparire, succeduto dallo stridio dei pneumatici.
 
Che il salvataggio di quel pomeriggio inoltrato, fosse un segno del suo pentimento, la ragazza non lo sapeva, non ne era certa. Forse era stata una futile coincidenza che alimentava le sue speranze notturne, oppure era vero, tutto vero. I dubbi la tormentavano, impedendole di riposare. Aveva premuto il pulsante della sveglia una decina di volte, ma quando essa aveva segnato mezzanotte, aveva smesso. In un certo senso non capiva a cosa di preciso stesse pensando, cosa la facesse concentrare così tanto da impedirle di dormire. Non era soltanto Edward il problema, ma anche tutto ciò che egli si portava con lui: coloro che trovavano ogni scusa per insultarla, coloro che la lasciavano da parte per i suoi difetti, coloro che non avevano niente a che fare con la sua vita.
Addirittura, nel fiume dei suoi pensieri, si imbatté in una frase che sembrò riassumere la sua condizione.

"Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?"

Se lo ripeté molte volte, forse troppe, per poi finirla di pronunciare con la stessa tonalità di voce da chi l'aveva sentita recitare l'ultima volta, da chi nei suoi pensieri non aveva solo inciampato, ma che stava prendendo residenza fissa.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Una buonasera a tutti!
Come state? Spero bene!
Che posso dirvi di questo capitolo.. Mi sono divertita a scriverlo anche se ci sono stati dei momenti in cui non riuscivo a digitare parola.
Abbiamo visto come hanno passato il pomeriggio, come addirittura Edward è intervenuto nel corso di quel pomeriggio e siamo entrati, per qualche secondo, nella mente della madre di Isabella. So di avervi mandato leggermente (o totalmente) in confusione, ma tutto ha un senso, quindi fidatevi di me!
Ringrazio veramente tutti, dal primo all'ultimo: chi legge, chi recensisce, chi mi lascia descrizioni precise sulla mia storia che tendo a non considerare neanche vere da quanto sono ben fatte!
Un bacio!
La vostra super felice Eriky
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Si sentiva bene, per una volta… Non vi era nessun senso di colpa che lo opprimesse, nessun ripensamento su cosa aveva fatto quel pomeriggio. Ciò che nascondeva e ciò che fingeva di essere, erano stranamente in perfetto accordo.
"Invitare i ragazzi proprio nell'istante prima che stessero per iniziare ad insultare la sua compagna di banco, era stato un caso. Si, uno scherzo del destino. Lui non l'aveva vista da lontano e si era preoccupato per lei, lui era capitato nel momento giusto e basta." Si continuava a ripetere queste frasi, sempre uguali, sempre con lo stesso scopo di auto convincere se stesso.
Accettare che l'aveva fatto apposta ad interromperli gli sembrava stupido, con Isabella aveva in comune solo il progetto di inglese e non altro. Inoltre stava prendendo l'abitudine di chiamarla per nome, come se fosse una sua amica. In automatico gli venne da chiedersi se avesse veramente degli amici, quelli veri con cui puoi anche confidarti e non solo divertirti. Si rattristò quando capì di esserne privo, nemmeno sua sorella e suo fratello poteva considerare come tali.
 
Si rese conto all'improvviso di come fosse in realtà solo. La compagnia certamente non gli mancava, anzi molti bramavano di uscire con lui, ma se avesse avuto notizie da dover tenere segrete sicuramente non le avrebbe mai riferite a loro: in poco tempo sarebbero diventate lo scoop più importante di tutta Forks.
La sua vita era misera, fatta di schernite verso i "non vip". A pensarci bene, erano loro che in realtà avrebbero dovuto prendere in giro loro. Si provò anche a chiedere se dopo queste riflessioni avrebbe lasciato Jessica e tutti gli altri. Fu duro dire a se stesso che no, non avrebbe abbandonato l'unica cosa che era certa, seppur falsa.
Restava comunque da capire cosa lo avesse spinto ad attraversare il parcheggio così velocemente mentre pensava a cosa dire per distogliere l'attenzione creatasi intorno a lei. Aveva avuto pena della ragazza? Era impossibile, era certo di non aver provato nulla del genere. Pena si ha verso un animale ferito, verso cuccioli abbandonati, verso persone come lui. In quelle frazioni di tempo, non era stato il senso del disagio a spingerlo, ma qualcosa di più profondo che non sapeva spiegarsi. Forse era stata la sua volontà, ma per quale motivo? Cosa vi era che lo attirava a lei? Si rispose che probabilmente il suo subconscio l'aveva considerata come un'amica, spingendolo ad aiutarla.
Si massaggiò le meningi doloranti a causa dei continui pensieri  che non gli lasciavano un minimo di tregua. Era arrivato a casa da un'ora circa ed il suo unico pensiero era stata lei. Gli venne spontaneo chiedersi il motivo.
 
Il suono della porta d'ingresso lo fece sollevare dal divano su cui si era sdraiato in cerca di riposo. Alzando lo sguardo incrociò gli occhi di sua sorella, Alice.
<< Ciao.. >> la salutò lui per poi ributtarsi a peso morto sui cuscini.
<< Ciao >> rispose lei andando verso la cucina, per poi tornare indietro incredula. << Come mai sei a casa? >>. Era raro che Edward fosse a casa i pomeriggi, soprattutto in quelli assolati.
<< Avevano tutti da fare.. Non avevo voglia di stare fuori da solo così sono venuto a casa.. >> si giustificò. Era una bugia, costruita velocemente a causa del contesto. Era stato lui ad abbandonare il gruppo con la scusa degli impegni, aveva offerto un giro al solito bar e si era dileguato. Fuggito a casa senza guardare indietro, senza nemmeno accorgersi di stare guidando. Era entrato dalla porta di casa con il corpo, anche se con la mente era ancora in quel parcheggio.
<< Ah, ok. Anche se mi sembra strano.. >> rispose Alice. Le cose non le quadravano, da tanti anni conosceva il suo fratellino. Mai una volta era stato a casa per tutto il pomeriggio, tranne quelle rare volte in cui si ammalava. Usciva, anche da solo, per le vie, per il solo gusto di farsi vedere in giro. Lasciò perdere, fiduciosa del fatto che avrebbe scoperto presto il motivo della sua così strana presenza in casa.
 
Edward restò immobile su quel divano per tutto il resto del tempo, osservando il bianco soffitto che cominciava ad accecarlo. Tutto quel chiaro gli dava quasi fastidio, era indeciso se definirlo come la perfezione o come il vuoto. Non vi era niente di evidente che rovinasse l'intonaco, non un'imperfezione, non un dettaglio. Ad un certo punto notò  una piccola macchiolina nera, forse un po' di muffa o il segno degli inquilini precedenti. Continuò a fissare quell'angolo di soffitto come affascinato. Pur di non pensare ai quesiti che fino a poco prima gli opprimevano l'anima, cominciò a ragionare su quel pallino. Era circondato dalla perfezione o dal nulla, a seconda dei punti di vista, eppure riusciva a rendere tutto più sopportabile. Il bianco della parete e il nero di quel dettaglio, si associavano così bene insieme. Erano così vicini da unirsi ma non da mischiarsi: chissà cosa gli impediva di farlo.
 
Nel frattempo tutta la famiglia era arrivata. Esme richiamò tutti a tavola. Il ragazzo dovette alzarsi dal suo giaciglio. La pelle leggermente sudata era appiccicata alla copertura del mobile così, quando fu completamente in piedi, rabbrividì a causa del freddo che avvertiva sulle braccia.
Si sedette sulla sua solita sedia, di fronte al padre. A destra vi era sua madre, a sinistra sua sorella ed oltre a quest'ultima vi era Emmet, ansioso dell'imminente cena.
Tutti, ad eccezione di Edward, cominciarono ad esporre i fatti successi durante le loro giornate. Il più grande parlò della sua difficoltà a trovare un lavoro, mentre la sorella dettagliò la sua giornata. I genitori restarono pazientemente a sentire, quando Esme chiese al figlio minore notizie della ragazza di cui le aveva parlato brevemente.
<< Allora Edward, come sta la ragazza con cui devi fare il progetto di inglese? Isabella Swan, giusto? >> gli domandò. Gli sguardi di tutta la tavolata si posarono su di lui, mettendolo in imbarazzo. Nel profondo maledisse la domanda che stava facendo riaffiorare i pensieri di quel pomeriggio.
<< Penso stia bene. Non ci parlo molto a scuola.. >> rispose sentendosi quasi un bambino che si sarebbe voluto nascondere sotto le coperte del proprio letto e non uscirne mai più.
<< Ok, ho capito. Quando deve venire per continuare il vostro progetto? >> continuò mentre la vergogna di Edward si faceva sempre più grande. Perché avesse quasi paura di condividere di lei con gli altri non gli era certo, come niente in quel giorno, ma sentiva il desiderio represso di chiudere il discorso al più presto.
<< Penso che dovrebbe arrivare domani. Non so perché, ma preferisce che restiamo a studiare a casa mia. >> spiegò brevemente, pregando di non dover aggiungere altro.
 
Riuscì a superare la cena indenne. Si rifugiò in camera sua, cambiandosi velocemente per poter andare a dormire il prima possibile, anche se era già a conoscenza del fatto che sarebbe stata una serata molto lunga.
Stava percorrendo il corridoio, vedeva già in lontananza la porta della sua stanza, quando la voce di sua sorella lo pietrificò.
<< Edward, quando hai detto che viene la tua amica? >>
<< Uno non è una mia amica, secondo domani pomeriggio. Perché? >> disse aggressivo, provando a scoraggiare altri quesiti.
<< No, niente.. Volevo solo informarti che domani io sono a casa quindi sarà un piacere conoscere la tua compagna. >> spiegò, lasciando il fratello esterrefatto. Forse il giorno seguente avrebbe finalmente capito qualcosa che le avrebbe fatto quadrare i conti. Inoltre era pensierosa. Edward non era mai stato timido, tutt'altro: cosa aveva provocato tutta quella evasività nelle domande? Cosa stava succedendo al suo caro fratellino? La ragazza era la chiave di tutte le risposte?
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buonasera!
Devo ammettere che è stato un miracolo pubblicare in tempo, non so come abbia fatto.
Allora, tralasciando questo, come vi sembra il capitolo? Lo so, non è lungo e me ne dispiaccio molto, ma quelle poche righe sono state molto faticose. Troppe idee che non so come organizzare.
Siamo entrati in casa Cullen. Edward sembra quasi sull'orlo della pazzia a causa dei pensieri che non lo lasciano in pace.. Senza contare che Alice vuole conoscere questa "misteriosa" ragazza.
Vorrei ringraziare tutti voi, soprattutto perché vedere più di un centinaio di persone seguire questa storia fa veramente battere il cuore. Se non dico le cifre non vi offendete, vero? Se vado a vederle è sicuro che mi commuovo. Un gigantesco grazie a chi legge, a chi recensisce: vi ringrazio!
Un bacio e alla prossima
Eriky

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
La tensione in casa Cullen era palpabile. Alice camminava avanti e indietro per la sua camera, curiosa come non mai. Sentiva qualcosa che la spingeva verso quella figura ancora senza volto. Edward era stato troppo schivo, normalmente si sarebbe vantato oppure avrebbe tagliato la testa al toro, imponendo a tutti il suo volere a tenere segreto l'argomento. Si immaginava già l'arrivo della ragazza.
Sarebbe andata lei ad aprire. Era certa che l'ospite sarebbe arrivata con una minigonna succinta e dei tacchi vertiginosi, di quelli che lei usava solo per andare alle feste importanti. Forse bionda con occhi azzurri, oppure con una lunga chioma scura e occhi color smeraldo. Probabilmente un'appartenente al gruppo di suo fratello, una di quelle tutte discoteca e casa. Una di quelle appassionate come lei della moda, ma che oltre all'argomento "guardaroba" non sapevano tenere nessun altro genere di conversazione che non sfociasse in pettegolezzo. Una di quelle che aveva sempre evitato.
Il ronzio del campanello raggiunse la camera di Alice. Ella si catapultò giù per le scale al massimo delle sue possibilità, rischiando di cadere più volte, e fu così veloce che Edward ebbe a male pena il tempo di accorgersi dell'arrivo di Isabella, che sua sorella si trovava già sulla soglia.
Fece un respiro profondo e alzò il viso in modo da poter subito guardare negli occhi "l'amica" di suo fratello; pensava che così facendo avrebbe potuto delineare sin da subito la sua posizione rispetto all'ospite: non si sarebbe fatta metterei piedi in testa da una snob.
Aprì la porta e ciò che si ritrovò davanti ribaltò le sue aspettative. Dovette abbassare leggermente lo sguardo per incontrare il suo viso. La ragazza teneva gli occhi chiusi e inizialmente non riuscì a spiegarsene il perché. Era carina, anche se aveva i capelli leggermente scompigliati e un piccolo ciuffo ribelle le si sollevava dalla chioma castana. Era vestita con un semplice maglione rosso, dei jeans e delle anonime All Stars nere. Si accorse, osservando quest'ultime, del bastone bianco che la ragazza portava al suo fianco. Ci mise poco a collegare tutto e restare allibita: era tutto il contrario di ciò che si aspettava.
<< Ciao, io sono Alice, la sorella di Edward.. tu devi essere Isabella, giusto? >> si presentò, protendendo la sua mano verso quella della ragazza, incerta sulla sua risposta alla stretta di mano.
<< Ehm, ciao.. si sono io Isabella, piacere di conoscerti.. >> le rispose lei, protendendo il braccio verso Alice e cercando a tentoni la sua mano. Il volto della ragazza si era colorato e un leggero rossore veleggiava sulle sue guance.
La fece accomodare, non riuscendo a sollevarle gli occhi di dosso. Era così stupita dalla persona che le era davanti, così diversa da colei che immaginava trovarsi al fianco di Edward, che le pareva quasi un miraggio.
Arrivò anche il ragazzo che si apprestò subito a salutare Isabella. Egli guardò poi Alice, cercando di farle capire di lasciarli soli, ma lei lo ignorò e si accomodò al fianco della ragazza, incuriosita.
Cominciarono a analizzare le ultime parti del progetto, infatti mancava solo un incontro da affrontare, dove avrebbero ripassato tutto il lavoro svolto. Era stata un'idea di Edward, si era subito posto il problema di lei nel poter ripassare gli appunti scritti. La preoccupazione nei suoi confronti era sembrata molto strana ad Isabella
Mentre i riferimenti ai libri e alla vita dell'autore si succedevano nella stanza, Alice cercava di porre le sue domande alla ragazza.
<< Sei originaria di qui? >> aveva chiesto come primo quesito.
<< Si, sono nata da queste parti anche se mia madre è originaria dell'Arizona. >> le aveva risposto cortesemente, leggermente intimidita dalle inaspettate domande. Passò un po' di tempo e la sorella di Edward si intromise più volte nei loro discorsi, spinta dalle mille curiosità che le balenavano nella mente. Più di qualche volta il ragazzo si vedette costretto ad ammonire la sorella a causa dei suoi continui interventi, ma lei era curiosa, quegli occhi chiusi erano una calamita, vi erano dei misteri che l'attiravano irrefrenabilmente. Le era simpatica, era una ragazza semplice e timida, così diversa da quelle che precedentemente avevano varcato la soglia di casa sua in cerca di Edward. Anche se il fratello non l'aveva mai colta sul fatto, molte volte aveva osservato quelle sue "amiche" entrare e uscire da casa. A Forks non era ancora successo, ma nelle altre residenze era capitato molte volte e addirittura le era capitato di incontrarne una in città. Era una delle preferite del fratello: alta, bionda, con gli occhi di un azzurro da poter far invidia al mare.. Tanya.. Non l'aveva mai sopportata, non era mai riuscita ad instaurare il benché minimo dialogo che andasse oltre a "Dov'è Edward?" "Di sopra". Sempre vestita attillata, con tacchi vertiginosi e chioma perfetta. La sua voce era acuta, tanto da dare quasi fastidio. I suoi unici argomenti di discussione erano i vestiti, i ragazzi, gli alcolici e le sue compagne di scuola che, da come lei le descriveva alle sue amiche, non sarebbero state degne di vivere sulla Terra a causa della miriade di difetti che si portavano appresso. Voleva apparire come la perfezione in persona, utilizzando gli altri per sopraelevarsi. Tante volte le era capitato di avere l'istinto di andare lì e chiudere quella bocca che sputava solo sentenze sfavorevoli, non era mai riuscita a sopportarla ed era contenta di non averla più vista.
Tra quei fiumi di ricordi, il suo sguardo si posò inevitabilmente sulla persona che si trovava al suo fianco. Era probabile che anche lei avesse trovato una "Tanya" pronta ad insultarla, ancora più possibile che costei o costoro si trovassero nel gruppo di amici di suo fratello. Un senso di tenerezza e affetto nacque nel suo cuore verso quella ragazza di cui conosceva ancora poco, ma che per esperienza sapeva, aver sofferto molto. Le venne spontaneo chiedersi  cosa avesse fatto se anche lei fosse stata cieca. Non si sarebbe più potuta truccare anche quel minimo, non avrebbe potuto abbinare vestiti con gusto, ma anche semplicemente vivere una vita normale, probabilmente evitata dalla maggioranza delle persone se non da tutti, sarebbe stato una enorme impresa.
<< Edward, avete ancora molto da fare? >> domandò, mentre una grezza idea le si stava formando nella mente.
<< Ancora mezz'ora.. perché? >> ripose il fratello.
<< No, niente. Solo curiosità. >> disse mentendo. La sua curiosità vi era ancora, ma non c'era più solo quella. Vi era qualcos'altro di inclassificabile, qualcosa a cui neanche lei avrebbe saputo dare contorni, ma come sempre quella ragazza era la chiave.
In parte, Alice aveva capito perché Edward era schivo a parlare di lei, probabilmente poteva sembrare una compagnia da nascondere visto che era così diversa dal resto degli altri, ma perché fosse stato a casa tutto il giorno era ancora un mistero.
 
Lasciò che finissero le ultime cose e poi si avvicinò ad Isabella.
<< Isabella, sono le 16.15, non devi andartene subito vero? >> chiese sperando che la risposta fosse negativa.
<< No, non ancora.. per.. >> non la fece finire. La prese per mano e la trascinò verso le scale, ricordandosi di fare attenzione poiché colei che stringeva la sua mano non vedeva.
Salirono gli scalini, mentre Edward non riusciva a capire cosa sua sorella stesse facendo o meglio, cosa avesse intenzione di fare.
La portò in camera sua. Isabella si accorse della differenza tra il corridoio e quella che le era stata descritta come la camera di Alice. Un profumo inebriante le era entrato nelle narici e sotto i piedi vi era qualcosa di morbido che le faceva sembrare di volare, forse moquette.
<< Siediti qui e non chiedermi niente >> le ordinò. Lei ubbidì incerta, inconsapevole su cosa volesse farle. La sorella di Edward le sembrava simpatica, ma non le pareva il caso di fidarsi dell'apparenza, poteva anche essere che, usufruendo della sua cecità, l'avesse presa in giro. Si sentì tirare una ciocca e un piccolo "ahi" scappò dalle sue labbra. D'istinto le venne di mettere le mani sulla testa per evitare che ciò si ripetesse di nuovo.
<< Fidati di me. Lo so che non ti ho detto niente, ma visto che abbiamo un po' di tempo e che sono un'appassionata di questo genere di cose, vorrei aiutarti a sistemarti un po'. Non fraintendermi! Stai benissimo anche così, ma non ti dispiace se ti do una mano, vero? Mi fermo subito se no. >> la rassicurò. Nella mente di Isabella, Alice le parve come un angelo. Sapeva bene di non essere al massimo in quel momento, alla fin dei conti doveva fare tutto da sola.
<< Va bene, basta che non mi trucchi come un pagliaccio per far ridere tuo fratello.. >> le scappò, ma le sue parole rispecchiavano il vero dubbio che si celava nella sua mente: se il fratello era uno di quel genere di persona, la sorella non poteva essere anche peggio?
<< Se con pagliaccio intendi che ti truccherò come una modella, allora si, diventerai un fantastico pagliaccio. >> le disse ridacchiando e mettendosi all'opera. Le pettinò i capelli e stese un leggero filo di trucco sul viso. Le chiese di aprire gli occhi, ma lei la pregò di non costringerla, così Alice fu costretta a puntare sulle labbra, anche se stese ugualmente un filo di ombretto sulle palpebre. Nella sua mente la tentazione di prestarle un vestito, uno dei tanti, era forte, ma si decide a limitarsi a quello, per quella volta.
Quando fu l'ora in cui Isabella dovette andare, la fece scendere, non prima di averle fatto toccare l'opera che aveva creato con i suoi capelli. Alice pensò che era un vero peccato che la sua ospite non potesse vedersi, era veramente bella. In fondo alle scale le aspettava Edward.
Alice non poté fare a meno di sorridere quando notò lo sguardo assorto del fratello verso la ragazza, totalmente rapito da ciò che gli stava apparendo di fronte. Ad un tratto, nella sua mente, tutto fu chiaro, a differenza dei pensieri dei giovani dove il caos aveva preso il sopravvento.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buonasera a tutte, scusate per il leggero ritardo ma sono appena rientrata..
Questo capitolo era partito con l'idea di una parte iniziale incentrata su Alice, mentre ora mi sono ritrovata con un intero capitolo su di lei. Ci sono gli aspetti positivi con ciò: abbiamo aggiunto un elemento al passato dei Cullen e, azzardiamo, un elemento al futuro dei personaggi!
Vorrei ringraziarvi come sempre tutti, da chi legge a chi recensisce, siete un'ispirazione!
Ora vi lascio, ho un piccolo conflitto interno che riguarda il prossimo capitolo da sistemare.
Un bacio e alla prossima!
Eriky

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


*Angolino del manicomio dell'autrice*
(per oggi traslocato qui sopra)

 
Buonasera a tutti!
Vi starete sicuramente chiedendo il perché di questo mio "trasloco". Il motivo è semplice.. Non riuscivo a finire questo capitolo con un mio intervento, mi sentivo come se stessi per rovinare tutto.. Quindi tranquilli che mi subite qui e non dopo: le cose brutte per prime. Chi mi conosce sa che se io cambio posto per scrivere c'è un motivo.. a voi scoprirlo!
Ringrazio chiunque legga e chi recensisce.. dovrei inventare nuove parole per esprimervi la mia gratitudine!
Baci e alla prossima
Eriky
P.s. essendo fra un po' il mio compleanno, questo capitolo e il seguente sono un regalo per me quanto per voi.
 

Capitolo 9
 
Quella figura gli era restata impressa nella mente per minuti, giorni, ore. Su quelle scale non riusciva più a vedere quella ragazza che aveva preso in giro al suo arrivo, ma poteva solo collegarla a quella di cui era venuto a conoscenza col passare del tempo, standole vicino. Quelle labbra erano un richiamo e quegli occhi, già considerati pieni di segreti, con quel filo di trucco diventavano un vero vortice di mistero. Nell'intimo si sentiva obbligato a scoprire cosa quelle palpebre celavano, che colore portassero le sue iridi, lo percepiva come necessario per sentirsi completo.
<< Allora Edward, che ne pensi? >> disse sua sorella interrompendo quel magico silenzio che si era creato.
<< È bellissima >> gli uscì senza pensare. Si maledisse per non aver atteso un attimo per rispondere, per essersi lasciato sfuggire quell'apprezzamento. Non sarebbe sembrato per niente coerente, prima l'aveva insultata e ora le faceva i complimenti..
Un trillo distrusse definitivamente quell'atmosfera, ma Edward non sapeva ancora di cosa sarebbe diventata origine quella telefonata.
 
<< Pronto? >> rispose prontamente Isabella dopo aver tirato fuori il cellulare grigio dalla tasca dei jeans. << Ah.. E ora come faccio? >> disse preoccupata, per poi finire la telefonata con << Ok, provo a chiedere. Ciao mamma. >>.
<< Ragazzi.. mia madre ha bucato con la macchina ed è dovuta correre dal meccanico.. Vi vorrei chiedere gentilmente se qualcuno di voi potrebbe darmi un passaggio a casa, se no aspetterò qua, non fatevi alcun tipo di problema. >> chiese quasi sottovoce, chinando il capo, ormai rossa dalla vergogna. Non le piaceva chiedere aiuto e per questo nella sua testa malediva la madre e la sua gomma bucata.
Alice guardò il fratello per incitarlo, ma non fece nemmeno in tempo a volgere lo sguardo su di lui poiché era scomparso. Poco dopo lo vide ricomparire con le chiavi della Porsche in mano.
<< Ti accompagno io, basta che sappia indicarmi la strada. >> le riferì un Edward sorridente. Egli si sentiva in balia delle azioni. Tutto sembrava un controsenso nella sua mente, ma che risultava così perfetto nell'oscurità del suo cuore. 
Isabella si limitò a rispondere con un semplice "ok" per poi salutare Alice che rispose con un poderoso abbraccio e un bacio che schioccò sulla sua guancia, prendendola di sorpresa.
La ragazza scese lentamente le scale, aiutandosi con il corrimano, fino a toccare il primo piano. Lì Edward le prese la mano e la guidò, forse un po' troppo velocemente, verso il garage dove la sua macchina era parcheggiata. Le aprì la portiera e la fece sedere con gentilezza. Chiuse e fece una leggera corsetta intorno all'auto per arrivare prima al posto al volante.
Nell'abitacolo Isabella si beava del profumo che la circondava. Quell'aroma delicato la riportava indietro, a quando gli era accidentalmente caduta addosso. Al pensiero non poté fare a meno di sorridere.
Il ragazzo si mise alla guida, non prima di essersi goduto lo splendido sorriso della ragazza seduta al suo fianco. Quella meravigliosa linea curva riuscì a falciare sin da subito quella fastidiosa voce interiore che, a parer suo, puntava solamente a rovinare quegli attimi. "Immaginati se ti vedono con lei.. cosa penserà la gente?" fu la prima preoccupazione di ciò che era stato fino a qualche giorno prima.
 
Si fece dare la via della casa e, fortunatamente, la conosceva. In quella piccola strada costeggiata da abitazioni si era perso nel suo primo giro con la macchina a Forks. Per raggiungerla ci voleva poco più di un quarto d'ora, eppure il viaggio superò la mezzora. Andò lento, forse troppo, poiché molti suonarono il clacson pur di incitarlo ad accelerare, ma  a lui non importava, era lì con Isabella come non sarebbe potuto stare in nessun altro luogo.
Arrivarono davanti alla casa contrassegnata dal numero 23.
<< Siamo arrivati >> si sforzò di dire.
<< Ah.. ok >> rispose lei quasi incredula, ma con un timbro nella voce di chi non vuole giungere al termine. << Allora ciao Edward, ci vediamo a scuola. >> lo salutò.
<< Ciao Isabella >> riuscì a sillabare, ancora inebetito dal suono del suo nome pronunciato da quella voce.
 
Nel tragitto verso casa non poté fare a meno di chiedersi cosa gli stesse succedendo. Ogni qualvolta si domandasse la causa del suo strambo comportamento il viso della ragazza riappariva nella sua mente. Aveva pensato che senza la sua presenza al fianco, i suoi pensieri sarebbero stati più lucidi, eppure non riusciva a trovare il fulcro della situazione. In verità, nel suo intimo, sapeva bene cosa gli stesse capitando, quel nero cuore non aumentava i battiti per una disfunzione cardiaca, ma bensì per altre ragioni che vanno oltre la scienza a noi conosciuta.
Anche nell'arco di quella notte il ricordo di lei lo perseguitò in quegli ultimi pensieri prima di cadere nelle braccia di Morfeo. Ancora quel suo saluto gli risuonava nei timpani, come un canto di sirene: così letale ma di una eccelsa magnificenza. Lo cullò come una ninna nanna, facendolo sognare dopo tanti anni.
 
La mattina successiva ad Edward non parve neanche di viverla. Il suo solito gruppo di amici, come sempre, lo aveva accompagnato tutto il giorno, eppure, arrivata la sera, non una parola che gli avevano detto in quell'arco di 12 ore era restato nella sua mente. Sapeva perfettamente a cosa aveva pensato a tutto il tempo e più ci rifletteva, più le risposte si ammucchiavano in un angolo del suo cervello, lasciando posto a quelle 2 che si stavano affermando sempre più. Una lista dettagliata di pro e contro invadeva tutto il suo pensiero e non una frase che andasse al di fuori dell'argomento riusciva ad essere formulata.
Tutto era incominciato dal suo irrefrenabile desiderio di vederla, di osservare anche da lontano quella sua fluente chioma. Come poi descrivere quella grande curiosità attirata da quelle palpebre chiuse.
Tra Jessica, Mike e tutti gli altri, quello che ormai definiva "il falso se" non poté che provare ad emergere tra tutta quella moltitudine di dubbi e domande. "Non ti sarai mica innamorato della Swan, vero? Sai che cosa succederebbe". Quello fu il suo unico, ma più efficace fendente. Solo il fatto che avesse chiesto a se stesso l'origine di quelle emozioni, era già una tangibile prova di ciò che la sua mente negava fino allo sfinimento: provava qualcosa per quella ragazza. Si chiese di conseguenza cosa lo avesse spinto a ciò: i suoi occhi? La bellezza mostratagli il giorno precedente? Il suo profumo o la sua voce? Lei era l'unica risposta. Le conseguenze che tutto ciò portava con se le conosceva bene, le sapeva elencare a una velocità sbalorditiva. Tutto ciò che aveva creato da quel giorno alle elementari a oggi, tutta la sua fama di latin lover e duro: non si sarebbe potuto comportare  con lei come faceva di solito, usarla come un oggetto gli avrebbe creato solo dolore. Inoltre, sentire scherzare su di lei sarebbe diventato una crudele tortura indiretta: prendendo di mira lei, avrebbe sofferto anche lui. Solo il semplice fatto di essersi preso la  sua prima vera cotta all'età di 17 anni gli faceva comprendere che non era una cosa da prendere tanto alla leggera. Intorno a se centinaia di ragazze erano carine, profumate con i migliori aromi creati dall'uomo e una moltitudine di queste aveva occhi da poter far ingelosire gli dei, ma semplicemente non erano Isabella.
 
La decisione poteva sembrare facile, o si o no, o lei o tutto il resto. Ebbene, scegliere significava non solo distruggere per sempre una delle due possibilità ma anche una parte di se. Il bene è solitamente la risposta giusta, ma aveva paura. Se tutti i suoi progetti non si fossero realizzati, sarebbe restato solo. Sarebbe stato lui la vittima, tornare era difficile e poiché non riusciva a vedere nella solitudine una cosa positiva, si rassegnò all'avvenire: avrebbe disposto il destino le carte del suo futuro. Prese una decisione semplice, in tutti i casi avrebbe potuto dare la colpa al fato della sua situazione; non gli era ben chiaro che era proprio lui l'artefice del suo destino.
 
Quella sera consultò l'elenco telefonico. Trovò il numero della casa dove Isabella abitava e si accorse solo in un secondo momento di tremare leggermente.
Dall'altro capo della cornetta rispose lei. La salutò e le disse come avrebbe voluto organizzare il loro ultimo incontro. Isabella fu stupita della sua richiesta, ma infine accettò senza troppe pretese. Edward, inconsapevolmente, stava già dettagliando il suo destino, eppure ce ne mise di tempo prima che non solo il cuore conoscesse la verità.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


*Angolino del manicomio dell'autrice*

(ancora qui in cima)

 
Buonasera a tutti!
Come state? Spero bene, anche se spero che vi migliorerò ancora un po' la giornata (o peggiorerò visto che qualche dubbio ve lo farò nascere!).
Ho notato che molte di voi si sono incuriosite soprattutto sul dove accadrà l'ultimo incontro e non su cosa.. Con questo dovrebbe venirvi il dubbio.. Che cataclisma ho combinato?
Una parte di me non vorrebbe pubblicare, ma vi voglio troppo bene per lasciarvi la suspense e quindi.. Godetevelo!
Baci a tutte voi, chi legge, recensisce e anche chi mi vorrà mandare in un paese molto lontano, che non sto a precisare, per questa storia!
Eriky

 
Capitolo 10
 
Isabella era distesa sul suo letto. Con le dita attorcigliava un lembo del cuscino, non riuscendo a stare ferma dall'agitazione. In primo luogo Edward, l'aveva chiamata. Si sentiva tanto sciocca a mente lucida: danzare per la camera a causa di una semplice telefonata non era certamente da lei. Strinse le palpebre e prese un respiro profondo. Riempì i polmoni finché cominciarono a farle male e poi espirò lentamente. Non riusciva a spiegarsi il significato della sua richiesta: perché voler spostare l'ultimo incontro a casa sua? Le aveva inizialmente detto che era per fare un favore a lei e a sua madre, per la storia della macchina buca e a quel tono di voce suadente e implorante non era riuscita a dir no. Non era passato poco, però, che le parti della storia cominciassero a non tornare: perché mai tutto quel sentimento nella sua richiesta.. La ragazza non riusciva a spiegarselo.
 
Arrivò quella giornata tanto attesa, appena dopo 48 ore dalla tanto famosa telefonata. I suoi genitori non vi erano, come nelle maggior parte dei pomeriggi, e la ragazza saliva e scendeva le scale, che collegavano i due piani della casa, in continuazione. Ad un certo punto il campanello suonò, facendo risuonare il suo tono metallico per tutta l'abitazione. A quel segnale si sarebbe aspettata di saltare giù dalle scale come se stesse partecipando a una maratona, ma si ritrovò pietrificata sul terzo scalino a partire dal primo piano. I polpacci parevano essersi trasformati in blocchi di cemento attaccati alle sue gambe. Ci volle un secondo trillo per riuscire a smuoverla.
Cominciò la discesa, sempre mantenendo un'andatura lenta e calibrata. Contò i passi..
Uno, due, tre, quattro e cinque.
Sapeva di trovarsi davanti all'entrata e alzò la mano verso la maniglia. La toccò e poi si ritrasse, come scottata. Ritoccò la superficie verniciata e fredda per poi aprire. Un leggero venticello le portò il profumo di lui. Quell'aroma le fece realizzare definitivamente che tutto ciò che stava vivendo non era un sogno ma un puro e unico pezzo di realtà.
 
Si salutarono e lo fece accomodare. Lo portò nella piccola sala dove si trovavano un divano e una poltrona. Su quest'ultima la sagoma di suo padre si era impressa ormai da anni, quello era il suo posto. Molte volte, quando era più piccola, si rannicchiava contro quei cuscini dove la presenza famigliare era più presente che in qualsiasi altro luogo. Con il passare degli anni quello era diventato il suo posto preferito, anche se in parte odiava dover restare seduta lì per poter sentire quel calore che ogni altra persona ha normalmente. Alle sfortune ormai ci si era abituata.
Edward le elencò le cose su cui avrebbero ripassato. Isabella non badò molto alle parole, ma al tono con cui esse venivano pronunciate, quel tono dolce di quel "È bellissima" che da giorni l'accompagnava in ogni sua azione. Durante la notte si era convinta che fosse stato un errore, una semplice cortesia, ma il timbro amorevole che stava ancora usando nei suoi confronti, stava facendo decadere mattone dopo mattone tutte le sue certezze. Nella sua mente ancora quello spiraglio che lui, per lei, stesse cambiando si rifece strada, eppure l'impossibilità di una certa situazione era così evidente..
<< Che ne dici se iniziamo dal ripetere Romeo e Giulietta? >> le propose Edward. Il ragazzo si accorse solo dopo di cosa avesse innescato con quell'argomento. Era da giorni che si ripeteva quel testo e ormai era diventato un chiodo fisso nella sua mente, collegato strettamente ai fatti che stavano accadendo nella sua vita. L'unica cosa che rovinava quella fantastica storia era il finale, forse un po' troppo triste per lui: un racconto così travolgente finito nel buio della morte.
Egli prese in mano il piccolo quaderno d'appunti rosso, rovinato a causa della poca cura ricevuta. Aprì in modo deciso le pagine e iniziò a parlare.
<< Io inizierei dalla parte che il professore adora di più: quando Romeo arriva alla tomba di Giulietta. Te lo leggo e poi provi a spiegarmelo ok? >>
<< Va bene >> rispose lei. Isabella era tranquilla, anche se si sentiva leggermente fuori luogo da sola con lui.
Improvvisamente, mentre Edward trovava la parte da lui stesso indicata, ella si rese conto del motivo del cambio del luogo di ritrovo. Per fortuna o per disgrazia, raggiunse quella conclusione troppo tardi rispetto alla sequenza degli eventi.

<<  E che quell’aborrito, scarno mostro
ti mantenga per sé qui, nella tenebra,
perché vuol far di te la propria amante?
Per tema, io resto qui con te, in eterno;
e più non lascerò questa dimora
della notte, qui, qui, voglio restare
insieme ai vermi, tue fedeli ancelle,
qui fisserò l’eterno mio riposo,
qui scrollerò dalla mia carne stanca
il tristo giogo delle avverse stelle." >>

 
La ragazza sentì che la presenza al suo fianco si faceva sempre più vicina. Quella vicinanza non le dava per niente fastidio anche se non le piaceva ammetterlo. Percepiva il lieve calore del corpo di lui che riusciva a passare attraverso la sua leggera maglietta di cotone, o almeno così le sembrava. Un leggero brivido le percorse la schiena e il rimbombare del suo cuore nelle orecchie arrivò all'improvviso. Provava ad ascoltare quelle parole che l'avevano spesso fatta sognare, ma si ritrovava sempre persa in quella voce che si faceva più vicina.
L'interpretazione stava diventando più lenta, Edward non riusciva a tenere gli occhi sul foglio contenenti gli appunti.

<<"Occhi, miratela un’ultima volta!
Braccia, carpitele l’estremo amplesso!
E voi, mie labbra, porte del respiro,
suggellate con un pudico bacio
un contratto d’acquisto senza termine
con l’eterna grossista ch’è la Morte!">>

A quell'ultima esclamazione la tentazione prese il sopravvento. Isabella si sentì prendere il mento e subito dopo due labbra morbide si posarono sulle sue. Non ebbe il tempo di pensare che quello che riceveva era il suo primo bacio, per di più donatogli da colui che non aveva fatto altro che aggiungere un coltello tra tutti quelli infilzati nella sua schiena. In quell'istante esatto sentiva solo lui, una sua mano che si stava spostando sulla sua schiena per costringerla verso di lui e percepiva a malapena le sue mani che si erano andate a posare sulla testa di Edward. Partiva dai capelli per arrivare alle guance, costruendo definitivamente nella sua immaginazione l'aspetto della persona di fronte a lei. Non aveva molti riferimenti, ma il cuore aumentò ancora di più i battiti, quando realizzò che un ragazzo veramente bello stesse baciando lei. I dubbi le sarebbero arrivati dopo, quello non era né tempo né luogo. Stava toccando il cielo dopo anni in cui era rimasta nel fango.
Rispose al bacio, superando l'iniziale imbarazzo per quel gesto tutt'altro che aspettato, ma che nel profondo sapeva di aver desiderato.
Edward rispettò l'indiretta promessa che aveva fatto leggendo il pezzo del brano. La baciò in modo dolce, senza muoversi come avrebbe fatto con qualsiasi altra. Niente lingua, niente mani che si muovevano ovunque. Se in quell'istante qualcuno gli avesse chiesto se avesse mai donato baci in vita sua, egli avrebbe risposto di no. Lo aveva sempre fatto per moda, favori, noia e per il gusto di farsi vedere, mai perché quelle labbra lo avevano tentato fino all'estremo.
 
Il bacio si protrasse ancora per qualche secondo, poi i due si allontanarono lentamente. Isabella ebbe la tentazione di aprire gli occhi, come nei film che sua madre guardava quando lei era ancora piccola, eppure non lo fece. Era tutto così perfetto, non aveva il coraggio di rovinar tutto. Richiuse le palpebre che aveva leggermente schiuso e lasciò che il momento si dissolse al passar del tempo.


Pensate che lui abbia definitivamente preso la sua decisione baciandola? Isabella come reagirà a mente fredda? Edward come si comporterà ora?
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
Non gli sembrava più di essere seduto su un vecchio divano. Non gli sembrava di essere nemmeno su quel pianeta che tutti chiamavano Terra. Non gli sembrava di essere vivo da tanta era la felicità che gli scorreva nelle vene.
Sentì le labbra di lei staccarsi dalle sue e dovette costringersi a tornare alla sua posizione iniziale. Il calore che era rimasto sulle sue labbra gli riscaldava la mente e il cuore, facendogli ritrovare un po' di pace, anche se per poco.
Il silenzio che riempiva la stanza si faceva sempre più presente, creando imbarazzo tra i due. Era ovvio che sarebbe toccato ad Edward parlare, spiegare minimamente il perché del suo gesto, eppure egli non riusciva a pronunciare una parola. Nella sua mente era in atto una guerra per chi avrebbe dovuto farlo uscire da quella situazione.
Se avesse riversato il peso delle sue azioni su di lei, non gli sarebbe costata molta fatica, ma ripudiò il pensiero.. per una voltala sua volontà si impose su quei ragionamenti per niente corretti. Era stato lui a baciarla, lui l'aveva stretta a se per non farla allontanare, non il contrario. Ad un tratto sapeva esattamente cosa dire, non avrebbe permesso che la sua voglia d'apparire superasse la voglia di lei. Mentalmente si preparò un piccolo discorso in pochi secondi, ma che in quegli stessi attimi esso gli risultò insensato e altrettanto stupido.
<< Scusa >>  Di tutte quelle frasi che avrebbe voluto dirle, non era riuscito a pronunciarne nessuna tranne una semplice scusa. Cominciò a sentire il desiderio di andarsene da quel posto, anzi, la mente glielo urlava.
Anche se non avevano finito, o meglio, anche non avevano nemmeno iniziato, si alzò dal divano con tutta l'intenzione di andarsene. Fece fatica a mettere una gamba davanti all'altra: aveva ancora le vertigini dovute al suo gesto.
Quando le passò vicino non poté fare a meno di rallentare e osservarla: era rimasta immobile.
Fu una frazione di secondo e si sentì prendere il polso da una mano delicata, la stessa che qualche minuto prima vezzeggiava i suoi capelli.
<< Perché? >> fu la lieve domanda che raggiunse il suo orecchio. Anche se Isabella esercitava una lieve forza sul suo braccio, il giovane si fece spostare come se fosse stato un pupazzo, facendo si che si riaccomodasse sul divano.
<< Perché? >> ripeté lei. Egli ammirò le sue labbra come se fossero il miraggio più bello, forse non perfette, leggermente tremolanti, ma così affascinanti..
<< Non lo so perché.. Non ho un motivo preciso.. Volevo solo farlo, ma in questo momento mi sento così in colpa poiché non sono nemmeno sicuro che tu lo volessi, anzi ne sono quasi certo. >> provò a risponderle, incerto su cosa dire. Non osava dichiararle ciò che veramente provava, non ne aveva il coraggio, anche se avrebbe voluto gridarlo al mondo intero con la stessa intensità con cui Isabella avrebbe voluto ammettere che era contenta di aver ricevuto il primo bacio da lui. Ella era però frenata dalla reputazione di lui, dai fatti che aveva subito in prima persona. Una parte del suo cuore ormai aveva compreso cosa egli significasse per lei, ma non riusciva ancora a fidarsi, alla fin dei conti era ancora uno di loro. Cosa aveva fatto che dimostrasse un suo reale cambiamento? Quel bacio poteva essere anche una scommessa con il suo gruppo, poteva essere una prova di coraggio, così subdola, così fantastica..
 
Passò una mezz'ora e ancora nessuno dei due era riuscito a dimenticare, a mettere da parte quel piccolo frammento di tempo. Isabella interruppe il silenzio, proponendo di andare avanti nel lavoro. Edward accettò prontamente, afferrando al volo quell'ancora di salvezza.
Ci vollero un paio di ore affinché il tutto fosse terminato. Il ragazzo si alzò, andando in direzione della porta, seguito a ruota dalla giovane. Sulla soglia egli fu incerto su come salutarla. Si avvicinò come per abbracciarla, ma qualcosa lo fece fermare prima di concludere il gesto, facendo si che si limitasse a una semplice pacca sulla spalla. Gesto stupido, del quale si vergognò per tutto il tragitto verso casa.
Percorse la strada più lunga, non aveva la minima intenzione di arrivare alla sua dimora il prima possibile, voleva stare fuori a riflettere, pensare cosa un gesto tanto piccolo avesse cambiato nella sua vita. I tronchi scuri degli alberi ai suoi lati si succedevano velocemente, riuscendo a donargli un senso di pace corporea, mentre nella sua mente era in atto l'incessante guerra. Il ragazzino in lui era entusiasta, non riusciva a credere che per una volta un suo desiderio fosse stato esaudito e non riusciva ancora a capacitarsi delle travolgenti emozioni che aveva provato e che lo invadevano tutt'ora. Poi c'era quella parte di lui che si atteggiava da uomo vissuto. Di quel misero contatto di labbra non era interessato, anzi gli pareva banale tutta quell'eccitazione per una cosa così insignificante. A dirla tutta, una piccola importanza forse l'aveva: se si fosse venuto a sapere cosa sarebbe accaduto?
 
Edward scacciò quel maligno e subdolo pensiero dalla mente, imbucando la breve strada che lo avrebbe condotto a casa sua.
Aprì la porta e davanti a se apparve una scena già vista. Emmett era seduto sul divano a giocare con la playstation come un bambino  e sua sorella era accomodata sulle scale a leggere un libro di qualche sdolcinato autore.
<< Ciao >> li salutò educatamente.
<< Ciao Eddy! >> gli rispose il fratello, pronunciando quel nomignolo tanto odiato.
<< Ciao Edward >> disse la sorella alzando leggermente gli occhi dal libro.
Emmett sapeva perfettamente dove era stato fino a quel momento, grazie ai racconti di Alice, e faceva fatica a contenere il suo spirito da eterno fanciullo. Cercò in tutti i modi di resistere dal stuzzicarlo ancora, ma alla fine cedette alla enorme tentazione.
<< Eddy >> richiamò la sua attenzione << ma cos'è quella traccia di rossetto che hai al bordo del labbro? >> gli chiese tentando di reprimere la valanga di risate.
<< Quale rossetto!? >> quasi urlò mentre si precipitava verso il primo specchio a portata di mano. Non gli era sembrato che Isabella portasse nessun genere di trucco, ne era certo. Quando poté osservare la sua immagine riflessa nel vetro, e sentendo le risate altisonanti del fratello che si mischiavano con quelle dolci di Alice, capì la burla e di conseguenza comprese di essere caduto nella trappola.
La piccola ragazza dai capelli neri finse di tornare a leggere dopo che le risa furono placate, ma intuì rapidamente che Emmett non era stato per niente uno sciocco ad organizzare quel piccolo scherzo. Edward aveva avuto la coda di paglia, era successo qualcosa che aveva paura di rendere pubblico. Un'idea le balenò per la mente, ma era irreale.. Per quale motivo avrebbe potuto baciare Isabella?
 
Arrivò il giorno seguente. Edward non fece in tempo a scendere dal veicolo che si ritrovò Jessica davanti con un sorriso radioso. Dietro la sua chioma bionda riuscì ad individuare la macchina della polizia arrivare. Isabella aprì la portiera e scese. Edward non poté fare a meno di ammirarla ammutolito, tant'è che la ragazza di fronte a lui fu costretta a sventolargli una mano davanti agli occhi per attirare la sua attenzione.
<< Che stavi guardando? >> gli disse con un tono acido.
<< No, niente.. >> si scusò.

Non si era posto il problema di come far coesistere entrambe le sue realtà senza che l'una interferisse con l'altra. Era ovvio che non potesse far incrociare i due mondi se voleva farli esistere entrambi. Che fosse sbagliato ne era cosciente, ma non riusciva proprio a separarsi da ognuno di essi. Fu per questo che durante tutta la giornata non si fece vedere nelle vicinanze di Isabella ed evitò anche la sua amica che avrebbe potuto comunicarle la sua presenza. Venne informato dell'assenza del suo professore di inglese e questa fu un'ottima notizia: saltò l'ora.
Era innervosito da il suo comportamento, sapeva che non sarebbe potuta continuare a lungo questa lontananza forzata. Si vergognava di se, era stato un vigliacco, ma prima o poi si sarebbero dovuto incontrare, che lo avesse voluto o no. Più passava il tempo e più si percepiva come un egoista: voleva tutto, ma non sacrificava niente.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*
(ristabilitasi qui)
 

Buonasera a tutti!
Io come sempre non so cosa dirvi.. Qualcuno di voi, l'altra volta, si è soffermato sulla diffidenza di Isabella ad aprire gli occhi. Ebbene mi sento tanto cattiva a dirvelo, ma non posso dirvi niente, dovrete aspettare (*una risata malefica echeggia per casa mia*).
Abbiamo iniziato a vedere il comportamento di un Edward disperato, che cerca di salvare i vari frammenti che costituiscono la sua vita, essendo però cosciente che tutto ciò non è possibile.
Poi abbiamo il piccolo scherzo di Emmett  che fa dubitare al fratello, ma soprattutto ad Alice, cosa sia potuto succedere al loro ultimo incontro.
Vorrei ringraziarvi tutti, come sempre, per tutto ciò che fate: con voi la mia felicità conosce limiti. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo venerdì, un bacio
Eriky

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Isabella chiuse la porta della sua camera, provando a lasciare il resto del mondo fuori da quella stanza. Si chiedeva semplicemente perché si fosse illusa, il motivo per cui aveva permesso che la sua laboriosa mente sviluppasse una serie interminabile di saluti che Edward le avrebbe potuto riservare al suo arrivo a scuola. Era cosciente che erano tutte fandonie, una fiaba adatta a una bambina illusa e troppo cresciuta come lei, eppure quando apprese che tutto ciò che aveva immaginato era andato in fumo, ne soffrì molto, troppo, per uno che a mala pena l'aveva baciata e che l'aveva salutata con una misera pacca sulla spalla.
Il pensiero la struggeva ancora come se non fosse già abbastanza ferita.
Edward non vi era stato alla lezione di inglese di quel giorno e, da quanto riferitole da Angela, non era nemmeno venuto a scuola. Malgrado sapesse della sua assenza, non riusciva spiegarsi quella sensazione che percepiva, qualcosa le diceva che in realtà lui c'era.
 
Era ancora immersa nei suoi pensieri, stava per essere soffocata da quella moltitudine di dubbi, che il telefono suonò.
<< Pronto? >> rispose acidamente. La voce dall'altra parte la fece percorrere da un brivido. L'oggetto dei suoi pensieri ora le stava parlando, Edward l'aveva chiamata.
<< Vorrei provare a sistemare le cose.. >> stava ammettendo quando ella si riprese dal suo stato di trans << ma non per telefono, non mi sembra il caso. Vorrei proporti di vederci, magari questo pomeriggio se non hai impegni. >> propose lui. La voce era leggermente criptata a causa dell'apparecchio e delle linee telefoniche vecchie, ma non per questo la reazione di Isabella non fu condizionata da quella melodia.
<< Va bene.. >> riuscì a dirgli. Non fece in tempo a prendere un altro breve respiro che Edward aveva chiuso la telefonata, subito dopo averla informata del suo imminente arrivo.
Quando quella sorta di limbo che le si era creato nella mente scomparve, poté cominciare a  prendere coscienza non solo di cosa stava per accadere, anche dei motivi che lo avrebbero potuto spingere a fare tutto ciò. Che quel bacio significasse veramente qualcosa per lui? Isabella scosse la testa, non doveva precipitare un'altra volta in quel baratro di sogni da cui le sarebbe stato difficile uscire.
 
Dopo una quindicina di minuti, il campanello risuonò nella casa. La ragazza non si fece cogliere dall'ansia come era successo la volta precedente. Andò dritta ad aprire, cercando di estraniarsi dai suoi stessi pensieri per non ricadere nell'agitazione, anche se non poté fare a meno di notare la velocità del suo arrivo e l'assenza del benché minimo rumore proveniente dalla macchina. Era difficile accettare quell'ipotesi che stava prendendo sempre più piede, ma era possibile che fosse già fuori da casa sua quando le aveva telefonato?
 
Edward la salutò per primo, non aspettando nemmeno che la porta color avorio si fosse aperta completamente. Isabella rispose lievemente, quasi intimidita dalla sua presenza.
<< Ti fa niente se stiamo fuori? Non fa freddo.. >> e quasi a conferma delle sue parole un leggero venticello tiepido arrivò a scompigliarle i capelli. Era stata così presa dai suoi pensieri che non si era nemmeno accorta di trovarsi in uno di quei pochi giorni in cui il clima piovoso di Forks dava un po' di tregua, permettendo al sole di illuminare quelle terre sempre coperte dalle nuvole.
Uscirono sulla veranda ed entrambi si accomodarono su una panchina adiacente al muro, a circa un metro dall'ingresso. Erano seduti lontani, avevano paura di avere qualsiasi genere di contatto.
Il giovane tentò di recuperare tutto ciò che aveva progettato di dirle mentre era seduto nella sua macchina a guardare la casa di Isabella, con all'orecchio il telefono da dove proveniva la sua voce. Se gli avesse detto che non era fattibile incontrarsi quel giorno era sicuro che sarebbe stato lì ancora un po', magari riuscendo a cogliere la sua figura camminare dietro le tende. Si era ripromesso di rimandare quel momento finché avesse potuto, e per questo non era riuscito a durare molto: non era più capace di rimanere senza di lei. Ovviamente non era stato così coraggioso da parlare prima ai suoi presunti amici di questa sua scelta, avrebbe continuato a fare un doppio gioco, seppur difficile e molto complicato da sostenere.
<< Vorrei chiarire.. ma mi devi promettere che non mi interromperai finché non avrò finito.. >> le chiese. Lei annuì, pronta ad accogliere quella dura verità che era sicura sarebbe scaturita dalle sue parole: inganni, scherzi o scommesse, ormai si stava immaginando di tutto.
<< Vorrei innanzitutto scusarmi per averti messo in questa situazione. Se avessi saputo trattenermi, avrei potuto evitare tutto ciò e dopo questa stupida relazione di inglese, avremmo potuto tornare ognuno alle proprie vite, come se niente fosse successo. >> fece una pausa, realizzando di essere riuscito a confessarle almeno una parte dei suoi pensieri. Sapeva di non poter finire qui, c'era ancora molto da dirle, anche se era cosciente di dover fermarsi: non poteva dirle proprio tutto..
<< Conoscendo le mie compagnie e anche riflettendo su come mi sono comportato con te la prima volta che ci siamo incontrati, posso provare ad immaginare come ti possa sentire. Non ti sto prendendo in giro, non è una punizione inflittami da Jessica, Mike o chiunque altro. Io ho voluto farlo, anche se non riesco a capacitarmene. Forse perché hai avuto il coraggio di rispondermi, forse perché sei unica. Comunque penso con ciò di aver finito. >>  concluse, sentendosi un po' più libero. Per un attimo non dovette più sopportare il peso delle continue bugie a se stesso, quel lui fatto di falsità era svanito, ma conoscendosi sapeva che egli sarebbe tornato in un modo o nell'altro, a patto che lui lo avrebbe lasciato fare. Era spensierato e tutto non sarebbe potuto andare male se lei gli avesse solamente detto qualcosa che avesse dato conferma ai suoi desideri.
<< Belle parole, ma purtroppo come posso credere a un bugiardo? >> gli domandò, spiazzandolo.
<< Come bugiardo? >> rispose sentendosi mancare il fiato, l'aria, la speranza di poter stare al suo fianco.
<< Edward.. Sarò cieca ma non stupida.. Se tutto ciò non fosse vero tu staresti mentendo a me, se invece fosse la verità tu mentiresti a quelli che consideri amici: non penso che gli hai confessato tutto pur non essendo sicuro della mia risposta. >> lo fece riflettere. Aveva ragione quasi in tutto.. In realtà anche se avesse saputo la risposta di Isabella, la verità non l'avrebbe detta.
<< Te lo dimostrerò con i fatti che non mi sto prendendo gioco di te. >> le promise.
Lei acconsentì, sentendosi felice come mai prima d'ora, anche se da fuori nessuno lo avrebbe mai dedotto. Per una volta ringraziò il cielo per quegl'occhi inespressivi, quelli che non permettevano a nessuno di carpire i suoi sguardi tristi, ma in questo caso di non far notare l'entusiasmo provocato dall'avverarsi di quei sogni tanto tenuti nei cassetti, col timore che si rompessero alla prima delusione.
La pendola all'interno dell'abitazione suonò, facendo disperdere i suoi rintocchi e informando Isabella dell'orario già tardo.
<< Ti conviene andare se non vuoi incontrare mio padre.. >> gli disse.
<< Ok.. allora io vado. Ciao Isabella! >> la salutò.
<< Ciao Edward >> rispose.
La fanciulla fece un balzo involontario quando sentì le labbra di lui sfiorarle la pelle della guancia. In seguito riuscì solo a percepire lo sbattere metallico della portiera, il rumore rombante del motore e, più forte di tutto il resto, il pulsare del suo cuore veloce.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buonasera a tutti! Mi sembra quasi impossibile di essere riuscita a finire in tempo, eppure eccomi qua.
In questo capitolo vi è un significante passo avanti. Edward riesce a chiarirsi con Isabella, anche se mantiene ancora il suo legame con il suo gruppo d'amici.
Prendo l'occasione per incoraggiare chi fra poco dovrà affrontare gli esami e malgrado tutto legge questa storia: in bocca al lupo!
Ringrazio chi ha recensito e chi ha letto, chi mi fa complimenti e chi mi aiuta a migliorare (oggi avevo il dizionario dei sinonimi a portata di mano, non so se con questo qualcosa è cambiato).
Vi saluto, ci risentiamo venerdì prossimo mia piccola famiglia!
Baci
Eriky

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
Quello che doveva fare, anche se non era per niente semplice, era trovare un modo per dimostrare a Isabella le sue parole. Al solo pensiero di portarla davanti alla scuola e confessarle tutto ciò che le aveva tenuto nascosto, le cose che era timoroso di ammettere anche a se stesso, aveva paura. Una risata malinconica gli scaturì dal petto: era ovvio che non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Tornò a casa così pieno di felicità da non riuscire a cancellare quel sorriso ebete che gli illuminava il volto. Si sentiva elettrizzato, sprizzava entusiasmo da tutti i pori, tant'è che cominciò ad accennare una danza strampalata appena appoggiò entrambi i piedi sul vialetto che lo avrebbe condotto all'ingresso di casa sua. Nessun alcolico lo aveva reso così euforico, mai niente gli aveva riempito l'anima oltre allo stomaco.
Fece scendere la maniglia della porta mentre gli ultimi raggi di sole trasparivano dai rami degli alberi, che si facevano sempre più scuri.
Entrò lentamente, osservando con attenzione il salotto che appariva deserto. Essendo certo di non poter essere visto da nessuno, si mise a canticchiare una melodia a lui sconosciuta che lo accompagnò nel suo strambo balletto, mentre saliva le scale con l'intenzione di farsi una doccia rigenerante, ignaro di essere osservato da quella figura proveniente dalla cucina.
 
Emmett scosse la testa: quello non poteva essere realmente suo fratello, era impossibile. Fu grato al cielo per aver anticipato il suo rientro a casa, in questo modo non si era perso una scena tanto memorabile tanto strana.
Inizialmente si chiese se avesse fatto una prova di coraggio con i suoi stupidi amici, assumendo qualche sostanza che gli avesse definitivamente rovinato il cervello. Ripudiò quella sciocca idea negli angoli più nascosti della sua mente: Edward non era certamente così stupido.
Col passo più felpato che la sua stazza gli permetteva, salì le scale. Percorse il corridoio e si sistemò di fronte alla porta del bagno dove proveniva lo scrosciare dell'acqua. Per fortuna la radio non era accesa, permettendogli così di udire la voce di Edward canticchiare una canzone bellissima, anche se ogni tanto egli stonava dove le note si facevano troppo acute per la sua voce. Tra i rumori che provenivano dalla stanza, sentì il nome "Bella" ma non riuscì inizialmente a collegare nulla a quelle misere sillabe.
Si rimise in piedi, intenzionato ad andare in camera sua per avere qualche dettaglio in più: cominciava ad avere dei veri sospetti. Aprì la porta ed entrò, esaminando tra le coperte, per poi girarsi e ritrovarsi davanti alla scrivania, restando bloccato alla vista dell'unico oggetto appoggiato sopra di essa. Un libro dall'aspetto famigliare era aperto davanti ai suoi occhi; lo prese in mano e lo chiuse, non prima di essere certo di aver tenuto il segno. Con una scrittura elegante il nome "William Shakespeare" decorava la copertina: ad un tratto collegò tutto. Tutta quella gioia voleva significare che ciò che sia lui sia Alice sospettavano, si stava avverando?
Mentre stava tornando indietro, dal bagno uscì Edward ancora con i capelli bagnati e avvolto solo da un telo bianco.
<< Ciao Emmet. Come mai già a casa? >> gli chiese, sbalordito dalla sua presenza.
<< Ero solo stanco e stavo per fare la doccia che tu mi hai rubato il bagno. Liberalo presto, grazie! >> e con queste parole riprese la sua camminata, fingendo la sua solita spensieratezza infantile, ma con i pensieri più seri che la sua mente potesse organizzare: "Ti prego Eddy, non combinarne un'altra delle tue.. Lei ha già sofferto abbastanza, non trovi?"
 
Edward si recò in camera sua, in cerca di vestiti puliti. Non poté fare a meno di notare quel libro di testo che da qualche giorno non aveva più lo stesso valore. Quel piccolo oggetto fece riaprire la diga che impediva alla sua mente di essere continuamente invasa dalla fanciulla. Non era passato molto tempo da quando gli aveva dato quella possibilità, ma ormai poteva essere pari a un'ossessione conseguita per anni. Si sentiva sempre di più un ragazzino alle prime armi, imbarazzato e incerto di fronte a quello che è naturale chiamare amore.
 
Prese i primi vestiti che vide e se li infilò velocemente: aveva un lavoro da sbrigare. Era la prima volta che lo faceva seriamente, di solito erano sempre gli altri a proporre i locali, i ristoranti, ma questa volta voleva che fosse lui a decidere il luogo dove portare Isabella, non basandosi su consigli altrui. Voleva qualcosa di romantico, ma non troppo sdolcinato, qualcosa di speciale. Non l'avrebbe sicuramente portata al primo locale che era andato a visitare, dove tutto era così squallido e dove qualcuno poteva riconoscerlo..
Accese il portatile nero quasi nuovo dato il suo poco utilizzo, e si impegnò per trovare un nominativo che lo incuriosisse tra quella moltitudine di pubblicità. Il nome "La Fenice Bianca" lo attirò, spingendolo ad aprire il sito.
Le foto erano fantastiche, sembravano ritrarre un paesaggio fiabesco e non un modesto ristorantino a 3 stelle. Non era mai stato con nessuno in posti del genere, troppo  impegnato a dar mostra della propria disponibilità economica.
Il tutto era immerso nella natura, con l'illuminazione che faceva risultare la costruzione tra la scura vegetazione. Di notte sembrava più un presepe che un ristorante e i muri, costituiti principalmente da ampie vetrate, permettevano di vedere anche l'interno. Aveva deciso: quella era la sua destinazione.
Ora restava solo da chiedere a Isabella la sua disponibilità, se no tutta la sua laboriosa ricerca sarebbe stata inutile non avendo nessun altra da poter portare in un posto così speciale. Prese un post-it e appuntò l'indirizzo e il numero per non dover riprendere le ricerche da capo. Ovviamente doveva solo capire come chiederle di uscire a cena. Chiamarla sarebbe stata un'ulteriore prova che avrebbe gravato con la già precaria situazione che aveva instaurato con la ragazza: telefonarle l'avrebbe potuta convincere ancora di più che le stesse mentendo. La soluzione era solo una, ma era ovvio che non potesse essere sicura per entrambe le sue realtà.
 
" Ok, tranquillo, lo dico io agli altri. Ci vediamo dentro Edward!"questo era il testo della risposta di Jessica al suo messaggio. Lo lesse mentre osservava attentamente le vetture che arrivavano, in attesa di quella con le sirene sull'abitacolo.
Alla fine aveva chiamato la ragazza, ma solo per pregarla di ritardare il suo ingresso nell'istituto. Poi, quella stessa mattina, aveva informato i suoi amici di un inconveniente che lo avrebbe fatto arrivare tardi. All'improvviso ciò che tanto aspettava comparve all'ingresso del parcheggio. Lei scese, portando davanti a se il bastone bianco. Dopo che l'automobile scomparve, ella si mise su una delle panchine che circondavano lo spiazzo, anziché entrare direttamente come faceva di solito.
Il giovine aspettò che la campanella suonasse, richiamando al suo interno gli studenti, prima di recarsi da Isabella. Era stato furbo, meschino, ma poteva essere visto ugualmente da qualche ritardatario e perciò era lo stesso timoroso.
<< Ciao! >> la salutò appena le fu abbastanza vicino.
<< Hey! >> rispose << Perché mi hai chiesto di aspettarti? >> incalzò immediatamente, ansiosa di entrare in classe e non rischiare prediche dal professore.
<< Volevo chiederti se avessi voglia di uscire con me a cena. Avevo in mente di andare in un ristorante una delle prossime sere. Potremmo andare in giro nel pomeriggio e alla sera cenare insieme. Che ne dici? >> le propose.
<< Dico che ti stai impegnando mio caro Cullen e voglio vedere cosa hai intenzione di organizzare >> lo schernì, per subito dopo alzarsi ed andarsene verso l'ingresso. Edward la seguì senza indugio, con lei al suo fianco tutte quelle stupide paure scomparivano, lasciando posto alla sola immagine di lei.
 
 
A miglia di distanza una figura rimuginava su cosa poter fare per svagarsi nelle settimane a venire. Non vi erano feste organizzate da amici e nessun pub aveva annunciato un evento speciale. Da quando Edward se ne era andato, tutto aveva perso di brio. Subito dopo le venne in mente ciò che stava cercando disperatamente: il paese dove le aveva detto che si sarebbe trasferito, Forks, era poi così lontano?
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

Buonasera a tutti!
Ormai avreste dovuto capire che adoro mettere suspense nella storia e mi dispiace tanto per voi per esservi trovati un'autrice come me.
Le vacanze sono ormai alle porte, ma io sono lo stesso impegnata, anche se avrò più tempo per dedicarmi ai miei capitoli.
Vi ringrazio tutti, anche se mi risparmio di venire a conoscenza del vostro numero esatto per evitare un infarto. Grazie a chi legge e chi recensisce, siete come sempre fantastici!
Alla prossima se avrete la voglia di leggere come andrà avanti la storia!
Un bacio
Eriky

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
Finalmente, dopo giorni che parevano interminabili, la data fissata per quell'uscita fatidica era giunta. Ogni giro che compievano le lancette dell'orologio era un piccolo passo avanti verso quell'istante in cui Edward avrebbe bussato alla sua porta per portarla a cena. Per decisione di sua sorella, il suo arrivo era stato ritardato, per favorire al meglio tutto ciò che riguardava la preparazione di Isabella. Infatti alle ore 16 in punto, Alice suonò ripetutamente a casa Swan con in mano una valigetta molto pesante.
 
Isabella aprì la porta, ancora incosciente su cosa l'attendeva.
<< A che ora arriva mio fratello? >> le domandò l'ospite dopo averla salutata.
<< Per le 8 più o meno.. >> le rispose la ragazza incerta. Dopo neanche un istante si sentì strattonare per il polso mentre la voce dell'ormai amica la incitava.
<< Dai, dobbiamo muoverci! Abbiamo poco tempo! >>. Con ciò la povera malcapitata comprese che le ore seguenti non sarebbero state tanto leggere, riempite solo da parole e al massimo qualche trucco.
 
Fu così che i secondi, minuti e ore si susseguirono quasi immersi nell'estremo silenzio, interrotto solo dalle lamentele della fanciulla. Alice accennava qualche frase per cercare di riempire il tempo, mentre con le mani armeggiava dentro la sua valigia metallica.
Ci fu un momento in cui la tensione in Isabella prese il sopravvento.
<< Potresti aprire gli occhi per favore? Devo metterti la matita e il mascara! Se li tieni chiusi non lo riesco a fare. >> le chiese gentilmente, provando a mettere da parte la sua professionalità per lasciare spazio alla sensibilità che quel momento richiedeva.
<< No.. >> sussurrò come risposta.
<< Dai. Perché non li vuoi aprire? Sono sicura che sono fantastici malgrado non ti permettano di vedere. >> provò a convincerla.
<< No, ti sbagli >> concluse, tentando di frenare quelle parole che cercavano uno sfogo. << Non sono per niente belli come dici tu.. >> alla fine si arrese. << Mia madre ci è rimasta scioccata l'ultima volta.. >> le confessò.
<< Non dire stupidate! Aprili e giuro che non dirò niente a riguardo. >>
Dopo anni, quegli occhi si riaprirono in presenza di qualcuno. Il buio divenne più chiaro, anche se solo un occhio ben allenato avrebbe potuto notare la differenza.
Appena le fu possibile richiudere le palpebre lo fece con piacere, ritrovando tranquillità.
Appena il trucco fu finito e che anche i capelli furono sistemati, la fece alzare. Le diede in mano un vestito leggero, ma che l'avrebbe tenuta al caldo durante la fredda serata.
<< Ma Alice. Questo non è un mio vestito.. >> le fece notare.
<< Lo so. Mettitelo, su. >> le disse senza possibilità di replica.
 
<< Entra Edward. Devi aspettare proprio un attimo, ma ti devi fidare: è bellissima. >> lo accompagnò all'interno. Non aveva mai visto suo fratello vestito in modo così elegante. Il profumo di dopobarba si disperdeva nell'aria, sorprendendola: non era possibile.
<< Lo era anche prima. >> sussurrò lui a mala pena, tant'è che fece fatica a sentirlo << Chissà cosa le hai fatto passare >> la schernì infine con voce più forte.
Non passò molto che Isabella scese la scalinata. Un abito completamente nero, se fatta eccezione per quei candidi disegni che partivano nella zone del busto, l'avvolgeva, rendendola agli occhi di entrambi magnifica.
Al giovane parve più come una benedizione divina che una persona in se, segnata dalla sfortuna ma di una bellezza che derivava proprio dalla sua innata capacità di resistere, di avere quel coraggio che a lui era sempre mancato.
 
<< Sei sicura che i tuoi ti lascino uscire? >> chiese conferma Edward, ancora incredulo e nervoso. Si erano accomodati nella sua Volvo per fortuna, così il giovane poteva stringere il volante, scaricando quella tensione che lo opprimeva e lo rallegrava simultaneamente.
<< Si, mi sono sembrati anche contenti >> lo rassicurò, tornando inevitabilmente col pensiero a qualche giorno prima.
Il rombo del motore riempì l'aria accompagnando Isabella nei ricordi.
 
<< Mamma, domani sera posso uscire? Mi hanno invitato. >> provò dopo mangiato, quasi sicura che i suoi genitori accettassero con quel disinteresse comune o che rifiutassero la sua richiesta categoricamente.
<< Con chi? >> fu la risposta di Renèe.
<< Con un ragazzo.. >> le confessò non riuscendo a reprimere la verità, cercando di dimostrare ai suoi che malgrado tutto lei era riuscita ad avere una vita "normale" , che ce l'aveva fatta, che lei era forte e voleva che le fosse riconosciuto.
Ci fu un attimo di tensione che si smorzò all'improvviso. La ragazza si aspettava una risposta secca, si o no, ma quella non era una giornata ordinaria.
<< Ti piace? Intendo, vorresti stare con lui? >>
Isabella si sbalordì, quella situazione non poteva aspettarsela. Cosa stava succedendo? Era così felice e le gambe le tremavano, ma era ancora incerta se dire tutto o lasciare perdere, come loro avevano fatto con lei.
<< Si o no mamma? >> le disse infine secca, senza sentimento, infrangendo la sua solita calma.
<< Si >> e con quella sillaba si concluse tutto, facendo ritornare la famiglia in quel silenzio vuoto. Il senso di colpa ormai riempiva quelle mura dove i rapporti erano stati interrotti dalla paura dell'ignoto, delle difficoltà. Ormai era però difficile riuscire a sistemare ciò che in passato era stato sbagliato, qualcuno sarebbe dovuto uscire dal suo solito schema. La rassegnazione regnava sovrana.
 
Ella si riprese dal suo vagabondare nei ricordi al suono della voce di Edward che la informava del loro arrivo. Il sorriso tornò a farle risplendere il volto incupito dai pensieri che le avevano attraversato la mente: avrebbe mai confessato a quel ragazzo, che le stava prendendo la mano, la verità sulla sua famiglia?
 
Intanto a casa Cullen una figura suonò al campanello. Finalmente era arrivata dopo ore di viaggio, era elettrizzata dall'avere la possibilità di rivedere il suo compagno di scorribande e bevute, colui che tutte volevano ma che era convita di aver conquistato.
Dopo poco l'uscio si aprì rivelando la figura di Alice, appena tornata dalla casa dell'amica.
<< Ah, Tanya. Che ci fai qui? >> le domandò subito, senza nemmeno salutarla.
<< Sono qui per vedere il mio Edward. Dov'è? >> quasi gridò con quella voce così acuta. La sorella dell'interessato cercò di mantenere la calma, provando ad accettare il fatto che quella che pensava di aver visto per l'ultima volta mesi orsono, avesse irrotto nella sua nuova bolla di tranquillità.
<< Non c'è, è uscito. >> la informò provando a chiudere la porta. Una decollete  rosso fiammante la bloccò.
La bionda entrò con fare indifferente, salendo le scale con sfida verso Alice che le urlava di fermarsi. Aprì le porte un po' a caso, trovando infine quella che era probabile appartenere ad Edward. C'erano alcuni suoi vecchi vestiti e qualche poster, ma soprattutto il suo profumo riempiva la stanza. Lui non c'era, ma sullo schermo di un portatile un piccolo post-it risaltava.
"Ore 20.15 a "La Fenice Bianca", chiedere conferma per sorpresa". Di seguito vi erano annotate le indicazioni stradali ed il numero del ristorante: ora sapeva dove andare.
 

*Angolino del manicomio dell'autrice*
(che chiede umilmente perdono)
 

Buongiorno a tutti!
Mi devo assolutamente scusare per questo ritardo, mi sento in colpa in una maniera paradossale. Non mi sono sentita bene e ho accantonato il capitolo, lasciandovi in sospeso per un giorno. Scusate!
Spero di avere rimediato in qualche modo, qualche piccola domanda è stata risolta mentre altre cento ne sono scomparse.
Un bacio a tutte voi, che leggete o recensite, se non entrambe le cose!
Alla prossima!
Eriky
 

AVVISO

Si sono ancora qui, ma ho un avviso importante. A causa di un viaggio in Russia, durante la settimana compresa tra il 24 giugno fino al 30, non potrò scrivere capitoli e di conseguenza pubblicarne. Mi dispiace lasciarvi, vi voglio bene, ma sarete ripagate per la vostra pazienza, promesso.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


*Angolino del manicomio dell'autrice*
Ho scritto all'inizio, dovete preoccuparvi
 

Buongiorno a tutti!
Ormai sta diventando una routine.. e credo che ancora per un piccolo periodo sarà così, anche se mi dispiace ammetterlo.
Non mi dilungo molto, solo mi scuso verso chi ha recensito e non ha ancora ricevuto una risposta.. Non so come chiedere perdono!
Vi ringrazio tutti incondizionatamente e buona estate! Ci rivediamo tra due settimane!
Un bacio e ancora grazie
Eriky
 

Capitolo 15
 
Tutto è portato ad avere una fine, questo Edward lo sapeva bene; l'unica cosa di cui non sospettava era che le sue bugie sarebbero crollate proprio nella scena centrale, dove finalmente avrebbe potuto capire da che parte voleva stare, così da abbandonare le sue fandonie. Peccato che la vita avesse urgenza di dare un taglio a quella situazione precaria.
 
Avevano mangiato bene, su questo nessuno avrebbe potuto discutere, ma la compagnia di quella ragazza era stata essenziale per rendere quella serata maledettamente fantastica. Di cosa avessero parlato, nessuno dei due se lo ricordava precisamente, ma da quel tavolo non avrebbero voluto allontanarsi.
<< Ti va di andare a fare un giro? >> le chiese infine lui dopo un po' di titubanza.
<< Si, mi va benissimo. >> gli rispose lei mentre le guance le si facevano sempre più colorate dall'emozione.
La prese per mano e poi a braccetto, accompagnandola verso l'uscita. Pagò e poco dopo si ritrovarono nel parcheggio: una Ferrari blu elettrico era lì ad aspettarli.
 
Nel sedile Tanya si muoveva inquieta, ancora incerta se entrare o attendere il suo amico all'esterno. Quando lo vide comparire davanti a se, vestito elegante e con una ragazza al seguito, le sembrò un fantastico sogno misto al peggiore dei suoi incubi.
Aprì la portiera, uscì e cominciò a seguirli, provando a scrutare attraverso la notte la figura della sua accompagnatrice. Era certa della sua superiorità, perciò era sicura che quella ragazza potesse essere sostituita da lei in persona con una certa facilità.
Li vide parlare a bassa voce per poi dirigersi verso la Volvo che con piacere ricordava. Quell'automobile ne aveva passate molte, era stata spettatrice di risa e di risse, di quell'Edward di cui tutte si erano innamorate.
 
<< Ciao Edward! Guarda chi si rivede! >> un trillo acuto irruppe nella bolla di tranquillità con cui si erano circondati, facendo scattare la paura nel giovane. Non riusciva a capacitarsi della sua presenza in quel luogo, soprattutto sul come avesse fatto a trovarlo. Si accorse di come fosse stato sciocco a lasciare quegli appunti lì, così visibili, anche se a dir il vero la comparsa di Tanya era alquanto improbabile.
Non ci mise molto a comprendere la grave situazione in cui si trovava, i suoi mondi ormai si stavano scontrando fuori da lui, nella realtà, luogo che non era certamente in grado di controllare. Isabella non avrebbe accettato la nuova arrivata, come quest'ultima non si sarebbe risparmiata nei riguardi della fanciulla: ciò che da anni si era solo svolto nella sua mente era finalmente venuto a galla.
Sentì la presa sul suo braccio stringersi. Era ovvio che anche lei avesse paura di quella ragazza apparsa dal nulla, di cui non conosceva niente.
<< Ciao Tanya, come mai qui? >> la salutò infine. Il rumore dei tacchi che si appoggiavano all'asfalto si faceva sempre più vicino.
<< Ho pensato di venire a farti visita. Sono andata a casa tua e tua sorella mi ha accolto calorosamente, aiutandomi a capire dove eri: perciò eccomi qui >> era ben evidente la bugia ad entrambi, ma Isabella si sentì trafiggere da quelle false parole essendo all'oscuro della verità. Alice le sembrava una persona così gentile e riservata da non poter far entrare una totale sconosciuta in casa propria, così non poté fare a meno di collegare la nuova arrivata a un livello più  alto del suo: Tanya, così le sembrava si chiamasse, era più vicina alla famiglia di quanto lei potesse immaginare.
 
<< Adesso però, come puoi vedere, non posso fermarmi a parlare. >> tagliò corto Edward, lasciandola basita. Non era mai stata rifiutata da lui, era sempre stata messa al primo posto da quel ragazzo che le si trovava davanti, abbracciato a quella che non era altro che una ragazzotta molto fortunata a stare al suo fianco, ma che si sarebbe presto pentita di essere finita sulla sua strada.
<< Ah ok, ti lascio con questa qui allora. >> la guardò bene in volto e non poté fare a meno di notare i suoi occhi perennemente chiusi e ricominciò l'attacco << Mi puoi fare il favore di aprire quegli occhietti? Mi da fastidio parlare con una che dorme. >> la schernì.
Isabella prese tutto il coraggio che ristagnava in lei e provò a ribattere, lasciando il suo accompagnatore nel silenzio. << Non sto dormendo, non posso aprire gli occhi. Sono semplicemente cieca e se questo è un problema sono affari tuoi. >> si sorprese di se stessa.
Tanya restò stupita, ma prima di andarsene non poteva lasciare quella piccola insolente impunita.
<< Il problema non è mio, è solo del nostro Edward. Chissà che reputazione avrai andando in giro con una non vedente, questo posto ti fa veramente male ragazzo mio. >> gli disse con tono dispiaciuto, come se uscire con quella ragazza segnata dalla sfortuna fosse una vera condanna.
Lo salutò e poi scompari. Il rombo di un motore segnò la sua definitiva scomparsa.
<< Voglio tornare a casa >> esordì Isabella con voce tremolante dopo un infinito silenzio. Il giovane non ribatté e l'accompagnò in auto, conscio di avere sbagliato a lasciare che la sua vecchia compagna di scorribande riuscisse a stare con loro per tanto tempo.
 
Dopo poco si ritrovarono davanti a casa della ragazza. La finestra del salotto era illuminata dall'interno, mentre tutto il resto dell'abitazione era immerso nell'oscurità.
Lui le aprì la portiera e l'accompagnò nella veranda.
<< Ciao, ho passato una bella serata >> la salutò, provando ad avvicinare il viso al suo, provando a lasciare tutti i suoi pensieri da parte.
Una mano gli si posò poco gentilmente sulle labbra, allontanandolo. Egli aprì gli occhi e solo averla scrutata bene notò una piccola goccia solitaria risplendere sulla sua guancia.
Alzò una mano per asciugarla ma venne nuovamente fermato.
Isabella non attese una sua domanda esplicita per rispondere ai quesiti, che era sicura, cominciassero a formarsi nella sua mente.
<< Non ti vergognavi di stare con me? Non sono per caso qualcosa da nascondere al mondo? Cosa vuoi da me? >> fece una pausa prima che la rabbia mista a rassegnazione spingesse fuori le sue lacrime << Avevi detto che avresti dimostrato le tue parole, invece ti sei limitato a fare i fatti quando nessuno poteva vederti. Me ne sono accorta, sono cieca ma non stupida. Hai fallito Edward, vattene. >> e con ciò si volse, provando a trattenere la tristezza che quel bugiardo non meritava di aver provocato.
<< Aspetta, posso spiegare.. >> la prese per il polso e la volse verso di lui. Nel buio della notte riuscì a scrutare i suoi occhi finalmente aperti, lucidi. Per un secondo si concentrò sul colore scuro di quelle iridi, per poi accorgersi che fossero circondate da uno strano alone rossastro. Non fu quello che più lo colpì. La delusione e la rabbia che quegl'occhi esprimevano gli fecero mollare la presa. Aveva sognato di assistere al compimento del suo desiderio in un giorno di sole, quando avrebbe potuto cogliere ogni dettaglio, compiaciuto di poter notare la felicità con cui essi avrebbero potuto brillare.
 
Ella corse all'interno, sbattendo la porta alle spalle. Finalmente poteva dare sfogo a tutto ciò che le opprimeva il cuore.
Fuori il ragazzo si sentiva perso, senza posto dove andare. Aveva capito troppo tardi cosa aveva messo in gioco e di conseguenza cosa aveva perso.
-Torna dai tuoi amici per consolarti, dai fallo. Non hai per caso scelto loro? Si schernì internamente con la malinconia che lo opprimeva. Era arrabbiato, non con Tanya o qualcun altro, ma con se stesso. Stupido, egoista e infantile. Ormai era un uomo e si rifugiava ancora nelle scelte che aveva fatto da bambino e come tale avrebbe voluto correre dalla mamma e chiedere perdono, consiglio e dopo una decina di minuti aver dimenticato tutto.
L'aveva combinata grossa e doveva risolvere distruggendo tutto ciò che aveva creato: il tempo delle bugie era finito da un pezzo, ma sperava che non fosse troppo tardi. Che fosse solo una speranza inutile?
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


*Angolino del manicomio dell'autrice*
(voi mi vorreste all'obitorio, lo so)
 

Buonasera a tutti voi!
Lo so, mi dovrei rintanare nelle fogne per questo ritardo, ma per lo stato in cui l'influenza mi aveva messo, dovevo stare a distanza dal pc con le buone o con le cattive. Perciò, come farmi perdonare se non con un mio "bel" capitolo per voi? È qui, pronto per essere letto. È veramente scritto col cuore, ma penso che capirete andando avanti.
Vi devo ringraziare per aver avuto pazienza per questa mia assenza, stavo molto male al pensiero di non aver mantenuto la promessa e di non essere riuscita a rispondere alle vostre splendide recensioni!
Ancora un grande grazie, un bacio e un abbraccio!
Eriky
 

Capitolo 16
 
Il vento le soffiava contro, ma sarebbe stato troppo semplice se i suoi brividi fossero dovuti solo al freddo della notte. Isabella era seduta vicino alla finestra spalancata della sua camera, incurante della tempesta ormai imminente.
Le veniva quasi da ridere al pensiero che la natura, che era sicura la odiasse, sembrasse partecipare al suo dolore. Quando era uscita non si era accorta dell'umidità dell'aria, del silenzio che la circondava, troppo presa da una bugia fatta a persona.
 
Una goccia di pioggia le cadde sulla caviglia mentre un'altra, molto più salata, le scese dal viso. Si maledisse tante volte, era inutile che piangesse su ciò che era successo, alla fine se lo sarebbe dovuto aspettare. Quella felicità che aveva provato in quei pochi attimi, dove si sentiva viva dopo anni di semplice esistenza, era un piccolo regalo che la vita le aveva fatto, tanto per non farla decidere definitivamente di provare la sensazione di volare, buttandosi da una finestra o quant'altro. Non era bello pensare al suicidio, ne era ben cosciente, ma era un modo semplice per mettere la parola "fine" a quella fiaba uscita male, quella dove il lieto fine non era permesso.
Pensando alla morte non poté fare a meno di ricordare sua nonna, compagna di avventure immaginarie. Avrebbe pagato con qualsiasi cosa la possibilità di poterla riavere con se, anche solo per un giorno o per un'ora. Avrebbe potuto chiederle consiglio, implorare aiuto e probabilmente lei le avrebbe sorriso cominciando a parlare, facendola venir fuori da quella situazione. Ma quella era semplice fantasia, tutto ciò non era possibile. Lei viveva nella realtà, dove le verità venivano sbattute in faccia con poca gentilezza, dove non avevi il lusso di sbagliare ed uscirne illeso, dove ogni errore aveva un prezzo.
 
Appoggiò la testa contro il muro e cadde in una sorta di trans, mentre la pioggia ormai imperversava. Era destinata a durare tutta notte, ma lei non si mosse di un millimetro, ben cosciente di potersi ammalare. In verità si crogiolava nell'idea di poter stare a casa, nel suo letto caldo, al riparo dallo sguardo di quel ragazzo e soprattutto dai propri ricordi.
 
<< Isabella >> si sentì chiamare dalla voce di sua madre al di là della porta. Non avvertiva le forze necessarie per poter andare ad aprire e ancora meno per poterle rispondere.
<< Isabella? >> riprovò la madre, questa volta aprendo la porta della camera. << Sono venuta a vedere se avevi chiuso la.. >> ma non riuscì a finire la frase. La flebile luce della notte illuminava a mala pena il volto pallido della figlia ancora dormiente, con i vestiti fradici.
La madre le corse subito vicino, usando le ultime forze per portare al riparo della tempesta la giovane. Andò in bagno e recuperò un grosso telo di spugna, per poi coprirla, nel vano tentativo di scaldarla: nella peggiore delle ipotesi poteva già essere in ipotermia.
Attese che riprendesse un po' di calore prima di cercare risposte a quei mille quesiti che le attraversavano la mente. Era quasi sicura che si trattasse di quel ragazzo di cui era riuscita ad avere qualche misera informazione. In fondo che pretendeva di sapere da una persona che aveva abbandonato al proprio destino.. Perciò, in fin dei conti, anche quello era da associare ad una propria colpa, come tutto il resto che era capitato alla sua bambina.
 
<< Come mai ti è saltata in mente di fare una cosa del genere? >> le chiese, provando a reprimere la rabbia per non essersi accorta della situazione in cui versava la sua piccola quando l'aveva vista nel salotto, dopo il suo rientro. L'aveva seguita con lo sguardo mentre scappava in camera sua, eppure come avrebbe potuto immaginare cosa stesse tramando. "È ovvio che non potevi saperlo" parlò una vocina nella sua testa, con timbro più acido e malvagio del solito "tu non la conosci nemmeno come la conoscerebbe normalmente un'amica". Parole non furono mai così veritiere e funeste per Renèe.
<< Lasciami stare >> le chiese rudemente, addolcendosi poi << ti prego mamma.. >>
<< Non puoi stare sotto la pioggia battente e poi liquidarmi così, pretendo delle immediate spiegazioni >> le impose con decisione, aiutata dalla stanchezza portata dal giorno che era passato.
<< Ah.. >> sospirò Isabella, faticando a tenere nascoste quelle parole di cui si sarebbe pentita una volta lucida, ma che avevano trovato una via di fuga nella stanchezza che quell'ultimo colpo al cuore le aveva provocato. << Sarebbe bello se potessi avere anch'io delle spiegazioni.. Sai, di quelle che possono farmi capire perché da quando non ci vedo più, è scomparsa anche la vostra presenza, insieme alla vostra immagine. >>
Nell'intimo sapeva di aver arrecato un grande colpo a sua madre, la donna che le aveva donato la vita, seppur non l'aiuto per viverla. Un rudimentale sistema di sopravvivenza era scattato in lei, portandola finalmente a mettersi davanti agli altri, forse anche solo per una sera. Nessuno si era mai preoccupato per lei per più di una rapida, fugace occasione, neppure Isabella stessa. Ciò che la mandava avanti era l'istinto perché della volontà di resistere era restato ben poco, consumata da anni di colpi, cicatrici ed insulti, da anni di solitudine e depressione; un solo e singolo individuo le aveva definitivamente consumato le scorse, illudendola e facendola ricredere nei sogni, per poi portarle via tutto e lasciandola povera di speranze.
<< Cosa intendi? >> domandò la madre, intimamente sapendo che cosa volesse venire a conoscenza la figlia, ma sperando che si riferisse ad altro, qualsiasi argomento tranne a quello di cui si vergognava di più, dove i risentimenti più profondi avevano messo radici.
<< Lo sai benissimo cosa intendo. Intendo la cosa che forse ha dato l'inizio alla decadenza della mia esistenza, che mi ha fatto crescere presto, troppo, facendomi affrontare un mondo che non mi accetta e che non mi appartiene, mamma. >> la voce cominciò a diventare più acuta, mentre i primi singhiozzi ripresero a scuoterle il corpo. Era la prima volta che si sfogava davanti a qualcuno in generale. Avrebbe tanto voluto, in un sprazzo di lucidità, poter controllare le sue parole per ferire il meno possibile la donna che le era seduta davanti, sul letto. Era silenziosa, forse troppo, ed era così arrendevole che non poté fare a meno di immaginarla a capo chino, come  un condannato colpevole pronto a saggiare la lama del boia. << Un mondo dove ogni bambino veniva obbligato dalla madre a starmi vicino e loro trovavano mille altre ragioni per non dover subire la mia vicinanza. Mi dicevano che ero brutta, che puzzavo, che ero antipatica e che ero così cattiva da meritarmi la mia solitudine: da quando essere ciechi e bisognosi d'affetto è una cattiveria, mamma? >> ripeté ancora l'appellativo di Renèe, quasi ad usarlo come un'ancora di salvezza da quel disperato mare di ricordi costantemente in tempesta. << Poi tornavo a casa, felice di poter finalmente incontrare braccia che mi volevano, braccia calde in  cui rifugiarmi. Ogni tanto, quando il tempo lo permetteva e tu non eri impegnata al lavoro, mi portavi a prendere una cioccolata con tanta panna montata e la granella colorata. Quando ci vedevo ancora lasciavo fuori sempre i pezzetti rossi perché dicevo che li avrebbe voluti la nonna. Tu sorridevi e mi accarezzavi la testa, prendendo un fazzoletto e mettendoli via, promettendo di portaglieli in cielo. >> prese un respiro prima di concludere il più grande dialogo che avesse mai avuto con sua madre << Ma poi, col passare del tempo, il tuo spazio per me venne sempre meno, lasciando di quei nostri pomeriggi solo un vago ricordo. Anche papà smise di occuparsi  di me e cominciò a starti sempre dietro, badando a te come se fossi tu la vera bambina da crescere. Ah, mamma, che figlia ingrata che ti ritrovi. Mi hai dato vita, cibo e casa, e io ti rinfaccio di avermi lasciata da sola contro il mondo, che tra l'altro mi detesta. Ma ora veramente basta, dimmi cosa ti dovrei spiegare.. Perché mi sarei dovuta mettere seduta davanti alla finestra aperta, in attesa della tempesta, mentre un altro tassello delle mie sventure aumentava il peso sulle mie spalle? Perché mai cercare di ammalarmi così da poter restare a casa, al sicuro, dove teoricamente nessuno sconosciuto può entrare.. Anche se, in realtà, mi trattate quasi come tale. Perché c'è una sconosciuta in casa, mamma? >> 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


*Angolino del manicomio dell'autrice*

 
Buongiorno a tutti!
Mi sorprendo anch'io del piccolo anticipo che sono riuscita a compiere! Questo capitolo era atteso e io mi sono messa al lavoro per completare prima!
Vi lascio subito alla lettura, non prima di avervi ringraziato tutti per leggere o per recensire: mi fate felice.
Un grande abbraccio
Eriky

 
Capitolo 17
 
<< Come mai c'è una sconosciuta in casa nostra, mamma? >> ripeté ancora Isabella con le lacrime che ormai scendevano copiose sulle sue guancie, mentre la sua voce diventava sempre più acuta, tormentata, spronata da quel grido interno di assoluta disperazione. Probabilmente non aveva mai versato così tante lacrime in vita sua. Per tristezza, per delusione e addirittura per rabbia, ma alla fine poco importava: dopo anni dominati dalla omertà, finalmente tutto stava venendo a galla. Le cose sarebbero cambiate, in meglio o in peggio, l'importante era che vi fosse questa rivoluzione. La ragazza si sentiva indistruttibile poiché ormai niente si poteva più rompere dentro di lei.
 
A differenza della figlia, il cuore di Renèe era pronto a frantumarsi in migliaia di pezzi, ancora una volta. Come poter tirare fuori ciò che sarebbe dovuto rimaner segreto rinchiuso nella vergogna, senza far crollare tutte le bugie che vi aveva costruito sopra?
 
<< Hai ragione piccola mia, hai perfettamente ragione. >> disse la donna tirando su con il naso mentre anche i suoi  occhi cominciavano a diventare lucidi << Come mai ho il diritto di restarmene in questa casa, malgrado non mi possa più definire tua madre? >>
 
Questa non era ciò che Isabella si aspettava. Attendeva altre domande riguardo il suo strano comportamento, ma una resa così veloce.. Le fu facile capire che non era l'unica che ormai aveva abbandonato le briglie dei propri dolori dopo anni di vani tentativi per non farli sfuggire.
 
<< Perché lo hai fatto? >>  incalzò con una finta tranquillità la giovane sentendo già il peso delle confessioni posarsi sulle sue spalle.
<< Mi sembra giusto che tu lo voglia sapere, in fondo è un tuo diritto. >> prese ancora tempo prima di iniziare quello sfogo che non avrebbe dimenticato tanto presto. Un grosso respiro le fece alzare il petto e poi quest'ultimo uscì con grande calma, dopodiché Renèe incominciò a parlare.
 
<<  Poco prima che tu compissi 6 anni, cominciasti a dirmi che dall'occhio destro non vedevi più tanto bene, che i colori si mischiavano tra loro e che riuscivi solo a distinguere le luci e le ombre. Io avevo dato tutto ciò per scontato e ti rassicuravo promettendoti che non era assolutamente niente, che si sarebbe risolto tutto. Suoi tuoi occhi non una traccia di cataratta o dettagli simili che mi potevano far pensare a una vera e propria malattia. >> sospirò al ricordo di quella bambina dai capelli castani che le tirava la gonna, preoccupata, mentre lei lavava i piatti in quel mezzogiorno d'estate. Cosa avrebbe fatto per tornare indietro.
 
<< Poi  mi riferisti che anche l'altro occhio cominciava ad accusare gli stessi problemi ed io iniziai ad arrabbiarmi per le tue bugie. Eravamo così giovani, io e tuo padre, che non potevamo comprendere che tu, una bambina così intelligente e solare, dicevi il vero. Lo capimmo quando cominciasti a sbattere ovunque e i lividi presero posto fisso sulle tue ginocchia e sulla fronte. Che stupidi genitori che hai avuto, di peggiori non potevano capitarti. >> e dopo queste parole si concesse un momento di tenerezza, accarezzando la guancia della figlia con delicatezza, quasi fosse la bambola di porcellana più fragile al mondo, pronta a spezzarsi al minimo filo di vento, ma che in realtà aveva sopportato una guerra.
 
<< Passarono mesi, quasi un anno, prima che i pediatri capissero che il tuo corpo riconosceva a stento la Vitamina A, mi pare, e per non compromettere la tua crescita questa veniva sottratta ai tuoi occhi, rovinando la retina. Ci diedero la cura quando ormai tu eri cieca e potemmo solo aiutarti negli ultimi anni dello sviluppo. Poi, come se niente fosse, tutto si risistemò, lasciando dietro di se i tuoi occhi arrossati e non funzionanti; ma in fondo tu sai quello che ti sto dicendo meglio di me. >> le disse infine passandosi la mano destra tra i capelli. Quella discussione era la più significativa che avesse mai affrontato e, contemporaneamente, la più difficoltosa. Nemmeno quando era giovane e le si proponeva un esame difficile da superare, ricordava tanta ansia e soggezione.
 
<< Ora penso che io ti debba dire ciò che tu non sai.. >> riprese facendosi coraggio. Isabella annuì visibilmente e Renèe dovette arrivare al cuore del problema.
<< Quando scoprimmo che non era possibile fornirti alcuna cura per farti tornare vedente, al di fuori di un'operazione per la quale ti consideravano troppo piccola, io andai in depressione. Non riuscivo più a considerarmi una vera madre, incapace di comprendere le necessità della mia unica figlia. Ero io che ti avevo dato della bugiarda ed era sempre colpa mia se ti avevo obbligato a una vita difficile. Certe volte ringraziavo il cielo per la tua cecità, in fondo non potevi vedere tua madre mentre si riduceva a niente più di uno scheletro. Tuo padre dovette starmi sempre accanto per incoraggiarmi a non mollare del tutto, per farmi ricominciare a vivere; intanto tu diventavi grande e mi perdevo sempre più della tua vita. >> fece una lunga pausa. Ormai le lacrime scendevano abbondanti e la vergogna, per non essere riuscita a sopportare il peso di una tale disavventura, le stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa. Si sarebbe nascosta nell'angolo più remoto della Terra per sfuggire alla verità dei fatti, ma tutto ciò non le avrebbe permesso di dimenticare sua figlia, anche se a tutto il mondo e a una parte di lei, così sarebbe sembrato.
 
<< Vedi, Isabella >> riprese tra un sospiro e l'altro << Tutto ciò ti potrebbe indurre a pensare che tuo padre e soprattutto io, ti avessimo riposto in un piano inferiore rispetto al nostro benessere. Anche se è difficile ti prego, non permettere che queste idee ti sfiorino la mente. Quelle litigate mattiniere, che so che tu sentivi, erano quei miei sfoghi che non ero capace di controllare. So che ti facevano male, so che la nostra mancanza di affetto è difficile da capire malgrado le mie spiegazioni, so che saremmo da bandire come genitori. Ti prego solo di non dare la colpa a tuo padre di tutto ciò, ma a me, vera colpevole: per lui sei la cosa più importante di questo mondo. Non ti dimostra grande affetto perché ha paura che tu lo respinga, perché sa di non esserci stato per entrambe. >> si fermò, cercando di mantenere un determinato contegno e frenare quella voglia di abbracciare sua figlia: se avesse tentato e lei l'avesse rifiutata, sarebbe stato un grosso colpo, troppo difficile da sopportare.
 
<< Adesso che sai a grandi linee ciò che mi tormenta, puoi chiedermi qualsiasi cosa. >> le propose e attese pazientemente un'altra pugnalata. La sua bambina era così intelligente che non ci avrebbe messo molto a trovare un'altra crepa, un altro dettaglio da cui poter far trapelare nuovi fiumi di rimpianti.
 
<< Oltre all'operazione, non c'è altro rimedio per questo mio stato? >> chiese prudente Isabella, con la voce tremante, timorosa delle sue stesse parole.
 
<< No, era troppo tardi. >> ammise << Ma se vuoi potremo racimolare i soldi necessari e ridarti la vista, se è ciò che vuoi.. >> le propose con un piccolo barlume di speranza per la figlia negli occhi.
 
La ragazza ci pensò: era la prima possibilità di uscire da quell'inferno che le si proponeva. Avrebbe potuto rivedere i colori, la luce, tutto ciò che la circondava. Ci pensò bene, poi, si aiutò con le braccia per spostarsi sul letto. Si avvicinò alla madre e allungò le mani davanti a se, in cerca della sua figura. Appena le sfiorò i capelli le si accostò ancora di più, stringendola in un abbraccio, allo scopo di consolarle entrambe.
Si scostò leggermente dopo una decina di minuti, o forse dopo un'eternità, e le sussurrò dolcemente all'orecchio la risposta << Grazie mamma dell'offerta, ma la mia risposta è semplicemente no. Questo dettaglio mi ha reso più forte, più indipendente, più saggia. E' ciò che mi distingue dal resto dal mondo ed è ciò che mi rende in un certo modo speciale. Mi ha fatto soffrire, lo ammetto, ma senza tutto ciò non saremmo potuti crescere insieme. Ora l'importante è ricominciare con il piede giusto o almeno provarci. Potremo litigare per motivi normali e divertici come facevamo un tempo. Mi dispiace che tu sia stata male per me, tutto ciò mi dimostra che non mi odiavi, ma che mi amavi così tanto da prenderti le colpe di ciò che mi è capitato. >> fece un sospiro, le si riavvicinò e ammise per la prima volta << ti voglio bene, mamma >>
 
Il sorriso più vero di sempre illuminò il volto di Renèe che non seppe trattenersi e scoppio in un nuovo pianto, insieme alla figlia, ma per la prima volta non di tristezza: erano felici di essersi ritrovate.
Dopo poco dei passi indicarono l'arrivo di Charlie, insospettito per la lunga assenza della moglie che se ne era andata solo per chiudere una finestra. Ciò che l'uomo si trovò davanti lo lasciò stupito: quello che aveva tanto desiderato si era compiuto. Si avvicinò alle sue due donne, ancora strette l'una e all'altra, e le strinse a sua volta. Si sentiva un po' un infiltrato, lui non aveva affrontato la verità con la sua piccola, ma avrebbero sofferto tutti se la famiglia non si fosse ritrovata intera in quella piccola camera.
 
Un esterno non avrebbe potuto notare alcun cambiamento in quell'abitazione: nessuna ritinteggiatura, nessun mobile nuovo, nessun lavoro interno. Chi invece, in quella casa ci abitava da anni, il giorno dopo notò con piacere quel piccolo sollievo che aleggiava nell'ambiente: quelle stanze non erano più così fredde, nessuno era più così solo.

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Di quelle tempeste che avevano caratterizzato i giorni passati era restato solo il ricordo, Forks poteva godere di quei rari momenti di sole.
Malgrado le sue speranze, Isabella era stata svegliata da un flebile raggio di sole che era andato ad illuminarle il volto, e mentre prendeva sempre più contatto con la realtà si accorgeva che il suo corpo rispondeva pienamente ai suoi comandi, senza lamentare alcun dolore.
Si mise seduta, cercando anche un minimo sintomo da poter dimostrare una qualsiasi malattia. Il giorno precedente era restata a letto per la maggior parte del tempo, percependo un leggero mal di testa che voleva andasse peggiorando.
Decise di andare in cucina sconsolata, maledicendo il destino e i suoi piani.
Sua madre la salutò calorosamente, andandole in contro e depositandole un dolce bacio sulla guancia. La ragazza si sorprese, non era ancora abituata a quelle attenzioni.
 
<< Allora come stai? >> le fu chiesto.
<< Bene.. >> rispose lei cercando di imitare una voce roca e subito dopo simulando un forte colpo di tosse.
Renèe la osservò attentamente, capendo sin da subito la sua finzione. Anche se si dimostrava malata, la precisione dei suoi gesti era un inconfondibile segno della sua buona salute.
<< Isabella, perché non vuoi andare a scuola? >> le domandò la madre dopo una decina di minuti in tono più serio, facendo intravedere il sospetto nei suoi confronti.
<< Perché sto male mamma >> le disse sinceramente, riferendosi a un male che nessuna medicina poteva curare e che si celava ancora prepotente nel suo cuore.
 
Si sentì appoggiare una mano vellutata sulla fronte e poi un rumore di boccette di vetro che tintinnano una contro l'altra. Infine un suono tonfo davanti a lei la riscosse da quel leggero torpore che l'aveva circondata, lasciandola in balia dei suoi pensieri, dei suoi ricordi.
 
<< Non hai la febbre, qui davanti a te c'è uno sciroppo per quella possibile tosse, ma per ciò che ti opprime veramente non ho niente finché non me ne parli >> concluse gentilmente appoggiandole  una mano sulla spalla.
 
La giovane si sentì titubante a raccontare la sua storia a colei che aveva appena smesso di essere una sconosciuta; poi quell'istinto di conservazione prese ancora il sopravvento, valutando l'ipotesi di sfogarsi come aveva già fatto con quella persona che le sedeva vicino, non più di due giorni addietro.
<< È per colpa di Edward, ho paura di poterlo incontrare, che mi voglia parlare >> iniziò così il suo racconto. Riuscì in pochissimo tempo a riassumere ciò che le era capitato, i suoi dubbi e, con imbarazzo, le sue sensazioni. Espresse con enfasi i momenti felici che le avevano fatta gioire e quelli che l'avevano costretta su quella finestra aperta.
 
<< Ascoltami bene, te lo dirò una sola volta >> intervenne Renèe dopo aver ascoltato pazientemente la sua storia, con fare deciso << non fare il mio errore, non fatti vincere dalla paura. Se ti vuole parlare bene, farglielo fare davanti agli studenti della scuola. Se non avrete più occasione di incontrarvi va bene lo stesso, è stato un errore da cui imparare. >> fece una pausa e poi concluse << ora ti accompagno a scuola. Coraggio, ce la farai. >>
 
Detto ciò l'aiutò a preparasi e l'accompagnò in macchina. Nell'abitacolo regnava il silenzio, ma per la prima volta non era dovuto all'imbarazzo, quella quiete serviva a Isabella per preparasi psicologicamente per la scuola. C'erano ricordi tra quelle pareti, ricordi pronti a saltarle addosso e ferirla. Poi c'era lui, più che probabilmente, che non avrebbe perso l'occasione di poterla schernire con i suoi amici.
 
Quello che nessuno poteva sospettare era che invece Edward aveva avuto lo stesso impellente desiderio di saltare la scuola, proprio come lei.
Cosa fare se l'avesse vista, come comportarsi se aveva messo in giro il racconto di loro due, modificando dettagli compromettenti? Poi, approfondendo meglio dentro di se, si accorse di non avere quel solito terrore che gli attanagliava le viscere. Aveva paura, si, ma solo che Isabella avesse inventato parti che lo avrebbero messo in cattiva luce: non voleva che gli altri pensassero che si fosse comportato male con lei, non tanto che fosse stato in sua compagnia. Non passò molto che si sentì in colpa per aver pensato male della sua luce, colei che aveva minato la sua sicurezza in quella vita fatta di menzogne.
Infine decise di andare a verificare di persona, recandosi a quella scuola dove era certo di incontrarla.
Fu così che la vide mentre scendeva dall'automobile e si incamminava verso l'entrata, con passo incerto e il capo chino. Come spinto da una forza, le sue gambe si mossero nella sua direzione, proprio nell'istante in cui l'irritante voce di Jessica sopraggiungeva al suo orecchio. Continuò il suo cammino mentre la voce della ragazza si faceva sempre più lontana o forse era lui che non la sentiva più, tale era l'emozione.
 
<< Isabella >> la chiamò in un sussurro che basto a bloccarla, lasciandola immobile, senza fiato. Non riusciva a capacitarsi della sua improvvisa apparizione, era sicura che non si sarebbe mostrato così presto, troppo intimidito dalla presenza altrui.
<< Edward >> salutò lei girandosi nella sua direzione, facendosi coraggio e ricordando le parole della madre << Sei venuto qui a finire ciò che hai iniziato? Vuoi rovinarmi la vita definitivamente? >>
A quelle parole egli sentì come una stilettata nella schiena: era vero, le aveva rovinato la vita e lo poteva ben immaginare, ma lui era lì apposta perché le cose cambiassero.
<< Se per rovinarti la vita intendi che voglio che tutti si risistemi, che noi incominciamo a essere ciò che io ho impedito con i miei numerosi errori, allora si: sono qui pronto a rovinarti la vita. >> ammise e si sentì in imbarazzo, mentre un grande peso stava per lasciare la sua coscienza.
 
Attorno a loro, tutta la comunità studentesca si era fermata ad osservare la particolare scena. Chi bisbigliava, chi restava in silenzio e, in piccola parte, chi guardava con sdegno la scena.
La ragazza, sentendo un centinaio di sguardi su di se, provò a ferirlo nel punto di cui, ne era sicura, si preoccupasse molto: la sua reputazione.
<< Non hai paura che qualcuno senta i nostri discorsi, che gli studenti si facciano strane idee su questo nostro incontro e che inventino strane storie su di noi? >> lo stuzzicò con una punta di ironia, premendo su quel fatto che la faceva soffrire. Sarebbe stata tutta una storia perfetta se solo lui non avesse amato la sua reputazione più di se stesso, la superficie anziché la sostanza. Se non fosse stato così tutto sarebbe stato più semplice.
Mentre lei rimuginava sugli sbagli che avevano portato la loro storia al fallimento, lui si concentrava su quel fantastico "noi" con cui aveva descritto il loro rapporto. Qualcosa scattò.
Si portò in avanti, prendendole il viso tra le mani e avvicinandolo al suo.
<< Ho imparato la lezione, la mia fama non vale quanto te, niente vale quanto te. Voglio ricominciare e spero che tu mi possa accompagnare in questo viaggio. Tu sei colei che mi ha fatto risaltare ancor di più i miei sbagli, colei che mi ha fatto superare i limiti, colei che per me è tutto. >> le sussurrò dolcemente, avvicinandosi ad ogni parola sempre più alle sue labbra, finché non si toccarono. Ci fu un piccolo momento in cui lei si tirò indietro, come scottata, e ad Edward parve cadere il mondo addosso, ma poi il bacio ricominciò. I fischi di incitazione presero sempre più spazio nella folla, qualche mormorio contrariato si diffuse tra il suo vecchio gruppo di amici, incredulo ai propri occhi. Infine c'era Angela che applaudiva, commossa per l'amica, sicura che una fiaba non avrebbe potuto avere un lieto fine, o meglio, un lieto inizio migliore di quello.
In realtà di tutto il rumore che vi era intorno a loro, i due innamorati percepivano solo i respiri e le carezze di entrambi, mentre fuori non c'era nient'altro di importante, niente che in quel momento potesse avere un determinato interesse, niente che potesse rompere quella bolla di felicità che gli avrebbe seguiti per sempre, ma forse "per sempre" è troppo riduttivo: le fiabe hanno questa fine, le storie reali, semplicemente, continuano.
 


*Angolino del manicomio dell'autrice*


Buon pomeriggio a tutti!
Lo so di avere ritardato un giorno, ma almeno è proprio l'ultima volta in cui ho potuto farlo. Spero di non avervi deluso, ma ho dovuto fare una manovra di emergenza: domani parto per le vacanze e non potevo farvi aspettare tre settimane per un epilogo, perciò ho dovuto tagliare un po'.
Non so come ringraziarvi, sinceramente, mi dispiace concludere questa storia perché non vi sentirò più. E' probabile che non vi liberiate di me del tutto a dire il vero... Può essere che tornerò con un'altra storia strappalacrime.

Chiedo perdono perché non ho risposto alle vostre magnifiche recensioni e spero che non mi portiate rancore.
Oggi sono riuscita a totalizzare quanti siete: 266. Grazie di tutto e spero di potervi risentire presto, non sarebbe stato lo stesso senza di voi.
Un abbraccio
Eriky

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