la maschera di charles hack

di MarshallCosmo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Lo studio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Finti convenevoli ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Il seme del male ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- Paranoie ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Lo studio ***


La maschera di Charles Hack

"Mi chiamo Charles Hack, sono nato il 13 Settembre, sono di New York, mi sono trasferito a Firenze circa 25 anni fa, beh, in realt mi ci hanno portato qua i miei genitori qualche mese dopo la mia nascita, mi piace viaggiare, mi piace l' America, amo il cibo, lavoro come cameriere in un ristorante a Campi Bisenzio, qui vicino, sono ateo, il mio colore preferito il rosso, come il colore del sangue che uscito dalla testa di Kurt Cobain dopo che si sparato, dopo questa frase famosissima avr certo capito che sono un fan sfegatato di Eminem, un grande, un Dio per me !! Ah... e sono single... etero". Inizia cos la prima di una lunghissima serie di conversazioni che avr con Pietro Maresciallo, il mio nuovo e primo psicologo. Un ragazzo apparentemente simpatico, apparentemente annoiato gi da adesso, apparentemente in ottimo stato di salute, apparentemente 40enne, apparentemente sposato a giudicare dalla fede che aveva al dito e sopratutto, per me la cosa pi importante, apparentemente etero. Non amo i gay, sono persone troppo timide, riservate, troppo "perfettine", non di certo i miei tipi. Il mio verso di loro non odio, non mi permetterei mai di odiare un essere umano, almeno che non sia diverso da me, a quel punto preferirei vederlo bruciare all' inferno. Dico soltanto che i gay dovrebbero starmi lontani, non voglio di certo prendere malattie.

Quell' uomo mi aveva fissato per tutto il tempo in cui mi ero descritto, sembrava che non glie ne fregasse niente, Quanti anni hai detto di avere ? Ci sono rimasto malissimo per quella risposta.

25 gli ribadii. Come mai sei qui ? Come mai cos giovane ? Quell' uomo mi stava facendo troppe domande. Se non fosse per il fatto che lo pagano per fare domande ai pazienti, ascoltarli mentre parlano, dare consigli come farebbe un amico penserei che questo tizio mi voglia violentare, fortunatamente era solamente un tizio sconosciuto che era pagato per ascoltarmi parlare, darmi consigli come farebbe un amico anche se non glie ne fregava un cavolo della mia vita, fortunatamente sembrava etero, quella fede al dito, pi la guardavo e pi mi tranquillizzavo.

Era giunta l' ora di rispondere alle domande Beh, dottore... Chiamami Pietro, diamoci del tu mi interruppe. Ci potevamo dare del tu, dentro di me una vocina mi ripeteva che ero davanti a uno psicologo etero, dovevo tranquillizzarmi, era tutto normale. Beh... Pietro...sai, ho avuto una vita abbastanza travagliata prima di essere qui. I miei genitori mi hanno portato qui in Italia quando avevo circa 6 mesi, stetti con loro circa per... 2, 3, 4, forse 5 anni... no, aspetta, andarono via quando ne avevo 12.Mi sono sbagliato, a 2,3,4 forse 5 anni ho detto la mia prima parola, beh, in realt ne avevo dette altre ma a quell' et, che adesso non ricordo, dissi la mia prima parola ufficiale, fu MAMMA... che ricordi...Comunque, stavo dicendo ? Chiesi gentilmente. Perch diav... perch sei qui Charles ?. Lo facevo forse arrabbiare ? Al diavolo, il cliente ha sempre ragione. Ah, s, giusto. I miei mi hanno abbandonato in Italia a 12 anni, mi hanno lasciato dagli zii italiani, qui a Firenze, da allora ho avuto una vita travagliata, sai Pietro, crescere senza un padre e una madre durissima specialmente quando a scuola sei l' unico che vive con gli zii e i suoi 3 figli pi grandi di te che ti maltrattano dalla mattina alla sera. Andai via di casa a 18 anni, odiavo quella vita. Andai a stare con la mia ragazza, a Prato, bruttissima citt, sono razzista, perci immagina, Pietro, mamma mia che squallore, sembravamo noi gli stranieri... Ho, capito Charles, ho capito, ma raccontami di pi Disse innervosito. Iniziavo a innervosirmi anche io, ero emozionato, non sapevo neanche io il motivo per cui ero in quello studio, quel giorno, non volevo cambiare, volevo solo capire cosa avevo, volevo capire da dove derivasse la mia paura, paura di qualcosa che non avrei mai voluto che accadesse ma che purtroppo accduta, ero rimasto solo, la mia ragazza mi aveva lasciato qualche mese prima per scappare a Milano con un certo Sergio, uno Chef, uno di quelli raffinati, perfettini, insicuri, timidi... secondo me era Gay.

Pietro, sinceramente non lo so neanche io perch sono qui a parlare con te. Forse mi serve solamente qualcuno con cui parlare. Beh, allora perch non ti chiudi in un bar e parli con il barista mentre sei ubriaco ? Dovrebbe essere la stessa cosa. No, Pietro, non affatto la stessa cosa, la differenza tra te e un barista sobrio che il barista lo pagano per farmi ubriacare, per farmi sputare tutto ci che ho dentro allo scopo di farmi sfogare e basta, mentre tu vieni pagato per tirarmi su di morale, per darmi consigli, per esserci nel bisogno... forse non mi serve proprio uno psicologo, forse ho solo bisogno di un amico...”. Dissi io demoralizzato. “Ma al ristorante, dove lavori, non hai amici ?” Chiese, quasi incredulo, non riusciva a credere che io non avessi neanche un amico. “No, Pietro, non ho nessuno accanto, la mia famiglia mi ha abbandonato qui, i miei zii non li vedo dall' età di 18 anni, non si fanno mai sentire, neanche per Natale, gli amici che avevo in comune con Margherita, la mia ragazza sono tutti spariti a causa delle storie che Marga, così la chiamavo, gli aveva raccontato sul mio conto.” “Che storie aveva raccontato sul tuo conto, Charles ?” “Beh, andò a raccontare a tutti i suoi amici che io mi drogavo, sniffavo coca, bevevo, mi ubriacavo ed ero dentro e fuori di prigione ogni mese.” “Tutto questo è vero ?”. Come per magia Pietro cambiò espressione, non sembrava più annoiato, aveva la faccia di uno che aveva davanti a sé una persona interessante. “Niente di più falso” risposi io. “Non ho idea del perchè avesse raccontato quelle puttanate a giro, io non facevo niente di tutto quello, è vero, ogni tanto qualche birretta me la faccio, come tutti gli uomini del resto, ma non mi ubriacavo” Avevo gli occhi lucidi. A volte pensavo che Marga avesse ragione, e se fossero tutte vere quelle voci ? E se io non mi ricordassi nulla proprio perchè mi ubriacavo ? Ormai era tutto possibile nella mia vita, la mia famiglia, i miei amici, i miei parenti e la mia ragazza mi avevano lasciato solo, solo contro tutti, io contro l' odio verso l' umanità. Era tutto possibile, quindi non riuscivo a trovare una motivazione per non credere a quello che pensavo, poteva essere possibile. “Oh Charles, mi dispiace. Secondo me dovresti cominciare a toglierti tutte queste paranoie di dosso, non pensare di essere al centro dell' attenzione perchè non lo sei. A volte pensiamo di essere superiori ad alcuni elementi solo perchè ci sembrano più stupidi rispetto a noi, beh, caro mio, ti dico una cosa, tu per quelle persone sei stupido. Loro pensano che tu sia uno stupido perchè pensi di essere superiore a loro quando non sei nessuno, capisci ? È tutta una ruota che gira, gira, gira e gira ancora. Tu pensi che loro siano stupidi, loro pensano che tu sia stupido a pensarla così, è tutto un meccanismo, un dannato meccanismo che devi fermare tu, solo tu puoi fermare questa ruota che gira, metti da parte l' orgoglio perchè è quello che ci fotte.” Fottuto psicologo, aveva dannatamente ragione, avrei dovuto mettere da parte l' orgoglio, mi stava fregando.

Penso che tu abbia ragione Pietro, penso che sia giunto il momento di cambiare, cercherò di essere una persona migliore, comincerò con il salutare i miei colleghi la mattina”. Ero orgoglioso di me stesso, stavo prendendo una decisione importante, stavo cambiando strada. “Bravo, comincia così Charles, ma sappi che non basta, devi avere rispetto per tutto e tutti, se tu porti rispetto alle persone, loro lo porteranno a te, non è difficile, devi solamente crederci.”. Crederci, era questo il problema principale, avrei dovuto crederci in tutto questo. Non ci credevo affatto, non riuscivo minimamente a pensare che il fottuto Charles Hack, “l' uomo che odiava l' umanità” sarebbe riuscito in un gesto simile a quello di salutare i propri colleghi di lavoro. “Senti Pietro, io non ce la faccio, non riesco a salutare delle persone. Pensa cosa direbbero, penserebbero che... non lo so cosa penserebbero, però sono certo che penserebbero male di me, ho troppa paura.”

Sputai il rospo, dovevo dirglielo, in fondo era sempre il mio psicologo. “Charles, ti ci abituerai, tranquillo, è solo un saluto. Entri, saluti i tuoi colleghi, chiedi come stanno, come gli va la vita e poi vai avanti per la tua strada senza guardarti indietro.”. “E se a me non fregasse un cazzo di come stanno ?”. “Charles, io vengo pagato per far finta di voler sapere come stanno le persone, adesso come la mettiamo ?”. Di nuovo, aveva ragione di nuovo. Anche se a questo tizio non fregava niente di me aveva un effetto su di me. Aveva lo stesso effetto che avrebbe un sacco da Boxe per un ragazzo emarginato dal mondo, lasciato da una ragazza, abbandonato dalla famiglia e dagli amici, insomma, questo tizio etero difronte a me era capace di farmi sfogare come si deve.

Era quasi piacevole come la musica, anche se sapevo benissimo che l' effetto che la musica aveva su un uomo non poteva averla nessun essere umano, è impossibile sotto ogni punto di vista.

Grazie della chiaccherata Pietro, mi ha fatto piacere ascoltare i tuoi consigli, adesso devo andare, tieni i soldi.” Gli porsi una banconota da 50 € e lui mi fermò “Charles, abbiamo ancora 30 minuti a disposizione e poi ogni seduta costa 40 €, non 50.” “Pietro, va benissimo e scusami, ne avevo solo 50 €, meriteresti di più”. Andai via, non mi voltai neanche per vedere che faccia fece, speravo con il cuore che fosse stupito in senso positivo.

Mentre ero in macchina cercai di escogitare un piano per far finta di fregarmene di come stavano i miei colleghi. Cercai di capire come avrei dovuto affrontare la mattina dopo, come avrei dovuto salutarli, tipo, con un “ciao” o un “buongiorno”, mi spremetti le meningi fino ad arrivare alla conclusione che avrei dovuto dargli innanzi tutto il buongiorno e poi avrei dovuto chiedergli come stavano, se pur non me ne fregasse nulla.

Arrivato a casa, che era circa a 10 minuti di macchina dallo studio dello psicologo, andai a dormire, erano le 5 e 35 circa, impostai la sveglia per l' ora di cena.

Guardai l' ora scritta sul telfono, mancava mezz'ora alle 21. Cucinai una deliziosa pasta al sugo, assomigliava a quella che mi cucinava mia zia quando ancora abitavo da lei, quel sapore mi ricordava molto la primavera, quando uscivo con i miei amici, dopo pranzo e andavo a giocare a pallone, tornavo e ad aspettarmi c'erano i miei cugini, di 2 anni più grandi di me che sapevo che mi avrebbero maltrattato, mi picchiavano e mi strattonavano, a volte senza alcun motivo e a volte non la smettevano finchè da qualche parte del corpo non fosse uscito sangue, i miei zii erano ignari di tutto, mi vergognavo a parlarne.

Andai a letto un po innervosito per i ricordi evocati. Cercavo di calmarmi pensando al giorno dopo, pensando che avrei dovuto salutare persone di cui a malapena sapevo i nomi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Finti convenevoli ***


CAPITOLO 2 – FINTI CONVENEVOLI \\ La sveglia suonò alle 6.30, come sempre, uscii di casa lavato e vestito quasi per bene, andai a fare colazione al bar. Arrivai a lavoro in anticipo di 5 minuti. Alle 7.45 andò via Sabrina, la salutai, lei mi guardò, mi sorrise e ricambiò il saluto con un cenno di mano. Il mio primo saluto. Mi fermai, avevo dimenticato qualcosa. “Ehi, Sabri, come stai ?”. Mi guardò stupita, io feci finta di niente, come se lo avessi sempre fatto. Come se avessi sempre chiesto a qualcuno come stava. “Tutto Bene, Hack, tu invece ? Tutto apposto ?”. “Tutto apposto” Gli sorrisi e lei mi risalutò. Era una giornata abbastanza fredda, come se non bastasse avevo i brividi per quella cosa che avevo appena fatto, faceva ancora più freddo. Il mio corpo era davanti a quel bar-ristorante, il mio cervello ghiacciato era nell' Antartide. Entrai ed accogliermi c'era il mio capo, Sergio era con le braccia incrociate, come sempre, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, salutai anche lui e gli chiesi come stava, mi rispose anche lui stupito. Sergio era il direttore del “Da Sergio” il bar-ristorante in cui lavoravo io. Era un posto molto grande, da una parte c'era la sala bar, aperta dalle 6.30 del mattino fino alle 19.30 di sera e dalla parte opposta c'era la sala ristorante aperta dalle 18.30 fino a 00.00, insomma, non potevamo dire che ci mancavano i clienti. Il locale era molto bello, mi piaceva, molto moderno, sedie e tavoli in design, Sergio oltre a questo bar-ristorante possedeva altri 2 ristoranti vicino a Siena. La sua famiglia era una vecchia famiglia nobile fiorentina, i soldi non gli mancavano. Sergio era una persona simpatica, scherzosa ma quando c'era da lavorare e fare i soldi allora lui era in prima fila, con lui dovevi lavorare se no avresti rischiato grosso. Non ho mai frequentato Sergio fuori da questo locale ma penso che sia simpatico anche fuori, un simpatico figlio di puttana, come dimostrava di essere dentro, quando lavoravamo insieme. Era un uomo basso, paffutello, la fede da etero al dito e il crocifisso appeso sempre al collo, non ho mai capito a cosa potesse servirgli quel crocifisso ogni volta che succedeva qualcosa ripassava il vangelo bestemmiando, un classico toscano. Sembrava un mafioso. A volte era veramente insopportabile, più di quanto non lo fosse già di suo. A volte pensavo che se avesse voluto essere coerente con la faccia che portava avrebbe dovuto mangiare supposte. Andai nei camerini a mettermi la divisa rossa e gialla del locale. Incrociai un' altro dei miei colleghi, Sandro, un pezzo di merda. Alto, magro, capello scuro, occhio color merda, vestito come gli occhi. Lo salutai, gli chiesi come stava, mi rispose, anche lui stupito. Mentre mi cambiavo sentivo arrivare Alessandra, un altra collega di cui non mi interessava niente. Stesso procedimento, la salutai, gli chiesi come stava, mi rispose stupita e continuai a farmi i cavoli miei. Dopo essermi cambiato tornai da Sergio che mi disse che avrei dovuto pulire la sala del ristorante come ogni mattina. Stetti circa un' ora e mezza tra pulire in terra, pulire i tavoli e sistemare tutto. Si erano fatte già 9.30 circa. Alle 12 avevo finito il primo turno. Dopo aver fatto il mio dovere Sergio mi disse che avrei dovuto stare fino alle 12 al bancone a servire ai clienti. Così feci. Insieme a me c'era Alessandra, bella ragazza, alta, mora, occhi azzurri, il fondotinta marrone si univa al suo colorito di pelle scuro tipico degli italiani meridionali, una bella napoletana, non amavo il suo accento, a dire il vero non amavo neanche lei però quel giorno mi toccò parlargli, dovevo socializzare, lo aveva detto Pietro. “Che si dice di bello ? Tuo marito ? I tuoi figli ? Tutto apposto ?” “Sì, è tutto apposto Charles, tu invece ? Tutto bene ? Come mai socializzi ? È un comportamento strano da parte tua” Mi disse. Era ancora stupita o la avevo stupita di nuovo ? Dubbio. “Sì Sì, anche io tutto apposto. Cosa farai questo pomeriggio ?” Chiesi. Avevo paura di sembrare invadente. “Mah, nulla, sai com'è, vado a prendere i miei figli a scuola, li porto al parco, torniamo a casa e sto tutta la sera con mio marito, Tu cosa farai ?” “Beh, io farò quello che faccio di solito il pomeriggio, cerco di trovare un motivo per non suicidarmi” Mentivo. Quel pomeriggio avrei fatto incursione nello studio di Pietro senza preavviso, la volta prima mi ero dimenticato di prendere appuntamento. “Beh, molto divertente. Ma senti Charles... posso farti una domanda ?” “Certo che puoi, dimmi.” Sapevo che la domanda era inerente al fatto che stessi socializzando. “Ma tu hai una famiglia ? Voglio dire, una moglie, una fidanzata, dei figli... ? Li hai ?”. Mi sbagliavo. “No, non li ho, purtroppo la mia ragazza mi ha lasciato tempo fa” Risposi mentre servivo ai clienti. Strano, di solito sono i baristi che ascoltano le conversazioni dei clienti, non i clienti che si fanno i cazzi dei baristi. “Mi dispiace”. Disse, sembrava veramente dispiaciuta. “E allora cosa fai tutto il giorno ? Vai dai tuoi ?”. “Ale, è un po complicata la cosa, io non ho ne una madre, ne un padre, ne nulla, non ho niente...” Cominciai a raccontargli la mia storia. Quella ragazza aveva le lacrime agli occhi. Non avevo visto una donna piangere per me, ne ero onorato. “Mi dispiace, non lo sapevo, scusami.” “Non ti preoccupare, non potevi saperlo.”. Continuammo ancora per un po a parlare del più e del meno mentre servivamo ai clienti che intanto affluivano nel bar sempre più numerosi. Il tempo passò in fretta, si erano fatte già le 12.00, e il mio turno era finito. Uscì dal bar-ristorante dopo che avevo salutato tutti. Mi stavo recando a casa , con la mia panda rossa, mentre mi fermai a un semaforo e vidi una vecchietta attraversare la strada proprio davanti alla mia macchina, era ricurva, andava veramente lenta, aveva un bastone per l' accompagnamento, non fece in tempo ad attraversare che scattò il verde, mi venne un senso di odio, avrei voluto metterla sotto, andava veramente lento, caspita. Però poi quando riuscì ad attraversare pensai a cosa sarebbe successo se io avessi messo sotto quella dannata vecchietta, non pensavo alla prigione, di quella non mi interessava, probabilmente mi avrebbe solo fatto bene, pensavo alla famiglia di quella vecchia, pensavo a un ipotetico marito, pensavo ad un ipotetica figlia, a dei ipotetici nipoti, pensavo che ci sarebbero veramente rimasti male. Un uomo non può morire ucciso, un uomo deve morire, da solo, non a causa di altri. Per questo odio la guerra, perchè alla fine non ci sono ne vinti e ne vincitori, sia che siano guerrieri, sia che siano religiosi, sia che siano militari, siamo tutti uguali, come le lacrime che avrebbero versato i familiari di queste povere vittime. Quello che cerco di dirvi è che io non ci sarei rimasto più di tanto male per la vecchia, ma per chi la amava. Forse stavo iniziando ad avere un cuore, non era così male come sensazione, pensavo peggio. Arrivato a casa mi feci una buona pasta al pesto mentre guardavo la televisione, stupida televisione, la odiavo ma non sapevo cosa fare, almeno la voce dei deficienti che si insultavano tra di loro per cazzate mi faceva compagnia. Pietro mi aveva detto chiaramente che non avrei dovuto sentirmi superiore a nessuno perchè mi avrebbero preso per stupido ma come diavolo facevo a non sentirmi superiore a persone che si insultavano solo perchè il vestito di una ragazza in un programma era un po scollato ? Mi sentivo il re, il Dio, mi sembrava di poter prendere decisioni importanti, sentivo dentro di me una sensazione di superiorità che mi avrebbe permesso di farli smettere quando volevo, in effetti era così, spensi quell' aggeggio, Fanculo. Andai a letto. Mi svegliai dopo 2 ore circa, ero veramente stanco, erano le 3.30 quando mi svegliai. Decisi da andare da Pietro come avevo progettato prima, non vedevo l' ora di raccontargli la mia giornata, non vedevo l' ora di vedere la sua facci quando gli avrei detto che avevo chiesto a delle persone come stavano, non stavo nella pelle. Andai allo studio. Si chiamava “STUDIO M&M”, non so per cosa stessero quelle due emme, per me volevano dire Marshall Mathers, come il vero nome di Eminem, purtroppo sapevo che non era affatto così, pazienza, l' importante era sforgarmi con una persona che se ne sbatteva i coglioni di me. Entrai e chiedi alla segreteria se il Dottor Pietro Maresciallo era presente. Andai davanti al suo studio, bussai, era libero, entrai e mi sedetti sulle sedie scomodissime di cui era dotato quell' ufficio. Mi salutò, mi chiese come stavo e che ci facevo là. Ricambiai il saluto, gli dissi che stavo bene e dissi che lo stavo facendo lavorare. Iniziai a raccontargli di Alessandra e delle conversazioni che avevamo avuto quella mattina al bar, gli raccontai di aver salutato e chiesto a delle persone come stavano. Era molto felice, o almeno così sembrava da quel suo sorrisino ebete che aveva stampato in faccia. “Bravo Charles, hai fatto quello che dovevi fare, hai visto ?? Non è poi così difficile.” Disse subito Pietro. “Hai ragione, non è stato poi così tanto male”. Confermai io. “Sai cosa dovresti fare Charles ? Dovresti provare a diventare amico di questa....come hai detto che si chiama ?” “Alessandra.” “Sì, giusto, Alessandra. Dovresti provare a diventare amico di questa tizia, sembra simpatica e molto disponibile da quanto mi hai descritto, prova ad affezionarti ad un essere umano.” Mi consigliò. “Affezionarmi ? E come faccio ? Ho ricevuto troppe botte nel culo per affezionarmi a qualcun' altro. Voglio dire... I miei genitori mi hanno abbandonato, i miei zii non li sento più, neanche tutti i miei familiari, la mia ex fidanzata, i miei amici. Insomma Pietro, la mia vita sociale con altri individui è come un compito a crocette di scuola. Sai valuto sempre l' opzione giusta, ho sempre davanti un 50 e 50, 2 possibilità, vero o falso ? Questa persona è veramente una persona affidabile, mi proteggerà, mi amerà, ci starò bene insieme, lei starà bene con me. Vero o falso ?. Questa persona, in generale, è vera o falsa ?. Ecco come è la mia vita sociale, un fottuto compito a crocette.” Cercai di fargli capire al meglio il mio stato d' animo, sembrava aver capito. “Beh, forse dovresti cercare di non farti tutte queste paranoie, tel' ho già detto, ti fanno solo male. Secondo me dovresti provare a rischiare, dovresti provare a rischiare un po, fai finta di giocare una partita a scacchi con la vita, fagli scacco matto, mangiagli la pedina”. “Tu non hai mai giocato a scacchi vero ?” Chiesi, sicuro della sua risposta. “No, infatti”. Ecco, appunto. “Però quello che voglio dire...” continuò lui. “...è che secondo me dovresti fare un bel sorriso alla vita e sfidarla. Capisci cosa intendo ?” Non stavo capendo, e infatti trasformai il mio pensiero in parola, per fortuna non stavo pensando ad altro. “Allora Charles, tu socializza con questa ragazza, parlaci, uscite ogni tanto, portala fuori a cena, come amico, ovvio, vai a conoscere i suoi figli e poi vedi che persona è. Se ti sembra come la tua ex o come qualche altra persona che non ti va a genio, continuerai a fare buon viso a cattivo gioco a lavoro, sorridi, saluti e chiedi come va, proprio come stai facendo adesso, soltanto che questo lo dovrai fare solo se tutto il progetto andrà a puttane, ok ? Ci stai ?” “Posso provarci”. “Senti Charles, hai qualcos' altro da dirmi ?” Chiese. “No, nient' altro Pietro.” “Facciamo così, vediamoci tra 2 settimane, per oggi dammi solo 10 €”. Disse lui. “D' accordo, alla prossima volta, grazie mille.”. “è il mio lavoro Charles”. Disse lui.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Il seme del male ***


CAPITOLO 3- IL SEME DEL MALE \\ Stetti poco in studio, circa 45 minuti, ormai erano le 16.05, tornai a casa verso le 16.20 circa, ero felice di aver detto a Pietro ciò che sentivo dentro, mi sentivo soddisfatto. Mi misi a guardare la televisione Non avevo affatto voglia di dormire, avevo già dormito prima. In tv c'erano programmi idioti, come tutti del resto. Mi divertivo a vedere persone litigare per assurdità, erano veramente patetici. Era il periodo del festival di S.Remo quindi tutti criticavano tutti e tutto, mi sembravano tanti Charles Hack, tutti rompicoglioni come me. Mi chiesi cosa fosse la vita per quei tizi dentro a quella scatola maledetta, mi chiedevo se davvero si guadagnavano da vivere litigando e sparando puttanate tutto il tempo, mi sembrava assurdo, non riuscivo a capacitarmene. Davvero potevano guadagnarsi da vivere parlando di una canzone con una parolaccia al suo interno ? Come diavolo facevano ? Voglio dire, mi sembra assurdo che mentre quelle persone parlavano ne esistessero altre nel mondo che alla stessa ora stavano guadagnando di meno rispetto a loro, costruendo una casa, un muro o una strada. Odiavo le persone ricche, spesso queste persone guadagnano facendo quello che gli piaceva fare, a me invece ogni mattina mi toccava lavorare in un bar-ristorante del cazzo. Sin da piccolo avevo il sogno di diventare un astronauta, tutti i bambini sognano di diventare astronauta, non lo so, sarà che sono una specie di Peter Pan che non cresce mai ma comunque io l' astronauta lo vorrei fare ancora, all' età di 25 anni. Sarebbe stato bellissimo poter andare all' università per studiare per poi diventare astronauta ma purtroppo questo sogno non si è potuto avverare a causa dei problemi economici della mia famiglia, ci tenevo veramente tantissimo, a volte ci stavo anche male per questo, non tanto perchè il sogno non si è realizzato, ma per il peso che davo al mio sogno. Mi svegliai alle 18 di quel pomeriggio, non mi ero neanche accorto del fatto che mi fossi addormentato, avevo fatto un sogno, in questo sogno eravamo io, Alessandra e suo marito, a dire il vero non sapevo se fosse realmente suo marito dal momento che non lo avevo mai visto, ne avevo solo sentito parlare a lavoro. Nel sogno ero innamorato di Alessandra, eravamo al bancone del bar quando suo marito è entrato, mentre si stavano baciando io ho detto a suo marito “Ehi, hai qualcosa sulla faccia”. Il tizio stacca le sue labbra dalle labbra di Alessandra e toccandosi la faccia mi disse “Dove ?”. E io gli risposi “Ok, adesso non c'è più”. E subito dopo non ricordo più niente del sogno. Cosa poteva significare ? Non ero certo innamorato di Alessandra, era solo una collega e poi non la conoscevo nemmeno e poi mi stava antipatica e poi la mia testa mi disse tutto il contrario, forse lei era qualcosa di più di una collega, forse la conoscevo abbastanza da potermi innamorare e forse non mi stava così antipatica dal momento che si era preoccupata di me al bar quella mattina. Non avevo il numero di Pietro quindi non sapevo cosa fare, stavo quasi per andare nel panico, non lo avrei incontrato fino a 2 settimane dopo e in queste due settimane avrei visto per 12 giorni il viso di quella ragazza, avrei dovuto parlare con quella ragazza, cosa gli avrei detto ? Cosa avrei dovuto dirle ?. Ok, adesso ero veramente nel panico, non sapevo come avrei dovuto comportarmi, non mi era mai capitata una situazione simile. Avrei dovuto far finta di niente, oppure avrei dovuto continuare a mangiarmi la testa con questa paranoia su Alessandra ? Dovevo assolutamente evitare che simili pensieri mi entrassero in testa, cavolo, lei era sposata, con figli, felice e con un sacco di amici affianco, al contrario di me che ero single, senza figli, triste e con uno psicologo che avrei visto 2 settimane dopo. Cercai di calmarmi, guardai l' orologio e vidi che erano ancora le 6.30, non avevo affatto voglia di cucinare, avevo soldi, avevo fame e avevo un ristorante a 100 metri da casa. Ordinai una pizza alla diavola, la mia preferita. Amavo andare nei luoghi pubblici e mettermi in disparte a guardare il comportamento delle persone. Quella sera in quella pizzeria era presente una famiglia, un padre, una madre, un figlio e la figlia che avranno avuto rispettivamente 8 e 10 anni. Era interessante vedere come il ragazzino giocava a essere un super eroe mentre la bambina più grande faceva finta di essere la principessa in pericolo, erano solo loro due, intorno alle sedie di legno di quel tavolo per quattro, non davano noia a nessuno, correvano intorno al tavolo mentre i genitori parlavano di qualche stupido argomento, mi incuriosiva il fatto che entrambi i ragazzini nel gioco fossero dei buoni e non dei cattivi, non ho mai visto un bambino voler essere il cattivo del gioco per scelta, io da piccolo amavo essere il cattivo, io facevo la parte del cattivo, in ogni gioco, venivo sconfitto ogni volta ovviamente, ma ne ero felice, ero felice di fare ciò che mi piaceva fare ovvero fare del male alle persone. Quando vidi Bianca neve per la prima volta non mi piacquero Bianca Neve o i nani, no, io adoravo la strega cattiva, era geniale, si era travestita da vecchietta innocente per poi avvelenare la ragazza, la ammiravo. Mentre il personaggio che odiavo di più era il principe perchè illudeva tutti i bambini che in quel momento stavano guardando quel dannato cartone animato, come puoi pensare di resuscitare una persona con un bacio ? Un bacio ha ben altri effetti, un bacio ti fa andare al settimo cielo, un bacio può farti emozionare, un bacio può persino farti schifo ma non ha il potere di resuscitare per fortuna, provate a pensare a un mondo in cui un bacio può far resuscitare una persona, già c'è il problema del sovraffollamento delle carceri se poi sovraffolliamo la terra di stronzi la inquiniamo ancora più di adesso, non mi sembrerebbe il caso. Ero andato in pizzeria verso le 19.30, la pizza mi arrivò alle 20.10 e mangiai fino alle 22.00 fino a che quei due bambini non se ne andarono con i loro genitori, tornai a casa e cercai di addormentarmi. Non ci riuscivo, avevo dormito troppo e lavorato troppo poco per essere stanco, ricominciai a pensare ad Alessandra a cosa avrei dovuto fare la mattina dopo, non sapevo se dirgli del sogno, non mi sembrava il caso, ci eravamo parlati solo una volta, immaginavo cosa sarebbe potuto accadere se gli avessi raccontato del mio sogno e delle mie paranoie che la riguardavano. Il giorno seguente mi svegliai sempre alla stessa ora, alle 6.30 ero in piedi, pronto a cominciare una nuova giornata di lavoro, arrivai a lavoro, risalutai tutti come l' altra volta, feci il mio dovere, come sempre e dopo mi ritrovai a lavorare insieme ad Alessandra come l' altra volta. Parlammo un sacco, del più e del meno, di chi ci piaceva e di chi odiavamo, di cosa ci piaceva e di cosa odiavamo, di cosa aveva sognato lei la notte prima e di cosa avevo sognato io. Già, presi coraggio e glie lo dissi, la prese bene, scoppiammo in una grossa risata. Continuammo a parlare per tutto il turno, mi stava molto simpatica, era divertente, mi parlò molto dei suoi 2 figli, di suo marito. Quando tornai a casa mi sentì molto soddisfatto di me stesso, era da mesi che non avevo un' amico, mi aveva fatto molto piacere parlare con lei.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- Paranoie ***


CAPITOLO 4 - PARANOIE \\ Ero a casa, seduto sul divano con una busta di pop corn in mano, un pc sulle ginocchia e la tv accesa con dentro inserito il DVD di “Arancia Meccanica”, in quel momento non potevo desiderare di meglio, già, non potevo desiderare di meglio perchè non c'era il meglio, il meglio sarebbe stata la mia ragazza, mia madre, mio padre, i miei parenti, i miei amici, ma no, non potevo desiderarli, non esistevano più, non facevano più parte della mia vita, non potevo più riaverli indietro, allora non mi restava che mangiarmi quei dannati pop corn, leggere news on line e continuare a guardare il mio film che avevo inserito nel lettore dvd. Non guardai quasi per nulla il film, ormai era la decima volta che lo vedevo, non ci stavo trovando più gusto così caddi in uno di quei momenti in cui pensavo alla mia vita, a come sarebbe diventata, a cosa era e come è stata fino ad adesso, arrivai alla conclusione che alla fine non era stata niente male, ovviamente per la strada ho avuto qualche acciacco ma fa parte del gioco della vita, un gioco in cui devi essere furbo, più furbo di altri, un gioco in cui devi far arrivare la tua pedina a un obbiettivo e dopo questo obbiettivo ce ne sarà un altro ancora più difficile da raggiungere, insomma, una lotta, una guerra pacifista che combatti ogni giorno. A volte pensi di dover mollare tutto, pensi che accasciarti a terra per strada e non rialzarti più sia la miglior soluzione ma spesse volte non è affatto così, spesso bisognava lottare per qualcosa o qualcuno che ci faceva continuare ad andare avanti, ma io ? Io cosa avevo dalla mia parte ? Cosa mi faceva alzare dal letto la mattina, a parte una sveglia e un lavoro di merda ? Non avevo una famiglia, non avevo una fidanzata, non avevo amici, non avevo un cazzo. Mi piaceva andare in centro a Firenze, mi piaceva guardare ubriaconi o zingari, mi piaceva immaginare a cosa stessero pensando, volevo entrare nelle loro teste, volevo capire come mai si alzavano la mattina, cosa li spingeva a continuare ? Li ammiravo, davvero. Il giorno dopo tornai a lavoro, c'era ancora Alessandra, eravamo al bar insieme, parlavamo, ancora. “Charles, lo sai ? Mi sei molto simpatico, penso che io e te dobbiamo uscire un giorno.” Disse lei, mi stupì. “Chi ? Io e te ? Ma dai, non funzionerebbe mai.” “Hack, ma cosa hai capito ? Intendo come amici !!”. Precisò lei. “Lo so cosa intendi, ho capito, per questo ti dico che non funzionerebbe, io non ho amici”. Ci tenni a ribadire. “Charles, c'è sempre una prima volta per tutto, non disperarti.”. Cercò di tranquillizzarmi. “Alex, io la mia prima volta l' ho già avuta e ho fallito miseramente, mi hanno buttato merda addosso come fossi un secchio della spazzatura.” Volevo fargli capire cosa pensavo. “Non sei tu che hai sbagliato ma quella, scusa la parola, stronza della tua fidanzata, è lei che ti ha rovinato la reputazione senza alcun motivo. Dai, usciamo insieme e poi vediamo se può funzionare, come dici tu.”. Stava cominciando ad avere ragione e questo mi stava tranquillizzando. “D' accordo, posso provare a essere tuo amico”. Gli diedi il mio numero di cellulare, lei mi diede il suo e mi disse. “Senti, ho parlato molto bene di te a mio marito, vorrei fartelo conoscere sempre se tu non sia geloso”. Rise. All' inizio non capivo il motivo della risata, poi mi ricordai che gli avevo raccontato del sogno e così risi insieme a lei e subito dopo dissi. “No no, tranquilla, mi farebbe molto piacere conoscerlo”. Ci demmo appuntamento alle 19.30 a casa sua per mangiare una pizza insieme, la sua famiglia e io. Mi diede anche il suo indirizzo. Tornai a casa e mi misi a dormire, mi svegliai alle 5.30 e riflettei molto su quello che stavo per fare, stavo per andare a cena da una mia collega, stavo per conoscere il suo vero marito, l' uomo nel mio sogno, era nel mio sogno, non era l' uomo dei miei sogni, chiariamoci, ero un etero convinto, convinto a restarlo. Ero indeciso sul come vestirmi, non sapevo se vestirmi quasi per bene o vestirmi normalmente, come mi vestivo sempre, ovvero, le prime cose che avrei trovato nell' armadio, non volevo dargli la soddisfazione di vedermi vestito per bene, mi sarei, in un certo senso, sottomesso. Non potevo permetterglielo, non era da me. Mi stavo facendo altre paranoie che non avrei dovuto farmi, dovevo assolutamente smettere, ma era difficile, le paranoie per me erano come le sigarette per un fumatore, con la differenza che il fumatore quando finisce il pacchetto non può più fumare mentre io potevo andare tranquillamente avanti tutto il giorno se avessi voluto dal momento che la paranoia non la vendono in pacchetti. La paranoia è molto meno pericolosa del fumo perchè il fumo può portare al cancro, una malattia mortale, mentre la paranoia può portare a pensare cose che ti isolano da una malattia peggiore del cancro, la specie umana, molto meglio, no ? Mi vestii per bene, giusto perchè dovevo rompere il cazzo a me stesso. Mi misi una camicia, una giacca, delle scarpe di pelle, il portafoglio in tasca, con dentro il foglio su cui mi ero scritto il suo indirizzo e andai in una pasticceria a prendere qualche dolce e mi avviai verso casa sua, ormai erano le 7.10, abitava accanto al ristorante dove lavoravo, ci avrei messo un quarto d'ora, venti minuti. Per strada continuavo a pensare a quello che stava accadendo, continuavo a pormi domande e mettere ostacoli davanti alle risposte. Stavo iniziando a pensare che quello che stavo facendo era una emerita cazzata. Continuavo a dirmi che era illogico che io andassi a cena da lei, non era possibile che io andassi a cena da una amica, una collega, sposata, con dei figli chi mi imponeva di andare ? Ero a un passo da fare inversione a u, ero a un passo da girare il volante della mia focosa Fiat Panda rossa, quando mi misi a pensare a chi me lo stava imponendo, forse c'era qualcosa o qualcuno che me lo stava imponendo, forse era la voglia di riscatto, forse era proprio quello che mi stava facendo andare da lei, forse era proprio la voglia di cambiare, di dire basta alla vita che stavo facendo, o meglio, alla vita che stavo buttando via, stavo gettando nella spazzatura la mia vita, proprio come si fa con i criceti dopo che sono morti. Mia mamma e i miei zii non li seppellivano mai, povere bestie. Ormai ero arrivato, Via Antonioni 24, Campi Bisenzio. Scesi dalla macchina e feci quei 10 metri che mi separavano dal portone di casa sua, i 10 metri più lunghi degli ultimi 10 anni. Suonai al citofono, mi aprì. Era al pian terreno. La salutai, gli porsi i dolci e lei con un espressione stupita disse “No, Charles non dovevi, sei stato gentilissimo”. “No, non ti preoccupare, per me è un piacere.” Chiesi permesso e mi accolse suo marito con un “Certo che è permesso, entra pure Charles. Alessandra mi ha parlato molto bene di te.” Disse suo marito. Non era affatto come lo avevo immaginato nel sogno, era alto muscoloso, anche lui scuro di pelle, capello scuro, occhio chiaro, celeste, un bel ragazzo. Il ragazzo che avevo sognato aveva gli occhi neri, i capelli biondo cenere ed era vestito con una camicia mentre il marito oggi era vestito con un maglione rosso e verde a quadretti, mi piaceva quel dannato maglione, magari a fine serata lo avrei ucciso per rubarglielo, ovviamente scherzo, non lo avrei di certo ucciso, ma di sicuro mi sarei fatto dire dove aveva comprato quel maglione. “Vieni Charles, anche se è piccola ti faccio vedere la casa.”. Andammo a fare questo tour in giro per la casa. Aveva una casa niente male, piccola ma niente male, mi piaceva molto, non era ne vecchia ne moderna, era una casa modesta, bei mobili, bell' arredamento, bei colori, una gran bella casa, somigliava alla mia. “Ecco, questo è tutto Charles.” Disse il marito che durante il tour della casa si presentò, disse di chiamarsi Aldo. “Senti Charles, per cena abbiamo cucinato delle cose semplici semplici, non ci siamo complicati la vita, ti piace la pasta allo scoglio, vero ?”. Chiese gentilmente Alessandra. “Non vorrei essere indiscreto ma voi non avevate dei figli ?” Chiesi io timoroso. “Sì, infatti adesso vado subito a chiamarli, sono a giocare con i figli della signora al piano di sopra, sai, i suoi figli hanno quasi la stessa età dei nostri”. Rispose Alessandra mentre si stava avviando alla porta per andare a prendere i figli. Rimanemmo solo io e il marito in quella casa e lui iniziò a parlami dicendo “Alessandra mi ha raccontato la tua storia, mi dispiace per i tuoi zii, i tuoi amici e tutto il resto, sei stato veramente sfortunato.” “Hai ragione Aldo, sono stato, ora non lo sono più, sto cercando di riscattarmi, voglio migliorare, voglio tornare a essere il ragazzo di una volta.” Dissi io, convinto di quello che stavi dicendo. “Bravo, continua così Charles, ti ammiro veramente tanto, ti conosco pochissimo ma per quel poco che ti conosco posso dire che sei una persona fantastica.” “Grazie Aldo.” Risposi io, quasi imbarazzato. “Senti, ti volevo chiedere, ma quel maglione dove lo hai comprato ? È veramente stupendo.” Chiesi. Dannazione, ero mi ero impuntato su quel maglione, volevo quel dannato maglione. “Questo ? Questo è un regalo di mia nonna, me lo regalò 2 anni fa, lo fece lei con le sue mani, per natale. Pace all' anima sua, è scomparsa l' anno scorso”. “Oh, mi dispiace.” Subito dopo entrò Alessandra con due marmocchi accanto e disse “Lui è Samuele e ha 8 anni mentre lui è Alessandro e ne ha 9. Lui è Charles, un collega della mamma, sapete da dove viene ? Dall' America, il posto in cui girano tutti i film che vi piacciono a voi”. “Oh Wow, quindi sei un attore ??”. Chiese Samuele, il bambino più piccolo. “Ahahah No no, non sono un attore, magari, io sono un collega di vostra mamma, lavoro nel suo ristorante” risposti io. “Ma conosci qualche attore famoso dell' America ??” Intervenne Alessandro che nel frattempo stava ascoltando la conversazione con suo fratello. “No, purtroppo no, non conosco nessuno di persona, mi piacerebbe conoscere qualcuno.”. Risposi felicemente. “Dai bambini, andate a lavarvi le mani, è ora di cena.” Disse Alessandra. Noi intanto stavamo andando a sederci a tavola. “Allora, Charles, ti piace il lavoro che fai ?” Mi chiese il marito. “Oh beh, non è il mestiere che ho sempre sognato di fare ma non mi lamento.” Risposi io con aria amareggiata. “Oh, allora cosa è che hai sempre sognato di fare ? Il pompiere ? Il pilota ? L' astronauta ?”. Aldo sembrava divertito all' idea di avermi ospite a casa sua. “Già, volevo fare l' astronauta, lo vorrei fare ancora ma non mi posso permettere quel tipo di studi. Mi basta il lavoro e la casa che ho, sto bene così.”. Intanto i due bambini uscirono dal bagno e si sedettero ai loro posti. Io chiesi dove mi dovevo mettere e loro gentilmente mi risposero che potevo mettermi ovunque io avessi voluto, mi misi un posto affianco al capotavola. Alessandra tornò dalla cucina, che era accanto alla sala da pranzo dove stavamo cenando noi, con dei piatti di pasta al sugo che erano destinati ad Alessandro e Samuele. La tavola era apparecchiata di viola, i bicchieri erano di colori alternati, uno viola e uno verde, uno viola e uno verde, eravamo in 5 a sedere ed io aro affianco a Samuele che era posto difronte a suo fratello, entrambi erano affianco alla madre, unica capotavola perchè dalla parte opposta non c'era nessuno, Aldo si era seduto difronte a me, accanto ad Alessandro. Alessandra, che nel frattempo era andata in cucina tornò con dei piatti con la pasta allo scoglio. Sembravano buoni, erano buoni. Era una serata tranquillissima, tv accesa sul festival di S.Remo. E Aldo per iniziare una nuova conversazione chiese “Charles, secondo te chi vincerà quest' anno ??”. “Beh, a me non piace la televisione...” Gli spiegai il motivo, entrambi sembravano interessati a quello che dicevo. Le nostre conversazioni si alternavano a brevi conversazioni con i figli. La serata mi stava piacendo, stranamente. Per tutta la durata della serata non ho provato ne un senso di rabbia, ne un senso di odio verso nessun individuo di quelal famiglia, mi sentivo soddisfatto. Quando tornai a casa ero molto fiero di me stesso.

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