Fix a heart.

di xxloveSheeran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


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Capitolo 1.




Era così bello essere senza pensieri, lì, sotto la pioggia con una bottiglia di Vodka mezza vuota e una sigaretta in mano.
Avevo gli occhi neri a causa del trucco, ma poco mi importava. Ero fuggita da tutto e tutti, nessuno sapeva dov’ero e mi sentivo così libera.
Ero una ragazza abbastanza particolare: ero allo stesso tempo forte e debole, felice e infelice, simpatica e antipatica, pigra e attiva, volgare ed educata… sì, ero strana. Probabile che fosse la mia stranezza a farmi diventare pazza e confusa, ma non ci potevo fare nulla.
Nessuno mi capiva e nemmeno io mi capivo, a dire il vero. Avrei potuto mandare in manicomio uno psicologo di fama mondiale, ne ero certa.
Ero tutta strana, forse era per questo che non socializzavo molto.
Il telefono continuava a squillare e io glielo lasciavo fare, senza nemmeno controllare chi fosse, non m’importava. Era passato parecchio tempo, credo, da quando avevo scavalcato il cancello della mia scuola e stavo lì a bere e fumare… nessuno mi aveva ancora trovata, improbabile che potesse succedere.
Ero sicura che il mio migliore amico mi stesse cercando per tutta la città, nonostante il temporale; ma io ero lì con le maniche alzate, a contemplare le mie cicatrici e quelle che qualche tempo dopo si sarebbero formate. Era così sbagliato quello che provavo, quello che facevo… perché? Tutti mi avevano sempre giudicata per tutto quello che ero e che facevo e io continuavo incessantemente a dargli ragione. Per di più, mi disprezzavo per quello che mi facevo; mi ero ripromessa di smetterla, ma avevo ceduto.
È una così bella sensazione quando senti la lama scorrere sulla tua pelle e sentire il bruciore che ti fa smettere di pensare, anche solo per un attimo, a tutto il dolore psicologico che hai dentro. L’unica persona che era a conoscenza di quello che facevo era lui, il mio migliore amico, non perché gliel’avessi detto, ma solo perché era un tale osservatore che l’aveva scoperto da solo.
Improvvisamente qualcuno si sedette al mio fianco, forse aveva sentito i singhiozzi che avevano iniziato ad uscire dal mio piccolo corpo.
Mi girai verso quello sconosciuto, scoprendolo un ragazzo, e dopo avermi sorriso si accese una sigaretta. Continuai a fissarlo, sorpresa dalla sua figura. Ero in condizioni pietose e non riuscivo a smettere di piangere, ma poco m'importava. Sentii un braccio attorno a me, che mi stringeva: mi stava abbracciando. Ma che motivo aveva di farlo? Ci pensai poco e mi abbandonai a quelle braccia che mi facevano sentire meglio. Piangendo ancora, mi strinsi di più a lui, che continuava ad accarezzarmi con dolcezza i capelli inzuppati di pioggia.
Dopo un interminabile scorrere del tempo, si alzò facendomi alzare con lui; stando ancora fra le sue braccia, iniziammo ad incamminarci verso l'uscita.
«Non voglio tornare a casa» mi lamentai, davvero non volevo tornarci in quel posto e non in quelle condizioni.
«Andiamo a casa mia, non ti faccio tornare a casa in queste condizioni, non preoccuparti» mi rispose, come se mi avesse letto nel pensiero.
Continuammo a camminare fin quando arrivammo avanti ad un portone che lui aprì. “Stavo davvero facendo bene ad andare a casa di un sconosciuto?” Era una domanda che mi stavo ponendo da quando mi rispose, eppure mi sembrava così giusto.
Entrammo nell'appartamento, i genitori di lui avevano una perfetta espressione interrogativa in faccia, ma dopo un cenno del figlio, tornarono a guardare la televisione senza preoccuparsi troppo.
Mi portò nel bagno, dove mi diede asciugamani e tutto ciò che mi potesse servire per darmi una sistemata, ed uscì.
Entrai nella doccia facendomi avvolgere da uno strato d'acqua calda che mi fece rilassare. Dopo essermi pulita per bene e dopo aver avvolto me e i miei capelli in delle asciugamani, rimasi a fissarmi nello specchio: quello che vidi riflesso non mi piacque per niente. Una lacrima fuggì dal mio occhio… davvero potevo ancora piangere?
Dopo aver asciugato quella lacrima, aprii la porta del bagno chiamando il ragazzo con un cenno.
«Ehi, come ti senti?» mi chiese entrando nel bagno, asciugandomi poi una lacrima fuggita e dandomi un bacio sulla fronte. «Meglio, grazie. Perché hai fatto tutto questo senza nemmeno conoscermi?».
«Non lo so, ho pensato fosse la cosa giusta». Bene, nemmeno lui sapeva darmi una risposta. Mi prese il braccio sinistro e se lo portò al viso. Cercai di ribellarmi, ma mi teneva troppo saldamente. Accarezzò le cicatrici delicatamente, per poi posarci sopra un bacio. Mi abbracciò forte e io ricominciai il mio pianto.
Dopo che mi asciugai e mi rivestii con i miei vestiti, ormai asciutti, presi l'asciugacapelli ed iniziai ad asciugarmi quella chioma castano scuro che mi ritrovavo.
«Rilassati, faccio io» mi sussurrò il ragazzo, del quale ancora non conoscevo il nome. Così mi sedetti su di uno sgabello e mi feci asciugare i capelli da quelle mani delicate e dall'aria calda del phon.
«Come ti chiami?» chiesi con un filo di voce, dubitavo che mi avesse davvero sentita. E invece mi aveva sentita eccome.
Mi sorrise. «Lorenzo, tu? Come ti chiami?».
«Viola» gli risposi timidamente, sorridendogli.
Stemmo in silenzio finché i capelli non si asciugarono, mi annunciò poi che mi avrebbe riaccompagnata a casa; non mi ribellai anche se lì non ci volevo tornare.
Ci mettemmo il giubbotto e scendemmo. Ancora pioveva, ma stavolta avevo un ombrello sulla testa. Iniziammo ad avviarci, in silenzio.
«Perché ti fai questo?» mi chiese, riferendosi ovviamente ai tagli. Non gli risposi, non volevo ancora.



Arrivammo a casa mia e mi chiese il cellulare, glielo diedi e lo vidi comporre un numero.
«Ho salvato il mio numero, chiamami per qualsiasi cosa».
Dopo averlo ringraziato per tutto quello che aveva fatto per me quella sera, presi l’ascensore e premetti il bottone che segnava il numero 3.
Una volta uscita da quella scatola di ferro, entrai in casa.
Trovai mia madre sul divano, non troppo preoccupata: spesso scappavo e sapeva che sarei tornata a casa.
Andai in camera mia e mi stesi sul letto per pensare un po’ a quello che era successo: uno sconosciuto mi aveva trovata in mezzo alla strada e fin qui tutto bene, ma… mi aveva portata a casa sua, mi aveva fatta lavare e mi aveva riaccompagnato a casa, dicendomi che l’avrei potuto chiamare quando volessi. Ok, è strano.
Sentivo mia madre parlare al telefono, mentre io cercavo di darmi una spiegazione a tutto, forse stava avvertendo il mio migliore amico che ero tornata, poi mi addormentai.
«Ehi…» quella voce inconfondibile mi arrivò all’orecchio. Il mio migliore amico era lì, steso accanto a me, che mi stringeva forte avvolgendomi la vita con un braccio, da dietro.
Mi sentivo protetta vicino a quel corpo grande e massiccio che ti dava quel senso di accoglienza e tranquillità; quando ero tra le sue braccia stavo, finalmente, bene. Era un di quei momenti che avrei voluto far durare all’infinito.
«Gabriel… abbracciami, ti prego» sussurrai. La mia voce era debole e supplicante. Mi sentii stringere più forte al corpo di Gabriel e quest’ultimo iniziò a giocherellare con i miei capelli e a darmi baci di tanto in tanto: sapeva che era un ottimo modo per tranquillizzarmi.


*



Quella maledetta sveglia suonava ancora una volta. Dio, quanto la odiavo! Perché non potevo stare nel mio caldo lettuccio a dormire? Forse, però, dopotutto non era tanto cattiva quella sveglia: mi salvava dagli incubi.
Mi trascinai fuori dal letto e andai in bagno strisciando i piedi per terra. Mentre aspettavo che si riscaldasse il bagno, andai in cucina a far colazione. Mangiai in fretta un paio di biscotti e bevvi un bicchiere di latte, come al solito, e corsi nel bagno a lavarmi. Feci una veloce doccia, mi vestii, mi truccai e uscii di fretta. Nonostante mi svegliassi presto, ero in perenne ritardo.
Infila le cuffiette nelle orecchie e mi avviai verso quell’orribile/bellissimo posto comunemente chiamato “Scuola”. Mentre feci una breve sosta al secondo piano di quell’edificio, per la stanchezza, vidi Lorenzo. Diamine, se era bello. Gli sorrisi, ma lui fece finta di nulla.
Dopotutto me l’aspettavo: era con i suoi amici, non poteva sfigurare salutando una ragazzina come me.





NdA


Hello everybody!
Dopo la bellezza di due settimane ho finito questo capitolo (che tra l'altro è pure corto)...come al solito l'inizio è sempre una delle parti più difficili da scrivere ç.ç
No, ok, volevo semplicemente dirvi che questa è una storia che sto ancora scrivendo, ma che ho intenzione di portare avanti c:
Essendo il primo capitolo non ho molto da aggiungere o spiegare, quindi se vi va una bella recensione mi farebbe piacere c:
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


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Capitolo 2.




Mentre feci una breve sosta al secondo piano di quell’edificio, per la stanchezza, vidi Lorenzo… Diamine, se era bello. Gli sorrisi, ma lui fece finta di nulla… dopotutto me l’aspettavo: era con i suoi amici, non poteva sfigurare salutando una ragazzina come me.
Continuai a salire fino ad arrivare al quarto piano, finalmente. Controvoglia entrai nella mia aula, dove mi mischiai con quelle persone dette “compagni di classe”.
La verità è che io con loro non avevo proprio nulla da condividere, se non l’aula e i professori. Erano tutti dei bambini che sapevano solo criticare.
Andai a sedermi, in silenzio, accanto alla mia compagna di banco Jennifer. Era una bellissima ragazza, alta, magra e con una quantità assurda di ricci capelli castani a dir poco fantastici. Non parlavamo mai, cioè… lei non voleva mai parlare. Si era seduta lì solo perché gliel’avevano detto i professori, altrimenti sarei rimasta seduta sola, come negli anni precedenti. Erano tre anni che ero lì e non avevo legato con nessuno, nessuno voleva legare con me.
Entrò la professoressa di filosofia. - Mi sono chiesta spesso chi fosse quell’emerito deficiente che creava gli orari; come si fa a mettere filosofia alla prima ora?! -
Come al solito senza nemmeno salutare, iniziò subito a fare l’appello per poi spiegare l’argomento nuovo. Secondo lei non si poteva perdere tempo, altrimenti non sarebbe riuscita a spiegare e interrogare per bene. Come la odiavo.
L’ora per fortuna passò abbastanza in fretta, ma per mia sfortuna la professoressa di spagnolo era già fuori la porta. - Ma che diamine, aveva il teletrasporto?! -
La professoressa di spagnolo era sicuramente migliore di quella di filosofia, si interessava più a noi ed era una che vedeva del buono in tutti. Mentre spiegava, un bigliettino accartocciato mi arrivò sul banco. All’interno c’erano tutti insulti: “sei un cesso vivente”, “nessuno ti piglia, arrenditi”, “è inutile che ti trucchi, sei un cesso uguale”, “sei solo una grassona”…
Chiesi di andare al bagno, nel quale corsi dopo il consenso della prof.
Mi ritrovai a piangere dietro a una stupida porta. Dopo qualche lacrima, tornai in classe come se nulla fosse successo. Non potevano abbattermi così, per qualche insulto.
Tornai in classe sorridente, come non mai. Non dovevano averla vinta.
La giornata passò in fretta, per fortuna, e rimasi fuori scuola a fumarmi una sigaretta.
Dopotutto quel posto mi rilassava, era tutto verde. E già: la mia scuola era circondata da un prato verde.
Mi misi sotto al solito albero, un po’ isolato, così me ne potevo stare un po’ tranquilla, ma le mie speranze furono vane: qualcuno si sedette accanto a me e si accese una sigaretta. Da quando non potevo nemmeno starmene tranquilla?
Mi girai verso quella persona: Lorenzo. Cosa cazzo ci faceva lì?
«Ciao, piccola».
«Ciao, Lorenzo» risposi intimidita. Ebbene sì: quel tizio mi metteva in soggezione.
Lo fissai mentre faceva uscire dalla sua bocca il fumo della sigaretta. Dio buono, quanto era bello.

Lorenzo’s pov.

Sapevo che la sua classe usciva alle 13.30, come la mia, dove poteva essere? Poi la vidi sotto un albero isolato, fuori la scuola, che fumava. Era così dannatamente bella, peccato non lo capisse.
Dopo che la vidi la prima volta, la sera prima, non mi era più uscita dalla testa. Insomma, l’avevo trovata sotto la pioggia che fumava e che beveva ed era bellissima lo stesso, come non poteva esserlo anche quel giorno?
Ero stato uno stronzo quella mattina, lei mi aveva sorriso dolcemente e io non l’avevo considerata, non sapevo cosa fare: ero con i miei amici e non mi andava di dare spiegazioni.
Andai sotto quello stesso albero dov’era seduta lei, sedendomi accanto a lei e mi accessi una sigaretta.
«Ciao, piccola» dissi dolcemente. Dovevo farmi perdonare per quella mattina.
«Ciao, Lorenzo» mi rispose. Aveva una voce così dolce e indifesa.
«Come va oggi?»
«Diciamo pure meglio… Tu?»
«Bene,grazie» le risposi sorridendole.
Mi distrassi a guardare tutti i ragazzi che tornavano a casa, lasciando quel cortile deserto, come credevo che fosse anche di sera. Quando tornai a guardarla, fece uscire un perfetto cerchio di fumo dalla sua bocca. Era bellissima.
«Come scusa?» mi chiese confusa.
«Cosa?» chiesi altrettanto confuso.
«Hai detto che sono bellissima o sbaglio?» chiese, arrossendo.
«Davvero? Ah, beh… sì» risposi guardando a terra e strofinandomi il palmo della mano contro la nuca spoglia di capelli.
Dopo alcuni minuti trascorsi nel silenzio imbarazzante che si creò, lei mi ringraziò per il complimento fattole precedentemente.
«Ti va se ti accompagno a casa?»
«Ok, andiamo».

Mentre camminavamo notai che era notevolmente magra, ma decisi di non fare domande.

Viola’s pov.

Era stato carino a volermi riaccompagnare a casa, già.
Quel ragazzo era tanto bello quanto strano: insomma, chi accompagnerebbe una perfetta sconosciuta a casa? Anzi, probabilmente la più strana ero io, che mi facevo accompagnare a casa.
«Sei fidanzata?» Beh, è vero che stavamo parlottando così, ma che gli importava se ero fidanzata o no? Decisi comunque di rispondergli.
«No, tu?»
«Nemmeno».
Che strano che un ragazzo così bello non avesse una fidanzata; non mi concentrai troppo sul pensiero appena fatto anche perché arrivammo a destinazione.
«Arrivati» feci notare.
«Beh, allora ciao». Si chinò alla mia altezza per stamparmi un bacio sulla guancia destra. Ero intimidita dal quel gesto inaspettato tanto che riuscii solo a balbettare un flebile “ciao”.
Aspettò che entrassi nel palazzo prima di andarsene.
Una volta entrata nell’appartamento nel quale vivevo, salutai velocemente mi madre e andai nel bagno. Era di mia abitudine fare una doccia, per pensare a quel che succedeva durante le mie mattinate.
Aprii l’acqua calda e mentre aspettavo si riscaldasse iniziai a liberarmi della maglietta e di quei jeans maledettamente stretti.
Non riuscivo a non pensare al bacio che mi aveva dato Lorenzo. Sì, certo, era un semplice bacio sulla guancia, ma ci conosciamo da nemmeno due giorni, non avevamo tutta quella confidenza… o forse sì.
Ero talmente distratta che mi accorsi solo quando misi un piede nella doccia che indossavo ancora la biancheria, così me ne liberai e mi rilassai al tocco dell’acqua calda sulla mia pelle.
Ripensai un po’ a tutta la situazione che si era creata negli ultimi due giorni: ero tranquillamente fuori scuola, incontro un sconosciuto che poi mi porta a casa sua e scopro chiamarsi Lorenzo, mi accompagna a casa e il giorno dopo mi cerca fuori scuola, mi riaccompagna a casa e mi da un bacio sulla guancia. Wow, due giorni movimentatati, direi.
Uscii a malincuore dalla doccia, ma ormai era ora di pranzo e mia madre mi aspettava per mangiare.
Velocemente mi asciugai e indossai della biancheria pulita e una tuta per stare in casa.
«Cos’hai fatto oggi a scuola?» mi chiese curiosa mia madre, mentre prendeva due maccheroni dal piatto.
«Niente» replicai.
«Ogni volta mi dici “niente”. Possibile che in quella scuola non si faccia mai nulla?» scherzò. Ridemmo insieme e quasi si strozzò con un po’ d’acqua.
Lasciai metà piatto di pasta e dando un bacio sulla guancia a mia madre l’avvisai che avrei voluto riposare un po’ e quindi di non disturbarmi.
Appena mi stesi sul letto una miriade di pensieri s’impossessarono della mia mente.
I miei compagni mi avevano insultata, ancora una volta. Non ne potevo più, dovevo reagire. Avevo deciso: nessuno mi avrebbe più messo i piedi in testa.
Stavo per addormentarmi quando il mio cellulare vibrò una volta e pochi secondi dopo anche una seconda. Mi costrinsi ad alzarmi per vedere chi fosse e una volta raggiunto il cellulare sul cellulare c’era un nome che mi fece sorridere: Gabriel, il mio migliore amico.
Tornando a stendermi aprii il messaggio.

“Ehi, ho bisogno di aiuto con francese, oggi posso venire da te?
Ti voglio bene.
Gabriel.”


“Certo che puoi venire! Ci vediamo verso le 17, ok?
Ti voglio bene anche io.
A dopo, Viola.”


“Perfetto. A dopo.”


Quando controlla, poi, chi fosse il mittente del secondo messaggio rimasi piuttosto perplessa: era Lorenzo.

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