Oblivion

di Magic Kismet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 L'incontro ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Incidente ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Occhi negli occhi ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Incertezza - ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 -Il risveglio- ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 Insieme ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Agisci ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - L'aurora boreale ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Il sapore amaro della realtà ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 - Provare a viverti ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 - Viverti ora e per sempre ***
Capitolo 12: *** Cap.12 - Consapevolezza ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 - Déjà vu ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 - Past Perfect ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 - Oblio ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 - Realtà VS Fantasia ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 - Neo Seoul ***
Capitolo 18: *** L'inizio della fine ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 L'incontro ***




 
(Photo credit by Alexandre Duret-Lutz)
 
 
CAPITOLO PRIMO
L'INCONTRO


Lei lo vede, lui è li, in mezzo alla folla, nemmeno sa che esiste, e dentro di sè lei sente che lui mai lo saprà. Ma lei non si perde d'animo, si fa largo tra la folla, si avvicina, trema, piange, suda, "perchè? Perchè provo queste sensazioni?" si chiede disperata, il cervello ha smesso di funzionare, sarà che quando lo fa siamo più felici? Chissà. Il cuore è impazzito, come fanno certi a dire che è solo un muscolo?
Magari dal punto di vista biologico tutto ciò è dovuto ai neurotrasmettitori, ma per lei ora è solo magia.

Dio solo sa, quando lo ha creato quanti feromoni ha buttato assieme a lui.
La folla è impazzita, grida di donne si fanno largo tra gli spazi angusti della città ma lui resta impassibile, come Zeus sceso sulla terra dopo aver chiamato a raccolta un paio di saette.
Lui sa, lui conosce il suo potere, e va oltre la stregoneria è qualcosa che è nata con lui e non morirà mai. Volteggia tra la folla, si avvicina alle transenne, messe appositamente li per evitare che un orda di donne allupate si fiondino addosso al suo bel faccino e al suo delicato corpicino, i due bodyguard gli evitano la fine di Jean-Baptiste Genouille nel famoso libro Profumo, un'ammasso di donne informe circonda tutta la piazza, bellissime alcune, altre poco più che bambine, che piangono per un uomo che potrebbe farle da padre.

Lei si fa largo, spinge, tira pugni, questa è la sua unica occasione per riuscire a vederlo, probabilmente tra pochi minuti lui sparirà nel nulla e tutto finirà come succede sempre in quei sogni bellissimi.

Arriva alla transenna lui è li, in posa per le foto, affaccendato tra i tanti autografi e le tante ragazze che urlano il suo nome, ma lei, lei non riesce a dire nulla, non una sola parola, "Ora che c'è l'hai davanti, parla dì qualcosa! Diamine!" si urla tra sé e sé non un verso, non una parola, lui non alza nemmeno lo sguardo, dietro gli occhiali da sole scuri lei non vede nemmeno i suoi occhi, quegli occhi che l'hanno fatta quasi diventare matta, "per che diavolo li copri? I tuoi occhi sono tutto quello che nella vita avrei voluto vedere e tu li copri? Allora sei proprio un mostro".

Mentre lei pensa, lui avanza, è uno spingi spingi continuo.. ma chissà chi le da la forza, chissà, chi le fa partire la scintilla, la mano di lei sfiora la sua mano, lui alza lo sguardo, ma quei maledetti occhiali non fanno trasparire nulla, a quel punto lei dice "ti prego" da prima la voce le esce come un grido sordo dell'anima, che non riuscirebbe a coprire nemmeno il suono lieve di un ruscello d'acqua, al secondo tentativo la sua voce esce come un grido disperato "Ti prego!" lui la osserva probabilmente chiedendosi cosa? cosa caspita vuoi? "ti prego, voglio solo vedere i tuoi occhi!" avrebbe voluto dire tante cose, troppe per quei pochi secondi. Lui forse per compassione, forse per derisione, alza i suoi occhiali per un millesimo di secondo e glieli mostra, ma lei non vede nulla.
Perchè quando desideri qualcosa così disperatamente, quando poi la ottieni non resta nient'altro che un sogno sfocato. Quel millesimo di secondo, che vale più di una vita, lei lo dimenticherà nel momento stesso in cui lo ha ottenuto.

Lui dice qualcosa a chi è con lui, parla sottovoce, e anche se urlasse la sua voce non troverebbe spazio tra quella di tutte le persone che ha attorno. Lei piange e ormai si rende conto davvero di essere solo una, una tra tante, un insignificante donna tra le donne, lui tornerà a casa e di lei non resterà nulla, ma lei, lei, tornerà a casa, e di lui resterà ogni cosa, l'emozione per aver toccato la sua mano le resterà in eterno. I pensieri viaggiano veloci, tutto avviene in modo confuso, la gente la spinge, lui si ferma si gira e la indica.
Lei si chiede "cosa? che diavolo è successo?"
Ad un tratto lui sparisce così com'era arrivato se ne va.
Lei si ritrova schiacciata alla ringhiera, e resta lì, probabilmente sotto shock ad aspettare chissà cosa, per un tempo indefinito.

Persa la cognizione del tempo si trova davanti una figura scura, cupa, seria, certo una persona che fa un lavoro pieno di responsabilità, costui la guarda, la scruta, e all'improvviso dice " Lui, vuole vederti!"
lei era ferma a una parola V E D E R T I.
"Sto per avere un infarto, ne sono certa!" pensa sotto il suo incessante sguardo da inquistiore,
"Su, su, muoviti che non ho tutto il giorno" Le ragazze che sono rimaste li la vedono passare aldilà della transenna e iniziano a urlarele ogni cosa.
Ma nella sua testa ora c'era solo vuoto, e quel tizio poteva dire tutto ciò che voleva, tanto a lei non interessava, stava per vederlo, forse parlarci.

Entrarono entrambi in una stanza, ed i suoi sogni si infransero all'istante, come cristalli che cadono a terra, sorrise imbarazzata dal suo stesso comportamento, mentre si faceva largo tra la gente.
All'intreno del salone vi erano infatti, all'incirca altre 50 persone
Il bodyguard, la scrutò con compassione e poi disse, con la sua solita delicatezza " Con voi è sempre la stessa storia, vi credete che sia successo chissà cosa, sperate in chissà quale scintilla, e non riuscite a capire che a lui di voi non frega nulla!"

Così, con imbarazzo, scoppiò una risata sonora, tutti si voltarono a guardarle, ma lei non riusciva a fermarsi, ormai la sua risata incessante era divenuta un libero sfogo nervoso.
Lui in tutta la sua maestosità fregandosene altamente di quante persone c'erano interruppe lo stupore della folla, ma non la risata di lei, che avendolo alle spalle non se ne rese conto.
Vide gli sguardi della gente osservre qualcosa dietro di lei e si voltò.
Lui era lì, dietro di lei, un colpo al cuore, le emozioni sparse e incontrollate per il corpo, immediatamente gli occhi divennero lucidi, si sentiva ferita, ma non da lui, si sentiva ferita dalla sua stessa speranza, dai suoi stessi sogni, il respiro inafferrabile le si ruppe in gola,
"Chi è il primo?" chiese lui, senza fare caso all'assurda situazione, e dalla folla si alzò un boato di voci, sembrava di essere alle poste, o ai sindacati quando è il momento di fare la dichiarazione dei redditi, tutti che si accavallano, tutti che urlano, "SONO IO! SONO IO IL PRIMO!".

Tutti tranne lei che si sorprese nel vedere che l'anima dell'uomo che aveva idolatrato per anni, era dello stesso colore degli occhi e infondò pensò che in ghiaccio fosse bello, ma solo nei cocktail quando è estate e fa caldo, così abbassò lo sguardo, con la delusione profonda di chi si è appena svegliato da un sogno e ritorna alla realtà.

"Iniziamo" disse lui infine, un gruppo di ragazze si mosse e si preparò per scattare una foto insieme a lui, una di quelle foto che ti rimane per il resto della vita, una di quelle foto che fai vedere fiero ad amici e parenti, una di quelle foto in cui quasi sicuramente sembrerai più cesso di quello che sei.

Lei non voleva aspettare il suo turno, voleva smettere di sognare e andare via, ma una mano ivisibile la teneva inchiodata lì, impedendogli di muoversi.

Arrivò anche il suo turno
"Non preoccuparti, ora tolgo gli occhiali!" disse lui con il sorriso sulle labbra che lei ricambiò nervosamente, si sfilò gli occhiali e la strinse forte in un abbraccio parziale, al suo tocco, per poco non perse conoscenza, tutto il suo corpo divenne reattivo, ogni fibra era pronta a collassare da un momento all'altro, e sarebbe successo, se la rapidità della foto non l'avesse impedito.

"Say cheese!" disse qualcuno ed ecco il suo meraviglioso sorriso illuminare tutta la sala, lei restò imbambolata ad osservare lui, anzichè la fotocamera, stordita e confusa.

Quando le porsero la foto, si rese davvero conto per la prima volta nella vita, di essere un'oscentià in paragonata a lui, era troppo grassa, troppo brutta, troppo tutto, "beh" si disse "quando ti affiancano alla perfezione, non puoi pretendere!" pensò.

"Sai, prima, la fuori, eri veramente disperata!" disse lui con un sorriso benevolo, afferrandola per un braccio, i battiti del suo cuore cessarono per un tempo che le sembrò infinito,
"Pensarti vicino a me è stato devastante per la mia psiche." disse lei
"Perchè mai??" ribattè lui curioso,
"beh, non saprei proprio come spiegartelo. Non credo nemmeno veramente di star parlando con te adesso!" rispose lei,
"Guarda che sono reale! Sono qui, toccami se non ci credi!" e scoppiò a ridere, lei non ci trovava nulla di buffo, lui dall'alto della sua superiorità stava giocando come il gatto con il topo, e questo la disturbava alquanto, sorrise imbarazzata dalla situazione ed abbassò lo sguardo a terra, senza rispondere

"Potrei essere anche un fantasma, in effetti. Toccami e constata tu stessa che sono reale!" la incalzò ancora una volta lui, ridendo

"bene vuoi che ti tocco?" sussurrò lei con un filo di voce
"Si" rispose lui cessando di ridere

Lei l'osservò, senza sfiorarlo, scrutò i suoi gelidi occhi e si allontanò, senza dargli alcun tipo di soddisfazione.
Lui rimase stizzito, e confuso, dalla ragazza che gli voltava le spalle.

"Volevo solo vedere i suoi occhi, sentire l'odore della sua pelle, metterlo nella cassaforte della mia memoria e magari andarlo a ripescare ogni volta che ne ho voglia, ma non soffrire, per un uomo troppo sicuro di sè che quando vuole una cosa se la prende e basta." pensò lei.
Infondo lui era così irresistibile, "nessuno dovrebbe essere così perfetto" pensò, e si trovò tutto ad un tratto nel vento gelido dell'inverno.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 - Incidente ***


Cap. 2 - Incidente

 

Il vento gelido dell'inverno le penetrò nelle ossa, un brivido lungo la schiena e poi la mente persa nei suoi occhi.

Impossibile smettere di pensare, impossibile pensare, troppo straziante compiere entrambe le azioni.
Le aveva parlato, il solo pensiero la mandava nel panico, il solo sfiorare il suo nome con la mente, la mandava nel panico.
Leonardo, rimbalzava nella testa, come un'irrefrenabile pallina da ping pong, devastando ogni funzione cognitiva.

Era così bello. Così dannatamente bello, come non pensarlo? Si chiedeva. Come smettere? Era senza senso. Si sentiva imprigionata in un vortice di emozioni, e sensazioni che non sapeva spiegare.
Per tutta la vita, aveva sentito qualcosa, aveva ceduto ai languidi sussurri della sua mente, che la spingevano verso di lui, si sentiva imprigionata in un'assurdo campo magnetico.

Alzò lo sguardo al cielo, nubi nere preannunciavano un imminente temporale, sospirò scoraggiata, mancava ancora molta strada prima di raggiungere l'albergo.
Aveva impiegato tutte le sue risorse per essere lì, per poterlo vedere, anche solo per un seconodo, si ripeteva che avrebbe capito, che tutto le sarebbe sembrato più chiaro, con un suo sguardo, invece ora, era tutto ancora più confuso, non aveva mai creduto in realtà di poterlo incrociare, sorrise e continuò a camminare osservando con curiosità la bellissima città di Cannes.

Neppure sapeva spiegarsi come, ma si ritrovò difronte ad un'albergo che non era il suo. Guardò l'orologio, aveva camminato in trans, per quasi due ore e mezza. Dov'era? Che posto era quello?
Si osservò intorno, l'enorme edificio difronte ai suoi occhi era l'Hotel Martinez, non era certamente il suo albergo.
Sorrise ancora, imbarazzata, e sconvolta dal suo stesso atteggiamento.
Aveva camminato per così tanto tempo e non era riuscita a capire come si fosse trovata lì davanti.
Si voltò, per tornare indietro, sulla "via di casa" con i pensieri ancora scombussolati, cercando di prestare attenzione, questa volta a dove andare.

La sua camminata con la testa tra le nuvole, venne interrotta dal passaggio di un'auto, una lussuosa mercedes, che per poco non l'aveva presa sotto.
Scosse la testa confusa, si sentiva come se qualcuno stesse manipolando i suoi pensieri, si sentiva come in coma, osservò l'auto che aveva inchiodato a pochi centimetri dal suo corpo, alzò lo sguardo dispiaciuta e confusa, mentre la persona alla guda scendeva dall'auto.

-Ma si può sapere che diavolo hai nel cervello ragazzina?- Disse l'uomo con tono di rimprovero, lei ricambiò il suo sguardo preoccupato e avvampò d'imbarazzo, sentendosi ancora più stupida

-Potevo metterti sotto! Fai più attenzione!- Continuò ad inveire l'uomo, ma alle sue orecchie la voce arrivò come un flebile sussurro,

-Ragazzina, ragazzina, ei ti senti bene?- Continuava la voce,

-Chiamo i soccorsi!- Si aggiunse un'altra voce, non era più quella dell'uomo di poco prima, era completamente diversa, un'altra tonalità, il cuore iniziò a battere in modo più veloce e frenetico, come se avesse riconosciuto in quella voce, qualcosa di famigliare, come se riuscisse a vedere, nonostante gli occhi chiusi.

Finalmente si destò, non sapeva quanto tempo era passato, sapeva solo che qualcosa di strano era successo.
Aveva perso i sensi, era caduta a terra, tramortita sull'asfalto freddo. Quando aprì gli occhi, le luci dell'auto l'abbagliarono e capì di trovarsi ancora sulla strada.

Scorse un'uomo di spalle, parlare al telefono
-Si, si! Si è risvegliata! La richiamo!- disse e poi staccò la chiamata, difronte a lei un'uomo sulla cinquantina cercava di attirare la sua attenzione passandole una mano davanti agli occhi, lei l'osservò confusa battendo lentamente le palpebre, come quando ci si sveglia da un incubo tremendo e non si capisce se si è tornati alla realtà

-Come ti senti? Parlami!- disse l'uomo con apprensione e gentilezza allo stesso tempo, caratteristiche che le ricordarono subito le premure e le cure di sua madre

-Credo, di stare bene- rispose con un filo di voce la ragazza ancora confusa

-Michael, falla salire in auto, la portiamo all'ospedale più vicino, non voglio portarmi sulla coscienza il peso di una vita umana!- Disse una voce alle sue spalle, era la stessa che aveva sentito in precedenza, mentre era ancora a terra priva di sensi, il cuore iniziò ancora una volta a battere in modo convulsivo, tentò di voltarsi, per vedere chi fosse, ma l'uomo sulla cinquantina glielo impedì, afferrandola per la vita ed aiutandola ad alzarsi da terra.

-Non c'è bisogno, la ringrazio ma ora mi sento meglio- Provò ad opporsi lei, ma una volta in piedi, la testa le girò una seconda volta e se Michael non l'avesse trattenuta, probabilmente sarebbe cascata a terra dinuovo.

-Quand'è che hai mangiato qualcosa l'ultima volta?- Chiese la voce di spalle, e lei odiò la stupida coincidenza che non le permetteva ancora una volta di vedere il volto dell'uomo, Michael l'aiuto a salire nella lussuosa auto con delicatezza e cura.

Si sedette imbarazzata sui bellissimi sedili posteriori in pelle bianca.
Ispirò a fondo l'odore nuovo dell'auto, e poco a poco iniziò a mettere a fuoco ogni cosa.
L'uomo misterioso salì in auto con eleganza, sedendosi sul sedile del passeggero e Michael prese posto su quello del guidatore.

-Vi ringrazio per la premura, ma mi sento meglio, davvero, se fosse possibile vorrei solo essere accompagnata al mio albergo- disse la ragazza, nella speranza di essere ascoltata, ricordando il suo odio profondo per gli ospedali, quell'odore di disinfettante, la paura dei medici dallo sterile camice bianco

-Non voglio averti sulla coscienza- Ribattè ancora una volta l'uomo misterioso, e lei avrebbe voluto afferrarlo per la giacca nera e costringerlo a voltarsi verso di lei, per poter filnalemente capire chi fosse.

-La prego, le ho gia detto che sto meglio, dev'essere stato un semplice calo di pressione- si giustificò la ragazza con voce temante

-Solo se mi lasci la libertà di portarti fuori a mangiare qualcosa. Devo assicurarmi che tu sia in forze- disse infine lui voltandosi, finalmente, verso di lei.


















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Capitolo 3
*** Cap. 3 - Occhi negli occhi ***


Cap. 3 - Occhi negli occhi

Il fiato le si ruppe in gola, il cuore balzò fuori dal petto e vi rientrò con un triprlo salto mortale carpiato con avvitamento.

Le mani iniziarono a tremarle vistosamente, una sensazione di blocco la invase, quando capì chi aveva difronte.

Leonardo, era davanti a lei.
Stava sognando. Senza dubbio.
Sorrise imbarazzata e si diede un forte pizzicotto sul braccio sinistro, lui la osservò dubbioso, con un lieve sorriso appena accennato sulle labbra.

Era reale. O almeno così sembrava a giudicare dal dolore che provava al braccio.

-Non ci credo che ti sei data un pizzicotto!- esclamò lui scoppiando in una risata sonora, il suo sorriso, illuminò d'improvviso tutto, ed il mondo iniziò a scintillare, brillando di luce propria, non lo aveva mai visto così, non aveva mai visto il mondo assumere quel colore vivido.

Il cuore si perse, nei meandri dell'anima, non viveva più nel suo corpo aveva deciso che era troppo rischioso, troppo doloroso, e troppo piacevole allo stesso tempo. Voleva fuggire scappare lontano e nascondersi, ma lei invece, non voleva nient'altro che restare lì, con lui.
L'auto accostò difronte all'entrata di un ristorante, Michael disse qualcosa e poi Leonardo scese dall'auto. Lei rimase intontita ad attendere chissà cosa in auto. Michael le sorrise benevolo, fose la capiva, le fece cenno di scendere dall'auto e lei sorrise imbarazzata e uscì, nel vento freddo della sera.

-Ah, sei scesa- Disse lui sorridendo -Credevo che sperassi che io ti aprissi la portiera- sorrise ancora e lei, avvampò d'imbarazzo. Certamente non si aspettava che lui le aprisse la portiera, a dire il vero non si aspettava proprio nulla da lui, e anzi, averlo di fronte era già più di quanto potesse desiderare.

Camminava sicuro ed elegante, lo osservò con forse eccessiva scrupolosità, pensò se i suoi movimenti fossero frutto di qualche stupido allenamento o corso e lo invidò, anche lei voleva muoversi con il suo stesso charme.
Indossava un abito da sera nero, cucito su misura, si era cambiato dalla foto, era elegante, e probabilmente stava andando in qualche posto, senza dubbio migliore di quello in cui stava per entrare con lei al suo fianco.
Si sentì in copla per avergli rubato del tempo e pensò che forse avrebbe dovuto insistere nel senso opposto, ed evitare quell'uscita.

Il senso di colpa la abbandonò, lasciando spazio solo alla gioia e alla innocente felicità appena varcarono la soglia del ristorante, era luogo lussuoso ma allo stesso tempo riservato, lui l'afferrò per un braccio, trascinandola verso di sè, a quel contatto per poco lei non cadde nuovamente a terra priva di sensi.
Si osservò intorno, tutti erano vestiti in modo impeccabile, ma certamente non lei, che indossava solo un paio di jeans scoloriti ed una felpa nera.

-Buonasera Signor DiCaprio, venga pure l'accompagno al suo tavolo- disse con riverenza il cameriere scortandoli al tavolo.

La sala era enorme, lapadari in stile barocco la facevano da padroni, tavoli con immacolate tovaglie di seta bianche, bicchieri in cristallo e posate d'argento.
Lei si osservò intorno, ed una sensazione di inadeguatezza l'assalì. Pensò a quanto potesse costarle un pasto lì e per poco non si sentì male.
Si maledisse per aver accettato la sua offerta, e certo non voleva fare una figuraccia quando sarebbe arrivato il momento di pagare.

Lui si sedette al tavolo, invitandola a fare lo stesso, era piuttosto appartato rispetto a tutti gli altri, nessuno li avrebbe visti dalla sala.
Afferrò il menù ed iniziò la sua ricerca del piatto più economico, mentre lui sorrideva compiaciuto nel osservare il suo imbarazzo.
I prezzi del menù non erano solo alti. Erano spropositamente esagerati,  una "Soupe de poissons « Maison », rouille et croûtons dorés" costava ben 85 euro.
Che poi, che diavolo è? Pensò lei.
L'imbarazzo della situazione non tardò ad arrivare, e lei iniziò ad agitarsi sulla sedia, in preda al panico

-Devi stare tranquilla!- esclamò lui senza toglierle gli occhi di dosso come se avesse letto all'interno della sua anima
-Ti ho invitata io qui. Non fare caso al prezzo- Ribadì con discrezione, la sua agitazione a quelle parole anzichè diminuire aumentò e si sentì ancora di più al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Le mani iniziarono a sudarle ed il suo intelletto inizò a fare acqua da tutte le parti, al momento non era in grado di spiccicare nemmeno una parola.
Gli occhi di lui la rapivano completamente dal resto del mondo.
Nulla aveva più importanza ora che era accanto a lui, niente la preoccupava così tanto da distrarre il suo sguardo.
Voleva solo aprirsi a lui, spalancargli il suo cuore, fargli sapere cosa sentiva, cosa aveva sentito fino a quel momento, voleva che lui si ricordasse di lei, voleva che per lui fosse lo stesso.
I loro occhi, rimasero fissi gli uni in quelli dell'altra a lungo, senza parlare.

Il tempo scorreva sugli orologi di tutto il mondo, le stelle, la luna e l'universo, tutto era in movimento. Tranne loro.

Lui distolse lo sguardo, spaventato e sorpreso, scosse la testa, come per liberarsi dall'ipnosi che l'aveva colpito e lei fece lo stesso.
Si alzò di scatto dalla sedia su cui giaceva fino a quel momento, l'afferrò per un braccio e la trascinò fuori dal ristorante, senza lasciarle il tempo di fare domande ; domande che aveva preferito non porre nemmeno a se stesso.

Si fermarono fuori dal locale, con l'affanno, non certo per la corsa, non certo per i movimenti repentini, ma per altro. Qualcosa che nessuno dei due sapeva spiegarsi.
D'imporvviso il cielo iniziò il suo canto tumultuoso e una pioggia violenta li accolse, riversandosi su di loro che impassibili rimasero l'uno difronte all'altra.
Con gli abiti zuppi e in testa una chiara confusione, Leonardo si avvicinò alle labbra della sconosciuta ragazza, di cui non sapeva nemmeno il nome, e la baciò.
Lei ricambiò il suo bacio con dolcezza, risvegliando tutta la passione sopita che aveva in corpo.









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Capitolo 4
*** Cap. 4 - Incertezza - ***


Cap. 4

I loro sguardi si incrociarono, il cuore le scoppiava nel petto, era spaventata, non l'aveva mai sentito così forte e imponente, quel dolce battito soave era divenuto duro e feroce, tutto il suo corpo era governato da sensazioni sconosciute, e sentì come se tutto d'improvviso si fosse rischiarito, come se stesse guardando il mondo per la prima volta.
Tutto le era apparso sempre grigio e insipido, privo di quella bellezza luccicante, non riusciva a capire cosa le persone trovassero di affascinante in tutta quell'insulsa freddezza. Per lei le case, le strade, i porticati, tutti, si assomigliavano tra loro, mentre ora per la prima volta, sotto la pioggia e stretta tra le sue braccia, la città si illuminava di una nuova brillantezza.
Era lui, l'artefice, lui dagli sfavillanti occhi dal colore del cielo d'estate, dal dolce profumo di dopobarba, dal delicato profumo di bagnoschiuma costoso, le sue gote si infiammarono per l'imbarazzo di quei pensieri, così poco casti, si guardò intorno distogliendo lo sguardo e i pensieri.
Ma come poteva pretendere che il suo corpo, divenuto ormai un ammasso di carne ed ossa incontrollate, badasse a quali ordini il suo cervello cercasse di impartirgli.  La felicità pulsava nelle vene come la più potente delle droghe.
Lui si staccò dal suo abbraccio sorpreso, almeno quanto lei, da quel bacio improvviso. La osservò, scusandosi con lo sguardo, le ginocchia iniziarono a tremare e la paura di non essere abbastanza uccise d'improvviso tutti i sogni e le speranze che aveva covato fino a pochi istanti prima.
La felicità si nascose come una bambina impaurita nei meandri della sua anima, la tristezza l'invase, la paura, l'ansia e l'incertezza, tutte insieme iniziarono a sussurrarle frasi oscene all'orecchio, come muse incantatrici.

Osservò ancora una volta il volto di quell'angelo maledetto e una sensazione sempre più forte di sconforto la fece piombare nel baratro più nero.
Fuggire.
Quella era l'unica soluzione plausibile, lei non poteva essere alla sua altezza, ne voleva provarci, era stato un bel sogno, fino a quando non aveva sfiorato la sua anima con quelle dannate labbra e quel suo maledetto profumo. Il susseguirsi delle azioni avvenne in modo rapido e confuso, si ritrovò a correre piangendo sotto la pioggia ; piangendo per la sua codardia e per colpa della sua bassa autostima.
Ripensò agli anni passati, certo, non erano stati una passeggiata al parco, certo le difficoltà a cui la vita l'aveva sottoposta non erano state facili da superare, eppure lui, il suo più grande sogno era lì, a pochi centimetri dalle sue labbra e lei era riuscita a scappare, ancora una volta.

Rientrò piangendo nel suo albergo, che trovò con estrema facilità.
Si tolse i vestiti bagnati e ripensò ancora una volta alle sue morbide e calde labbra, dalla perfetta forma simmetrica, al suo sorriso, al suo profumo e si sentì morire dentro ancora una volta.
"I sogni non sono fatti per avverarsi" pensò, forse aveva ragione, infondo nessuno è pronto a reagire, quando uno di questi si realizza.  
Si accasciò sul letto, e sognò, sognò una vita come la voleva, si sognò forte ed audace, coraggiosa temeraria e senza paura; nella speranza che lui, fosse tornato, nella speranza di essere accettata, per quello che era. 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 -Il risveglio- ***


Socchiuse gli occhi nella speranza di dormire, ma un rumore forte e deciso la destò ; qualcuno bussava con forte prepotenza alla sua porta.
Si alzò frastornata dal letto ed andò ad aprire.
Davanti a lei, apparve tutto ciò per cui aveva avuto solo il coraggio di sperare.
Lui era lì ; in tutta la sua maestosa presenza.
-Almeno dimmi il tuo nome- disse sprezzante osservandola negli occhi
-Christine- sussurrò con un fil di voce -Christine Be-Be-lfort- concluse balbettando
-Christine, non so come sia possibile, ma sapevo che eri tu- disse avanzando nella camera e cingendo con forza la vita di Chris.




Si ritrovò avvolta in lenzuola di seta bianche, immagini sfocate si fecero largo nella sua mente, occhi azzurri, capelli dorati e un profumo inconfondibile, il profumo di sogni realizzati, di biscotti appena sfornati, di serate passate ad osservare il moto inquietante del mare, il profumo della salsedine ; il profumo della felicità.
La scrutò dall'alto della sua statura e le sorrise ; il sorriso più bello che Christine avesse mai visto in vita sua, ancora frastornata dal momento tutto le sembrò divenire ancora più sfocato e incomprensibile.


Aprì gli occhi frastornata e confusa, si osservo intorno, un colpo al cuore, si sollevò dal letto di scatto, rizzandosi a sedere ed osservandosi intorno “Dove mi trovo?” la prima domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno a bombardarele il cervello ; si ossrvò intorno, le pareti della stanza erano candidamente bianche, i mobili minimal e moderni, privi forse di quel tocco di personalità che li avrebbe resi distinguibili, “la mia camera d'albergo?” continuò a domandarsi, si voltò, al lato opposto dell'enorme letto ; lui giaceva quasi completamente immobile, l'imbarazzo avvampò sulle sue gote come l'accendersi veloce di un fiammifero ; si spostò leggermente per liberarsi dalle lenzuola. "Leonardo" pensò e sussurrò tra le labbra
Il suo cuore implose ed esplose con un fischio assordante nelle orecchie, provava a deglutire a riordinare le ideee ma nulla, si sollevò dal letto cercando di non svegliarlo e si rivestì velocemente.
Nel voltarsi lo ritrovò li ; sveglio, con gli occhi spalancati, intento ad osservarla.
Per un attimo il respiro le si ruppe in gola e la concentrazione venne meno.
"Nessuno dovrebbe essere così bello, nessuno." pensò
Lui di tutta risposta alla di lei agitazione le mostrò un sorriso; il più bel sorriso che Christine avesse mai visto.
Ed ora tremava, ora la paura era forte, adesso non poteva permettersi di perderlo ; perché una volta che hai assaporato il paradiso, nulla più è paragonabile ad esso.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 Insieme ***


Adesso erano insieme, ricambiò il suo sorriso, saltando sul letto, tra le sue braccia, colma di emozioni che nella sua vita ancora non aveva provato. 

Rimasero entrambi così, occhi negli occhi, senza parlare, con un sorriso incontrollabile sulle labbra, come se si fossero cercati per tutta la vita ed ora, qualcuno li aveva voluti vedere insieme, qualcuno, aveva voluto dar loro la possibilità di essere felici.

 

Ma, come tutte le cose belle, non si sa ancora bene per quale motivo nascosto ed antico come il moto della terra, debbano sempre interrompersi. 

Il telefono nella stanza squillò, più e più volte, fino a quando lui, del tutto svogliato si decise ad alzare la cornetta e rispondere, per vedere chi, a questo mondo aveva il coraggio di interrompere qualcosa di così magico come il liquefarsi l’uno negli occhi dell’altra. 

 

<< E’ un impegno di lavoro al quale non posso proprio rinunciare >> disse riagganciando la cornetta, sfilò dolcemente le sue gambe nude dalle lenzuola e si mise seduto a bordo letto, voltandole le spalle 

<< Se ti dico una cosa non ci credi >> disse trattenendo una risata, lei si risvegliò come dal coma, appena lui smise di guardarla 

<< Cosa? >> chiese farfugliando 

<< Sono passati esattamente due giorni, da quando siamo entrati in questa stanza >> sussurrò sorridendo

<< Come? >> ormai le riuscivano bene solo le domande, aveva come l’impressione che nulla oltre a lui attirasse la sua attenzione, neppure il passare del tempo. 

Leonardo si alzò dal letto, ancora completamente nudo, ed era vero, si, lo sentiva dal profondo delle sue viscere in tumulto, che mai nella sua intera vita avrebbe più rivissuto un momento così perfetto, la sua perfezione stava nella sua imperfezione ; l’imperfezione dei capelli spettinati, degli occhi stropicciati, della pelle sulla quale le lenzuola avevano formato morbide righe, sul suo volto, stanco ma felice e non voleva che quell’attimo finisse, avrebbe svenduto la sua anima, purché tutto il mondo, si fermasse, pur di poter vivere con lui, dentro quella stanza vuota ed anonima, ma che nemmeno tutta la bellezza dell’universo avrebbe potuto sostituire. 

 

Si alzò decisa a non lasciarlo andare via, lo guardò intensamente negli occhi e di colpo tutta la stanza riprese a girare nel suo moto perpetuo e infinito. 

L’amore, cos’era l’amore?

In questo sentimento lei trovava devozione e potere servilmente sottomesso a chissà quale magia voodoo. 

 

Lo strinse tra le braccia, nessuna parola sarebbe servita a far capire qualcosa di così limpidamente chiaro. 

Uniti erano qualcosa che nemmeno loro si sarebbero mai aspettato. 

 

Di colpo Leonardo si sganciò dal suo abbraccio, la osservò per pochi istanti e si ritirò spaventato da quello che aveva vissuto, terrificato si rivestì e in alcuni minuti uscì dalla sterile stanza bianca lasciando il vuoto assordante delle sue ultime parole

<< Addio >>

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Capitolo 7
*** Cap. 7 - Agisci ***


Erano passati ormai due anni da quella notte custodita inconsciamente nella sua di lei memoria. 

 

Le aveva più o meno tentate tutte per togliersi dalla mente quei momenti e così decisa a sopravvivere aveva smesso di pensarci e provò con tutte le forze ad andare avanti. 

 

Aveva trovato consolazione nell’odio, ed ora camminava in riva all’Arno abbracciata ad un altro uomo, dagli stessi occhi azzurri che gli ricordavano perennemente qualcun altro ma che erano anche così diversi da detestarli. 

Era passato capodanno da quasi un mese, era il 23 gennaio 2014. 

 

Anche se ci aveva provato ; ogni qualvolta chiudeva gli occhi ripensava a lui che ormai era un fantasma sempre presente nella sua vita. 

 

Sorrise (fingendo) all’uomo che diceva di amare e che in realtà le ricordava perennemente quell’attimo di paradiso che aveva avuto e che non sarebbe mai più tornato indietro

 

<< Andiamo al cinema questa sera >>  disse sperando di proporre qualcosa che lei potesse apprezzare, tentava ogni cosa per sollevarle dal volto quel terribile velo di tristezza che spesso si nascondeva dietro il suo sorriso

 

<< Cosa vorresti vedere? >> chiese lei svogliatamente con l’attenzione proiettata su altri mondi 

 

<< E’ da poco uscito The Wolf of Wall Street, che ne dici? Io vorrei tanto andarlo a vedere >> di colpo riuscì ad attirare la sua attenzione, mentre una lama di dolore le trapassava il cuore al pronunciarsi di quelle parole. 

 

 

Dall’altra parte del mondo, distante più di 15 ore d’aereo Leonardo si rigirava infastidito nel letto, era tarda mattinata, non aveva ancora nessuna voglia di alzarsi, qualcosa lo disturbava più del solito, un pensiero che non riusciva bene a ricondurre. 

Lunghi capelli biondi gli sfioravano il viso, provocandogli quel fastidioso pizzicore insopportabile, così si alzò di scatto dal letto, cosa che fece sobbalzare la bellissima donna al suo fianco che lo implorò di tornare tra le sue braccia. 

 

Annoiato da quella situazione non rispose ed andò in cucina, un lampo mentre percorreva il corridoio e la vide, la vide di nuovo, come già era accaduto negli ultimi due anni, era più una sensazione che un ricordo, un profumo, era come il sapore di casa quando sei stato lontano per tanto tempo, come l’acqua calda che ti scorre sul corpo mentre fuori nevica, era il sole che riscaldava la sua anima e li vide, i suoi occhi color pece, la pelle rosea, i capelli neri nastri di carbone, che mai avevano provocato in lui quella sensazione di sgradevolezza, ripercorse gli anni in pochi secondi, si immaginò ancora con lei, difronte alla balconata principale, con in mano una tazza di cioccolata fumante, mentre fuori è buio, mentre fuori è freddo, mentre fuori è vuoto ed insipido mondo, stretti in un abbraccio contro il tempo, insieme. 

 

Smise di pensare ed agì. Era l’unico a poterlo davvero fare.

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Capitolo 8
*** Cap. 8 - L'aurora boreale ***


 


Cosa le era successo? 

D'improvviso il richiamo di qualcosa, o meglio di qualcuno la destava dalla vita come da un sonno profondo senza sogni. 
Tutto il resto del mondo la chiamava, ma lei non aveva nessuna intenzione di prestare orecchio a quelle voci insignificanti, restò ipnotizzata difonte lo scorrere rapido del fiume, immersa nella sua più recondita memoria, ascoltando il battito incessante delle vene che le pulsavano sul collo, lui, lui la stava pensando; se ne accorse in maniera limpida e chiara, pensò a come fosse possibile, cercando di ritornare alla normalità con scarso successo. 

Il ragazzo che la stava chiamando incessantemente ora era insulso, si rese conto che lo era sempre stato. 
Corse via, perdendo completamente il controllo sul suo corpo. 
Le strade iniziarono a scorrere veloci, le auto divennero lampi di luce che sfrecciavano al suo fianco, non era sicura di dove stesse andando, anzi, non ne aveva la minima idea, ma nonostante ciò sapeva che doveva andare. 

Corse a perdifiato per un tempo infinito, lungo ponti e strettoie, sopra sassi male assestati, le persone le sfioravano il pesante cappotto rosso, ma nulla riuscì a fermarla, fino a quando, senza preavviso il suo corpo inchiodò difronte ad un maestoso palazzo, sbattè le palpebre almeno una dozzina di volte prima di accorgersi che si trovava difronte un Hotel : l'hotel Four Season. 

Come ci era arrivata, restava tutt'ora un mistero, l'imponente struttura era circondata dal verde. 
Il giardino era incredibilmente vasto, immerso in ogni genere di luci artificiali, piccole lanterne bianche circondavano tutta la struttura e affascinata da quella meravigliosa visione si inoltrò senza preoccuparsi delle conseguenze, in quello che sembrava essere un fitto bosco.
Si avvicinò distratta ad una piccola struttura di cui intravedeva le spesse colonne bianche e la scintillante cupola blu. 
Superata l'enorme siepe e voltato l'angolo i suoi occhi e il suo corpo furono invasi da convulsioni incontrollabili di estasi, ogni molecola del suo corpo era sfuggita al suo controllo e si autogestiva. 
La sua schiena, l'avrebbe riconosciunta persino in mezzo a milioni di persone. 

Lui si voltò di scatto, cosa che la fece sobbalzare, un attimo eterno, i loro sguardi si incontrarono, la loro essenza vitale era assolutamente dipendente l'una dall'altra.
Enormi gocce iniziarono a scendere da quello che era diventato ormai, un tumultuoso cielo espolosivo, lentamente e poi sempre più velocemente vennero invasi da una tempesta d'acqua, come se anche il cielo avesse smesso di trattenere le sue lacrime e si fosse emozionato, nel rivederli insieme. 
Cullati dal dolce suono dell'acqua, si corsero incontro, abbracciandosi eternamente. 
Le anime si erano riunite, le sensazioni che provarono furono sconvolgenti per entrambi, impossibile pensare che cose simili possano davvero esistere, almeno fino a quando non è il tuo corpo a viverle. 
La pioggia, l'odore dell'erba bagnata stava accarezzando i loro corpi ormai nudi, il freddo e la paura erano sensazioni sempre più distanti da loro.
Quanto le era mancata la sua pelle, quanto aveva sofferto nel non sentire più il suono della sua risata, i suoi capelli bagnati le scivolavano sul seno, il cuore era diventato un universo sfaccettato di mille colori, come l'aurora boreale, ma nessuna descrizione al mondo riuscì a spiegare quello che stava provando in quel momento.  

 







 

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Capitolo 9
*** Cap. 9 - Il sapore amaro della realtà ***


Aprì gli occhi ; difronte ai suoi, l'immensità del blu degli occhi di Leonardo.
Dentro di essi si rifletteva tutto il senso della vita trasportandola in un mondo puramente costituito da intangibili realtà. 
Il suo viso, il suo respiro, tutto la inchiodavano allo strenuo realismo di quel momento. 
Gli sfiorò con le dita le labbra, così carnose e umide, lui le afferrò la mano la intrecciò nella sua e senza dire una parola, si addomentarono, cullati dal dolce suono della pioggia battente. 
La felicità aveva un sapore strano, qualcosa di sconosciuto ai suoi sensi, forse, si domandò, se fosse semplicemente assenza di dolore, ma infondo sapeva bene essere qualcosa di più, era completezza era non tanto un sentimento gioioso quanto un sentimento di pura pienezza. Trasportata in un incessante dormiveglia i suoi occhi rimasero costantemente impregnati della sua immagine, dipendenti da quello che era stato fino ad un attimo prima semplicemente un bellissimo sogno. 


Aprì gli occhi all'interno di una stanza d'albergo, lenzuola di seta bianca avvolgevano il suo corpo ancora nudo, un profumo di cornetti alla crema e l'immensa paura che tutto fosse stato solo frutto della sua immaginazione. 
Lui entrò nella stanza nello stesso istante in cui lei si alzò supina, il suo ingresso monopolizzò tutti i suoi sensi, intercettandoli a mò di radar, indossava probabilmente lo stesso abito della sera prima, una camicia bianca, le maniche accorciate perfettamente, i capelli leggermente bagnati, i pantaloni neri a sigaretta e gli occhi scintillanti e sulle labbra un sorriso appena accennato ma compiaciuto. Il suono della sua voce gli arrivò flebile, il cuore tamburellava nelle orecchie e non gli consentiva di sentire. 

«Questa notte è stata, la notte più assurda della mia vita»

Disse lui cercando il suo sguardo, con l'intenzione di sminurie ciò che era accaduto, gli occhi di lei vagarono a desta e sinistra alla ricerca di una risposta opportuna, definire assurda la loro nottata in effetti era un eufemismo, mai aveva provato quelle sensazioni nè mai aveva creduto che esistessero. 
Diede un'occhiata all'orologio, erano le dieci meno un quarto e si accorse di quanto era in ritardo 

«Questa mattina ho un esame! Scusami ma sono in ritardissimo»

Rispose. Senza pensare, saltò giù dal letto alla ricerca dei suoi abiti, lui dolcemente li accostò sul letto difronte agli occhi di lei ormai troppo permeati dalla realtà quotidiana per accorgersene, senza altre parole uscì dalla porta per lasciarle l'intimità necessaria. 
Nessuno dei due poteva immaginare che in entrambe le menti si stavano facendo largo gli stessi pensieri e le stesse preoccupazioni, entrambi stavano cercando di minimizzare quello che era successo, la spaventosa perdita di controllo, le emozioni, ora tutto appariva agli occhi di entrambi, impauriti e vili, una sciocchezza futile e immatura. 














 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 - Provare a viverti ***


I secondi, le ore, i giorni e le settimane trascorrevano ad una velocità diversa, ad un ritmo assente, disperso nel vuoto dei pensieri; nel nulla. 
Introno a lei una scatola grigia dal suono ovattato. 
L'insipidità del mondo le provocava timore. 
Il telefono non dava mai la risposta che aspettava, nessuna notifica, nessuna chiamata, nessun messaggio, niente di niente. 
Il tempo l'aveva tradita, il mondo aveva iniziato a smettere il suo moto perpetuo e lei si sentiva costantemente nauseata, come quando in auto le curve provocano un senso di malessere interiore al quale il solo fermarsi mette fine. 
Come si reagiva? Cosa doveva fare, cosa cambiare, cosa dimenticare?
La sua essenza vitale era fortemente legata con un filo invisibile a qualcosa che non riusciva a spiegare, le parole, le emozioni, tutto sembrava essere inutile. 
Finchè squillò.
Un numero lunghissimo, un istante eterno. 
Rispose. 
All'imporvviso la terra aveva ripreso a roteare come se nulla fosse mai accaduto. 
Finalmente sentiva l'aria attraversarle il corpo, finire nei polmoni e fuoriuscire, come succedeva a tutti gli esseri umani, com'era successo a lei fino a poco prima di imbattersi in quell'uomo misterioso e affascinante che aveva ormai monopolizzato tutte le sue facoltà umane. 

«Ti prego aiutami, non capisco cosa mi sta succedendo, parlami, capita anche a te? Cosa vuol dire? Cosa significa, non mi sento più unico, solo, ora capisco il senso di unità, di amore, di completezza. Com'è possibile tutto ciò? Ti prego aiutami a capire» 

Balbettò la voce aldilà della cornetta, senza esprimere un vero e proprio concetto, senza usare parole appropriate si rese conto di non conoscere la risposta a quelle sue domande, le stesse che dentro al suo cuore e alla sua testa implodevano. 

«Mi dipiace Leonardo, non so rispondere a queste tue domande, non saprei nemmeno come spiegarlo a me stessa, forse allontanarci servirà, forse tutto dopo tornerà al suo posto»

Sussurò con voce flebile ignorando le particelle del suo corpo ormai in rivoluzione contro la stessa essenza che le nutriva. 

«NO»
disse lui
«Non posso e so, che nemmeno tu puoi farlo, non chiedermi come, ma è così. Non ci resta che provare a viverci, sperando che questo bisogno di noi si plachi con il trascorrere del tempo»

concluse 

«E' tutto così assurdo.»

Ribadì lei con il cuore in gola, felice per quella smentita. 

«Passo a prenderti tra un ora. Prepara le valige, partiamo.»

Disse sorridendo colmo di gioia, entrambi attaccarono la chiamata con il sorriso sulle labbra.  











 

 

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Capitolo 11
*** Cap. 11 - Viverti ora e per sempre ***


Un viaggio on the road, il vento sulla pelle i capelli spettinati, sorrisi pieni e senso di completezza avevano chiuso quella magnifica settimana. 
Posti incredibili, fino a quella sera. 
Leonardo accostò l'auto in un posto sperduto da qualche parte nell'Arizona. 
Il buio ormai era calato, le stelle iniziavano ad essere ben visibili e la brezza calda trasmetteva una gradevole sensazione di piacere. 
Scese dall'auto e le aprì la portiera, inciampando goffamente in un sasso. 

«Questa è la nostra ultima notte prima di tornare alla vita quotidiana. Dormiremo qui, sotto le stelle se per te va bene»

Le cinse la vita con un braccio e la strinse a sè, sorrise per poi baciarla. 

«Questo posto è magnifico, è così magico.»

disse lei ricambiando il suo sorriso. 

Una bottiglia di vino rosso, due calici ed una coperta rossa a strisce bianche, qualche cuscino colorato e si sdraiarono a terra. 

Le stelle erano in movimento e la notte trascorse fin troppo velocemente, così come tutta la settimana. 
«Quella è l'orsa maggiore» disse Leonardo indicando un punto a caso nel cielo, lei lo guardò confusa sperando in un'indicazione più precisa, lui sogghignò 
«Scherzo, non ho idea di dove si trovi, ma ci stava bene come frase»

Risero ed in un attimo si ritrovarono l'uno tra le braccia dell'altra, i vestiti iniziarono ad essere di troppo, le mani frugavano svelte e voraci sotto le maglie e tra i pantaloni, non era sesso, non era amore, era di più era una fusione di corpi, era totale abnegazione, asservimento puro al piacere dell'altro. 

Si raccontarono storie, il sonno era diventato ormai una cosa di cui farne volentieri a meno.

Trascorsero così i mesi successivi. 
Impermeati in uno strano amore senza tempo, continuando a credere nella casualità del loro incontro.  











 

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Capitolo 12
*** Cap.12 - Consapevolezza ***


Il tempo trascorso aveva creato i presupposti per nuovi interrogativi e nuove insicurezze da entrambe le parti. Cos’era successo, in quella notte fredda, oltre quelle transenne? Com’era possibile fare tutto così in fretta e decidere della propria vita in così poco tempo? Domande incessanti si facevano largo nella sua mente. Leonardo sembrava distante. Era distante. Come se l’incantesimo a cui era stato sottoposto fosse svanito.

 

Era trascorso oltre un anno dal meraviglioso viaggio on the road che ormai ai suoi occhi appariva così distante e surreale. Era cambiata da ogni punto di vista, il suo viso era infossato, la sua carnagione più bianca faceva risaltare le gote di un rosso malato, vivido e inspiegabile. Il suo corpo si era svuotato e appariva ai suoi occhi come un involucro vuoto e privo di forma. Era magra. Troppo magra. Si era sforzata per tutto questo tempo di migliorare il suo aspetto, e in parte ci era anche riuscita, l’agiatezza economica le aveva permesso di diventare come una di quelle tante bellissime scatole vuote che spesso aveva visto sfilare in passerella, davanti agli occhi di lui compiaciuti. I suoi capelli neri cadevano fluenti sottoforma di onde morbide sulle sue spalle ossute e scolpite dall’attività fisica. Il viso aveva assunto un’aria malinconica che le faceva acquisire maggiore bellezza. Era quasi simile a lui, come se fosse stata contagiata da un qualche virus. Si sentiva bella ma vuota, e forse, in parte lo era. 

Aveva terminato gli studi universitari, laureandosi in una prestigiosa università americana, anche se non con il massimo dei voti, aveva vissuto una vita a colori, intesa, fatta di momenti di pura gioia ed inspiegabile pienezza, pur restando nascosta agli occhi del mondo. 

Lui invece, appariva invecchiato, anche merito della barba sul suo viso lasciata lunga ed incolta per esigenze di copione, ma nonostante ciò, il suo enorme fascino non aveva subito ripercussioni. 

 

Da poco rientrata nella sua fredda casa di periferia, lontano dagli occhi indiscreti squillò il telefono: “Sono io” disse la voce aldilà del ripetitore

Stasera non posso” tre parole, solamente tre, in grado di far schiantare come un auto in corsa, ogni sua speranza. La tristezza era l’unico sentimento che in questi anni era riuscita chiaramente a distinguere, la consapevolezza di non poter mai uscire allo scoperto, di non poter rivelare chi fosse in realtà e vivere di briciole, nascosta in una parte del mondo difficile da raggiungere per tutti. Nessun amico con cui poterlo condividere, nessuno a cui poter chiedere consiglio o semplicemente sfogarsi, in quella inutile casa in cui lui l’aveva messa esistevano solo le pareti spoglie di un bianco candido e mobili ingombranti in su cui spesso rimbalzavano i suoi pensieri. Convinta che tutto sarebbe cambiato prima o poi, continuava, questo strano valzer di pensieri contrastanti ed inconsistenti. 

Entrambi non erano riusciti a spiegarsi che cosa fosse successo tra loro, che cosa li avesse spinti ad ignorare ogni convenzione e ad agire d’impulso. Certamente Leonardo non era tipo da lasciarsi andare a enormi manifestazioni emotive eppure quando erano insieme, in loro qualcosa inspiegabilmente cambiava. 

 

Era una giornata d’inverno fredda ma soleggiata, lui ormai era in viaggio, doveva presenziare alla Prima del suo ultimo film in una qualche città d’Europa di cui Christine non si chiese nemmeno il nome e a cui soprattutto non era stata invitata. Si ricordava però esattamente cosa era successo, quando aldilà delle transenne c’era lei e, la paura che lui potesse rivivere quell’esperienza con un’altra donna la fece sprofondare in un freddo e cupo oblio colmo di incertezza. La spinta irrefrenabile della gelosia le fece assaporare nuovamente il significato della vita, si alzò di scatto dalla poltrona a dondolo in su cui giaceva inerme e si decise a partire. 

 

Preparò l’occorrente in una borsa 24h, indossò uno dei suoi vestiti migliori, era un’abito violaceo decisamene corto, con un profondo scollo a “V” ed una lunga zip dorata che percorreva interamente la parte posteriore che le conferiva un look sensuale ma senza essere volgare. Uscì di casa con ai piedi delle Louboutin tacco 12 di vernice nera in direzione dell’aeroporto sul primo taxi disponibile, estrasse dalla sua borsa lo smartphone se lo rigirò tra le dita per un paio di minuti, ed alla fine si decise a scrivere un messaggio “Quale città?” domandò. La risposta non si fece attendere molto, aprì il messaggio con la curiosità di un bambino che scarta i regali di natale e lesse con foga “Roma”, sorrise, ma la sua gioia venne interrotta immediatamente dall’arrivo di un altro messaggio “Non è necessario che tu venga, anzi, preferirei se tu evitassi di venire”. Il suo sorriso si era trasformato ormai in una smorfia triste e colma di amarezza. 

Decisa a non tirarsi indietro, salì sul primo volo disponibile, con l’intenzione di chiarire che tipo di relazione avevano instaurato e quale doveva essere il suo ruolo reale. Il volo le era sembrato estremamente breve, per la durata reale, aveva smesso di pensare non appena salita sopra l’aereo, si era semplicemente goduta il viaggio, in silenzio, senza pensieri di nessun tipo. 

 

Arrivata a Roma la sua fermezza iniziò a vacillare. Non aveva idea di cosa fare e neppure di cosa dire, ma soprattutto come dirlo. Sapeva qual era l’albergo in cui avrebbe soggiornato a Roma, le aveva spesso raccontato, durante le notti passate insonni abbracciati, dei suoi viaggi e della sua vita e lei aveva sempre cercato di inglobare maggiori informazioni possibili con la certezza che prima o poi le sarebbero tornate utili. 

 

Roma era quasi completamente in tilt, il traffico in zona sembrava aumentato del 100%, la casa del cinema era completamente circondata da transenne e vi era già una notevole quantità di persone in attesa di poter incontrare il proprio idolo, anche se solo per pochi secondi. Tra urli e schiamazzi che invocavano il nome dell’uomo che aveva imparato ad amare, Christine si avviò di soppiatto verso l’albergo, certa di trovarlo lì.

Entrò dall’enorme portone in vetro e si trovò di fronte ad un’imponente scalinata in marmo grigio e ad una reception così grande da occupare l’intera parete centrale. Avvicinatasi al bancone di rovere chiese sottovoce al receptionist di farsi annunciare, consapevole del fatto che le improvvisate, a Leonardo, non erano mai piaciute. Le mani iniziarono a sudarle, l’emozione di poterlo vedere iniziava a fare i suoi effetti e tutto il suo corpo fu percosso da brividi di piacere e di paura. “Prego, può salire; quarto piano, suite 234” sorrise il receptionist indicandole l’ascensore. Christine si avviò a passo spedito all’interno, schiacciò il pulsante del quarto piano ed attese impaziente che le porte dell’ascensore si chiudessero. 

 

Il suono della campanella la avvisava che era arrivata al quarto piano, lentamente le porte si riaprirono lasciandola all’interno di un lungo e stretto corridoio con a terra una bellissima moquette rossa. La stanza 234 si trovava esattamente al fondo ed era anche l’unica stanza presente in tutto il piano. Ispirò ed espirò a fondo incamminandosi lentamente fino ad arrivare difronte a quella che era la porta della stanza di Leonardo. Bussò con le nocche ed ecco che immediatamente la porta si spalancò. 

Davanti ai suoi occhi apparve tutta la maestosità della sua presenza. Era appena uscito dalla doccia, indossava ancora l’accappatoio, i capelli bagnati e spettinati gli ricadevano lievi sulla fronte, i suoi occhi scintillanti la folgorarono immediatamente, facendola ricadere in quello che era uno stato di semi coscienza. Il mondo intero iniziò a girare vorticosamente, tutto intorno a lei iniziò a muoversi così velocemente da farle quasi perdere l’equilibrio 

“Entra” sussurrò

“Scusami per la confusione, sono arrivato da poco e sono stanco morto” sorrise e si voltò tornando nuovamente in bagno. La barba era scomparsa dal suo volto e questo permetteva una visione completa del suo viso statuario

“Ho bisogno di parlarti” disse Christine con un fil di voce 

“Era necessario arrivare fino qui? Non potevi attendere?” ribatté lui stizzito 

“Sento di dover chiarire alcune cose, per la mia sanità mentale, il prima possibile” sorrise amaramente lei

“Sono qui che ti ascolto, fai pure il tuo monologo” rispose mentre usciva dal bagno, ancora quasi completamente svestito, con indosso solamente un paio di boxer neri. Le sue gote si infiammarono ed i suoi pensieri iniziarono a confondersi, non aveva più idea di cosa dire, in realtà non l’aveva mai avuta, forse voleva solamente restare al suo fianco per tutto il tempo che le fosse stato possibile 

“Credo, di essermi innamorata di te” disse. Dopo un anno ancora non erano mai riusciti a parlare di sentimenti, le parole che li descrivevano rimanevano sempre così distanti da quello che era in realtà la loro realtà, niente riusciva a chiarire esattamente il tipo di relazione ed il loro rapporto. Leonardo si passò la lingua tra le labbra e scoppiò in una sonora risata che la fece immediatamente pentire di quell’affermazione

“Credi di esserti innamorata di me!” ribadì lui ridendo, “non ho tempo per questo, sono già in ritardo, ne possiamo riparlare?” disse con l’intento esplicito di chiudere la conversazione 

“Ti prego, ho bisogno di sapere cosa siamo” sussurrò Christine, socchiudendo gli occhi mentre un forte dolore iniziò ad irradiarsi lungo tutto il suo corpo, fino a diventare insopportabile
“Cosa siamo?” chiese nuovamente lui, mentre lei accennava un si con la testa,

“Non ne ho idea”  disse riprendendo fiato

Da quando ci siamo visti la prima volta, non sono mai riuscito a spiegarmi che cosa volessi in realtà da te e, credo che anche tu abbia questo problema” si interruppe nuovamente per poi riprendere il discorso, voltandosi questa volta verso l’enorme vetrata della suite e distaccandosi dal suo sguardo

“Chris, sento che c’è qualcosa che mi lega a te, non ho ancora capito bene di che cosa si tratta, ma sento che è come una calamita alla quale non riesco ad opporre resistenza. Non riesco a capire, dopo tutto questo tempo cosa sei per me” disse cercando di nascondere l’imbarazzo

“Sono sicuro che siano tutte sciocchezze, sai quelle cose sul destino. Ma credo che infondo ci sia qualcosa che non riusciamo a capire, che ancora non riusciamo ad afferrare, qualcosa che non ci è permesso comprendere, sapere o di cui essere certi e sono convinto, che tu ne sei in qualche modo la testimonianza” sussurrò voltandosi verso di lei, che restò impietrita accanto alla porta d’ingresso ancora socchiusa

“Sono certo che mi hai cercato. Mi hai chiamato, in qualche sogno, in qualche momento della tua vita. Quello che non so spiegarti è il perchè io ti abbia sentito” concluse, sdrammatizzando il tutto con una sonora risata.

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Capitolo 13
*** Cap. 13 - Déjà vu ***


Si voltò a guardare il suo bellissimo orologio da polso passandosi una mano tra i capelli spettinati “devo uscire, sono davvero in ritardo” sussurrò con voce suadente, Christine sentì la morsa dolorosa della gelosia scavarle una voragine nel cuore “d’accordo” rispose ed uscì dalla suite 234 senza voltarsi indietro una sola volta.
Quanti sogni ad occhi aperti aveva fatto, quanti le erano sembrati reali? Voleva davvero essere diversa e affrontare quello che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare nel modo in cui l’avrebbero fatto solo le persone coraggiose, senza guardarsi indietro, senza rimpianti o rimorsi e continuare a vivere la sua vita, con il sorriso e con la consapevolezza che davanti a lei c’era ancora tanto da fare, ancora tanto da scoprire, magari un’altra bellissima avventura ad aspettarla; ma non aveva mai avuto abbastanza audacia per realizzarlo davvero, una mano invisibile era sempre lì, accanto a lei, pronta a bloccarla.
Uscì dall’albergo e si ritrovò sotto il cielo più limpido che avesse mai visto. Forse ora poteva considerarsi di nuovo libera, senza costrizioni. Non si era mai sentita così vuota, ma questo significava davvero libertà? Abbassò lo sguardo ed iniziò a camminare, senza sapere bene dove andare. Il tiepido vento le accarezzava la pelle, spettinandole leggermente i capelli, non ci fece caso e senza preoccuparsi di spostarli dal viso continuò la sua ricerca di qualcosa in grado di farla sentire meglio, qualunque cosa fosse.
Quando all’improvviso lo vide. Si vide. Era come se stesse guardando lo svolgersi della vita al di fuori del suo corpo. Un flash, poi un immagine, non così nitida da farle percepire ogni dettaglio, ma abbastanza chiara. Vide un uomo ed una donna ad uno dei tanti caffè di Roma, uno di fronte all’altra, ridevano e sembravano felici, entrambi erano vestiti in un modo molto diverso, quasi arcaico. Non riusciva a comprendere, a trovare una logica spiegazione per quell’avvenimento, entrambi apparivano molto sfocati alla sua vista, ma era certa di essere lei così com’era certa del fatto che si trattasse di Leonardo, certamente molto diverso da come lo aveva conosciuto, ma qualunque cosa fosse era reale, o almeno lo era stata.
Pensò di essere impazzita, “sicuramente tutte quelle emozioni mi avranno dato alla testa” si disse tra sé e sé. Continuò a camminare, ignorando ripetutamente e senza nemmeno troppi sforzi, ogni tipo di segnale in grado di spiegare la bizzarra situazione in cui si trovava.

Roma, una grande città grandiosa, colma di vicoli e stradine, quella sera, invece, sembrava stranamente piccola, fin troppo piccola. Era capace di girare ore ed ore e ritrovarsi sempre allo stesso punto. Guardò l’orologio dello smartphone erano le 22.00, aveva girato in tondo per almeno un paio d’ore, ritrovandosi costantemente difronte alla Casa del Cinema. Si chiese com’era possibile, era certa di trovarsi dall’altro lato del Tevere, si era tenuta volontariamente a debita distanza da quel posto, eppure era come se per tutto il tempo avesse camminato in trans.

Sbatté le palpebre più volte, come se si fosse appena risvegliata da un sogno. Un nodo in gola ed un brivido percosse il suo corpo nel momento in cui si accorse dove si trovava, era intrappolata in mezzo alle centinaia di persone accorse per vedere Leonardo “come diavolo ci sono finita qui?” si chiese mentre il cuore iniziava a batterle all’impazzata dal terrore, l’ultima cosa in assoluto che voleva era ripetere l’esperienza vissuta a Cannes eppure, senza rendersene conto si trovava schiacciata nuovamente ad una delle tante transenne, rabbrividì, voleva solo uscire da quella situazione al più presto possibile. “Impossibile uscire da qui viva” pensò mentre la calca si faceva sempre più rapace spingendola completamente contro il duro e freddo acciaio.
Delle urla si levarono dal fondo del partèrre, era qualcosa di enormemente diverso da quello che aveva vissuto a Cannes o almeno così le sembrava, la folla qui era vorace, incredibilmente bramosa e folle, pensò fosse colpa del fatto che fossero in Italia ma poi si convinse che in realtà era semplicemente lei diversa dalla se stessa di Cannes.

Le urla si fecero più vicine e ne capì all’istante il motivo. Leonardo stava attraversando la passerella con estrema nonchalance, si trovava esattamente difronte a lei, di spalle, sentì nuovamente la presenza imponente della sua persona, come se stesse guardando un gigante con gli occhi di bambina, perennemente piccola ed indifesa. Leonardo si voltò sbigottito e si trovarono entrambi occhi negli occhi. Christine sorrise amaramente “è questo il mio posto nella tua vita?” sussurrò in modo che solo lui, che la stava osservando, potesse capire, Leonardo scosse la testa ed abbassò lo sguardo incamminandosi verso l’interno dell’edificio.

La calca si era ormai dissipata. Guardò nuovamente l’orologio, era ormai oltre la mezzanotte. Doveva trovare un albergo ma non sapeva ancora bene dove dirigersi così restò immobile per qualche istante difronte all’imponente edificio, lo osservò con molta attenzione, era davvero una bella struttura e tutto introno era molto suggestivo.
Con l’amarezza di chi solo ha provato una delusione d’amore si voltò e si incamminò in direzione del centro storico alla ricerca di un albergo.

Arrivata a Piazza di Spagna entrò nel primo albergo che si trovò difronte, senza troppi convenevoli prese una camera doppia, l’unica disponibile, e si mise a letto. Si sentiva come se qualcuno l’avesse svuotata all’interno con un cucchiaino. Sprofondò tra le lenzuola e chiuse gli occhi, nella speranza, finalmente, di dormire.

Un rumore metallico la fece sobbalzare nel letto, spalancò gli occhi e cercò nel buio. La porta d’ingresso della camera d’albergo si aprì. Christine balzò in piedi da letto, spaventata e ancora assonnata, la luce del corridoio si faceva sempre più forte all’interno della camera da letto e lo vide.
“Scusami, mi dispiace spaventarti così” disse sottovoce “ho provato a chiamarti ma tu non mi hai mai risposto” sospirò “ero solo preoccupato” Leonardo era all’intero della stanza, con indosso lo stesso vestito elegante della Premier, un abito sartoriale classico, che esaltava tutte le sue forme. Christine riprese fiato e lentamente il cuore ritornò a battere normale nel petto, “mi hai fatto morire di paura!” esclamò con ancora la bocca impastata dal sonno
“ma hai idea di che ore sono? Insomma piombi così nella mia stanza!” continuò sempre più concitata “e poi come diavolo mi hai trovata? E come hai fatto ad entrare?”, Leonardo richiuse la porta alle sue spalle ed accese la luce
“Scusami. Sai non è poi così difficile entrare in camera di una donna quando ti chiami Leonardo DiCaprio” rispose strafottente sorridendo
“AH AH” rispose lei sbigottita,
“Senti mi dispiace davvero, se vuoi che vado via basta che me lo dici” i suoi occhi divennero improvvisamente tristi, Christine sospirò, era davvero impossibile resistergli. Rimaneva lì immobile difronte alla porta d’ingresso, con le mani appoggiate lungo i fianchi, la giacca sbottonata ed i capelli leggermente spettinati, doveva per forza essere un Dio
“Lo sai il potere che hai sulle donne” rispose Christine “lo sai il potere che hai su di me, sembra quasi che tu non te ne renda conto” in parte l’affermazione era vera, nonostante la sua fama ed il suo aspetto aveva comunque dovuto conquistare le donne che aveva avuto con molta fatica ed impegno.
In me c’è altro, oltre all’aspetto, da amare” sussurrò “Christine, cosa mi sta succedendo?” chiese quasi implorando,
“Non ne ho idea, ma lo stesso accade anche a me” rispose lei ed, in un balzo Leonardo le piombò addosso, baciandola appassionatamente.
Gli slacciò la cravatta e sbottonò la camicia facendo scorrere le sue mani sulla pelle di lui, le sembrava così perfetta, le sue spalle apparivano così forti e possenti. Lui la cinse tra le braccia e in un lampo furono sul letto. Amava il suo odore, l’odore di dopobarba e bagnoschiuma che emanava, i capelli  di Leonardo le scivolavano morbidi sulla pelle e d’un tratto furono un tutt’uno.

Quando Christine aprì gli occhi il sole entrava già prepotente dalla finestra. Leonardo giaceva accanto a lei immobile, pensò che non ci fosse nulla di male ad osservarlo mentre dormiva, così si meravigliò di quel momento, era la normalità, eppure, allo stesso tempo pura magia, come se qualcuno avesse voluto farle assaporare un pezzo di paradiso.
Pensò che non aveva mai visto niente in vita di così perfettamente perfetto. Ogni particolare, perfino le più piccole imperfezioni erano eccezionali su di lui. Passò la sua mano sul suo viso e Leonardo si svegliò. Nell’istante in cui aprì gli occhi, il mondo divenne quello che per lei non era mai stato, un posto magnifico. Volle immortalare quel momento nella sua mente per poterlo portare con sé per tutta la vita.
“Buongiorno” disse Leonardo con voce sensuale, era incredibile il modo in cui riusciva a trasformare anche le cose più banali in straordinarie
“Buongiorno” rispose Christine guardandolo amorevolmente
“Questa notte la porterò con me per sempre. Sei stata magnifica” disse ammiccando compiaciuto.
“Questo mi fa onore” rispose scherzosamente lei restando immobile, ipnotizzata dal suo sguardo.

Il ritorno a casa fu ancora più piacevole, erano finalmente insieme, davanti agli occhi di tutti, anche se questo era uno degli aspetti che meno le interessava e che anzi la infastidiva. Il viaggio di ritorno era stato un modo per conclamare agli occhi del mondo la loro relazione, di questo Christine era grata, ora sapeva che entrambi erano sulla stessa lunghezza d’onda.

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Capitolo 14
*** Cap. 14 - Past Perfect ***


Parigi 1920*


Stavo bevendo un calice di vino all’interno del Restaurant Polidor quando lo vidi entrare, il più bel ragazzo di Parigi, se non fosse stato già sposato ci avrei anche fatto un pensierino. Ero quasi certa che l’interesse fosse reciproco, dopotutto chi non sarebbe stato attratto da una come me?

Nella vita facevo un lavoro non proprio consono ad una donna di buona famiglia: la ballerina di Burlesque al Moulin Rouge. Questo mi aveva impedito moltissime volte nell’instaurare un rapporto sincero con un uomo. Eppure, quella sera, sapevo che qualcosa sarebbe cambiata era più una sensazione che una certezza vera e propria, nell’instante in cui lui varcò la porta del Polidor, seppi che nulla nella mia vita sarebbe stata più come prima.
Philippe era l’uomo che ogni donna avrebbe desiderato, alto, slanciato, dai capelli d’oro e dagli occhi scintillanti come zaffiri, zaffiri dal colore del cielo e soprattuto di buona famiglia.
Isabelle” mi chiamò appena varcata la porta “devo parlare con te” continuò crucciando leggermente le sopracciglia, in modo che formassero una piccola V nel loro centro, sembrava preoccupato, agitato e sconvolto allo stesso tempo “dimmi” risposi io, lievemente infastidita dalla sua presenza, o almeno questo era quello che volevo lui credesse;
Ho deciso” sospirò, “finalmente mi sono deciso!” esclamò a gran voce, “Voglio prima brindare però” si voltò verso il bancone del ristorante, dove un giovane apprendista stava trafficando con dei bicchieri vuoti “Assenzio, per due!” urlò, il giovane fecce un lieve cenno con la testa e si mosse subito nella nostra direzione “ho deciso, lascio Marienne, non ne posso davvero più” disse sbuffando lievemente.
Alla fine dell’estate scorsa aveva giurato di amarmi e voler fuggire con me, lontano, magari in oriente, per poter finalmente stare insieme, per poter finalmente essere felici insieme.
“Philippe, ti amo, lo sai. Ma potremmo subire delle enormi conseguenze per questa tua decisione” dissi alzando lo sguardo verso il soffitto, mentre lui mandava giù d’un fiato il suo assenzio “Ho paura di quello che potrebbe succederti” risposi seria
“Io no” disse con tono deciso lui ed i suoi occhi di fecero ancora più infuocati “se è la morte che devo sfidare per poter stare insieme a te, allora la sfiderò” rispose sorridendo “prepara la valigia, perchè noi partiamo”.

Quando mi avviai verso il Moulin Rouge la paura mi assalì, conoscevo Marienne, eccome se la conoscevo, la figlia del proprietario, impossibile non conoscerla. Ricca orribile e anche crudele. Una delle persone più potenti ed influenti di Parigi, ci avrebbe reso la vita impossibile, ne ero certa. Varcata la soglia d’ingresso mi diressi nel mio camerino per mettere via le poche cose che possedevo, qualche abito e qualche franco che avevo messo da parte con tanta parsimonia, cercando di fare tutto il più in fretta possibile. Una bisbiglio alle spalle mi sorprese, facendomi sobbalzare “Brava” disse “Vedo che stai preparando le valige” mi sorrise con odio “davvero mi credi stupida?” disse trasformando il suo sorriso in uno sguardo minaccioso e cupo “Tu non andrai da nessuna parte” mi sussurrò all’orecchio, mentre immobile sviavo il suo sguardo carico d’ira, indossava un bellissimo vestito di paillettes e frange, color argento, e guanti spessi neri, che le arrivavano fino all’avambraccio, era pronta ad accogliere i clienti per la serata, mi si distanzio leggermente da me voltandomi le spalle, “Sai, lui è uno sciocco se crede che lo lascerò andare via così, dopo tutto quello che ho fatto per lui” sorrise “ho pagato tutti i suoi debiti” continuò “ed ora, lui è in debito con me, per sempre” disse restando immobile difronte a me “questa storia è finita, Isabelle” alzò di scatto la mano destra e potei notare la sua mano brandire un lungo pugnale d’argento.
Quella fu l’ultima cosa che vidi.
Chiusi gli occhi ed immaginai un paradiso in cui finalmente saremmo potuti stare insieme ed essere felici, immaginai il paradiso e lo vidi come una porta, una porta dietro la quale avrei trovato lui ad attendermi. Sempre. 



*Nota autore: scusate per il linguaggio, ma sono nata alla fine del ventesimo secolo e proprio non ho idea di come si parlasse agli inizi del secolo :)

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Capitolo 15
*** Cap. 15 - Oblio ***


Parigi 1920


Philippe guardò preoccupato il suo orologio da taschino dal bordo argentato, Isabelle era in ritardo, milioni di pensieri affollarono la sua mente, forse lei ci aveva ripensato o forse semplicemente non aveva il corggio di lasciare tutto per lui, una morsa allo stomaco lo fece piegare in due dal dolore, come poteva lei, rinunciare al loro amore e alla loro unica occasione di essere felici? Uscì correndo sotto la pioggia battente in una Parigi notturna e stranamente inqueta, diretto verso il Moulin Rouge alla ricerca di spiegazioni. 
Arrivato di fronte alla porta del suo camerino, senza pensare minimamente alle possibili conseguenze delle sue azioni, spalancò con foga la porta ed entrò. Il fiato gli si ruppe in gola, una stretta al cuore e senso di ruggine in bocca. Isabelle giaceva a terra, in una pozza di sangue. I suoi bellissimi e fluenti capelli neri come la pece, avevano assunto sfumature rossastre, il suo candore era svanito, sul suo viso si irradiava un smorfia di dolore ed i suoi occhi neri erano ormai senza più nessun'ombra di vita.  Un singiozzo e poi la sensazione di non aver fatto abbastanza per impedirlo, oppure per prevederlo, Philippe si accasciò a terra, accogliendola tra le sue braccia e baciandole i capelli ormai impiastricciati di sangue. Lacrime copiose scesero dal suo viso e dentro di lui la consapevolezza che nulla sarebbe mai più stato come prima. 
Marienne comparve alle sue spalle, "o mio dio!" esclamò, fingendosi sorpesa "cos'hai fatto?" chiese, in modo che l'intero staff si accorgesse della sua presenza sulla scena del crimine. 

Sapeva, che Marienne lo aveva incastrato ed era anche consapevole che in molti erano a conoscenza della sua storia clandestina con Isabelle, era in trappola. La paura inizò a prevalere sui sentimenti di disperazione e tristezza che lo avevano assalito poco prima, iniziò ad inveire contro Marienne, che prontamente lo fece deportare alla più vicina stazione di polizia.

L'accusa decadde per inconsistenza di prove e l'assassino di Isabelle non fu mai trovato, anche se Philippe era certo della colpevolezza di Marienne, ma il suo potere e la sua influenza erano troppe per poterlo provare. 

Erano passati ormai diversi mesi dall'assassinio di Isabelle, Philippe si ritrovava sul ponte de bir-hakeim dove si erano scambitati il primo bacio d'amore e dove lui aveva capito di essere una cosa sola con Isabelle. Si guardò intorno, il mondo non aveva più la stessa lucentezza, ormai tutto appariva ai suoi occhi sbiadito, come se stesse vivendo in un film in bianco e nero. Osservò il moto leggero dell'acqua scorrere sotto di lui, si chiese quale fosse il suo più grande desiderio, "Isabelle" pensò, "Se solo avessi anche solo una piccola possibilità di rivederla nell'aldilà, non ci penserei una seconda volta" una mano, lo spinse, una mano invisibile ed un sussurro nella sua testa "fallo, lei sarà di lì ad aspettarti" disse, la voce della sua coscienza, o della sua incoscenza, non riusciva a capire, ma decise di seguirla. 
Salì sulla ringhiera del ponte, prese fiato e si gettò "non posso vivere questa vita senza di te", un grido prima dell'impatto con l'acqua, "NO, PHILIPPE" poi un crash ed il buio, una risata ed un sussurro, poi la consapevolezza di aver commesso l'errore più grande di tutta la sua vita, "Ora non la vedrai mai più!" rise più forte "E' questo il prezzo da pagare per ciò che hai commesso", il freddo lo avvolse e capì di aver perso tutte le speranze. 






 

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Capitolo 16
*** Cap. 16 - Realtà VS Fantasia ***


Lui era stato da sempre per lei un'irresistibile calamita, qualcosa in grado di attrarla come il Nord magnetico fa con l'ago della bussola. Il mondo era sempre così confusionario, pieno di voci e distrazioni, l'attualità sempre troppo permeata nella vita delle persone perchè esse potessero accorgersi di eventi e particolari. Eppure, qualcosa di forte aveva spinto la sua volontà  in quella precisa direzione. Il giorno che incontrò per la pima volta gli occhi di Leonardo era quasi sicura che lui avrebbe capito e magari sarebbe riuscito a spiegarle che cosa le era accaduto in tutti questi anni, avrebbe dato un senso alla sua ricerca. 
Non aveva mai creduto alle storie sul Karma e sulle vite passate, eppure si sentiva come se in ogni istante di ogni giorno rivivesse le stesse emozioni per le stesse persone e sentiva davvero di conoscerlo dal profondo, senza neppure averci mai parlato. Lui le aveva dimostrato tutto questo nel momento in cui per la prima volta aveva sfiorato le sue labbra. 
Ovviamente la consapevolezza di vivere la stessa vita con la stessa persona non era totale, eppure i dettagli la spingevano a credere che non fosse semplicemente frutto della sua immaginazione. 
Leonardo dal canto suo sembrava sempre più confuso, come se non riuscisse a ricordare, come se un velo invisibile coprisse i suoi ricordi e li distorcesse. Era esattamente ciò che stava avvenendo, e di cui lei non aveva il controllo. 

Christine si diresse con il sorriso sulle labbra in una mattina soleggiata verso la casa che condivideva con Leonardo, immersa in una gioia difficile da sintetizzare a parole. Arrivata difronte al cancello notò che all'interno dello spiazzale vi era parcheggiato un SUV, uno di quelli che sicuramente ha consumi elevati, grandi prestazioni e notevole inquinamento. Era grigio, imponente e massiccio, sembrava una di quelle auto che comprano gli uomini che sentono di dover compensare qualche minuzia genitale, non se ne preoccupò eccessivamente e varcò la soglia di casa con ancora le cuffie nelle orecchie. 
La casa sembrava vuota, le tapparelle erano chiuse ed ogni genere di allarme inserito. Si avviò verso la camera con passo spedito, non vedeva l'ora di potersi fare una doccia, dopo la giornata intensa. 
Accese la luce della camera da letto, ancora canticchiando, ed ecco la realtà presentarsi di fronte ai suoi occhi in tutta la sua atrocità. 
Leonardo balzò fuori dal letto, ancora completamente svestito; accanto a lui giaceva una bellissima donna dai lunghi capelli biondi e dalle forme procaci, anche lei completamente nuda. 
Il cuore le implose nel petto, scoppiando. Il terrore sul suo viso, il sapore di sogni infranti, l'amarezza e la rabbia sfilavano sul suo volto come se ormai non riuscisse più a nascondere neppure la più piccola emozione. 
La ragazza aprì gli occhi e tutto accadde molto velocemente, ma in realtà la sua sensazione era quella di vivere la scena a rallentatore. 
"Ti prego Christine, lasciami spiegare" urlò lui avvolgendosi prontamente nel lenzuolo di seta, non una sola parola, Christine avanzò lentamente verso la porta d'ingresso sconvolta 
"Chris, aspetta!" strillò lui, lacrime copiose iniziarono a scendere dal volto di Christine, lacrime di rabbia e di dolore. La bellissima donna bionda uscì dalla camera senza rivestirsi "Sono felice che tu ci abbia scoperto" disse sorridendo "perchè ero stanca di dovermi nascondere da te" concluse passandosi una mano nei lunghi capelli dorati, in un gesto che le ricordava tanto Leonardo
"Vi lascio soli" sussurrò Christine ed uscì dalla casa con il cuore e l'anima a pezzi. 

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Capitolo 17
*** Cap. 17 - Neo Seoul ***


Brividi di freddo percorrevano il suo corpo fremente, salì di corsa sopra la sua moto vintage rosso acceso senza neppure preoccuparsi di indossare il casco.
Leonardo era ancora sulla soglia, avvinghiato alla bellissima donna bionda della quale Christine invidiava praticamente tutto. Una voce le sussurrava dentro di lei che questo prima o poi sarebbe dovuto accadere, che tanto la fama era quella che era, maligna e malvagia, non guardava in faccia nessuno, non le importava dei sentimenti di nessuno, tantomeno dei suoi, di piccola ragazza sprovveduta ed ingenua.
Quando il vento le iniziò a scompigliare i capelli sentì emergere dentro di lei una sensazione di libertà mai provata, un peso dal cuore si ruppe in frantumi, lasciandola finalmente libera di respirare. Eppure, tante volte si era sentita come manovrata da tanti fili invisibili che giocavano a fare di lei un burattino all’interno della sua stessa vita. Coraggiosamente aveva creduto in un amore ed in una vita distante da quella che era abituata a vivere. Le giornate erano tutte speciali, ognuna delle quali diversa dall’altra, lui era diventato ormai la sua unica ragione di sopravvivenza. Incredibile concedere ad una persona così tanto potere, eppure sentiva di averlo rincorso per anni, decenni, secoli, si rincorrevano all’interno di epoche totalmente diverse tra loro ma con una sola caratteristica eguale, gli ostacoli, come se neppure il destino avesse a cuore la loro felicità. Quante divisioni, avevano dovuto sopportare a loro insaputa nel corso delle loro vite.
Christine pensò all’ultimo articolo di giornale che aveva letto, mentre sfrecciava sull’autostrada che l’aveva condotta a quella vita, l’articolo parlava di una teoria quella dei “sei gradi di separazione”, questa ipotesi prevede che ogni persona possa essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di 5 intermediari, ripensò al momento in cui incontrò Leonardo, lui non aveva presentato alcun grado di separazione, come se in qualche mondo fosse stato già deciso.
Ripensò alla sua vita, alle sue scelte e tutti quegli attimi ormai apparivano così distanti e sfocati da far emergere sempre e solo un’immagine: quella di loro due insieme.
Si fermò lungo la spiaggia e decise che era il momento di ricominciare.
Leonardo sconvolto per ciò che era successo e per quello che aveva fatto rinsavì come si fa quando ci si sveglia da un brutto sogno e capì che quella era la realtà. Nella testa un forte dolore e un qualcosa che lo spingeva contro la sua volontà sempre nella direzione sbagliata. Si sentì un burattino nelle mani di un manipolatore più forte di lui. Salutò la ragazza per l’ultima volta e si sdraiò sul letto, chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.


“Sono qui” disse la voce prima lieve e poi sempre più forte “qualunque cosa accada io mi ricorderò sempre di te”
“come farai?” rispose l’altra voce
“la memoria del cuore è più forte di qualunque altro escamotage trovino i custodi”
“ti dimenticherai di me, questa volta”
“siamo nel futuro, sarà sempre più facile.”

Correva l’anno 3458 il mondo appariva tutto uguale, cosparso da una nube grigia ed informe, freddo e meccanico. Wilhelm si spostò i capelli dorati dalla fronte e la osservò attraverso l’ologramma che appariva nella sua sterile camera da letto, composta da mobili bianchi e dalle forme lineari
“Ti troverò e tu lo sai” ribadì con convinzione “come ho sempre fatto fino ad ora”
“fino a quando qualcosa non ci dividerà nuovamente” disse Christel con gli occhi lucidi “non mi faranno restare qui, per loro non conto nulla ricordi?” consapevole della sua impotenza Wilhelm abbassò lo sguardo mentre l’ologramma spariva.
Neo Seoul appariva come la città più all’avanguardia del globo, i palazzi erano immensi e sempre più alti il cielo ormai era un limite relativo. Wilhelm apparteneva ad una famiglia di prim’ordine, così venivano chiamate le famiglie ucroniche. Sembra bizzarro pensare al corso della storia futura come ad un sistema di regimi ripetitivi, eppure dopo la caduta delle democrazie il mondo era ripiombato nelle sue precedenti divisioni censitarie.
Le ucronìe appartenevano alle famiglie che nel corso dei secoli si erano arricchite ed avevano comprato con quella ricchezza parte del potere globale. Gli imperi, per definirli più correttamente si dividevano in 4 grandi ucronìe, la più importante delle quali era quella asiatica, alla quale apparteneva Wilhelm. Christel invece aveva tutt’altra storia familiare. Lei apparteneva alla parte di popolazione più povera in assoluto. La povertà non aveva però portato con sé fattori degradanti tipiche delle società pre-ucronìche, questa era relativa soprattutto al prestigio, oltre che al denaro. La famiglia di Christel era considerata una delle cosiddette “replaceable family” quelle famiglie che sono sostituibili in quanto presenti in maggioranza nel panorama globale, per queste famiglie vigeva il divieto assoluto di entrare in contatto con in membri delle “peerless family”. Qualunque rapporto tra queste due famiglie era considerato tradimento della costituzione fondante delle ucronie. I membri che violavano questa legge erano punibili con l’esilio ed il disconoscimento totale dei diritti fondamentali. Christel e Wilhelm avevano pienamente infranto questo divieto ed erano anche stati scoperti dai custodi, guardie speciali che si occupavano solamente di questo. Christel era stata costretta ad abbandonare la sua casa e la sua famiglia e presto avrebbe pagato con la vita per la sua impudenza.

Leonardo si svegliò di soprassalto convinto che fosse solo un sogno. Accese la luce e si trovò in un mondo che ormai non era più quello che aveva conosciuto.

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Capitolo 18
*** L'inizio della fine ***


*(Consiglio di lettura associato a questa musica : https://www.youtube.com/watch?v=lcyxYT-EdnI)


Nel corso dei secoli e delle loro diverse vite, l'anima li aveva spinti a rincorrersi e per qualche strano motivo anche a ripercorrere gli stessi errori, sbagli che li qualificavano diversi dagli altri. La tensione nell'anima, il dolore allo stomaco ed al petto quando lontani l'uno dall'altra non potevano incontrarsi, quando il roteare del mondo gli impediva di stringersi in un unico abbraccio. Che cos'è l'amore si domandavano? Un artefatto costruito dagli uomini? Amore, anche la parola stessa limitava il senso della loro reciproca appartenenza, la vita sembrava vissuta solo in relazione di un unico obiettivo, trovarsi. Trovare chi? Qualcuno, qualcosa in grado di placare l'urlo silenzioso del cuore e dell'anima. Impossibile compensare con altri, perchè la loro vita continuava ad apparire come una vecchia fotografia ingiallita dal tempo sempre immutevole. Nelle epoche e nelle successive stagioni, alcune volte riuscirono ad incontrarsi, molte altre no e, quando ormai arrivava la fine sentivano entrambi che quello che avevano vissuto non era stato nient'altro che un sogno; già perchè in quelle circostanze l'unica soluzione restava quella di chiudersi e vivere almeno di immagini quella che avrebbe potuto essere la loro vita. Arrabbiati con il mondo, sempre in lotta, soli, non compresi, anime di tutto il mondo infelici, questa era la motivazione, alcune volte più presente altre volte era solo un flebile sussurro nelle orecchie che ricordava qualcosa che loro stessi definivano bizzarro, "il destino" una parola derivante dalla cultura di appartenenza, "un segno", "una testimonianza" inspiegabile ma presente.

Se solo lo avessero saputo, se solo fossero stati in grado di riconoscerlo o di ricordare, se solo il tempo gli avesse lasciato memoria della loro completezza, gioia e felicità, eliminando il tormento, forse avrebbero poturo ritrovarsi e iniziare a vivere. Una vita a colori, senza rimpianti o rimorsi. Senza la necessità della speranza di un futuro incontro.

Dicono che Dio ci punisca concedendoci ciò che desideriamo, forse in parte quel ricordo lo possediamo, infondo, infondo all'anima è solo più facile far finta di non averlo mai incontrato.




FINE.

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