L'infinito ricordo di noi

di StillAnotherBrokenDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perduto ***
Capitolo 2: *** Al sicuro ***



Capitolo 1
*** Perduto ***


Nuova pagina 1

Disclaimer: Castiel e gli altri personaggi del telefilm Supernatural non mi appartengono, tutti gli altri sono di mia invenzione, per cui si prega i gentili lettori di non copiare in alcun modo.

N.d.A. : E rieccomi qui, a scrivere l'ennesima storia su Castiel *______* spero vi piaccia almeno un po' :). Ringrazio Robigna88 per l'editing e il bellissimo logo qui sotto <3.


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PERDUTO

Camminava da ore su quell'asfalto freddo e bagnato. I piedi scalzi gli facevano male, ad ogni passo avvertiva una fitta dolore sempre più intensa, mentre lasciava dietro di se tracce di sangue. Si era ferito ma non poteva farci niente, non aveva nulla con cui proteggersi.

Sentiva molto freddo, tremava fino a battere i denti, stringersi per cercare di scaldarsi un minimo era inutile, la camicia che aveva addosso era talmente lacera e bagnata che avrebbe sentito meno freddo se l'avesse tolta. Anche i pantaloni erano ridotti male, ma la pesantezza della stoffa zuppa d'acqua gli dava l'illusione di essere più coperto.

Fino al giorno prima aveva avuto un impermeabile, ma durante la notte gli si era impigliato in un rovo di spine e si era completamente strappato.

Non aveva idea di dove fosse, né da quanto tempo girovagasse in quella zona, un po' nel bosco e un po' sulla strada, sotto l'acqua e in balia del freddo. Non mangiava da giorni, anzi non ricordava nemmeno da quando non mangiava, il suo stomaco si era lamentato inutilmente per ore, poi si era arreso facendo un favore ad entrambi.

Pensò per la centesima volta che poteva essere tutto solo un brutto sogno, un incubo terribile che prima o poi sarebbe finito e si sarebbe svegliato in un letto caldo, all'asciutto. O magari era all'inferno, condannato a vagare sotto la pioggia patendo fame e freddo ma senza morire mai. Sì doveva proprio essere così, era all'inferno. Per questo non passava nessuno, per questo sembrava che quella strada non finisse mai.

“Cosa ho fatto per meritarmi questo?” mormorò l'uomo tremando. “Perchè devo soffrire così?”

Si guardò intorno, la leggera nebbia che lo circondava rendeva tutto grigio e stava per fare buio, pensò che se non era all'inferno, quella notte sarebbe morto davvero. Chissà se qualcuno lo cercava, se aveva una famiglia o degli amici che si preoccupavano per lui, che piangevano per lui. Se c'erano, lui non se li ricordava. Era totalmente e miseramente solo, senza ricordi né identità, in mezzo ad una strada sotto la pioggia che diventava sempre più fitta e il freddo sempre più pungente.

Si raccolse più forte che poteva e iniziò a pregare. Era l'unica cosa che ricordava.

“Padre nostro, che sei nei cieli...”

 

 

*******

 

 

“No mamma, penso che mi stiano prendendo in giro” sentenziò con un sospiro amaro, mentre la pioggia iniziava a battere più forte sul parabrezza.

Mi dispiace tesoro ma te l'avevo detto, quegli stronzi cambiavano covo continuamente senza spostarsi dalla città, e non lasciano traccia. Forse è meglio se lasci perdere e torni a casa” le consigliò sua madre dall'altra parte del telefono. Lei sorrise e scosse il capo.

“Non sono più una bambina, mamma, non devi preoccuparti per me. So cavarmela da sola. E non tornerò ancora a casa, devo trovare quei figli di puttana prima che si mangino tutta la città. Nelle ultime due settimane sono sparite ventinove persone, non posso lasciar perdere proprio ora. Inseguo questi animali da mesi!”

Penelope Miller si sentiva stanca e arrabbiata, era in quella città da venti giorni ormai e non era riuscita a stanarli. Quei fottuti vampiri erano più furbi di quanto pensasse, riuscivano a nascondersi così bene da non trovare nemmeno una traccia. Niente cadaveri dissanguati, niente strani party fino al mattino, nessuna moria di cani e gatti, il ripiego preferito di quella cricca quando era troppo pericoloso fare caccia grossa. Erano assolutamente invisibili, tanto che dopo i primi giorni di assoluta calma, Penny aveva iniziato a pensare di aver sbagliato città, magari Boris e i suoi schiavetti non erano a Rockville. Poi però erano iniziate le sparizioni, dalle 2 alle 4 persone al giorno, sia uomini che donne. Erano certamente loro e aveva iniziato a far provviste. No, Penelope Miller, ventinove anni, cacciatrice di creature soprannaturali, non poteva lasciare quel caso.

Vuoi che venga da te, piccola?” le propose sua madre. “In due si lavora meglio e qui mi annoio. L'alta concentrazione di cacciatori nei paraggi mi costringe a casa!

Penny ci pensò su qualche istante, sua madre era un'ottima cacciatrice, tutto quello che sapeva lo doveva a lei e a suo zio, avevano cacciato molte volte insieme senza mai fallire. Forse col suo aiuto avrebbe risolto il caso prima e meglio, ma poi ci ripensò e decise di non accettare l'offerta. Quella era una battaglia tutta sua.

“Grazie mamma, ma preferisco continuare da sola. E' un caso che mi sta molto a cuore e tu lo sai, voglio farli a pezzi con le mie mani. Da sola.”

Boris era uno schifoso figlio di puttana più simile ad un pappone dell'est europeo che ad un vampiro, con tanto di pancia prominente e unghia del mignolo più lunga delle altre, ma era spietato e non si era fatto scrupoli quando si era trattato di assassinare una ragazzina di sedici anni, Maria. Penny la conosceva, abitava nell'appartamento di fronte al monolocale che aveva affittato a Los Angeles quando dava la caccia ad una coppia di licantropi. Avevano fatto subito amicizia, Maria era stata adottata e si era ritrovata figlia unica di una coppia con pochi parenti, nessuno dei quali giovane come lei. Così si era affezionata a Penny, vedendo in lei, forse, una sorta di sorella. Quando Maria sparì una sera, lei partecipò alle ricerche anche se non era compito suo, e fu lei a ritrovarla. Dissero che era stata aggredita da qualche delinquente, magari un tentativo di violenza finito male, ma lei conosceva bene quei segni sul collo: un maledetto vampiro le aveva succhiato via la vita. E dopo qualche chiacchierata in giro, aveva scoperto anche quale banda di mostri girava per la città, cioè quella di Boris. Anzi, seppe che probabilmente era stato lui in persona, visto che aveva un debole per le ragazze molto giovani. Porco schifoso, doppiamente schifoso.

Theresa capiva il suo stato d'animo, anche lei aveva perso delle persone importanti o che lo stavano diventando, amici e amiche indifesi ma anche cacciatori esperti. Non era bello in nessun caso e la morte di quella ragazzina aveva colpito Penny più di qualunque altra, e ne aveva viste molte, di vittime.

Forse perchè anche Penelope era stata adottata. Più o meno, adottata. Theresa Miller l'amava esattamente come se fosse nata da lei, ma non era la sua vera madre. Era anche troppo giovane per esserlo visti i suoi quarantadue anni. Ma si era presa cura di lei da quando aveva appena otto anni. O almeno era quella l'età che i dottori le avevano dato. Nessuno sapeva quanti anni avesse davvero Penny, o chi fosse. Ma lei l'aveva amata e curata come solo una madre può fare, e lei ricambiava come una figlia.

Per cui era terrorizzata all'idea che potesse succederle qualcosa, saperla da sola mentre cacciava un gregge di vampiri senza scrupoli e astuti come volpi non la faceva dormire, ma doveva rispettare la sua scelta. Ormai era una donna e una cacciatrice coi fiocchi, doveva volare via dal nido. E poi aveva il suo dono speciale.

Va bene tesoro” rispose Terry serenamente. “Ma ti prego, fai attenzione. E tienimi aggiornata!

Penny sorrise. “Non preoccuparti mamma, starò molto attenta e ti telefonerò appena saprò qualcosa. Stai tranquilla, sono brava nel mio mestiere. Dopotutto ho imparato dalla migliore!” la lusingò. In quel momento un lampo saettò nel cielo, seguito subito da un tuono che sembrò spaccarlo.

Dio santo, ma cos'era, un tuono?” domandò Theresa preoccupata.

“Si” rispose la giovane, riprendendosi dallo spavento. “E anche molto forte. Maledizione, il tempo sta peggiorando, si sta facendo buio e sono ancora...” le parole le morirono in gola, quando il suo sguardo fu catturato da qualcosa. Sul ciglio della strada, sotto la pioggia che diventava sempre più forte, c'era un uomo scalzo seduto a terra con la testa tra le mani come a proteggersi. Indossava solo una camicia lacera e un paio di pantaloni e sembrava essere in quelle condizioni da molto. “Mio Dio...” mormorò fermando l'auto a poca distanza dall'uomo che non sembrò accorgersene.

Penny? Sei ancora lì?”

Si scosse dalla sorpresa e rispose a sua madre. “Sì ci sono...senti mamma ti richiamo più tardi, a dopo.” riattaccò senza aspettare nemmeno la risposta. Quell'uomo aveva bisogno di aiuto subito. Scese dalla macchina maledicendosi per non essersi portata dietro un ombrello e lo raggiunse cercando di coprirsi con la giacca.

“Ehi? Va tutto bene?” gli chiese, non sapendo cos'altro dire. Lui non si mosse, restando nella sua posizione raccolta, ma tremava e Penny pensò che non era solo per il freddo. La camicia, strappata in più punti, era sporca di fango e sangue, aveva mani e piedi feriti ed era bagnato fradicio. Chissà da quanto tempo era lì sotto l'acqua incessante.

“Ehi” ripetè accovacciandosi di fronte a lui “mi senti?” Gli sfiorò un braccio e allora lo sconosciuto alzò la testa e la guardò. Incontrare quello sguardo azzurro pieno di paura e stanchezza le fece male. Era un uomo sui trentacinque anni, con la barba lunga di almeno una settimana e diversi graffi sulla fronte e sul viso. Gli occhi spaesati erano arrossati e gonfi, forse aveva pianto.

“Ciao” gli disse con un sorriso, cercando di rassicurarlo. “Che ci fai qui? Ti senti bene?”

L'uomo la guardò intensamente negli occhi e a Penny sembrò che un po' di quella paura stesse iniziando a svanire.

“Tu sai chi sono?” le domandò inaspettatamente.

Penelope sollevò le sopracciglia e scosse il capo. “Non ho idea di chi tu sia.”

Lui allora sembrò sul punto di piangere. “Nemmeno io lo so. Non so chi sono, o dove sono. Cammino da giorni...aiutami ti prego.”

Le lacrime iniziarono a rigargli le guance, mischiandosi con la pioggia e la ragazza si sentì stringere il cuore. D'istinto gli prese il viso tra le mani e gli accarezzò le guance.

“Va tutto bene, ora ci sono io. Non sei più solo, adesso ti porto al sicuro e al caldo.”

L'uomo sorrise appena e posò le mani sulle sue. “Grazie.”

Non poteva crederci, il suo incubo era finito? Allora non era all'inferno, se finalmente un altro essere umano lo soccorreva proprio quando aveva deciso di lasciarsi andare. Quella ragazza era apparsa dal nulla per aiutarlo, finalmente non avrebbe più sofferto.

“Vieni, andiamo.” Lo aiutò ad alzarsi e per poco non cadde, se Penny prontamente non l'avesse sorretto. Era debole e quasi congelato, come aveva fatto a non morire?

Pover'uomo, pensò la giovane mentre sostenendolo tornavano alla macchina. Aprì la portiera e lo fece sedere sul sedile, richiudendola piano. Poi corse dal suo lato e si infilò dentro, mentre un altro tuono, più furioso di quello di pochi minuti prima, deflagrò nell'aria rimbombando tra le montagne.

“Dannazione che tempo” imprecò lei togliendosi la giacca ormai zuppa di pioggia, la buttò sul sedile posteriore e accese il riscaldamento. Guardò l'uomo seduto accanto a lei e lo trovò con la testa poggiata al sedile e gli occhi chiusi. Era stremato e infreddolito. Le ricordava tremendamente se stessa, quando Theresa l'aveva trovata che vagava per un bosco scalza e spaventata. Sospirò cercando di scacciare quel brutto ricordo – il primo ricordo della sua vita – e cercò qualcosa nel borsone sul sedile posteriore. Ne tirò fuori uno scialle di lana azzurro. “Copriti con questo” disse al suo passeggero mentre glielo sistemava addosso. “Ti farà sentire subito meglio.”

Lui guardò stupito l'indumento, ma non rispose, lasciandosi avvolgere da quel tepore immediato. Sospirò e parve rilassarsi, finalmente il freddo era finito, ora era al caldo e al sicuro. “Grazie”

“Figurati!” rispose lei sorridendo. Poi si ricordò del thermos di caffè che si era portata dietro quella mattina. Con un po' di fortuna era ancora caldo. Si allungò di nuovo dietro e lo afferrò. Lo aprì e ne versò un po' nella tazza, quando vide il fumo capì che era sufficientemente caldo e lo riempì.

“Bevi questo, ti farà stare molto meglio” gli disse porgendoglielo.

Lo straniero guardò quella tazza argentata quasi con timore, poi con sorpresa. Lo prese con entrambe le mani e se lo portò alle labbra. Bevve un piccolo sorso e per poco non gli cadde dalle mani. Era caldo, dolce e profumato. Il suo stomaco sembrò dilatarsi, scaldato da quel liquido così aromatico e rincuorante. Dopo quel primo sorso bevuto quasi con paura, ne seguì un altro ininterrotto che svuotò la tazza in pochi istanti.

Penny lo osservava intenerita, Dio solo sapeva da quanto tempo era lì fuori da solo, quasi nudo e senza sapere nemmeno chi era. Probabilmente aveva avuto un incidente e il trauma gli aveva fatto perdere la memoria. Oppure era stato rapito e lasciato successivamente lì...

E se fosse stato una vittima di Boris e del suo clan? Forse era riuscito a fuggire, o l'avevano abbandonato fuori città credendolo morto. No, più probabile la prima ipotesi, dei ventinove scomparsi negli ultimi giorni non era stato ritrovato nemmeno un brandello. Non lasciavano indizi, in quella città.

“Grazie” le disse ancora una volta, porgendole la tazza di caffè ormai vuota.

“Non c'è di che. Ora ti porto a casa mia, lì potrai cambiarti e mangiare qualcosa. Dopo vediamo di scoprire chi sei e cosa ti è successo. Va bene?”

L'uomo la guardò con occhi pieni di riconoscenza e annuì con un sorriso appena accennato. “Ti ringrazio” le disse quasi sottovoce.

Penny rispose al sorriso e ancora una volta gli accarezzò la guancia. Poi mise in moto e ripartì, mentre fuori la pioggia era diventata un violento temporale. Ma a lui non importava più, si sentiva al sicuro e il calore che lo avvolgeva quasi gli faceva dimenticare tutto quello che aveva passato in quei giorni. La paura, il freddo, la fame, lo smarrimento, tutto sembrava più lontano e meno orribile. Ed erano bastati uno scialle di lana e un po' di caffè caldo. Sospirò profondamente e si rilassò sul sedile, cullato dal tepore e dalla guida calma e prudente della sua salvatrice. Poggiò la testa e chiuse gli occhi, finalmente poteva rilassarsi.

“Sembra la fine del mondo, dannazione” commentò Penny fissando la strada. “Ci vorrà ancora almeno un'ora prima di arrivare a casa, puoi anche ...” ma quando lo guardò, capì che non c'era nemmeno bisogno di dirglielo. “...dormire un po'.”

Si era assopito immediatamente, rannicchiato sotto il suo scialle azzurro. Cosa aveva passato quell'uomo? Chi gli aveva fatto del male? Perchè la sensazione era quella, qualcuno lo aveva aggredito. Sperava che la sua amnesia fosse temporanea, di quelle che passano non appena ci si riprende da un botta in testa, o da uno shock. Non augurava a nessuno quello che era capitato a lei, non avere nessun ricordo, non sapere il proprio nome o chi sono i propri genitori. Inoltre lui era un uomo adulto, non un bambino. Lei era solo una bambina quando aveva perso la memoria, i suoi ricordi erano di certo limitati a pochi anni. Ma un uomo adulto che perdeva la memoria, quante cose perdeva?

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Capitolo 2
*** Al sicuro ***


Nuova pagina 1

Disclaimer: Castiel e gli altri personaggi del telefilm Supernatural non mi appartengono, tutti gli altri sono di mia invenzione, per cui si prega i gentili lettori di non copiare in alcun modo.

N.d.A. :  Ringrazio Robigna88 per l'editing e il bellissimo logo qui sotto <3.


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AL SICURO

 

 

Quando arrivarono al piccolo monolocale di Penny, la pioggia sembrava essersi stancata di precipitare sul mondo come una furia e si era accontentata di essere una lieve e quasi impercettibile pioggerella. L'uomo senza memoria aveva dormito tutto il tempo, più o meno un'ora, senza nemmeno muoversi. Non si era svegliato neanche quando Penny aveva fermato la macchina nel parcheggio del walmart ed era scesa per andare a comprare qualche vestito per lui e qualcosa per cena. Aveva pensato di svegliarlo per avvisarlo, ma vedendolo dormire così profondamente preferì lasciargli un biglietto. Ma non era servito, perchè al ritorno, dopo un quarto d'ora abbondante, non si era né svegliato né mosso. Doveva essere esausto, chissà per quanto tempo non si era concesso un po' di sonno, perduto là fuori, scalzo e affamato. Sicuramente giorni, e ora si era totalmente abbandonato al sonno sprofondandovi completamente. A Penny dispiaceva un po' svegliarlo, ma sarebbe stato molto meglio in casa, dopo un bel bagno caldo e qualcosa da mangiare.

Ehi” lo chiamò dolcemente toccandogli un braccio. “Svegliati, siamo arrivati.”

L'uomo aprì gli occhi di scatto, sobbalzando sul sedile. Stava sognando qualcosa di terribile, ma gli era rimasta solo la sensazione di orrore.

Stai bene?” gli chiese Penny. Lui la guardò e annuì.

Sì...sì sto bene” poi si raddrizzò e si guardò intorno. “Dove siamo?”

La giovane sorrise. “Davanti casa mia” annunciò “dove potrai lavarti e mangiare. Ora entriamo prima che la pioggia non decida di diventare nuovamente una tempesta!” sentenziò allungandosi dietro per prendere le buste della spesa. Aprì la portiera ed uscì senza attendere risposta dall'altro, che la imitò scendendo a sua volta. Al contatto con il selciato i suoi piedi fecero di nuovo male, dopo quel breve ristoro sul tappetino dell'auto. Ma nonostante il dolore, seguì la sua salvatrice docilmente avvolto nello scialle di lana, mentre lei lo guidava verso una piccola casetta con due entrate separate da un muretto e una ringhiera.

Salirono tre scalini e la giovane infilò la chiave nella serratura. Prima di aprire però si guardò in giro per controllare se ci fosse qualcuno. Non abbassava mai la guardia, lei conosceva quei mostri che cacciava, ma anche i mostri conoscevano lei e non poteva permettersi il lusso di pensare ad altro, anche se aveva recuperato un uomo senza memoria per strada che le ricordava tanto se stessa.

Appurato che non c'era anima viva – né morta – aprì la porta di casa ed entrò. “Vieni, entra” invitò il suo ospite mentre con la mano libera accendeva la luce.

Lui obbedì, restando quasi accecato dalla luce al neon che sprigionava la plafoniera attaccata al soffitto.

Neanche a me piace questa maledetta luce da ospedale” commentò Penny posando le buste sul tavolo. “Ma non posso toglierla, sono qui in affitto e ho trovato tutto già dentro. Inoltre tra poco andrò via.”

Non fa niente” rispose l'uomo strizzando un po' gli occhi per difendersi dalla luce. Però era strano che la luce gli facesse così male, sì era fastidiosa e dava l'impressione di essere nel corridoio di un ospedale, ma non era certo qualcosa di insopportabile. Doveva essere rimasto al buio per molto. Un pensiero le balenò in mente, e se fosse stato rapito e tenuto segregato per giorni o settimane? Magari era riuscito a scappare o lo avevano liberato. Sì, ma la memoria, cosa c'entrava? Lo shock? Era stato picchiato?

Sospirò e gli si avvicinò con un sorriso. “Ora puoi toglierti questo, non ti serve. Qui è caldo” disse prendendo lo scialle dalle sue spalle. “Che ne dici di un bagno caldo? Così puoi metterti degli abiti puliti e asciutti e” abbassò lo sguardo verso i suoi piedi “soprattutto, delle scarpe. Hai camminato a lungo scalzo, sei anche ferito.”

Anche lui abbassò lo sguardo e provò vergogna. “Mi dispiace, sono impresentabile. Non ho idea di come abbia fatto a ridurmi così” si scusò.

Penny scosse il capo. “Scherzi? Abbiamo ben altro a cui pensare che non alla tua impresentabilità. E poi credimi, ho visto cose e persone realmente impresentabili e tu non sei nemmeno lontanamente simile” poi lo prese sotto braccio e lo tirò gentilmente verso il bagno. “Ma ora basta parlare, pensiamo a rimetterti in sesto.”

Entrarono nel bagno e Penny andò subito a riempire la vasca di acqua calda, versandovi il bagnoschiuma. Mentre la vasca si riempiva, si avvicinò all'armadietto e l'apri per prendere degli asciugamani che posò su uno sgabello. “Ecco fatto” disse chiudendo il rubinetto. “L'acqua è pronta e calda al punto giusto, e lì una spugna, è nuova. Quando hai finito torna di là, troverai dei vestiti puliti. Intanto vado a preparare qualcosa mangiare. Va tutto bene?”

L'uomo la stava fissando in modo strano, con la fronte corrugata e le labbra serrate, ma alla sua domanda sembrò scuotersi e tornò come prima, triste e spaesato. “Sì..scusa è che per un attimo...mi è sembrato di riconoscerti. Era come che conoscessi il tuo volto.”

Penny ci riflettè su un momento, magari si erano davvero visti in passato da qualche parte. Ma se lo sarebbe ricordato, era una frana coi nomi ma le facce le ricordava tutte, e quel viso non era nel suo repertorio. “Non credo” rispose scuotendo il capo “me ne ricorderei. Forse somiglio a qualcuno che conosci. Però è già qualcosa, no? Vuol dire che in te ci sono dei ricordi, dei volti! Quando ti sarai ripreso per bene, indagheremo a fondo e vedrai che scopriremo chi sei e cosa ti è successo. Ora però ti lascio al tuo bagno caldo.”

Lui la ringraziò e si avvicinò alla vasca, mentre Penny chiudeva la porta.

Mentre tornava in cucina, si chiese cosa avrebbe detto sua madre a saperla in casa con un estraneo. Poi sorrise, pensando che probabilmente come prima cosa le avrebbe chiesto se almeno era carino. Theresa non era una donna che si scandalizzava facilmente, di certo non lo avrebbe fatto sapendo che sua figlia aveva soccorso un poveretto sotto la pioggia. Ma, e non sapeva perchè, pensò che era meglio se per il momento non le faceva sapeva niente. Voleva prima capirci qualcosa da sola, poi se non avesse fatto progressi, avrebbe chiesto il suo aiuto.

Si sciacquò le mani nel lavandino e iniziò a lavare i pomodori. Però quell'uomo aveva qualcosa di strano, pensò sfregandone uno sotto l'acqua. Nonostante fosse sporco e trasandato, non emanava cattivo odore. In realtà, non aveva nessun odore.

 

*****

 

Si tolse i vestiti sporchi e zuppi d'acqua e si immerse nell'acqua calda. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi e credette di svenire. Non c'era una parte del suo corpo che non soffrisse e gioisse allo stesso tempo. “Mio Dio” mormorò chiudendo gli occhi.

Ancora non riusciva a crederci, ancora pensava che prima o poi si sarebbe svegliato scoprendo di essere ancora rannicchiato da qualche parte nel bosco, in attesa che arrivasse il giorno. Ma non succedeva, apriva e chiudeva gli occhi ed era sempre immerso in quella vasca profumata e accogliente, col rumore di pentole e piatti che proveniva dalla cucina e i muscoli che finalmente iniziavano a rilassarsi. Avrebbe dovuto lavarsi ed uscire per rivestirsi, non era una situazione molto dignitosa, ma era troppo bello starsene lì. Sospirò poggiando la testa sul bordo della vasca e cercò di ricordare.

Cos'era l'ultima cosa che ricordava? Si era risvegliato una mattina, nel bosco, scalzo e bagnato. Nient'altro. Era il primo ricordo che la sua mente riusciva a richiamare. Solo il viso della sua salvatrice, per un attimo, gli era sembrato familiare, come se quegli occhi castani, quei capelli neri, appartenessero a qualcuno che conosceva. Lei aveva detto di no, eppure quella sensazione non lo aveva abbandonato. Ma poteva benissimo essere solo il suo disperato bisogno di capire chi era, di ricordare il suo passato, a fargli credere di conoscerla. In realtà non sapeva nemmeno come si chiamava quella donna, sapeva solo che si stava prendendo cura di lui. E per il momento, era più che sufficiente. Sorrise, ripensando a lei e alla premura con la quale lo trattava, senza scomporsi davanti a niente, senza fare tragedie. E pensando a lei, si assopì di nuovo, cullato dall'acqua calda.

 

*****

 

Assaggiò il sugo e decise di aggiungere un po' di zucchero per togliere quel leggero sapore acido. Era un trucco che aveva visto in un programma di cucina italiana e dopo un po' di perplessità l'aveva provato e aveva constatato che era vero, diventava più dolce e saporito. Diede un'occhiata alle bistecche, girandole dall'altro lato e le ricoprì col coperchio. Mancava solo la pasta, ma l'acqua stava per bollire e tra pochi minuti sarebbe stata pronta per mettere la cena in tavola. E il suo ospite non si era ancora visto, nonostante fossero passati quasi tre quarti d'ora. Che si fosse addormentato nella vasca?

Scosse il capo e spense i fuochi, doveva andare a controllare. Poteva anche essersi sentito male. Si diresse a passo veloce verso il bagno, non era impossibile che avesse avuto un collasso o qualcosa del genere, col rischio di annegare.

Arrivata davanti alla porta, bussò con decisione. “Va tutto bene?” domandò.

Quando non ricevette risposta, decise di aprire e basta. Vide l'uomo rannicchiato nella vasca, con il viso tra le mani. Gli si avvicinò di corsa e solo quando fu a pochi centimetri dalla vasca, lui tolse le mani dal viso e la guardò. “Cos'hai? Ti senti male?”

L'uomo scosse il capo. “No sto bene. E' che” fece una pausa e sorrise imbarazzato “credo di essermi addormentato di nuovo. Scusami, è davvero vergognoso.”

Penny ridacchiò. “Ma figurati, non sei l'unico ad addormentarsi nella vasca. Capita anche a me, quando sono particolarmente stanca...” poi si accorse di stare parlando con un uomo nudo in una vasca da bagno, e si sentì avvampare le guance. “Comunque ti lascio finire il tuo bagno. Di là è quasi pronto.”

Uscì dal bagno e tornò in cucina, cercando di non pensare al fatto che si era messa a parlare con un uomo – giovane e, cosa che aveva fatto finta di non vedere, molto attraente – nudo nella sua vasca da bagno. Sua madre avrebbe riso per ore, ne era certa.

Rimise a bollire l'acqua per la pasta e apparecchiò la tavola. Per due. Era insolito, raramente mangiava con qualcuno, a parte sua madre e lo zio Bobby. E anche quelle riunioni di famiglia erano diventate sempre più rare, sopratutto con suo zio. In realtà era lo zio di Theresa, quindi non c'era nessuna parentela, ma lo amava come se fosse suo zio, anzi come un padre. L'unica figura paterna che avesse mai avuto, o che ricordasse di avere mai avuto. Sospirò posando un piatto sulla tovaglietta, accanto alle posate, pensando che avrebbe dovuto telefonare allo zio, un giorno o l'altro. Non lo sentiva da mesi, non perchè non volesse sentirlo e lui non volesse sentire lei, ma facevano entrambi lo stesso lavoro – se passare la vita dietro a mostri infernali si poteva definire lavoro – e spesso li assorbiva talmente tanto da tagliare fuori tutto il resto. Ma Bobby prima o poi doveva andare in pensione, non poteva fare il cacciatore per tutta la vita, aveva tutto il diritto di godersi la vecchiaia in pace, senza doversi preoccupare di questo revenant o di quel ghoul. Suo zio era stato molto fortunato, era riuscito a diventare vecchio. Non capitava a molti cacciatori, molti morivano ben prima dei cinquanta. Probabilmente anche lei e sua madre avrebbero fatto questa fine.

Scacciò il brutto pensiero e buttò la pasta nell'acqua bollente, doveva pensare al presente, non all'ipotetico futuro. Se c'era una cosa che quella vita le aveva insegnato davvero, era che non si poteva mai sapere cosa sarebbe successo il giorno dopo. Nel bene o nel male.

 

*****


Tentò ancora una volta, ma non ci riuscì. Il braccio non voleva saperne di piegarsi all'indietro, l'articolazione della spalla sembrava inchiodata.

Maledizione” imprecò a denti stretti, vergognandosi avvilito per quella situazione. Non riusciva nemmeno a lavarsi, aveva dolori ovunque, dolori che prima di entrare in acqua non si era accorto di avere. Ogni muscolo, tendine, articolazione, tutto era un insieme di fitte. Gettò letteralmente la spugna in acqua e si lavò il viso, l'unica parte che riusciva a raggiungere senza fitte di dolore. Aveva la barba molto lunga, doveva avere un aspetto orribile. Si rese, conto con amarezza, di non ricordare nemmeno il proprio volto. Qualsiasi cosa gli fosse successa, doveva essere stata molto grave, e probabilmente non sarebbe mai guarito. Sospirò trattenendo a stento le lacrime e pensò a come fare per uscire da quella vasca, visto che non poteva contare sulle braccia per alzarsi. Mentre pensava a ciò, sentì di nuovo bussare alla porta.

Non ti sarai di nuovo addormentato spero!” la voce di Penny lo fece sorridere.

No” rispose lui “ma...credo di avere bisogno del tuo aiuto...”

Penny entrò nel bagno con un'espressione preoccupata. “Ti senti male?” chiese avvicinandosi.

Lui accennò un sorriso. “Non proprio, cioè...ho dei dolori alle braccia, alla schiena. Non riesco a muoversi bene, non riesco ad alzarmi. Non sono riuscito nemmeno a lavarmi” confessò imbarazzato.

La giovane lo guardò comprensiva e capì cos'era successo. Lo sforzo fisico di quei giorni trascorsi a vagare a piedi senza una meta, lo avevano devastato e ora il suo corpo ne stava pagando le conseguenze. Superando l'imbarazzo, Penny si sollevò le maniche fin sopra i gomiti, si inginocchiò accanto alla vasca e recuperò la spugna che galleggiava appena sotto la schiuma. “Ti aiuto io” gli disse, e iniziò a strofinargli la schiena.

L'uomo la guardò negli occhi. “Non devi farlo, stai già facendo tanto per me e questo...è davvero troppo. Sono un estraneo, potrei essere chiunque” le disse con voce stanca. Poteva anche essere un poco di buono, un ladro, un assassino. Era un pensiero che lo atterriva.

Lei sorrise, mentre con la spugna raggiungeva il braccio. “Smettila” lo rimproverò. “Insaponare la schiena ad un uomo ferito non è un grande sforzo, estraneo o meno.” poi si fermò e lo guardò negli occhi. “Tu sei una persona buona, te lo si legge in faccia. E credimi, io di persone cattive me ne intendo molto bene. Ora dobbiamo solo scoprire chi sei e perchè eri lì fuori da solo, mezzo nudo e senza memoria. Così potrai tornare dalla tua famiglia, che sicuramente ti sta cercando. Ma prima di tutto questo, dobbiamo rimetterti in sesto, a partire da un bel bagno caldo” e si allungò per aprire di nuovo il rubinetto dell'acqua calda, visto che quella nella vasca era diventata appena tiepida.

Grazie” le disse ancora una volta, confortato dalla presenza di quella giovane donna che si prendeva cura di lui anche senza conoscerlo.

Di niente” rispose lei passandogli la spugna sul petto. “Dobbiamo anche pensare a queste ferite. Non sono gravi, ma è meglio disinfettarle.”

Aveva diversi graffi e tagli sulle spalle, sulle braccia e sul petto, anche sul viso ma la barba li nascondeva un po' e non sapeva dire se erano profondi o meno. Sì, doveva fargli radere quella barba.

Me li sono fatti nel bosco, credo” le raccontò. “La notte non vedevo nulla e mi ferivo.”

Non ricordi nulla? Voglio dire, prima del bosco e tutto il resto.” gli domandò.

No” rispose abbassando lo sguardo. “E' come se fossi nato nel momento in cui ho aperto gli occhi in quel bosco ai margini della strada. Non ricordo niente di più.”

Lei gli fece una carezza sul viso, provando tanta pena per lui, perchè sapeva cosa stava provando.

E' successo anche me, lo sai?”

L'altro sgranò gli occhi. “Davvero?”

Penny serrò le labbra e annuì alzandosi per prendere un asciugamano. “Sì. Ero una bambina però, i medici dissero che avevo all'incirca otto, nove anni. Una donna mi ritrovò mentre vagavo in un bosco, piangendo. Non avevo idea di chi fossi” si voltò a guardarlo con gli occhi lucidi. “Quindi so cosa vuol dire ed è per questo che voglio aiutarti come posso.”

Hai recuperato la memoria?” le domandò lui ansioso. Penny era incerta su cosa rispondergli, brutta verità o bella bugia?

Un po'” rispose vaga, optando per la seconda opzione. “Ma non ha importanza perchè mi sono costruita una nuova identità e nuovi ricordi, e mi va bene così. Ma ora basta parlare, la cena sul tavolo si sta raffreddando e noi siamo ancora qua!”

L'uomo le rivolse uno sguardo amaro, ma subito dopo le sorrise confortato dall'espressione dolce sul viso di quella donna giovane e bella. Lei gli stava mostrando rispetto e bontà e lui pensò che era giusto ricambiare con gratitudine e speranza piuttosto che con tristezza e delusione. Non ricordava nulla e si sentiva disorientato e spaventato ma, non sapeva esattamente perché, la sua sola presenza lo faceva sentire meno solo.

 

*****

 

Quell'uomo non aveva mangiato per settimane. Era l'unica spiegazione possibile per la quantità di cibo che aveva ingurgitato. Pover'uomo, come aveva fatto a non morire di stenti? Doveva essere oltremodo forte e vigoroso, altrimenti non ce l'avrebbe fatta.

Due piatti di pasta, due bistecche e un ricco contorno di purè di patate, il tutto mangiato in non più di mezz'ora, mentre Penny aveva solo mangiato un piatto di pasta, sentendosi sazia. Anche in questo le ricordava lei quando era stata ritrovata. Dopo le visite e un misero bicchiere di latte caldo, sua madre le aveva portato un grosso hamburger e tante patatine, forse intuendo quanta fame avesse, forse perchè era già entrata nella modalità madre. Aveva divorato tutto, fino all'ultima briciola, tanto da far temere a Theresa che potesse sentirsi male. Invece era stata benissimo e dopo l'abbondante pasto, si era lasciata andare ad un lungo sonno ristoratore. Proprio come stava facendo il suo ospite in quel momento. Dopo cena era praticamente crollato, addormentandosi di colpo sul divano letto che lei aveva approntato mentre lui finiva di mangiare. Ora dormiva beato, con un'espressione serena sul viso, prova che finalmente si sentiva bene e al sicuro.

Guardò l'orologio al muro, segnava le ventitré e trenta. Troppo tardi per iniziare le sue ricerche e scoprire chi era l'uomo misterioso che dormiva sul suo divano, l'avrebbe fatto il giorno dopo. Bevve un altro sorso della sua tisana calda e lo guardò ancora.

Si chiese quanti anni potesse avere. La barba indubbiamente lo invecchiava, anzi era la prima cosa da fare la mattina successiva sopratutto per i segni sul viso, ma era certa che non avesse più di trentasei o trentasette anni. Aveva un bel viso e occhi stupendi, ma molto tristi. Chissà se aveva una moglie che lo stava cercando, o dei figli che chiedevano dove fosse finito il loro papà. Forse da qualche parte anche lei aveva dei parenti che si chiedevano che fine avesse fatto, cosa le fosse capitato e se mai l'avrebbero rivista. Magari una mamma ormai anziana, o al contrario una giovane cinquantenne che si era rifatta una vita avendo altri figli, scordandosi di lei. Si mordicchiò un labbro sforzandosi non pensarci, quello che era stata la sua vita prima di Theresa non le apparteneva più, lei ce l'aveva una mamma e anche meravigliosa. Annuì al proprio pensiero e si alzò dalla sedia, posando la tazza sul tavolo. Era ora di andare a dormire anche per lei. Il monolocale che aveva affittato era composto di un unico grande ambiente, ma la zona notte era provvidenzialmente divisa da una parete di legno con una porta a soffietto chiudibile a chiave. Certo, non era a prova di scassinatore, ma era sempre meglio di niente. Non che temesse il suo ospite, di certo gli istinti sessuali erano l'ultimo dei suoi problemi, ma era pur sempre un uomo e non erano così intimi da farla stare totalmente tranquilla su questo punto.

Passando accanto al divano, gli sistemò meglio le coperte addosso, aveva già sofferto abbastanza il freddo, ora doveva solo godersi il calore di un letto comodo.

Gli accarezzò con gentilezza i capelli ancora umidi e si diresse alla sua camera.


*****

Sam tornò al motel dopo circa mezz'ora, con l'hamburger e la torta per Dean e l'insalata di tofu per sé.

Novità?” domandò al fratello maggiore.

Dean scosse il capo. “Niente. Cass sembra essere svanito nel nulla. La donna che dice di aver visto un uomo esplodere di luce è stata ricoverata al reparto psichiatrico, quindi non ci serve un granché. Anche se dubito che abbia visto qualcosa in più di noi.”

Sam annuì e gli passò la sua busta. “E Bobby? Gli hai telefonato?”

Ovvio” rispose afferrando l'hamburger. “ Anche lui è a un punto morto, in realtà non sa nemmeno dove andare a cercare, cioè dove può cercare un cazzone alato che potrebbe essere morto sul serio? Ci è esploso accanto Sam, e anche se non era una nuvola di sangue e ossa, inizio a pensare che sia morto.”

Ormai erano due settimane che Castiel era scomparso. Stavano seguendo un caso e avevano chiamato Cass per farsi aiutare, quando improvvisamente lui era...esploso. Un'intensa luce azzurra li aveva accecati, ma non c'era stato alcun rumore. Solo luce, e poi Cass era scomparso. Da allora il buio, non avevano idea di dove fosse finito o se fosse vivo. Lo avevano chiamato sul cellulare, ma prima era risulto spento, poi numero inesistente. Che diavolo stava succedendo? Cosa c'era dietro?

Io non credo sia morto” sentenziò Sam aprendo la sua insalata. “Penso piuttosto che sia stato...rapito..”

Dean addentò il suo panino. “E da chi? Se lo beccano ai piani alti, lo fanno a fette altro che rapimento.” disse masticando.

Il più giovane dei Winchester alzò le spalle. “Non lo so, però hai ragione. Spero solo che sia ancora vivo.”

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