Hunger Games 72esima edizione

di Gyll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodbye my lover, Goodbye my friend ***
Capitolo 2: *** Memorie della parata ***
Capitolo 3: *** Il vestito ***
Capitolo 4: *** ultime ore di libertà ***
Capitolo 5: *** sul treno verso la morte ***
Capitolo 6: *** L'intervista ***
Capitolo 7: *** The bloodbath ***
Capitolo 8: *** Fuga dalla cornucopia ***
Capitolo 9: *** La scuola dei gladiatori ***
Capitolo 10: *** Nel sentiero del labirinto ***
Capitolo 11: *** Il triste destino di un vincitore ***
Capitolo 12: *** Nell'oasi della belva ***
Capitolo 13: *** Thoughts of a dying tribute ***



Capitolo 1
*** Goodbye my lover, Goodbye my friend ***


Gyll

"Ci rivedremo?" Gyll si giró verso di lui. C'era qualcosa di cosí triste e tormentato nel suo sguardo, le veniva quasi voglia di riattraversare la recinzione. Sorrise e annuí, non riusciva a resistere all'incantesimo di quegli occhi magnetici. "Spero solo di non dovermi fare di nuovo male per ritrovare il mio dottore." Quella recinzione era diventata peggio di una prigione.
Che cosa stava facendo? Si stavano rotolando nel fango sotto la pioggia da troppo tempo, mentre in due mosse avrebbe potuto benissimo immobilizzarla il momento in cui l'aveva buttata a terra. Stava... Giocando? Riusciva a leggere il desiderio nei suoi occhi, la rabbia e la passione nella sua stretta. Ma certo... lui non si era arreso.
In una mossa le bloccó le mani e tornó sopra di lei. La sua testa la riparava dalla pioggia, le uniche gocce che la bagnavano erano quelle che scendevano dalle punte dei capelli di Loki.
Niente male per il distretto Otto. Non volle lasciar trapelare nulla nel suo tono di voce. Se a Capitol avessero scoperto che avevano superato i confini beffando i pacificatori, entrambi i distretti avrebbero passato seri problemi.

Loki

In un primo momento fu strano sentire la voce di Gyll. Aveva sempre il suo timbro melodioso, ma suonava fredda e calcolata. Volutamente. La trattenne ancora, lottando contro un sorriso che voleva spuntare ad ogni costo. Cosa ti inventerai ancora, ragazza di ghiaccio? Era una recita paradossale, ma Loki vi ci si doveva buttare a capofitto. E in fretta.
Si rotolò ansimante vicino al coltello, per farglielo afferrare. Così avrebbero avuto una moneta di scambio per un'eventuale alleanza. La forza di Loki e l'arma di Gyll. Sarebbero riusciti a prendere in giro il Mondo? In fondo, lo avevano già fatto una volta.

Gyll

Due attori davanti a un pubblico invisibile, ma non per questo potevano smettere di recitare.
Erano coperti di fango dalla testa ai piedi. Erano fossette quelle agli angoli della bocca di Loki? E perché sentiva che si stavano formando anche a lei? Idiota, cosí farai saltare tutto! Rotolarono fino al punto in cui il suo coltello era affondato nel fango. Quindi era questo che stava facendo Loki. Riuscí a sfilare il braccio dalla presa debole e calcolata e gli sferró un pugno alla mascella. Dopo tutto doveva sembrare reale.
Usó quel momento per afferrare il coltello e puntarlo alla gola di Loki invertendo di nuovo le posizioni. Si fermó a guardarlo negli occhi, cercando di mantenere l'espressione piú impenetrabile che poté ansimando.
In quel momento erano avversari agli occhi di tutti, cercó di tenerlo a mente.

Loki

Ahia! Un pugno alla mascella. E nemmeno tanto piano. Poi in un balzo gli aveva puntato il coltello alla gola. A che gioco stai giocando? Loki non voleva sembrare debole. Le sbuffò in faccia, un espressione incerta negli occhi. La ribaltò, la prese per i polsi e cercò di tirarla sù in piedi. Per attaccarla bruscamente al muro. Si va in scena.
Senti rossa, tu hai un'arma, ma sei messa male. Io invece sono ancora illeso. A me serve la tua arma e a te serve la mia forza. Vuoi allearti o preferisci morire adesso? La guardò con gli occhi socchiusi, sperando di sembrare abbastanza duro. In realtà stava trattenendo una di quelle risate che vicino a lei uscivano così spontanee.

Gyll

Le scappò un mezzo sorriso. Che importava, magari a Capitol lo avrebbero interpretato come un segno di sollievo e speranza. E non era forse così? Aprì la mano, bloccate contro il muro di foglie, e lasciò cadere a terra il coltello in segno di resa.
Gyll. disse con lo stesso tono freddo e calcolato di Loki. Erano estranei, dovevano ancora mantenere le apparenze.
Le tornò in mente della prima volta in cui si erano conosciuti. Come erano diverse le circostanze allora.
E tu, Distretto 8? C'era un tono di sfida della sua voce, ma per quanto fosse divertente stuzzicare Loki, non era diretto a lui, bensì a tutte le persone incollate ai televisori in quel momento.
L'unica volta che aveva messo in piedi una recita così elaborata era stato quando aveva dovuto comportarsi come se non fosse successo nulla nelle due settimane di assenza, quando era accidentalmente caduta nel distretto 8, quando per caso Loki era nei paraggi per soccorrerla. La fortuna non era stata esattamente dalla sua parte.
Ed eccoli lì, sotto la pioggia che lavava via lo strato di fango che avevano addosso, a fronteggiarsi come due perfetti sconosciuti nella 72esima edizione degli Hunger Games.
Hai intenzione di lasciarmi andare o mi trascinerai per i polsi fino ad un riparo?

Loki

Non riusciva a non fissarla negli occhi. Era certo di amarla.
Sono Loki Outreed. il tuo dottore, il tuo amico, il tuo amante.
Loki. Non ti trascinerò dai polsi. Se vuoi ti prenderò in braccio, come la prima volta.
Per ora si, ti trascinerò dai polsi. Non mi posso ancora fidare di te.
Non ti lascerò i polsi, voglio stringerti ancora un po'.
Chi ti ha detto che cerco un riparo? Ti ricordo che siamo nell'Arena.
Qui non c'è una baracca per gli attrezzi, Gyll. Vorrei, ma non c'è. Comunque, Gyll, chi ti ha ridotta così?
Chi diavolo ti ha ridotta così, amore mio?
Non aveva nemmeno finito di formulare quel pensiero che si accorse di un movimento fin troppo vicino.
Un fruscio.
Qualcuno stava strisciando.
Lui era di spalle perciò, con tutta la calma del mondo, guardò Gyll negli occhi, per capire l'entità del pericolo dietro di lui. Attese una risposta che non sarebbe mai arrivata.
Il rumore di un verso agghiacciante, simile ad un ruggito, si levò vicinissimo al suo orecchio.
Fece la prima cosa che gli venne in mente: gettò leu e Gyll per terra. Appena in tempo, ancora qualche istante e le unghie assassine dell'ibrido senz'anima lo avrebbero trafitto. Le unghie erano talmente possenti che avrebbero tranquillamente potuto trapassare la sua spina dorsale. Beh, forse per una volta la fortuna era davvero dalla sua parte, perchè trovò una pietra appuntita proprio vicino a lui. La colse velocemente e con un balzo si rialzò. La belva, una specie di felino strisciante?, si stava muovendo verso di lui. C'era solo una cosa che avrebbe potuto fare per salvare la sua pelle e quella della sua amata. Senza pensarci troppo, si gettò sull'ibrido, cercando di capire se i suoi punti vitali fossero nelle stesse zone degli altri mortali, o se ne avesse. La bestia era molto più forte di lui, e con le sue zampe possenti strinse le spalle di Loki in un abbraccio mortale. La morsa d'acciaio in cui era incastrato sembrava intrappolarlo fino a soffocarlo, perciò Loki dovette usare tutta la forza di cui disponeva! Però, con tutta l'energia che aveva in corpo, riuscì a piegare le braccia e puntargli punta acuminata della pietra dritto al cuore. L'ibrido si ferì da solo appena strinse la morsa.
Loki cadde a terra con lui, con nemmeno un grammo di forza in corpo. Quando capì che c'erano altri ibridi, si girò verso Gyll con il terrore dipinto negli occhi.
SCAPPA!
Scappa amore mio.
Riuscì a trovare la forza per alzarsi, conscio di non avere l'energia necessaria ad affrontare altre belve.

Successe in un attimo. Un secondo ibrido spuntò proprio alle spalle di Gyll. In un momento, Loki ritrovò tutte le forze che aveva perso. Corse fulmineo verso la sua ragazza di ghiaccio, troppo velocemente per pensare con lucidità. La spostò con forza, per affrontare degnamente l'ibrido, forse l'ultimo avversario che avrebbe avuto. Si gettò su di lui con tutta l'energia che gli restava, e in quel momento capì. Realizzò che non sarebbe mai stato il vincitore degli Hunger Games. Che quello non era un Gioco per lui. Che avrebbe potuto prendersi in giro quanto voleva, ma non sarebbe mai cambiato. Mai avrebbe smesso di lottare per ciò in cui credeva. E Loki, agli Hunger Games, non ci credeva. Non credeva che vincere i Giochi gli avrebbe portato gloria, nè che uccidere un innocente fosse un gesto umano. Lui credeva nella profonda bontà delle persone, e nell'amore, e nei valori. Tutte cose che, all'interno dell'Arena, erano state dimenticate da chi aveva intenzione di vincere. E forse era questo il punto: lui non ne aveva intenzione. Però c'era Gyll, e lui l'avrebbe protetta fino alla fine. Anche se stava sentendo un dolore atroce.
Proprio nel centro del petto.
Poteva sentire l'odore del sangue che, dalla pelle lacerata, iniziava a sgorgare come acqua da una sorgente. Perlomeno riuscì a percepire la pietra che si conficcava nelle interiora dell'ibrido.
La belva cadde a terra, inerme.
E anche lui.
Tutto era sfocato. Poi, il nulla.


Sento l'energia dell'anima mentre defluisce verso l'infinito. Sento il mio corpo che non mi appartiene più. Sono in ginocchio, forse. Due braccia mi cingono i fianchi. L'occhio sano di Gyll piange. Non sento quello che mi dice, ma sono certo di non poterle rispondere. Non sono più certo di nulla. Solo del suo viso di fronte al mio e del fatto che la amo. Provo a mimarlo con le labbra. Mi ama anche lei. Me lo dice con il suo calore. Sorrido ancora una volta, a lei piace tanto quando lo faccio. Chiudo gli occhi, per sempre.

Gyll

"Non voglio perderti. Non proprio ora che ti ho trovata." C'era una nota cosí malinconica nel suo tono di voce. Non riusciva a vederlo negli occhi, non con le sue forti braccia che la stringevano forte al petto. Riusciva solo a vedere la recinzione elettrificata da sopra la sua spalla.
Durante la trasmissione della morte dei tributi in televisione spesso mostravano le scene a rallentatore. Ma non c'era niente di rallentato. Tutto duró una manciata di secondi. Appena il tempo di realizzare che Loki le aveva salvato la vita, e si ritrovó per terra a sorreggere il suo corpo sanguinante.
Non avrebbe potuto fare niente per lui, nemmeno se fosse stata a casa, nemmeno se sua nonna fosse stata lí, nemmeno se avesse avuto la tecnologia avanzata di Capitol. Stava morendo, per lei.
Lo stese per terra, sopra le sue gambe, mentre con una mano gli spostava i capelli dalla fronte e con l'altra cercava inutilmente di tappare la ferita al petto. Poteva sentire i battiti affievolirsi sotto il suo palmo.
Non voglio perderti. Non proprio ora che ti ho trovato. gli sussuró Gyll, ripetendo le parole che aveva pronunciato lui in un'altra vita. La vita fuori dall'arena. Sembravano passati secoli.
Ogni parola uscí piú debole di quella prima, finché la voce non si spezzó del tutto. Ti amo. Fino alla fine, non aveva smesso di amarla un secondo.
Ti amo, Loki.
Guardó il sorriso piú bello del mondo spuntare sulla sua bocca.
Boom.
Non riuscí piú a trattenersi, scoppió a piangere, le lacrime che si mescolavano alla pioggia, fimché non smise completamente di piovere. Alzó lo sguardo verso il cielo, ogni traccia di nuvole era scomparsa, al loro posto un sole caldo e potente che Inizió ad asciugare tutta l'acqua e anche tutte le sue lacrime.
Un brutto scherzo del destino. Un brutto scherzo degli strateghi.
L'hovercraft tardava ad arrivare, non potevano lasciarlo lí in mezzo al labirinto. Ma certo. Non sarebbe arrivato finché lei fosse rimasta vicino al suo corpo. Doveva lasciarlo andare, in fondo la sua anima aveva giá lasciato il suo corpo. Era libero, libero dagli Hunger Games, libero da Caoitol City, libero da Panem. Libero di raggiungere sua madre.
Gli accarezzó un'ultima volta la fronte, nello stesso modo in cui aveva fatto lui il giorno in cui le loro vite si erano scontrate brutalmente vicino alla recinzione del distretto 8, e si alzó da terra, mettendolo giú nel modo piú delicato possibile.
A Capitol avrebbero pensato che gli era riconoscente per essersi sacrificato per lei? Che il loro era un amore scoppiato all'interno delle mura del centro di addestramento? Che era semplicemente debole ed emotiva?
Non le importava, le importava solo la veritá, ció che avevano condiviso lei Loki sarebbe rimasto con loro per sempre e nessuno glie lo avrebbe mai potuto togliere.
Si costrinse a non girarsi, con lo zaino in spalla e il coltello nella cintura, se avesse potuto sarebbe corse indietro a stringerlo forte senza staccarsi piú da quel corpo vuoto, finché non sentí il rumore dell'hovercraft avvicinarsi e raccogliere il corpo inerme di Loki.
Addio mio dottore, mio amico, mio amante. L'ultima lacrima scese dall'occhio sano.
Arrivederci.





(N.B. Non ho scritto io la parte di Loki, ma la mia compagna di GDR, Lola Bamby)

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Capitolo 2
*** Memorie della parata ***


Si lasciò cadere sul gigantesco letto color panna. Non riusciva a non apprezzare quel lusso, nonostante le circostanze. Cominció a cantare, immaginando la nonna lí accanto a lei che cantava per farla addormentare. La voce della nonna non era bella, ma era confortante e rassicurante, e l'aveva sempre spinta a cantare come suo padre.
La prima notte si era ranncchiata nell'angolino appallottolata, senza riuscire a sentire la morbidezza del letto e dei cuscini su cui stava. Si era strappata quel ridicolo vestitino lungo e bianco e tutte quelle foglie che le avevano messo nei capelli.
"Non voglio vestirvi da dottori o infermieri. Riprenderemo le origini del vostro distretto. Quanto conoscete la mitologia?"
Druidi, era stata vestita da sacerdotessa celtica, i custodi dei segreti dei boschi e delle proprietà delle piante. Anche se dubitava che le sacerdotesse indossassero cinture d'oro e vesti scintillanti.
Gyll amava la mitologia. Aveva passato giorni interi a divorare vecchi libri di sua nonna, di quando ancora era la figlia di un vincitore. Erano la sua distrazione dalla sofferenza dei pazienti che lei e la nonna curavano.
Il vestito toccava terra, bianco come la neve, di poco più chiaro della sua pelle. Era fatto di un materiale strano, rifletteva le luci puntate addosso nel pallore della stoffa, non come uno specchio, ma come l'acqua. Le maniche erano larghe e le coprivano le mani, ma il suo stilista le aveva dato da tenere in mano dei rami di Alloro. Niente di più inappropriato, considerati gli altri tributi.
Sul primo carro c'era una ragazza, una bambola di porcellana, che lanciava coltelli con lo sguardo. Sul secondo, un ragazzo tanto bello quanto micidiale. Era grosso e muscoloso e non serviva nemmeno guardarlo negli occhi per vedere che non aveva paura di nulla. Sul carro del quattro c'era una bambina dai ricci rossi alta un metro e una mela, e guardarla la faceva sentire male. Aveva studiato ogni tributo. Finchè non era arrivata all'ottavo carro.
Quasi non l'aveva riconosciuto, conciato in quel modo, con i capelli tirati indietro, costretto in una stretta giacca viola, un modello di Capitol City. Ma poi aveva visto quegli occhi, i due pozzi neri in cui si era persa mentre era in preda al panico il giorno in cui era caduta dall'albero. La sua voce, che l'aveva calmata durante la crisi e rassicurata mentre era sotto l'effetto dell'anestesia improvvisata, le rimbombava nelle orecchie, le orecchie della sua mente, sovrastando il frastuono della parata.
Loki. Voleva saltare giù da quel maledettissimo carro e correre fra le sue braccia, quelle forti braccia che l'avevano cullata mentre era incosciente, che l'avevano stretta con forza e passione, delicato ma non troppo. Ma cosa sarebbe successo se Capitol avesse scoperto di loro due? L'avrebbero giudicata una fuggitiva, trasformata in una senza voce e Loki sarebbe stato condannato come traditore per aver aiutato una fuggitiva, evasa dal suo distretto. Ma questa doveva essere la loro punizione. Uccidersi a vicenda.
Irrigidì ogni singolo muscolo del suo corpo. Non poteva crollare, non lì.
Luxifer le aveva detto -ordinato- di piacere al pubblico, di sorridere, di diventare uno dei tributi preferiti dagli abitanti di Capitol City. Se avesse lasciato andare la presa ferrea sui suoi muscoli sarebbe scoppiata.
Aveva fatto finta di ascoltare le urla della statua d'oro per tutto il tempo nell'ascensore, ed era corsa in camera sbattendo la porta dietro di sé. Aveva risvuotato la sua riserva di lacrime, finché l'odio, la rabbia e la tristezza non furono scivolati via insieme al pianto.
Immaginava la nonna, che cantava, che le pettinava i capelli, che le toglieva tutte quelle foglie e quei fiori intrecciati alla massa di ricci.
Ma la nonna non c'era. L'avrebbe mai più rivista? Se non fosse tornata come avrebbe reagito? Perdere una figlia nell'arena era terribile, perderne due era devastante. Perchè la nonna era diventata sua madre, Gyll aveva preso il posto di Lys, e Artie era il suo fratellino.

Gyll aprì gli occhi. La luce entrava dalla finestra ad un'angolazione diversa. Doveva aver dormito molto. Si cambiò i vestiti, togliendosi la tuta sporca che aveva usato alla sessione privata. Forse erano già usciti i punteggi delle sessioni private. Sentì lo stomaco capovolgersi al pensiero.



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Capitolo 3
*** Il vestito ***


Gyll tiró un sospiro. Anfitrite, la sua stilista, le aveva ordinato di trattenere il respiro per entrare nel suo vestito per l'intervista, e l'aveva avvertita di non fare respiri troppo profondi. Sei fantaaaasticaaaa. Aveva canticchiato la sua stilista mentre le sistemava l'orlo della gonna. Non vorremmo nascondere queste belle gambe!
Le tiró mentalmente uno schiaffo. Luxifer si era raccomandato di mettere in mostra le sue migliori qualità, ma non aveva capito che stesse alludendo a questo. Quel pomeriggio Si era ripresentata la piccola donna azzurra con il suo team di clown torturatori con le loro pinzette e cera calda. Quando l'aveva infilata a forza nel vestito la prima cosa chaveva notato era che mancava stoffa. Si sentiva cosí... scoperta.
Il vestito era molto diverso dall'eccentrico stile di Capitol, molto piú semplice. Sembrava una versione piú lussuosa e provocatoria del suo vestito alla mietitura. Era stretto e davvero troppo corto. Aveva il corpo fasciato di stoffa color avorio, un tubicino stretto da sotto le ascelle a un quarto delle cosce. Sopra avevano messo uno strato di pizzo con motivi floreali, che le copriva le spalle e un po' piú di gambe, anche se era troppo trasparente per coprire qualcosa veramente. Sembrava quasi che avessero spruzzato una polvere dorata su tutto il vestito.
Non le piaceva l'idea, le faceva venire in mente Luxifer, la statua d'oro senza scrupoli. Il suo odiabile presentatore. I truccatori avevano spruzzato la stessa polverina dorata nei suoi capelli e intorno agli occhi. Che contrasto diviiiinoooo! Non avevano fatto altro che blaterare su quanto sarebbe diventata sbrilluccicosa sotto i riflettori dello studio.
Si passó un dito sull'avambraccio. Sotto sua insistenza aveva chiesto al team di tatuarle le rune che le aveva dipinto Jinx sulle guance durante il primo giorno di allenamenti. Ricorda il passato. Anfitrite e il suo team avevano trovato l'idea molto originale, e quella mattina stessa le avevano inciso nella pelle le rune dorate. Le avevano applicato cerotti dalle sostanze a lei sconosciute per farle passare il rossore.
Ricorda il passato, Gyll, ma non lasciare che il passato diventi presente.
Uscí dalla sua stanza senza guardare nessuno dei suoi compagni di appartamento, con le guance giá in fiamme.



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Capitolo 4
*** ultime ore di libertà ***


Gyll camminava su e giù per tutto il salotto. Avanti e indietro. Aveva lo sguardo perso nel vuoto. Lei era vuota. Non c'era convinzione, non c'era dolore, non c'era tristezza, non c'era coraggio... Non c'era niente. Era terrorizzata? Forse. L'idea di entrare in quell'arena non aveva ancora raggiunto il suo cervello.
Sarai nell'arena. Diciassette anni dopo la storia si ripete. Sarai nell'arena. Sarai nell'arena. E non puoi fare nulla per cambiarlo.
Lasciare che gli occhi non si concentrassero su nulla le rilassava le orbite, ma non faceva altro che battere il tempo dei secondi sulla gamba, aumentando solo la tensione.
La determinazione che aveva dimostrato all'intervista era svanita durante la notte. Alzò lo sguardo verso il suo compagno di distretto. In tutto il loro soggiorno in quell'appartamento non si erano mai scambiati nemmeno una parola direttamente. Non si erano mai parlati. Non era sicura di voler cambiare le cose. Era oscuro, sembrava quasi che risucchiasse la luce intorno a sé.
Anfitrite e Stènelo avevano deciso di renderli opposti all'intervista. Lei brillava con tutta quella polverina d'oro, lui era l'oscurità. Incuteva paura anche senza quella maschera da corvo che indossava.
Se le loro strade si fossero incrociate nell'arena lui avrebbe esitato ad ucciderla?
Quella domanda continuava a ronzarle in testa, e aveva davvero paura della risposta.

Passavano le ore. Si era rifiutata di guardare qualsiasi orologio, ma il sole era giá alto. Non mancava molto, solo qualche altra ora di libertá.
Era in crisi. Non voleva persone intorno, non voleva il team di truccatori svitati, quella pazza della sua stilista, il suo presentatore sadico, il principe delle tenebre nonchè suo compagno di distretto, nemmeno il suo mentore.
Era in piena crisi. Rannicchiata contro la porta del bagno mega galattico in marmo bianco. Era troppo terrorizzata per piangere. Era troppo terrorizzata per fare qualsiasi cosa oltre ad infilarsi le mani nei capelli e guardare fuori dall'enorme vetrata che si affacciava sulla cittá.
Quell'enorme cittá tanto potente da controllare le vite della popolazione di un intero continente.
Si alzó in piedi, i suoi muscoli erano cosí bloccati che muoverli fu difficile, e si avvicinó alla parete di vetro. Essere al sesto piano faceva si che potesse vedere le cose dall'alto, ma era abbastanza in basso da poter sentirsi come se stesse camminando sulla strada sotto di lei. Si sentiva cosí piccola, nonostante la sua altezza, cosí piccola sotto i grattacieli, cosí insignificante.
Non c'era nemmeno l'ombra di una pianta, un ciuffo d'erba, la chioma di un albero. Non aveva capito quanto amava il suo distretto finché non l'avevano trascinata via a forza. Amava il suo distretto, amava correre nei suoi boschi, amava il suo lavoro, amava la sua famiglia spezzettata e rincollata insieme.
Lei voleva tornare a casa.
Avrebbe fatto meglio di sua madre. Non avrebbe perso quello che si era accorta di avere troppo tardi. Se si fosse spezzata nuovamente quella piccola famiglia, sua nonna sarebbe riuscita a rimetterla insieme dopo l'ennesima perdita?
Cosa serve per essere felici?
Un volto tanto simile al suo, con occhi neri come la pece le rispose nella sua mente. Era una risposta cosí ovvia.
Combatti.




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Capitolo 5
*** sul treno verso la morte ***


Era bellissimo. Lo guardava raccogliere le sue erbe seduta contro la parete di un capanno, con le gambe steccate. Era difficile vedere di notte, con solo la luna come luce, quindi continuava a tornare indietro da lei con diversi tipi di erbe in mano in attesa della sua approvazione. Piú di una volta si era ritrovata a dover curargli le mani ricoperte di bolle per colpa di qualche tipo di pianta, e ogni volta scoppiava a ridere e scherzavano sulla sua scarsa attenzione su quello che stava raccogliendo.
Ridevano, senza curarsi dei mille pericoli che li circondavano e che li aspettavano.
Ridevano.


Aprí gli occhi ritrovandosi nella carrozza del treno che li avrebbe portati a Capitol City. Le faceva male il petto. Si chiese se anche sua madre si era sentita cosí quando era salita su quel treno diciassette anni prima.
Si guardó intorno, trovando il profilo del ragazzo inquietante nella sua stessa posizione di poco prima. Sembrava rilassato, ma restava inquietante.
Ma dove erano finiti il suo mentore e Luxifer? Parlando di inquietanti... Tutti quegli anelli sulla faccia del presentatore le facevano senso. Sembrava un puntaspilli dorato con quella patina d'oro che lo ricopriva dalla testa ai piedi. Ogni anno si riproponeva con un look diverso, uno piú strano dell'altro. I cittadini di Capitol avevano un concetto di bellezza molto malsano.

"La mia sorellina continua ad essere preoccupata. Si chiede che cosa vado a fare quasi ogni notte, e perché continuo ad avere le mani infiammate." fece una risata, bassa e profonda, sentiva le vibrazioni nel suo petto con la testa appoggiata sopra. "Com'é la tua famiglia?" le chiese. "Strana." rispose lei. Era difficile parlarne, e non solo per il groviglio genealogico. Lui si mise un braccio sotto la testa, cercando di tirarsi su per guardarla negli occhi, incuriosito. Lei sospiró. "Vivo con mia nonna e il mio fratellino. Anche se tecnicamente é mio zio... Ho perso i miei genitori appena nata e mia nonna mi ha adottata." la rendeva piú leggera parlarne con lui, un sollievo che l'aveva oppressa per molto tempo. "Mi hanno cresciuta i miei nonni, e poco dopo l'arrivo di Artie... se ne é andato il nonno. La nonna ha dato tutta sé stessa per noi." Le sfuggí un sorriso tenero al pensiero della sua dolce nonna, capace di risvegliare la parte migliore di Gyll. Lui le passava le dita fra i capelli, giocando con il groviglio di ricci, esitando a fare la domanda che sapeva giá sarebbe arrivata. "Ma... uhm, come... come sono morti i tuoi?" aveva lasciato andare i suoi capelli e le aveva circondato le spalle con un braccio, preparandosi a doverla confortare in qualche modo. Ma aveva superato da molto tempo la loro morte, non aveva bisogno di essere confortata. "Mia madre é morta negli Hunger Games. Mio padre non lo ha superato." fece una risata amara, senza un briciolo di gioia. "Ti immagini se venissi sorteggiata anche io? Sarebbe assurdo."

Sarebbe assurdo. Assurdo vedere diciassette anni dopo la copia di un tributo giá morto in quei giochi disumani. Assurdo scoprire che il tributo avesse dato alla luce una bambina prima di essere mandata all'arena. Assurdo che quella bambina venisse sorteggiata diciassette edizioni dopo.
I cittadini di Capitol avevano un cuore? Gyll contava di spezzarli tutti, di lasciare sulla loro coscienza, se mai ne avessero una, la morte dei suoi genitori. Perché loro li avevano uccisi.



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Capitolo 6
*** L'intervista ***


Caesar Flickerman

Riprese fiato senza dare troppo nell’occhio, sgranchendo il collo. Ormai erano arrivati a metà serata, e toccava alla giovane del Distretto 6. - Signore e signori, ricordiamo tutti gli incredibili costumi di questi giovani tributi…facciamo dunque un bell’applauso all’incantevole Gyllian Morris! - Una volta arrivata al suo fianco, aiutò la ragazza a sedersi, per poi prendere posto a sua volta, accavallando le gambe.
Bene bene bene, Gyllian… lasciatelo dire, adoro i tuoi capelli! Sono rossi naturali? - domandò incuriosito, passandosi una mano sulla testa ad accarezzare la chioma verde.
- Allora, Gyllian - continuò Caesar, avvicinandosi a lei. - Dimmi un po’, che ne pensi di Capitol City? Spero non abbia deluso le tue aspettative! - Scoppiò a ridere, trascinando con sé il pubblico, mentre prendeva una mano alla ragazza e la stringeva forte!

Gyll

I riflettori si puntarono su di lei accecandola, o forse era lei stessa ad accecarsi da sola con tutta quella polverina d'oro che aveva addosso. Aveva lanciato a Loki uno sguardo, non poteva fare altro, ma mise dentro a quei pochi attimi tutto quello che non poteva dire ad alta voce. Lui le aveva sorriso impercettibilmente. E poi Luxifer le sibilò nell'orecchio di essere impeccabile, di conquistare il pubblico, di conquistarglieli. Le venne la nausea.
Fece un sorriso mentre si avvicinava alla singolare figura verde che la accoglieva. Dire che faceva fatica a camminare era un eufemismo. Le avevano infilato delle scarpe così alte che non riusciva a fare un passo senza barcollare. Come se le servissero.
Ma così sono pure più alta di te! recitazione, Gyll, recita la tua parte. Tenne la mano di Caesar mentre si sfilava le scarpe d'oro dai piedi e le lanciava dietro le quinte. Non mancheranno a nessuno dei due. Sorrise sedendosi sulla poltroncina.
Rossi naturali, secondo Luxifer li ho fregati ad un leone! Sbattè teatralmente la chioma sollevando una nuvoletta dorata intorno a lei. Riusciva quasi a sentire i gridolini eccitati della sua stilista e del suo presentatore. Sfavillante! Non riuscì a non ridere al pensiero, aggiungendo solo altra scena alla sua commedia.
Come faccio ad essere delusa se avete tutto il cioccolato del mondo qui?
Il cioccolato era una rarità nel distretto. Solamente i ricconi proprietari delle cliniche e delle case farmaceutiche potevano permetterselo.

Caesar Flickerman

Caesar rise per il senso dell'umorismo della ragazza, era così contagioso! E lei era meravigliosa, così fotogenica! -Beh direi che più o meno ci siamo! Anche se un leone non è di certo così adorabile come te mia cara!- Rispose stando allo scherzo, assicurandosi per gioco che Luxifer non fosse nei paraggi.
-Ad ogni modo, immagino che per te non deve essere facile pensarci, so che molti tributi soffrono di ansia da prestazione , ma cosa ti aspetti dall’Arena? - domandò curioso. Era sempre interessato a quello che potevano pensare i tributi su ciò che li attendeva.

Gyll

Sorrise a Caesar sperando di arrossire un po', l'avrebbero adorato. Le parole cominciarono a scorrere fuori dalla sua bocca velocemente come un fiume in piena. La verità? Non voglio pensarci, ma non riesco a non pensarci. Non voglio pensarci perchè gli attacchi d'ansia rendono solo la preparazione più difficile e stressante, e non riesco a non pensarci... be', per vari motivi. Si passò quasi involontariamente l'indice sulle nuove inscrizioni d'oro sul suo avambraccio destro. Gli strateghi hanno il brutto vizio di essere creativi nei bagni si sangue. Non lasciò cadere il suo sorriso. Non quella sera, non sarebbe crollata, non quando c'era così tanto in gioco, avrebbe tenuto la testa alta. Il suo sorriso si allargò.

Caesar Flickerman

Annuì più volte nell'ascoltare le parole della ragazza, -Certo, certo, capisco...- Sorrise alle parole finali della giovane, -Eh sì, gli strateghi hanno questo vizietto.- Annuì divertito, arricciando appena il naso prima di ridacchiare.
Le strinse lievemente la mano all'ultima domanda: - E dimmi, Gyllian…c’è qualcuno al quale dedicheresti la tua vittoria? - la osservò, serio in volto, mentre rispondeva.

Gyll

A chi avrebbe dedicato la sua vittoria nella remoto caso in cui fosse sopravvissuta? Era arrivato il momento che aveva tanto atteso. La rivincita. Addolcí la sua espressione, arrivando ad un sorriso triste. A mia nonna, e a mia madre, la mia vera madre. Le parole uscivano una più debole dell'altra.
Cinquantacinquesima edizione, distretto sei. La voce si incrinò sulle ultime parole. Riusciva a sentire la gola stretta e le lacrime che le pizzicavano gli angoli degli occhi. Stava davvero recitando? Nemmeno Gyll riusciva piú a distinguere realtá e finzione. Non voglio che la storia si ripeta.

Caesar Flickerman

Intuì dal tono smorzato di voce della ragazza che dare quella risposta la fece star molto male. E poi capì, vide la somiglianza. Lys Morris. Sussurrò la regia nell'auricolare. Così la ragazza aveva tenuto il cognome della madre.
Tua madre era Lys Morris, tributo del distretto sei nella cinquantacinquesima edizione... Non gli capitava spesso di essere a disagio nella sua poltrona, sotto i riflettori, ma quella era una specie di chiaccherata con uno spettro.
Sullo schermo alle loro spalle fecero passare scene e immagini di una ragazza identica a quella seduta affianco a lui, ma con gli occhi dolci e neri come la pece.
Il pubblico era ammutolito. Non gli sembrava il caso di far notare alla ragazza quello che stavano proiettando alle loro spalle. Far mostrare emozioni ai tributi era un contro, abbatterli psicologicamente era un altro.
Le prese delicatamente la mano e le sorrise con un pizzico di tristezza negli occhi. -E non si ripeterà mia cara. Ti auguro ogni fortuna.- Gliela baciò e ammiccò, prima di voltarsi verso il pubblico. -Gyllian Morris, Distretto 6!-

Gyll

Nel tono di Caesar riusciva a sentire autentica tristezza. No, non tristezza, rammarico, dispiacere. Sembrava sinceramente dispiaciuto per lei. Era questo che rendeva Caesar il migliore.
Gli sorrise mentre la aiutó ad alzarsi. Senza quelle dannate scarpe era davvero molto piú facile, e forse riusciva anche lei in qualche modo a mettere piú a suo agio Caesar. Era piú alta di lui anche senza scarpe. Buffo che fosse il tributo a mettere a proprio agio l'intervistatore. Gli sussurró un "grazie" all'orecchio mentre gli baciava entrambe le guance prima di andarsene. Ripescó le sue scarpe e scese la scaletta del palco, trovando subito i due occhi profondi come pozzi ad attenderla.

(N.B. non ho scritto interamente io la parte di Caesar)

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Capitolo 7
*** The bloodbath ***


Claustrofobia. Per quei due secondi prima che la piattaforma la portasse in superficie nell'arena fu la claustrofobia ad attanagliare lo stomaco e la gola. Quando la piattaforma finí la sua salita il senso di angoscia non svaní.
Era al centro di un labirinto.
Davanti a lei la solita cornucopia d'oro straripava di oggetti. Doni. Salvezza.
Trentadue.
Non c'é piú tempo, Gyll. Hai deciso.
Ventiquattro.
Iago é stato chiaro. "Trova qualcosa in cui lottare. Se hai qualcosa per cui vale la pena andare avanti sei giá a metá strada". Te lo ha ripetuto fin dal viaggio in treno.
Diciannove.
Trova la tua tattica, Gyll, trova la tua tattica.
Otto.
Hai lasciato le tue insicurezze in quel maledetto bagno, Gyll.
Quattro.
Si preparó a correre sulla pedana.
Tre.
Ricordati cosa sei capace di fare, e di chi ti aspetta a casa.
Due.
La voce nella sua testa non era la sua. Era forse pazza?
Uno.
Rendimi fiera di te.


Aveva preso la sua decisione.
Il conto alla rovescia era finto. Era il momento del caos. Puro caos.
Si lanció in avanti. Il suo obbiettivo, lo zaino a pochi metri da lei. E poi sarebbe corsa il piú lontano possibile da lí. Lo afferró per la cinghia, ma qualcos'altro aveva attirato la sua attenzione. un bagliore argentato. Si lanció avanti per terra, afferrando il coltello grande poco piú della sua mano. Le tornó in mente la sessione di lotta con Trox. Trova un'arma.Si voltó indietro, pronta a scattare, ma vide troppo tardi la ragazza che le saltó addosso.
Istintivamente alzó il coltello. Il peso le crolló addosso, insieme a un fiotto di sangue che le bagnó la faccia.
Se la tolse di dosso disgustata estraendo il coltello dalla ragazza che aveva appena accoltellato. Le aveva colpito un fianco. Sarebbe morta a causa sua, anche se non aveva colpito nulla di vitale, l'aveva rallentata. Non aveva speranze.
Non c'era tempo. Si alzó da terra con il suo zaino, il coltello e la corda che tolse dalle mani della sua vittima.
Inizió a correre, a scappare il piú lontano possibile, lasciando dietro di sé il ruolo re della morte.
Si tolse con il dorso della mano il sangue sugli occhi e sulla bocca con lo stomaco attorcigliato.
Non é il momento, Gyll.
Continuava a lanciarsi sguardi alle spalle, temendo sempre di trovare la bambolina bionda le lanciava addosso un coltello con un macabro sorriso sulle labbra. Continuó a correre



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Capitolo 8
*** Fuga dalla cornucopia ***


Non aveva smesso di correre. Aveva il fiatone, era sudata e sporca di sangue e aveva appena accoltellato una ragazza. La sua mente era vuota, il nulla piú totale aveva risucchiato il suo cervello.
Boom.
Procedeva per sensazioni ed istinti, non poteva fare affidamento alle sue facoltá di ragionamento con la scarsa luciditá mentale.
Riparo. Stava calando la sera e lei doveva trovare un riparo. Non fermarti. Continua a correre. La voce era tornata nella sua mente a darle indicazioni.
Boom.
Sei nell'arena ora. I giochi sono cominciati.
I labirinti erano ricorrenti nei suoi incubi. Il senso di chiuso, di smarrimento, di totale affidamento sul destino... la terrorizzava. Destra o sinistra? Destra.
Quando sarebbe tornata la luce avrebbe cercato il cibo. Se anche fosse riuscita a prendere un uccello o una lepre non avrebbe potuto cuocere la carne, e il suo stomaco non avrebbe retto l'impatto della carne. Carne, carne morta, persone morte.
Boom.
Continua a correre, Gyll. Svuota di nuovo la mente. Seguí i suggerimenti della voce nella sua testa.
Boom.
Altri colpi di cannone.
Boom. Sei nell'arena ora.



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Capitolo 9
*** La scuola dei gladiatori ***


Gyll non voleva alzarsi. Si era addormentata tutta rannicchiata in una pallina al bordo del letto e sentiva i muscoli della fronte bloccati nella stessa posizione corrugata, e sentiva le scie di sale seccato sulle guance.
Pensava di aver giá pianto tutta l'acqua nel suo corpo la notte prima, pensava che non sarebbe riuscita a riempire il vuoto. Si sbagliava.
Le erano bastati due secondi. Il tempo di uno sguardo reso il carro del distretto 8 per sentirsi peggio di prima. Usó tutto il suo autocontrollo per non muovere nemmeno un muscolo su quel carro, scatenando l'ira di Luxifer.
Usci dalla stanza ignorando lo strillo acuto di Luxifer, e corse sotto la doccia.

[Mimetizzazione]
Riservate il meglio per la sessione privata. si raccomandó Iago prima che si aprissero le porte dell'ascensore che li stava portando nel sotterraneo? Non lasciatevi provocare dai preferiti, e non fate nulla di stupido. Il centro era giá pieno. Non voleva guardarsi intorno.
Si avvió verso la postazione di mimetizzazione quasi vuoto, studiando l'istruttrice dall'aria stralunata. Le ricordava alcuni vincitori del suo distretto, che si erano lanciati nel mondo delle droghe chimiche e costosissime. Avevano lo stesso sguardo leggermente perso.
La ascoltó mentre le insegnava Come creare una colla con delle resine e pasta di radici. Si morse la lingua per evitare di dire qualsiasi cosa che l'avrebbe svantaggiata davanti agli altri tributi.
Le insegnó ad usare tutto quello che aveva intorno per nascondersi: terra, rocce, foglie, legno...
Poi passó alla pratica. Cercó di trasformare il suo braccio in un tappeto di foglie. Non era un'artista. Era riuscita a trovare il colore giusto, ma era ancora palesemente troppo liscio e uniforme per essere parte del terreno di una foresta. Aveva provato ad aggiungere terra e foglie, ma era troppo finto. Si aiutò con un pennello, ma non fece altro che peggiorare il tutto. La donna che la seguiva, Jinks, le tolse di mano il pennello e cominciò a dipingere delle foglie secche, incollando qualche rametto. Era una vera esperta. Poi prese un paio di ciotoline ripiene di bacche, terra, muschio e foglie marce e impastate.
Devi imparare a nascondere il tuo odore. Anche le bestie gironzolano per l'arena. Gyll riconosceva tutte le bacche, ma annusò ogni ciotola. I punti più importanti da nascondere sono i punti caldi dove circola di più il sangue: il collo, i polsi, dietro le orecchie, decoltè... E non dimenticare di nascondere i capelli.
I capelli. C'erano molte ragazze rosse fra i tributi, ma Jinks aveva ragione.
Tentò di copiare sull'altro braccio quello che aveva fatto l'istruttrice. Sospirò scoraggiata.
L'istruttrice tentó di consolarla dipingendole qualcosa sulle guance con la sua espressione fra le nuvole.
Le faceva il solletico.
Si alzò dalla postazione e lanciò uno sguardo alla postazione accanto, sopravvivenza. Vide la schiena più familiare degli ultimi tempi.
Si allontanò il più possibile. Non voleva che si girasse. Non avrebbe saputo come avrebbe reagito, sia lui che lei.

[lotta]
Voleva provare qualcosa di nuovo. Non era muscolosa, non era forte, ma durante le edizioni precedenti degli Hunger Games aveva imparato che nella lotta il peso e i muscoli non erano le cose piú importanti.
Si avvicinó all'istruttore e gli strinse la mano. Gyllian, distretto 6. Si presentó all'uomo che giá cominciava a valutare il suo fisico per la lotta. Trox. Le strinse -stritoló- la mano l'uomo.
Puoi insegnarmi a lottare... Lui annuí, non aveva bisogno che continuasse per capire.
Cominció a togliersi gli stivali, seguendo l'esempio dell'uomo davanti a lei. Nel corpo a corpo non é importante la forza fisica, é importante la forza mentale e la concentrazione. Puoi usare il peso del tuo stesso avversario contro di lui. Disse studiando il corpo esile di Gyll. Sarebbe stato di sicuro utile sapere una cosa del genere considerato il suo peso.
Le spiegó brevemente come sciogliersi da una semplice presa al collo. Bloccare la mano dell'avversario sul petto e tenerla premuta, colpire con il polso la faccia, colpire l'orecchio con il lato del palmo, afferrare la spalla tenendo il gomito sotto la gola dell'aggressore, ginocchiata, spingere l'avversario a fare due passi indietro, ginocchiata.
Poi passò alle leve. Cn una semplice stretta al braccio poteva spingere l'avversario a terra, oppure rompergli la mano o il braccio. Con due semplici dita sul tendine nell'incavo del gomito poteva spingerlo in ginocchio. Provarono anche le prese con le armi. Dopo vari tentativi riuscí a districarsi facendo cadere a terra l'uomo, togliendogli l'appoggio dei piedi sotto di lui con un calcio, e rigirandosi sopra di lui immobilizzandolo a terra.
Perfetto. Considerato peró che sei molto leggera e il tuo avversario potrebbe essere il doppio di te, ti servirá qualcosa di piú di una semplice presa per fermare il tuo avversario. In una sola mossa ribaltó Gyll schiacciandola a terra sotto il suo peso. Non lasciare mai che il tuo avversario arrivi a questo punto. Gyll annuí e l'istruttore si alzó da sopra di lei, aiutandola a mettersi in piedi.
Gyll avrebbe dovuto trovare un'arma. Era questo che stava cercando di dirle Trox.
Trova il punto di leva per rovesciare il peso. le disse mentre la spingeva a terra, accovacciata ne tentativo di non finire sdraiata. A quel punto avrebbe perso, di nuovo. Trox era così impegnato a spingerla verso il basso, dando per scontato che Gyll avrebbe spinto verso l'alto per sollevarsi. Non riusciva a capire se lo aveva preso alla sprovvista lanciandosi in avanti e ribaltandosi, o se lui voleva che lei trovasse la sua via di fuga. In ogni caso riuscì a invertire le posizioni rovesciandolo sulla schiena. Seguì il suo suggerimento e gli tenne le gambe aperte, impedendogli di calciarla via, e gli bloccò i polsi sul petto.
Facciamo finta che io ti stia puntando un coltello alla gola. Gyll si sentì fiera di sè stessa per un momento. Trox usò la sua massa, due o tre volte più grande di quella di Gyll, per rigirarsi sopra di lei, inchiodandole le braccia intorno al collo.
Facciamo finta. concordò lui con un mezzo sorriso sul volto duro.
Le insegnó altre mosse per districarsi da prese alle braccia finché Gyll non si ritrovó sudata e ansimante.



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Capitolo 10
*** Nel sentiero del labirinto ***


Una pioggia torrenziale stava venendo giù come per miracolo. Aveva vagato a lungo senza trovare nemmeno una piccola pozza d'acqua.
Aveva fatto un girotondo intorno alle siepi del labirinto solo per trovarsi di nuovo davanti all'entrata del bosco di arbusti, riusciva a distinguere pure le tracce degli Ibridi.
Era morta la ragazza del dodici quella notte. Era stato cosí improvviso che era saltata in aria per lo spavento. Come la pioggia. Non era stata preannunciata da nessuna nuvola, aveva iniziato a scendere forte e veloce, lavando le ferite e il sangue dal corpo di Gyll.
Tiró fuori il contenitore del cibo, piú largo cosí l'acqua sarebbe entrata facilmente e in abbondanza, e mano a mano che si riempiva, lei buttava giú l'acqua a grandi sorsate.
L'idea che l'acqua fosse avvelenata non l'aveva nemmeno sfiorata. Tutta la struttura del labirinto era costituita da enormi siepi, piante che sarebbero morte se ci fosse stato del veleno nell'acqua. E poi, gli strateghi non avrebbero mai permesso una morte di massa. I preziosi tributi di Crane dovevano lottare uno contro l'altro per dare il piú grande spettacolo di sangue in televisione. Non avrebbe permesso loro un passaggio all'aldilá cosí semplice e umano.
Lungo il sentiero si era cibata di frutti di bosco e foglie per placare il suo stomaco, ma ora che la sua sete pressante era svanita sentiva molto bene le fitte della fame.
Aveva perfino trovato una pianta di Melaleuca. Aveva raccolto le foglie e li aveva pestati usando quel poco di saliva che aveva per creare la pasta, e se l'era spalmata sul braccio e sul viso. Con la pioggia scrosciante che le aveva lavato via il sangue di dosso, prese il coltello, e tenne la lama piatta davanti a sé. Tre lunghi tagli le deturpavano il lato sinistro della faccia, da metá fronte alla tempia e l'orecchio. Ma la cosa che faceva piú impressione era l'occhio sinistro, sgonfiato dall'impasto medico. Anche quello era tagliato, ma non era piú azzurro, era completamente nero. La pupilla era completamente dilatata, alla ricerca di luce che non arrivava al suo nervo ottico. Un'occhio azzurro come il ghiaccio e uno nero come la notte senza luna.
Quell'immagine punzecchiava i bordi della sua memoria. Buttó giú le ultime sorsate di acqua. Si sentiva scoppiare con tutto il liquido che aveva nello stomaco, ma voleva integrare tutto quello che aveva perso dal bagno di sangue alla cornucopia fino a quel terzo giorno. E doveva colmare lo spazio vuoto del cibo.



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Capitolo 11
*** Il triste destino di un vincitore ***


Che sensazione strana camminare a piedi nudi sulla moquette. Non era come camminare sull'erba. Era meno fresco, meno liberatorio, ma non era nemmeno come camminare su un normale pavimento. Forse era così che ci sentiva a camminare sui tappeti.
Nel suo distretto i tappeti c'erano solo nel palazzo della giustizia, e probabilmente anche nelle case dei ricconi proprietari di cliniche, case di ricerca farmaceutica e delle fabbriche di trasporti. Ma questo non lo sapeva, perchè lei visitava solo le case dei malati che non potevano permettersi di entrare in una clinica.
Aveva visitato innumerevoli case fin da quando riusciva a ricordare, prima come assistente e poi come medico vero e proprio nei momenti peggiori.
Iago la risvegliò dai suoi pensieri dandole un colpetto sul braccio. Ho promesso a Luxifer di "ampliare le tue conoscenze sociali" entro la fine della serata, quindi rimani fra noi e ascoltami oppure ti mando a fare il giro con Leon e Luxifer.
Lei Annuì e lui le prese le altissime scarpe con il tacco di mano, mettendosele in spalla con un ghigno. Mi fanno male i piedi solo a guardareli, questi affari. Non hai davvero bisogno di centimetri in più.
Le piaceva molto Iago. Era l'ultimo vincitore del suo distretto ed era un mentore eccellente in confronto ai due morflinomani, troppo fatti per prestare attenzione ai tributi. Era stato estratto una decina di edizioni prima, subito dopo sua sorella. La visione dei fratelli sul palco aveva straziato non solo i cittadini del Sei, ma anche quelli di Capitol City. Trova qualcosa per cui lottare le aveva detto sul treno. Lui lottava per tenere in vita sua sorella, finchè non la lasciò solo. Non fece altro che aumentare la sua voglia di tornare a casa per poter piangere sul suo corpo, star vicino ai suoi genitori, rivederla un'ultima volta.
Non è possibile non provare rispetto nei confronti di una persona simile. E poi le stava risparmiando un giro con il suo macabro compagno di distretto e il suo presentatore.
Strinsero la mano ad un Haymitch Aberthany molto ubriaco, sorretto dal ragazzo del dodici. Lo aveva notato agli allenamenti, non tanto per la stazza possente, quanto la mancanza di furia assassina che è solita accompagnare quella muscolatura. Videro la bambola assassina lancia coltelli dell'Uno svoltare l'angolo. Le lanciò un'occhiata gelida, come il suo vestito. Fredde pietre preziose per una fredda serial killer. Stupida volontaria. Il suo mentore e il suo compagno di distretto le rivolsero un cenno prima che le porte dell'ascensore si chiudessero. La bambina dalle trecce rosse del Quattro gironzolava alla ricerca del Mentore perduto. A Gyll venne quasi paura che un tributo la aspettasse dietro un angolo.
Uuuh sbrilluccicosa! Una voce acuta alle sue spalle richiamò la sua attenzione. Una ventina di centimetri sotto di lei stava la ragazza dai tratti orientali. Non erano comuni a Panem.
Alan. Disse Iago con un cenno del capo. Alan era un bel uomo, non ricordava particolarmente i suoi giochim ma era famoso a Capitol per il suo aspetto attraente e mascolino. Ma a Gyll non interessava, perchè era messo in ombra dal ragazzo affianco a lui. Stava assecondando un ometto con la faccia da topo, colorato di ogni sfumatura di rosso esistente, con i capelli alzati ad onda che le facevano venire in mente un falò sulla sua testa. Di sicuro era il suo presentatore.
Liza, muoviti siamo in ritardo! Squittì il topolino Capitolese. La ragazzina saltellò ifno all'ascensore, ma Gyll non la notò nemmeno. Era troppo concentrata sul tributo accanto, che indossava una giacca azzurro cielo, dei pantaloni neri attillati con bretelle sottili e una maglia che le faceva venire in mente i quadri appesi nella sua stanza; arte "modern/classic" la chiamavano. A Gyll sembrava che il pittore avesse starnutito schizzi colorati su una tela. Riusciva ad emanare il suo fascino anche conciato così.
Le porte si chiusero, interrompendo lo sguardo magnetico e lasciandola a pezzi.
Vedo che Capitol non ha influito minimamente sul tuo pessimo gusto nel vestire. Scherzò Iago, tirando un pugno giocoso sulla spalla dell'uomo. Alan fece un ghigno incassando il colpo.
Non ci crederai, ma le riccastre di Capitol trovano molto sexy il mio look da abitante dell'Otto. Lo trovano "rustico". In effetti quell'accenno di barba non disegnata, a differenza di ogni cittadino di Capitol con peli sulla faccia, non faceva altro che aggiungere fascino al mentore davanti a lei.
Iago le presentò l'uomo con un cenno della mano e un ghigno sulla faccia. Alan Mason, mentore dell'Otto. Ha vinto i 60esimi giochi e sta attualmente boicottando gli stilisti. Chissà quante edizioni avevano passato seduti su un divano nel salone degli sponsor.
Il topo rosso si è portato via Loki e Liza. Non è favorevole alla socializzazione post intervista; pensa che alle porte dell'arena sia il modo migliore per dare via le strategie di sopravvivenza. Io dico che è in ritardo per il suo bagno nel colorante. Gyll ridacchiò al pensiero del presentatore immerso in una vasca piena di liquido rosso pomodoro. Forse era quello che corrodeva il cervello dei Capitolesi. E poi socializzare con tributi del genere rende più facile il viaggio nell'arena. Continuò Alan ammiccando. Eri incredibile su quel palco. Ho conosciuto pochi tributi in grado di far passare un'offesa in tv con tanta grazia. Forse perchè tutti quelli che lo hanno fatto sono morti. Snow era famoso per la sua scarsa tolleranza alle offese da parte degli abitanti dei distretti e non solo...
Haymitch e Chaff hanno già fatto fuori tutte le bottiglie migliori, ma Finnick è riuscito a svaligiare la cantina di qualche pazza ubriacona. Sai dove trovarci. Disse il mentore dell'Otto. Apparentemente quella spontaneità disarmante scorreva nelle vene del distretto.
Iago si girò verso Gyll, ancora troppo intontita dall'incontro. Il silenzio che aleggiava fra i due era carico d'imbarazzo.
Era chiaro che Iago desiderava andare a divertirsi, lasciando perdere gli Hunger Games, lasciando perdere il suo lavoro, lasciando perdere Gyll. E come poteva dargli torto? Nemmeno lei avrebbe voluto avere a che fare con dei tributi nelle loro ultime ore di vita.
Che triste destino avevano i vincitori.

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Capitolo 12
*** Nell'oasi della belva ***


Non ce la faceva piú a correre. Non aveva piú fiato e ogni respiro le raschiava la gola.
Aveva svoltato a destra e a sinistra innumerevoli volte e pensava di essere sufficientemente lontana dalla cornucopia. C'era silenzio. Niente piú urla di bambini -dei bambini!- trucidati. Nemmeno lei era innocente. Quella ragazza che aveva ferito non poteva essere sopravvissuta al bagno di sangue. Non ricordava nemmeno da quale distretto provenisse. Svoltó a sinistra e si trovó davanti una foresta di arbusti. Sembrava tranquilla. Sembrava. Sei nell'arena, Gyll. Niente é come sembra.
Non erano piante tipiche del suo distretto, ma le conosceva. Camminó senza fare rumore in mezzo alla foresta, non voleva attirare l'attenzione di niente e di nessuno.
Il terreno era umido, ma non riusciva a vedere nessuna fonte d'acqua. Con la luce avrebbe dovuto muoversi per cercare l'acqua o sarebbe morta di disidratazione.
Camminó finché l'entrata del bosco non fu piú visibile. Davanti a lei stava un cespuglio alto e fitto. Si sedette accanto all'arbusto, nascita dall'entrata. Pensava di essere sola, ma quella piccola precauzione la rassicuró. Era il momento di guardare cosa c'era nel suo zaino. Il suo bottino di guerra. Le dava il voltastomaco pensarlo come tale.
Il silenzio fu interrotto. Partí l'inno di Capitol City e cominciarono ad apparire i volti dei deceduti alla cornucopia.
Erano sopravvissuti entrambi i favoriti del 2 e la bambola assassina del 1. Era sopravvissuto anche il suo compagno di distretto, logicamente. Lo aveva visto sgozzare una ragazza prima di scappare. Sembrava cosí compiaciuto di sé stesso. "Se uccidi un uomo nel distretto, vieni condannato a morte. Se uccidi un uomo nell'arena, vieni glorificato a vita. Pensi che mi lascerei scappare un'occasione del genere?" Disgustoso. I volontari erano una razza strana e pericolosa.
Nessun morto nel distretto 8. Quindi Loki era sopravvissuto. Il piccolo barlume di speranza la fece sentire molto piú leggera. Erano morti tutti i bambini.
Distretto 10. Ecco da dove veniva la ragazza che aveva contribuito ad uccidere. Vitani. Dopo il suo volto lo schermo nel cielo si spense e tornó l'oscurità della notte.
Aprí la cinghia dello zainetto marrone davanti a lei. Un contenitore per l'acqua, una bussola, un contenitore per cibo, una coperta, una corda e una scatola di fiammiferi. Niente male. Insieme al coltello e all'altra corda aveva l'indispensabile per sopravvivere.
Non poteva accendere un fuoco. Se non lo avesse notato un tributo, lo avrebbe notato qualche animale. Di notte, senza nemmeno un albero su cui avrebbe potuto arrampicarsi per scappare, non era una buona idea. Rimise nello zaino tutti gli oggetti, tenendo la coperta e il coltello stretti a sé.
Le venne un'idea.
L'arbusto era molto fitto di foglie, ma le spostó, rivelando uno spazio vuoto frai rami sotto lo strato di foglie. Eccellente. Controllo che non ci fosse il nido di qualche tipo strano di insetti creati da Capitol. Si infiló nel piccolo spazio, rannicchiata con la coperta intorno le spalle e il il coltello stretto in mano. Era ancora macchiato di sangue secco e incrostato. Immaginava che la sua faccia non fosse molto diversa dal coltello. Doveva lavarsi. Al piú presto.
Ancora silenzio.

Gli occhi di Gyll si aprirono di scatto. Un rumore, quasi impercettibile. Un rametto spezzato forse. C'era qualcuno fuori da quel cespuglio. Si coprí naso e bocca per nascondere il rumore del suo respiro affannato e riuscire a sentire. C'era il rumore di un altro respiro, lungo e pesante e regolare. Il ritmo si spezzó, stava annusando l'aria, sentiva il suo odore. Era un animale.
Se c'era una cosa che aveva imparato guardando quegli orribili giochi in televisione ogni anno, era che nell'arena non c'erano mai semplici animali. Agli strateghi sembrava troppo banale mettere feroci animali a dare la caccia ai tributi. Cosí crearono gli Ibridi.
Era in netto svantaggio. L'animale -l'Ibrido- a pochi passi di distanza da lei poteva sentire il suo odore annusando l'aria, lei non riusciva nemmeno vederlo a causa delle foglie che la circondavano.
Uno. Due. Tre. Mise il piú silenziosamente e lentamente possibile la coperta nello zaino, e se lo mise in spalla, tenendo stretto in mano il coltello.
Quattro. Cinque. Sei. Sette. Non lo sentiva piú, era svanito ogni rumore. Si mise carponi, pronta ad alzarsi e scattare, alzando il coltello in attesa di qualche movimento.
Otto. Nove. Dieci. Nulla. Trattenne il respiro, cercando di fermare la corsa pazza del suo cuore.
Fu un attimo. L'Ibrido attaccó, le sue faci si chiusero a un palmo dal viso di Gyll. Per riflesso il coltello venne giú pesante sul muso dell'animale maculato, troppo vicino a naso e lontano dalla zona in mezzo agli occhi. Il lamento che uscí dalle fauci schizzando sangue fece saltare il suo cuore dal terrore. Doveva avergli sfondato il setto nasale e bucato lingua e mascella. Estrasse il coltello insieme a numerosi schizzi di sangue nello stesso momento in cui i muscoli delle sue gambe si tesero, spingendo verso il muro di foglie dall'altra parte dell'arbusto.
I rami le graffiarono il viso quando si lanció fuori dal cespuglio. Sentí il potente ruggito rabbioso dietro di lei mentre correva. Non lo aveva ucciso, lo aveva solo fatto arrabbiare a morte.
Tum. Tum. Tum. Stava guadagnando terreno dietro di lei. Non avrebbe mai potuto battere la belva in velocitá. CONTINUA A CORRERE! L'adrenalina che aveva in corpo la spingeva oltre ogni suo limite, ma nemmeno tutta l'adrenalina di un'intera vita sarebbe bastata per seminare l'Ibrido. Tieni lo sguardo fisso su di lui! Non perderlo mai di vista! Alla penombra del crepuscolo vide l'animale che correva feroce verso di lei, il corpo maculato, agile e veloce, il muso era una macchia scura e gocciolante di sangue. Da colazione si era trasformata in vendetta personale.
Lanciava sguardi furtivi davanti a sé trovando un corridoio libero da cespugli, che andava dritto verso l'entrata della foresta di arbusti. Continua a guardarlo! Era a pochi passi da lei, sarebbe bastato un balzo per afferrarla e ucciderla. E cosí fece. Saltó, chiudendo lo spazio fra loro due lasciandola senza scampo. A terra! ORA! Si lasció cadere a peso morto sul terreno, sperando di toccare il suolo in tempo, e si protesse la testa con il braccio sinistro. Dolore. Sentiva dolore in quella zona. Con una zampa era riuscito a tracciarle lunghi graffi lungo l'avambraccio. L'animale non era riuscito a fermare la sua di corsa, e l'aveva sorpassata saltandole sopra. Era sorpreso dal non trovarsi la sua preda fra le zampe. Muoviti! Non perse l'occasione. Si alzó di scatto, e con una rincorsa fece un balzo anche lei sopra l'animale, con il coltello impugnato con entrambe le mani. Spinse il coltello in profonditá alla base del cranio, aggrappandosi ad esso, mentre tirava calci al muso della bestia quando si girava per azzannarla. Stava montando l'Ibrido come si montava un cavallo. La belva era troppo frastornata per fare dei veri attacchi, ma riusciva ancora a muoversi abbastanza da disarcionar la, e non riusciva piú a reggersi.
Andiamo, muori! Estrasse il pugnale dalla ferita sanguinante sul collo, e con tutta la forza che riuscí a trovare in quel momento, colpí la testa, rompendo il cranio e squarciano il cervello all'interno.
L'Ibrido smise di dimenarsi e si accasció a terra.
Lei era stremata.
Si alzó dalla bestia morta, togliendo il coltello dal cranio martoriato dell'ibrido, e si allontanó il piú possibile al passo piú veloce che riusciva a sostenere. Poi crolló a terra.
Tremava, aveva il fiatone e il suo cuore minacciava di rompere la cassa toracica per uscire. Era molto sporca di sangue, ma a parte il braccio e forse ferite sulla gamba, non era suo.
Lei aveva ucciso un Ibrido. Lei era ancora viva.

In lontananza sentí un ruggito. le si raggeló il sangue all'idea di un altro scontro con un ibrido.
Non ancora!
Si alzó in piedi, e con il fiato che le rimaneva, cominció correre verso l'entrata del boschetto, verso il sentiero nel labirinto. Gli Ibridi erano controllati dagli strateghi, erano creati in laboratorio per eseguire gli ordini di Crane. Probabilmente in quel momento tutta Panem la stava guardando scappare dal secondo Ibrido che la inseguiva. Bloccó la sua fuga di colpo. All'entrata del bosco di arbusti stava un'altro ibrido.
Bloccata fra le due bestie cercó una via di fuga. Inutile. Non poteva dare le spalle a nessuno dei due ibridi, quindi prese una pietra da terra e la scaglió il piú forte possibile contro l'Ibrido di guardia all'entrata, quello piú piccolo, e inizió a correre verso il lato ovest del bosco.
Aveva consumato tutta l'adrenalina nell'attacco precedente, non poteva continuare per molto. Era rimasta prosciugata di ogni carburante per quella corsa, niente acqua, niente cibo e le mancava l'aria nei polmoni. Ogni respiro era come carta vetrata contro la gola.
Erano sempre piú vicini, riusciva a sentire i sibili seccati.
Un'idea, o forse la disperazione, la fece girare a sinistra, verso la fitta siepe che delimitava le mura del labirinto.
Non poteva girarsi e affrontare le bestie, erano in due, armati di fauci e artigli affilati, contro di lei, armata di coltello. Si buttó pe terra rotolando ai piedi della siepe, intrufolandosi nel minuscolo spazio fra il terreno e l'inizio dei suoi rami. Ma fu troppo tardi. L'Ibrido piú grande fu piú veloce, e prima che riuscisse ad entrare nella cavitá, con un'artigliata le graffió la faccia, centrando l'occhio sinistro.
Non riuscí a trattenere un urlo acuto e penetrante che echeggió nel boschetto. Le siepi erano alte, ma non isolanti, molti tributi nelle vicinanze dovevano aver sentito l'urlo di dolore, molti dovevano aver capito che nelle vicinanze un tributo era stato ferito, sperava solo che nessuno intuisse a chi apparteneva.
Anche i due Ibridi rimasero spiazzati dal grido, ma dopo un momento di esitazione risposero all'unisono con un feroce ruggito. Gyll si spinse piú in profondità, non curandosi dei rami che la graffiavano e la schiacciavano, e con il coltello bloccó ogni tentativo da parte delle belve di artigliarla e tirarla fuori.
Non rimasero molto lí fuori quando capirono che la loro colazione gli era sfuggita, ma Gyll non allentó la guardia con il coltello finché il sole non fu alto. Rimase in quel buco a occhi chiusi finché il dolore pulsante al lato sinistro della faccia non si affievolì. O forse finché la sete non la spinse ad uscire. Quando aprí gli occhi c'era qualcosa che non quadrava con la sua vista. La sua percezione della profonditá era diversa, e anche la sua estensione visiva sembrava ridotta. Si portó una mano a coprire l'occhio destro, deglutendo il nulla, non aveva nemmeno piú salire, giá sapendo che i suoi timori erano reali. Era buio. Il nero piú totale.
Sentiva l'occhio muoversi all'interno dell'orbita, causando molti fastidi, ma non vedeva niente davanti a sé. Era cieca, da un occhio. Se avesse avuto piú acqua nel corpo, le sarebbe sfuggita una lacrima? Davanti tutta Panem? Cosa pensavano di lei in quel momento? Che era stata molto, molto fortunata? O ingegnosa? Non importava molto. Ció che importava era trovare acqua. Ma poi le tornó in mente una delle frasi di Luxifer, con il suo tono stridulo e cattivo. "Sarai sotto gli occhi di tutta Panem! Tutto quello che farai sará valutato! Se ti mostri debole per loro tu sei debole!" Non avrebbe accettato di mostrarsi debole davanti all'intero continente. Davanti alla televisione in quel momento c'erano anche persone che attendevano il suo ritorno a casa. La sua casa.
Gi Ibridi non erano in vista, dovevano essere andati alla ricerca di un'altra preda dopo la delusione di quella mattina.
Mise lo zaino in spalla e alzó la testa verso il cielo, assicurandosi un primo piano, le telecamere dovevano essere nascoste dappertutto, e si incamminó verso l'uscita di quel bosco degli orrori.



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Capitolo 13
*** Thoughts of a dying tribute ***


Un mondo senza Hunger Games.

Gyll corre verso la recinzione, si arrampica sull'albero e si cala dalla fune che avevano nascosto l'ultima volta. Loki é giá lí ad aspettarla. Non le dá nemmeno il tempo di scendere, l'afferra per la vita e la tira giú, trascinando entrambi per terra in mezzo al campo di cotone. Ridono, felici di essere di nuovo insieme, esaltati dal pericolo di essere scoperti, incuranti della loro provenienza, due distretti diversi. Ridono. Le loro labbra ci mettono un istante per incontrarsi, il bacio tanto atteso, tanto desiderato durante quel mese di distanza l'uno dall'altra.

Ma quel bacio non sarebbe mai arrivato. Perché entrambi erano finiti nei giochi della fame.


Il sangue le stava riempendo i polmoni, l'aria non sarebbe entrata nemmeno se il suo compagno di distretto avesse lasciato andare la presa sulla sua bocca e il suo naso. Dopo averle lanciato un coltello alla gola.
Magro, pallido, con i capelli corvini appiccicati alla fronte che si specchiavano in quegli occhi neri come la pece. Buio, ghiaccio nero, freddi e letali, risucchiavano tutta la luce. Era cosí buffo, quanto quel colore fosse simile al colore degli occhi di Loki. Ma i loro occhi non erano simili. Ghiaccio e fuoco. Gli occhi di Loki erano fatti di velluto nero, cosí caldi e rassicuranti.
E il suo occhio cieco? Uno azzurro come il ghiaccio, e l'altro come? La pupilla dilatata aveva oscurato completamente l'iride, era diventato come quelli di Loki? O freddo come quelli del tributo sopra di lei, che la stava uccidendo?

Mentre la vista del suo unico occhio sano perdeva nitidezza, le vennero in mente le parole di uno dei suoi vicini. Era un vecchio burbero, non lo aveva mai sentito rivolgersi a qualcuno se non per lamentarsi o per chiedere a sua nonna qualche rimedio per la vecchiaia in erboristeria. Le si era avvicinato al funerale del nonno quando aveva dodici anni. Aveva visto la nonna lanciare sulla pira la torcia accesa, e la paglia prendere fuoco, e il nonno steso sopra, con gli occhi chiusi e un ramoscello di rosmarino stretto al petto. Non le disse le solite cose che si dicono ai funerali, che non fanno altro che accrescere il dolore, secondo Gyll ai funerali bisognava stare zitti, perché ogni parola con l'intento di confortare la rendeva furiosa. Nel suo dolore doveva esserci silenzio, solo cosí ci sarebbe riuscita a passare sopra. Se fosse stata grande abbastanza al funerale dei suoi genitori, avrebbe imposto ai suoi vicini, parenti, amici, di portare un bavaglio sulla bocca. Il vecchio Mitch non la toccó nemmeno, adifferenza di ogni singola persona che le aveva toccato la spalla, stretta in un abbraccio, stretto la mano. Si avvicinó a lei, e da sopra la sua spalla disse nel suo solito tono brusco: "Non avere pietá dei morti, loro sono liberi, loro sono in pace e lontani da Panem. Abbi pietá dei vivi, che non troveranno pace fino alla morte."

Lei stava per trovare la pace. Perché aveva cercato di sfuggirla? Non era questo che cercava da tutta la vita? La nonna avrebbe capito, aveva capito giá cosí tante volte. Anche il piccolo Artie, il suo pestifero zio, il suo piccolo fratello, avrebbe capito un giorno. I suoi genitori avevano capito. Mitch aveva capito. Anche Loki aveva capito.

Era cosí lontana da tutto ormai. Non sentiva piú il tributo sopra di lei, i suoi istinti di sopravvivenza, i tentativi di annaspare aria ad ogni costo, erano svaniti da un pezzo. Non c'era piú niente che la teneva legata all'arena, a Panem, alla Terra. Non c'era piú niente che la teneva legata al suo corpo.
Il nero degli occhi freddi e assassini sparí.

Io ho pietá di te, Leon Fender, tributo del distretto 6. Perché tu sei vivo e non troverai mai un sollievo fino alla fine della tua vita, mentre io sono in pace.

Boom.



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