Waiting for happiness

di HisLovelyVoice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A new life, because I need happiness ***
Capitolo 3: *** What would you do if I fell to the floor? ***
Capitolo 4: *** A strange meeting ***
Capitolo 5: *** I feel bad every day because of him ***
Capitolo 6: *** She said: I will survive ***
Capitolo 7: *** We both love Simple Plan ***
Capitolo 8: *** You are different than the other girls ***
Capitolo 9: *** Promise me that you’ll never be alone with him ***
Capitolo 10: *** He isn't as he seems ***
Capitolo 11: *** She is important to me ***
Capitolo 12: *** We used to be a wonderful team ***
Capitolo 13: *** I really need you ***
Capitolo 14: *** Do you ever wonder if the stars shine out for you? ***
Capitolo 15: *** You are beautiful ***
Capitolo 16: *** Hold on, pain end ***
Capitolo 17: *** You found me ***
Capitolo 18: *** I still remember how it all changed ***
Capitolo 19: *** I'm in love... ***
Capitolo 20: *** It's time to sing ***
Capitolo 21: *** Welcome to my life ***
Capitolo 22: *** I miss you ***
Capitolo 23: *** Memories still hurt ***
Capitolo 24: *** Please, don't leave me alone ***
Capitolo 25: *** Dreams come to life ***
Capitolo 26: *** You have changed my life ***
Capitolo 27: *** I depend by your smile ***
Capitolo 28: *** I got drunk, but now everything is fine ***
Capitolo 29: *** Let me be your Romeo ***
Capitolo 30: *** It was all just a fairytale ***
Capitolo 31: *** Those days are so far away ***
Capitolo 32: *** I have to try ***
Capitolo 33: *** He is my life ***
Capitolo 34: *** I love you ***
Capitolo 35: *** You are my happiness ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
 
Violentata.
Già, ero stata violentata.
Una ragazza di sedici anni non merita un destino così crudele.
 
 
Eppure qualcuno aveva inciso con il fuoco sulle pagine del mio destino che avrei dovuto subire delle violenze, che avrei dovuto soffrire. Avevo pagato con le mie lacrime questo dolore, stando sempre in silenzio, senza lamentarmi, fino a quando non crollai fisicamente e moralmente.
Finalmente l'incubo era finito, ma aveva lasciato dentro di me la paura di tutto.
Paura della gente.
Paura di rimanere sola con una persona.
Paura del contatto fisico.
Mi trovavo sul mio letto, ad ascoltare con un paio di cuffiette della musica. Il giorno dopo, come aveva detto mia madre, avrei iniziato una nuova vita.
Nuovo liceo.
Nuove conoscenze.
Nuovi professori.
Nuovi compagni di classe.
Quando avevo avuto il coraggio di dire a mia madre ciò che stavo passando, avevamo denunciato l'uomo (che non merita nemmeno di essere nominato) alla polizia. Una volta arrestato, venni affiancata da una psicologa. Quest'ultima, dopo alcune sedute, propose ai miei genitori di farmi cambiare, se possibile, la scuola. Diceva che ci sarebbe stato troppo imbarazzo tra me e i miei compagni.
L'idea di cambiare scuola mi allettava molto. Non ci pensai molto, dato che non avevo mai legato con i miei amici, e mi misi a cercare una possibile scuola dove andare. Una volta trovato un altro liceo scientifico nelle vicinanze di casa mia, mi iscrissi.
Erano le undici, e non riuscivo ancora a dormire. Sarà stato per l'agitazione.
Ma molto probabilmente era per la paura.
Paura di non essere accettata.
Paura di essere reputata strana, diversa.
'Non voglio soffrire. No, non di nuovo.'
  


 HEI!
Salve a tutti (se c'è qualcuno che legge questa schifezza u.u)
Lo so che ho una storia in sospeso, ma un giorno ho avuto un'ispirazione, e dopo un'ora di epica mi sono convinta a scrive ciò che mi era venuto in mente (lo so che è strano, ma è così, credetemi)
spero che qualcuno legga questa storia, altrimenti lascio perdere.
non è una minaccia, ma se so che c'è qualcuno che legge scrivo, altrimenti mi dedico completamente
all'altra storia.
spero di non avervi annoiato.
alla prossima
un bacio xxx
Giulia
PS: questo, come avete visto è il prologo, quindi è breve, ma i prossimi capitoli saranno più lunghi c:

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Capitolo 2
*** A new life, because I need happiness ***


1 A new life, because I need happiness
 
 
Camminavo tranquillamente tra le strade del mio quartiere, quando vidi in lontananza mia madre.
Decisi di andarle incontro e di aiutarla a portare le buste della spesa che aveva in mano.
Camminavo, ma non camminavo.
Parlavo, ma non parlavo.
Respiravo, ma non respiravo.
Poi un colpo allo stomaco.
Caddi a terra, dolorante.
Non vedevo più mia madre, solo un uomo davanti a me.
Iniziò a picchiarmi a sangue. Cercai invano di coprire il mio fragile corpo che riceveva colpi su colpi.
Chiusi gli occhi, per evitare di far vedere a quell’uomo le mie lacrime.
- ci si rivede! - sentita la sua voce capii chi era. - sai, non è stato carino da parte tua spedirmi in prigione. Dopotutto, ci divertivamo. - aprii gli occhi e vidi che si era abbassato per guardarmi in faccia. Si mise a ridere, mentre mi sferrava un pugno in pieno volto.
Poi si alzò e iniziò a cercare qualcosa dentro la sua giacca. Esclamò quando ebbe trovato ciò  he cercava.
Tirò così fuori una pistola.
- no, non è stato affatto carino. Ma, come vedi, ora sono fuori. Non mi fermerai più, piccola mocciosa! -
Iniziai a tremare come una foglia.
Era finita, non avrei potuto fare niente per impedire la mia morte.
- di le tue ultime preghiere. - ‘addio mamma. Addio papà. Vi voglio bene.’ - non hai niente da dire? Bene, sarà più facile ucciderti! - scoppiò di nuovo a ridere.
Mi puntò la pistola al petto, leggermente spostato verso sinistra.
Poi silenzio.
Non sentivo più niente, se non un dolore straziante al petto.
Iniziai a vedere tutto sfuocato, non distinguevo più nulla…
 
 
Come al solito mi svegliai sudata.
Continuavo fare sempre lo stesso incubo.
Nella mia piccola stanza entravano i primi raggi di luce, che mi avrebbero comunque impedito di dormire oltre. Rimasi un po' allungata, avevo troppo sonno.
'Forza Camilla, ce la puoi fare.' mi dissi, cercando invano di convincermi.
Scesi giù in cucina, dove mia madre stava preparando la colazione.
- tesoro, sei già sveglia? - annuii, mentre mi sedevo su una sedia. - dormito bene? -
- no, ho rifatto lo stesso incubo. - le dissi storcendo il naso.
- ricordati cosa ha detto la signora Corsi (la mia psicologa),  passerà, devi solo aspettare. Ora prendi la medicina e mangia. - vi starete chiedendo che medicina. Beh, una medicina che serve a rimarginare più in fretta le ferite.
Quello schifo di persona, oltre a infliggermi violenze sessuali, mi picchiava. Avevo ferite enormi su tutto il corpo. Le più grandi erano sulla pancia e sulla schiena. In quei punti coprivano tutta la superficie libera. Le cicatrici sarebbero rimaste, per il momento dovevo far guarire la mia pelle dove c'erano ancora ferite “fresche”. Lo dovevo a me stessa. Dover vedere tutti i giorni quelle ferite mi faceva stare uno schifo.
Presi così la medicina e iniziai a mangiare, anche se bevvi solo un sorso di latte.
- tesoro, devi mangiare. Lo sai cosa ha detto il medico. Sei sottopeso di almeno dieci chili. - come vedete, sono una ragazza particolarmente in salute.
- non ho fame. Mi vado a cambiare. - tagliai corto. Non volevo discutere con mia madre nuovamente. Andai in camera mia e presi i vestiti che avrei dovuto mettere, una felpa di cinque taglie più grandi, per evitare troppo contatto con le ferite, e un paio di pantaloni molto larghi. Mi consolai amaramente, pensando che così non sembravo nemmeno sottopeso. Mi andai a lavare, e odiai ciò che vidi allo specchio. Vidi il corpo di una ragazza distrutto, orribile, con ferite che partivano dalle spalle e arrivano alle caviglie.
Mi buttai sotto il getto dell'acqua calda. Faceva male, molto male. Ma ci stavo facendo piano piano l'abitudine. Passai circa mezz'ora sotto la doccia, dato che non mi riuscivo a lavare bene, nella quale pensai a come sarebbe stata quella giornata. 'Speriamo bene.'
Una volta cambiata, raccolsi i capelli biondi in una coda, presi il mio zaino, rigorosamente a tracolla per non gravare sulla ferita, e tornai da mia madre. Mi sarei fatta accompagnare, avevo troppa paura a prendere l'autobus sola.
- sono pronta. -
- okay tesoro, dammi cinque minuti e arrivo. - mi misi così sul divano e iniziai ad ascoltare un po' di musica, la mia migliore amica. Lei c'era quando ero rimasta sola. Mi faceva sentire meglio. Era come se mi dicesse: tieni duro, il dolore finirà presto.
Era un modo per evadere dalla mia vita.
Misi this is war, dei 30 seconds to Mars.
Questa canzone mi rispecchiava alla perfezione. La mia vita era un continuo dire verità e dire menzogne. Combattevo tutti i giorni per essere reputata come gli altri e per non essere giudicata. Facevo tutto per non soffrire.
Ma, tornando alla nostra giornata, mia madre era pronta e, dopo aver salutato mio padre, uscimmo di casa.
In macchina continuai a pensare alla scuola.  Avrei finalmente potuto scrivere un nuovo capitolo della mia vita. Speravo solo di poterlo scrivere completamente al positivo.
Scesa dalla macchina mi sentii le gambe tremare dalla paura.
- stai tranquilla tesoro. Andrà tutto bene. - sorrisi a mia madre e mi incamminai verso l'ingresso della mia nuova scuola. C'erano molti ragazzi fuori che aspettavano di poter entrare.
Dopo poco ci fecero entrare. Entrai tra gli ultimi, per evitare di essere spinta.
Andai, come mi era stato detto il giorno dell'iscrizione, nell'ufficio del preside. Bussai piano alla porta.
- avanti! - era una voce maschile, molto profonda. Entrai e mi trovai davanti un uomo sulla quarantina, alto con i capelli grigi. Indossava una giacca e una camicia. Mi accolse con un grande sorriso.
- tu devi essere Camilla Lenci. -
- si. - dissi a bassa voce.
- benvenuta in questa scuola! Adesso, fammi vedere in che classe ti abbiamo messo, così ti accompagno. Ho così tante cosa da fare che me ne sono scordato. - era un uomo buffo. Cercava come un pazzo un qualcosa sulla scrivania, ma che non trovava. Poi con un'esclamazione, tirò fuori da una cartellina un foglio.
- ecco qui! Bene, sei in terzo B. È un'ottima classe. - annuii. - possiamo andare. - iniziai a seguirlo per i lunghi corridoi, ormai quasi vuoti, dato che da lì a pochi minuti sarebbe suonata la campanella. Poi finalmente, arrivammo davanti al terzo B.
- questa sarà la tua nuova classe. - disse sempre sorridente. 'Ma questo sorride in continuazione?' lo ringraziai ed entrai. Mi ritrovai gli sguardi di molti ragazzi puntati addosso. Sentii le guance andarmi a fuoco. 'Iniziamo bene...' mi sedetti sulla sedia del secondo banco non appena il preside mi ebbe presentato. Cercando di ignorare quegli sguardi molto pesanti, presi il mio Ipod e iniziai ad ascoltare un po' di musica a volume molto basso.
- guardala, è appena arrivata e non si è nemmeno presentata. E poi se la sente matta e si mette ad ascoltare la musica in classe! - era la voce di una ragazza. Non mi girai, avrebbero capito che sentivo.
- già. È appena arrivata e vuole farsi notare da tutti. - anche questa era una femmina. Come al solito le ragazze erano delle vipere. 'Se sapeste perché ascolto la musica, smettereste di insultarmi.' la musica mi aiutava a non pensare a ciò che mi era successo il mese passato. Era il mio rifugio.
Dopo circa due minuti entrò in classe una donna sulla sessantina. Aveva i capelli corti e biondi tinti. Era bassetta e un po' pienotta. In poche parole, quel tipo di persone che fai prima a saltargli sopra che a girargli intorno(?).
Tolsi velocemente l'Ipod e mi alzai in piedi.
- buongiorno ragazzi! Passato bene le vacanze? - si sentì un forte vociare, poi la professoressa mi guardò.
- oh, tu devi essere Camilla! - aveva un accento tipico delle persone del sud. Annuii, cercando di fare un sorriso più sincero possibile. - stai tranquilla, qui non ti succederà niente! - già, (s)fortunatamente i professori sapevano quello che mi era successo. I compagni di classe no, per fortuna. Continuai a sorridere falsamente annuendo. Dopo poco sentimmo bussare. Entrò un ragazzo alto, capelli marroni molto chiari e occhi azzurri. Mi colpì subito, aveva qualcosa di diverso, forse l'aria da chi si sente il centro del mondo. E sicuramente era così, a giudicare dallo sguardo altezzoso che aveva.
- Rossi! Già in ritardo il primo giorno di scuola!? -
- lo so prof, ma non sono più abituato ad alzarmi presto! -
- entra, veloce! - lo vidi andare velocemente all'ultimo banco, dove un amico gli aveva tenuto il posto.
- ritornando a noi. - riprese la professoressa. - io sono la professoressa Micheloni e insegno matematica. -
- professorè, lo sappiamo! - era stato quel Rossi a parlare. Scoppiarono tutti a ridere.
- se ti fossi degnato di arrivare in orario e fossi stato più attento, avresti visto che c'è una nuova compagna. - poi la professoressa mi fece cenno di andare da lei. Mi alzai lentamente e mi avvicinai. Una volta vicina mi misi ad una debita distanza, per evitare il contatto.
- ragazzi, lei è Camilla, per chi non lo sapesse. - e mentre parlava osservava Rossi.
- aaaaaaaa! - disse lui.
- bbbbbbbb! - rispose qualcuno, causando l'ilarità di tutti. Tranne me, ovviamente.
Tornai al mio posto e passai due ore ad ascoltare ciò che diceva la professoressa.
Finite le due ore, iniziai a mettere a posto il quaderno e a prenderne un altro.
- sai, sei stata la prima persona ad ascoltare le parole della Micheloni in due anni! - sobbalzai sulla sedia per lo spavento. Alzai lo sguardo e vidi Rossi ridere. 'Ride di me...' volevo sotterrarmi dalla vergogna.
- scusami, non volevo spaventarti! Comunque, io sono Federico. - disse, porgendomi la sua mano. La fissai a luogo. Quando capì che non l'avrei stretta, la ritirò.
- io s-sono Camilla. -
- già lo avevo capito. - disse ridendo nuovamente. - comunque benvenuta! - disse allontanandosi.
- grazie... - mormorai.
 

 
FEDERICO
 
'Certo che è strana quella ragazza! Nemmeno una stretta di mano, come se avessi la lebbra. Di solito ho un bell'effetto sulle ragazze!' tornai dai miei amici, continuando a pensare a quei suoi grandi occhi grigi. Dietro quel sorriso tanto tirato e falso che quasi nessuno aveva notato c'era una grande tristezza, che si poteva notare anche solo guardandola negli occhi. 'Chissà cosa le è successo.'
- allora? Che ti ha detto? - chiese il mio migliore amico.
- cosa vuoi che mi abbia detto Simò, mi ha detto il suo nome! Il punto è che quando le ho avvicinato la mano per stringere la sua, lei l'ha solo fissata! -
- è schizzinosa la piccoletta! Già mi sta antipatica. -
- andiamo Sara, nemmeno la conosci! -
- è maleducata! - in quel momento arrivò la prof di inglese e dovemmo sederci ai nostri posti.
 

 
CAMILLA
 
L'ora successiva passò velocemente, con l'insegnante di inglese. Durante la ricreazione presi la merenda e la misi sul banco. Poi presi l'Ipod e continuai ad ascoltare un po' di musica, giocherellando con il panino, senza però mangiarlo.
- guardala, è pure viziata! Sicuramente i panino non è adatto ai suoi gusti! E poi che fa se ingrassa? - altra ragazza, altra vipera.
- viziata, maleducata, schizzinosa e sicuramente antipatica. Ah, ha anche cattivo gusto nel vestirsi. Guardatela, sembra una barbona! Cosa c'è peggio di una persona così? - 'una persona che giudica senza sapere, ecco cosa c'è di peggio.' ricacciai dentro le lacrime che ormai stavano per uscire e continuai ad ascoltare la musica, alzando il volume al massimo per non sentire più tutti quegli insulti che non meritavo.
Nessuno mi rivolse la parola per tutta la giornata. E io non avevo il coraggio di andare da loro. Avrei potuto fargli cambiare idea su di me, ma avevo paura. 'Che continuino a pensare quello che vogliono. Di certo non gli dirò mai ciò che ho passato per farmi ridicolizzare di più.'
All'uscita c'era mia madre ad aspettarmi.
- tesoro! Come è andato il primo giorno? -
- a meraviglia! - 'se escludi tutti gli insulti che ho ricevuto.' iniziai a raccontarle ciò che avevo fatto quel giorno.
- sono felice che ti trovi bene. La mia piccola ha bisogno di un po' di felicità. - le sorrisi, pensando di avere una madre fantastica. Ora si preoccupava solo della mia felicità.
Iniziai a guardare fuori dal finestrino.
- non vedo l'ora di tornare a casa, sono molto stanca. -
- l'hai presa la medicina? -
- emmm... domanda di riserva? -
- tesoro, lo sai che la devi prendere ogni tre ore. Ci credo che ora sei stanca! -
- lo so, mi sono solo scordata. - passammo il resto del viaggio in un imbarazzante silenzio.
Una volta a casa, presi la medicina e mi andai ad allungare in camera mia. Poi sentii qualcosa muoversi sul mio letto.
- Micky! Ecco qui il mio piccolo grande amore. - e così dicendo presi il mio gatto tra le braccia. - tu sei l'unico che mi capisce, il mio unico amico. - come risposta ricevetti solo un 'miao' ma a me bastava. - i miei nuovi compagni di classe pensano che sono viziata, antipatica, schizzinosa e maleducata! - dissi, e senza accorgermene iniziai a piangere. - non credo mi vogliano in classe. Era meglio se me ne rimanevo in quell'altra scuola. - Micky iniziò a fare le fusa, come se sapesse che quello era l'unico modo per calmarmi. - cosa farei senza il mio gattino preferito? - gli diedi un bacio sulla testa e mi allungai, mettendolo sul cuscino, per averlo vicino.
- tesoro, vieni a mangiare, è pronto! -
- non ho fame, mamma. -
- non mi importa. Vieni a mangiare perché non hai fatto colazione e, sicuramente, non hai fatto nemmeno merenda a scuola!. -
- ma non ho fame! -
- Camilla, vieni immediatamente qui! - mi alzai lentamente dal letto e scesi le scale. 'Sapevo che sarebbe finita così, come le altre volte.'
Arrivata giù, c'era mia madre. In una mano aveva la cucchiarella, che teneva puntata verso di me.
- signorina, vai immediatamente a mangiare. - il suo tono non ammetteva repliche.
Andai in cucina e mangiai svogliatamente la pasta che aveva cucinato.
Una volta in camera, rimisi una parte del cibo. Ormai era così, non riuscivo a mangiare, rimettevo quasi tutto. (Voglio precisare che non soffrivo di bulimia, solo che non digerivo ciò che mangiavo.) Mi sbrigai a pulire il pavimento prima che mia madre lo vedesse e spruzzai del profumo per tutta la camera.
Poi, presi i libri e iniziai a studiare come se nulla fosse. Dovevo recuperare molte cose che nella vecchia scuola non avevo fatto.
 
 

HEI!
eccomi qui con il primo capitolo :D
come avevo detto nel prologo, i capitoli sono più lunghi.
penso di aver inventato un personaggio leggermente sfortunato... ma sapete, la mia mente è contorta ed è
capace di creare cose un po' strane
spero vi piaccia c:
un bacio Giulia

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Capitolo 3
*** What would you do if I fell to the floor? ***


2 What would you do if I fell to the floor?
 
 
'Dai Camilla. Ce la farai anche oggi. Ignora gli insulti e vai avanti.' e io che speravo di riuscire ad autoconvincermi. Ma chi volevo prendere in giro? Non ce l'avrei mai fatta completamente, sarei crollata prima. Non ero brava a reggere gli insulti, soprattutto quelli che ricevevo alle spalle. Sentivo che quella sarebbe stata una giornata difficile da superare.
Mi preparai vestendomi con la solita felpa enorme e jeans, ovviamente larghi.
Una volta arrivata a scuola andai velocemente in classe, con le cuffiette nelle orecchie e mi sedetti in quello che ormai era il mio banco.
- eccola lì, con le solite cuffie. Ma le fa schifo venirci a parlare?! Non abbiamo la lebbra! - 'potrei dire la stessa cosa anche io, dato che nessuno, a parte Federico, è venuto a parlarmi.' continuai tranquillamente ad ascoltare la musica, fino a quando non arrivò un professore. Era alto, molto alto, giovane e con capelli biondi. Doveva essere quello di storia, a giudicare dai libri che aveva.
- buongiorno ragazzi! -
- buongiorno a lei prof! -
- come sono andate le vacanze? - altra confusione, come il giorno prima. - vedo che vi siete riposati abbastanza. Quindi, possiamo iniziare il programma anche oggi! - dei commenti di disapprovazione si sparsero per tutta la classe. - ragazzi fate immediatamente silenzio! - la classe diventò improvvisamente un cimitero. 'Si fa rispettare!'
- prof, lo sa che abbiamo una nuova compagna? -
- certo. - poi mi guardò. - ti vuoi presentare alla classe? -
- m-mi sono già presentata ieri... - sentii su di me una ventina di sguardi inceneritori. Il professore mi si avvicinò.
- lo so, ma i tuoi compagni vogliono perdere tempo, ed essendo il secondo giorno potrei anche concederlo. - disse a bassa voce in modo che potessi sentire solo io. Annuii e andai alla cattedra seguita dal professore che, come incoraggiamento mi diede una forte pacca sulla schiena.
Non lo avesse mai fatto.
Mi piegai in due dal dolore e caddi a terra.
Il dolore era troppo forte, non riuscii a trattenere le lacrime.

 
"What if I fell to the floor
Couldn't take all this anymore
What would you do?"
- cosa è successo?! - chiese allarmato il professore.
- l-la schiena. M-mi fa m-male. -
- o cavolo! È vero! Perdonami! - 'come se mi potesse far passare il dolore!' il professore si alzò, sotto lo sguardo sbigottito dei miei compagni.
Mi aiutò ad alzarmi, facendomi sedere sulla sedia della cattedra.
- hai qualche medicina? - annuii, indicandogli lo zaino. Lo prese e me lo passò. Il dolore era sempre più forte.
Tirai fuori la medicina e la bottiglietta d'acqua con le mani che mi tremavano.
Iniziai a sudare freddo.
Tutte quelle sensazioni mi fecero pensare a quando venivo violentata. Mi succedeva sempre la stessa cosa.
Venivo menata e piangevo in silenzio, mentre sudavo freddo.
Poi, quando iniziava a baciarmi violentemente cominciavo a tremare, non riuscendo a fare niente.
Le lacrime aumentavano, ma non emettevo nemmeno un suono.
Ormai era così quando piangevo.
Avevo paura delle reazioni degli altri.
E se si fossero comportati come lui?
E se mi avessero picchiato?
Ingoiai la pasticca con l'acqua e chiesi il permesso al professore di andare al bagno.
- certo, certo. Mi dispiace ancora, non ci avevo pensato. - feci un debole sorriso ancora tra le lacrime e, con uno sguardo, gli chiesi di non dire nulla ai ragazzi.
Andai di corsa al bagno, chiudendomi dietro una porta e continuando a piangere.

  

 
FEDERICO 
Si era accasciata a terra senza fare il minimo rumore.
Aveva iniziato a piangere, senza nemmeno un singhiozzo. 'Cavolo, tutto questo per una semplice pacca?' non capivo.
Poi sentii il professore scusarsi, e capii che c'era qualcosa oltre quella semplice pacca.
Quando poi prese una medicina ebbi la conferma. 'E così ha dei problemi alla schiena. Poverina' tremava dal dolore, si vedeva, ma ebbe la forza di sorridere al professore. 'Io ce lo avrei mandato!' quando andò al bagno chiesi anche io di poterci andare. Fortunatamente il professore acconsentì.
Uscii dalla classe e aspettai di fuori che tornasse Camilla.
 

 
CAMILLA
Una volta calmata, uscii fuori e tornai in classe. Fuori dalla porta c'era Federico. 'Chissà che ha fatto per star fuori dalla classe.'
- ce l'hai fatta! - 'ma sta parlando con me?' - come stai? - 'si, sta parlando con me.'
- meglio, grazie. -
- che problema hai alla schiena? - 'gli affari tuoi no, vero?'
- niente, non ti preoccupare. - cercai di entrare, ma mi fermò, prendendomi per un braccio. Sentii una fitta all'arto, ma cercai di ignorarla.
- come 'niente'?! Ti sei accasciata a terra appena ti ha toccato! E anche adesso che ti ho preso il braccio ti sei fatta male. Qualcosa hai, e non solo alla schiena! -
- non mi piace parlarne, soprattutto con persone che conosco da si e no un giorno. -
- mmmm... vabbè, fai come vuoi. Ora però è meglio rientrare in classe. -
- sei tu che me lo stavi impedendo... - borbottai tra me e me. Una volta aperta la porta ebbi di nuovo tutti gli sguardi puntati contro.
- stai meglio? - chiese il professore.
- si, grazie. - andai a sedermi al mio banco cercando di ignorare tutti i compagni.
- dato che hai iniziato da due giorni questa scuola, ho deciso di affiancarti un compagno di classe, sia per aiutarti nello studio, sia come vicino di banco. Qualcuno vuole mettersi vicino a Camilla o scelgo io? - 'tanto nessuno verrà volontario.' - bene, sono felice che c'è un volontario. - 'come non detto!' - Vieni qui. - disse, indicando il posto vicino al mio. Mi voltai, e vidi Federico alzarsi e avvicinarsi a me. 'No no no no no no! Non lui!' non volevo averlo vicino, si impicciava troppo delle mie cose personali. Forse era per questo che si era voluto mettere vicino a me, voleva cercare di capire qualcosa che non gli avrei mai fatto capire.
Le prime ore passarono tranquille, senza che Federico mi desse fastidio. 'Certo che è strano. Dall'ultimo banco si è venuto a mettere qui, al secondo. Nessuno lo ha obbligato, è venuto di sua spontanea volontà. E ora non spiccica nemmeno una parola. Non che mi dispiaccia, però…'

 
 
FEDERICO
 
Quando mi sedetti vicino a lei mi guardò storto. 'Cavolo, non le ho fatto niente! Meglio se non la disturbo, altrimenti potrebbe anche uccidermi. Eppure vorrei tanto sapere cosa ha! Sono sicuro che questa sarà l'occasione perfetta per capirla.'
Passai le ore prima della ricreazione in silenzio, osservandola. Notai che quando scriveva per prendere appunti cercava di non poggiare troppo il braccio sul banco. E poi ogni tanto si alzava senza chiedere il permesso ai professori, come per sgranchirsi le gambe. Un comportamento abbastanza insolito. 'Ora che ci penso lo ha fatto anche ieri.'
Durante la ricreazione decisi di parlarle.
- come mai ogni tanto, durante la lezione, ti alzavi? - rimase turbata dalla domanda che le avevo posto, lo si vedeva bene.
- beh, come sicuramente hai capito, ho un problema alla schiena. Non riesco a stare troppo tempo seduta, mi inizia a far male. Così mi alzo. I professori lo sanno, è per questo che non dicono niente. - disse dopo poco. Non mi convinceva per niente.
- è per questo che ti sei fatta male quando il professore ti ha dato quella pacca sulla schiena? - annuì. - ma non mi avevi detto che non ti piaceva parlarne con chi conoscevi da poco? - si morse il labbro. L'avevo messa in difficoltà, ma alla fine se l'era cercata, mai mentire a Federico Rossi!
- ho cambiato idea. - disse un po' titubante. 'si, certo, come no!'
- e perché non poggi il braccio quando scrivi? -
- cos'è, un interrogatorio? -
- è da maleducati rispondere ad una domanda con un'altra domanda. - sbuffò.
- ad essere sincera, non ci ho mai fatto caso. Ora mi rispondi? -
- no, tranquilla, non è un interrogatorio, è solo un modo per conoscerti e capirti meglio, dato che, in più, dovremmo stare per altri tre anni nella stessa classe. - annuì, mentre io cercavo di capire se sarei mai riuscito a capirla. 'La vedo difficile...'
 

 
CAMILLA
 
Dovevo ammettere che con quelle domande mi aveva messo parecchio in difficoltà.
Mi ero fregata da sola, dando una risposta che contraddiceva ciò che avevo detto prima. 'oh, la pasticca.' cercando di ignorare ciò che gli amici di Federico stavano dicendo su di me, la presi dallo zaino insieme alla bottiglietta d’acqua. Intanto Federico si era allontanato di nuovo da me per andare dai suoi amici. ‘vorrei tanto sapere cosa ci trova in quei ragazzi. Sono parecchio stupidi e superficiali. Ma alla fine non è un problema mio.’
Come al solito, presi l’Ipod, ma prima di mettermi le cuffiette, andai fuori dall’aula. Mi sedetti a terra e iniziai ad ascoltare la musica ad occhi chiusi. Distesi le gambe, non considerando il fatto che qualcuno potesse passare…
Sentii qualcosa colpirmi le gambe. Provai una fitta enorme, ma cercai di mascherarla al meglio.
Alzai lo sguardo, e vidi un ragazzo moro dagli occhi verdi molto alto e muscoloso.
Fortunatamente non era caduto, mi aveva solo colpito.
Mi guardava, mentre sorrideva. Aveva un sorriso mozzafiato, capace di far sciogliere qualsiasi cosa.
Cercai di dirgli qualcosa di sensato, anche se il suo sorriso mi mandava in confusione.
- s-scusami, n-non volevo. Mi dispiace. -
- hei, tranquilla, non è successo niente. - disse, continuando a sorridermi. - piacere, mi chiamo Matteo, tu? -- Camilla. -
- anche mia sorella si chiama Camilla! Quando si parla di coincidenze. - annuii. - sei nuova per caso? - ‘ma che conosce tutti i ragazzi della scuola, per caso?’
- si. Questo è il mio primo anno in questa scuola. -
- bene! Te lo hanno fatto fare il giro di presentazione? - scossi la testa. - allora ti va di venire con me? Ti faccio vedere tutta la scuola. - come idea mi piaceva, ma avevo paura di andare sola con lui. - andiamo, non ti mangio mica. - alla fine accettai. La sua figura era rassicurante.
Camminavamo per i corridoi e mi sentivo parecchio in imbarazzo, anche perché Matteo salutava tutti i ragazzi che incontravamo e faceva l'occhiolino a tutte le ragazze, le quali o si emozionavano o mi guardavano molto, ma molto male. 'Chissà chi è per essere così conosciuto e "adorato".'
- eccoci arrivati al capolinea. - disse sorridendo quando dopo dieci minuti eravamo tornati davanti alla mia classe.
- g-grazie mille. -
- di niente, piccola. - rispose facendomi l'occhiolino. Arrossii leggermente. - ci si vede in giro? -
- si, ciao. - mi sorrise e si allontanò, andando verso un gruppo di ragazzi.
Rimasi lì fuori, fino a quando non sentii il suono della campanella.
Mi sedetti al mio banco, seguita da Federico.
- hei, dove eri finita? - mi girai e notai che il suo volto era preoccupato.
- sono andata a fare un giro per la scuola. -
- da sola? -
- no, mi ha accompagnato un ragazzo che ho quasi ucciso. - mi guardò storto. - lascia stare! -
Le lezioni proseguirono tranquillamente, anche so la mia mente era fa tutt’altra parte. Continuavo a pensare a Matteo. Era stato così gentile con me.
Anche se all’inizio ero stata un po’ titubante avevo fatto bene ad andare con lui.
Sembrava un bravo ragazzo, uno di quelli di cui ti puoi fidare ciecamente.
Speravo solo di aver avuto una buona impressione…




HEI!
eccomi qua con il secondo capitolo c:
la canzone che ha ispirato il capitolo e il titolo è "The kill" dei 30 Seconds to Mars. Penso che è una canzone meravigliosa *-*
Grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa storia e a chi l’ha messa tra le seguite. Mi avete reso veramente felice, grazie :D
Se avete tempo e voglia sarei felice se recensiste, anche solo per dire che è orribile e che è meglio che non continui.
Beh, non so che altro dire, quindi vado.
Un bacio xxx
Giulia






 

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Capitolo 4
*** A strange meeting ***


3 A strange meeting
 
‘No, questa mattina proprio non ce la faccio ad alzarmi.’
La scuola era iniziata da soli tre giorni e già ero stanchissima. Non sapevo per quanto avrei resistito a svegliarmi presto.
Svogliatamente scesi in cucina. Lì, stranamente non c’era nessuno. ‘di solito mamma sta già qui a preparare la colazione.’ Lasciai perdere e, non essendoci mia madre, potei evitare di fare colazione.
Andai in camera mia e iniziai a decidere cosa mettermi. Optai per una maglia a maniche lunghe blu larga e un paio di jeans.
Una volta uscita dal bagno tornai in cucina per salutare mia madre, ma non c’era.
Iniziai a preoccuparmi.
Se si fosse sentita male nel sonno?
Se fosse stata rapita insieme a mio padre quella notte mentre io dormivo incurante di tutto? Okay, ero veramente catastrofica(?)!
Involontariamente il mio sguardo cadde sull’orologio.
Quando vidi l’orario mi maledissi da sola in venti lingue diverse: erano le tre e un quarto! ‘ci credo che per casa non c’è nessuno, chi è sveglio alle tre di notte?! Solo io! E ora che faccio? Mi sono anche preparata!’
Alla fine mi riallungai sul letto con indosso i vestiti, nella speranza di riuscire ad addormentarmi.*

****

Mi risvegliai solo quando sentii la voce di mia madre chiamarmi dalla cucina.
Mi alzai lentamente e iniziai a preparare lo zaino per scuola.
- tesoro alzati! È tardi! -
- sono già in piedi!! - urlai per farmi sentire al piano di sotto, mentre prendevo il libro di geometria dallo scaffale sopra la mia scrivania.
- tesoro!! Alzati immediatamente! -
- SONO GIA’ SVEGLIA!!! -  mi guardai allo specchio.
I vestiti non erano molto sgualciti, avrei potuto benissimo tenerli.
- non alzare così tanto la voce!! - sbuffai. Non era mica colpa mia se lei non mi sentiva. - scendi a fare colazione! -
- arrivo! - scesi i gradini due a due e arrivai in cucina. Quando mia madre sentì i miei passi si girò verso la porta.
- tesoro, sei già pronta? -  annuii. - forza, fai colazione. - indicò il tavolo. Sopra c’erano biscotti, cornetti, marmellata, della spremuta d’arancia e una caraffa di latte.
- ma per caso viene un esercito a fare colazione? - mi guardò storto. - okay, okay, la smetto. - mi sedetti a tavola e presi un bicchiere di spremuta d’arancia con un biscotto.
- signorina, dove credi di andare? - disse mia madre, quando notò che mi stavo alzando.
- in camera mia. - scosse la testa.
- uno: devi prendere la pillola. - ‘è vero, me ne scordo sempre!’ - due: devi mangiare qualcosa in più. Cosa te ne fai di un biscotto? -
- ho preso anche la spremuta! -
- allora cambia tutto! - disse ironica. - devi mangiare, lo vuoi capire si o no? - sbuffai, ma presi comunque un cornetto.
- così va bene? - dissi mentre addentavo il croissant. Annuì.
Una volta finito, presi la medicina e andai di corsa in camera mia.
Dato che erano le sette e venti, mi sarei potuta riposare per ancora una mezz’oretta.
Misi le cuffiette e iniziai ad ascoltare Runaway.**

Run away, be my runaway, baby
Get away, we should get away, baby
Run away, run away so we can fall in love

 Non ero innamorata, no, per niente, ma quella canzone mi piaceva veramente molto.
Mi rilassava, riuscivo a non pensare a nulla.
Era come se tutti i miei problemi svanissero.

****

Quando mia madre si fu preparata, uscimmo e andammo a scuola.
- ci vediamo all’uscita, cara. - disse mia madre mentre scendevo dalla macchina.
- si, ciao. -
Andai velocemente in classe e mi sedetti al mio banco, ancora vuoto. In classe c’erano solo due ragazzi e una ragazza (a parte me u.u).
Misi come mio solito le cuffiette, anche se sapevo che avrebbe comportato ricevere insulti.
- ecco le cuffiette! Iniziavo a preoccuparmi! - disse la ragazza.
- anche io. -
- che ne dite se le andassimo a parlare? -
- ma che sei matto!? Quella non merita proprio di ricevere le nostre attenzioni! Casomai è lei che deve venire qui a parlarci. - ‘okay, devo ricordarmi che quella ragazza è una vipera. Non mi ricordo però come si chiama…’
- andiamo, Sara! - ‘ora so anche il nome! Yuppy!’ - non è carino quello che hai detto. Ho capito che ti da fastidio perché è seduta vicino a Federico, però quel che è troppo è troppo! - ‘e così a quell’oca piace Federico! Fantastico, mi sono creata una nemica senza volerlo. Tutta colpa di Federico. Se non si fosse seduto vicino a me…’
- non è vero che mi piace Federico! -
- guarda che Simone non ha mai detto che ti piace. - se è possibile, dentro di me scoppiai a ridere. Era la prima risata vera dopo tanto tempo.
- ma…cioè io…io non… ah, lasciamo stare! - probabilmente era diventata rossa.
- parli del diavolo e spuntano le corna! Come va Fede? - ‘non mi devo girare, o capiranno che li sto ascoltando, non mi devo girare, non mi devo girare, non mi devo girare.’
- tutto bene, e voi? -
- alla grande. -
- non c’è male, dai. -
- Sara, qualcosa non va? - chiese Federico.
- eh? Nono tutto bene! -
Lo vidi avvicinarsi.
- hei Cami! - non accennai a muovermi. Avrebbe capito che sentivo.
Dopo poco vidi una mano passarmi davanti al viso. Con finto stupore alzai lo sguardo e vidi Federico. Mio Dio, quanto era bello in quel momento.
I capelli spettinati lo rendevano terribilmente attraente e i suoi occhi brillavano così intensamente da sembrare due stelle. E poi quel sorriso, così sincero, completava il tutto. ‘ma cosa sto pensando!?’
- terra chiama Camilla! Ci sei? - tolsi le cuffiette e spensi l’Ipod.
- si, si. Ci sono. - gli sorrisi e lui si sedette vicino a me.
- non vai dai tuoi amici? -
- anche tu sei una mia amica! -
- oh, okay. - ‘okay!? ma dico, non potevo dire qualcosa di più intelligente di uno stupido okay!?’ voltai lo sguardo e iniziai a fissare il banco imbarazzata.
- come stai? - beato lui che non era in imbarazzo come me!
- b-bene, tu? -
- non c’è male. - annuii.
- guarda che se la mia presenza ti infastidisce vado là. - aggiunse poco dopo, mentre indicava il gruppo dei suoi amici.
- nono. Macchè! Anzi, la tua presenza non mi dispiace affatto. -
- vuoi che ti presento ai miei amici? - storsi il naso.
- non credo mi vogliano conoscere… - sussurrai, per non farmi sentire da lui.
- fai come vuoi. - ‘tentativo fallito’ - penso però che prima o poi dovrai parlarci. -
- e io penso che vivrò lo stesso. - per me la conversazione era finita lì.
Non avevo cambiato scuola per farmi nuove amicizie.
Non avevo cambiato scuola perché questa era più vicino casa mia.
Non avevo cambiato scuola perché mi ero stufata di quella vecchia.
Avevo cambiato per me.
Solo e soltanto per me e per il mio bene.
Non volevo affezionarmi a nessuno di questa nuova scuola.
Non volevo soffrire nuovamente.
Sarebbero stati tre anni di convivenza forzata, e non tre anni passati in compagnia di amici.
Ma non mi importava.
Potevo anche rimanere da sola.
Dopotutto era già successo l’anno precedente…
I miei pensieri vennero interrotti dall’ingresso di un professore.
- buongiorno ragazzi! -
- buongiorno prof! -
- che professore è? - sussurrai a Federico.
- educazione fisica. - disse sempre con quel sorriso che avrebbe potuto benissimo illuminare una città da solo. Rimasi per un attimo incantata, ma dopo mi ripresi. Dovevo chiarire delle cose nel mio cervello. ‘Non ho mai visto quel professore. Ma è il professore di educazione fisica, me lo ha detto ora Federico. Io non posso fare educazione fisica, per questo ho il certificato. Ma l’ho portato?’
Questo dubbio mi assalì.
Iniziai a cercarlo come una matta dentro lo zaino.
Poi, mentre il professore faceva l’appello, lo trovai.
- Camilla Lenci. - alzai lo sguardo.
- presente. -
- te sei la nuova alunna, vero? - annuii. - hai il certificato? - annuii di nuovo. Come avrete capito ero una di poche parole. - dammi. - mi alzai e glielo porsi. Lui lo mise nel suo registro e mi fece segno di andare a posto. Non me lo feci ripetere due volte.
- non puoi fare educazione fisica? Come mai? È per… presente! È per via della schiena? -
- e secondo te? - non ero mai stata acida, ma uno poteva fare certe domande? No, punto. Lui alzò le mani, come in segno di scusa.
- bene, possiamo andare! Prendete gli zaini. E mi raccomando ragazzi, non fate caciara per le scale! - il professore si alzò e andò davanti alla porta, prima che i ragazzi si potessero catapultare fuori liberi, come un branco di pecore. O di bufali.
Arrivammo in palestra.
Era molto grande, anche se il soffitto era basso. ‘si, decisamente basso per fare pallavolo.’
Il professore mi indicò una panchina e io mi ci sedetti.
Vidi con la coda dell’occhio che una ragazza della mia classe, mi era sembrato quella Sara, mi stava indicando. E poi tutte le ragazze lì intorno scoppiarono a ridere.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, ma soprattutto ferita.
Perché dovevano prendermi in giro?
Cosa avevo fatto per meritarmelo?
Era perché ascoltavo della musica la mattina? Beh, non ne potevo fare a meno, era la mia vita.
Era perché non facevo educazione fisica? Non riuscivo nemmeno a stare seduta, come potevo solo provare a correre, o fare gli addominali?
Era perché stavo vicino a Federico? Si era messo lui, di sua spontanea volontà, vicino a me.
Erano gelose perché parlavo con Federico? Era lui che iniziava sempre il discorso.
Non c’erano motivi per prendermi in giro.
Eppure lo facevano.
E mi sentivo uno schifo.
Ma a loro cosa importava? Niente di niente.

****

L’ora di educazione fisica fu orribile.
Le ragazze continuavano a guardarmi e a ridere. ‘no, guardate, io non sono qui, prendetemi pure in giro, tanto non vi vedo!’
Ogni tanto sentivo che dicevano: “ma guardatela, non fa nemmeno educazione fisica!” “mi sembra ovvio, e se si sporca i pantaloni come fa?”
Dovetti ricacciare molto spesso le lacrime che minacciavano di uscire.
L’unica cosa positiva era Federico, che ogni tanto mi si avvicinava e mi chiedeva come stavo con la schiena. Le sue premure mi piacevano, e anche molto. Mi faceva sentire accettata e compresa veramente.
Quando salimmo in classe, sentii il peso sulla mia spalla diminuire.
Mi girai e vidi Federico che si stava mettendo sulla spalla il mio zaino.
- ma che fai? - chiesi sorpresa.
- ti porto lo zaino, mi sembra ovvio! -
- ma hai già il tuo! -
- e allora? Ci sono due libri e l’astuccio, non pesa. A te poi non fa bene portarlo. -
- grazie. - dissi imbarazzata.
- di niente, lo faccio volentieri. - disse sorridendomi. - aspetta un attimo. - si fermò in mezzo al corridoio e aspettò che tutti i nostri compagni di classe passassero per ricominciare a camminare. Per i corridoi eravamo solo noi due.
- senti Camilla, per favore, ignora Sara e le altre oche. Sono stupide, non dargli la soddisfazione di farti vedere mentre piangi. - mi aveva vista? E anche gli altri mi avevano visto? - tranquilla me ne sono accorto solo io. Quando chiedevo a qualcuno se notavano qualcosa di strano in te mi rispondevano che di strano c’era solo il fatto che non facessi educazione fisica. - gli sorrisi.
In quel momento ci trovavamo davanti alla porta della classe. Era chiusa.
- cavolo il prof. è già in classe. Camilla, ti informo che siamo fregati, la Bianchi non sopporta i ritardatari! - corrugai la fronte.
- le possiamo dire che ho avuto un problema alla schiena per le scale e mi sono dovuta fermare. Tu mi hai aspettata e mi hai aiutata a portare lo zaino. - annuì.
- mi piace come idea! - e così dicendo aprì la porta.
Dentro, c’era la professoressa, che ci osservò veramente male.
- ci scusi professoressa, ma mi ha fatto male la schiena e Federico mi ha aiutato… - mi fece un cenno con la mano come per dirmi che non era un problema, mentre il suo sguardo si addolcì.
- oh, tranquilli ragazzi, tranquilli. Ora sedetevi. Te sei Camilla, quindi. - annuii. - se hai di nuovo qualche problema puoi tranquillamente andare al bagno, anche senza chiedermelo. - ci sedemmo al nostro banco e passammo le due ore successive ad ascoltare la lezione di latino.

****

Durante la ricreazione Federico andò dai suoi amici a parlare.
Non so come, ma mi ricordai di prendere la medicina. La presi dalla borsa e poi iniziai a cercare la bottiglietta, della quale però non ve ne era nemmeno l'ombra. Andai così al bagno. Provai ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. 'È ora?' decisi di provare a seguire il mio schifoso intuito. Percorsi tutto il corridoio, ma non trovai nemmeno un bagno vuoto. In tutti c'era qualche ragazza, e non volevo farmi vedere a prendere una medicina. Alla fine trovai una porta in fondo al corridoio. L'aprii e mi ritrovai in un'altra area della scuola. Percorsi il corridoio sempre più velocemente per evitare gli sguardi interrogativi dei ragazzi. 'Tutto questo per una stupida medicina! La prossima volta metto almeno tre bottigliette nella cartella!' trovai finalmente un altro bagno. Tutti i ragazzi mi fissavano come se stessi per compiere chissà quale impresa. Aprii di poco la porta e trovai un bagno completamente sporco. Sperai che ci fosse almeno un lavandino con acqua potabile. 'Sembra che non c'è nessuno.' Aprii completamente la porta e mi trovai davanti una ragazza seduta per terra con una lametta in mano. Aveva dei capelli rossi che le ricadevano fino alle spalle. Quando mi vide sobbalzò; probabilmente non si aspettava che qualcuno entrasse in quel bagno. Aveva delle lentiggini molto graziose e gli occhi verdi.
- s-scusami. - dissi un po' impacciata. Mise velocemente la lametta in un fazzoletto, che mise in tasca.
- n-non lo dirai a nessuno, vero? - tremava.
- no, stai tranquilla. -
- grazie. - mi sorrise.
- cosa ti ha portato in questo bagno così schifoso? - aggiunse poco dopo.
- la necessità d'acqua. Il bagno vicino alla mia classe è chiuso. Pensavo che in questo non ci fosse nessuno, così da poter fare quello che dovevo fare senza essere vista. -
- vuoi che me ne vada? -
- no, non ti preoccupare. - tirai fuori la medicina e la misi nel bicchierino che avevo. Poi lo riempii d'acqua e, una volta sciolta la pasticca, bevvi.
- se non sono invadente, come mai devi prendere quella medicina? - quella ragazza mi stava già simpatica. Sentivo che non me lo chiedeva perché non aveva nulla da fare, ma perché forse era preoccupata. 'Cosa mi costa dirle la verità? Niente.'
- mi hanno picchiata. Serve per far guarire le ferite. -
- una medicina potrà anche guarire le ferite, ma le cicatrici rimarranno, e ogni volta che le vedrai ricorderai tutto. Sentirai dentro un dolore quasi impossibile da sopportare per quanto grande. Arriverai a preferire la morte a questa agonia. - sembrava parlare più da sola che con me.
- come ti chiami? - dissi, riportandola alla realtà.
- Giulia. Tu? -
- Camilla. -
- che classe fai? -
- terzo B. Ma l'anno scorso stavo in un'altra scuola. -
- io faccio in terzo A. - la domanda mi venne spontanea.
- lo so che non sono affari miei, ma perché ti tagli? -
- perché mi odio e merito di soffrire. È colpa mia se i miei genitori si sono separati. Mio padre non mi voleva e hanno divorziato. È colpa mia se mia madre è morta. Le avevo chiesto di andarmi a comprare un album da disegno e lei è stata investita. È colpa mia se ho litigato per sempre con la mia migliore amica. Se lei è diventata la migliore amica di un'altra è perché io non ero abbastanza, sono solo un orribile mostro. Come vedi merito di soffrire. Quando mi taglio sento come se tutte le colpe che ho se ne andassero, lasciandomi respirare. Ma appena smetto, mi assalgono di nuovo, non dandomi tregua. - mi sedetti vicino a lei. - perché ti hanno picchiata? - presi un respiro profondo. Dopotutto quella era la prima persona a cui raccontavo la mia storia a parte i miei, la psicologa e il giudice.
- sono stata violentata. Quell'uomo prima mi picchiava fino a quando quasi non mi muovevo. A quel punto mi violentava sessualmente. -
- oh. - tirai su la manica della mia felpa e le feci vedere una ferita. - ti menava a sangue... -
- questa è solo una piccolissima parte. Ne ho su tutto il corpo. - lei tirò su la sua manica e mi fece vedere tutti i tagli, che partivano dal gomito fino al polso.
- questa è solo una piccola parte. Ne ho anche sulle gambe, sull'altro braccio e sulla pancia. -
- non ti odiare; anche se pensi il contrario, non meriti di soffrire. -
- grazie. - disse con un debole sorriso. In quel momento suonò la campanella.
- io vado. Ci vedremmo di nuovo? -
- spero di si. - era sincera, lo sentivo. Mi avvicinai alla porta. - aspetta! -
- cosa c'è? - dissi voltandomi.
- grazie. -
- di cosa questa volta? -
- grazie a te non mi sono tagliata a scuola. Era da un anno che non mi succedeva. - 'si taglia da così tanto?' - mi taglio da due anni. Prima succedeva raramente, poi piano piano ho iniziato a tagliarmi tutti i giorni più volte al giorno. - rispose, come se mi avesse letto nella mente.
- non ho fatto niente, è tutto merito tuo. E sai questo cosa vuol dire? Che riuscirai a smettere. -
Uscii velocemente dal bagno, dato che la campanella era suonata da parecchio. Assomigliavo molto a quella ragazza. Entrambe avevamo sofferto molto e soffrivamo ancora, anche se per motivi diversi. Non capivo come una ragazza che all'apparenza sembra così normale potesse tagliarsi. E poi così tanto! Diamine, i tagli c'erano su tutto il braccio e non lasciavano nemmeno un centimetro di pelle libera. Quella ragazza non meritava così tanto dolore. Doveva capire che lei non era la causa di tutto. Dovevo aiutarla. Forse mi avrebbe aiutato a non pensare al mio passato. Non la conoscevo per niente, ma sapevo e sentivo di essermi legata a lei non appena le ebbi raccontato tutto. Il dolore separa, ma non solo. A volte unisce persone così diverse, ma allo stesso tempo simili.
Arrivai in classe che la professoressa già era seduta in cattedra.
- mi scusi professoressa, ma ho avuto un piccolo problema. -
- tu sei Camilla? - 'cavolo si! ora me lo scrivo in fronte!' annuii. - non ti preoccupare. - disse sorridendo. Andai al mio banco e mi sedetti evitando lo sguardo interrogativo di Federico. Dato che continuava a guardarmi, gli scrissi un bigliettino.

Cosa c'è?

Ritirai la mano prima che potesse esserci un contatto. Prese il foglietto e dopo averlo letto scrisse velocemente una risposta.
Avvicinò il biglietto, e stando attenta a non essere vista dal professore, lo presi.

Sei tornata in classe molto dopo il suono. Qualcosa non va?

Perché si preoccupava tanto? Per di più per me, che ero quasi una sconosciuta ai suoi occhi.

No, tranquillo. Mi faceva solo un po' più male la schiena :)

'come se disegnare uno smile potesse fargli credere che sto veramente bene.'

Va bene.
Se hai qualche problema potrai sempre parlarne con me.
Non avere paura ad aprirti.
Non ti chiedo queste cose per avere un argomento di conversazione con gli altri.
Te lo chiedo solo perchè voglio aiutarti.

 


 La nostra conversazione finì lì. Non parlammo più per tutte le lezioni.
Eppure quel biglietto mi aveva colpito particolarmente.
“te lo chiedo solo perché voglio aiutarti.” Continuavo a rileggere quelle parole.
Sentivo che era sincero, ma come potevo fidarmi di una persona che conosco da due giorni?
Semplice.
Non potevo.
Non ci sarei riuscita.
Nemmeno se avessi voluto.
Perché dopo quello che avevo passato fidarsi della gente diventava sempre più difficile…
 
 
 
 








*Questa piccola “disavventura” non è inventata, è successa veramente ad una mia amica. Quando me l’ha raccontato non ho fatto altro che ridere.
Non sapendo come iniziare il capitolo ho pensato di scriverlo. :D
**La canzone è runaway dei District 3. Ascoltatela, è la mia canzone preferita, è veramente meravigliosa! *-* http://www.youtube.com/watch?v=aH4NU21xnVY
 

HEI!
Eccomi qua con il terzo capitolo!
Grazie ancora a chi segue questa storia e a chi la legge, mi rendete veramente felice :D quando vedo che c’è una visualizzazione in più inizio a sorridere come un deficiente davanti al PC, manco avessi vinto qualcosa u.u
Spero questa storia vi interessi.
Se potete recensite, mi rendereste enormemente felice c:
Alla prossima :D
Un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 5
*** I feel bad every day because of him ***


4 I feel badevery daybecause of him
 
 
‘perchè esiste la scuola? Nessuno la sopporto, è completamente inutile!’ i pensieri sulla scuola di prima mattina trovavano sempre uno spazio nella mia mente.
Mi alzai dal letto e mi avviai, strisciando i piedi, verso la cucina.
Sentii l’acqua della doccia scorrere, segno che mia madre si stava lavando.
Presi una tazza e la misi sul tavolo. Poi presi del latte e lo versai nella tazza quanto ne bastava per creare un leggero velo sul fondo. Feci girare la tazza in modo che le pareti si bagnassero di latte.
Poi presi alcune briciole dal pacco di biscotti che c’era sul tavolo e le gettai nella tazza. ‘et voilà! Ho fatto anche colazione! Anzi, manca ancora una cosa!’ presi un cucchiaino, lo misi in bocca e dopo lo poggiai dentro la tazza. ‘perfetto!’
L’acqua della doccia scorreva ancora, sicuramente mia madre non avrebbe sospettato di nulla.
Andai in camera mia e presi i vestiti.
Poi andai al bagno, dal quale mia madre era appena uscita, e mi cambiai.
Dover vedere quelle ferite mi fece star male.
Giulia aveva ragione: “le cicatrici rimarranno, e ogni volta che le vedrai ricorderai tutto. Sentirai dentro un dolore quasi impossibile da sopportare per quanto grande.”
Perché?
Perché quell’uomo mi aveva picchiata?
Perché mi aveva procurato ferite così grandi?
Perché dovevo vederle tutti i giorni quando mi guardavo allo specchio?
Perché dovevo arrivare ad odiare il mio fragile corpo per quanto era lacerato?
Tutte domande a cui non avevo una risposta.
Sapevo solo che quell’uomo non era un uomo.
Era un essere spregevole, che non aveva nessun diritto di rovinarmi la vita per sempre.
Non aveva nessun diritto di privarmi della mia purezza.
Sentii qualcosa bagnarmi la mano che era poggiata sullo stomaco.
Solo allora mi resi conto di star piangendo.
Mi sedetti a terra e lasciai che le lacrime scendessero libere.
Ero sola, nessuno avrebbe visto la mia debolezza.
Sentii una fitta al petto, leggermente spostata verso sinistra.
Stavo male ogni giorno a causa sua.
Quasi non riuscivo ad andare avanti per il macigno che stanziava nel mio cuore.
Mi faceva sentire uno schifo.
Mi faceva sentire un giocattolo usato e poi gettato.
Perché era quello che quell’essere faceva.
Mi usava e poi mi gettava all’angolo della strada.
Riuscivo a malapena a camminare, le forze mi mancavano e spesso mi capitava di addormentarmi sul marciapiede.
Tutto era scomparso, tranne le ferite, che mi ricordavano la mia sofferenza.
Volevo solo un po’ di felicità, chiedevo troppo?
Forse si, perché quella felicità tanto ambita non arrivava mai, c’era sempre qualcosa che rovinava tutto.
Io continuavo a sperare, anche se lei non c’era sapevo che prima o poi sarebbe arrivata.
Sapevo che avrebbe portato un po’ di luce nella mia semplice vita.
Forse era già arrivata quella luce.
Forse dovevo solo aprire il cuore e farla entrare.
 
 


HEI!!
lo so, avevo già pubblicato questo capitolo, ma l'ho eliminato per sbaglio (non chiedetemi come ho fatto, perchè non lo so nemmeno io lol)
come avevo detto al capitolo precedente, in questo capitolo la storia non va avanti, serve solo per esprimere le sue emozioni
spero di esserci riuscita c:
alla prossima! (se ci riesco pubblico anche sta sera :D)
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 6
*** She said: I will survive ***


5 She said “I will survive”
 
“Quella felicità tanto ambita non arrivava mai, c’era sempre qualcosa che rovinava tutto.
Io continuavo a sperare, anche se lei non c’era sapevo che prima o poi sarebbe arrivata.
Sapevo che avrebbe portato un po’ di luce nella mia semplice vita.
Forse era già arrivata quella luce.
Forse dovevo solo aprire il cuore e farla entrare.”
 
Mi alzai in piedi e mi cambiai. poi andai in camera mia, chiudendo la porta. Mi buttai sul letto e continuai a piangere.
Dopo cinque minuti qualcuno bussò alla porta. Alzai la testa.
- tesoro, posso entrare? - sentii il rumore della porta aprirsi.
- NO! - urlai, per poi riaffondare la testa nel cuscino.
- ti prego, voglio solo aiutarti. -
- non ho bisogno di nessuno! Voglio solo restare sola! - sentii una mano accarezzarmi i capelli. La lasciai fare, non sarei riuscita a fare niente.
- tesoro, calmati, okay? Va tutto bene. Ti capisco, ma è tutto finito e… - alzai di scatto la testa.
- tu mi capisci!? Come puoi capirmi!? Non sai cosa ho provato, non sai cosa ho subito! Non sai nemmeno come mi sento, non puoi saperlo! - si alzò in piedi e si avvicinò alla porta.
- hai ragione, non so cosa hai provato. Scusami. - uscì dalla stanza.
- usciamo tra un quarto d’ora. - disse da fuori.
Presi le cuffie e misi Untitled.

And I can't stand the pain
And I can't make it go away
No, I can't stand the pain

‘no, non riesco a sopportare tutto questo. Non riesco a mandare via questo dolore che mi affligge. Non ci riesco.’ Le lacrime continuavano  a scendere, incapaci di fermarsi.
Dovevo reagire.
Non potevo passare il resto della mia vita con quel dolore.
Ma era così difficile…
Una volta calmata, tolsi le cuffiette, mi alzai e andai a sciacquarmi il viso.
- mamma, sono pronta. - dissi mentre entravo in camera da pranzo. Mi sorrise.
- okay, andiamo. - prese la borsa e ci avviammo verso la macchina.
- scusami ancora per prima, tesoro. Io non posso capirti, non riuscirò mai a capirti, ma voglio che tu sappia che se hai bisogno di qualsiasi cosa potrai sempre contare su di me. - sorrisi e l’abbracciai.
- ti voglio bene mamma. Ti voglio tanto bene. -
- anch’io te ne voglio. E non voglio che tu soffra di nuovo. Voglio che tu sia felice. -
Avrei voluto stringerla forte.
Avrei voluto che lei mi stringesse forte.
Ma non potevo.
E lei nemmeno.
Se mi avesse stretto sarei potuta morire dal dolore.
E non era un’esagerazione.
Non era giusto.
Tutti i ragazzi possono abbracciare coloro a cui voglio bene.
Perché io non potevo?
Salimmo in macchina e passammo tutto il tempo in silenzio.
Stavo scendendo dalla macchina, quando mia madre mi fermò.
- oh, mi stavo quasi scordando! Oggi non posso venirti a prendere, mi dispiace. - sgranai gli occhi.
- c-cosa?! -
- lo so, mi dispiace, ma io e tuo padre dobbiamo lavorare. -
- e io come torno a casa? - ‘non dirlo, ti prego, non dirlo.’
- con l’autobus. - ‘ecco, lo ha detto.’ L’autobus. Il luogo più brutto di tutta la mia vita. Quello era il luogo dove era iniziato tutto. Quello era il luogo da dove nasceva la mia sofferenza.
- ma proprio nessuno può venirmi a prendere? Magari zia, o nonna! Sennò posso anche tornare a casa a piedi, non c’è nessun problema… - stavo parlando a raffica, non riuscivo a fermarmi.
- tesoro, calmati. Mi dispiace, ma per oggi devi prendere l’autobus. Tanto prima o poi dovrai ricominciare a riprenderlo. -
- non ce la farò… -
- si che ce la farai! Ora vai, altrimenti fai tardi. -
- okay, ciao. -
Entrai dentro il liceo sconsolata, cercando di non pensare a niente. Improvvisamente mi sentii prendere per un braccio. Trattenni a stento un urlo per il dolore. Mi voltai e vidi Matteo.
- hei Cami! Ti hi spaventato per caso? - ‘diciamo che non mi hai spaventato, mi hai fatto venire direttamente un infarto!’
- un pochino… -
- scusami tanto. Volevo solamente salutarti. -
- tranquillo, non fa niente. -
- come stai? -
- a parte che ho sonno? Tutto okay. - si mise a ridere.
- sei troppo simpatica! - da quanto la gente reputava un: “a parte che ho sonno? Tutto okay” divertente? Da quanto la gente reputava me simpatica? Bah.
- te come stai? -
- tutto bene. - gli sorrisi. - ti va se ci vediamo oggi pomeriggio? - aggiunse dopo poco. Rimasi colpita da quella richiesta.
Era da tanto che non uscivo con qualcuno.
Forse mi avrebbe fatto bene.
Esatto, forse.
- non so… -
- andiamo! Lo sai che non mangio. Se vuoi andiamo direttamente dopo scuola. Se non hai impegni, ovviamente. - diciamo che la proposta mi allettava.
Si, avevo paura, ma la sua figura era rassicurante.
Mi faceva stare bene.
E non avrei dovuto prendere l’autobus.
- va bene. Ci vediamo all’uscita, allora. -
- si. Sai qual è il mio motorino? - scossi la testa. - allora ci vediamo difronte al bar, quello vicino alla scuola. Okay? -
- perfetto. A dopo. -
- a dopo bellissima. - ‘bellissima…’
Si allontanò e andò verso dei suoi amici.
Con un sorriso stampato in volto, mi incamminai verso la mia classe.
- Milla! - riuscii a riconoscere quella voce anche se mi trovavo in un corridoio molto affollato.
- ciao Fede. -
- come stai? - chiese prendendomi lo zaino. Iniziai a protestare, ma era completamente inutile, non me lo avrebbe mai ridato.
- tutto bene, tu? -
- molto bene. - mi sorrise.
Ma un ragazzo poteva essere così tremendamente bello e sexy? Okay, stavo uscendo di testa. Non era possibile che stessi pensando che quel ragazzo fosse bello.
- cosa è successo? - la sua voce mi riportò alla realtà.
- cosa è successo, cosa? -
- non lo so, dimmelo tu. Questa mattina sei un po’ strana… -
- macchè! Sono solo un po’ più stanca del solito. -
- e quindi i tuoi occhi sono rossi e gonfi non perché hai pianto, ma perché sei stanca. - bene, non riuscivo nemmeno a nascondere un pianto!
- ovvio. E poi perché dovrei piangere? -
- sei te che stavi piangendo, non io. -
- Non. Stavo. Piangendo. - dissi, scandendo bene le parole.
- va bene. Quando deciderai di dirmi la verità, ricordati che sarò qui, pronto ad ascoltarti, a capirti e ad aiutarti. - volevo controbattere, ma cosa avrei potuto dire? Quello che lui stava dicendo era vero, non potevo continuare a negare.
Continuammo a camminare in silenzio, fino a quando non arrivammo in classe.
Federico posò il mio zaino sul banco e si sedette.
Immediatamente gli si avvicinò Sara.
- hei, Fede! Cos’è questa faccia da funerale? - non rispose. Si limitò a guardare il mio zaino. - Fede, ci sei? - annuì, ma si vedeva che era completamente assente. - Fede, che ore sono? - annuì di nuovo.

FEDERICO

 

‘perché mi sta mentendo? Perché continua a nascondere la verità?’
Camilla era una ragazza particolare, mi era bastato un suo sguardo per capire che era diversa dalle altre ragazze. Non era un’oca isterica come Sara, era una ragazza timida, che molto probabilmente aveva sofferto. Ma il motivo della sua sofferenza mi era ancora sconosciuto. Volevo sapere tutto su di lei, volevo sapere per aiutarla. Ma lei sembrava sempre non volermi dire niente. Non si fidava. Sapevo che la fiducia era la base di ogni tipo di rapporto; per questo avrei cercato tutti i modi per conquistare la sua. Avrebbe cambiato idea su di me, mi avrebbe considerato come qualcuno di cui fidarsi e mi avrebbe detto tutto di lei. E io l’avrei aiutata a superare quel dolore, l’avrei aiutata a diventare più sicura. ‘okay, sto fantasticando veramente troppo. Basta farsi film mentali, non ha senso!’
Guardai il suo zaino. Anche lui era triste, completamente nero. No, un momento! Lo guardai più attentamente e vidi che c’era una scritta.

Sopravvivrò a tutto questo dolore.
Sopravvivrò a tutta questa sofferenza.
Sopravvivrò a tutti questi insulti.

Questa era la conferma del fatto che avesse sofferto.
Sentii la voce di Sara in lontananza. Chissà cosa mi stava dicendo. Mi limitai ad annuire. Disse qualcos’altro e io annuii di nuovo. Poi mi sentii scuotere.
- non mi ascolti mai quando parlo! - girai il mio viso e vidi Sara intenta a muovermi per farmi tornare alla realtà.

CAMILLA
 

Si trovava in un mondo proprio a pensare a chissà cosa. Ma dopo essere stato scosso abbastanza violentemente da Sara, ritornò alla realtà.
- cosa succede? - chiese spaesato.
- niente, solo che ti stavo parlando e tu non mi ascoltavi! - sembrava tanto una scenata da fidanzatina appiccicosa. Mi avvicinai al mio banco e mi misi vicino a Federico. - è tutta colpa tua! - disse Sara, indicandomi.
- m-mia? - ero sbalordita.
- sua!? Ma cosa diavolo ti sei fumata Sara!? Non capisco proprio cosa centri lei! Ti ricordo che ero io che non ti stavo ascoltando! - si era alzato in piedi, abbastanza arrabbiato. - mi spieghi cosa ti ha fatto di male!? - ‘ecco, illumina anche me!’
Ma Sara non soddisfò la mia voglia di sapere cosa le avessi fatto. Si limitò a girare i tacchi e ad andare al bagno.
- scusala, ha qualche problema ultimamente. - mi disse Federico, abbandonando l’aspetto arrabbiato e sorridendomi.
- non ti preoccupare, può capitare a tutti di avere la luna storta. -
- come mai hai scritto quella frase sullo zaino? - disse indicandomi quella scritta che avevo fatto durante le vacanze.
- mmm…così. Era il motto mio e di una mia amica. - balla!
- venivate prese in giro? -
- si, tutti i nostri compagni di classe ci insultavano. - altra balla enormemente enorme! Ma lui sembrava crederci.
- e lei non ha cambiato scuola? - scossi la testa.
- ha lasciato direttamente. - questo almeno era vero. Una mia compagna di classe aveva lasciato la scuola perché non era brava e perché la insultavano.
- oh. Capisco. -
Non parlammo più fino a quando la campanella non suonò. Dopo poco entrò il professore di storia. ‘si comincia…’
 
 




 
HEI!!

Eccomi qui, con un altro capitolo!
Lo so, avevo detto che avrei aggiornato ieri, ma mentre scrivevo mia sorella mi chiede: andiamo al centro commerciale che devo prendere un libro?
E così l’ho accompagnata.
Alla fine ci ho anche guadagnato, dato che ho comprato anche io un libro, che però ho già finito u.u
Poi volevo aggiornare prima, ma ho dovuto scrivere un testo su Ettore e Andromaca cambiando il finale. Una noia! (però è venuto carino, forse prima o poi lo pubblicherò, cambiando ovviamente i nomi)
E quindi solo ora ho il tempo di pubblicare :D
Tornando alla storia.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. (mi sento tanto una cameriera!)
La canzone è dei Simple Plan. Secondo me è veramente bella *-*
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite/seguite e a
chriseyes che mi ha reso la persona più felice del mondo con le sue recensioni c:
ora scappo a finire i compiti :)
alla prossima! Xxx
un bacio
Giulia

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Capitolo 7
*** We both love Simple Plan ***


6 We both love Simple Plan
 
 
Le ore prima della ricreazione passarono molto velocemente.
Durante la ricreazione decisi di andare in classe di Giulia, per vedere come stava.
- scusate - dissi una volta arrivata davanti la sua classe. - c'è Giulia? - tutti, e quando dico tutti intendo proprio tutti, sgranarono gli occhi. - c-che c’è? - chiesi titubante.
- sei una sua amica? - chiese un ragazzo molto alto, forse due metri. Annuii. - wow, Giulia ha un’amica! -
- che c’è di strano? -
- lei è un’asociale. Non ha amici. - rispose una ragazza che sarà stata la metà del ragazzo di prima. - Comunque sta al bagno qui di fronte. Ci va sempre, anche se nessuno ha capito ancora il perché. -
- grazie mille. -
Mi precipitai al bagno. ‘Se si fosse già tagliata? Se si stesse tagliando in questo momento?’ Non potevo permetterglielo. Dovevo farla guarire da quella dipendenza.
Spalancai la porta, e la trovai seduta a terra con le gambe al petto in lacrime. Ma non aveva niente di affilato in mano, solo un foglio. Alzò lo sguardo e mi vide. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei. Notai che quel foglio era una foto, la foto di una bambina che avrà avuto si e no sei anni. Assomigliava molto a Giulia.
- cosa è successo? - le chiesi. Prese un respiro profondo, per poi guardarmi negli occhi. Provò a smettere di piangere, ma non ci riuscì. I suoi occhi erano spenti, più spenti dell’altra volta. Indicò la foto.
- m-mia sorella…è…m-morta… - sussurrò. Poi ripiegò la testa sulle ginocchia e diede via libera alle lacrime.
Non sapevo cosa dirle. Forse qualcuno avrebbe optato per un: “mi dispiace”. Ma cosa se ne faceva di un “mi dispiace”? Niente di niente. Avrei solo rigirato il coltello nella piaga. E sicuramente non le avrebbe riportato la sorella.
- come si chiamava? - chiesi un po’ titubante.
- Gioia. Le si addiceva proprio il nome, sempre così felice. Io vivevo ancora per lei, grazie a lei. Ora non so che fare, nulla ha più senso! -
- tranquilla, ci sono qui io. - alzò lo sguardo e mi sorrise.
- perché ti preoccupi per me quando hai già i tuoi problemi? -
- non lo so, voglio aiutarti. Forse lo faccio proprio per non pensare alle mie difficoltà. -
- sai, quando me lo hanno detto, ho avuto la tentazione di prendere la lametta del rasoio di mio padre. Ero a casa da sola, niente avrebbe potuto fermarmi. Quando però l’ho presa ho ripensato a quello che mi avevi detto: “non odiarti, anche se pensi il contrario non meriti di soffrire.” E sai cosa ho fatto? - scossi la testa. - ho posato la lametta. - le sorrisi.
- sono molto fiera di te. -
- grazie. - in quel momento suonò la campanella.
- scusami, ma ora devo proprio andare. Non credo di poter usare a vita la scusa del dolore alla schiena con i professori. - ‘e con Federico…’
- va bene. Ci vediamo in giro. -
- sicuro! Ciao. - uscii dal bagno e mi diressi verso la mia classe. Fortunatamente la professoressa o il professore che doveva venire non era ancora arrivato.
Dopo dieci minuti di anarchia totale, arrivò una bidella.
- ragazzi, non c’è il professore. Dovete andare giù in aula magna. -
Delle urla di gioia si levarono dalla classe.
Scendemmo giù in aula magna come dei bufali. Federico mi stava vicino, e come al solito mi portò lo zaino.
Quando entrammo in aula, c’era già una classe. La classe di Matteo. Lo cercai con lo sguardo, ma non lo vidi da nessuna parte. ‘e se si fosse sentito male?’
- qualcosa non va? - Federico si era fermato e mi stava guardando. Probabilmente aveva smesso di andare avanti quando aveva visto che io non accennavo a muovermi.
- no, no, tranquillo. -
- dai, andiamoci a sedere. - lo seguii e ci sedemmo in prima fila, lontano da tutti gli altri.
- chi stavi cercando? - mi chiese curioso.
- un amico. -
- un amico. - ripeté, marcando la “o”.
- si, un amico. - dissi, calcando a mia volta la “o”.
- mmmm… -
- mi puoi passare lo zaino? - dissi, cercando di cambiare argomento. E poi mi serviva l’Ipod. Federico lo prese e me lo diede. - grazie. -
Tirai fuori l'Ipod dalla tasca interna. Stavo per mettere la seconda cuffietta, quando mi ricordai delle buone maniere.
- vuoi…sentire? -
- perché no? - prese la cuffietta e l’infilò. - cosa ascoltiamo? - alzai le spalle.
- la prima cosa che trovo. - misi “riproduzione casuale” e aspettai che la canzone scelta dal mio Ipod partisse.
- ti piacciono i Simple Plan? -
- no, li amo -
- forte! Anche a me piacciono molto. -
La canzone che era partita era loro.

 
Another day without you with me
Is like a blade that cuts right through me
But I can wait, I can wait forever
When you call my heart stops beating
When you're gone it won't stop bleeding
I can wait, I can wait forever

Federico iniziò ha cantare. ‘se lo fa lui, perché non dovrei farlo io?’ lo seguii a ruota. Ovviamente cantavamo a bassa voce, altrimenti credo che ci avrebbero cacciato.
- lo sai che hai una voce bellissima? - diventai immediatamente rossa per quel complimento.
- g-grazie, anche se non credo sia questa gran cosa. -
- scherzi?! La tua voce è meravigliosa! -  era la prima persona che me lo diceva a parte mia madre. Ma il parere dei genitori è sempre gonfiato.
Passammo tutta l’ora ad ascoltare la musica. Mi piaceva stare con lui, mi faceva sentire accettata e capita, anche se non aveva capito nulla di me veramente.
 

 
FEDERICO
 
Okay, era ufficiale: quella ragazza mi attraeva sempre di più. Il suo modo di comportarsi, la sua insicurezza, il suo sorriso e ora anche la sua voce.
Mi aveva dato un po’ fastidio quando si era messa a cercare un suo amico, ma alla fine io ero rimasto con lei, io avevo ascoltato con lei la musica, io avevo ascoltato la sua voce così perfetta.  Non quello là.
Anche se non lo conoscevo e non lo avevo visto mi stava molto antipatico. Per cosa? Semplice. Non lo sapevo.
Le presi lo zaino e salimmo in classe.
- quando smetterai di portarmi lo zaino? - chiese alzando un sopracciglio.
- quando non ti farà più male la schiena. -
- guarda che ce la faccio a portarlo! -
- non mi importa. Ora lo porto io. -
Poco dopo mi si avvicinò Sara.
- scusami, possiamo parlare un attimo? - il suo tono non mi convinceva per niente.
- mmm… - guardai Camilla, che mi fece cenno di andare. - va bene. - la seguii.
- hei, il mio zaino! - urlò Camilla. Ritornai da lei e glielo diedi.
- sbrigati a tornare in classe e a posarlo. Sappi però che non succederà più. - annuì e si allontanò.
Tornai dall’ochet…Sara.
- cosa dovevi dirmi? -
- a me non hai mai portato lo zaino… - sembrava parlare da sola. - non sei mai rimasto con me durante la ricreazione e tutte le volte che ti ho chiesto di ascoltare un po’ di musica ti sei sempre rifiutato… -
- si, e allora? - chiesi annoiato.
- perché con lei ti comporti così? -
- beh, lei non conosce nessuno qui, e come hai visto ha un problema alla schiena. Per questo le porto lo zaino. Poi ho scoperto che abbiamo dei gusti musicali simili e ci siamo messe ad ascoltare la musica. Tutto qui. - ‘macchè tutto qui! Io sono anche attratto da lei!’ - ora scusami, ma voglio tornare in classe. -
Mi congedai così, lasciandola lì da sola e tornai in classe.
Seduta al suo posto c’era Camilla. Si stava guardando le mani nervosa. I capelli biondi le ricadevano dolci sulle spalle. Mi avvicinai e mi sedetti al mio banco.
Mi ero già preparato a dirle cosa mi ero detto con Sara se me lo avesse chiesto. Ma non disse niente. Ero meravigliato. C’era stato un periodo in cui ero vicino a Sara e lei mi chiedeva in continuazione cosa mi ero detto con i miei amici. In due parole: che accollo!
Ma lei non era così (fortunatamente).
 

 
CAMILLA
 
Lo sguardo di fuoco che mi aveva mandato Sara era la prova che mi odiava.
Non che mi servisse una qualsiasi prova per capirlo, ma quella era stata la conferma. ‘pazienza’ mi ero detta. Alla fine non ero in quella scuola per piacere a tutti.
Le ore passarono molto velocemente e all’uscita mi diressi verso il bar davanti alla scuola, dove mi aspettava Matteo…
 
 
 
 
 
 

HEI!!
Eccomi qui con questo capitolo!
Non ho molto tempo, dato che tra poco devo andare alla partita di pallavolo. (pregate per me *-*)
Non so a voi, ma a me Matteo sta antipatico. (lo so che l’ho inventato io, ma mi sta moooolto sulle scatole!)
La canzone è I can wait forever, sempre Simple Plan :D (se vi interessa
http://www.youtube.com/watch?v=72eU-4qYS64 )
Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se è breve c:
alla prossima! Xxx
un bacio
Giulia

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Capitolo 8
*** You are different than the other girls ***


7 You are different than the other girls
 
 
Andai in quel bar, ma non vidi Matteo. Probabilmente la mia teoria era azzeccata: si era sentito male. Certo che mi avrebbe anche potuto avvertire! Mi voltai per uscire, ma davanti alla porta c’era proprio lui.
- hei bellissima! -
- c-ciao. -
- scusami se ho fatto tardi, ma stavo parlando con degli amici. -
- n-non ti preoccupare, non fa niente. - mi sorrise.
- allora, dove vuoi andare? -
- non lo so, decidi tu. -
-mmm... scelta difficile… che ne pensi di andare prima di tutto a mangiare della pizza dato che sto morendo di fame, e dopo decidiamo dove andare? -
- va bene. -
Matteo uscì dal bar e io lo seguii.
Ci avviammo verso un motorino. Io avevo sempre avuto paura dei motorini, ma ormai poco mi importava. Già il fatto che stavo uscendo con qualcuno dopo mesi era un passo avanti. Perché non avrei dovuto prendere il motorino?
Lui era già salito e mi stava facendo cenno di mettermi dietro.
- ce l’hai il casco? - chiesi titubante.
- si, sta là dietro. - mi indicò quella specie di porta pacchi. Lo aprii e vidi che ce ne era uno solo.
- ma è uno. -
- lo so. Forza mettitelo, io guido sempre senza. -
- okay. - lo infilai e partimmo.
Fortunatamente non guidava troppo veloce.
Ci fu solo un problema: il mio busto. Avevo il petto attaccato alla schiena di Matteo e ogni volta che frenava sentivo una fitta enorme allo stomaco. Non avevo nemmeno preso la medicina…
Per fortuna il viaggio fu breve.
- bene, siamo arrivati. Questa, secondo me, è la migliore pizzeria della città. -
Entrammo e un cameriere ci mostrò un posto dove sederci.
Una volta seduta decisi che forse era meglio se prendevo la medicina. Ma non volevo farlo davanti a lui.
- scusami un attimo. - presi la borsa e mi diressi al bagno.
Diciamo che era sporco quanto quello dove avevo incontrato per la prima volta Giulia. La fortuna volle che però non ci fosse nessuno. Presi in pace la medicina e ritornai al tavolo.
- tutto bene? - mi chiese come… preoccupato? Forse. Annuii.
- senti, come mai… - stavo per finire la frase ma mi squillò il telefono. - scusami. - dissi imbarazzata.
- tranquilla, rispondi pure. -
Guardai chi mi stava chiamando. E chi poteva essere se non mia madre?
- pronto? -
- tesoro! Dove sei!? Ti sto chiamando a casa, ma non risponde nessuno! -
- è vero, non ti ho detto niente! Un mio amico questa mattina mi ha chiesto se mi andava di uscire ed ora sto con lui. - vidi con la coda dell’occhio che Matteo stava sorridendo.
- davvero?! Sono così felice! -
- si mamma, ma non urlare! - mi stava stordendo un orecchio.
- scusami, ma è da così tanto tempo che non uscivi con qualcuno. -
- già… - sussurrai. - ora scusami, ma vado. -
- va bene tesoro. Divertitevi e salutami il tuo amico. -
- certo. Ciao. -
Misi il telefono in tasca.
Guardai il tavolo e notai che il cameriere aveva portato i menù.
- ti saluta mia madre. -
Matteo alzò lo sguardo dal suo menù.
- oh. Ringraziala appena la vedi e risalutala. - annuii e presi a mia volta il menù. Come al solito avrei preso la pizza bianca e ne avrei mangiati due pezzi. Non sarei sicuramente riuscita a mangiarne di più.
- cosa prendi? - mi chiese.
- la pizza bianca. Tu? -
- bianca? Ma dai, stai in pizzeria, prendila in qualche altro modo. Tanto pago io! -
- prima di tutto la mia pizza la pago io. E poi non ho molta fame. Credo che non riuscirò nemmeno a finirla. -
- vabbè, fai come vuoi. Io prendo la capricciosa. -
Poco dopo arrivò il cameriere e ordinammo.
Rimanemmo per un po’ in silenzio, fino a quando lui non parlò.
- cos’è che dovevi dirmi prima? -
- prima quando? Ah, si. Volevo sapere perché mi avevi chiesto di uscire con te. - dissi un po’ insicura.
- beh, volevo passare un po’ di tempo con te, conoscerti meglio. Penso che sei diversa dalle altre ragazze. - ‘cosa intenderà con “diversa”?’
- oh. - ‘ma sono proprio un genio a rispondere con un “oh”! Non potevo dire qualcosa di più? Ho fatto pure la figura di una deficiente.’
- e te perché hai accettato? - rimasi colpita da quella domanda. Sinceramente non me l’aspettavo.
- non so. Era da tanto che non uscivo, e avrei voluto continuare a farlo, ma tu mi ispiri molta simpatia. Perciò ho accettato. -
- oh. - disse con un sorriso.
In quel momento arrivò il cameriere con la pizza. Era veramente enorme!
- certo che potevano farla un po’ più grande, è minuscola! - rimasi sconvolta dall’affermazione di Matteo, considerando che era serio.
- cosa!? Ma se è enorme! Non ne mangerò nemmeno metà. Se vuoi quella che non mangio te la do a te. -
- mmm… sicura? - annuii. - va bene. Questo è un altro motivo per cui pagherò io. - scossi la testa e iniziammo a mangiare.
Parlammo del più e del meno, scoprendo finalmente perché conosceva mezza scuola: era il capitano della squadra di calcio. E io che pensavo che queste cose ci fossero soltanto nei film americani stile “High School Musical”!
Io non parlai molto, preferii ascoltarlo.
Come previsto mangiai solo due spicchi di pizza, dando il resto a Matteo.
- orasei sazio? -
- no, ho ancorafame. -
- cosa?! Stai scherzando vero? Hai mangiato quasi due pizze! - costatai ridendo.
- non è colpa mia! Ho voglia di gelato. - arrivò il cameriere con il conto e, contro la mia volontà, Matteo pagò tutto.
Uscimmo fuori e ci dirigemmo verso il suo motorino.
- facciamo una cosa. Andiamo ad un bar e ti compri un gelato, che però pago io. - scosse la testa.
- non se ne parla proprio! Cioè, andiamo al bar, questo si, ma pago io. Dopotutto lo predo solo io! - sbuffai.
- tanto prima o poi riuscirò a pagare qualcosa! -
- certo, sogna bella! Dai, Ora andiamo. - salii sulla moto e partimmo.
Tornammo davanti scuola e Matteo prese al bar dove c’eravamo dati appuntamento prima il suo amato gelato.
- ti va di andare un po’ al parco? - mi chiese, mentre risalivamo sulla moto.
- va bene. -
Arrivammo molto velocemente in un parco. Era veramente bellissimo! Era pulito, con altalene, scivoli, dindolò(?) e altri giochi che sinceramente non avevo mai visto prima. Ci sedemmo su una panchina e continuammo a parlare, guardando i bambini giocare.
- non pensi che sono bellissimi? -
- chi? -
- i bambini. Guardali come giocano, ignorando il mondo intero, tutti i problemi e le difficoltà. Sono così ingenui, per loro è tutto rose e fiori. Vorrei tanto poter tornare una bambina. - stavo veramente dicendo quelle cose davanti una persona? Si. Mi sarei voluta sotterrare.
- non credo che per ogni bambino sia tutto rose e fiori. Ci sono tanti che hanno sofferto. - annuii.
- è vero. E te? Come è stata la tua infanzia? - si irrigidì a quella domanda.
- non mi piace molto parlarne, non l’ho mai fatto con nessuno… -
- oh, scusami, non volevo. -
- …ma forse con te potrei fare un’eccezione. -
- come vuoi. Sentiti libero di parlarne o di non farlo. -
- diciamo che non ho avuto la possibilità di stare con i miei genitori. Mia madre è morta dandomi alla luce e mio padre, beh non so se si può definire un padre, non c’era mai a casa, sempre in giro per pub ad ubriacarsi. Ogni tanto, quando ero più piccolo, non riusciva a controllarsi e mi picchiava. Fortunatamente c’è mia zia. All’età di otto anni i servizi sociali sono venuti in casa mia mentre mio padre ubriaco mi picchiava. Dopo un processo, sono andato a vivere da mia zia. E vivo lì tuttora. Non vedo l’ora di finire la scuola così da cercarmi un lavoro. Almeno non le graverò più economicamente. -
- mi dispiace. -
- sai, mi ha fatto bene parlarne con te. Pensavo che tenendo tutto dentro, il dolore sarebbe passato più velocemente. Invece è solo aumentato. Per questo ti ringrazio. -
- io non ho fatto niente. - riflettei sulle sue parole. “Pensavo che tenendo tutto dentro, il dolore sarebbe passato più velocemente. Invece è solo aumentato”. Era successo anche a me. Avevo tenuto tutto dentro inizialmente, pensando che avrebbe fatto meno male. Forse dovevo aprirmi con qualcuno. Con Giulia già lo avevo fatto, ed in effetti mi ero sentita meglio.
Sicuramente non mi sarei aperta con Matteo. Non so, mi ispirava fiducia, ma non abbastanza da dirgli tutto.
- e la tuainfanzia? Tuttarose e fiori? - disse, tornando a sorridere.
- più o meno si. L’unico evento negativo è stata la morte di mio nonno. Ero affezionatissima a lui, mi fece molto male la sua perdita. Ma non sarebbe potuto andare altrimenti. Era malato di cancro. -
Rimanemmo per un po’ in silenzio, poi, verso le quattro e mezza Matteo mi riaccompagnò a casa.
- grazie mille per questa fantastica giornata, davvero. Era da tanto che non mi sentivo così felice. -
- grazie a te che sei venuta. A domani bellissima. - lo salutai con la mano e lui partì, con in testa il casco che gli avevo obbligato a mettere.
 
 
 
 

HEI!!
eccomi con questo nuovo capitolo!
Sinceramente non so che dire, non mi convince tantissimo, ma vabbè, tanto non è che di solito mi piacciono u.u
Spero che comunque a voi piaccia :D
Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite e preferite,
chriseyes e Uffy95  per le loro magnifiche recensioni. *-* VI ADORO!!
Alla prossima :D
Un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 9
*** Promise me that you’ll never be alone with him ***


8 Promise me that you’ll never be alone with him
 
Il giorno dopo stavo andando in classe, quando mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi Federico.
- hei, Cami! -
- ciao Federico. -
- una nuova giornata è iniziata! Non pensi che sia orribile e schifosa come tutte le altre? - scossi la testa.
- non credo sia così orribile. C’è di peggio. -
- dici? Io credo che non c’è niente di peggio che andare a scuola! - ‘certo, come no. E il dolore non lo consideri? Non consideri ad esempio la morte o la malattia? E la violenza? Non pensi che queste sono le cose peggiori della vita?’
- andiamo, la scuola non è così orribile. - iniziò a parlarmi, ma non prestai particolarmente attenzione. Avevo notato in lontananza Matteo, e stavo pensando a lui. ‘è stato così gentile con me, ieri. Forse dovrei andargli a parlare.’
- allora, chi è questo ragazzo che non ti fa ascoltare quello che ti sto dicendo? - chiese Federico, un po’ irritato.
- non c’è nessun ragazzo. - risposi imbarazzata.
- andiamo! Lo so che c’è, si vede chiaramente. - quando Federico faceva così mi ricordava tanto una ragazza.
- beh, è lo stesso ragazzo che l’atro giorno mi ha fatto fare il giro della scuola. Si chiama Matteo. - entrammo in classe e ci sedemmo al nostro banco.
- che classe fa? -
- mmm… ah, si! Fa il quinto C. -
- oddio. Non dirmi che fa di cognome Sandrini. - la sua espressione era particolarmente preoccupata.
- s-si, è lui. C’è qualcosa che non va? - si passò una mano tra i capelli con fare…nervoso?
-ti prego, promettimi che non rimarrai mai più da sola con lui. - ‘cosa!?’
- ma che dia…? -
- promettimelo! -
- prima spiegami il perchè. - da dove usciva tutta quella fermezza non lo sapevo nemmeno io.
- va bene. Non voglio che tu vada in giro con Matteo perché… -
- buongiorno ragazzi! - ‘ma io dico, i professori arrivano sempre in ritardo. Perché proprio quando uno deve parlare arrivano in orario!?’
Federico mi fece cenno con la mano che mi avrebbe spiegato tutto dopo. ‘uff. io volevo saperlo ora!’
- che professoressa è questa? - sussurrai a Federico.
- la Micheloni, non ricordi? - scossi la testa. - oh, andiamo! È la professoressa di matematica. C’era anche ieri. -
- ora che mi ci fai pensare si, ho capito. Grazie. - come risposta ricevetti un sorriso. Per la prima volta mi accorsi che quando sorrideva gli si formava un’adorabile fossetta sulla guancia destra.
Mi ritrovai a sorridere guardandolo, come in trance, fino a quando la voce della professoressa mi riscosse e mi riportò alla realtà.
Abbassai immediatamente lo sguardo, imbarazzata dello star fissando così intensamente una persona. Speravo solo non se ne fosse accorto.
 

FEDERICO

No, non poteva aver già conosciuto Matteo! Il solo pensiero di lei tra le braccia di quel viscido bastardo mi fece ribollire il sangue nella vene.
Dovevo distrarmi.
Se non ci fossi riuscito sarei potuto perfino andare in classe di Matteo e picchiarlo.
L’idea di vederlo coperto di sangue per mano mia mi invitava molto, ma non potevo di certo picchiarlo a scuola! La sospensione sarebbe stata assicurata.
Forse dopo scuola potevo farci un pensierino…
Okay, dovevo distrarmi.
Provai a seguire la lezione. Anche se con la Micheloni era impossibile. Non riuscivo proprio a seguirla, non si capiva niente quando spiegava, parlava stile cane rabbioso.
Se poi quello che faceva si poteva chiamare spiegare! Faceva solo vedere un esercizio e poi ce ne assegnava cinque o sei per casa. Ovviamente diversi e molto più complicati rispetto a quello che aveva fatto in classe.
Guardai Camilla. Come al solito iniziò ad alzarsi in piedi, anche se ormai non ci facevo quasi più caso.
Capii che non sarei mai riuscito a seguire la lezione.
Così decisi di dedicarmi in qualcosa che sapevo fare bene: disegnare.
 

CAMILLA

Iniziai seriamente a preoccuparmi per Federico.
Voglio dire, già fare disegnini durante la lezione non è il massimo. Ma disegnare una persona pestata a sangue è troppo!
A che scopo poi…
- fede. - sussurrai. Lui voltò lo sguardo e mi guardò.
- che c’è? -
- il tuo disegnino…come dire… - lo guardai meglio, per trovare le parole più azzeccate. - non è normale. -
Anche lui lo guardò, e si morse il labbro.
- dici? -
- dico. -
- mmm… - prese una gommetta e cancellò tutto.
‘la gente è proprio strana.’
- che ne pensi se disegno un paesaggio? - rimasi scioccata da quella domanda.
- che ne pensi se ascolti matematica? -
- non ci capisco niente! -
Ignorai quell’ultima affermazione e continuai ad ascoltare ciò che diceva la professoressa.
Guardai l’orologio. ‘dai, manca solo mezz’ora e saprò perché non devo stare sola con Matteo.’
I minuti passarono e mancava veramente poco quando bussarono alla porta. Era una bidella.
- salve. Rossi deve uscire.- ‘cosa!?’
- cosa?! - esclamò lui.
- c’è tua madre. -
- oh, va bene. - ‘uffa! Non è giusto!’
Federico sistemò tutta la sua roba molto lentamente, come se non volesse andarsene.
- guarda che non hai tutto il tempo di questo mondo. - gli sussurrai.
- lo so, ma volevo rimanere un altro po’. Mi dispiace, ma tranquilla, domani ti dirò tutto. -
- va bene. Ciao. -
- ciao. -
Uscì dalla classe dietro la bidella, che si stava alterando particolarmente per la sua lentezza.
La lezione continuò molto noiosamente, non avevo nessun disegnino strano da guardare!
E poi stavo rosicando parecchio, dato che volevo davvero sapere perché non sarei più dovuta rimanere sola con Matteo.
Non riuscivo proprio a trovare una buona motivazione. Era un ragazzo così perbene!
O forse lo sembrava solo…
 
 
 
 
 

HEI!!
Come va?
Spero tutto bene c:
ho impiegato un po’ più di tempo a pubblicarlo, perché non ho avuto tempo.
E poi non avevo idea di come finirlo.
Lo so, questo capitolo è veramente orribile, ma non sono riuscita a fare niente di più.
Spero non vi faccia proprio vomitare.
Prometto che i prossimi capitoli saranno migliori.
E forse proverò a mettere a tutti una canzone.
Mi piaceva veramente molto l’idea che ci fosse tipo una “colonna sonora” ad ogni capitolo.
Bene, adesso basta parlare, dato che sono sicura che vi sto annoiando.
Alla prossima xxx
Un bacio
Giulia
PS: ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia e in particolar modo chi ha inserito la storia tra le seguite, preferite e chi a recensito. VI AMO TUTTI *-*

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Capitolo 10
*** He isn't as he seems ***


9 he isn't as he seems
 
Passai tutto il pomeriggio a ripensare alle parole di Federico.
Perché non dovevo stare da sola con Matteo?
Perché mi diceva tutte queste cose?
Matteo era veramente quello che sembrava, o portava una maschera?
Tutte domande a cui non sapevo dare una risposta.
Per la prima volta non riuscii a concentrarmi sui compiti.
Cosa mi stava facendo Federico?
Altra domanda a cui non sapevo rispondere.

****

Ero allungata sul mio letto, e non riuscivo a dormire. Continuavo a pensare a Federico e alle sue parole e mi stavo innervosendo. Guardai l’orologio: mezzanotte. Mi alzai e presi il mio amato Ipod. Poi misi la canzone di uno dei miei cantanti preferiti.

 
Give a little time to me
We’ll burn this out
We’ll play hide and seek
To turn this around
And all I want is the taste
That your lips allow

 
Come al solito Ed Sheeran riusciva sempre a calmarmi con la sua voce meravigliosa. Ascoltai circa una decina delle sue canzoni, fino all’una, orario nel quale mi addormentai.

****

La mattina successiva mi svegliai nervosa.
Andai in cucina e, per la gioia di mia madre, feci colazione.
- t-tesoro! - mi disse quando entrò in cucina, mentre mangiavo il secondo cornetto.
- che c’è, ho fatto qualcosa di male? -
- n-no, è solo che stai mangiando senza che io ti dica niente! - scrollai le spalle.
- sono nervosa. E quando sono nervosa mangio. -
Dopo aver mangiato andai a cambiarmi.
Dato che era presto, mi sedetti sul divano, ed aspettai che mia madre si preparasse.
Arrivai a scuola in dieci minuti.
- buona giornata tesoro. -
- grazie mamma!
Una volta entrata a scuola non vidi ne Federico ne Matteo, così misi un paio di cuffiette ed entrai in classe.
- ecco miss cuffiette! - direi che fu Sara a parlare.
- mi stavo già preoccupando, oggi è arrivata in ritardo! - ‘certo, non prendetemi in giro, io non sto qua!’
- hei, Milla! - mi girai e vidi sulla porta Federico.
- Fede. Come stai? - chiesi, mentre toglievo le cuffiette.
- bene, e tu? -
- tutto bene. - un falso sorriso apparve sul mio volto per rendere più credibile la mia affermazione.
- la smetti di mentirmi? - mi irrigidii. Era la prima persona che notava la mia falsità. Forse perché quando stavo vicino a lui la sua presenza mi mandava in confusione e non riuscivo a dire niente di credibile.
- io non ti sto mentendo! -
- certo, come no! Lasciamo stare. - volevo controbattere, ma non sapevo esattamente cosa dire. Alla fine aveva ragione lui. Iniziò a tirare fuori i libri e i quaderni.
- senti, ora mi potresti spiegare perché non dovrei stare con Matteo da sola? Mi è sembrato un bravo ragazzo molto premuroso. L'altro giorno siamo usciti anche insieme e mi ha accompagnato a casa. - si bloccò di colpo.
- c-cosa?! -
- hai capito bene. Ora potresti spiegarmi cos'hai contro di lui? - prese un respiro profondo.
- Matteo non è come credi. Ti sembra carino, simpatico, dolce, premuroso e tutti gli aggettivi positivi che ti vengono in mente, ma non è così. È un bastardo, che approfitta dei ragazzi più deboli. Per non parlare delle ragazze... - vidi che stava serrando i pugni. - per favore stai lontana da lui, non voglio che ti faccia del male. - la domanda mi sorse spontanea.
- perché? - alzò un sopracciglio.
- cosa perché? -
- perché mi dici queste cose? Perché ti preoccupi per me? -
- mi sembra ovvio! Sei una mia amica, e anche se ci conosciamo da solo una settimana, sento che sei diversa, in senso positivo. Non voglio che tu soffra. -
- oh. - riuscii a dire solo questo. Il mio cervello non connetteva più, pensavo solo al fatto che Federico mi stesse capendo senza che dovessi spiegargli niente. "non voglio che tu soffra" quelle parole forse per qualcuno potrebbero sembrare frasi fatte. Ma per me avevano un significato particolare.
Perché avevo già sofferto.
Sapevo cosa voleva dire soffrire.
Non come alcune ragazze viziate che dicono di soffrire quando i genitori non le fanno uscire il sabato sera.
Io avevo provato un dolore vero.
La mia pelle lo aveva provato.
Ma soprattutto il mio piccolo fragile cuore lo aveva provato.
- io ti ringrazio, perché ti preoccupi per me, ma non credo che Matteo sia come tu mi hai appena detto. Cioè, con me è stato così carino. -
- te l’ho detto, lui fa finta di essere carino, ma in realtà è un approfittatore. -
 

FEDERICO
 

Perché mi preoccupavo così tanto di lei?
Perché non riuscivo a sopportare che Matteo le girasse intorno?
Non lo sapevo.
Sapevo solo che lei aveva ribaltato tutto il mio mondo in pochissimi giorni. Non riuscivo a starle lontano. Ogni volta che cercava di sviare qualche discorso che riguardava lei, provavo sempre più interesse nei suoi confronti. Volevo sapere cosa aveva, cosa le era successo. Non sopportavo vederla triste. Ma sapevo che lei non mi avrebbe mai detto niente di sua spontanea volontà. L’avrei dovuta capire piano piano, passo dopo passo. Ce la potevo fare, ce la dovevo fare. Volevo farle sapere che ci sarei sempre stato, che non l’avrei mai lasciata sola. Lei si poteva fidare di me.
In quel momento ebbi paura.
Paura che lei potesse non seguire il mio consiglio.
Paura che lei potesse andare appresso a Matteo.
Paura che lui potesse sfruttarla.
Paura che lui la trattasse male.
Se fosse successo non mi sarei mai perdonato. Avevo promesso a me stesso che avrei fatto in modo che lei non soffrisse, e non soffrirà.
Lei non lo meritava.
Non meritava di soffrire.
- oggi sei libera? -
- cosa? -
- ho detto: oggi sei libera? -
- s-si, perché? - chiese titubante.
- non ricordi cosa ha detto il professore il secondo giorno di scuola? Ti devo aiutare a recuperare il programma. Quindi, se oggi non hai da fare potremmo vederci. -
- sei sicuro? -
- e di cosa, scusa? -
- di volermi aiutare. Non sei obbligato. -
- ti ricordo che mi sono messo io vicino a te, nessuno mi ha costretto. - ci pensò un po' prima di rispondere.
- va bene. Facciamo a casa mia? -
- perfetto. Alle quattro sono da te. -
- poi ti dico la via. - le sorrisi. In quel momento entrò il professore.

****

Durante la ricreazione vidi Camilla uscire dalla classe. Probabilmente andava da quella sua amica Giada…Giulia…si, vabbè, avete capito.
Così andai dai miei amici.
- sembra che qui stia per nascere una nuova coppia! - Damiano, sempre il solito. Scoppiarono tutti a ridere. 'Ma che vi ridete?' - dove sarà il vostro appuntamento? Al cinema o al parco? - continuarono tutti a ridere.
- non per niente, ma credo che non ci sia nulla da ridere in quello che quel deficiente ha detto. -
- e invece ce ne è eccome! - rispose Claudia. - soprattutto perché quella là ti piace! - ma come si permetteva di chiamarla 'quella là'?!
- intanto quella là ha un nome, Camilla. E poi non mi piace! -
- e allora perché continui a parlarle? - chiesero un po' tutti. Perché due ragazzi che si parlano si piacciono per forza!
- perché è una mia amica. Conoscete questa parola? A M I C A. Comunque non è carino il vostro comportamento nei suoi confronti, la ignorate e la insultate. E se succedesse a voi? -
- nessuno ci insulterebbe mai! - 'ma quanto può essere stupido Damiano?'
- perché? Chi siamo noi di così importante? Non siamo nulla. - e detto questo mi allontanai da loro. A volte erano proprio stupidi, non li sopportavo. Anzi, non li sopportavo mai. Non sapevo nemmeno perché ero loro amico. Ah, è vero. Solo perché erano amici di Simone. 'Credo sia il momento di cambiare comitiva, se non voglio diventare superficiale e crudele come loro.'

 
CAMILLA

 

Durante la ricreazione andai da Giulia. Stranamente non la trovai al bagno.
- hei! - mi voltai e la vidi fuori il bagno.
- ciao. Oggi non… - dissi indicando il bagno.
- no. Voglio smettere, soprattutto di farlo a scuola. È difficile, ma ce la devo fare. -
- sappi che per qualsiasi cosa starò qui per te. -
- grazie. - si avvicinò per abbracciarmi.
- ti prego, fai piano… - sussurrai. Lei annuì.
- stai tranquilla, me lo ricordo. - l’abbracciai. Da quanto tempo non abbracciavo un’amica? Mesi.
- ti va di fare un giro in cortile? - le chiesi.
- va bene. Sai, in due anni non ci sono mai andata. -
Scendemmo giù, e passammo tutto il tempo della ricreazione a parlare del più e del meno. La trovavo sempre più simpatica, mi piaceva passare il tempo in sua compagnia.
- un giorno dovremmo vederci anche fuori scuola. - propose.
- sarebbe fantastico! - e lo pensavo davvero.
Dopo poco suonò la campana.
- meglio se saliamo. -
- si, hai ragione. Allora ci vediamo domani, io salgo da quella scala. - e così dicendo mi indicò la scala a destra. Io salivo da quella a sinistra.
- certo. Ciao! - mi sorrise e si allontanò.
Le lezioni continuarono tranquillamente, fortunatamente non ci fu nessuna interrogazione.
All'uscita diedi il mio indirizzo a Federico e mi incamminai verso l'atrio esterno. Lì, come previsto, c'era mia madre. Salii silenziosamente in macchina e partimmo. Rimanemmo in silenzio per quasi tutto il viaggio. Le dissi solo che il pomeriggio sarebbe venuto Federico.
- davvero? Oh, è stato così gentile da parte sua! - annuii e basta.
Una volta a casa mi allungai sul letto, mentre accarezzavo Micky.
- oggi viene a casa un mio compagno di classe. Non farti strane idee, okay? - come al solito ricevetti un 'miao' come risposta. Misi un paio di cuffiette e mi addormentai.
Mi risvegliai solo a causa dello squillo del citofono. 'Bene, Federico è arrivato e io mi sono appena svegliata! Farò sicuramente una brutta figura se mi presento così.' corsi al bagno. Il mio viso faceva paura come al solito, ma i capelli erano molto disordinati. Mi lavai la faccia e sistemai i capelli il meglio possibile.
- tesoro, vieni qui! È arrivato il tuo amico! - scesi velocemente le scale e vidi Federico davanti alla porta che mia madre stava chiudendo. Era veramente da mozzare il fiato e in più i capelli leggermente spettinati gli conferivano un'aria molto sexy. 'Ma cosa vado a pensare...'
- ciao. - dissi a bassa voce.
- hei! - 'beato lui, così sicuro di se stesso...' gli sorrisi, e lui ricambiò.
- possiamo andare in camera mia per fare i compiti. -
- ti seguo. - salimmo velocemente le scale e lo feci entrare nel mio piccolo "rifugio".
- bella la tua camera! Non me la aspettavo di azzurra! Pensavo più sul rosa o qualcosa del genere. -
- odio il rosa... -
- bene, questo vuol dire che ti conosco benissimo! - risi. Fu una risata più finta che vera, ma nessuno se ne accorgeva, ero diventata esperta. - iniziamo subito? - annuii.
- prendo i libri e vengo. - andai in corridoio per prendere il libro e il quaderno di matematica. Usai le braccia per portarli nella mia camera. Pessima idea. Un dolore percorse le mie braccia e i libri caddero a terra.
- cosa è successo?! - Federico si alzò di scatto dalla sedia sulla quale si era seduto e venne a darmi una mano per raccogliere i libri.
- niente, mi sono solo scivolati. - dissi imbarazzata.
- perché ti fanno male la schiena e le braccia? - 'ma gli affari tuoi mai, vero?'
- te l'ho già detto. Ho un problema alla schiena. -
- e le braccia? -
- non mi fanno male, mi sono solo caduti i libri. Può succedere a chiunque. -
- non è vero. Hai un problema alle braccia. Lo so anche perché quando il secondo giorno di scuola ti ho preso per un polso hai fatto una smorfia dal dolore. - ' che memoria! Però, mi dispiace, non lo sopporto più. Forza Camilla, trova una scusa credibile.'
- hai ragione, le braccia mi fanno male. Ma non ho nessun problema grave, tranquillo. È che…sono caduta da un cavallo… - non lo avevo convinto per niente, lo si vedeva dall'espressione. 'Voglio dirgli la verità. Ma se poi si spaventa? Se…se ne va e mi lascia sola? Non potrei sopportarlo.'
- mmm... Vabbè. - inarcai il sopracciglio.
- non mi credi? - come avrebbe potuto credermi? Era comunque una balla enorme quello che gli avevo detto.
- no, per niente. Ma farò finta che sia vero dato che tanto la verità non me la dirai mai. -
- vedo che capisci in fretta. I miei complimenti. - mi fece la linguaccia.
Ci alzammo e iniziammo a studiare.

****

- ma ti rendi conto che sei te che devi aiutare me e non io che devo aiutare te?! - esclamò dopo un bel po’ che stavamo studiando. Scoppiai a ridere.
- beh, succede! -
- no, non deve succedere. Cioè, io ti dovrei aiutare perché stai più indietro, invece ora tu stai spiegando a me le cose che non ho capito con la Micheloni! -
- non ti preoccupare, sono felice di aiutarti. -
Diede un veloce sguardo all’orologio.
- o cavolo! -
- che c’è? -
- ho promesso a mia madre che sarei tornato a casa per le sette e mezza, ma ora sono le otto! -
- s-se vuoi puoi rimanere a mangiare qui. - lo stavo dicendo davvero?
- grazie mille per l’invito, ma dobbiamo uscire a cena con degli amici. Per di più noiosi! Ma chi me lo fa fare! Quasi quasi ci ripenso… - disse ridendo. - vabbè, seriamente. Devo proprio andare. Strano che non mi abbiano già chiamato! -
- emm… non per niente, ma hai il telefono spento. -
- ma posso essere così deficiente!? Vabbè, lasciamo stare. Ora vado, ci vediamo domani. -
- si, ciao. - lo accompagnai alla porta e quando uscì, salii in camera mia. Mi allungai sul letto sorridente, e piano piano mi addormentai.
 
 




 

 
HEI!!!

Scusatemi se non ho pubblicato prima, ma non avevo idee.
Poi mi sono venute e il PC mi si è riavviato.
Si era cancellato tutto!!!!
Fortunatamente alcune cose ce le avevo salvate anche da un’altra parte, così non l’ho dovuto riscrivere tutto.
Spero che questo capitolo vi piaccia!
Come promesso è più lungo, mi ci sono impegnata u.u
Alla prossima
Un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 11
*** She is important to me ***


dico subito che in questo capitolo la storia non va avanti, volevo solo far capire più o meno quello che prova Federico  c:
 


10 She is important to me

 
FEDERICO

 
Quella ragazza mi mandava in tilt.
Se avevo lei vicino non riuscivo più a connettere.
Avevo fatto anche la figura del perfetto deficiente, quello che si scorda pure di avere un impegno.
Ma a me sinceramente di quell’uscita non importava.
Sarei voluto rimanere lì, vicino a Camilla per sempre.
Il modo con cui spiegava era fantastico, avevo capito tutto perfettamente.
Ma alla fine non mi importava nemmeno quello.
Era fantastico vederla scostare i capelli biondi che delicati le ricadevano sulla guancia.
Vederla sorridere mi faceva perdere almeno un battito.
Quando girandosi verso di me, perché mi ero incantato a guardarla, incontrava il mio sguardo, lo distoglieva in imbarazzo, mi faceva sorridere.
E quando si mordicchiava il labbro inferiore non riuscivo a non pensare di volerla prendere tra le mie braccia e baciarla.
Ormai era chiaro e tondo: mi piaceva. Eccome se mi piaceva!
Me lo aveva ripetuto anche Simone svariate volte: “amico mio, ti sei preso una bella sbandata per quella là!”
E tutte le volte che lo riprendevo perché la chiamava “quella là” mi diceva che quella era la conferma.
Ed era vero. Mi piaceva veramente.
Non riuscivo a stare senza di lei.
Quando si allontanava sentivo dentro di me come un vuoto.
Non mi era mai successo di provare queste sensazioni.
Ero stato con tante ragazze, ma nessuna mi aveva fatto sentire in quel modo.
Nessuna mi toglieva il fiato ogni volta che sorrideva.
Nessuna mi faceva battere il cuore all’impazzata appena la vedevo.
A nessuna mi ero affezionata così tanto in così poco tempo.
Lei era speciale.
Era diversa.
Era importante per me.
Era diventata il mio tutto.
Il suo sorriso debole, spesso finto per nascondere il dolore, era il mio ossigeno.
Mi serviva per andare avanti.
Cosa mi stava facendo Camilla?
Non lo capivo, ma mi stava cambiando…
****
Tornai a casa da quella noiosissima cena verso l’una.
Ma non avevo ancora sonno. Così presi il mio mp3 e misi una canzone dei Simple Plan.
 
No matter what I do
I can't make you feel better
If only I could find the answer
To help me understand

 
Qualsiasi cosa facevo non riuscivo a farla parlare. Teneva tutto dentro e soffriva. Avrei tanto voluto farla stare meglio…
 
Sometimes I wish I could save you
And there's so many things that I want you to know
Volevo salvarla, salvarla da quella situazione di totale tristezza che l’opprimeva. Le avrei voluto ripetere un milione di volte che di me si poteva fidare e che l’avrei aiutata qualsiasi cosa fosse successa.
 
I want you to know that
If you fall, stumble down
I'll pick you up off the ground
If you lose faith in you
I'll give you strength to pull through
Tell me you won't give up
Cause I'll be waiting if you fall
You know I'll be there for you

 
‘Io ci sarò per lei. L’aiuterò nei momenti di difficoltà. L’aiuterò a superare quel dolore che l’affligge. Se cadrà io starò lì per aiutarla a rialzarsi, più forte di prima. Se perderà la fiducia in se stessa, la aiuterò a ritrovarla. Cercherò di far svanire tutta la sua insicurezza  che la sminuisce. Non voglio più vederla triste. Voglio solo farla sorridere. Riuscirò prima o poi a far smettere ai nostri compagni di classe di insultarla, perché una ragazza come lei non merita di ricevere così tante offese.’
Con tutti questi pensieri in mente mi addormentai, sorridendo come un ebete.
****
Il giorno dopo mi svegliai senza la minima voglia di andare a scuola.
Si ben chiaro, a me non va mai di andare a scuola, ma quel giorno non mi andava particolarmente. Avrei voluto dormire di più di cinque povere ore!
Mi girai dall’altra parte del letto, dando le spalle a mia madre che provava a farmi alzare.
- Federico, forza! Non farmi arrabbiare e alzati! -
- non mi va… -
- devi andare a scuola! Guarda che se non ci vai ti tolgo la PSP! - appena pronunciò quelle parole, scattai in piedi. Io, senza PSP, non vivo! - bravo, così ti voglio. Ora vai a fare colazione. -
Scesi le scale e andai in cucina. Lì trovai mio fratello, intento a mangiare dei cereali.
- hey Giacomo! - alzò lo sguardo dalla tazza e mi guardò sorridendo.
- fratellino, ben svegliato! Cosa ti porta qui a quest’ora? -
- la minaccia di non poter più avere la PSP. - borbottai.
- eh, quando avevo la tua età… -
- e non parlare così, mi ricordi tanto un vecchietto! Ti ricordo che comunque hai solo tre anni in più di me, non venti! - scoppiammo a ridere.
- va bene, va bene. Volevo solo dirti che la mamma usa sempre questa minaccia, la usava anche con me. -
- sai che me ne frega! - esclamai mettendo in bocca un cucchiaio di cereali. ‘chissà se a Camilla piacciono…’
- scusami! Oggi siamo nervosetti, eh? - lo fulminai con lo sguardo. - allora, chi è la ragazza? -
Per poco non mi fece strozzare con i cereali. Li sputacchiai tutti sulla tovaglia, senza curarmi del fatto che mia madre l’aveva appena messa.
- c-cosa?! -
- oh, andiamo, c’è una ragazza, si vede! Da quando è incominciata la scuola hai sempre la testa tra le nuvole e sei nervoso. Tu non sei MAI nervoso. Lo sei solo se non sai come comportarti con qualcuno. Anzi, qualcuna. - calcò particolarmente la “a”.
- va bene, c’è una ragazza. Ma non saprai di più. - e così dicendo mi alzai, lasciando Giacomo a bocca aperta.
Andai in camera mia e prendendo la prima maglietta e il primo paio di jeans che trovai, mi diressi verso il bagno, dove mi feci una doccia fredda.
In una mezz’oretta ero pronto e, senza aspettare mio fratello, uscii e andai a scuola.







HEI!!
eccomi qua con questo nuovo capitolo.
in realtà stavo scrivendo un altro capitolo, ma poi mi è venuto in mente di far parlare solo Federico e quindi è uscito questo :)
spero vi piaccia!
alla prossima c:
un bacio xxx
Giulia
PS: grazie a tutti quelli che hanno recensito e a chi a messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate. <3
PPS: non so se aggiornerò prima, quindi
BUONA PASQUA!!!!!

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Capitolo 12
*** We used to be a wonderful team ***


11 We used to be a wonderful team
 
Sabato.
Il sabato prima era uno dei miei giorni preferiti della settimana. Era uno dei giorni in cui mi allenavo. Lo so che è strano allenarsi di sabato, ma a noi piaceva così. Ormai non era più uno dei miei giorni preferiti, dato che non potevo più giocare. Ci stavo male, dato che amavo la pallavolo.
Era la mia passione più grande.
Era la mia valvola di svago.
Era la mia seconda casa.
Era il luogo dove mi rifugiavo nei momenti di tristezza.
Ma non avrei potuto riprendere a giocare mai più. Il mio corpo non me lo avrebbe permesso, era troppo lacerato. Ma volevo veramente bene alle mie compagne di squadra.
Loro erano le sorelle che non avevo mai avuto. E l’allenatore il mio migliore amico.
Lasciarli per me era stato doloroso, ma piano piano ci si abitua anche al dolore, no? Beh, la mia risposta era no. L’uomo non riesce ad abituarsi a soffrire. E io di certo non ero l’eccezione. Come scusa avevo detto che avevo dei problemi alla colonna vertebrale, e che la pallavolo era proprio sconsigliata. Non volevo che loro sapessero della mia situazione. Perché poi quando la gente sa, ti compatisce. E io odiavo essere compatita. Ma mi piaceva comunque andarle a trovare. Così tutti i sabati le andavo a vedere. E poi mi dicevano che non ero masochista. Andavo a soffrire di mia spontanea volontà, perché io adoravo giocare a pallavolo con le mie amiche. Loro c’erano sempre per me, non se ne andavano mai. Se avevo bisogno di aiuto andavo da loro senza esitare. Mi capivano meglio di chiunque altro. E l’allenatore, Michele, mi aiutava sempre. Capiva quando una giornata era storta e mi aiutava a non pensare a niente inventando esercizi strampalati sul momento.
Sfortunatamente era ancora mattina, avrei dovuto aspettare tutto il giorno prima di poter andare in palestra.
Così, senza lasciare i miei pensieri, mi incamminai verso l’ingresso della scuola.
- Camilla! - sobbalzai. Mi voltai e vidi Matteo. - tutte le volte che ti saluto salti, eh? - arrossii immediatamente.
- n-non me l’aspettavo, tutto qui. - lui come risposta mi sorrise.
- allora, oggi hai da fare? - in quel momento avrei tanto voluto dire di no. Volevo stare con lui, anche perché mi ero completamente dimenticata dell’avvertimento di Federico. Ma avevo proprio bisogno di andare in palestra per liberare la mia mente.
- mi dispiace, ma oggi pomeriggio devo uscire. - il suo volto si rabbuiò.
- oh. -
- dai, sarà per un’altra volta. - sorrise immediatamente.
- ci conto. - quel sorriso lo avevo già visto…ma non mi ricordavo dove… e anche quegli occhi, ora che ci facevo caso…
- è meglio se vado in classe. -
- va bene. Ci si vede in giro! - si avvicinò, ma prima che potesse darmi un bacio sulla guancia, mi scansai e andai dritta in classe, lasciandolo in mezzo al corridoio con la bocca spalancata.
Entrai velocemente in classe e mi sedetti al mio banco, senza mettere le cuffiette. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla mia sedia.
- hei! - lo guardai. Era alto, molto alto. Capelli biondo cenere e occhi marroni. ‘mi sembra che si chiama Nicola, o forse Fabio. No, Fabio è quell’altro. Allora lui è sicuramente Nicola!’
- ciao. -
- posso? - chiese indicando la sedia accanto alla mia.
- certo. - si sedette e mi guardò.
- lo so che probabilmente non ti ricordi il mio nome, anche perché non ci siamo mai parlati. Quindi, facciamo come se fosse il primo giorno di scuola. Piacere, mi chiamo Simone. - ‘ma quanto sono brava con i nomi!’
- Camilla. - risposi sorridendo. Fortunatamente non volle stringere la mano.
- allora Camilla, come ti trovi in questa scuola? -
Iniziai a chiedermi perché quell’improvviso interesse.
- bah, tutto bene. - mentii.
- e in questa classe? C’è qualcuno che ti sta antipatico? -
- perché tutte queste domande? - chiesi mentre alzavo il sopracciglio.
- non si risponde ad una domanda con una domanda! - sbuffai.
- no, mi state tutti simpatici. Ora mi rispondi? -
- voglio conoscerti, tutto qui. Sai, mi sono comportato molto male insieme ai nostri compagni di classe, dato che non ci siamo presentati. Volevo rimediare. -
- beh, io credo che c’è un motivo preciso se mi hai chiesto se trovo qualcuno antipatico. Perché Sara non è venuta a parlarmi di persona? - sbarrò gli occhi. ‘colpito e affondato.’
- la chiamo. - si alzò a testa bassa e andò verso il gruppetto dei suoi amici.
Dopo poco vidi Sara avvicinarsi al mio banco.
- cosa volevi sapere? - le chiesi senza tante cerimonie.
- cosa trova Federico in te? Perché ti sta sempre appresso? Perché non mi considera più? Per lui ora esisti solo te! - diretta come me!
- non dovresti farle a lui queste domande? - alzò un sopracciglio.
- e secondo te mi risponderebbe? - ci pensai un attimo. Poi scossi la testa.
- guarda, io non lo so perché non ti considera più, ma penso che ci tenga a te. Prova a non assillarlo e vedrai che piano piano tornerà da te. -
- non ci credo. -
- come? -
- non ci credo! È troppo impegnato con te per considerare me. Non è giusto. -
- se ti piace dovresti dirglielo. -
- cosa!? -
- hai capito bene. Non è tenendoti tutto dentro che risolverai questa storia. -
- sono sicura che me lo stai dicendo così che poi ce l’hai tutto per te perché inizierà ad ignorarmi ancora di più! - volevo rispondergli, ma in quel momento entrò Federico.
- hei Milla! -
Già le cose erano complicate, ora ci si metteva anche lui!
- ciao Fede. - mi sorrise, per poi guardare Sara.
- Sara. -
- Federico. - ‘Ciuchino! Ma dai, invece di dirvi solo i nomi, anche perché vi conoscete, parlate! E che diamine!’
- io devo andare al bagno… - dissi alzandomi in piedi. Ma in quel momento entrò la professoressa. - non importa, me la tengo. - ‘sono proprio Ciuchino…’
Sara tornò al suo banco con del fumo che le usciva dalle orecchie mentre io mi risedevo sulla mia sedia.

****

La lezione di latino mi stava annoiando particolarmente. Non riuscivo a stare attenta alle parole della professoressa, così decisi di limitarmi a disegnare. ‘Federico mi ha proprio contagiata…’
- Camilla, potresti venire alla lavagna a risolvere questo problema? - ALT! Non stavamo facendo latino? Guardai la professoressa: era senza dubbio la Micheloni. Guardai il mio banco e il libri che c’erano sopra erano di matematica. Okay, ero messa proprio male…
Prima che la professoressa si alterasse maggiormente, mi alzai e andai alla lavagna, prendendo il libro che mi porgeva. Stranamente la fortuna era dalla mia parte: sapevo risolvere il problema!
Lo svolsi in un paio di minuti correttamente, per poi ridare il libro alla professoressa e sedermi al banco.
- Camilla, sai che sei particolarmente portata per la matematica? Invece di prendere ripetizioni da Federico, dovresti dare ripetizioni a lui! - disse, con il suo tono stile cane rabbioso. Decisi di affidarmi alla tecnica “sorridi e annuisci”. Dopotutto che le dovevo dire? Si, basta che non mi sbrana, o no, ma sono tutta pelle e ossa e non trova niente da mangiare?
Scossi lievemente la testa per ridestarmi da quegli stupidi pensieri e iniziai a seguire con attenzione la lezione.
L’ora passò velocemente, come la lezione successiva e la campanella che segnava l’inizio della ricreazione non tardò ad arrivare.
Prima che Federico riuscisse a fermarmi, riuscii ad uscire dalla classe.
 

FEDERICO

 

‘Diamine! Ero quasi riuscito a fermarla, perché se ne è dovuta andare così di corsa?’
Sicuramente sarebbe tornata alla fine della ricreazione, e a quel punto non avrei più potuto chiederle di uscire con me quel pomeriggio. Sicuramente se aveva un po’ di preavviso ci sarebbero state più possibilità che accettasse, ma se glielo dicevo così, all’uscita, avrebbe rifiutato.
Ci rimasi veramente male, volevo uscire con lei e passare un intero pomeriggio solo noi due. L’avrei portata a mangiare qualcosa, poi avremmo passeggiato per un po’ fino ad arrivare in un parco… Lo so, mi starete prendendo per un pazzo che ha già organizzato un’uscita senza nemmeno sapere se ci sarà, ma che ci posso fare? Volevo veramente uscire con lei, ma i miei piani erano andati a farsi friggere… ‘ma sentiti parli come un vecchietto!’ okay, stavo impazzendo. Ridursi a parlare da soli è grave, molto grave.
 

CAMILLA

 

Andai velocemente in cortile, dove sapevo avrei visto Matteo, anche perché lo avevo notato sia quando ero scesa con Giulia, sia nei giorni passati dalla finestra dell’aula.
Volevo stare un po’ con lui, dopotutto mi aveva chiesto di uscire già due volte. Forse era veramente interessato a me. E volevo anche rimediare al fatto che non potevo uscire con lui il pomeriggio. Volevo conoscerlo meglio, capire che tipo di ragazzo era. (Sfortunatamente avevo completamente dimenticato l’avvertimento datomi da Federico.)
Lo trovai proprio difronte alla porta che dava sul cortile. Si trovava con tre amici e stava fumando una sigaretta. Storsi il naso per quel particolare: odiavo il fumo, danneggia soltanto. Andai verso di lui e mi fermai appena mi vide. Che facevo? Andavo da lui e gli dicevo: “guarda volevo passare un po’ di tempo con te, se per favore mandi via questi gorilla che ti stanno vicino che mi danno parecchio fastidio, grazie!”? lui mi sorrise, facendomi cenno di avvicinarmi. Non me lo feci ripetere due volte e andai da lui, anche se un po’ titubante.
- hei Cami! Cosa ti porta qui? - mi chiese, buttando via la sigaretta (fortunatamente).
- niente, avevo pensato di fare un giro… - risposi, cercando di sembrare il più tranquilla possibile.
- che maleducato che sei Matteo! Non ci presenti nemmeno la tua amica? - chiese uno dei due gorilla. Si, gorilla gli si addiceva proprio! Ora che li vedevo da più vicino potevo constatare che erano alti più o meno due metri, e avevano le spalle particolarmente ampie. Incutevano un po’ paura.
- scusatemi. - disse Matteo, alzando le mani. - lei è Camilla. Camilla, loro sono Giulio, Samuele e Michele. - sorrisi a tutti quanti, cercando di non far notare il mio imbarazzo.
- te la sei scelta proprio bene! - esclamò Samuele.  
- io…io non sono… cioè sono solo una… non… - non riuscivo a dire una frase di senso compiuto. Alzarono tutti quanti un sopracciglio, non riuscendo a capire quello che provavo a dire.
- sta cercando di dire che non è la mia ragazza, deficienti! Non ci vuole molto! - esclamò Matteo.
- oooooh. - mugugnarono un po’ tutti.
- lasciali stare, sono stupidi. Allora, dato che non possiamo vederci oggi pomeriggio, ti va di fare una passeggiata ora? - annuii entusiasta. Sia perché volevo stare con lui, sia perché volevo allontanarmi da quegli scimmioni il prima possibile. - noi andiamo. - disse poi rivolgendosi ai suoi amici.
- è stato un piacere conoscervi. - sussurrai.
- il piacere è stato tutto nostro, bellezza! - disse Giulio. Quei ragazzi mi ispiravano tutto tranne simpatia. Matteo mi si avvicinò e iniziammo a passeggiare per i corridoi. Mi sentivo molto meno in imbarazza rispetto a quando mi fece fare il giro della scuola. Forse anche perché eravamo già usciti insieme.
- allora, come ti trovi in questa scuola? - chiese apparentemente indifferente, ma sentivo che c’era un motivo per cui mi stava facendo quella domanda. Come era successo con Sara.
- bah, tutto bene, dai! Pensavo peggio! - dissi sorridendo.
- sono felice che ti trovi bene. Sono sicuro che hai già un corteo di ragazzi appresso. Una ragazza bella come te non si può non corteggiare! - diventai incredibilmente rossa.
- no, macchè! E poi non sono una bella ragazza! -
- scherzi? -
- su cosa? Riguardo il fatto che non ho nessun ragazzo che mi viene dietro, o riguardo al fatto che non sono bella? -
- riguardo a tutte e due! - esclamò.
- no. Non scherzo su nessuna delle due. -
- beh, io penso che sei una ragazza bellissima, anzi, meravigliosa. E sono molto felice che non hai nessun ragazzo a cui piaci, così avrò campo libero. - si avvicinò molto a me. Iniziai a tremare per quella vicinanza che non mi piaceva per niente. Mi ritrovai appoggiata al muro, le braccia di Matteo vicino al mio viso, come a bloccarmi il passaggio. Si stava avvicinando troppo per i miei gusti, ma non riuscivo a spostarmi.
Sentii uno squillo.
In quel momento benedii le campanelle della scuola!
- scusami, ma devo andare. - mormorai. Matteo tolse le braccia e mi fece passare. - ci… ci vediamo in giro. - annuì leggermente. Non aspettai altra risposta, mi avviai verso le scale e iniziai a salire i gradini velocemente per evitare di arrivare tardi a lezione.
 

MATTEO

 

‘Maledizione! C’ero così vicino!’
Ero particolarmente arrabbiato. Nessuna ragazza si era mai permessa di dirmi che doveva andarsene! Tutte mi pregavano per stare con loro, ma lei no! Preferiva una lezione a me! Ma da una parte la capivo. Era solo spaventata. Ma ero sicuro che sarei riuscito ad averla, in un modo o nell’altro. Anche perché era venuta da me di sua spontanea volontà. Sicuramente le interessavo, e la storia che avevo inventato riguardo la mia famiglia aveva fatto il suo lavoro…
 

CAMILLA

 

‘finalmente è finita!’ questo, fu il mio primo pensiero appena sentii il suono dell’ultima campanella. Come vedete amavo la scuola!
La prima settimana era andata, ora mi sarei potuta riposare tutta la domenica!
Uscii di corsa dalla classe e andai fuori, dove individuai immediatamente la macchina di mia madre.
- mamma! - le diedi un bacio appena seduta sul sedile.
- tesoro, a cosa devo tutta questa felicità? -
- oggi è sabato! - esclamai, mentre mi si illuminavano gli occhi.
- è vero, me ne ero dimenticata! Allora è meglio sbrigarsi. - aggrottai la fronte.
- perché? -
- non ricordi? - scossi la testa. - oggi gli allenamenti sono anticipati alla tre e mezza! -
- giusto! Allora vai, vai! - urlai. Mia madre scoppiò a ridere, mentre toglieva il freno a mano.
Arrivammo a casa in un paio di minuti. Mangiai al volo un pezzo di pane e andai quasi correndo in camera mia. Presi la mia borsa e mi catapultai in salone.
- sono pronta! - mia madre alzò un sopracciglio.
- prima di tutto, è solo l’una e mezza. Secondo, devi mangiare! - sbuffai.
- ho già mangiato! -
- e cosa, sentiamo! -
- un pezzo di pane… - mormorai.
- corri in cucina e mangia! - feci ciò che mia madre mi aveva chiesto, anzi imposto, di fare e poi andai in camera mia.
Dato che mancava parecchio, decisi di ascoltare un po’ di musica.

No, I'm not saying I'm sorry
One day maybe we'll meet again
No, I'm not saying I'm sorry
One day maybe we'll meet again

I 30 Seconds to Mars erano fantastici. Le loro canzoni mi mettevano allegria e carica.
Mi alzai dal letto sul quale mi ero buttata e iniziai a ballare per la mia camera. La musica riusciva a farmi dimenticare tutto. In quel momento mi sentii una semplice adolescente che vive tranquillamente la sua vita, senza problemi, senza ansie, senza paure.
Dopo un po’ sentii bussare alla porta.
- tesoro, sono le tre e venticinque. - tolsi velocemente l’Ipod e andai in salone, dove avevo lasciato la borsa.
- perché non mi ha avvertito prima? - lei alzò le mani, come per difendersi.
- vuoi che ti accompagno? - ci pensai un attimo, poi scossi la testa.
- dista solo cinque minuti, non mi succederà nulla. - dissi più a me che a lei. Lei annuì comprensiva.
- qualsiasi cosa chiamami, okay? -
- certo! - le diedi un bacio e uscii di fuori.
Dopo un paio di minuti mi sentii chiamare.
- hei Cami! - mi voltai e vidi Federico.
- Federico? Che ci fai qui? - chiesi, un po’ titubante.
- potrei farti la stessa domanda. - rispose avvicinandosi, fortunatamente non troppo. - comunque sto facendo una passeggiata, te? -
- sto andando a pallavolo. - sgranò gli occhi.
- cosa?! Ma come fai a fare pallavolo se ti fa male la schiena!? E poi hai i jeans! -
- prima di tutto stai calmo. E poi non ho mai detto che sarei andata a fare pallavolo. -
- non capisco. - sbuffai.
- vado a vedere gli allenamenti, genio! -
- ah. -
- b. - risposi. Alzò il sopracciglio.
- doveva farmi ridere? -
- no. Doveva farti dire cicletta. - mi scappò. Solo dopo mi resi conto della mia stupidità.
- ci…che?! - esclamò inarcando maggiormente il sopracciglio.
- cicletta! Oddio. Tu hai detto “a”, giusto? - ‘ma guarda tu che mi tocca fare!’
- giusto. -
- allora io ho detto “b”. Mi segui? -
- si, si! Non sono stupido! - ‘io avrei qualche dubbio…’
- e allora tu dovevi dire “cicletta” perché se unisci ciò che abbiamo detto viene fuori “a bicicletta”! -
- oooh. -
- eeh. Ci voleva così tanto? - scosse la testa.
- scusami se non sono un genio come te! - disse ridendo. Gli sorrisi. Calò un silenzio imbarazzante. Io volevo andare agli allenamenti, ma qualcosa mi impediva di continuare a camminare. Forse perché non volevo andarci da sola. Ma in realtà era perché non volevo allontanarmi da lui.
- volevo sapere se…ecco…se puoi...cioè…se non ti da fastidio…ti va di accompagnarmi?- balbettai.
- mi farebbe molto piacere! - rispose sorridendomi. Abbassai lo sguardo imbarazzata e continuammo a camminare verso la palestra.








HEII!!!
scusatemi se pubblico questo capitolo osceno, ma non sapevo che scrivere!
penso che sia veramente orribile, ma non mi andava di riscriverlo...
si inizia a capire qualcosina ina ina(?) su Matteo!
beh, spero che vi piaccia!
ringrazio chi ha recensito e chi ha inserito la storia tra le segutie/ricordate/preferite.
GRAZIE MILLE *-*
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 13
*** I really need you ***


12 I really need you
 
Rimanemmo tutto il tempo della camminata in silenzio, senza proferire parola.
Ma a me andava bene così, mi bastava stare vicino a Federico per stare bene.
Quando mi trovavo con lui, mi sentivo protetta da tutto e da tutti, come se non ci fosse nessun problema.
Mi faceva sentire accettata, e mi piaceva molto. Con questa frase non voglio intendere che mi piaceva lui, sia ben chiaro. No, a me non piaceva per niente! O forse si… non lo sapevo, e per il momento non mi importava. Mi bastava che rimanesse vicino a me come amico.
Avevo bisogno di lui, mi stava facendo ricredere che tutto si sarebbe sistemato, anche se non sapeva nulla di me.
In pochi istanti ci ritrovammo davanti alla palestra. ‘wow, già siamo qui.’
Entrammo e vidi due ragazze dai capelli rossi che si stavano catapultando nello spogliatoio. Guardai l’orologio: tre e trentacinque. Quelle erano sicuramente Lucia e Marta, le solite gemelle ritardatarie. Un sorriso spuntò involontariamente sul mio volto.
- che c’è? - ‘oh, è vero, c’è anche Federico!’
- niente, niente. Pensavo… -
- okay. - andammo dentro la palestra e vidi tutte le mie compagne di squadra, tranne Lucia e Marta, al centro del campo, pronte a fare riscaldamento.
- Camiiiiiiiii! - urlarono tutte quante quando mi videro. Mi corsero incontro e piano piano le abbracciai tutte. Avevano capito il mio “problema alla colonna vertebrale” e così mi assalirono solo con le domande.
- come stai? -
- la nuova scuola? -
- come è? -
- ci sono ragazzi carini? -
- ti trovi bene? -
- la schiena? -
- ragazze che state facendo?! Forza, ad allenarvi! - riconobbi immediatamente la voce di Michele.
- ma Michele, c’è Camilla!! - urlò Elisabetta, una delle mie amiche più strette.
- davvero? Dov’è, voglio salutarla! - si scansarono tutte e vidi Michele. Quanto mi era mancato! Gli andai vicino e l’abbracciai. Gli volevo proprio bene.
- manchi tanto qui, pulce. - mi sussurrò all’orecchio. Mi chiamava così perché ero la più piccola della squadra.
- anche voi mi mancate. - dissi. Gli occhi mi si inumidirono, ma mi sforzai di non piangere.
Sentii qualcuno schiarirsi la voce. Mi staccai da Michele e vidi Angelica alzare un sopracciglio, mentre con la testa indicava Federico.
- non ci dici niente! - esclamò, fingendosi indignata.
- ma cosa dovevo dirvi? -
- che ti sei fidanzata, no? - diventai rossa come un peperone.
- lui n-non è il mio fidanzato… - alzai lo sguardo verso Federico, e notai che anche lui era arrossito.
- no, no, siamo solo amici. - aggiunse lui. Annuii, per enfatizzare la risposta che aveva dato.
- mmm… vabbè! Noi andiamo ad allenarci. - sorrisi a tutte quante e mi sedetti su uno dei tappetini morbidi che si trovavano per terra. Federico si mise vicino a me, ma non troppo. ‘ormai ha capito.’ Iniziammo a guardarle mentre si allenavano. E io piano piano sentivo morirmi dentro, come tutte le volte. Stavo morendo d’invidia.
Non avrei più potuto giocare e questo mi distruggeva dentro. I miei occhi si inumidirono. Chiusi gli occhi, per cercare di non farlo vedere.
- non qui, usciamo. - sussurrò Federico che invece se ne era accorto, alzandosi in piedi.
Lo seguii e andammo fuori. Lì, iniziai a piangere come una fontana, non riuscivo più a trattenere tutte quelle lacrime. Mi stavo facendo solo del male, ma non ce la facevo a stare senza loro.
- non piangere. - senza pensarci mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Federico rimase immobile, probabilmente aveva paura di farmi male. Ma io avevo bisogno di essere abbracciata. Avevo bisogno di lui.
- ti prego, ho bisogno di un abbraccio... - sussurrai tra i singhiozzi. Non se lo fece ripetere due volte. Piano piano alzò le braccia, e le posò delicatamente sulla mia schiena. Non faceva male, anzi, mi faceva stare bene.
- ti voglio bene, Camilla, non immagini nemmeno quanto. - sussurrò tra i miei capelli. Sentii dei brividi percorrermi la schiena.
- anch’io Federico. Anch’io… -
Rimanemmo per un bel po’ abbracciati, non volevo allontanarmi da lui.
 

FEDERICO

 

Volevo dirle che mi piaceva, e anche molto. Ma non era il momento adatto. La lasciai sfogare tra le mie braccia; nessuno dei due accennava a muoversi, nemmeno quando si fu calmata. E a me andava bene così. Il profumo dolce dei suoi capelli mi stava dando alla testa, sarei voluto rimanere così per sempre.
Ma tutti i momenti belli finiscono.
- r-rientriamo? - chiese allontanandosi da me. Già mi mancava quel contatto.
- come vuoi te. - ci pensò un attimo, poi rientrò correndo dentro. Probabilmente il momento di tristezza gli era passato o voleva nasconderlo.
Rimasi un istante lì, immobile, a ripensare a quell’abbraccio, poi entrai anche io. La vidi in tutto il suo splendore mentre salutava tutti quanti. Perché lo stava facendo?
Poi si avvicinò a me.
- andiamo? -
- dove? - chiesi incuriosito.
- a casa mia. O a fare una passeggiata. Ti prego, non ce la faccio a stare qui. - capii quanto stava soffrendo, così uscimmo e iniziammo a camminare.
Non serviva parlare, bastava che l’altro ci fosse. O almeno per me era così.
Solo averla al mio fianco mi faceva stare meglio.
- guarda un po’ chi si vede! Ecco cosa avevi da fare. - mi voltai e vidi Matteo. Cosa intendeva con “ecco cosa avevi da fare”? Le aveva chiesto di uscire? Sentii il sangue ribollirmi nelle vene.
- Matteo, che bella sorpresa! - esclamò Camilla. Ma dico, può essere una bella sorpresa vedere Matteo? No! Questo voleva dire che Camilla si stava vedendo con lui. La voglia di tirargli un pugno era tanta, e stava aumentando.
- cosa vuoi? - chiesi freddamente.
- da te? Niente. Volevo solo parlare con una mia amica. - rispose, vago.
- certo, parlare. Da quando in qua parli con le ragazze e basta? - domandai tagliente.
- cosa stai insinuando? - esclamò fingendosi indignato.
- hai capito bene. Vedi di andartene, o finisce male. -
- Federico, ma non ci ha fatto niente di male. - mi disse Camilla. Presi un respiro profondo. ‘non ancora…’

CAMILLA

 

Perché Federico odiava così tanto Matteo? Era un ragazzo così per bene. Oggi aveva provato a baciarmi, ma vabbè, si può sorvolare. Credo…
- andiamo, lascialo in pace. -
- Camilla ha ragione. E poi io e lei abbiamo una cosa in sospeso. - diventai immediatamente rossa.
- c-cosa intende con “una cosa in sospeso”? - chiese allarmato Federico. Serrò i pugni, così tanto che le nocchie gli diventarono bianche.
- niente, niente. -
- come niente! - esclamò Matteo. - andiamo Camilla, non mentire. Se Federico lo vuole sapere, perché non dirglielo? -
- io… - non mi diede il tempo di finire che mi bloccò, alzando una mano.
- va bene, glielo dico io! - disse quasi scocciato. - stavo per baciarla. E sai perché? Perché mi piace! E tu non puoi fare niente, mi dispiace. Dovresti aver capito che quando voglio qualcosa, faccio di tutto pur di averla. Sei arrivato tardi. Di nuovo. -
Federico scattò in avanti, con tutta la rabbia che aveva. Si avventò su Matteo, con l’intento di colpirlo. ‘perché, perché, perché?’ Federico gli sferrò un pugno in pieno viso. Matteo imprecò per il dolore. Federico lo fece cadere a terra senza troppa difficoltà, ma appena abbassò la guardia, Matteo lo prese per una gamba, facendolo cadere a sua volta. Si rialzò e gli tirò un paio di calci in pieno stomaco.
- per favore, smettetela!! - implorai, ma non volevano ascoltarmi. Non sapevo cosa fare, avevo paura. Matteo stava gonfiando Federico, e non potevo sopportarlo. Mi misi in mezzo, per cercare di dividerli, ma Federico mi spinse via.
- non ti avvicinare, per favore! - urlò.
 

FEDERICO

 

Non potevo permettere che Matteo le facesse male. Dovevo evitarle ogni dolore, giusto? Beh, era quello che stavo facendo, anche se lei probabilmente non capiva.
Non potevo credere che Matteo avesse provato a baciarla! Diamine, mi face ribollire il sangue delle vene anche perché, se l’avesse baciata, probabilmente l’avrebbe solo usata. L’avrebbe fatta soffrire ancora, e non potevo permetterlo.
Matteo mi stava riducendo veramente male, ma non mi importava. L’importante era che Camilla stava lontano da lui.
 

CAMILLA

 

Avevo le lacrime agli occhi. Matteo avrebbe potuto uccidere Federico, e io non sarei riuscita a fare niente.
- Matteo, per favore, lascialo!! - riprovai.
Matteo si girò e mi guardò, smettendo fortunatamente di picchiare Federico. Si allontanò, tornandosene da dove era venuto come se non fosse successo nulla. Ma prima di scomparire dietro l’angolo si girò.
- non finisce qui, per tutti e due. - quella frase mi fece gelare il sangue nelle vene.
Ma cercai di non pensarci, e andai da Federico accucciandomi a terra, per poterlo guardare negli occhi.
- c-come stai? - chiesi singhiozzando.
- io? Bene, giusto qualche ammaccatura. - rispose, facendomi l’occhiolino. Come faceva ad essere allegro in quelle condizioni? - ti prego, non voglio vederti piangere. - mi asciugai in fretta le lacrime, sorridendogli. Lui fece lo stesso, e provò ad alzarsi.
Fortunatamente ci riuscì, anche se gli faceva male un po’ tutto. Gli usciva del sangue dal labbro, e la guancia e l’occhio si stavano gonfiando.
- ti va di venire a casa mia per metterci un po’ di ghiaccio? - proposi, indicandogli le ferite.
- non voglio disturbare… - scossi la testa.
- tranquillo, non disturbi. -
- allora va bene. -
- mi dispiace. - sussurrai.
- per cosa? -
- guarda come sei ridotto! È tutta colpa mia. Avrei dovuto seguire il tuo consiglio, ma niente, sono andata a parlargli. Ho combinato un casino. Se solo ti avessi ascoltato! -
- hei, hei, tranquilla! Che ne sapevi? -
- me lo hai detto tu! -
- ma mi conoscevi da due giorni! Nemmeno io mi sarei fidato troppo. Stai tranquilla, non è la prima volta che succede. - sgranai gli occhi.
- cosa?! -
- è già successo l’anno scorso. Quella volta voleva Sara… prima ero il suo ragazzo, e il fatto che le desse tutte quelle attenzioni mi dava fastidio. Allora ho provato a chiarire con lui, ma mi ha picchiato, peggio di ora. Sono andato da Sara, per informarla di ciò che Matteo voleva fare. Ma lei non mi credette. A quel punto l’ho lasciata, anche perché mi accusava di star inventando tutto quanto. Matteo alla fine l’ha avuta, facendola soffrire. Non voglio che succeda di nuovo. -
- oh. Tranquillo, non succederà di nuovo. Cercherò in tutti i modi di evitare Matteo, te lo prometto. - mi sorrise debolmente.
Mi avvicinai a lui e ci dirigemmo verso casa, io camminando, lui zoppicando.






HEIII!!
eccomi con questo nuovo capitolo :)
confermo di nuovo che Matteo mi sta antipatico!
povero Federico :(
lo so che questo capitolo è abbastanza brutto e corto, ma non avevo molte idee.
ringrazio tantissimo chi ha recensito e inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite. e per ultimo, ma non di importanza,
Time to dream, che mi ha dato l'ispirazione per questo capitolo *-* veramente grazie! <3
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 14
*** Do you ever wonder if the stars shine out for you? ***


13 Do you ever wonder if the stars shine out for you?
 
Casa mia sembrava non arrivare mai. Eravamo veramente molto lenti dato che Federico era ridotto male. Era un miracolo se camminava ancora. Mi sentivo terribilmente in colpa, se solo avessi ascoltato il suo consiglio... Mi stavo maledicendo da sola.
- smettila di incolparti. - mi fermai di colpo e Federico fece lo stesso. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi azzurri.
- mh? - chiesi fingendo di non capire.
- non devi sentirti in colpa per quello che è avvenuto, prima o poi sarebbe comunque successo. - appena ebbe detto quelle parole si morse il labbro.
- cosa intendi? -
- niente, niente! Volevo... Volevo dire che ormai è successo! - disse velocemente. Troppo velocemente.
- e ti aspetti che io ti creda? - dissi alzando il sopracciglio.
- si, come io ho creduto che te sei caduta da cavallo. - alzai le mani, in segno di resa.
- okay, ti credo. - scoppiò a ridere e io lo seguii. Era una risata sincera, stranamente. Era da tanto che non ridevo così.
- finalmente siamo arrivati. - sospirai una volta davanti casa. - entriamo, prima che mi cadi qui! -
Appena entrata mia madre mi assalì.
- tesoro! Cosa ci fai qui? Perché sei già tornata? È successo qualcosa? Oh, ciao Federico. Cosa ti è successo? -
- salve signora. Non si preoccupi non è niente. -
- come non si preoccupi! Sei ridotto malissimo! Cosa posso fare...? -  la interruppi. Mi stava innervosendo parecchio.
- mamma, calmati, non è successo niente. Ora prendo un po' di ghiaccio e finisce qui. -
- sua figlia a ragione, non si preoccupi. Mi scusi solo per il disturbo. -
- tranquillo, non disturbi. - rispose mia madre sorridente. Alzai gli occhi al cielo e feci segno a Federico di seguirmi in cucina. Si poggiò al lavello, mentre io aprivo il freezer, dal quale tirai fuori un pacco di surgelati. Glielo mostrai.
- ti va bene? -
- no, preferisco la carne! Oh, andiamo Camilla, non farti questi problemi, un surgelato vale l'altro! - annuii. Poi mi avvicinai a lui e glielo posai sulla guancia. Mi incantai nei suoi occhi, che fissavano i miei. Non riuscivo ad allontanarmi, o a pensare qualcosa di sensato da poter fare per non sembrare completamente un'idiota. Mi sorrise, staccandosi dal lavello. Il cuore batteva all'impazzata, il respiro era leggermente accelerato. Perché avevo una voglia enorme di avvicinarmi a lui?
- ...mi chiedo dove l'abbia messo... - la voce di mia madre mi riscosse, facendomi lasciare in mano a Federico il pacco di surgelati. Mi allontanai da lui, appoggiandomi al tavolo davanti il lavello abbassando lo sguardo imbarazzata.
- ...oh, ragazzi, avete visto il mio cellulare? Non lo trovo! - esclamò mia madre, quando entrò in cucina. La guardai.
- hai provato a vedere nella borsa di lavoro? - domandai.
- è vero, l'ho messo là dopo la riunione di questa mattina! Cosa farei se non ci fossi tu? - le sorrisi. Lei si allontanò velocemente come era arrivata per andare in camera sua. Rimanemmo per un po' in un imbarazzante silenzio.
- c-come va la guancia?  chiesi dopo poco.
- bah, meglio di prima sicuramente. - gli sorrisi.
- andiamo sopra? -
- okay. - salimmo in camera mia, portandoci dietro i surgelati. Ci sedemmo sul mio letto. Mi stava per dire qualcosa, ma mi alzai. Lui mi guardò sorpreso. Aprii lo zaino e tirai fuori il mio Ipod. Lui sorrise immediatamente, capendo cosa volevo fare.
- ti va? -
- con te qualsiasi cosa va bene. - le mie guance si tinsero di rosso. Mi risedetti vicino a lui e gli diedi l'Ipod.
- scegli tu. -
- okay. Mmmm...vediamo...questa non la conosco, ma mi piace il titolo! -
Partì così una canzone che amavo.

Another day.
Another life.
Passes by just like mine.
It's not complicated.

- Ed è troppo bravo... - sospirai.
- devo ammettere che è carina questa canzone. - aggrottai la fronte.
- carina? Solo carina? -
- si. Secondo me sono meglio i Simple Plan. O i 30 Seconds to Mars. - i miei occhi si illuminarono.
- ti piacciono i 30 Seconds to Mars? -
- ovvio! Perché, c'è qualcosa di sbagliato? - scossi la testa.
- al contrario! È fantastico... -
 

FEDERICO

 

In quel momento sentii una frase della canzone che mi piacque particolarmente.

Do you ever wonder
If the stars shine out for you?

'Già, te lo sei mai chiesto, Camilla? Ti sei mai chiesta se le stelle brillano per te? Io dico di no, sei tu che brilli per loro. E poi sarebbero costrette a farsi da parte, perché te illumini più di loro tutte insieme.'
Camilla mi stava proprio cambiando. Da quando pensavo quelle cose? Bah. Sapevo solo che le pensavo veramente. Camilla era una stella. La stella più bella che esistesse. Se solo non fosse stata così triste... 'prima o poi mi dirai cosa ti ha fatto soffrire?' la vidi irrigidirsi. 'Non dirmi che l'ho detto ad alta voce...'
- forse un giorno te lo dirò. - si, l'avevo detto ad alta voce. La mia stupidità non aveva confini. Doveva rimanere un mio pensiero, e invece...
Quel giorno mi stavo facendo sfuggire troppe cose!
Le sorrisi. Stare con lei mi metteva di buon umore. Riuscivo ad essere me stesso, senza la paura di essere criticato o giudicato.
 

CAMILLA

 

Stare con lui mi metteva di buon umore. Riuscivo ad essere me stessa, senza la paura di essere criticata o giudicata.
Sobbalzai.
Qualcosa mi aveva toccato la mano.
La guardai e vidi la mano di Federico.
Volevo ritirarla, ma…
- tranquilla, non ti voglio fare niente, voglio solo aiutarti. -
Aveva capito la mia paura del contatto fisico.
Voleva aiutarmi a superarla.
- grazie… - mormorai.
- tra amici ci si aiuta, no? - annuii.
Piano piano poggiai la mia testa sulla sua spalla. All’inizio rimase sorpreso. Stavo per togliermi, non volevo dargli fastidio, ma lui mi fece cenno di rimanere. Non me lo feci ripetere due volte.
 
 

FEDERICO

 

Era dal primo giorno di scuola che avevo capito questa sua paura.
Volevo aiutarla a superarla.
Volevo che non avesse più paura del contatto fisico.
Ma soprattutto, forse sembrerò egoista ma era così, volevo poterla abbracciare.
Sentire il calore del suo corpo senza paura che si staccasse da me impaurita.
Sentirla vicino a me.
Sentire il suo cuore contro il mio battere.
Sentire il profumo dei suoi capelli invadermi le narici.
Come era successo prima, difronte alla palestra.
Avrei voluto abbracciarla tutti le volte che la vedevo.
‘ora che ci penso, però ha anche quel problema alla schiena…’
Ma l’avevo abbracciata, prima.
Le avevo fatto male?
- posso chiederti una cosa? - domandai timoroso.
- certo. -
- se io ti abbracciassi, ti farebbe male la schiena? -
Non rispose subito.
- p-perché questa domanda? -
- per sapere… - prese un respiro profondo. Era difficile per lei parlarne, si vedeva. - se non vuoi dirmelo, non fa niente. - scosse la testa.
- dipende. Se mi stringi forte, si, potrei morire dal dolore. E non è un eufemismo. Ma se mi abbracci piano no, sento solo delle piccolissime scosse, ma non fanno niente. -
- oh. - fu l’unica cosa “sensata” che riuscii a dire.
­Potrei morire dal dolore. Quelle parole rimbombavano nella mia testa.
E se succedesse?
Se qualcuno la stringesse troppo forte?
Scossi la testa, per evitare di pensare a quelle parole.
- che c’è? È successo qualcosa? - mi chiese allarmata, alzando la testa. ‘no, ti prego, torna come stavi prima, ne ho bisogno!’
- no, tranquilla, stavo solo pensando… -
- …alle mie parole. - annuii. - se era quello che volevi sapere, quando mi hai abbracciata, non mi hai fatto niente. -
Mi sentii molto sollevato nel saperlo. Le sorrisi.
Lei si riappoggiò a me e rimanemmo per più di due ore così, ascoltando musica uno vicino all’altro.

****

- mi dispiace, ma devo proprio andare! - dissi quando, guardando l’orologio, notai che erano le sette e mezza. ‘anche se vorrei rimanere ancora qui con te.’
- devi proprio? - chiese triste.
- si, scusami. -
- ti prego, resta qui per cena. - la sua sembrava una supplica.
Ci pensai un attimo.
- dammi dieci minuti. - inarcò un sopracciglio.
Presi il telefono e inviai un messaggio a mia madre.

Ma’ sto a casa di Camilla. Mi ha chiesto se posso rimanere a cena. Posso?

Stranamente la risposta arrivò solo dopo cinque minuti. Di solito ci metteva di più. Primo perché tenere il telefono vicino per lei era un hobby, secondo perché era più lenta di un bradipo a scrivere.

Oh, certo! Divertitevi!

Mi voltai verso Camilla, la quale si era allungata sul letto e guardava il soffitto.
- Cami? - si voltò e mi guardò.
- si? -
- posso rimanere. -
- si! Un momento, lo vado a dire a mia madre. Tu aspetta un attimo qui. -
Si fiondò fuori dalla porta appena ebbe finito di parlare.
Come fai a non innamorarti di una ragazza del genere?
È impossibile.
Mi guardai intorno. La sua camera era piccolina, ma molto bella.
C’era una scrivania abbastanza grande appena sotto la finestra. Di fianco c’era uno scaffale pieno di libri e oggettini vari. Vicino al letto si trovava un armadio che probabilmente conteneva i suoi vestiti.
Mi avvicinai alla scrivania, e mi misi a guardare il quadro che c’era poggiato sopra.
Era un quadro futurista, lo avevo studiato alle medie. E quella copia era perfetta.
- cosa guardi? - sobbalzai. Non mi aspettavo che fosse già tornata.
- questo quadro. È veramente meraviglioso! Lo hai fatto tu? - annuì.
- si, ma non è un gran che. -
- come la tua voce, vero? - dissi scherzoso.
- esatto. Comunque mia madre ha detto che te ne devi tornare a casa perché non ti sopporta. - sgranai gli occhi.
- cosa? -
Poi lei scoppiò a ridere.
- la tua faccia non ha prezzo! - riuscì a dire, quando si fu calmata. - certo che puoi restare! Mia madre è contentissima se rimani! -
- mi hai preso in giro! Mi sento offeso. - dissi fingendomi indignato, ma non riuscendo a trattenere il sorriso.

****

Poco dopo più di una mezz’oretta sua madre venne a chiamarci per la cena.
Scendemmo le scale ridendo e scherzando.
- hei Federico! Ti piace il gateau(?) di patate? - mi chiese sua madre quando entrammo in cucina.
-  ne vado matto! -
- perfetto! Forza, andate in salone, è già apparecchiato. -
Andammo lì, e vidi la tavola apparecchiata per tre.
E il padre?
Ci pensò Camilla, a dare voce ai miei pensieri.
- mamma, papà dov’è? -
- torna tardi sta sera. -
- ok! Prego, prima gli ospiti. - disse indicandomi i posti a tavola.
- qualsiasi posto mi va bene. -
- allora mi siedo prima io. - si mise in un posto, e io mi misi vicino.
- signorina, la medicina! - urlò la madre dalla cucina.
- scusami un attimo. - andò dalla madre, per poi tornare con un barattolino.
Prese la medicina e, dopo che la madre fu entrata nel salone con in mano il gateau appena sfornato, iniziammo a mangiare.

****

Fu una serata molto divertente.
A differenza della cena a casa mia, parlammo del più e del meno.
Da me si stava in silenzio a guardare la tv.
Decisamente molto triste.
La madre di Camilla aveva preparato tantissima roba, e per ogni portata mi faceva fare il bis.
- ma così ingrasso! - mi ero lamentato ridendo.
- ma che ti ingrassi! Sei così alto, va tutto ai muscoli! - era stata la sua risposta.
Camilla invece aveva mangiato pochissimo.
Meno di mezza porzione di gateau.
Beh, in effetti, ora che ci facevo caso, era scheletrica, molto probabilmente sottopeso.
Quando la madre andò a lavare i piatti che io e Camilla avevamo tolto da tavola, mi misi vicino a lei sul divano.
- farò indigestione. - un sorriso comparve sul suo volto.
- mi dispiace. -
- tranquilla. Come mai non hai mangiato? -
- n-non mi sento molto bene. - stava mentendo, ma decisi di non indagare oltre.
- mi è piaciuto stare qui con te oggi. -
- anche a me. -
Rimanemmo ancora un’ora seduti sul divano, poi me ne tornai a casa.
- ci vediamo lunedì. -
- si, ciao. -
Me ne ritornai a casa con un sorriso stampato sulle labbra, che niente e nessuno sarebbe riuscito a togliermi.








HEI!!!
eccomi qua con questo nuovo capitolo! :D
Camilla e Federico si stanno avvicinando, anche se piano piano
spero che anche questo capitolo vi piaccia!
ringrazio chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha letto e basta!
alla prossima c:
un bacio xxx
Giulia
PS: secondo voi devo scegliere un giorno in cui pubblico, o pubblico quando ho finito di scrivere il capitolo? fatemi sapere, per favore! xxx

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Capitolo 15
*** You are beautiful ***


14 You are beautiful
 
La domenica passò in fretta, troppo in fretta. Era già lunedì e bisognava andare a scuola.
- vorrei tanto sapere chi ha inventato la scuola per poterlo uccidere. - borbottai in macchina.
- credo che sia già morto. - rispose tranquillamente mia madre.
- non importa. Vado a tirarlo fuori dalla tomba, lo faccio rinascere in qualche modo e lo uccido di nuovo. -
- dai, non esageriamo! -
- non sto esagerando. Se non ci fosse stata la scuola sarebbe stato meglio. Non ci sarebbero state differenze di intelligenza tra la gente. Ora c'è chi capisce di più e che di meno. Se non ci fosse stata la scuola saremmo tutti allo stesso livello. La scuola è una forma di razzismo nei confronti dei meno intelligenti. - mia madre si rifiutò di replicare ad un’affermazione del genere.
Arrivammo davanti scuola in poco tempo.
Una volta entrata velocizzai il passo e andai quasi correndo in classe. Dopo quello che era successo il giorno prima, l'ultima cosa che volevo era incontrare Matteo.
Fortunatamente non lo vidi. Arrivata in classe, c'era già Federico seduto al nostro banco.
Ma mi dava le spalle.
- Fede! - si girò. Mi sciolsi immediatamente appena mi sorrise. 'Cosa mi stai facendo?'
- ciao Cami. - si alzò e venne verso di me un po' timoroso. - posso? - chiese titubante. Annuii. Si avvicinò ancora di più e mi abbracciò. Era una sensazione fantastica. Le sue grandi braccia mi stringevano al suo petto. Non sentivo dolore, solo felicità. Perché stavo con lui. Sentivo il suo cuore battere. Chiusi gli occhi, sentendo il suo profumo. Acqua di colonia, costatai. Era un semplice abbraccio, ma ne avevo veramente bisogno. Non so per quanto tempo rimanemmo così, forse qualche minuto. Sta di fatto che non mi volevo staccare più. Quando sciogliemmo l'abbraccio lo guardai negli occhi. Sorridevamo tutti e due, come degli ebeti. Probabilmente gli altri ci stavano prendendo per degli idioti, ma che importava? Niente.
- ti voglio bene, Cami. - sussurrò continuando a sorridere.
- anche io. -
- una nuova coppia! - esclamò qualcuno. Diventai immediatamente rossa. Guardai chi aveva parlato. Basso, molto magro, capelli e occhi scuri. 'sono sicura che è Luca.'
- senti Damiano - 'la mia bravura con i nomi non la confini!' - la devi smettere, va bene? - disse Federico abbastanza arrabbiato.
- che c'è, ti vergogni? Andiamo, come fai a vergognarti della tua ragazza? - mi aveva preso per la sua ragazza? Oh, andiamo! Io e Federico? Nah. Eppure mi sentivo felice di essere stata definita così...
 
FEDERICO
- ti ho detto di smetterla! - gli ringhiai contro. Sarei stato felice di essere il suo ragazzo, su questo non c'erano dubbi, ma mi dava veramente fastidio perché ci stava solo prendendo in giro.
- certo che potevi scegliertela migliore, è così brutta e antipatica! - continuò, come se non avesse sentito ciò che gli avevo detto. 'Cosa?!' Vidi Camilla dietro di me sobbalzare. Mi girai e notai che aveva chiuso gli occhi. 'No, non davanti a lui.' la presi per mano cercando di ignorare l'istinto che mi diceva di tirare un pugno in pieno viso a Damiano e la portai fuori dalla classe. Continuammo a camminare fino a quando non raggiungemmo la classe dove c'erano i tavoli da ping-pong. Lì non ci andava mai nessuno prima della prima campanella, era il luogo dove mi rifugiavo quando volevo stare solo. La presi delicatamente in braccio per non farle male e la feci sedere sulla cattedra. Iniziò a piangere silenziosamente.
- hei, no, non piangere. - le dissi asciugandole le lacrime con il pollice.
- ha ragione lui, sono brutta e antipatica. E hanno ragione anche tutti gli altri, sono schizzinosa, viziata, sembro un barbone e... - le tappai la bocca con l'indice.
- chi ti ha detto tutte queste cose? -
- tutti! È dal primo giorno di scuola che mi prendono in giro. Ovviamente non hanno il coraggio di dirmele in faccia le cose, ma le sento, dato che il volume delle cuffiette è basso quando parlano. -
- sono solo stupidi, okay? Tu sei fantastica. Sei una ragazza simpaticissima e affatto schizzinosa. Per le oche della nostra classe essere vestiti da barbona vuol dire non vestire con abiti di marca tipo Armani. Quindi lasciale stare. E non sei affatto brutta, sei una ragazza bellissima. - mi morsi il labbro, pentendomi immediatamente di ciò che avevo detto. Non perché non lo pensassi, ma perché lo avevo detto a lei. Arrossì appena ebbi finito di parlare e abbassò lo sguardo.
- l-lo pensi d-davvero? -
- si, certo. - alzò il viso e allungò le sue braccia verso di me, come una bambina piccola. Mi avvicinai e l'abbracciai.
- grazie. - mormorò sulla mia spalla, causandomi brividi per tutta la schiena.
Rimanemmo in quella classe fino a quando non suonò la campanella. Poi, molto velocemente, tornammo in classe. Fortunatamente la professoressa non era ancora arrivata. Ci sedemmo al nostro banco cercando di ignorare tutti gli altri, specialmente Damiano.
 
CAMILLA
Perché avevo cambiato scuola? Sarebbe stato meglio rimanere nell'altra scuola. Solo Federico mi accettava. Gli altri non mi sopportavano minimamente. Chissà poi che gli avevo fatto...
- tutto okay? - mi chiese Federico un po' preoccupato. Mi limitai ad annuire, anche se non lo pensavo. Non volevo farlo preoccupare.
- ti prego, non mentirmi ancora. - abbassai lo sguardo. Perché riusciva sempre a capire quando mentivo e quando dicevo la verità?
- vuoi la verità? Sto uno schifo. E sai perché? Perché in questa classe, a parte te, non c'è una sola persona che mi vuole. Mi odiano tutti. Prova a chiedergli se mi vogliono qui. Risponderanno tutti quanti che era meglio se me ne rimanevo all'altra scuola, ne sono sicura. Ci posso fare qualcosa? No. E fa male. Molto male. - perché gli avevo detto tutto? 'Perché, perché, perché?' Mi diedi della stupida da sola. Ero sicura che mi aveva preso per la ragazzina che si lamenta di tutto.
- vuoi solo un po' di felicità, vero? - rimasi sorpresa, era l'unico che lo aveva capito senza che gli dessi spiegazioni. Annuii.
- non credo di chiedere tanto. Me ne basta poca, mi accontenterei anche di un solo giorno di felicità. - 'ma non ho nemmeno quello...'
- lo so che forse non te ne fai niente, ma sappi che da ora in poi ci sarò sempre per te, qualsiasi cosa accada. -
- grazie. - gli sorrisi. In quel momento entrò il professore di storia. 'Che la tortura abbia inizio.'
****
Durante la lezione non prestai minimamente attenzione a ciò che diceva il professore. Ero troppo impegnata a guardare fuori dalla finestra le foglie degli alberi iniziare a cadere. Mi venne immediatamente in mente la canzone di Ed Sheeran, Autumn Leaves, e quindi il giorno prima. Mi ero trovata veramente bene con Federico. Con lui non sapevo perché ma mi trovavo veramente bene. Sentivo che tutto si sarebbe risolto.
Stavo giocherellando con una penna, quando mi cadde a terra. Se non avessi avuto la schiena piena di ferite non sarebbe stato un problema raccoglierla. Peccato che la mia schiena era lesionata, e anche molto.
Mi abbassai lentamente, senza sentire dolore, ma quando mi alzai, sentii una fitta assurda su tutta la schiena. Avevo sbattuto contro lo spigolo del banco. Tremando mi rimisi seduta composta e presi il contenitore delle pasticche dall’astuccio. Iniziai a sudare freddo.
- tutto bene? - chiese a bassa voce Federico. Scossi la testa. - vieni, usciamo. - alzò la mano e chiese al professore di poter uscire.
- come mai dovete uscire? - Federico mi indicò. Diciamo che non dovevo avere un aspetto fantastico, considerando l’espressione del professore. - certo, certo, uscite. - fortunatamente Federico mi prese per mano, altrimenti sarei potuta cadere. Una volta fuori mi fece cenno di rimanere lì un attimo. Mi sedetti a terra, mentre lui iniziava a correre per il corridoio.
Ritornò poco dopo con in mano un bicchiere d’acqua.
- ecco, tieni. - disse porgendomelo. Gli sorrisi.
- grazie. - le mani mi tremavano, e non so come riuscii a tenere in mano quel bicchiere senza farlo cadere. Presi velocemente la medicina e posai il bicchiere al mio fianco.
- tutto okay? - chiese Federico sedendosi al mio fianco. Scossi la testa. Ormai con lui era impossibile mentire.
- se posso fare qualcosa… - ‘si, qualcosa potresti fare. Potresti costruirmi una macchina del tempo che mi riporti indietro fino quel maledetto giorno!’
- tranquillo, hai già fatto tanto. -
In quel momento suonò la campanella.
- forza, è meglio se rientriamo in classe. - annuii e mi alzai in piedi molto lentamente. Rientrati in classe avevamo lo sguardo di tutti i ragazzi puntato addosso. ‘Che pizza!’ ci sedemmo al nostro banco cercando di ignorarli.
- come stai? - mi chiese titubante il professore. Gli sorrisi. Era così impacciato, sembrava aver paura di chiedermelo.
- meglio, grazie. -
- ora devo andare. - disse rivolgendosi a tutta la classe, che però si stava facendo gli affari propri. Iniziò così a raccogliere la sua roba.
- arrivederci! - dicemmo in coro io e Federico, per poi scoppiare a ridere.
Sentii che qualcuno mi stava fissando. Anzi, incenerendo con lo sguardo. Capii anche chi era, ma decisi di lasciarla in pace. Se Federico non le parlava più, come aveva detto lei “è troppo impegnato con te per pensare a me!”, non ci potevo fare niente. Mica potevo smettere di parlare con Federico solo perché me lo chiedeva lei! Federico ormai era il mio tutto. Senza di lui non avrei saputo più cosa fare. Avevo bisogno di lui per andare avanti, perché quando ero con lui il dolore che premeva sul mio cuore diminuiva, lasciando un po’ di spazio alla felicità.
 
 
SARA
Quella strega continuava a stare vicino al mio Federico, non lo lasciava nemmeno un attimo in pace. Lui la sopportava, ma si vedeva lontano un miglio che non voleva stare con lei.
- ti sbagli. Secondo me se ne è innamorato. - mi disse la mia migliore amica, Valentina. Ma da quando ascolto le parole di qualcuno che non sia io?
- sei te che ti sbagli. - risposi, anche se sapevo che aveva perfettamente ragione. Avevo provato anche a far capire a Federico, grazie a Damiano,  che Camilla era antipatica, ma niente, non lo aveva ascoltato. E questo mi faceva rabbia. Non era giusto. Fino a tre mesi prima ero la sua ragazza, poi per quel bastardo di Matteo era finita, ma io ero ancora innamorata. Mi ero comportata da stupida, e lo sapevo, ma non pensavo mi avrebbe dimenticato così in fretta. Dopotutto stavamo insieme da due anni! E invece era bastato l’arrivo della piccola e indifesa Camilla per cambiare tutto. ‘Mi viene solo da piangere…’
Fortunatamente entrò il professore di fisica. Almeno così non avrei pensato a loro due.
 
CAMILLA
- no, non fisica! - mugugnò Federico quando vide entrare il professore.
- forza sfaticato, alzati in piedi! - gli dissi ridendo. Di malavoglia fece ciò che gli avevo detto. Iniziammo a prendere il materiale, ma venimmo interrotti da un forte bussare.
- avanti! - entrò una bidella, che a malapena riusciva a respirare per il fiatone.
- che cosa è successo?! - chiese allarmato il professore.
- Camilla…Lenci…deve…venire…con me… - tutti quanti mi fissarono.
- io? - chiesi perplessa.
- è…di vitale…importanza…Si tratta…di Giulia… - appena pronunciò quelle parole scattai in piedi e, ignorando il dolore alla schiena mi diressi verso la bidella.
- posso? - domandai al professore sempre più in ansia.
- certo, certo! -
- forza, dobbiamo sbrigarci, o sarà troppo tardi! - mi esortò la bidella.
Iniziammo a camminare velocemente per i corridoi.
O sarà troppo tardi.Quelle parole rimbombavano nella mia mente.
Cosa voleva dire?







HEI!!!
e dopo tanto aggiorno di nuovo!! yeaa!!
okay, basta...
che dire, penso che questo capitolo non sia niente di che (come al solito) e lo so, l'ho interrotto sul più bello! chissà cosa è successo con Giulia!
se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e cosa credete che succederà nel prossimo capitolo! :D
ringrazio come al solito chi ha recensito, e inserito la storia tra le seguite/ricordate e addirittura tra le preferite!
alla prossima! (cercherò di aggiornare il prima possibile, promesso)
un bacio xxx
Giulia

 

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Capitolo 16
*** Hold on, pain end ***


15 Hold on, pain end.
 
Iniziammo a camminare velocemente verso le scale che portavano ad un piano superiore.
- si può sapere cosa è successo? E poi dove stiamo andando? - chiesi preoccupata.
- Giulia vuole buttarsi dalla terrazza della scuola! - sbarrai gli occhi.
- COSA?! -
- hai capito bene! Ora dobbiamo sbrigarci. -
- ma perché devo venire io? -
- mi hanno detto che sei la sua unica amica. - era vero. Mi tornarono in mente le parole della puffa della sua classe “lei è un’asociale, non ha amici.”
Accelerammo il passo e in poco tempo ci ritrovammo sulla terrazza. Lì c’era Giulia, seduta sul bordo.
- Giulia? - si voltò. Aveva gli occhi rossi e gonfi, il volto rigato dalle lagrime.
- che ci fai qui? - mormorò.
- sono venuta per aiutarti. -
- non ho bisogno di nessuno. - disse, girandosi.
Mi avvicinai a lei, facendo cenno alla bidella di lasciarci sole.
- mi spieghi, se vuoi, che è successo? - chiesi con calma.
- è tutto sbagliato! - esclamò. - cosa ci sto a fare qui se non ho né mia madre, né mia sorella?! NIENTE! E poi sono solo un fallimento, non servo a niente! Se me ne vado non mancherò a nessuno. -
- non è vero… -
- si che è vero! - sbraitò.
- Giulia, guardami. - le sussurrai. Piano piano si voltò e mi fissò. Nei suoi occhi meravigliosi, in quel momento c’era solo tristezza. - non sei affatto un fallimento, okay? Sei una ragazza fantastica, non dubitare di te stessa. Devi andare avanti, anche se è dura, anche se fa molto male. -
- ma non ce la faccio… -
- devi solo tenere duro, il dolore finisce. Te lo dico per esperienza personale. - abbozzò un sorriso. - e poi non pensi a tuo padre? Non credi che anche lui abbia sofferto molto? Pensi gli farebbe piacere perdere anche te, l’unica cosa che gli è rimasta? - scosse la testa, per poi ricominciare a piangere.
- sono stata solo un’egoista… -
- e smettila! Tu potresti essere tutto, tranne egoista! - abbassò lo sguardo. - e fammelo un sorriso. - mi guardò di nuovo e mi sorrise.
- grazie. - sussurrò.
- niente. - l’abbracciai
 
NARRATORE ESTERNO
Sulla terrazza della scuola c’erano due ragazze.
Due ragazze apparentemente diverse, ma in realtà molto simili.
Due ragazze che avevano sofferto molto, troppo per la loro età.
Due ragazze unite da questo dolore.
Due ragazze che, con tutti i loro problemi, volevano aiutare l’altra a tutti i costi.
Due ragazze che si volevano un bene dell’anima, anche se si conoscevano da poco.
Queste due ragazze, prima sole al mondo, si erano trovate, per non lasciarsi mai più.
 
CAMILLA
- ti voglio bene. - mi disse.
- anche io. -
Rimanemmo per un po’ sulla terrazza in silenzio.
- mi sono tagliata di nuovo. - ammise poco dopo. Le feci cenno di tirare su la manica. Lei obbedì, mostrandomi tagli molto profondi e freschi. - non volevo farlo, ma poi la tristezza ha preso il sopravvento e… -
- tranquilla, non ti devi giustificare con me. devi solo riuscire ad uscire da questa situazione, anche se è difficile. Tanto ormai quel che è fatto, è fatto. Sappi che su di me potrai sempre contare. -
- sei te quella fantastica! -
- modestamente! - dissi scherzando, ma riuscendole a strappare un sorriso.
- forse è meglio se andiamo. - constatò lei.
- già, magari stanno ancora in pensiero. -
Ci alzammo dal bordo della terrazza e rientrammo dentro. Scendemmo le scale e proprio ai loro piedi trovammo il preside, la vice preside e la bidella che mi aveva avvertito.
- Giulia, stai bene? - chiese preoccupato il preside. Giulia annuì. - te? - chiese guardandomi.
- tutto a posto. -
- bene. Allora possiamo tornare a lavoro. Ma tu devi venire un attimo con me. - Giulia annuì abbastanza tranquilla. Forse se lo aspettava. Si avvicinò al preside, mentre io me ne tornai in classe, sperando di non perdermi.
Una volta entrata in classe, non trovai nessuno. ‘Dove sono?’ andai al mio posto. Non c’era il mio zaino! Il mio sguardo cadde sul banco, dove c’era un bigliettino. Lo presi. Immaginai già chi lo aveva scritto…
Hei Milla! Se stai leggendo questo biglietto, sappi che noi siamo in palestra. Se ti interessa, il tuo zaino l’ho preso io :D
Questo biglietto top secret si autodistruggerà tra 5 secondi. Fai il conto alla rovescia
ad alta voce!;)
 Federico
Sorrisi appena ebbi finito di leggere le parole scritte da quell’idiota.
- cinque… - mormorai, come una stupida. ‘tanto non mi sente nessuno!’ - quattro, tre due, uno… -
- zero. - sobbalzai. Di certo non mi aspettavo che ci fosse qualcuno. Mi voltai verso la porta e vidi Federico appoggiato allo stipite.
- che ci fai qui? Non dovresti essere in palestra? -
- sai, casualmente sono caduto in palestra. Allora ho chiesto al professore di poter andare in infermeria. Se te lo stai chiedendo, si, abbiamo un’infermeria. Così, sempre casualmente ho lasciato sul banco quel biglietto. A questo punto mi ero messo dietro la porta ad aspettarti, mentre ascoltavo della musica. - che idiota!
- e se fossero arrivati prima gli altri? -
- nah, abbiamo due ore di educazione fisica, dato che manca la Micheloni, e stiamo solo alla prima! -
- manca la Micheloni? -
- si, è passata una bidella per avvertirci. - mi accorsi solo in quel momento di quanto si fosse avvicinato. Eravamo un ad un passo dall’altro.
- cos’è successo a Giulia? - chiese preoccupato.
- promettimi che non ne farai parola con nessuno. - dissi sedendomi sul mio banco. Federico si sedette vicino a me. Si fece una croce sul cuore.
- promesso. -
- si stava per buttare dalla terrazza. - ammisi. Federico sbarrò gli occhi.
- cosa?! -
- si stava per buttare dalla terrazza. Mi hanno chiamato per farle cambiare idea. -
- ci sei riuscita, spero! -
- certo. Ora sta con il preside. -
- bene, per fortuna non si è buttata. -
- già. -
Rimanemmo per un po’ in silenzio.
- secondo te starò mai simpatica agli altri? - chiesi, a bassa voce. Federico non mi rispose subito, sembrò cercare le parole adatte.
- non lo so, sono strani, ma credo di si. Come puoi stare antipatico a qualcuno? -
- io penso che loro non mi sopportano. - ammisi.
- è tutta invidia, tutta invidia. -
‘certo! Ma invidia di che? Del fatto che sono stata picchiata a sangue o che sono stata violentata? Che c’è da invidiare in me? Nulla!’
- cosa dovrebbero invidiare di me? - chiesi titubante.
- tutto. La simpatia, la bellezza, l’altruismo, il sorriso, la voce. E se vuoi ti do altri cento motivi per cui dovresti essere invidiata. - gli sorrisi.
- sei così dolce, lo sai? Lo devo ammettere, il primo giorno di scuola ho pensato fossi antipatico! -
- e io devo ammettere che ho pensato che ti facessi schifo. - inarcai un sopracciglio.
- e perché? -
- non mi hai stretto la mano! - la sua non era un’accusa, era una costatazione. Aveva pienamente ragione.
- scusami. - abbassai lo sguardo, arrossendo. - ma si può sempre rimediare. - gli porsi la mia mano. - piacere, Camilla. -
Mi prese la mano.
Provai dei brividi lungo la schiena per quel semplice contatto.
- piacere, Federico. - disse sorridendo. - benvenuta in questa scuola! -
- grazie. -
- sono sicuro che ti troverai benissimo! -
- a si? - annuì con molta enfasi.
- ovvio, ci sono io! - scoppiammo a ridere.
Mi appoggiai alla sua spalla.
- sono felice di averti incontrato. - mormorai.
- anche io, non immagini nemmeno quanto. -
 
FEDERICO
Bene, il mio cuore, ma soprattutto il mio cervello, erano partiti per una vacanza alle Hawaii, chissà quando e se sarebbero tornati!
Come poteva Camilla immaginare quanto io tenessi a lei, se pensava che per me fosse solo un’amica?
Semplice.
Non poteva.
Camilla stava diventando il mio tutto.
Un giorno senza di lei era un giorno perso.
Quando era uscita perché chiamata dalla bidella, mi ero sentito solo. Già mi mancava.
Avevo sempre più bisogno di lei.
La volevo.
La volevo mia.
Mia e basta.















HEI!!!
eccomi con questo nuovo capitolo!
povera Giulia, non si merita di soffrire così tanto... mi sto un po' odiando da sola
comunque spero che questo capitolo vi piaccia!
la parte del bigliettino, beh, lo so che è stupida, ma volevo scriverla!
spero vi piaccia c:
se vi va sarei felice di sapere cosa ne pensate!
grazie a coloro che hanno letto, inserito tra le seguite/preferite/ricordate e recensito questa storia!
un bacio e alla prossima xxx
Giulia

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Capitolo 17
*** You found me ***


16 You found me
 
Dopo educazione fisica, ci fu inglese.
Fortunatamente non interrogò, iniziò a spiegare, anche se non sapevo esattamente cosa, ero completamente distratta.
Dopo un po’ bussarono alla porta ed entrò una bidella. ‘cosa sarà successo ora?’
La bidella porse semplicemente due fogli alla professoressa. Lei ne firmò uno, per poi ridarglielo, l’altro lo tenne. ‘una circolare.’ La professoressa iniziò a leggerla.
- circolare numero 47. Si comunica agli studenti che la scuola parteciperà ad una sfida tra istituti per vincere un premio di diecimila euro. Per decidere chi dovrà gareggiare contro le altre scuole, si terrà una sfida interna nel nostro edificio. Per chi volesse partecipare, i campi in cui ci si può cimentare sono: danza, canto e il suono di strumenti. Per maggiori informazioni, rivolgersi alla professoressa Russo di italiano. - la professoressa ci guardò uno ad uno. ‘tanto io non parteciperò.’ - c’è qualcuno bravo in uno di questi campi? - Federico alzò la mano. ‘cosa saprà fare?’ - Rossi! Quali sono le tue abilità? - chiese sorpresa la professoressa.
- io, sinceramente, non so fare niente. - scoppiarono tutti a ridere. - ma conosco una persona che fa al caso nostro. - sfortunatamente, avevo capito a chi si riferiva Federico.
- illuminaci! - esclamò la professoressa. Guardai Federico, con uno sguardo della serie “non provare a farlo!” ma mi ignorò.
- Camilla. -  chiusi gli occhi, nel sentire lo sguardo di tutti puntato addosso.
- cosa sai fare? - chiese la professoressa. Arrossii.
- n-niente, Federico scherzava… -
- non è vero! - mi interruppe Federico. - canta in un modo meraviglioso! - disse rivolgendosi alla professoressa, ignorandomi.
- vorresti partecipare? - mi chiese la professoressa. ‘e ora che faccio? Non posso rifiutarmi! Ma mi vergogno. Mannaggia a te, Federico!!’
- io non…non lo so… -
- probabilmente è bravissima, ma non è abituata ad esibirsi difronte a gente di un rango inferiore a lei! Sicuramente non siamo alla sua altezza! - sentii mormorare alle mie spalle. Scoppiarono tutti quanti a ridere. Con molta difficoltà, ricacciai indietro le lacrime.
- ma come vi permettete?! - esclamò Federico alzandosi in piedi.
- Rossi!! - la professoressa richiamò Federico. - ma che fai?! -
- ma prof, li ha sentiti? Non hanno nessun diritto di insultarla così, a gratis! -
- non li ho sentiti, ma la tua reazione mi comunque sembra esagerata. -
- lascia stare, Federico, sono abituata… - mormorai, prendendolo per un braccio. Si sedette, anche se non voleva farlo.
- non ci si abitua mai al dolore, agli insulti e alla sofferenza. - sussurrò. Rimasi colpita da quelle parole. Aveva ragione, ma non potevo farci niente, loro non avrebbero mai smesso di insultarmi.
- allora Camilla, vuoi partecipare? - annuii. - sai, dopo quello che ha detto Federico, sono curiosissima di sentirti cantare ora. Se non è un problema per te, ovviamente. - scossi la testa e andai vicino alla cattedra, dove la professoressa mi aveva detto di mettermi.
Iniziai a pensare alla canzone che avrei potuto cantare. Poi, quando mi venne in mente, mi schiarii la voce, pronta a cantare.
Chiusi gli occhi. Non vedere lo sguardo degli altri puntatomi addosso mi faceva sentire più tranquilla.
Lost and insecure you found me, you found me
Lying on the floor surrounded, surrounded
Why'd you have to wait?
Where were you? Where were you?
Just a little late you found me. you found me.
Aprii gli occhi solo quando ebbi finito di cantare tutta la canzone. Guardai i miei compagni; molti non mi avevano nemmeno ascoltato, altri erano completamente indifferenti, la professoressa e altri pochi mi guardavano stupiti, sicuramente non si aspettavano che avessi tutta questa voce. Federico mi guardava e sorrideva. Gli sorrisi anche io, quando alzò il pollice per dirmi che ero andata bene.
- beh, Camilla, sei veramente brava. Devo essere sincera, non mi aspettavo che avessi una voce così bella e perfetta. Hai anche un'ottima pronuncia inglese! - constatò la professoressa. Le sorrisi arrossendo, poi me ne tornai a posto.
Federico, stando attento a non farsi vedere dalla professoressa, mi passò un bigliettino.
Vedi? Sei bravissima a cantare. Non sono l'unico che lo pensa!
Sorrisi nel leggere quelle parole. Era sempre così dolce e gentile con me. Presi una penna e gli scrissi la risposta.
Grazie, anche se non credo che parteciperò a questa gara.
Quando Federico ebbe finito di leggere la mia risposta, corrugò la fronte. Scrisse velocemente una risposta e mi passò il bigliettino.
Cosa?! Andiamo, se è solo per la paura, ti prometto che sarò lì con te. Ti infonderò un po’ di sicurezza! ;) <3
Okay, mi aveva convinto. Se ci fosse stato lui sarei riuscita a fare qualsiasi cosa.
Va bene. Non é che per caso domani mi accompagni a cercare la professoressa Russo? Non voglio andare in giro per la scuola da sola...
'ma soprattutto non voglio incontrare Matteo da sola.' probabilmente capì il mio pensiero, e annuì.
Tranquilla, non ti lascio andare sola in giro.
Finì così la nostra conversazione e riprendemmo ad ascoltare la professoressa. O meglio, lui riprese ad ascoltare la professoressa, io pensavo già a che canzone avrei potuto cantare. Forse sempre quella, forse una più facile per andare sul sicuro, forse una più difficile per sbalordire tutti…
Dopo un po' vidi una mano passarmi davanti il viso. Alzai lo sguardo verso Federico, che si trovava in piedi di fronte a me.
- che c'è? -
- niente, solo che la lezione finita da cinque minuti e te, invece di prepararti, guardi un punto fisso davanti a te. - arrossii. Davvero la lezione era finita? Davvero non me ne ero accorta? - forza, andiamo. Il tuo zaino l'ho preparato io. -
- g-grazie. - mormorai arrossendo e alzandomi in piedi. - ora puoi anche darmelo. - scosse la testa.
- no, fino a quando non sarò sicuro che non ti farà più male la schiena, lo porterò io. - sbuffai.
- testardo... - borbottai.
- come, prego? - chiese, alzando un sopracciglio.
- testardo. - dissi più ad alta voce, ridendo.
- ah si? - disse lui, fingendosi minaccioso, ottenendo però scarsi risultati. Annuii. - te lo faccio vedere io il testardo! -
Iniziammo a correre per tutta la classe come dei bambini. Riuscii in qualche modo ad uscire fuori e iniziammo a rincorrerci per i corridoi ridendo.
- guarda che ti prendo, sono più veloce! - gridava, non smettendo di ridere.
- certo, come no! -
In effetti, era nettamente più veloce, e in poco tempo me lo trovai davanti. Non riuscii a fermarmi, e gli andai addosso. Fortunatamente aveva un buon equilibrio, e non cademmo.
- te lo dicevo che ti avrei preso. - mormorò al mio orecchio dopo avermi stretto a se. Sorrisi. Tra le sue braccia mi trovavo bene, mi sentivo protetta da tutto e da tutti.  - ti ho trovato tardi, lo so, ma ti prometto che non me ne andrò. - mi tornarono in mente le parole della canzone.
Where were you? Where were you? Just a little late you found me.
Ma mi irrigidii nel sentire quelle parole.
Nessuno manteneva le promesse fatte.
Erano tutti dei falsi.
Tutti deludevano.
Tutti ferivano.
Forse però dovevo fidarmi di Federico.
Lui mi voleva veramente bene.
Quando sciogliemmo l'abbraccio, non so cosa mi impedì di risaltargli addosso.
Avvicinò la sua mano alla mia e l'afferrò. Sentii dei brividi percorrermi tutta la schiena.
Ma non facevano male.
Arrivammo nell'atrio mano nella mano.
Tutti i ragazzi che c'erano ancora ci fissarono ridendo. Mi stavo vergognando da morire, volevo solo sotterrarmi…
 
FEDERICO
'Ma che vogliono questi che ci guardano? Non sanno che lei è una ragazza molto timida e che si vergogna facilmente? La devono smettere, altrimenti fanno una brutta fine. No, ti prego, non lasciarmi la mano!'
 
CAMILLA
Provai a lasciare la sua mano, ma lui la strinse più forte. Non voleva che gliela lasciassi. Cercai di ignorare lo sguardo di tutti i ragazzi e raggiungemmo velocemente lo spiazzo esterno.
- beh, ci vediamo domani. - disse Federico, ridandomi lo zaino. Me lo sistemai meglio e gli sorrisi.
- si, a domani. - sorrise anche lui. Poi mi diede un bacio sulla guancia e si allontanò. Lo guardai fino a quando non scomparì dalla mia visuale sorridendo come un ebete, poi mi misi alla ricerca della macchina di mia madre.
Continuavo a sorridere solo a pensare a Federico. 'E se mi piacesse?' scacciai immediatamente quel pensiero.
Non doveva piacermi.
Non sarei ricaduta nell'amore.
Non avrei sofferto di nuovo per amore.
Federico non poteva piacermi.













HEI!!
eccomi con questo nuovo capitolo :)
lo so, è brutto, anzi, orribile, corto e non succede niente!
tranne però per un piccolo dettaglio verso la fine.
non dimenticate ciò che ha detto, o meglio pensato, Camilla perchè presto ci sarà l'entrata in scena di un nuovo personaggio (dato che sono cattiva non vi dico chi è :P)
spero di avervi incuriositi!
sarei felice di sapere cosa ne pensate, anche perchè questo capitolo non mi convince per niente...
ringrazio chi ha recensito, letto o inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite. *-*
vi amo tutti quanti, è grazie a voi che vado avanti a scrivere!! <3 
beh, alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 18
*** I still remember how it all changed ***


17 I still remember how it all changed
 
Il giorno dopo mi svegliai più stanca del solito.
Non avevo quasi la forza di alzarmi.
Era domenica, sarei potuta rimanere allungata a letto tutto il giorno, ma poi mi ricordai che quella mattina sarei dovuta uscire, così mi alzai e, dopo aver preso il cambio, mi diressi verso il bagno.
Non sprecai nemmeno una manciata di secondi per vedere il mio corpo, mi faceva troppo ribrezzo.
Una volta cambiata andai in cucina, dove c'era mia madre intenta a prepararmi la colazione.
- mamma, io esco. - le comunicai, schioccandole un bacio sulla guancia.
- dove vai? Con chi vai? - chiese preoccupata. Decisi di sparare il primo luogo e il primo nome di una compagna di classe che mi passarono per la mente.
- vado con Sara al parco. - che poi, perché avevo detto proprio Sara? Mi stava antipatica!
- okay. - mia madre sembrava convinta. - in questo periodo esci spesso, non è che trascuri un po' lo studio? - chiese.
- no. - mentii.
- mmmm... Vabbè. Vieni, è pronta la colazione. -
- non ho fame e poi vado di fretta. Ci vediamo dopo. -
- ma... - non le diedi il tempo di finire la frase che avevo già chiuso la porta di casa alle mie spalle.
Non potevo sprecare altro tempo.
Ero già in ritardo.
Questa volta non avrebbe sorvolato.
Era già la terza volta di seguito.
Ci sarebbe andato giù pesante e lo sapevo fin troppo bene.
Con un peso al cuore, mi diressi verso la casa. La casa dove avevo firmato la mia condanna a morte.
Di fronte a quellacasa c'era un parco.
E lì lovidi, più bello che mai. Mi dava le spalle, per fortuna. Se mi avesse visto, non avrei saputo come affrontarlo. Eppure, solo vedere i suoi capelli mossi dal vento mi fece perdere un battito.
Dio, come era bello.
Lo amavo.
Si, ormai era chiaro come il sole.
Non era più una semplice cotta di un'adolescente, lo amavo veramente.
E lui?
Mi amava?
Decisi di non darmi una risposta, non volevo soffrire di più, ed entrai in casa...
****
Uscii da lì solo due ore dopo, distrutta fisicamente e moralmente.
Ma lui era ancora lì.
Che fare?
Ignorarlo.
Si, era la cosa migliore da fare per il momento.
Superai il parco e mi incamminai verso casa.
- Camilla! - ecco, mi aveva visto. Mi voltai, fingendo stupore nel vederlo e gli sorrisi.
- hei, ciao! - si avvicinò correndo e, prendendomi il volto tra le mani, mi baciò.
Il suo non era un tocco violento, come quelli ricevuti in precedenza, era delicato, come petali di rosa.
Il suo profumo mi invase le narici, impedendomi di ragionare.
- cosa ti porta qui? - mi chiese.
- bah, niente, facevo una passeggiata, te? - risposi, quando mi fui ripresa.
- idem. - gli sorrisi. - ah, prima che ce ne dimentichiamo di nuovo! - esclamò, come riscuotendosi da uno stato di trance. - cosa dovevi dirmi ieri? - bene, era arrivato il momento.
Dovevo dirglielo.
I rapporti si basavano sulla sincerità, gusto?
Giusto.
Se non c'era la sincerità, non poteva esserci un rapporto.
Punto.
Deglutii anche se a vuoto, avevo la bocca completamente secca.
- vuoi sederti? - mi chiese preoccupato.
In effetti mi sentivo stanca, e forse stare seduta mi avrebbe fatto stare meglio.
Annuii e ci incamminammo verso una panchina.
Presi un respiro profondo, guardando in basso.
Iniziai a torturarmi le mani.
- Valerio, io... non so se... - mi fermai.
Ti amo.
Ecco cosa volevo dirgli.
Due parole.
Cinque lettere.
Era semplice.
Ma non potevo.
Mi era stato proibito.
Luime lo aveva vietato.
Mi aveva vietato di avere altri rapporti oltre a quello con lui.
Guardai il mio ragazzo negli occhi.
Mi fissava incredulo.
Aveva capito cosa volevo dirgli.
Presi il coraggio a due mani e dissi le uniche due parole che non avrei mai voluto pronunciare. - è finita. -
Mi alzai in piedi e iniziai a correre lontano da lui.
Le lacrime, che mi ero imposta di non mostrargli, ora scendevano a piede libero.
Poco dopo mi sentii prendere per il polso.
Mi fermai e mi girai lentamente.
Valerio mi guardava triste, gli occhi erano lucidi.
- cosa vuoi dire con "è finita"? Stai scherzando, vero? -
Si, volevo dirgli.
Lo avrei voluto con tutto il cuore.
Ma non potevo.
Così, scossi lentamente la testa. - allora, se sei tu a lasciarmi, perché piangi? -
Perché ti amo, volevo dirgli.
Lo avrei voluto con tutto il cuore.
Ma non potevo.
- non sto piangendo, è solo un'allergia. - sussurrai abbassando lo sguardo.
- è per quell'altro, vero? - alzai di scatto la testa e lo guardai con aria interrogativa. - quello da cui sei salita prima, circa due ore fa. Credevi che non ti avevo visto? Beh, ti sbagli. È per lui, vero? -
- no, non è... - provai a giustificarmi, ma mi interruppe bruscamente.
- stai mentendo! - mi urlò contro, stringendo la presa sul mio polso. Ma non mi fece male, ormai ero abituata al dolore. - sai che ti dico?! Va bene! Fai come ti pare! Ma toglimi una curiosità. Da quanto stavi con lui? E con quanti stai contemporaneamente? -
- cosa? - chiesi, timorosa della risposta.
- hai capito bene. Tu stavi con me, ma anche con lui, e probabilmente con qualcun altro. Vorrei sapere chi. -
- nessun altro... -
- allora stai ammettendo che stavi anche con lui! - abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. - sei solo una poco di buono. - mormorò.
Mi lasciò il polso e si allontanò, lasciandomi in mezzo al parco in lacrime.
Caddi a terra per dolore provato nel sentirlo pronunciare quelle parole.
Sei solo una poco di buono.
Ecco cosa mi riteneva.
Solo una poco di buono.
In quel momento mi sarei voluta trovare in mezzo alla strada.
Avrei voluto finire sotto da una macchina e terminare la mia inutile vita.
Iniziai a vedere appannato, non distinguevo più nulla...
 
 
Mi svegliai in lacrime e tremante.
Da quanto non sognavo più Valerio…
Mi mancava veramente tanto, troppo.
Mi mancava il suo sorriso.
Mi mancavano i suoi occhi.
Mi mancavano le sue labbra da baciare.
Mi mancavano le sue battutine idiote che però mi facevano sempre ridere.
Mi mancavano le sue braccia, nelle quali mi sentivo sempre protetta e a casa.
Mi mancava la sua voce.
Mi mancavano le nostre voci che cantavano insieme, diventando una cosa sola.
Mi mancava tutto di lui, e ci soffrivo.
E quel maledettissimo sogno non face altro che rigirare il coltello nella piaga. Mi fece ricordare ciò che lui pensava di me.
Il mio respiro si affannò.
Chiusi gli occhi, per calmarmi, ma il volto di Valerio comparve nella mia mente.
Sei solo una poco di buono, diceva.
Aprii immediatamente gli occhi e mi alzai in piedi.
Non dovevo pensare a lui, dovevo andare a scuola.
Forse, se avesse saputo cosa stavo passando in quel periodo, non se ne sarebbe andato.
Forse mi avrebbe aiutato.
Mi avrebbe fatto stare meglio.
Mi sarei sentita meno un giocattolo.
Mi sarei sentita amata.
Ma lui non lo sapeva quando lo avevo lasciato.
Non lo sapeva nemmeno ora.
E non lo avrebbe saputo mai.
Con questa convinzione, andai al bagno e mi cambiai.
Una volta pronta andai in camera da pranzo e misi un paio di cuffiette.
Up on the hill across the blue lake,
that’s where I had my first heart break
I still remember how it all changed
Quella canzone era proprio quello di cui avevo bisogno, giusto per rigirare un altro po' il coltello nella piaga! Proprio là, difronte al maledettissimo laghetto di quel maledettissimo parco vicino a quella maledettissima casa, era finito tutto.
E lì si trovava ancora una parte di me, una parte che non avrei mai più riavuto.
Lasciai che le lacrime bagnassero per un po' il mio volto.
Poi, quando mia madre fu pronta, le asciugai.
Mi alzai dal divano e ci incamminammo verso scuola.
Arrivata davanti l'edificio, ebbi paura di entrare.
Non sapevo il perché, sentivo solo che qualcosa sarebbe andato storto.
Sobbalzai, quando sentii la mano di qualcuno poggiarsi sulla mia spalla.
- Milla! - mi girai e incontrai gli occhi azzurri di Federico. Gli sorrisi. Poi però sbiancai, nel vedere in lontananza quel cappello rosso, che amavo tanto e che indossava solo lui.
Mi dava le spalle.
Ma per caso ero una veggente? Prevedevo ciò che mi sarebbe successo con dei sogni? Volevo seppellirmi, ma non potevo farlo di certo di fronte a Federico.
- ciao. Entriamo? -
- è ancora troppo presto, non ci fanno entrare. -
La sfortuna girava dalla mia parte, quello era poco ma sicuro. Ma non potevo rimanere lì, vedere Valerio mi faceva stare troppo male. Ma che ci faceva lì? In teoria doveva stare a scuola sua, non qua.
Dato che la mia fortuna non aveva confini, si girò. Dovevo andarmene se non volevo soffrire di nuovo, ma non riuscivo a muovermi.
- Camilla, tutto bene? - chiese preoccupato Federico. Distolsi lo sguardo da Valerio e guardai Federico.
- si, perché? -
- sei pallida e stai tremando di brutto. Hai per caso visto un fantasma? - 'si, un fantasma del mio passato.'
- no, tranquillo, ancora non ho le allucinazioni. -
- okay. -
Riportai lo sguardo dove prima c'era Valerio, ma lui non era più lì. Iniziai ad agitarmi.
- Camilla, te non stai bene, sei pallidissima. - mi fece notare di nuovo Federico. - vuoi sederti? -
- no! - lo aggredii, pentendomene però subito.
- okay, okay, scusa. - disse, alzando le mani.
- scusami tu, ho reagito male. -
- tranquilla, non fa niente. -
- Camilla! - il mio cuore perse un battito.
Forse due.
Quella voce, così dolce, l’avrei riconosciuta tra mille altre.
Non mi ero sbagliata.
Non avevo nessun dubbio.
E questo mi fece stare male.
Mi voltai in direzione della voce e vidi Valerio, più bello che mai.
I suoi capelli si erano schiariti, diventando di un biondo chiarissimo.
Era diventato più alto, forse arrivava a due metri e le spalle erano molto più ampie.
Gli occhi, neri come la pece, mi fissavano, con un po’ di…malinconia? Forse.
Gli sorrisi fingendo di stare bene, anche se sapevo che lui se ne sarebbe acc…
- smettila di fingere di sorridere. - ecco, appunto. - se non vuoi che stia qua, me ne vado tranquillamente. -
- no, no! - ‘ho bisogno di stare un po’ con te.’
Valerio spostò il suo sguardo su Federico.
- così era lui. - costatò, alzando un sopracciglio, scettico. Federico mi guardò, senza capire, e inizialmente non capii nemmeno io, poi però collegai le sue parole a ciò che era successo quando tra noi era finita.
- no, no! L’ho conosciuto due settimane fa, anzi, anche meno! E poi te l’ho già detto, non c’era nessun altro. -
- certo, come no! Smettila di raccontarmi balle, okay? -
- non ti sto mentendo, è la verità. -
 
FEDERICO
Chi era quel ragazzo?
Da dove spuntava fuori?
Cosa voleva da Camilla?
Tutte domande a cui non sapevo rispondere.
Si conoscevano da molto, probabilmente lui era il suo migliore amico.
Non volevo ammettere a me stesso che fossero stati qualcosa di più.
Forse era per lui che si stava agitando. Bah.
Sapevo solo che mi dava fastidio.
Mi dava fastidio che le stesse così vicino, che la reputasse una bugiarda, che mi stesse squadrando da capo a piedi.
Volevo difendere Camilla, ma era una cosa solo tra di loro.
- io vi lascio soli. - dissi intromettendomi. Poi, mettendomi le mani nelle tasche, mi allontanai.
Entrai a scuola e mi diressi a passo svelto verso l’aula.
Il nostro banco era così vuoto senza di lei...
 
CAMILLA
- perché non vuoi credermi? - chiesi, quasi implorante.
- perché non credo alle bugie, ma soprattutto alle bugiarde. - abbassai lo sguardo. ‘glielo dico? No, non glielo dico, è la cosa migliore.’
- bene. - sospirai. Poi lo guardai negli occhi. - posso farti una domanda? - annuì. - perché quando mi hai visto mi hai salutato? Per insultarmi di nuovo? -
- devo ammettere che ci ho pensato… -
Sentii una pugnalata al cuore.
Ci ho pensato.
- …ma poi mi sono detto “il passato è passato, lasciamocelo alle spalle!”. Volevo salutarti e basta. Ma, visto che ci siamo, toglimi una curiosità! Mettiamo caso che te non mi abbia lasciato perché c’era un altro. Qual è il “vero” motivo? -
Sobbalzai.
Cosa gli dicevo?
La verità?
Una bugia?
- io…è che… - ‘verità. Solo verità.’ - mi hanno… violentata… - ammisi abbassando il volto.
Ma ciò che fece lui, mi spiazzò, facendomi soffrire maggiormente.
Scoppiò a ridere.
Non provò nemmeno a trattenersi.
Aveva addirittura le lacrime agli occhi.
- no, vabbè, potevi inventare una scusa più credibile! “Mi hanno violentata” - disse facendomi il verso.
Il mio cuore sanguinava dal dolore.
Il coltello era stato rigirato per l’ennesima volta.
Non ci sarebbe stata nessuna medicina abbastanza potente da far risanare quella ferita, che si allargava sempre di più.
- sei proprio una pessima attrice. -
Se mi avessero sparato, probabilmente avrei sofferto di meno.
- sai una cosa? Non mi credi? Beh, non me ne frega più niente. - ammisi, girandomi ed entrando a scuola, con le lacrime agli occhi.











HEI!!!!
eccomi con questo nuovo capitolo :)
nuovo personaggio: Valerio.
che ne pensate? è stato troppo cattivo con Camilla?
fatemi sapere, ne sarei felicissima!! <3
grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi ha letto e chi ha recensito xxx
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

PS: se volete ascoltare la canzone, Don't you worry child, mettete la cover di Conor Maynard, è più bella secondo me <3

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Capitolo 19
*** I'm in love... ***


18 I’m in love…
 
Una volta entrata nell’edificio scolastico, andai a cercare Giulia.
In quel momento avevo bisogno di lei più di chiunque altro.
La trovai nel solito bagno, seduta a terra.
Si teneva la testa tra le mani, ma non c’era nessuna lametta. ­Per fortuna. Non si accorse che ero entrata, così, silenziosamente mi sedetti alla sua sinistra e le toccai delicatamente la spalla. Sobbalzò a quel contatto. Quando girandosi mi vide, sorrise. Ma sapevo fin troppo bene che quel sorriso non era sincero.
- cosa è successo? - le chiesi, senza troppi preamboli. Scosse la testa.
- niente, tranquilla. - non mi convinse affatto.
- sicura? -
- si, è solo che…credo mi piaccia un ragazzo. -
Un sorriso enorme spuntò sul mio viso nel sentire quell’affermazione. Iniziai a battere le mani come un’idiota.
- sono così felice! - l’abbracciai di slancio, fregandomene delle ferite.
- attenta, che ti fai male! - esclamò Giulia sicuramente più preoccupata di me, ma ridendo.
- non me ne frega niente. In questo momento stiamo parlando di te, non di me. -
- sei sempre disposta a mettere tutti davanti a te, questo ti rende fantastica, lo sai? Ancora mi chiedo cosa ho fatto di così bello da meritarmi un’amica come te. - quelle parole mi toccarono profondamente. Nessuno, da quando ero arrivata in quella scuola, mi aveva fatto sentire così accettata, oltre Federico.
Già, Federico.
Dove era?
Se ne era andato via quando la mia discussione con Valerio era diventata un po’ più accesa.
Mi staccai da Giulia e la guardai negli occhi. ‘sono di un verde meraviglioso…’
- grazie, ma ora scusami, devo proprio andare. -
- certo, tranquilla. -
- poi a ricreazione mi racconti tutto quanto, okay? -
- ve bene. - le diedi un bacio sulla guancia e uscii di corsa dal bagno.
Arrivai in pochissimo in classe, ormai sapevo la strada a memoria e non mi perdevo più.
Entrata, vidi Federico seduto al nostro banco da solo.
- Fede! - lo chiamai. Si girò e mi sorrise.
- Milla! - mi fece cenno con la mano di avvicinarmi e io mi sedetti al mio posto. - allora, hai risolto tutto con quel ragazzo là sotto? -
Un altro colpo al cuore.
Perché doveva spuntare quando tutto sembrava perfetto?
Era ritornato nella mia mente quando credevo di averlo dimenticato.
Era ritornato nella mia vita quando ero felice con Federico.
Era ritornato prepotente, distruggendo tutta la felicità che ero riuscita a trovare.
Forse Federico si accorse di questo mio stato di tristezze, infatti disse: - se non ne vuoi parlare, non ti preoccupare, ti capisco. - ‘no, non mi capisci, non puoi capirmi…’
- grazie. -
In quel momento suonò la campanella.
Non ero mai stata più felice di sentirla.
Dopo poco entrò la professoressa di religione.
Ma io dico, si può mettere religione in prima ora?
Già uno ha sonno, se ci metti pure questa materia dormi proprio! ‘la prossima volta mi porto un cuscino…’
****
Le ore passarono in fretta ed era già ricreazione.
Io e Federico dovevamo sbrigarci a trovare la Russo, così avrei avuto tutto il tempo di andare da Giulia e parlarle.
- perché corri? - mi chiese Federico.
- perché non ho tantissimo tempo! -
- e perché non hai tantissimo tempo? - mi fermai di botto e lo guardai, mettendo le mani sui fianchi.
- cos’è, il gioco dei perché? - chiesi, alzando un sopracciglio.
- non si risponde ad una doman… -
- …ad una domanda con un’altra domanda. Lo so, lo so. - scoppiò a ridere. - vado di fretta, perché dopo devo andare da Giulia, va bene? -
- ah ah. - riuscì a dire quando si fu ripreso dall’attacco di ridarella.
Ricominciai a camminare a passo svelto, seguita da Federico.
Quando finalmente trovammo la Russo mi fermai di botto.
- che c’è? - chiese allarmato Federico.
Guardò nella direzione che stavo indicando.
- oh. - mormorò stringendo i pugni.
- andiamocene, la cerchiamo domani. - lo presi per un braccio e lo portai lontano dalla vista di Matteo…
Lasciai Federico in classe, poi mi diressi verso la classe di Giulia.
La trovai davanti alla porta della sua classe.
- Giulia! - si girò e mi sorrise. - te lo avevo detto che sarei venuta. Adesso voglio sapere tutto. -
- va bene. Possiamo però andare da qualche altra parte? Qui non mi sento molto a mio agio. -
- certo. -
Ci incamminammo verso il cortile esterno, mentre pregavo di non incontrare Matteo di nuovo.
- allora? - chiesi una volta sedute su una panchina in cortile.
- allora cosa? - chiese lei con non curanza.
- oh, andiamo! Sono così curiosa, non tenermi sulle spine! -  Giulia mi sorrise e si decise a parlare.
- fammi delle domande, io ti rispondo. -
- okay. - ci pensai un po', poi decisi di puntare sulla domanda più semplice. - come si chiama? -
- Fabio. - sospirò con aria sognante.
- è un bel nome. - costatai. - età? -
- diciassette anni. -
- mmm...quindi è un anno più grande di noi. - annuì. - descrivimelo. -
- è altissimo e ha le spalle abbastanza ampie. I capelli sono neri e gli occhi verdi-azzurri. In poche parole è perfetto. -
- ne sei proprio cotta, eh? - il suo volto si tinse di un rosso più acceso dei suoi capelli. Iniziò a torturarsi le dita affusolate.
- beh...io...cioè...non.... - le poggiai una mano sulla spalla.
- tranquilla, ti capisco. - eccome se la capivo.
Quando mi ero innamorata di Valerio ero ancora più impacciata.
Ma perchè dovevo pensare a Valerio?
Dovevo assolutamente cancellarlo dalla mia mente, eliminarlo dalla mia vita per sempre.
Mi rabbuiai in volto nel ricordare che ora lui non faceva più parte della mia vita.
Erano passati due mesi, ma quando mi tornava in mente, difficilmente riuscivo ad accettarlo.
Tutta colpa di quel mostro.
Era tutta colpa sua.
E non solo di quello, ma di tantissime altre cose, come le paure che avevo.
O forse la colpa era mia.
Forse era colpa mia se quell'uomo mi aveva picchiata e violentata.
Forse meritavo un destino del genere.
Forse quella era solo una delle serie delle sofferenze che avrei dovuto patire.
- tutto okay? - mi chiese Giulia preoccupata. Sollevai il capo per guardarla negli occhi e le sorrisi.
- si, tranquilla. -
Passammo altri cinque minuti in cortile, poi suonò la campanella e tornammo nelle nostre classi.
Quando arrivai nella mia, notai che Federico non c’era.
Di solito si trovava già in classe quando io arrivavo.
Dove si era cacciato?
Decisi di non chiedere spiegazioni agli altri, avrei aspettato che tornasse.
Passarono cinque minuti e arrivò il professore di storia, ma di Federico nemmeno l'ombra.
- scusate ragazzi, ma Rossi? - chiese il professore non vedendolo al suo posto. Mi guardò. Scossi la testa, facendogli capire che ne sapevo quanto lui.
- è finito in infermeria. - disse qualcuno. Sbarrai gli occhi. Come era possibile che fosse finito in infermeria in soli dieci minuti?
Si era picchiato con qualcuno?
Era semplicemente caduto?
Ma soprattutto, si era fatto male?
- ora sta da solo? - chiese sempre il professore.
- si. -
Guardai il professore e gli chiesi con uno sguardo di poter andare a vedere come stava.
Fortunatamente acconsentì.
Mi catapultai fuori dalla classe e mi misi alla ricerca della famosa infermeria.
Volevo assolutamente sapere come stava, ma soprattutto il perchè si trovasse lì.
Dato che non la trovavo, chiesi “indicazioni” alla prima bidella che incontrai.
Probabilmente sembravo disperata, dato che mi fece strada personalmente, così era sicuro che non mi perdessi. Una volta arrivate, la ringraziai una decina di volte. Quando si fu allontanata aprii la porta ed entrai.
Mi trovai in una stanza bianca, decisamente troppo bianca e piccola. C'era giusto un letto e una scrivania, rigorosamente bianchi. Sul letto c'era Federico. Aveva il naso ricoperto da della garza e un po' di cerotti. L'occhio sinistro era nero.
- Camilla? - domandò sorpreso.
- certo, chi ti aspettavi, il lupo cattivo? - dissi, riuscendo a strappargli un sorriso.
- no, è solo che non mi aspettavo te. -
- se è perchè non mi volevi, allora puoi incolpare il professore di storia. Ha visto che non c'eri e ha chiesto dove eri. Quando l'ho saputo anche io, gli ho chiesto di venire qua a vedere come stavi e mi ha detto di si. -
- no, macchè, la tua presenza non mi disturba affatto. - arrossi. - ti sei preoccupata per me? -
- beh, si. Non ti ho visto in classe e ho pensato il peggio. - ammisi, andandomi a sedere vicino a lui.
- scusami se ti ho fatto preoccupare. -
- tranquillo. Ma mi spieghi perchè sei finito qui? - si irrigidì.

 
FEDERICO
Cosa le dicevo ora?
La verità o una bugia?
A lei non volevo mentire, ma poi come le spiegavo il perchè mi fossi picchiato con Matteo?
Decisi che mi sarei affidato al destino.
- m-mi sono picchiato... - ammisi.
- beh, questo lo avevo capito, hai un occhio nero e il naso rotto, direi. - annui. Matteo mi aveva dato un pugno dritto sul naso, storcendomelo. - con chi ti sei picchiato? -
- Matteo. - mormorai. Camilla sgranò gli occhi. Aprì e chiuse più volte la bocca, non sapendo come rispondere a quello che le avevo appena detto.
- c-cosa?! - esclamò quando si fu ripresa.
- mi sono picchiato con Matteo. - ripetei. Lei allargò le braccia con fare teatrale.
- e perchè, di grazia? -
- beh...io...cioè lui... - mi bloccai di colpo e organizzai il discorso nella mia mente. - allora, mi sono menato con Matteo perchè, dopo averlo visto giù con te, l'ho rivisto davanti alla nostra classe... -

Flashback
Camilla mi aveva lasciato su, in classe, come se avesse paura che avrei potuto combinare qualcosa di pericoloso se non mi avesse visto entrare e rimanere in aula. Anche se mi dispiaceva doverla lasciare ansare da sola, acconsentii. Mi aveva detto che doveva parlare di una cosa importante e privata con Giulia.
Dopo poco, vidi infondo al corridoio una figura a me sfortunatamente conosciuta: Matteo. Mi irrigidii di colpo e cercai di rientrare in classe, meno lo vedevo, meglio era, ma...
- Federico! - 'ma che vuole ora 'sto deficiente?' Mi voltai velocemente, per poterlo guardare.
- cosa vuoi? - chiesi freddo.
- da te? In realtà volevo solo sapere dove era Camilla. - serrai i pugni.
Cosa voleva da Camilla?
Cioè, sapevo cosa voleva, ma perchè proprio da lei?
- che c'è, - continuò. - ti da fastidio che la stia cercando? - sghignazzò, vedendo le mie mani, ormai bianche.
- si, e anche molto! - gli ringhiai contro. - non devi nemmeno starle intorno, okay? -
Molto ragazzi si avvicinarono, nel sentire le nostre grida.
- e tu chi sei per dirmi questo, la sua guardia del corpo? -
- sono un suo amico. Non voglio che succeda la stesa cosa che è successa con Sara. Con lei non sono riuscito a fare niente, ma Camilla la proteggerò da un bastardo come te! -
- come mi hai chiamato?! - disse, serrando la mascella.
- bastardo. - ripetei tranquillamente.
- allora la lezione dell'altra volta non ti è bastata, eh?! - urlò, per poi avventarsi su di me.
Mi diede calci e di pugni su tutto il corpo.
Era più grosso di me, non riuscii a difendermi.
Mi fece male, molto male, ma non lo avrei mai implorato di lasciarmi stare.
All'ultimo mi diedi due pugni in pieno viso, uno sull'occhio, l'altro sul naso.
Prima di allontanarsi mi sputò addosso.
Poi se ne andò, lasciandomi dolorante e sanguinante nel corridoio. Nessuno osò avvicinarsi prima che Matteo se ne fosse andato, tutti avevano paura di lui. Qualcuno chiamò una bidella, descrivendole i fatti. La signora venne da me e mi aiutò ad andare in infermeria. Mi medicò le ferite e mise del ghiaccio sull'occhio nero, poi uscì, lasciandomi solo. Quando tornò seppi che aveva avvertito il preside, il quale aveva fatto chiamare Matteo. Se lo meritava quel bastardo dopo come mi aveva ridotto.
Rimasi un po' da solo, fino a quando la porta non si aprì ed entrò Camilla.
Fine flashback
 
- oh. - mugugnò Camilla quando ebbi finito di raccontarle ciò che era successo. - mi dispiace. -
- tranquilla, non è successo nulla. -
- hai un occhio nero e il naso rotto, ti sembra nulla? È colpa mia, lui stava cercando me, se fossi stata in classe non saresti ridotto così. -
- io ti dico che sarei finito ugualmente in infermeria. Secondo te ti avrei lasciato andare con Matteo? - ci pensò un po' su, poi scosse la testa.
- perchè lo fai? - mi chiese dopo un po' a bruciapelo.
Perchè non potrei sopportare che Matteo ti facesse del male.
Perchè mi sono ripromesso più volte che nulla ti avrebbe fatto soffrire di nuovo.
Perchè ti ho promesso che sarei rimasto con te per sempre.
Perchè sono innamorato di te.
- perchè ci tengo a te. - dissi semplicemente.










HEI!!
eccomi con questo nuovo capitolo, che però finisce a cavolo...
non sapevo come continuare, allora ho pensato di terminarlo così
pensavate che il titolo si riferisse a Camilla, eh? u.u
che carina Giulia!!
vabbè dai vi lascio in pace :D
ringrazio tutti coloro che recensiscono e che hanno inserito la storia tre le seguite/preferite/ricordate <3 ma anche chi ha solo letto!
nel prossimo capitolo ci sarà un piccolo salto temporale, non posso mica descrivere tuuuutti i giorni! andrò avanti di un paio di mesi, credo, forse di più, bah.
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia
PS: piccolo sondaggio: odiate più Matteo o Valerio? lo so che è difficile, ma mi farebbe piacere sapere chi è più odioso!

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Capitolo 20
*** It's time to sing ***


20 It’s time to sing
 
Erano passati due mesi dal mio arrivo nella nuova scuola.
Non mi lamentavo, anche se avevo stretto amicizia con soli tre compagni di classe: Federico, ovviamente, Simone, che scoprii essere il migliore amico di Federico e Francesca, una ragazza bassina, dai capelli color cioccolato e gli occhi marroni-verdi molto simpatica.
Giulia era diventata la mia migliore amica.
Ci aiutavamo a vicenda e piano piano stava uscendo dal circolo dell’autolesionismo, anche se con molte difficoltà.
Sfortunatamente non ero riuscita ancora a vedere Fabio, ma da come lo descriveva Giulia doveva essere un ragazzo fantastico.
Lei si vergognava a parlargli, così lo “spiava”.
Ogni volta che ci vedevamo mi raccontava tutto, sorridendo come una bambina davanti ad un giocattolo nuovo.
Meritava quella felicità.
Io ormai stavo quasi sempre con Federico.
Mi trovavo bene con lui, riusciva a non farmi pensare a nulla.
Con lui mi sentivo me stessa, non avevo più alcun problema ad aprirmi.
Qualche giorno dopo la rissa avvenuta con Matteo, eravamo andati dalla Russo per avere più informazioni riguardo alla competizione.
Ora, mi trovavo sul palco del teatro della scuola.
Avevo un microfono in mano e le parole della canzone che avrei cantato nella mente.
Le canticchiavo a bassa voce, per essere sicura di non dimenticarmele.
Ero agitata.
Anzi, agitatissima.
E se avessi sbagliato?
Se mi fossi dimenticata il testo?
Se fossi caduta sul palco?
Volevo andarmene, ma ogni volta che ci provavo, Federico mi dava un motivo per rimanere.
Sei bravissima e non sbaglierai.
Hai provato cinquecentomila volte, non ti puoi dimenticare il testo!
Dove potresti inciampare, sui tuoi piedi? Non sei così idiota! Stai tranquilla, andrà tutto bene.
Era grazie a lui se mi trovavo ancora lì, ad aspettare impaziente il mio turno.
Ero l’ultima ad esibirmi, davanti a me c’erano un centinaio di ragazzi.
Ma non ero pronta.
Non ancora.
Avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, ma Federico in quel momento non era lì con me. Era andato a prendermi dell'acqua.
Presi un respiro profondo, nel vano tentativo di calmarmi.
L'ansia era sempre di più.
Dovevo calmarmi, o non avrei combinato niente.
Fortunatamente, poco dopo arrivò Federico con la bottiglietta d'acqua.
Ne bevvi un sorso, senza dire parola.
Poi, dato che avevo davanti ancora tante persone che si dovevano esibire, andammo in una sala, dove altri ragazzi si stavano preparando.
- andrà bene, stai tranquilla. - mi rassicurò.
E a me bastarono quelle parole per tranquillizzarmi.­
Dopo poco arrivò anche Francesca.
- hei, bella, come stai? - mi chiese dolcemente.
- se devo essere sincera, sono un bel po' in ansia. Spero solo mi passi una volta sul palco. - mi sorrise e si sedette vicino a me. Poi fece cenno a Federico di andarsene.
- perchè? Voglio rimanere qui. -
- sei solo un bambino! Dobbiamo parlare di cose private noi due. -
Aggrottai la fronte, non avendo la minima idea di cosa mi volesse parlare.
Federico come risposta smise di fare avanti e indietro nella stanza e si sedette vicino a noi.
- insomma, capisci bene l'italiano, eh? - costatai ridendo.
- ti ho detto che te ne devi andare, hai capito? - esclamò Francesca. Non c'era una volta in cui quei due non si dessero fastidio a vicenda.
- e io ti ho detto che voglio rimanere qua. -
- siete tutti e due dei bambini. Andiamo Francesca, non credo ci sia qualcosa di male se rimane qua. -
Francesca sbuffò, incenerendo con lo sguardo Federico. Poi guardò me e sorrise.
- sai che ci sono dei ragazzi veramente belli qua fuori? -
- si, hai proprio ragione. - ammisi abbassando lo sguardo.
- sono sicura che farai colpo. - arrossii immediatamente. Federico invece si irrigidì e borbottò qualcosa.
Poi si alzò e uscì dalla saletta.
- ma che gli è preso? - chiesi a Francesca una volta che Federico non fu più visibile. Francesca smisedi rideree mi guardò.
- è geloso. - aggrottai la fronte.
- geloso? E di che, scusa? -
- di te! -
- perchè? -
- non ci arrivi, eh? - scossi la testa, anche se probabilmente avevo capito a cosa si riferiva.
Possibile che Federico fosse…?
No, non era possibile.
Non gli piacevo.
Noi due eravamo solo amici.
- sei pronta per cantare? - chiese Francesca.
- non proprio… -
- andrà bene, stai calma. Ora scusami, ma devo andare un attimo a parlare con quel deficiente di Federico. Tu non ti muovere! - alzai le mani sorridendo, per farle capire che sarei rimasta lì.
 
FEDERICO
‘ ma io dico, proprio io dovevo avere un’amica così idiota?’
Uscii da quella stanza e mi ritrovai nel corridoio.
Ero solo, così mi sedetti su una sedia che, in teoria, era per i bidelli.
- ne sei proprio cotto eh? - sobbalzai nel sentire quella voce.
Mi voltai e vidi Francesca.
- si vede così tanto? - chiesi, temendo in una risposta positiva..
- solo se ti ci impegni. - disse facendomi l’occhiolino. Le sorrisi e le feci cenno di avvicinarsi a me. Una volta al mio fianco si sedette a terra.
- perché non glielo dici? - chiese a bruciapelo.
Rimasi per un attimo spiazzato, non avendo la minima idea su cosa rispondere.
- non le piaccio. Non voglio rimanere deluso. -
- che ne sai che non le piaci? -
- le piace ancora Valerio. Anche se lui l’ha riempita di insulti più volte continua ad esserne innamorata. - ammisi amaramente, prendendomi la testa tra le mani.
- potresti farle cambiare idea. -
- e come? -
- falle capire che tieni a lei più di quello là. -
Non risposi, mi limitai ad annuire e a pensare alle sue parole.
Io tenevo a lei.
Tenevo a lei più di me stesso.
Tenevo a lei sicuramente più di Valerio.
Lui l’aveva lasciata, l’aveva fatta soffrire.
Se uno tiene veramente ad una persona non le fa del male.
Forse aveva ragione Francesca, avrei dovuto parlarle e dirle cosa provavo per lei.
Già, forse.
La paura di un rifiuto era decisamente più grande rispetto alla gioia di un assenso…
 
CAMILLA
Ricominciai a ripetere le parole della canzone.
No, non me le sarei mai scordate.
Mi rappresentavano così perfettamente che se le avessi dimenticate, avrei dimenticato una parte di me.
- è il turno di Camilla Lenci. -
Sobbalzai nel sentirmi chiamare.
Mi alzai e andai verso l’uomo che mi aveva chiamato.
- sono pronta. - mormorai più a me stessa che a lui.
In quel momento rientrarono Federico e Francesca che mi fecero l’okay con la mano. Gli sorrisi e mi diressi verso il palco.
Era il momento di liberare la mente e cantare.
 
 






HEI!!
eccomi qua con questo nuovo capitolo appena scritto!
che ne pensate?
spero vi piaccia!
per ora dal sondaggio fatto riguardo a chi è più odioso tra Valerio e Matteo, è risultato che sono entrambi odiosi, ma più Matteo.
se vi va, continuate a farmi sapere cosa pensate, sia riguardo a loro due, sia riguardo al capitolo!
ringrazio tutti i lettori, i recensori, chi ha inserito la storia tra le seguite, ricordate e preferite
un bacio a tutti e alla prossima xxx
Giulia 

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Capitolo 21
*** Welcome to my life ***


20 Welcome to my life
 
Ero sul palco, pronta a cantare.
L’agitazione era aumentata, ma non mi importava più di tanto.
Ora c’ero solo io, il microfono e la canzone.
Pochi secondi dopo, partì la base musicale.
Do you ever feel like breaking down?
Do you ever feel out of place?
Like somehow you just don't belong
And no one understands you
Troppe volte mi ero sentita così debole da poter crollare da un momento all’altro.
Troppe volte mi ero sentita fuori posto.
Troppe volte mi ero sentita incompresa.
Ma ora con me c’era Federico.
Do you ever wanna run away?
Do you lock yourself in your room?
With the radio on turned up so loud
That no one hears you screaming
Quante volte mi era venuto in mente di scappare lontano dai problemi e dalla tristezza.
Quante volte ero arrivata vicinissimo a realizzare la mia fuga.
E quando andava tutto in fumo mi chiudevo nella mia stanza, in lacrime, cercando di non pensare al dolore che mi opprimeva.
Lo avrei voluto fare di nuovo.
Ma ora con me c’era Federico.
No you don't know what it's like
When nothing feels alright
You don't know what it's like to be like me
To be hurt to feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
Nessuno poteva sapere come mi sentivo.
Nessuno sapeva come era quando tutto andava a rotoli.
Nessuno sapeva come mi sentivo ad essere ferita, persa, lasciata sola, colpita quando credevo di aver già toccato il fondo.
No, nessuno lo sapeva e nessuno mi avrebbe capito.
Ma almeno ora con me c’era Federico.
To be on the edge of breaking down
When no one's there to save you
Troppe volte mi sentivo sull’orlo di un precipizio.
La voglia di saltare e terminare la mia vita era tanta.
Nessuno mi avrebbe salvato.
Ero sola.
Sola contro la tristezza e il dolore.
Ma ora con me c’era Federico.
Do you wanna be somebody else?
Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more
Before your life is over
Spesso mi era capitato di voler essere qualcun altro.
Volevo sapere come fosse la vita senza tutta quella sofferenza.
Volevo riassaporare, come si suol dire, il gusto della felicità.
Forse quella felicità la stavo già assaporando.
Perchè ora come c’era Federico.
With the big fake smiles and stupid lies
But deep inside you're bleeding
Bugie.
Ecco su cosa si basava la mia vita.
La mia vita era un castello di menzogne.
Il problema però era sapere per quanto avrebbe retto.
Come i castelli di sabbia, ci volle molto a costruirlo.
Ma velocemente sarebbe potuto cadere.
Però non mi importava.
Ora con me c’era Federico.
You might think I'm happy
But I'm not gonna be ok
No, non sarei stata bene.
La gente poteva anche credere al mio sorriso falso, ma la realtà era che la tristezza stava prendendo il sopravvento.
Ma forse qualcosa l’avrebbe fermata.
Forse Federico ci sarebbe riuscito.
Welcome to my life
Questa era la mia vita, descritta alla perfezione dai Simple Plan.
Sentii un applauso potentissimo partire da sotto il palco.
Aprii finalmente gli occhi che avevo chiuso prima di iniziare a cantare e guardai tutti i ragazzi che c’erano. Erano veramente tantissimi e stavano applaudendo tutti per me.
Feci un piccolo inchino, poi, quando gli applausi iniziarono a scemare, mi scesi velocemente dal palco.
Trovai subito Federico, Francesca e Giulia. Abbracciai le ultime due, poi, quando si furono allontanate, saltai al collo di Federico.
- sei stata bravissima. - mormorò.
- grazie. - poggiai il mio viso nell’incavo del suo collo, respirando il suo buonissimo profumo.
Lo sentii rabbrividire. Sorrisi. Rimanemmo per un po’ abbracciati, mi piaceva trovarmi tra le sue braccia.

FEDERICO
‘e se glielo dicessi ora? Se le dicessi che mi sono innamorato di lei?’
- Camilla, io… -
- si pregano tutti i partecipanti alla competizione di salire sul palco. -
Okay, avrei voluto ammazzare il preside.
C’ero così vicino…
- scusami, ma devo andare. Poi mi dici tutto, va bene? - annuii.
Mi diede un bacio sulla guancia e andò sul palco.

 
CAMILLA
Salii sul palco, dietro a tantissimi ragazzi. Mi chiesi più volte come riuscivamo ad entrare tutti quanti in quel minuscolo spazio.
- bene ragazzi! Tutti si sono esibiti ed ora è il momento del verdetto finale. - esclamò il preside al microfono. - i giudici hanno giudicato tutti i ragazzi, ed ora siamo pronti per decretare il vincitore. -
Si avvicinò al preside una donna sulla quarantina, che ricordai essere la professoressa Russo. Gli porse una busta sorridendo e riscese dal palco
- il vincitore è... - il preside ci guardò uno ad uno, poi tornò a guardare la folla di ragazzi, rimanendo in silenzio. Aprì la busta ed iniziò lentamente a tirare fuori il foglio.
Un ragazzo che aveva suonato la batteria, iniziò a suonare il suo strumento, creando una sorta di suspense.(?)
Ma si poteva fare così?
Uno già era in ansia di suo, così saremmo morti tutti d'infarto.
Lessi negli sguardi di tutti i ragazzi gli stessi pensieri.
- ...Camilla... - no, ero io. Non potevo essere io. Notai che altre ragazze si stavano agitando.
Sicuramente non ero l'unica Camilla che si era esibita.
Vedevo dai loro occhi la voglia di vincere. Solo io non volevo. Io avevo partecipato solo perchè non volevo deludere Federico. Se avessi vinto avrei dovuto competere contro dei ragazzi di altre scuole.
Avrei dovuto competere e vincere tenendo alto il nome della mia scuola.
E non volevo.
- ...Lenci. La vincitrice è Camilla Lenci. -
Non ci credevo.
Veramente avevo vinto?
Veramente avevo battuto tutti quei ragazzi?
Non è che si erano sbagliati?
Mi avvicinai timorosa al preside, che mi faceva cenno di prendere il microfono.
- chi vorrebbe sentire di nuovo Camilla cantare? - un coro di approvazioni salì dal "pubblico".
Sorrisi falsamente al preside e aspettai che la base partisse per cantare di nuovo.
****
Quando ebbi finito di cantare di nuovo, scesi dal palco e mi diressi più in fretta possibile al bagno.
Mi sentivo male.
Mi sentivo debole.
Troppo debole.
Non mi sentivo così da quattro mesi.
Da quando tutto era finito.
Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo.
Iniziai a vedere sempre più appannato.
Il battito del mio cuore era irregolare, il respiro affannato.
Non mi reggevo in piedi.
Poggiai le mani sul lavello, nel vano tentativo di reggermi.
Mi accasciai su me stessa, ma non toccai il pavimento.
Qualcuno arrestò la mia caduta.
Non sapevo chi mi avesse preso, l'unica cosa che vedevo era il buio, sempre più opprimente...






HEI!!!
eccomi con questo nuovo capitolo
spero che, anche se Federico non si è dichiarato, non abbia deluso le vostre aspettative.
oggi sono di poche parole, quindi ringrazio chi ha recensito, inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e chi ha letto e me ne vado <3
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 22
*** I miss you ***


21 I miss you
 
Quando mi svegliai, mi ritrovai allungata sul letto di una stanza a me familiare, ma non riuscivo a capire come mai la conoscessi. Mi sforzai di vedere meglio, ma la vista era appannata.
Provai allora ad alzarmi, ma un giramento di testa me lo impedì.
Emisi un mugugno dal dolore.
- sei sveglia? -
Quella voce...
La conoscevo.
Ero sicura di conoscerla.
Era maschile, calda, profonda, rassicurante.
Ma non mi ricordavo a chi appartenesse.
Aprii la bocca, ma non emisi nemmeno un suono.
Mi limitai così ad annuire.
- mi hai fatto prendere un colpo, lo sai? -
Volevo scusarmi con quella persona, ma non riuscivo a parlare.
- vado a chiamare tua madre. -
Annuii di nuovo.
Poi, sentii il rumore di una sedia strusciare e la porta di quella stanza aprirsi e chiudersi.
Quel ragazzo era uscito.
Non riuscivo proprio a collegare quella meravigliosa voce ad un volto a me familiare.
Sbattei più volte le palpebre e piano piano riuscii finalmente a capire dove mi trovassi: in camera mia.
Poco dopo sentii il rumore della porta riaprirsi.
Provai a girare la testa e, lentamente, ci riuscii.
Sulla porta c’erano mia madre e Valerio.
- tutto bene tesoro? -
- si. - riuscii a mugugnare.
La gola era secca, avevo bisogno d'acqua. Probabilmente Valerio se ne accorse, infatti disse: - ti vado a prendere un bicchiere d'acqua. -
Mia madre si avvicinò e si sedette sul mio letto.
- cosa è successo? - sussurrai.
- dopo la seconda esibizione sei corsa al bagno. Fortunatamente Valerio ti ha seguita e, quando sei svenuta ti ha preso e portato fuori.  Mi ha chiamato e sono venuta a prenderti. Poi abbiamo chiamato il medico che ti ha controllata e ci ha detto che sei svenuta per l'emozione, ma anche perchè sei debole. Non prendi la medicina da giorni, vero? -
Mi morsi il labbro. Ero così presa dallo studio e dalla competizione che me ne ero proprio dimenticata. E quel gesto bastò a mia madre come risposta.
- la devi prendere, tesoro. - stavo per risponderle, ma in quel momento entrò Valerio con dell'acqua per me. Bevvi tutto d'un fiato, poi poggiai il bicchiere sul comodino.
- vi lascio soli. - disse mia madre, per poi alzarsi e uscire dalla mia stanza.
Ormai credevo di aver superato l’amore che provavo per lui.
Speravo solo che lui avesse superato l’odio nei miei confronti.
- sei sicura di stare bene? - chiese Valerio sedendosi vicino a me.
- si. - risposi fredda.
Valerio mi accarezzò delicatamente il volto con il dorso della mano.
- sei molto debole. Forse è meglio se vado, così ti riposi un po'. - si stava alzando, ma lo fermai per un braccio.
- aspetta. - posò di nuovo lo sguardo su di me. Mi morsi il labbro. - voglio sapere due cose. - Valerio annuì, per farmi capire che potevo continuare, e si risedette. - cosa ci facevi a scuola mia? E perché mi hai seguito al bagno? -
- i-io volevo sentirti cantare di nuovo. Qualche giorno fa ho incontrato tua madre al supermercato, e mi ha parlato di questa competizione. Non ci ho pensato due volte e sono venuto. Poi ti ho seguito al bagno perché mi sono preoccupato per te. Ti ho visto scendere velocemente dal palco, avevi il volto pallido e ho pensato il peggio. - ammise.
- oh. - iniziò a torturarsi le mani.
Voleva dirmi qualcosa, lo sapevo, stava cercando le parole adatte.
- Camilla, mi manchi. Mi manchi veramente molto. Lo so che mi sono comportato da stupido, che ti ho insultata, ma mi dispiace. -
Presi un respiro profondo, per evitare di urlargli contro.
- e cosa, di grazia, ti ha fatto capire tutto questo? -
- hai presente quando ho parlato con tua madre? - ‘oddio, dimmi di no. Dimmi che non ti ha detto tutto. Ti prego.’ Annuii. - m-mi ha confermato quello che mi avevi detto due mesi fa. - disse abbassando lo sguardo. - mi dispiace. Ti prego, perdonami. - mi sedetti sul letto, cercando di ignorare il dolore alla testa.
- mi dispiace, ma questo proprio non te lo posso proprio perdonare. Mi hai reputato un bugiarda non una, ma più volte, mi hai anche reputato una poco di buono. Sai quanto ho pianto? Sai quanto ho sofferto per colpa tua e di quell’essere? Sai quante volte mi sono reputata uno schifo di persona? Ogni volta che subivo quel supplizio mi ripetevo che tu c’eri, che non te ne saresti andato. Lo so, ti ho lasciato io, ma perché lui me lo aveva imposto. Se avessi tenuto veramente a me, ti saresti accorto che qualcosa non andava. E invece no, continuavi a pensare che stavo bene quando in realtà morivo dentro giorno per giorno. Non hai provato nemmeno ad indagare un pochino. Non ti rendevi conto che a metà maggio portavo ancora le maniche lunghe? Io che sono sempre stata una tipa calorosa. Sai quante volte ho desiderato morire piuttosto che dover stare senza di te? A volte non riuscivo ad andare avanti, solo al pensiero che non facevi più parte della mia vita. Ed ora che finalmente sono riuscita a superare tutto, vieni qua e mi dici che ti manco, che ti dispiace? No, non ce la faccio a perdonarti. -
Non mi accorsi nemmeno che delle lacrime mi stavano rigando il volto, per la rabbia che stavo provando.
Valerio alzò di nuovo lo sguardo su di me.
Poi successe tutto troppo velocemente.
Prese il mio volto con una mano e mi avvicinò a sé, fino a baciarmi. Poi mise l’altra mano sul mio fianco.
Ma io ormai non lo volevo più. Non lo amavo più. Misi le mie mani sulle sue spalle e lo spinsi lontano.
- non ci provare mai più! - gli urlai contro.
- Camilla, io… -
- vattene! - urlai, indicandogli la porta.
Si alzò lentamente, poi, tenendo lo sguardo fisso a terra con fare ferito, come se fosse stato lui ad essere stato ferito, se ne andò.
Appena sentii la porta di casa chiudersi mi ributtai sul letto in lacrime.
Strofinai più volte la mia mano sulle labbra, nel tentativo di eliminare il suo sapore.
Avevo bisogno di qualcuno. Avevo bisogno di Giulia. Presi il telefono e solo in quel momento mi resi conto che era spento. Lo accesi.
Avevo ventitré chiamate perse e dieci messaggi. Tutti di Federico. Sorrisi, al pensare che si era preoccupato per me. Decisi di chiamarlo, Giulia avrebbe aspettato. Stavo per premere il tasto verde, quando mi arrivò una chiamata. Era ancora quell'idiota sopracitato. Mi asciugai le lacrime e risposi.
- pronto? -
- Camilla! Allora sei viva! Mi sono preoccupato tantissimo! -
- tranquillo, sto bene. Scusami se ti ho fatto preoccupare. -
- dai, non fa niente. Ma cosa ti è successo? -
- sono svenuta. -
- oh. Ora stai bene? -
- beh, diciamo che ora sto molto meglio. - 'no, non è vero, non sto meglio, sto solo peggio per colpa di Valerio.'
 - okay, che hai? - chiese non credendo ad una sola parola di quello che gli avevo appena detto.
- io? Niente, te l'ho già detto. -
- si, certo, come no! Raccontalo a qualcun altro. Lo sento che hai pianto, la voce ti trema. - mi morsi il labbro. Come faceva a capirlo dal telefono?
- io...ho bisogno di te. - ammisi, sia a lui, sia a me stessa. Avevo un enorme bisogno di stare con lui, di sentirlo vicino, di abbracciarlo.
- arrivo subito. -
- non sei stanco? -
- per te farei di tutto. - sorrisi.
- grazie mille. -
Riattaccai il telefono e mi alzai lentamente dal letto.
Scesi giù in cucina e avvertii mia madre che sarebbe venuto Federico.
Poi andai in bagno, con l'intenzione di farmi una doccia.

 
FEDERICO
Per lei avrei fatto di tutto. Sarei andato in capo al mondo se l'avesse fatta stare meglio. Mi sarei alzato anche alle due di notte, se voleva dire vederla sorridere.
Avvertii mia madre che sarei uscito e, dopo aver messo un paio di cuffiette, mi diressi verso casa di Camilla.
Ascoltare i Simple Plan mi faceva sempre pensare a lei.
Era stava veramente brava a cantare quel giorno, la sua voce melodiosa rimbombava ancora nelle mie orecchie.
Arrivai da lei in una decina di minuti.
Quando citofonai, mi venne ad aprire la madre. Mi sorrise cordialmente.
- ciao Federico. -
- salve signora. Camilla? -
- si sta facendo una doccia. Vieni dentro, non rimanere qui sulla porta! -
Le sorrisi ed entrai.
Ogni volta che vedevo quella casa mi sembrava sempre più grande e più bella.
- Camilla, è arrivato Federico! - urlò la madre di Camilla alla porta del bagno.
 
CAMILLA
Sentii da sotto la doccia le urla di mia madre che mi avvertiva dell’arrivo di Federico.
No, non poteva essere già arrivato!
Come avrei fatto? Non avevo il cambio. Solo la biancheria. Come facevo ad andare in camera mia?
Dovevo solo sperare che mia madre lo intrattenesse in camera da pranzo.
Finii la doccia molto velocemente e, una volta asciutta, misi l’asciugamano e andai in camera mia.
Sfortunatamente quell’asciugamano mi arrivava a metà coscia.
Tutto il resto delle gambe e le braccia erano scoperte.         
La fortuna, per il momento era dalla mia parte, Federico non c’era da nessuna parte. ‘starà parlando sotto con mia madre.’
Presi il più velocemente possibile la prima felpa e il primo paio di jeans che trovai.
Federico ancora non si vedeva.
Stavo uscendo dalla camera, quando sentii dei passi salire le scale.
Diavolo, non ora!
Corsi al bagno, ma la fortuna era stata dalla mia parte per troppo tempo. Infatti, appena chiusa la porta, scivolai a terra sul bagnato. Fortunatamente non battei la schiena, caddi seduta, attutendo in parte il colpo con le braccia.
- Camilla, tutto bene? -
Era Federico.
- si, sono solo scivolata sull’acqua. -
Mi alzai piano piano in piedi e guardai le mie mani. I vestiti non c’erano, nemmeno per terra. Dove erano finiti?
Guardai nella vasca e li trovai lì. ‘grazie mille fortuna.’
Li presi e notai che non erano molto bagnati. Giusto un pochino. Li infilai ed uscii velocemente dal bagno. Trovai fuori dalla porta Federico.
- ciao. - mi salutò.
- ciao. - gli sorrisi.
Poi andammo in camera mia.
- sei sicura di star bene? E poi perché i vestiti sono bagnati? -
- eh eh. Diciamo che non sono molto fortunata. Quando sono caduta i vestiti sono finiti nella vasca… -
- oh. -
- pazienza, tra un po’ si asciugheranno. -
Ci sedemmo sul letto.
- mi dici cosa è successo? - presi un respiro profondo e gli raccontai tutto ciò che era successo, tralasciando il motivo del pentimento di Valerio.
- quel bastardo! - fu il primo commento di Federico, dopo avermi ascoltato. - come si è permesso?! Tra un po’ lo odio più di Matteo! -
Lo abbracciai.
- tranquillo, l’importante è che ora sei qui con me. - ed ero sincera.
Mi bastava stare con lui che tutto migliorava.
Rimanemmo un’oretta insieme, a parlare del più e del meno. Poi lui dovette tornare a casa.
Quando uscì da casa, iniziai a sorridere come un'idiota.
Okay, forse, c'era la possibilità che mi piacesse.
Ma solo forse.
No, meglio togliere quel forse.
Mi piaceva.
Io però non piacevo a lui, quindi sarebbe rimasto un segreto.
Lo avrei detto solo a Giulia.
Lei mi avrebbe aiutato.
Decisi di inviarle un messaggio.

Hei, ho bisogno del tuo aiuto xxx
 La risposta non si fece attendere.

Hei, ma dove eri finita? Comunque, dimmi tutto quello che ti serve xxx
Dove la trovi un'amica come lei? Da nessuna parte.

Scusami, non mi sono sentita molto bene, ma ora ho un piccolo problema. Riguarda Federico...

Ti piace.

Come aveva fatto a capirlo?

Come fai a saperlo? O.o

Beh, si vede.

Solo io non me ne ero accorta? Se ne era accorto anche lui?

Si vede così tanto?

Solo se ti ci impegni ;)

Questo vuol dire che lui non se ne è accorto?

No, quello è più stupido di te. <3
 
Heiiiiii!!!! Mi stai dando della stupida?
 
Mmmm...forse... dai, ora devo andare. Ci vediamo domani. Un bacio xxx
 
A domani xxx

 
Mi allungai di nuovo sul letto e velocemente mi addormentai, mentre accarezzavo Micky.
****
Il giorno dopo a scuola venni accompagnata come al solito da mia madre. Quando scesi dalla macchina, Federico, che era seduto sul muretto lì vicino, mi si avvicinò e mi prese lo zaino.
- buongiorno! - esclamò sorridendo.
- 'giorno. A cosa dobbiamo tutta questa allegria? - ci pensò un po', poi mi sorrise di nuovo.
- non lo so. -scoppiai a ridere, seguita da lui.
- tu hai qualche problema! -
- mmm...forse. Come stai? - chiese diventando serio. Alzai le spalle.
- meglio di ieri sicuramente, anche se sono ancora un po' debole. -
- capisco. Ti va oggi di vederci? -
- n-non lo so. Non vorrei disturbare... -
- tranquilla, non disturbi mai. - non potei evitare di arrossire. Gli sorrisi e annuii.
- ne sarei molto felice. -
Salimmo in classe ridendo e scherzando.
Con lui mi trovavo veramente troppo bene.
Mi ricordai che sarei dovuta andare da Giulia solo quando suonò la campanella. 'Ci andrò a ricreazione.'
****
Appena suonò la campanella mi fiondai fuori dalla classe per dirigermi velocemente da Giulia.
La trovai come al solito al bagno.
- Giulia, ti prego, aiutami. - dissi, senza nemmeno salutarla.
- ciao anche a te. -
- scusami, ma ho veramente bisogno di te. - mi sedetti al suo fianco.
- dimmi tutto. - abbassai lo sguardo, imbarazzata di doverle dire tutto quanto.
- i-io non so cosa mi prende, non pensavo che un giorno mi sarebbe potuto piacere, ma ora ogni volta che lo vedo sorrido, sento qualcosa che si agita nel mio stomaco. Non mi era mai successo, se non quando vedevo Valerio. - alzai il viso e incrociai gli occhi di Giulia. - io non voglio soffrire di nuovo. - ammisi, gli occhi ormai erano diventati lucidi.
Giulia mi abbracciò. Un semplice abbraccio, di cui però avevo veramente bisogno.
- non ti farà soffrire, di lui ti puoi fidare e lo sai. -
Si, lo sapevo, ma la paura era sempre tanta.
- cosa farei senza di te? - dissi, stringendola più forte. Arrivai a farmi del male da sola, ma non mi importava, volevo solo abbracciarla normalmente.
- Camilla, ti stai facendo del male... - sussurrò Giulia, notando, forse, delle lacrime che stavano rigando il mio viso.
- n-non mi i-importa. - balbettai, per il dolore e i singhiozzi.
- beh, a me si. - si allontanò un po' da me, giusto quanto bastava per non farmi male.
- non è giusto! - esclamai.
- cosa non è giusto? -
- non è giusto che non ti posso abbracciare come vorrei, che se non prendo un giorno una  maledetta medicina svengo, che anche se mi impegno con tutte le mie forze per evitare il dolore, soffro ogni giorno. Non è giusto che non sono più me stessa. -
- tranquilla, presto tutto finirà. - mi rassicurò. E io ci speravo veramente.











HEII!!!!
come va?
questo capitolo mi è venuto veramente luuuungo :D credo il più lungo!
spero vi piaccia
sarei felice di sapere cosa ne pensate c:
ho notato, con molto piacere, che la mia storia ha molte più recensioni :D
ringrazio chi ha recensito da subito, e che ha sopportato i miei scleri iniziali un po' più brutti e che è arrivato fino a qua e chi si è aggiunto strada facendo
ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite (nelle seguite siete addirittura 36!! <3)
ringrazio anche i "lettori silenziosi" c:
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia <3

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Capitolo 23
*** Memories still hurt ***


22 Memories still hurt
 
A scuola mi venne a prendere mia madre.
- hei, tesoro. -
- ciao mamma. - le schioccai un bacio sulla guancia, poi la macchina ripartì.
- come è andata a scuola? L’hai presa la medicina? -
- è andato tutto bene e si, l’ho presa. - mi sorrise. - oggi posso andare da Federico? Mi ha invitato a casa sua. -
- certo! Sono proprio felice che tu sia capitata in classe con questo ragazzo, è molto simpatico. -
‘già, e non solo…’ scossi la testa, come per scacciare quel pensiero.
- ah, senti, io non voglio partecipare a quella competizione. Non pensavo di vincere, ho partecipato solo per fare felice Federico, io… - mia madre mi interruppe.
- tranquilla, me lo aspettavo. Ho già parlato con il preside. Ha detto che parteciperà il ragazzo che è arrivato secondo. -
- bene, grazie mille. -
- e di che! -
Tornata a casa, pranzai. Ovviamente, se prendere un pezzo di pane si poteva definire pranzo.
Poi, subito dopo mia madre mi accompagnò da Federico.
- a che ora ti vengo a riprendere? -
- mmmm…credo che tornerò da sola. -
- sicura? - annuii e andai verso la porta di casa.
Dopo un minuto che avevo bussato, venne ad aprirmi Federico.
Andammo in sala da pranzo e ci sedemmo sul divano.
Passammo una buona mezz’ora a parlare, poi, dato che avevamo molti compiti, ci sedemmo intorno al tavolo e iniziammo a farli
****
- scusami, vado un attimo al bagno. - disse dopo un po’. Annuii, guardandolo uscire dalla sala da pranzo. Non ce la facevo più, il dolore al braccio era troppo forte. Tirai su la manica destra, per far prendere un po' d'aria alla ferita. 'Molto meglio.' rimasi per qualche istante a fissarla, provando solo ribrezzo. Poi ripresi a fare gli esercizi.
- che diamine hai fatto?! - mi voltai spaventata e vidi sulla porta Federico. Indicava con un dito la mia ferita a bocca aperta. Abbassai velocemente la manica, rigirandomi.
- niente, niente. - dissi sbrigativa. Federico si avvicinò sedendosi sulla sua sedia.
- come niente?! A me non sembrava niente! - abbassai lo sguardo, chiudendo gli occhi. - mi vuoi spiegare cosa ti è successo? - strinsi i pugni sui miei pantaloni, cercando di trattenere invano le lacrime.
- m-mi hanno picchiata. - sgranò gli occhi.
- cosa?! -
- hai capito bene, mi hanno picchiata. Ma è successo tanto tempo fa, prima che iniziasse la scuola. -
- e hai ancora il segno? - ormai c'ero, perché non dirgli tutto? Annuii.
- sappi comunque che questo non è niente. Ho ferite su tutto il corpo. - Federico mi guardava con occhi sbarrati, come a non credere ad una sola parola di quello che gli avevo detto.
Mi alzai in piedi e, timorosa, sollevai leggermente la maglietta. Federico spalancò la bocca. Mi girai, così vide anche una parte delle ferite sulla schiena.
Poi, come se non fosse successo niente, mi risedetti sulla sedia.
- m-ma perché t-ti hanno p-picchiata? -
 
Maggio.
Mese meraviglioso.
L'ho sempre amato.
Quell'anno fu un maggio particolarmente caldo.
Prendere l'autobus era sempre peggio. La gente era ammassata, a malapena si respirava.
Ma alla fine, se per andare da Valerio dovevo prendere l'autobus, mi andava bene. Solo il pensiero di rivederlo mi rendeva felice.
Quel giorno tornai a casa verso le sei. Io e Valerio ci eravamo incontrati al parco vicino casa sua, il più bello di tutta la città.
Mi ero seduta su un sedile singolo, uno di quelli riservati alle donne in cinta o ai signori anziani. Misi le cuffiette ed iniziai ad ascoltare un po' di musica.
Dopo qualche fermata, salì un signore, non molto anziano, sarà stato sulla quarantina, ma zoppicava. Mi alzai immediatamente per farlo sedere.
- grazie cara. - disse riconoscente. Gli sorrisi. Guardai fuori dal finestrino: mancavano poche fermate e sarei tornata a casa.
Sentii lo sguardo di quel signore addosso. Non lo guardai direttamente, ma lo sentivo. Cercai di ignorarlo e continuai a guardare oltre il vetro.
In prossimità della mia fermata vidi quell'uomo cercare di alzarsi in piedi.
- le serve aiuto? - domandai timorosa.
- magari. - lo aiutai ad alzarsi, poi scendemmo insieme alla fermata. Decisi di accompagnarlo a casa sua e, lentamente ci arrivammo.
- la ringrazio infinitamente. Non è che vuole salire su casa per un the? -
- n-non vorrei disturbare. -
- si figuri! -
- va bene. -
- ottimo! Le posso dare del tu? - annuii. - bene! Anche te però! -
- okay. -
Salimmo su casa e, una volta entrati, mi accomodai sul divano. Era veramente molto comodo.
Quel signore si diresse verso una sala, che immaginai fosse la cucina.
- allora, quanti anni hai? Mi sembri molto giovane! -
- beh, si, ho sedici anni. -
- mmm...sedici... - lo sentii mormorare. - beh, sei la prima sedicenne che mi aiuta. Di solito le ragazze e i ragazzi della tua età mi schifano. -
- oh, mi dispiace. -
- e di che? Tranquilla, ormai ci ho fatto il callo. -
In quel momento rientrò in sala con in mano un vassoio contenente due tazze, due cucchiaini, una teiera e una zuccheriera.
- grazie. -
- di niente. - riempì le due tazze di the, poi si sedette di fronte a me, su una sedia.
- una ragazza bella come te sarà di certo fidanzata. - sorrisi, ripensando alla giornata appena trascorsa con Valerio. Annuii. - come si chiama? Se non sono invadente, ovviamente. -
- no, macché, si fi...figurati. - mi corressi all'ultimo. - si chiama Valerio. -
- mmmm...è un bel nome. - constatò.
- già. Te invece, sei sposato? - chiesi senza pensarci.
- oh si. E ho anche due figli. Un maschio di quasi diciannove anni e una femmina di dieci. - gli sorrisi. Amavo le famiglie felici. - ma c'è un piccolo problema. - ecco, ritirai tutto quello che avevo detto. - mia moglie...ecco...non...non mi da...non mi soddisfa, ecco. - sgranai gli occhi. Posai immediatamente la tazza. - vorrei qualcosa di nuovo, capisci? - mi alzai immediatamente in piedi, volevo andarmene, ma lui mi fermò. Provai a ribellarmi, ma mi buttò a terra, le uniche cose che ottenni furono calci e pugni. Poi una volta inerme, mi sollevò di peso e mi buttò su quel divano...
 
Federico si alzò di scatto.
- no! Per favore dimmi che non è vero. Dimmi che non ti è successo veramente, che nessuno ha abusato di te! -
- lo vorrei tanto Federico, lo vorrei tanto... -
 
Piangere.
L'unica cosa che riuscivo a fare in quel momento era piangere.
Non volevo credere che tutto quello stesse accadendo veramente a me.
Speravo si trattasse solo di un incubo.
Quando quel supplizio terminò, quell'uomo mi sorrise soddisfatto.
Si tolse da sopra di me e mi guardò. Tremavo, non riuscivo ad alzarmi.
- hai un corpo veramente meraviglioso, sai? Quasi quasi mi viene voglia di rifarlo. Si, dovremmo farlo più spesso. - disse, per poi scoppiare a ridere. - anche adesso. - aggiunse serio.
Speravo solo stesse scherzando, invece si riposizionò sopra di me, e ricominciò a baciare ogni centimetro della mia pelle.
 
Le lacrime ormai rigavano il mio volto, ma non me ne preoccupavo più di tanto. I ricordi facevano sempre male più male.
 
Quando finì di nuovo, mi buttò addosso tutti i vestiti e mi ordinò di mettermeli. Obbedii senza fiatare.
- mi piace veramente tanto il tuo corpo, così giovane, con le curve al punto giusto. Non come quello di mia moglie. Non mi sta bene che tu veda altri. No, devi lasciare il tuo ragazzo, ora sei solo mia. -
Quelle parole furono una pugnalata al cuore. Sapevo che non le avrei seguite, ma mi fecero comunque male. Annuii, e mi alzai per andarmene. - ferma, ferma, ferma! Dove credi di andare? -
- a c-casa. - mormorai.
- no, no. Noi due non abbiamo ancora finito. - 'cosa vuole ancora? Non gli basta quello che mi ha già fatto?' - se non farai quello che ho detto, ti uccido. Semplice, no? Quindi, o lasci il tuo ragazzo, o muori. A te la scelta. Oh, e voglio che tu venga qua tutte le domeniche mattina. Sono stato chiaro? - annuii di nuovo.
Ti uccido.
Lo avrebbe fatto davvero?
Probabilmente si.
Uscii da quella casa degli orrori barcollando. Tornata a casa, fortunatamente non c'era mia madre. Andai in camera mia e mi buttai sul letto a piangere come non avevo mai fatto.
 
Alzai lo sguardo su Federico. Mi guardava con gli occhi sgranati e lucidi.
- non ci posso credere... - mormorò. - non ci voglio credere. -
 
La domenica successiva ero a casa da sola. Non volevo andare a casa di quel mostro, e non ci sarei andata. Verso le undici suonarono alla porta di casa. Pensai fosse mia madre, così aprii senza chiedere nemmeno chi era.
Quell'uomo mi venne addosso e mi prese per i capelli.
- allora l'altro giorno non sono stato chiaro, eh?! - esclamò con rabbia. - vuoi morire! -
Aveva in mano un bastone e mi colpì sul volto.
Poi mi diede altri pugni in pieno stomaco.
- n-no. -riuscii a mormorare quando smise di colpirmi.
- allora devi venire con me. Ora! -
Scrissi velocemente un foglietto per mia madre dove dicevo che sarei andata al parco con Valerio mentre lui mi teneva ancora per i capelli, tirandomeli perché diceva che ero lenta a scrivere. Poi seguii quell'uomo fino a casa sua, dove l'incubo si ripeté.
 
- o-ora credo sia meglio che vada. Non voglio darti ancora più fastidio. Tranquillo, se non vorrai più avere niente a che fare con me perché ti faccio schifo, ti capirò. - iniziai a raccogliere la mia roba, ma Federico posò la sua mano sulla mia.
- fermati, non te ne andare. - lo guardai negli occhi. Il suo non era un ordine, era quasi una supplica.
- perché? Non ti faccio schifo? - scosse velocemente la testa.
- per niente. -
Mi prese la mano e ci sedemmo vicini sul divano. Appoggiai la mia testa al suo petto, sentivo il suo cuore battere velocemente. Lui mise la sua mano intorno alle mie spalle giocando un po' con i miei capelli. Piano piano riuscii a calmarmi, anche se faceva ancora male.
 
FEDERICO
Perché le aveva fatto questo?
Perché proprio a lei?
Aveva violato il suo corpo così giovane, le aveva lacerato l'anima.
Mi faceva così rabbia!
Come si era permesso?
La guadai.
Stava facendo dei cerchi sul mio petto.
Era così bella! Diamine, volevo prenderla, stringerla a me e baciarla.
- Camilla, devo dirti una cosa. - dissi titubante. Lei alzò il suo sguardo su di me, smettendo di fare disegnini sul mio petto.
- dimmi pure. -
- i-io...lo so che forse non è il momento adatto, anzi, senza il forse, non è affatto il momento adatto, ma ho bisogno che tu lo sappia. Io sono...io mi sono innamorato di te. È dai primi giorni di scuola che non faccio altro che pensare a te, a quanto sei bella, alla tua voce, alla tua timidezza, a quanto mi piaci. Ma sappi che non voglio approfittare di te. So che forse non ti senti pronta, dopo quello che ti è successo, ma...cioè io...io volevo che tu lo sapessi. - arrossì leggermente, diventando se possibile ancora più bella. Poi mi sorrise, avvicinando lentamente il suo volto al mio.
- sai, è la prima volta, dopo tanto, che non mi sento usata. -
Mi si strinse una morsa al petto.
Come poteva una ragazza di soli sedici anni, essere stata usata in quel modo?
Le presi il volto tra le mani.
- posso? - chiesi. 'Dimmi di si, ti prego!' Con mia grande gioia annuì. Non me lo feci ripetere due volte e azzerai quella minima distanza, poggiando delicatamente le mie labbra sulle sue. Un semplice bacio a fior di labbra, che però desideravo veramente tanto.
 
CAMILLA
Per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii amata. Non ero solo un giocattolo. Ero una persona di cui Federico si era innamorato. E io mi ero innamorata di lui. Fu un semplice bacio a fior di labbra, sapevo anche il perché, ma per me voleva dire tutto. Voleva dire che era innamorato di me, voleva dire che mi rispettava, che non mi avrebbe usato come quell'essere.
- io ci tengo a te, Camilla, non voglio ti succeda di nuovo qualcosa del genere. Sappi che di me ti potrai sempre fidare. - lo strinsi più forte.
- grazie. -
 
FEDERICO
se solo  avessi avuto quel bastardo tra le mani…!
Ma ora dovevo stare calmo. Ora con me c’era Camilla. Non avrebbe sofferto di nuovo.
No, non lo avrei permesso.









HEI!!!
e dopo più di venti capitoli si baciano!!! yeaaaa! 
okay, la smetto
in questo capitolo si scopre tutto ciò che è successo a Camilla
mi piaceva l'idea di farvi scoprire questa parte insieme a Federico :)
allora, che ne pensate?
io odio a morte quell'uomo (che, preciso, non avrà mai un nome)
mentre amo Federico! <3
mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :)
ringrazio tutti coloro che hanno letto, chi ha recensito e chi ha inserito la storia tra le seguite(39)/ricordate(3)/preferite(9)
vi ringrazio, sono così felice di vedere quei numeri aumentare!! :D
volevo pubblicarlo un po' più presto questo capitolo, ma dovevo "studiare" storia dell'arte... sono ridotta proprio male, mi metto anche a studiare storia dell'arte dopo quasi quattro anni in cui non ho aperto libro!
vabbè, dai, c'è sempre un prima volta
smetto di annoiarvi e me ne vado
ancora grazie :D
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 24
*** Please, don't leave me alone ***


23 Please, don’tleaveme alone
 
Verso le sette Federico mi riaccompagnò a casa.
- ci vediamo domani. - disse sulla porta, per poi darmi un bacio sulla guancia.
- a domani. - lo guardai allontanarsi, poi entrai in casa.
Mia madre mi venne incontro.
- tesoro, come è andata? - le sorrisi.
- dannatamente bene. - risposi sospirando.
- mmmm… -
- mmmm, cosa? - chiesi, senza abbandonare il mio sorriso.
- mmmm niente. -
- d’accordo. Vado in camera mia. -
Salii i gradini velocemente e entrai in camera mia. Trovai Micky vicino alla scrivania, così lo presi e mi buttai, per quanto mi fosse possibile, sul letto. Mi misi ad accarezzarlo delicatamente mentre lui iniziava a fare le fusa.
- sono così felice, niente ora potrebbe andare storto. - mormorai.
Ma mi sbagliavo.
Rimasi per un po’ sul mio letto continuando ad accarezzare il mio gattino, poi, quando mia madre mi chiamò, scesi a mangiare.
- ciao papà! - dissi, quando entrando in camera da pranzo lo vidi.
- ciao cara. Come è andata la giornata? - gli sorrisi.
- splendidamente. A te? -
- ah, come al solito. Sbaglio o la nostra piccolina è veramente felice? - disse poi, rivolgendosi a mia madre.
- eh già. - sospirò lei.
Mi sedetti a tavola sempre sorridendo, e solo in quel momento mi resi conto che la televisione era acceso. C’era il telegiornale.
E lì, lo vidi.
Era lui, non c’erano dubbi.
Lo avrei riconosciuto sempre e ovunque.
Quella barba un po’ abbozzata, gli occhi verdi e i capelli neri. E poi quel suo maledetto sorriso, meglio definito come ghigno.
- …circa due mesi fa, quest’uomo venne arrestato per violenze sessuali e maltrattamenti  ricorrenti nei confronti di una ragazza sedicenne… -
- forse è meglio se spegniamo. - disse mio padre. Ma gli feci cenno di no con la mano, volevo sapere.
- …oggi, dal carcere, ci è arrivata notizia che è evaso. Vi terremmo… -
Non sentii più nulla, quello mi era bastato.
Il mio cuore si fermò.
Tutta l’allegria che avevo avuto fino a quel momento scomparve, lasciando il posto alla dolore.
Poi, il mio cuore riprese a battere, più veloce di prima.
Il mio respiro si fece pesante, sentii un dolore al petto.
Mi portai una mano al cuore, nel tentativo di farlo rallentare, ma niente. Sembrava voler uscire dal mio petto.
Il mio sguardo era perso nel vuoto.
I miei genitori mi stavano dicendo qualcosa, ma non li sentivo. Pensavo solo a ciò che avevo appena sentito.
Come aveva fatto quel mostro a scappare?
Quello doveva essere un carcere di massima sicurezza, diamine!
Non potevano lasciarsi scappare i detenuti così.
- i-io n-non ho più fame. - riuscii a mormorare.
Lentamente mi alzai in piedi. Ebbi un giramento di testa, ma lo ignorai. Poi, sempre piano, me ne tornai in camera mia.
Appena ebbi chiuso la porta dietro di me, caddi a terra. Strinsi la mia mano al petto, mentre delle lacrime iniziavano a rigarmi il volto.
Perché?
Perché tutto doveva andare a rotoli quando la mia finalmente stava prendendo la giusta piega?
Non mi accorsi nemmeno del tempo che passava.
Non sentii nemmeno subito delle grandi braccia stringermi a se delicatamente.
Non capivo chi era, ma poi sentii il suo profumo.
 
FEDERICO
Ero tornato a casa da poco, e mi sentivo felice come una Pasqua.
Finalmente ero riuscito a dire tutto quanto a Camilla e sapere che la cosa era corrisposta mi rendeva ancora più contento.
****
Era l’ora di cena così andai in sala da pranzo dove mi aspettavano mia madre e mio fratello. Mi sedetti a tavola ed iniziai a mangiare, mentre guardavamo come al solito la televisione. C’era il telegiornale.
- circa due mesi fa, quest’uomo venne stato arrestato per violenze sessuali e maltrattamenti  ricorrenti nei confronti di una ragazza sedicenne. Oggi, dal carcere, ci è arrivata notizia che è evaso. Vi terremmo… -
Un colpo al cuore. Quello era l’uomo che aveva violentato la mia Camilla!
Decisi di chiamarla. Dovevo sapere se aveva visto.
- scusatemi, devo fare una chiamata importante. -
La chiamai al cellulare, ma non mi rispose. Decisi di chiamare a casa.
La linea era libera.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
- pronto? - era la madre. La voce era sconvolta.
- signora, sono Federico. -
- guarda, mi dispiace, m-ma questo non è il momento e… -
- ha visto il telegiornale? -
- si. - mormorò.
- arrivo subito. - chiusi la chiamata non dandole nemmeno il tempo di rispondere.
Ritornai in sala da pranzo e avvertii mia madre che sarei uscito. Non fece storie, mi lasciò andare tranquillamente.
Presi al volo una giacca e uscii di casa.
Solo quando ero in strada mi resi conto che era un giacchetto di mio fratello e mi stava lunghissimo. Lasciai perdere ed iniziai a correre più velocemente possibile verso casa di Camilla.
 
CAMILLA
- shhhh. Tranquilla, ci sono qui io ora, non ti farà più del male. -
Mi girai e affondai il viso nel suo petto. Federico iniziò ad accarezzarmi i capelli, mentre continuavo a piangere.
- p-perché? - mormorai, stringendo i pugni sulla sua maglietta. Lasciò dei leggeri baci tra i miei capelli.
- non lo so. - ammise. E come avrebbe potuto saperlo?
Rimanemmo per molto tempo abbracciati, poi però arrivò per lui il momento di tornare a casa.
- ti prego, non mi lasciare sola, ho paura. - sussurrai.
 
FEDERICO
- ti prego, non mi lasciare sola, ho paura. -
Mi si strinse il cuore nel sentire quelle parole.
Come potevo lasciarla sola in un momento del genere? Era tardi, ma non ce la facevo ad abbandonarla così indifesa.
- tranquilla, rimango ancora un po’. Te però vai a cambiarti. - sorrise, poi mi diede un leggere bacio a fior di labbra.
- grazie. - mormorò. Si alzò piano piano, poi prese il pigiama e andò a cambiarsi. Intanto io ni sedetti sul suo letto.
Profumava di lei.
Quando tornò, si buttò tra le mie braccia. La strinsi a me, per farle capire che non me ne sarei andato.
- credo che dovresti cercare di dormire. - proposi quando si fu seduta vicino a me.
- ma ora ci sei tu. -
- lo so. Tu adesso ti allunghi e io rimango qua fino a quando non ti addormenti. -
- e se non mi addormento? - chiese timorosa.
- resto qui tutta la notte. - mi sorrise.
Mi spostai leggermente, così si potè allungare.
- sei sicuro di non essere stanco? - chiese dopo un po’, come se si fosse resa conto solo in quel momento che erano le undici. Le accarezzai il volto con il dorso della mano.
- sicurissimo. -
Chiuse gli occhi, mentre io continuavo ad accarezzarle la guancia.
****
Si addormentò molto velocemente. Prima di uscire dalla sua stanza le diedi un bacio sulla fronte.
- buonanotte. - sussurrai. Spensi la luce e uscii. In salone trovai i suoi genitori, intenti a parlare. Appena mi videro si alzarono in piedi e mi vennero in contro.
- come sta? - chiese preoccupata la madre.
- un po’ meglio. ora dorme. - un sorriso stanco si dipinse sul volto dei due coniugi.
- grazie mille Federico, non so casa avremmo fatto se non ci fossi stato tu! . mi disse il padre riconoscente, mentre la madre annuiva con molta enfasi.
- di niente, sono felice di averlo fatto. - ed ero sincero.
- è tardi, vuoi che ti accompagno? - mi chiese.
- la ringrazio, ma non voglio disturbare. -
- macchè disturbare e disturbare! Andiamo, sei rimasto fino a quest’ora con nostra figlia, cercando di calmarla. E ci sei pure riuscito! È il minimo che possa fare. -
- è sicuro? -
- certo! - disse, dandomi una pacca sulla spalla.
Lui si che era un buon padre…
- okay, la ringrazio. -
Salutai la signora e uscii di casa con il padre di Camilla. Salimmo in macchina e gli diedi le indicazioni.
Una volta arrivati a davanti casa mia, mi fermò.
- Federico, ti prego, rimani vicino a nostra figlia. Non lasciarla sola, ha bisogno di te. - annuii.
- non me ne andrei per nulla al mondo. - mi sorrise riconoscente, come se desiderasse che gli dessi quella risposta.
Scesi dalla macchina e rientrai in casa. Ovviamente mia madre e mio fratello dormivano, così entrai silenziosamente nella camera mia e di mio fratello.
- dove sei stato? - sobbalzai e per poco non caddi a terra. Di certo non mi aspettavo che mio fratello fosse sveglio.
- a casa di una mia amica. - risposi titubante.
- mmm… e perché? Cosa centrava quell’uomo al telegiornale? -
- quale uomo al telegiornale? - chiesi facendo il vago.
- lo hai visto e sei scattato in piedi, dicendo che dovevi fare una telefonata importante. -
- oh, no, mi è solo ritornato in mente. Non ricordo nemmeno come era quell’uomo! - certo, come no! Ricordavo perfettamente il volto di quel bastardo.
- mmm…vabbè. Adesso vai a dormire. -
- certo, certo. Buonanotte. -
- notte. -
Mi cambiai e mi buttai sul letto.
Ero veramente stanchissimo, ma non riuscivo a chiudere occhio. Continuavo a pensare a tutto ciò che era successo. Camilla era veramente disperata.
Mi stavo agitando. E se quell'uomo l'avesse trovata? Se le avesse fatto di nuovo del male? Decisi di inviarle un messaggio, anche se sapevo che stava dormendo.
 
Hei, Cami, credo che domani sia meglio che tu non esca di casa. Meglio non correre rischi. Un bacio xxx

Posai il telefono leggermente più tranquillo. Notai solo in quel momento che Giacomo mi stava guardando.
- che c'è? - chiesi scocciato.
- a chi hai scritto? - domandò diretto.
- non sono affari tuoi. -
- hai scritto alla ragazza che ti piace! - diventai rosso in volto. Ringraziai in venti lingue diverse il buio presente nella nostra stanza.
- no. - dissi secco.
- allora a chi? -
- quale parte di 'non sono affari tuoi' non ti è chiara? -
- mmmm... credo che non mi è chiaro nulla. Andiamo, sono tuo fratello! - sbuffai. - puoi dirmele
certe cose! Per caso non ti fidi di me? - aggiunse poco dopo. Mi passai una mano sul volto.
- certo che mi fido di te, ma... -
- e allora! -
- va bene, ho scritto a lei. -
- e ci voleva tanto a dirmelo? -
- si. -
- che ti ha risposto? - ma perchè doveva capitare proprio a me un fratello così impiccione?
- non mi ha risposto, dorme. -
- oh. Allora perchè le hai inviato un messaggio se sapevi che dorme? -
- buona notte. - tagliai corto.
Mi girai dall'altra parte, in modo da dargli le spalle e chiusi gli occhi, nel tentativo di dormire.
- tanto domani scoprirò tutto . - lo sentii borbottare. Scossi la testa chiusi gli occhi, sperando in vano di addormentarmi.








HEI!!!
vi sembrava strano che tutto stesse andando bene, eh? eheheh sono crudele, lo so u.u
questo capitolo sinceramente mi fa un po' schifo, sia per il contenuto, sia per come è scritto.
ma non sono riuscita a fare di meglio.
voi che ne pensate? mi farebbe piacere sentire, o meglio leggere la vostra opinione
ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate che aumentano ad ogni aggiornamento, i lettori silenziosi e coloro che hanno lasciato una recensione
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 25
*** Dreams come to life ***


 
24 Dreams come to life
 
Il giorno dopo mi svegliai più presto del solito, verso le cinque e mezza. Speravo fosse stato tutto un sogno, ma sapevo non era così. Presi il cellulare e vidi che mi era arrivato un messaggio di Federico.

Hei, Cami, credo che domani sia meglio che tu non esca di casa. Meglio non correre rischi. Un bacio xxx
 

Sospirai.
Forse aveva ragione, ma avevo assolutamente bisogno di stare con lui.

Hei, non voglio stare a casa, ho bisogno di te... xxx

Ammisi.
Poco dopo mi arrivò una chiamata. Mi sedetti sul letto e schiacciai il pulsante verde.
- pronto? -
- buongiorno Cami. - mi salutò Federico con non molto entusiasmo.
- ciao Fede. Ma ti ho svegliato? -
- no, questa notte non ho chiuso occhio. -
- oh. È colpa mia, vero? - chiesi, incolpandomi più volte mentalmente.
- certo che no! -
- sicuro? -
- certo. Però per favore Camilla, rimani a casa. -
- ma io voglio stare con te. - sussurrai. Rimase qualche istante  a pensare.
- ti potrei venire a prendere a casa. -
- sei sicuro? Non voglio disturbarti. -
- e io non voglio che tu vada in giro da sola. - sorrisi. Federico era l’incarnazione della perfezione, non c’erano dubbi.
- va bene, grazie mille! - dissi veramente riconoscente.
- di nulla. A dopo allora. -
- si, a dopo. -
Chiusi la chiamata e mi riallungai sul letto.

 
FEDERICO
Chiusi la chiamata e mi riallungai sul letto.
- sei proprio cotto! -
Ma io dico, mio fratello era nato per spaventarmi?!
- ami proprio farti gli affari miei, vero? -
- si, lo trovo... - si fermò un attimo, come a trovare la parola adatta. - …gradevole e le tue reazioni sono soddisfacenti. - corrugai la fronte. Da quando mio fratello usava i termini gradevole? E cosa intendeva con  soddisfacente? - allora, come si chiama? - chiese ignorando la mia espressione.
- Camilla. - sospirai, mentre il suo volto appariva nella mia mente.
 
CAMILLA
Quando mia madre mi venne a chiamare le dissi che sarebbe venuto a prendermi Federico. Mi sorrise, poi uscì dalla mia camera.
Piano piano mi alzai dal letto e mi misi davanti all'armadio per scegliere cosa mettermi. Per la prima volta rimasi a contemplare inutilmente i miei vestiti non per cinque, ma per ben trenta secondi. Andai al bagno e mi cambiai dopo essermi fatta una doccia rigenerante. Scesi giù in cucina dove c'era mia madre e presi un biscotto e la medicina.
- tesoro lo sai che... - mia madre venne interrotta dal mio telefono che squillava. Era Federico. Probabilmente era sotto casa mia. Presi il mio zaino, diedi un bacio sulla guancia di mia madre non dandole l'opportunità di finire la frase e uscii fuori. Sul marciapiede c'era appunto Federico ad aspettarmi. Appena mi vide sorrise e io feci lo stesso. Gli andai incontro e gli saltai al collo. Inspirai a fondo il suo dolce profumo.
- hei, come stai? - mi chiese. Il suo respiro si infranse sul mio collo, provocandomi dei brividi.
- bene. - mentii.
- per favore, non mentirmi ancora. - sospirai. Riusciva sempre a capire quando mentivo, non c'era più nulla da fare. Sciolsi l'abbraccio e lo guardai negli occhi.
- no, non sto bene. Non sto affatto bene. - ammisi, per poi abbassare lo sguardo. Federico mise la sua mano sotto il mio mento e mi sollevò il viso.
- tranquilla, ci sono qua io. - gli sorrisi, poi mi misi in punta di piedi e lo baciai delicatamente.
- sei speciale, lo sai? - lo riabbracciai. Mi strinse forte, per quanto potesse, a se. Chiusi gli occhi, beandomi ancora dal suo profumo. Quando ci separammo, avvicinai timorosa la mia mano alla sua. Lui l'afferrò entusiasta e la strinse. Ci incamminammo così verso scuola, mano nella mano.
Ridevamo e scherzavamo, come se la sera precedente non fosse successo nulla. Forse era anche meglio così. Non pensarci mi faceva stare un po' meglio.
Arrivati a scuola ed entrati in classe, lo sguardo di tutti i presenti si posò su di noi. Posammo la nostra roba, poi io mi sedetti sul banco e lui si mise davanti a me. Poco dopo, mentre lasciavo un leggero bacio sulle labbra di Federico, arrivarono Francesca e Simone. Appena ci videro iniziarono a prenderci in giro scherzosamente.
- io lo sapevo che prima o poi sarebbe successo! - esclamò Francesca. Le sorrisi. In quel momento entrò Sara, come al solito indossava abiti di marca, ma stranamente aveva i suoi lunghi capelli castani legati in una coda. Dovevo ammettere che le stavano veramente bene.
Appena mi vide, mi fulminò con lo sguardo. Intanto Simone e Francesca si erano seduti al loro banco a ripassare.
- che ne dici di dare un po' di spettacolo? - mi sussurrò Federico all'orecchio. Alzai un sopracciglio.
- cosa intendi? - domandai perplessa.
- facciamo capire a Sara che stiamo insieme. -
- così mi odierà di più? -
- no, così si farà una ragione e forse ci lascerà in pace. - feci finta di pensarci un po' su.
- mmmm...si potrebbe anche fare. - conclusi alla fine. Gli sorrisi e mi avvicinai piano piano a lui, fino a far combaciare le nostre fronti. Accarezzò la mia guancia, per poi scendere fino al collo. Si sporse un po' più avanti e io feci lo stesso, fino a che le nostre labbra non si unirono.
Sfortunatamente suonò la campanella, così ci dovemmo staccare e ci sedemmo ai nostri posti.
****
Le lezioni passarono molto velocemente, ed era già ricreazione. Mi catapultai da Giulia, volevo, anzi, dovevo dirle di me e Federico. Appena entrai al bagno le sorrisi.
- state insieme. - la sua non era una domanda, da una costatazione. Mi limitai ad annuire. Si alzò e mi abbracciò. - lo sapevo, ero sicura che prima o poi sarebbe successo. -
- ho un’amica veggente, allora! - dissi ridendo. Si allontanò e mi guardò in volto.
- senti, tu eri cotta, lui stracotto. Non poteva non succedere niente! - arrossii, senza però smettere di sorridere.
Tornai in classe solo quando suonò la campanella.
Mi sedetti al mio posto e Federico si mise vicino a me.
- che ne pensi di uscire oggi pomeriggio? - chiesi.
- mmmm… sei sicura di voler uscire? -
- certo! Non mi succederà niente, tranquillo. -  
- dove vorresti andare? -
- bah, non so, forse al bar e poi camminiamo un po’ per le strade. -
- sicura? - chiese apprensivo. Sbuffai.
- si, stai tranquillo! - esclamai. Soffiai su una ciocca di capelli che mi era caduta davanti agli occhi. Federico sorrise. - che c’è? - domandai. Lui scosse la testa.
- niente, solo che quando sei seccata sei ancora più bella. - arrossii. Fortunatamente in quel momento arrivò il professore.
****
- allora, a che ora ci vediamo? - gli chiesi mentre uscivamo mano nella mano da scuola.
- non so, le quattro? -
- perfetto, alle quattro al bar davanti scuola. - Federico si fermò di colpo. - che c'è? - gli chiesi, fermandomi a mia volta. Lui mi prese il viso tra le mani e mi sorrise.
- sei bellissima. - si avvicinò e mi baciò.
 
NARRATORE ESTERNO
Erano così felici, così presi l’uno dall’altra, che non si accorsero di un ragazzo che li stava spiando. Quando ebbe finito di sentire, stritolò la lattina di coca-cola che aveva in mano. La gettò a terra e la calpestò.
- diamine! - esclamò   quando Camilla e Federico non furono più visibili. - proprio ora! - e così dicendo si allontanò a passo spedito. Doveva assolutamente parlare con una persona.
 
CAMILLA
Il pomeriggio, dopo aver “mangiato”, andai in camera da pranzo e mi sedetti sul divano ad ascoltare un po’ di musica.
Under the burning sun
I take a look around
Imagine if this all came down
I'm waiting for the day to come
I 30 Seconds to Mars mi mettevano carica, si, ma allo stesso tempo mi rilassavano, non c’era nulla da fare.
Prima la gente mi diceva: ‘ma che schifezze ti ascolti?!’ e io gli scoppiavo a ridere in faccia, della serie: ‘non me ne frega niente di quello che pensate.’
Era cambiato tutto così velocemente.
Prima non c’era tutta quella sofferenza, tristezza, disperazione.
Prima ero diversa.
Prima stavo bene.
Ma ora con me c’era Federico. Sarei stata bene di nuovo, lo sentivo.
****
- fai attenzione, ti prego. - mi disse mia madre prima che uscissi. Annuii.
Per arrivare al bar decisi di passare per una scorciatoia che mi aveva insegnato Federico, almeno avrei impiegato meno tempo. Prima che riuscissi a ritornare sulla strada principale però mi sentii fermare e subito dopo provai un dolore lancinante allo stomaco. Mi accasciai a terra, mentre i colpi che ricevevo diventavano sempre di più. Non riuscivo a reagire. Ero inerme a terra con gli occhi chiusi, mentre qualcuno mi picchiava. Cercai di coprirmi almeno il volto, ma così gli diedi la possibilità di picchiarmi con più violenza su tutto il resto del corpo.
Urlai.
Urlai più di una volta, con tutto il fiato che avevo in gola, perché il dolore che provavo era troppo forte. 'È finita. Non riuscirò a resistere...'
E più urlavo, più i colpi erano forti.
- te l'ho detto un milione di volte che stare zitta, zitta! - ringhiò quell’uomo contro di me. Rabbrividii nel sentire quella voce. 'I sogni prendono vita...' iniziai a vedere tutto appannato.
Sentivo ovunque un dolore enorme, ma piano piano sembrava svanire sempre di più, lasciando il posto all'oscurità...
 
FEDERICO
Da dentro il bar sentii delle grida appartenenti ad una ragazza che conoscevo. 'Camilla!' scattai in piedi e uscii fuori correndo. Arrivai davanti ad una strada vicino al bar. C'era un uomo, intento a picchiare una ragazza. 'No!'
- fermati! - urlai, andando verso di loro. Appena l'uomo mi vide, lanciò un ultimo calcio nel ventre di Camilla e scappò via. 'Codardo!'
Corsi da Camilla, ora lei era la mia priorità. Le sollevai delicatamente il volto. Aveva gli occhi chiusi.
- Camilla? Camilla, ti prego, svegliati! -
Potrei morire dal dolore.
Quella frase rimbombò nuovamente nella mia mente.
- no! - presi il cellulare e composi il numero dell'ambulanza. Fortunatamente risposero subito. Gli diedi le indicazioni stradali e riattaccai, sperando che arrivassero il più presto possibile.
- tranquilla Camilla, andrà tutto bene, andrà tutto bene. - sussurrai al suo orecchio mentre la stringevo delicatamente a me.
Poco dopo arrivò l’ambulanza.
La sollevarono delicatamente e la fecero allungare su una barella.
Volevo salire con lei, ma me lo impedirono.
Mi dissero che se volevo raggiungerli, avrei dovuto prendere la macchina.
Diamine, ma non lo vedevano che non ero maggiorenne?!
Presi il cellulare e chiamai a casa di Camilla.
- pronto? - rispose la madre.
- s-signora, sono Federico. C'è stato un incidente. -
- cosa è successo alla mia Camilla? - chiese preoccupata.
- lei è...è stata picchiata. -
- no! - urlò, per poi iniziare a singhiozzare.
- i-io ho chiamato l'ambulanza, ora la stanno portando al pronto soccorso. - dissi passandomi una mano tra i capelli.
- e te dove sei? -
- sono ancora qua, dove è successo tutto. Mi hanno detto che se volevo seguirli dovevo prendere la macchina ma... -
- ...non sei patentato. - concluse lei al posto mio. Sospirai.
- no. -
- ti vengo a prendere e poi andiamo all'ospedale. - riuscì a dire tra i singhiozzi.
- grazie. A tra poco. -
- a tra poco. -
Riattaccai e mi sedetti sul bordo del marciapiede. Mi presi la testa tra le mani e iniziai a piangere.
Come era potuto accadere?
Non mi succederà niente!Aveva detto. Tranquillo! Continuava a ripetermi.
Ed ora? Ora era finita all’ospedale. E di chi era la colpa? Mia.
Solo e soltanto mia.         










HEII!!!
okay, vi autorizzo a uccidermi...
sono stata crudele, lo so, ma un colpo di scena ci voleva! e voi direte: si, e quello dell'altro capitolo? nah, non era un colpo di scena!
chi sarà il ragazzo misterioso? con chi deve parlare? eheh non vi dico nada de nada, provate a capirlo! tranquilli, prima o poi (più poi che prima) lo dirò :D
beh, ringrazio chi ha recensito, chi ha letto, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate
un bacio a tutti e alla prossima xxx
Giulia

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Capitolo 26
*** You have changed my life ***


25 You have changed my life
 
Disperato.
Ero disperato.
Come potevo andare avanti se lei non era con me?
Non ci riuscivo, avevo bisogno di lei.
Mi sentivo solo.
Se non ce l’avesse fatta?
Sarei riuscito ad andare avanti senza il suo sorriso, senza il suo profumo, senza la sua voce, senza la sua bellezza?
Senza lei?
Erano già tre giorni che era in coma e non dava alcun segno di risveglio.
I medici continuavano a ripetere a me e ai suoi genitori che si sarebbe ripresa. Ma quanto potevamo fidarci?
Quel giorno andai a scuola più svogliato del solito. Senza di lei non avevo più voglia di andarci, era inutile se non potevo vederla. Speravo solo che le lezioni passassero in fretta, così sarei potuto andare all’ospedale a trovarla. Appena entrai in classe, venni assalito da Francesca e Simone.
- hei! Ma Camilla sta ancora male? - chiese Francesca. Non sapevano niente, gli avevo detto che aveva un po’ di febbre. Forse però sarebbe stato giusto dirgli la verità, dopotutto anche loro erano suoi amici. Così, scossi la testa.
- n-non ha mai avuto la febbre. - ammisi. Spalancarono la bocca. - lei…è finita all’ospedale. - mormorai abbassando la testa.
- c-cosa? Ho capito male, spero! - disse Simone.
- no. È finita veramente all’ospedale. Stavamo uscendo insieme per andare al bar, ma è stata investita da un’automobile. - mentii.  Di certo non potevo dire loro la verità.
- oh. E perché non ce lo hai detto prima?! Saremmo andati a trovarla! Avrà pensato che non le vogliamo bene. - esclamò Francesca. Presi un respiro profondo.
- lei...lei è in coma. -
Chiusi gli occhi, tentando di non piangere, e mi sedetti al mio posto.
Francesca e Simone rimasero immobili dove li avevo lasciati. Aprivano e chiudevano la bocca, senza riuscire a proferire parola. Mi presi la testa tra le mani, e iniziai a pensare alla lezione che sarebbe iniziata da lì a breve. Dovevo distrarmi.
Poco dopo mi sentii toccare su una spalla. Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi verdi di Giulia. Mi sorrise, stancamente.
- come stai? - scossi la testa.
- non ce la faccio. - mormorai. Lei, ovviamente, sapeva, sapeva tutto.
- vedrai che si sveglierà, devi solo... - la interruppi.
- lo so, devo sperare! Ma mi spieghi come faccio?! Non ci riesco! Riesco solo ad incolparmi. Perché è tutta colpa mia! - non mi resi conto nemmeno di aver alzato la voce.
- non è colpa tua, e lo sai. -
Fortunatamente in quel momento suonò la campanella. Non sarei riuscito a parlare ancora con Giulia.
- ripensa a quello che ti ho detto. Credi che Camilla ti incolperebbe mai di quello che è successo? - e dicendo queste parole uscì dall’aula, per tornare nella sua.
- no. Non mi incolperebbe mai. - mormorai.
****
Appena suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni, mi catapultai fuori dalla classe. Mi diressi più velocemente verso la fermata dell’autobus che mi avrebbe portato all’ospedale. Non sarei tornato a casa nemmeno per pranzo, avrei mangiato, forse, qualcosa lì, al distributore. Avevo tutti i libri delle materie che avrei dovuto studiare per il giorno dopo, avrei fatto i compiti nella sua stanza.
Arrivato all’ospedale l’infermiera mi riconobbe. Ormai passavo tutto il giorno lì. Mi sorrise, e annuì, prevendo la mia richiesta di poter vedere Camilla.
Entrai nella sua stanza. Lei era lì, allungata su un letto con gli occhi chiusi. Era legata tramite dei fili ad una macchina che la teneva in vita. Mi avvicinai a lei e mi sedetti sul letto. Le presi la mano.
- hei. Sono già passati tre giorni dall’incidente, ma a me sembra una vita. Però come vedi, o meglio, come senti, sono qui. Non voglio tornare a casa. Voglio rimanere qui con te, perché ci siamo finalmente trovati e non voglio perderti. In questo momento sei più vicina alla morte che alla vita. Ma io rimarrò qui perché voglio solo te. Se necessario potrei anche sacrificare la mia inutile vita per salvarti. Perché se non ci sei tu la mia vita non ha senso. Rinuncerei a tutto pur di riaverti vicino a me. Il solo pensiero di poterti perdere mi fa stare male. Penso che se la gente mi vedesse ora non capirebbe come mi sento. Nessuno lo capirebbe. Nemmeno io. So solo che se ti dovessi perdere, preferirei morire a dover passare una vita intera senza te. Sono disperato. E se non dovessi farcela? Se le ferite non guarissero? Io non vivo senza di te, lo sai. Quindi, per favore, non lasciarmi. Non voglio soffrire. Solo pensare che l'uomo che ti ha fatto tutto questo è ancora in circolazione mi fa ribollire il sangue nelle vene. Mi sento terribilmente in colpa. Ti avevo promesso più volte che non ti avrei fatto soffrire di nuovo, e ora? Ora ti trovi sul letto di un ospedale, lottando tra la vita e la morte. Vorrei tanto trovare quell'uomo, se tale si può definire, e ucciderlo con le mie stesse mani. Perché ci sta privando entrambi della vita. Mi sta privando di te, che con un sorriso illumini le mie giornate, che con la tua insicurezza mi fai innamorare ogni giorno di più, che con il tuo profumo mi mandi in tilt. Mi dispiace non essere riuscito a evitarti tutto questo. Non sono nemmeno riuscito a vedere chi fosse quell'uomo, anche se una mezza idea già ce l'avrei... Se solo ti fossi venuto a prendere a casa, tutto questo non sarebbe successo e tu ora non ti troveresti in una camera d'ospedale. È tutta colpa mia. E non riesco più a combattere le lacrime che vogliono uscire prepotenti dai miei occhi, ormai spenti. Vogliono uscire a tutti i costi, e non ho la forza per impedirglielo. Per la prima volta mi ritrovo a piangere in pubblico. Ma non mi importa. Il dolore è troppo forte per evitare le lacrime. I tuoi genitori sono qui. Piangono ogni volta che ti vedono. E quando gli dico che mi sento in colpa mi ripetono che non centro niente. Ma non è vero. È tutta colpa mia! E mi dispiace. Quando ti sveglierai, perché ti sveglierai, ti devi svegliare, ti autorizzerò a picchiarmi. Sai, ora che non ci sei più te ad alleviare le mie giornate ascolto ancora di più i Simple Plan. Mi ricordano così tanto te... Un'altra canzone che ascolto è Iris, dei The Goo Goo Dolls. In questo momento mi rappresenta meglio di qualsiasi cosa. Quando ti sveglierai te la farò sentire, è meravigliosa, come te. A volte penso e spero che sia tutto quanto un sogno. O meglio, un incubo. Ma non è così. Sarebbe fantastico potersi svegliare in questo momento accanto a te, ma non può succedere, è impossibile. Sai cosa hanno detto i medici? Che è possibile che quando ti sveglierai non ricorderai più nulla del tuo passato. E sai questo cosa comporta? Che non ti ricorderai nemmeno di me, della nostra amicizia, di tutto quello che abbiamo fatto insieme, ma soprattutto del nostro amore appena nato. Solo pensare che quando ti sveglierai forse non mi vorrai più, mi fa provare un dolore qui, nel petto, leggermente spostato verso sinistra. Forse così non dovrai più sopportare il peso del tuo passato. Forse, però, vedere le ferite che hai sul tuo corpo per me perfetto ti farà ricordare tutto. E forse soffrirai ancora di più. Ma io non posso permetterlo. Ti giuro sulla mia stessa vita che ti eviterò qualsiasi altro dolore, sofferenza, frustrazione. Te lo devo, perché hai cambiato la mia vita. L’hai resa migliore. E non ti ringrazierò mai abbastanza. Perché tu ci sei sempre stata, fin da subito. Lo so cosa pensi, perché me lo ripeti sempre, mi dici in continuazione che sono io ad aver aiutato te e che non ti devo ringraziare. E allora, chi devo ringraziare se da quando sei arrivata tu tutto ha un senso? Chi devo ringraziare se da quando sei arrivata tu sono sempre felice? Chi se non te? - solo in quel momento mi resi conto delle mie lacrime. ‘devo andarmene, non ce la faccio a rimanere ancora qui.’ - mi manchi così tanto, ti prego, svegliati presto. - le diedi un bacio a fior di labbra. C’era ancora il suo sapore, reso salato delle mie lacrime. Uscii velocemente da quella stanza e me ne andai fuori, per prendere una boccata d’aria. In quel momento ne avevo veramente bisogno.










HEI!!!
okay, lo so, questo capitolo è corto. ma non volevo scrivere troppo, volevo far capire come si sente il nostro Federico.
poverino, mi fa così pena!
spero di essere riuscita a esprimere come si sente e a dire ciò che è successo a Camilla, non volevo descrivere ad esempio la scena dove i dottori dicono che Camilla forse non si sarebbe ricordata di nulla, ho preferito che Federico dicesse tutto a Camilla.
beh, cosa ne pensate? mi farebbe molto piacere saperlo :)
vi consiglio di ascoltare la canzone, Iris, è meravigliosa e ha ispirato questo capitolo, soprattutto la parte finale, dove parla Federico.
ringrazio chi ha letto e chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate :D
e poi un grazie speciale va a chi ha recensito: sono arrivata a
50 recensioni! un bel traguardo, dato che pensavo di arrivare al massimo ad una decina <3
vi ringrazio veramente tanto, non so se avrei continuato a scrivere se non ci foste stati tutti voi :*
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 27
*** I depend by your smile ***


26 I depend by your smile
 
Lo sentivo.
Riuscivo a sentirlo.
Volevo aprire gli occhi.
Volevo assolutamente vederlo.
Ma non ci riuscivo.
I miei occhi erano chiusi e non riuscivo ad aprirli.
Lo sentivo.
Provavo una fitta al petto nel sentire il dolore che gli stavo causando.
Sentivo che stava piangendo.
Volevo consolarlo.
Ma non potevo.
Lo sentivo.
Gli mancavo molto.
Diceva che avrebbe sacrificato la sua vita per me, per riavermi con lui.
Io non vivo senza di te, aveva detto.
Nemmeno io sarei riuscita a vivere senza di lui.
Sentirlo in quel momento al mio fianco mi aiutava ad essere forte.
Volevo piangere, ma non ci riuscivo.
Volevo stringergli la mano, ma non ci riuscivo.
L'unica cosa che riuscivo a fare era ascoltarlo.
Ascoltarlo eamarlo.
Diceva che forse non mi sarei ricordata nulla del mio passato, del mio presente, di lui.
Ma come potevo dimenticarlo?
Lui che aveva stravolto la mia vita, mi aveva fatto stare bene dopo tanto tempo.
Non potevo dimenticarlo.
Sarei riuscita a ricordarmi tutto, avrei lottato contro la mia mente che avrebbe preferito dimenticare.
Non gli avrei permesso di lasciare la mia mente.
 
FEDERICO
I giorni passavano, ma Camilla non si risvegliava. I dottori avevano detto più volte che le possibilità che non di riprendesse erano veramente molto basse. Ma lei non si svegliava.
Io stavo male tutti i giorni. Non mangiavo quasi niente, appena uscivo da scuola mi catapultavo all’ospedale. Non volevo che si svegliasse da sola. A meno che non si fosse ripresa la mattina mentre ero a scuola, volevo esserci. Stavo lì e non mi muovevo fino a notte fonda. Tornavo a casa solo per dormire.
- Federico, devi riposare. - mi ripeté per la millesima volta Giacomo mentre stavo sull’autobus.
- io mi riposo! - protestai. - ora però devo andare, sono arrivato all’ospedale. Ciao. -
- non provare a riatt… - chiusi la chiamata e spensi il telefono. Andai di corsa nella stanza di Camilla. Entrai e mi avvicinai a lei. Le diedi un leggero bacio, poi mi sedetti sulla sedia vicino al suo letto.
- hei, eccomi qui come al solito. Sai, oggi ho rischiato l’espulsione. - ammisi. - mi sono picchiato di nuovo, con Matteo. Continuava a chiedermi che fine avessi fatto ridendo e chiamandoti sgualdrina. Io glielo avevo detto di smettere, ma lui continuava, andandoci sempre più pesante. Alla fine sono esploso. Fortunatamente il preside ha detto che per questa volta avrei preso solo una nota disciplinare. Lo so che non avrei dovuto, ma non si deve permettere di insultarti. No, non dopo quello che hai passato. Avresti dovuto vedere come l’avevo ridotto! Aveva il volto coperto di sangue. Probabilmente gli ho rotto il naso, come lui aveva fatto con me un po’ di tempo fa. - ripensai a quel giorno. Ricordavo ancora l’espressione preoccupata sul volto di Camilla quando mi vide sul letto dell’infermeria. ‘quanto tempo è passato e quante cose sono successe.’ - ma adesso non mi va di parlare di quello che ho fatto a scuola. Vorrei che tu mi dicessi ciò che hai fatto oggi. Vorrei che mi sorridessi, raccontandomi che per sbaglio sei andata addosso ad una vecchietta al supermercato, o che sei andata al mare con Giulia e avete preso una pallonata in faccia perché alcuni ragazzi un po’ maldestri l’hanno lisciata mentre giocavano a schiaccia sette. Lo vorrei tanto. - mormorai. - lo vorrei tanto. Vorrei abbracciarti, sentire le tue braccia intorno al mio collo, sentire il tuo respiro sul mio collo mentre mi parli dolcemente. Vorrei sentirti cantare di nuovo. Vorrei tanto ascoltare di nuovo la tua voce dolce e soave. Ma adesso non posso, ed è tutta colpa mia. - chiusi gli occhi e abbassai il volto.
Provai ad immaginare di nuovo la sua voce, avevo il disperato bisogno di sentirla. Ma più ci pensavo, più mi veniva da piangere. Riaprii gli occhi e la guardai. Era così bella, in pace con il mondo intero. Sembrava che nulla l’avesse mai scalfita. Sembrava assolutamente estranea al dolore, quando in realtà aveva sofferto, e anche troppo.
- sai, l’altro giorno ho sentito una persona in televisione che diceva: sorridi, sorridi sempre e comunque. Sappi che per ogni persona ce ne è almeno una che dipende dal suo sorriso. Lo sai che aveva proprio ragione? Solo ora ho capito di dipendere dal tuo sorriso. Per me  è diventato vitale vederti sorridere e ridere, soprattutto quando lo fai sinceramente. Non credo che riuscirei a stare senza un tuo sorriso… - scossi la testa. Basta, non dovevo più pensare a certe cose, peggioravano solo il mio umore. Riaccesi il telefono, ormai mio fratello non mi avrebbe più chiamato, tirai fuori dallo zaino i libri e mi misi a fare i compiti per il giorno dopo.
****
Cause I remember every sunset 
I remember every word you said 
We were never gonna say goodbye 
Singing la da da da da 
La suoneria del mio telefono mi svegliò.
Non guardai nemmeno chi fosse il mittente, schiacciai direttamente il tasto verde.
- pronto? - mugugnai.
- Federico! Ma dove diavolo sei?! - urlò Giacomo al telefono.
- all’ospedale. Ma te non urlare. - mi lamentai.
- non urlare?! Ma sai almeno che ore sono?! -
- no, ma dato che me lo chiedi  deve essere tardi. -
- esatto! È mezzanotte! - spalancai gli occhi.
- davvero? -
- no, deficiente, ti sto prendendo in giro, dato che amo arrabbiarmi con te! Ma che razza di domande fai? - okay, non ci stavo più capendo niente. Mi stava prendendo in giro o no? Guardai l’orologio: era mezzanotte veramente.
- va bene, va bene, ora arrivo. -
- ti conviene! - chiusi la chiamata e mi alzai in piedi. Misi la mia roba a posto, poi guardai Camilla.
- scusami tanto se mi sono addormentato, e soprattutto perché ora me ne devo andare. Ci vediamo sicuramente domani, tranquilla. - le diedi un bacio e uscii dall’ospedale.
Ritornai a casa abbastanza velocemente.
Quando aprii il portone, mi trovai davanti mio fratello.
- ce l’hai fatta! - esclamò. - ma che hai fatto tutto questo tempo? -
- mi sono addormentato mentre facevo i compiti. - ammisi. Giacomo corrugò la fronte, poi aprì un paio di volte la bocca, senza riuscire ad emettere un suono. - lo so, sono un deficiente. Ora però voglio dormire. Buonanotte. - lo scansai e me ne andai in camera nostra. Poggiai lo zaino al suo posto, mi cambiai e mi misi sotto le coperte. ‘ti prego, Camilla, rimettiti presto.’








HEI!!!
okay, vi permetto di uccidremi...
ho aggiornato dopo secoli, è breve e orribile...
perdonatemi, per favore, non avevo proprio idee!
lo avevo già pubblicato, lo so, ma quello era anche più brutto
ringrazio coloro che ancora seguono la mia storia, coloro che l'hanno inserita tra le preferite, chi tra le ricordate, i recensori e coloro che hanno solo letto :D
grazie mille per sopportarmi :D
beh, alla prossima! (cercherò di postare il prima possibile, promesso!)
un bacio xxx
Giulia
PS: mentre non mi venivano idee per questo capitolo, ho iniziato a scrivere un'altra storia. vi lascio il link, se vi va di leggerla <3  http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1863857&i=1

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Capitolo 28
*** I got drunk, but now everything is fine ***


27 I got drunk, but now everything is fine
 
Due settimane dopo…
Mi svegliai con un fortissimo mal di testa. Non riuscivo ad alzarmi, per fortuna era domenica.
Ma cosa era successo la sera prima? Non mi ricordavo proprio niente. Sbadigliai, come un ippopotamo, portando le braccia in alto. Toccai per sbaglio qualcosa che stava sulla mia bacheca, facendolo cadere sul mio viso. Un dolore…!
Lo presi e mi resi conto che era il mio cellulare. C’era una nota, scritta da qualcuno.
 
Hai proprio esagerato ieri sera!!!
 
In cosa avevo esagerato? Non mi ricordavo nulla. Stavo per inviare un messaggio a Giacomo per chiedergli spiegazioni, quando notai un oggetto vicino al mio letto. E tutto si fece chiaro nella mia testa dolorante…
 
Flashback
Erano le sette di sera, ma già ero a casa mia. Ero andata a trovare Camilla, sarei voluto rimanere un po' di più, ma mio fratello me lo proibì.
- non puoi stare tutto il giorno all'ospedale! Sta sera esci con Simone, e non ammetto repliche! -
Di malavoglia, mi preparai, anche se avrei preferito rimanere con Camilla. Non curai molto i dettagli, misi un paio di jeans e una maglietta a mezze maniche, anche se ormai era iniziato dicembre. Prima di conoscere Camilla mi vestivo sempre impeccabile, pur di fare colpo. Ma ora, cosa mi importava? Avevo lei, le altre non mi servivano a nulla.
Andammo in un locale, dove prima passavamo quasi tutte le sere. Appena entrati, un odore di alcol invase le mie narici. Ormai non ero più abituato, mi veniva quasi da rimettere, per quanto era forte quella puzza.
- non è stata una buona idea venire qui. - costatai.
- oh, ma piantala! Andiamo al bancone a prendere qualcosa da bere, va! - mi trascinò in quella direzione, mentre notavo, con mio grande fastidio, che molte ragazze mi stavano fissando con interesse. Avrei tanto voluto avere un cartello con scritto: sono impegnato, e la amo. Ma sfortunatamente non ce lo avevo.
Arrivati al bancone, Simone ordinò due alcolici. Poi, quando il barista glieli porse, me ne diede uno. Lo guardai riluttante.
- forza! Bevi tutto, ti farà bene. -
Lo guardai mandare giù quell'alcolico tranquillamente, come fosse un bicchiere d'acqua. Guardai il mio bicchierino. Alla fine, cosa mi costava? Lo mandai giù tutto d'un fiato, ignorando il bruciore lungo tutta la gola. L'alcol entrò subito in circolo, e avevo già bisogno di altro.
- chiedigliene un altro. - urlai per sovrastare la musica. Simone mi sorrise.
- questo è il Federico che conosco! - ordinò un altro alcolico, e poi un altro, e poi un altro ancora. Stavo esagerando, ma almeno non pensavo più a...? A cosa dovevo pensare?
Non mi ricordavo più niente. A malapena sapevo il mio nome.
Mi si avvicinarono un paio di ragazze, ma non ero attratto come al solito, volevo solo che se ne andassero.
Poi in lontananza vidi una ragazza in mezzo alla pista da ballo. Aveva i capelli biondi, lunghi fino alla vita. Mi dava le spalle, ma quando si girò la riconobbi: era Camilla.
- Simone, guarda, c'è Camilla! - esclamai. Simone guardò nella direzione che stavo indicando, poi scosse la testa.
- amico, non è Camilla, lei è in coma. - in quel momento tutto ciò che avevo dimenticato grazie all'alcol tornò nella mia mente.
Camilla.
Lei era in coma.
Quella ragazza non era Camilla, non poteva esserlo.
E mentre la mia ragazza era in fin di vita all'ospedale, io mi trovavo in un pub ad ubriacarmi.
Che schifo di persona.
- faccio schifo! - esclamai. - Camilla è in coma, e invece di preoccuparmi per lei, starle accanto, sto qui a divertirmi. Non lo merito nemmeno, considerando che è colpa mia se è entrata in coma! - Simone mi prese per le spalle.
- smettila, okay? Non è colpa tua, e Camilla sarebbe più che contenta di vederti felice invece che depresso. -
- cosa? Tu pensi che io sia depresso? Ma tu non sai come sto! Non è la tua ragazza a stare in coma, non è la persona che ami più al mondo, anche più di te stesso! Non sai come sto, quindi stai zitto! - mi alzai in piedi barcollando. L'alcol non mi permetteva di essere lucido, ma volevo tornare a casa.
- dove stai andando? - chiese preoccupato.
- a casa! -
- sei ubriaco da far schifo. Dai vieni, ti accompagno io. - disse prendendomi per un braccio. Mi divincolai dalla sua presa.
- non sono un bambino di due anni, ce la faccio da solo. - dissi.
- va bene. - mi allontanai da lui ed andai fuori da quel locale. L'aria pulita mi fece sentire subito meglio. Non ce la facevo più con tutta quella puzza di chiuso, alcol e fumo.
Mi diressi verso casa e piano piano ci arrivai, non senza difficoltà. Quando citofonai, venne ad aprirmi Giacomo.
- ma che diavolo hai fatto?! - urlò. La sua voce rimbombò potente nella mia testa.
- shhh. Non serve che urli. -
- io non sto urlando. - assottigliai lo sguardo.
- davvero? A me sembrava proprio di si. -
- e a me sembri proprio un ebete con questa espressione! Forza, entra dentro. - mi strattonò dentro casa, anche perchè probabilmente da solo non ci sarei riuscito. Per poco non caddi a terra.
- mi dici cosa è successo? -
- niente, ho bevuto un po' troppo, tutto qui. -
- mmm... e Simone? -
- al bar. Abbiamo discusso e sono tornato a casa. Ho voglia di bere. -
- no, no! Te non bevi proprio un bel niente! -
- chi sei tu per dirmi quello che posso e che non posso fare? - andai in cucina e presi della birra. Iniziai a bere direttamente dalla bottiglia. Poi me ne andai in camera, continuando a bere, fino a quando non mi addormentai.
Fine flashback
 
Quella maledetta bottiglia stava ancora là, ai piedi del letto. E sicuramente quella nota l'aveva scritta Giacomo prima di uscire. Decisi di inviare un messaggio a Simone per scusarmi.
 
Hei Simò, scusami per ieri, mi sono comportato veramente male.

La risposta non si fece attendere.

Tranquillo, brò non c'è nessun problema. Scusami anche tu.

Sorrisi. Bene, avevo risolto questa faccenda. Adesso dovevo andare all'ospedale. Sentivo che quella sarebbe stata una bella giornata.
Andai a prepararmi più velocemente possibile, poi mi diressi sempre velocemente verso l'ospedale.
****
Ero seduto sulla sedia vicino a Camilla. Le tenevo la mano, anche se lei non poteva stringermela. Stavo guardando fuori dalla finestra, quando sentii qualcosa toccarmi il dorso della mano. Mi girai verso Camilla e vidi la sua mano piegata intorno alla mia. Aprii la bocca incredulo, ma non riuscii a dire nulla.
Piano piano aprì leggermente gli occhi.
- C-Camilla. - mormorai. Sorrise. Debolmente, ma sorrise. Mi alzai in piedi, tenendole sempre la mano. Le accarezzai il volto. - non ci credo. Vado a chiamare i dottori, torno presto. -
Corsi fuori dalla stanza e mi misi alla ricerca di un qualsiasi dottore.
Quando lo trovai gli dissi cosa era successo e insieme ci mettemmo a correre verso la camera di Camilla.
Aveva di nuovo gli occhi chiusi, e per qualche istante pensai di aver immaginato tutto quanto. Ma quando ci riavvicinammo a lei, li riaprì. Il mio cuore perse un battito nel rivedere i suoi occhi meravigliosi.
 
CAMILLA
Provai ad aprire gli occhi per la millesima volta, e finalmente ci riuscii.
Difronte a me c’era il dottore. Ricordavo tutto, nulla aveva lasciato la mia mente. Ma Federico? Lo avevo sentito parlare, ora dov’era?
- ben svegliata Camilla. - disse il dottore. Sorrisi debolmente. - hai fatto preoccupare molto il tuo ragazzo, lo sai? - alzai un sopracciglio. Lo sapevo, lo avevo sentito, ma adesso volevo stare un po’ con lui! Il dottore scoppiò a ridere, forse capendo i mei pensieri. - tranquilla, sta qua. - girai lentamente la testa e lo vidi, finalmente. Mi sorrise felice. - ora dovremmo fare alcuni accertamenti, ma prima potete stare un po’ insieme. Io andrò a chiamare i tuoi genitori. - annuii al settimo cielo. Quando il dottore uscì dalla stanza provai a tirarmi su, per poggiare la schiena al muro, ma…
- ferma, ferma! Non ti affaticare. Ti aiuto io. - Federico mi si avvicinò e mi aiutò a mettermi seduta. Sentire di nuovo il suo profumo mi fece stare bene.
- grazie. - mormorai.
- di niente bellissima. - disse accarezzandomi il volto. Eravamo vicinissimi, così mi sporsi un pochino e lo baciai. Mise una mano sulla mia vita, mentre l’altra teneva stretta la mia. Poi mi guardò dritto negli occhi, facendo combaciare le nostre fronti. - mi sei mancata. Diamine, se mi sei mancata. Scusami per tutto quello che è successo, è tutta colpa mia, lo so, ma… - non gli diedi il tempo di finire che posai nuovamente le mie labbra sulle sue. Sentivo che aveva disteso le sue labbra in un sorriso.
- non è colpa tua. Non è assolutamente colpa tua, okay? - dissi posando la mia mano libera sul suo volto. Annuì sorridendo, anche se sapevo che non lo stava pensando. - ma quanto tempo è passato? - chiesi poco dopo.
- tre settimane e due giorni. - mi rispose pronto.
- wow,  è tanto. - costatai.
-già. Ho contato ogni singolo giorno, sperando che non aumentassero. - gli sorrisi e lo abbracciai.
Poco dopo fummo interrotti dal bussare alla porta. Ci allontanammo.
- avanti. - dissi. Entrarono di corsa i miei genitori. Mia madre iniziò a piangere dalla gioia, mentre mio padre mi sorrideva. Si avvicinarono, mentre Federico si alzava dal letto e mi abbracciarono.
- oh, tesoro, ci siamo spaventati così tanto! - esclamò mia madre tra i singhiozzi.
- ci sei mancata molto. - disse mio padre.
- anche voi mi siete mancati. -
****
Poco dopo venne il medico che mi fece fare degli accertamenti. I miei genitori tornarono a casa, dovevano fare qualcosa, anche se non sapevo che, mentre Federico rimase.
- sai, ti ho sentito mentre parlavi. - gli dissi.
- davvero? - annuii.
- e tu davvero ti sei picchiato con Matteo? - annuì anche lui. Scoppiai a ridere. - sei un caso disperato. - dissi scuotendo la testa.
- però questo caso perso ti piace! - disse avvicinandosi e sedendosi al mio fianco.
- oh, si, e anche molto. - risposi sorridendo. Mi baciò.
- devo dirti una cosa. - disse dopo poco.
- dimmi tutto. -
- io ieri…ho…cioè, sono… - oddio, che aveva fatto? Mi stava preoccupando. - mi sono ubriacato. - corrugai la fronte. A lui non piaceva più l’alcol. Me lo aveva ripetuto tante volte.
- cosa? Ma a te non piace l’alcol. -
- lo so, ma mio fratello mi ha detto che non potevo stare tutto il giorno all’ospedale, allora mi ha fatto uscire a forza con Simone. Lui mi ha offerto un bicchiere e ho continuato a bere. Poi ho incontrato una ragazza e… - no, non volevo più sentire quello che stava dicendo. Mi tappai le orecchie, mentre i miei occhi si inumidivano. Come potevo pensare che dopo tutto quel tempo non fosse stato con qualcuno? Ma lui mi prese le mani e cercò di toglierle da dove le avevo messe. - non è quello che pensi. - disse.
- d-davvero? - mormorai.
- davvero. - abbandonai quella posizione. - ho visto questa ragazza e mi sembravi tanto te. Poi però Simone mi ha ricordato che te eri in coma, e mi sono reso conto di quanto io facessi schifo. Cioè, te eri in coma e io mi divertivo! Volevo scusarmi. -
- non devi chiedere scusa, okay? Hai fatto più che bene ad uscire. - dissi accarezzandogli il volto. Mi sorrise.
- ieri mi sono ubriacato, è vero, ma ora va tutto maledettamente bene. - 






HEII!!!
pe-pe-pe-pe-pe-pe! *suona la trombetta dello stadio* 
finalmente Camilla si sveglia, non ce la facevo più u.u
spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, che mi piace abbastanza. certo potevo fare di meglio, ma non ha deluso le mie aspettative
e voi? che ne pensate? sarei felicissima di saperlo c:
ringrazio tutti coloro che hanno letto, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi ha recensito, e quella matta di  
ilaperla che ha recensito TUTTI i capitoli :D grazie mille a tutti quanti
alla prossima!
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 29
*** Let me be your Romeo ***


28 Let me be your Romeo
 
Dopo una settimana venni dimessa dall'ospedale. Finalmente sarei potuta tornare a scuola, sarei potuta stare con Giulia, Francesca e Simone, ma soprattutto con Federico. La mattina mi venne a prendere a casa.
- ti avevo detto che mi avrebbe portato mia madre! - esclamai, quando lo vidi sul marciapiede dal mio balcone.
- lo so, ma volevo accompagnarti io, mia Giulietta. - sorrisi.
- e così io sarei la tua Giulietta? -
- certo. E per favore, lasciami essere il tuo Romeo. -
- basta che non moriamo in quel modo. -
- tranquilla, non succederà. -
- allora ci posso stare, mio Romeo. Dai, vieni su. -
- vuoi che mi arrampico? - chiese ridendo.
- se ti va! Non so però quanto ti convenga. - costatai, unendomi alla sua risata. Stavo per andare ad aprirgli, ma iniziò veramente ad arrampicarsi alla grata. Quando mi raggiunse lo guardai scioccata. - tu sei tutto matto! -
- l'amore rende matti. - disse, per poi baciarmi. Misi le braccia intorno al suo collo, mentre continuavamo a baciarci. Lui posò le sue mani sulla mia vita, stando attento a non premere troppo forte.
Molte delle ferite che avevo si erano riaperte, facevano molto male. Ma non ci potevo fare niente, avevo solo raddoppiato la quantità di medicina da prendere.
- andiamo? - chiesi quando ci allontanammo. Annuì, afferrando  il mio zaino. Mi sorrise, poi prese la mia mano e scendemmo giù.
 - mamma io vado! - avvertii mia madre.
- da sola? - chiese affacciandosi dalla cucina. Poi vide Federico. - Federico? Quando sei entrato? Non ho sentito la porta aprirsi. - io e Federico ci guardammo, per poi scoppiare a ridere.
- lascia stare mamma, è meglio. -
- mmm... vabbè, state attenti. - le diedi un bacio sulla guancia e uscimmo di casa.
- chissà cosa avrà pensato tua madre... - mormorò Federico una volta in strada.
- ma che ti importa! - esclamai ridendo insieme a lui.
Arrivammo a scuola velocemente. Tutti i compagni di classe mi vennero in contro, chiedendomi come stavo. Tutti tranne Sara, ovviamente.
- tranquilli, sto bene. - li rassicurai.
- ma veramente sei stata in coma? - 'no, per finta, mi piace prendere in giro le persone! Ma che razza di domande fate?!' Scossi mentalmente la testa per scacciare quel pensiero e annuii.
- mi dispiace. - 'ma cosa me ne faccio di un mi dispiace? Non è che così fate qualcosa!'
- tranquilla, non è mica colpa tua. - fortunatamente suonò la campanella, così io e Federico ci sedemmo al nostro posto, sempre tenendoci per mano. Non volevo più lasciarlo, volevo stare più tempo possibile con lui. Entrò il professore di storia, e subito mi tornò in mente il primo giorno di scuola, quando mi aveva dato quella pacca leggera che mi aveva fatto accasciare a terra. Quante cose erano successe…
Non riuscivo a stare seduta, mi faceva malissimo la schiena. Così rimasi in piedi anche quando tutti gli altri si erano seduti. Federico mi tirò leggermente la mano. Mi girai verso di lui.
- tutto okay? - chiese preoccupato. Annuii.
- Camilla! Ben tornata. Come stai? - chiese il professore. Gli sorrisi.
- meglio. - dissi, anche se la vera risposta sarebbe dovuta essere: sono stata meglio.
Mi risedetti e iniziai a seguire la lezione, tenendo la mia mano intrecciata a quella di Federico sulla sua gamba. Gliela lasciavo solo quando dovevo alzarmi.
****
A ricreazione decisi di andare da Giulia. Ovviamente Federico venne con me.
- ma alla fine Giulia ha parlato con Fabio? - chiesi curiosa. Si, Federico sapeva tutto.
- no, non ancora. -
- bene, è arrivato il momento di farlo. - dissi, mentre mille idee per farli incontrare affioravano nella mia mente.
Arrivata da Giulia  al solito bagno l'abbracciai. Federico era entrato, tanto quel bagno non si sapeva nemmeno se era per i maschi o per le femmine, e nessuno ci andava mai.
- come stai? - mi chiese preoccupata.
- più o meno bene. - dissi sorridendo. - ma te? Ho saputo che non hai ancora parlato con Fabio! - diventò rossa.
- adesso stiamo parlando di te, è più importante e... - la interruppi.
- non provare a cambiare argomento, sa! - dissi ridendo. - andiamo, ci potremmo andare insieme. - proposi.
- si, certo, già io sono un cesso, poi vede quanto sei bella e va dietro a te. Non voglio rimanere delusa. - aggrottai la fronte.
- tu un cesso? Andiamo! Sei bellissima. -
- confermo ciò che ha detto Camilla. - disse Federico. - e poi non gli conviene provarci con Camilla. Verrebbe disintegrato. - lo guardai, alzando un sopracciglio.
- e perchè? -
- perchè tu sei la mia ragazza, non voglio che qualcuno ti venga dietro. -
- ammettilo che saresti geloso. -
- io? Di te? - annuii. - si, e anche molto. - gli sorrisi.
- ma non ne hai motivo. Io voglio solo te. - dissi, per poi dargli un leggero bacio a fior di labbra.
- come siete carini. - sospirò Giulia. La guardai.
- allora andiamo? - scosse la testa. - okay, l'hai voluta tu. - la presi per un braccio e cercai di trascinarla fuori dal bagno. Ero un po' debole, ma alla fine Giulia era uno stecchino e riuscii a portarla fuori.
- allora! Dove andiamo? - chiesi a Giulia.
- beh, di solito lui sta nel cortile esterno, ma... -
- perfetto! - la presi per un braccio e ci incamminammo giù.
Una volta arrivati in cortile la vidi fermarsi di botto.
- no, non è stata una buona idea. - mormorò. Guardai nella direzione in cui stava guardando Giulia e finalmente riuscii a vedere il tanto famoso Fabio. Beh, dovevo ammettere che era un bel ragazzo, ma nulla in confronto a Federico.
- wow, è un bel ragazzo. - ammisi. Vidi Federico irrigidirsi. Trattenni a stento una risatina. Lo ignorai, ma poco dopo mi venne un'idea per poterci avvicinare a Fabio senza destare sospetti. - si, è molto bello. È così alto e muscoloso. E poi quei capelli, sono veramente belli alzati così dal gel. Peccato che non riesca a vedere i suoi occhi, da come li hai descritti sono meravigliosi. Sono verdi-azzurri, se non sbaglio. - ovviamente Giulia aveva capito solo in parte cosa stavo facendo, e si stava divertendo tanto quanto me. Invece Federico si irrigidiva man mano che andavo avanti con i complimenti. Lo guardai. Lo stava fulminando con lo sguardo. Mi misi difronte a lui e lo baciai. Poi posai una mano sul suo viso. - sei proprio geloso. -
- e grazie, stai riempendo quello là di complimenti! - borbottò. Scossi la testa.
- volevo vedere la tua reazione. - spalancò la bocca. Con lo sguardo indicai Giulia, poi Fabio. Capì immediatamente cosa avevo intenzione di fare e mi sorrise.
- a si? - annuii. - ti conviene scappare. - iniziai a correre, anche se mi facevano male le gambe ci riuscivo. Fortunatamente Fabio e i suoi amici erano vicini. In poco tempo mi trovai affianco a loro. Sentii su di me uno sguardo, così mi voltai e lo guardai. Era Fabio. Mi sorrise, e io feci lo stesso.
Intanto Federico mi raggiunse e mi abbracciò delicatamente.
- non sei così veloce. - mormorò al mio orecchio. Sorrisi e mi girai verso di lui. Gli diedi un leggero bacio.
Sentivo ancora il suo sguardo addosso.
- scusami. - mi chiamò. Mi girai e gli sorrisi.
- si? -
- quella è una tua amica? - chiese indicando Giulia. Annuii. - wow, sono giorni che la vedo, ma non ho il coraggio di andarle a parlare. Non è che potresti farla venire qui? - sorrisi. Non era quello il mio piano, ma era cento volte meglio.
- certo! -
Andai velocemente da Giulia, mentre Federico rimase là.

 
FEDERICO
Guardai Fabio. Non mi piaceva per niente, stava fissando troppo la mia ragazza. Fortunatamente sembrava interessato a Giulia, ma tutte quelle attenzioni mi stavano comunque dando fastidio.
- hei, amico, hai proprio una bella ragazza. - mi disse dopo poco. Gli sorrisi falsamente.
- oh, si. E se ci provi, diventa bello anche un pugno sulla tua faccia. - viva la non violenza!
- tranquillo, a me interessa l'amica rossa. - disse sorridendo.
- lei è una delle mie più care amiche. Non provare a farla stare male, ha già sofferto troppo. - lo ammonii. - e il pugno è sempre valido. - aggiunsi.
- non ti preoccupare. -

 
CAMILLA
- ma io mi vergogno! - esclamò Giulia quando le ebbi detto cosa era successo.
- oh, smettila! Quando di ricapita una situazione del genere? È lui che ha chiesto di te! - arrossì.
- va bene. - sussurrò. Sorrisi.
- forza, andiamo. -
Ci incamminammo verso Fabio.
- ricordati che te non sai il suo nome. - sussurrai. Lei annuì, non molto convinta. Quando arrivammo da lui, mi sorrise, poi posò tutta la sua attenzione su Giulia.
- piacere, Fabio. -
- Giulia. - disse lei titubante.
- Federico siamo stai proprio maleducati! - esclamai. - non ci siamo nemmeno presentati. Io sono Camilla. -
- e io, come ai capito, Federico. -
- piacere. - rispose Fabio.
- scusateci, ma io e Federico abbiamo da fare. Ci vediamo. - Giulia mi guardò con uno sguardo omicida. Le sorrisi, poi presi per mano Federico.
- ricordati che ti ho detto. - disse lui, verso Fabio. Lui annuì alzando le mani. Cosa gli aveva detto? Ero curiosa e volevo saperlo. Quando ci fummo allontanati glielo chiesi.
- oh, niente, tranquilla. -
Decisi di lasciare stare e ci incamminammo verso la nostra classe.
Ero felice. Molto felice. Finalmente Giulia avrebbe passato un po' di tempo con Fabio.
- posso farti una domanda? - mi chiese Federico.
- certo. -
- pensi davvero che lui sia un bel ragazzo? - sorrisi.
- beh, lui è un bel ragazzo, si. Ma non mi interessa. E poi non è nulla in confronto a te. - si fermò e mi guardò. Poi prese il mio volto tra le mani e mi baciò.
- sei bellissima mia Giulietta. -
- grazie mille, mio Romeo. -











HEI!!!!
questa volta sono stata veloce a pubblicare :D
che ne pensate di questo capitolo?
Federico e Camilla sono dolcissimi, lei mi sembra un po' cupido u.u
e Giulia e Fabio? non sono teneri?
per chi volesse sapere cosa è successo tra i due, ho scritto un missing moment. vi lascio il link

http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1848411&i=1
se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! ringrazio coloro che hanno recensito, i lettori silenziosi e coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate
un bacio xxx
Giulia

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Capitolo 30
*** It was all just a fairytale ***


29 It was all just a fairytale

 
Passarono i mesi. Era aprile e dopo solo due mesi sarebbe finita la scuola. Mi sembrava fosse passato solo qualche minuto da quando il preside si era messo a cercare la mia cartella per vedere in che classe stavo. Tutti i ricordi erano ancora impressi nitidamente nella mia mente.
Giulia e Fabio stavano insieme, finalmente. Se lo meritavano entrambi. Simone forse si sarebbe finalmente dichiarato a Francesca, della quale era innamorato da anni.
E io? Io amavo ogni giorno di più Federico. Era tutta la mia vita, non riuscivo più a stare senza di lui. Da sola mi sentivo persa, impaurita, vulnerabile. Ma lui arrivava sempre e mi aiutava, mi proteggeva. Non lo avrei mai ringraziato abbastanza.
Avevo ricominciato, grazie a Federico, a prendere l’autobus.
Le ferite non erano più così profonde, erano tornate come ai primi giorni di scuola. Così potei ricominciare a prendere la vecchia dose di medicine. Sarebbe andata sempre meglio, lo sapevo. Anche perché pensavo che peggio di come ero messa non poteva andare.
Ma mi sbagliavo…

****

Vuota.
Ecco come mi sentivo.
Vuota.
Senza niente dentro.
Senza la forza di andare avanti.
Senza sorriso.
Senza Federico.
Era finita.
Non mi amava più, e aveva preferito un'altra a me.
Ormai avevo finito anche le lacrime.
Speravo fosse soltanto un malinteso.
Ma puntualmente quella scena riaffiorava nella mia mente, non dandomi tregua.
 
Flashback
Volevo fare una sospesa a Federico. Quel giorno mi aveva detto che non ci saremmo potuti vedere perché aveva da fare. Decisi di andare a trovarlo, per tenergli compagnia, e di portargli un dolce. Arrivai davanti casa sua, ma non entrai. Ciò che vidi la fuori mi bastò.
C'era Federico, seduto sui gradini di casa sua. In braccio a lui a cavalcioni c'era una ragazza, intenta ad accarezzargli il viso. Aguzzai la vista, per capire chi fosse quella ragazza. Era Sara. Si avvicinò ancora di più a Federico, fino a baciarlo.
Gli occhi iniziarono a bruciare. La busta con il dolce mi cadde, facendo molto rumore. Federico si voltò e mi vide. Scansò Sara e si alzò in piedi. Io mi girai e iniziai a correre. Volevo andarmene a casa, sperare che ciò che avevo appena visto fosse tutto uno stupido sogno.
- Camilla, aspetta! - gridò Federico alle mie spalle. Mi fermai, non sapevo neanche perché. Mi girai verso di lui.
- cosa dovrei aspettare?! Che finisci i tuoi "impegni"?! Ho di meglio da fare! -
- ti prego, non è come sembra! -
- a no?! Quindi non è vero che c'era Sara seduta in braccio a te intenta a baciarti! Mi sono immaginata tutto, giusto?! -
- no, ma io non volevo baciarla! -
- a me non sembrava! E io che pensavo avessi davvero da fare. Mi ero detta: ora lo vado a trovare, così non sta solo, e gli preparo anche un dolce. Credo che la compagnia non ti manca! - le mie guance iniziarono a bagnarsi.
- no, ti prego, non piangere. - si avvicinò per asciugarmi le lacrime, ma mi scansai.
- torna da lei, è meglio. E rimanici! - ricominciai a correre e velocemente arrivai alla fermata dell'autobus. Ormai le lacrime scendevano a piede libero e non riuscivo a fermarle. La gente mi fissava, e qualcuno mi si avvicinava per sapere se avevo bisogno di aiuto. 'Cavolo, non ho bisogno di voi! Ho bisogno che lui venga a svegliarmi da questo incubo dicendomi che mi ama ancora, che mi sono immaginata tutto!'
Tornata a casa mi buttai sul letto con le cuffiette e continuai a piangere, fino a quando non mi addormentai.
Fine flashback

FEDERICO

Non ci potevo credere. Veramente credeva che io stessi anche con Sara? Credeva veramente che non l'amavo più?
Tutta colpa di Sara. Mi si era seduta in braccio, e cercare di toglierla era inutile. Era piantata a terra. Mi si era avvicinata tanto da baciarmi, anche se sapeva che non volevo. Ma alla fine la colpa più grande era mia. Le avevo permesso di baciarmi.
Poi un rumore.
Mi voltai e vidi Camilla. La mia Camilla con gli occhi lucidi.
Buttai letteralmente a terra Sara e andai dietro a Camilla. Ma lei non ne volle sapere.
- torna da lei, è meglio. E rimanici! - aveva detto, prima di allontanarsi da me.
Come avevo solo potuto far sedere in braccio a me Sara? Come avevo potuto far soffrire Camilla? L'unica ragazza che mi capiva, che mi accettava, che mi amava. Mi ero ripromesso di non farla soffrire, aveva già sofferto troppo per la sua età, e invece ero stato io stesso la nuova causa della sua sofferenza.
Volevo parlarle e spiegarle che amavo solo e soltanto lei.
Ma non voleva sentirmi.
Del resto, come biasimarla?
 

CAMILLA

L'amore.
Un sentimento troppo grande per una sedicenne come me.
Un sentimento così bello, capace, però, di distruggere tutto dentro di noi. Arriva come un uragano e ti sconvolge la vita.
Chi dice che l'amore è bellissimo sbaglia.
L'amore fa schifo.
L'amore ti illude.
Ti fa credere nei sogni e poi ti sveglia bruscamente.
L'amore ti inganna.
Ti fa credere di essere importante per una persona, quando in realtà a quella persona interessi meno di niente.
L'amore mi aveva fatto credere di essere amata, e io c’ero cascata.
Di nuovo.
Era passata una settimana da quando era tutto finito, e non riuscivo ancora a crederci.
Non riuscivo a dormire.
Ero passata da mangiare pochissimo, a niente.
- andiamo, tesoro, devi mangiare! Potresti sentirti male e svenire! -
- beh, se svengo è meglio, potrei sbattere la testa e morire. Sicuramente è meno doloroso di tutto questo. -
- Camilla, lo so che è dura, ma ti passerà. Stai tranquilla. Ora non ci pensare. - 'tu non capisci! Come può passarmi una cosa del genere?! Io sono innamorata di Federico! Come posso passare oltre al fatto che lui non mi vuole più? Come posso non pensare che stava baciando un'altra?'
Mi alzai da tavola e tornai in camera mia.
Non ero andata a scuola per paura di incontrarlo. Ma lui non mi aveva inviato nemmeno un messaggio. 'Non mi interessa'. Ma cosa stavo dicendo? Certo che mi interessava! Volevo sapere come stava, se gli importava qualcosa di me, se mi amava.
Ma niente.
Giulia mi ripeteva di lasciarlo perdere. E alla fine cercai di seguire il suo consiglio. Dopotutto, se Federico mi avesse voluto spiegare qualcosa mi avrebbe potuto chiamare.
Dopo poco sentii bussare alla porta della camera.
- mamma, vai via! -
- va bene. -
- no Giulia, aspetta, entra! - non finii nemmeno la frase che la mia migliore amica si trovava già sul letto vicino a me.
- come stai? -
- diciamo che ho avuto giorni migliori. -
- ti ha scritto? - ormai non serviva nemmeno più mettere il soggetto nella frase.
- no. - dissi triste. Ci stavo veramente male.
- tranquilla, prima o poi ti parlerà. Deve solo trovare  le parole giuste. -
- e quanto ci vuole, scusa? È già passata una settimana, di parole ne avrà trovate a migliaia. Forse non tiene a me quanto credevo… -
- non dirlo neanche per scherzo! Non puoi immaginare quanto ti ama. Potresti provare a parlargli tu. -
- io non ho niente da dirgli. È lui che mi deve chiedere scusa. Non sono io quella che stava baciando un altro. -
- ma forse è come ha detto lui. -
- stai dalla sua parte? -
- io non sto dalla parte di nessuno. Dico solo che secondo me state sbagliando entrambi, perché siete uno più innamorato dell'altra. Ora devo andare. Ci vediamo domani. -
- si. Grazie per essere venuta. -
- di niente, lo faccio volentieri. Qualsiasi problema potrai sempre parlarne con me. Non avere paura ad aprirti. -
Già una persona mi aveva detto quelle parole, o meglio, scritto...
 
Flashback
Federico mi avvicinò un biglietto, e stando attenta a non essere vista dal professore, lo presi.

Sei tornata in classe molto dopo il suono. Qualcosa non va?

Perché si preoccupava tanto? Per di più per me, che ero quasi una sconosciuta ai suoi occhi.

No, tranquillo. Mi faceva solo un po' più male la schiena :)
'come se disegnare uno smile potesse fargli credere che sto veramente bene.'

Va bene.
Se hai qualche problema potrai sempre parlarne con me.
Non avere paura ad aprirti.

Fine flashback
 
I miei occhi si inumidirono, ma aspettai che Giulia se ne fosse andata per piangere. Corsi in camera mia e chiusi la porta a chiave. Mi buttai sul letto e continuai a piangere. 'Perché?! Perché tutto mi riporta a lui?!' iniziai a dare pugni sul letto, mentre il cuscino si bagnava sempre di più. Bussarono di nuovo.
- tesoro, tutto bene? -
- no, fa tutto schifo! La mia vita fa schifo! Ma lasciami in pace! - forse avevo risposto troppo duramente, dopotutto mia madre voleva solo sapere come stavo. Sentii i suoi passi sempre più lontani. 'Perfetto, riesco sempre a rovinare tutto! Sono un fallimento.'





HEI!
oggi non ho molto da dire...
chiedo solo di non venire uccisa da voi
sono triste anche io perchè si sono lasciati!
e voi starete pensando: ma allora questa qua è stupida! cioè le dispiace che due SUOI personaggi si siano lasciati. li poteva lasciare insieme!
lo so, lo so. però mi piaceva molto cosa avevo scritto, così ho pensato di pubblicarlo
cosa ne pensate? mi farebbe molto piacere saperlo :D
ringrazio coloro che hanno letto, recensito o inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. xxxxx
alla prossima!
baci :***
Giulia c:

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Capitolo 31
*** Those days are so far away ***


30 Those days are so far away 

FEDERICO

Era passata una settimana, e Camilla non si faceva vedere a scuola. ‘Sarà colpa mia?’ mi chiedevo in continuazione. Giulia non mi diceva nulla, anche se ero sicuro che sapesse qualcosa.
Avevo provato a chiamarla, a mandarle dei messaggi.
Ero addirittura andato a casa sua, ma la madre mi diceva sempre che non c’era.
Sapevo che era in camera sua, vedevo la sua ombra dalla finestra. Ma non voleva parlarmi. Mi era venuto in mente anche di arrampicarmi come era già successo in passato. Ma la signora che abitava difronte a casa sua era già spaventata da me, poiché mi aggiravo spesso da quelle parti. Sicuramente mi avrebbe preso per un ladro.
E intanto morivo dentro giorno dopo giorno.
Ancora non riuscivo a credere che fosse veramente finita.
Forse era destino.
Forse doveva andare così.
Forse tra noi era finita per sempre.
Dopo una ventina di minuti che ascoltavo della musica sentii bussare alla porta.
- ma', te l'ho detto un milione di volte che non mi devi dare fastidio quando ascolto la musica! -
- peccato che non sono tua madre, deficiente! -
- Simone?! Entra! - il mio migliore amico aprì la porta e si appoggiò allo stipite con fare molto teatrale. - cosa ti porta qui? - alzò il sopracciglio.
- lo sai benissimo. - si avvicinò e si sedette vicino a me. Abbassai lo sguardo. - perché non le hai ancora scritto? - alzai di scatto il viso.
- io non le ho scritto?! Le ho inviato una marea di messaggi e l’ho chiamata! Ma lei non mi risponde! Credi che non abbia voglia di vederla?! Sto morendo dalla voglia di stare con lei! - misi la testa fra le mani. Simone mi diede una pacca sulla spalla.
- devo dire che ti manca molto. - 'ma sei un genio! Meriti il premio Nobel per l'intelligenza!' - allora perché non vai direttamente a casa sua? -
- ci sono andato! Ma niente, la madre dice sempre che non c’è! Ma in realtà sta in camera sua, la vedo. E poi dopo averla fatta soffrire così tanto merito solo di essere preso a calci. - mi misi a guardare il pavimento. - me le passi? - aggiunsi poco dopo.
 

SIMONE

Non capivo cosa voleva gli passassi. Poi guardai nella direzione che stava indicando con l'indice. Rimasi scioccato.
- da quanto tempo fumi? - ci pensò un po' su prima di rispondere.
- circa una settimana. Ora me le passi? - mi alzai di scatto in piedi.
- no! Ma dove diavolo hai la testa?! Te che dicevi sempre che il fumo fa male, danneggia gli organi e tutte quelle cose là, ora ti metti a fumare?! - si alzò anche lui.
- si, hai qualche problema? -
- no, te hai qualche problema! - presi il pacchetto di sigarette che stava sul suo comodino e le misi nella mia tasca.
- che fai? -
- le porto lontano da te! Se Camilla ti vedesse in questo stato... -
- ma lei non mi vedrà. E non lo saprà nemmeno, capito? - annuii.
- devi capire, però, che non è fumando che rimedierai a ciò che hai fatto. - andai verso la porta per uscire. - sai, ridotto così sei proprio identico a tuo padre. -
Sapevo di aver toccato un tasto dolente della sua vita, ma sapevo anche che avrebbe fatto di tutto per tornare il vecchio Federico pur di non assomigliare al padre.
 

FEDERICO

Ridotto così sei proprio identico a tuo padre.
Quelle parole rimbombavano nella mia mente, non dandomi pace.
Stavo veramente diventando come quel mostro?
Mi stavo veramente rovinando la vita in quel modo?
Simone sapeva che avrei fatto di tutto pur di non assomigliare a mio padre.
Lui picchiava mia madre e  non voleva avere figli.
Quando era nato Giacomo aveva “chiuso un occhio”.
Ma quando mia madre gli disse di aspettarmi, partì e se ne andò chissà dove con una ragazza di venti anni più giovane.
Lo vedevo raramente, e in tutte le occasioni fumava, beveva e provava ad alzare le mani su di noi.
Forse dovevo smettere di fumare, mi stavo rovinando la vita da solo.
Eppure le sigarette sembravano riempire per poco tempo il vuoto che provavo per via dell’assenza di Camilla.
Mi avvicinai all’appendiabiti e dal giacchetto tolsi i due pacchetti di sigarette che c’erano e li buttai in una busta. Poi andai vicino all’armadio e tirai fuori quattro bottiglie di birra, una di vodka e due di whisky che gettai ugualmente nella busta. La presi e andai di fuori, verso i cassonetti, dove buttai tutta quella robaccia che mi stava facendo solo del male.
Tornai in camera mia e mi misi a guardare le foto mie e di Camilla.
Strinsi al petto quella che ci ritraeva al parco una volta che lei si fu ripresa “dall’incidente”. Ero seduto su un’altalena, lei in braccio a me. Ridevamo spensierati, non curanti di ciò che ci circondava. Eravamo solo io e lei in quel momento.
Improvvisamente mi sembravano così lontani quei giorni in cui ci divertivamo come bambini…







HEI!!
oggi, magicamente, sono qui, anche se sono quasi morta a scuola. avevo una paura tremenda per matematica e la professoressa non mi ha nemmeno interrogato! -.-
vabbè, a voi non interessa, lo so...
il capitolo è breve, anzi brevissimo, ma è di passaggio.
con questo capitolo abbiamo capito anche perchè non si menzionasse mai il padre di Federico! ci avevate fatto caso? Federico diceva sempre: io, Giacomo e mia madre.
poverino lui, beve e fuma.
mi fa un po' pena, veramente mi riduco a trattare così male i miei personaggi? O.o
vabbè, forse è meglio che vada a finire le tavole di arte da consegnare domani, va'!
ringrazio coloro che hanno recensito, i lettori silenziosi e coloro che hanno inserito la storia tra le ricordate/preferite/seguite.
un bacio a tutti quanti
Giulia xxx

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Capitolo 32
*** I have to try ***


31 I have to try
 

FEDERICO

Il giorno dopo, decisi che avrei dovuto affrontare Camilla. Non ce la facevo più a stare lontano da lei.
Era presto, circa le sette, quando citofonai a casa sua.
Mi venne ad aprire dopo un paio di minuti la madre.
- salve signora, Camilla? - i suoi occhi diventarono due fessure.
- Federico? Ma sai che ore sono? -
- si, lo so. Ma almeno sono sicuro che Camilla è in casa. La prego, io non ce la faccio più a starle lontano. Lo so che le ho fatto male, ma… -
- tu non le hai fatto male, le hai distrutto il cuore. Le avevi promesso che non l’avresti più fatta soffrire, ed ora è a pezzi, peggio di prima. Avevi promesso a mio marito che non te ne saresti andato, ed ora lei è sola. - mi morsi il labbro, cercando di evitare di piangere. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. L’avevo tradita, per poi lasciarla sola e ferita. Non meritavo nemmeno di bussare a casa sua per implorare il suo perdono. Potevo solo andarmene a testa bassa, dicendo per sempre addio a lei. - ma… - continuò, quando mi stavo avviando verso casa. Mi fermai di colpo. - …ma lei ha bisogno di te. - sorrisi. Io amavo quella donna. Anzi no, io amavo Camilla. Mi voltai e ritornai difronte alla porta. - forza, vai di sopra. - le sorrisi.
- grazie, grazie mille. - dissi per poi precipitarmi al piano superiore. Entrai nella sua stanza e mi avvicinai al suo letto. Dormiva. Era così piccola e indifesa. Non aveva le coperte e indossava un pigiama a mezze maniche. Molte delle sue ferite erano visibili, e mi fece una grande rabbia pensare che qualcuno l'avesse toccata e avuta. Le accarezzai il volto, che scoprii leggermente bagnato. 'No, non dirmi che ha pianto per me...' sorrise. Chissà, forse si era accorta che qualcuno le stava accarezzando il volto. Probabilmente se avesse saputo che ero io, mi avrebbe cacciato via. Dischiuse leggermente le labbra, e non sapevo cosa mi stesse trattenendo dal baciarla. Mi misi in ginocchio difronte a lei e la mossi leggermente.
- Camilla? - la chiamai titubante. Lei sorrise di nuovo, per poi girarsi di lato, dandomi le spalle. - Camilla, sono io, Federico. Ti prego, svegliati, devo parlarti. - mugugnò qualcosa, poi finalmente si rigirò e aprì gli occhi. Appena mi vide sobbalzò.
- c-che ci fai qui? - domando mettendosi a sedere.
- sono venuto per parlarti. -
- ma io non voglio ascoltarti. - rispose fredda. Quelle parole per me furono una pugnalata al cuore.
- ti prego io...non è come sembra. -
- ancora?! Ma che diavolo, mi stai dicendo che non hai baciato Sara?! - esclamò, e notai che i suoi occhi erano diventati lucidi. ‘no, non voglio che pianga ancora per colpa mia…’
- no, voglio solo dirti che non volevo baciare Sara. -
- ma hai lasciato che succedesse. -
- mi dispiace. Sono stato uno stupido, lo so. -
- almeno quello... - mormorò abbassando lo sguardo.
- ti prego, lo so che è difficile, ma perdonami. - scosse la testa.
- tu mi avevi detto che ci saresti sempre stato. Mi hai illusa dicendomi che mi amavi e che non avrei più sofferto. Mi hai detto che mi avresti difeso da ogni dolore. Ma non è stato così. Adesso voglio solo stare sola. -
- verrai almeno a scuola? - chiesi speranzoso. Annuì, e il mio cuore si riempì di gioia. - allora ci vediamo dopo. Ti dimostrerò che per me sei l’unica, che ti amo e che non voglio più lasciarti sola. - mi alzai in piedi e uscii dalla sua stanza.
 

CAMILLA

Appena uscì dalla mia camera mi buttai sul letto e ricominciai a piangere. Avevo passato tutta la notte in lacrime, e quando finalmente mi ero calmata, lui era venuto a casa mia per parlarmi.
Io lo amavo, si, ma lui aveva baciato una ragazza. E non una ragazza qualunque. Aveva baciato Sara.
Non potevo perdonarlo solo perché mi diceva che gli dispiaceva, anche se avrei voluto farlo.
Ormai era ora di alzarmi, così andai giù in cucina da mia madre.
- tesoro, come stai? - chiese.
- male. - ammisi. Mia madre smise di occuparsi della caffettiera e si sedette difronte a me. Presi un respiro profondo. - perché lo hai fatto entrare? - lei giocherellò un po’ con la zuccheriera prima di rispondermi.
- sai, è vero che ha baciato quella ragazza. Ma tu hai visto il suo volto? È distrutto. Ha delle occhiaie mostruose e gli occhi rossi. Sai che vuol dire? - sapevo cosa voleva dire, era nella mia stessa situazione: aveva pianto la notte. Ad essere sincera non me ne ero accorta, avevo tenuto quasi tutto il tempo lo sguardo abbassato. Se avessi incontrato quei suoi occhi azzurri come il cielo, non avrei più capito niente. Abbassai di nuovo lo sguardo. - ha pianto. Come te. Credo proprio che dovresti perdonarlo. - in quel momento avevo le lacrime agli occhi. Decisi di tornare in camera mia, non volevo più affrontare l’argomento. Mi alzai in piedi e salii nella mia stanza. Mi buttai sul letto con un paio di cuffiette.
Does he watch your favorite movies?
Does he hold you when you cry?
Does he let you tell him all your favorite parts when you've seen it a million times?
‘ma perchè trovo sempre queste canzoni che mi deprimono?’
Ascoltai quella canzone un po’ di volte, giusto per soffrire ancora, fino a quando non terminai le lacrime. Poi mi asciugai il volto e mi alzai, presi il cambio e andai al bagno. Una volta fatta la doccia, mi guardai allo specchio. Facevo schifo: ero magrissima, mi si vedevano addirittura le ossa, la pelle era ricoperta da lividi, tagli e ferite profonde. Rabbrividii nel pensare a come mai le avessi. ‘faccio schifo, nessuno mi vuole…’
Rimasi qualche minuto a fissarmi schifata, fino a quando mia madre non bussò alla porta dicendomi di sbrigarmi.
Mi cambiai e uscii dal bagno. Poi andai in camera da pranzo e mi sedetti sul divano, aspettando come al solito mia madre.

****

Una volta a scuola, incontrai l’ultima persona che volessi vedere.
- hei Cami! - mi salutò allegramente.
- Matteo. - risposi fredda.
- cosa è successo, piccola? - chiusi gli occhi in una fessura.
- primo: non chiamarmi piccola. Secondo: non sono affari tuoi! - mi girai decisa ad andarmene, ma lui mi prese per il polso, causandomi un forte dolore. Strinsi i denti per non darlo a vedere.
- oh, andiamo! Lo so che mi vuoi e che non puoi resistermi! - esclamò facendomi girare verso di lui.
- ma che faccia tosta! E poi io sono… - fidanzata stavo per dire. Ma no, non lo ero più. Pensarci fu per me l’ennesima coltellata al cuore.
- fidanzata? - terminò lui per me. - lo so che vi siete lasciati. - disse ridendo.
- cosa? C-come fai a saperlo? -
- io so tutto. - gli avrei dato molto volentieri un pugno. Mi girai dandogli le spalle. Lui si avvicinò al mio orecchio per dirmi qualcosa.
- oggi pomeriggio passo da te. - mormorò. Mi irrigidii. Iniziai a scuotere la testa come una stupida, guardando il vuoto difronte a me.
- no… - mormorai.
- oh, invece si. - disse scoppiando di nuovo a ridere. - quello che voglio me lo prendo. E se non è oggi, sarà domani, o dopodomani. - disse per poi darmi dei baci lungo il collo. Provai ad allontanarmi, ma mi prese per i fianchi, impedendomi ogni movimento. Volevo dirgli di smetterla, ma non ci riuscivo, la voce non voleva uscire.
- Matteo, smettila! - urlò qualcun altro al posto mio. Mi girai nella direzione della voce e vidi Federico. Matteo sbuffò, era veramente seccato e allentò un po’ la sua presa. Così ne approfittai e mi allontanai velocemente da lui. Andai vicino a Federico che mi prese delicatamente per le spalle. Mi guardò negli occhi.
- stai bene? - chiese preoccupato. Annuii. Tirò un sospiro di sollievo.
- ma perché continui a rompere, eh?! - esclamò Matteo. Federico si scansò da me, mettendomi dietro di lui. - non è più la tua ragazza, ora faccio quello che mi pare con lei! - Federico serrò i pugni, fino a far sbiancare le nocchie.
- forse non è più la mia ragazza perché mi sono comportato da perfetto idiota, ma la amo. Non provare ad avvicinarti a lei! -
Ma la amo.Quelle parole continuavano a rimbombare nella mia mente. Lui mi amava ancora. Beh, altrimenti non mi avrebbe inviato un migliaio di messaggi e non mi avrebbe chiamato un centinaio di volte. Non sarebbe nemmeno venuto a casa mia alle sette di mattina pur di parlare con me. Ma sentirlo dire da lui mi fece stare un po’ meglio.
- io faccio quello che mi pare e piace, non prendo ordini da uno come te! - ribatté Matteo.
Federico stava per andargli addosso, ma fortunatamente, suonò la campanella. Così lo presi per il braccio e lo trascinai velocemente verso la nostra classe. Quando ci trovammo difronte alla porta mi fermai. Anche lui lo fece e mi guardò con aria interrogativa, inclinando il capo.
- io volevo ringraziarti. - mormorai. Lui sorrise e mi accarezzò la guancia, facendomi inevitabilmente arrossire.
- te l’ho detto: voglio dimostrarti che per me sei l’unica e che ti amo ancora. - e così dicendo entrò in classe. Rimasi qualche istante fuori dalla classe, poi entrai anche io, pronta ad incominciare una nuova settimana scolastica.








HEI!!
in questo capitolo abbiamo un Federico alla riscossa! c:
finalmente si darà da fare.
Camilla è un po' cocciuta, ma dopotutto Federico ha lasciato che Sara lo baciasse. se fossi stata in lei, avrei fatto la stessa cosa.
il nostro Federico riuscirà a riconquistare Camilla?
lo scoprirete solo nelle prossime puntate! *sigla finale*
okay, dopo questa uscita posso andarmene
anzi ancora no.
mi raccomando, ricordate bene le parole di Matteo di questo capitolo, sono importanti
ringrazio coloro che hanno recensito, i lettori silenziosi, coloro che hanno inserito la storia tra le segute e preferite e ricordate. siete veramente tanti e mi riempite di gioia <3
se vi va, lasciate una recensione
alla prossima
un bacio
Giulia xxx

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Capitolo 33
*** He is my life ***


32 He is my life
 
Cosa devo fare?
Quella domanda rimbombava nella mia mente da parecchie ore.
Ero già uscita da scuola e continuavo a pensare a quello che era successo nel corridoio.
Dato che a casa ero sola, se fosse venuto veramente Matteo, non lo avrei fatto entrare. Non avrei nemmeno controllato chi fosse al citofono. Sarei rimasta allungata sul mio letto ad accarezzare Micky ignorando il trillo incessante. Se fosse stato qualcun altro sarebbe stato veramente sfortunato. Ma non avevo proprio né la forza né la voglia di alzarmi.
Decisi di fare qualcosa. Non ce la facevo più a guardare il soffitto, così presi il mio libro preferito dal mio scaffale vicino al letto. Le pagine della nostra vita. Amavo quel libro, ogni volta che lo leggevo mi commuoveva. Aprii così una pagina a caso e iniziai a leggere. E come al solito delle lacrime iniziarono a rigare il mio volto, commossa dall’amore di due ragazzi nato un estate e durato per sempre. ‘sarebbe bello un amore così. Un amore infinito, un amore senza barriere, che continua anche se si ha davanti mille ostacoli.’ In quel momento suonò il citofono. Maledissi chiunque fosse.
Non mi sarei mai alzata, in quel momento poi nemmeno se mi avessero pagata.
Lo squillo continuò incessante per un minuto, poi finalmente smise. Ricominciai a leggere, ma poco dopo sentii un rumore provenire da fuori. C’era qualcosa che sbatteva contro il vetro della mia finestra. Mi alzai di malavoglia e mi affacciai. Di sotto c’era Valerio. ‘cosa ci fa qua?’ appena mi vide smise di lanciare i sassi e mi sorrise.
Aprii la portafinestra e mi affacciai al balcone.
- come facevi ad essere sicuro che fossi in casa anche se non ti avevo aperto? - chiesi curiosa. Dopotutto non avevo fatto il minimo rumore. Lui scrollò le spalle.
- lo sapevo. Sono certo che stavi leggendo Le pagine della nostra vita. - annuii meravigliata da quella sua affermazione sicura. - ti è sempre piaciuto quel libro, è il tuo preferito, e come al solito ti piace leggerne alcuni punti dopo pranzo quando sei in casa da sola, cosa che non capita raramente. E anche quando hai qualche dubbio o incertezza o sei triste. Sono sicuro che tua madre non è in casa, poiché non vedo la sua macchina, e so che sei triste, perché ho incontrato Federico. All’inizio mi voleva ammazzare per quello che è accaduto tanto tempo fa, ma poi mi ha detto quello che è successo tra di voi. - lo guardai qualche istante, ripensando a ciò che mi aveva detto. Wow, mi conosceva veramente bene. Anche se non lo volevo più vedere da quando mi aveva baciato senza che io lo volessi, mi era mancato. Gli volevo comunque molto bene, non volevo che in quel momento se ne andasse.
- vieni su. - gli dissi. Mi sorrise e si avvicinò alla porta di casa. Intanto io scesi le scale e aprii la porta. Non ci pensai due volte e lo abbracciai. Lui fortunatamente non mi strinse forte come faceva un tempo, ma delicatamente.
- come stai? - mi chiese quando sciogliemmo l’abbraccio.
- bene, più o meno. - dissi, mentre ci incamminavamo verso il salotto. Quando ci sedemmo, abbassò lo sguardo e si dondolò un po’ avanti e indietro.
- ho saputo che tu…qualche mese fa…cioè… - capii cosa voleva dirmi.
- sono entrata in coma. - completai la frase per lui. Valerio alzò il volto e mi guardò.
- perché non me lo hai detto? -
- emmm… mi spieghi come te lo dicevo? - chiesi alzando un sopracciglio.
- intendevo quando ti sei svegliata. -
- non pensavo che ti importasse. - ammisi.
- mi è sempre importato di te, lo sai. -
- beh, non proprio sempre. - lo corressi.
- hai ragione, ho sbagliato a comportarmi in quel modo. Avrei dovuto ascoltarti. Perdonami. Mi sento proprio uno schifo. - gli sorrisi. Poi poggiai una mano sulla sua.
- guarda che non fai schifo, e poi sono passata oltre. - ed era vero. Non aveva senso continuare a pensare a ciò che era successo. Anche se quando ci eravamo rincontrati lui mi aveva fatto soffrire, dopo era successo il contrario. Io avevo fatto soffrire lui cacciandolo in malo modo. All’inizio non mi preoccupai molto del mio comportamento, solo dopo mi resi conto dei miei errori. Ma la paura di affrontarlo era troppo grande. Per fortuna Valerio non era mai stato un tipo orgoglioso.
- davvero? - chiese perplesso. Annuii. - ne sono così felice. - lo abbracciai.
Era bello ritrovare un amico.
- dai, parlami un po’ di quello che è successo tra te e Federico. - mi chiese dopo poco. - ovviamente se per te non è un problema. - scossi la testa.
- no, tranquillo. Anzi, mi fa bene parlarne con qualcuno. - gli raccontai tutto ciò che era successo da quando avevo partecipato al concorso scolastico e lui mi aveva preso e portato a casa. Gli dissi che io e Federico ci eravamo messi insieme, ma poi lui aveva baciato Sara. E infine gli raccontai ciò avevo passato quando io e lui stavamo insieme. Quando ebbi finito, stringeva le mani a pugno, le nocchie erano bianche.
- non ci credo, tutto questo è successo davanti ai miei occhi e non me ne sono accorto. Faccio assolutamente schifo… - mormorò, per poi prendersi la testa tra le mani. Gli posai una mano sulla spalla.
- non è vero, non fai schifo. - e lo pensavo veramente.
- io ti ho fatto soffrire ancora di più insultandoti così, a gratis. E smettila di dire che non faccio schifo, perché è così. Mi sento terribilmente in colpa. - gli feci alzare il volto e lo guardai negli occhi.
- Valerio, smettila, okay? Non ti devi sentire in colpa. Ormai è passato, e anche se mi fa molto male pensarci, non si può cambiare. È successo, bisogna solo accettarlo, anche se è difficile. -
- come fai a non sentirti male? - chiese.
- non è che non mi sento male, anzi. Sto male ogni singolo giorno. Ma ho imparato, più o meno, a convivere con la sofferenza. Anche se a volte è veramente insopportabile e scoppio in lacrime. Anche se a volte preferirei non essere nata, pur di non soffrire così tanto. Se non ci riuscissi verrei corrosa dal dolore. E penso di aver già sofferto troppo. - mi sorrise.
- sei sempre stata una ragazza forte, ed ora lo sei più di prima. - gli sorrisi anche io.
- beh, come si suol dire: ciò che non ti uccide, ti fortifica. -
- già, hai proprio ragione. -
Rimanemmo per un po’ in silenzio.
Fu lui il primo ad interromperlo.
- sai, quando ho visto Federico, ho notato che era completamente distrutto. Dovresti perdonarlo. Non commettere lo stupido errore di credere solo in quello che hai visto. - disse, poi abbassò lo sguardo. - non commettere il mio stesso errore. - lo sentii borbottare.
- non lo farò. Ma non credo sia il momento di perdonarlo. No, non ancora. - ammisi.
- ricordati che il tempo passa senza chiedere scusa. - alzai un sopracciglio.
- da quando fai citazioni? - scrollò le spalle.
- non lo so. Forse da sempre. Ora scusami, ma devo andare. Sono felice di aver chiarito con te. - ci alzammo e lo abbracciai.
- anche io ne sono felice. Mi eri mancato. -
- anche tu. -
Lo accompagnai alla porta rimasi lì fino a quando non fu più visibile. Poi tornai in camera mia e mi allungai sul letto, mettendo a posto Le pagine della nostra vita. Era stata una bella giornata. Ero felice di aver chiarito con Valerio.
Il tempo passa senza chiedere scusa.Quella frase rimbombava nella mia mente.
Avrei dovuto perdonare Federico?
Si.
Avrei dovuto aspettare ancora?
No.
Semplice.
Il giorno dopo, forse, sarei rinata. Perché era quello l’effetto che Federico aveva su di me.
Mi faceva rinascere ogni giorno come la prima volta.
Perché lui era la mia vita.

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Capitolo 34
*** I love you ***


33 I love you
 
Il giorno dopo mi alzai particolarmente felice.
Dopo essermi cambiata, scesi in cucina. C'era, come al solito, mia madre intenta a preparare il caffè.
- ciao mamma. -
- hei, tesoro, come stai? - chiese girandosi. Le sorrisi.
- meglio. -
- hai chiarito con Federico? - scossi la testa.
- no, ma ho chiarito con Valerio. E forse oggi chiarirò con Federico. - mia madre mi sorrise.
- bene, sono molto contenta. -
Feci, stranamente colazione, senza che mia madre dovesse obbligarmi. Poi salii in camera e preparai lo zaino. Tirando fuori un quaderno ne uscì un foglietto piegato a metà. Lo presi curiosa di sapere cosa era e lo aprii.
Hei Milla! Se stai leggendo questo biglietto, sappi che noi siamo in palestra. Se ti interessa, il tuo zaino l’ho preso io :D
Questo biglietto top secret si autodistruggerà tra 5 secondi. Fai il conto alla rovescia
ad alta voce!;)
 Federico
Ripensai a quella giornata abbastanza lontana. Era stata veramente intensa, Giulia aveva provato a buttarsi dal tetto della scuola. Mi vennero i brividi nel pensare che, se non fossi arrivata in tempo, si sarebbe buttata. Poi ripensai a Federico e quando, con quel bigliettino, mi aveva spaventata, finendo per me il conto alla rovescia. Scoppiai a ridere, ricordando che avevamo fatto finta di conoscerci solo in quel momento, come se fosse stato il mio primo giorno di scuola.
 
- sono sicuro che ti troverai benissimo! -
- a si? - annuì con molta enfasi.
- ovvio, ci sono io! - scoppiammo a ridere.
 
E aveva ragione. Grazie a Francesca e Simone mi ero trovata bene in classe, ma il merito era quasi tutto suo.
Ed ora stavo mandando tutto all’aria solo perché non volevo ascoltarlo. Non commettere lo stupido errore di credere solo in quello che hai visto. Valerio aveva ragione. Dovevo parlare con Federico.
Ripiegai il bigliettino e lo posai sulla mia bacheca. Poi finii di preparare lo zaino e scesi giù, in salone.
Aspettai mia madre, poi insieme andammo a scuola.
Prima di scendere dalla macchina, mi fermai un attimo.
- sai mamma, credo che ricomincerò a prendere l'autobus anche per andare a scuola. Non ha senso prenderlo solo il pomeriggio. - mi sorrise.
- sono felicissima di questa tua scelta. Ma oggi ti vengo a prendere o no? - scossi la testa.
- non ce ne è bisogno. So già l'autobus che dovrò prendere. -
- okay. Allora ci vediamo a casa. - le diedi un bacio sulla guancia e scesi dalla macchina.
Vidi subito in lontananza Federico con in mano una sigaretta. 'Simone mi aveva detto che aveva smesso...' Si, Simone mi aveva detto quello che era successo tra di loro.
Mi disse che, dicendogli una cosa, gli aveva fatto cambiare idea riguardo al fumo. Non sapevo cosa gli avesse detto, dato che era una cosa personale, ma l'importante per me era che avesse smesso. Perchè aveva ricominciato? Era tutta colpa mia? Mi avvicinai a lui velocemente, sperando che non mi vedesse.
- da quando fumi? - chiesi quando gli fui abbastanza vicino. Sobbalzò spaventato. Poi buttò la sigaretta a terra e la schiacciò con la punta del piede. Mi guardò.
- non credo ti interessi. - rispose freddo. Cosa gli era successo? Aggrottai la fronte.
- cosa è successo Federico?  -
- lascia stare, non sono cose che ti riguardano. - si stava allontanando, allora lo presi per un braccio. Fece una smorfia di dolore, che cercò di nascondermi girando il volto.
- cosa ti è successo qui? - chiesi veramente preoccupata. Non mi rispose, ma non si mosse nemmeno. Così, delicatamente, gli tirai su la manica. Rimasi impietrita nel vedere un taglio che partiva dal polso e arrivava fino al gomito. In più c'erano parecchi lividi lungo l'avambraccio. Rabbrividì, quando percorsi delicatamente la lunghezza del taglio. - c-chi è stato? - chiesi timorosa. Federico riposò il suo sguardo su di me.
- non importa, tranquilla. -
- a me importa, diamine! - esclamai. - e non sto tranquilla, considerando quanto è profondo questo taglio. Ti prego, dimmi chi è stato. - lo implorai. Lui distolse nuovamente lo sguardo.
- mio padre, se così lo posso chiamare. - mormorò. Sbarrai gli occhi.
- t-tuo padre? -
- si, lui. Quando dovevo nascere è scappato con una ragazza piu giovane, abbandonando mia madre. Io e Giacomo non lo vediamo quasi mai, forse una volta all’anno, fortunatamente. Ieri è venuto a casa. C'eravamo solo io e mia madre. Era come al solito ubriaco, e stava per colpire mia madre con un coltello. Probabilmente voleva ucciderla. Allora mi sono messo in mezzo e mi ha procurato questo taglio. Mio padre mi ha sempre odiato, come io odio lui, quindi non gliene è importato nulla del taglio e ha iniziato a prendermi a calci e a pugni. Ha smesso solo quando è tornato Giacomo che, essendo più grosso di lui, gli ha messo paura. - strinse i pugni, fino a far diventare le nocchie bianche. - io quell'essere non lo voglio più vedere! Lo sa che lo odio e lui odia noi, perchè continua a tornare?! - vidi una lacrima rigargli il volto.
Ero paralizzata. Non pensavo che avesse una situazione del genere a casa, non me ne aveva mai parlato. Era arrabbiato, ma soprattutto triste. Arrabbiato perchè quell'uomo aveva provato ad uccidere la madre. Triste perchè non aveva mai avuto la figura patera come punto di riferimento. Non sapevo cosa dirgli. Così gli feci girare il volto. Mi misi in punta di piedi e gli asciugai le lacrime che ormai scendevano a piede libero, poi gli diedi un leggero bacio sulle labbra. All'inizio rimase sorpreso, poi però mi prese per la vita e mi avvicinò a se delicatamente, approfondendo il bacio.
Mi era mancato.
Mi era mancato tantissimo.
Misi e mie braccia sulle sue spalle, felice di averlo finalmente ritrovato.
Quando ci allontanammo sorridemmo.
- mi sei mancata. Dio, se mi sei mancata. Non ce la facevo più a stare senza di te. - disse, facendo combaciare le nostre fronti.
- nemmeno io. Pensavo di aver bisogno di più tempo per mandare giù ciò che era successo, ma in realtà avevo solo bisogno di te. - mi prese il volto tra le mani.
- ti amo. - sorrisi, pensando che non me lo aveva mai detto, almeno non direttamente.
- ti amo anche io. - si avvicinò e mi baciò.





HEI!! :D
finalmente si sono rimessi insieme!
non ce la facevo più a vederli separati, sinceramente mi ero rotta u.u
che ne pensate di questo capitolo? e di Federico? poveretto...
che ne dite, lo scrivo un missing moment di quando il padre gli ha procurato quel taglio? vorrei avere il vostro parere, perchè se non vi piace come idea, non lo scrivo c:
beh, ringrazio tutti quanti coloro che hanno recensito, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e i lettori silenziosi ♥
grazie, grazie, grazie mille, siete tantissimi *-*
alla prossima!
un bacio
Giulia xxx

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Capitolo 35
*** You are my happiness ***


34 You are my happiness
 
- che ne pensi di venire a casa mia? - chiesi a Federico, quando uscimmo da scuola.
- non lo so, non vorrei disturbare. - disse, prendendomi la mano.
- non disturbi. - lo rassicurai. Senza nemmeno accorgersene lo stavo trascinando verso la fermata dell’autobus che dovevo prendere io.
- va bene. - gli sorrisi. Poi mi avvicinai a lui e lo baciai. Lui prese come al solito il mio zaino, poi passò la sua mano intorno alle mie spalle, avvicinandomi a se. Fortunatamente lì non avevo ferite.
Dopo poco arrivò l’autobus, e velocemente tornammo a casa. Aprii la porta e notai che era chiusa a chiave.
- non c’è mia madre. - dissi posando le chiavi sul tavolinetto all’ingresso. Presi Federico per mano e lo portai in camera mia. Gli feci posare gli zaini e poi riscendemmo giù, in cucina. Presi una pentola e iniziai a riempirla d’acqua.
- la pasta ti va bene? - domandai. Federico annuì, mentre prendeva i piatti dal cassetto. Era venuto a casa mia così tante volte che sapeva perfettamente dove si trovasse ogni cosa. Quando la pentola fu piena, la misi sul fornello, accendendo il gas.
Aprii il frigo, con l’intenzione di prendere del sugo, ma notai che non c’era.
- non c’è il sugo. - dissi a Federico. - a me in bianco non piace. Lo andiamo a comprare? - chiesi.
- vado io, tu rimani qua, così controlli l’acqua. -
- mmm… va bene. Vado a prendere i soldi. - stavo per andare, ma mi prese delicatamente per la vita, avvicinandomi a se.
- dove credi di andare? Pago io, altrimenti non sarei un gentiluomo. - mormorò al mio orecchio, per poi darmi dei baci lungo il collo. Rabbrividii.
- e se volessi fare la gentildonna? - riuscii a mormorare.
- non te lo permetterei. - mi fece girare e mi diede un bacio a fior di labbra. - vado. -
- aspetta! - lo fermai. - prendi le chiavi. - dissi porgendogliele. - credo che andrò a farmi una doccia. - lui annuì prendendole. Mi diede un altro bacio e uscì.
Andai al bagno e mi feci una doccia calda. Ero così felice che non sentivo nemmeno il dolore che l’acqua mi procurava quando entrava a contatto con la mia pelle. Forse, solo forse, veramente nulla sarebbe andato storto. Ma con la fortuna che mi ritrovavo, quando le cose andavano per il verso giusto, succedeva qualcosa di spiacevole.
Ed era quello che sarebbe successo anche quel giorno.
Uscii dalla doccia sorridendo, poi mi cambiai molto velocemente.
Una volta fuori dal bagno, suonarono alla porta.
- Federico, ma secondo te, perché ti ho dato le chiavi? - esclamai mentre aprivo la porta. Ma sulla uscio non c'era Federico. Tentai di chiudere Matteo fuori, ma era più forte di me e riuscì ad entrare.
- andiamo Camilla, perché mi tratti così? -
- cosa vuoi Matteo? - chiesi acida, allontanandomi da lui.
- mmm...fammici pensare. - si accarezzò il mento con fare pensoso. - ci sono! - mi fissò intensamente. - te. - sbarrai gli occhi. In pochi secondi me lo ritrovai vicinissimo. Mi prese per i fianchi i mi avvicinò ancora di più a se poggiandomi delicatamente al muro del salone. - te l'ho detto uno dei primi giorni di scuola che sei bellissima. E ieri che se voglio una cosa la ottengo, sempre. - iniziò ad accarezzarmi tutto­ il corpo, mentre io tremavo. Provai a staccarmi, ma mi tirò uno schiaffo in pieno viso.
- eppure credevo che mio padre fosse stato chiaro!. - ringhiò. Sgranai gli occhi. Capii finalmente dove avevo già visto quegli occhi e quel sorriso...
- tu! Tu sei il figlio di... -
- già. E sai qual è il detto, no? Tale padre tale figlio. Non provare più a ribellarti. Basta che ti appoggio un po' meno delicatamente al muro e la tua vita finisce qua. Sono stato abbastanza chiaro? - annuii spaventata. Iniziò a baciarmi. Provai solo disgusto nel sentire le sue labbra premere sulle mie. Prese subito i lembi della mia maglietta e me la sfilò velocemente lanciandola da qualche parte. Si staccò un attimo da me per guardare la mia pancia.
- mio padre a fatto un ottimo lavoro. - constatò, passando l'indice sulla ferita. Tremai a quel contatto. Riprese a baciarmi con più foga di prima, ma si staccò nuovamente poco dopo.
- così non c'è gusto. Non posso mica fare tutto io! - mi indicò la sua camicia. - la vedi questa? La devi togliere, altrimenti per te non finisce bene. - ricominciò a baciarmi, mentre io con riluttanza slacciavo i suoi bottoni. Gli tolsi la camicia e lui premette il suo corpo contro mio.
- se invece di rimanere ferma collaborassi! - esclamò, rimanendo però incollato alle mie labbra. Certo, e ora dovevo pure ricambiare il bacio. Seguii però ciò che mi stava ordinando di fare per evitare di farlo arrabbiare.
Poi staccò le sue labbra dalle mie e iniziò a scendere. Baciò ogni angolo libero del mio collo, fino ad arrivare alla spalla. Scese più giù, ma non volevo che continuasse. Chiedendo mentalmente scusa a Federico, presi il suo volto tra le mani e lo baciai. Inizialmente rimase sorpreso, ma poi si lasciò andare e continuò a baciarmi.
- sapevo che prima o poi ti saresti lasciata andare. Sono troppo bello perché qualcuna possa resistermi. - mormorò sempre premendo sulle mie labbra. ‘provo solo ribrezzo nei tuoi confronti!’ avrei voluto dirgli, ma non era il caso.
Mi slacciò i pantaloni, i quali scivolarono sul pavimento molto velocemente.
Mi prese una gamba alla volta e le allacciò al suo busto, mentre continuava a premere contro il mio gracile corpo. Faceva male, soprattutto il contatto con il muro, ma dovevo sopportarlo, o per me sarebbe finita veramente male... ‘ti prego Federico, fai presto.’
 
FEDERICO
Stavo tornando a casa di Camilla, ma ciò che vidi vicino al suo viale non mi piacque affatto. 'No, no, no! Non Matteo!' c'era la sua moto parcheggiata.
Corsi per il vialetto cercando di non inciampare nei nani da giardino, e aprii velocemente la porta di casa. Per fortuna Camilla mi aveva dato le chiavi!
La scena che mi ritrovai davanti mi fece ribollire il sangue nelle vene. Camilla, appoggiata al muro, solo in biancheria. Matteo, a petto nudo, la stava baciando. Lei aveva le gambe allacciate al busto di quel lurido bastardo. Ma la cosa che mi fece più male fu vedere che Camilla stava ricambiando quei baci. Non ci credevo. Non ci volevo credere. Eravamo finalmente tornati insieme! Ma appena mi vide, mi implorò con lo sguardo di aiutarla. Capii al volo come erano andate le cose. Poggiai a terra la busta e mi avvicinai a loro.
- come osi baciare la mia ragazza?! Toglile immediatamente le tue luride mani di dosso, se non vuoi che finisca male! - ringhiai contro Matteo. Sembrò accorgersi di me solo in quel momento, ma non diede peso alle mie parole. Continuò a baciare Camilla. Mi avvicinai ancora di più e lo scaraventai a terra.
- ma sei sordo?! Non devi provare nemmeno a toccarla, ci siamo capiti?! - gli sferrai un paio di pugni e alcuni calci. Non doveva nemmeno avvicinarsi a lei quel lurido bastardo. Riuscì in qualche modo ad alzarsi e ne approfittai per sbatterlo al muro tenendolo per il collo.
- hai capito quello che ti ho detto?! Devi lasciarla in pace! -
- okay, okay. La lascio in pace. Ma te lascia me! - 'codardo.' lo lasciai andare, ma prima che potesse prendere la sua camicia gli diedi un pugno in pieno viso. Barcollò un attimo, poi gli lanciai la camicia addosso con disprezzo e lo buttai fuori casa.
Camilla fissava il vuoto impaurita. Mi avvicinai a lei e l'abbracciai. Iniziò a piangere.
- ssh, è tutto finito. - le sussurrai, accarezzandole i capelli.
- grazie. - mormorò.
- niente. - si staccò da me e mi diede un leggero bacio a fior di labbra.
Per la prima volta vidi tutte le sue ferite. Diamine, erano veramente tante! Stava riprendendo i vestiti ma la fermai.
- aspetta! - mi guardò con aria interrogativa piegando di lato la testa. Così era ancora più bella. - v-voglio solo guardarti. - dissi un po' imbarazzato. Arrossì, poi però scosse la testa.
- no, per favore. Faccio schifo. - stava per mettersi la maglietta, ma mi avvicinai a lei e la fermai.
- non fai schifo, okay? Sei bellissima. - abbassò lo sguardo, scuotendo nuovamente la testa.
- no, non lo sono. - mormorò. Le alzai il volto.
- credimi, lo sei. E io ti amo con tutte queste ferite. - mi abbassai e la baciai dolcemente. - ora posso guardarti? - annuì, quasi impercettibilmente. Mi allontanai e mi sedetti sul divano. - vieni qui. - le dissi, facendole cenno di mettersi in braccio a me. Fece come le avevo detto. Era un po' imbarazzante, considerando che era solo in biancheria, ma alla fine non mi importava più di tanto.
Teneva lo sguardo abbassato, e i capelli le ricadevano sulle spalle, coprendole in parte il volto.
Le guardai le gambe magrissime. Le cosce erano quasi completamente viola, nere, verdi e gialle. Rabbrividì, quando le sfiorai il centro del livido. Guardai le braccia, che erano nella stessa situazione delle gambe.
La schiena era completamente lacerata. Non solo c'erano lividi, ma anche tagli e ferite molto profonde. Nei punti in cui era già guarita, più o meno, c'erano delle cicatrici.
La feci girare, in modo da poter vedere meglio la pancia. Le si vedevano le costole per quanto era magra e aveva un livido enorme. Era verdognolo all'esterno e si scuriva man mano che si andava verso l'interno, fino a diventare nero.
Le feci alzare il volto e la guardai negli occhi.
- non mi importa che tu abbia tutte queste ferite, io ti amo comunque. Ti amo più della mia stessa vita. E non voglio più litigare con te. Non voglio più doverti stare lontano. Non voglio più vederti soffrire. Voglio solo stare con te, qualsiasi cosa questo comporti. Non posso stringerti forte perché potrei farti male? Non lo farò, aspetterò che tu guarisca. Non puoi fare alcune cose, tipo affaticarti troppo? Sarò sempre qui, pronto a sostenerti. Te lo prometto, perché voglio solo la tua felicità. - mi sorrise.
- sai, quando ho cambiato scuola speravo in un po' di felicità. Ho aspettato, ho aspettato a lungo. E alla fine questa felicità è arrivata. Sei tu la mia felicità. -
 

FINE







HEI!! (si, rompo anche se è finita u.u)
vi prego, ce l'avete un fazzoletto? mi sto commuovendo. cioè, è finita.... non ci credo
adesso che faccio? ho un'altra storia in corso, ma mi ero affezionata a questa! :(
che ne dite, lo faccio il seguito? fatemi sapere!
allora, avevo già avvertito qualcuno che in questo capitolo avrebbe odiato ancora di più Matteo.
sono stata di parola, vero? :P
qualcuno lo aveva capito che era lui il figlio del bastardo?
avevo lasciato degli indizzi :D
almeno una volta Camilla si era chiesta dove aveva visto quel sorriso e quegli occhi
una volta ho descirtto il bastardo, quando è uscito da prigione, e ogni tanto ho descritto Matteo. più o meno le descrizioni combaciavano
poi avevo scritto che Matteo aveva una sorellina, e che lui fa il quinto
nel capitolo in cui ci sono tutti i ricordi, ho scritto che il bastardo aveva due figli, di cui uno aveva quasi 19 anni, quindi faceva il quinto
poi, il ragazzo che si trovava fuori scuola era lui, che doveva andare a parlare con il padre, appena evaso da prigione (a proposito, lui è ancora libero...)
non credo di aver lasciato altri indizzi c:
coooomunque volevo ringraziare tutti quanti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite (addirittura!!) e ricordate. i lettori silenziosi e i recensori c: siete tutti meravigliosi, cosa farò ora senza di voi? *dalla disperazione si strappa i capelli*
sappiate che vi adoro tutti, dal primo all'ultimo, perchè è solo grazie a voi se questa storia è arrivata al capitolo 34 c:
ancora non ci credo....
vabbè, basta con questo angolo autrice, altrimenti diventa più lungo del capitolo ;)
ancora grazie e alla prossima storia c:
un bacio
Giulia xxx




SE C'E' QUALCUNO CHE ANCORA LEGGE QUESTO CAPITOLO, VOLEVO AVVISARE CHE HO INIZIATO IL CONTINUO, SI CHIAMA "YOU ARE MY HAPPINESS"

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