I miserabili (o meglio: come Hermione Granger e Draco Malfoy scoprirono che al peggio non c'è mai fine).

di Slyth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Dimostrazione pratica di come al peggio non ci sia mai fine. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I- ''Per me ha le sue cose! ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo II- Ci sono cose che non si possono comprare... ed altre che si possono ottenere con il ricatto. ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo III - Ragazzo disagiato ***
Capitolo 5: *** 5. Capitolo IV - Fleet Street ed Inganni ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Sorprese Inaspettate ***
Capitolo 7: *** 7. Capitolo VI - La Parte Migliore ***



Capitolo 1
*** Prologo - Dimostrazione pratica di come al peggio non ci sia mai fine. ***


Saaaaalve!

Vi prego, non chidetemi perché io mi stia avventurando in questa fanfiction perché, credetemi, non ne ho idea.  Tra tre mesi ho gli esami di maturità, ho un sacco di studio arretrato, e cosa faccio? Mi metto a scrivere una Dramione, mi sembra logico.
Va be', farò finta che sia la cosa giusta da fare e reprimerò tutti i sensi di colpa del tipo 'mio dio, dovrei essere a studiare greco', o 'non hai ancora cominciato la tesi? Vergogna!''.

Buona lettura,
Lucia.

 




                                                                                                                         

                                                                                                                       Prologo

 


                                                                                                                 

Ci sono un sacco di cose nella vita che non vanno esattamente come vorresti. A partire dai tuoi capelli, che la mattina somigliano terribilmente ad un nido di uccelli rapaci, passando per quel buco nelle calze che decide di allargarsi vertiginosamente proprio quando non hai dei collant di ricambio e sei in un ritardo mostruoso, e, per finire in bellezza, quella pozzanghera chilometrica di cui tu ovviamente non ti accorgerai ed in cui andrai bellamente ad inzuppare i piedi, rovinandoti i tuoi nuovi -e costosissimi, se sei particolarmente fortunata- stivaletti di camoscio.
Di questo, Hermione Granger era perfettamente consapevole. Se una giornata comincia nel peggiore dei modi, puoi star certo che si concluderà in maniera ancora più disastrosa delle tue più funeree aspettative.
Prepararsi al peggio non basta, bisogna rassegnarsi al peggio, che è molto più semplice, e di certo molto meno faticoso.
Tuttavia, quello che stava attendendo la Grifondoro aldilà della porta della Sala Grande quella mattina, oltrepassava di buon grado il concetto di 'peggio' e rasentava pericolosamente quello di 'cataclisma'.
Cercando d rassettare frettolosamente i crespi capelli castani raccolti in una coda con una mano, e tentando di coprire con la gonna della divisa il buco abnorme sulle sue calze con l'altra, Hermione trotterellò verso la Sala Grande, pregando Merlino, Morgana, Godric e persino Salazar, che per una volta la giornata non le rivelasse altri spiacevoli inconvenienti.
Dai loro ritratti appesi a chissà quali pareti, Merlino, Morgana, Godric e Salazar ghignarono.
Spiacenti, Hermione, richiesta negata.


***

 

Per favore, Ronald, puoi scrivere a tuo padre e dirgli che sarò lieta di illustrargli ‘l’esatto utilizzo di una paperella di gomma e di un trattore’  quando ci vedremo per Natale?” sbottò Hermione, contrariata, servendosi del porridge “è la quinta lettera che mi invia questa settimana, il vostro gufo sta impazzendo!”

Ron Weasley annuì con foga, masticando con una certa fatica un consistente boccone di uova e bacon. Deglutì, bevve un sorso di succo di zucca e finalmente fu in grado di parlare.

“Scusalo, Herm. E’ che da quando Tu-sai-chi è stato sconfitto e i Mangiamorte sono finiti ad Azkaban, si sente…beh, più libero di studiare i babbani come gli pare e piace, immagino”. Scrollò le spalle e scosse il testone rosso. “Sai com’è fatto”.

Suo malgrado, Hermione annuì condiscendente, facendo spazio sulla panca ad Harry e Ginny, che erano appena entrati per mano in Sala Grande e si stavano dirigendo verso il tavolo dei Grifondoro. 
La ragazza sorrise, osservandoli mentre si avvicinavano.
La guerra non era stata misericordiosa con nessuno, era vero. Piton, Fred, Lupin, Tonks, Malocchio, e molti altri avevano pagato con la vita il loro coraggio, e avevano lasciato un vuoto così tremendamente grande che spesso Hermione temeva che avrebbe potuto sprofondarci dentro per non riemergerne mai più. Tuttavia, dopo la dipartita di Voldemort, ognuno aveva cercato di rimettersi in piedi come poteva, riuscendoci nonostante il dolore.
Lei e Ron avevano capito di non essere fatti per stare insieme ancora prima di fare anche solo un tentativo, ed avevano deciso di non rovinare quello che era stato –ed era- un lungo e duraturo rapporto di amicizia. Ginny ed Harry avevano avuto più fortuna: si amavano, e non avevano più trovato, di fronte alla loro storia, ostacolo che tenesse. 
Alcuni Mangiamorte erano stati mandati a marcire nella prigione di Azkaban, molti altri erano stati giustiziati seduta stante. Solo un’eccezione costituiva la crepa che andava ad intaccare quel perfetto quadro di pace ristabilita: la famiglia Malfoy. Inspiegabilmente –ma Hermione avrebbe potuto giurare che un bel po’ di galeoni e faccia tosta avessero fatto la loro parte- i Malfoy ne erano usciti indenni –o quasi-. I coniugi Lucius e Narcissa se l’erano cavata con un anno di prigionia (che avevano già scontato) e la promessa di una condotta impeccabile; Draco, invece, aveva avuto il permesso di tornare a frequentare l’ultimo anno ad Hogwarts normalmente, a patto, ovviamente, che non avesse creato problemi di alcun genere. E stranamente fino ad allora, con sommo sconcerto di tutti, non ne aveva creati.

“Buongiorno Herm!”. Harry le circondò le spalle con un braccio e le schioccò un sonoro bacio sulla guancia, seguito a ruota da Ginny. “Buongiorno ragazzi” ricambiò Hermione, mentre Harry si accomodava alla sua destra e Ginny gli si sedeva accanto.

“Buongiorno Ron!”. Il ragazzo sopravvissuto battè una pacca sulla spalla del suo migliore amico che, per tutta risposta, grugnì e accennò un saluto col capo ai nuovi arrivati.

“Santo cielo, Ronald, la vuoi smettere di ingozzarti come un maiale?”. La minore dei Weasley storse il naso in direzione del fratello. “Hermione cara” si rivolse poi all’amica “hai un buco enorme nelle calze e i tuoi capelli necessitano urgentemente di una passata di piastra…” fissò attentamente il groviglio di capelli castani della ragazza. “Ripensandoci, meglio un ferro da stiro”, concluse, soddisfatta.

Hermione sbuffò sonoramente, richiamando l’attenzione di Neville, che sedeva poco più in là sfogliando un volume di erbologia.

“Grazie mille, Gin, sul serio” alzò gli occhi al cielo. 

Harry soffocò una risata dietro alla sua tazza di caffè, camuffandola in un colpo di tosse piuttosto malriuscito. 

“Ricordami di regalarti un set per la cura dei capelli per Natale!” rincarò la dose Ginny, infilzando svogliatamente un muffin al cioccolato con la forchetta.

“E tu ricordami di ricambiare il dono con un po’ di simpatia liquida” rispose l’altra, mostrandole scherzosamente la lingua.

Risero entrambe, abituate com’erano a scambiarsi battute del genere.

“Ragazzi, la McGranitt si sta alzando dal tavolo degli insegnanti” fece notare Ron con una certa sagacia, indicando la nuova Preside di Hogwarts con un cucchiaino stracolmo di budino al cioccolato. Un po’ del budino colò sul tavolo, con profondo disgusto della sorella, che si tirò più indietro a sedere sulla panca.

“E quindi?” chiese Harry.

“E quindi niente, magari vuole fare un annuncio” 

“Dio, fa che il professor Lumacorno abbia mangiato le pasticche vomitose che ho tentato di rifilargli l’altro giorno spacciandole per caramelle mou!” gemette speranzosa Ginny, pregustando la scena del professore di Pozioni chino sulla tazza del cesso e di lei china sulla bocca di Harry durante l’ora buca. 

“Ginny!” esclamò scandalizzata Hermione, mentre Ronald osservava la sorella con crescente ammirazione ed Harry fingeva magistralmente di non sapere nulla di quella losca faccenda.

“Che c’è?” sbottò l’altra, come se niente fosse “se l’è cercata. Quel ‘troll’ non lo meritavo proprio, proprio no!”.

“Ma che co…” fece per ribattere Hermione, ma venne interrotta dalla voce della Preside che, effettivamente, pareva proprio in procinto di annunciare qualcosa alla scuola.

“Buongiorno a tutti voi, studenti e studentesse di Hogwarts” cominciò, schiarendosi la voce. “Mi auguro che la colazione sia stata di vostro gradimento”.

Un mormorio di approvazione più o meno concitato si sollevò dalle tavolate di Grifondoro, Tassorosso e Corvonero. Serpeverde si limitò a qualche assenso silenzioso col capo. Malfoy teneva la testa china e gli occhi fissi sul suo piatto.

“Bene” continuò la Preside “desidererei fare un annuncio. Mi trovo –ehm- leggermente in difficoltà, essendo la faccenda piuttosto delicata”.

Svariate paia di occhi curiosi la fissavano. La McGranitt prese un profondo respiro e continuò. “Come sapete, dopo la …la guerra, la situazione del nostro mondo è cambiata radicalmente. La pace è stata ristabilita, e a caro prezzo, ma purtroppo non ci sono buone nuove”. Sospirò sconsolata, prima di continuare. “Il Ministero non approva le… le misure che la nostra scuola ha adottato nei confronti di…di alcuni alunni. Beh, veramente” si corresse, per fornire maggior chiarezza “il Ministero non approva che la Casa di Serpeverde sia ancora una Casa di Hogwarts, dati i… i precedenti”.


Il silenzio nella Sala Grande era totale, quasi innaturale. Perfino i Serpeverde, troppo sconvolti per proferire alcunché, si limitavano a starsene seduti con gli occhi sgranati gli sguardi terrorizzati. Draco Malfoy strinse di più la mano pallida ed ossuta attorno al bicchiere, serrando la mascella.
Al tavolo dei Grifondoro, Harry, Ron, Ginny ed Hermione sembravano davvero più sconvolti che felici, o soddisfatti. Non appena la consapevolezza di ciò che la Preside aveva annunciato pervase ciascuno dei presenti, qualche frase sommessa cominciò a rompere il silenzio.

“Beh, in fondo non ha tutti i torti, il Ministero” mormorò un Grifondoro del secondo anno di nome Hugo. 

“Non essere sciocco” lo fulminò Hermione con un’occhiata. 

“Taci, Cromwell” la spalleggiò Harry.

Nonostante Hermione non provasse affatto simpatia per i Serpeverde, trovava che il Ministero stesse decisamente oltrepassando il limite con le sue sciocche precauzioni. Serpeverde era una Casa di Hogwarts da secoli, e Voldemort era andato, morto, sparito!

“Tuttavia” continuò d’improvviso la McGranitt “sono riuscita a trovare un compromesso affinché le cose rimangano esattamente come sono”.
Fece una pausa, poi si sforzò di continuare. “Il Ministero vuole una prova che Serpeverde sia in grado di socializzare con le altre Case senza arrecare nessun…danno”.


“Non lo stiamo già dimostrando abbastanza?” urlò d’improvviso una Serpeverde del quarto anno, scattando in piedi. Qualcuno alla sua tavolata annuì.

“Siediti, Spencer” ordinò la Professoressa McGranitt, seppur senza astio.
 

La ragazza si sedette di nuovo, controllando a stento il tremito delle mani.

“…Ho proposto al Primo Ministro che un membro della Casa di Serpeverde ed un membro della Casa di Grifondoro stringano un …una sorta di amicizia. Devono dimostrare di saper convivere insieme per tutte le vacanze Natalizie ed estive e, alla fine di questo periodo, di saper continuare la loro amicizia anche se non costretti”.

“Sta scherzando” balbettò Ron, fissando Hermione come se potesse avere la risposta anche per quella domanda. “Sta scherzando, vero Herm?”.

“Taci, ti prego, Ron” sibilò quest’ultima, che d’improvviso aveva perso tutta la voglia di difendere a spada tratta la Casa antagonista. Aveva un brutto presentimento. Affondò le unghie nella carne della gamba, proprio all’altezza del buco nella calza.Gettando un’occhiata di sfuggita dall’altra parte della stanza, potè constatare –e questo non fece altro che confermare la sua sensazione- che anche un certo Serpeverde biondo e pallido –più del solito- aveva assunto un’aria piuttosto nervosa.

“Dopo avere a lungo riflettuto” terminò l’anziana Preside “non ho trovato due persone che potessero essere adatte a questo –ehm- incarico più …”

Ti prego, no… pensò sconfortata Hermione Granger.
Per le chiappe dell’Oscuro Signore, ti prego, no… pensò un po’ meno sconfortato e un po’ più terrorizzato Draco Malfoy. 

“…del signor Draco Malfoy e della signorina Hermione Granger”.

“CHE COSA?” urlò Ron.

“PROFESSORESSA MCGRANITT!” esclamò Harry, con espressione ferita.

“Oh porca…” imprecò Ginny.

Hermione affondò di più le unghie nella carne e tirò; con un sonoro ‘strap’, il buco nella calza si allargò consistentemente, lasciandole la coscia completamente scoperta e visibile.

“Granger, non farti strane idee e rivestiti”. La voce strascicata di Malfoy era comunque perfettamente udibile fino al tavolo dei Grifoni. “Copri le tue grazie. Si è parlato ''solo'' ”  (si premurò bene di calcare con sottile -ma nemmeno troppo- ironia la parola solo’ ) di amicizia, grazie a Merlino”. Disse, fissando la calza stracciata della ragazza. Il tono della sua voce voleva suonare sarcastico, e tuttavia, quando gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono, in entrambi era possibile leggere una profonda disperazione mista ad un odio reciproco-e decisamente non represso che non sarebbe stato possibile seppellire nemmeno con valanghe di terra.

“Oh numi…” gracchiò la McGranitt.

“Oh numi un cazzo” sibilò Draco, afferrando una mela verde e mordendola selvaggiamente. “Non c’è ancora un posto libero ad Azkaban, vero?”.

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Capitolo 2
*** Capitolo I- ''Per me ha le sue cose! ***


                                                      CAPITOLO I.
                                                 “Per me ha le sue cose!”




“Questa faccenda non porterà a niente di buono!”, sbottò Hermione per quella che doveva essere la trentesima volta nel giro di dieci minuti. Mescolava furiosamente la pozione verdastra nel calderone, schizzando senza pietà le divise di Ron ed Harry, che le sedevano accanto. 

“Herm, il tuo calderone si è scheggiato” le fece notare Harry, osservando accigliato il punto in cui poco prima la sua migliore amica aveva sbattuto selvaggiamente il mestolo e ripulendosi la cravatta. “Non potresti –ehm- tipo…calmarti?”

“Calmarmi?” strillò la ragazza, con un acuto decisamente degno della Signora Grassa. “Calmarmi!”, ripeté poi, smettendo di affaccendarsi attorno al suo calderone –Ronald sospirò sollevato, affrettandosi a togliere il mestolo dalla portata dell’amica-, e fissando con un’occhiata di scuse il professor Lumacorno, che era prorotto in un pomposo ‘Signorina Granger, qualcosa non va?’.

“Sai, Mione, penso che Harry non abbia tutti i torti”, rincarò Ron, “cerca di calmarti. Dopo Pozioni andrai dalla McGranitt e le dirai chiaramente che non intendi minimamente accettare questa situazione”. 

Sfoderò un sorriso soddisfatto, come se avesse appena scoperto una cura per la licantropia, o battuto Silente in persona a duello. 

Hermione emise uno sbuffo esasperato, portandosi teatralmente entrambe le mani ai capelli.
Pochi banchi più in là, le gemelle Patil la guardarono compassionevolmente, attribuendo la disperazione della compagna di casa alle pessime condizioni in cui versava la sua incolta ed indomabile chioma castana. Padma si attorcigliò fra le dita una ciocca di capelli corvini perfettamente in ordine, ringraziando mentalmente Merlino di non avere la sfortuna della Granger.

“Caspita Ron, che idea brillante!”, sibilò Hermione, aggiungendo del Baobab tritato alla sua pozione, che assunse una più piacevole sfumatura verde smeraldo. “Credo però ti sia sfuggito il fatto che quella della McGranitt non fosse esattamente una proposta!”. Pronunciò l’ultima parte della frase con una nota vagamente isterica nella voce, ed abbassò gli occhi castani: il karma volgeva a suo sfavore, come sempre. Ma perché non poteva avere un anno normale ad Hogwarts, un anno come tutti gli altri studenti?

Harry storse la bocca, mentre Ron borbottò qualcosa che suonava molto come ‘hey, scusami tanto se ho tentato di consolarti!’ e tornò a concentrarsi sugli ingredienti della sua –malriuscita- pozione con l’aria della vittima sacrificale.

“Avanti, Hermione, non sarà così male” tentò Harry, ma si bloccò di colpo ad uno sguardo assassino dell’amica, per poi continuare più timidamente. “No, d’accordo, sarà terribile. Ma non è detta l’ultima parola!” aggiunse speranzoso. Sei anni di sfortuna e perpetue disgrazie non erano valsi a nulla: Harry Potter non poteva evitare di essere sempre, irrimediabilmente ottimista. “Natale è fra una settimana, sono sicuro che ci inventeremo qualcosa”.

“Lo spero davvero” rispose Hermione, spostando la sua attenzione su una testa bionda china sul calderone ribollente, tre file di banchi davanti a loro.

Draco Malfoy era fastidiosamente tranquillo. ‘D’altronde’, si ritrovò a pensare Hermione, ‘ne va della salvezza della sua casa. E’ logico che sia disposto ad accettare qualsiasi compromesso. Probabilmente lo farei anche io’.
Un momento! Era forse comprensione quella malsana sensazione che stava provando? Si costrinse a scacciarla il più rapidamente possibile e tornò ad osservare il ragazzo.

Il Serpeverde sollevò il capo, lasciando che parte del suo profilo aristocratico fosse visibile. Diede un’occhiata veloce al libro ‘Il pozionista pratico- edizione delux’ e corrugò leggermente le sopracciglia chiare. 
Non era bello, Draco Malfoy. Forse avrebbe potuto essere considerato affascinante, con quei suoi lineamenti spigolosi, la pelle diafana e quegli occhi così chiari da sembrare trasparenti, ma di certo non bello. Blaise Zabini era bello, Theodore Nott era decisamente bello, Hermione doveva ammetterlo, nonostante il cattivo sangue –‘interessante scelta di vocaboli’- che correva fra loro. Ma non Malfoy.
Vi erano, in lui, un’altezzosità ed una sfrontatezza che rendevano impossibile ad Hermione provare verso di lui anche il pur minimo accenno di simpatia. E poi, non aveva certo dimenticato –non poteva e non voleva- da che parte si fosse schierato durante la guerra. Quello, sopra a tutte le altre cose, la feriva, e la convinceva del fatto che Draco Malfoy fosse l’essere più vigliacco sulla faccia della terra.

Come se avesse sentito lo sguardo di lei bruciargli sulla nuca, Draco si voltò improvvisamente, fissandola a sua volta. 
Se le occhiate avessero potuto parlare –o meglio, lanciare maledizioni-, uno dei due sarebbe di certo caduto morto stecchito con la faccia nel calderone fumante. 
Si scrutarono in cagnesco per qualche interminabile secondo, poi Malfoy scosse leggermente il capo e si massaggiò le tempie con le mani ossute. Quando tornò con gli occhi su di lei, ad Hermione parve che le stesse sussurrando qualcosa a fior di labbra.

La Grifondoro si convinse che i fumi della pozione dovevano averla stordita parecchio e, facendo come se niente fosse, tornò a conversare con Harry e Ron –che avevano instaurato una costruttiva discussione sui manici di scopa e i bolidi, ed avevano abbandonato qualsivoglia speranza di completare l’esercizio-.
Tuttavia, quando sentì nettamente un ‘psst, Granger!’ provenire dalla direzione del banco di Malfoy, si costrinse a voltarsi di nuovo.
La stava fissando. 
E le stava sillabando qualcosa a bassa voce.

‘Aspetta un momento. Ma che cos…?’’

“Pssst, Granger! Ma sei sorda, o quel rovo di spine che hai in testa ti ostacola l’udito?”

Hermione arrossì di rabbia. 

“Che c’è, Malfoy? Che vuoi?’’

“Sei sempre così acida o oggi hai le tue cose?”

“Sei sempre così demente o oggi è un giorno particolare?’’

Un ghigno.

“Sono sempre così demente”

“Già, lo sape…aspetta, cos’hai detto?’’ domandò allibita, strabuzzando gli occhi, per poi ridurli a due fessure l’attimo dopo.

Un altro ghigno, stavolta meno amichevole.

“Voglio parlarti”

“Stiamo parlando”

“Stupida Mezzosangue, non stiamo parlando. Stiamo sillabando frasi sconnesse nel bel mezzo di una lezione di Pozioni. Voglio parlarti in privato”. Scandì le ultime due parole con maggior veemenza.

“Te lo scordi”, decretò Hermione, e si voltò di nuovo, dandogli le spalle con la massima nonchalance.

Non ne era del tutto sicura, ma avrebbe potuto quasi giurare di aver sentito un insulto poco carino nei suoi riguardi pronunciato dalle labbra del Serpeverde.
Qualcosa che somigliava molto a ‘ti farò ingoiare i tuoi stessi denti da Mezzosangue zannuta insieme a quei tuoi stupidi ed orrendi capelli, giuro su Salazar!’.


Lo ignorò elegantemente e tornò ad inserirsi nella conversazione dei suoi due migliori amici, commentando che ‘sì, adorava i nuovi manici di scopa dei Cannoni di Chudley’.

“Ehm, Herm, veramente stiamo parlando del nuovo portiere dei Tornados”, la corresse Ron titubante, guardandola pietosamente.

Donne e Quidditch –Hermione e Quidditch, si corresse mentalmente il rosso-, davvero incompatibili.

“Sì, Ronald, è quello che ho detto!” lo freddò lei, scattando in piedi e schizzando fuori dall’aula dopo aver raccattato alla bell’e meglio le sue cose, al suono della campanella.

“Questa cosa di Malfoy la stressa” commentò Harry, fissando la porta dei sotterranei oltre la quale era appena sfrecciata via. 

“Mah, non lo so Harry, mi sembra fin troppo acida perfino per una persona che è stata costretta a trascorrere le vacanze di Natale ed estive con Malfoy” borbottò Ronald, incerto. “Secondo me ha…sì, insomma… secondo me ha le sue cose!”, concluse infine.

Arrossirono in sincrono, in muto accordo sul fatto di non sfiorare mai più quell’argomento. 
Certe cose era meglio non saperle.

 
                                
                                                                                                                                               *



Hermione camminava –o meglio, marciava spedita- per i corridoi di Hogwarts senza una meta. 
Finito Pozioni, controllando l’orario delle lezioni, aveva scoperto di avere un’ora buca. 

Dopo essere salita nel dormitorio delle ragazze ed aver aggredito la povera Calì (“No, non ti passerò il mio tema di Trasfigurazione, e nemmeno quello di Storia della Magia, ok? E smettila di fissarmi i capelli!”), aver fatto un salto alla serra ed essere letteralmente inciampata su Neville, che se ne stava seduto a terra a curare una Mandragola (“Ma che cosa…? Oh, Neville, perdonami, davvero, scusa, io non...devo andare!”), aveva infine deciso di andare a rintanarsi in biblioteca, in solitudine, dove –sperava- non avrebbe dovuto incontrare nessuno. 

Aveva un assurdo bisogno di stare sola, riflettere, maledire mentalmente il destino crudele, e pensare ad un modo per tirarsi fuori da quella scomoda –per dirla con un eufemismo- situazione.

Ma ovviamente, ancora una volta, la pace che la ragazza tanto agognava sembrava una meta decisamente troppo ardua da raggiungere.

Dei passi leggeri alle sue spalle la fecero bloccare nel bel mezzo del corridoio deserto. 
Inspirò profondamente, per poi espirare rumorosamente, afflosciando le spalle. 

‘Magari è solo Ronald, o solo Harry’ pensò speranzosa.

Tuttavia, quella speranza non durò nemmeno un secondo. Svanì prima ancora di poter raggiungere il cervello, evitando così che Hermione si illudesse invano.
Sentì la persona dietro di lei prendere aria come se fosse in procinto di parlare, ma lei la anticipò.

“No, non dire niente” biascicò sconfortata “lasciami indovinare. Sono in un corridoio vuoto mentre mi dirigo in biblioteca in cerca di tranquillità, ho un diavolo per capello” –si rese conto dell’infelice scelta di vocaboli e immaginò la figura alle sue spalle ridacchiare silenziosamente- “…e l’ultima persona che vorrei vedere in questo momento –come in tutti gli altri, d’altronde- è un certo Serpeverde ossigenato e terribilmente presuntuoso”.

Silenzio.

“Perciò, lasciami indovinare” ripetè “stando alla mia fortuna –che è pari a zero-…Malfoy?”. 
E così dicendo si voltò.

Effettivamente, Draco Malfoy la fronteggiava in tutto il suo metro ed ottanta abbondante, la postura diritta, le braccia conserte e un’espressione tra il divertito e lo sprezzante in viso.
Applaudì lentamente, mimando un appena accennato inchino con la testa.

“Le tue doti deduttive non finiscono mai di stupirmi, Granger”, disse, fingendosi profondamente ammirato. “Se il tuo aspetto fosse gradevole quanto lo è il tuo acume, potresti persino essere il mio tipo”.

Si scostò elegantemente una ciocca di capelli dalla fronte, portandosela dietro l’orecchio, e contemporaneamente avanzò di un passo verso la ragazza che, automaticamente, indietreggiò di due.

“Malfoy” sputò con disprezzo “se i tuoi capelli non fossero tinti, se non fossi pallido come Nick-Quasi-Senza-Testa e se sotto a quella camicia non avessi tatuato il Marchio Nero…no, non saresti il mio tipo nemmeno in quel caso”, concluse laconica.

‘Hermione, non essere maligna’, la apostrofò una vocina nella sua testa, ‘sai bene che Draco non ha scelto di imprimersi quel marchio sulla pelle di sua spontanea volontà’. 

Hermione lo sapeva.
Eppure, lo detestava.

Lo detestava ancora di più di quanto lo avrebbe detestato se avesse scelto lui stesso di diventare un Mangiamorte.

Lo detestava perché non era stato capace di scegliere da solo.

Lo detestava perché aveva preferito essere un vigliacco, ed ora che era tutto finito aveva anche la sfrontatezza di tornare a scuola a testa alta.

Frugò con la mano sotto al mantello in cerca della bacchetta, pronta, se necessario, anche allo scontro.

“I miei capelli non sono tinti.” 

“Eh?”

“Ho detto: i miei capelli non sono tinti”.

Fra tutte le cose che Hermione aveva immaginato di sentirsi rispondere –tra le quali ‘lurida feccia Mezzosangue’, ‘vali meno di un elfo domestico cieco’ e ‘Avada Kedavra’ risultavano le più gettonate-, quella era davvero l’ultima. 

“Ah”. Fu tutto ciò che riuscì a proferire in risposta.

Ah?

AH?

“Eh”

“Oh”

“Granger, vogliamo smetterla?”

Hermione sembrò riprendersi dallo shock causatole dal fatto che primo) Malfoy non le aveva ancora lanciato nessuna maledizione e secondo) Malfoy non aveva i capelli tinti –anche se a quest’ultima rivelazione non era certa di voler credere-.

“Una volta tanto, Malfoy, sono d’accordo con te” decretò, volgendogli di nuovo le spalle e facendo per andarsene. “Meglio smetterla”.

Draco colmò la distanza che li separava in pochi passi, e le si piazzò davanti, sbarrandole la strada bruscamente.
I suoi occhi lampeggiavano come un cielo in tempesta, e la sua mascella era contratta, come se quello che era lì lì per dire gli costasse una fatica sovrumana.

“No, adesso tu mi stai a sentire”.

“Vedi di abbandonare questo tono minaccioso, Malfoy, o l’unica cosa che sentirai sarà la mia bacchetta contro la tua gola”, sibilò Hermione.

“Non sei neppure lontanamente abbastanza veloce da potermi puntare la bacchetta in nessun posto, tantomeno alla gola”. La schernì lui di rimando, continuando ad intralciarle il passo mentre lei cercava di trovare una via di fuga  zigzagando a destra e a sinistra.

Non sarebbero mai riusciti ad instaurare una conversazione civile.

Non ne erano in grado.

“Bene. Allora che ne dici del mio ginocchio dritto nelle tue pall-”
“Non andare dalla McGranitt”.

Ecco. L’aveva detto.

‘E’ stato facile’, pensò.

“Prego?”. Hermione alzò un sopracciglio, smettendo di tentare la fuga. “Non credo di aver capito bene. Ti spiacerebbe…?”

Draco serrò i pugni e la guardò con odio.
Quelle parole gli costavano quasi più di quanto fosse disposto a concedere.

Quasi.

“Ho detto ‘non andare dalla McGranitt’. Non tentare di convincerla  a revocarti l’obbligo di trascorrere del tempo con me. Non cercare di sottrarti a… a questa cosa’’. Terminò, senza smettere di fissarla.

“Mi stai chiedendo di fare qualcosa per te?” 

Draco vacillò.

“Te lo sto ordinando”.

“Me lo stai…ordinando?’’.

Silenzio.

Glielo stava ordinando?

Glielo stava imponendo?

Poteva?

“…Te lo sto chiedendo”.

Sì, glielo stava chiedendo.

“Quindi potrei anche non accettare”. Hermione lo scrutò di sottecchi, cercando di capire perché tutto d’un tratto Malfoy sembrasse tanto accondiscendente a scontare quella ‘condanna’ insieme a lei. 
La sua Casa valeva dunque tanto per lui?
“Sì, potresti, Granger. Ma non lo farai”. Sembrava aver riacquistato un po’ della sua solita sicurezza. 
Ora sembrava tutto meno insolito.

“E perché no?”. Gli occhi di lei brillavano di sfida.

“Perché il tuo nobile cuore da Grifondoro-barra-eroina del mondo magico-barra-martire non lascerà che qualcuno paghi per l’errore di altri. Se tu ti rifiutassi e la casa di Serpeverde venisse davvero eliminata, non ci rimetterò solo io, figlio di un Mangiamorte –come ti piace chiamarmi-. Ci rimetteranno anche altri studenti innocenti; per non parlare del Professor Lumacorno, così affezionato alla sua Casa…”.

Concluse il monologo con un’espressione di trionfo negli occhi. 
Aveva capito di aver vinto nel momento in cui aveva parlato di ‘studenti innocenti’ e ‘pagare per i crimini altrui’. 

E infatti Hermione tentennò, indecisa su cosa replicare.

“…e tu, perché dovresti sottoporti a questa tortura, Malfoy? Le intere vacanze natalizie con me, per non parlare di quelle estive. E non ci dimentichiamo del fatto che, secondo il patto stretto dalla Preside con Primo Ministro, dovremo continuare a mantenere… rapporti amichevoli anche dopo lo scadere del tempo. Io ho il mio spirito di Grifondoro –e di sacrificio- a giustificarmi, ma tu? La tua Casa vale davvero tutto questo?”.

Aveva parlato sperando di spaventarlo, di costringerlo a cambiare idea.

Lei stava cedendo.

L’unica possibilità di salvezza era scardinare le sue, di sicurezze.

“Sì”, rispose invece il Serpeverde, con semplicità.

Silenzio, di nuovo.
Solo il rumore dei loro respiri e dei loro cuori attraverso i maglioni di lana.

Rosso-oro.

Verde-argento.

“Ti odierò sempre, Malfoy” disse infine Hermione. “Lo sai, vero, che questo non cambierà mai? Che, per quante maschere potremo indossare, il mio odio nei tuoi confronti rimarrà immutato?”.

Il biondo annuì.

“Allora abbiamo un accordo, Granger?”

“Suppongo di sì”.

“Bene. Ci vediamo in giro, allora”.

“Speriamo il meno possibile, Malfoy. Voglio godermi i miei ultimi giorni di libertà, se non ti spiace”. Replicò la ragazza, scostandolo bruscamente con un braccio, sorpassandolo e andandosene.

“Questo è lo spirito giusto”. Osservò mestamente Draco, mentre lei si allontanava, se possibile ancora più furiosa di prima.




                                                                                                                                       *




“Hermione, stai scherzando?”

“Per l’ultima stramaledettissima volta, Harry. NO”.

Se ne stavano seduti in Sala Comune, tutti e tre, davanti al fuoco scoppiettante. 

“Hermione, ma pensavo che tu non…”

“Beh, ho cambiato idea, Ronald”.

I due ragazzi si fissarono senza capire. 
L’avevano lasciata che malediceva Draco Malfoy e tutta la sua futura progenie, e ora lei gli stava dicendo che aveva intenzione di cedere al ricatto –‘perché, andiamo, di questo si tratta!, aveva borbottato Ron- della McGranitt. 

“Hermione, non sentirti obbligata…”
“Santo cielo, Harry, nessuno mi ha obbligata!”, esclamò scocciata, prendendo Grattastinchi in braccio e alzandosi dalla poltrona. “Me ne vado a letto!” decretò.

Salendo le scale del dormitorio, incrociò Ginny, che probabilmente si stava dirigendo in Sala Comune da Harry.

“Hey, Herm, ciao! Hai visto Ha-”

“E’ in Sala Comune a poltrire con Ron. Buonanotte”

“Hem, buonanotte?”.

Osservandola sbattere la porta del dormitorio con ferocia, Ginny si chiese cosa avesse la sua migliore amica che non andava.

Ok essere sconvolta per la faccenda di Malfoy e tutto il resto, ma il suo cattivo umore stava raggiungendo vertici mai toccati prima d’ora da nessun essere umano.

‘Mah’, si arrese la rossa alla fine, entrando in Sala Comune e sorridendo al suo ragazzo,
 ‘magari ha le sue cose’.

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Capitolo 3
*** 3. Capitolo II- Ci sono cose che non si possono comprare... ed altre che si possono ottenere con il ricatto. ***


Salve salvino!
Eccomi qui col secondo capitolo della storia!
Volevo davvero ringraziare tutti coloro che mi hanno recensita; tutto mi sarei aspettata da questa fanfiction, tranne che venisse così apprezzata. 
Devo dire che se così non fosse stato avrei aspettato un po’ di più per scrivere questo capitolo, perché è davvero un periodaccio.
Son tornata da due giorni dalla Grecia, ed appena ho messo piede in Italia ho scoperto che una delle mie band preferite, i My Chemical Romance, è in procinto di sciogliersi. 
E’ stato un colpo duro, e quindi sono un po’ (tanto) giù di morale çwç
Però mi sono detta ‘devo continuare la mia storia, altrimenti non mi riprendo più!’, e quindi eccomi qui.
Beh, che altro aggiungere, se non ‘buona lettura’?.
Spero di sentirvi di nuovo numerosi,
Lucia.

 

 

 

 

 

Capitolo II

 

 Ci sono cose che non si possono comprare…

     ...ed altre che si possono ottenere con il ricatto.

 

 

 

 

 

Ci sono cose che non si possono comprare.
Draco lo aveva capito.
No, nemmeno con una montagna di galeoni o con una di quelle assurde carte di credito babbane che aveva scoperto una volta –per caso- chiamarsi ‘Mastercard’.
Una delle tante cose senza prezzo, ad esempio, era il rispetto. 
Soprattutto dopo la Guerra, sembrava che il rispetto fosse una merce assai rara da scovare, specialmente per un Malfoy.
Un ex-Mangiamorte.
Draco avvertiva il disprezzo che gli altri studenti gli riservavano, ma provava a non badarvi.
Avvertiva i loro sguardi carichi di rancore sulla sua nuca, quando li sorpassava nei corridoi.
Avvertiva i loro bisbigli alle sue spalle, quando credevano di non essere ascoltati.
Se lo era aspettato, quando aveva accettato di tornare ad Hogwarts, che non ci sarebbero state braccia aperte ad accoglierlo o pacche comprensive sulle spalle, nemmeno da parte dei suoi compagni di Casa.
Come avrebbero potuto esserci, dopotutto?
Quella che portava con sé era un’onta che non si sarebbe mai lavata via, nemmeno col passare del tempo.
Perlomeno, ancora lo temevano, ed il timore li spingeva a non osare mai troppo. 
Mai insulti troppo pesanti o palesi, sempre mormorii appena accennati e riferimenti velati.
‘D’altronde’ pensava Draco con spregio ‘loro non sono più coraggiosi di me’.
Era orgoglioso, Draco.
Camminava a testa alta, guardando davanti a sé, senza prestare attenzione a niente e a nessuno, le spalle diritte e le maniche della camicia sempre abbottonate e mai arrotolate sugli avambracci.
Nemmeno d’estate.
‘Ma guardalo, crede che nascondendolo con della seta il Marchio brucerà di meno’.
‘E’ inutile che tenta di coprirlo. Si sente il suo puzzo di Mangiamorte comunque a dieci metri di distanza’.
Ma lui continuava ad ignorare, ad ignorarli tutti, dal primo all’ultimo.
Era un Malfoy, nel bene e nel male, e non doveva niente a nessuno di loro.
Continuava a sedersi in Sala Comune vicino al camino per leggere un libro, anche se al suo arrivo la maggior parte degli studenti presenti si dileguava.
Continuava a magiare al tavolo dei Serpeverde insieme a Blaise –ormai il solo amico rimastogli, dato che Goyle non era tornato a scuola-, in un angolo, eppure senza scomporsi, anche se aveva sentito chiaramente, la sera prima, due studentesse della sua Casa parlare di come sarebbe stato bello mettere una pozione velenosa nel suo porridge.
Continuava ad ostentare disprezzo verso quelli che riteneva inferiori, pur limitandosi a ricambiare le loro occhiate taglienti, senza mai mettere mano alla bacchetta.
Persisteva nel suo abituale atteggiamento ‘Malfoyesco’, perché –si diceva- ‘i Malfoy non chiedono mai perdono, nemmeno quando sono dalla parte del torto’.
Oh, questo non voleva necessariamente dire che non provasse rimorso.
Semplicemente, credeva che nessuno dovesse saperlo, se anche così fosse stato.
Eppure, da qualche giorno, Draco sentiva di dovere qualcosa a qualcuno, nonostante tutto.
Sentiva il peso di una responsabilità che già sapeva di avere, ma accentuato, gravargli sulle spalle.
Doveva qualcosa a Serpeverde, in primis.
Doveva qualcosa a quei compagni che, nonostante lo detestassero con tutte le loro forze, non si meritavano di vedere scomparire la propria Casa per gli errori commessi da lui –e da suo padre, e da sua madre, e da molti altri come lui ed i suoi genitori-.
Dopo l’annuncio della McGranitt in Sala Grande, due giorni prima, aveva riflettuto così tanto da farsi venire l’emicrania.
Alla fine era giunto alla conclusione che, sebbene non fosse giusto che soltanto lui pagasse per degli sbagli che non era stato l’unico a commettere, d’altra parte era anche vero che i suoi Compagni erano del tutto innocenti, e perciò sarebbe stato ancora più ingiusto lasciare che, in quella situazione, le vittime fossero loro.
Soffermandosi per un attimo a pensare da dove mai gli venisse tutto questo insolito altruismo, Draco giunse alla consapevolezza che in fondo dovesse qualcosa anche a sé stesso.
Doveva qualcosa a quel ragazzino che era stato prima di unirsi alla cerchia dei Mangiamorte e che, nonostante fosse comunque un arrogante ed altezzoso Serpeverde, non sarebbe mai stato in grado di macchiarsi dei crimini di cui poi effettivamente, col passare degli anni, si era macchiato.
Sì, doveva qualcosa al Draco che era stato.
Al Draco che di certo non splendeva per gentilezza, modestia ed umiltà, ma che aveva ancora un’anima pura da bambino e l’illusione di poter scegliere cosa fare del proprio futuro.
Aveva un disperato bisogno di redenzione.
Di perdono.
Ma non del perdono degli altri.
Di quello se ne faceva poco.
Draco aveva bisogno di riuscire a perdonare sé stesso.
Perché, anche se non sarebbe mai stato un nobile Grifondoro, o un leale Tassorosso, e nemmeno un diligente Corvonero, ed anche se non avrebbe mai sacrificato la sua vita per un giusto ideale, anche se non avrebbe mai amato i Babbani e avrebbe sempre mantenuto le sue idee sul sangue puro, Draco non era malvagio.
Era un Serpeverde fino al midollo, ma non era mai stato un Mangiamorte convertito.
Per questo, dopo un primo momento di indecisione, si era convinto a parlare con la Mezzosangue.
Si era abbassato a chiederle di non rifiutargli il suo aiuto, di scontare insieme a lui –e per lui- quell’assurda condanna che la Preside ed il Primo Ministro si ostinavano a voler chiamare ‘accordo’.
Si era terribilmente scoperto, e temeva che lei lo avrebbe attaccato, vedendolo così vulnerabile.
Non credeva che la Grifondoro fosse nobile a tal punto da sacrificarsi per una causa che nemmeno le apparteneva.
‘Io non lo avrei fatto’, si era ritrovato a pensare Draco.
Ed invece la Granger, incredibilmente, aveva accettato.
Non c’era stato nessun duello, nessuno scontro, nemmeno una goccia di sangue era stata versata.
Erano volate parole pungenti, era vero, -quell’allusione sui suoi splendidi capelli biondi lo aveva profondamente ferito nell’orgoglio- ma in fin dei conti nessuno dei due ne era uscito gravemente ferito, mutilato o, ancora peggio, morto.
Era già un passo avanti.
‘Ti odierò sempre, Malfoy’, ci aveva tenuto a precisare la Mezzosangue prima di voltargli le spalle ed andarsene.
‘E’ questo lo spirito giusto', aveva ribadito laconicamente lui, vedendola allontanarsi, con quella sua massa di rovi in testa, la camminata leggermente rallentata dai libri che teneva in mano e le gambe minute.
Ma, in fondo, non poteva certo biasimarla.
Anche lui la odiava.
Sarebbe stata una lunga convivenza –una lunga, lunghissima tortura-.
Di una sola cosa era certo, e su quel punto sarebbe stato irremovibile: vacanze babbane? Non se ne parlava.
Pensando all’immediato futuro, stabilì che avrebbero trascorso il Natale a Malfoy Manor.
E su questo non ci pioveva.

 

 

*

 

 

Pioveva ovunque.

La radio aveva annunciato che quello sarebbe stato il Natale più piovoso degli ultimi dieci anni, in Inghilterra.

Hermione se ne stava con il volto spiaccicato sulla finestra del suo dormitorio, un libro in mano e lo sguardo perso aldilà del vetro, verso la Foresta Proibita.

La pioggia riusciva a deprimerla in un modo tutto particolare –come se già non fosse stata abbastanza giù di morale di per sé, senza bisogno di ulteriori motivazioni-. 

Prima di tutto, con la pioggia i suoi poveri e tanto detestati capelli raggiungevano il culmine dell’indomabilità, diventando più crespi di una balla di fieno e più gonfi di un pesce palla.

In secondo luogo, essendo meteoropatica, risentiva in maniera sconvolgente di quel tempo così uggioso e cupo.

In un’altra occasione, sarebbe stata sollevata di apprendere che mancavano soltanto sei giorni alla Vigilia, ma in quel frangente, purtroppo, l’avvicinarsi del Natale non costituiva una

fonte di gioia, com’era d’abitudine.

Natale significava vacanze natalizie.

Vacanze natalizie significava Draco Malfoy.

Draco Malfoy significava sempre e solo guai.

E non guai qualsiasi.

Nel migliore dei casi, ci sarebbe scappato il morto.

Hermione immaginò con un brivido Malfoy seduto alla sua tavola il 25 Dicembre, che augurava a lei e alla sua famiglia un ‘pessimo Natale, sudici Babbani, che Salazar vi maledica tutti’, porgendo poi un serpente infiocchettato di verde-argento come regalo, e sua madre che sveniva con la faccia nei tortellini in brodo, mentre suo padre tentava di rianimarla.

Represse un gemito di puro disappunto.

In breve, il suo bel progetto di trascorrere il Natale ed il Capodanno insieme ai suoi genitori in tutta tranquillità era sfumato ancora prima di concretizzarsi, e lei si ritrovava in una situazione a dir poco scomoda, ma che pure aveva accettato.

Già, perché aveva accettato?

Da brava studiosa, aveva speculato molto sulle varie risposte da dare a questa domanda.

Dapprima aveva pensato che fosse stata la pietà verso Malfoy a spingerla ad acconsentire a quel patto assurdo.

Poi, sterzando violentemente verso un’altra opzione, molto più verosimile, aveva attribuito tutto il merito –o la colpa- della sua impulsività al fatto che nel bene o nel male, il suo spirito di Grifondoro non avrebbe mai potuto lasciare che un’intera Casa scontasse la condanna per la colpa di una sola persona –o comunque, di poche persone-.

Nemmeno se quella casa era Serpeverde.

Maledicendo la sua nobiltà d’animo, il cattivo tempo e Malfoy nello stesso momento, si staccò dal vetro e posò il libro nel baule accanto al suo letto.

Non sarebbe in ogni caso riuscita a leggere una riga di più.

Decise velocemente di raggiungere Harry e Ron in biblioteca, dove i suoi due migliori amici le avevano detto che sarebbero andati a ripassare per il compito di Trasfigurazione del giorno successivo.

Conoscendoli, tuttavia, Hermione era certa che si fossero addormentati sui libri o che, come minimo, avessero del tutto abbandonato ogni intenzione di studiare per discorrere amabilmente di Quidditch, o della prossima uscita a Hogsmeade.

Sorridendo a questo pensiero, si ammantò il mantello sulle spalle, e scendendo a piccoli saltelli le scale fino all’uscita della Sala Comune, si affacciò dal ritratto della Signora Grassa che dava sul corridoio.

“Vai in biblioteca, cara?”, cantilenò la Signora Grassa, sorseggiando un bicchiere di vino elfico.

Era decisamente brilla.

“Sissignora” rispose Hermione, sorridendole e facendole un cenno di saluto con la mano mentre si avviava verso le scale.

Le scese in fretta, augurandosi che non decidessero di cambiare proprio in quel momento e, raggiunto l’ultimo gradino, svoltò verso la biblioteca.

Individuò immediatamente Harry e Ron.

Il primo, i capelli immancabilmente arruffati e gli occhiali leggermente storti sul naso, maneggiava svogliatamente una piuma al di sopra di un foglio di pergamena sgualcito, macchiando di inchiostro il tavolo di legno, mentre il secondo, letteralmente sommerso dai libri, sonnecchiava con la testa rossa appoggiata al braccio, russando lievemente.

“Hem hem” profferì Hermione, in una spaventosa quanto somigliante imitazione della Umbridge, avvicinandosi ai due.

Harry lasciò cadere la piuma sulla pergamena, urtando poi col braccio il calamaio e facendo sì che tutto l’inchiostro si riversasse sul tema che stava svolgendo –o meglio, che stava provando a svolgere senza molto successo-.

Ronald trasalì, biascicando debolmente ‘sono sveglio, sono sveglio, non stavo dormendo!’ , afferrando uno a caso dei tanti volumi sparsi sul tavolo e aprendolo ad una pagina qualsiasi.

“Ron, stai tenendo il libro al contrario” lo redarguì dolcemente la ragazza, sedendogli accanto e sfilandogli il tomo dalle mani. “E oltretutto questo capitolo non lo abbiamo ancora studiato”.

“Cos…? Oh, beh, certo” balbettò “io… mi stavo avvantaggiando sul programma, tutto qui”.

Dovette rendersi conto di quanto fossero suonate poco credibili le sue parole, perché d’improvviso arrossì e guardò l’amica con aria colpevole.

Harry, dal canto suo, stava tentando di rimettere in piedi il calamaio prima che l’inchiostro scolasse anche sul pavimento.

Non appena la boccetta fu chiusa e riposta cautamente nella borsa e la pergamena fu ripulita, il Ragazzo Sopravvissuto si rivolse ad Hermione con perfetta noncuranza.

“Allora, Herm, ci dai una mano –ehm- a studiare?”

“Ma non stavate già studiando da voi?” replicò lei, con tono altrettanto tranquillo.

“Oh -ehm- sicuro, è solo che…”

“Ci siamo solo un po’ distratti, ecco”.

La ragazza alzò teatralmente gli occhi al cielo e rise sommessamente.

Quei due erano impossibili.

“E se io vi dicessi che ho già studiato ed ho solo voglia di andarmene a cena?” li provocò.

Harry e Ron misero su le migliori espressioni da cuccioli bastonati e bisognosi di aiuto del loro repertorio e la fissarono con aria supplichevole.

“Andiamo, Herm, aiutaci solo a finire questo tema!” la implorò Ron, aggrappandosi alla manica della sua divisa, sotto il mantello.

“Sì, Herm, solo questo tema!” sorrise smagliante Harry, osservandola con aspettativa e tirando di nuovo fuori l’inchiostro dalla borsa. “Faremo in un batter d’occhio se ci darai una mano!”.

“Oh, su questo non ci piove!”, ciarlò lei, sfilandosi il mantello e arrendendosi alle preghiere dei due amici. Si sporse in avanti sulla sedia ed afferrò una pergamena. “Avanti, vediamo da dove cominciare…” rifletté poi, mordicchiandosi il labbro.

“Hermione, ti amo!” proruppe Ron, grato.

“Ti amo anch…no, beh, diciamo che ti voglio bene come ad una sorella!” si corresse Harry.

“Certo, certo” mugugnò Hermione, già concentrata sui libri. “Ma vediamo di sbrigarci, ho una fame da lupi!”

“A proposito di lupi…” insinuò Harry, scrutandola preoccupato “sei ancora convinta di quello che stai facendo con Malfoy?”.

La Grifondoro continuò a sfogliare le pagine del libro senza guardarlo negli occhi.

Harry sapeva essere davvero insistente se ci si metteva d’impegno. 


Da quando Hermione lo aveva informato che avrebbe acconsentito al patto stipulato dalla McGranitt col Primo Ministro, il ragazzo non le aveva dato un attimo di tregua, spalleggiato, ovviamente, da Ron.

“Ti prego Harry, non chiedermelo più, altrimenti giuro che vi mollo qui a cavarvela da soli!” lo minacciò lei, puntandogli contro una piuma ed aggrottando le sopracciglia castane.

“E dai Herm, ci stiamo solo preoccupando per te, lo sai!” brontolò il rosso in risposta. “Sai, anche Ginny pensa che non dovresti…”

“So bene come la pensa Ginevra, Ronald”, lo interruppe bruscamente.

Sì, la giovane Weasley si era premurata di esprimere il suo parere in merito in modo molto chiaro, quella mattina. 


Tutta la conversazione si era più o meno svolta tra gli scandalizzati ‘Hermione, non farai sul serio!’ di Ginny e gli esasperati ‘Ginny, so quello che faccio!’ di Hermione.

A quanto pare tutti i suoi amici erano convinti che Malfoy l’avrebbe assassinata nel sonno, o avvelenata durante il pranzo di Natale.

Dal canto suo, la ragazza credeva che non l’avrebbe fatto.

Probabilmente in un’altra occasione non ci avrebbe pensato due volte, ma non stavolta.

Questa volta aveva troppo da perdere.

Certo, non sarebbe stata una convivenza piacevole, né tantomeno tranquilla, e sicuramente non nutriva la speranza che il biondo l’avrebbe baciata sotto il vischio –cosa a cui non teneva assolutamente-, o avrebbe appeso con lei le palline colorate all’albero di Natale.

La sola idea di Draco che si dilettava ad addobbare un abete con lucine, nastri e ghirlande cantando ‘verde e rosso è l’agrifoglio'  la fece ridere di gusto.

“Cos’hai da ridere?”. Ron la fissava come se fosse impazzita.

Hermione scosse la testa soffocando l’ultima risata con il dorso della mano.

“Non è nulla” rispose. “Davvero, non è nulla”.

“Herm, lo sai che con questa faccenda ti stai inimicando metà Hogwarts?” tentò Harry. “Insomma, una delle salvatrici del Mondo Magico che improvvisamente decide di aiutare un Malfoy…”

“Non sto aiutando Malfoy!” precisò. “Sto aiutando la Casa di Serpeverde!”

“E noi” gettò uno sguardo veloce a Ron “lo capiamo, davvero. Solo che siamo preoccupati. E poi, tutti gli altri potrebbero pensare che tra te e Malfoy…”

Hermione sbattè la piuma sulla pergamena, facendo sussultare un ragazzino di Tassorosso seduto pochi tavoli più avanti.

“Non me ne importa un fico secco di quello che possono pensare gli altri studenti! Perché primo, tra me e Malfoy non c’è e non ci sarà mai niente, e solo uno sciocco lo crederebbe!”. Ron arrossì violentemente. “Seconda cosa, sono tutti dei grandi ipocriti” sibilò. “Mi considerano l’eroina del Mondo Magico, o quello che è, e poi sono pronti ad additarmi subito dopo solo perché decido di fare una scelta a favore di una delle Case di Hogwarts -una scelta che loro non avrebbero mai avuto il coraggio di fare- . Se le cose stanno così, non ci tengo ad avere la loro approvazione, né mi interessa il loro giudizio” concluse a voce bassa, gli occhi scintillanti d’orgoglio.

Ron ed Harry abbassarono lo sguardo, mortificati.

“Però mi interessa del vostro” continuò la giovane, più dolcemente “e di quello di Ginny. Per questo vi prego di accettare una volta per tutte la mia scelta. Vorrei solo capiste che per me non è esattamente una cosa piacevole, ma che lo sto facendo per il bene di …di molte persone”.

E così dicendo sorrise debolmente, scompigliando i capelli di Harry con una mano e stringendo il braccio di Ron con l’altra.

Voleva un gran bene ad entrambi, e comprendeva quanto fossero in pensiero.

Nonostante ciò, aveva ormai preso la sua decisione, e sarebbe stata irremovibile. Le bastava solo che, in qualche modo, la appoggiassero.

Quelli sembrarono capire, perché ricambiarono il sorriso e le rivolsero un’occhiata pentita.

“Scusaci”

“Sì, scusaci Herm. Giuro che avrai tutto il nostro appoggio, in ogni caso”.

“Grazie, Harry. Oh, Ron, stai di nuovo tenendo il libro al contrario” notò poi, facendoli scoppiare in una fragorosa risata e rompendo l’atmosfera tesa che si era andata a creare.

*

 


Hermione Granger aveva sperato intensamente di non dover più incontrare Draco Malfoy fino all’inizio delle vacanze natalizie.

Aveva lasciato Harry e Ron insieme a Ginny in Sala Grande e, affermando di essere tremendamente stanca, si era dileguata, con l’intenzione di rintanarsi sotto le coperte a leggere qualcosa.

Adesso camminava, per la seconda volta nella stessa giornata, verso la biblioteca, decisa a scovare qualche lettura interessante prima di ritirarsi nel dormitorio delle ragazze.

Stava giusto riflettendo su cosa sarebbe stato più interessante tra un manuale di Rune Antiche e il secondo volume di ‘Storia di Hogwarts’, e si era quasi decisa per la seconda opzione, quando qualcuno dietro di lei la chiamò.

“Granger, hey, Granger!”

Ma cos’era questa mania che avevano tutti ultimamente di pedinarla nei corridoi?

E, tra l’altro, mai che fosse qualcuno di particolarmente gradito.

“Sisly”, salutò, dopo essersi voltata verso il nuovo arrivato.

Un Grifondoro del sesto anno, alto e tarchiato, le stava davanti.

Il ragazzo le si avvicinò ulteriormente, sorridendo in modo così costruito da sembrare quasi inquietante.

“Dove te ne vai, appena dopo cena?” le domandò premuroso. “Forse il caro vecchio Lumacorno ha indetto qualche festino a mia insaputa?” si finse offeso.

“Non che io sappia, Robert. E’ da un bel po’ che non partecipo agli incontri del Lumaclub, come avrai notato” rispose Hermione fredda, con una nota di impazienza nella voce.

Non aveva alcuna voglia di starsene lì a discorrere con Sisly.

Lo trovava una persona terribilmente noiosa, arrogante, e francamente poco acuta.

Ne aveva avuto la conferma quella volta che, a Divinazione, aveva letto nei propri fondi di caffé che sarebbe diventato un mago all’altezza di Silente, se non più potente ancora, e che, se Voldemort avesse combattuto contro di lui, di certo non avrebbe avuto speranze.

L’ora dopo, a Difesa Contro Le Arti Oscure, non era stato in grado di respingere il suo Molliccio, che aveva assunto la forma della McGranitt in biancheria intima, ed era fuggito dall’aula urlando.

In un certo qual modo, ad Hermione ricordava Gilderoy Allock.

“Già, ti vedo un po’ assente, negli ultimi tempi, in effetti” ammise. “Sai, ho saputo di te e Malfoy…” insinuò poi.

“Dubito che avresti potuto non saperlo, Robert, dato che la Preside lo ha annunciato davanti a tutta la scuola in Sala Comune, pochi giorni fa”, fece notare lei in modo pratico.

Sisly fece un gesto sbrigativo con la manona grassoccia.

“Non intendevo questo” specificò. “Intendevo come tu” –scandì quel ‘tu’ in tono vagamente dispregiativo- “non ti sia fatta problemi ad accettare il tutto con tranquillità. Mi è sembrato così strano! Dì la verità, tu e Malfoy…eh?”

Hermione strabuzzò gli occhi, sinceramente interdetta.

“Io e Malfoy cosa, di grazia?”

“Oh, avanti, è così chiaro!” esclamò l’altro, con un’espressione di sufficienza che ad Hermione sembrò assurdamente stupida. “Ci ho messo un po’ per capirlo, devo ammetterlo, ma è così chiaro!” ripeté. “Non vedi l’ora di startene un po’ da sola con il Magiamorte, vero?” ammiccò.

“P-prego?” domandò la ragazza, incredula.

Non poteva dire sul serio. 

Nemmeno un idiota come Robert Sisly avrebbe potuto elaborare un’idea così campata in aria.

Improvvisamente, le ritornarono alla mente le parole di Harry.

‘Gli altri potrebbero pensare che tra te e Malfoy…’ 

Sisly vide nell’indecisone della ragazza la conferma alla propria improbabile storia.

“Allora ho ragione!” il suo tono si fece meno amichevole e decisamente più accusatorio. “Tu e quello sporco Magiamorte, eh? L’eroina della Guerra Magica ed il seguace di Tu-sai-chi! Ecco perché non hai mosso un dito quando la McGranitt ha dato l’annuncio in Sala Grande! Almeno Malfoy ha provato a fingere che gli dispiacesse…Merlino, mi fai schifo!”.

Hermione si riscosse dallo stato di stupore in cui era versata fino a quel momento e drizzò fieramente le spalle.

“Bada bene a come parli” gli intimò, assottigliando lo sguardo “non sai quello che stai dicendo”.

Il Grifondoro proruppe in una risata beffeggiatoria.

“Non pensavo fossi così, Granger! Vuoi far credere a tutti che ti stai mobilitando per il bene di Serpeverde e di Hogwarts, ma in realtà te la fai con Malfoy!”.

Le era sempre più vicino.

La sovrastava di circa una spanna, ed era il triplo più possente di lei.

Tuttavia, Hermione non si intimorì.

“Ti ripeto che non sai quello che stai dicendo, Sisly. Apri la bocca e le dai fiato senza nemmeno ragionare sull’assurdità di ciò che stai affermando. Sei convinto di essere molto sveglio, invece sei l’essere più tardo e presuntuoso che io abbia mai incontrato! Quindi, per piacere” lo apostrofò, girandosi per andarsene “lasciami in pace e torna a rapportarti con la scimmia che batte i piatti dentro a quel tuo cervello bacato”.

E così dicendo mosse un passo.

Sisly emise uno sbruffo dalle narici e la afferrò per un polso, bloccandola.

Hermione gemette di dolore e fu costretta a voltarsi di nuovo.

“Se sei così convinta di quello che dici, Granger, provamelo. Spiegami perché hai accettato di stare con Malfoy, se è vero che lo disprezzi così tanto come ami sbandierare in giro”.

“Io non amo sbandierare in giro proprio un bel niente!” ribatté a ragazza, cercando di divincolarsi dalla stretta del giovane. “E per quanto riguarda le mie motivazioni, Sisly, esistono valori e principi di cui tu nemmeno conosci l’esistenza” disse ironica. “Quindi è inutile che io continui a sprecare il mio tempo con te, temo”.

E, con uno strattone più forte degli altri, riuscì finalmente a liberarsi.

La mano grassoccia di Robert le aveva procurato un segno rossastro intorno al polso.

“Te lo ripeto” biascicò quello con odio “mi fai schifo”.

Poi le sputò.

Fu un istante, in cui molte cose accaddero in veloce sequenza.

Hermione si portò una mano alla guancia, schifata, basita e furiosa allo stesso tempo.

Poi estrasse fulminea la bacchetta, puntandola alla gola del ragazzo di fronte a lei.

“Stupeficium!” 

Robert Sisly fece un volo di qualche metro, andando ad accasciarsi, svenuto, accanto ad una statua di pietra poco più in là.

Hermione corrugò la fronte, confusa.

Quello schiantesimo non era provenuto dalla sua bacchetta, ma da quella di qualcuno dietro di lei.

E, anche se le sembrava pressoché paradossale, aveva avuto l’impressione di sentire la voce di Draco Malfoy.

Draco Malfoy che schiantava qualcuno per difenderla?

Ma quando mai?

Eppure, quello che le si avvicinò qualche attimo dopo con camminata elegante e tanto di bacchetta in mano altri non era che Draco.

Frugò nella tasca dei pantaloni e le offrì un fazzoletto di seta bianca con rifiniture verde smeraldo.

“Tutto bene, Mezzosangue? Tieni, pulisciti con questo. La saliva di quel troglodita sulla guancia non ti dona in modo particolare”

La Grifondoro non spiccicò parola. 

Continuò a far vagare lo sguardo dal corpo schiantato di Sisly a Malfoy, e da Malfoy al fazzoletto che le stava porgendo.

“Hai perso l’uso della parola? Merlino sia lodato!” ghignò Draco, vedendola con la bocca spalancata in un muto stupore. “Allora, vuoi prenderlo o no, questo dannato fazzoletto?” la incitò poi, sventolando il pezzo di stoffa davanti al naso della ragazza.

“Io… tu… io…” balbettò quella, afferrando il fazzolettino e premendoselo sulla guancia. “Perché lo hai fatto?” chiese infine, riscuotendosi appena.

“Oh, in realtà volevo colpire te, ma sai, la mia mira non è più quella di un tempo” si scusò Malfoy, -non troppo- fintamente dispiaciuto. “Sciocca Mezzosangue, perché vuoi che lo abbia fatto?” esclamò poi, come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo.

“Già, perché, Malfoy?” ripetè Hermione, strofinandosi energicamente la guancia e poi facendo per restituirgli il costoso fazzoletto. Calcolò mentalmente che dovesse costare più di tutti i suoi libri messi insieme. “Ero perfettamente in grado di difendermi da me, nel caso non lo avessi capito!” affermò puntigliosamente.

Draco fece una smorfia schifata e allontanò con un gesto secco la mano con cui la ragazza gli stava allungando il fazzoletto.

“Dio, Granger, puoi anche tenertelo. Non credo vorrò mai più toccarlo finché vivrò”.

Hermione allontanò la mano.

“Beh?”

“Beh cosa?”

“Perché lo hai schiantato? Avrei potuto farlo benissimo da me!”

Il biondo roteò gli occhi e si passò una mano tra i capelli. La luce delle torce appese lungo il corridoio gli illuminava parte del viso, lasciando l’altra metà nell’ombra.

Hermione si domandò per un attimo se Malfoy fosse così; se possedesse una parte di luce, ed una di tenebre.

E se avrebbe voluto conoscerla o meno, la sua parte luminosa.

“L’ho fatto perché mi andava e perché non mi andava” rispose lui sibillino.

“Come?”

Il Serpeverde la colse di sorpresa e scoppiò a ridere, alzando ed abbassando il petto in piccoli sobbalzi.

Di nuovo, la ragazza si ritrovò a pensare che, anche ammesso che il sorriso fosse davvero una lingua universale, lei quello di Malfoy non riusciva a decifrarlo.

C’era qualcosa di strano nel suo modo di distendere gli angoli della bocca, di scoprire i denti bianchissimi e di passarsi la lingua all’interno della guancia, come a voler trattenere le risate.

Hermione decise che detestava anche il suo modo di ridere.

Si detesta sempre ciò che non si riesce a comprendere appieno.

“L’ho schiantato perché mi andava, dato che è un idiota di proporzioni cosmiche” spiegò “e perché non mi andava che scambiasse il patto che c’è tra noi due per qualcosa di… romantico”. 

Pronunciò l’ultima parola con la faccia di qualcuno che è stato costretto ad ingoiare dei vermi vivi.

“Da quanto tempo eri nascosto lì dietro a spiarci?”

“Da un po’ ”

“La tua cavalleria non era comunque necessaria” gli fece notare lei, con un’alzata di spalle. “Cosa ne facciamo del corpo?”

“Direi di legarlo ad un masso e gettarlo nel Lago Nero” propose Malfoy, dopo aver soppesato le varie possibilità.

“Spero che tu stia scherzando” lo gelò Hermione.

“Ovviamente” rispose, ma nel suo sguardo c’era qualcosa di estremamente serio.

Sospirando, Hermione si avvicinò al corpo di Sisly e gli si accucciò accanto, inclinando leggermente la testa da un lato.

Oblivion” mormorò, puntandogli la bacchetta alla fronte.

Poi si mise in piedi, stendendosi le pieghe della gonna e mordicchiandosi nervosamente il labbro superiore.

Draco la fissava.

Hermione lo fissava.

Si fissavano in silenzio, nel bel mezzo di un corridoio buio, con il corpo di un loro compagno steso a pochi metri da loro.

“Spero” ruppe infine il silenzio Draco “che quello che è appena successo non influenzi in alcun modo la tua decisione”.

Non c’era richiesta stavolta, nel tono della sua voce, né alcuna parvenza di supplica.

Le stava semplicemente ricordando che erano giunti ad un accordo, e che non le era permesso tirarsi indietro.

Non più.

“Non è cambiato niente, Malfoy” gli assicurò, scrutandolo con aria di sfida, il fazzoletto ancora stretto in mano.

Giocherellandoci, Hermione aveva potuto notare, cucite sulla raffinata seta, due lettere in rilievo.

D. M.

Draco Malfoy.

Per un attimo sentì tutto l’odio che provava verso di lui bruciargli sotto i polpastrelli, misto a qualcos’altro.

Era come se le lettere stessero prendendo fuoco.

Ebbe persino timore che gli sarebbero rimaste impresse sulla carne, una volta lasciata la presa sulla stoffa.

“Granger” la richiamò.

“Che c’è?”

“Ci vediamo il 24. Porta i vestiti migliori che hai, non voglio che tu vesta come una Babbana pezzente quando sei al Manor”.

La terra sotto ai piedi di Hermione si aprì, trascinandola nelle profondità più recondite dell’Inferno.

Manor.

Aveva detto Manor.

Ma allora al peggio c’era fine.

E lei quel ‘fine’ lo stava superando proprio in quel momento, per spostarsi verso un luogo ancora più spaventoso, di cui non aveva ancora scoperto il nome, ma che era quasi certa recasse la scritta‘lasciate ogni speranza, o voi che entrate’  sulla porta d’ingresso.

E da lì non sarebbe uscita.

Lo sentiva.

Tentò di aggrapparsi ad un sdrucciolevole frammento di speranza rimastole.

“M-Malfoy Manor?”

“Per l’appunto”

“Se pensi che rinuncerò a passare le feste con i miei genitori per un soggiorno a Malfoy Manor con te, Lucius e Narcissa, e quella miriade di elfi domestici che continuate a schiavizzare senza pietà, ti sbagli di grosso!” rantolò.

La protesta della Grifondoro non sembrò scalfirlo minimamente.

Anzi, sembrava persino divertito.

Gli piaceva la testardaggine della Mezzosangue, soprattutto quando veniva sprecata invano.

“Beh, la McGranitt non mi è sembrata dello stesso avviso, temo” sciorinò tranquillamente. “Anzi, le ho parlato proprio poco fa, e mi è sembrata entusiasta dell’idea di noi due soli al Manor”.

“Noi due soli?”

Loro due soli?

“Mia madre e mio padre saranno… fuori…fino alla fine delle vacanze. Sarai lieta di sentirlo, immagino” concluse tagliente.

A dire il vero, Hermione non sapeva se gioirne o meno.

Certo, l’assenza dei coniugi Malfoy volgeva in un certo senso a suo favore, e le avrebbe risparmiato una buona dose di disagio.

Tuttavia, immaginandosi lei e Draco soli in quella villa immensa, non poté non pensare che sarebbe stato in ogni caso a dir poco tremendo.

Probabilmente il Natale più triste della sua vita.

Non lo avrebbe permesso.

“Malfoy, ascolta. Penso che tu mi debba come minimo il privilegio di scegliere dove passare le vacanze!” disse perentoria.

Quella era una lotta che non aveva alcuna intenzione di perdere.

Draco si irrigidì, sfoderando tutta la faccia tosta che riuscì a racimolare –che, comunque, non era indifferente-.

“Io non ti devo nulla” scandì lentamente.

“Bugiardo” sputò lei “sai bene che non è vero. Lo sai, che mi devi molto. E nessuno mi impedisce di ritirarmi dal patto, in fondo”.

“Non oseresti”

“Oh sì, che oserei”

In realtà, probabilmente no, non avrebbe osato.

Ma questo –decise- Malfoy non c’era bisogno che lo sapesse.

Le si accostò di più, finché non le fu così vicino che lei poté sentire il suo alito sulla nuca.

Sapeva di fumo e di menta.

“Tu non sei una Grifondoro”

Hermione non seppe stabilire se quello fosse o meno un complimento.

Ad ogni modo, fece un mezzo passo avanti a sua volta, in maniera tale che lui fu in grado di sentire l’odore dei suoi capelli solleticargli le narici.

Sapeva di lamponi e vaniglia.

“Allora, Malfoy?” lo provocò.

Draco si chiese come si fosse potuto lasciar controllare da una Mezzosangue alta un metro ed un bubotubero, esile come un fuscello e con la faccia da secchiona più irritante che gli fosse mai capitato di incontrare.

Maledicendosi mentalmente, sospirò.

“E sia” cedette.

Una strana luce illuminò gli occhi della Grifondoro, che sorrise vittoriosa.

“Bene. Ci si vede in giro, Malfoy” lo scimmiottò lei, rievocando la conversazione che avevano avuto il giorno prima, durante la quale lui le aveva strappato la promessa di aiutarlo.

E, voltandosi con grazia, prese a camminare nella direzione opposta a quella del Serpeverde, crogiolandosi nella soddisfazione per quella piccola vittoria.





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Capitolo 4
*** 4. Capitolo III - Ragazzo disagiato ***


Okay miei cari, questo capitolo è arrivato moooolto in anticipo sulla tabella di marcia.

Consideratelo un regalo di Pasqua! 

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!

Buona lettura,

Lucia.

 

 

 

A Maria, Jimmina, o Baba, o uno dei tanti soprannomi che le affibbio, fa lo stesso.

A lei, che oltre ad essere un'ottima scrittrice e lettrice, è anche un'ottima amica.

Ti voglio bene  

 

 

                                                                                   Capitolo III

                                                                                     Ragazzo disagiato

 



Nella lista delle cose che Hermione Jean Granger proprio non sopportava, subito dopo la presenza di Draco Malfoy in qualsivoglia stanza –ma avrebbe dovuto imparare a conviverci-, non aver studiato adeguatamente per un compito –ma questo non accadeva mai- e non riuscire a capire qualcosa –e questo, aveva scoperto con disappunto la sera prima, poteva capitarle- veniva senz’altro il dover mentire ai propri genitori.

Aveva già provato quanto fosse spiacevole dovergli omettere qualcosa quando, l’anno precedente, era stata costretta a cancellar loro la memoria prima di partire alla ricerca degli Horcrux, e non ricordava di essersi mai sentita così male come in quel momento.

Aveva sradicato dalla loro mente qualsiasi traccia della sua esistenza, inculcandogli invece –grazie ad un complesso incantesimo- la ferma convinzione che fossero due coniugi senza prole con l’intento di trasferirsi in Australia.

Subito dopo la fine della Guerra, ovviamente, li aveva rintracciati, annullando –non senza fatica- l’effetto dell’Oblivion, e restituendogli i ricordi dei quali li aveva privati per proteggerli –tra cui quello di lei stessa-.

Erano tornati con lei a Londra, ed insieme avevano cominciato a ricostruire pian piano quella normalità che era andata sgretolandosi  con l’avvento di Voldemort.

Non era stato semplice per nessuno dei tre ritornare alla realtà, ma alla fine si era ristabilito, in casa Granger, un certo rassicurante equilibrio. E proprio per questo motivo Hermione si era ripromessa, giurando e spergiurando su tutti i maghi celeberrimi di quel secolo e di quello prima ancora, che non avrebbe mai più mentito a suo padre e sua madre.

Un detto babbano piuttosto noto cita: ‘e qui cascò l’asino’.

Hermione si sentì in dovere di riadattarlo leggermente, certa che nessuno avrebbe reclamato i diritti di copyright, in: ‘e qui cascò Hermione Granger’.

Sì, decisamente più calzante.

Perché quella mattina Hermione, seduta sopra al piumone regalatole  anni prima per Natale da sua madre, con una piuma in una mano ed una pergamena nell’altra,  giunse alla conclusione che in nessun modo avrebbe potuto avvertire i suoi genitori della presenza di Malfoy a casa loro per le vacanze natalizie senza omettere qualche trascurabile particolare.

 

“Cara mamma e caro papà,

 spero non vi dispiacerà se per questo Natale ospiteremo a casa nostra un ex adepto di Voldemort, il Mago Oscuro che ha cercato di cancellare dalla faccia del Pianeta la gente come me e voi –per non parlare di Harry-. Si tratta di un ragazzo estremamente piacevole, ve l’assicuro, se si esclude la sua propensione alle Arti Oscure, il suo odio incontrastabile per i babbani ed i Mezzosangue, il malsano godimento che trae dal mortificare gli altri ed il sorvolabile dettaglio che ci odiamo da quando avevamo undici anni.

Sono certa che l’adorerete,

Hermione”.

 

No, indubbiamente no.

 

Posando per un attimo carta e piuma sulle coperte, Hermione si massaggiò le tempie in cerca diun’illuminazione, di un’idea geniale, del modo migliore di introdurre i coniugi Granger a quella situazione,senza però dovergli necessariamente mentire.

Con suo enorme sconforto, si rese conto che era impossibile.

Se gli avesse detto la verità –e nient’altro che la verità- era certa che, per quanto di buon cuore ed accomodanti potessero essere sua madre e suo padre, come minimo avrebbero accolto Draco imbracciando un  kalašnikov ed indossando una tuta anticontaminazione.

E così, sebbene quella prospettiva la allettasse alquanto, la Grifondoro, rassegnata, si preparò a scrivere probabilmente la lettera più falsa che le fosse mai capitato di vergare in diciassette anni di vita.

Con un sonoro mugolio di sofferenza e chiedendo mentalmente perdono a tutti gli stregoni su cui aveva giurato tempo prima, pregandoli perché non la fulminassero, cominciò.

 

“Cara mamma e caro papà,

so che vi sembrerà insolita una mia lettera in questo momento, dato che proprio domani sarò a casa per le vacanze, ma si tratta di una situazione piuttosto urgente. In realtà, riguarda proprio le vacanze.

Capisco che vi stia avvertendo con poco preavviso, ma purtroppo non ho avuto modo di potervi scrivere prima; mi piacerebbe moltissimo…”

 

Hermione scosse la testa e arricciò le labbra dal ribrezzo.

 

…se quest’anno, per Natale, potessimo ospitare anche un mio amico. Vedete, sta passando un periodo difficile, non ha nessuno con cui trascorrere le feste, e non vuole rimanere ad Hogwarts da solo”.

 

Sperò che giocare la carta della compassione funzionasse.

 

 “Si chiama Draco Malfoy, magari il nome non vi è nuovo… sì, è il ragazzo con cui non andavo d’accordo i primi tempi a scuola, ricordate? Comunque, le cose sono cambiate, adesso. Ci terrei davvero molto che potesse stare con noi. Poverino, è un ragazzodisagiato, soffre tanto la solitudine, ed io sono la sua unica amica!”.

 

Sghignazzò. Ecco, magari caricare un po’ di più la storia a sfavore –naturalmente- di Malfoy l’avrebbe aiutata a sentirsi meno in colpa.

 

…A dire il vero, anche la Preside crede che gli farebbe bene trascorrere del tempo con me. Quindi, in sostanza, sarebbe già tutto deciso. Tranquilli, non ci sarà bisogno che pensiate a niente. Basterà solo che prepariate la stanza degli ospiti… oh, e se potete, riservategli quelle coperte rosso-oro che sono nel mio armadio. Sono certa che le adorerà! Ah, e non gliene vogliate se non avrà con sé alcun regalo di Natale: è anche molto povero –e comunque parecchio tirchio-.

A domani, baci,

Hermione.

Ps: ovviamente ho dato per scontato che voi acconsentiate… Draco ne soffrirebbe molto, se così non fosse. Siate buoni, è Natale!”.

 

Rilesse velocemente la lettera, sottolineò più volte le parole ‘ragazzo disagiato’, ‘molto povero’ ‘rosso-oro’, poi la imbustò e, soddisfatta nonostante tutto, si preparò ad avviarsi verso la guferia.

Magari non era stata proprio del tutto sincera, magari poteva avere omesso qualcosina sulla vera identità del Serpeverde, ma lo aveva fatto a fin di bene. E poi, si disse, la faccia di Malfoy alla vista delle coperte rosso-oro l’avrebbe ripagata di tutto, ne era certa.     

 

 

                                                                                                                ***

 


La sincerità, per Draco Malfoy, era sempre stata un’optional.

Amava piuttosto essere schietto.

Oh, sì, perché tra schiettezza e sincerità v’è una sottile linea, che ne designa la sostanziale differenza.

Essere sinceri implica una certa dose di moralità.

Essere schietti, invece, non implica proprio un bel niente, se non una perversa soddisfazione nel vedere come l’altra persona può reagire alle tue parole.

Se Draco Malfoy fosse stato sincero, forse molte persone non avrebbero rischiato la vita, o non si sarebbero esposte invano a pericoli mortali.

O forse, semplicemente, se Draco Malfoy fosse stato sincero, non sarebbe stato Draco Malfoy.

Per farla breve, non avrebbe mai confessato i suoi peccati più neri con il cuore in mano e percuotendosi il petto –nemmeno il pentimento faceva per lui-, ma avrebbe volentieri –ed effettivamente lo aveva fatto- torturato qualche povera ragazza del terzo anno in sovrappeso, o intimato a Goyle di smetterla di mangiare così tanto, perché se fosse ingrassato un altro po’ non sarebbe entrato per la porta del dormitorio.

Oh, adorava essere schietto.

Ed anche un pizzico di sadismo, comunque, non guastava mai.

Eppure, quel 23 Dicembre, nello scrivere ai suoi genitori, Draco fu più sincero di quanto non lo fosse mai stato in diciassette anni.

Schietto, senz’altro, ma soprattutto sincero.

Seduto alla scrivania della sua stanza, cercava le parole giuste per comunicare a Lucius e Narcissa Malfoy tutto il suo disappunto.

Appallottolò quella che doveva essere la tredicesima pergamena e la gettò nel cestino di metallo accanto ai suoi piedi.

“Incendio”, mormorò poi, puntando la bacchetta contro il pezzo di carta accartocciato, che prese fuoco e si consumò sotto ai suoi occhi.

Non appena l’ultima fiammella si fu spenta, Draco s’impose concentrazione e, acciuffata con malagrazia una costosa piuma di pavone, cominciò a mettere nero su bianco –di nuovo- gli eventi degli ultimi giorni –di cui i suoi genitori erano in parte al corrente-, con l’aggiunta del suo personalissimo, immancabile, nonché preziosissimo commento.

 

Cara Madre e caro Padre,

 è la seconda lettera che vi scrivo in pochi giorni. Mi auguro di non errare, indirizzandola al Manor: nutro la speranza che voi non siate ancora partiti per l’Italia.

Ad ogni modo, se la mia prima missiva recava notizie pessime –so quanto deve avervi shockato la scoperta della mia ‘reclusione forzata’ con la Granger-, non v’illudete che questa porti buone nuove.

Al contrario. A quanto pare, persino Salazar –che prego incessantemente ogni sera come da tuo consiglio, Padre- mi ha abbandonato. Sappiate infatti, che semmai desideriate scrivermi durante il periodo natalizio, potrete tranquillamente spedire la vostra lettera ad un indirizzo della Londra babbana, perché –me misero e me tapino- sono stato costretto a trascorrere il Natale a casa della Mezzosangue, sotto ricatto della stessa. Lei ha ricattato me…”

 

Calcò con più forza che poté il ‘lei’ ed il ‘me’. Quando ebbe quasi bucato il foglio, si fermò e proseguì la stesura.

 

“… no, ma vi rendete conto? Ho accettato solo perché ero con le spalle al muro, ma mi vendicherò, potete starne certi. Inizialmente avevo pensato ad un incantesimo da lanciare ai suoi capelli –sapete, le ragazze ci tengono sempre un sacco, sarebbe stato l’ideale-, ma poi mi sono detto che qualsiasi cosa li avrebbe solo migliorati, dato il penoso stato in cui già versano per proprio conto… Ergo, sto ancora meditando la giusta vendetta.

Si accettano suggerimenti di ogni sorta.

Se state pensando all’Anatema che Uccide, niente paura, è già sulla mia lista. Lo userò come ultima spiaggia.

Ora devo proprio lasciarvi, Theodore parla nel sonno –perché sì, lui dorme anche alle tre del sabato pomeriggio-, e mi sta distraendo con il suo fastidiosissimo borbottare. Vi spedirò un altro gufo con l’indirizzo della mia ubicazione durante le feste.

Per adesso, Buon Natale in anticipo.

Sempre Vostro,

Draco.

Ps: Madre, se vi state chiedendo –come ogni anno- cosa voglio per Natale, sappiate desidero fortemente che qualcuno mi percuota con energia in testa fino allo svenimento, perché io poi mi possa svegliare e scoprire che è tutto solamente un brutto sogno.

O, in alternativa, mi piacerebbe molto anche il nuovo modello di Firebolt.”.

 

Terminò la lettera con aria vagamente soddisfatta, confidando che i suoi genitori non prendessero troppo alla leggera la sua richiesta d’aiuto con la Granger.

Una mano sarebbe stata gradita davvero.

Ripiegò il foglio con cura maniacale –sua madre detestava il disordine- e lo imbustò con calma, stando bene accorto a non spiegazzare nemmeno un angolo della busta.

Poi, alzatosi dallo scrittoio, si stirò e passò accanto a Theo –che ancora ronfava beatamente, biascicando frasi sconnesse-.

“Le forchette! Le forchette prendono vita!”, ululò Nott, rigirandosi fra le coperte.

Draco represse una risata e scavalcò la gamba del compagno di stanza, che ciondolava a penzoloni dal materasso, procedendo verso la porta.

“Hmmm, Professoressa Umbridge…”, mugolò Theodore, strofinando il naso contro il cuscino.

Draco si fermò con un piede già fuori dalla soglia, un’espressione di puro disgusto stampata in volto, annotando mentalmente di utilizzare ciò che aveva appena sentito come arma di ricatto contro il compagno non appena ne avesse avuto l’occasione.

Poi, scuotendo leggermente la testa, si decise ad uscire dalla stanza, dirigendosi verso la guferia.

 

                                                           

                                                                ***

 

“Malfoy, non ci posso credere”.

Quello di Hermione Granger non era un sospiro. Quello di Hermione Granger era un vero e proprio gemito di frustrazione. E nemmeno troppo celato, per giunta.

Fissò il biondo davanti a sé con la stessa aria sconfitta con la quale ci si rassegna ad una mosca molesta che ti vola attorno, o al fatto di aver pestato per l’ennesima volta un’enorme cacca di Ippogrifo.

Un’enorme, biondissima cacca di Ippogrifo.

“Si può sapere cosa ci fai quassù in guferia?” aggiunse scocciata la ragazza, sperando –inutilmente- che Draco Malfoy si dissolvesse davanti a lei, o che –ancora meglio- venisse colpito da un fulmine a ciel sereno.

“Mah, non so, pensavo di scegliere un gufo da arrostire per cena, come contorno al Tassorosso del primo anno che ho appena dato ordine al mio elfo di far friggere in padella, sai…”, replicò quello, caustico. “A proposito, spero che Crisby non l’abbia cotto troppo” mimò una smorfia contrariata “mi piace la carne di primino al dente… e tu, Mezzosangue? Cosa ci farai mai qui in guferia, mi chiedo?” indagò con finto stupore, facendo assumere alle sue labbra fine una perfetta forma ovale.

Se non fosse stata troppo sconcertata dalla scelta di parole del Serpeverde, Hermione avrebbe persino riso del suo –pur macabro-umorismo-.

Lo scansò bruscamente con una spallata e lo sorpassò.

“Cretino” lo elogiò poi, nascondendo suo malgrado un sorriso dietro alla folta chioma castana.

“I tuoi complimenti possiedono sempre una grazia innaturale, Granger” osservò Draco, scostandosi per farla passare, sebbene la Grifondoro avesse già provveduto a farsi largo con una spallata incredibilmente potente per una corporatura minuta come la sua. “Così come, del resto, anche le tue movenze”.

“Oh, fottiti, Malfoy”. Cercò il suo gufo con gli occhi e, una volta individuatolo, gli fece cenno di avvicinarsi.

Quello, un bellissimo esemplare dalle piume fulve, svolazzò nella sua direzione per poi posarsi sul braccio che lei gli stava porgendo. Lo coccolò per qualche secondo, accarezzandogli teneramente il piumaggio, dopodichè gli consegnò la lettera.

“Ai miei genitori, Weasel, conosci l’indirizzo”, mormorò.

L’uccello annuì leggermente e spiccò il volo.

Draco Malfoy, intanto, sghignazzava poco distante.

“Cosa c’è di tanto divertente?” sbottò la ragazza, incrociando le braccia al petto.

Draco scosse più volte la testa e continuò a ghignare senza sosta.

“Insomma, cosa c’è?” insisté lei, muovendo qualche passo nella sua direzione, le labbra arricciate in un broncio infantile.

Malfoy la osservò, cercando di ricomporsi.

“Beh?” esclamò di nuovo Hermione, allargando le braccia, esasperata.  

Il Serpeverde scoppiò in una vera e propria fragorosa risata, tenendosi la pancia con le mani ed accasciandosi lungo il muro fino a sedersi a terra.

Incredula, Hermione Granger constatò che quella era la seconda volta in due giorni che vedeva Draco Malfoy ridere. Erano più di quanto lo avesse mai visto fare in sette anni. Ripensandoci, prima della sera precedente, lei non aveva maivisto Draco Malfoy ridere.

Con una certa inquietudine, appurò che fosse del tutto impazzito.

Fuori come un balcone.

Andato.

Out.

Nessuno in casa.

Avrebbe dovuto ospitare un malato di mente in casa sua.

Che spasso.

Proprio in quel momento, il cosiddetto malato sembrò in grado di contenere le risa –seppur a stento- e di proferire parola.

“Hai chiamato…” annaspò in cerca d’aria “…hai chiamato il tuo gufo…Weasel?” domandò, gli occhi che ormai gli lacrimavano copiosamente.

“Che cos…stavi ridendo per questo?” rispose la ragazza, incerta se essere allibita o irritata.

“Dio, Mezzosangue, devo ringraziarti. Ogni volta che mi sentirò giù di morale, mi basterà ricordarmi del nome del tuo gufo per … per…” fu interrotto da un altro eccesso ilarità “…WEASEL! DONNOLA! Hai chiamato il tuo gufo come quell’impiastro di Weasley! E io che pensavo ci fosse un limite alla pateticità”.

Vedendolo lì, che quasi si rotolava per le troppe risate per il nome del suo gufo, Hermione riuscì a scorgere il lato migliore di Malfoy.

Fu solo un momento, ma lo scorse.

Non sentì la rabbia montarle dentro, come sarebbe stato normale che accadesse, né provò vergogna.

Semplicemente, realizzò che in effetti, il nome che aveva scelto per quella povera bestiola era davvero tremendo.

Ricordava ancora il giorno in cui l’aveva battezzato in quel modo. Era stato molto tempo prima –le sembrarono anni luce-, quando nutriva ancora l’illusione di essere innamorata di Ron, ed ogni cosa le parlava di lui.

Persino un gufo.

L’aveva chiamato così, Weasel, non sapeva nemmeno bene il perché. Forse si era ricordata proprio di Malfoy, e di quel soprannome  con cui lui tanto amava sbeffeggiare Ronald, ed aveva pensato di utilizzarlo non in modo dispregiativo, bensì come un grazioso diminutivo.

Proprio tipico di lei.

Cercò di darsi un contegno, tossicchiando per richiamare l’attenzione del biondo.

“Malfoy, adesso smettila… è un nome come un altro…”.

Fece qualche passo verso di lui e, proprio quando gli fu a poco meno di un metro inciampò, rovinandogli addosso.

Fu una sorpresa per entrambi.

Lui, che ancora era scosso da qualche singhiozzo, sul volto la traccia dell’ultima risata, si ritrovò con lei fra le braccia.

Lei, che si stava fingendo mortificata dalla reazione del Serpeverde, mentre invece avrebbe voluto scoppiare a ridere a sua volta, si ritrovò fra le braccia di lui.

Per pochi istanti, nessuno dei due mosse un muscolo.

Alla fine, Draco ruppe il silenzio.

“Comunque, lasciatelo dire, che nome di merda”.

In realtà non era quello che si era inizialmente preparato a dire.

Avrebbe voluto rendere onore al suo spirito verde-argento esclamando ‘togliti, Mezzosangue, mi stai insozzando’.

E invece non lo fece.

“Vai a quel paese” disse lei di rimando, ma stava ridendo.

Era ancora incastrata tra le braccia di lui, i gomiti contro le sue costole, e stava ridendo.

Risero insieme per qualche minuto, o forse per qualche secondo.

Poi, lui parve riscuotersi.

Emise un incerto colpo di tosse, e se la scansò di dosso con poca delicatezza.

“Mezzosangue, per quanto io adori starmene qui in mezzo alle cacche di gufo con te, credo che dovremmo alzarci” sentenziò, ogni traccia di divertimento scomparsa dal volto.

Si alzò velocemente, lasciandola lì a terra, togliendosi la polvere dai pantaloni. La guardò dall’alto, senza offrirle nessun tipo di aiuto per tirarsi in piedi.

Hermione si rizzò in piedi goffamente, spiazzata dal ribaltamento così repentino della situazione.

Adesso, davanti a lei, c’era il Draco che aveva sempre conosciuto.

Lo odiava, decise.

“Hai della polvere sul maglione, Granger” la informò lui “e il tuo ginocchio è sbucciato, dovresti fare un salto in infermeria”.

Evitò di guardarla negli occhi e le voltò le spalle, tirando fuori la lettera dalla tasca dei pantaloni e controllando che non fosse troppo sgualcita.

“Sì, certo. Beh, a domani, Malfoy. Aspettami sulla piattaforma, appena scendi dal treno, d’accordo? E, te ne prego, cerca di essere civile con i miei genitori” concluse.

Malfoy annuì leggermente, continuando a rimanere girato.

“Beh, ciao, Malfoy”

“Granger” la congedò lui.

Hermione lo fulminò con un’occhiata che lui non poté cogliere, e cominciò a scendere furiosamente le scale.

Quando Draco udì l’eco dei passi di lei farsi sempre più lontano, rilassò le spalle e chiamò il suo gufo.

“Vieni qui, bello”

Il volatile bianco gli si accostò, tubando leggermente.

Draco gli affidò la lettera.

“Ai miei genitori… ovunque essi siano ora” aggiunse poi.

Quando il gufo ebbe preso il volo oltre la finestra, il ragazzo si accinse ad andarsene a sua volta.

Prima di dare completamente le spalle alla guferia, tuttavia, si concesse un ultimo momento di ilarità.

La Mezzosangue aveva chiamato il suo gufo Weasel.

Dio, la odiava sempre di più.

 

                                                 

                                                             ***

 

 

 

Quando, quella mattina del 24 Dicembre, Draco Malfoy conobbe i genitori di Hermione Granger, la sua prima impressione fu che dovevano essere del tutto, completamente folli.

Non c’era altra spiegazione.

Era decisamente già partito prevenuto da quando la Mezzosangue l’aveva informato che ‘i suoi genitori erano dentisti’.

‘Dentisti’ aveva affermato lui, perplesso.

‘Dentisti’ aveva confermato lei, annuendo.

Quando poi la ragazza gli aveva spiegato –con ricchezza di dettagli- che i dentisti erano una sorta di medimaghi babbani che si divertivano a trapanare i denti delle persone per poi guarnirli con delle impalcature di metallo, il livello di scetticismo di Draco era salito a livelli vertiginosi –così come l’inclinazione della sua arcata sopraccigliare-.

Ma mai, mai, in alcun modo sarebbe potuto essere preparato a quello che lo stava aspettando oltre la soglia di casa Granger.

Lui ed Hermione si erano smaterializzati proprio davanti alla porta, stando bene attenti a non farsi notare da nessuno.

Lei gli aveva poi raccomandato più e più volte –Draco ne aveva contate almeno sedici, prima di stancarsi- di essere gentile e cercare di non guardarli come scarabei stercorari.

E così, dopo una serie di ‘cazzo Granger, suona questo fottuto campanello’ ‘dammi un momento, Malfoy, solo un momento’, con un sonoro ‘dlin-dlon’, Draco era stato introdotto ufficialmente nel magico –mica tanto- mondo della Mezzosangue.

La prima cosa che il Serpeverde aveva avuto la fortuna di vedere, era stata una donna sulla quarantina con una zazzera di capelli castani esattamente identici a quelli della Mezzosangue, solo più  corti, svolazzare aldilà dell’uscio ed abbracciare la figlia.

“Oh, Hermione, Buona Vigilia! Ci sei mancata!”

“Mi sei mancata anche tu, mamma. Dov’è pa…”

“Oh-oh-oh, Buona Vigilia!”

Un uomo basso e leggermente panciuto era comparso alle spalle della donna, indossando un tremendo –almeno a parere del Serpeverde- cappello rosso a punta, che terminava in un ancora più tremendo –questione di gusti- pon pon bianco e peloso.

Peloso.

Sempre peggio.

“Papà!” aveva esclamato Hermione, abbracciando con foga suo padre.

Fino ad allora, nessuno aveva badato a lui.

Ovviamente, tutta quella fortuna non poteva persistere per sempre.

Ben presto, si era ritrovato con due paia di occhi castani a fissarlo.

Tre, se avesse dovuto contare anche quelli della Mezzosangue, ma a quelli era abituato.

“Tu devi essere Draco” aveva pigolato la donna.

Draco si era chiesto perché mai continuassero a starsene lì fuori dalla porta e non entrassero in casa, ma aveva annuito.

Magari era un’usanza babbana non lasciare entrare sconosciuti prima di aver fatto le dovute presentazioni.

“Cielo, sei proprio come Hermione ti ha descritto nella lettera” aveva mormorato mamma Granger, compassionevole.

Il sopracciglio del biondo si era inclinato pericolosamente.

“Tesoro, che pensiero carino da parte tua, accogliere un ragazzo disagiato a casa per Natale” aveva sussurrato poi l’uomo basso e panciuto all’orecchio della figlia, senza però riuscire a non farse udire da Draco.

“Ra-ragazzo disagiato?” aveva balbettato quest’ultimo, sentendo le gambe diventargli improvvisamente molli.

“Bob, ma che modi!” era prorotta la signora Granger, fulminando il marito. “Caro, io sono Jean, la mamma di Hermione, e lui è Bob, suo padre” aveva sorriso come se stesse parlando ad un ritardato mentale. “Riesci a capirmi?”.

Hermione aveva cercato di trattenere le risate, camuffandole in colpi di tosse.

Draco si era limitato ad annuire di nuovo, non facendo altro che confermare le ipotesi di Jean sulla sua instabilità psicologica.

Quei babbani erano fuori come balconi.

 “Bene” aveva dichiarato infine Bob “direi che possiamo entrare in casa. Qui si gela”. 

“Ma certo! Entrate ragazzi, entrate” li aveva invitati premurosamente la Jean. “Ho dei biscotti nel forno, aspettando che si cuociano potete vedere un po’ di televisione”.

“Feletisione?” aveva tentato Draco, spaesato.

Hermione si era morsa il labbro per non scoppiargli a ridere in faccia.

Bob e Jean lo avevano guardato comprensivi.

“Ma certo, caro, feletisione” lo avevano assecondato “ora, però, entrate”.

 

 

E così era cominciata l’avventura –o la tortura- di Draco Malfoy.

Gli ci era voluta tutta la mattinata per convincere i coniugi Granger che non era un disadattato sociale, né uno psicolabile, e nemmeno un ritardato mentale.

E, quando finalmente gli avevano creduto, Hermione se n’era uscita con un ‘Draco, che ne dici di vedere la tua stanza?’decisamente troppo impaziente.

Ora, Draco sedeva sconfortato tra lenzuola rosso-oro, con i capelli fradici, reduce da una prima conoscenza con una doccia babbana (“Granger! Granger, questo coso schizza acqua! Granger, aiuto!”), un phon in mano –che non aveva la minima idea di come usare- fissando il poster di uno strambo babbano vestito da pirata appeso alla parete di fronte a lui(“Merlino, Malferret, è Johnny Depp! Non è uno strambo babbano!).

Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe suicidato.


 

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Capitolo 5
*** 5. Capitolo IV - Fleet Street ed Inganni ***


Ciao a tutti voi, lettori, recensori, gente capitata qui per caso, e quant'altri.

Con un giorno di anticipo, il capitolo è qui! Sì, mi sento fiera di me. Ovviamente, come solito, non l'ho riletto con molta attenzione, quindi non linciatemi se doveste trovare qualche errore di battitura, ve ne prego!

E' un capitolo abbastanza corposo e spero anche abbastanza soddisfacente, che mi sono divertita molto a scrivere.

Credo inoltre che leggendolo comprenderete -ehm- quale sia il mio attore preferito. Accidenti a me, sono così trasparente :')

Vi informo che non so se potrò aggiornare già la prossima settimana come mio solito, perché mia madre si opera ed io sarò piuttosto presa da altre cose, come spero comprendiate.

Comunque tranquilli, non vi abbandono! 

Bacioni,

Slyth.

 


 


Alle persone che mi sostengono ed anche a quelle che pensano che io non valga un euro bucato come scrittrice.

Al mio compagno, che ha letto una parte di questo capitolo scritto di getto sul quaderno di Italiano durante l'ora buca, ed ha mormorato: 'ma questi che appunti sono? Ero assente?'; perché se ha scambiato quel che ho scritto, che so, per la spiegazione di una poesia di D'Annunzio o Leopardi, allora vuol dire che non devo ancora darmi all'ippica. 

Ed anche a me, che non imparo mai a mettere i quaderni in zaino, e poi la gente si fa gli affari miei.


 


CAPITOLO IV

 Fleet Street ed inganni

 


Hermione aprì gli occhi, la mattina del 25 dicembre, pervasa da una sorta di beata inconsapevolezza. Ancora stordita dal classico torpore mattutino, per qualche felice ed illusorio minuto non riuscì a collegare le sinapsi necessarie a farle capire perché mai la sera prima si fosse addormentata così di cattivo umore –come ricordò confusamente. Tutto ciò che poté realizzare fu che si trovava nel suo letto, a casa, e che era Natale.

Sorrise un po’ rinfrancata ed ancora insonnolita, stropicciandosi gli occhi ed accomodandosi a pancia in giù sul materasso, la faccia affondata nel cuscino, le coperte tirate fin sopra la testa.

Eppure c’è qualcosa che non quadra –ponderò cautamente.

Per quanto si sforzasse, non poteva scrollarsi completamente di dosso quella sensazione di malessere, quella convinzione sopita che ci fosse un non so cosa di molto sbagliato e di molto spiacevole pronto ad incombere su di lei.

Già, ma che c-?

« E CHE CAZZO!»

Una voce maschile decisamente poco soave deliziò l’apparato uditivo della ragazza, che rotolò supina sul letto e calciò via le lenzuola.

Il primo pensiero che la attraversò fu: “mio padre ha perso il posto di dentista, ha passato gli ultimi tre mesi a lavorare insieme a degli scaricatori di porto, e questa è la conseguenza”.

Tuttavia, scartò velocemente quella possibilità: non era suo padre. Bob non aveva certo un tono di voce così roco, e sicuramente non poteva vantare l’innata abilità di risultare talmente fine, delicato e discreto, soprattutto alle nove di mattina.

«SALAZAR, COME CAZZO SI SPEGNE? » proruppe di nuovo la voce –che le sembrò provenire dal pianterreno-, assumendo una sfumatura pericolosamente isterica.

Lentamente, Hermione riordinò le idee, socchiuse le palpebre e cominciò a ricordare.

La prima cosiddetta “lampadina” si accese, fiaccamente, qualche secondo dopo.

La McGranitt ed il Ministro.

La seconda, più prepotentemente, lampeggiò quasi in contemporanea.

Patto.

Hermione sbiancò, mimetizzandosi perfettamente con il candore del copriletto. Lottò con tutta sé stessa contro l’evidenza e sperò in un repentino corto circuito del proprio cervello, in un coma profondo, in una morte cerebrale…

Qualunque cosa.

Invece, con uno sprazzo di luce, anche l’ultima lampadina guizzò allegramente e scanzonatamente.

Lei e Malfoy. A casa sua.

Si destò a sedere così in fretta che per un attimo la vista le si appannò, ed il capo prese a girarle vorticosamente. Nutrì fino alla fine la flebile speranza che un infarto potesse freddarla lì su due piedi, ponendo così termine alla sua miserabile vita;  rassegnandosi poi al fatto che suo malgrado sarebbe vissuta, si preparò come al solito al peggio.

Avvertì dei passi pesanti e affrettati su per le scale, distinse nettamente per un po’delle imprecazioni e dei borbottii (“adesso mi sente”, “ma tu guarda…”, “è assurdo”, “che cazzo!” ed affini perle di raffinatezza), poi più nulla.

Silenzio assoluto.

Magari si è sfracellato sull’ultimo gradino ed ora sta facendo compagnia al suo amato Salazar lassù in cielo –auspicò, congiungendo le mani in una muta preghiera.

Se ne stette lì immobile per altri tre o quattro secondi, ancora seduta sul letto, come le protagoniste dei film thriller che attendono con cruda consapevolezza che l’assassino scovi il loro nascondiglio, chiuse nella propria stanza.

Poi, siccome Malfoy non sembrava sul serio dare segni di vita, e lei in fondo non gioiva all’idea che qualcuno fosse morto proprio in casa sua, tentò:

«Ehm… Malfoy? »

La porta si spalancò di botto, ed un Draco Malfoy a torso nudo, con indosso solo dei pantaloni di velluto nero irruppe nella stanza, stringendo fra le mani una camicia bianca macchiata di un liquido marroncino.

Aveva tutta l’aria di qualcuno appena evaso da un manicomio per pazzi criminali.

«Malfoy, tu… tu non porti la maglietta! » gli fece notare arrossendo, del tutto dimentica del fatto che lei stesse indossando un pigiama rosa con due pony colorati stampati in bella mostra sul petto.

La vista del Serpeverde mezzo nudo le aveva provocato reazioni del tutto contrastanti, e i suoi neuroni in quel momento sembravano essersi presi le ferie natalizie.

Per prima cosa, provò imbarazzo. Insomma, ma che razza di modo era, girare tranquillamente svestito come se niente fosse?

Secondo poi, stupore. Continuava ad essere del parere che Draco non fosse oggettivamente  bello, ma c’era in lui qualcosa di estremamente magnetico, soprattutto ora che poteva osservarlo senza camicia. Era magro da far schifo, probabilmente andava in giro con dei pesi nelle tasche dei pantaloni per non svolazzare in lungo e in largo alla prima folata di vento, e chiunque l’avrebbe scambiato per un poveraccio denutrito se lo avesse visto così, eppure qualcosa c’era. Lo scrutò senza nemmeno accorgersene, e si soffermò sui muscoli appena accennati degli addominali.

Una vena violacea all’altezza dell’inguine spiccava sulla pelle diafana.

Quando lo sguardo della ragazza andò a posarsi –inevitabilmente- sull’avambraccio sinistro, però, lo stupore si tramutò in disprezzo. Coperto da vari strati di bende arrotolate con perizia, c’era il Marchio Nero. Non poteva scorgerlo, ma sapeva che era lì sotto.

«Ma non mi dire!» ringhiò Malfoy, riscuotendola. «Ed io che ero convinto di stare indossando giacca e cravatta! Che sbadato…»

«Si può sapere» domandò Hermione, cercando con tutte le sue forze –poche, vista l’ora- di guardare ovunque tranne che verso il suo torace nudo o, ancora peggio, verso il suo braccio sinistro «che cosa accidenti hai da sbraitare peggio di una scimmia urlatrice alle nove di mattina?»

«Che cosa… tu mi stai domandando cos’ho da sbraitare?»

«Sei più sveglio di quanto pensassi»

Malfoy partì in quarta, sventolando la sua camicia come un ossesso.

«Forse ti divertirà sapere, Mezzosangue, che mentre tu te ne stavi qui, sognando il tuo Johnny Pepp…»

«Johnny Depp» lo corresse.
«Fa lo stesso, non è questo il punto!» esclamò come un assatanato «…il punto è che mentre tu poltrivi, io rischiavo la vita!»

Hermione stilò mentalmente una veloce lista delle eventualità.

1- Malfoy era impazzito

2- Malfoy era totalmente impazzito

3- Malfoy era posseduto.

«Non ti seguo, scusa» lo informò gentilmente, decidendo di concedergli l’ultima possibilità per riscattarsi e dimostrare di non essere del tutto fuori di testa «potresti spiegarti?»

Con sua immensa sorpresa, il biondo si lanciò in un monologo degno dell’Amleto di Shakespeare, e cominciò con fervore: «Accidenti alla mia malsana abitudine di alzarmi alle sei, dico io. Scendo giù in quella cucina così tremendamente babbana, con quegli elettrocosmetici così dannatamente babbani, e mi ritrovo i tuoi genitori assurdamente babbani a prendere il the! “Buongiorno”, dico io, e spero che si degnino almeno di alzare le chiappe e prepararmi un caffé, e invece no!» fece una pausa per riprendere fiato «No! “Noi stiamo andando a fare le ultime compere, Paco” –no, dico io, PACO? SERIAMENTE?-  “sei vuoi del caffé, quella è la macchinetta. Oh, a proposito, Buon Natale!”. E mi mollano lì! Come se io sapessi usare una dannata macchinetta del caffè! Quello… quello strumento diabolico» digrignò i denti «E’ ancora lì a sputare caffé! …Mai più, mai più!»

Terminò il flusso di coscienza col fiato corto e la camicia così stretta fra le dita che Hermione temette di vederla sbriciolarsi da un momento all’altro.

Si concesse un fugace momento di ilarità pensando a Malfoy alle prese con una macchinetta del caffé, poi si ricompose e domandò educatamente: «E quindi?»

«E quindi cosa?» sbraitò il ragazzo.

«Cosa diamine vuoi da me, Malfoy? Davvero, il tuo discorso è stato toccante. Mi è persino uscita una lacrima pensando…» sospirò «a quella povera macchinetta in balìa delle tue manacce. Però sul serio, cosa pretendi da me? » chiese esasperata.

Draco la fissò come si fisserebbe un cane a nove teste che balla il can-can.

«Voglio che tu, Granger, la smetta di trastullarti, muova quel tuo culo dorato e mi prepari un maledettissimo caffé» affermò con invidiabile aplomb, indicando la porta della stanza.

«Non sono il tuo elfo domestico, Malfoy» scattò lei indignata, incrociando le braccia al petto e alzando orgogliosamente il mento.

«No, decisamente non lo sei» confermò Draco ironicamente, dando tutta l’impressione, con quel caustico commento, di voler elogiare il suo fedele elfo «Ma immagino di dovermi adattare». Scrollò le spalle e continuò ad osservarla aspettando che si alzasse e si precipitasse in cucina a scodellargli caffé e biscotti come una serva devota.

La Grifondoro sembrò non credere alle proprie orecchie. Aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, poi di nuovo la riaprì, senza tuttavia riuscire a proferire parola.

Non le veniva in mente niente che non fosse “Avada Kedavra”, perlomeno.

«Insomma?» sembrò spazientirsi Malfoy, battendo il piede sul pavimento.

Hermione sentì la rabbia crescere, e con uno scatto fulmineo saltò in piedi, afferrando la prima cosa che le capitò di trovare sul comodino –sfortunatamente non si trattava della bacchetta, bensì di un pacco di fazzolettini di carta- e puntandogliela contro.

«Insomma un emerito accidente, Malferret!» strepitò, brandendo il pacco di fazzoletti come se fosse la Spada di Camelot «Tornatene in camera tua o sarà peggio per te! Ho qui un…» tentennò un attimo, osservando titubante  l’oggetto che stava tenendo tra le mani –“oh beh, al diavolo!”, pensò-  «… ho qui un pacco di fazzoletti balsamici, e non ho paura di usarli!» concluse riottosa.

Draco la contemplò in silenzio per qualche istante, valutando se prenderla sul serio o semplicemente schiantarla.

Alla fine, optò per la schiettezza.

«Granger» analizzò pietosamente «mi stai minacciando con un pacco di fazzoletti balsamici indossando un pigiama con dei pony rosa. Raccatta quel po’ di dignità che ti è rimasta, renditi presentabile –per quanto ti riesca- e scendi a prepararmi la colazione» le suggerì, col tono di voce con cui si direbbe “fidati, è per il tuo bene” ad un caro amico.

Poi, voltatole regalmente le spalle, uscì dalla camera, lasciandola a meditare sulla sua sconfitta e sul fatto che forse –forse- sarebbe stato il caso di cambiare pigiama.

 

 

                                                                                                  ***

 

 

Nonostante tutto, preparare la colazione a Draco non era stato così male, se si escludeva l’imbarazzante momento in cui, colto di sorpresa dalle fette di pancarré che erano saltate fuori dal tostapane, il Serpeverde aveva afferrato spasmodicamente il braccio di Hermione con uno sguardo così sconvolto da sembrare persino tenero.

«Malfoy» aveva sorriso la ragazza, le dita di Draco ancora strette attorno al suo braccio come se quello fosse un salvagente e lui si trovasse nel bel mezzo di una tempesta «è solo un tostapane, posso assicurarti che non ti aggredirà nel sonno».

Di gran lunga più tranquillizzato, Malfoy aveva mollato di colpo la presa. «C-certo» aveva bofonchiato poi, seguitando comunque a fissare l’elettrodomestico con palese diffidenza «ovviamente. Non che io abbia bisogno di rassicurazioni, eh».

«Naturalmente»

«Ecco»

«Già»

«Bene»

«Malfoy?»

«Che c’è?»

«Che ne dici di andare a fare qualche compera? »

 

E così erano usciti, infagottati nei cappotti pesanti per ripararsi dal freddo pungente di Dicembre inoltrato.

In quel momento stavano attraversando Fleet Street, una viuzza poco frequentata ma alquanto evocativa.

Il cielo bianchissimo prometteva una nevicata imminente, e la via costellata di case e botteghe in mattoncini scuri era illuminata da lucine natalizie e decorata da ghirlande di vischio ed agrifoglio.

Il colore cupo degli edifici contrastava in modo quasi sgradevole con l’allegria degli addobbi, e chi si avventurava in Fleet Street durante quel periodo non sapeva mai con chiarezza se sentirsi oppresso dalle figure nere e massicce dei negozi e delle abitazioni, o rasserenato dal rassicurante sfolgorio dei festoni.

Sulla soglia di un negozio di giocattoli artigianali, un uomo travestito da Babbo Natale stava strimpellando “Jingle Bells” con una fisarmonica che aveva visto giorni migliori, nella speranza di attirare qualche cliente alla presa con le ultime commissioni.

Nel complesso, la visione d’insieme di Fleet Street risultava pressoché surreale.

Hermione, ad ogni modo, trovava quella parte di Londra piuttosto affascinante.

Lei e Draco camminavano in silenzio, controvento, l’andatura lenta e modulata.

Malfoy si guardava intorno arricciando le labbra e storcendo il naso con l’espressione di qualcuno che avrebbe preferito essere ovunque –anche a dibattersi fra le piante carnivore nella giungla indossando il perizoma di Tarzan- ma non lì.

Logicamente, pensò fosse giusto onorare Hermione del suo personale parere in merito.

«Granger, mi hai davvero portato in un immondo sobborgo di Londra, o è una mia impressione?» si informò, dedicando un’occhiata di profonda disapprovazione ad un’insegna cadente che recitava “vestiti usati in svendita”.

«Malfoy, non mi sorprende che tu non sappia apprezzare il fascino retrò del luogo» sospirò sconsolata.

Draco si domandò cosa, con precisione, avrebbe dovuto apprezzare. I gatti randagi, le vetrine impolverate o la puzza di marcio?

Beh, rifletté, questo sacco della spazzatura è di certo retrò. Sarà qui da minimo due settimane.

Represse un conato di vomito.

Al termine di un’estenuante lotta interiore, giunse alla conclusione che l’unica cosa che potesse essere apprezzata di quella via fosse la fine.

«Voglio farti dono di un po’ di cultura babbana, Malferret» gli concesse Hermione con indulgenza «seguimi».

«Troppo buona, non lo merito» ironizzò il Serpeverde.

La seguì suo malgrado, rimanendo indietro di qualche passo, sbruffando come un vaporetto ed osservandola incedere con le spalle incassate, un berretto di lana in testa e i capelli irreparabilmente arruffati.

Aveva una corporatura minuta, la Granger, quasi fragile, ma sembrava sprizzare sempre energia da tutti i pori; la sua postura era leggermente incurvata, eppure non goffa.

Ritrovandosi inconsciamente immerso in una serie di mute considerazioni sulla Mezzosangue, si scoprì, con meraviglia e disappunto, a trovarle dei pregi, nel suo modo tutto particolare di elogiare.

Certo, era spaventosamente sciatta, e Draco temeva che non sapesse dell’esistenza delle spazzole per capelli o delle pozioni “lisciaricci”, però doveva riconoscerle una certa presenza di spirito.

Non era mica cosa da tutti avere il coraggio di farsi vedere in giro con quel nido di cormorani in testa, santo cielo!

Inoltre, aveva scaricato Weasley subito dopo la guerra, il che l’aveva innalzata, nel suo indice di gradimento, dal livello “non ti toccherei nemmeno con un pungolo” a “forse potrei degnarti della mia attenzione, se non fossi una Mezzosangue: ma visto che lo sei, per ora limitati a prepararmi il caffè, e metti i guanti quando tocchi la mia tazza”.

Una progressione non indifferente.

E poi, concluse con frustrazione, aveva salvato il culo alla sua Casa, nonostante lui avesse passato sette anni a volerla morta stecchita, tra cui gli ultimi due ad aiutare Voldemort nell’impresa sopraccitata.

Gli parve giusto riconsiderare lievemente la situazione.

Non la voleva vedere morta.

Dio, sarebbe stato fantastico anche soltanto non vederla e basta ma, dal momento che neppure questa soluzione sembrava fattibile, si sarebbe accontentato di torturarla innocentemente come meglio poteva.

Affaccendato com’era a meditare vendetta e nello stesso tempo a rivalutare la Granger, Draco si accorse a malapena che si erano fermati.

«Eccoci qua! Guarda!» annunciò estasiata Hermione, indicando qualcosa di fronte a sé.

Il ragazzo alzò lo sguardo, osservò, si schiarì la voce, osservò di nuovo, e poi, interdetto, chiese: «Cos’è che dovrei guardare, esattamente?»

Si trovavano di fronte ad una bottega più malmessa delle altre, in stato di abbandono e con l’intonaco che sembrava dover cedere da un momento all’altro. Già alcuni pezzi rovinavano a terra di tanto in tanto, sbriciolandosi ancora prima dell’impatto col suolo.

Con l’intento di preservare incontaminata la sua bionda e Malfoyesca criniera, Draco si scansò di un metro abbondante, prendendo le dovute distanze da quella sudicia baracca portatrice sana di germi e microbi.

«Questo» spiegò lei, entrando in modalità “ascolta  ed impara, stolto discepolo” «E’ il numero 186 di Fleet Street, dove si narra che il più spietato omicida della storia di questa città abbia commesso i suoi delitti ». Abbassò la voce di qualche tono e proseguì: «Sweeney Todd, si chiamava, pare fosse un barbiere. Lui…»

Per nulla impressionato, Malfoy continuò a scrutare l’edificio con sguardo inespressivo.

«E quindi?» domandò interrompendola, perfettamente a suo agio, come se non si trovasse affatto davanti a quella che era stata la casa di un pluriomicida.

«Oh, scusa, dimenticavo: tu devi essere abituato a sentir parlare di morti ed assassini, non è così?» si piccò lei, fulminandolo.

Mobile e reattivo quanto un blocco di cemento, Draco non mosse un muscolo. Solo il sopracciglio sinistro tremò minacciosamente.

«La storia non era finita, comunque» deviò saggiamente lei, tornando al discorso iniziale.

«Non vedo come possa interessarmi una leggenda metropolitana, Granger…e babbana, perlopiù»

«Mi lasci finire?» stridé Hermione in risposta, esasperata. «E’ un racconto interessante».

«Fremo d’aspettativa» sibilò il giovane roteando gli occhi. Poi, le fece svogliatamente cenno di proseguire.

Come diavolo era finito con la Mezzosangue in un suburbio malfamato, a farsi enunciare storie dell’orrore babbane il giorno di Natale?

«Bene» riattaccò lei, tornando concentrata «Sweeney, dicevo. Si chiamava Sweeney Todd»

 «Bel nome di merda»

«Malfoy, te ne prego!»

«D’accordo, d’accordo, va’ avanti»

«Insomma, Sweeney attirava clienti ignari nella sua bottega, per poi sgozzarli senza pietà con il rasoio da barbiere, e …»

«Che persona deliziosa» approvò Draco, inclinando leggermente la testa.

«La tua opinione è illuminante» ringhiò spazientita Hermione «gradirei che ascoltassi il resto in silenzio, adesso»

«Come ho già detto, Granger, non vedo l’ora»

«Ecco, dov’ero rima –ah, sì» ricordò «il rasoio da barbiere. Una volta completata l’opera, i corpi delle povere vittime passavano in mano alla sua complice, una certa Signora Lovett, che nello scantinato del suo locale…beh…»

Si stoppò, cercando le parole adatte.

«Beh? » la incitò Draco sarcasticamente «Che fai, ti blocchi sul più bello? La curiosità mi corrode»

«…beh, ecco, lei… ne faceva dei pasticci di carne da servire ai suoi clienti, dividendo il profitto con Todd» rivelò alla fine tutto d’un fiato, spostando il peso del corpo da un piede all’altro e atteggiandosi con finta naturalezza.

Tutto tacque.

Hermione valutò che Malfoy stesse segretamente ammirando il Signor Todd e la Signora Lovett, per quanto babbani che fossero.

Probabilmente, se non fosse stato un mago, avrebbe preso spunto da loro in quanto a metodi di uccisione (ma anche di sevizia andava bene lo stesso) di poveri innocenti.

Con un po’ di fantasia, Hermione se li immaginò, lanciati in una conversazione tra sadici squilibrati.

“Mi dica, signor Todd, come inclina esattamente la lama del rasoio per provocare più dolore?”

“Signora Lovett, lei è la donna più deliziosa che io abbia mai incontrato. Sono certa che adorerà fare il giro turistico delle prigioni del mio Manor. Abbiamo appena restaurato la sala delle torture”.

«Granger, mi stai prendendo per il culo?» biascicò invece il suddetto sadico, con una nota di puro terrore nella voce che deluse le sue aspettative e la sollevò in modo considerevole.

Forse, in fondo, non era sul serio un pazzo sanguinario.

Registrò con divertimento che le sue guance avevano assunto un colore giallognolo, e le sembrò per un attimo di scorgere i biscotti della colazione risalire pericolosamente l’esofago del ragazzo.

O si trattava del pranzo dello scorso Natale?

«No no, per nulla» gli assicurò, scuotendo il capo sogghignante «Fragranti e gustosi pasticci di carne uman–»

«Ok, andiamocene» tagliò corto Draco, ingoiando a vuoto.

Salazar, questo era troppo anche per lui!

La afferrò per un gomito con prepotenza e marciò spedito verso un punto a caso della via.

Comunque, il più lontano possibile dal numero 186.

Hermione intanto se la rideva beatamente, lasciandosi trascinare dal biondo –che aveva seriamente rischiato di diventare bianco per lo shock, altro che platinato-.

«Non pensavo fossi così impressionabile Malfoy!» lo stuzzicò, senza riuscire a smettere di ridere.

«Io non sono proprio un bel niente!» ribatté lui tra i denti «avevo solo fretta di andarmene perché…mi sono improvvisamente ricordato di dover fare una cosa urgente ed inderogabile, ecco» s’inventò lì su due piedi.

«Sì, immagino» replicò Hermione, afferrandogli a propria volta un lembo della giacca per cercare di stare dietro alla sua andatura spedita «…e cosa, se posso saperlo?»

“Devo vomitare anche l’anima”, pensò Draco, rabbrividendo al solo ricordo dei pasticci di carne della Signora Lovett.

«Devo comperare i regali di Natale ai miei genitori» improvvisò, rendendosi poi conto di aver involontariamente detto la verità.

Non aveva pensato a Lucius e Narcissa.

Cazzo.

Si fermò così bruscamente che la ragazza nemmeno se ne accorse; prima che riuscisse a capire perché e come, si ritrovò col naso spiaccicato sulla spalla di Malfoy, in prossimità del collo.

“Sa di menta”, mugolò una vocina nella sua testa, inquietantemente somigliante a quella di Calì davanti ad un paio di scarpe in saldo.

«Ahia! Malfoy, ma che cos –?» inveì, lasciando la presa sul suo cappotto e scostandosi precipitosamente, prima che la vocina comparisse di nuovo.

Draco non accennò a voler mollare il suo gomito e fissò vacuamente un punto un punto non ben definito davanti a sé.

«Malfoy?»

Niente.

«Malfoy? Ti è apparsa la Sacra Vergine Maria o stai per avere un ictus? No sai, perché nel secondo caso, io avrei di meglio da fare che soccorrerti»

«Granger» si riprese quello con invidiabile prontezza «fingerò di non averti sentita. Ora, da brava, conducimi verso un posto più civilizzato, ho delle spese da sbrigare» le ordinò con signorilità, facendo infine scivolare via la mano dal suo gomito.

Hermione sorvolò sul fatto che l’avesse appena trattata come un cane guida per non vedenti

«Non dirmi che vuoi farmi il regalo di Natale! Sono commossa!»

«Oh no, mi hai beccato. Ed io che speravo scoprissi la carica esplosiva sotto il tuo letto soltanto stasera! Volevo anche impacchettarla ben bene, che disdetta » .

Sorrisero entrambi sotto i baffi, poi lei lo spintonò leggermente e gli fece cenno di seguirlo, cominciando ad incamminarsi verso la fine di Fleet Street.

«Muovi quelle chiappe Purosangue, Malfoy, la strada per il centro è lunga, e non possiamo smaterializzarci».

«Stupidi babbani» brontolò Draco, ed affrettò il passo.

 


                                                                                                     ***


 

“Caro Draco,

Buon Natale!

Spero che tu sia ancora vivo, che tu non abbia contratto nessuna malattia infettiva e che quei plebei servano il the ogni pomeriggio alle cinque in punto. Se così non fosse, sappi che ti sono vicino –metaforicamente, non vorrei buscarmi anch’io qualche virus letale.

Ad ogni modo, qualora ti stessi chiedendo in preda alla disperazione  ‘chissà come se la passa il mio migliore amico Blaise?’, beh, soddisferò la tua curiosità e placherò la tua apprensione: sto da dio –il che vale a dire che mi sento me stesso come non mai-.

Mi trovo in Italia adesso, nella villa dei miei nonni in Sicilia (regione stupenda ma indecentemente piena di limoni, roba da non crederci), sorseggiando brandy e crogiolandomi in un dolce far niente.

Sono sempre più avvenente di te, ovviamente, e molto più intelligente, quindi in sostanza direi che non me la cavo malaccio, considerando che le ragazze italiane sono pazzesche!

Provo pietà per te, mio platinato amico, costretto a districarti tra la steppa dei capelli della Granger e quella sottospecie di allarme gnaulante fatta persona altresì chiamata ‘la Weasley’. Immagino che dovrai dormire in quella catapecchia (com’è che si chiama? ‘L’anfratto?’, ‘Il covo?’… ah ecco! ‘La Tana’!) con tutti loro, Potter compreso; sommerso da capelli rossi, Mezzosangue e ragazzi sopravvissuti con la sindrome dell’eroe… povero Draco!

Per questo, in uno slancio di spropositata bontà, ti voglio aiutare; voglio gettarti, insomma, una corda a cui aggrapparti per uscire in quel mare di –ehm- merda in cui stai sguazzando: sei ufficialmente invitato alla mia residenza invernale in Inghilterra, per Capodanno. Rientro in patria tra due giorni, il clima dell’Italia mi stressa –troppo sole- ed ho intenzione di dare una festa. Sai bene che nesseno organizza party come i miei!

Porta la Granger con te, se sei costretto, ma NIENTE WEASLEY di nessun genere o sesso –no, neppure la femmina Ginny, o qualunque sia il suo nome… è carina, ma più fastidiosa di un bolide impazzito nel didietro.

Ora, vienimi a dire che non sono generoso e partecipe delle tue disgrazie, e che non ti voglio bene! Biondastro ingrato!

Amami, grazie.

Ci vediamo il 31,

Blaise”.

 

Soddisfatto, Blaise Zabini chiamò la sua civetta e le consegnò il foglio di carta ben piegato.

«Alla…» titubò un istante «alla Tana, sì…Inghilterra. Weasley. Topaia. Non puoi sbagliare».

Poi, quando l’animale ebbe spiccato il volo, tornò a dedicarsi al suo brandy.

 

 

 

Quella lettera arrivò alla Tana di prima mattina, portata da uno stupendo esemplare di civetta, che si posò sul davanzale della cucina di casa Weasley e cominciò a beccare sul vetro della finestra come se ne dipendesse la sua stessa vita.

Al piano di sopra Ginevra Weasley, in quella che era la sua stanza da quando aveva memoria, se ne stava stipata nel vecchio letto ad una sola piazza ormai decisamente troppo stretto per una, figuriamoci per due persone, e con il ginocchio di Harry  ben piantato fra le costole.

Già insonne da un bel pezzo a causa al russare del ragazzo accanto a lei, ma troppo pigra per alzarsi e scendere a fare colazione, trovò la forza di mettere un piede fuori dal letto solo quando sentì un ticchettio provenire dal pianterreno.

Prese seriamente in considerazione la possibilità di ingaggiare un ditta di operai per schiodare il ginocchio del fidanzato dal proprio costato, poi, preso coraggio, con un doloroso strattone se lo tolse di dosso.

Scese le scale a piedi nudi, incespicando un paio di volte e prendendo in pieno lo spigolo del mobiletto delle posate con l’anca.

«Cazzo» imprecò bruscamente, portandosi entrambe le mani al fianco sinistro e contemporaneamente notando la civetta fuori dalla finestra.

Incuriosita e decisamente più sveglia –merito del caro, vecchio spigolo del mobiletto- avanzò verso la finestra e l’aprì, lasciando che l’uccello svolazzasse all’interno della stanza.

«Vediamo un po’ chi può essere» mormorò fra sé e sé, accarezzando distrattamente il volatile con una mano e afferrando la missiva con l’altra.

Sulla busta compariva solo il nome del destinatario.

Per Draco Malfoy.

Nessun mittente.

Ginny si sedette lentamente, cercando di venire a capo del perché qualcuno avesse spedito una lettera per Draco Malfoy proprio a casa sua.

La sua parte coscienziosa e matura, quella di cui mamma Molly sarebbe andata fiera, le consigliò di rispedire la lettera da dove era venuta, magari allegando un bigliettino esplicativo, qualcosa come “no, per fortuna non mi chiamo Draco Malfoy. E, sempre più fortunatamente, Malfoy non è qui”.

Tuttavia, l’altra metà di sé, quella irrimediabilmente indiscreta e decisamente impicciona –per non dire pettegola- volle dire la sua.

“Avanti, aprila. Che male c’è? Potrai sempre sigillarla di nuovo e sarà come se niente fosse accaduto”.

Incredibilmente tentata, Ginevra strappò leggermente la busta e guardò all’interno della fessura creatasi.

Ecco, magari avrebbe dato solo una sbirciatina –una piccola.

Assottigliò lo sguardo cercando di decifrare qualcuna delle parole scritte in bella calligrafia sul foglio accuratamente piegato e, quando fu sul punto di temere che sarebbe diventata presto cieca se avesse continuato con quell’andazzo, finalmente scorse qualcosa di comprensibile.

Qualcosa di fin troppo comprensibile.

Il suo nome.

Ginny.

“Calmati” zelò la sua metà responsabile “non ti chiami così solo te, lo sai, vero?”.

“Oh, chi se ne importa!” replicarono lei e la sua parte pettegola in coro.

Con un sonoro ‘strap’ stracciò la busta, ne tirò fuori il contenuto e si mise a leggere con occhi voraci.

Cominciò la lettura con un’espressione seccata, che si tramutò ben presto in stupita, passando poi per assumere un cipiglio scandalizzato, ed infine meditabondo.

Blaise Zabini.

C’era da aspettarselo, chi altri scriverebbe a Malfoy, esclusi Blaise, forse Nott, ed i suoi genitori?

Cercò con tutta sé stessa di soprassedere sul fatto di essere stata nominata ben due volte e con due spiacevoli paragoni allegati ogni volta, e si impose di ragionare.

Era evidente che quel mentecatto di Zabini credesse fermamente che Malfoy si trovasse a casa sua, e questo spiegava come mai la lettera fosse finita nella sua cucina.

Bene.

Versò nel più completo silenzio per ancora qualche minuto, prima di sorridere in modo inquietante e di voltarsi verso la civetta, che ancora non si era mossa di un millimetro, in attesa di una risposta da portare al suo padrone.

Voleva una risposta?

Perfetto.

Si alzò e scomparve nell’ingresso, tornando poco dopo con una piuma decisamente enorme e singolare, un calamaio ed una pergamena  stretti in mano. Poggiò tutto il materiale sul tavolo eccetto la piuma, che si rigirò fra le dita; sul dorso, piccola ma chiara, una scritta citava: “piume correggi-calligrafia dei Tiri Vispi Weasley: pensa attentamente a qualcuno mentre scrivi, e magicamente la sua calligrafia apparirà sulla pergamena al posto della tua!”.   

Ignorando totalmente la voce interiore che le urlava di non farlo, cominciò a scarabocchiare qualche parola, dapprima incerta, ma acquistando man mano più sicurezza –ed un cipiglio sempre più determinato-.

 

“Caro Zabini,

sono felice che tu te la stia allegramente spassando in Italia mentre io sono qui circondato da pezzenti”.

 

Si stupì della propria abilità di mentire e gongolando riprese.

 

“Tuttavia, sono felice che tu abbia degnato della tua attenzione. Meglio tardi che mai, è vero, ma se avessi aspettato  un altro po’ a farti vivo la tua civetta avrebbe trovato solo il mio cadavere in decomposizione.

Comunque, ovviamente accetto il tuo invito per Capodanno. Sarò costretto a trascinarmi dietro anche la Granger, ma questo è il patto, e non ho scampo, lo sai anche tu.

Per i Weasley  di sesso maschile non devi preoccuparti. La donnola passerà il Capodanno con alcuni Grifondoro non voglio nemmeno sapere dove e a fare cosa.

Purtroppo, c’è un piccolo problema con la Piattola…”

 

«Oh, ma chi me lo fa fare» cedette per un momento la rossa, fissando con sdegno il soprannome che quei menomati le avevano affidato anni prima e con cui lei stessa, ironia della sorte, si era ritrovata ad apostrofarsi.

Ripreso coraggio, continuò imperterrita.

 

“…e San Potter. La Mezzosangue si rifiuta di venire senza loro due, ed io non posso di certo venire da solo, vista la situazione.

Quindi credo che dovrai fare un’eccezione ed ospitare anche loro –nemmeno io faccio i salti di gioia, credimi, ma se vuoi che io ci sia, questa pare sia la condizione.

In un'altra situazione non sarei stato così permissivo, ma non ho scelta.

Sai bene che voglio essere presente alla tua festa –darei un braccio per rivedere qualcuno che mi faccia ricordare chi sono e a quale mondo appartengo- quindi, mio caro Blaise, rassegnati, perché io il 31 dicembre sarò lì, con tanto –ahimè- di Mezzosangue Zannuta, Piattola Weasley e San Potter al seguito.

Non preoccuparti, ci inventeremo qualcosa per tenerli fuori dai piedi per una sera!

Al 31,

Draco”.

 

La rilesse svariate volte, cercando di mettersi nei panni di Malfoy prima e di Zabini poi: apportò alcune modifiche, cancellò dei passaggi, e alla fine le parve pressoché perfetta.

Non avrebbe sospettato di niente.

O almeno se lo augurava.

Tentando di non farsi assalire dai sensi di colpa dell’ultimo momento, infilò la pergamena ordinatamente nella busta e la consegnò alla civetta.

«Ehm. Da brava, portala al tuo padrone»

Questa la scrutò torva, ma poi si librò in volo e in un istante scomparve all’orizzonte.

Era fatta.

Con un po’ di fortuna, lei ed Harry avrebbero trascorso il Capodanno a villa Zabini.

Era una vita che non partecipava più ad una festa vera e propria, dopotutto, e la prospettiva di trascorrere il 31 dicembre con Molly ed Arthur ad una cena organizzata dai dipendenti del Ministero, come aveva proposto il suo ragazzo poche sere prima (“Oh, andiamo, non sarà male, Ginny!”) non la allettava.

No, non aveva alcun motivo di pentirsi.

Nel giro di due ore Harry si sarebbe alzato, lei l’avrebbe informato con tutta la calma del mondo e lui non avrebbe aperto bocca, perché avrebbe dovuto arrendersi all’evidenza che un party da sballo in una villa da  milionari è di certo più appetibile di una cena di lavoro dove la cosa più emozionante che possa capitare è l’apertura dello champagne alla mezzanotte.

Sì, si disse serena, Harry avrebbe capito.

Restava solo da informare Hermione –e  Ginny ammise che quello, ecco, quello si sarebbe rivelato un compito davvero arduo.

Ad ogni modo -si disse- non c'è la ragione che io la debba avvertire proprio oggi. E' Natale! Ci penserò domani.

E, come se quella fosse una giustificazione universalmente valida, se ne tornò a dormire con la coscienza -più o meno- in pace.

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Sorprese Inaspettate ***


NOTE DELL'AUTRICE (IMPORTANTI DAVVERO, PER UNA VOLTA TANTO- LEGGERE ASSOLUTAMENTE)

Guess who's back? *schiva pomodori marci*

Ebbene sì, dopo una cosa come cinque mesi, sono tornata. E' inutile che sto qui a propinarvi scuse, sappiate solo che davvero, se non ho aggiornato è stato perchè non avevo la minima ispirazione ed avrei rischiato di scrivere uno schifo. E non volevo, ecco.

Invece adesso, avendo sostenuto gli esami e il test d'accesso per l'università, mi sento rilassata ed in pace col mondo, per cui eccomi qui, mi è tornata un po' d'ispirazione.

Magari ho perso un po' di smalto e questo capitolo non sarà granché, magari vi piacerà lo stesso, ma vi prego, in entrambi i casi, anche se non lo merito, fatemi sentire che ci siete ancora, altrimenti dovrò davvero bloccare la storia, se nessuno mi darà segni di vita.

Sappiate solo che vi amo e che mi ci son messad'impegno per scrivere il capitolo. Sappiate che sono le due ed ancora sono sveglia.

Per farmi ulteriormente perdonare, ho deciso di inserire alla fine del capitolo uno "special". Ora vi spiego. In questi mesi ho avuto molto modo di confrontarmi con altri fandom di Harry Potter -essendo stata anche al raduno di Harry Potter-, e molti mi hanno domandato come mai amassi così tanto la coppia DRAMIONE. Beh, io ci ho pensato tanto, e alla fine ho buttatò giù una cosuccia scritta, che ho deciso di inserire a fine capitolo. 

E' piuttosto seria rispetto al mio modo di scrivere molto frizzante e allegro (spero), però insomma, mi auguro gradiate.

Un regalino di bentornata a me come scrittrice, e a voi come lettori.

Lucia.

Ps: non so quanto passerà di qui al prossimo capitolo, ma di certo non cinque mesi! 

 


 


 

 

Dedico questo capitolo al mio ritorno come scrittrice, dopo cinque mesi.

Lo dedico a voi, se mi avete aspettata, perché vuol dire che qualcosa la mia storia vi ha lasciato.

E lo dedico alla coppia che amo con anima e corpo -alla Dramione, alla quale non rinuncerò mai, cascasse il mondo.

 


Capitolo V

Sorprese inaspettate 

 

 

 Quando Hermione e Draco si separarono, in una viuzza affollata del centro, nessuno dei due aveva minimamente intenzione di allontanarsi troppo dal punto in cui si erano dati appuntamento per un’ora dopo, seppur per motivi differenti.

La prima perché non aveva nessuna particolare compera da sbrigare –da persona pignola e previdente quale era, si era già premurata di portare a termine tutte le spese natalizie per tempo-; Draco, dal canto suo, preferiva rimanere nei dintorni giacché –anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto le più atroci torture- avventurarsi in vie sconosciute e affollate da babbani lo disorientava alquanto.

Se si fosse perso, sarebbe morto piuttosto che chiedere aiuto alla Granger –o ancora peggio ad un babbano. Quindi meditò che fosse molto meglio rimanere nei dintorni e cercare di scovare qualcosa di adatto ai suoi genitori nel raggio di cento metri.

Non appena si fu accertato che Hermione fosse scomparsa dalla sua vista, Draco tirò un sospiro di sollievo e si concesse di dare una breve occhiata alla via in cui si trovava. Sembrava decisamente molto frequentata ed anche piuttosto alla moda: la Mezzosangue aveva più buon gusto di quanto si sarebbe aspettato.

Leggermente più a suo agio, azzardò qualche passo in avanti, verso un negozio che aveva attirato la sua attenzione. Sull’insegna di ottone spiccava la scritta “gioielleria”.

Una gioielleria. Bene, perfetto. Avrebbe di sicuro trovato qualcosa di adatto a sua madre lì dentro, ne era certo. Narcissa aveva un debole per gli oggetti preziosi e tremendamente dispendiosi. E non importava se ne possedeva già a centinaia: Draco aveva imparato che, per una donna di buona famiglia, i gioielli non erano mai abbastanza.

Varcò la soglia del negozio con passo deciso e si ritrovò all’interno di un ambiente insolitamente gradevole. Stranamente, lui sembrava essere il solo cliente. E quella, a dirla tutta, adesso che la guardava meglio, non sembrava nemmeno una gioielleria. Non vi erano vetrine stracolme di ornamenti preziosi, né signore imbellettate a caccia di una collana o un nuovo braccialetto di diamanti (ad onor del vero, non c’era nemmeno uno straccio di commesso), né tantomeno Draco riusciva ad avvertire l’inconfondibile odore di denaro che si percepisce di solito entrando in posti come quelli. 

Piuttosto, gli sembrò un negozio di antiquariato, o di chincaglierie.

Uno spesso strato di polvere ricopriva gli scaffali di legno e gli oggetti che vi erano posati, così come il bancone, disordinato e ingombro.

Sopra ad un tavolino, in un angolo della stanza, erano buttati alla rinfusa orologi da taschino, medaglioni di metallo, braccialetti dal valore pressoché nullo e anelli di ferro con pietruzze incastonate che avevano tutta l’aria di essere più finte dell’occhio di Moody.

Con la strana sensazione che effettivamente quello non fosse il luogo più adatto per acquistare il regalo di Narcissa, Draco si apprestò ad uscire, quando una vocina roca e quasi inudibile lo costrinse a fermarsi ad un passo dalla porta.

«Salve, giovanotto»

Draco Malfoy si voltò lentamente, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo guizzante in cerca della proprietaria della voce. Finalmente, da una porticina dietro il bancone, vide spuntar fuori un’anziana donna, apparentemente vecchia come il conte Dracula o forse anche di più. Indossava uno straccio color topo che definire vestito sarebbe stato un affronto –o perlomeno nell’ottica di un Malfoy, lo sarebbe stato- e portava i capelli brizzolati legati in una crocchia sulla nuca.

Un reticolo di rughe le attraversava il volto olivastro e le mani dalle dita snelle, e degli occhiali tondi erano calati sul naso adunco.

A Draco parve la vecchina più brutta che avesse mai visto.

«Mi scusi, ma lei chi è?» le domandò, raddrizzando la schiena e sollevando il mento.

L’anziana ridacchiò.

«Giovanotto, questa domanda dovrei rivolgerla io a te, dato che ti trovi nel mio negozio, non credi?» gli fece diplomaticamente notare poi.

Rifiutandosi categoricamente di perdere uno scontro verbale con un’ultracentenaria, il ragazzo arricciò le labbra e incrociò le braccia al petto con aria indignata.

«Gliel’ho chiesto prima io»

Stava violando almeno un centinaio di regole della buona educazione e sapeva di essere totalmente in torto, ma ovviamente questo non aveva la minima importanza.

«Sei insolitamente maleducato, ragazzo» lo apostrofò la signora seppur senza sembrare in collera «ma mi piaci, quindi ti dirò chi sono. Il mio nome è Astrid, e sono la proprietaria di questo negozio. Ora, di grazia, potresti farmi l’onore di rivelarmi il tuo nome?».

Draco socchiuse gli occhi e si maledisse per aver messo piede lì dentro. Non aveva tempo da perdere, dannazione.

«Il mio nome è Draco Lucius Malfoy, e mi scuso per il disturbo, ma me ne stavo giusto andan-»

«Draco Lucius Malfoy?» lo interruppe, ridacchiando di nuovo «santo cielo, che nome tremendo per un ragazzo così giovane!»

Colpito nel vivo, Mafoy dimenticò ogni intenzione di abbandonare il negozio. Tremendo, il suo nome? Quella matusalemme avrebbe fatto meglio a ricredersi o, per Salazar, l’avrebbe trasformata in cibo per ippogrifi prima che facesse in tempo a dire “cioccorana”.

Boccheggiò per qualche secondo prima di ritrovare l’uso della parola.

«Ma come si permet-»

«Oh, suvvia» lo interruppe di nuovo lei «non ti sarai mica offeso?»

«Ovviam-»

«Vieni qui ragazzo, ti offro un the»

«Assolutamente n-»

«Sai, non ho mai molti clienti»

«Inspiegabile dav-»

«Avanti, non mord-»

«Per le chiappe di Merlino, HO DETTO DI NO!» proruppe Draco che, stanco di essere bloccato sempre a metà frase, aveva cominciato a perdere la poca pazienza che madre natura gli aveva concesso. Maledetti babbani, trovano sempre un modo per risucchiargli tutte le energie. «Non voglio il suo dannatissimo the! Io non bevo the! Io non bevo the con i babbani! Io… non bevo!».

Ansimò cercando di calmare il respiro irregolare. Dio, perché a lui? La reclusione con la Granger non era già abbastanza?

Si passò una mano fra i capelli e poi sulla fronte.

Doveva andarsene da lì. Cosa voleva in cambio della sua libertà? Dei soldi? Glieli avrebbe dati.

Oppure avrebbe potuto fuggire… in fondo, era ad un passo dalla porta.

Preparò le sua gambe a scattare verso l’uscita e  contò mentalmente.

Uno, due, e tr- …

«E va bene, Draco»

Non era possibile.

«Cosa? Cosa va bene?»

Astrid diede una scrollata di spalle.

«Volevo solo essere gentile, ma capisco che hai fretta di andartene. Posso chiederti solo una cosa, prima che tu vada?»

Suo malgrado stupito, Draco annuì. Almeno non era costretto a darsela a gambe come un fuggiasco.

«Come mai sei entrato qui dentro? Cercavi un regalo di Natale?»

Malfoy annuì di nuovo.

«Per qualcuno in particolare?»

«Per mia madre. Ma non credo di trovarmi nel posto adatto. Lei ha gusti più… ricercati».

Come da copione, lei ridacchiò.

«Capisco, capisco. Ma se posso permettermi, perché non dai uno sguardo agli scaffali? Potresti trovare qualcosa per la tua ragazza».

Ragazza?

«Veramente io-»

«Non dirmi che non ce l’hai»

«Effettiv-»

«Non ci credo! Avanti, guardati pure intorno!»

Draco sentì qualcosa di molto simile all’odio pervadergli ogni singola parte del corpo.

E va bene. Avrebbe comprato una di quelle stupide cianfrusaglie e se ne sarebbe andato di lì. Aveva in tasca qualche sterlina (“sei pazzo Malfoy? Nella Londra babbana coi galeoni? Da’ qua, te li trasfiguro io!”), gli sarebbe bastato. Non avrebbe nemmeno dovuto metter mano al portafogli nel senso stretto del termine. 

Rassegnato, cominciò a girovagare per il negozio sotto lo sguardo vigile della proprietaria, classificando mentalmente ogni oggetto che gli capitasse sott’occhio.

Orribile, tremendo, pacchiano, babbano, inutile, oh mio dio, e questo cos’è?, improponibile, incommentabile, orren-… no.

Qualcosa catturò la sua attenzione.

Allungò una mano verso l’oggetto, afferrandolo con delicatezza. Era una collana in finto oro, dalla quale penzolava un ciondolo rosso a forma di fiammella.

Non doveva valere più di cinque sterline, ma era diverso dalla spazzatura che aveva visto finora. C’era qualcosa, in quella collana, di prezioso, nonostante l’effettivo poco valore economico.

La scrutò attentamente, facendola oscillare. In quell’istante, un debole raggio di sole passò dallo spiraglio della porta semichiusa e si andò a posare sulla pietra, facendole assumere un’affascinante sfumatura di arancio.

Draco strinse il ninnolo nella mano.

Di certo non era adatto per sua madre, eppure… il lampo di un’idea gli attraversò gli occhi chiari. Un’idea così assurda che per un attimo pensò bene di posare la collana ed andarsene, ma che continuò a stuzzicarlo seppur in tutta la sua assurdità.

Alla fine, Draco si riscosse. Si voltò velocemente, certo che se avesse esitato ancora avrebbe finito col cambiare idea di nuovo, e porse l’oggetto ad Astrid.

«Perfetto» annunciò «mi incarti questa. La prendo».

 

 

 ***


 

Se qualcuno avesse chiesto a Draco Mafoy di descrivere a parole proprie il concetto di “Natale”, di certo non avrebbe ottenuto una gran risposta perché diciamocelo, Draco Malfoy non aveva mai provato la calda sensazione di una chiassosa cena di famiglia davanti al caminetto, né l’emozionante rituale dello scartare i regali insieme a mamma e papà sul tappeto davanti all’abete addobbato… ma sicuramente –e su questo potete scommetterci- nell’idea che Draco aveva di “Natale”, non era contemplato nemmeno ciò che stava facendo in quel momento.

Perché in quell’esatto momento, Draco Lucius Malfoy, unico figlio maschio –nonché unico figlio e basta- della casata purosangue dei Malfoy, stava sbucciando dei cetrioli nella cucina di casa Granger  come un qualsiasi elfo domestico, mentre nell’aria risuonava una canzoncina che parlava di renne, slitte, e di un uomo in sovrappeso vestito di rosso che si divertiva ad ostruire i comignoli altrui.

Come si era ridotto a quel modo?

Tagliuzzò l’ennesimo cetriolo –procurandosi l’ennesima ferita-, imprecò, e lo gettò in un recipiente.

Non aveva voluto sentire storie, la Granger, quando le aveva comunicato che non aveva alcuna intenzione di dare una mano con la cena.

«Malfoy, serve aiuto? Le tue mani sembrano un campo di guerra » Hermione gli si avvicinò saltellando. Malgrado tutto, sembrava di buonumore.
Draco non rispose. Continuò imperterrito a tagliuzzare cetrioli, le maniche della camicia arrotolate sugli avambracci, il colletto sporco di verde. Le fece quasi tenerezza, concentrato com’era; non doveva averla nemmeno sentita.

«Malfoy, mi hai sentito? Forse dovremmo farlo insieme» riprovò.

E quella volta Draco alzò gli occhi su di lei, guardandola come se la vedesse allora per la prima volta, reclinando un po’ di lato la testa.

«Come?» domandò poi, sollevando leggermente il labbro superiore e strofinandosi le mani l’una contro l’altra nel tentativo di pulirle. Poi fissò i suoi occhi in quelli di lei. Ed il mondo per Hermione prese a girare più forte per qualche secondo, per poi fermarsi di botto lasciandola barcollante e incerta sulle proprie gambe.

«Mi chiedevo… se ti andrebbe di farlo con me».

 Malfoy alzò un sopracciglio.

«Prego?»

 «N-no, cioè, non in quel senso, io-»

 Calò un lungo silenzio, che definire “pesante” sarebbe stato come definire Bellatrix Lestrange “un tantino disturbata mentalmente”. Draco continuò imperterrito a squadrarla con il naso sporco di cetrioli e l’espressione sbigottita in volto. Stava d’un tratto iniziando a fare enormemente più caldo, o era solo un’impressione di Hermione?

«Granger, amplia, cortesemente, l’espressione “farlo insieme”

Niente. Hermione Granger si ritrovò, per la prima volta nella propria vita, senza nemmeno uno straccio di parola da profferire. Avrebbe voluto essere catapultata nello spazio a velocità supersonica per mai fare ritorno, e vivere il resto dei suoi giorni su un pianeta sconosciuto, ma soprattutto irraggiungibile.

«N-no, voglio dire, nel senso…» indicò con mano tremante il piano da cucina «i miei hanno quasi finito con gli addobbi in salotto, stanno per raggiungerci e…dovremmo darci da fare insieme, ecco».

 Se umanamente possibile, il sopracciglio del biondo di inarcò ancora di più.

 Oh dio, lo aveva detto davvero? Aveva sul serio appena proposto a Draco Malfoy di “darsi da fare insieme”?

«Ah, ecco» osservò il serpeverde, storcendo la bocca in una smorfia che minacciava tanto di dover prorompere in una risata da un momento all’altro.

Certa di non poter dire niente di più imbarazzante ed inappropriato, Hermione tentò di nuovo.

 «NO! Intendevo… » afferrò un cetriolo ancora intatto «magari ti serve una mano. Per te è la prima volta, io invece ho già esperienza coi cetriol- no, cioè… a volte possono essere dur-… no, volevo dire…».

La situazione le stava sfuggendo di mano.

Draco se ne stava appoggiato al bancone, rigirandosi beatamente un coltello tra le mani, un ghigno in volto.

Se la stava spassando, non c’erano dubbi.

«Ah però, Granger!» fu il suo commento «che audacia!»

Le si avvicinò di scatto, cogliendola impreparata, costringendola contro il marmo freddo del piano cottura. Aveva posato il coltello, ed ora le sue mani erano poggiate ai due lati del busto di Hermione.

La ragazza arrossì, trattenendo il respiro. Non poteva credere che Malfoy avesse davvero frainteso.

Ma no che non ha frainteso, brutta idiota!, -pensò poi- si sta prendendo gioco di te, e tu gli hai servito l’occasione su un piatto d’argento!

Ah, odiava la sua ingenuità.

Ed odiava Malfoy.

Sì, senz’altro lo odiava.

E allora perché non reagiva? Perché sembrava che ogni arto del suo corpo fosse incapace di muoversi? Perché il respiro di Malfoy sul collo le procurava uno strano calore all’altezza del petto?

«M- Malfoy» trovò la forza di dire infine «non è che potresti scansarti? »

E così dicendo gli rifilò una debole gomitata nelle costole.

Draco ghignò di nuovo e si spostò…

… si spostò con il busto ancora più vicino alla ragazza, annullando quasi ogni distanza tra i loro due corpi.

Le sue mani affusolate artigliavano ancora il bancone, ma stavolta con forza, tanto che le nocche sbiancarono, e i muscoli delle braccia si tesero sotto alla camicia.

Portò le labbra all’orecchio di Hermione, strusciando il naso contro il suo collo avvolto in parte da un maglione.

«Malfoy» ripeté lei, con la disperazione nella voce «togliti. Sai benissimo che io non intendevo- »

«Oh, ma io so benissimo che “tu non intendevi”, Granger» le sussurrò con tono appena udibile «ma questo non significa certo che io non intenda».

Hermione smise di respirare.

Forse anche il tempo smise di scorrere, forse anche la terra cessò di girare, e la radio interruppe la gioiosa carola di Natale che stava intonando.

Tutto si fermò per qualche secondo, anche la capacità della ragazza di ragionare a mente fredda.

Draco allungò una mano verso i suoi capelli e ne artigliò senza troppa forza una ciocca, tenendola tra il pollice e l’indice.

Le sue mani erano ancora sporche di verdura, ma chissà perché, ad Hermione non importò.

«Sai, mezzosangue, ho sempre pensato che…» mormorò contro il suo orecchio.

Cosa? Cosa aveva sempre pensato?

E perché improvvisamente le interessava?

«Cosa?» si ritrovò suo malgrado a chiedergli, maledicendosi subito dopo.

«Ho sempre pensato che…» si spostò lentamente con le labbra dall’orecchio allo zigomo.

«Che… ?»

Dio, perché lo assecondava?

Abbandonò lo zigomo e si mosse verso le sue labbra, con estrema calma.

«Ho sempre pensato che…» ripeté per la terza volta, senza smettere di attorcigliarsi i suoi capelli fra le dita. «Ho sempre pensato che…» ormai erano quasi labbra contro labbra.

Hermione si sforzò di non tremare e di non abbassare gli occhi.

Qualsiasi cosa, ma non abbassare  lo sguardo.

 «… che i tuoi capelli siano la cosa più orribile che io abbia mai visto. E credimi, ne ho viste di davvero brutte.»

CHE COSA?

Le si staccò di dosso repentinamente, mollando la presa sui suoi capelli e lasciandola ansimante e totalmente sotto shok appoggiata al bancone.

Non poteva averlo detto davvero.

Ci doveva essere un errore.

Eppure, avrebbe dovuto aspettarselo.

Era Malfoy.

Malfoy.

Malfoy, che adesso se la stava sghignazzando allegramente davanti a lei, fissandola di sbieco da sotto un ciuffo di capelli biondi che gli era scivolato davanti agli occhi.

Ah, gli avrebbe bruciato tutti quei dannati capelli ossigenati, e lo avrebbe fatto il prima possibile!

Sfoderò la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans e gliela puntò contro con veemenza, proprio in mezzo agli occhi. In quel momento, sarebbe stata davvero in grado di fargli saltare in aria la testa, e al diavolo il Natale e le buone intenzioni!

«Tu!» gli intimò.

«Io?» domandò lui con finta innocenza, per niente intimorito dall’avere una bacchetta puntata addosso ed una strega pronta ad ucciderlo proprio lì davanti a sé.

«Tu, brutto-» si bloccò, in cerca di qualche offesa abbastanza pesante o abbastanza volgare. Non riuscendo a trovarla, proseguì: «Tu, brutto… idiota!»

Draco rise forte.

«Seriamente? Idiota è l’offesa migliore che riesci a tirar fuori? Credevo di averti fatta adirare un bel po’!»

«Io- io giuro che ti uccido!»

Eppure, nel dire ciò, rinfoderò la bacchetta.

Prese un respiro profondo e gli voltò le spalle, poi chiuse gli occhi. Le serviva calma. Doveva restare calma. La calma era la virtù dei forti. E lei era calma, era calmissima, emanava calma da ogni poro della sua pel-

«Cosa c’è, Granger? Non è che hai creduto per davvero che volessi baciarti? Era solo uno scherzo, non te la prend-»

E poi lei lo colpì. Proprio come al terzo anno, proprio nello stesso modo, proprio nello stesso punto. Un bel pugno bene assestato al naso.

In fondo, se la prima volta era andata a segno, perché cambiare tecnica?

Malfoy incassò il colpo vacillando appena, ma un preoccupante “crack” all’altezza del setto gli fece temere seriamente per le sorti del suo naso. Portò una mano alla parte lesa, poi tutte e due, poi le ritrasse.

Sul palmo di ognuna di esse e gocciolante dalle narici fino al labbro superiore, scorreva del sangue.

«Du zei gombledamende folle» sibilò Malfoy in un tono che sarebbe dovuto risultare minaccioso ma che riuscì a sembrare soltanto comico. Evidentemente il pugno aveva rotto qualche osso, perché la voce di Draco era terribilmente nasale «Du zei dodalmende malada, zei un gaso glinico, zei da rigov-»

«Hermione? Paco?»

I coniugi Granger si affacciarono alla porta della cucina.

«Ber l’amor di dio, non mi ghiamo Bago! Mi ghiamo Drago!» esclamò Malfoy, continuando a sanguinare.

Aveva tutta l’aria di essere appena uscito da un’arena di gladiatori.

«Oh cielo!»

La signora Granger proruppe in un urlo terrorizzato.

«Oh cielo, oh cielo! Ma cosa-? Bob? » si aggrappò alla manica del maglione del marito e cominciò a tirarla furiosamente. «Bob, Paco è ferito!»

«Lo vedo, Jean, lo vedo!» si staccò dalla moglie in preda ad una crisi isterica e si avvicinò ai due ragazzi. «Hermione» chiese alla figlia, ignorando del tutto Malfoy «cos’è successo al tuo amico?»

«Beh, papà, veramente…»

«AZZAZZINA!» provò a dire la sua il serpeverde, tra un fiotto di sangue e un altro.

Hermione lo freddò con un’occhiata e si rivolse al padre.

«Beh, ecco… stava… hmm… stava prendendo una pentola dalla credenza lì in alto, ma la pentola è scivolata e gli è finita sul naso».

Dalla soglia della porta, Jean trattenne teatralmente il respiro e si sventolò col grembiule a fantasia natalizia.

Nessun padre avrebbe creduto ad una scusa del genere, soprattutto vedendo l’aria colpevole della figlia, e soprattutto considerando che loro le pentole le tenevano negli scaffali in basso appena sotto al lavandino, e non nella credenza.

Ma Bob Granger non aveva mai dubitato della sua pargoletta in vita sua, e non avrebbe cominciato di certo allora.

«Capisco, capisco…» borbottò, degnando finalmente il ferito di attenzione. «D’accordo, Paco»

«Drago»

«Sì, quello che ho detto» assottigliò gli occhi, gli afferrò un polso e lo costrinse a lasciargli esaminare il naso- che somigliava ormai più che altro ad una rossa sporgenza sanguinolenta. «Non sembri avere niente di rotto. Se lo avessi avuto, a quest’ora saresti steso per terra agonizzante»

Draco si domandò con una punta d’ansia se Bob Granger conoscesse il senso delle parole “ferito gravemente” e “necessitante di un medico”.

«Ad ogni modo» continuò l’uomo «seguimi di sopra, dovrei avere la cassetta del pronto soccorso in camera. Jean cara, vai a prendermi degli asciugamani puliti».

La donna annuì e sparì velocemente.

Bob si avviò a sua volta in direzione delle scale che conducevano al piano superiore, fermandosi dopo il primo scalino e voltandosi verso sua figlia e Malfoy.

«Hermione, metti del ghiaccio sul naso di quel povero ragazzo sbadato, poi mandalo da me».

E così dicendo sparì su per la scalinata a chiocciola.

Rimasti soli, Hermione e Draco si fissarono in silenzio per qualche secondo. Poi la ragazza sembrò riscuotersi, si diresse verso il congelatore, prese un pacco di piselli surgelati e lo passò a Malfoy.

«Sappi che sto cercando di non dire nulla per fare in modo che tu non trovi doppisensi anche in questi piselli che tengo in mano»

Dannazione.

«Granger»

«Malfoy»

«Dammeli e basta»

«Okay»

«Malfoy?»

«Granger?»

«Mi spiace»

«Lo spero bene!»

«Gi –ehi, aspetta un attimo. Questo non dovrebbe essere il punto in cui anche tu di scusi?»

«Dovrebbe?»

«ESATTO, dovrebbe»

Draco si spalmò meglio il pacco di surgelati sul naso con una mano, e frugò in tasca con l’altra.

Dopo qualche tentativo, ne estrasse un pacchetto dorato decorato con un nastro verde smeraldo.

Glielo porse senza guardarla.

«E questo cos’è?»

«Tu cosa ne dici?» le domandò.

Almeno la voce gli era tornata normale. Sarebbe stato tutto meno imbarazzante.

«E’ –è un regalo?»

«Certo che no»

«Ah»

«Per Salazar, Granger, certo che è un regalo! Cosa vuoi che sia così impacchettato? Ti decidi a prenderlo o vuoi che rimanga così ancora per molto?»

Titubante, Hermione prese il pacchetto e se lo rigirò tra le dita.

«M –ma io credevo che fossi andato a comprare qualcosa per i tuoi»

Draco rotetò gli occhi.

«E l’ho fatto. Senti, è una lunga storia, lo vuoi questo regalo, o no?»

«Certo che sai donare con così tanta grazia!»

«Mi hai appena spappolato il naso!»

«Se tu non avess –oh, al diavolo, ci rinuncio. Beh, grazie, Malfoy. Io però non ho un regalo per te» abbassò il capo, imbarazzata «a dire il vero ci avevo pensato, ma poi… non potevo sapere…»

«Granger, falla finita. Sono tuo ospite, ti ho comprato un regalo. E’ il bonton. Ora, prima che tuo padre scenda a reclamarmi, mi vuoi fare la cortesia di aprirlo? » sbottò.

Ed Hermione lo aprì. Strappò appena la carta bicolore –un detto babbano recita che non strappare la carta di un regalo arreca disgrazie- e scoprì che rivestiva una scatolina di legno, semplice, senza fronzoli, senza decorazioni superflue.

Le piacque.

Esitando appena, fece scattare il coperchio della scatola all’insù.

Adagiata su un cuscinetto bianco, c’era una collana.

Non aveva l’aspetto costoso ma, se lo avesse avuto, ad Hermione non sarebbe piaciuta di più.

Scoprì di amarla già dal primo sguardo.

Innanzi tutto, amava il colore del ciondolo.

Rosso. Una fiamma rossa, per la precisione. Non seppe spiegarsi il perché, ma sapere che Draco –Draco Malfoy!- avesse pensato a lei scegliendo quella collana le scaldò il cuore.

La catenina era dorata, fina, quasi invisibile.

Era bellissima.

«Alla luce del sole diventa arancione» la informò bruscamente Draco, posando il pacco di piselli vicino al lavandino, una volta accertatosi che il sangue avesse smesso di fluire.

«E’ –è stupenda»

«Bene»

«Malfoy…»

«Che c’è?»

«Grazie»

«Figurati»

Con mani tremanti, Hermione sollevò la collana e se la poggiò sul collo. Il ciondolo le ricadeva esattamente tra i seni, all’altezza del cuore.

Incerta, si rivolse al ragazzo.

«Malfoy, potresti… ti dispiacerebbe allacciarmela?»

Draco sgranò gli occhi, poi li sbatté, poi scrollò le spalle.

«Certo»

Si portò alle spalle della Granger e prese dalle sue mani i due estremi della collana. Quando Hermione fece per scostarsi i capelli da un lato, lui le bloccò con gentilezza il polso.

«Lascia, faccio io»

Le sfiorò il collo e le spostò i capelli su una spalla. Lei sussultò al tocco delle sue mani fredde.

Draco armeggiò due secondi con il gancetto della catenina, poi finalmente la lasciò penzolare al collo della ragazza.

«Bene» le disse, aggirandola di nuovo e, stavolta, avviandosi verso le scale.

Hermione lo fissava, in una mano ancora la carta strappata.

«Bene» gli rispose meccanicamente «Allora, grazie, Malfoy»

«Di niente, Granger» titubò un istante «Sai, quella –quella collana… ti dona».

«Ah»

«Già. Beh, meglio che vada a medicare il mio povero naso, adesso. Una pazza ha pensato bene di usarlo come sacco da boxe».

La giovane rise sommessamente, guardandolo arrancare su per i gradini.

«Malfoy!»

«Che c’è, Granger?» domandò lui senza voltarsi.

«La carta da regalo… verde e oro, è davvero un pugno in un occhio»

Draco sorrise, ma lei non poté vederlo.

«Spero che tuo padre sappia come riaggiustarmi il naso Granger, o gli farò causa» -disse soltanto.

Poi, riprese a camminare.

Verde ed oro –si ritrovò ancora a pensare Hermione, sola nella grande cucina- che abbinamento infelice.

Però poi ripiegò accuratamente la carta e, passando davanti al cestino dei rifiuti, lo ignorò e se la infilò in tasca.


 

 

***

 

 

Erano le nove quando finalmente Draco fu –più o meno- rimesso in sesto e tutti poterono sedersi a tavola per la cena.

Dopo una giornata così piena, niente avrebbe potuto riassestare Hermione meglio di un buon pasto.

E si sentiva più tranquilla dopo essersi accertata che un dito di Draco non fosse accidentalmente finito nell’insalata di cetrioli.

Scostò la sedia dal tavolino, godendosi l’odore di tortellini in brodo proveniente dalla cucina.

«Hermione!»

Jean irruppe nella sala da pranzo trafelata, i capelli spettinati, le guance arrossate.

«Hermione cara, è arrivato un gufo per te proprio cinque minuti fa! »

«Un gufo per me? La sera di Natale?»

Jean annuì.

«Sì, e sembrava piuttosto affaticato, povera bestiola. E’ lì fuori che aspetta una risposta a questa». E, così dicendo, le porse una lettera piuttosto stropicciata.

Hermione fece il giro del tavolo ignorando l’occhiata sospettosa di Draco –che aveva insistito per sedersi a capotavola- e strappò la busta dalle mani della madre.

Era di Ginny.

Ginny?

L’aprì con poche, veloci mosse, e si accinse a leggerla.

Sperò con tutto il suo cuore, fino all’ultimo, che fossero solo dei semplici, banali, innocui auguri natalizi.

 

“Cara Hermione,

penso di aver combinato un casino, e di aver messo in mezzo anche te e Malfoy. TI PREGO, non arrabbiarti, adesso ti spiego…”

 

Come non detto.

 

 

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Nota "special dell'autrice" (se avete letto la nota iniziale capirete, sennò... andatevela a leggere u.u):

 

In molti mi hanno domandato cosa mai ci trovassi di romantico o di bello in una coppia così inverosimile come la Dramione.

Perché diciamocelo, mie care compagne di fandom, può sembrare davvero una coppia campata in aria agli occhi dei più. Beh, non ai miei. Non me ne starò qui ad elencare i “101 motivi per cui shippare Dramione” o baggianate del genere, perché in realtà trovo che i motivi per cui amare Draco ed Hermione insieme siano molti di meno, ma molto più profondi.

Amo Draco ed Hermione perché l’uno è molto migliore di quanto voglia ammettere egli stesso, e l’altra a propria volta nasconde una parte oscura che non potrebbe svelare a nessun altro, se non a lui.

Li amo perché in fondo sono sempre stata una patita delle storie travagliate, perché penso che un amore sudato, dato per sbagliato e per innaturale –impossibile- fin dall’inizio sia molto più stimolante da raccontare.

Li amo perché sono fermamente convinta che l’odio possa essere tramutato in amore, gli schiaffi in baci, le labbra arricciate per il disgusto in labbra schiuse per la passione; perché in fin dei conti nessuna purosangue imbellettata saprebbe stare al fianco di Draco, così come nessun Ron, nessun Harry, nessun Krum e nessun McLaggen potrebbero tenere testa ad Hermione.

Perché due fuochi che ardono così voracemente rischierebbero di spegnersi se fossero lontani l’uno dall’altro. Perché l’immagine di loro due insieme mi colma il cuore. Perché alla fine sono una coppia così assurda che potrebbe persino funzionare. … O no?

 

Baci,

Lucia.

 

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Capitolo 7
*** 7. Capitolo VI - La Parte Migliore ***


 

A Baba, come sempre, con tanto amore.

 

 

Capitolo VI

 La parte migliore

 


Quando solitamente le persone giudicavano Draco Malfoy come un ragazzo “un tantino permaloso e un pelino viziato” (in maniera del tutto infondata, a sentire il suddetto), di solito ricorrevano ad un eufemismo, e pure bello grosso. Perché Draco Malfoy non era di certo permaloso: Draco Malfoy era semplicemente prontissimo ad evirare seduta stante qualunque essere che gli rivolgesse una qualsiasi critica costruttiva o, peggio ancora, che gli facesse notare giusto un difettuccio o due che avrebbe potuto correggere per il suo bene –e per il bene di chi gli stava intorno.

E, per dirla tutta, Draco non era nemmeno viziato: banalmente, riteneva –con un’ingenuità a volte disarmante– che tappeti di seta rossa dovessero essere srotolati ai suoi piedi e foglie di palma sventolate di fronte al suo naso da sudditi devoti (possibilmente babbani o mezzosangue), mentre lui se ne stava su un trono d’oro massiccio con una corona di alloro in testa a lamentarsi di quanto fosse dura la vita.

O almeno, questa era la visione che Hermione Granger aveva avuto fino a poco tempo prima (a onor del vero, fino a qualche minuto prima).

Perché, seppur con reticenza, la ragazza dovette ammettere di essersi leggermente ricreduta sul conto del Serpeverde.  D’altronde (si era detta con convinzione dopo un iniziale momento di spaesamento), siccome è risaputo che solo gli stupidi non cambiano idea, e lei era senza dubbio una ragazza intelligente, in fondo non c’era nulla di male. Ovviamente, ci tenne ad assicurare alla propria coscienza, il suo mutamento piuttosto repentino di opinione non aveva niente a che vedere col fatto che lui le avesse regalato quella collana per Natale –assolutamente no! –, e nemmeno col fatto che si sentisse ancora vagamente in colpa per avergli causato una frattura del setto nasale la sera del 25 dicembre –se lo era meritato! –.

Semplicemente, fu costretta ad ammettere che Malfoy sembrava avere più spirito di adattamento di quanto gliene avesse mai attribuito e che –ma questo non lo avrebbe confessato nemmeno se ne fosse valsa l’incolumità dell’intera biblioteca di Hogwarts– il biondastro possedeva addirittura più sangue freddo di quanto ne possedesse lei stessa.

E ce ne voleva.

Tuttavia, quando Hermione osservò meglio Draco intento nella lettura della missiva di Ginny, sotto lo sguardo interrogativo e leggermente apprensivo dei due coniugi Granger, la giovane ritenne appropriato ravvedersi nuovamente su Malfoy.

Forse, dopotutto, non si trattava di nervi saldi.

Effettivamente, studiandolo mentre sbiancava ad ogni riga e esaminando con leggera inquietudine il suo tic all’occhio destro, giunse alla conclusione che Malfoy stesse piuttosto avendo una paresi cerebro-facciale, e che se fosse stato in grado di muoversi o di agire secondo le proprie volontà  si sarebbe affogato senza remore alcuno nei tortellini in brodo che galleggiavano ancora caldi nel piatto di fronte a lui.

Soppesò per un attimo l’idea di esaudire il suo desiderio (era sempre stata una persona magnanima), e stava giusto calcolando rapidamente se il brodo nel piatto del ragazzo fosse sufficiente per annegare chicchessia, quando una meticolosa vocina nella sua testa le suggerì che magari non era esattamente il momento più appropriato per covare istinti omicidi verso qualcuno.

O perlomeno, una volta tanto, non verso Draco Malfoy.

Riscuotendosi, Hermione rivolse la sua attenzione proprio a quest’ultimo, sperando suo malgrado che desse qualche segno di vita.

«Malfoy?»

Niente.

La signora Granger si avvicinò titubante al suo ospite, sfiorandogli lievemente una spalla. Bob, dal canto suo, incurante dello stato di shock in cui versava il poveretto, catturò un tortellino col cucchiaio e se lo portò alla bocca, provocando un fastidioso rumore di risucchio.

«Paco? Paco, stai bene?» tentò Jane, scuotendolo appena.

Malfoy continuò imperterrito a fissare la sua porzione di tortellini-ormai-non-più-così-caldi, stringendo la lettera così forte che le sue nocche cominciarono a sbiancarsi e un poco promettente rumore di pergamena accartocciata si diffuse nella stanza. Aveva decisamente tutto l’aspetto di qualcuno pronto a commettere un delitto –o un suicidio.

Hermione constatò che la situazione si stava mettendo davvero male, se sua madre lo aveva chiamato Paco e lui non aveva avuto la benché minima reazione.

Se possibile, un Draco apatico le sembrò ancora più insopportabile di un Draco in condizioni normali. Prendendo un profondo respiro, Hermione Granger si alzò da tavola, spingendo via con malagrazia la sedia di legno; con altrettanta malagrazia scansò sua madre, e con decisamente molta malagrazia afferrò il biondo per una spalla e cominciò a scuoterlo veementemente. Per quattro o cinque secondi, Malfoy sembrò ancora immerso nel suo regno di apatia e rimase passivo ai forti scossoni della ragazza. Poi, quando un dito della suddetta gli si piazzò esattamente a cavallo di un nervo del collo, con un grido ed un’imprecazione indiscutibilmente poco garbata si riebbe, mollando la presa sulla pergamena che, ormai ridotta in carta straccia, cadde nel brodo dei tortellini.

Il signor Granger si rabbuiò e si versò un bicchiere di vino rosso. Detestava lo sperpero di cibo. E poi, santo cielo, quel Paco non era un poveraccio? Non mangiava ogni giorno alle mense per i poveri? Avrebbe dovuto portare più rispetto verso un buon piatto caldo.

«Maledizione, Granger!» proruppe Draco, portandosi una mano al collo e massaggiandosi energicamente.

Il signor Granger deglutì rumorosamente.

«Ben svegliato, Draco» lo apostrofò lei «per un attimo avevo sperato che avessi subito uno shock permanente, ma a quanto pare, a giudicare dal tuo forbito vocabolario, sei tornato pienamente in te.»

Sorrise in maniera apertamente forzata, inclinando leggermente la testa di lato.

«Insomma, Hermione, si può sapere cosa sta succedendo qui?» si intromise Bob, che stava onestamente cominciando ad averne abbastanza di ‘quel Paco’. Nemmeno a dirlo, l’idea che per una volta la causa di tanto scompiglio potesse non essere effettivamente Draco non lo sfiorò nemmeno.

Non gli era mai andato a genio, quello lì. E poi, a ben vedere, non gli sembrava così gentile come lo aveva descritto Hermione… solo molto, molto disagiato.

«Sì, Hermione» chiese a sua volta Draco, voltandosi verso l’interpellata «cosa diamine sta succedendo qui?»

Tutto sommato, sembrava essersi ripreso del tutto. A conti fatti, Hermione si pentì di non averlo affogato nel brodo.

Ostentando un’aria sicura e maledicendo mentalmente Ginny in ogni lingua che conoscesse –quindi, circa in quattro lingue-, la giovane recuperò maldestramente la lettera della piccola Weasley, gocciolante e ormai illeggibile, e si schiarì la gola, pronta a lanciarsi in quella che avrebbe dovuto essere una  delle sue arringhe migliori (‘o almeno’, pensò gettando uno sguardo fuggevole e leggermente timoroso a Draco, ‘così dovrà essere se voglio uscirne indenne’).

Assurdamente, nessuno sembrava più interessato alla cena tranne Bob Granger, che era già passato alla seconda portata, fermo nella sua intenzione di non farsi rovinare la cena di Natale e benché meno l’appetito da un biondastro con seri problemi di cognizione.

Jean, ormai rassegnata alla completa disfatta del suo tanto amorevolmente organizzato cenone, tornò a sedersi al suo posto e incrociò le mani sotto il mento, in paziente e tacita attesa di spiegazioni.

«Beh, allora» cominciò finalmente Hermione «prima di tutto, ci tengo a rassicurare i miei genitori, Draco, che non è accaduto niente di grave». Scoccò uno sguardo amorevole a sua madre, che sembrò tirare un respiro di sollievo.

Bob diede una scrollata di spalle.

Se la sua pargoletta diceva che non era niente di grave, allora non c’era da preoccuparsi. Soddisfatto, inaugurò la prima fetta di roast-beaf.

Malfoy fece tanto d’occhi, chiedendosi se per caso la guerra magica non avesse leggermente sfasato la concezione di “grave” della Granger. “Niente di grave”? Quello era l’apocalisse! Non avrebbe lasciato che la mezzosangue sminuisse la drammaticità della faccenda; gonfiò il petto in modo teatrale e puntò l’indice verso Hermione.

«Ma come ti per–»

«Taci» sibilò quella.

«Prego?»

«Sta’ zitto, Malfoy» bisbigliò di nuovo, in un tono così sommesso e strascicato che per un attimo il ragazzo pensò che fosse serpentese. Beh, trattandosi della Granger, non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Preferì non indagare.

Le scoccò un’occhiata fiammeggiante ed abbassò l’indice.

«Dicevo, mamma, papà, che non è niente di così grave» uno sguardo di sfida a Draco «o di così preoccupante. C’è stato semplicemente un –ehm, equivoco, un problema di comprensione tra me, Draco e Ginevra. Finita la cena, provvederemo a risolvere tutto. D’accordo, Draco

Del tutto inaspettatamente, Draco rifletté su come il suo nome suonasse pronunciato dalla Granger. A dire, il vero, il suo nome suonava in modo diverso da persona a persona. In bocca a suo padre, aveva un non so che di ammonitore (“non deludermi, Draco”); in bocca a sua madre, invece, assumeva  un retrogusto di apprensione (“stai attento, Draco”); detto da Zabini, sembrava quasi prendere una sfumatura di amichevole derisione (“lo sai, Draco, che tanto il più avvenente tra noi due sono sempre io!”).

Ma quando era la mezzosangue a pronunciarlo, non avrebbe saputo dire con precisione che cosa gli ricordasse. Sapeva solo che era strano, quasi fastidioso, spesso frustrante. Forse perché aveva cominciato a chiamarlo da poco per nome… o forse perché era un’insopportabile filobabbana maniaca del controllo, isterica e con l’obiettivo di privarlo dei suoi elfi domestici ed insegnargli come si usa un forno a microonde.

 


“Vedi, Draco, questo è un forno a microonde”

“Mi fa piacere”

“…”

“…Ebbene?”

“Non vorresti imparare come si usa?”

“E perché mai dovrei imparare come si usa un corno a cromosonde, Granger?”

“Forno a microonde, Draco”

“Quello che è”

“Serve per cuocere gli alimenti”

“E io che pensavo lo usassi come bidet”

“Non fare dell’ironia, Draco…”


 

Draco, Draco, Draco…

«Draco?»

«Eh?»

Hermione lo fissò dubbiosa. Magari il pugno al naso di prima gli aveva compromesso qualche funzione cerebrale. Magari era diventato incapace di intendere e di volere. In quel caso, si sarebbe presa le proprie responsabilità, oppure lo avrebbe semplicemente abbandonato in un vicolo affidandolo alle cure di un gruppo di barboni e avrebbe negato spudoratamente qualunque implicazione con lui?

«Ti ho chiesto se possiamo parlarne dopo» si decise infine a riformulare, nutrendo la speranza di non dovere arrivare a tanto.

Draco sbatté le palpebre.

«Sai, della questione di Ginny…» specificò lei, gesticolando appena.

«La questione di Ginny…» meditò Malfoy, connettendo qualche sinapsi. «La questione di Ginny!» esclamò poi, come folgorato da un’illuminazione, sbattendo il pugno sul tavolo.

Jean sobbalzò.

«D’accordo» accordò infine il giovane «suppongo che ad ogni modo sarà una faccenda lunga» aggiunse, gettando un’occhiata di traverso alla ragazza.

La Granger annuì vigorosamente. Con la pergamena umidiccia ancora sospesa tra pollice ed indice, si diresse in cucina.

Si udì il rumore di un secchio della spazzatura che viene aperto, poi chiuso, dopodiché Hermione tornò in sala da pranzo decisamente più sollevata.

«Beh, allora, buon appetito?» suggerì incerta.

«Buon appetito, tesoro» chiocciò mamma Granger.

 «Draco, vuoi che ti riscaldi del roast-beef?»

«Col corno a microsonde?» indagò quello diffidente, portandosi il piatto del roast-beaf più vicino in maniera protettiva.

«Come?»

«Hm?»

«Eh?»

«Il corno a micro-cosa?»

«Ahm…»

«… Ma non ti chiamavi Paco, tu?».



***



Alla Tana regnava, come al solito, il caos più completo.

Raggruppati tutti attorno a una tavola da pranzo troppo piccola per tutta quella gente, la famiglia Weasley ed Harry Potter festeggiavano il Natale nel modo che sapevano fare meglio: abbuffandosi come ippogrifi all’ingrasso.

Abituarsi ad un Natale senza Fred, Lupin, Tonks e gli altri non era facile, tuttavia ogni singola persona seduta a quella tavolata si era ripromessa in cuor suo di nascondere per un giorno la tristezza e cercare di godersi quella ricorrenza.

Anche George, seppur visibilmente dimagrito e privo di quella luce che era solita caratterizzarlo fino a poco tempo prima, sembrava sfoggiare un sorriso sereno ed un buon appetito.

Percy, nel suo piccolo, pareva felice di poter essere di nuovo in famiglia. Si versò sorridente dell’altra burrobirra, mentre Charlie continuava animatamente ad esporre  a lui e a Bill la sua teoria sulle proprietà palliative del sangue di drago.

«… e poi c’era questo drago, Bucefalo, per addestrarlo ce n’è voluto di tempo, ma alla fine il suo sangue…»

Bill annuì al fratello, portandosi i bocconi di pasticcio d’agnello alla bocca con una mano, e accarezzando il braccio di Fleur, seduta accanto a lui, con l’altro.

I signori Weasley, posizionati entrambi a capotavola, si sorridevano da un lato all’altro della stanza.

A fianco di Arthur, Ron cercava in tutti i modi di parlare ad Harry e mangiare nello stesso momento. Sfortunatamente, conciliare le due cose sembrava risultare più difficile di quanto avesse previsto.

«Haprpffy» un consistente brandello di pasticcio d’agnello smangiucchiato finì dalla sua bocca direttamente sulla tovaglia. Harry continuò a sorridere educatamente. «Harrppfy, tu pcccofsa ffffai pppfer cappffdffnno?» tossì copiosamente e inghiottì il pasticcio con uno sforzo sovrumano.

Sì batté con vigore un pugno sul petto, assumendo una preoccupante e non tanto lieve sfumatura di rosso. Quando finalmente riuscì a far passare il boccone giù per l’esofago e fu certo che avesse raggiunto lo stomaco senza andarsi ad infilare nelle vie respiratorie, Ron (nemmeno minimamente conscio di aver rischiato la vita per colpa di un pasticcio d’agnello) si affrettò a servirsi del purè e rivolse un sorriso pieno di aspettative al suo migliore amico.

Harry scambiò uno sguardo frettoloso con la sua ragazza, che gli sedeva di fianco.

Ginevra scrollò evasivamente le spalle ed interruppe il contatto visivo, improvvisamente molto interessata ai lembi delle maniche del suo maglione.

Sorvolando momentaneamente sul fatto che era tutto il giorno che veniva intenzionalmente ignorato dalla sua fidanzata (era perché si era addormentato nel suo letto ieri sera? Le aveva già chiesto scusa per averle quasi frantumato il costato a forza di gomitate, ma in fondo se aveva un sonno agitato non era colpa sua!), il giovane salvatore del  mondo magico concentrò di nuovo tutta la sua attenzione sul ragazzo rosso che gli sedeva di fronte.

«Scusa, Ron?»

Non poteva sul serio pretendere che avesse capito anche una sola parola di quel che gli aveva appena detto… vero?

Ronald annuì più volte, masticando del pane.

Pane e purè.

Harry decise di sorvolare anche su quello.

«Dicevo» chiese di nuovo il rosso, sventolando la forchetta «Che fai a Capodanno, Harry?»

Accanto ad Harry, Ginny sembrò sempre più presa dall’esaminare con cura e perizia chirurgica ogni filo e bordatura del pullover di lana.  Ne tastò la morbidezza più volte, facendo scorrere le dita lunghe e pallide sulle maniche.

In cuor suo, sperò che un meteorite cadesse sulla Tana, o che il maglione la inghiottisse e la trasportasse in qualche universo parallelo. Magari un universo parallelo in cui suo fratello si faceva i fatti propri e lei non era così idiota da cacciarsi in un casino come quello in cui si trovava in quel momento.

Harry Potter sorrise smagliante. «Io e Ginny abbiamo deciso di andare alla festa al Ministero con Arthur e Molly.» Il suo tono era quello di un uomo che non ha un dubbio al mondo. Se Silente vestito di foglie di fico gli fosse apparso in sogno comunicandogli che Voldemort era tornato dalla morte per ritirarsi a vita privata alle Hawaii insieme alla McGranitt, rivelatasi in realtà il suo unico vero amore, Harry Potter avrebbe potuto nutrire qualche perplessità, e forse avrebbe persino potuto crederci: in fondo, ne aveva viste di tutti i colori. Ma di una cosa sembrava del tutto sicuro: sarebbe andato a quella festa con la sua ragazza.

Per rafforzare la validità della sua affermazione, allungò un braccio verso Ginny e glielo passò attorno alle spalle, attirandola a sé e facendola cozzare contro il suo corpo.

Il busto di Ginny assunse la consistenza di un blocco di marmo.

«Non è vero, Ginny?» le domandò, senza nemmeno aspettarsi un assenso.

La minore dei Weasley si divincolò dal suo abbraccio e rantolò qualcosa che il suo ragazzo pensò bene di ignorare.

Improvvisamente, il maglione che aveva indosso le sembrò tremendamente stretto.

«Oh» commentò Ron, piuttosto rilassato «meno male che ci vai anche tu, Harry. Papà mi ha praticamente costretto a presenziare a quella dannata cena. Non che io sia obbligato a fare quel che dice mio padre!» ci tenne subito a chiarire, in modo sospettosamente rapido e concitato. Ginevra, riscossasi leggermente, alzò un sopracciglio. «Però insomma, ecco, mi è sembrato scortese rifiutare. In fondo, se ci sarete anche voi due non andrà tanto male!»

Harry si allungò sul tavolo per battergli una leggera pacca sulla spalla.

«Tranquillo, Ron. Io e Gin non vediamo l’ora di–»

«Veramente…» pigolò Ginevra, abbandonando l’osservazione del suo cardigan e arrossendo leggermente. «Ecco, veramente…» cominciò a torturarsi le mani e a mordersi spasmodicamente il labbro inferiore.

E Potter sapeva benissimo che potevano esistere soltanto due possibili situazioni in cui Ginevra Weasley si mordeva il labbro inferiore in quel modo: la prima, quando tentava di sedurlo e persuaderlo (non che si potesse chiamare persuasione poi, data la rapidità e la resistenza pressoché nulla con cui Harry cedeva) a fare sesso, nonostante lui fosse in tremendo ritardo, o incredibilmente occupato. La seconda –e a questo punto Harry represse a stento un alzata di occhi- era quando aveva combinato qualche enorme, catastrofico, immane, gigantesco, incommensurabile… guaio.

Ora, siccome il moro dubitava fortemente che Ginny volesse lanciarsi proprio in quel momento in un amplesso, lì, sulla tavolata natalizia e con i suoi fratelli e i suoi genitori a fare da guardoni, non gli rimase, seppur a malincuore, che contemplare la seconda opzione.

«Ginevra.»

«Harry…»

Il pesante velo della consapevolezza si adagiò cautamente su Harry Potter.

Ronald Weasley, tuttavia, tanto per distinguersi dalla massa, sembrava ancora non averci capito un accidente.

«C’è qualcosa in particolare che ti preme dirmi, Ginevra?» indagò Harry educatamente.

«Beh, veramente… sì» ammise lei, seppur con tono più risoluto.

Che diamine, si disse, Harry aveva praticamente dato per scontato che sarebbero andati insieme a quella pidocchiosa festa al Ministero, senza nemmeno sentire cosa avesse da dire. Non gli era nemmeno balenato in mente che passare una nottata con signori di mezza età non fosse proprio il massimo per una diciottenne… in effetti, non riusciva a concepire ancora come il suo fidanzato potesse essere così entusiasta di presenziare ad un evento del genere.

Con il vago timore di essersi fidanzata con un sessantenne, prese nuovamente la parola.

«Sì, insomma, non sto dicendo che non verrò alla festa al Ministero…»

Due paia di occhi –azzurro l’uno, verde l’altro– la scrutarono in attesa.

«Sto solo dicendo che forse, e dico forse, e quando dico forse non intendo assolutamente che io l’abbia fatto sul serio, perché non vorrei che mi fraintendeste, quindi meglio specificare, non si sa ma–»

«GINNY!»

«Forse ho preso un altro impegno per il 31 dicembre!» sputò fuori tutto d’un fiato, la voce che le morì stridulamente in gola arrivata all’ultima parola.

Con la faccia di un uomo che non ha più certezze su cui basare la propria esistenza, Harry Potter spalancò la bocca senza emettere però alcun suono.

Dopodiché la richiuse, per poi aprirla ancora, pur non riuscendo a proferire parola.

Nel frattempo, tutto il resto della tavolata sembrava aver perso interesse per qualsiasi cosa stesse facendo prima di quel momento, e sembrava essere invece profondamente affascinata dallo scambio di battute tra i due fidanzati.

Ginevra maledisse la mancanza di privacy che da sempre sembrava essere la condizione da accettare se si voleva far parte di quella famiglia.

«C–co–» tentò Harry

Ginny attese pazientemente. Ormai la (cacca)bomba era stata sganciata, non poteva più tirarsi indietro. Oh, e di certo non sarebbe tornata sui suoi passi.

«C… co… cos…» riprovò di nuovo il bambino sopravvissuto, che tuttavia sembrava non avere intenzione di sopravvivere ancora per molto.

«Credo, Ginevra, se le mie doti intuitive non mi gabbano, che il tuo fidanzato lì voglia dire pressappoco: “cosa?”» suggerì George, ghignando sotto i baffi.

«Grazie, George»

«Figurati amico.»

«Ginny, seriamente… cosa?»

«Cosa cosa?» svincolò lei, cercando di sembrare il meno colpevole possibile. «Ho preso un altro impegno, d’accordo, e pensavo di parlartene stasera.»

«Ginny, sono le dieci! Quando avevi intenzione di dirmelo? E poi… Merlino, perché? Quale altro impegno hai preso? Dove? Con chi? E… perché?»

«Hai detto “perché” due volte»

«Sta’ zitto George»

Ron ridacchiò.

George alzò entrambe le mani in segno di resa.

La rossa si mosse nervosamente sulla sedia, a disagio. «Senti, non è che ne potremmo parlare in pr–»

«No, non è.»

Era stata zittita.

Era stata zittita dal suo ragazzo.

Era stata zittita dal suo ragazzo davanti alla sua famiglia.

Era stata zittita dal suo ragazzo, davanti alla sua famiglia, il giorno di Natale.

Ginny allargò minacciosamente le narici.

Ron indietreggiò inconsapevolmente sulla sedia.

«E va bene!» trillò lei, la voce insolitamente acuta «Parliamone adesso!» Prese un respiro profondo. «Sì, Harry, ho preso un appuntamento per il 31 dicembre a tua insaputa. E se vuoi sapere tutta la verità, e nient’altro che la verità, l’appuntamento l’ho preso per una festa a Villa Zabini. Oh, sì, hai capito bene. VILLA ZABINI. Stamattina è arrivato un suo gufo –oh, Harry, non fare quella faccia, ovviamente non era indirizzato a me. Era per Malfoy. Zabini credeva che stesse trascorrendo le feste alla Tana. La lettera diceva che lui ed Hermione erano invitati ad una festa da lui, per Capodanno. E sai cosa? Ho colto l’attimo; ho preso una delle piume falsifica-calligrafia dei gemelli, e ho finto di essere Draco!» Non si fermò nemmeno di fronte all’espressione shockata di Harry e Ron, ammirata di George e Charlie, e ammonitrice dei suoi genitori. «Ho falsificato quella dannata risposta, ed ho scritto a Zabini di contare anche me e te alla sua dannatissima festa nella sua stra-danatissima Villa!»

Prese fiato per un secondo, giusto il tempo perché Harry, con voce leggermente instabile, potesse chiederle: «Gin, ma … perché? Io credevo che tu volessi–»

«Tu credevi che io volessi cosa, Harry? Andare a quella stupida festa al Ministero?»

«Io pensavo che volessi trascorrere il Capodanno con me…» replicò lui fiocamente, senza minimamente badare a quanto imbarazzante potesse essere quella conversazione in quel preciso frangente.

«E lo voglio, Harry. Solo… non a quella festa. Ho spedito un gufo ad Hermione, se ci darà la conferma potremmo andare a Villa Z–»

«No». Il tono di Harry si fece perentorio.

Dimostrando un po’ di tatto, Arthur e Molly si alzarono cautamente da tavola borbottando qualcosa su una faccenda urgente e lasciarono la stanza, seguiti a ruota da Bill, Fleur, Charlie, Percy e , non senza una certa riluttanza, Ron e George.

In pochi secondi, la cucina si svuotò.

«Come?» gracchiò Ginevra.

Magari aveva capito male.

«Non verrò a quella festa con te, Gin. Se vuoi andarci, vacci da sola»

Ecco, appunto.

«Come?» ripeté comunque, a costo di sembrare dura di comprendonio.

«Mi hai capito» le rispose Harry a testa bassa. «Non ho alcuna intenzione di partecipare. Hai compreso anche me in tutto questo, dando per scontato che io fossi d’accordo, e questo non mi sta bene. Magari, se me ne avessi parlato … ma non a queste condizioni. Se ci tieni ad andare a Villa Zabini, accomodati pure. Ma non contare me.»

Non può dire sul serio, pensò Ginny.

Tutto d’un tratto, per la prima volta dopo tutti quegli anni, le balenò in testa l’idea che forse, forse Harry Potter fosse uno stronzo diplomato, con tanto di lode.

«Bene» soffiò quindi tra i denti, assottigliando gli occhi «Bene. Sai cosa, Harry? Sai cosa? Goditi la tua schifosissima serata al Ministero, perché io non ci sarò!»

E, con delle lacrime in precario equilibrio sul bordo degli occhi, corse fuori dalla stanza, maledicendo il giorno in cui Lily Potter aveva messo al mondo un bambino in grado di salvare il mondo magico con tutti i suoi milioni di abitanti, ma totalmente incapace di rendere felice la propria ragazza. 


***


 

«Cazzo, assolutamente no!»

Draco Malfoy, comodamente adagiato sul “proprio” letto nella “propria” stanza, stava civilmente esprimendo il proprio parere ad una molto meno civile (di lì a poco) Hermione Granger. Neanche a dirlo, nell’ultima mezzora aveva “civilmente espresso il proprio parere” almeno una trentina di volte, e tutte le volte aveva ritenuto assolutamente necessario nonché  insindacabile inserire riferimenti non molto velati al proprio status di purosangue e all’inferiorità sociale della “piattola”, per non parlare (per dirla con parole sue) “di quella scopa nell’ano di Potter”.

Hermione, nel frattempo, nonostante si fosse sempre ritenuta una donna forte e capace di resistere a qualsiasi tipo di prova –sia psicologica che fisica– , aveva temuto seriamente di non farcela almeno un paio di volte, mentre se ne stava ad ascoltare gli improperi del serpverde contro i suoi amici. Tuttavia, imponendosi una calma che in cuor suo sapeva bene di non possedere, era rimasta in silenzio per tutto il tempo. Mentalmente, aveva ringraziato il cielo per quell’estate di molti anni prima trascorsa a casa dei suoi zii; suo cugino, Timothy, era proprio come Draco: testardo, capriccioso, e con una certa tendenza ad inserire una parolaccia ogni tre parole. Il fatto che suo cugino avesse all’epoca 10 anni non le era sembrato un dettaglio di chissà quale importanza. Stare con quel moccioso per quasi due mesi, alla lunga, le stava ritornando utile.

Pensò, mentre Malfoy continuava con la sua sfilza di “cazzo, te lo scordi Granger” e “non ho mica la scritta ‘idiota’ in fronte, io!”, che quella storia del ‘prima o poi tutte le sofferenze ti torneranno utili’ forse era vera.

Se così fosse stato, si domandò a cosa mai avrebbe potuto giovarle, in un futuro, la sofferenza che stava vivendo in quel momento. Per un secondo, meditò sul fatto che la McGranitt, il Ministro o chi per loro, avrebbero dovuto retribuirla regolarmente per averla costretta a stare con Malfoy ogni giorno. O forse era più un’opera di beneficienza? –ponderò, seriamente interessata. Della serie: mi accollo io il peso di sopportarlo giorno e notte, risparmiando al resto del mondo questo supplizio.

Sì, doveva senz’altro essere così.

Chissà dopo quanti anni dal decesso si poteva procedere con la beatificazione…

«Granger!»

«Che c’è, Malfoy?» sospirò, ignorando il fatto che la sua pazienza stava sul serio vendendo messa a dura prova.

«Hai sentito quello che ti ho detto?» abbaiò Draco, accomodandosi meglio sul materasso e sistemandosi un terzo cuscino dietro la schiena.

Hermione sospirò di nuovo. Non aveva mai sospirato tanto in vita sua.

«Non vorrei sbagliarmi» ironizzò, lanciando un’occhiata sarcastica al giovane biondo disteso sul suo letto per gli ospiti «Ma mi pare di aver capito che sei assolutamente contrario alla presenza di Ginevra ed Harry alla festa di Zabini. Davvero» aggiunse poi «potrei anche errare, i tuoi messaggi erano molto confusi.»

Detto questo, sbuffò sonoramente e si appoggiò goffamente alla parete azzurrina della stanza, le braccia incrociate al petto, un piccolo broncio a deformarle le labbra.

D’accordo, stava tenendo il muso come una bambina di cinque anni, e d’accordo, non era decisamente da lei.  Ma dannazione, Malfoy era insopportabile. Il suo atteggiamento da despota la faceva andare in bestia, senza contare la facilità con cui sembrava dimenticarsi chi stesse facendo un favore a chi.

Pensandoci bene, avrebbe benissimo potuto ricattarlo. O minacciarlo. Magari entrambe le cose.

No, si impose, era una donna matura, e ne aveva passate tante; non avrebbe ricattato proprio nessuno. Esistevano altri modi più diplomatici per raggiungere i propri obiettivi, come per esempio il dialogo, il confronto…

«Malfoy, se non accetterai di portare anche Harry e Ginny alla festa di Zabini, non andrò nemmeno io. E lo sai, che senza di me non puoi andare da nessuna parte.»

Va bene, forse questo era stato un colpo basso. D’altronde, sapeva benissimo quanto Draco volesse andare a quella festa, e magari se ne era un tantino approfittata.

Hermione concesse alla propria coscienza di sentirsi in colpa per qualche attimo.

Ecco, ora sì che andava meglio.

Sorrise angelicamente all’indirizzo di Malfoy, che la stava squadrando in maniera decisamente poco amichevole, e che nel frattempo si era messo a sedere sul bordo del letto.

Quando si era alzato?

«Granger» la informò cautamente « Questo a casa mia si chiama ricatto»

Hermione si guardò distrattamente le unghie. Indifferenza. L’indifferenza era sempre l’arma migliore.

«Granger, mi senti? Ti sto dicendo che sei scorretta»

La ragazza si lasciò sfuggire uno sbruffo divertito. «Malfoy. Mi stai seriamente dando della scorretta? Tu? A me? Sul serio, spero che tu sia abbastanza intelligente da cogliere l’ironia, nonché la pateticità della tua affermazione.»

Così si fa. Rigirare la frittata. Ben fatto, Hermione, non stai andando per niente male.

«D’accordo» ghignò Draco, alzandosi definitivamente dal letto con un piccolo balzo. Le molle del materasso cigolarono lievemente. Draco si arruffò leggermente i capelli, poi si stirò accuratamente le braccia. La camicia grigio perla a quel gesto si mosse con lui, lasciando scoperto il lembo di pelle appena sotto l’ombelico; Hermione, assolutamente senza averne alcuna intenzione, si ritrovò a fissare, per la seconda volta in una sola giornata, la leggera striscia di peluria bionda che percorreva la zona inguinale di Draco Malfoy, per poi scomparire dentro ai suoi jeans.

Sempre in modo assolutamente inconscio ed inspiegabile, la ragazza si ritrovò a cercare con gli occhi anche la vena violacea che sapeva, da quella mattina, pulsare poco più in basso, vicino alla linea appena visibile dei boxer. Una volta trovata, si scoprì a fissarla più di quanto fosse lecito (o perlomeno, più di quanto fosse lecito fissare in quel modo qualsiasi parte del corpo di Malfoy, dannazione!), e distolse così lo sguardo dopo una manciata di secondi, lottando strenuamente contro il sangue che minacciava di affluirle alle guance.  

Sul serio, cosa le prendeva?

Si disse che avrebbe preferito una nottata di sesso sfrenato con il Professor Lumacorno, piuttosto che ammettere di nuovo a sé stessa di aver indugiato in quel modo –e per due volte!– sul corpo di Draco Malfoy. Questo segreto sarebbe finito con lei nella tomba.

Nel frattempo, l’oggetto di tante elucubrazioni mentali le si fece vicino.

«Malfoy?»

«Granger…» sorrise, sporgendosi impercettibilmente verso di lei. «Sai, Granger, nonostante la mia posizione attuale, capirai bene che non gradisco granché essere ricattato».

Lo aveva appena bisbigliato tra i capelli di lei, sfiorandoglieli con il naso diritto.

Hermione si rese conto che la vicinanza di Draco inspiegabilmente non giovava alla sua concentrazione. Fece per allontanarsi di un passo, ma alle sue spalle non trovò altro che il muro. In mancanza di vie di fuga –e in ogni caso, non amava fuggire-, si costrinse a rispondergli a tono.

«E quindi, Malfoy, cosa proponi? Cosa vuoi fare, costringermi a venire contro la mia volontà?»

Il ghigno che si disegnò sulle labbra del giovane somigliava molto ad un tuono, prima avvisaglia di tempesta.

«Oh, Granger, scoprirai che io non costringo nessuna a venire contro la sua volontà. In effetti, sembrano tutte piuttosto ansiose di venire, di solito.»

La ragazza stavolta arrossì, senza poterlo in alcun modo impedire.

E Malfoy rise, rise di gusto, come quella volta nella guferia, come quella volte, quando le parve di aver scorto il lato  migliore di lui; rise con gli occhi semichiusi (rise con gli occhi, punto) e i denti in mostra, e il petto che si sollevava e si abbassava velocemente, scosso dai singulti.

Rise, e di nuovo rise di lei.

Quel Malfoy! Lui, con la sua boria del cavolo, e le sue parolacce, e i suoi doppi sensi, e le sue labbra, e…

… no, un momento.

Le sue labbra?

Le labbra di Draco si stavano facendo spaventosamente, pericolosamente vicine, così come il suo volto, ed il suo busto si stava sporgendo decisamente troppo in avanti.

Nella luce appena soffusa della camera da letto, Hermione si sentì braccata… di nuovo.

Draco continuò la sua lenta avanzata; non ebbe nemmeno bisogno di intrappolarla contro il muro, perché Hermione sembrava non riuscire a muovere un singolo muscolo.

Quando i loro nasi si sfiorarono, Malfoy si fermò, ed Hermione respirò di nuovo. Il ragazzo la sovrastava, leggermente ingobbito e piegato verso di lei per annullare la differenza di altezza. Se ne rimase lì, immobile, per secondi e secondi, e forse minuti interi, senza spiccicare parola, senza permettere che lei, allo stesso modo, dicesse nulla.

Non le aveva tappato la bocca, non le aveva in alcun modo intimato di fare silenzio. Semplicemente, non c’era modo che lei riuscisse a dire alcunché, finché fossero rimasti occhi negli occhi in quel modo, e lui lo sapeva.

Si fissarono non per molto ancora, e in quel breve periodo di tempo Hermione sentì di detestarlo con tutta sé stessa. Sentì che avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto, che essergli così vicina le faceva sentire prurito dappertutto, soprattutto alle labbra. Lo odiò ancora ed ancora, in quel breve lasso di tempo, gli rinfacciò mentalmente ogni singola angheria da lui subita in otto anni: gli rinfacciò di non averla soccorsa, quella volta, a Villa Malfoy, di non aver mosso un dito per salvarla, mentre Bellatrix sfogava la sua pazzia assassina su di lei, ancora ed ancora. Non che se lo aspettasse. Ma glielo rinfacciò comunque, e tutto con un solo sguardo. Gli disse molte cose, in quel minimo, insulso arco temporale, gli disse che doveva allontanarsi, che non lo trovava bello, e nemmeno attraente, che era troppo magro e troppo pieno di sé, che non sapeva nemmeno usare un forno a microonde e che per questo lo odiava ancora di più, perché andiamo, chi non sa usare un forno a microonde?; gli disse che stargli così vicino le provocava uno strano formicolio, soprattutto alle labbra, soprattutto lì… glielo disse di nuovo, per paura che la prima volta non avesse capito, glielo disse di nuovo per far sì che si spostasse.

E lui capì.

Si scostò da lei lentamente come si era avvicinato, e lei seppe che lui aveva capito.

L’aria tra di loro sembrava cemento.

«Cosa vuoi, Malfoy?» gli domandò, ancora, stancamente; glielo domandò di nuovo, per paura che la prima volta non avesse capito, glielo domandò di nuovo per far sì che finalmente le rispondesse.

E lui rispose.

«La sera della festa, il primo e l’ultimo ballo»

«Cosa?»

«Riserva quei due balli per me»

«E’ davvero tutto quello che chiedi perché anche Ginny ed Harry possano venire?»

Draco sorrise.

«Non so se te ne sei accorta, mezzosangue, ma qui l’unica che è nella condizione di contrattare sei tu.» Lo disse con semplicità, quasi con rassegnazione. Ma non smise di sorridere. «Alla fine, sai che acconsentirei alle tue condizioni in ogni caso, perché non ho scelta, se davvero desidero andare a quella festa. Per quanto non gioisca all’idea, il gioco è condotto da te, Granger; a dire il vero, non ti facevo capace di abbassarti al ricatto, devo dire che sono sorpreso». Hermione abbassò lo sguardo al pavimento. «La mia è una richiesta» specificò, ed Hermione sussultò, perché Draco Malfoy non le aveva mai fatto una richiesta, non in quel modo; a dire il vero, non era certa che avesse mai richiesto qualcosa in vita sua. «Puoi scegliere se esaudirla o meno.»

Concluse la frase, e per qualche assurdo motivo Hermione aveva già la risposta sulla punta delle labbra.

«D’accordo» mormorò, e dentro di sé si convinse di aver acconsentito per pietà, ed anche un po’ per pulirsi la coscienza.

«Bene» fu la secca risposta di lui, e già ogni traccia di sorriso e di umiltà sembrava essere scomparsa.

Hermione, di nuovo, si domandò se i sentimenti buoni non riuscissero ad attecchire sulle persone come Draco; si chiese se questi scivolassero via di fretta come una goccia su un vetro, o se fosse lui stesso, dopo un po’, a toglierseli di dosso, come una zecca, un parassita, una macchia di giallo su una tavolozza che dovrebbe essere nera.

«Vado a scrivere a Ginny»  lo informò, sgusciando via dalla camera, inciampando sul primo gradino delle scale per la fretta di allontanarsi da lì.

La risata smorzata e derisoria di Draco la seguì fino al pianterreno.



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NOTE DELL'AUTRICE (RITARDATARIA COME SEMPRE):

Ehm, allora. Come ogni santissima volta mi scuso per il ritardo, e come ogni volta v'informo che l'università mi risucchia completamente e che non ho tempo nemmeno di farmi il bagno (infatti puzzo, eheheheh. No, okay).

Seriamente, mi auguro che il capitolo vi piaccia e che non mi abbiate abbandonato, anche se, come al solito, me lo meriterei. Ma ormai mi conoscete, sono così e.e

Questo capitolo è... particolare. Penso di esserene abbastanza soddisfatta, e spero che non vi dispiacciano le scene un po' più serie che ho aggiunto qua e là. Ebbene, vi svelo l'arcan segreto: in realtà io di solito scrivo storie tragiche.

*zan zan*

No, ok, questa rimarrà comunque una storia leggera e spero divertente, ma comunque per non scadere troppo nel demenziale ho aggiunto quei due-tre momentucci un attimino più seriosi. Che poi insomma, mi andava, e quindi li ho scritti... spero vi piacciano, stranamente per una volta non fanno schifo nemmeno a me.

Non vi prometto nulla sul prossimo aggiornamento per non darvi false speranze, ma sappiate che vi amo tutti, che vi ringrazio pe tutte le recensioni ricevute anche ultimamente, e che spero di pubblicare in un tempo decente.

Come al solito, anche se l'ho fatto di sopra, ringrazio la mia Baba che mi legge tutti i capitoli in anticipo e mi corregge le cose che non vanno. Ma come farei senza quella santa? Baba, we love you! 

Un bacio (ah, sì, e buon anno XD),

Lucia 

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