Crossroads

di AlexisLestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Curve pericolose ***
Capitolo 3: *** Uno a zero, palla al centro ***
Capitolo 4: *** Gambe corte e naso lungo ***
Capitolo 5: *** Di corsa in corsia ***
Capitolo 6: *** Cacciatori non si nasce ***
Capitolo 7: *** Hunters S.P.A. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia è dedicata a MeLis,
perchè ogni parola, ogni frase che ho scritto,
l'ho fatta pensando a te che la leggevi dall'altra parte dello schermo.
 Enjoy it, darling!








Con un sbuffo infastidito, la ragazzina si scostò una ciocca dal volto, sporcandolo con le
dita grassocce, piene di terra.

Era immersa fino alla cintola in una buca che aveva scavato lei stessa nel fango, e se ne
stette là ferma per un attimo; così, tra il vento che soffiava sui vestiti bagnaticci e il
sudore che le imperlava la fronte, appiccicandole i capelli scuri sulla pelle accaldata dalla
fatica, non avrebbe neppure saputo dire se aveva più freddo o caldo.

Si portò al viso le mani che i guanti a mezze dita -probabilmente l'invenzione più stupida
dell'uomo, erano stati capaci di scaldare solo a metà, ci soffiò sopra e le strofinò con forza,
finché non sentì i polpastrelli gelati riprendere sensibilità.

«E adesso, a noi due!» proclamò, a voce alta, poi si zittì subito, preoccupata che qualcuno
l'avesse sentita -ma le rispose solo il cicalare leggero della sera.

S'inginocchiò, fece pressione con le braccia, e quando anche l'ultimo chiodo arrugginito
ebbe ceduto, sollevò il coperchio di legno della bara. Il cadavere le restituì uno sguardo
vuoto e cavo.

La ragazzina ebbe un conato e si sporse dal bordo della fossa per vomitare. Quando si
risollevò, il volto lentigginoso aveva preso uno strano colorito verdastro; fece una smorfia,
disgustata, poi tirò fuori un barattolo di sale dallo zaino e iniziò a spargerlo su per il corpo,
cercando di non guardare, ma quello le scivolò dalle mani tremanti e cadde sulla cassa
toracica del corpo, risuonando con un rumore metallico e spargendo ovunque il suo
contenuto.

Inghiottendo il ribrezzo, tirò su con il naso, e lo raccolse con cautela per metterlo a posto.
Tirò fuori un accendino che riuscì ad accendere solo al quinto tentativo, lo fece cadere sul
corpo, che iniziò ad andare in fiamme più velocemente del previsto; si arrampicò
frettolosamente sul bordo della fossa per uscirne, ma nel risalire scivolò di nuovo sul
fango.

Quando si rialzò in piedi, era un tutt'uno con il cimitero terroso, i vestiti sporchi, zuppa di
pioggia e lo stomaco più rivoltato che mai con quell'odore acre di resti uomo morto -per
un attimo, parve avere gli occhi lucidi, poi tirò di nuovo su con il naso e fece le spallucce.

Era la dura vita della cacciatrice.




Note dell'autrice:

Ed eccoci di nuovo qui: questa è la quarta storia del ciclo "Supernatural - Season ½": un'altro scenario, un altro luogo, altri protagonisti.
Ringrazio anticipatamente tutti quelli che la leggeranno, la seguiranno, l'aggiungeranno tra le preferite, eccetera eccetera; come al 
solito, prometto di impegnarmi al massimo per creare un 'caso' che sia tanto piacevole da leggere quanto divertente da provare a 
risolvere voi stessi.

Tra una cosa e l'altra, come al solito, non so quanto riuscirò ad aggiornare regolarmente, ma voi abbiate sempre fiducia, e vi assicuro
che in un modo o nell'altro giungerà alla fine!

Un bacio, e buon proseguimento,

Relya.

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Capitolo 2
*** Curve pericolose ***


Dean si voltò appena verso il sedile accanto a lui. Sam dormiva; o forse, faceva finta.
Ultimamente, non era più sicuro di nulla che lo riguardasse.

Il fratello era diventato scostante e taciturno, da quando lo aveva costretto a rivelare quelle
dannate ultime parole che il padre gli aveva rivolto. Dean scosse la testa. Quanto avrebbe
voluto non avergliele dette. Non averle proprio sentite. Che cosa avrebbe dovuto fare,
adesso? Aveva sempre obbedito, fino all'ultimo. Ma questo... questo non poteva farglielo
fare. Non era da papà. E Dean non voleva.

Si girò meglio verso il fratello -sì, stava decisamente dormendo, aveva le palpebre
rilassate ed il respiro regolare. Almeno, ogni tanto riusciva a riposare tranquillamente;
stava diventando una rarità, per entrambi.

Tornò a concentrarsi sulla guida, stringendo gli occhi per vedere meglio, mentre si
avvicinava l'ora del crepuscolo e l'orizzonte iniziava ad arrossarsi. Non era sicuro che fosse
stata la scelta giusta, quel viaggio dell'ultimo minuto. Certo, c'era stata una serie di 'morti
in circostanze misteriose' a Tinton Falls, ma sapeva anche che era in quelle zone del New
Jersey che suo padre aveva trovato le ultime tracce di occhi gialli, prima che... succedesse
quello che era successo.

Proprio mentre lui deglutiva con una smorfia, Sam si agitò nel sonno, trattenendo
bruscamente il respiro -Dean decise che era il momento opportuno per svegliarlo e lo
scrollò sulle spalle, finché non vide che apriva gli occhi, con l'aria più esausta di prima.

«Bentornato tra noi, Sammy» ghignò il fratello, divertito. «Siamo quasi arrivati e ti stai
perdendo un magnifico tramonto».

Quello si limitò a stropicciarsi gli occhi, rimettendosi a sedere, la fronte ancora aggrottata;
 Dean giudicò di non fargli domande su quello che poteva aver sognato, e si limitò ad
allungarli un giornale.

«Non dovrebbe essere nulla di troppo complicato» commentò, indicandogli con la mano
libera un paio di notizie cerchiate in rosso. «Le vittime sono state trovate tutte nello stesso
punto del bosco, dev'essere infestato».

«Qualche spirito delle foreste?» azzardò Sam, trattenendo appena uno sbadiglio.

«O un semplice fantasma» fece Dean, con noncuranza. Non gli era sfuggito che il fratello
avesse dato prima un'occhiata al diario del padre, fermandosi dal prenderlo con una specie
di piccolo scatto involontario. «Un semplice lavoretto vecchio stile, ci farà bene».

Come un sottile gelo pervase l'aria attorno a loro, mentre nel silenzio passavano tanti
pensieri non detti, che nessuno dei due espresse ad alta voce. Quando divenne
insopportabile, fu di nuovo Dean a parlare.

«Sammy, se vuoi...»

«Va tutto bene» lo fermò il fratello, stroncando sul nascere qualsiasi penosa discussione
sul fatto di essere o meno il prescelto per chissà che sorta di piani malvagi.

Dean tacque, limitandosi a gettargli un'occhiata preoccupata, la fronte aggrottata, in
silenzio. Sam fece finta di guardare fuori dal finestrino, pensando.

La strada si era già fatta più scura, e quando un cartello annunciò loro l'ingresso nei
territori di Tinton Falls, quasi rischiarono di non vederlo. Dean s'infilò in una strada di
campagna, fuori mano, e presto attorno a loro non ci furono che alti alberi di pino, a
gettare ombre dalle forme contorte sull'asfalto.

«Occhi aperti, Sammy, il nostro Casper è da queste parti».

La voce di Dean sembrava forzatamente allegra, dopo tanto silenzio. Sam gli lanciò
un'occhiata, e al vederlo apparire così rilassato alla guida, le mani sul volante, lo sguardo
fisso davanti a sé, ebbe quasi un moto di rabbia. Sapeva che il fratello stava male quanto
lui, ma perché... come faceva a reagire in quel modo, così, a sangue freddo?

Dean si accorse del suo sguardo.

«Tutto bene, Sammy?» chiese di nuovo, e questa volta una nota di preoccupazione incrinò
la sua voce.

«Ho detto di sì» replicò subito lui, sulla difensiva.

Il fratello si voltò a guardarlo, le sopracciglia di nuovo aggrottate. «Non devi per forza far
finta che...»

«Dean...»

«No, stammi a sentire, non puoi sempre...»

«Dean...!»

«Lo so cosa stai passando, ma...»

«Dean, la strada!»

Fu un attimo. Un momento prima si voltò di nuovo verso l'asfalto buio, senza capire, un
momento dopo, dal nulla, una figura parve schizzare fuori dal bosco; Dean poté avvertire
il suo corpo urtare contro il paraurti dell'Impala, e ricadere violentemente sulla strada.

«Dannazione!»

Dean inchiodò, le ruote scivolarono sull'asfalto, sfrigolando; l'Impala curvò bruscamente,
frenando a pochi centimetri dal corpo sulla strada; i due fratelli corsero fuori, e si
ritrovarono davanti ad una ragazzina che, carponi, tossiva e cercava di rimettersi in piedi,
avvolta in un ammasso di vestiti sporchi di terra e di sangue.

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Capitolo 3
*** Uno a zero, palla al centro ***


Dean si precipitò verso la ragazzina per terra sull'asfalto, allarmato; lei si era tirata poco
più su e si esaminava con circospezione la ferita sulla gamba, sollevando i lembi del
pantalone strappato con estrema cautela.

«Tutto bene?» domandò, teso, Dean. «Non ti abbiamo vista arrivare, mi dispiace».

«Mi dispiace un accidenti!» replicò la ragazzina, con un tono ben più acido di quel che si
sarebbero aspettati: alzò la testa, mostrando il viso sporco di terra, arrossato dal freddo,
e due grandi occhi castani, appena più chiari dei capelli corti, legati sulla nuca, con ciocche
che sfuggivano ovunque. «Ci avrei potuto lasciare la pelle, lo sapete? Chi diavolo vi ha
dato la patente?»

Dean rimase per un attimo senza parole, a metà tra il sorpreso e il divertito. «Non è che
tu abbia proprio attraversato la strada come un normale pedone» fece, alla fine, risentito.

«La ragione va sempre ai più deboli, in questo caso, io» ribatté l'altra, con un sorrisetto
saccente. «Vuoi che ti porti da un avvocato?»

«Non ha tutti i torti» commentò Sam a mezza bocca.

«Sta zitto, Sammy».

«Non chiamarmi Sammy, è Sam!».

La ragazzina approfittò del momento per fare forza sulla gamba sana, e mettersi in
ginocchio sull'asfalto, per raggiungere lo zaino che era volato appena più in là, spargendo
sull'asfalto il suo contenuto.

«Aspetta, ti do una mano» fece Sam, affrettandosi a raggiungerla, chinandosi a
raccogliere un fascio di fogli; Dean esitò un attimo, poi fece lo stesso.

«Faccio da sola!» ribatté prontamente lei; tentò di alzarsi in piedi, ma sentì una dolorosa
fitta alla gamba sinistra e ricadde sull'asfalto.

«Senza offesa, sembri aver bisogno di aiuto» rispose Sam, con un mezzo sorriso; gettò un
occhiata ai fogli che aveva in mano, che mostravano in cima una carta d'identità.
«Signorina... Lennex Kimberly?»

«Kim, è soltanto Kim!» replicò subito lei, arrossendo di colpo e strappandogli i fogli dalla
mano.

Sam aggrottò le sopracciglia, senza capire. «Scusa, ma perchè? Kimberly è un nome
carino».

La ragazzina, del tutto inaspettatamente, gli mostrò la lingua. «Già, e anche Sammy è
molto carino».

«Cos...?»

«Ma guarda un po' cosa abbiamo qui».

La voce di Dean li interruppe; Sam si voltò, e vide che il fratello era in piedi, in disparte, e
si stava rigirando un pugnale d'argento tra le mani. Rimase per un attimo sconcertato, poi
capì che doveva appena averlo raccolto.

Kim spalancò gli occhi, spaventata. «Ridammelo!» gridò, furibonda, in direzione di Dean,
che continuò a studiarlo con estrema attenzione.

«Non è un affare troppo pericoloso per una piccoletta come te?» le chiese, sarcastico.

«Piccoletta?» Kim incrociò le braccia sul petto. «Senti chi parla, non mi sembra tu sia
proprio un gigante!»

«Ma che... sono comunque più alto di te!» fece Dean, punto sul vivo.

«Sì, ma io sono una donna» replicò lei, con un sorrisetto.

«Una bambina» la corresse Dean, senza smettere di soppesare il pugnale davanti agli
occhi di Kim, che continuava a non staccargli le pupille di dosso, seguendone i movimenti
come ipnotizzata.

«Adesso me lo ridai?» fece, con una nota quasi disperata.

«Certo che no!»

«Per favore!» lo supplicò Kim, che adesso sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

Dean sembrò essere preso in contropiede dal cambiamento repentino. «No! E poi, che
cosa ci devi fare?»

Kim divenne, se possibile, ancora più rossa. «Sono affari miei».

«E allora io non te lo rido» fece Dean, infilandoselo in un risvolto della giacca.

A Sam parve il momento di intervenire; si alzò in piedi e raggiunse il fratello, per poi
sussurrargli, a mezza bocca: «Dean, che cosa stai combinando? Adesso ti metti a
discutere con delle ragazzine?»

Si stupì nel vedere che l'espressione del maggiore rimase più seria di quel che si
aspettasse. «Sam, ho già visto questo pugnale da qualche parte, e devo ricordarmi dove»
mormorò, in risposta, per poi girarsi di nuovo verso lei. «Allora, mi dici dove l'hai preso?»

«Sono sempre affari miei» replicò quella, irremovibile.

«E a cosa ti serve?» insistette Dean, che a sua volta non sembrava aver intenzione di
cedere tanto presto.

Kim inarcò un sopracciglio. «Mi spieghi perchè dovrei dirlo a te?»

«Perchè altrimenti non lo riavrai indietro» replicò Dean con un sorrisetto.

La ragazzina parve sorpresa dal colpo basso; poi, incrociò le braccia sul petto, e alzando il
mento, rispose, altezzosa: «Ci vado a caccia. Ora me lo ridai?»

Dean rimase in silenzio un attimo, poi chiese ancora, a voce appena più bassa: «A caccia
di cosa?».

Kim fece una smorfia. «Prova ad indovinare».

Dean tacque di nuovo, e Sam gli lanciò un'occhiata significativa; alla fine, il maggiore tirò
fuori il pugnale e lo lanciò a pochi passi dalla ragazzina, che lo osservò stupita.

«E adesso perchè me lo ridai?» domandò, mentre lo raccoglieva frettolosamente,
nascondendolo sotto i vestiti, per poi guardarlo da sotto in su.

«Forse perchè ho indovinato?» rispose Dean, sarcasticamente, scrollando appena le spalle.

«Cosa?»

«Senti, mi sembrava lo volessi indietro. Se vuoi, posso anche riprendermelo!» fece quello,
quasi esasperato.

Kim parve ancora più confusa. «No, no...» farfugliò, senza capire.

«Hai bisogno di qualcos'altro? Credi di esserti rotta qualcosa?» chiese, più cordialmente,
Sam, avvicinandosi, perchè Dean sembrava essere sul punto di andarsene.

«No, io... è stata una botta, m-ma...» balbettò quella. «Qui vicino c'è un pronto soccorso,
vado... vado lì».

«Ti accompagniamo in macchina?» si offrì Sam, osservandola rialzarsi in piedi. No, non
sembrava nulla di grave, poteva cavarsela.

«No, io...»

«Buona giornata, allora» Dean sorrise ironicamente, senza lasciarla finire; allargò le
braccia, poi si voltò e fece per raggiungere l'Impala.

Gli occhi di Kim saettarono da loro due, al pugnale che aveva in mano, come rimbalzando
da uno all'altro, mentre si mordicchiava il labbro, indecisa.

Non passarono più di due secondi -Dean ancora non aveva messo mano alla portiera
dell'auto, che Kim si gettò lo zaino sulle spalle e zoppicò frettolosamente verso di loro.

«...Aspettate!»

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Capitolo 4
*** Gambe corte e naso lungo ***


«Woah» fece Kim, impressionata, spalancando gli occhi, non appena Dean aprì il baule
della macchina, per infilarci dentro la sacca della ragazzina, insieme a tutta la ben fornita
dispensa di fucili, pugnali ed attrezzi vari.

Dean si voltò a guardarla, accigliato. «Tu non stavi salendo in auto mezza moribonda,
due secondi fa?».

La ragazzina ridacchiò, facendo le spallucce, e s'infilò di fianco a lui, allungando una mano
per prendere uno dei fucili, ma Dean la fermò afferrandole rapidamente un polso.

«Te l'ho detto, sei troppo piccola per questa roba» commentò, chiudendo lentamente il
cofano.

Kim sbuffò, liberandosi dalla sua presa, e ravviandosi una ciocca di capelli scuri con aria
da grandonna. «Scommetto che caccio da più tempo io e che voi due messi insieme!»
disse, con un sorrisetto di superiorità.

Dean alzò gli occhi al cielo. «Ma davvero? Scommettiamo?»

Lei incrociò le braccia davanti al petto. «Caccio da quando avevo dieci anni, io!» disse,
arricciando il labbro in avanti.

«Quindi tipo, dal mese scorso?» replicò sarcastico Dean; Kim diventò tutta rossa, e lui ne
approfittò per aggiungere: «E comunque, anch'io. Fatti due conti, mh?»

Sotto lo sguardo divertito di Sam, che li stava aspettando nel sedile posteriore da una
decina di minuti, il maggiore le aprì la portella dell'auto, invitandola ad entrare con un
cenno ironicamente galante.

Kim si guardò attorno in silenzio, prima di strisciare dentro, trascinandosi la gamba ferita
dietro. «Bella macchina» commentò alla fine, in uno strano tono che Dean parve non
notare.

«Già, e se macchi i sedili di sangue, ti caccio fuori a calci. Tieni» commentò
tranquillamente, lanciandole uno straccio che la ragazzina si avvolse con cura intorno alla
ferita, mentre l'altro metteva in moto.

Il silenzio di Kim durò meno dello sperato -neanche un paio di secondi dopo, si era sporta in
avanti, la testa accovacciata sul sedile di Sam, ed iniziò a tempestarli di domande.

«Allora voi siete cacciatori-cacciatori?» chiese, tutta entusiasta.

«Cacciatori-cacciatori» fece Sam, accondiscendente, con un mezzo sospiro.

«E immagino siate venuti qua per quelle strane morti nel bosco, vero?» domandò ancora
lei, sporgendo il labbro in un quella maniera saccente che urtava in maniera incredibile
i sentimenti di Dean.

«Sì, esatto» Sam si preoccupò di anticipare una rispostaccia da parte dell'altro. «Ne sai
qualcosa?»

«Faccenda già risolta» commentò Kim, mulinando di nuovo i corti capelli neri. «Beh, quasi.
Tenetevi forte: credo ci sia un fantasma, laggiù».

«Mh, sono tutto eccitato» commentò Dean, con un sarcasmo che Kim non colse.

«Già, roba forte, vero?» continuò, con gli occhi castani che brillavano d'entusiasmo. «E
non vi ho detto tutto! Una storia incredibile, pare che quella donna sia proprio morta nella
foresta che sta infestando, e non per cause naturali, no: si è tolta la vita!»

«Ma non mi dire!» fece Dean, fingendo stupore, e Sam gli gettò un'occhiataccia.

«Davvero un casino, c'erano lei, il marito, l'amante di lui... insomma, un bel po' di morti
per un posto solo» raccontava intanto Kim, che pareva non accorgersi di nulla, tanto era
presa dalla sua narrazione. «Insomma, uccidi uno, uccidi l'altro, quell'altra che era
disperata e si toglie la vita, all'inizio era difficile capire di chi fosse il fantasma che dava
tanto fastidio, così ho bruciato il cadavere di lui, quello dell'amante, poi però un altra
persona è stato attaccato dal fantasma, son andata a controllare, e ho scoperto il suicidio
della moglie; così sono andata a vedere nella foresta e... sbam! Mi ritrovo questa tipa
super inquietante davanti agli occhi! Beh, dev'essere un fantasma potente, ha mosso una
mano e mi ha spinto via e... beh, è così che sono finita in mezzo alla strada, quando mi
avete quasi messo sotto» confessò, appena imbarazzata.

Gettò un'occhiata alla gamba ferita, giocherellando per un attimo con il bordo dello
strofinaccio, poi riattaccò a parlare.

«Naturalmente dev'essere stato un fantasma con dei gran poteri, per scagliare la gente
via in quel modo» constatò, con decisione. «Ovvio che abbia dato filo da torcere anche ad
una cacciatrice esperta come me. Sarà almeno il terzo fantasma che affronto! Per non
parlare di quel che mi è successo un mese fa, non ci crederete mai: un vampiro!»

Kim alzò lo sguardo, e al notare la scarsa reazione da parte dei due, riprese a raccontare
con ancora più fervore.

«Eh, sì, esistono davvero, ci sono rimasta anch'io, quando l'ho scoperto! Solo che non
sono quelli al cinema, anzi, sono anche piuttosto brutti e hanno dei denti orrendi. O
almeno quello che avevo visto io, era così. Ma non era niente in confronto al lupo mannaro
-già, esistono anche loro. Uno spavento assurdo! Ma è bastato un buon colpo di pistola, il
proiettile giusto, e bang! Ed era morto stecchito».

Dean fece una smorfia. Aveva le labbra serrate, come se si stette trattenendo a forza dal
dire qualcosa, e Sam gli gettò un'occhiata perplessa.

«Ma adesso che ci siamo tutti e tre, sarà una passeggiata, quel fantasma là» Kim si
arricciò una ciocca di capelli sulla punta del dito grassoccio. «Insomma, parliamoci chiaro,
tre cacciatori esperti come noi...»

Dean sterzò bruscamente, e frenò, fermandosi a lato della strada con un movimento
improvviso della macchina, poi si voltò a guardare la ragazzina, che ricambiò con
un'espressione preoccupata.

«Cos...?»

«Che ne dici di cominciare a dirci la verità, mh?» chiese Dean, stizzito.

Per Kim equivalse a ricevere uno schiaffo in faccia. Rimase per un attimo immobile, la
bocca mezza aperta, gli occhi spalancati, il labbro che tremava appena.

«Tu... tu non mi credi?» balbettò, con la voce appena udibile.

«Io credo che tu stia raccontando solo un mucchio di frottole» replicò quello, senza fare
una piega, inarcando appena le sopracciglia.

Inaspettatamente e contro ogni previsione, gli occhi di Kim si riempirono di lacrime.

«Beh, fai male, sai?» farfugliò, mentre queste cominciavano a scorrerle lungo le guance,
copiosamente. «Perchè è tutto vero!»

E davanti all'espressione stupefatta di Dean, affondò il viso tra le braccia incrociate e non
disse più una parola finchè Sam non l'avvertì che erano arrivati al pronto soccorso.

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Capitolo 5
*** Di corsa in corsia ***


All'entrata del pronto soccorso Dean e Sam vennero accolti da un paio di infermiere che,
alla vista degli occhi lucidi di Kim -e probabilmente anche dalla ginocchio sanguinante
avvolto dagli stracci, vennero prese da una sorta di istinto protettivo e la trascinarono in
una delle salette, mentre un medico prese da parte i fratelli, con un'aria così seria che per
un attimo parve stare per annunciare l'amputazione immediata della suddetta gamba.

Iniziò a tempestarli di domande a cui nessuno dei due sapeva come rispondere: Dean si
passò la lingua sulle labbra e si preparò ad inventare una succulenta storia, ma venne
preceduto da Kim, che stesa sul lettino con tanta tranquillità da parere su una spiaggia,
intervenne con un racconto talmente avvincente che una delle infermiere parve sul punto
di commuoversi -il che non fece che confermare quello che già Dean pensava, ovvero che
la ragazzina era una splendida bugiarda.

Quando finalmente vennero fatti uscire dalla stanza, si accamparono accanto all'angolo
delle macchinette, e Dean infilò i pochi centesimi necessari per un caffè nero bollente,
cercando di non pensare a dove sarebbero dovuti essere in quel momento -e la sua idea
non comprendeva esattamente il capezzale di una bambina sconosciuta.

«Dean, che ti prende?»

La voce di Sam parve arrivare quasi da lontano. Dean si passò una mano sugli occhi per
tenersi sveglio. Fuori era già parecchio buio. Tornò a posare lo sguardo sul fratello.

«Che vuoi dire?»

Sam inarcò le sopracciglia, come se la risposta fosse ovvia. «Che ne dici dell'aver dato
addosso ad una bambina fino a farla piangere?» aggiunse poi, allargando le braccia, e non
riuscì a reprimere un sorrisetto divertito.

Qualcosa di molto simile alla vergogna bruciò per un attimo dentro Dean. «Andiamo, stava
facendo finta!» commentò poi, scuotendo una mano con noncuranza.

«Perchè sei così convinto che menta su tutto?» insistette Sam, perplesso.

«Perchè... perchè, dai, Sammy! E' impossibile che una bambina della sua età vada a
caccia!» sbottò Dean alla fine, piccato. «Fantasmi e vampiri e lupi mannari... non credi che
potrebbero farla a pezzi con un solo dito, se per sfortuna ne incontrasse davvero uno?»

«Non la conosci nemmeno, come fai a dirlo?» Sam aggrottò le sopracciglia senza capire.
«Abbiamo visto cose più strane».

«Però ho sentito come parlava» replicò il maggiore, alzando gli occhi al cielo, come se si
stesse sforzando di spiegare un concetto assolutamente ovvio. «Prende tutto come un
gioco, l'hai ascoltata?»

«Allora è questo? Ti da fastidio che parli di caccia?» lo incalzò Sam, sconcertato.

«Io non... mi da fastidio che mi prenda in giro!» borbottò Dean, sulla difensiva. «Non si
può cacciare a quell'età, è troppo piccola!»

«A me pareva che poco fa ti fossi vantato di aver iniziato ancora prima» commentò Sam,
incredulo.

«Noi avevamo papà. Era diverso» replicò Dean, tagliente.

Un gelido silenzio calò tra i due, mentre Dean finiva di bere il caffè, per poi allontanarsi dal
fratello, approfittando del bicchiere da buttare.

Quando tornò, Sam si era buttato su una delle sedie di plastica bianca nel corridoio; fece
lo stesso, e sentì qualcosa di duro urtare il fianco destro. Cercò con la mano, e si ricordò
solo in quel momento di avere messo il pugnale di Kim in una delle tasche interne.

A Sam non sfuggì il movimento. «E quello da dove l'hai preso?» domandò, sbalordito.

«Prima, mentre caricavo la sua roba in macchina» rispose lui con noncuranza,
rigirandoselo tra le dita, sempre ben coperto dalla giacca, in modo che gli infermieri che
passavano davanti a loro non lo notassero.

«Ti è venuto in mente dove l'avevi visto?» chiese ancora Sam, senza staccare gli occhi
dall'oggetto.

Dean scosse la testa, e il fratello scrollò appena le spalle. Improvvisamente, sembrava
esausto a sua volta. «È solo un coltello» sentenziò, stancamente.

Ma Dean scosse la testa di nuovo: estrasse appena il coltello, e non appena la luce della
lampada colpì la lama, Sam poté vedervi incisi sulla superficie trappole del diavolo ed altri
simboli sconosciuti, prima che il fratello lo rimettesse in tasca.

«È micidiale, contro i demoni, una cosa del genere» fece quest'ultimo, abbassando la voce
al passaggio di gente. «Non li uccide, ma li rallenta. Ne ho visto uno fatto così anni fa, ma
non ricordo dove. Non è una cosa comune».

Sam non seppe che dire -rimase in silenzio per un attimo, come sovrappensiero, quando
le sue riflessioni vennero interrotte da una voce piuttosto alta che fece voltare tutti nella
sala.

«Non vado da nessuna parte, va bene? Vado solo a salutare i miei zii, capito, sto qui in
giro, ce la faccio, non sono mica le prime stampelle che porto, sa?»

Dean e Sam si girarono di scatto nello stesso istante, e videro Kim che saltellava fuori
dalla stanza, la gamba sinistra ingessata fino a metà coscia, reggendosi su due stampelle
di color blu elettrico. Il viso le si illuminò quando lei li vide.

«Ah, ecco! Zio Sam, zio Dean!» esclamò, raggiante, correndo loro incontro -per quanto
potesse permetterglielo la gamba ingessata.

Le espressioni sulla loro faccia non dovevano essere altrettanto gioviali, ma Kim non si
perse d'animo, e con un cenno del capo li esortò ad alzarsi in piedi. «Mi accompagnate a
fare due passi?» chiese, e qualcosa nel suo tono lasciava sottintendere che non era
proprio una passeggiata quella che aveva in mente.

Perplesso, Sam iniziò a camminare al fianco della ragazzina, imitato, seppur a malavoglia,
da Dean, quando Kim prese a parlare a voce estremamente alta: «Sì, sto bene, sto bene
non vi preoccupate! Non ho sentito nulla, è stato rapidissimo, già!».

Kim si girò verso all'infermiera, che la stava tendendo d'occhio, per poi scuotere la testa
ed allontarsi: a quel punto, fece cenno a Dean e Sam di avvicinarsi e inizò a parlare
sottovoce, con estrema serietà.

«Sentite, non per farvi preoccupare, ma quei medici hanno iniziato a fare strane domande
sul nostro conto» bisbigliò, a metà tra l'ansia e l'eccitazione.

«Sul nostro conto?» ripeté Dean, incredulo.

Kim non colse il tono, e continuò, abbassando tanto la voce fino a farla diventare un
sussurro, e i due fratelli dovettero chinarsi su di lei per riuscire a sentirla: «Chi siamo, da
dove veniamo, cos'è successo, blablabla. Adesso noi cammineremo come se nulla fosse
verso l'uscita di sicurezza, poi, al mio tre, inizieremo a correre. Dean andrà per primo,
metterà in moto la macchina per quando io e Sam lo raggiungeremo, e se saremo
fortunati riusciremo a scappare senza conseguenze».

Parlò con tanta convinzione, le sopracciglia scure aggrottate dalla concentrazione, che
Sam dovette trattenere una risata; Dean, invece, sembrava non credere alle sue
orecchie.

«Stai scherzando!» esclamò, sconcertato.

«Abbassa la voce!» lo redarguì lei. I suoi occhi castani corsero sulla maniglia della porta di
sicurezza, a pochi metri da loro. «Uno...»

«Kim, non credo che...»

«Due...»

«Kim, non faremo una cosa del genere!»

Negli occhi della bambina passò una scintilla d'eccitazione.

«Tre!»

Con una dimestichezza che sorprese entrambi, Kim iniziò a correre con le stampelle, quasi
volando, mentre le infermiere notavano il tramestio e li indicavano strillando. Più che
scappare, Dean pareva inseguire Kim con una gran voglia di metterle le mani addosso,
mentre Sam, lo sguardo terrorizzato fisso su una dottoressa bionda che stava correndo
verso di loro con un'aria piuttosto isterica, si affrettò a spingerli fuori dalla porta
chiudendosela alle spalle.

«Dean, la macchina!» cinguettò Kim, che pareva divertirsi un mondo a dar loro ordini.

Lui sembrò per un attimo sul punto di rifiutarsi, ma con un intero staff ormai alle calcagna,
non poté far altro che obbedire, saltare dentro l'Impala e accenderla con un rombo,
mentre Sam s'infilava al suo fianco e Kim si buttava con ben poca delicatezza sul sedile
posteriore, ridendo mentre la macchina si allontanava dal viale seminando gli inseguitori.

Stava ancora ridendo quando entrarono in una stradina secondaria deserta, la situazione
ormai calmatasi.

«Giuro!» esclamò, con un ghigno che le illuminava tutta la visino rotondo. «Non mi sono
mai divertita tanto!»

Qualcosa simile ad un ringhio sordo parve provenire dal sedile di Dean, e Sam gli scoccò
un'occhiata preoccupata.

«È stato fortissimo!» insistette Kim, asciugandosi le lacrime dagli occhi e sistemandosi più
comoda sul sedile. «Dovremmo rifarlo!»

«Kimberly Lennex» fece Dean, furioso. «Quant'è vero che mi chiamo Winchester, questa
me la paghi».

La ragazzina smise di ridere talmente in fretta, trattenendo il fiato, come terrorizzata, che
Sam si sentì in dovere di aggiungere: «Non diceva sul serio, Kim, vedi...»

Ma lei non lo stava ascoltando. Aveva gli occhi fissi su di Dean come se lo vedesse per la
prima volta, la bocca semi aperta, il respiro affannoso.

«Winchester, hai detto...?» ripeté, con un filo di voce.

Sam si voltò di scatto a guardarla, preoccupato. Era pallida come uno straccio.



Note dell'autrice:

 

Buonasera, people!

Vi rubo solo qualche minuto per salutarvi alla fine di questo capitolo che, come al solito, è uscito dopo un pò troppo tempo, me ne rendo
conto. Purtroppo, che dire? Quest'anno mi tocca la maturità e si avvicina Maggio, segno che avrò sempre meno tempo per aggiornare:
nonostante questo, seppure lentamente, vi assicuro che la storia andrà avanti con regolarità, e spero davvero che continui ad appassionarvi!

Un ringraziamento a tutti quelli che la seguono, e un ringraziamento particolare a Chambertin, che ieri notte (proprio notte, eh.) mi ha
aiutato a mettere un pò d'ordine a questa storia, e senza la quale non ce l'avrei mai fatta a continuare.
Già che ci sono, cito anche le grandissime elekus483 alicettameggy, che non mancano mai di seguire ogni mia nuova storia (grazie! ♥),
ed ovviamente, Melis, a cui la fic è dedicata e le cui recensioni vi consiglio vivamente. :')

Un bacione enorme,

Relya!

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Capitolo 6
*** Cacciatori non si nasce ***


«Allora?»

Kim su buttò malamente sul letto singolo della camera del motel, sistemò la gamba
ingessata su una sedia mezza sfasciata, e solo dopo alzò lo sguardo verso Dean, che le si
era posto davanti, in piedi, le braccia incrociate sul petto, guardandolo storto da sotto i
ciuffi scompigliati di capelli.

«Allora cosa?» rispose la ragazzina, con finta noncuranza.

Dean inarcò le sopracciglia, esasperato, mentre al suo fianco Sam entrava nella stanza
trascinando le loro cose su di un secondo letto.

«Che cos'è era quella specie di...» Dean imitò un urletto spaventato «che hai fatto al
sentire il nostro cognome?»

«Non ho gridato!» replicò Kim, punta sul vivo.

«No, ma eri terrorizzata» ribatté quello, con una smorfia.

«Non è vero».

«Eri scioccata!»

«Solo sorpresa!» esclamò lei, risentita.

«E da cosa?» chiese ancora Dean, che non pareva aver intenzione di cedere.

Kim, per tutta risposta, voltò la testa dalla altra parte, ma vi trovò Sam, che si era
silenziosamente seduto al suo fianco, ed ebbe un sussulto di sorpresa -si ritrasse appena
sul materasso, come per allontanarglisi.

«Kim, se hai già sentito parlare di noi da qualcuno, da qualche cacciatore, o da qualche
altra creatura sovrannaturale» iniziò Sam, cercando di tenere un tono pacato. «Dovresti
dircelo. Davvero, è importante».

«Io... non...» per un attimo, la risposta della ragazzina si perse in un farfuglio confuso, poi
sembrò riprendersi, e scosse la testa con forza, schizzando il pavimento bianco di fango
come un cagnolino bagnato.

«Sentite, voi due avete il nome di una cavolo di pistola, lo sapevate?» sbottò, senza
guardarli. «Sarà stato quello. Il che, tra parentesi, è una figata pazzesca, visto che Lennex
sembra solo la marca di un detergente».

Dean spalancò la bocca, incredulo. «'Sarà stato quello'?» ripeté, le sopracciglia aggrottate.
«Quindi, se fossimo stati i fratelli Dinamite, ti saresti buttata fuori dalla macchina in preda
al panico?»

Kim divenne rossa fino alla punta dei capelli.

«Sicura che non ci sia altro?» chiese ancora Sam, voltandosi a guardarla. La ragazzina
evitava ancora il suo sguardo, ma annuì, poco convinta.

«E noi dovremmo crederti» sentenziò Dean con aria annoiata, lasciandosi cadere a sua
volta su una sedia.

«Non lo fai mai, non è che mi cambi la vita» sbuffò Kim, sempre con lo sguardo castano
fisso sul bordo delle lenzuola giallognole.

Dean le lanciò un'occhiata di traverso, poi lo sguardo gli cadde su Sam, che scosse quasi
impercettibilmente la testa, come a dirgli "lascia stare." Il maggiore alzò gli occhi al cielo,
si sfregò appena le mani, poi riprese la parola.

«Bene, allora sapete cosa si fa adesso?» disse, alzando appena la voce.

Kim sollevò appena lo sguardo, con un mezzo sorriso. «Ordiniamo una pizza e ci
guardiamo un film?»

Dean fece bellamente finta di ignorarla, e si alzò in piedi. «Io andrò a sistemare quella
cosa del fantasma, mentre...»

«Ehi, ehi, ehi, quello era il mio caso!» intervenne Kim, sdegnata.

«Da quel che ho capito, hai combinato già abbastanza casini, scambiando i cadaveri, mh?
E qui non è un gioco, si tratta di persone che hanno perso la vita» Dean la guardò, d'un
tratto con un'occhiata talmente penetrante che Sam dovette ammettere che al posto della
ragazza, si sarebbe sentito parecchio imbarazzato -e infatti Kim tossicchiò e distolse lo
sguardo. «Quindi tu rimarrai qui a fare la brava bambina finché non torno».

«Non puoi obbligarmi» ribatté Kim in un moto di fierezza.

«Io no, è per quello che c'è Sam» ghignò Dean, appena divertito, per poi guardare il
fratello. «Tu stai qui e tienila d'occhio, Sammy, va bene?»

Quello annuì in silenzio, lanciando un'occhiata a Kim, che se ne stava con le braccia
incrociate, lo sguardo castano in fiamme.

«Sei perfido!» fece, in direzione di Dean, che allargò le braccia, come divertito, per poi
uscire teatralmente dalla stanza.

Non appena il rombo dell'Impala che si allontanava fu scomparve dietro l'angolo, Kim si
accasciò sul letto, sbuffando, ancora senza guardare negli occhi Sam.

«Non potete tenermi qua per sempre» sbottò, ma non pareva più tanto arrabbiata come
prima, anzi, aveva preso una vena quasi di rassegnazione.

Sam sorrise. «Credo che Dean intendesse solo per questa notte, sai».

«E tu sei il bravo fratellino obbediente, giusto?» replicò Kim voltandosi a guardarlo, e una
scintilla brillò per un attimo sulle sue iridi.

Un'ombra scura passò sul volto di Sam. «Non proprio. Kim, sei figlia unica?» chiese poi,
quasi per sviare il discorso.

Lei parve sorpresa dalla domanda, ma annuì in silenzio.

«Allora non puoi capire» concluse lui, voltando lo sguardo lontano, in direzione della porta.

Kim, inaspettatamente, sorrise a sua volta. «Nah, non è vero. Ho avuto anch'io le mie
esperienze con capi prepotenti e pieni di sé».

Sam si girò di nuovo verso di lei. «Davvero?» chiese, sorpreso.

Kim stette per un momento ad osservarlo attenta, prima di continuare, come dosando con
attenzione le parole. «L'uomo che mi ha iniziato alla caccia. Non era proprio un amore di
maestro, sai?»

«Era pazzo, ad insegnarti a cacciare così piccola» replicò Sam, ripensando alla
conversazione avuta poco prima col fratello.

Kim scrollò le spalle. «Credeva fosse necessario».

«Com'è successo?» domandò ancora Sam, abbassando la voce.

Kim scrollò le spalle. «È venuto da me. Mi ha detto che ero in pericolo e che dovevo
sapermi difendere. Mi ha preso con sé, mi ha spiegato le prime cose, poi ha combinato un
casino pazzesco ed è scappato via, dicendomi di tornare a casa».

Sam inarcò appena le sopracciglia. «Cosa che tu, a quanto pare, non hai fatto?»

«Non potevo. Non dopo quello che avevo visto... che avevo fatto. E poi, non ce l'avevo più
una casa. Mentre» Kim si fermò, e sogghignò appena «devi ammettere che la caccia era
una prospettiva allettante. Scappi di casa, niente più scuola, adulti, regole. Il mondo
diventa grande e meraviglioso...»

«...ma anche pieno di mostri orrendi» concluse per lei Sam, quasi divertito.

Kim non parve particolarmente impressionata, e fece le spallucce. «Beh, dipende. Per
un'appassionata di film horror, è una specie di sogno che diventa realtà».

Sam aggrottò le sopracciglia. «Sei una ragazzina strana».

Kim gli rispose con un sorriso malizioso. «Non tutte vogliamo diventare principesse».

Per un attimo cadde il silenzio, ma era ovattato, il primo, vero, silenzio rilassato da quando
avevano incontrato la ragazzina. Sono dopo lunghi istanti, Sam se la sentì di interromperlo
con l'ennesima domanda.

«Ma a te, piace?» chiese, osservandone la reazione. «Cacciare, intendo».

Kim fece un sorriso storto, mesto. «L'hai capito, non è vero?»

«Cosa?»

«Che non sono un granché, come cacciatrice» fece lei, e per un attimo la sua voce prese
un tono di dolcezza che la fece sembrare davvero una bambina troppo cresciuta.

«Diciamo che l'avevo intuito» Sam sorrise appena.

«Ad essere onesti, è proprio uno schifo» Kim giocherellò con un lembo della coperta,
parlando lentamente. «Troppo sangue, corpi morti, e tutte quelle budella. E io sono
pessima. Non riesco a guardare un cadavere in faccia senza vomitare. La prima volta che
ho visto un vampiro mi sono messa a gridare così forte che immagino si sia spaventato di
più lui, e poi è arrivato un altro gruppo di cacciatori a farlo fuori».

Sam sorrise ancora, divertito. «E quel lupo mannaro di cui raccontavi in auto?»

Per un attimo Kim parve perplessa, come se non si aspettasse che lui l'avesse davvero
ascoltata, poi si riprese e spiegò, asciutta: «Stava per mangiarmi un braccio, ma per
fortuna quella mattina m'ero messa il bracciale d'argento di mio papà, così per puro caso.
Quando mi ha morso gli è andato di traverso, si è messo a sputacchiare e a lamentarsi...
era un po' patetico, in realtà. Però così ho avuto il tempo di prendere la pistola e sparargli
al cuore. L'ho beccato al quinto tentativo».

Sam rise appena, e anche sul volto di Kim comparve un sorriso triste.

«Perchè lo fai, allora?» chiese poi lui, tornando serio.

«Non sarei buona a nient'altro» rispose lei, evasiva. «E tu, perché lo fai?»

Sam esitò un attimo prima di rispondere; poi, quell'unica parola parve uscirle da sola dalle
labbra: «Vendetta».

Gli occhi di Kim brillarono per un istante. «Capisco» sussurrò. «Anche tu credi che ci si
senta meglio, dopo?»

«Lo spero» replicò lui, la bocca asciutta.

La ragazzina aveva una strana espressione, che ricompose però in uno sbadiglio.

«Accidenti, non avevo visto che ore fossero!» aggiunse poi, quando lo sguardo le cadde
sullo schermo del cellulare. «Direi che dormo un po', se non ti dispiace».

«Figurati!» fece Sam, come riprendendosi di scatto; si alzò in piedi e lasciò che lei
s'infilasse, tutta vestita, sotto le lenzuola, armeggiando con la gamba ingessata, cercando
una posizione comoda.

Quando, alla fine, Sam spense la luce e si allontanò con l'intenzione di andarsene a
guardare la tv nell'altra stanza, in attesa del ritorno di Dean, sentì la voce di Kim,
impastata dal sonno, chiamarlo.

«Sam?»

Lui si avvicinò rapidamente al suo fianco, chinandosi in ginocchio per essere alla sua
stessa altezza.

«Posso chiederti un favore?» mormorò lei, alzando appena la testa dal cuscino.

«Dimmi pure» fece quello, inclinando la testa per osservarla meglio.

Persino nella penombra, vide che Kim era d'un tratto arrossita. «Quello che ti ho detto...
non farne parola con Dean. Non voglio che pensi che io sia una buona a nulla».

Sam non poté impedirsi di sorridere divertito.

«Promesso».

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Capitolo 7
*** Hunters S.P.A. ***


Dean mosse appena le palpebre nel sonno, sentendo la luce dalla finestra picchiarvi
fastidiosamente. Contrasse appena la bocca in una smorfia, prima di decidersi ad
aprire gli occhi, strofinandoseli con le nocche nel tentativo di svegliarsi del tutto.
 
Il suo sguardo vagò un attimo per la stanza, abituandosi in fretta alla luce del giorno;
si soffermò appena sulla titanica figura di Sam, ancora mezzo addormentato su un
divanetto decisamente troppo piccolo, per poi raggiungere l’angolo dove stava il
piccolo letto ad una piazza di Kim.
 
Gli ci volle un instante per capire che c’era qualcosa che non andava, un altro paio di
secondi per osservare le lenzuola sfatte, per arrivare infine alla conclusione che il letto
era innegabilmente vuoto.
 
«Sam!» borbottò, la voce ancora rauca dal sonno. «Sammy!»
 
Il fratello grugnì qualcosa che assomigliava molto ad un “si dice Sam”; Dean afferrò
confusamente uno dei cuscini per lanciarglielo in piena faccia, il che servì
definitivamente a svegliare l’altro.
 
Sam si alzò, massaggiandosi appena le tempie; era ancora tutto vestito dalla sera
prima, quando si era addormentato sul divano nel vago tentativo di aspettare sveglio
il fratello.
 
«Buongiorno a te, Dean» mugugnò, contrariato, ma l’altro si era già avvicinato alla
branda di Kim, rivoltandone le coperte.
 
«La ragazzina!» esclamò. «È sparita!»
 
Sam si accigliò appena, avvicinandosi. «Come sarebbe a dire, sparita? Le sue cose
sono ancora qui».
 
«E allora dove accidenti è?» fece Dean, infilandosi frettolosamente una camicia a
quadri ed un paio di pantaloni.
 
Sam trattenne a fatica uno sbadiglio. «Non ci sono le stampelle, se ne sarà andata per
conto suo» disse, con una calma serafica che irritò appena il fratello.
 
«Meglio andare a controllare. Tanto tu sei già pronto, no?» Dean ghignò appena,
uscendo rapidamente dalla stanza, seguito a ruota da Sam.
 
«A proposito, grazie di non avermi svegliato ieri notte, quando sei tornato» borbottò
questo, mentre scendevano precipitosamente le scale.
 
«Nah, dormivi troppo bene» replicò quello, divertito. «E poi era tardi».
 
«A proposito, perché ci hai messo tanto? Era davvero un osso duro come diceva
Kim?». Svoltarono alla fine della scalinata, per raggiungere la hall del motel, e il
ghigno di Dean si fece più grande.
 
«Macchè, ci sono voluti dieci minuti. Ma le ragazze giù al bar, mh…»
 
Quella che si preparava come una succulenta cronaca, venne bruscamente interrotta
da una voce che li chiama allegramente.
 
«Dean! Sam! Sono qui!»
 
Si voltarono contemporaneamente. Era Kim, seduta comodamente in uno dei tavolini
del bar alle loro spalle, la gamba ingessata appoggiata su una seconda sedia, ed un
computer portatile aperto davanti agli occhi.
 
«Dove diavolo ti eri cacciata?» ringhiò Dean, avvicinandosi.
 
Kim spalancò gli occhi castani in un’espressione di ingenua sorpresa. «A fare
colazione. Non è questo che si fa la mattina? O voialtri cacciatori avete usi differenti?»
 
«Abbassa la voce!» bisbigliò frettolosamente Sam, vedendo la cameriera voltarsi nella
loro direzione; si sedette su una sedia libera accanto a lei, subito imitato da Dean.
«Kim, quello è il mio computer?»
 
Sul volto della ragazzina si aprì un gran sorriso. «Sì, l’ho preso in prestito per fare
delle ricerche. E indovinate un po’? Ho un lavoro per voi!»
 
«Un cosa?» fece Dean ad alta voce, ma s’interruppe quando vide la stessa cameriera
avvicinarglisi, con un sottile sopracciglio inarcato. Ricompose l’espressione in uno dei
suoi migliori sorrisi. «Un caffè, grazie».
 
«Due caffè» aggiunse subito Sam.
 
«Tre caffè» s’inserì precipitosamente Kim, e quando i due si voltarono a guardarla,
accigliati, scrollò le spalle. «Che c’è? Sono grande abbastanza».
 
«Dicevi?» fece Sam, non appena la cameriera si fu allontanata abbastanza.
 
«Ho un caso incredibile a soli quindici minuti da qui». Il sorriso di Kim prese una
strana piega, quasi maliziosa, mentre voltava lo schermo del portatile verso di loro.
«Tre boy-scout scomparsi durante una scampagnata, tre giorni fa. E ieri…» la sua
voce si abbassò fino a diventare un sussurro eccitato «ne hanno ritrovato dei pezzi nel
bosco».
 
Dean fece una smorfia disgustata. I loro caffè erano appena arrivati, e mentre la
cameriera li distribuiva, Kim abbassò lo schermo del portatile fino a spegnerlo, un
sorriso angelico sul volto, per poi iniziare a parlare di nuovo, non appena si fu
allontanata.
 
«Le autorità danno la colpa ad un orso» Kim alzò gli occhi al cielo, con aria vissuta.
«Ma naturalmente noi sappiamo cosa potrebbe essere stato. Possiamo cominciare a
lavorarci già da oggi».
 
«Sì, certo». Dean posò la tazzina sul tavolo, alzando le sopracciglia. «Kim, mi ricordi
il momento in cui ti ho detto che saresti venuta a caccia con noi?»
 
Per un attimo la ragazzina parve confusa. «Beh, mi pare ovvio. Io sono sola e ferita,
non avrete certo intenzione di abbandonarmi qui!»
 
«Beh, l’intenzione era quella» borbottò Dean a mezza bocca.
 
Gli occhi castani di Kim corsero in direzione di Sam, come alla ricerca di aiuto. «Ero
convinta che saremmo rimasti insieme, almeno fino a che non guarivo!»
 
«Kim, Dean e io abbiamo delle questioni da sbrigare» fece Sam, cercando di suonare
il più dispiaciuto possibile, nonostante la gola gli fosse diventata stranamente secca.
«Questioni di famiglia».
 
Kim spalancò gli occhi, stupita e confusa insieme. «Ma voi siete cacciatori! Salvate le
persone dai mostri! È questo che dovreste fare!»
 
Sam sospirò. «Lo so, però…»
 
«Non sono neanche in condizioni di cacciare, o me ne occuperei da sola!» sbottò Kim,
incrociando le braccia sul petto, il volto appena arrossato.
 
«Dubito che ne saresti in grado anche con due gambe sane» sbuffò Dean, come
infastidito dall’intera discussione.
 
Negli occhi di Kim passò come una strana luce. «La gente sta morendo, Dean, puoi
anche risparmiarti il sarcasmo» commentò, con un’improvvisa ostilità nel tono.
 
Per un attimo cadde il silenzio. Alla fine, fu Sam a girarsi verso il fratello,
mormorando, a voce bassa: «Forse… forse dovremmo pensarci, sai».
 
Un’altra, gelida pausa.
 
«Solo per questa volta» replicò alla fine Dean, e sul volto di Kim si riaccese un sorriso
allegro.
 
«Benvenuto in società, compare».

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