Teach me how to love.

di weitwegvonhier
(/viewuser.php?uid=229192)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A stranger fallen into my life ***
Capitolo 2: *** You need to stop to stumble on me ***
Capitolo 3: *** Please, don't let him to use yourself. Let me love you ***
Capitolo 4: *** And the fate bring him back to me. P.s.She's so beautiful ***
Capitolo 5: *** Don't go away. P.S. Goodbye, I love you ***
Capitolo 6: *** Those perfect moments before a 'goodbye' ***
Capitolo 7: *** The girl at the rock show ***
Capitolo 8: *** Will you be there for us? ***
Capitolo 9: *** Our sweet little frog ***
Capitolo 10: *** I'll meet you there ***
Capitolo 11: *** Goodbyes are not forever ***
Capitolo 12: *** P.s. I love you ***
Capitolo 13: *** Diaries ***
Capitolo 14: *** I don't wanna think about you ***
Capitolo 15: *** Home is where your heart is... ***



Capitolo 1
*** A stranger fallen into my life ***


A.S. Lo so, lo so, dovete sopportarmi ancora (sempre che lo vogliate, ovvio). In realtà, con tutta questa voglia notturna che mi prende di scrivere (la notte porta ispirazione(?) ) ho pensato che invece di scrivere una decina di One Shot avrei potuto iniziare a scrivere una storia. Si, una di quelle con i capitoli. Haha Niente, questo è solo un capitolo, che, oltretutto, ho appena finito di scrivere (sono le 2:44) e, se mi fate sapere cosa ne pensate, deciderò cosa farne. Voglio dire, se lo leggete e vi piace, mi farà un immenso piacere, e se lo leggete e non vi piace, vi prego ditemelo pure, le critiche sono sempre ben accette! E nel caso eliminerò per sempre la storia da qui. *aria minacciosa con musichina di sottofondo*
Come sono tragica, e quanto ho parlato! Vi sto distraendo (?)
Seriamente, fatemi sapere se sia o meno il caso di continuare, dato che non sono molto brava nelle storie a lungo termine :)
Ora posto davvero il capitolo. Chiedo scusa per questa luuuuuuunga introduzione.


Montreal, August 1998
15.13

Passeggiavo sul marciapiede, immersa nella musica, con lo sguardo sui miei piedi che sembravano muoversi a tempo di batteria.
Pensavo a quanto schifo mi sentissi, a quanto ancora peggio mi sarei sentita, consapevole del fatto che tra poche settimane sarebbe iniziato l’ultimo, doloroso, straziante anno scolastico.
Una persona come me, poi, che non ha amici, che non riesce a legare con le persone neanche con tutta la buona volontà, a scuola è sempre quella strana.
Eppure io ci avevo provato ad essere normale, ad essere come loro. Avevo provato a vestirmi come loro, ad ascoltare la loro musica, a parlare come loro, ma quando mi guardavo allo specchio vedevo semplicemente un’altra ragazza, stupida, uguale al resto del mondo, che prendeva in giro quello che realmente era.
Cercavo di proteggermi con la musica, ma anno dopo anno, diventava sempre più difficile.
Andavo a letto la sera, cercando di convincere me stessa che il giorno dopo sarebbe stato diverso, che io sarei stata diversa.
Ogni giorno chiudevo gli occhi con le lacrime che bagnavano il cuscino.
Domani’ mi dicevo ‘domani andrà meglio’.
Ma domani non arrivava mai, e i domani continuavano a scavalcarsi e inciampare, e poi continuavano a passare, inesorabili. I giorni, dapprima. Poi i mesi, e gli anni.
Era sempre domani, non vivevo più per l’oggi, vivevo per la speranza che domani sarebbe arrivato e sarebbe stato diverso, migliore.
Pensavo, anzi no, era fermamente convinta che gli altri non riuscissero ad accettarmi perché c’era qualcosa in me che non andava. Ma che cosa poi?
Il mio errore era questo:io non riuscivo ad accettarmi, e questo faceva di me una degli altri. Io ero in prima fila ad urlarmi contro che non andavo bene, che ero sbagliata, a ridere di me.
Alzai il volume delle cuffie, cercando di far affogare i miei pensieri nella musica, di sopraffarli, di non sentirli più. Ma loro erano sempre lì, pronti a pungermi al mio primo momento di distrazione.
Arrabbiata, triste, delusa, disillusa, me la stavo prendendo con il mio povero walkman che, avendo ormai una certa quantità di anni sulle spalle, bloccandosi, non mi permetteva di cambiare canzone.
Sbraitando dentro di me e scuotendo quell’affare per aria, con il rischio di colpire qualcuno in pieno viso, andai a sbattere contro qualcosa.
Ahia!
Qualcuno.
Impietrita e imbarazzata non sapevo da dove iniziare per scusarmi e inizia a balbettare parole senza senso, senza neanche alzare il naso, o gli occhi, e vedere contro chi ero andata a sbattere.
-Sta più attenta a dove metti i piedi. E non agitare quel coso così, potresti fare male a qualcuno. Fortunatamente saresti comunque troppo bassa per arrivare alla mia testa.- Sentii un risolino compiaciuto dopo quest’ultima affermazione, così, senza badare a chi fosse, a cosa facesse o semplicemente al fatto che almeno un minimo aveva ragione iniziai ad urlargli contro agitandogli il walkman sotto il naso.
-Come prego? Io dovrei stare attenta a dove metto i piedi? Ti ricordo che anche tu mi sei venuto addosso, se davvero guardavi dove andavi, avresti potuto evitarmi e scansarti! E come ti permetti, poi, di giudicare la mia altezza in questo modo? Ma guarda che sbruffone!-
L’ultima frase avrei voluto pensarla, ma mi uscì fuori dalla bocca prima che potessi fermarla.
Mi guardava dall’alto in basso lui, con lo sguardo serio e un sorrisino stampato sulle labbra.
E che labbra.
-Ma no, che vado mai a pensare? Questo ragazzo è solo un pallone gonfiato, con degl’occhi color nocciola abbrustolitabellissimi, che se ne va in giro a fare il bullo con le persone più deboli di lui per sentirsi bene con se stesso e che infondo, nonostante abbia un corpo da favola e sia maledettamente alto, non è altro che un povero stupido senza cervello!-
Lo avevo pensato tanto intensamente che quasi mi sembrò di aver sentito la mia voce pronunciare quelle stesse parole.
-Color nocciola abbrustolita dici? Io avevo sempre pensato che fossero castani.-
Mi guardò divertito, non aggiungendo altro, sapendo che bastava quella frase a farmi rendere conto di…oddio! Lo avevo detto a voce alta!
Com’è possibile che io non abbia un briciolo di autocontrollo sul mio corpo?
Che cosa ho detto dopo? Ero così arrabbiata che non mi ricordo neanche che cosa ho detto, pensato o espresso.
E, come se non bastasse, mi ero talmente persa nei miei pensieri che non mi ero resa conto di aver iniziato a fissarlo.
Perfetto. Adesso è ufficiale, penserà che sono matta, e non avrebbe torto.
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
Cos’era poi questa storia degl’occhi bellissimi, del sorriso bellissimo e del corpo da paura? Una volta riuscita a liberarmi di questo…essere, avrei dovuto darmi molte spiegazioni. Mai, in quasi diciannove anni di vita, avevo provato attrazione per un ragazzo, e adesso vado a sbattere contro un cretino per la strada, e lo trovo addirittura bellissimo? Ci doveva essere una sorta di pozione magica nell’aria e io dovevo senz’altro smettere di leggere libri di fantascienza.
Fermi, in mezzo al marciapiede, lui che mi guardava divertito e io che, nonostante mi fossi accorta, qualche minuto prima, di fissarlo, mi ero completamente dimenticata di spostare lo sguardo altrove.
-Devo essere davvero bello e interessante per meritare una tanto accurata attenzione.- Se ne uscì poi, notando che non davo segno di movimento.
-Bello forse, ma interessante proprio non direi.- Ed eccomi di nuovo al punto. Vi prego qualcuno mi dica in questo preciso istante che non ho appena ammesso che è bello, che l’ho solo pensato.
-Oh, beh, bello mi basta. Per ora.- Disse poi facendomi l’occhiolino e, finalmente, passandomi accanto e urtandomi una spalla. Cosa che, ci metterei almeno due dita sul fuoco, ha fatto volontariamente.
Respirai l’aria che aveva spostato con il suo corpo, e mi sorpresi a pensare quanto buono fosse il suo odore.
Un attimo però, quel per ora che cosa mai voleva stare a significare?
Per ora? Per ora cosa?
E’ stato semplicemente uno stupido incontro del crudele destino che si diverte a farmi scherzi, non ci saremmo visti mai più.
Rimasi immobile sul marciapiede anche dopo che lui se ne fu andato.
Non so che cosa mi stava prendendo, non riuscivo a capirlo, non mi ero mai sentita così.
Non mi accorsi di essere in mezzo al marciapiede, con lo sguardo perso nel vuoto finché un simpatico vecchietto non mi picchiettò sulla spalla chiedendomi –Hey, va tutto bene signorina?- al che mi risvegliai, e risposi che si, andava tutto bene.
Ripresi a camminare, stando bene attenta a dove mettevo i piedi e addosso a chi inciampavo, senza nascondere però a me stessa, quel piccolo, flebile desiderio, di rivederlo ancora.
Quell’incontro aveva lasciato qualcosa in me, che non sarei in grado di descrivere.
Mi accorsi solo in quel momento, che il cuore stava riprendendo il suo ritmo regolare.
Aveva iniziato a battere più forte prima. Perché?
Chi era quel ragazzo?
Perché nel momento in cui ripensavo a lui, mi nasceva un sorriso sulle labbra?
Che cosa mi stava succedendo?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** You need to stop to stumble on me ***


A.s. Sono già tornata(?) Mamma mia, ultimamamente ho una voglia di scrivere incredibile, spero possiate sopportarmi Hahah
Allora, mi sto impegnando molto nello scrivere questa fan fiction, anche se non può sembrare, ma ieri notte mi sono copiata su un foglio tutto il calendari del 1998 e del 1999 in modo da mettere delle vere date, con dei veri giorni! Hahah Si, lo so, sono matta. Ho fatto anche qualche ricerca in qua e la per un po' di cose, in più, ho ritirato fuori il mio vecchio libro di biologia per questo capitolo!
State davvero leggendo tutto questo? Tendo a perderemi in chiacchiere, vi chiedo scusa '-'
Quindi, non so se sarò sempre così veloce nello scrivere (dubito, dato che martedì ricomincio scuola. UCCIDETEMI!) però...insomma, lo sapete. Che vi piaccia o no, mi piacerebbe se mi fate sapere cosa ne pensate, così, per farmi un'idea. :) Behh, grazie davvero ad ogni persona che apre questa pagina e la legge, e ovviamente a chi recensisce addirittura. Grazie a tutti. (E' più lungo questo del capitolo, oddio. SCUSATE!)

Montreal, September 21st,  1998
10.02

 
 
Camminavo per il corridoio della scuola, e nessuno mi vedeva. Questa era la mia vita.
Stavo andando al mio armadietto per posare i libri che mi avevano accompagnato durante la seconda guerra mondiale, nell’aula del prof. Scott, e prendere quella misera barretta energetica che ogni mattina cercavo di farmi bastare fino all’ora di pranzo. Non perché avessi paura di ingrassare, o avessi uno di quegl’attacchi tipici delle ‘ragazze popolari’, ma semplicemente perché tra l’uscire di classe, arrivare all’armadietto (al piano superiore), posare i libri, mangiare, e tornare in classe non avevo tempo per altro.
Passavo in mezzo alle persone, ma era come se ci passassi attraverso. O meglio, come se loro passassero attraverso di me.
Senza chiedere scusa, senza voltarsi neanche a vedere chi o cosa avessero urtato, se ne proseguivano tranquilli per la loro strada. Sulla mia spalla intanto, si andava formando un livido.
Vivevo circondata da fantasmi, mi sentivo come se io fossi lì, come se cercassi di andare avanti, di camminare, di raggiungere la meta, ma in realtà non mi muovessi. E ferma, in mezzo a quel corridoio, la vita mi scorreva accanto, veloce.
Ragazzi che si tenevano per mano, altri che si sbaciucchiavano, altri che chiacchieravano e altri che provavano ancora a farsi dare quell’attesissimo appuntamento dalla bella di turno e io lì, ferma, a sentire quello che avveniva al mio fianco, davanti a me, dietro di me. Ferma lì, in pausa, mentre la vita intorno a me era sul play.
Camminavo a fatica, tra un colpo alla spalla e l’altro, mentre cercavo di raggiungere quell’armadietto che sembrava allontanarsi, quasi volesse ridere di me anche lui.
Camminavo a testa bassa, lo sguardo fisso sui piedi.
Pensa ad una canzone, pensa ad una canzone e cantala talmente forte nella tua testa da non sentire più niente di quello che avviene in questa gabbia di matti. Pensa ad una canzone!
Ma non funzionava, perché nel momento in cui pensai ad una canzone, cercando di ricordarmi il testo, strinsi forte gli occhi, sbattendo contro qualcosa.
-Non è possibile, ma allora me lo fai apposta!- Avevo già sentito quella voce, ma ero troppo impegnata a raccogliere i libri da terra senza imprecare ad alta voce per pensare a chi potesse essere. Chiunque fosse, era di quella scuola, era un fantasma che se ne vagava in questo posto esattamente come tutti gli altri, non valeva la pena guardarlo in faccia.
Non chiesi neanche scusa, raccolsi i libri da terra e mi alzai, ma quella figura imponente si era piazzata sul mio cammino e aveva, a quanto pareva, deciso di non lasciarmi passare.
-Senti, scusa, non so che cosa vuoi da me ma io devo andare, quindi di prego di scansarti da qui e di farmi passare.-
-Che c’è, adesso non mi guardi neanche negl’occhi?- Sentii che un sorriso gli si formava sulle labbra. Di nuovo, mi invase quella strana sensazione di familiarità.
Alzai lo sguardo e…
-Ahia! Ma che ti prende?- Lo sentii urlare.
Mi resi conto solo dopo di aver, inconsapevolmente, lasciato cadere tutti i libri sul suo piede. Cercai di far riprendere colorito al viso, mi schiarii la voce, mi feci forza. –Ben ti sta. La prossima volta ti levi dai piedi quando te lo chiedo, magari.-
-Ma sei matta o cosa? Sei tu che mi sei venuta addosso! Di nuovo.- Sorrise, con quel mezzo sorriso che gli illuminava parte del volto. Sentii il mio cuore protestare, mancare un battito, due, e riprendere a battere più veloce, come a voler compensare quella mancanza momentanea. Cercai di mantenere la calma. Non arrossire. Ma che ti prende ancora?
-Di un po’- se ne uscì poi –non è che ti sei innamorata di me e che cerchi di attirare la mia attenzione in questo modo…goffo?-
Ah, questa poi! Ma chi si credeva di essere?
-Senti un po’ modestia-fatta-a-persona che cavolo ti sei messo in testa? Vogliamo affrontare di nuovo l’argomento? Devi smetterla di venirmi addosso.-
-Smetterla io? Ma stai scherzando?- Si mise a ridere. ‘Dio, quant’era bello quando rideva. E quelle leggere fossette che gli si formavano tra le guancie… Riprenditi, quello è un idiota, non dovresti neanche pensarle certe cose! –Se è la seconda volta che mi vieni addosso e inizi a fissarmi rimanendo lì impietrita come se fossi un alieno!?-
Inizio a fissarlo? Ini…oh cavolo! Era successo ancora. Non è possibile, non posso essere così maledettamente imbranata.
Cercai di dire qualcosa, cercai di sviare lo sguardo, cercai con tutte le mie forze di ribattere, di farmi valere, di smetterla una buona volta di guardare quegl’occhi brillanti che facevano del suo sorriso la cosa più bella che avessi mai visto, ma non ci riuscivo.
Rimanevo lì, ferma, con l’espressione da ebete stampata sulla faccia, ad osservare quelle guance, quegl’occhi, quelle braccia, quelle…
-Hey Pierre! Ma che ci fai qui a parlare con questa?- Una bionda di un metro e ottanta, in minigonna, che era più mini che gonna, arrivò, strappandomi dai miei pensieri con la sua vocina stridula e acuta, guardandomi dall’alto in basso. Quanto dovevo sembrare ridicola in quella situazione. Io, piccola, mora, e con un pochino di ciccia in più sui fianchi, davanti a lei, altissima, bionda, magra e con due occhi verdi che avrebbero fatto mozzare il fiato a chiunque.
Quanto dovevo essere ridicola in quel momento, davanti a lei che baciava il suo ragazzo mentre io cercavo disperatamente di comandare alle mie gambe di muovermi, di fare almeno quel tanto che bastasse a superarli, a non vederli più.
Quanto dovevo essere ridicola io, che non riuscivo a muovermi di lì, né a staccare gli occhi dalle labbra di quel Pierre che erano appiccicate, ormai, al lucidalabbra di quella bambolina.
Dovevo sembrare tanto ridicola davvero, soprattutto quando, con una lacrima che mi rigava il volto, scappai. Sì, scappai.
Nella fretta, nella confusione, nel disgusto, dimenticai un libro a terra, ma non m’importava in quel momento. Scappai, mentre la campanella risuonava nelle mie orecchie.
Perfetto, devo rientrare in classe e non ho neanche mangiato.
Mi asciugai una lacrima dandomi della stupida, ingenua, cretina, ad ogni passo che facevo.
Come avevo fatto a pensare anche per quel millesimo di secondo che potesse…interessarmi?
Come avevo potuto permettere al mio cuore di sentirsi tanto libero da cominciare a battere così forte?
Come avevo potuto pensare ai suoi occhi e al suo sorriso?
E’ solo uno stupido, un idiota. Come tutti quelli che frequentano questa stupida scuola.
Lo odio.
 

15.33

Ero appena tornata a casa da un’altra giornata di stress e finta calma.
Mi buttai letteralmente sul divano, prima che il mio cellulare iniziasse a squillare, ricordandomi che alle 16.00 dovevo andare a casa di quel Matt, a dargli ripetizioni di biologia per il test della prossima settimana.
Lo facevo semplicemente perché i suoi ricchi genitori mi davano 50 dollari, per una giornata.
Al diavolo l’orgoglio, mi dicevo, al prossimo concerto dei Green Day non mancava poi molto, e io avevo bisogno di soldi sia per il biglietto, che per il viaggio a San Francisco, così avevo promesso alla signora Mureau che avrei aiutato suo figlio.
Cercai dentro di me tutta la forza che non avevo, mi alzai dal divano e m’incamminai verso casa di Matt, che era più o meno a tre isolati dalla mia.
 

17.48

-Quindi, ricapitolando, il modo in cui un gene si manifesta in un organismo determina il suo fenotipo, che viene indicato dalle caratteristiche osservabili.- Matt mi fissava come se stessi parlando in una lingua che non gli apparteneva.
-Matt, hai capito?- Non diede nessun segno di vita.
-No.- Disse poi stravaccandosi sulla sedia e sbuffando. Sbuffava lui, e io ero qui da due ore a cercare di spiegargli la stessa cosa senza successo.
-Allora,- ci riprovai con parole diverse –tu hai gli occhi verdi, giusto?-
Mi guardava. Che guardi? Rispondi, non sai neanche di che colore sono i tuoi occhi, per la miseria?
-Si.- Finalmente. –Ok, gli occhi verdi fanno parte di un gene recessivo, che si trova nel corredo genetico, che viene chiamato…-
-Genotipo!- Urlò lui interrompendomi. Mi si formò un sorriso involontario sulle labbra mentre, sospirando, rispondevo –Si, esatto!-
Si sistemò sulla sedia e io ripresi la mia missione continuando a spiegare. –Allora, il genotipo è quella cosa che determina il colore verde dei tuoi occhi, ci siamo?- Annuì. –Mentre il fenotipo è il colore dei tuoi occhi. E’ il verde, è quello che vedi tu, quello che c’è all’esterno, la manifestazione del genotipo.-
-Ahhhhh!-
-Hai capito?- Chiesi speranzosa in una risposta affermativa.
-Più o meno, credo di si.- Mi accontentai, lasciandomi andare sullo schienale della sedia.
-Ti va se facciamo un pausa?- Mi chiese Matt sorridendo. Risposi di si, in realtà iniziavo davvero ad avere un po’ fame e a sentire gli occhi pesanti.
Nei momenti in cui mi lasciò in quella stanza da sola per andare a prendere dei panini al piano di sotto, mi tornò in mente l’incontro-scontro di stamani.
Pierre, non avrei mai pensato che potesse chiamarsi così.
Poi però, alla sua immagine che mi strappò un sorriso dalle labbra, si affiancò quella della sua ragazza, Michelle, che il sorriso me lo strappò via, calpestandolo e tirandolo lontano da me.
Michelle Williams, ci avevo ripensato durante la pausa pranzo, a scuola. Tutti conoscono Michelle Williams. Tutti amano Michelle Williams.
Mi restava ancora da capire perché me la prendessi tanto se quel tipo era fidanzato, neanche lo conoscevo e per di più i ragazzi come lui non mi erano mai piaciuti.
Eppure cosa avrei dato per essere seduta sul suo letto ora, e non su quello di Matt.
Smettila di pensare a queste cose, stai andando fuori di testa. Tu non c’entri niente con loro, non c’entrerai mai niente, ficcatelo in quella tua testolina vuota e ferma questo maledetto cuore che è impazzito.
Nel frattempo però, era tornato Matt, che mi aveva vista pensierosa, persa nel nulla.
Mi si era avvinato e mi aveva posato una mano sulla guancia.
Che stai facendo?
Io non mi muovevo. Immobile, in attesa della sua prossima mossa, il mio corpo dipendeva da lui.
Non mi piaceva Matt, non mi era mai piaciuto. Anche lui era uno come gli altri, uno come Pierre. E forse era proprio per quest’ultimo pensiero che mi lasciai baciare, e che non opposi resistenza quando mi spinse indietro e si posizionò sopra di me.
La mia mente era vuota, non c’era Matt, non c’era Pierre.
Vuota, come il mio cuore in quel momento.
Le sue mani sotto la maglietta mi davano i brividi, e non erano quelli della felicità.
Smettila subito, esci da quella stanza e vattene finché puoi!
Ma avevo smesso di ascoltarmi molto tempo fa. Le sue labbra sul mio collo, il mio corpo non mi apparteneva più. Io ero andata via, chissà dove.
All’improvviso la porta si aprì e il mio viso, i miei occhi, niente, avrebbe potuto far capire quanto di merda mi sentissi in quel momento, quando mi vergognassi.
-Ohh, chiedo scusa, non pensavo di disturbare.- Disse, facendo l’occhiolino al suo amico e guardando me. In quelle due volte in cui ci eravamo visti non mi aveva mai guardato così. Non riuscii ad interpretarlo, quello sguardo.
Matt si alzò, e andò a salutare l’amico, mentre io mi sistemavo la maglietta, i capelli e con un –Buona fortuna per biologia- me ne andai di corsa, scappando dalla porta come una ladra.
 
Stavo correndo per la strada, tornando verso casa. Avevo bisogno di entrare, sbattere la porta di camera mia, prendere a calci tutto quello che si trovava sul mio cammino, accendere la musica, e ripetermi quanto schifo facessi, ma una mano me lo impedì. Mi bloccò, prendendomi il polso e costringendomi a fermarmi.
Mi voltai.
Pierre.
Non disse nulla, non fece nulla. Continuava a tenermi il polso, stretto, come io continuavo a tenere strette le lacrime nei miei occhi.
Che vuole adesso?
Ma non voleva niente. Mi guardava e nei suoi occhi c’era qualcosa, come se avesse voluto parlarmi attraverso lo sguardo.
Capii che non gli era piaciuto quello che aveva visto, ma non riuscii a capire perché.
Io sono libera di fare quel che voglio senza dover dare conto a nessuno, e arriva  lui, con l’aria da spavaldo e la presunzione di guardarmi addirittura con disapprovazione. Ma dico io, stiamo scherzando?
Come se io un giorno andassi da lui a guardarlo male perché sta con la sua ragazza.

Che ragazzo…strano.
Piano piano la sua stretta si allentò, e come se il mio braccio fosse stato sostenuto dalla sua mano per tutto questo tempo, mi ricadde, pesante, lungo i fianchi. Rimanemmo a fissarci l’un l’altra per un secondo che sembrò un’eternità, finchè insieme non ci voltammo, ed io continuai a correre verso casa.
 

23.39

Non riuscivo a dormire. Mi rigiravo e rigiravo nel letto senza trovare una posizione comoda.
Perché Pierre mi ha fermata prima, per la strada?
Perché continuo a pensare a lui?

Basta cuore, smettila, Pierre non ti appartiene e tu appartieni a me. Devi battere per me, non per lui. Fermati.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Please, don't let him to use yourself. Let me love you ***


A.S. Buoonaseraaa! Come va la vita? 
Oh, domani devo iniziare la scuola, ed io ho un bruttissimo rapporto con la scuola, ho voglia di morire. Comunque, mi sono preparata qualche capitolo, così se non potrò scrivere per una o due volte ce li ho pronti comunque. Non sono carina? :3 No, ok. Lasciate stare Hahah
Behhh,come al solito mi sono prolungata un po' in questo trafiletto, sento che c'è qualcosa che volevo dire, ma credo di essermene dimenticata (?). Sono vecchia, la memoria fa cilecca.
Ah si! Quando arrivata alla fine del capitolo, c'è una specie di 'ritorno indietro', nel caso non abbiate fatto tanto caso alle date (vi capirei, neanche io ci faccio caso quando leggo), è la conseguenza del capitolo precedente. :)
Credo di aver detto davvero tutto, adesso, e...vi lascio il capitolo che è meglio. 
Mi raccomando, fatemi sapere che ve ne pare, lo dico sempre e lo ripeto: ditemi se vi piace o non vi piace. Non è che mi aspetto e pretendo solo commenti positivi, anzi, se c'è qualcosa che dovete dirmi, fatevi sotto uù Oddio, sto parlando ancora. ECCOLO!


Montreal, October 6th, 1998
12.37

 
 
Ero seduta al tavolo mangiando la mia qualunque cosa fosse che la mensa aveva deciso di darci per pranzo oggi, mentre Matt si assaporava il suo qualsiasi cosa fosse che si era portato da casa.
Dopo quello che era successo a casa di Matt, che Pierre non si era premurato di tenere segreto, si era venuto a sapere a scuola che io e Matt stavamo insieme.
Non sapevo esattamente cosa mi spingesse a non mandarli tutti al diavolo, a farmi coraggio, e a togliere ogni volta la mano di Matt dal mio sedere, respirando profondamente, e consigliando a me stessa di stare calma. Sinceramente, non sapevo neanche perché quel giorno non avessi semplicemente detto a tutti di farsi gli affari loro ed accettare che Matt, con me, non c’entrava niente.
Ero rimasta ferma e zitta mentre tutto accadeva, mentre mi fidanzavo improvvisamente con lui, e mentre tutti ridevano e si congratulavano.
In realtà non sapevo neanche perché Matt volesse stare con me, quando poteva avere tutte le cheerleaders del paese. Obbiettivamente era un bellissimo ragazzo, personalmente, lo trovavo superficiale, stupido e idiota.
Ed era esattamente nello stesso modo che mi sentivo io, quando passava Pierre a salutare Matt, e io guardavo la mia mano stretta a quella del ‘mio ragazzo’ pensando che cosa starà pensando di me? Sarà felice per il suo amico, sicuramente. Perché dovrebbe pensare a me? Perché mi guardi così Pierre, che cosa vuoi da me? No, oddio, non sorridere così e cercando di togliermelo dalla testa quando Matt si abbassava per baciarmi.
Esattamente come quella volta, sul letto di Matt, era come se io non ci fossi stata più. Quando Matt mi prendeva per mano, io morivo. Quando mi baciava, io non c’ero.
Non gli permettevo di toccarmi, non gli permettevo quasi di baciarmi e al pomeriggio cercavo sempre di trovarmi qualche impegno per evitarlo, e lui non si stancava. Perché?
E ogni volta che incrociavo il suo sguardo vedevo i suoi occhi, vedevo Pierre.
Era diventato un incubo, io ero diventata un incubo.
Grazie al mio ‘fidanzamento’ con uno dei ragazzi più popolari della scuola, ero improvvisamente stata catapultata nel loro mondo, in quel mondo che tanto disprezzavo, che tanto odiavo. Che ci stavo a fare io lì, tra i popolari della scuola? Io, che non ero altro che una ragazzina che lavorava nei giorni liberi per racimolare soldi per andare ad uno stupido concerto. Che ci facevo tra di loro, che avevano una paghetta settimanale di cento dollari e che guidavano auto sportive? Che ci facevo tra di loro, io, che una macchina neanche ce l’avevo?
La voce di Matt mi riportò alla realtà. –Mi stavi ascoltando?-
Al tavolo erano apparsi Michelle e Pierre che si guardavano e ridevano tra di loro, come se al mondo non ci fosse nessun’altro.
-Cosa?- Dissi io.
-Oddio Maya, sei sempre distratta ultimamente, sicura di sentirti bene?- A quelle parole il sorriso di Pierre si spense e il suo sguardo si rivolse verso di me. Io guardai per terra, non ce la facevo mai a sostenere i suoi occhi su di me.
-Si, sto bene. Che mi dicevi?-
Lo sguardo di Pierre era ancora fissato sul mio viso quando Michelle irruppe nella conversazione, al salvataggio del suo amato, che si stava distraendo dalla camicetta alla quale aveva appena aperto un bottone. –Matt ti stava dicendo che stasera è il mio compleanno e che vieni con lui alla festa in spiaggia.- Puntò i suoi occhioni verdi su di lui. –Non è vero Matt?- Disse poi prendendo il viso di Pierre tra le mani e baciandolo, mentre lui sorrideva.
-Tanti auguri Michelle- dissi io alzandomi, prendendo il vassoio e andandomene –ma stasera ho proprio da fare, mi dispiace.- Senza alzare lo sguardo dalle labbra di Pierre fece spallucce e disse un –non importa, tranquilla- pieno di non me ne frega niente sottointesi.
Misi il vassoio al suo posto, buttando tutta quella roba che non avevo mangiato e me ne andai sulle scalinate del campetto da calcio, che a quell’ora era vuoto: amavo stare lì, a leggere un buon libro o ad ascoltare musica, quando non c’era nessuno.
Mi ero portata con me cime tempestose, uno dei miei libri preferiti, e stavo per iniziare a leggerlo dal punto in cui mi ero interrotta, quando una voce mi fece sussultare.
-Maya.- Disse.
Pierre.
-Cime tempestose? Amo quel libro!-
Io sorrisi, involontariamente.
Negli ultimi tempi, come ragazza di Matt, avevo avuto modo di passare un po’ di tempo anche con Pierre, perennemente in compagnia di Michelle, che non lo lasciava neanche per andare al bagno, e mi ero resa conto di essermi sempre fatta una marea di giudizi sbagliati su di lui, che in realtà era un ragazzo molto intelligente e sensibile e che era davvero sprecato in quel gruppo di idioti.
Senti chi parla, quella che si è lasciata fidanzare ad uno di loro.
-Non ci credi?- Mi chiese lui, spostando il suo corpo fino a darmi un leggero colpetto sulla spalla, col suo solito sorriso che ti lasciava sempre la voglia di stare a fissarlo per ore.
-Non so, non mi sembri molto il tipo da Emily Brontë, ma io non sono brava a giudicare le persone.-
Abbassò la testa e sorrise. Eccolo, di nuovo.
-Non sono l’idiota che tutti pensano.-
Lo so, tu sei molto di più e mi dispiace per tutte le cose che ti ho detto e per tutte le cose che ho pensato perché ti avevo giudicato solo superficialmente. Sei un ragazzo intelligente e buono.
Perché stai con lei? Perché le permetti di farti trattare da stupido?
Sorrisi e non dissi niente.
-Perché?-
-Cosa perché?- Chiesi sorpresa da quell’improvvisa domanda, arrivata dopo qualche secondo di silenzio.
-Perché non vieni alla festa stasera?-
Ah. Pensavo più ad un ‘perché stai con quel cretino di Matt?’.
-Ho da fare, te l’ho detto.-
-No, intendevo il vero motivo per cui non vieni.-
Ma bene, quindi adesso mi fa anche da psicologo.
-Non mi va, non mi piacciono le feste, non mi piace il tipo di persone che vanno a quel tipo di festa, non mi piace l’alcool e non ci voglio andare con…- mi fermai. Avevo detto troppo.
Pierre era il miglior amico di Matt, come mi era venuto in mente di mettermi a parlare a raffica in quel modo?
-Matt?-
Scossi la testa. –Lascia stare, non importa.- Feci per alzarmi e andarmene, ma lui mi prese il polso, e mi tirò giù, per farmi sedere di nuovo.
Mi passò davanti agl’occhi l’immagine di quel giorno, quando scappavo da casa di Matt e lui mi fermò per la strada, fissandomi dritta negl’occhi. Continuavo a chiedermi che cosa avrebbe voluto dirmi, quel giorno.
Lo guardai per un millesimo di secondo, pentendomi subito della mia scelta.
Era assorto nei suoi pensieri, teneva le mani incrociate sulle gambe e fissava un punto vuoto sul pavimento. E’ bellissimo. Poi alzò la testa, mi guardo, mi posò una mano sulla gamba, mi sorrise e mi disse –per favore, vieni stasera.- e si alzò, per andarsene.
Continuavo a fissarmi la gamba, sentendo ancora il calore della sua mano e i brividi che mi attraversavano il corpo. Bouvier, perché mi stai facendo questo?

20.56

Arrivai alla festa accompagnata da Matt, non mi ero chiesta perché alla fine avevo deciso di andarci, avevo paura della risposta.
Erano tutti intorno ad un falò nel mezzo della spiaggia, quando arrivammo noi.
Michelle ci venne incontro trascinandosi dietro Pierre, sorridendo a me e salutando Matt con un bacio sulla guancia.
Pierre mi sorrise, ed io cercai di ricambiarlo, inarcando un lato delle labbra. Quello fu tutto ciò che di più simile ad un sorriso riuscii ad ottenere.
Ero andata alla festa promettendomi che avrei cercato di evitarlo tutta la sera ed eccolo lì, davanti a me, neanche due secondi dopo il nostro arrivo.
-Sei venu…- All’improvviso una voce dietro di lui lo chiamò –Pierre!- si voltò, allungò un braccio verso la figura scura che si stava avvicinando a noi e disse –hey Chuck, vieni, ti presento i miei amici!-

23.12

Passai la serata seduta in riva al mare a parlare con Chuck, scoprendo che era un ragazzo davvero simpatico e carino e scoprendo addirittura che lui, Pierre, e altre due persone avevano una band e suonavano nel tempo libero.
Mi parlò molto di Pierre, di come fossero cresciuti insieme, di come si fosse sempre dimostrato un buon amico, un fratello, di come una volta litigarono tanto da non parlarsi per mesi ma di come tutto si aggiustò, e di come erano qui, adesso.
Stavo a sentirlo mentre mi raccontava ed ero rapita dalle sue parole, sembravano scelte accuratamente da uno scatolone rinominato parole per descrivere Pierre.
-A quel tempo non era un periodo facile per me- raccontava –così, lui si presentò a casa mia con un foglio, una penna ed una chitarra e mi disse ‘scrivi’. Sul momento non capii, ma dieci minuti dopo avevamo composto una canzone, e stavamo suonando come matti, dimenticandoci di tutti i nostri pensieri. E’ una persona speciale.- Si, lo è.
Sorrisi e lui mi guardò e disse –anche se spesso si comporta da idiota e sminuisce tutto quello che di bello c’è in lui.- Rise, e io risi con lui.

23.44

-Che cosa stai dicendo Pierre? Fermo, attento, no! Attento, non ti reggo…Pierre!-
Stavo cercando di accompagnarlo a fare un giro in riva al mare per smaltire un po’ la sbornia che si era preso, ma non riuscivo a sostenerlo e continuava a cadermi addosso.
Agitava l’indice in aria e farfugliava. –Tu non devi stare con lui, Maya, è un idiota.- Poi inciampava e cominciava a ridere. –Un cooompleto idiota che sta cercando solo di portarti a letto per andare a raccontarlo a tutti gli altri.- Era ubriaco fradicio.
-Si Pierre, lo so che è un idiota, ma adesso cammina.- Si fermò. Era come aver a che fare con un bambino capriccioso, solo con sessanta chili in più e un metro e ottantatre di altezza.
-No.- Disse. –Adesso tu stai qui e mi ascolti, si sa che gli ubriachi dicono sempre la verità e io…sono piuttosto ubriaco.- Rise, e perse l’equilibrio. Cercò di aggrapparsi al mio braccio ma ottenne l’effetto esattamente contrario e cioè, quello di portarmi giù con se.
-Pierre, per favore, smettila di parlare e dire cose senza senso e continuiamo a camminare. Dai, tirati su.- Cercai di alzarmi per portarlo su con me, ma mi mise un braccio intorno alla vita e mi costrinse in quella posizione. Occhi fissi nei suoi, il mio corpo in perfetto contatto con il suo e il mio cervello stava cercando una scappatoia per impedire al mio cuore di esplodere.
-Stai con me, Maya. Io posso darti tutto quello che quel…Matt non può. Permettimi di amarti, dimmi solo una parola e lascerò Michelle. Per favore!- Tossì un po’, prima di continuare.
Smettila Pierre, per favore smettila di farmi questo.
-Vorrei non essere ubriaco in questo momento.- Disse poi, scoppiando in una risata. –Ho aspettato di poterti stringere così dalla prima volta in cui mi sei venuta addosso- tu mi sei venuto addosso, stupido. – e adesso che sei tra le mie braccia sono ubriaco e domani mi ricorderò solo di avere un forte mal di testa.-
-Ecco, quindi adesso alzati e andia…- Le mie labbra furono serrate dalle sue.
Mi abbandonai per un attimo, dimenticandomi del mondo, pensando semplicemente a quanto bello poteva essere un bacio, se a dartelo era la persona a cui tenevi.
Mi resi conto in quel momento che stavo facendo un’assurda cavolata nella mia vita, che Matt era un’assurdità, che dovevo finirla con lui e con tutti loro. Mi resi conto che non c’entravo nulla con quella festa e mi resi anche conto di amare quel Pierre di cui mi raccontava Chuck, e non quello che se ne andava in giro mano nella mano con Michelle, a fare l’idiota con gli altri idioti del suo gruppo.
Staccai le mie labbra dalle sue, lo guardai un secondo, e gli diedi uno schiaffo.
Perché mi stai facendo questo Pierre? Perché?
Mi alzai nel momento in cui lui allentò la presa per portarsi la mano alla guancia, e scappai via, lasciando che le lacrime mi rigassero il volto.
Cercavo Matt, per chiedergli di andare via, e lo vidi che si sbaciucchiava Michelle.
Stranamente, non mi fece nessun effetto, anzi, mi sollevai al pensiero di avere un vero motivo per lasciarlo, finalmente, quando mi raggiunse Chuck.
-Ti avevo vista andare via con Pierre pensavo…ma hey, stai piangendo?-
In un impeto di non so che cosa mi buttai tra le sue braccia, che mi strinse, consolandomi.
-Puoi accompagnarmi a casa?-
Pierre, dietro di noi, spostava lo sguardo da me a Michelle, che era con Matt.
Mi chiedo se domani si ricorderà di tutto questo.
Chuck mi guardò, annuì. Mi prese la mano, mi guidò fino alla macchina accompagnandomi a casa.
Quella notte mi addormentai subito, e sognai il Pierre di cui Chuck mi raccontava in riva al mare, mentre suonava la chitarra nella sua camera.
Chissà com’è quando suona. Chissà com’è mentre canta.
 
 

Play rewind and we'll be back to the day where………………
So…is this what people like to call ‘love’?

 

Montreal, September 22nd, 1998
9.35

 
Stavo andando al mio armadietto, a prendere i libri per l’ora di matematica, quando, rimanendo fedele al mio essere imbranata, inciampai su qualcosa.
Chiusi gli occhi mentre cadevo e mi sembrava di andare a rallentatore.
Il pavimento non arrivava mai, sentivo già le risate di tutti nelle mie orecchie.
Ma dov’è il pavimento?
-Puoi aprire gli occhi ora.-
La sua voce mi risvegliò, e d’un tratto, mi accorsi di essere sospesa a metà tra il cadere e non.
-Dovremmo smetterla di incontrarci così, o prima o poi qualcuno si farà male.-
Il suo braccio aveva fermato la mia discesa, e la sua mano…-Hey!- urlai mollandogli uno schiaffo.
-Ma sei impazzita?- disse portandosi la mano alla guancia che stava diventando rossa.
-Mi stavi toccando.-
-Ti stavo tenendo! La prossima volta ti lascio cadere, così sei più felice. Scusami.- Disse poi lasciandomi un libro tra le mani.
-E questo?- Chiesi mentre se ne andava.
-E’ tuo, l’avevi lasciato ieri per terra, quando sei scappata.
-Io non sono scappata!- Dissi più a me stessa che a lui, che se ne era già andato.
Si, ero scappata. Ero decisamente scappata.

16.35

-Maya, che bello rivederti qui!-
-Buonasera John, come sta?- Ero andata in biblioteca per stare un po’ tranquilla e non pensare a tutte le cose che mi mangiavano il cervello.
-Sto bene, sto bene, tu invece? Qual buon vento ci riporta da noi questa bella signorina?-
-Oh, sono stata un po’ impegnata con la scuola ultimamente, e cosa, meglio di un buon libro, può alleviare la tensione?-
-Ben detto cara, ben detto!- Il signor John era un uomo dolcissimo, sull’ottantina, con i capelli completamente bianchi e dei simpatici baffetti sotto il naso.
Mi aveva vista crescere: dalla prima volta in cui misi piede qui, a nove anni, decisi che sarebbe stato il mio posto speciale ed il signor John era diventato il nonno che non avevo mai avuto.
-Che cosa posso offrire alla mia ragazza preferita oggi?-
-1984?- Uno dei miei libri preferiti, amavo leggerlo all’infinito. Nonostante sapessi la fine, nonostante sapessi che ogni volta, ci sarei rimasta male, era come se non potessi farne a meno.
-Oh, guarda, mi dispiace ma proprio oggi lo ha preso quel ragazzo là, vedi?- Indicò con un dito l’ultimo tavolo.
Pierre? No, non poteva essere lui, assurdo. I tipi come lui non vengono in biblioteca, e sicuramente non a leggere libri come 1984.
-Fa niente, allora credo che prenderò…-
-Puoi prenderlo, io ho finito.- La sua voce alle mie spalle mi fece sussultare.
Quand’è arrivato qui? Un secondo fa era…ah, non importa. Oddio, perché è così vicino a me? Concentrati, resta calma.
Il suo corpo attaccato al mio, il suo respiro sul mio collo e il suo braccio che mi passava sulla spalla, porgendomi il libro.
Rimasi in quella posizione per qualcosa che mi sembrò dieci minuti, finché non mi decisi ad afferrare il libro, a dire un –grazie- e andarmi a sedere al tavolo più lontano che c’era. Ma non bastava, non bastava mai allontanarsi da lui.
Era come una molla, più forte tiravi, più ti allontanavi, più forte ti veniva incontro, più ti si avvicinava.
-Quante volte lo hai letto?-
Feci finta di niente, continuando la mia lettura.
-Scommetto che è il tuo libro preferito.-
Chiudo il libro. –Che vuoi?-
Un bisbiglìo di –sh- si alzò in sottofondo. Non si parla in biblioteca. Vattene Pierre, vattene da qui. Perché fai così? Che cosa vuoi da me? Sorridi? Che sorridi? Non c’è niente da sorridere. Smettila di guardarmi così. Si avvicina, oddio perché si avvicina? No, fermati.
Sentivo il cuore che bussava al mio petto talmente forte, che mi spinse a credere che volesse scappare, andarsene via, lontano da me.
I nostri nasi quasi si toccavano, e i miei occhi lottavano per chiudersi. No!
-Hai un…- Bisbigliava, sentivo il suo respiro sulle mie labbra. Deglutii. Oddio Maya svegliati, voltati, picchialo, scappa, fa qualcosa! -…ciglio sotto l’occhio.- Disse, continuando a bisbigliare, a guardarmi dritta negl’occhi e togliendolo con il pollice, che poi scivolo giù, lungo la mia guancia.
Brividi.
-Pierre- sussurrai.
-Mh?-
-Smettila, ti prego.- Mi alzai e corsi via, sotto gli occhi sconcertati del signor John, che si voltò a guardare prima me e poi Pierre.
Non riuscivo a capire come facesse, quel maledettissimo ragazzo a farmi sentire così.
Ogni volta che ce l’avevo vicino, il mio corpo si ribellava, il cuore iniziava a battere così forte che mi ritrovavo a pensare ‘adesso scoppia’, le gambe mi si facevano di gomma, e mi mancava il respiro.
Che cosa ci trovano poi le persone di tanto bello nell’essere innamorati?

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** And the fate bring him back to me. P.s.She's so beautiful ***


A.S. Buongiornooo! Come va? :) Avete iniziato la scuola? Io sì, e ho con questa riniziato ad odiare tutti <3 Hahah A parte questa piccola cosa, eccomi tornata con un nuovo capitolo che, ci tengo a dirlo, non è stato facile scrivere. Oddio, cioè, entrare nella mente di Pierre, pensare a cosa avrebbe pensato, sentire cosa avrebbe sentito...è difficile. Con Maya è più semplice, è mia, è la mia 'creatura' (ow <3 Haha) ma Pierre...oddio. Ok, la smetto, spero che questo Pierre non vi deluderà e spero che il capitolo vi piaccia e non vi faccia annoiare. Vi anticipo che i prossimi saranno movimentati. Oooooooooooh! Hahaha Si, lo so, devo sempre fare la stupida. Vi lascio alla lettura, come sempre, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Soprattutto di questo Pierre, vi piace? Perchè...beh, ci tengo molto a questo Pierre della storia uù E a quello vero, ovvio. La smetto davvero. AAAAAh, scusate, eccolo. :)
(P.s. scusate se è un po' corto, vi prometto che gli altri torneranno più...ehm, lunghi? Si, lunghi. Haha Ciiao :3)



È stato il destino a farci incontrare, a farci capire chi siamo e ad incasinarci l'esistenza.
-Gianluca Menegazzo

Montreal, October7th, 1998
10.04

Mi stavo gustando la mia barretta di metà mattinata quando mi vidi passare davanti Matt, con la sua nuova ragazza, una certa Clair. Non aveva perso tempo: da quando gli avevo detto che non avevo più intenzione di stare al suo gioco –non è il mio gioco, noi due stiamo insieme!- o qualsiasi cosa fosse, neanche un’ora più tardi era già sentimentalmente impegnato con questa ragazza che sembrava uscita da una vetrina.
A pochi metri di distanza, ecco che arriva Michelle, arrabbiata, furiosa, rossa in viso e con l’evidente voglia di picchiare tutto ciò che si trovava sul suo cammino.
Stavo dando l’ultimo morso alla mia barretta quando mi resi conto di essere sul suo cammino.
-Tu!- mi disse, o meglio, mi urlò, puntandomi il dito contro il petto. –Tu, maledetta puttanella, questa me la paghi!- Ha la faccia tosta di dare della puttanella a me, mentre alla festa del suo compleanno si era baciata, e non voglio sapere che altro, con quello che doveva essere il mio ragazzo, mentre stava con Pierre?
Trattenni una risata.
-Scusami, non ti seguo. – Dissi tranquilla, dandole le spalle, per prendere i libri di psicologia nell’armadietto.-
-Tu Pierre non lo avrai, dovesse essere l’ultima cosa che faccio, me lo riprenderò!-
Io la guardai sorridendo. –Guarda che non è un oggetto, ha un cervello- al contrario di qualcuno, qui –ed è in grado di prendere da solo le sue decisioni. Io non ho fatto, né ho intenzione di fare proprio nulla.- Chiusi l’armadietto e me ne andai.

10.16

Aspettavamo tutti che il professor Roy, il mio insegnante preferito, arrivasse quando, ad un certo punto, eccolo lì.
-Che ci fai qui?-
Lui mi sorrise, ma non disse niente, andandosi a sedere all’ultimo banco, l’unico rimasto libero, mentre Roy entrava in classe.
-Buongiorno a tutti mostriciattoli, oggi si prospetta un’altra giornata impegnativa e piena di sorprese! Vi sentite pronti? Certo che vi sentite pronti, siete miei alunni perdio, vi ho istruito a dovere!-
Era famoso per i suoi monologhi che alle volte duravano dei minuti.
Mi chiedevo di che sorprese parlasse, e perché Pierre fosse seduto al corso di psicologia, quando aveva definito questa materia ‘stupida e sopravvalutata’ il giorno in cui mi permisi di dirgli che era la mia preferita.
-Prima di tutto, sono lieto di presentarvi il nostro nuovo acquisto!- Sorridente e sgargiante, allungò un braccio verso Pierre invitandolo a raggiungerlo alla cattedra. –Ho l’onore quest’oggi, miei cari alunni, di presentarvi questo bel giovanotto che ha deciso, saggia decisione a proposito, di unirsi al nostro corso! Il signor…- A Roy probabilmente sembrava di fare un discorso davanti ad un grande pubblico, mentre nessuno lo stava ascoltando. Io, per conto mio, stavo cercando di chiedere a Pierre che cosa diavolo ci facesse lì, ma lui mi guardava, e continuava a sorridere.
-Bouvier Pierre.- Disse, facendomi l’occhiolino.
Roy mandò a posto Pierre e iniziò a parlare di un progetto che aveva deciso di farci svolgere, a coppie.
-E’ un progetto sulla mente umana, che vi permetterà di interagire tra di voi, allo scopo di aumentare la vostra fiducia sia in voi stessi, che negli altri, e che vi permetterà inoltre di conoscervi molto meglio. Il tutto consiste nel passare una settimana a stretto contatto tra di voi, vale a dire, in una stanza, la quale sarà scelta secondo le vostre preferenze. Dovrete passare insieme almeno 8 ore ogni giorno e fare rapporto su di un foglio, questo ve lo consiglio caldamente, ogni volta. Alla fine della settimana ci ritroveremo tutti in palestra per ultimare questo progetto e dovrete consegnarmi i vostri rapporti, le vostre relazioni, dove descriverete i vostri sentimenti, belli o brutti che siano, le vostre idee e tutto quello che vi passa per la mente stando a stretto contatto con il vostro compagno. Ci siamo capiti?-
Dalla classe si alzò un rassegnato –sììì- mentre il professore prese il suo registro esclamando contento – Bene, e per non sentirmi dire che sono ingiusto, le coppie verranno scelte in ordine alfabetico!-
Un gran vociferare iniziò a riempire la classe: tizio che diceva a tizia che avrebbe voluto stare con lei, peccato che erano lontani. Tizia che diceva a tizio che, oh-mio-dio, con lui non voleva aver niente a che fare, non si permettesse neanche di guardarla, e la mia mente intanto, che facendo due calcoli, continuava a rifiutarsi di accettare l’evidenza.
Il professore iniziò a formare le coppie, e ad ogni nome pronunciato, si sentiva un coro di ‘woo’ formarsi dal fondo della classe.
-Adams Jennifer e Allen Chris.
Aroise Jean e Betruau Camille.-
Ecco, ilmomentodellaverità. Qualsiasi cosa dica, mantieni la calma.
-Bonnet Maya e Brown Mi…- Il mio cuore stava per esplodere. Si muova prof! –Oh, chiedo scusa, quasi mi dimenticavo del nostro nuovo acquisto! Bonnet Maya e Bouvier Pierre.- Se muori adesso è finita, calmati, respira, e andrà tutto bene. Sentivo di non potercela fare, più cercavo di evitarlo più il destino me lo riportava indietro.
Istintivamente mi voltai a guardarlo, mentre il professor Roy continuava a formare le coppie. –Colemhan Andrèe e Campbell Juliett.- Mi sorrideva, come se fosse soddisfatto di tutto questo, come se fosse stato il suo piano fin dall’inizio.
A che gioco stai giocando, Bouvier?
Alzai la mano. –Professore, mi scusi, le coppie sono definitive, non c’è modo di cambiarle? – No, signorina Bonnet, mi sorprende la sua domanda. Ma la mia risposta è no, positivo o negativo voglio un resoconto della vostra settimana insieme, dovesse essere questa passata in odio o in amore.- Misi giù il braccio, rassegnata.
-Quasi mi dimenticavo di dirvi- esordì Roy dopo aver formato tutte le tredici coppie -che il progetto inizia da oggi, quindi, gambe in spalla miei prodi! Voglio dare una bellissima A+ a tutti, quindi, buon lavoro e buona settimana!- Nel momento stesso in cui finì di parlare, la campanella suonò, e tutti uscirono dalla classe.
 
-Che cosa hai intenzione di fare?-
Mi guardava fisso negl’occhi, come a volermi dimostrare di poter sostenere il mio sguardo. –Proprio niente, perché me lo chiedi?-
-Hai lasciato Michelle.-
-Hai lasciato Matt.-
-Non stavamo insieme.-
-Non sembrava esattamente così, poco tempo fa.-
-Non sono affari tuoi.-
-Ti ho baciata.-
-Lo so, c’ero anch’io.-
-Quindi?-
-Quindi che? Quindi niente. Quindi sei un’idiota, che si ubriaca e va in giro a baciare le persone non pensando minimamente al fatto che queste potrebbero avere dei sentimenti e che probabilmente, in quel momento, avrebbero preferito non essere baciate.-
-In quel momento?-
-Smettila.-
-Di fare che?- Sorrideva.
-Di comportarti come se tu sapessi tutto di me. Non sai niente, niente della mia vita, non mi conosci, né mi capisci, quindi smettila di fare così perché per qualche strana ragione adesso dovremo passare una settimana insieme, e perché tu lo sappia, non ho alcuna intenzione di prendere un brutto voto a questo compito, quindi preparati e muovi il culo, perché ho bisogno di una buona media e non me la farò rovinare dal tuo stupido egoismo.- Mi alzai e me ne andai, prima di ricordarmi di avvisarlo che –Oggi, alle tre e mezzo, a casa tua.- e andarmene via, a spararmi qualche canzone nel cervello, con la speranza di non esser costretta a pensare a tutto quello che stava succedendo.

15.33

Giorno 1, stanza di Pierre.
1a ora - Maya

Siamo qui da dieci minuti, e tutto quello che ci siamo detti è stato ‘hey’, per poi sederci dalle parti opposte del letto e non rivolgersi la parola. Lui si è appena messo un videogioco, e io non so che cosa fare.
Sono passati dodici minuti e niente è cambiato. Pierre si arrabbia con il videogioco perché non riesce a superare uno stupido livello.
I primi venti minuti sono stati un inferno, non so se resisterò questa settimana così, lui gioca, e io guardo il soffitto.
Mi ha chiesto se avevo voglia di parlare, ma certo, dopo quaranta minuti si accorge che ci sono anche io nella stanza, che continui a giocare al suo stupido videogioco!
Ha cercato di avvicinarsi a me, l’ho respinto. C’è qualcosa che mi impedisce di stargli accanto. Quando posso uscire da questa stanza?

Giorno 1, nella mia stanza..
1a ora - Pierre

 
Ci siamo salutati e poi più niente, avrei voluto dirle qualcosa ma non sapevo da dove iniziare, così, per vincere l’imbarazzo mi sono messo a giocare alla play.
Cavolo! Non riesco a superare neanche il secondo livello, sono nervosissimo, averla nella mia stanza, a così poca distanza da me, mi mette soggezione.
Basta, è inutile continuare a giocare, mi sto innervosendo ancora di più. Provo ad avvicinarla? Ci provo.
Mi ha respinto, lo sapevo. Le ho chiesto se le andava di parlare, mi ha guardato e mi ha detto ‘no, continua pure a giocare, non  preoccuparti per me’. Mi è sembrata offesa, ma io non volevo offenderla.
Ho provato ad avvicinarmi a lei, a sedermi accanto a lei, ma si è alzata ed è andata a sedersi alla scrivania. Non so più che cosa fare, perché ce l’ha con me?
P.S. Oggi è bellissima.

23.01

Giorno 1, stanza di Pierre..
8a ora - Maya

Sto morendo di sonno, questa giornata non ha portato a niente. Odio stare qui senza fare niente, preferirei di gran lunga essere a casa mia a leggere un buon libro.
Continuo a fissare il muro, lui fa lo stesso. La tensione si taglia con il coltello in questa stanza.
Sarà una settimana molto lunga.
Sono stanchissima, i miei occhi non vogliono stare aperti, che ore sono?
 

Giorno 1, nella mia stanza..
8a ora - Pierre

Un giornata è già passata. Ma guardala, sbadiglia ogni tre secondi ma non vuole cedere al sonno. Fissa la parete, e io faccio lo stesso, per non rimanere a fissare lei.
Mi chiedo a cosa stia pensando, così assorta nel contemplare il muro giallastro.
Si è addormentata sul mio letto, alla fine ha ceduto, doveva essere stanchissima. Le ho messo una coperta, nel caso avesse freddo. E’ dolcissima mentre dorme, sembra leggera, sembra che stia bene davvero.
Che cosa starà sognando? Sorride. Adoro il suo sorriso.
La tentazione di salire sul letto e dormire con lei mi sta mangiando vivo, ma non posso farlo. Mi sistemo per terra ed aspetto domani. Spero che andrà meglio, mi preparerò qualcosa da fare. Voglio che stia bene in questa settimana con me.

23.49

Oddio, alla fine mi ero addormentata! E Pierre dormiva sul pavimento. E questa coperta? Mi ha portato la coperta…
Lo guardavo mentre dormiva, sembrava un bambino, sembrava così fragile.
Mi alzai piano dal letto, lo coprii con la coperta che mi aveva messo lui e me ne andai, cercando di non fare nessuna confusione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Don't go away. P.S. Goodbye, I love you ***


A.S. Buonasera! Come va da queste parti?
Si, scusate, l'ho messo un po' in ritardo questo capitolo ma vi giuro che sono tipo...bloccata con la storia. Non riesco più ad andare avanti e sono nel 'panico'(?) Hahaha Ahhhhh, aiutatemi voi! La scuola mi sta prosciugando le energie e siamo solo all'inizio, mi chiedo se mai ci arriverò alla fine di quest'anno. '-' A voi come va la scuola? çç
Ma sto divagando, come al solito.
Allllllora, questo capitolo, come vedrete, è un po' particolare e...introspettivo. Spero vi piaccia, perchè è la 'quasi conclusione' di qualcosa e il 'quasi inizio' di qualcos'altro. Wooo...quindi, non so. Fatemi sapere ok? (: Io cercherò di fare il possibile per andare avanti a scrivere, ma mi vengono capitoli schifosi e idee stupide, quindi...se ritarderò un po', perdonatemi e non abbandonatemi, vi prego *musichina triste*
Detto ciò, che è sempre un romanzo, guardate come sono brava vi metto anche delle piccole curiosità sulla canzone che troverete ad un certo punto nel capitolo?! :D Eeehhh si. 
Niente, vi metto il capitolo prima di perdermi ancora in chiacchiere Hahah 


Curiosità: Don't Go Away è una canzone della band inglese Oasis del terzo album in studio del gruppo, Be Here Now (1997), scritta dal chitarrista Noel Gallagher.La canzone è stata rilasciata come singolo solo per il Giappone, arrivando alla posizione numero 48 in classifica. È stata, inoltre, un successo negli Stati Uniti, dove si è piazzata alla quinta posizione della Billboard Hot Modern Rock Tracks Charts  nel tardo 1997. È stata l'ultima hit di grande successo del gruppo negli USA fino a The Shock of the Lightning del 2008.

Eravamo le persone giuste al momento sbagliato.
- C. Bukowski

Montreal, October 13th, 1998
15.36

Stavo andando a casa di Pierre per le nostre ultime otto ore da passare insieme.
Ripensando alla settimana passata, mi si formò un sorriso sulle labbra: non era andata poi così male come avevo immaginato. Era stato buono, e carino.
Però ho paura. Sento che sta nascendo qualcosa in me, per quel ragazzo. Amore? E’ la cosa che mi spaventa di più al mondo. Quando finisce, è quello che ti devasta il cuore  e tutto ciò che di bello hai, lasciandoti vuota e molle, come un cioccolatino senza il suo ripieno. Non posso permettermi di amarlo, per quanto il mio cuore senta il bisogno di farlo.
Stavo per suonare il campanello di casa Bouvier quando il portone si aprì e io rimasi immobile, a bocca aperta, come un pesce attaccato all’amo.
-Maya?- Era sorpreso tanto quanto me.
Non riuscivo a muovermi, mi sentivo paralizzata. Non lo vedevo da…due anni.
-Seb! Oddio che ci fai qui?-
-Che bello rivederti! Mi sono trasferito a Montreal, permanentemente.-
Io e Sébastien siamo cresciuti insieme, tra di noi c’era una differenza di età di due anni, ma nessuno dei due l’ha mai accusata.
Mi persi nei suoi occhi azzurri come una misera barchetta a remi può perdersi in un mare in tempesta, e mi resi conto di essere felice di rivederlo. Era il mio migliore amico, due anni fa.
Due anni fa, quando i suoi divorziarono, fu costretto a trasferirsi con la madre dai nonni, a Laval e adesso, invece, eccolo di nuovo qui, nella sua città, a casa sua.
-Sei alzato!-
-Sei tu che sei abbassata!-
Lo guardai storto a quell’affermazione sulla mia carenza di altezza, poi guardai l’orologio, dovevo proprio raggiungere Pierre.
-E’ stato bellissimo rivederti Seb, non sparire di nuovo! Ci sentiamo in questi giorni, ok? Adesso devo proprio scappare.-
Mi sorride –Certo!- e s’incammina con la chitarra in spalla.
Che coincidenza averlo trovato proprio qui, nello stesso palazzo dove vive Pierre.

18.30

Avevamo appena finito di scrivere e sistemare la nostra relazione.
Rileggendo i pensieri di quella settimana, mi resi conto di quanto le cose potessero cambiare, tra due persone, in soli cinque minuti.
Pierre mi guardava, sorrideva.
Cosa darei per vedere quel sorriso la mattina, quando apro gli occhi, e trovare il suo corpo accanto al mio, e la sua mano su di me.
Scacciai quei pensieri assurdi dalla mente, smettila di fare la bambina e di sognare ad occhi aperti.
-Che c’è?- Gli chiesi, notando che continuava a guardarmi e sorridere.
-Niente. Mi piace sapere che le cose tra noi sono sistemate.-
-Pierre, tutto dovrà tornare alla normalità, dopo domani.- Era vero, una volta finito il progetto ognuno doveva prendere la propria strada, e le nostre non s’incontravano.
-Che vuoi dire?- Abbassò lo sguardo, sedendosi di fronte a me.
-Voglio dire che tu tornerai ad essere quello che sei sempre stato, tornerai dal tuo gruppo di idioti a far finta di esserlo anche tu, e io tornerò ad essere un fantasma, che nessuno nota nei corridoi della scuola. Tu tornerai alla tua splendida vita, e io tornerò nel mio incubo. No Pierre, non fare così, sai che è la verità, e noi non possiamo farci niente. E’ la vita, ognuno per la sua strada. Magari un giorno le nostre s’incontreranno, ma non ora, non al liceo.- Ritrassi la mano che mi aveva preso, e mi stesi sul letto, guardando prima lui e poi l’orologio.
Non sorrideva più, aveva gli occhi spenti e lo sguardo basso. Sapeva che avevo ragione.
Erano le 18.43, mi voltai di nuovo verso Pierre e gli allungai una mano, invitandolo a prenderla. –Però adesso dobbiamo percorrere la stessa strada, e prima di arrivare al nostro bivio, abbiamo ancora qualcosa come…cinque ore. Hai idea di quante cose si possano fare in cinque ore?- Tante, o nessuna, o semplicemente una.
Mi prese la mano, e tornò a far capolino un timido sorriso. –Che cosa hai mente?-
-Vieni qui.- Dissi tirandolo per un braccio e portandolo sopra di me. Restammo abbracciati sul suo letto per ore.

Giorno 2, stanza di Pierre.
Maya

Dovrò passare un altro giorno in questa stanza, con lui. Speriamo bene, che la pazienza sia con me.
Mi ha chiesto di fare il gioco dell’oca. Che gli prende? Va bene, giochiamo, almeno non dovrò fissare il muro per ore.
Ha vinto lui, maledetto. Però era felice, mentre esultava e baciava la sua pedina. Lo farei vincere altre cento volte per rivedere il suo sorriso.
Sta cercando di insegnarmi a giocare alla play. Sta condividendo con me la sua vita. Forse avevo iniziato con troppi pregiudizi, è stato carino.
Ah, l’ho battuto al primo livello! E’ divertente, credo che per Natale me ne farò regalare una.
Sono riuscita ad arrivare al terzo livello dopo ben due ore, mi frizzano gli occhi da morire. Era felice per me anche Pierre, mi ha abbracciato urlando che sono bravissima.
 

Giorno 2, nella mia stanza.
Pierre

Finalmente è arrivata. Ho tirato giù dalla soffitta il mio vecchio gioco dell’oca, spero possa farle piacere giocare un po’. Non voglio che si annoi anche oggi, non voglio che mi odi.
Ho vinto! Maya è stata in vantaggio tutto il tempo e all’ultimo secondo sono riuscito a superarla, ero felice, ma mi dispiaceva per lei. L’avrei fatta vincere solo per vedere il suo sorriso.
Dopo due ore passate a giocare con l’oca, ho pensato di farle provare la mia play. Non permetto nemmeno a mio fratello di toccarla, ma a lei devo dimostrare qualcosa, per cui, gliela lascio.
Ma è formidabile! Sorride felice per aver superato il primo livello, vorrei vederla così sempre. Eppure a volte ha quello sguardo triste e perso che ti lascia un buco nel cuore.
E’ bravissima, è riuscita a superare anche il terzo livello! Non ce l’ho fatta a contenermi, l’ho abbracciata. Il suo corpo con il mio, avrei voluto non lasciarla più.
 

Giorno 3, nella mia stanza.
Maya

Oggi l’ho portato a casa mia, voglio farlo entrare nel mio mondo. Non ho mai fatto una cosa del genere con nessun ragazzo, ma lui ha condiviso con me il suo essere e adesso tocca a me dare a lui qualcosa in cambio.
Abbiamo passato ore a parlare dei nostri libri preferiti, è una sorpresa continua. Sono troppo poche le persone che conoscono questo meraviglioso lato di Pierre, parlerei con lui per ore.
Adora 1984, l’avevo intuito, quella volta in biblioteca.
Abbiamo guardato un film di Charlie Chaplin, quant’è bello mentre ride. Scopro pian piano di stare bene in sua compagnia. Siamo già al terzo giorno, mi dispiace che finirà. So che questo nostro rapporto non potrà continuare nel teatro che è la scuola.
 

Giorno 3, nella stanza di Maya.
Pierre

Non avrei mai pensato che un giorno mi avrebbe permesso di entrare nella sua stanza. Per quanto ho potuto capire di lei, questo è il suo mondo. Si fida di me?
Guardo le foto che ha ovunque, ama le foto.
Mi ha fatto vedere tutti i libri che ha, sono tantissimi. E’ bellissimo, le ragazze che leggono tanto sono così affascinanti. Hanno sempre delle idee tutte loro, diverse dal resto del mondo.
Abbiamo parlato di 1984, quel libro ci ha fatto incontrare, quel giorno in biblioteca. Mi chiedo se lo ricorda ancora.
Abbiamo optato per vedere un film di Charlie Chaplin, adoro Chaplin, e piace molto anche a Maya. Sto scoprendo di avere molte cose in comune con lei. Vorrei che questo progetto non finisse.
Non voglio tornare alla “realtà”.

Giorno 4, nella mia cucina.
Maya

Ho portato Pierre in cucina con me, scelta coraggiosa. Non ha idea di dove metter le mani, mi fa ridere.
Vogliamo cucinare un dolce.
Rettifico: volevamocucinare un dolce. Pierre ha rovesciato tutta la farina in terra.
Sono completamente bianca, mi sento come un fornaio. La farina ormai era inutilizzabile quindi Pierre ha pensato bene di usarla come fosse neve.
Mi sono divertita, è stato bello ridere con lui. Era da tanto tempo che non ridevo, mi ha fatto riscoprire il divertimento.
Il dolce ormai non lo facciamo. Promemoria: tenere Pierre lontano dalla cucina.
P.S. Ho paura, ci stiamo avvicinando troppo e siamo già al giorno 4. Non riesco più ad allontanarlo ormai, sto bene con lui. So che soffrirò, quando tutto questo finirà.
 

Giorno 4, nella cucina di Maya.
Pierre

Mi ha portato in cucina con se, che cosa ha intenzione di fare?
Non so neanche come si tiene in mano una zuppiera, mi sento stupido.
Ho fatto un disastro, ho rovesciato la farina per terra. Mi ha detto che ormai era inutilizzabile, quindi ho cercato di rimediare al mio essere tanto imbranato ed ho iniziato a tirarle la farina sui capelli.
Rideva, non l’avevo mai vista ridere, è bellissima. Le si illuminano gli occhi.
Sembravamo due bambini in mezzo alla neve, siamo tornati piccoli. E’ così con lei, la ragione non c’è più, ti lasci andare alle emozioni.
P.S. E’ bellissimo avere questo rapporto con lei. Dal suo sguardo ho capito, che quando questo progetto finirà, finiremo anche noi. Siamo già al quarto giorno, mi mancheranno queste giornate. Mi mancherà questa Maya.

Giorno 5, nella sala di Pierre.
Maya

Oggi Pierre mi ha preparato una specie di ‘banchetto’. Dice che si sta avvicinando la fine del progetto, quanto vorrei che non fosse vero, e che voleva farmi una sorpresa. Ha cucinato tutta la notte, non lo ammetterebbe mai, ma dal disastro che c’è in cucina si intuisce piuttosto bene. Ci sono muffin al cioccolato, due crostate alla frutta e una torta.
E’ stato bravissimo, era tutto buonissimo, e per passare il tempo abbiamo guardato Grease, cantando e ballando come fossimo Danny e Sandy.
Sapeva tutte le canzoni, e anche i balletti!
Mi diverto stando con lui, riesce sempre a farmi ridere.
 

Giorno 5, nella mia sala.
Pierre

Sono stato sveglio tutta la notte a cercare di preparare qualcosa di commestibile per una specie di ‘banchetto’ a cui l’ho invitata oggi, per passare le nostre ore insieme.
Ero nervosissimo quando è arrivata e ha spalancato gli occhi sorpresa, ma poi ha iniziato a mangiare e mi ha detto che era tutto buonissimo.
Abbiamo guardato Grease e sono tornato bambino, di nuovo. Abbiamo ballato e cantato e ci siamo quasi uccisi, perché abbiamo calcolato male le distanze e ci stavamo scontrando! Amo queste giornate, non mi divertivo così da tempo. Sento di poter essere me stesso con lei.
P.S. il vestitino che aveva oggi…era fantastica.

Giorno 6, nella stanza di Pierre.
Maya

Siamo di nuovo nella sua camera. Sto iniziando ad abituarmi a questo profumo e a queste pareti, sarà difficile separarmene.
Oggi però non mi sento molto bene, non ho voglia di ridere. E’ una delle mie giornate no, ho il cuore a pezzi, mi fa schifo il mondo.
Ho urlato contro Pierre, non volevo. Sono una stupida, rovino sempre tutto.
Si è messo in un angolino, mi ha detto che non mi voleva disturbare. Sono un mostro.
Gli ho chiesto scusa.
Mi ha chiesto che cosa avessi, ha aperto il vaso di Pandora. Sono scoppiata a piangere e mi ha abbracciata. Avrei voluto rimanere così per il resto della mia vita, il mondo sembrava bello tra le sue braccia.
Il fatto che sia il penultimo giorno oggi, in cui potrò vederlo, mi mette ancora più tristezza. Mi mancherà da impazzire. Con chi riderò? Con chi piangerò?
Sola, di nuovo. Invisibile, di nuovo. A fingere, di nuovo.
 

Giorno 6, nella mia stanza.
Pierre

Il penultimo giorno.
Oggi non sta bene, ha gli occhi spenti, non sorride. Non parla, niente.
Ho provato ad avvicinarmi ma mi ha urlato contro, dovevo aspettarmelo. Aspetto che si calmi, sa che, se vuole, io sono qui per lei.
Mi ha chiesto scusa.
Piangeva, l’ho abbracciata e avrei voluto tenerla con me per il resto della vita. Tra le mie braccia, l’avrei protetta dal mondo, dalle persone, da tutto. Avrei condiviso il peso della vita con lei. Il suo corpo con il mio, avrei potuto abituarmi.
Si è calmata e mi ha raccontato che cos’è che la fa stare male. Si sente sola, incompresa, ed è costretta ad indossare una maschera giorno dopo giorno. La capisco, non voglio vederla così.
Quando tutto sarà finito, non avrà più nessuno. Non voglio lasciarla, ma so che non mi permetterebbe di restare. Odio vederla così. Abbiamo parlato per ore, domani è l’ultimo giorno. Domani sarà speciale.

Giorno 7, nella stanza di Pierre.
Maya

Sono di nuovo qui, nella sua stanza. Respiro il profumo a fondo, per l’ultima volta.
Mi guardo intorno, cercando di imprimere tutto nella memoria. Ho portato la macchina fotografica, oggi deve essere speciale.
Ha preso la chitarra. ‘Dio, suona. E canta. Voglio morire, o meglio, mi sento morire. Il mio cuore voleva esplodere. Mi ha cantato una canzone. Nessun Chuck e nessuna parola avrebbero potuto descrivere Pierre, con la chitarra, a cantare. Un angelo, era un angelo.
Al suono della sua voce, il mio cuore si è sentito bene. Non mi dimenticherò mai il suo modo di cantare, quegl’occhi che brillano come stelle.

And I want to be there when you're coming down…

Le parole…
Mi sono innamorata di lui, lo sapevo.
L’ho abbracciato piangendo, di gioia. Mi ha stretto a se e mi ha detto che non sarebbe finita. Entrambi sappiamo che è una bugia.
Abbiamo fatto delle foto, queste resteranno per sempre.
E’ stato bello questo tempo con lui, adesso è tempo di tornare alla realtà.
Ci siamo sdraiati sul letto, e abbracciati, non abbiamo fatto altro che ascoltare i battiti del nostro cuore per ore.
Mi ha baciata, l’ultimo minuto dell’ottava ora. Un bacio d’addio. Me lo sono impresso nelle labbra e nel cuore, non lo lascerò andare, questo bacio.
P.S. Ha fatto male quest’addio, molto più di quanto immaginassi.

Giorno 7, nella mia stanza.
Pierre

Il nostro ultimo giorno insieme, non ci voglio credere. Deve essere speciale per lei, deve ricordarlo.
Voglio dedicarle una canzone. Ho accordato la mia chitarra per questo, le canto ‘Don’t go away’ degli Oasis. Il testo è suo.

and I want to be there when you hit the ground, so don't go away, say what you say but say that you'll stay forever and a day in the time of my life, ‘Cause I need more time just to make things right.
Damn my situation and the games I have to play

Me and you what's going on? All we seem to know is how to show the feelings that are wrong.

Mi ha abbracciato mentre piangeva. Le ho detto che non sarebbe finita questa cosa tra di noi ma è troppo intelligente per crederci. Entrambi sappiamo la verità.
Ha voluto fare delle foto, che passione la sua!
Ho assaporato l’odore dei suoi capelli per l’ultima volta, l’ho stretta a me, per l’ultima volta. Siamo stati sul letto, sdraiati, ad ascoltare i nostri respiri. Avrei voluto dirle tante cose, ma non era il momento delle parole quello.
Quando era sulla porta, un minuto prima della fine dell’ottava ora, l’ho baciata. Mi ha baciato anche lei. Il nostro bacio d’addio, prima di essere travolti nuovamente dalla commedia. E’ stato bello vivere la realtà con lei, conoscerla e permettere a qualcuno di conoscere il vero me.
P.S. Già mi manca, farà male d’ora in poi, senza di lei.

 23.44

Mi baciò e mi sentii morire.
Fermati tempo, fermati mondo, fermati cuore.
Avrei voluto non andarmene da lì, ma l’altra vita mi aspettava.
Addio Pierre.
Ti amo.
 

Spin off:
That’s the way I feel now. Empty in my heart, with the tears falling from my eyes.

Calde lacrime scendono lente sul tuo viso. Perché piangi? Mi chiese.
Non lo so, risposi. Mi fa male. Mi fa male il cuore.
 
Le senti? Mi chiese. Senti come assaporano ogni atomo della tua pelle?
 Si, risposi. Bruciano, bruciano come il fuoco. Come il mio cuore.
 
Non essere triste bambina. Mi disse poi.
Non sono triste, dissi io.
Sono vuota e mai il vuoto ha fatto tanto male come quello che soffoca il cuore.
 
Adesso asciugati le lacrime e alzati. Disse. Alzati e combatti, per i sogni che hai.
Li ho persi, dissi io. Ho perso i miei sogni.
 
Per le persone che ti amano. Disse allora.
Sono debole, risposi io. Ho perso la forza e ho perso l'amore.
Mi lasci morire, buon uomo.
Mi lasci stendere su questo terreno a piangere fino a finire le lacrime.
Mi lasci morire qui, buon uomo, tra i sogni sepolti in questa terra
 
Nel suo cuore c'era un tale vuoto che potevo sentire l'eco dei suoi battiti.
Era solo una ragazza, ed era già così triste.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Those perfect moments before a 'goodbye' ***


A.s. Hey là gentaglia, come va? :D Ecco, finalmente diciamo che la storia inizia a prendere una piega un po' diversa eeee, cosa più importante, viene introdotto un personaggio che, diciamocelo, non poteva mancare. Ultimamente sono riuscita a scrivere un po', finalmente, anche se, devo dire la verità, sono un po' in difficoltà con il continuo della storia Hahaha
Che cosa dire, spero che questo capitolo non vi deluda e, come al solito, fatemi sapere cosa ne pensate perchè, vi giuro, i vostri commenti mi fanno sempre un piacere immenso!
Oltretutto per questo capitolo mi sono guardata anche (bella scusa il doverlo scrivere uù) qualche bellissimo live dei Green Day nel 1999 che sono, come al solito, spettacolari. 
E, ragazzi, ho anche fatto una ricerca per queste 'curiosità' qui sotto Hahaha 
A parte tutte queste cosette, vi ringrazio infinitamente per leggere questa storia, commentarla e...per tutto. Davvero, non avete idea di quanto mi miglioriate la giornata quando vedo i vostri commenti. Quindi, grazie infinite e a tutti! Vi lascio il capitolo, come al solito mi sono prolungata in un romanzo Hahaha A presto, spero! <3

P.s. Per non creare fraintendimenti, forse è meglio spiegare il 'perchè' Pierre e Maya non se la sentono di stare insieme, nonostante i loro indiscussi sentimenti e perchè ognuno di loro debba tornare al proprio posto. :3
Pierre e Maya fanno parte di due mondi completamente diversi, sono cresciuti in due realtà altamente differenti e vivono proprio queste realtà ognuno a modo loro.
Il motivo per cui entrambi sanno di non poter stare insieme è semplicemente perchè nessuno dei due, nonostante i forti sentimenti, si sente in grado di abbandonare quella realtà in cui sono sempre vissuti. E' come se un giorno qualcuno venisse e vi dicesse 'lascia tutta la tua vita, tutte le certezze che hai per stare con la persona che ami'. Sarebbe bello e romantico dire 'Si, lo faccio' ma a 19 anni vieni aggredito dai dubbi e dalle paure. Maya, per conto suo, non avrebbe niente da perdere, se non Pierre, cosa che le fa talmente paura da volerlo tenere a distanza e Pierre? Tutta la vita che si è costruito anno dopo anno, nel suo gruppo 'di idioti' come dice Maya, ma che è comunque la sua vita e loro sono comunque le uniche persone che lui abbia mai avuto. Per questo, nonostante si amino tanto, ognuno pensando all'altro e un po' anche a se stesso, decidono di non stare insieme. Insieme sono forti, ma da soli non sono niente, ed è per questo che ognuno ha bisogno della sua propria vita per andare avanti. 
Si amano, e continuano ad incontrarsi non potendone fare a meno ma hanno paura, ed è per questo che continuano a dirsi addio, all'infinito. E' l'amore e la paura di un sentimento tanto forte. Ricordiamoci che sono solo dei ragazzini di 19 anni alle prese con il primo vero amore. (:


Curiosità: Dopo vari giri e ricerche su internet ecco tutte le informazioni riguardanti il concerto a cui va la cara Maya J
I Green Day si esibirono negli stati uniti in due date, il 30 e il 31 ottobre 1999, allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View, a San Francisco, in California.
La scaletta prevedeva delle canzoni estratte dai precedenti album come
(1995), Dookie(1994) e alcune anche dall’ultimo, Nimrod, che era uscito il 14 ottobre del 1997.
Setlist:
1.                               Geek Stink Breath
2.                               Hitchin’ a Ride
3.                               Warning
4.                               Longview
5.                               She
6.                               King for a Day
7.                               When I Come Around
8.                               Scattered
9.                               Good Riddance (Time of Your Life)
 
Per necessità ai fini della storia il concerto in questione verrà anticipato di un anno, alla data 31 ottobre 1998.


Odio il fatto che non riesco ad immaginare nulla con un altro, solo perché ho immaginato tutto con te.
- amamicongliocchi, tumblr

San Francisco, October 31st 1998
18.46

Il concerto doveva iniziare alle nove, e avevamo ancora molto tempo da aspettare.
Guardavo i tecnici sul palco, che facevano avanti e indietro accertandosi che tutto fosse perfetto.
Avevo il posto 50 7 B, sedile numero 50, settima fila, al centro. La vista era spettacolare, e già immaginavo di vedere Billie Joe entrare sul palco, con la sua solita camicetta nera, strimpellando la chitarra, seguito poi da Mike e Trè, al basso e alla batteria.
Stavo vivendo il concerto nella mia mente quando, ad un tratto, una voce mi riportò al palco vuoto, tenuto in ombra da un enorme tendone bianco.
-Ciao.- Mi disse lui. Io lo guardai, sorrisi e risposi al suo saluto.
-Adoro vedere le ragazze a questo tipo di concerti.- Mi disse poi, sedendosi accanto a me. Io sorrisi, imbarazzata, non sapendo che cosa dire.
-David.- Mi porse la mano, sorridendo.
-Maya.-
-Ce l’hai il ragazzo?- Mi chiese dopo qualche minuto di silenzio, guardando fisso davanti a se. Ah, non ci conoscevamo neanche da cinque minuti e già voleva sapere se avevo il ragazzo.
Istintivamente pensai a Pierre, a quei giorni passati insieme, alle risate…al bacio.
Smettila Maya, devi togliertelo dalla testa. E poi…questo David è davvero carino.
-No, non ce l’ho.- Dissi io abbassando lo sguardo, sperando con tutta me stessa di non essere diventata rossa. Dubbio, che lui si sentì in dovere di togliermi.
-Hey, ci conosciamo da ben…- guarda l’orologio – sette minuti e mezzo, non devi essere imbarazzata con me!- Disse, dandomi una pacca sulla spalla.
Ero ufficialmente infatuata di questo ragazzo. Il suo sorriso, così spontaneo e sincero, metteva serenità. Faceva lo stupido, ma era semplicemente per far ridere, era allegro ed estremamente carino. Sembrava che fosse arrivato per portare un’ondata di allegria tra di noi, che al freddo, e in attesa del concerto, stavamo iniziando ad annoiarci.
Iniziammo a parlare di musica, e scoprii con grande piacere che avevamo quasi gli stessi gusti.
-Green Day, Blink 182, Beatles, John Lennon…sai, cose così.-
Lo guardai con gli occhi che mi brillavano. –Io ti amo.-
Sospirò, guardando il cielo. –Eh, lo so, lo so. Me lo dicono tutti, tesoro. Ma tu…- Mi carezzò la guancia con la mano destra, guardandomi intensamente negli occhi e avvicinandosi al mio viso.
In vena malinconica, il mio cervello, mi riportò per l’ennesima volta a quando Pierre, in biblioteca, stava per baciarmi. Vidi il viso di Pierre in quello di David e risi, per allontanarlo. Gli diedi una pacca sulla spalla dicendo –Oh, lo so, tutti vogliono baciarmi.- e si mise a ridere con me.
-Di dove sei?- Mi chiese, mettendo un braccio intorno alle mie spalle. Adoravo il suo modo di fare così semplice e spigliato. Era spontaneo, e simpatico.
-Montreal.- Sembrava deluso quando si voltò a guardarmi. –Tu?-
-Matane.- Per qualche strana ragione restai delusa anche io al pensiero che dopo quella serata non ci saremmo più visti.
Ha il cuore leggero questo ragazzo, prende la vita come viene e ci costruisce una storia. Ride con tutti e di tutti con una semplicità disarmante, prende in giro se stesso come se fosse qualcun altro. Il tempo di un concerto e sparirà dalla mia vita, così come io sparirò dalla sua.
Parlammo e ridemmo tutto il tempo, in quelle ore, finché non  si abbassarono le luci che indicavano l’inizio del concerto.
Quante persone parlando e ridendo, si sono innamorate di un perfetto sconosciuto?
Ma per quanto infatuata di lui potessi essere in quel momento, più il mio cuore batteva veloce al suo sguardo, più mi tornavano in mente gli occhi di Pierre.
Maledetto, maledetto Pierre. Così vicino e irraggiungibile, io non posso fermare la mia vita per te. Eppure come faccio, se nei suoi occhi vedo i tuoi e nel suo sorriso vedo te? Mi farai impazzire.

21.17

Erano un po’ in ritardo ma tutto il tempo del mondo sarebbe valso la pena per quello spettacolo. La folla era in delirio e nel momento stesso in cui l’ombra di Billie apparve sul palco erano iniziati grida, pianti e lanci di oggetti. Io ero immobile al mio posto, guardando quel concerto mentre iniziava, incredula.
Non ci credevo che ero lì davvero, avevo aspettato tanto, avevo lottato tanto per esserci ed eccomi lì, con i ragazzi a poche centinaia di metri di distanza, a cantare a squarciagola Geek Stink Breath. E mentre le stelle continuavano la loro vita nell’universo, mentre il mondo girava e le persone vivevano la loro solita quotidianità io compresi all’improvviso il senso della vita, dell’amore, del sogno.
Ero felice, felice come non lo ero mai stata, felice davvero.
La mia mente era vuota, il mio cuore era leggero e la musica era dentro di me. Saltavo, cantavo, vivevo. La magia di un concerto è qualcosa che non si potrebbe spiegare neanche con tutti i dizionari del mondo, è pura e semplice adrenalina, emozione.
Senti il cuore che batte a tempo di batteria, salti e urli per ore senza accusare la minima stanchezza.
La mano di David prese la mia, e io la strinsi, felice di poter condividere quel momento con lui, che mi sembrava, ormai, di conoscere da tutta la vita.
Da Hitchin’ a Ride a Good Riddance ci tenemmo la mano, consapevoli che quello era il nostro momento, consapevoli che dopo quella notte ci saremmo persi. Ci tenemmo la mano per tutto il concerto, due persone in mezzo ad una tempesta, due cuori in mezzo al mare. Le nostre mani non volevano staccarsi, consapevoli anche loro, che non si sarebbero mai più incontrate.
Era quella consapevolezza a farci stare così uniti in quei momenti, a condividere le stesse emozioni, le stesse lacrime e le stesse grida.

22.58

Le ultime note di Good Riddance si disperdevano nel cielo chiaro e pieno di stelle, e tra i saluti al pubblico e i ringraziamenti sentii le mie labbra, le mie mani e il mio corpo in balia di qualcun altro.
Io e David ci stavamo baciando, mentre le mie lacrime bagnavano le sue mani, che mi tenevano il viso. In qualche ora mi ero presa una cotta per uno sconosciuto.
Mi piaceva, mi piaceva davvero, ma c’era qualche stupida, tremenda, cattiva cosa dentro di me che mi impediva di non pensare a Pierre.
E come nei suoi occhi, nelle sue mani e nel suo sorriso ritrovavo Pierre, adesso anche quel bacio, che sapeva d’addio, mi riportò alla mente il nostro ultimo bacio, nella sua stanza.
Maledetto, maledetto Pierre.
Strinsi gli occhi, facendo scendere le ultime lacrime rimaste, presi il viso di David, lo baciai per l’ultima volta, gli sorrisi e sparii nell’oscurità. Non lo avrei più rivisto.
Ma nonostante tutto, questo pensiero mi lasciava un vuoto nello stomaco. Dovevo chiarire le cose con Pierre una volta per tutte o non sarei mai stata in grado di andare avanti ed essere felice.
 
Avevamo deciso di non vederci più, di tornare a come prima del progetto, prima di Matt, prima di tutto, ma a scuola non potevamo fare a meno di incontrarci e ogni volta restavamo a fissarci per dei minuti, come incapaci di sviare i nostri occhi, i nostri pensieri. La tentazione di prenderlo, baciarlo, abbracciarlo o semplicemente toccarlo, mi mangiava viva ma…mi trattenevo.
Dovevo smetterla di desiderarlo, dovevo smetterla di pensarlo. Dovevo chiudere con Pierre anche nella mia testa, o sarebbe stato tutto inutile.

San Francisco, 1st November 1998
0.21

Sdraiata sul letto con gli occhi spalancati, ripensavo felice al concerto, a loro, a quanto vicini erano, a quanto avevo aspettato e lottato per vederli… e a David.
Lottavo per allontanare il pensiero di Pierre mentre ripensavo a quel bacio, e come a non volersi sminuire, il destino colpì ancora. O meglio, bussò alla porta.
Mi alzai svogliata dal letto, nonostante tutto ero un po’ stanca, colpa, forse, anche del fuso orario dato che qui siamo tre ore indietro rispetto a Montreal.
Aprii la porta e rimasi a fissare quella figura alta e imponente che se ne stava ferma lì, con quegli occhi color nocciola abbrustolita che mi fissavano come se avessero voluto catturarmi l’anima.
-Che ci fai qui?-
-La stessa cosa che ci fai tu.-
-Come sei arrivato alla mia stanza?-
-Camminando.-
-Smettila di fare l’idiota Pierre.- Il mio tono di voce si alzava gradualmente, dimenticandosi che era notte, un posto pubblico e la gente dormiva. 
Cercai di chiudere la porta ma ci mise un piede nel mezzo.
Sospirai. –Pierre.-
-Maya.-
-Che cosa vuoi?-
-Te. Ora.-
Non ebbi né il tempo di protestare né il tempo di chiedere cosa volesse dire, che mi serrò le labbra con le sue, mi lasciò senza respiro e fece andare a monte tutto il duro lavoro che avevo fatto fino ad allora per dimenticarlo.
Ero tra le sue braccia, lontano da casa.
Le sue mani sotto la mia maglietta.
Lo lasciavo fare.
Ciò che succede a San Francisco rimane a San Francisco.
Il nostro bacio si faceva sempre più passionale mentre mi prendeva, mi portava sul letto, e mi posava piano, guardandomi e facendomi morire col suo sorriso.
‘Dio, ditemi che non sto sognando, che è davvero qui, che sta succedendo davvero.
Me ne pentirò per il resto della mia vita, maledirò prima me e poi lui per questo, ma in questo momento... sembra l’unica cosa giusta da fare.
Mi baciava il collo, mentre il suo respiro si faceva più pesante.
-Ti amo.-
Mi guardò negl’occhi, trafiggendomi il cuore che prese a battere ancora più veloce.
Adesso scoppia, adesso scoppia. Cuore mio, resisti, resisti finché lui è con me.
-Ti amo anch’io.- Mi sussurrò, togliendomi la maglietta.
Ognuno di noi due cercava la sicurezza negl’occhi dell’altro.
Ognuno di noi due cercava il consenso negl’occhi dell’altro.
Ognuno di noi due cercava se stesso negl’occhi dell’altro.
Quel momento, mai avrei potuto pensare a quel momento con l’intensità con cui l’avevo vissuto.
Tutto era perfetto.
Niente aveva più importanza se non lui, che era su di me, con me, per me.
Eravamo io e lui, solo noi, in una stupida, squallida stanza d’albergo, per il nostro ultimo, vero addio.
Avrei voluto dirgli addio altre centinaia di volte, e poi ancora e ancora.
Ma un addio è permanente, e per quanto bello quel momento potesse essere, prima o poi, tutto doveva finire.
Ma ero tra le sue braccia, sotto le coperte con lui, con l’orecchio sul suo petto. Sentivo il suo cuore che batteva, il suo cuore che mi parlava.
Fanculo all’addio, c’è tempo per andarsene, fin troppo. C’è sempre tanto tempo per andarsene, ma troppo poco per stare insieme.
Chiusi gli occhi, e il battito del suo cuore mi cullò durante i miei sogni.

Now it’s time to play rewind again, because there’s something that we have to see.
It was the last time for me to show you how much I care about you.’

Montreal, October 14th, 1998
10.48

Il professor Roy ci aveva portato in palestra per ultimare il progetto, ogni coppia era stata separata: i ragazzi da un lato e le ragazze dall’altro.
Pierre continuava a guardare dalla mia parte e io facevo finta di ammirare il bellissimo pavimento verde sotto i miei piedi, finché non distoglieva lo sguardo ed io mi perdevo nei miei pensieri, guardando il suo viso.
Mi era mancato, stanotte. Dopo essere stata tutto il giorno tra le sue braccia, sola, in quel letto che mi sembrava addirittura troppo grande, stavo male.
-Allora miei cari fanciulli, vi ho portato qui oggi per la fine del nostro progetto che spero vi sia piaciuto!- Roy era allegro, mi chiedevo che cosa ci facevamo in palestra con il professore di psicologia.
-Vedete quella…?- Puntò il dito contro una specie di pedana che sarà stata alta si e no due metri, sotto la quale c’era un tappeto blu. Che cosa ha intenzione di farci fare Roy?
-Bene.- riprese quando i nostri sguardi passarono, preoccupati, dalla pedana a lui. –Dovrete buttarvi.- Si alzò un vociferare in tutta la palestre e il professore continuò divertito. –Non vi ho divisi a caso, ragazzi, ogni coppia era formata da un ragazzo ed una ragazza. Dovete imparare a fidarvi dell’altro, di voi stessi e confidare nella vostra forza insieme. Non so come sono andati questi giorni per voi, lo saprò leggendo le vostre relazioni, cosa che farò man mano che me le consegnerete. Ogni ragazza, una alla volta, dovrà salire su quella pedana e saltare giù, confidando che il compagno la prenda.  Non è una prova facile, è molto più difficile di quanto possa sembrare.- Disse spostando il tappeto indietro. –Non ci sarà il tappeto ad attutire la vostra caduta, solo il vostro compagno. Il tappeto sarà posizionato dietro di lui. Chiunque non se la senta, è liberissimo di non provarci.- Con un ghigno soddisfatto Roy iniziò a chiamare le coppie in ordine alfabetico. Una ad una si rifiutarono di farlo. Guardai Pierre nel momento stesso in cui lui voltò lo sguardo su di me, e capimmo quale sarebbe stata la nostra decisione.
 
Cosa stai facendo, cosa diavolo stai facendo qua su?
Mi prenderà, so che mi prenderà.
Oddio, non sembrava così alto visto da giù.
Io mi butto.
Sentii l’aria sul mio viso per una frazione di secondo e poi…e poi ero tra le braccia di Pierre, che era caduto all’indietro sul tappeto, e mi aveva afferrata. Mi stringeva forte, come quando senti di dover prendere al volo qualcosa che potrebbe rompersi. Mi stringeva e non mi lasciava, ero di nuovo tra le sue braccia.
La palestra era in silenzio, nessuno fiatava, noi eravamo immobili.
Fa che possiamo rimanere qui, adesso, soltanto per un altro minuto. Un minuto soltanto.
Alzai il volto, quando i ragazzi e il professor Roy iniziarono ad applaudire, e come inevitabilmente era prevedibile, ci trovammo a poco più di qualche millimetro di distanza.
Sentivo il suo cuore che batteva sul mio petto e il suo respiro sulle mie labbra.
La voglia di baciarlo si era impossessata di me, di baciarlo si, fanculo a tutti.
Lo amavo, perché non potevo amarlo e basta e il mondo a quel paese? Perché doveva essere tutto così difficile tra di noi?
Ma i fischi dei ragazzi mi riportarono alla realtà. Perché facevamo parte di due mondi troppo diversi.
Ci alzammo, lui mi prese la mano e la strinse prima di tornare al suo posto e continuare a fingere, fingere, fingere.
La nostra vita era una bugia, con l’amore che le faceva da cornice.
-A+.- Sentii Roy che me lo diceva da dietro le spalle.
-Scusi?-
-La signorina Bonnet e il signor Bouvier hanno ricevuto una bellissima A+ per il loro progetto! Complimenti ragazzi, un bellissimo lavoro.- Poi si avvicinò al mio orecchio e disse –Non sprecare un amore così puro come questo, sarebbe un peccato madornale.- E se ne andò a prendere il registro e chiamare la coppia successiva.
La vita è fatta di errori professore, e per quanto male faccia questo, dobbiamo cercare di scegliere quello che più si adatta a noi. Questo è il mio errore, è quello che ho scelto, per ora, per questo tempo, per la storia che stiamo recitando in questo teatro. Verrà un tempo in cui dovremo mettere in atto un’altra storia e spero che, per allora, non sia troppo tardi. Ho sempre amato le storie d’amore, infondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** The girl at the rock show ***


A.s. Buongiorno gentaglia! Come va? Io per domani ho qualcosa come...una marea di compiti da fare e sto cercando invano la forza e la voglia di farli. 'ddddio, è appena iniziata e già conto i giorni che mancano per le vacanze Hahah
Cosa vi posso dire, la storia inizia a cambiare, era ora eh Hahah Con questa nuova entrata in scena di David che ha sbaragliato il cuore alla povera Maya le cose si fanno ancora più complicate. Oppure più semplici, dipende dai punti di vista.
Come vi pare David con Maya? O magari preferivate Pierre? uù Comunque siamo solo al capitolo 7, ne dovranno succedere ancora di cose! Anche se, devo ancora pensarci, perchè sono nei miei momenti 'bui' dove non riesco a tirar fuori nessuna idea Hahah
Posto il capitolo ora così vado a fare la bellissima materia chiamata impianti, so che non ve ne frega nulla ma ci tenevo a scriverlo Hahah Non vi sembra già difficile solo dal nome? Perchè a me si e ho il compito venerdì. *prega già da ora*
Ma a voi non interessano i miei problemi scolastici...quiiiiiiindi, come sempre, da brava ragazza quale sono vi lascio delle piccole curiosità sulla canzone che troverete più in giù nel capitolo, se non ve ne frega niente, saltatele Hahaha e...niente, come al solito ringrazio ogni singola persona che perde il suo tempo a leggere questa storia, ed ogni persona che mi fa sapere che ne pensa, grazie, grazie, grazie. Mi rendete felice *^*
Sto continuando a chiacchierare, si Hahah Mi raccomando, come sempre...fatemi sapere e...ecco il capitolo! ;)


Curiosità: The Rock Show è il titolo di un singolo dei blink-182, pubblicato nel 2001. Trae il nome da una canzone inclusa nell'album Take Off Your Pants and Jacket. La canzone narra della vicenda di un ragazzo e di una ragazza che si conoscono ad un concerto rock. La canzone è stata scritta da Mark Hoppus la stessa notte in cui Tom DeLonge scriveva First Date.

P.s. Ok, la canzone è del 2001, e noi siamo all’inizio del 1999. Facciamo uno strappo alle regole ed immaginiamo che questa canzone sia già uscita al tempo dei nostri ragazzi, ok? Hahah Passatemi questa piccola ‘incongruenza’. uù

Mi guardo le mani e sapere che le hai strette, sfiorate, osservate, mi riporta ai momenti in cui anche io ho stretto le tue, le ho cercate, ho finto di non volerle quando invece le desideravo come non mai, e in qualche modo sei qui, sei sempre qui.
-Linda Effe

Montreal, January 6th, 1999
21.34

Chuck mi aveva chiamata circa due giorni fa, chiedendomi se, per l’ultimo giorno di festa, mi sarebbe piaciuto andare a vedere lui, Pierre e la sua band al pub ‘Rock ‘n roll night’ .
Accettai con gran piacere, ero sempre stata curiosa di vederli all’opera. Chuck mi parlava sempre di quanto fosse orgoglioso della sua band, i ‘Canadian Plan’ e di quanti progressi facessero giorno dopo giorno.
Con Pierre, dopo il giorno del concerto, tornò tutto come all’inizio. Io alla mia vita solitaria, odiando tutti dentro di me, e lui nel suo gruppo di idioti, recitando la sua parte.
Stavo cominciando ad abituarmi a questa situazione, in realtà, anche se continuava a fare un male tremendo. Ma ci si abitua a tutto, anche al dolore; alla lunga diventa parte di noi, e impariamo a conviverci.
Dovevano iniziare tra poco, intanto mi guardavo intorno in cerca di qualche faccia conosciuta.
-Maya!-
-Seb? Che ci fai qui?- Lo abbracciai salutandolo, sorpresa di vederlo lì.
-Suono.-
-Davvero? E in che gruppo sei?- Seb mi guardò divertito.
-Ma come? Non lo sai? Sono con Chuck e i ragazzi!-
Lo guardai come qualcuno che aveva appena visto un fantasma, ma non ebbi tempo di dire altro o di ribattere che arrivò uno strano ragazzo a chiamarlo, dicendogli di prepararsi ed andare ad accordare bene la chitarra.
-Tu devi essere Maya.-
Io lo guardai, sorridendo e annuendo.
-Ah, i ragazzi mi hanno parlato molto di te, è come se già ti conoscessi. Piacere, Jeff.- Disse porgendomi la mano.
Poi se ne andò, il momento era arrivato, un minuto e il palco sarebbe stato loro.
 
Nel momento in cui Pierre mise mano al microfono e diede voce al suo cuore mi sentii soffocare. Le mie gambe, non le sentivo più. La sua voce, i suoi occhi in quel buio immenso. Quello era il suo momento di gloria, lì, sopra al palco, era quello che era. Niente finzioni, niente parti da interpretare. Signore e signori, questo è Pierre Bouvier. Ed ogni persona dotata di un briciolo di cuore non avrebbe potuto fare a meno di innamorarsi di lui, mentre regalava il suo cuore al pubblico che lo ascoltava, cantando, saltando, urlando.
E io mi innamoravo ancora, ancora e ancora.
Scema, scema, scema.

22.25

-Tu!-
Mi voltai sentendo una mano picchiettare sulla mia spalla, mentre intanto Pierre scendeva dal palco con tutta la band.
-Tu?-
Mi sorrise, -devo andare, a dopo- mi disse, lasciandomi con il cuore in completa confusione.
Mai e poi mai avrei pensato che un giorno lo avrei rivisto, qui poi, adesso.
 
-Non siamo a scuola adesso.-
-Pierre, per favore.-
-Che c’è di male?-
-C’è di male che se andiamo avanti così, continuiamo a farci del male. Dobbiamo smetterla, ricordi? “Addio”.-
-Ma io ti amo.-
-Pierre, non è il nostro tempo questo.- Con una mano gli accarezzai la guancia un po’ arrossata e sudata. –Sei stato bravissimo stasera, hai conquistato tutti. Vai avanti per la tua strada, io andrò per la mia. Arriverà il giorno in cui il destino ci riserverà qualcosa, deve arrivare. Ma fino ad allora…-
La musica iniziò dal palco, mentre David dominava la scena, cantando e suonando.
-Signore e Signori, grazie per essere qui stasera!- Applauso. –In mezzo a questa folla, c’è una ragazza…una ragazza che un giorno ho conosciuto e che mi ha rubato il cuore. Non dirò il suo nome, ma so che lei capirà. Questa canzone è per te!-
Mi guardai intorno alla ricerca di una qualche ragazza che potesse essere quella di cui parlava ma nessuna mi sembrava lei. Oppure io volevo semplicemente che nessuna fosse lei.
Non avrei mai potuto negare che quel giorno, al di là di Pierre, del mio amore per lui e di tutto il resto, David si appropriò di un pezzettino del mio cuore.
Infondo avevo sempre sperato di rivederlo.
Chi sarà mai questa ragazza tanto speciale? Le dedica addirittura una canzone.
Il mio cuore stava scoppiando e senza che me ne rendessi conto mi immersi nella gelosia più profonda, per un ragazzo che praticamente non conoscevo.

I remember it's the first time that I saw her... there.
She's getting kicked out of school because she's failing…

Questa canzone io…oddio.

She's the one, she'll always be there 
She took my hand and that made it I swear.
Because I feel in love with the girl at the rock show.

Era la canzone dei Blink 182, quella che parlava di un ragazzo che s’innamorava di una ragazza che aveva conosciuto ad un…concerto.
Alzai gli occhi per la prima vera volta, cercando il suo sguardo, chiedendomi se potesse vedermi, nonostante il buio.
Un suo sorriso mi fece venire i brividi.

Nineteen without a purpose or direction 
We don't owe anyone a fucking explanation. 
I feel in love with the girl at the rock show.

La canzone diceva ‘seventeenwithout a purpose or direction’, lo ricordo benissimo. Ha cambiato il testo per la ragazza del suo cuore.
Istintivamente, come colta dal senso di colpa, mi guardai intorno alla ricerca di Pierre.
Mi succedeva sempre quando sorridevo o quando mi veniva in mente qualcosa di divertente e pensavo se la dicessi a Pierre, riderebbe con me.
E così adesso, mentre guardavo David che, incrociando il mio sguardo, di nuovo mi sorrideva, mentre sentivo dentro che c’era qualcosa in me che avrebbe voluto arrendersi a lui, mi voltai a cercare Pierre.
Pierre, che era sempre con me, ovunque io andassi.
Mi avrebbe guardato con disapprovazione, se avesse sentito il mio cuore battere così per qualcuno che non era lui?
Si sarebbe arrabbiato con me se davvero avessi deciso di trovare un modo per andare avanti senza lui?
Dove sei Pierre? Guardami adesso, fammi un cenno. Un solo gesto, e ti giuro che non penserò mai più a David. Vieni ora e io mi dimentico di lui all’istante.
Ma nessun Pierre apparve, e con la canzone che continuava, il mio cuore si riempiva sempre di più.
Forse dovevo davvero prendere la mia vita in mano e cercare di allontanarmi da Pierre.
Se vede che io sono in grado di andare avanti, prenderà forza e andrà avanti anche lui.
Ma come non si può scegliere chi e quando amare, non si può neanche scegliere chi e quando dimenticare.

And if I ever got another chance 
I'd still ask her to dance. 
Because she kept me waiting

Allungò la mano verso di me.

I feel in love with the girl at the rock show. 
With the girl at the rock show 
I'll never forget tonight

Istintivamente allungai una mano verso la sua, e toccai le sue dita.
Pensai che ero pazza, che tutto quello non stava accadendo realmente.
Non stava cantando a me, non ero io quella ragazza.
Smettila di farti illusioni Maya.

23.11

-Ti è piaciuto?-
Sobbalzai.
-Non volevo farti paura.- Rideva, e mi sembrò così…carino.
Smettila, smettila, smettila!
-Hey, siete bravi! Ma tu che ci fai da queste parti?-
-Mia madre si è trasferita qui per lavoro ed io…finisco gli studi dell’ultimo anno a Montreal.-
Mi sentii sprofondare, ma nell’impeto del momento lo abbracciai, saltandogli letteralmente al collo.
-Che bello! Pensavo che non ci saremmo più rivisti!-
Ma mentre le mie braccia lasciavano il suo corpo, gli occhi di Pierre mi trafissero come lame appuntite. Mi sembrò quasi di sentire lo scricchiolio del cuore che, colpito, s’infrange in mille pezzi, come un vetro.
Doveva averlo notato anche David quando si girò e mi chiese –è il tuo ragazzo quello?- .
Lo guardavo ancora, pensando è troppo tardi adesso, dovevi arrivare prima e cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire dai miei occhi mentre dicevo un –no- che bruciò definitivamente quei pochi frammenti di cuore rimasti.
Ancora una volta mi sorpresi a rimuginare sul cosa avrebbe detto Pierre, cosa avrebbe pensato, cosa avrebbe…sentito.
Ma lo facevo tanto per me, quanto per lui.
E nonostante il pensiero di lui, con una bellissima biondina alla pari di Michelle, non mi rallegrasse affatto, sorrisi a David con tutta la forza che mi rimaneva in corpo ma, come sempre, come a voler distruggere ogni minima certezza che cercavo di crearmi Pierre arrivò prendendomi per un braccio e portandomi via sotto lo sguardo di David che mi sussurrava ‘ti aspetto qui’.
 
-Un ripiego di che cosa, se posso chiedere?-
-Non prendermi in giro Maya, chi è quello?-
-Non sono affari che ti riguardano.-
Nei suoi occhi una scintilla. –Sono così facile da dimenticare, per te?-
-Se tu fossi così facile da dimenticare non sarei qui a discutere, adesso, a cercare, per l’ennesima volta, di farti capire. Lasciami andare Pierre, se davvero mi ami…lasciami andare.-
-Non ti sto bloccando.-
-E invece lo stai facendo. Continuando a guardarmi così, continuando a starmi intorno, a farmi sentire quanto mi ami.
Se continuo a sentirti così vicino, continuo ad amarti, ogni giorno di più e credimi, è una cosa che non mi posso permettere.
Voglio che tu sia felice.
Sii felice, questo è il più grande gesto d’amore che potrai mai farmi.
Dimostrami che puoi essere felice.-
Così mi alzai, e tornai da David che, come promesso, mi stava aspettando.
Non avrei mai smesso di amare Pierre, e non avevo neanche un briciolo della forza e della convinzione che ostentavo davanti a lui, ma doveva andare così.
David mi piaceva davvero, ed era straordinario. Ero quasi sicura che sarei potuta essere davvero felice con lui, non appena mi fossi tolta lo sguardo di Pierre dalla testa.
-Sei tornata!-
-Eccomi qua!-
E quando si avvicinò per baciarmi, le labbra di Pierre mi occuparono la mente, gli occhi ed ogni fibra del mio corpo. Lo fermai.
-Capisco- mi disse –ti aspetterò finché sarà necessario.-
Adesso ne ero sicura.
Con lui, avrei potuto essere felice.
 

How I wish, how I wish you were here
We're just two lost souls swimming in a fish bowl
Year after year, running over the same old ground.
What have we found?
The same old fears.
Wish you were here.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Will you be there for us? ***


A.s. Ciaoooo a tutte, bellissime *^* Come va? Iooo, contando che la prossima settimana ho esattamente 4 compiti, non molto bene, in effetti. Hahah
A voi come sta andando la scuola? Solo da me sono così cattivi da mettere 495874685 compiti tutti insieme? c-c
Comunque sia, adesso vi parlo del capitolo uù
Allllora: inzialmente la conclusione era completamente diversa ma non mi piaceva, quiiindi, l'ho riscritto circa...due o tre volte. Spero tanto che vi piaccia perchè ci ho messo qualcosa come una settimana per scriverlo e, sinceramente, ancora non mi convince molto :c
Oggi non mi prolungo molto dai, quindi vi lascio subito il capitolo, ringraziando ancora, chiunque legge e chiunque recensisce. Davvero, grazie, grazie, grazie. Ditemi tutto quello che pensate di questa storia se vi piace o no, cosicchè posso farmi un'idea e cercare di migliorare :3
Vi lascio e...prima un avvertimento: questo è solo l'inizio. *musichina inquietante di sottofondo* (Nel senso: non prendete tutto già per fatto e deciso, ci sono ancora tante cose che possano succedere uù)
Eccolo (:


Ha lo sguardo dolce e un poco assente, di chi ti capisce, e non può farci niente.
-cloudseater|tumblr

Montreal, January9th, 1999
8.04

Ero quasi arrivata a scuola quando una figura mi si fermò davanti, sorridendomi, mentre mi diceva –Buongiorno!- in un tono troppo allegro per le otto di mattina.
-David!-
Non mi piace attaccarmi alle persone, affezionarmi a loro.
Era tutta una storia che ricominciava da capo.
Quando decidi di intraprendere un rapporto con qualcuno, devi mettere in gioco te stessa e i tuoi sentimenti ed io non sono mai stata pronta per farlo.
Quando inizi a sentire che quel qualcuno merita di entrare nella tua vita, allora devi essere in grado di scavare dentro di te, tirare fuori tutte quelle cose belle e brutte che hanno caratterizzato la tua vita dall’inizio fino a quel momento, sparpagliarle sul tavolo e mostrarle una ad una.
Devi essere in grado di prendere il cuore tra le tue mani, e metterlo nelle sue, permettere a quella persona di guardarlo, osservarlo, scovarlo e capirlo.
Devi fidarti di lui a tal punto da lasciare tra le sue mani quella piccola parte di te che racchiude tutto ciò che sei e che sei stata, e sapere che quando te lo darà indietro, sarà esattamente come prima, solo un po’ più leggero.
Quando senti che una persona vuole condividere il peso che ti porti sulle spalle, devi essere pronta a raccontare di quel peso, a darne un po’ a lui e prendere un po’ del suo.
Devi essere pronta a condividere, scoprire, conoscere e farti vivere.
Devi vivere l’altra persona, amare l’altra persona, e capirla.
Quando decidi di voler davvero far parte della sua vita, devi finalmente toglierti quella maschera dal viso e mostrarti per quella che sei: niente falsi sorrisi, niente ‘sto bene’mentre ti stai logorando dentro.
Arriverà il momento in cui dovrai sentirti pronta a guardare quella persona negl’occhi e raccontarle le parti peggiori di te, le parti più dolorose, quelle che avresti voluto dimenticare, quelle che hai sempre nascosto persino a te stessa.
Devi essere pronta a condividere tutto ciò che hai, tutto ciò che non hai e tutto ciò che avrai.
Per questo sono sempre stata sola, perché tutto questo mi ha sempre fatto paura.
Sono sempre stata più affezionata alla maschera sul mio volto che alle persone intorno a me.
L’ho tolta una sola volta questa maschera, in diciannove anni, per un ragazzo per il quale la toglierei altre migliaia di volte ma dal quale, adesso, devo tenermi lontana anima e corpo.
Adesso mentre guardavo David negl’occhi mi ritrovavo a chiedermi se io fossi davvero disposta a scavare dentro di me, a togliermi quella stupida, maledetta maschera e a far vedere lui chi ero davvero.
Mi ritrovavo a chiedermi se fosse il caso, se gli sarei piaciuta uguale dopo, se non mi avrebbe fatto soffrire. Ma quando mi prese la mano, portandomi con lui ad affrontare quell’enorme massa inconsistente di fantasmi che occupavano i corridoi della scuola, capii all’istante che, con lui, non avrei potuto fingere, anche se lo avessi voluto.
Eppure…

10.05

Dovevo assolutamente parlare con Pierre, era una cosa troppo importante e urgente per permettere a me, al mio orgoglio o a qualsiasi altra cosa di non vederlo.
Correvo nei corridoi, fermandomi di tanto in tanto, quando mi pareva di vederlo ma niente. Avevo girato tutta la scuola e non ero ancora riuscita a…-Sta attento a dove cammini!-
-Allora lo fai apposta.-
Pierre?
Per una volta fui felice di averlo incontrato così, lo presi per un braccio e lo trascinai nel vecchio sgabuzzino dei bidelli, dove ormai non entrava nessuno da anni.
-Mmh, che intenzioni hai birichina? Mi sembrava mi avessi detto che non volevi più vedermi.- Diceva mentre mi passava le dita tra i capelli.
Resistendo agli impulsi contrastanti che mi comandavano di prenderlo a calci e baciarlo fino a che non avessi smesso di respirare puntai i miei occhi nei suoi e lui si fece serio.
-Che è successo?-
-E’ successo che…siamo due idioti.-
-Parla per te, intanto. Che significa questo?-
-Che ho un ritardo.- Nel momento stesso in cui lo dissi prese a girarmi la testa. Vedevo Pierre, me…David.
-Ritardo di che scusa? Sono le…- guardò l’orologio mentre io speravamo che mi stesse prendendo in giro. –dieci e undici e le lezioni ricominciano tra cinque minuti!-
Sta scherzando, non è davvero così idiota. Mi sta prendendo in giro.
-Pierre, ho un ritardo. Il ciclo, ho un ritardo con il ciclo.-
-Ma io non capisco cosa...cosa?!-
Annuii.
-Tu hai già…fatto un…- parlava a sussurri, fermandosi a respirare tra una parola e l’altra, guardandomi negl’occhi e tenendomi la mano. -…test?-
-No, pensavo di farlo oggi ma…Ho paura.-
Le sue braccia intorno a me, il mio volto immerso nella sua felpa ed io, invasa dal suo profumo. Pensavo a David. Che cosa gli avrei detto?

16.13

Pierre si presentò a casa mia con un test di gravidanza che aveva comprato strada facendo.
Mi prese la mano, mi guardò sparire in bagno ed aspettò, seduto sul divano, mentre io cercavo di non farmi prendere dal panico.
Come cavolo si usa questo aggeggio?

16.20

-Allora?-
-Pierre, non è un computer, bisogna aspettare.-
-Quanto?- La sua gamba si muoveva freneticamente, non riusciva a stare fermo. Io, per conto mio, non riuscivo quasi a respirare.
-Circa un quarto d’ora.- Mi prende la mano.
-Andrà tutto bene, ok? Qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi cosa dirà quel test, andrà tutto bene.-
Lo guardai sorridendo mentre una lacrima bastarda mi cadeva lungo la guancia.
Come avevo potuto mettermi in quel casino? Come avevo potuto essere così superficialmente stupida?
-Lo so.- Dissi sorridendo, con tutta la forza che non avevo.

16.36

Avevo il test tra le mani, ma nessuno di noi due aveva il coraggio di guardarlo.
Tenendomi le mani, mi guardava negl’occhi e mi parlava cercando di convincere sia me che se stesso. –Allora ci siamo. Striscia rossa o striscia blu hai detto? Ok, lo guardiamo insieme. Magari potremmo andare a fare delle analisi, perché questi test non sono sempre attendibili al cento per cento e stiamo parlando di una nuova vita quindi…- Lo baciai, in qualche modo dovevo farlo smettere, sia di parlare che di pensare.
-Andrà tutto bene, Pierre. Uno, due…- voltai il test e mi sentii morire.
-E questo che vuol dire?-
-Non me lo ricordo.-
-Come non ti ricordi?! Dov’è la scatola, le istruzioni…Maya!-
-Pierre calmati, le ho buttate…nel cestino!-
Vedere Pierre rovistare nel cestino alla ricerca delle istruzioni mi strappò un sorriso che fu come un raggio di sole in mezzo alla tempesta.
-Eccole!- Disse tirando fuori la testa dalla spazzatura e sventolando in aria il foglietto della verità.
-Allora?-
-Un attimo, c’è scritto in tutte le lingue del mondo tranne che…eccolo.-
-…si possono quindi avere due differenti colori: se la lineetta del test risulterà rossa, il risultato sarà…-
-Cosa?-
-…positivo.-
Lasciai cadere il braccio ed il foglietto cadde a terra.
Pierre mi abbracciò ed io cercai di respirare quanto più ossigeno possibile, senza avere molto successo.
Affondai il viso nel suo petto, cercando di trovare nel suo cuore che batteva, quella forza che non sentivo più di avere.
Stupidi, incauti, ingenui. Eravamo stati dei bambini proprio nel momento in cui dovevamo essere più adulti. Ci eravamo lasciati andare, senza pensare alle conseguenze.
Non riuscivo a pensare a nulla, né a Pierre, né a David né…David.
Che cosa avrei detto a David? Che cosa avrei fatto?
E di me? E di lui o lei?
Io, che non riesco a prendere una decisione neanche per me stessa, che non sono mai decisa su niente, che non so mai cosa fare…io che non so prendermi cura di me, dovrei essere in grado di prendermi cura di un altro piccolo, fragile essere umano? Come avrei fatto?
E la scuola?
Stupidi, stupidi, stupidi.
Come se avesse sentito i miei pensieri, mi prese la mano, poggiando l’altra sulla mia pancia e guardandomi negli occhi.
-Andrà tutto bene, staremo tutti insieme. Tutti e tre.-
Una lacrima mi cadde sulla sua mano, alchè mi guardò, mi sorrise, con quel sorriso suo, quello rassicurante, quello che ti capisce, quello che ti fa bene, e mi disse –Per di più, nell’attesa prima, avevo già pensato ad alcuni bellissimi nomi per la nostra bambina!-
-Bambina? E se fosse un bambino?-
Pierre mise il broncio. –No, non ci ho ancora pensato.-
Risi e cercai di smorzare la tensione. -E per curiosità, a che nomi avevi pensato?-
-Beh, qualcosa come Alphonsine, oppure Florentine…-
Lo guardai negl’occhi in cerca di una scintilla, di una qualsiasi cosa potesse indicare che stava scherzando ma no, era serissimo. Serissimo come quando mi baciò all’improvviso, avendomi vista confusa, spaesata, persa e dicendomi –Tranquilla ok? Non posso prometterti che sarà facile, o che io sarò l’uomo perfetto. Non posso prometterti che non farà male o che non avremo paura. Non posso prometterti niente, in questo momento, se non che non ti lascerò mai, che la nostra bambina avrà una bellissima famiglia, che sarà amata e che anche tu lo sarai. Adesso, contando il fatto che non ho un soldo e non posso renderti felice materialmente, che non posso regalarti un anello né tanto meno una casa, dimmi: vuoi dare a questa bambina una famiglia?-
Trattenendo le lacrime poggiai la mia mano sopra quella di lui, stringendogli l’altra e sorridendo. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo. Stavo morendo di paura, sia per lei, sia per Pierre che per David. Ma non potevo più pensare a me, adesso. La mia vita non mi apparteneva più, adesso era sua, e io dovevo smetterla di fare la bambina egoista e pensare al bene di questo bambino.–Solo se mi prometti che il nome lo sceglierò io.-
Rise lui, guardandomi e dicendomi –Ma Alphonsine mi sembrava un nome meraviglioso!-
Lo guardai con aria omicida, trattenendo una risata. Con lui era sempre così, tutta una risata, tutto uno scherzo, in qualsiasi momento riusciva a sdrammatizzare la situazione.
-Pierre, non ti faccio riconoscere nostro figlio.-
-Figlia.-
-Qualsiasi cosa sia.-
-Ok, lo scegli tu, promesso.-
Lo baciai, pensando però che c’erano ancora tante cose che dovevo fare e tante persone con cui dovevo parlare.
I miei genitori, David…
Mi allontanai da lui che mi prese la mano e mi sorrise, facendo un cenno alla porta.
Iniziavo a credere realmente che mi leggesse nel pensiero.

17.17

Mamma mi abbracciò, piangendo. Non disse una parola se non –domani andiamo a comprare dei vestitini. Li compriamo bianchi o verdi, così non importa se sarà maschio o femmina!-
In quel momento pensai solo grazie mamma, ti voglio bene.
Mio papà, commosso, mi promise tutti i soldi di cui avevo bisogno.
Ma io non avevo bisogno di soldi, avevo bisogno di loro, e loro c’erano ed io stavo bene.

18.21

E questa era forse la parte più difficile.
Mi ero davvero convinta su di lui, io gli volevo davvero bene, io non volevo perderlo.
Scema, scema, scema.
-Hey.-
Lo abbracciai piangendo e lui mi strinse a se, senza una parola, senza un ‘perché?’. Gli fui eternamente grata per questo.
 
-Va tutto bene, non piangere tesoro. No, no, dimmi solo una cosa.- disse scostandomi da lui e puntando i suoi occhi nei miei. Mi mancò il respiro per un secondo. –Che cosa vuoi che faccia, io?-
-Che cosa vuol dire?-
-Vuol dire…vuoi che me ne vada e che sparisca dalla tua vita?-
-Io…tu sai cambiare i pannolini?-
Mi guardò sorridendo. –Beh si, ma…che c’entra?-
-Allora, potresti insegnarmi come si fa?-
Mi abbracciò ancora più forte, in una stretta che sembrava non dovesse finire più.
Ci sono stati dei momenti in cui ho veramente creduto in noi, ma avevo come la sensazione che David sapesse, che avesse sempre saputo fin dall’inizio e che semplicemente mi capisse.
-Non ti farà male?-
-Che cosa?-
-Starmi vicino.-
-Mi farebbe male starti lontano. Io sono qui per te, perché ci tengo a te. Non mi sono mai aspettato niente di diverso da noi, per questo non fa male, adesso. Ti starò vicino fin quanto lo vorrai. E soprattutto, non vivrò con il peso di quella povera creatura nelle tue mani, mentre cerchi goffamente di cambiarli un pannolino.- Rise ed io risi con lui.
Il ragazzo più meraviglioso del mondo era tra le mie braccia ed io stavo bene.
Non fraintendiamoci però, stavo morendo di paura, il cuore mi scoppiava ed ero ancora più confusa di quanto non lo fossi mai stata ma per la prima volta in tutta la vita non mi sentivo sola.
Ero felice da un lato e triste dall’altro, pensando che avrei voluto che con David le cose fossero andate diversamente.
Ma in quel momento, in cui tutto sembrava stupido, inutile e insignificante, le sue braccia mi davano asilo ed io mi sentivo parte del mondo, parte di lui, parte di tutto.
Una creatura nasceva dentro di me, ed io nascevo insieme a lei, con tutte le mie paure, con tutte le mie ansie.
David poggiò la sua mano al di sotto del mio ombelico, mi guardò negl’occhi e mi disse –sarà una creatura fortunata.- ma a quel punto non potei più trattenermi e scoppiai a piangere, su di lui, con lui e anche un po’ per lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Our sweet little frog ***


A.s Buonasera a tutti. Ho avuto una giornata un po'...come dire, particolare. Sono andata ad un'assemblea di scuola, oggi pomeriggio, per parlare dell'autogestione ed eravamo tipo in 6 o 7 e io e la mia amica non conoscevamo nessuno. Allora non vi dico l'imbarazzo che avevo. Loro parlavano di cose loro, ridevano...e io tipo lì a guardarli come una scema. Hahaha Per di più c'era anche il ragazzo che mi piaceva l'anno scorso, che mi guardava come a dire 'ma questa qui che c'è venuta a fare visto che non spiccica nemmeno parola?'. Vi giuro, è stato uno dei giorni più imbarazzanti della mia vita HAHAH Scusate lo sfogo, ma sono nervosissima e quando sono nervosa inizio a parlare e non la finisco più. Ma a voi non ve ne frega nienteeeee, oddio, scusate, scusate. Hahah Come state voi? Tutto apposto? :3
Io...sto provando ad andare un po' avanti con questa storia ma non so ancora che piega farle prendere...quindi, non so, fatemi sapere ok? :3
Ovviamente ringrazio TUTTI quelli che leggono e commentano, siete meravigliosi, grazie.

Scrivo per scappare dalla realtà e per dire a quelli come me che c’è una via di fuga, che la realtà non fa proprio schifo e che se scegli di restare scegli anche di combattere.
-Bittle Taste, blog su Tumblr

Montreal, January14th, 1999
10.03

Mi avviavo verso gli armadietti per la pausa, colazione di metà mattina.
Stavo morendo di fame, ma sembrava che quella piccola ranocchia dentro di me non la pensasse allo stesso modo, si era messa in testa di farmi dimagrire, a quanto pare, dato che appena prendevo qualsiasi cosa di commestibile tra le mani, dovevo scappare in bagno con l’agitazione di stomaco.
 
-Quella piccola ranochietta sarà la creatura più viziata del mondo.-
-Non pensarci neanche, Pierre. No aspetta, come l’hai chiamata?-
-Ranocchietta.-
-E…perché?-
-Beh, i bambini da piccoli piccoli, prima di nascere, hanno una forma che ricorda molto le rane.- Rise, e gli si illuminò il volto, mentre portava la mano alla mia pancia.
-La nostra ranocchia.- Mi suonava strano. Nostra più che ranocchia, ancora non potevo crederci.
 
Uscii dal bagno completamente sconvolta, quei momenti mi toglievano ogni forza, per di più continuavo a morire di fame e non avevo in corpo neanche la cena della sera prima. Prima o poi sarei svenuta.
Mi portai una mano alla pancia, immaginandomi il suo piccolo corpo ancora non formato, e immaginandomi che potesse ascoltarmi.
Vorresti smetterla, tesoro? Sai che se non mi fai mangiare finisce che ci portano in ospedale tutt’e due, e sai benissimo che a me non piacciono gli ospedali. Ho fame, ti prego, solo una barretta di cioccolato.
Ma l’idea continuava a non piacerle.
Ok, ok, non mangio. Promesso, non mangio niente, ma almeno fammi andare in classe.
Ovviamente ancora non si vedeva niente, e nessuno sospettava niente. Mi godevo gli ultimi tempi da ‘ragazza invisibile’ prima di passare a ‘ragazza incinta’.
-Hey là, mammina!-
Mi voltai di scatto.
-David, mi hai spaventata.-
-Chiedo scusa. Come va con…?-
-Non vuole farmi mangiare. Qualsiasi cosa cerchi di mettere sotto i denti, la simpaticona decide che non è il caso.-
-Tieni.-
-Cos’è?-
-Zucchero.-
-Tu credi che…?-
-Fidati.-
Aprii la bustina che mi aveva passato David e lasciai sciogliere lo zucchero sotto la lingua. Che bello, sostanze nutritive energetiche che passavano direttamente nel sangue, mi sentivo rinascere. E sembrava piacere anche a quella piccola cosetta dentro di me.
David mi portò la mano alla pancia. –La ranocchietta sta bene, mi sembra.-
-Sembra che lo zucchero le piaccia.-
Raggiungemmo insieme la classe di anatomia, per poi iniziare la noiosissima lezione sulle varie tipologie dei tessuti.

13.09

Ero in un grandissimo ritardo per la lezione di psicologia, dovevo incontrare Pierre in classe ma mi ero soffermata troppo in bagno e adesso stavo correndo lungo il corridoio deserto cercando di non ritardare ancora di più.
-Tu!-
No, no, no, non posso fermarmi. Non ho tempo di parlare con lei adesso.
-Non fare finta di non sentirmi, puttanella.-
Respirai profondamente, cercando di non cedere alle sue provocazioni, fermandomi e voltandomi. Tanto ormai ero in super ritardo.
-Che vuoi, Michelle?-
-Quello che mi spetta.-
-Perdonami, ma probabilmente io e te viaggiamo su onde diverse. Non capisco.-
-Pierre.-
Risi.
-Ancora con questa storia? Che c’è, l’acqua ossigenata inibisce le tue capacità intellettive? Mi sembrava di averti già detto e ribadito che io non ho niente a che fare con le decisioni di Pierre, che lui ha un cervello suo, per quanto evidentemente ti sia difficile crederlo, e che prende le sue decisioni da solo, ormai. E’ grande e vaccinato, se hai da chiarire qualche conto in sospeso con lui, non vedo come possa entrarci io e, se non ti dispiace, sono in ritardo, devo andare.-
Mi voltai di nuovo, facendo per ricominciare a correre, quando sentii semplicemente un –non così in fretta, sfigatella da quattro soldi.- per poi sentire due mani sulle mie spalle che mi spingevano in avanti.
Stavo cadendo giù per le scale e la mia unica, grande preoccupazione era il bambino.
Come potevo fare per cadere in modo tale da fargli il meno male possibile?
Non ero più io il problema, da quel giorno. Da quel giorno, dal giorno della lineetta rossa, dal giorno in cui ho saputo della sua esistenza, la vita non mi apparteneva più, era la sua adesso, ed io ne ero responsabile.
Maledetta Michelle, perché, perché sei così irreparabilmente stupida?
Durante la caduta mi portai le mani alla pancia, pregando, sperando di riuscire a proteggerlo, di non fargli del male.
Sbattei la testa contro lo scalino, e di lì in poi, c’è solo il buio.

18.01

Bip. Bip. Bip. Bip.
Non vedevo niente, ma sentivo questo ‘bip’ ripetitivo provenire da un qualche posto accanto a me. Perché era tutto buio, perché non vedevo niente? Dov’ero, che cos’era successo? Che cos’era quell’odore così…
-Apri gli occhi Maya, ti prego.-
Apri gli occhi? Oh, ecco perché non vedevo niente! Aspettate ma, cosa ci fa Pierre accanto al mio letto?
No, ma questo non è il mio letto, e questo non è neanche il mio pigiama. Io non porto camicie da notte.
E questi fili che mi escono dal braccio? Dove…?
-Maya! Maya, guardami. Come ti senti?-
Io volevo parlare, volevo dirgli che stavo bene, chiedergli cos’era successo, guardarlo, rassicurarlo…ma il mio corpo non rispondeva più.
Provai a stringergli la mano.
-Maya, riesci a parlare?-
Aprii la bocca, cercando di emettere qualche suono.
-Pierre.- Mi uscì soffocato e spezzato, ma fu il massimo che riuscii a dire.
 Tratteneva le lacrime lui, mi stringeva la mano tanto da farmi male, ma non potevo dirgli niente, non ne avevo la forza.
Continuavo a cercare di ricordare quello che fosse successo ma…nella mia mente c’era il vuoto.
Provai a chiudere gli occhi per concentrarmi e…
-Il bam…bambino!.- Riuscii a balbettare.
Pierre mi guardò e il suo sguardo mi trafisse il cuore da parte a parte.
Presi tutto il fiato che potevo e cercai dentro di me tutte le forze che non avevo. –Che cosa è successo al bambino?-
Mi stringeva la mano lui, continuando a guardarmi.
-Volevano aspettare che tu ti svegliassi per fare l’ecografia, ma non…- gli si spezzò la voce, e a me si spezzò il cuore. –…non sanno che cosa potrebbe aver causato al bambino questo trauma. E’ stata una brutta caduta.-
Mi sembrò di lasciar andare tutto il mio peso sul letto, come a cadere, ma in realtà non mi ero mai mossa da li.
Sentii dentro di me un vuoto, finchè il dottore non entrò in sala e, spalmandomi quella specie di gel sulla pancia, iniziò a guardare attentamente lo schermo.
Pierre non mi lasciò la mano neanche per un secondo, io pregavo soltanto che andasse tutto bene.
Era incredibile quanto, in pochissimi giorni, ero riuscita ad attaccarmi a questa piccola creatura che stava nascendo dentro di me.
Era una nuova vita, era l’inizio di qualcosa di nuovo, piccolo, innocente. Una nuova creatura che ancora non conosceva tutto il male del mondo, pura, incontaminata, mia, nostra.
Era il filo rosso che legava me a Pierre, era il filo che legava me a me stessa.
Era arrivata senza preavviso, aveva sconvolto le nostre vite e mi aveva fatta crescere incredibilmente.
Dovevo a questa piccola creatura tantissimo e adesso, al solo pensiero di non poterla vedere, di non poterla stringere, di non averla più…mi sentivo morire.
Guardai gli occhi di Pierre che mi dicevano andrà tutto bene, rassicurandomi, come sempre.
-Sentite questo suono?- ci chiese il dottore.
Annuimmo.
-E’ il battito del suo cuore.-
Con le poche forze che avevo cercai di sporgermi in avanti per vedere lo schermo e…oddio.
-A quanto pare sembra non aver subito danni e stare bene. Siete stati fortunati, sarebbe potuta andare molto peggio.-
Respirai come se non avessi assaporato ossigeno da anni e Pierre si catapultò letteralmente sopra di me, abbracciandomi.
-Possiamo…continuare a guardarlo per un pochino?- Chiese Pierre al medico che acconsentì e ci lasciò soli.
Pierre muoveva quel… aggeggio sulla mia pancia ed io ascoltavo il battito di quel piccolo cuore magico come la musica più bella del mondo.
Lui guardava me, e poi lo schermo.
-Guarda- mi disse indicandolo –è proprio una ranocchia.-
Io sorrisi, e lo guardai.
-Si, è proprio una ranocchia.-
Era andato tutto bene, e sentivo che il mio cuore sarebbe esploso da un momento all’altro.

18.45

Avevo costretto Pierre ad andare a casa a mangiare, studiare e dormire, con la promessa che sia io che ranocchietta saremmo state bene.
-Hey.- David si affacciò alla porta.
Cercai di alzarmi un pochino perché iniziavo a sentirmi il sedere quadrato e lo salutai.
-Non hai idea dello spavento che ci hai fatto prendere, pazza!-
Lo abbracciai, cercando di rassicurarlo sul fatto che stavo bene, non c’era bisogno di essere preoccupati.
-E’ stata Michelle, vero?-
-Io non…-
-Maya, non è il momento di essere la persona buona e gentile che sei, ok? Hai bisogno di tirare fuori gli artigli adesso, e dirmi la verità. Avresti potuto perdere il bambino.-
-Mi ha spinta- dissi, cercando di non piangere. –mi ha semplicemente spinta giù dalle scale.-
David mi abbracciò, e si offrì di restare a farmi compagnia.
Avevo costretto i miei genitori ad andare a dormire a casa, con la stessa promessa riciclata che avevo fatto a Pierre, di stare bene, e David rimase con me tutta la notte. Si addormentò su quella scomodissima poltrona, risvegliandosi probabilmente, con un bruttissimo mal di schiena e mal di collo, ma non mi lasciò sola un secondo. Quando Pierre, per motivi di causa maggiore, e soprattutto perché costretto sotto minaccia da me, si allontanava, David arrivava con le parole crociate o le ultime notizie dalla scuola o della sua band.
In quel momento, con una mano sulla pancia ed una sul cuore, mi resi conto di quanto la mia vita fosse cambiata e di quanto fortunata io dovessi sentirmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** I'll meet you there ***


A.s. Vi prego, non odiatemi per quest'assenza un po'...lunga. Chiedo scusa a tutti ma è un periodo un po' 'strano' e mi sto tipo allontanando dal mondo, e non riuscivo più neanche a scrivere. Quindi...spero nel vostro perdono.
Tornando a noi, però, ve la ricordate questa storia? Hahah Perchè in effetti è passato un po'. Oddio. Allora, innanzi tutto, questo capitolo può darsi che faccia schifo, ve lo anticipo, ma ci serve per andare avanti.
Oddio, non so che dire, fatemi sapere, se lo leggete, che ne pensate e...niente. Haha Oggi sono di poche parole. Ringrazio tutti quelli che avranno voglia di leggerlo, nonostante tutto e chiedo scusa in anticipo per l'eventuale delusione. 
Mi raccomando, fatemi sapere!
Un bacio a tutti :*

"Una parte di me che sa benissimo cosa è successo, l’altra fa finta di niente per poter vivere lo stesso."
-99 posse

Montreal, February 18th, 1999
19.46

 
Guardavo la mia pancia piatta allo specchio di una vetrina, sentendomi improvvisamente vuota e spenta.
Camminavo per le strade del centro guardando le persone che camminavano veloci, altre che correvano disperate sperando di non perdere l’ultimo autobus della giornata, altre ancora che passeggiavano mano nella mano con i loro compagni. Ogni persona che mi passava accanto, pensavo, ogni persona a cui per sbaglio pestavo un piede o che, vinta dalla fretta, non mi vedeva e sfiorava la mia spalla, ogni persona in quella strada, aveva una storia dietro di se, che comprendeva a sua volta la storia di altre centinaia di persone.
Una donna inciampò nel mio piede. –Scusi!- mi urlò mentre se ne andava. Non risposi.
Se mi fossi fermata per cinque secondi a legarmi la stringa in un angolino, probabilmente non avrei mai incontrato quella donna. Andava di fretta, magari doveva andare a preparare la cena alla famiglia, oppure era il compleanno di suo figlio, e lei stava correndo a casa da lui dopo il lavoro.
Un signore con un cagnolino mi passò accanto e io mi fermai ad accarezzarlo. Il cane mi faceva le feste. Chissà dove stava andando.
Ogni persona porta dentro di se la propria storia, il signore con il cane, la donna che correva, quella bambina che stava rincorrendo il suo palloncino azzurro portato via dal vento…persino io, avevo la mia storia.
La mia storia però, non faceva altro che contorcersi su se stessa, arrotolandosi, annodandosi, uccidendomi. Quando finalmente avevo sperato di aver trovato la felicità ecco che arriva il diavolo in camice bianco, a riferirmi che purtroppo avevo subito un’interruzione di gravidanza.
Erano le 3 e mezzo di notte quando iniziai a sentirmi strana. All’ospedale mi dissero soltanto ‘ci dispiace signorina, sono purtroppo cose che possono capitare in una gravidanza.’
Calciai un sassolino che si trovava sulla mia strada.
Fanculo, fanculo a tutto, fanculo alla vita.

Montreal, February 19th, 1999
8.13

Ero in ritardo per la lezione di psicologia di Roy, non mi era mai successo.
Da quel giorno in ospedale avevo paura di guardare Pierre, avevo paura di guardare David, avevo paura persino di guardarmi allo specchio.

Era il nostro bambino e adesso che non esisteva più lui, che non esistevo più io, che non esisteva più neanche Pierre, mi chiedevo come mai sarebbe potuto esistere un ‘noi’.
Bussai alla porta dell’aula ed entrai.
Gli occhi puntati addosso mi bruciavano come scintille che cadevano dal cielo, per posarsi sulla mia pelle. L’unica cosa che mi consolava era che di lì ad una settimana me ne sarei andata da quella scuola e da quella città. Incrociai lo sguardo di Pierre, e mi sentii morire. Come potevo lasciarlo qui?

13.15

Decisa a voler stare un po’ tranquilla, senza pensare a niente o essere disturbata da stupidi sguardi di stupide persone, mi avviai verso gli spalti del campetto da calcio che durante l’inverno era sempre deserto dato che, con il freddo, preferivano allenarsi dentro la palestra.
Stavo cercando il libro nella borsa quando sentii una voce che mi fece fermare, alzare lo sguardo e correre dietro le scale per non essere vista. Un comportamento tipicamente infantile, dettato dal mio stupido istinto.
Era Pierre, la sua voce. Stava…cantando. E aveva la chitarra.

Now you're gone,
I wonder why
You left me here,
I think about it on, and on, 
and on, and on, and on, again.

La sua voce era rotta, spezzata. Mi affacciai per cercare di vederlo e…
 

I know you're never coming back,
I hope that you can hear me,
I'm waiting to hear from you..

Stava piangendo, stringendo la sua chitarra e cullandola come fosse un bambino. Cantava e il suo corpo andava avanti e indietro, mentre le sue guancie venivano bagnate dalle lacrime che scendevano giù, inesorabili.
Avrei dato qualsiasi cosa per avere la forza di fare un passo e poi un altro e raggiungerlo lassù e abbracciarlo, nel modo in cui lui abbraccia quella chitarra, come se fosse l’unica cosa rimasta, come se fosse l’ultima speranza.

 
You're gone away,
I'm left alone,
A part of me is gone,
And I'm not moving on…

Il cuore intanto stava protestando, legato e incatenato in questa gabbia nel petto. Urlava, gridava, bruciava, batteva sempre più forte, bussava, cercava di sfondare tutte le barriere che lo trattenevano. Ad un certo punto ho creduto di sentirlo scoppiare.
 

I'll meet you there,
No matter where life takes me to,
I'll meet you there,
And even if I need you here,
I'll meet you there.

Una lacrima bastarda fuggì dal mio occhio, sentii le gambe cedere, stanche di sostenere tutto questo peso, il cuore scoppiare, le mani portarsi al viso, gli occhi e le guance bagnarsi. In un secondo la sua voce era dentro di me, quelle parole mi scorrevano nelle vene mentre, ormai con i pantaloni stracciati e le ginocchia sanguinanti continuavo ad ascoltarlo.
 

So many things remind me of you,
I hope that you can hear me,
I miss you,
This is goodbye,
One last time..

Alla parola ‘goodbye’ un lampo illuminò il cielo, io ero stanca, tanto stanca. Continuavo ad ascoltarlo, e anche se poteva sembrare un atto masochistico, la sua voce, il suono della sua voce mi faceva sentire meno sola. Ma la sua voce era spezzata dai singhiozzi e le sue mani, infreddolite dall’aria gelida e dalla pioggia che aveva iniziato a scendere, non riuscivano più a tenere il tempo. One last time…

And where I go you'll be there with me,
Forever you'll be right here with me..

In un lampo mi passarono davanti tutti i momenti che avevamo passato insieme, la prima volta che ci scontrammo, a scuola, a casa mia, a casa sua, in albergo quel giorno dopo il concerto…
Chiudevo gli occhi e sentivo il suo odore, il suo sapore sulle labbra, le sue braccia intorno a me.
Dal giorno dell’ospedale ognuno di noi si era nascosto nella propria solitudine, nel proprio dolore e nel proprio odio.
Avrei dato il mondo per andare lì ad abbracciarlo, se fossi stata certa che quel gesto non gli avrebbe fatto male, ancora di più.
Avrei dato qualsiasi cosa per prendermi anche il suo dolore, e farlo sorridere, almeno per un secondo.
Aveva posato la chitarra, e la giornata si era fatta buia, con il sole coperto dalle nuvole.
Io sotto la pioggia, completamente bagnata e infreddolita, guardavo Pierre, dall’altra parte degli spalti.
In quel momento si girò e ancorò il suo sguardo al mio.
In quel momento il mio cuore smise di battere.
In quel momento caddi con le ginocchia per terra per la seconda volta. Era come se sentissi improvvisamente tutto il peso della Terra sulle mie spalle.
I nostri sguardi non si mossero di un millimetro. Restammo a guardarci così per minuti interi, mentre entrambi morivamo di freddo, e dalla voglia di alzarci, correre e stringerci l’un l’altra finché la pioggia non avesse smesso.
Ma restammo immobili, più vicini e lontani che mai, a sussurrarci con il pensiero, a mancarci ancora.
I suoi occhi, bagnati dalle lacrime che la pioggia non poteva nascondere, brillavano.
Le mie ginocchia sull’asfalto sanguinavano.
Mai come in quel momento, quella distanza mi sembrò insormontabile e mai come in quel momento lo sentii vicino a me.
Ci stavamo dicendo una marea di cose, in quei secondi.
Io, per canto mio, gli stavo dicendo non me ne voglio andare, mentre lui, una lacrima dopo l’altra, sembrava dirmi non mi lasciare.
Se quel giorno non fossi stata tanto distratta da finire addosso ad un perfetto sconosciuto, se quel giorno fossi uscita di casa cinque minuti dopo, o se quel giorno avessi trovato un semaforo rosso…saremmo qui adesso, noi due? A cercare di costruire un puzzle con pezzi invisibili, cercando di aggrapparci allo stesso filo di speranza che non ce la fa a sostenerci entrambi. Se quel giorno fossi stata sul marciapiede opposto, saremmo qui, noi due, adesso?

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Goodbyes are not forever ***


“Ma da queste profonde ferite 
usciranno farfalle libere.”

-Alda Merini

A.s. Heylà! E' vero che per scrivere il 10 mi ci è voluto un mese, ma questo è arrivato piuttosto presto! Haha Sto cercando di farmi perdonare.
Che dire, sono superdisperata per la scuola, ma niente di che, cioè, è una cosa normale. A voi come va? Solo da me amano terrorizzarci tutti con compiti impossibili? Ditemi di no, vi prego!
Niente, vi lascio il capitolo che ho appena finito di scrivere, e spero con tutto il cuore che possa piacervi. 
Come sempre, grazie infinite a tutti quelli che leggono, e che recensiscono! Fatemi sapere che ne pensate, i vostri commenti mi migliorano sempre le giornate. 
Un bacione a tutti. c:

P.s. Le  parole di Sid di cui parlerà Maya, sono prese dal film 'Sid and Nancy'.

“Avrei voluto toccarlo, dirgli che non l’avrei mai lasciato anche se tutti lasciano tutti.”
-Jonathan SafranFoer

Montreal, February 27th, 1999
11.34

Seduta alla scrivania, con la penna in mano, cercavo di mettere un minimo d’ordine nelle mie idée, di fare mente locale, di non lasciarmi sopraffare dalle emozioni e dai sentimenti.
Scrivere una lettera era molto più difficile di quanto pensassi, soprattutto quando in quella lettera dovevi racchiudere un addio che, infondo al cuore, non avresti mai voluto dire.
Ero appena tornata da una mattinata passata con Seb e i ragazzi, Chuck e Jeff, si sono uniti a noi dopo. Eravamo andati in caffetteria ed avevo raccontato loro tutto.
Non avevo nessun dubbio sul fatto che mi avrebbero capita, come sempre. Chuck che con gli occhi lucidi, mi prese la mano dicendomi –noi ci saremo sempre per te, e anche Pierre.-, il mio cuore che al suo nome ha sussultato e Seb che l’ha sentito, mi ha posato una mano sulla gamba, mi ha sorriso, e mi ha abbracciato.
Jeff, con il quale avevo parlato troppo poco da quando lo avevo conosciuto, mi guardava sorridendo e, al di là di ogni pensiero, mi disse che sperava dal profondo del cuore che ci saremmo rivisti presto.
Anche io lo speravo.
 
Caro Pierre,
spero che quando riceverai questa lettera non ti allarmerai, né ti arrabbierai tanto da accartocciarla e buttarla prima ancora di aver finito di leggerla. TI PREGO, continua a leggere.
Si, stasera partirò, andrò a Londra, dai miei zii. Non so quando tornerò né se tornerò.
Se arrivato a questo punto hai ancora voglia di leggere quello che ho da dirti, e le mie spiegazioni allora prosegui.
Sto scrivendo adesso e mi sta tremando la mano. Immagino te, in piedi nella tua camera, quella camera in cui ci siamo odiati, amati e conosciuti, mentre leggi questa lettera andando avanti e indietro, e te che sorridi, leggendo questo passaggio mentre pensi a come sia possibile che io abbia indovinato quello che facevi. Ebbene, il pensiero di quello che sto per fare, di te qui e di me là mi manda in pezzi. Ma tu mi conosci e sai benissimo che non farei niente del genere se non fosse davvero importante.
L’altra sera ascoltavo quel vecchio disco dei Sex Pistols che mi avevi regalato, te lo ricordi? Ho ritrovato quel bigliettino che mi avevi lasciato nella copertina e, dopo averlo letto, ho riso, ho riso, ho riso fino a piangere. E mentre le lacrime mi scendevano dagl’occhi ti immaginavo accanto a me, come quella volta a casa tua, mentre insieme ascoltavamo questo disco e tu ti eri messo a ballare urlando convinto ‘questo è PUNK’, e io risi così tanto che lo stomaco mi faceva male. Te lo ricordi quel giorno? Tu mi avevi dato il bigliettino e io ti chiesi che cosa voleva dire. Mi dicesti solo ‘leggilo’, e quando finii avevo le lacrime agl’occhi. Proprio come ora, mentre lo rileggo.
You were my little baby girl and I shared all your fears. Such joy to hold you in my arms and kiss away your tears… but now you’re gone, there’s only pain and nothing I can do. And I don’t want to live this life, if I can’t live for you to my beautiful baby girl. Our love will never die.

Quel giorno sei stato il mio Sid anche se io mi rifiutavo categoricamente di essere la tua Nancy, perché dicevo che gli aveva rovinato la vita. Rido ancora, ripensando a tutte le giornate che abbiamo passato quando sognavamo davvero una famiglia.
Quando penso a te però, non posso fare a meno di ricordarmi di quel ragazzino ubriaco sulla spiaggia, che mi supplicava di lasciare Matt. Non posso fare a meno di ripensare a quello stupido ragazzo distratto sul marciapiede, quel giorno di agosto, che mi venne addosso senza neanche chiedermi scusa.
Tu, per me, sarai sempre il ragazzo dagl’occhi color nocciola abbrustolita che inciampava sempre nei miei piedi e che mi brontolava sempre, affibbiandomene la colpa.
Stai pensando irritato che ero io a venirti addosso, vero? Non hai mai voluto cedere.
E quel giorno, che venisti a San Francisco solo per dirci addio?
Forse prima di andarmene, dovrei passare a ringraziare Roy, per avermi fatto capire che ero una stupida ragazzina che si rifiutava di vivere il suo amore. Lui aveva già capito.

Hey Pierre, hai letto tra le righe? Capisci quello che voglio dirti?
Sei stato l’unica persona capace, in diciannove anni, di rubarmi il cuore. Sei stato il mio primo tutto. Il mio primo bacio, il mio primo amore, la mia prima volta, la mia prima paura e il mio primo dolore. E, dio quanto fa male. Ma vivere con questo dolore è quasi bello ormai, perché mi ricorda costantemente quanto bello fosse stare con te.
Ti ricordi la nostra bambina?
Alla fine mi convincesti che era una femmina. Alphonsine o…com’era l’altro nome assurdo che tirasti fuori? Florentine!

Questa bambina Pierre, continua a vivere dentro di me e dentro di te, e con noi. Io non mi sono mai arresa al pensiero che lei non ci fosse più.
E, prima di andarmene, devo confessarti una cosa ma ti prego, non odiarmi ancora di più.
Ricordi l’altro giorno, al campetto da calcio, sotto la pioggia?
Io ero lì.

And even if I need you here,
I'll meet you there.

Ti ho sentito cantare, e mi si è rotto il cuore, pezzo per pezzo.
Giuro che, se non avessi avuto la certezza che così facendo ti avrei fatto ancora più male, sarei corsa da te.
Non odiarmi per non esserci stata, non odiarmi perché ora me ne vado. Non odiarmi se non ho saputo essere all’altezza di questo amore, o per essermi rifugiata nella paura e nel dolore.
Ti prego, ricordati di noi e di quello che siamo stati, per quel poco che abbiamo potuto permettercelo.
Ricordati di quel sentimento forte che ci perseguitava ovunque andassimo.
Ricordati di me e va avanti, va avanti nella tua vita. Sii felice, ti prego.
Vorrei dirti altri miliardi cose ma la penna, che fa da tramite tra il foglio e il cervello, sembra catturarle tutte.
Ti lascio adesso, ma ti prego, sii felice.

Promettimelo,
Maya

P.s. Ti amo.
 
Poggiai la penna sul foglio ed andai in bagno a lavarmi il viso.
Non era ancora finita, mancava ancora una lettera da scrivere.
 

12.13

Caro David,
avrei preferito scriverti in altre circostanze e non per dirti che stasera entrerò in un aeroporto per prendere un volo in direzione di Londra.
Ho pensato a cosa poter scrivere in questa lettera per giorni, aggiungendo e togliendo idee, senza mai arrivare ad una conclusione precisa, per cui, se durante la lettura troverai delle frasi che non s’incastrano bene, ti prego di perdonarmi, perché non credo che avrò la forza di rileggerla, una volta finita.
Da quando ci siamo conosciuti, quel giorno al concerto dei Green Day, quel giorno in qui abbiamo condiviso delle emozioni attraverso una stretta di mano, quel giorno in cui mi hai guardata e mi hai capita, senza neanche sapere il mio nome, da quel giorno, ho sempre sperato e un po’ anche creduto che un giorno ci saremmo rincontrati, anche se non volevo ammetterlo neanche a me stessa.
Avrei tante cose per cui ringraziarti: per avermi capito con uno sguardo, per avermi preso la mano quando ero una perfetta sconosciuta, per aver condiviso con me le parti belle e le parti brutte della vita, per aver sopportato, per aver aspettato. Per quella canzone al vostro concerto, The Rock Show, per avermi spinta alla decisione giusta per me, anche se poteva non essere quella giusta per te.
Non ho mai mentito su quali fossero i miei sentimenti per te, non ho mai negato di provare per te, qualcosa di forte.
Grazie per aver capito.
Ricordi quella volta in cui volevi farmi dimenticare Pierre e mi hai portato a nuotare alla piscina comunale?
Tutti i bambini ci guardavano ridendo, pensando a cosa potevano farci due ragazzi grandi e grossi come noi nella loro piccola piscina, ma l’altra era chiusa, e allora ci hanno prestato i loro braccioli e le loro ciambelline.

E quella volta in cui avevi insistito per portarmi sulle montagne russe con lo zucchero filato che, inevitabilmente, ci si appiccicò tutto alla faccia?Ho riso per i due giorni successivi.
Scusami, se sto riportando alla mente tutti questi ricordi, ma ho bisogno di condividerli con te, prima di andare, di riviverli nella mia mente e farti sapere che non li ho dimenticati.
Grazie per tutto il tempo passato insieme, per avermi voluto bene, nonostante tutto.
Spero che un giorno potrò ripagarti per tutto quello che hai fatto per me, ma adesso, devo andare a preparare la valigia.
Dimmi che mi chiamerai, nonostante il fuso orario. Dimmi che ci sentiremo, perché senza di te, non so come potrei andare avanti in una città come Londra.
Perdonami per tutte le volte che ti ho fatto del male inconsapevolmente.

Con amore,
Maya

P.s. Una volta lessi su un muro questa frase: “Ma una tazzina da tè che si rompe, ho pensato, fa comunque più rumore di una persona che crolla. Che rumore fa, una persona che crolla? E se non fa rumore, chi viene a raccoglierla?”, grazie per avermi raccolto quella volta, e tutte le volte dopo.


Con in testa il vuoto assoluto, senza più voglia né forza di pensare, esco e lascio le lettere nelle loro cassette. Incrociai le dita imbucando quella per Pierre, spero che la legga.

18.35

In ritardo mostruoso corsi dentro l’aeroporto trascinandomi dietro l’unico bagaglio che mi avrebbe accompagnato fino a Londra.
L’Europa: mi ero sempre immaginata di andarci con un umore diverso.
Al pensiero di lasciarmi tutta la vita alle spalle qualcosa in me mi fece bloccare e smettere di correre.
-Allora non è mai cambiato niente eh.-
Alzai lo sguardo, rendendomi conto solo in quel momento di quello che era successo.
-Sei sempre in mezzo ai piedi.-
Sorrideva, con le lacrime agl’occhi. Il cuore voleva scappare, si era stancato di me. –Che ci fai qui?-
Senza rispondermi tirò fuori un foglio bianco dalla tasca dei pantaloni, ormai accartocciato, e lesse quello che c’era scritto.
Non odiarmi per non esserci stata, non odiarmi perché ora me ne vado. Non odiarmi se non ho saputo essere all’altezza di questo amore, o per essermi rifugiata nella paura e nel dolore.
Ti prego, ricordati di noi e di quello che siamo stati, per quel poco che abbiamo potuto permettercelo.
Quelle parole, a me tanto familiari, mi distrussero ancora di più. Era già stato difficile scriverle, ma sentirle adesso, dalla sua bocca, lette da lui…
Mi chiedevo dove volesse arrivare finchè la sua mano non afferrò il mio braccio, le sue labbra non si attaccarono prepotentemente alle mie e la sua voce disse – Non potrei odiarti neanche se lo volessi. E con la promessa che io mi ricorderò di noi, tu ricordati di questo.-
Un ultimo sorriso prima di scansarsi e scoprire tutti gli altri davanti a me che erano lì, immobili, sorridenti e con le lacrime agl’occhi.
David mi corse incontro e lo abbracciai come se fosse stata l’ultima volta in cui avrei potuto farlo.
-Ti chiamerò ogni giorno.- mi disse.
Abbracciai uno per uno, sentendomi, per la prima volta dopo molto tempo, amata.
Chuck, Jeff, Seb –Ci separiamo di nuovo, ma durante le vacanze se non torni ti vengo a prendere a Londra!- , mamma, papà.
Li guardai tutti allontanarsi mentre chiamavano per l’ultima volta il mio volo, ed io correvo verso l’aereo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** P.s. I love you ***


A.s. Buongiorno! Come va? :D
Per scrivere questo capitolo mi ci è voluto un po' più del solito, non so perchè, ma mi risultava difficile (e poi, ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine della storia! Uooh). Forse perchè esce un Pierre un po' diverso, un po' più fragile, un po' più umano, quando invece avevamo visto così quasi sempre Maya. Mi torna sempre difficile immaginare cosa farebbe Pierre, il Pierre diciannovenne, o cosa direbbe, o come potrebbe reagire. Per questo, ancora una volta, ho bisogno di chiedere a voi di darmi un parere: come vi è sembrato questo Pierre? 
Vi è piaciuto, o ve lo sareste immaginato (o magari lo avreste preferito) più forte o...non so, diverso?
Vi assicuro che ci metto sempre molto impegno nello scrivere e nel pensare ma, visto che ci tengo a condividere tutto questo con voi, mi interessa soprattutto il vostro parere. Io come ogni volta vi voglio ringraziare, veramente, per leggere questa storia. Grazie a tutti quelli che trovano cinque minuti di tempo nelle loro giornate e a tutti quelli che ne trovano o ne hanno trovati anche due in più per recensire. Vi sono davvero grata, vi adoro! Grazie.

P.s. Il libro di cui si parla più avanti è 'Che tu sia per me il coltello' di David Grossman (:

Basterebbe dirselo un mi manchi, invece che continuare a mancarsi in silenzio per una vita.
- Massimo Bisotti.

 

London, March 26th, 1999
9.36

Stavano passando gli Oasis alla radio in quella mattina, dove cercavo di concentrarmi per fare i compiti, studiare, recuperare e mettermi in pari con il programma scolastico.
And I want to be there when you hit the ground, so don't go away, say what you say but say that you'll stay forever and a day in the time of my life, ‘Cause I need more time just to make things right.
Il volto di Pierre, mentre cantava quelle stesse parole, i suoi occhi, e le sue labbra che si muovevano, mi apparvero davanti all’improvviso e, come se avessi visto un fantasma, come se davvero lo avessi visto apparire lì, di fronte a me, mi spaventai, lasciando cadere la matita.
Fissavo la finestra, immobile, mentre quelle fragili e coraggiose goccioline di pioggia sfidavano la gravità, andandosi a frantumare sul vetro. Chissà se sentivano dolore.
Da una settimana a questa parte, da quando avevo lasciato Montreal, vedevo Pierre ovunque.
A scuola, in centro, persino a casa, quando aprivo l’armadio o quando andavo in cucina. Oppure sentivo il suo odore o mi sembrava di sentire la sua voce e allora subito mi voltavo, quasi triste e sorpresa, nel constatare che non era lui, che non c’era lui.
Che poi era stupido, me ne ero andata io, me ne ero andata da lui. Di nuovo.
Me and you what's going on? All we seem to know is how to show the feelings that are wrong.
Mi alzai andando verso il comodino dove avevo messo tutte le scartoffie dell’altra scuola, rovistai un po’ e…eccolo.
Mi sedetti sul letto con il sorriso stampato sul volto, ripensando a quel giorno, a quel progetto, a quella canzone, a noi, ai due sconosciuti che eravamo, a tutto quello che era successo nel frattempo, ed iniziai a leggere i pensieri di quei due ragazzini un po’ ingenui, un po’ innamorati.
“Siamo qui da dieci minuti, e tutto quello che ci siamo detti è stato ‘hey’, per poi sederci dalle parti opposte del letto e non rivolgersi la parola.”
Mi riconobbi in quelle parole, e tornai con la mente a quel primo giorno in cui, per tutto il tempo, maledicevo Roy per avermi affibbiato un tale rompiscatole, idiota.
“Ho provato ad avvicinarmi a lei, a sedermi accanto a lei, ma si è alzata ed è andata a sedersi alla scrivania. Non so più che cosa fare, perché ce l’ha con me?
P.S. Oggi è bellissima.”
Mi scappò una risata ricordando quanto arrabbiata ero con lui e quale bassa opinione avessi di lui, come cercavo, poi, di combattere i miei sentimenti che, nonostante tutto, c’erano.
Rileggendolo adesso, sembrava che fossero passati anni.
Voglio che stia bene in questa settimana con me.”

14.22

-Maya! Ti vogliono al telefono!-
 
-Si?-
-Mayaaaaaaaaaaaaaaaaa!- Allontanai la cornetta dall’orecchio ridendo.
-Daviiiiiiiiiiiiiid!-
-Come va la vita a Londra?-
-Va. A Montreal invece? Mi mancate da morire.-
In sottofondo sentivo Seb che urlava a David di passargli la cornetta. –Seb?-
-Maya! Torna ti prego.- Il suo tono serio mi inquietò un po’. –Hey Seb, ma va tutto bene?-
-No che non va bene. Pierre ha lasciato il gruppo e ora vuole fare una pazzia e com- David strappò la cornetta del telefono dalle mani di Seb e con un –Lascialo stare, manchi a tutti noi, speriamo di rivederti presto!- mi liquidò.
Posai il telefono lasciando che lo sguardo mi si posasse su quella foto sopra al camino, dove c’eravamo noi sei, sorridenti e spensierati.

19.20

-Maya, è arrivata questa per te da Montreal!- Mia zia mi porse una lettera, sorridente. La presi con le mani che mi tremavano, la sua scrittura era inconfondibile.
Pierre ha lasciato il gruppo… Pierre ha lasciato il gruppo…
La aprii cercando di non pensare a cosa potesse esserci scritto, cercando di mantenere la mente più lucida possibile, in modo da non fraintendere niente di quello che potesse significare ma, come al solito, tutto il resto del mio corpo sembrava volermi contraddire.
 
Montreal, March 23rd, 1999 – Per Maya.
Cara Maya,
dal giorno in cui hai deciso di lasciare tutto e partire, fuggire, andartene, è ormai passato un mese e, come sai, in un mese possono accadere molte cose.
Non voglio essere bugiardo o ipocrita, non con te, non potrei. Non voglio rinnegare niente di quello che c’è stato tra di noi, di quello che ho provato, e di quello che provo ancora oggi.
Quando hai deciso di lasciarmi, anzi, di lasciarci, hai preso una strada, la tua strada, e adesso io sento il bisogno di prendere la mia strada che però, ancora adesso mentre ti scrivo, non ho proprio idea di dove potrà condurmi.
Non so perché ti sto scrivendo questa lettera, non so perché sento il bisogno di parlartene, forse è perché so, nonostante tutto, che tu sei l’unica persona qui che potrebbe mai capire quello che significa tutto questo.
Prima che inizi ad agitarti e posi questa lettera per riprenderti un po’, non voglio dirti addio, quindi ti prego, leggila tutta d’un fiato, arriva fino al punto finale.
Voglio partire dalla premessa che tu sei stata la persona che mi ha fatto capire cosa sia l’amore, sei stata la persona che mi ha guardato negl’occhi ed ha visto in me tutto quello che neanche io sapevo esserci, che mi ha preso la mano e che mi ha, in qualche modo, salvato.
Voglio ringraziarti per avermi permesso di essere me stesso, per aver superato i tuoi pregiudizi verso di me, per avermi amato e odiato. Voglio scusarmi per averti fatto del male, o per essermi presentato come uno sbruffone. Voglio dirti che nonostante il seguito di questa lettera e della mia vita, io ti amo.
Ho riletto la tua lettera cento volte, quella che tu non volevi definire una lettera d’addio ma che l’addio me l’ha sparato a tutta velocità nel cuore e nello stomaco.
Ho riletto quella lettera, cercando di trovarci uno spiraglio, una speranza, un qualsiasi cosa che mi spingesse a dire ‘No Pierre, non hai capito niente, tornerà.’, ma più che la leggevo e più che il cuore mi si accartocciava nel petto.
“Sii felice”, mi hai scritto. Come se tu pensassi che andatone all’improvviso io potessi essere felice.
Mi conosci abbastanza bene ormai, da sapere che sono sempre sincero con te e che, ora, a distanza di un mese, posso dirti che sei stata un’egoista. Ma non in senso dispregiativo, non posso condannarti per aver pensato a te stessa in un periodo come quello, ma posso condannarti, permettimelo ti prego, per aver deciso di non pensare più a me. Andandotene hai deciso per entrambi che io non avrei avuto più bisogno di te, e non sai quanto ti sei sbagliata.
Ti scrivo questa lettera a distanza di un mese, non per ferirti o per rinfacciarti qualcosa, non per odiarti perché, come ti ho detto prima che tu partissi, non potrei né vorrei mai, ma per comunicarti che mi sono reso conto che a certe cose, eri tu che davi un senso.
Ho deciso di lasciare il gruppo, la mia chitarra è in un angolo della stanza a prendere polvere. Dicono che quando si è tristi o persi nascono le canzoni più belle, ma non sono riuscito a scrivere neanche una parola. Neanche una nota.
Mi manca la tua voce, mi manca vederti a scuola, mi manca rischiare di rompermi qualche ossa perché tu non guardi mai dove vai (è inutile, questa faccenda non la risolveremo mai) e mi manchi tu.
Ricordi il libro che mi hai lasciato? (Tu ami i ricordi, ti prego di volerne condividere altri con me, adesso.) Bene, ho finito di leggerlo e ci sono alcune frasi che mi sono segnato, ma una in particolare, voglio scriverla in questa lettera.
“Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.”
Non so più neanche con quale intento ero partito a scrivere. La verità è che mi manchi, mi manchi da morire, e vorrei averti qui per passare una notte con te. E se te lo chiedessi? Potrei chiederti una notte, una sola notte, la nostra notte d’addio, come quella a San Francisco, la notte del per sempre.
Ma non lo farei, come potrei chiedertelo? Saprei che la tua risposta sarebbe un si, e da quella notte non riuscirei più a venirne fuori. Farei dei giorni la notte, e la prolungherei per tutta la vita. Ti terrei in quel letto con me, in quella stanza con me, come se quella stanza fosse le nostre parentesi, e al di fuori il mondo.
Adesso però, devo smetterla di scrivere, perché mi stanno tornando alla mente un migliaio di ricordi ai quali voglio dedicarmi con attenzione.
Per quanto mi sia difficile separarmi da questa foto, voglio che l’abbia tu. Non dimenticarti di quel giorno, in cui pensavamo che l’addio potesse essere per sempre e in cui ci siamo tenuti stretti fino alla fine.

Non voglio dirti addio,
Pierre

P.s. Ti amo
 
Pierre era l’unica persona che riusciva allo stesso tempo a riempirmi di certezze e a distruggerle completamente.
Fissavo quella foto, dove eravamo abbracciati, in quell’ultimo giorno che pensavamo nostro e sentivo Londra premermi sul corpo.
Non potevo tornare però, non ora, non così. Avevo preso una decisione, avevo diciannove anni, dovevo essere in grado di prendermi le mie responsabilità e fare i conti con le mie scelte.
Ma quel “P.s. Ti amo” aveva afferrato prepotentemente tutta la convinzione dentro di me, l’aveva scaraventata al suolo e l’aveva calpestata insistentemente.
Perdonami se non sono lì con te, e se non ci sarò neanche domani.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Diaries ***


A.s. Non ho scuse. Non ho davvero scuse.
Vi posso solo dire che, in realtà, il mio obbiettivo era di arrivare almeno alla fine di questa storia e spero...spero di potercela fare.
Ora, vi capisco se non vi ricordate nè chi sono io, nè che storia è questa ma, nel caso voi aveste ancora voglia di leggere qualche pezzettino, vi prometto che farò del mio meglio per non scomparire così.
Non lo faccio apposta, è solo che ho dei momenti completamente bui e...niente, non riesco semplicemente a scrivere. 
Ringrazio di cuore chiunque darà un'occhiata a questo capitolo, nonostante sia passato del tempo e a chi ha letto tutti quelli precedenti. A chi recensirà (oddio, vi prego, ditemi qualcosa!) e chi ha recensito. Davvero, siete stati molto importanti per me, anche se potrebbe non sembrare. Vi lascio, che come al solito mi perdo in preamboli. 

“È come se avessi le emozioni chiuse in un cassetto e avessi perso la chiave.”

London, March 31st, 1999
22.32

Maya’s diary

Ormai è quasi aprile, mancano poco più di un’ora.
Il tempo, qui a Londra è sempre triste, non passa mai.
A volte, rido di me stessa: mi affaccio alla finestra e aspetto. Che cosa aspetto poi? Non lo so. Credo, dentro di me, di non aver ancora del tutto rinunciato al pensiero di Pierre. Forse mi affaccio in continuazione a quella finestra sperando di vederlo passare.
E a volte succede, che passi.
Succede circa venti volte al giorno, finché non mi accorgo che non è lui, che è un passante. Che lui non c’è, che me ne sono andata.
Perché poi me ne sono andata?
Stupida! Sempre colpa della mia stupida, insulsa paura dell’amore. E’ come una fobia, e non riesco ad uscirne eh!
 
Domani viene a trovarmi David, che, a proposito, sembra che si sia fissato con la stoffa zebrata. Ultime news arrivate direttamente da Montreal passata di bocca in bocca da Jeff, a Chuck, a Seb che l’ha detto a me.
“Regalagli un cappellino zebrato quando viene” mi ha detto Seb. Mi ha fatto morire dal ridere. David e le sue strane fisse! Il mondo non sarebbe lo stesso senza di lui.
Sono contenta che mi venga a trovare, ho bisogno di una persona come lui. Sempre allegro, solare, pronto a scherzare e ad abbracciarti in ogni situazione.
Abbiamo fatto il patto del tabù, il nostro patto con la mano sul cuore e il mignolo alzato. Si, ovviamente è un’idea sua. Non ricordo bene come iniziò questa storia, ma da allora l’abbiamo utilizzata spesso. Da domani e per una settimana iltabù, facile immaginarlo, sarà Pierre.
“Hai bisogno di svagarti” mi ha detto “ogni volta che pronuncerai il suo nome o che i tuoi occhi lo faranno per te, penitenza!” e di penitenza ogni volta se ne inventa una.
Una volta mi tenne digiuna tutto il giorno, un’altra mi proibì di mangiare qualsiasi cosa contenesse zucchero. Ci fu quella volta in cui mi nascose tutte le scarpe, per non parlare della volta in cui mi fece uscire in pieno inverno con il costume!
E’ così lui, la vita è tutta un gioco.
 
Eccolo, mi ha appena chiamato.
C’era la voce di Pierre in sottofondo. Sembrava allegro, spensierato. Cantava. Beh, sembrava anche ubriaco.
Comunque ho fatto finta di non sentirla e ho parlato con David.
Oggi aveva la fissa delle giraffe.
Io vorrei sapere se certe cose se le sogna la notte e poi, il giorno, ci pensa o se gli vengono naturalmente nel cervello come le persone ‘normali’ possano pensare a…che ne so, che tempo fa oggi.
Le giraffe, comunque, sostiene che siano dei dinosauri camuffati per non farsi riconoscere dagli altri animali e continuare a vivere pacificamente su questo pianeta. E non ribattere! No, perché se provi a spiegargli la teoria dell’evoluzione lui se ne esce con ‘alla ricerca della valle incantata’ sostenendo che i colli lunghi sono costretti a camuffarsi da giraffe, appunto, in modo tale da poter sfuggire ai denti aguzzi che, anche se in giro non se ne vedano più, ce ne sono sicuramente di nascosti nelle grotte.
Giuro, mi fa male la pancia dalle risate. Ah giusto! “Non ridere” mi ha detto con quel tono un po’…da bambino a cui hanno rubato una caramella “sono cose serie queste”. E a sentirlo così, tra una risata e una giraffa mi ha ricordato molto il mio libro preferito, il piccolo principe. David è così, grande, grosso e bambinone. Ed è la persona migliore che si possa incontrare nella vita. Al di là degli amori, degli amici di sempre, della famiglia…David va al di là di tutto, lui è qualcos’altro, quel qualcosa che ti fa chiedere come tu abbia potuto vivere prima senza conoscerlo.

Montreal, March 31st, 1999
23.32

Pierre’s diary

Tra meno di mezz’ora è Aprile e questo significa che tra meno di un giorno David partirà per Londra.
Stupida e insensata mente che continua a volermi convincere che la porterà con se. Non so perché non riesco a rassegnarmi al fatto che se ne sia andata.
Sto passando quella fase in cui continui a ripeterti che devi smettere di pensare a lei, e così facendo rendi impossibile a te stesso smettere. Ogni volta ti ricordi che devi smettere di pensare, e poi ti chiedi “pensare a cosa?” ed ecco che l’immagine dei suoi occhi ti si scaglia contro il cuore ad una velocità tale da frantumarlo in pezzi.
Odio avere vent’anni, fa schifo. Già solo per il fatto che tutti ti dicono “hai vent’anni, spassatela un po’ amico, fatti una canna, cercati qualche ragazza carina e dimenticala!”.
E io odio la parola dimenticare.
Penso che nonostante tutto, mi dispiacerebbe molto di più svegliarmi un giorno e rendermi conto di non provare più niente per lei, con la quale ho condiviso quei sentimenti che neanche credevo mi appartenessero.
Comunque ho vent’anni.
Ed ho cercato di dimenticare.
L’altra sera al pub, se avessi saputo che dopo mi sarei sentito così non lo avrei mai fatto. Ma questa è la vita, s’impara sbagliando, sbattendoci la testa e rompendosi il naso.
I mi sono rotto direttamente la faccia.
Non ero con i ragazzi, ero con un altro gruppo di amici con cui ho riallacciato i rapporti dopo aver lasciato il gruppo. Si, quelli che a Maya piaceva definire idioti.
Una birra tira l’altra, mi dicevano.
E io bevevo. Una birra dietro l’altra.
Ho bevuto finché non mi è sembrato di esplodere, finché intorno a me tutto girava e finché…mi piacerebbe poter dire altro.
So solo che mi sono ritrovato la mattina dopo nel letto di un hotel a III stelle (che ancora non so chi cazzo me l’abbia pagata la stanza lì), nudo, con accanto un reggiseno di pizzo rosso.
Non ho voluto indagare su nulla, li ho mandati tutti a fanculo appena la testa mi ha smesso di scoppiare e ho chiamato David. Non so perché proprio lui, un tempo ne ero persino geloso.
Forse adesso guardandolo, conoscendolo, e vedendo com’è quando parla con lei, sapendo che io e lei, probabilmente, non ci rincontreremo, mi piacerebbe saperla felice con qualcuno di cui potermi fidare.
Ma che cavolo di pensieri, mi sto rammollendo di giorno in giorno.
Comunque David ha promesso di non dirle niente, a Maya.
Poi perché dovrei aver paura del suo pensiero? E’ lei che mi ha lasciato, lei se n’è andata. Lei ci ha lasciati.
Ma nonostante cerchi di scaricarle tutta la colpa addosso, mi ricade sul petto con il doppio della forza. E’ tutto inutile.
 
Cambiando discorso, David si è comprato una maglietta completamente zebrata e mi sono sorpreso nel pensare che gli stesse bene.
Solo lui potrebbe permettersi di fare, pensare o indossare certe cose!
E la storia delle giraffe.
I dinosauri camuffati da giraffe.
E tutto questo senza neanche aver bevuto mezza birra! David è così per conto suo, è una qualità di lui che mi piace un sacco. Forse è proprio per questo che andiamo d’accordo io e lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** I don't wanna think about you ***


A.s. Buongiorno! Così presto non ve lo aspettavate vero? Lo so, sono sorpresa anche io.
Con il fatto di 'ricominciare la scuola', ieri sera mi sentivo talmente giù che ho detto, 'no, basta, devo scrivere qualcosa' ed eccolo qui. Non vi prometto che li posterò tutti così presto, non voglio dire bugie, ma mi impegnerò al massimo per non far passare i mesi, magari. Haha
Bene, che dire?
Come al solito ringrazio tutti, lo so che può sembrare stupido o noioso ringraziare ogni volta, ma io continuo a non capacitarmi del fatto che le persone la leggono davvero questa storia, quindi, infinitamente grazie...e non smetterò mai di dirlo.  
Nonostante la scuola, o i problemi, o qualsiasi cosa, entro qui e mi sento sempre un po' meglio.
Bene, come al solito vi ho annoiate in discorsi infiniti, quindi direi che posso anche smetterla. 
Un  bacio a tutti. c:

“E non avere qualcuno vicino non t’impedisce di averlo dentro. E se ce l’hai davvero dentro non riuscirai a lasciarlo lontano.”
-Massimo Bisotti

London, April 1st, 1999
13.54

Aprii la porta e come se lo vedessi per la prima volta, restai a fissarlo, impietrita; non potevo credere che fosse davvero arrivato.
Letteralmente, gli buttai le braccia al collo, abbracciandolo come se avessi paura che scappasse, forte, chiudendo gli occhi, cercando di trattenere le lacrime. Le braccia intorno al suo collo, in punta di piedi, era comunque troppo alto per me. Inspiravo il suo profumo come se dovesse rimanermi impresso per il resto della mia vita. Sentivo che sorrideva, mentre mi abbracciava anche lui.
Ho avuto paura che non lo avrei più rivist…hey!
Avevo aperto un occhio e proprio dietro di lui c’era un’altra figura che mi guardava sorridente, dritta, aspettando che l’entusiasmo si smorzasse un po’ per permettermi di vederlo.
Pensavo che sarebbe venuto solo David, il quale tornò a respirare quando mi staccai da lui per saltare in braccio a Seb che mi salutava e saltellava tenendo me con una mano e la valigia con l’altra.
Per una misera frazione di secondo, mi ritrovai a sbirciare alle spalle di Seb, per vedere se c’era qualcun altro, dandomi dell’idiota subito dopo, rimproverandomi di pensare sempre a lui, anche quando c’erano David e Seb che erano venuti solo per me.
-David Desrosiers e Sébastien Lefebvre a casa mia, signori e signore, che onore!-
David mi guardò sorridendo e io spostavo, ancora incredula, lo sguardo da l’uno all’altro: da oggi, partiva ufficialmente la nostra settimana insieme!

Giorno 1, April 1st 1999

15:31

-E così ho detto ‘perdindirindina, certo che vengo anche io a Londra!’ ed eccoci qui. Non ti nascondo che per arrivare a casa tua David ci ha fatto perdere la strada quattro volte, ostentando il suo ‘meraviglioso senso dell’orientamento’ che ci ha fatti finire negli angoli più remoti di Londra.-
-Cosa? Non è affatto vero! Il mio ‘meraviglioso senso dell’orientamento’ funziona benissimo quando sono da solo, chissà perché quando sono con te va tutto storto. Mi distraevi con le tue continue chiacchiere su quanto le tartarughe marine siano carine e sul loro incredibile senso di…-
-Ragazzi, è pronta la merenda!-
Sorrisi a mia zia ringraziandola per la pizza che ci aveva portato. –Mi siete mancati tantissimo.-

17:25

Ti giuro che non è andata affatto così!- David spinse Seb che cadde dalla sedia. Stavano litigando da circa mezz’ora su chi e perché avesse avuto l’idea di prendere il taxi, tirando fuori discorsi risalenti a mesi fa.
-Ma sei tutto matto?- Adesso anche David era per terra.
-Ragazzi ehm, forse è meglio se…- Ma nessuno mi ascoltava, la stanza era sommersa da urli e gridolini e frasi lasciate a metà.

18.02

-E così, dopo aver chiamato Jeff che ci ha consigliato di prendere un taxi, David ne ha cercato uno.-
La discussione era finita così. Una decina di lividi per uno e un po’ di ghiaccio in testa per decidere chi dei due avesse ragione e alla fine il merito era di Jeff. Incredibile fino a dove può spingersi la mente maschile.

Giorno 2, April 2nd 1999

5.54

-Maya! Hey, Maya!- Sentivo una voce che mi sussurrava nell’orecchio e una mano che mi scuoteva ma non avevo la forza di muovermi né tantomeno di parlare.
Una specie di grugnito intimò quel mostro di persona che stava cercando di svegliarmi a continuare.
-Maya, so che sei sveglia. David mi ha incollato tutte le mutande alla valigia e…e io adesso che faccio?-
Capendo che non sarei comunque più riuscita a dormire aprii gli occhi che, giustamente, protestarono e iniziarono a pulsare. Che dolore.
Ma…che cavolo di ore erano? Cercai a tastoni la sveglia e, strizzando gli occhi, cercai di leggere.
Le sei?
-Sebastién, ma sei impazzito? Sono le sei di mattina, che cavolo ti prende? Mutande…? E che ci devo fare io se non hai le mutande?
Ho capito che David te le ha incollate ma…aspetta, te le ha incollate?
Come…?
Oddio. Ragazzi, io per una settimana non sono sicura di riuscire a sopportarvi.- Mi alzai dal letto, prendendo Seb per la mano con fare materno. Mi sembrava di aver a che fare con due bambini.
A questo punto, visto che ormai ero sveglia, tanto valeva divertirsi un po’. David aveva incollato le mutande di Seb (poi questa avrebbe dovuto spiegarmela) e Seb, quindi mi ha svegliata. Bene David, adesso mi vendico io.
 
Un urlo da ragazzina si propagò per tutta la stanza. Scoppiai a ridere mentre David si alzava dal letto, completamente bagnato e…-oddio, tappati immediatamente!- completamente nudo.
-Che cavolo ti è saltato in testa? Era gelida l’acqua!-
Io e Seb ci guardammo e scoppiammo a ridere.

16.32

-Insomma, come stanno gli altri ragazzi?- Esordii sorridendo, mentre tutti e tre mangiavamo un buonissimo gelato, camminando per le strade di Londra, nelle quali, tra parentesi, ancora mi perdevo.
David mi lanciò uno sguardo serio. –Beh? Da quando in qua ‘ragazzi’ equivale a…- non finii il discorso. Niente Pierre per una settimana. Tabù. Lo sguardo di David si acuì. Cercai di sollevare lo sguardo dalle mie vecchie converse e sorridere. –Quindi? Come va la vita a Montreal?-
-Tutto bene, Jeff ha detto di salutarti tanto, che non vede l’ora di rivederti, Chuck…giusto! Chuck ha detto che dovrebbe chiamarti in serata, gli manchi, e voleva parlare con te. Per il resto, tutto ok. Il gruppo procede e se tutto va bene dovremmo esibirci in un locale piuttosto famoso, di cui però ora mi sfugge il nome e…niente. Tutto bene. Tu invece, come ti trovi a Londra?-
Sentendo parlare del gruppo, inevitabilmente, mi sono ritrovata a chiedermi se Pierre fosse poi tornato a scrivere e suonare, se si fosse poi ripreso da quel suo momento un po’ buio e fosse tornato con i ragazzi. Ma di questo Seb non disse nulla, David doveva averlo avvertito sul ‘non parlare per nessun motivo di Pierre o di qualsiasi cosa lo possa riguardare’.
David mi passò un braccio sulle spalle, tirandomi a se e scuotendomi un po’. –Insomma?- disse –Londra sembra bella.-
Incredibile come riesca ad accorgersi di ogni minima cosa.
-Si, molto bella. Un po’ triste, forse. E a scuola…a scuola è tutto come al solito. Mi manca un po’, Montreal.-
David mi sorride.

Giorno 3, April 3nd 1999

15:59

-Visto che tu non torni a Montreal, allora abbiamo portato Montreal da te.-
Seduti al tavolo sulla terrazza, godendoci uno dei pochi giorni di sole di Londra, David e Seb mi hanno dato un pacchetto.
La carta blu scura e il fiocchetto zebrato. Guardo David sorridendo e lo apro, curiosa.
-Non posso crederci! Ma dove le avete prese?- Abbracciai entrambi posando le tazzine e la teiera, provenienti dal mio bar preferito, dove mi rintanavo sempre  leggere e bere cioccolata calda.
-E questo è da parte di una persona speciale.- Seb mi porse un pacchetto in carta marrone e fiocchetto dorato.
Persona speciale?
Chi mai…-non ci posso credere!-
-Leggi il bigliettino.-

March 23rd, 1999

Cara Maya, come stai? Spero che il tempo che stai passando a Londra possa davvero servirti a schiarire quelle idee della tua testolina confusa e riportarti da noi al più presto. E’ piuttosto triste qui, senza di te. Questo libro, da quando te ne sei andata, è stato preso soltanto da uno strano ragazzo, con cui credo anche di averti vista qualche volta, un certo…Pierre, è possibile? poi però non è venuto più neanche lui.
Ho deciso quindi di spedirtelo, sperando di farti piacere e sperando che, quando deciderai di tornare, perché lo so, tornerai, potrai riportarlo qui, a casa sua, e venirlo di nuovo a leggere quando vuoi.
Si sente l’assenza delle tue risate da bambina qui dentro, e, con l’augurio per te di una vita felice a Londra, mi permetto di scrivere anche questo: mi auguro di rivederti presto qui in Biblioteca.

Con affetto,
John.

Con le lacrime agl’occhi piegai la lettera e presi il libro: 1984.
Aprii alla prima pagina e…quella scrittura.
So che prima o poi riprenderai questo libro e lo leggerai.
In ricordo del giorno in cui siamo quasi baciaticon questo libro tra le mani, in questa biblioteca, a te, a me, a noi.
P.
Fortunatamente fui salvata dal telefono, e corsi a rispondere, prima che David o Seb potessero intuire qualcosa. Portai il libro con me e lo chiusi nel cassetto.
 
-Pronto?-
-Maya!-
-Chuck! Ciao, come stai?!-
-Benissimo, tu invece? Che bello, sono felice di sentire che stai bene.
No, davvero? Seb e David insieme sono una coppia pericolosa!
Sisi, qui tutto ok, immagino ti abbiano già detto del nuovo gruppo! Fortunatamente io e Pierre, dopo la litigata furiosa di poco tempo fa, ci siamo riavvicinati e insieme a David e gli altri abbiamo fondato un nuovo gruppo! Non lo sapevi?-
-Litigata? Chuck io…perché avevate litigato? Cosa…cosa ha fatto lui? Con una…Michelle?!-
-Maya, scusami, pensavo che gli altri ti avessero già detto che…-
.-Chuck, tranquillo, devo tornare da David e Seb però perché sento delle urla strane, ti voglio bene, a presto, spero!- E così lo liquidai. Corsi in bagno a lavarmi il viso, presi il pacchettino per David e tornai dai ragazzi come se niente fosse successo.

Giorno 4, April 4th 1999

3.01

-E’ per questo che aveva lasciato il gruppo.
Abbiamo quasi fatto a botte.
Pierre e Michelle stanno di nuovo insieme adesso.-
Non riuscivo a chiudere occhio, la voce di Chuck mi risuonava in testa.

17.07

-Ah Maya questo cappello è fantastico! Non lo toglierò mai più!-
-Non ci sarai mica andato a dormire?-
Visto che David non rispondeva e continuava a sorridere io e Seb ci guardammo, intuendo che la risposta dovesse essere affermativa, e scoppiammo a ridere.

Giorno 5, April 5th 1999

18.30

Dopo una giornata passata al Luna Park con un i ragazzi ero letteralmente stravolta.
Stavo andando a fare la doccia, ma avevo dimenticato le ciabatte in camera di Seb ieri, quando siamo stati a giocare a monopoli tutta la notte, così, nel tornare a prenderle inciampai nella sua borsa che si rovesciò per terra.
Bravissima Maya, continua così e non smentirti mai! Imbranata come al solito.
Nel rimettere nella borsa tutti gli oggetti caduti trovai un cd bianco e il primo pensiero che mi venne in mente fu di ascoltarlo mentre ero sotto la doccia. Lo stereo in bagno era la cosa migliore al mondo.
A Seb non dispiacerà, e poi ascoltiamo praticamente la stessa musica.
Quando il cd partì però, capii troppo tardi che, forse, non avrei dovuto trovarlo.
Non riuscii a focalizzare bene le prime parole, probabilmente per colpa dello sconvolgimento iniziale. Mi sedetti, poggiando la schiena al muro, ed ascoltai il resto della canzone.

I'm gonna be fine
As soon as I get your picture right out of my mind
I wanna feel the way you make me feel
When I'm with you

La voce di Pierre mi invadeva la testa, le orecchie, il cuore, il corpo. Sentivo di non capire più niente, di non sapere più dov’ero. Cos’era questo cd, cos’era questa canzone?

I wanna be the only hand
You need to hold on to

Aveva scritto, di nuovo?
Era per lei questa canzone? Era dedicataa Michelle?

Another lesson I didn't get to learn 
You're my obsession 
I've got nowhere to turn

Le lacrime si mischiarono pian piano all’acqua che scendeva. Fanculo Bouvier, anche quando non ci sei, riesci a farmi sentire da schifo. No, non sarò mai felice per te e lei, no! Non puoi aver dimenticato tutto quello che ci ha fatto passare, ti odio!
Ero troppo accecata dal dolore per pensare che ero stata io a mollare, ad andarmene. Ero troppo accecata dalla rabbia per prendermela con me stessa.

Giorno 6, April 6th 1999

15.35

Ero appena uscita a comprare un po’ di pane, che David e Seb avevano finito, tirandoselo addosso per tutta la mattina, quando il mio piccolo, strano, aggeggio squillò, segnalando sul display giallastro il nome Chuck. Non mi ero ancora abituata a questi…cellulari.
Alzai la piccola antennina, schiacciai il tasto verde e risposi.
Sembrava agitato, come se avesse appena finito di correre, non capivo cosa volesse dirmi.
-Chuck, calmati, non riesco a capirti?-
Camminavo, come al solito fissando il pavimento.
-Pierre cosa? Cosa c’entra Pierre adesso? No che non…cosa mi stai dicendo? Chuck, non ti sento!-
Andai a sbattere contro qualcuno sul marciapiede. –Oh mi scusi non l’avevo vis…-
Il braccio mi ricadde lungo il corpo quando alzai lo sguardo. Questo è troppo.
-Cosa ci fai qui? Lasciami in pace, ti odio!-
Corsi via da lui, da lei che tornava con due gelati in mano, sorridente e ochetta come sempre. Perché è venuto qui? Ti odio, non voglio vederti mai più!

18:30

-Non ci posso credere che sia già passata una settimana. Come farò senza di voi?-
Accompagnai i ragazzi all’aeroporto, abbracciandoli forte e salutandoli.
‘Dio quanto mi sarebbero mancati. E’ stata una settimana favolosa. A parte per una telefonata, e una visita inattesa della quale però, loro, non sanno niente.
-Ciao ragazzi, vi voglio bene! Fate buon viaggio!-
E l’aereo decollò.
Quanto odio gli aeroporti. Troppe persone che se ne vanno, per troppo tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Home is where your heart is... ***


(dal titolo)... but what a shame cause everyone's heart doesn't beat the same...we're beating out of time! -Jesus of Suburbia, green day.

A.s. Oddio! Beh, se non vi ricordate di me, giuro che vi capisco. Mi sta battendo il cuore a scrivere qui, su EFP dopo tanto tempo. Mamma mia, non mi sembra vero.
Mi rendo conto che è passata un'eternità e l'unica mia scusa è che sto passando un periodo un po' schifoso, abbastanza schifoso, e la scuola non aiuta affatto. Non ho praticamente mai un momento libero e...ma a voi non importa. Sono mancata per tanto e vi chiedo immensamente scusa per questa "mancanza di rispetto" nei vostri confronti, che avete sempre letto e aspettato questa storia con infinita pazienza. Vi giuro che sono affezionata a questa storia e che ho tutte le intenzioni di mantenere la mia promessa, quella di finirla, e non siamo poi tanto lontani da questa fine, e io...non so veramente cosa dire. 'Dio è passato così tanto tempo che...va bene, ricominciamo, ok?! Ciao a tuttii! Come state? Spero bene! Siete pronti ad un altro capitolo di questa storia?
Ma soprattutto, vi ricordate com'è andato a finire l'altro capitolo? Beh, se non ve lo ricordate (cosa per cui ovviamente vi capisco) riprendiamoci un po', ok? L'ultima volta che ci siamo lasciati Maya ha trascorso una bellissima settimana con David e Seb e...ha visto Pierre e Michelle a Londra, INSIEME! Come sarà andata a finire poi la storia? Behhh...non ci resta che scoprirlo!
Ma a parte gli scherzi: se ci sarà una sola persona che leggerà o commenterà o aprirà questa storia e che avrà avuto la pazienza di leggere tutto questo: GRAZIE, perchè non me lo meriterei assolutamente. GRAZIE comunque, a tutti quelli che ci sono sempre stati, siete stati molto importanti per me. GRAZIE infinite, per tutto.


"Alla fine cosa rimane? Solo il banale orrore di due persone che si trovano per caso, si piacciono, si amano…magari pensano perfino che l’amore sia qualcosa di eterno, finché una delle due abbandona l’altra e scompare, così come scompaiono mille e mille estranei che nella vita incontriamo per un attimo e non vedremo mai più."
- Dylan Dog

London, April 3rd, 1999
1:34

Avevo paura persino di andare a fare la spesa.
Non andavo al supermercato, in banca, al parco.
Poi mi sono guardata negl’occhi, ed io, insieme a me, abbiano deciso di smetterla: Io ho lasciato Pierre, io me ne sono andata, io ho mollato. Io devo avere la forza e la dignità di uscire, senza la paura di poterlo vedere ad ogni angolo. E’ arrivato il momento di smetterla di fare la bambina e iniziare a crescere.
 

Ci sono persone il cui destino è incrociarsi. Dovunque siano, ovunque vadano, un giorno s’incontreranno.
- Claudie Gallay

London, April 3rd, 1999
10:45

Mi chiusi la porta di casa dietro le spalle, misi le chiavi nella borsa, inspirai profondamente e mi incamminai verso il centro.
Per quanto il tempo passasse, per quanto io stessa passassi infinite volte da queste strade, da queste vie, niente mi era familiare. Nonostante fosse passato un certo lasso di tempo dalla prima volta che misi piede qui, mai, neanche una volta, mi ero sentita a casa.
Montreal era sempre stata casa mia, ero affezionata ed attaccata a quella città come a nessun’altra, e per quanto io amassi viaggiare e scoprire, amavo ancora di più tornare a Montreal, dove tutto mi parlava di casa.
Passavo davanti alle vetrine e mi capitava di osservare il mio riflesso, scoprendomi a chiedere a me stessa chi fosse quella persona, quella che mi guardava con quegl’occhi spenti e che mi somigliava tanto. Io non ero io, non più.
Guardando il mio riflesso nella vetrina di quell’agenzia mi sorpresi a chiedermi se non fosse meglio entrare, dire buongiorno con quel tono che si usa sempre quando si entra in un’agenzia di viaggi, chiedere un biglietto aereo per Montreal, e partire.
Un passo, un passo ancora, ed un altro e poi un altro ed ecco che già quell’agenzia, insieme a quel pensiero, rimasero dietro di me, come ormai tante cose e tante persone.
Incredibile come il prendere una scelta, una di quelle veloci, che ti costano al massimo un giorno, poi ti condizioni tutta la vita a venire.
Il primo passo per  cambiare era smetterla di camminare così, come facevo sempre io, con la mia aria da bambina sognatrice: nell’istante in cui, dopo qualche secondo di silenzio, ripartì la canzone che mi inondava il corpo, alzai la testa. E’ ora Maya, che tu impari a camminare a testa alta. Basta inciampare nelle persone, alza la testa!
E mentre lo dicevo eccolo lì, seduto su quella panchina. Ed eccomi lì, ferma, immobile, in mezzo al marciapiede, con le persone che mi scorrevano intorno, mentre la mia vita era in pausa.
Non mi muovevo da lì, in attesa, forse, di veder apparire Michelle, di vederla sbucare da una parte o dall’altra, bella come sempre, a sbattermi in faccia i suoi capelli biondi, le sue gambe chilometriche. A ripetermi ancora una volta che lei era sua, e lui era suo. A sorridermi, con quel sorriso crudele, mentre insinuava nella mia testa che lei era semplicemente tutto quello che io non sarei mai potuta essere, e mentre sanguinava il cuore, vedere lui, vedere lei, e vederli insieme e capire che lei poteva dargli tutto quello che io non sarei mai stata in grado di dargli, avessi anche vissuto 100 anni.
Ma lei non arrivava, e il tempo scorreva; o almeno, credevo che scorresse.
Come a voler dimostrare a me stessa che non potevo decidere da un giorno ad un altro di diventare un’altra persona, con occhi fissi sulle mie converse, tornai a camminare. Volto coperto dai capelli, passo dopo passo, decisi di allontanarmi da lui e dal suo pensiero così come avevo fatto con quella vetrina, qualche minuto prima.
Ma il destino è l’essere più subdolo che possa esistere, e non ti lascerà andare via indenne, non ti lascerà continuare a fuggire da tutto. Arriverà e ti metterà di fronte a tutto quello che ti sei lasciata dietro, e a quel punto tu non potrai fare altro che tenerti con tutte le tue forze e lottare.
-Lasciami immediatamente- strinsi il pugno libero, senza voltarmi, conoscevo le sue mani. –Non voglio sentirti, non voglio vederti, lasciami. Lasciami!-
-Se lo faccio te ne andrai, quindi no, non ti lascio finché non ti ho detto quello che devo dirti, e finché non mi avrai ascoltato. Solo allora sarai libera di andartene. Lasciati il privilegio della scelta per una volta, smettila di scappare, guardami e abbi il coraggio di affrontare le conseguenze delle tue scelte!-
Cercai di calmarmi e mi voltai pregando me stessa di non piangere per nessun motivo. Al di là di Michelle, al di là di Londra, aveva ragione. Dovevo prendermi le mie responsabilità. Io l’avevo lasciato, io me ne ero andata, e non avevo nessun diritto di condannarlo per quello che aveva fatto. La prendevo come una faccenda personale, rifiutandomi di accettare che, dal momento in cui avevo deciso di andarmene, io, con lui, non avevo più niente a che fare.
Strana faccenda, i sentimenti, però.
-Non sono venuto qui con l’intento di farti del male, né con l’intento di ostentare davanti ai tuoi occhi la mia storia con Michelle.- Continuava a tenermi la mano per paura che scappassi. Forse faceva bene, perché al momento in cui disse la mia storia con Michelle sentii un fremito lungo le gambe, che avrebbero voluto correre via, lontano da tutto, anche da Londra.
-Non sono qui neanche per rimproverarti di qualcosa. E’ passato più di un mese da quando te ne sei andata e…ho fatto tante di quelle cazzate in questo tempo che non riesco neanche a…- un piccolo sorriso timido si disegnò sulle sue labbra, mentre la sua mano si stringeva alla mia. Che cosa hai fatto? Che vuoi dirmi?
Sentivo di amarlo, se non come quando l’ho lasciato, molto di più. E ricordandomi di quella sera, in cui leggendo Orgoglio e Pregiudizio pensavo a me, e a lui, senza rendermene neanche conto pronunciai quelle parole, che mi uscirono dalla bocca da sole, come a protesta di qualcosa che doveva essere detto, come quel primo giorno su quel marciapiede in cui certe cose le pensavo così intensamente che non mi rendevo conto di dirle.
-Divenne gelosa della sua stima, ora che non poteva più sperare di esserne la beneficiaria.- e anche –Era convinta che avrebbe potuto essere felice con lui, mentre era improbabile che s’incontrassero ancora-.
-Ma ci siamo incontrati…Elizabeth!- Sorrisi, sentendomi chiamare come la protagonista del mio romanzo preferito. –Sono qui e ci sei anche tu! Mettiamo da parte tutte le nostre stupide cavolate, smettiamola entrambi di fare i bambini! Guardami, guardami negl’occhi e dimmi che non provi niente per me. Dimmelo adesso ed io sparirò, senza cercarti mai più.-
Ma non potevo, non potevo, non potevo! Come avrei potuto dire una cosa del genere? Come?
Non avevo mai smesso di pensarlo o di vederlo, ovunque andassi, ovunque fossi.
-Michelle?-
-Vedi, è una delle cose stupide di cui ti parlavo prima. L’ho lasciata, il giorno dopo averti visto. Se n’è andata, da qui e da Montreal. I suoi genitori si sono trasferiti a San Francisco.-
-Perché proprio lei, Pierre?-
-Dio Maya, mi avevi lasciato solo! Te ne rendi conto che da un giorno ad un altro hai fatto la valigia, mi hai lasciato una lettera e te ne sei andata dalla parte opposta del mondo? Ti rendi conto che nel momento in cui avevo più bisogno di te tu hai preso un aereo e sei scappata? Sei stata egoista Maya, te ne sei andata non pensando minimante a nessuno di noi!-
Era diventato rosso, rosso dalla rabbia. Mi stringeva la mano tanto da farmi male.
E la cosa che faceva più male era che aveva ragione.
Riuscii solo a sussurrare un –mi dispiace- e, mentre le strade di Londra si svuotavano perché tutte le persone andavano a preparare il pranzo, io mi arresi e tutte le mi forze con me.
Caddi sulle ginocchia e chiusi gli occhi.
In tre secondi tutte le giornate passate con Pierre mi passarono davanti agli occhi.
Niente più lacrime, niente più occhi rossi.
Mi alzò il viso con una mano, mi infilzò con il suo sguardo e mi fece arrendere con un sorriso.
-Dimmi solo che tornerai a Montreal, dimmi solo che non mi lascerai più così, e che mi ami ancora e ti giuro, dimentico tutto quello che è successo e ti porto via con me!-
Alzai lo sguardo e mi riscoprii felice a perdermi in quegl’occhi che mi erano mancati tanto quanto ad un albero mancano le sue foglie nei gelidi giorni invernali.
-Si, si, si!-
Mi prese in braccio, mi sollevò da terra, mi baciò, mi abbracciò. Mai, come in quel momento, sentii le strade Londra starmi così strette.
-C’è solo un problema però.-
Pierre si fermò, quasi timoroso di chiedermi –Quale?-
-Devo rimanere a Londra fino alla fine dell’anno scolastico.-
-Ok, ma intanto vieni con me. Le vacanze durano ancora una settimana.- e così dicendo mi posò sulla mano una busta con su scritto “Montreal is here”, contenente un biglietto.
Sorrisi e lo baciai. Sarà bello tornare a casa.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1250472