Raccolta di Troni sparsi

di Ulissae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Impronte ***
Capitolo 2: *** 2. Bosco ***
Capitolo 3: *** Mantello ***
Capitolo 4: *** 4. Sudore ***
Capitolo 5: *** 5. Conchiglie ***



Capitolo 1
*** Impronte ***


1. Impronte


«One foot in sea, one on shore

My heart was never pure»

Sigh no more, Mumford & Sons





«Theon, Theon, vieni qui!» Robb stava fissando affascinato il piccolo laghetto ai piedi dell’abero-diga. Le foglie rosse, che avevano sempre spaventato così tanto Theon, giacevano pigramente sulla soglia dell’acqua lasciandosi spostare di tanto in tanto dal vento pungente che ti si infilava come una mano gelida sul collo, non importava in quanta pelliccia ti fossi avvolto.
Il ragazzino si avvicinò lentamente, lanciando solo un’occhiata svelta all’albero tanto pallido, poi si mise accucciato accanto all’amico e fissò confuso il punto che questi scrutava.
«Cosa c’è?»
«Guarda!» indicò con un dito alcune foglie che improvvisamente erano sparite, lasciando un piccolo vuoto scuro. Theon alzò un sopracciglio contraddetto e continuò a fissare confuso il punto nero.
«A…»
Prima che riuscisse a finire la parola un pesce fece spuntare la sua bocca verso l’alto e catturò un ignaro insetto che volava troppo vicino l’acqua.
Theon spalancò gli occhi meravigliato a sua volta e sorrise. Non sapeva neanche lui perché, ma dentro il cuore gli parve di sentire un battito appena un po’ più forte, rapidissimo, come la mossa di quel pesce.
Come un guizzo, una piccola e veloce creatura marina che riaffiora dalle profondità degli abissi, delle sagome di ricordi riaffiorarono nella sua mente.
 Mentre Robb continuava a fissare il punto piuttosto affascinato e timoroso, Theon si era avvicinato ancora un po’ di più alla riva, e con un piede nell’acqua si era teso in avanti. Fu un attimo, una mossa un po’ incauta del pesce, e il povero animale si ritrovò nelle mani del ragazzino, che lo alzò vittorioso e ridente.
L’amico lanciò un grido emozionato e si avvicinò all’istante, esaminando la creatura ancora viva che si dimenava e sbatteva la coda con foga.
«Guarda che strano! Come si muove…» disse, sfiorando con un dito le squame viscide ma inaspettatamente morbide.
Theon aprì la bocca per vantarsi e spiegare a Robb il perché delle branchie vicino alla testa della creatura, quando la voce tuonante di Ned Stark risuonò nel silenzio del Parco degli Dei e lo fece zittire. I bambini si girarono di scatto e Theon senza pensarci nascose il pesce dietro la schiena.
«Cosa state facendo qui?» chiese, guardandoli un po’ sospettoso. Avevano gli abiti leggermente bagnati e un viso troppo arrossato per non aver combinato nulla.
«Niente, padre…» Robb non finì la frase che il pesce cadde a terra, liberatosi, dopo un’estenuante lotta, dalla presa di Theon.
Ned guardò stupito l’animale e poi spostò la sua attenzione su di loro. «Vi siete messi a pescare nel Parco degli Dei?!» li sgridò severo.
Velocemente Theon prese il povero pesce boccheggiante e lo rimise in acqua, dove, con un movimento fluido, questi risparì nelle profondità del laghetto.
«Lord Stark volevo solo far vedere a Robb come respirava sotto l’acqua…»
Ned lo fissò un attimo, emise un sospiro e fece un cenno con la testa, facendogli capire che li aveva già perdonati, ma che non li voleva più vedere fare una cosa del genere. I due ragazzini si scambiarono uno sguardo sollevato e con un saluto veloce superarono l’uomo.
Lord Stark li guardò sparire tra gli alberi, uno con un braccio intorno alle spalle dell’altro, ridendo e scherzando.  Rimase in silenzio e si sedette ai piedi del maestoso albero.
Pregò. Si alzò e fece per andare via. Notò per un istante la mezza impronta di Theon sulla riva del lago, metà sulla terra ferma metà persa nell’acqua e una strana e inspiegabile inquietudine lo colpì.
Pensò se per gli uomini di Pyke fosse come per gli uomini del Nord: chissà come il cuore di entrambi è stato creato in un modo diverso, è stato messo dentro di esso un piccolo ricordo, di primordiale origine, impossibile da cancellare. E si domandò se il giovane Theon questo ricordo lo avrebbe mai ritrovato.
E di nuovo, quella strana inquietudine lo colpì.



Angolo autrice:
è da ottobre che mi dico di scrivere una raccolta in cui i Mumford sarebbero stati di sottofondo. Una raccolta riguardante la saga di Martin, nel nostro caso il telefilm. Il rapporto tra Theon e Robb che ho voluto esaminare è puramente di amicizia, mi ha sempre ferito e fatto soffrire dal profondo il tradimento del secondo e mentre sentivo questa canzone quella frase lassù mi ha colpito e non ho potuto non pensare a Theon.
Non ho molto da dire (: Spero vi sia piaciuta!

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Capitolo 2
*** 2. Bosco ***


2. Bosco





And I'll find strength in pain

And I will change my ways
I'll know my name as it's called again

The Cave, Mumford &Sons





Arya


Ad Arya erano sempre piaciuti i boschi: quel senso di movimento che emanavano con i loro rumori soffusi ma instancabili, i giochi di luci delle foglie, il bianco limpido della neve che si posava nelle radure. Le piaceva quando suo padre le permetteva di andare con i fratelli a cavallo, le piaceva riuscire a ottenere l’autorizzazione per sgattaiolare dalle noiosissime sedute di punto croce.
Arya chiudeva gli occhi e ascoltava, lasciava che il vento freddo le arrossisse le guance e le gelasse il naso, e si sentiva più grande, più forte. Si sentiva bene.

Arry

Arya, non sapeva neanche come, era arrivata a odiare i boschi: odiava quei rumori incessanti, che la tenevano sveglia la notte, odiava le radici che ti trascinavano giù con loro dopo ore di marcia, odiava il cantilenare del lucchetto sulla gabbia dei tre criminali, le foglie che sembravano non coprire abbastanza quando doveva trasformarsi di nuovo in donna per ovviare ai suoi bisogni.
Odiava il freddo, la fame.
Odiava stare in un bosco perché non era casa sua, perché era sola. E gli alberi alti, e i suoni sinistri, e quei ragazzini disgraziati la soffocavano, le facevano provare paura. E lei non doveva provarla.
La facevano sentire piccola e indifesa, prosciugata di ogni possibile speranza. La facevano sentire per quella che era: una minuscola e gracile bambina indifesa.

My Lady

«Sei una capra!» Arya gridò a Gendry, lanciandogli una manciata di fango. Il ragazzo si girò, e scoppiò a ridere, pulendosi senza preoccuparsi troppo i pantaloni già sudici: «Un toro, vorrai dire!»
«No, una capra! E… e dire che sei un fabbro, hai scelto tutti rami freschi, come pensi che possiamo accendere un fuoco!?»
«Bhe, allora non sono io la capra, sei tu l’incapace» ghignò il ragazzo, posandosi contro un tronco e osservandola mentre ancora armeggiava inutilmente con i rametti verdi.
«Te l’avevo detto che non dovevamo accendere il fuoco…» disse saccente mentre la ragazzina si sedette scontenta su un sasso ricoperto di muschio.
«Moriremo di freddo!» sbottò irritata, fissando un punto del bosco che si stava facendo via via più scuro, ben decisa a non rivolgergli neanche lo sguardo.
Gendry si fece una risata e aspettò che Hot Pie tornasse con qualche ghianda e noce da sgranocchiare.
Ad Arya continuava a non piacere il bosco, ma non le faceva più così tanta paura. Certo, non era come cavalcare con Robb, Jon e Bran, ma i rumori non erano più così insopportabili e se si sforzava abbastanza, di notte, riusciva a intravedere tra le fitte foglie le stelle. Sentiva contro di sé Gendry che russava, vicino a lei per riscaldarla.
E a pensarci, non faceva più così tanto freddo.





Angolo Autrice:
ecco la seconda flash ^^ sto seguendo l'ordine in cui compaiono le canzoni nel CD, quindi le storie sono tutte sconnesse tra di loro, è pura ispirazione del momento :)
Arya è un personaggio che mi ha sempre incuriosito perché è un po' quello tutti vorremmo essere, così sfrontata e sprezzante del pericolo, che non si abbassa a compromessi, sicuramente, però, molto ingenua e ancora bambina.
Per quanto riguarda l'ultimo spezzone ho immaginato la notte appena dopo l'ultima puntata della Seconda Stagione, quando i tre si ritrovano liberi per i boschi. Non penso si possa considerare spoiler ò_ò o chissà che cosa, anche perché non ricordo una ceppa XD
Insomma, spero sia piaciuta ^^ Ringrazio le due bellissime che mi hanno recensito <3 ♥♥ Smack smack ♥♥
Alla prossima (che non penso sarà veramente a breve :3)

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Capitolo 3
*** Mantello ***


[Spoiler 03X05 NON LEGGETE SE NON VOLETE SPOILER :) ]




3. Mantello





Darkness is a harsh term don't you think?

And yet it dominates the things I see  
Roll away your stone, Mumford & Sons  











Dragonstone era sempre stato un luogo oscuro, una roccia nera che il mare sembrava divertirsi a sbattere e percuotere. Blackwater Bay non aveva certo ottenuto questo nome per via delle sue acque calme e cristalline.
Stannis l’aveva accettata perché era un uomo che non lasciava mai la presa: era stata conquistata con sangue e sudore, nessun lorduncolo che aveva passato la guerra seduto nella sua tenda l'avrebbe meritata.
Anche Dragonstone, era un dovere.
Era un dovere come il suo diventare re: non un desiderio di potere, una brama di gloria, ma un soffocante e insopprimibile senso del dovere. Così doveva essere e così sarebbe stato.
«Shireen?»
Il cigolare della porta sembrava riprodurre quel brivido freddo che gli percorreva la schiena ogni qualvolta entrava nella stanza. Aveva sempre pensato che fosse un posto troppo scuro per una bambina, la luce delle candele era fievole se confrontata con quella del sole e le pareti di roccia erano ricche di quel fuoco ghiacciato, nero, così nero.
Ma Stannis non poteva farci nulla, così doveva essere e così era.
La bambina era piegata su un baule, con la testa dentro, occupata a rovistare e a cercare qualcosa. Non appena sentì la voce del padre alzò lo sguardo emozionata. Il volto le si aprì in un sorriso e anche la sua metà rovinata sembrò brillare e rilassarsi.
Stannis aveva sempre considerato il sorriso della figlia una piccola pietra preziosa, incastonata in mezzo a tante altre rocce grezze e rovinate. C’era qualcosa di sublime e così meravigliosamente innocente nel modo in cui lo accoglieva che, per degli attimi che gli sembravano interminabili, si chiedeva perfino se non fosse il caso di mandare all’aria tutto e far uscire da quella gabbia la piccola Shireen. Se non fosse giusto, una volta ogni tanto, gettare al vento di Dragonstone gli obblighi e i doveri e le necessità e sperare che queste venissero portate via, lontano.
Ma Stannis sapeva che le ceneri gettate al vento ritornano sempre indietro, generalmente infilandosi negli occhi e nella gola.
Shireen non poteva uscire dalla sua camera, non poteva uscire da Dragonstone, non ora che la vittoria sembrava solo una fiammella tremolante, una candela abbandonata nel bosco durante una tormenta.
Cosi doveva essere, e così era stato.
«Padre! Non vedevo l’ora che veniste!» la bambina si gettò tra le sue braccia e lo strinse a sé con forza, affondando la metà del viso grigiastra e malata contro il suo petto.
Stannis ricambiò la presa e si abbandonò a un sorriso.
Il lord di Dragonstone non sorrideva mai, perché vedeva questo buio intorno a sé, questa oscurità caotica e sbagliata, e si sentiva perso, un piccolo soldato che combatteva contro la follia e la stoltezza degli uomini. Come un manto pesante, lo avvertiva sulle spalle.
«Ho avuto molto da fare».
«Non importa, padre», sorrise Shireen, «io vi ho aspettato».
Stannis la guardò, studiò le piccole rughe della pelle che si formavano vicino agli occhi mentre la figlia gli sorrideva e lo portava verso il letto, pronta a mostrargli qualcosa.
E all’improvviso, gli sembrò come se quel mantello di opprimente dovere fosse caduto, e si sentì più leggero.


"It’s not the long walk home that will change this heart
But the welcome I receive with every start"

Angolo Autrice:
ci ho messo un bel po' ad aggiornare, ma... ecco, si sa che io sono un po' lenta e incapace con gli orari e con i tempi... quindi.
Sappiate che per me la scena nel telefilm mi ha ucciso. UCCISO nel profondo. Quindi appena ho sentito la canzone ho pensato al buio che è presente nella vita di Stannis, la sua incapacità nel godersi qualcosa, nell'essere felice, in opposizione a quel sorriso che ha regalato alla figlia in quella puntata. Ho pensato che forse, amare Shireen, sia l'unica cosa che non faccia per dovere e... bhe, ecco. Ecco qui la storia ^^
Vorrei ringraziare OttoNoveTre che mi ha dato una mano nella stesura e... bhe, spero vi piaccia!

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Capitolo 4
*** 4. Sudore ***


4. Sudore




Was it love or fear of the cold that led us through the night?  
For every kiss your beauty trumped my doubt  

Winter Winds, Mumford & Sons   










Jon aveva visto poche donne nude, a Winterfell. Principalmente erano le prostitute che frequentava Theon o qualche ragazza più coraggiosa che aveva deciso di farsi il bagno nelle acque calde nascoste nel castello e tutto quello che aveva fatto in quelle occasioni era stato voltarsi imbarazzato e quasi correre via, preso da una strana agitazione.
Non si era mai soffermato troppo sulle forme di una donna, ad essere sinceri. Sicuramente non nel modo in cui si stava soffermando sui seni di Ygritte in quel momento.
Notò quasi divertito che stavano all’insù in un atteggiamento che quasi gli ricordava la ragazza quando lo sbeffeggiava divertita.
Era bella, Ygritte, e in quel momento gli parve come se niente e nulla al mondo esistesse all’infuori di quelle pareti rocciose e quell’acqua calda. Pensò che probabilmente era la prima volta da mesi che non sentiva freddo. A dirla tutta gli sembrava perfino di sudare, azione che aveva iniziato a pensare che il suo corpo non fosse più capace di compiere.
Aveva quei capelli rossi disordinati e dannatamente affascinanti che si avvicinavano sempre di più, e notava che le sue labbra si muovevano, ma non l’ascoltava.
La ragazza baciata dal fuoco.
Ygritte era fuoco. Fuoco vivo, sprezzante, libero, irrefrenabile. Fuoco che sembrava capace di bruciare tutto. Stare con lei era come fissare delle fiamme: arrivava un punto oltre il quale non si riusciva più a fare altro, un richiamo irresistibile lo teneva attaccato a lei, incapace di scostare lo sguardo, affascinato dalla potenza e dalla grazia dei suoi movimenti.
Fu un attimo e si ritrovò avvolto in quella chioma infuocata, le labbra che non proferivano più parola, ma quasi aggredivano bisognose le sue.

Jon la fissava mentre riposava, le ciglia lunghe che sfioravano appena il volto, con le lentiggini che ammorbidivano i suoi lineamenti, facendo emergere una bambina che lui pensava non potesse esistere sotto quel guscio di forza e sfrontatezza.
“Rimaniamo qui”, gli aveva detto. “Come i piccoli uomini delle leggende, inondiamo queste caverne di piccoli bambini dal sorriso mezzo sdentato e i capelli rossi”.
Mentre si alzava e cercava i suoi vestiti, il ragazzo venne percorso da un brivido: il corpo da caldo ed affaticato si era pian piano raffreddato fino a sentire nuovamente il gelo dell’ambiente.
Storse il naso nell’avvertire nuovamente quella sensazione di fastidio pungente e sospirò affranto. Forse avrebbe potuto veramente abbandonare tutto, seguire i capelli rossi di Ygritte in quelle grotte fino a perdersi. Sudare con lei sotto le pellicce, avvertendo il calore delle sorgenti calde.
Abbassò un attimo gli occhi e avvertì lo sguardo vispo di lei, fu un istante e riuscì a percepire la tentazione di prenderla e trascinarla in quei cunicoli segreti. Un battito di ciglia, il tempo di un brivido lungo la schiena, del sudore che si gela, e quella voglia sembrò sparire.
E con essa a Jon parve udire l’eco di una risata che si dissolveva.

"The flesh that lived and loved will be eaten by plague
So let the memories be good for those who stay"


Angolo Autrice:
sono passati secoli dall'ultimo aggiornamento, ma esami e viaggi vari hanno avuto la meglio sulla mia già scarsa puntualità. Ho avuto un po' di problemi a scrivere questa breve flash, nonostante l'abbinamento tra la coppia Jon/Ygritte e la canzone sia stata immediato; i problemi sono dovuti principalmente al fatto che la scena è già stata narrata da Martin e mi sentivo come se mi stessi infilando addosso vestiti vecchi, con l'odore del vecchio propietario e le sue forme già tutte sistemate. Sicuramente non sarà la flash migliore della raccolta, ma ho fatto del mio meglio nel riportare le sensazioni di Jon e i suoi pensieri. Spero che voi lettori la riuscirete ad apprezzare e che vi piaccia.
Spero, inoltre, di riuscire a sfruttare questo settembre di pace per scrivere un bel po' e riuscire a completare almeno il primo album dei Mumford <3

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Capitolo 5
*** 5. Conchiglie ***


5. Conchiglie

You did not think when you sent me to the brink, the brink  
You desired my attention but denied my affections, my affections  

     White Blank Page  
Mumford & Sons  






«Lasciami».
A Jaime sembrava sempre lo stesso teatrino che si ripeteva volta dopo volta: gli occhi di Cersei che lo guardavano con desidero, le sue mani che lo spingevano via, lo schiaffo di circostanza e il suo abbandonarsi tra le sue braccia, le dita di lei che cercavano le sue e le conducevano sul collo.
Nelle lunghe ore passate in piedi a guardare il vuoto, ritto davanti alla porta del Re senza un vero scopo, Jaime aveva tempo per pensare, per rimpiangere e per arrabbiarsi. Lì, immobile, con la mascella serrata e le mani strette sull’elsa della spada, finiva sempre per domandarsi se non avesse effettivamente sbagliato tutto dall’alba dei tempi. Se le sue decisioni, così cavalleresche e gagliarde, non fossero una serie di errori uno dietro l’altro.
Le risate sguaiate di Robert dietro la porta di legno pesante, le sue lamentele da vecchio ubriacone, gli insulti alla sua famiglia, la voglia di ricordare tempi passati che solo agli occhi di un idiota come lui potevano ancora rimanere come memorie degne di nostalgia.
Jaime aveva la nausea di tutto ciò. La notizia che Tyrion era stato catturato gli procurò una strana – sbagliata? – scarica di piacere: finalmente i complotti e i sussurri potevano trasformarsi in battaglie e azioni. Aveva voglia di sporcare quel mantello bianco che gli pesava addosso come un macigno, renderlo lordo di sangue e cervella, un rosso scarlatto degno di un Lannister; spaccare il mondo e fracassarlo e mettere finalmente a tacere quel verme di insicurezza che lo stava macerando da dentro.
«Il re è morto».
Il padre non aveva alzato gli occhi dalle lettere che stava scrivendo, riportava la notizia come se si trattasse di un’osservazione sulle condizioni metereologiche di una giornata qualsiasi.  Fece una pausa, una di quelle pause spaventevoli, come un lungo sospiro di vento che sta per preannunciare una tempesta.
«E siamo ufficialmente in guerra con il Nord».

Pur essendo un cavaliere, Jaime ne aveva avuto di tempo libero per pensare: ora che si trovava in una gabbia a cielo aperto, legato e dolorante, poteva ammettere candidamente di avere tutto il tempo del mondo per pensare.
Sarebbe sopravvissuto, questo non lo dubitava.  Non riusciva neanche a concepire una soluzione diversa da quella. Ora che il castello di carte costruito in anni di pace era finalmente crollato lui poteva prendere in mano la situazione.
L’avrebbe sposata. Avrebbe finalmente potuto riconoscere i suoi figli. Strappar loro di dosso quel cognome infame di quel porco ubriacone.
Non aveva niente da perdere e tutto da guadagnare. Aveva una vita da riprendersi indietro, un’esistenza che pensava di non potere mai più ottenere.

L’aveva sognata così a lungo. L’aveva desiderata così a lungo, ogni parte del suo corpo sembrava provare il doppio del dolore al pensiero di Cersei, quasi capisse che l’unica soluzione per tornare a stare meglio fosse quella di riunirsi con la donna che la natura stessa gli aveva consegnato come compagna fin dal ventre della propria madre.
Non la ricordava così bella, con i capelli che le cadevano di lato, le mani che accarezzavano una conchiglia – una di quelle che avevano raccolto a Lannisport la prima volta che erano andati lì con la madre? -  le braccia snelle che lo invitavano a farsi stringere.
O forse lui era semplicemente più brutto e più sporco, gli occhi gonfi e le palpebre pesanti, tanto da riuscire a guadagnare un sorriso di pietà da Brienne.
«Cersei…»
Non voleva che la voce gli uscisse così bassa, non voleva rimanere così fermo, come un mendicante vergognoso di richiedere delle attenzioni. Forse di richiederle indietro, di riavere qualcosa che per anni aveva ceduto senza se e senza ma e di cui ora aveva incredibilmente bisogno.
Non ricordava i suoi occhi così freddi, non ricordava le labbra così tese, spaventate, disgustate. Abbassò lo sguardò e gli parve di notare la punta di un mantello: non bianco, non rosso scarlatto, ma lercio. Sporco e basta. Di uno sporco che sembrava avergli tolto il respiro.


But tell me now, where was my fault
In loving you with my whole heart



Angolo Autrice:
di questa fanfiction sono molto più soddisfatta della precedente. Trovo il personaggio di Jaime, e in particolar modo la sua crescita, uno tra i più affascinanti e interessanti della saga. Non riesco a odiarlo nonostante l'orrendo gesto all'inizio della saga, e sono stata felice di scrivere questa breve flash. Spero che piaccia a voi tanto quanto è piaciuto a me scriverla.
Alla prossima, miei cari lettori - se ci siete :P



 

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