I need a Hero di CowgirlSara (/viewuser.php?uid=535)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
INaH - 1
Bene, prima o poi dovevo decidermi a farlo: questa storia doveva uscire dal mio pc.
È la prima che scrivo in questo fandom e mi stupisco
di aver cominciato con una long, ma tant’è. Mi sono
infilata in territori che frequento poco e spero che la seconda parte
non risulti un po’ troppo surreale anche per chi segue supereroi;
quanto alla prima parte, ero nel mio campo, ma non so cosa ne sia
uscito, ho avuto dubbi su tutto per un sacco di tempo. Nel caso, spero
sarete magnanimi nel perdonarmi un tantino di marysueismo, può
capitare a chiunque, anche a chi lo rifugge da sempre.
Infine – nota che potrebbe essere inutile, ma non la
ritengo tale – questa è una storia molto musicale, che ha
pesantemente risentito delle canzoni che ho ascoltato scrivendola. Mi
farebbe piacere se qualcuna incuriosisse anche voi.
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono
proprietà degli aventi diritto (non fatemeli citare tutti, vi
prego); questa storia è stata scritta senza alcun scopo di
lucro.
La canzone che introduce il capitolo è quella che da
il titolo alla storia: “I need a Hero” di Bonnie Tyler,
dalla colonna sonora di “Footloose” (quello vecchio, che io
c’ho un’età).
Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
Sara
Capitolo 1
Up where the mountains meet the heavens above
Out where the lightning splits the sea
I could swear that there's someone somewhere
Watching me
“Se ritieni ancora che sia la cosa giusta da fare,
penso di avere la persona perfetta.” Dichiarò Pepper,
mentre sistemava alcune carte sulla scrivania.
“Certo che lo è!” Esclamò Tony,
immerso nella proiezione di almeno quaranta schermi diversi.
“Quel ragazzo è incapace di affrontare questo secolo senza
aiuto, almeno quanto è capace di sconfiggere da solo
un’orda di alieni!”
“Bene, allora trovi i dati sullo schermo trentadue.” Riferì la donna.
Stark acchiappò con la punta delle dita la proiezione
dello schermo trentadue e lo trascinò all’altezza dei suoi
occhi con un gesto simile ad un dritto di tennis, poi lo
ingrandì.
“Euridice Spitz…” Lesse attento, quindi si
grattò il pizzetto scolpito. “Che razza di
nome…”
“Tutti la chiamano Dixi.” Riferì la Potts.
“Ecco! Dixi Spitz, mi piace!” Esclamò
allegro l’uomo, battendo le mani. “Sembra il nome di una
pornostar, è divertente! Parlami un po’ di lei.”
“Laureata ad Harvard, ottimo quoziente intellettivo,
lavora con noi dal 2007, brillante programmatrice, acuta osservatrice,
poco appariscente, sensibile, carattere aperto, ama la musica, i
fumetti e conosce quattro lingue…” Elencò la donna.
“Non so se ricordi, ma si tratta della ragazza per cui i tuoi
avvocati hanno fatto un accordo col procuratore federale Palmer.”
“Ah, sì!” Esclamò Tony.
“È stato un ottimo intrattenimento, leggere quei
verbali.” Aggiunse. “E per quanto riguarda le
abilità più… diciamo, di sopravvivenza?”
S’informò poi Stark.
“Mai tenuta in mano un’arma.” Riferì
Pepper. “Se escludiamo la mazza da softball con la quale ha
picchiato il vice allenatore del liceo che molestava una sua
compagna.”
Tony la guardò sorpreso, poi fece un sorriso storto.
“Questa ragazza già mi piace… Spero lo abbia
spedito nel coro delle voci bianche.”
“Non sono informata su questo particolare.” Ammise lei.
“Oh, Miss Potts, lei mi delude…”
“Sono spiacente, Mister Stark.”
Si scambiarono uno sguardo complice e malizioso, poi Pepper
gli si avvicinò e gli circondò le spalle con le braccia,
appoggiando il mento sulla sua spalla. Si sorrisero.
“Allora, cosa ne pensi?” Domandò la donna, accennando allo schermo.
“Hm, avrebbe bisogno di un parrucchiere e, forse, delle
lenti a contatto…” Affermò lui, osservando lo
schermo. “…e magari un push up…”
“Tony!” Lo rimproverò scherzosamente Pepper.
“Non è nemmeno brutta brutta…” Lei
gli diede una spinta. “Penso che vada bene, ci si può
fidare?”
“Non te l’avrei proposta, altrimenti.” Rispose lei, prima di baciargli la guancia.
La ragazza si tormentò di nuovo le mani, mentre sedeva
impacciata su quella poltrona di pelle nell’atrio tutto marmi e
cristalli dell’ufficio di Tony Stark.
Era la prima volta che la convocavano ai piani alti, lei che
di solito era relegata nel suo ufficio angusto, ad un modesto
trentesimo piano da dove non si vedeva nemmeno il cielo.
Quando, due anni prima, era arrivata all’Ufficio
Incarichi Speciali, aveva giustamente pensato che avrebbe avuto un
incarico speciale, non soltanto un avanzatissimo pc da dove risolvere
misteriosi bug in altrettanto misteriosi software. Per carità,
le piaceva il suo lavoro, non era fatta per mestieri come fare la
cameriera o la barista, tanto imbranata con le cose pratiche quanto era
abile col computer. Adesso, invece, la signorina Potts – braccio
destro/compagna/amministratore delegato di Tony Stark – le aveva
proposto un incarico davvero speciale. Ancora non sapeva di cosa si
trattasse, ma era abbastanza nervosa.
Era necessario che incontrasse il gran capo in persona. Lei
lo aveva visto solo in televisione. Aveva tutta l’apparenza di un
tipo dall’ego strabordante che si divertiva ad infilarsi dentro
un’ipertecnologica armatura e salvare il mondo.
Beh, in effetti, sembrava proprio che lo avesse fatto
più di una volta. Solo qualche mese prima un’invasione di
mostruosi alieni era stata fermata da un fantomatico gruppo di super
eroi, lasciando la città devastata. Ora c’erano lavori in
corso praticamente ovunque e lei doveva fare lo slalom tra buche e
cantieri per arrivare ogni giorno al lavoro.
Chissà cosa l’aspettava adesso… Si strinse di più nel maxi cardigan nero e attese la chiamata.
Pochi istanti dopo la testa biondo fragola di Pepper Potts
apparve tra le ante di legno lucido alla sua destra. Le sorrise
gentile, mentre lei si alzava.
“Ora puoi entrare, Dixi.” Le disse la donna.
“Grazie.” Fece lei e si diresse verso la porta.
L’ufficio di Stark era il più bello che Dixi
avesse mai visto. A parte le immense vetrate da cui si poteva godere
della vista dell’intera baia fino al New Jersey, tutto
l’arredamento era modernissimo eppure elegante, con oggetti
particolari che rispecchiavano sicuramente la personalità
eclettica del proprietario delle Stark Industries.
“Oh, Dixi Spitz!” La accolse entusiasta
l’uomo dietro la scrivania, osservandola con due brillanti occhi
scuri. “Finalmente la conosco, la Signorina Potts mi ha parlato
moltissimo di lei.”
“Ah, davvero?” Mormorò lei un po’ intimidita, con un sorriso tirato.
Pepper le sorrise. “Tranquilla, cara.” Le disse rassicurante. “Siediti.” La invitò poi.
La ragazza sorrise, ancora un po’ rigida, sedendosi sul
bordo della poltroncina. I sorrisi della Potts e di Stark erano
gentili, ma era comunque davanti al suo capo, non riusciva a rilassarsi
del tutto.
“Allora, Dixi, ti senti pronta per il tuo primo incarico speciale?” Le chiese Tony.
“Beh… non ho ben capito di cosa si
tratta…” Ammise titubante la ragazza, spostando lo sguardo
tra l’uomo davanti a se e la donna al suo fianco.
“Hai presente un life coach?” Fece Stark.
“Ehm, sì… ne avrei bisogno…” Rispose lei con un sorriso nervoso.
Tony guardò scoraggiato Pepper. “Non è la risposta che mi aspettavo…” Biascicò deluso.
“Non mi state chiedendo di insegnare a vivere a qualcuno, vero?” Domandò preoccupata Dixi.
“Oh, no, cara!” Soggiunse immediata la bionda, prendendole la mano.
“Vogliamo solo che insegni a qualcuno come funziona questo secolo.” Precisò Tony.
“Come: questo secolo?!” Esclamò incredula
la ragazza. “Perché, dov’è stato finora? Cosa
gli è successo? È stato in coma?”
S’informò con febbrile curiosità.
“Una cosa del genere…” Spiegò vaga Pepper.
“È stato, diciamo… in freezer…” Aggiunse Stark con un sorriso beffardo.
“Cosa?!”
“Ibernato.” Affermò la donna.
“Sotto ghiaccio per un po’ di tempo, tutto qui.” Disse lui a mani aperte.
“Andiamo, mi prendete in giro?!” Sbottò
Dixi offesa. “Non sono una stupida! Nessuno potrebbe uscirne
vivo!”
“Senza entrare in particolari, è un tipo piuttosto resistente.” Dichiarò Tony.
“E quanto ci sarebbe rimasto, sotto ghiaccio?” S’informò lei.
“Beh…” Soffiò la bionda, guardando altrove.
“Più o meno settant’anni.” Rispose l’uomo.
“Ok, mi state prendendo in giro.” Sostenne Dixi.
“È una specie di prova, per vedere quanto ci metto a
capire che è uno scherzo… Non so il motivo, ma mi state
esaminando…”
“Non è uno scherzo, Dixi.” Le disse seria Pepper.
“Il mio amico è stato veramente ibernato per
settant’anni ed ora ha bisogno di qualcuno che gli spieghi come
vanno le cose nel ventunesimo secolo.” Aggiunse Tony.
Lei li osservò guardinga per qualche minuto, spostando gli occhi da uno all’altra, ancora dubbiosa.
“Bene, ammettiamo anche che sia vero.”
Affermò poi. “Ma questo tizio, ormai, sarà
decrepito…”
“Ti assicuro che si è conservato piuttosto bene…” Sostenne convinta la bionda con sguardo compiaciuto.
“Signorina Potts!” La rimproverò Stark,
lei si strinse nelle spalle con un sorriso incurante. “Dixi
Spitz…” Riprese poi l’uomo, rivolgendosi
all’altra donna. “…ti assicuro che, se accetterai la
mia proposta, ci saranno enormi vantaggi per te.”
“Sentiamo un po’ di cosa si tratta.” Fece
lei, più collaborativa. Gli altri due si scambiarono uno sguardo
significativo.
Nei giorni successivi, dopo l’accettazione
dell’accordo, Dixi ebbe un avanzamento di carriera con relativo
aumento di stipendio, il trasferimento in un nuovo, luminoso
appartamento con vista sul parco e perfino una macchina. L’unica
cosa che mancava era l’uomo dei ghiacci.
Una mattina, però, le arrivò un messaggio sul
fiammante Blackberry d’ordinanza – che lei riteneva
indubbiamente tracciato dalle industrie Stark.
«Clark Building,
piano interrato, 416 della 32° - riconoscimento all’entrata
– Capitano Steve Rogers» questo era il testo.
E lei sapeva che si trattava praticamente di un ordine. Prese
le chiavi della macchina, sapendo che non avrebbero accettato che
evitasse il traffico usando la metropolitana.
Il Clark Building era un edificio come tanti, nel centro di
New York. Quando Dixi entrò si trovò davanti un anonimo
atrio con un semplice e spoglio bancone, dietro il quale c’era
una donna in uniforme nera. La ragazza si avvicinò.
“Salve.” Salutò, attirando
l’attenzione della guardia. “Cerco il Capitano Rogers, mi
manda il Signor Stark.” Le disse quindi.
“Il suo cartellino di riconoscimento?” Replicò immediata l’altra donna.
Dixi le passò il proprio badge e quella lo introdusse
in un lettore, poi aspettò che i dati comparissero sul suo
schermo, mentre uno scanner di riconoscimento facciale analizzava i
tratti della ragazza.
Santo cielo, ma dove siamo, all’Area 51… pensò Dixi infastidita.
“Devo lasciarle anche l’esame della retina?” Scherzò sarcastica, la guardia la guardò malissimo.
“Può andare.” Le disse fredda,
restituendole il tesserino. “Tenga il badge in vista, il piano
è il B3.” Aggiunse, indicandole l’ascensore.
Dixi lo prese, premette il tasto per il terzo piano interrato
e, quando le porte si aprirono, si ritrovò in uno stanzone
grigio, attrezzato in modo simile ad una palestra. E lei odiava le
palestre.
S’incamminò lungo il grande spazio deserto,
osservando i vari attrezzi che le ricordavano una sala di tortura; ad
un certo punto si fermò, notando un qualcosa che doveva essere
stato un vogatore, ma che adesso giaceva praticamente smontato sul
pavimento. Alzò le sopracciglia, stupita.
Un rumore la distrasse dalla contemplazione. Si voltò
e vide, dietro una parete formata da sostegni per i pesi, un piccolo
ring, sul quale un uomo fendeva l’aria con i pugni. Aggirò
la rastrelliera ed ebbe una visuale migliore.
Lui indossava i pantaloni di una tuta ed una canottiera
bianca. Il suo corpo era quanto di più vicino alla perfezione
Dixi avesse mai visto: due spalle larghe e scolpite scendevano verso
una vita sottile e poi in due gambe chilometriche. I glutei marmorei
riempivano perfettamente il tessuto aderente della tuta. La ragazza non
poté trattenere la sua bocca dall’aprirsi incredula.
E questo sarebbe Capitan Sotto
Zero? Santo cielo, tesoro, ti sei conservato meglio di un trancio di
merluzzo! Tutto questo ben di Dio sprecato sotto i ghiacci della
Groenlandia?! Che il Signore benedica le attrezzature moderne!
Questi furono i veloci pensieri di Dixi, prima che il panico
di dover dividere l’appartamento con lui prendesse il sopravvento.
Si avvicinò timorosa al ring. Lui sembrava talmente
concentrato che non se ne accorse. Dixi poté osservarlo di
soppiatto ancora un po’.
Lei non si poteva certo considerare un’esperta in fatto
di uomini. Sì, aveva avuto un paio di storie importanti, ma poco
più. E nessuno dei suoi grandi amori si poteva considerare un
adone. Che gli raccontava lei, a uno così? Si ricordò dei
bellocci sportivi del liceo, che la chiamavano Bastoncella, o Stecco, o
Stampella e la deridevano per gli occhiali e l’apparecchio…
Dio, fa che non sia uno stronzo, ti prego… supplicò, prima di fermarsi a qualche metro dal ring.
“Capitano Rogers?” Chiamò interrogativa.
L’uomo si fermò e si voltò, ansimante e
sudato. Aveva un bel viso da bravo ragazzo americano, grandi gentili
occhi blu circondati da lunghe ciglia. I capelli biondo scuro erano un
po’ scompigliati.
“Sì.” Fece, con la voce appesantita dal
respiro veloce. “La Signorina…” Sembrò
riflettere per un secondo. “…Spitz?”
“Sì.” Annuì lei.
Lui la osservò per un istante, forse incuriosito dai
jeans skinny neri infilati in un paio di anfibi pieni di borchie, o
dalla maglietta col Tricorder di Star Trek e la scritta «Ricerco
vita intelligente». Lei si sentì imbarazzata e
abbassò gli occhi.
Rogers, a quel punto, afferrò una delle corde del ring
e, con un balzo elegante, volò con agilità direttamente
sul pavimento sottostante, come avesse saltato non più di un
paio di gradini. Sconvolta dal gesto atletico, Dixi spalancò gli
occhi.
“Piacere di conoscerla.” Fece lui, porgendole la mano.
“Piacere mio.” Replicò lei,
stringendogliela. “Lo fa spesso?” Aggiunse, indicando il
ring, lui la fissò interrogativo. “Il salto, dico.”
Il capitano si strinse nelle spalle. “È un salto basso.”
“Sì, basso…” Dixi guardava i quasi
due metri, perplessa. “Io mi sarei frantumata le rotule, ma
è basso, sì…”
“Deduco che il Signor Stark non le abbia parlato delle mie caratteristiche.” Affermò l’uomo.
“Ehm… no.” Ammise lei.
“Quindi sarà un argomento di conversazione…” Mormorò rammaricato.
“Come vuole.” Lo stupì lei, stringendosi nelle spalle. “Se non vuole parlarne, non lo faremo.”
La osservò per un attimo. La ragazza era abbastanza
alta, ma piuttosto magra; i capelli, di un castano smorto, erano
raccolti in una coda arruffata. Doveva avere dei begli occhi, di un
nocciola dorato, ma erano nascosti dietro un paio di grandi occhiali
squadrati dalla grossa montatura nera. La pelle era chiara, con leggere
lentiggini. Forse aveva più anni di quelli che dimostrava.
C’era una strana malinconia nel suo sguardo e questo
gl’ispirò fiducia.
“Senta…” Riprese Rogers. “…se
non le dispiace, vado a farmi una doccia, poi potremo parlare.”
“Prego, vada pure.” Lo invitò lei, con un bel sorriso. “Io l’aspetto qui.”
Meno di un’ora dopo erano seduti ad un tavolino
all’aperto, davanti ad un trancio di pizza. E non sapevano cosa
dirsi.
Lui sembrava… timido, e si limitava a mangiucchiare la
sua pizza distrattamente. Lei avrebbe preferito essere sepolta viva,
piuttosto che avere addosso gli sguardi degli altri clienti del locale.
“Sembra che non riusciamo a rompere il ghiaccio, eh
Capitano?” Fece ad un certo punto Dixi, stanca di quel silenzio
fastidioso.
“Per due che dovranno vivere insieme è un po’ strano, vero?” Replicò lui con un breve sorriso.
“Pare che non abbiamo molto in comune…” Ipotizzò lei, prima di bere un sorso di coca.
“Non ci conosciamo per niente, è presto per
dirlo.” Affermò Rogers, sorprendendola. Il suo tono era
ottimista e le piaceva la sua voce, era mite, dolce.
“Perché lo dice?” Chiese quindi l’uomo.
“Beh…” Rispose lei, dopo essersi pulita la
bocca. “…stiamo su due lati diversi della
figaggine.” Il capitano la fissò interrogativo. “Lei
è un figo e io una sfigata.” Spiegò Dixi,
scrollando le spalle.
Rogers abbassò gli occhi con una smorfia amara.
“Non sono sempre stato così.” Affermò poi.
“E lei non mi sembra tanto sfigata. Mi creda, so bene cosa
significa esserlo.”
Dixi lo fissò sospettosa. Santo cielo, era bello! E
atletico! E c’erano almeno cinque ragazze distribuite su due
tavolini diversi che la guardavano con odio solo per essere seduta con
lui! Che discorso era quello?
“Va bene, allora, conosciamoci meglio.”
Affermò infine, dopo un lungo respiro. “E smettiamola con
le formalità, è assurdo se dobbiamo convivere.”
Lui sorrise, visibilmente più rilassato. “Molto
bene.” Annuì, poi le porse di nuovo la mano. “Io
sono Steve.” Si presentò.
Lei gli strinse la mano e sorrise a sua volta. “E io sono Dixi.” Gli disse.
“Dixi?” Fece Steve, tornando seduto
compostamente. “Ma sul tuo tesserino c’era una E
puntata…”
“Oh, beh…” Mormorò la ragazza,
tormentandosi un buco nei jeans. “…in realtà il mio
nome di battesimo è un imbarazzante Euridice…”
“Imbarazzante perché?” Replicò lui con tono sincero. “È un bel nome, particolare.”
“Sei il primo che lo dice.” Commentò la
ragazza. “Nessuno ha mai pensato che fosse carino avere il nome
di una tizia rimasta intrappolata nell’Ade…”
“Non m’interessa.” Negò Steve. “Euridice è più bello di Dixi.”
“Devo dedurre che mi chiamerai Euridice, quindi…” Sostenne lei con tono lugubre.
“Sì.” Annuì l’uomo, prima di addentare nuovamente la sua pizza.
“Quando pensi di trasferirti?” Gli domandò allora la ragazza.
“Non ho molta roba.” Affermò lui. “Quando fa più comodo a te, Euridice…”
Dixi alzò gli occhi con divertito rimprovero quando
lui sottolineò divertito il suo nome; il capitano rise piano.
Aveva un bel sorriso.
“Quanto sei spiritoso, Stevie…” Lo prese
in giro lei. “Ad ogni modo, sono venuta in macchina, puoi
caricare le tue cose e trasferirti stasera stessa.”
Dixi stava finendo di preparare la cena, mentre Steve era
appollaiato su uno degli sgabelli di cucina con Zephyr acciambellata in
grembo.
Quella traditrice di una gatta! Era altezzosa e scostante con
qualunque umano le si avvicinasse, compresa la sua padrona e
dispensatrice di cibo, ed ora arrivava Capitan Ghiacciolo con i suoi
occhioni blu e in meno di un secondo scoccava l’amore
incondizionato!
La ragazza osservò per un attimo l’uomo che
carezzava con dita gentili il morbido pelo argentato del gatto e
pensò che, con la sua camicia a quadretti e i capelli pettinati
con la riga di lato, era così adorabilmente fuori moda da
sembrare uscito da un film di Lubitsch.(1)
Lui alzò improvvisamente i suoi sinceri occhi azzurri
su di lei e le sorrise con dolcezza. Dixi poté solo rispondere
allo stesso modo.
“Non avevi detto che la tua gatta era sociopatica e
lunatica?” Le chiese, mentre delle chiaramente avvertibili fusa
riempivano la stanza.
“Lo è.” Rispose scoraggiata. “Ma
evidentemente avevo sottovalutato la sua mancanza di feromoni
maschili.” Aggiunse sarcastica. Ridacchiarono.
“Potevo aiutarti, con la cena.” Affermò Steve, accennando alle stoviglie.
“Cominceremo da domani a spartirci i compiti.” Decretò Dixi, mentre cominciava ad apparecchiare.
“Non è la prima volta che convivi con
qualcuno.” La ragazza lo guardò, non era una domanda ma
una costatazione.
“Già.” Ammise quindi.
“All’università avevo un coinquilino, adorabile
ragazzo gay.” Raccontò poi. “Ed ho vissuto un paio
d’anni col mio fidanzato, Julian.”
“Ah…” Fece Steve, con un tono strano, deviando gli occhi. “E lui dov’è ora?”
“Fidanzato con un’altra.” Rispose Dixi senza amarezza.
“Mi dispiace.” Mormorò lui e sembrava veramente rammaricato. “Spero tu non abbia sofferto.”
“Non più di tanto.” Disse lei, scrollando
le spalle. “Non eravamo tutta questa perfezione, come
coppia.” Aggiunse, mentre mescolava l’insalata. “E
tu, ce l’hai una ragazza?”
Steve la guardò stupito. “Non credi che, nel caso, sarei con lei?”
“Oh, sì, che scema… scusa!”
Esclamò Dixi, ma poi vide sul viso dell’uomo
un’espressione triste e remota e capì di aver toccato un
tasto infelice. “Lasciamo stare, dai!” Fece allora,
cambiando argomento con tono allegro. “C’è una cosa
che voglio chiederti da stamattina.”
“Dimmi.” La incitò lui.
“Cosa è successo a quel vogatore, nella palestra? Era tutto smontato…” Domandò la ragazza.
“Oh…” Esalò Steve, grattandosi
imbarazzato la nuca. “Alla seconda vogata è andato in
pezzi, credo che fosse assemblato male…”
“Sì, oppure sei Capitan America!”
Commentò divertita Dixi, prima di girarsi verso il lavello a
prendere i bicchieri.
Il silenzio pesante che avvolse la stanza fu l’unica
replica che giunse da Rogers. Qualcosa fece realizzare a Dixi di aver
appena affermato una verità pensando di dire una cazzata. Si
girò verso di lui e lo vide fare un sorrisino tirato.
“Tu non sei Capitan America, vero?” Gli chiese titubante.
“Sì.” Rispose impacciato lui.
“Quello con la tutina a stelle e strisce e lo scudo invincibile…”
“Lui…”
“Cioè, te ne vai in giro a combattere i cattivi con addosso una calzamaglia patriottica?”
“Detto così, sembra un tantino ridicolo…”
“Anche se l’idea di te con addosso qualcosa di
aderente come una calzamaglia, potrebbe turbarmi molte notti a
venire…” Rifletté lei senza ascoltarlo, occhi al
cielo e indice sul mento.
“Guarda che i miei poteri sono una cosa molto seria per
me.” Dichiarò severo Steve, riportando l’attenzione
di Dixi su di se. “È un dovere che mi sono preso, una
responsabilità.”
La ragazza lo fissò, colpita. “Sembra proprio
che sia così.” Mormorò, rendendosi conto che lui
non scherzava davvero. “Scusami, se ti ho offeso.”
“No… insomma, non ti preoccupare.”
Replicò il capitano. “Il costume è solo una parte,
la più appariscente, ma non è quello che conta,
ciò che importa davvero è quello che faccio quando ce
l’ho addosso.” Precisò quindi.
“Ho sentito che hai salvato un sacco di gente, durante
l’attacco.” Gli disse, con un sorriso comprensivo.
“Quindi è ok, anche se somigli un po’ ad un
ballerino col sospensorio…”
“Un che?!” Esclamò sconvolto Steve.
“Mangia il pollo, Capitano, ti fa bene ai muscoli.” Soggiunse Dixi, spingendo il vassoio verso di lui.
Il mattino dopo, Steve si svegliò a causa della luce
che attraversava le tende chiare della sua camera. Doveva ammettere che
il letto era molto più confortevole di quello che aveva nel
bunker e vedere il sole di prima mattina lo metteva di buon umore.
Si alzò ed andò a scostare le tende. Una bella
giornata di primavera lo accolse, mentre osservava con un sorriso il
cielo azzurro sopra Central Park.
All’improvviso una musica lo distrasse dalla
contemplazione del panorama. Si voltò verso la porta, attraverso
la quale filtrava la melodia. Non era esattamente una delle cose che
era abituato a sentire un tempo, niente che uscisse da una radio degli
anni quaranta poteva essere così violento.
Incuriosito, lasciò la camera da letto. La musica si
fece subito più forte, ma lui dovette fermarsi, perché si
ritrovò Zephyr tra le gambe, che si strusciava miagolando.
“Andiamo dalla tua padrona.” Le disse, prendendola in braccio.
Trovarono Dixi che, in mezzo alla cucina, cantava il testo della canzone con una banana in mano.
“The walls start
shaking, earth was quaking, my mind was aching, we were making
it… And you shook me all night long! Yeah, you shook me all
night loooong!”(2)
“Buongiorno.” Salutò divertito Steve.
“Oddio!” Esclamò lei sussultando, poi si girò e abbassò la banana.
Si squadrarono per un attimo. Lei aveva addosso una maglia un
po’ lunga, ma che lasciava comunque scoperte abbondantemente le
gambe, mentre lui indossava nient’altro che un paio di boxer e un
gatto. Entrambi arrossirono e si voltarono nelle direzioni opposte.
“Metto i pantaloni!” Si ordinò Dixi, filando in camera propria.
“Prendo una maglia!” Dichiarò Steve, lasciando andare il gatto.
Pochi minuti dopo, quando tutti e due avevano recuperato la
propria dignità, il caffè era pronto e gli AC/DC erano
stati sostituiti da un pezzo meno duro, loro erano di nuovo seduti in
cucina come la sera prima.
Tutto era di nuovo tranquillo, si disse la ragazza. Anche se lo scolo dei suoi addominali mi tormenterà anche dopo la morte… pensò poi. Smettila di ragionare come una stupida fangirl! Si rimproverò, dandosi un pugno in testa.
Steve la guardò stranito, da sopra il bordo della sua tazza.
“Scusa, era per tutto un ragionamento con me stessa che preferirei non riferire…” Spiegò vaga lei.
“Tranquilla.” Le concesse il capitano. “Tu, adesso, vai al lavoro?” Le chiese poi.
“Sì.” Rispose la ragazza annuendo. “Tu hai qualche programma?”
“Hm…” Steve fece una smorfia.
“Sembra che attualmente non ci siano minacce aliene, folli
dittatori che vogliono assoggettare il mondo, né fanciulle in
pericolo, quindi posso considerarmi disoccupato.” Affermò
lui stringendosi nelle spalle.
“Hey!” Sbottò Dixi divertita. “Sei più autoironico di quello che pensavo!”
“Qualcuno mi ha fatto notare che mi prendo troppo sul serio.” Commentò lui; risero piano.
“Che ne dici di pranzare insieme, allora?”
Propose quindi la ragazza. “Mi passi a prendere verso l’una
alla Stark Tower e andiamo a mangiare al parco.”
“Mi sembra una buona idea.” Approvò l’uomo con un sorriso.
“Bene.” Annuì Dixi. “Te la cavi con
la metropolitana?” S’informò poi, presa da
un’improvvisa preoccupazione riguardo alle sue capacità di
sopravvivenza nella metropoli.
“È una delle poche cose rimaste simili ai miei
tempi.” La rassicurò Steve. “Penso di farcela.”
“Anche perché sarebbe imbarazzante per un
supereroe perdersi nella metro…” Ipotizzò ironica
la ragazza; lui la guardò con divertito rimprovero e lei rise.
Quando Steve si muoveva per la città, restava ancora sorpreso da quanto il mondo fosse cambiato.
Le cabine del telefono, ad esempio: esistevano ancora?
Insomma, sembrava che la gente vivesse in simbiosi con quegli aggeggi
portatili appoggiati all’orecchio, oppure in mano a scorrere gli
schermi con le dita, sempre con gli occhi fissi su qualcosa che
sembrava più interessante della vita vera.
Ne avevano dato uno anche a lui, Tony gli aveva detto che non
poteva vivere senza. Ancora non aveva neanche capito come fare una
telefonata. Sapeva che avrebbe dovuto chiederlo a Dixi, che gli sarebbe
bastata una breve spiegazione per capire, ma gli sarebbe piaciuto molto
di più farlo da solo… Non voleva sembrare stupido e
inutile.
E poi c’era il traffico, le automobili –
completamente diverse dai suoi tempi – i cartelloni pubblicitari,
i negozi… Tutto era un turbine di luci, suoni e colori quasi
disturbante.
Le persone erano cambiate forse più del resto. Nessuno
sorrideva più, salutava più, nessuno chiedeva permesso o
si scusava. Tutti sembravano arrabbiati e di fretta, troppo presi dallo
squillare dei telefoni per guardare in faccia chi gli passava davanti.
Si erano trasformati anche i vestiti. Come ti giravi potevi
vedere ragazzi dai bizzarri abiti colorati ascoltare musica
incomprensibile, ragazze con addosso praticamente niente – ma
davvero i genitori le mandavano fuori così? – donne con
tacchi vertiginosi. Perfino i completi grigi giacca e cravatta erano
diventati più morbidi, meno formali e impettiti di un tempo.
I costumi sessuali, poi, dovevano essersi evoluti in un modo
inaspettato. Come ti giravi potevi vedere cartelloni con donne
completamente nude che pubblicizzavano qualcosa che non c’entrava
niente col sesso. C’erano enormi manifesti di uomini in mutande
che esponevano i loro attributi in modo imbarazzante. C’erano
anche giganteschi pannelli retroilluminati con sopra coppie avvinghiate
in pose decisamente troppo poco caste.
Erano i momenti, quelli, in cui si sentiva più
spaesato. Andiamo, lui era nato nel 1917… Avrebbe dovuto essere
morto da un bel pezzo, come tutti quelli che conosceva, come la
città che una volta era la sua e ora non riconosceva.
Come… Peggy.
Si disse che non doveva ragionare così, mentre si
avvicinava all’imponente Stark Tower. Gli era stata data
un’altra possibilità ed ora, il suo tempo era quello e
doveva viverlo.
Gli sarebbe piaciuto sentirsi, nella vita, sicuro come in
mezzo alla battaglia, sapendo che poteva fare la differenza, che se
diceva la cosa giusta l’avrebbero seguito, ma vivere non gli era
mai riuscito così facile.
Sospirò, entrando nel moderno, elegante,
ecosostenibile atrio della torre e si diresse alla portineria, dove
un’impiegata lo stava già squadrando da capo a piedi con
espressione lussuriosa. Ma cosa sono diventate, le donne? Si disse sconsolato Steve.
Arrivato al trentesimo piano e attraversato un atrio con
diverse porte, Rogers trovò quella che cercava; oltre di essa
c’era un grande ufficio diviso in molti cubicoli.
Lì lavorava alacremente il più assurdo insieme
di esseri umani che lui avesse mai visto, ed era un Vendicatore…
Tra capelli dai colori più improbabili, accessori dall’uso
sconosciuto, bizzarre figurine umanoidi in plastica, penne biro col
ciuffo e la faccina, teschi inquietanti, il capitano riuscì a
scovare l’angolo di Dixi.
Anche la ragazza aveva il suo nutrito gruppo di improbabili
soprammobili. A parte lo scheletrino fosforescente che pendeva a lato
di uno dei suoi schermi, c’erano anche il poster di qualcosa che
poteva somigliare ad una nave spaziale appeso al muro – Millenium
Falcon? Bah… – un pupazzetto con le orecchie a punta e una
maglia blu seduto nell’angolo dietro lo schermo di destra, un
portapenne con un altro scheletro scolpito, c’era anche una fila
di borchie che decorava il bordo della scrivania.
“Capitano Rogers!” Esclamò la ragazza
appena lo vide, mentre lui esaminava ancora il piccolo spazio che
diceva così tanto di lei.
“Ciao.” La salutò lui con un breve sorriso. “Ufficio particolare, eh?” Aggiunse poi.
Lei si alzò sorridendo. “Ci lavora gente strana
qui, sai.” Gli disse in tono cospirativo. “Anche qualche ex
ricercato dal FBI…”
“Ricercato dal FBI? E per che cosa?” Rispose Steve allibito.
“Diciamo, per pura ipotesi, che abbia crackato alcuni codici segretissimi tipo della NASA…”
Lui la guardò male. “Tu non hai…”
“Ho detto: per ipotesi.” Sostenne Dixi.
“Dimmi, perché avevi quella faccia afflitta, quando sei
entrato?” Gli domandò quindi, cambiando agilmente
argomento.
“Oh, beh…” Fece lui, abbassando il capo.
“Non capisco perché le ragazze continuino a fissarmi in
quel modo, come se fossi… fossi…”
“Una cialda belga inzuppata nel cioccolato?” Lo imbeccò lei.
“Sì… è imbarazzante.” Disse Steve, massaggiandosi la nuca.
“Oh, ma tu devi capire che è più forte di
loro!” Esclamò Dixi. “Insomma, si vedono passare
davanti Capitan Culosodo e non gli danno nemmeno un’occhiatina
famelica? Hm, non sarebbero le ragazze di oggigiorno!”
“Non darmi questi nomignoli stupidi, somigli a Stark.” Brontolò offeso il ragazzo.
“E tu smettila di essere così umile!” Ribatté Dixi. “Dovresti tirartela come una fionda!”
“Io… io non sono così…” Mormorò lui, sempre ad occhi bassi.
“Ed è ok, non sei così, sei umile e
timido, va bene.” Annuì lei, prendendolo per gli
avambracci, Steve la guardò negli occhi. “Però devi
sapere che il rapporto tra i sessi è molto cambiato, mentre tu
eri sotto ghiaccio, non c’è più quel corteggiamento
demodé, fiori e cioccolatini, poi t’invito a ballare e ti
riporto a casa con un casto bacino.” Aggiunse a bassa voce.
“Non capisco cosa vuoi dirmi…” Fece lui smarrito, con le sopracciglia aggrottate.
“Che ora le donne sono sessualmente libere e quando
vedono un bel ragazzo, fanno di tutto per portarselo a letto.”
Gli spiegò dura lei. “E fanculo il matrimonio, i bambini e
la casetta monofamiliare.”
“Sembra che la cosa non ti piaccia.”
Affermò Steve stupendola. Lei spalancò gli occhi e si
scostò, abbassando poi il viso.
“Io… vorrei essere come loro, ma non mi
riesce.” Biascicò a capo basso. “Quindi resto
l’imbranata che non è capace di trovarsi uno straccio
d’uomo.”
“Hey, hai me!” Sbottò Steve, lei lo guardò incredula.
“Sì, ma noi…”
“Se sono veramente così attraente come
dici.” La interruppe lui. “È la volta che fai morire
d’invidia
queste donne così brave con gli uomini.”
“Lo faresti veramente?” L’interrogò la ragazza ancora stupita.
“Non mi costa niente, tenerti a braccetto.” Rispose il capitano con un sorriso dolce.
Dixi fece un gridolino allegro e acchiappò il braccio solido di Steve, poi alzò su di lui uno sguardo malizioso.
“Posso toccarti il sedere?”
“Ora non ci allarghiamo…” La rimproverò bonariamente lui.
“Va bene…” Piagnucolò delusa la
ragazza. “Solo perché è ora di pranzo.” Si
guardarono e risero, poi uscirono dall’ufficio sotto braccio, tra
le occhiate incredule dei presenti.
“Una mega con doppio formaggio e una normale con salame piccante,
sono sette e ottanta.” Disse con tono cantilenante il fattorino
della pizzeria.
“Grazie!” Rispose Dixi, allungandogli una banconota a dieci e dicendogli che poteva tenere il resto.
Portò le pizze sul bancone della cucina e poi, invece
di urlare al suo coinquilino, decise di adottare un sistema che a lui
sarebbe piaciuto decisamente di più: gli avrebbe bussato alla
porta.
La ragazza si diresse lungo il corridoio coperto da moquette
chiara, fino alla porta di Steve. Era socchiusa e poteva vederlo seduto
sul bordo del letto ad osservare alcune carte. Zephyr era accoccolata
poco più in là, contro qualcosa di azzurro e ben piegato.
“Posso?” Chiese Dixi. Lui alzò gli occhi e le sorrise.
“Certo, vieni.” La invitò.
Lei si avvicinò al letto guardando il gatto. “Quello non è il costume di Capitan America, vero?”
“Preferisco chiamarlo uniforme.” Precisò lui, mentre continuava a sorriderle.
“Comunque lo chiami, sarà pieno di peli di
gatto, la prossima volta che lo metti.” Fece lei con tono
sarcastico, mentre si sedeva accanto al ragazzo.
“Lasciala stare, è così dolce.”
Replicò Steve, carezzando appena il gatto, che rispose con fusa
entusiaste: a quanto pareva il colpo di fulmine era stato reciproco.
“Solo se poi mi lasci usare su di te il rullo leva
pelucchi.” Ribatté immediata Dixi, con un malizioso
sollevamento di sopracciglia. Lui la guardò strano, ma con gli
occhi divertiti.
“Lei, signorina Spitz, cerca troppi pretesti per mettermi le mani addosso.” Scherzò poi.
“Non è colpa mia, hai un corpo da reato!”
Esclamò la ragazza; risero. “Che stai facendo?”
Domandò quindi.
“Mettevo in ordine vecchie cose.” Rispose il
capitano, tornando con lo sguardo alle carte sul copriletto.
C’erano documenti ingialliti, vecchie foto, rapporti più
moderni, una quantità di documentazione medica, bellissimi
schizzi tracciati a matita.
Dixi ne osservò un paio, domandandosi se li avesse
fatti lui; nel caso, era veramente bravo e la delicatezza del tratto,
secondo lei, la diceva lunga sull’indole del capitano.
La sua attenzione, poi, fu attirata dalla foto di una donna
in divisa: l’immagine aveva il classico color seppia delle foto
antiche, ma era ancora nitida abbastanza. La donna era bella, giovane,
con un sorriso dolce ed i capelli scuri.
“Lei chi è?” Chiese timorosa la ragazza, sfiorando appena il bordo della foto.
“È… Peggy.” Rispose piano Steve.
Dixi lo guardò. Aveva gli occhi fissi
sull’immagine e di nuovo quello sguardo remoto e triste che gli
aveva già visto. Non sapeva cosa dirgli, se spronarlo a tirare
fuori il suo dolore oppure tacere. Gli sfiorò un braccio
attirando la sua attenzione; quando lui alzò gli occhi, lei gli
sorrise accogliente, ma non ci fu un seguito. Steve coprì la
foto di Peggy con altre carte e Dixi lasciò che il discorso
cadesse.
La ragazza allora, un po’ delusa, si mise ad esplorare
le altre foto. Le capitò tra le mani l’immagine di una
famiglia: un uomo impettito e una donna vestita di chiaro con in
braccio un bambino.
“È la tua famiglia?” Domandò, senza togliere gli occhi dalla foto.
“Sì.” Annuì lui.
“Era bella, tua madre.”
“Molto.” Affermò Steve con una dolce malinconia nella voce.
“E questo?” Fece Dixi, afferrando un’altra fotografia. “Non dirmi che sei tu…”
Steve osservò con un sorriso nostalgico
l’immagine di due ragazzi, fatta davanti alle giostre di Coney
Island in un giorno d’estate.
“Siamo io e Bucky.” Spiegò poi.
“Poco dopo, lui si è arruolato e io sono stato respinto
per l’ennesima volta.” Aggiunse con amarezza.
“Eri magrolino…” Commentò lei,
faticando a riconoscere in quello scricciolo biondo il ragazzone
muscoloso e proporzionato che aveva davanti, se non forse dalla luce
sincera in quegli occhi chiari.
“Dillo pure.” La spronò lui. “Ero rachitico.”
“Ma no…” Tentò Dixi.
“Non cercare di essere gentile.” La bloccò
Steve. “Sono perfettamente consapevole di qual era la situazione,
sono stato l’obiettivo preferito dei bulli fin
dall’asilo…”
“Parlami della trasformazione.” Gli chiese allora
lei, incuriosita; lui la guardò un po’ stupito.
“È stata dolorosa?”
“Sì, molto.” Raccontò allora il
capitano, arrendendosi alla delicata curiosità della ragazza.
“Quando sono uscito dal macchinario non mi sono reso conto subito
del cambiamento, fino a quando ho realizzato di essere molto più
alto.” Lei ridacchiò. “Poi ho inseguito un nazista,
a piedi, ed ho distrutto il suo sottomarino…”
“A mani nude?!” Fece Dixi.
“Sì, non avevo altro…” Rispose lui. “…ed ero arrabbiato.”
“Non è pericoloso solo Hulk, quando
s’incazza, allora!” Commentò divertita la ragazza.
Steve le sorrise, gentile.
“Ti confesso…” Riprese l’uomo ad
occhi bassi. “…che a volte mi sento ancora estraneo in
questo corpo.” Lei alzò le sopracciglia stupita.
“Anche stamattina, mi sono fatto la doccia, poi mi sono guardato
in quello specchio laggiù…” Indicò il grande
specchio a figura intera. “…e mi sono detto: chi è
questo?”
Lei trattenne palesemente una risatina. “Mi
dispiacerebbe rispondere ai tuoi crucci esistenziali con una battuta
lasciva, quindi mi tratterrò.” Mormorò poi, le
labbra arricciate senza controllo.
“Euridice, le brave ragazze…” Predicò serio lui.
“Vanno in Paradiso.” Lo interruppe lei. “E
io, invece, vivo a New York, quindi devo essere pratica, vieni con
me.” Aggiunse poi, prima di prenderlo per un braccio a
trascinarlo davanti allo specchio.
Si ritrovarono riflessi sul grande rettangolo. Lei, con la
maglietta larga dei Deep Purple ed i leggins. Lui, con la sua t-shirt
bianca ed i pantaloni caki.
“Guardati.” Lo incitò Dixi. “Sei
Steve Rogers, il bravo ragazzo di Brooklyn, un uomo buono, con degli
ideali e pronto a combattere per difenderli…” Lui,
però, guardava la ragazza nello specchio che con sguardo deciso
proclamava le sue qualità, e le sorrideva dolcemente.
“…sei l’eroe di cui avevamo bisogno.”
“Lo dici come se ci credessi.” Sostenne Steve.
“Ma io ci credo!” Esclamò Dixi. “Io
credo nei supereroi e tu devi smetterla di fare Capitan
Ingenuità e capire che invece sei Capitan Figo, con stuoli di
ragazze questuanti ai piedi.”
“Non m’interessano queste cose.” Negò lui con tono quasi offeso.
“E allora, abbi almeno pietà e mettiti maglie
più larghe!” Sbottò Dixi. “O un giorno potrei
non rispondere di me!” Stavolta rise anche lui.
“Perché non hai un fidanzato, Euridice?” Le domandò con delicatezza.
“Beh…” Fece lei, stringendosi nelle
spalle. “…suppongo di aver passato troppo tempo sui
computer e troppo poco a cercarmi un uomo e poi… guardami, sono
una nerd.”
Steve la guardò riflessa nello specchio, pallida, con
i capelli appuntati sulla nuca e gli occhialoni, un sorriso incerto che
faceva tremare di luce i suoi occhi nocciola.
“Secondo me, sei carina.” Affermò quindi, poi si girò verso di lei.
Dixi non se lo aspettava, si ritrovò a mezzo passo di
distanza dai pettorali di Steve. Fece un istintivo passo indietro, ma
lui se la riportò vicino con una facilità disarmante,
quasi fosse fatta di paglia leggera, quindi le tolse gli occhiali e li
gettò sul letto, poi fece lo stesso col fermaglio dei capelli.
La ragazza, in un istante, si trovò di nuovo voltata verso lo
specchio.
Ora aveva i capelli sciolti che le scendevano ai lati del
volto in morbide onde, il viso e le labbra accese da un lieve rossore e
gli occhi lucidi.
“Lo vedi, che sei bella?” Le disse la voce gentile di Steve all’orecchio.
Lei deglutì a vuoto, continuando a guardarsi
incredula: si vedeva davvero bella. Forse perché non aveva gli
occhiali e tutto era sfocato. E sentiva le mani calde di lui sulle
braccia.
“Dai, andiamo a mangiare questa pizza.” La incitò l’uomo, prima di lasciarla.
Lei barcollò un secondo, confusa, poi si riscosse come
se le mani di Steve le avessero scottato la pelle. Si girò e lo
vide infilare la porta.
Lui profumava di buono e lei, lei non era proprio all’altezza.
CONTINUA
NOTE:
(1) Famoso regista di origine tedesca noto per alcune
commedie dell’epoca d’oro di Hollywood, ad esempio
“Ninotchka” con Greta
Garbo.
(2) Si tratta di “You shook me all night long” degli AC/DC, Tony Stark apprezza e ringrazia con un inchino XD
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
INaH - 2
Ecco a voi il secondo capitolo di questo mio esperimento nel fandom.
Sono lieta che il primo capitolo sia stato apprezzato, grazie ancora a chi ha lasciato un commento!
I versi in
introduzione vengono da “Two Hearts” di Bruce Springsteen
(oh, so che Steve lo adorerebbe, perché sono entrambi americani
nel modo più bello in cui lo si può essere!). Tutte le
canzoni nel capitolo sono usate senza scopo di lucro.
Buona lettura!
Sara
Capitolo 2
Alone buddy there ain't no peace of mind
That's why I'll keep searching till I find my special one
Two hearts are better than one
Two hearts girl get the job done
Quella
mattina Steve fu accolto da una nuova canzone. Era più romantica
dell’altra, ma sempre con quella durezza nella melodia che lui
non capiva cosa ci entrasse con un testo che parlava di «piccole
bambine dagli occhi blu» (1), ma aveva deciso di accettare i gusti di Dixi.
Si fermò
un attimo sulla soglia della cucina, osservando la ragazza ballare al
ritmo del pezzo, cantato da una voce che non avrebbe faticato a
definire fastidiosa, ma che stranamente rendeva piacevole la canzone.
Lui, ad ogni modo, preferiva osservare lei che ballava sinuosa con una
sensualità che non le avrebbe mai attribuito.
“Una volta si ballava nelle sale da ballo.” Le disse infine, avvicinandosi.
Dixi si girò e arrossì un po’, prima di sorridergli e salutarlo con la mano.
“Beh,
adesso lo si fa quasi solo in cucina.” Affermò poi, dopo
aver versato il caffè per entrambi. “Tu ci andavi, nelle
sale da ballo?” Gli chiese quindi.
“Ecco,
io…” Esordì Steve, sedendosi su uno sgabello e
prendendo la tazza. “Io non ho mai imparato a ballare.”
Abbassò gli occhi, di nuovo lo sguardo triste. “Avevo un
appuntamento con qualcuno che doveva insegnarmi, ma…”
Alzò gli
occhi e trovò ad accoglierlo il sorriso comprensivo di Dixi. La
ragazza allungò la mano sul piano e sfiorò le sue dita
con delicatezza.
“Hey, io
sono la tua life coach per il ventunesimo secolo.”
Dichiarò tranquilla. “Se decidi d’imparare, io ti
insegno volentieri, anche se non sono esattamente una campionessa di
fox-trot.”
Steve non
poté fare altro che sorriderle, rincuorato dal suo atteggiamento
disponibile; le coprì la mano con la propria e la strinse piano.
“Adesso ti
faccio ascoltare una canzone che fa proprio per te!”
Proclamò Dixi poco dopo, quando il fatto di avere la mano tra
quelle di Steve diventò preoccupante.
Si diresse alla dock station vicino al forno a microonde e cominciò a cercare il brano.
“Oggi non ci sono a pranzo.” Le comunicò nel frattempo il capitano.
“Dove vai?” Gli chiese la ragazza.
“Ho
appuntamento con Tony Stark.” Rispose lui con tono vagamente
afflitto. Dixi lo guardò interrogativa. “Dovrò
subire la sua ironia per tutto il tempo.” Spiegò Rogers.
“Io trovo che il Signor Stark sia divertente.” Affermò lei. Steve la guardò male.
“Io lo trovo pesante.”
“Ma no!”
“Mi chiama Rogie…”
“È carino!”
“Euridice…”
“Ascolta la canzone, va, vediamo se ti da un po’ di carica.” Lo bloccò lei, spingendo il tasto play.
Where have all the good men gone
And where are all the gods?
Where's the street-wise Hercules
To fight the rising odds?
Isn't there a white knight upon a fiery steed?
“Dai,
è la canzone degli Avengers!” Proclamò Dixi
ridendo, lui sorrise un po’ imbarazzato e un po’
compiaciuto.
Late at night I toss and I turn and I dream of what I need
I need a hero
I'm holding on for a hero 'til the end of the night
He's gotta be strong
And he's gotta be fast
And he's gotta be fresh from the fight…(2)
“Lo aspetti davvero, un eroe?” Le chiese Steve.
“No, io l’ho già trovato.” Replicò lei con un sorriso dolce.
Era una mattina
assolata e le vetrate panoramiche del ristorante affacciavano su una
veduta particolarmente bella. Stark era seduto in uno dei tavoli
migliori, sarebbe stato impossibile il contrario. Steve lo raggiunse a
passo lento, già scandagliato dagli occhi attenti
dell’altro uomo e giudicato dal suo sorrisetto beffardo.
“Eccolo qua, il nostro Capitan Meraviglia!” Esclamò, quando Rogers raggiunse il tavolo.
Steve levò gli occhi al cielo con una smorfia, ma si trattenne da commenti, Stark però ridacchiò.
“Sai che hai una faccina adorabile, quando fai quell’espressione infastidita, Rogie?”
“Se hai
intenzione di fare così per tutto il tempo, me ne vado
subito.” Dichiarò il capitano, le mani appoggiate sulla
spalliera della poltroncina imbottita vuota davanti a Tony.
“Cosa avevamo detto, a proposito del prendersi sul serio, Steve?” L’interrogò Stark.
Steve si sedette.
“Non lo so, Signora Maestra, me lo ricordi lei.”
Ironizzò poi, la faccia per niente divertita. Tony rise di gusto.
“Sono
fastidioso abbastanza?” Gli domandò poi, mentre sistemava
il tovagliolo candido sulle proprie ginocchia.
“Sì, direi a sufficienza.” Rispose Steve, mentre leggeva il menu.
“Adoro essere fastidioso!” Proclamò allegramente l’altro.
“Perché?” Chiese esasperato il capitano.
“Soddisfa la mia… Sindrome di Asperger.”(3) Sostenne Tony.
“Credevo
solo il tuo sadismo.” Affermò Steve, mentre il cameriere
si fermava accanto a loro. “Una bistecca con patate e insalata,
per me.” Ordinò Rogers.
“Filetto
alla Wellington, cottura media.” Disse invece Stark, consegnando
il menu. “Dicevamo del mio sadismo…” Aggiunse,
tornando a guardare Steve.
“Sembra
proprio che ci godi a vedere la gente andare fuori di testa.”
Sostenne il capitano con espressione retorica. Tony fece una
soddisfatta alzata di sopracciglia.
“Ammetto che sarebbe eccitante vederti inalberare.” Affermò malizioso. “In ogni senso…”
“Oh, ti prego!” Sbottò Steve scoraggiato.
“Vabbene!”
Si arrese Tony alzando le mani con un sorriso. “Cambiamo
argomento: come vanno le cose con Dixispitz?”
Rogers lo guardò strano per il modo in cui aveva pronunciato il nome della sua coinquilina.
“Perché pronunci il suo nome come se fosse tutto attaccato?” Gli chiese perplesso.
“Perché
è divertente!” Esclamò allegro Stark.
“È brillante e frizzate, tipo qualcosa di molto alcolico
servito dentro un ananas. Lei non è frizzante?”
“Sì,
beh…” Ammise Steve, stringendosi nelle spalle.
“Euridice è una ragazza fantastica…”
“Oh,
fantastica! Ecco che finalmente ti sbilanci un po’!” Fece
Tony entusiasta, mentre le pietanze ordinate venivano servite.
“Aspetta un attimo… La chiami Euridice?”
“Sì.” Ammise tranquillo il capitano.
“Santo
cielo, Rogie…” Commentò avvilito Tony. “Non
ci siamo proprio.” Aggiunse scuotendo il capo.
“Io non capisco, non ci siamo per cosa?” Domandò confuso il capitano.
“Ho bisogno
di vedervi insieme.” Affermò il milionario. “Che ne
dici se facessimo un’uscita a quattro? Domani sera, oppure
venerdì… venerdì sarebbe perfetto.”
“Io, veramente…” Tentò Steve.
“So già dove andare, Pepper sarà entusiasta!”
“Ma dovrei chiedere a Euridice…”
“Chiamala subito!” Lo incitò Tony, indicando le sue tasche dove giaceva il cellulare.
“Ehm…” Biascicò imbarazzato il capitano.
“Uh, non
sei ancora molto pratico col touch screen, vero?” Intervenne
subito Stark, con un sorrisino maligno; Steve abbassò gli occhi,
imbarazzato. “La chiamo io.” Fece però
l’altro, facendogli sollevare immediatamente il viso.
Nemmeno il tempo di dirgli «No» che la chiamata era già partita.
Il telefono di
Dixi iniziò a vibrare sulla sua scrivania, poi la chiamata si
attivò ed una voce riempì l’ufficio:
“Dixispitz!” Proclamò allegra.
La ragazza
scrutò allarmata l’apparecchio parlare, restia perfino ad
allungare la mano per prenderlo. La sua collega – in carne e coi
capelli rosa caramella – le stava accanto, altrettanto
preoccupata.
“Il mio telefono si è attivato da solo in vivavoce…” Mormorò infine l’analista.
“Sì!” Le confermò la voce maschile dall’altra parte.
“E sto parlando con Tony Stark…”
“Esatto!” Confermò l’uomo; le due programmatrici si guardarono allibite.
“Pe… perché mi ha chiamato, Signor Stark?” Si decise a chiedere Dixi.
“Chiamami
Tony, dolcezza.” Le disse lui. “Io e Steve, qui, ci
domandavamo se venerdì eri libera per venire a cena con noi al
ristorante «La Vela»” Le spiegò quindi.
Dixi e la sua
amica si guardarono di nuovo, stavolta leggermente shockate. Il
«La Vela» era uno dei più prestigiosi ristoranti
della città, costava un occhio della testa mangiare lì.
Ma se pagava Stark, era sicuramente possibile.
“Beh, ecco…” Fece Dixi, ancora incerta. “Se a Steve va bene…”
“Oh, Steve
è d’accordissimo!” Del resto lei non poteva vedere
la sua espressione sconsolatamente rassegnata. “Vi aspetto alle
otto, è necessario l’abito da cocktail.”
“Ok…” Accettò Dixi arresa.
“Benissimo!” Replicò entusiasta Tony. “Non vedo l’ora, Dixispitz!” E chiuse la chiamata.
Il cellulare di
Dixi tornò tranquillo ed anche il display ridiventò nero.
Lei guardò la sua collega con espressione abbastanza sconvolta.
“Quello al telefono non era veramente Tony Stark, vero?” Chiese la ragazza coi capelli rosa.
“Credo di
sì…” Mormorò Dixi. “Chi altro potrebbe
attivare un Blackberry a distanza?”
“Ti ha invitata a cena!”
“Lo so!”
“E chi diavolo è Steve?”
“Il mio coinquilino.”
“Non dirmi che è quella statua di Apollo ambulante che è venuto a prenderti l’altro giorno!”
“Ehm… sì…”
“Dimmi che è gay!”
“Veramente, non credo…”
“Ragazza,
tu hai un culo veramente spaventoso.” Commentò infine la
collega. “Un giorno mi dovrai spiegare come hai fatto a farti
invitare da due uomini così in una botta sola!” Aggiunse
con invidia, prima di tornare al proprio cubicolo.
“Quando lo avrò capito anche io…” Borbottò Dixi, una volta rimasta sola.
Quando Steve
tornò a casa, quella sera, trovò il salotto immerso nella
penombra. Solo dopo che ebbe posato le chiavi nella ciotola sulla
consolle vicino alla porta, vide la testa arruffata di Dixi emergere
dalla spalliera del divano.
“Ciao.” Salutò tranquillo.
Lei, espressione trova, si levò velocemente dal divano e lo raggiunse a passo di marcia.
“Che succede?” Le chiese lui allarmato.
“Mi spieghi dove diavolo lo trovo uno stramaledetto abito da cocktail del cazzo?!” Sbraitò la ragazza.
“Euridice…”
Steve sollevò l’indice con sguardo severo.
“…in questa frase ci sono un po’ troppe
parolacce.” Le rimproverò.
Dixi, per tutta
risposta, ringhiò e poi si tolse una pantofola col Jolly Roger e
gliela lanciò addosso, quindi se ne andò zoppicando e
imprecando.
Steve
guardò la ciabatta caduta a terra, poi scambiò uno
sguardo perplesso con Zephyr che, come sempre, gli si stava già
strusciando alle gambe.
Il pomeriggio
seguente erano a fare acquisti in uno dei più prestigiosi
magazzini di abbigliamento della città. Steve, in un moto
d’inconsulto egoismo, aveva deciso di usare la carta di credito
che gli aveva messo a disposizione lo SHIELD. Dixi, però, era
mostruosamente indecisa.
“Che ne dici di questo?” Le suggerì collaborativo il capitano.
“Oddio, no, Steve…” Mormorò sconsolata lei, scrollando le spalle.
“Perché no?” Fece lui con una faccina da bimbo deluso.
“È da nonna!” Rispose la ragazza, osservando il vestito. “E poi il colore…”
“Cos’ha che non va? È caldo, secondo me ti starebbe bene.”
“Non è caldo!” Sbottò Dixi. “Sembra… è color diarrea, Steve!”
Lui la
guardò con disapprovazione, come ogni volta che era un pochino
volgare. “Senti, io però me li sono messi questi
jeans.” Le disse poi, indicando il capo che ancora indossava.
“E sono stretti, mi sento costretto, anche se tu dici che mi
stanno bene.”
“Sono di
tessuto elasticizzato, non puoi starci così stretto e poi, stai
tranquillo, non ti esploderà l’attributo!”
Ribatté scocciata lei.
“Sai che
quando sei nervosa esageri col turpiloquio?” Fece Steve. “E
non è bello per una ragazza, credimi.”
“Ascolta,
sei voluto venire tu a fare compere!” Esclamò Dixi
stringendo i pugni. “Poi, se vuoi continuare a vestirti come Gary
Cooper fai pure, ma sappi che chiunque abbia un culo come il tuo
vorrebbe dei jeans come quelli.”
“Io non
voglio che mi guardino il cu… Non sono interessato a questa
cosa, punto e basta.” Replicò serio il capitano. “E
non sono nemmeno sicuro che i jeans vadano bene per una cena in un
posto elegante.” Aggiunse.
“Vanno benissimo, basta che ti metti sopra una giacca scura, nera per esempio.” Gli spiegò lei.
“Il nero va bene per le cerimonie, non per le cene!”
“Ohhh,
senti! Mettitela blu, fa lo stesso, ma cercati una cavolo di
giacca!” Sentenziò Dixi, prima di dargli le spalle e
tornare verso le cabine di prova.
“Tu lo provi il vestito a fiori?” Provò a chiederle lui, più dolcemente.
“Solo se
dovessi andare al ballo nel fienile della mia fattoria dispersa nel
Wisconsin!” Borbottò la ragazza, chiudendosi la tenda alle
spalle.
La sera della
cena Steve, vestito di tutto punto, aspettava Dixi nell’atrio del
loro appartamento, controllando allo specchio dell’ingresso se
tutto era a posto.
Lui, alla fine,
aveva deciso di mettere i famosi jeans, che non erano poi così
scomodi, una camicia bianca e una giacca antracite. La sua coinquilina
gli aveva proibito la cravatta, nonostante le sue vibrate proteste.
Doveva davvero rassegnarsi al fatto che jeans e camicia slacciata erano
un abbigliamento elegante?
E poi c’era
Dixi. Sembrava che vestirsi elegante per lei fosse un problema enorme.
Possibile che, per una donna, fosse così difficile rinunciare ad
orrende magliette piene di teschi, per mettersi in ghingheri? Le donne
adorano vestirsi bene! Adoravano… Dixi, invece, era stata
nervosa per tutta la settimana, come le avessero chiesto di fare una
rapina in banca. Eppure, secondo la sua modesta opinione, doveva stare
benissimo con un bel vestito.
“Sei pronto?” Domandò la voce della ragazza dalle sue spalle.
“Sì.” Rispose Steve prima di girarsi.
Quando la vide,
rimase talmente stupito che per un breve istante non seppe cosa dire,
socchiuse appena le labbra in un’espressione sorpresa.
“Come sto?” Chiese timidamente lei, abbassando gli occhi.
Si era messa un
abito nero, con lo scollo quadrato e le spalline sottili; la gonna era
a ruota, lunga fino al ginocchio. Ai piedi spiccavano un paio di
maryjane rosse di vernice. I capelli, che scendevano in morbidi
boccoli, erano appuntati sulla fronte. Il rossetto era dello stesso
colore delle scarpe. Era deliziosa. Steve le sorrise con
sincerità.
“Lo sapevo, sei bellissima.” Le disse poi.
Dixi arrossì e abbassò di nuovo gli occhi, truccati con un leggero ombretto nero.
“Volevo
essere all’altezza, tu sei sempre stupendo.” Lui
aggrottò la fronte. “Scommetto che lo sei anche fresh from the fight, come dice la canzone!” Aggiunse, ridacchiando nervosa.
“Non mi hai mai visto fresco di battaglia.” Replicò dolcemente il capitano.
“E spero di non vederti mai!” Esclamò Dixi con un certo allarme.
“Tranquilla.”
Fece lui, avvicinandosi, poi le sfiorò il viso con la punta
delle dita – e più coraggio di quello che credeva di
avere. “Sono Capitan America, me la cavo sempre.”
“Adesso non
fare lo spaccone!” Sbottò divertita lei, mascherando lo
sconcerto che quel tocco le aveva provocato. Lui sorrise, con sguardo
mite.
“Andiamo,
ci stanno aspettando.” La incitò poi, aprendo la porta.
“Prima le signore.” Fece quindi, invitandola a precederlo
fuori. Lei sorrise e passò.
Il ristorante si
trovava su un battello ancorato sull’Hudson. La passerella
d’entrata era illuminata da eleganti lampade bianche che
segnavano il percorso.
Steve e Dixi
entrarono nell’atrio e si trovarono di fronte un signore discreto
in giacca bianca; gli sorrise e loro si avvicinarono.
“Siamo attesi dal Signor Stark.” Gli disse Steve.
“Oh, sì.” Fece il maitre e consultò il registro. “Capitano Rogers e Signora?”
I due coinquilini
si guardarono allibiti per un lungo istante, poi lui levò gli
occhi al cielo scuotendo piano il capo. Dixi si rivolse all’uomo.
“Sì.” Confermò con un sorrisetto imbarazzato.
“Stark me
la pagherà.” Le sussurrò all’orecchio il
capitano mentre seguivano il maitre verso il tavolo.
“Oh, dai!
È una cavolata!” Replicò lei divertita. “E
fatti tenere a braccetto, sono la tua Signora!”
Steve rise e le prese la mano. “Ci manca l’anello.” Scherzò quindi.
“E il congiungimento carnale…” Sottolineò allusiva Dixi. “Ma ci lavoreremo su.”
Gli occhi di Tony
si illuminarono immediatamente, quando li vide arrivare. Pepper, seduta
al suo fianco, sorrise, luminosa nel suo abito rosa cipria. La
sistemazione era intorno ad un tavolo rotondo che era circondato da una
grande poltrona a semicerchio, elegantemente imbottita.
“Finalmente,
il nostro Capitan Leone Timido e la sua piccola Dorothy!”
Proclamò Stark, quando si fermarono vicino al tavolo.
Steve guardò Dixi, più perplesso che offeso dalla presentazione ironica di Tony.
“È per via delle scarpe.” Gli spiegò lei, mentre si sedevano.
“Mi sembrava che conoscessi il Mago di Oz.” Fece il milionario, rivolto a Rogers.
“Sì, beh…”
“Oh, un film che hai visto anche tu!”
“Chi non ha visto il Mago di Oz!” (4)
Tony posò
una mano sul braccio di Steve. “Scusami, eh, credevo fossi
già in frigo.” Aggiunse, strizzandogli l’occhio.
“Allora,
ragazzi, come vanno le cose?” Domandò Pepper, cercando di
stemperare l’atmosfera che aveva creato il commento del suo
compagno.
“Molto bene.” Rispose educatamente Steve con un sorriso alla donna.
“Ah!”
Fece Dixi intervenendo. “Oggi ho risolto quel bug nel software di
collegamento col satellite.” Annunciò soddisfatta.
“Jarvis ne
sarà lieto.” Affermò Tony annuendo. “Sai,
Steve, Dixi è l’unica a cui faccia mettere le mani su
Jarvis, è bravissima a trovare i miei errori.”
Il capitano guardò sorpreso la ragazza, che gli sorrise orgogliosa.
“All’inizio
non sapevo che si trattasse di Jarvis, ma credo di aver frugato nei
suoi più reconditi circuiti.” Sostenne tranquilla.
“Beh,
è decisamente meglio farsi frugare in certi posti da una bella
ragazza, no?” Disse Stark, lanciando poi un’occhiata
allusiva a Rogers. “Specie se si ha una valle
dell’abbondanza dove nessuno ha mai pascolato…”
Lo sguardo che
gli rivolse il capitano era talmente furente che avrebbero potuto
pensare che volesse staccargli la testa e servirla come antipasto. Per
fortuna era un ragazzo bene educato.
“Bene.”
Intervenne Pepper, afferrando la mano del suo uomo e riprendendo in
mano le redini della conversazione. “Ditemi un po’ della
vostra convivenza.”
Steve e Dixi si
guardarono e si sorrisero. Se c’era qualcosa che andava veramente
bene, era il loro vivere insieme, tra vecchi film e barattoli di
gelato, gatti traditori e canzoni sugli eroi.
“Tutto bene.” Rispose infine Steve. “Dix è… la migliore.”
“Mi hai
chiamato Dix?” Fece lei incredula, fissandolo negli occhi, lui
annuì sorridendo; Tony e Pepper si scambiarono uno sguardo
complice.
“È
bravissimo a lavare i piatti.” Riprese Dixi, col cuore che le
batteva più forte, rivolgendosi all’altra donna. “E
la mia gatta sociopatica si è innamorata perdutamente di
lui.”
Tony, a quel
punto, guardò Steve con la stessa espressione paziente e
comprensiva che un insegnante avrebbe con un allievo simpatico ma un
po’ corto di comprendonio.
“Che c’è?” Scattò subito il capitano.
“E io
adesso come faccio a spiegarti che non era la gatta che dovevi
sedurre?” Gli disse l’amico con tono affranto; lui lo
fissò malissimo. “Siamo sicuri che si sia scongelato
proprio tutto tutto?” Aggiunse, indicando con lo sguardo la parte
di Steve sotto al tavolo.
Tony
rialzò gli occhi e lo osservò sbattere le ciglia con
espressione confusa, ma, con la coda dell’occhio, scorse Dixi
ridacchiare.
“Per quanto
sia affascinante guardarti sbattere quei tuoi occhioni cerulei,
Rogie…” Fece Stark. “…qualcuno qui ha
afferrato perfettamente la mia battuta.” Aggiunse, indicando la
ragazza.
Steve si
girò verso Dixi, che rideva piano, coprendosi la bocca con la
mano. Lui la fissò come se fosse appena stata accusata di alto
tradimento alla nazione.
“Non ho
ancora le prove materiali, Signor Stark…” Affermò
la ragazza, rivolgendosi al suo datore di lavoro. “…ma
credo che lo scongelamento sia quasi terminato!”
“Fossi in te, dolcezza, me ne accerterei provando con mano, non so se ci siamo capiti…” Ma si scambiarono un’occhiata esaustiva.
“La smettete di fare battute su di me?!” Implorò adirato Steve, loro risero.
“Credo che Dixi e Tony abbiano un’ironia molto simile.” Commentò divertita Pepper.
“Che Dio me ne scampi!” Fu l’esclamazione del capitano Rogers.
La cena, dopo il
nervosismo iniziale – per altro tutto appannaggio di Steve
– si svolse piacevole, sia per il cibo e le bevande che per la
conversazione.
Dixi trovava Tony
Stark assolutamente irresistibile e Pepper intelligente, simpatica e
brillante nel tenere a bada l’esuberanza del fidanzato.
Vedendo che lei
si divertiva, anche Steve alla fine si rilassò e rispose per le
rime alle battute del milionario. La ragazza lo guardò con
sincera ammirazione.
Dixi si accorse
di aver bevuto troppo solo quando, alzandosi da tavola, le sue gambe
presero un percorso diverso da quello ordinato dal suo cervello.
Soltanto le mani salde di Steve sulla vita la riportarono sulla retta
via prima che si schiantasse contro il carrello dei dessert.
“Ho bevuto troppo.” Sostenne la ragazza, apparentemente lucida, mentre lui l’indirizzava verso l’uscita.
“Sì, piccola.” Le disse all’orecchio. “Adesso andiamo a casa.”
Lei si
fermò all’improvviso, con un’espressione pensosa,
ritrovandosi contro il petto del capitano, poi girò il capo e
alzò gli occhi lucidi su di lui.
“Se me lo
dici così, mi verranno cattivi pensieri!” Esclamò
quindi, prima di scoppiare a ridere e dargli una pacca sul fianco.
Steve la fissò basito.
“I cattivi
pensieri sono giustificati a quest’ora!” Commentò
Tony, tenendo per la vita Pepper, che gli sorrise maliziosa.
“Potresti
fare a meno di certi commenti, per favore?” Lo pregò
Rogers con espressione severa. “È ubriaca, potrebbe fare
qualche sciocchezza!”
“O qualcosa di sensato, come strapparti le mutande.” Replicò serafico Stark. Steve ringhiò.
“Domattina falle uno zabaione, con Tony funziona sempre.” Gli disse Pepper con un occhiolino.
“Sì,
lo zabaione e tante coccole.” Aggiunse lui con tono forzatamente
melenso. La donna lo guardò con complicità. Steve
roteò gli occhi.
“Prenditi cura di lei, Steve.” Gli disse infine Pepper, con tono comprensivo ed un sorriso dolce.
“È quello che ho intenzione di fare.” Annuì compito il capitano.
“Peccato che non lo farà nel modo che speravo io…” Commentò affranto Tony.
“Buonanotte,
Signor Stark!” Sbottò sarcastico Rogers, prima di spingere
una Dixi con la ridarella verso la porta.
“Notte!” Fece la ragazza, salutando ampiamente con la mano.
“A presto,
Dixispitz!” Rispose Stark, mentre una macchina scura si fermava
accanto al marciapiede. Lui e la Potts ci salirono sopra, dopo un
ultimo saluto.
“Ohhh Dio… mi sento confusa…” Affermò Dixi, una volta che fu rimasta sola con Steve.
“Sei ubriaca.” Replicò serio lui, sempre reggendola per la vita.
“È come se nella testa mi suonasse Whole Lotta Love
dei Led Zeppelin…” Fece lei, roteando piano testa e occhi.
Lui sospirò arreso. “Sai, quando Plant fa quelle
variazioni con la voce…”
“No.” Rispose secco Steve. “Chiamo un taxi.” Aggiunse, scostandosi da lei.
“Steve… Steve!” Lo chiamò subito Dixi barcollando. “Non mi lasciare!”
L’uomo,
arreso, se la tenne contro il fianco, mentre fermava un taxi. La
ragazza continuava a ridacchiare ed a cantare un motivo, forse la
canzone di cui parlava prima. Quando furono sulla vettura, Dixi gli si
rannicchiò addosso.
“Non mi lasci, vero Steve?” Gli chiese con voce piccola.
“No, Dix.” La rassicurò lui, carezzandole i capelli.
“Fa freddo.” Affermò allora lei, stringendosi nel corto giacchino di pelle.
Il capitano non
rispose a parole, ma la prese praticamente in braccio e lei
gl’infilò il viso nell’incavo del collo,
stringendogli il risvolto della giacca.
“Ti ho toccato il sedere, prima?” Domandò ad un certo punto la ragazza.
“Quasi.” Rispose Steve.
“Uffa! Mi
manca la coordinazione!” Sbottò allora lei, prima di
scoppiare in una fragorosa risata che fece voltare anche il tassista.
Quando arrivarono
sotto il loro palazzo, Steve pagò il taxi, poi prese facilmente
in braccio Dixi e la portò in casa. Lei era mezza addormentata,
ma ogni tanto canticchiava ancora.
“Vieni, ti
metto a letto.” Le disse con gentilezza, dopo averla depositata a
terra, sembrava che si tenesse in piedi abbastanza bene.
L’accompagnò verso la camera.
“Steve…”
“Dimmi.”
“Io devo mettere in chiaro una cosa, con te.”
“Non mi sembri nelle condizioni per dire le cose chiaramente, Dix.”
Lei si
fermò e si girò verso di lui. Il capitano le tenne le
mani, perché il suo equilibrio era abbastanza instabile adesso.
Dixi aveva gli occhi appannati e un’espressione riflessiva e
troppo seria. Lui sapeva che non era lucida, ma decise di ascoltarla lo
stesso.
“No, io
voglio che tu sappia…” Esordì, col tono biascicante
tipico degli ubriachi. “…devi sapere che… che
io… io non voglio innamorarmi di te, chiaro?”
“Chiarissimo.” Fece lui, trattenendo una risata.
“Perché…
un uomo non può essere come te…” Continuò
seria la ragazza, mentre ondeggiava avanti e indietro. “Gli
uomini non sono così! Tu non puoi essere buono e bello, e
gentile, e coraggioso… e… e sexy… e anche un
supereroe! Andiamo!”
“Dix, hai bisogno di dormire.” Le disse Steve con dolcezza, poi le fece una carezza calda sul viso.
“Guarda che c’è un problema qui!” Sbottò la ragazza, battendogli l’indice sul petto.
“E quale sarebbe?”
“Che sono molto attratta da te.”
“Non lo avevo capito…” Commentò lui con un sorrisetto.
“Io farei
l’amore con te anche subito… ed è un
problema… perché tu, non credo che lo faresti mai, con
una come me…” Gli confessò Dixi con aria triste.
“Tu… A te ci vuole una tosta, coi contro cazzi! Scommetto
che Peggy sparava in testa ai nazisti…” Esalò,
prima di crollargli addosso.
Steve sorrise,
poi la prese e la portò sul letto. L’adagiò piano
sul materasso, dopo aver scostato il copriletto, poi le tolse le
scarpe. La studiò un attimo dall’alto e pensò che
forse era meglio toglierle anche il vestito, ma non sapeva cosa
metterle dopo. Andò, infine, a prendere una delle sue t-shirt.
Togliere il
vestito risultò più facile del previsto. Dixi era
leggera. Si sedette accanto a lei, la fece sedere e se la tenne contro
il petto. Aprì la lampo sulla sua schiena. Lei non portava il
reggiseno, così cercò il più possibile di non
guardare, mentre le metteva la maglietta. La fece quindi sdraiare e le
sfilò il vestito dalle gambe. La ragazza si rotolò
dall’altra parte, lasciandogli la visuale – molto
apprezzata – di un paio di mutandine nere con gli inserti in
pizzo.
“Buonanotte Dix.” Le sussurrò all’orecchio.
“Steve…” Lo chiamò però lei.
“Sono qui.”
“Resta, per favore…”
“Se prometti di non sedurmi…”
Lei ridacchiò piano. “Ci proverò.” Due secondi dopo russava.
Steve sorrise e
le baciò una tempia, poi si alzò, tolse i vestiti
restando in mutande e si stese vicino a lei. Dixi sospirò
rilassata e lui le carezzò i capelli. Andava bene così.
Prima di
addormentarsi, Steve pensò a quella strana conversazione. Sapeva
che Dixi era attratta da lui, lo aveva capito da come lo guardava,
dalle sue battute scherzose che nascondevano sentimenti reali. Non era
stupido e gli faceva anche piacere.
Ma c’era
una parte di lui che non era felice dell’ammirazione di Dixi per
la sua esteriorità. Perché il suo attuale aspetto non era
frutto della natura e gli dispiaceva che lei non lo apprezzasse solo
come Steve. Gli sarebbe piaciuto lo stesso, se non avesse avuto il
corpo di Capitan America?
Stupido, tu sei Capitan America! Vuoi smetterla di ragionare come uno sfigato?! si disse.
Dixi gli aveva
detto che avrebbe voluto fare l’amore con lui. Le diede
un’occhiata, mentre dormiva accoccolata contro il suo fianco,
serena, senza neanche sapere che le stava accanto mezzo nudo. Gli venne
da ridere. Ed era anche così tanto che non…
La memoria gli
tornò ad un’assolata estate del 1937, quando ancora la
guerra era lontana e lui era solo il garzone della drogheria di Mr.
Phillips.
Bucky si era
stancato di sentirlo parlare della sua sfortuna con le ragazze, di
quanto erano penose le serate in sala da ballo e di come sarebbe
rimasto vergine per sempre. In una sera che profumava di mele
caramellate e fuochi d’artificio lo aveva trascinato da Lucy
Bloom, una ragazza del quartiere che di giorno lavorava in fabbrica e
la sera arrotondava nel suo appartamento.
“È
il mio regalo di compleanno, Stevie.” Gli aveva detto
l’amico con un sorriso incoraggiante, spingendolo nella stanza da
letto.
Lei era formosa,
accogliente e praticamente nuda. Lui era talmente eccitato che aveva
rischiato di venire mentre Lucy glielo tirava fuori dai pantaloni. Alla
fine, non era durato niente. E gli era venuto un attacco d’asma
mentre stava… Però lei gli aveva detto che era dolce e
aveva degli occhi bellissimi. Forse lo diceva a tutti. Ma lui, ora, era
un uomo e le cose sarebbero solo migliorate.
Ero pieno di speranze e sogni, non avrei mai potuto immaginare che, solo pochi anni dopo, tutto sarebbe cambiato, io
sarei cambiato e mi sarei ritrovato con questo corpo, queste
responsabilità… E poi in un nuovo futuro, dove
ricominciare ancora.
Guardò di
nuovo Dixi, che lo abbracciava delicatamente. La strinse piano e le
baciò i capelli. Avrebbe dovuto convincerla a non pensare di
essere troppo poco per lui.
Se
stavolta potesse essere davvero diverso, nuovo e migliore. Guardami nel
cuore, Dix, perché è solo quello che conta.
Dixi si
svegliò un po’ confusa e con un pessimo gusto in bocca.
Era strano, ma diversamente dal solito si ricordava di aver bevuto;
tutto diventava nebuloso dopo Whole Lotta Love… E poi, dove li aveva sentiti i Led Zeppelin? Al massimo Frank Sinatra, in compagnia di Steve…
Si rigirò tra le coperte e guardò la finestra; la tenda era chiusa e sulla poltrona c’era il suo vestito.
Non ricordava di
essersi spogliata. Abbassò gli occhi su di se, aveva addosso una
t-shirt bianca, un po’ larga. Non era una delle sue, niente
teschi, o mostri, o alieni. Solo bianca.
Un attimo.
Una t-shirt larga e bianca.
Ne prese un lembo e l’annusò. Biscotti d’avena. Il profumo di Steve.
Oddio, ma gliela aveva messa lui?!
Il panico s’impossessò di lei. Perché ricordava vagamente di avergli detto che voleva fare… No, ditemi che non gli ho veramente chiesto di venire a letto con me! Si disse, inorridita.
Si scoprì
e sollevò la maglietta. Ok, aveva le mutande addosso. Forse la
sua dignità non era del tutto compromessa. E poi, insomma,
stiamo parlando di Capitan America, il simbolo vivente di tutto
ciò che c’è di buono e bello e giusto a questo
mondo, non si sarebbe mai approfittato di lei… Tra
l’altro, avrebbe odiato non ricordarselo.
Oh, Dio…
Aveva addosso la sua maglietta! Si strinse nelle braccia,
strusciandosela addosso. Sì, come farebbe una stupida fangirl
innamorata. Era la cosa più tenera, romantica e sexy che un uomo
avesse mai fatto per lei.
E ora, come cazzo faceva a parlarci?!
La ragazza fece
spuntare appena la testa scompigliata nell’arco che conduceva in
cucina. C’era una bella luce chiara. Steve era seduto al bancone
e stava mangiando una tazza di cereali. Zephir gli stava accoccolata in
grembo e lui aveva addosso solo i calzoni di un pigiama a righe
azzurre. Ed era così bello, con lo sguardo un po’
assonnato, i capelli spettinati e quelle meravigliose spalle nude, che
lei quasi si commosse.
“Steve…” Chiamò piano. Lui si voltò e le sorrise.
“Hey.” Fece allegro. “Credevo dormissi ancora.” Le disse poi.
Si girò un
po’ verso di lei, donandole una sconvolgente torsione di muscoli
solidi e bellissime mani contro il bordo dello sgabello e del tavolo,
oltre ad un sorriso dolce come lo sciroppo d’acero.
“Io invece credo di essere morta e di essermi risvegliata in paradiso…” Affermò rapita Dixi.
Lui arrossì e abbassò gli occhi. “Vado a mettermi una maglia.” Disse, facendo per alzarsi.
“No,
aspetta!” Lo bloccò lei, slanciandosi in avanti. Steve
risedette, fissandola sorpreso. “Ti devo chiedere una
cosa…” Aggiunse Dixi più timidamente.
“Dimmi.” La incitò il capitano con le mani in grembo.
“La… la maglietta, me l’hai messa tu?” Gli chiese.
“Sì.” Annuì Steve. “Ti giuro che non ho guardato, mentre lo facevo.”
“Purtroppo, non stento a crederci…”
“Purtroppo?” Fece lui incredulo. “Preferivi che guardassi?”
“Magari sì…” Lui sbuffò, lei sorrise incerta. “Steve…”
“Sì?”
“Stanotte ti ho fatto delle profferte sessuali?” Domandò Dixi con imbarazzo.
“Sì.”
Rispose sincero il capitano, facendole scrollare il capo. “Ma
stai tranquilla, so che eri ubriaca, non ti ho preso sul serio.”
Dixi crollò su uno degli altri sgabelli. “Il problema è proprio questo: ero ubriaca, ma ero seria.”
Steve sorrise e
allungò la mano per prendere la sua, si guardarono negli occhi.
“Lo so.” Le disse poi e sembrava quasi lusingato dal suo
interesse.
Dixi gli sorrise titubante. “Non ho fatto altre cazzate, vero?” Chiese preoccupata.
“Perché?” Replicò lui allarmato.
“No,
sai…” Fece la ragazza, deviando lo sguardo.
“…l’ultima volta che mi sono sbronzata davanti a uno
che mi piaceva, sono finita a ballare su un tavolo, per poi crollare a
terra con addosso solo un perizoma leopardato…”
Steve la fissò sconvolto. “Come quello di Tarzan?!”
“Ehm,
no… come quello di Victoria’s Secrets… E tu non hai
idea di che significa.” Biascicò lei, scoraggiata dalla
sua ingenuità. Lui scosse il capo.
Si guardarono per
un lungo momento, poi scoppiarono a ridere, mentre Zephyr li osservava
disgustata, accanto alla propria ciotola piena.
“Volevo
prepararti la colazione.” Confessò poi Steve, rammaricato.
“Ma questi fornelli ad induzione proprio non so come fare ad
accenderli…”
Dixi gli sorrise comprensiva, poi si alzò e gli diede una piccola pacca sul braccio.
“Ci penso io, tu finisci i tuoi cereali.” Gli disse, dirigendosi al frigo.
Steve
tornò a girarsi verso la tazza abbandonata poco prima, mentre
Dixi, dietro di lui, tirava fuori la padella. Erano rumori rassicuranti
di vita normale e lui sorrise contento.
Pochi istanti
dopo, in seguito ad un attimo d’improvviso silenzio, l’uomo
si ritrovò spinto in avanti, le braccia di Dixi a circondargli
le spalle ed il collo, il suo viso appoggiato contro il proprio.
“Che succede?” Domandò Steve divertito.
“Tu sei un
uomo meraviglioso e io… ti voglio bene.” Dichiarò
la ragazza, prima di baciargli la guancia con trasporto. Lui sorrise
lusingato. “Posso restare un momento così?”
“Quanto vuoi Dix.” Le rispose lui con un sorriso dolce.
“Grazie.” Fece lei, stringendolo un po’ di più e dandogli un altro bacio.
C’era luce
in cucina. E c’era una ragazza appesa alle spalle di un uomo a
torso nudo. Due cuori che battevano uno sull’altro. Ed entrambi
erano felici.
CONTINUA
NOTE:
(1) – la canzone che sta ascoltando Dixi è “Sweet child
of mine” dei Guns’n’roses
(2) – è la canzone che da il titolo alla storia: “I need a Hero” di Bonnie Tyler.
(3) –
La Sindrome di Asperger è considerata un disturbo pervasivo
dello sviluppo imparentata con l'autismo e comunemente
considerata una forma dello spettro autistico "ad alto funzionamento".
Fonte Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Asperger
Non che pensi che Tony ne sia veramente affetto
– ma se andate a leggervi tutta la pagina troverete molti sintomi
sospetti… - era
più che altro una battuta mutuata dalla 2x02 di Sherlock BBC.
(4) –
naturalmente parlo del celeberrimo film con Judy Garland del 1939, che
sicuramente anche il nostro caro Cap ha visto, dato che coglie il riferimento in “The Avengers”.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
InaH - 3
Terzo
capitolo di questa mia storia, che continuo a sistemare in corso di
pubblicazione (manca anche il finale, ci sto lavorando). Spero che
continui a piacervi!
La canzone in introduzione
è una delle mie preferite in assoluto: “Tougher than the
rest” del mio amatissimo (come ormai avrete capito tutti…)
Bruce Springsteen. Non lucro ma solo amore.
Buona lettura!
Sara
Capitolo 3
Maybe your other boyfriends
Couldn't pass the test
Well if you're rough and ready for love
Honey I'm tougher than the rest
L’abbraccio in cucina
di qualche giorno prima aveva aumentato la complicità tra Steve
e Dixi, come se il loro legame appena nato fosse passato ad un livello
successivo. Il capitano era emozionato e profondamente colpito da
questo, perché non gli era più capitato di capire
qualcuno con un solo sguardo dopo aver perso Bucky e Peggy.
Vivere ogni giorno in quel mondo così alieno - per un uomo cresciuto ottanta anni prima - sembrava sempre meno difficile.
Steve, per molto tempo dopo
il suo risveglio, si era sentito in affanno e fuori luogo nella
società del ventunesimo secolo, ma ora c’era Dixi che
gl’insegnava cos’era un iPhone, oppure U-tube – o
un’altra di queste sigle assurde – che era meglio non
mettere l’alluminio nel microonde, che le minigonne non erano
illegali e che due uomini si potevano baciare in pubblico senza
offendere il comune senso del pudore. E che il Presidente degli Stati
Uniti era di colore.
Steve si era domandato se
la sua fatica nel metabolizzare la modernità fosse dovuta
soprattutto ad una sua mancanza di voglia di farlo, di una ragione per
farlo. Lui era un soldato, lui sapeva combattere e capiva che il modo
migliore per essere sempre pronto era adattarsi velocemente. Lo aveva
sempre fatto, imparava in fretta. Però, lo spaesamento iniziale
di trovarsi in un altro tempo, lo aveva scoraggiato. E, se questo non
lo aveva condizionato in battaglia, lo aveva frenato nella vita.
Aveva acconsentito ad
andare a vivere con lei, soprattutto per sottrarsi dal controllo dello
SHIELD, ma ora, si sentiva pronto ad un’ulteriore evoluzione di
se stesso. Tempo nuovo, uomo migliore.
Se cominciava a provare
qualcosa per Dixi, al momento non sapeva dire di cosa si trattasse. Lei
non era certamente il suo ideale di donna, così stramba e
infantile, ma era una brava ragazza, molto più di quanto lei
stessa credesse e Steve avrebbe scommesso che i suoi sogni non erano
poi così diversi da quelli delle ragazze dei suoi tempi.
Il capitano si diresse in
cucina pensando di trovare la sua coinquilina in compagnia. La sentiva
conversare con qualcuno, una voce maschile. Quando finalmente
l’ebbe nel campo visivo, però, si accorse che era
completamente sola, c’era solo il laptop aperto sul bancone.
“Dovremmo proprio
lavorare su quella stringa di dati, c’è qualcosa che non
mi torna.” Disse la ragazza, versando acqua calda in una tazza
già provvista di filtro per il the.
“Sarà
necessario reinizializzare il browser del server principale, Signorina
Spitz.” Rispose il computer con voce impostata.
“Credi sia il caso di avvertire Tony?” Domandò Dixi mentre girava lo zucchero.
“È parte della procedura.” Precisò il pc.
“Bene, allora procedi.” Dichiarò lei.
“Dix…” Chiamò incerto Steve, dopo essere entrato nella stanza.
“Oh, ciao!” Lo salutò la ragazza.
“Che succede qui?” Le chiese sospettoso l’uomo, fronte aggrottata e occhi sul laptop.
“A quanto pare ho
avuto un ulteriore avanzamento di carriera…” Rispose lei
con tono divertito e misterioso. Lui la guardò interrogativo.
“Tony ha ritenuto che, per svolgere al meglio i miei compiti, io
dovessi avere un rapporto più diretto col software.”
“Non capisco…” Commentò spaesato Steve.
“Beh…”
Fece lei. “Steve Rogers, ti presento Jarvis.” Aggiunse,
indicando con un gesto teatrale il computer posato sul bancone di marmo.
Solo allora l’uomo si
accorse che non si trattava del solito portatile di Dixi, pieno di
adesivi, graffi e teschi, ma di uno molto più sottile e moderno,
color argento satinato.
“Benvenuto, Capitano Rogers.” Lo salutò una voce metallica.
Ma Steve stava guardando
Dixi con espressione severa. “Da quando lo chiami Tony?”
L’interrogò con la fronte aggrottata.
“Ecco…” Mormorò lei interdetta. “…ha tanto insistito…”
“Non credo,
Capitano…” Intervenne Jarvis. “…che lei debba
sospettare un qualunque tipo d’interessamento romantico e/o
sessuale del Signor Stark nei confronti della Signorina Spitz, è
statisticamente improbabile che ciò accada, visto il suo grado
di attaccamento alla Signorina Potts.”
“Io non… Che cosa?!” Sbottò confuso Steve.
“Cercherò di spiegarglielo in modo più semplice.” Disse il computer.
“Ah, sì? Grazie tante…” Commentò sarcastico il capitano.
“Il Signor Stark
è legato alla Signorina Potts in modo più profondo di
quanto lui stesso voglia ammettere, quindi mi sento di affermare che il
suo diritto di prelazione verso la Signorina Spitz, Capitano, è
completamente tutelato.” Sostenne Jarvis.
“Il mio…
diritto di prelazione?!” Esclamò Steve incredulo.
“Dix non è un appartamento!”
“Non ho affermato questo.” Precisò la voce dal portatile.
Steve si rivolse a Dixi con espressione esasperata. “Perché mi fai discutere con una macchina?”
“Jarvis non è
una macchina!” Replicò lei, quasi offesa. “È
un software molto complesso, pieno di affascinanti algoritmi e anche
più gentile di molti dei miei fidanzati.” Aggiunse, prima
di dirigersi fuori dalla cucina.
“Perché? Quanti fidanzati hai avuto?!” Esclamò Steve allibito.
“Qualcuno!” Rispose lei dall’altra stanza.
“Non ha niente da
temere, Capitano Rogers.” Lo rassicurò Jarvis, che lui
fissò sconvolto. “Nessuno dei precedenti fidanzati della
Signorina Spitz aveva minimamente le sue caratteristiche, le mie
proiezioni statistiche provano che lei si dimostrerà superiore
in qualsiasi attività decida d’intraprendere con la
suddetta Signorina.”
Steve roteò gli
occhi e si domandò perché anche il suo alter ego
informatico e politicamente corretto dovesse essere irritante quanto
Tony Stark in persona, quindi lasciò anche lui la cucina.
“Humpf, speravo che
almeno si baciassero.” S’intromise un’altra voce
maschile dal lap top. “Jarvis, disconnettiti…”
Ordinò deluso Tony.
“Davvero
t’infastidisce l’interessamento di Tony al mio
lavoro?” Domandò Dixi a Steve mentre erano al supermercato.
“Non
m’infastidisce che s’interessi al tuo lavoro.”
Rispose lui, studiando una confezione di cereali.
“M’insospettisce che lo faccia solo ora.”
“Io non capisco…” Commentò lei con in mano una confezione di muffin.
“Insomma, Dix!”
Sbottò Steve, voltandosi verso di lei. “Lavori per lui da
sei anni, no?” Lei annuì. “E solo ora capisce che
sei brava in quello che fai? Adesso, che ti ha conosciuta di
persona?” Aggiunse, con un’allusiva alzata di sopracciglia.
“Non penserai che gli
piaccia?!” Esclamò sconvolta la ragazza. Lui fece un gesto
eloquente. “Andiamo, è fidanzato con una donna
bellissima!”
“Ma sai come sono gli uomini come lui…” Asserì vago il capitano.
“Steve, ti
prego!” Sbottò Dixi, sfilandogli di mano i cereali e
sbattendoli nel carrello. “Non puoi pensare una cosa del genere,
è tuo amico!”
“Non così tanto.” Fece lui, stringendosi nelle spalle.
Dixi cominciò ad
osservarlo, mentre lui la precedeva col carrello. I capelli
perfettamente pettinati, la giacca di pelle marrone, i pantaloni grigi,
le scarpe di cuoio. Il perfetto bravo ragazzo americano.
L’imbattibile super soldato. Eppure qualche difetto lo doveva
avere anche lui.
“Sei geloso.” Sentenziò infine la ragazza.
Lui si fermò
improvviso, le larghe spalle rigide. Un attimo d’incertezza e
Dixi seppe di aver toccato il tasto giusto. Sorrise soddisfatta. Lui
riprese a spingere il carrello.
“Non sono geloso.” Sostenne senza girarsi.
“Oh, sì che lo sei, Super Capitano!” Replicò implacabile lei, afferrandolo per un braccio.
Steve la guardò e
Dixi si accorse che era arrossito appena; gli sorrise dolcemente,
stringendolo piano. Le piaceva l’odore di quella giacca, e di
Steve.
“Io non sono…” Tentò l’uomo.
“Guarda che mi fa
piacere.” Lo bloccò lei, prima di dargli un bacio sulla
guancia. “Vai tu a prendere il detersivo per i piatti? Li mettono
sempre in alto…” Gli chiese poi.
“Sì.” Annuì lui, sorridendole, l’imbarazzo era passato.
“Io vado a prendere
un po’ di frutta, ci vediamo alla piramide dei pelati.”
Affermò Dixi e, dopo un’altra strizzatina al suo braccio,
lo lasciò e si allontanò con espressione compiaciuta.
Il capitano stava
riflettendo su quanti colori potesse avere un detersivo per i piatti e
quanti frutti si potessero usare per aromatizzarlo, davanti ad uno
scaffale che lo inquietava più della distesa di computer dello
SHIELD.
“Scusa…” Si sentì chiamare dalla propria destra e quindi si voltò.
Era una ragazza bionda.
Capelli voluminosi sulle spalle, occhi blu ed un fisico modellato
dentro ad un elegante tailleur bianco. E un paio di quelle scarpe che
avevano l’aria di essere scomode quanto i tacchi erano alti.
Sbatté gli occhi perfettamente truccati un paio di volte e gli
sorrise.
“Potresti prendermi
quel flacone?” Chiese quindi a Steve. “È veramente
troppo in alto, per me.” Aggiunse, con una falsissima aria
rammaricata.
Lui osservò ancora
una volta le sue scarpe, dicendosi che sarebbero bastati un paio di
centimetri in più di quei trampoli, per arrivarci perfettamente.
Ma Steve Rogers era prima di tutto un gentiluomo e quindi rispose nel
modo più consono.
“Non c’è
problema.” Le disse, poi allungò la mano e afferrò
la bottiglia di denso liquido rosa.
“Oh, ti ringrazio!” Fece lei, prendendo il detersivo. “È il mio preferito!”
“Capisco…” Commentò Steve un po’ a disagio.
Non era stupido, sapeva
perfettamente che si trattava di un tentativo di abbordaggio. Quante
volte ci aveva provato, con metodi simili, quando era solo un garzone
sotto peso…
“Io sono Brit.” Si presentò lei, porgendogli una mano dalla perfetta manicure.
“Steve.” Rispose lui, stringendola.
“Abiti da queste
parti?” Gli domandò allora la ragazza, facendosi
più vicina; aveva un profumo talmente dolce da infastidire.
“Sì, qui vicino.” Rispose lui con un gesto vago.
“Anche io, mi sono
trasferita da poco.” Replicò Brit con tono frivolo.
“Lavoro per un importante studio di avvocati e volevo essere
più vicina all’ufficio.”
“Beh, sì, in effetti…”
Perché quando una
donna ci provava con lui gli capitava di regredire alla parte sfigata
della sua vita e diventare un demente balbettante con zero argomenti di
conversazione?
“Tu che lavoro fai?” S’informò la ragazza.
“Io, ecco… è un po’ complicato…”
“Ho tempo…”
Dix dove sei?
Dixi arrivò alla piramide dei pelati canticchiando Kiss di Prince, perché era quello che stava passando in quel momento nella filodiffusione del supermercato.
Steve non era ancora arrivato, così la ragazza si spostò per sporgersi nel corridoio dei detersivi.
Lui era a circa metà
dello scaffale e stava parlando con una bionda. Dixi, un po’
perplessa, si spostò di più, per vedere meglio.
Sì, quello era proprio il suo Capitan Imbranato che conversava
tranquillamente con una bionda superfiga.
Hai capito, lo lascio un minuto e subito mi concupisce una bionda… Un casino, quando hai per le mani American Sweetheart! (1) si disse sconsolata la ragazza.
Fu quando, però, si
accorse di un paio di particolari non indifferenti, che Dixi decise di
avvicinarsi ai due: Steve era a disagio e… lei conosceva quella
particolare bionda.
Ricordi improvvisi di
giornate nel campus le tornarono alla mente. Ragazze belle e bionde e
fortunate che uscivano con ragazzi altrettanto belli e biondi –
che somigliavano in modo preoccupante a Steve. Donne per cui far
capitolare un maschio era più facile che mettersi lo smalto,
mentre lei arrancava dietro a nerds stile The Big Bang Theory… (2)
Ci sarebbe cascato anche
Steve? Il suo eroico, gentile, dolcissimo Capitano? Era uguale agli
altri anche lui? E Peggy, Peggy era bella come Brit?
“Ciao, Brit.” Salutò la ragazza, una volta che ebbe raggiunto gli altri due.
“Oh, mio Dio!” Esclamò la bionda quando la riconobbe. “Dixi! Quanto tempo!”
“Davvero… Come
stai?” Fece l’altra, cercando di essere cordiale. Steve le
osservava a fronte aggrottata.
“Tutto
benissimo!” Rispose Brit. “È una coincidenza
incredibile esserci incontrate, non pensavo davvero che tu abitassi da
queste parti, sai, i prezzi…”
“È stata una… svolta recente.” Spiegò impacciata Dixi.
“Oh, anche per
me!” Replicò lei, sempre entusiasta. “Adesso sono
un’associata da Moriarty, Blake & sons, quindi sono
più vicina al lavoro… lo stavo giusto dicendo a
Steve.” E così dicendo indicò l’uomo
toccandogli il petto. “Ah, ti presento Steve.” Fece poi,
continuando a toccare il capitano.
Dixi e Rogers si scambiarono un’occhiata. Lui sembrava che dicesse: io non c’entro niente, fa tutto lei! Mentre la ragazza aveva un’espressione tipo: ma bravo, fatti palpeggiare ancora!
“Lo conosco.” Affermò quindi Dixi, senza spostare gli occhi da Steve.
“Come?” Chiese stupita l’altra.
“Sì.” Annuì lui. “Siamo coinquilini.”
Brit li osservò
incredula per qualche secondo, valutando la possibilità che tra
quei due ci fosse più di una semplice convivenza.
“Ah, questa sì che è una sorpresa…” Commentò quindi.
“Perché, scusa?” S’informò Steve perplesso.
“Beh, sai, con quello che fa Dixi…”
“E che cosa fa?” Insisté l’uomo.
“Ecco, frequenta tutta quella gente alternativa…”
“Cosa ne sai che non è alternativo anche lui?” Intervenne la ragazza.
“Non sembra
proprio…” Rispose Brit, lanciando una lunga occhiata
interessata a tutta la figura di Steve, che si sentì arrossire
le orecchie.
“Non sei cambiata per niente, dai tempi dell’Università, Brit.” Fu il commento serafico di Dixi.
“Oh, grazie! Me lo
dicono tutti che sembro una ragazzina!” Ribatté lei,
fraintendendo completamente la frase dell’altra.
Steve e Dixi si guardarono sorridendo divertiti. Meno male, il capitano aveva capito la sua battuta!
“Sentite…”
Riprese Brit. “…visto che siamo stati così
fortunati da incontrarci per caso, non possiamo assolutamente perderci
di vista.” E lanciò uno sguardo volutamente sensuale a
Rogers. “Venerdì sera organizzo un piccolo party per
inaugurare l’appartamento, voglio assolutamente che ci
siate!”
Entrambi sapevano benissimo
che l’unico che Brit avrebbe voluto alla festa era Steve e che
Dixi era stata invitata solo per educazione. Nonostante questo,
accettarono.
Quella sera avevano deciso
di andare a casa di Brit a piedi. In fondo si trattava solo di fare un
paio d’isolati e attraversare un parchetto. Niente che non
potesse essere affrontato di notte, specie se si circolava con un
supereroe a fianco.
Steve si era rimesso i
famosi jeans, sembrava che ormai ci si fosse affezionato e poi, gli
stavano da dio. Una maglietta blu e la sua giacca di pelle completavano
l’insieme.
Dixi, invece, portava una
camicetta rossa con le rouches e senza maniche, jeans scuri e giacca
nera. Sfidando la sua insana avversione, aveva messo anche i tacchi.
Camminavano in silenzio da
qualche minuto. Lui portava due bottiglie di vino e lei la pianta
d’orchidea da regalare alla padrona di casa.
“Perché non ti piace, questa gente?” Domandò improvviso Steve, interrompendo i pensieri di Dixi.
Lei lo guardò sorpresa “E cosa ti dice che non mi piacciono?” Replicò sospettosa.
“Chiamalo…
sesto senso del guerriero.” Scherzò lui, ma la sua
curiosità era più che seria.
“Che ti devo
dire…” Esordì la ragazza con una smorfia.
“Erano persone che passavano il tempo ad ignorarmi, per lo
più, almeno finché non avevano bisogno di me per un esame
d’informatica, di fisica o di matematica.”
“Quindi ti sfruttavano.” Commentò il capitano.
“No,
beh…” Fece lei, stringendosi nelle spalle. “Non mi
è mai interessato fare parte del loro mondo, non mi piaceva, ma
può capitare a tutti di essere un po’ invidiosi anche di
persone che non ci piacciono.” Spiegò poi.
Steve si fermò, costringendola a fare altrettanto. La fissò serio negli occhi.
“Non hai alcuna
ragione di sentirti inferiore a loro.” Dichiarò solenne,
talmente solenne che a lei venne quasi da ridere.
“No, certo… immagino di no.” Replicò quindi. “A parte la brillante vita sociale, niente.”
“A me non sembra che
la tua vita sociale sia così pessima.” Commentò
Steve, prima di riprendere a camminare. “E te lo dice uno che
potrebbe essere l’emblema della carente vita
sociale…” Aggiunse, con un velo di autoironia che suonava
molto nuovo per lui.
“Oh, Steve.”
Soffiò Dixi. “Tu non ti rendi proprio conto
dell’effetto che fai sulle persone…”
“Perché sono… bello?” Fece lui con tono amaro.
“No, perché
hai un carisma pazzesco, che va persino oltre la tua bellezza fisica
– innegabile, per altro.” Spiegò Dixi. “Quando
entri in una stanza, le persone si sentono obbligate a guardarti, ad
ascoltarti e a seguirti, tu sei un leader.”
“Questo vale quando sono Capitan America.” Sostenne l’uomo.
“No, il costume
è soltanto un simbolo, l’hai detto tu.”
Precisò decisa Dixi. “Conta l’uomo che
c’è dentro e…” Lo guardò negli occhi.
“…l’uomo che c’è dentro è pieno
di qualità, te l’ho già detto, anche con le sue
piccole mancanze.”
Lui sorrise timidamente, abbassando gli occhi. “Buono diventa migliore.” Mormorò quindi.
“Cosa vuol dire?” Domandò la ragazza, cercando i suoi occhi che la trovarono subito.
“È quello che mi disse il professor Erskine, quando decise di trasformarmi.” Raccontò Steve.
“Beh…”
Fece Dixi. “…immagino che se non ci fosse stata una base
più che buona, non saresti uscito così bene.”
“Nessuno me l’aveva mai messa in questi termini.” Disse l’uomo colpito.
“Dovresti
rifletterci, sai.” Affermò lei. “Invece di
continuare a pensare a cosa andava male prima, pensa ai motivi per cui
ti hanno scelto.”
Steve le sorrise con quello
che sembrava proprio orgoglio, poi le circondò le spalle col
braccio, tirandola più vicino.
“Io mi stupisco,
Euridice Spitz, che nessuno finora abbia capito quanto tu sia
meravigliosa.” Le disse poi, prima di darle un bacio sui capelli.
L’elegante porta
color avorio dell’appartamento di Brit gli venne aperta qualche
secondo dopo aver suonato il campanello. Fu un’altra sorridente
super bionda ad accoglierli, ma questa aveva i capelli lisci acconciati
in una coda di cavallo.
“Oh, Dixi!”
Esclamò subito, abbracciando ragazza e pianta. “Quando
Brit me l’ha detto non potevo crederci!” Aggiunse con
entusiasmo.
“Ja… Jane… che sorpresa…” Balbettò Dixi.
“Questo è il tuo coinquilino?” Chiese poi, lanciando un’occhiata rapace a Steve.
“Sì.”
Annuì l’altra. “Steve Rogers, ti presento Jane
Simpson, un’amica di Brit.” Fece poi.
“Piacere.” Disse il capitano, stringendo la mano di Jane.
“Brit mi aveva detto
che eri carino, ma non immaginavo così tanto.”
Affermò Jane, mentre fissava Steve con sguardo languido,
sfoderando la sua migliore aria da seduttrice. “Ma
accomodatevi!” Soggiunse poi, quando ritenne di aver già
piantato il seme della seduzione.
“Mi sorprende vedere qui Jane.” Fece Dixi a bassa voce, mentre lei e Steve posavano le giacche.
“Perché?” S’informò il capitano.
“Beh, tu non hai
visto lei e Brit accapigliarsi in mutande nei corridoi del dormitorio e
strapparsi i capelli davanti alla macchina del
caffè…”
“E lo avrebbero fatto
per quale motivo?” Domandò Steve divertito ad immaginarle
a quel modo, visto quanto erano perfettine.
“Oh, per un tizio che
non valeva proprio la pena.” Rispose lei con espressione
eloquente. “Era belloccio, ma aveva più materia grigia tra
le gambe che nel cervello.” Steve rise piano.
La serata trascorse
abbastanza tranquilla, tra stuzzichini e bicchieri di champagne, nel
più classico stile upper class. Non il massimo per chi, come
Steve Dixi, non ci era abituato.
Ad un certo punto, un
gruppo di persone si ritrovò seduto sui bei divani chiari al
centro del salone. Oltre a Brit e Jane c’erano almeno un altro
paio di vecchi compagni di università di Dixi. Tutti avevano
fatto una carriera più o meno brillante – si trattava di
Harvard, dopo tutto! – e facevano bella mostra non solo del loro
piacente aspetto, ma anche di ciò che gli permettevano i loro
stipendi: begli orologi, belle scarpe, bei vestiti, bei ritocchi
estetici.
“Tu che cosa fai ora,
Dixi?” Domandò Mark Thousend, aspetto molto wasp nel suo
completo firmato da immobiliarista rampante. “Perché
ricordo che avevi avuto qualche guaio, anni fa…”
Dixi si sentì
avvampare, soprattutto quando intercettò lo sguardo severo e
interrogativo di Steve, seduto poco più in là.
C’erano cose di lei che, per ora, era meglio l’integerrimo
soldato non sapesse.
“Beh, ecco…
è tutto risolto.” Si sbrigò a dire la ragazza.
“Adesso lavoro per le Stark Industries, come analista
informatica.”
“Tu?”
Intervenne Dick Geller, chirurgo toracico in brillante ascesa.
“Ma non eri una pacifista convinta?”
“Lo sono ancora, ma
ci sono offerte di lavoro che non si possono rifiutare .”
Spostò di nuovo gli occhi e vide Steve fissarla serio. “E
poi la Stark non produce più armamenti.” Aggiunse,
cercando una via d’uscita che non le facesse rivelare troppo a
proposito del suo passato.
“E ci credo che non
potevi rifiutare!” Commentò Jane. “Insomma, lo avete
visto Tony Stark? È così sexy…”
Steve soffocò una risatina sarcastica, sotto lo sguardo divertito di Dixi.
“Tu non lo trovi sexy?” Chiese allora la ragazza alla programmatrice.
“È un uomo
intelligente e ironico e sono cose che rendono molto
affascinanti.” Rispose Dixi; Steve, stavolta la guardò
male e lei gli fece una linguaccia appena accennata.
“Secondo me è
fuori di testa.” Sostenne Mark. “Bisogna essere un
po’ matti per portare avanti questa cosa di Iron Man, chi altro
rischierebbe la vita in quel modo stupido?”
“Non è un modo
stupido.” Intervenne Steve, con la sua voce gentile ma ferma,
tutti si voltarono verso di lui. “È un modo eroico.”
“Gli eroi esistono solo nei fumetti.” Affermò Dick, prima di sorseggiare il suo Scotch.
“Gli eroi esistono
davvero e, ogni giorno, mettono in gioco un pezzo di se.”
Sostenne lui. “Tutta questa città dovrebbe ringraziare di
avere un uomo come Tony Stark.” Continuò deciso il
capitano. “Qualcuno che, con il suo coraggio, generosità e
altruismo, ha salvato tutti noi molte volte.”
Dixi era affascinata dal
modo in cui Steve stava conducendo la conversazione. Non si era
aspettata che difendesse Tony, ma a quanto sembrava lo rispettava
più di quello che dimostrava. E poi lui sembrava così
sicuro di se, di quello che diceva, di come lo diceva, che non stentava
a credere che qualcuno potesse affidargli senza timori la propria vita.
Perché lo sapevi, eri certo che il capitano ti avrebbe fatto
portare a casa la pelle, che ti avrebbe guidato alla vittoria o, nel
caso, che avrebbe dato la vita per salvare quella degli altri. Non le
era mai stata così chiara la grandezza di Capitan America.
“Certo che ha un gran
difensore, il Signor Stark!” Commentò acido Mark.
“Lavori anche tu per lui?” Chiese poi a Steve.
“No, ma lo
conosco.” Rispose sicuro lui. “E so che, se tu ed i tuoi
amici avete ancora belle case e buoni lavori di cui vantarvi, una vita
da vivere, è perché Tony Stark ha rischiato la sua per
deviare un missile nucleare che si sarebbe schiantato su New
York.”
Tutti si zittirono a quella
dichiarazione, fissandosi imbarazzati chi le scarpe, chi un anello.
Dixi, invece, guardò Steve, incrociò quei suoi limpidi
occhi blu e gli sorrise orgogliosa di lui.
“Parli come se ci fossi stato.” Commentò Jane.
“Beh…” Rogers fece per rispondere.
“È un militare, sai, è più informato di noi.” Fu Dixi a precederlo.
Sospettando che il momento
della domanda sul lavoro di Steve sarebbe arrivata, i due coinquilini
si erano messi d’accordo su cosa dire.
“Ah, sei un militare!” Commentò interessata Brit.
“Adesso lavoro per un’agenzia governativa.” Dichiarò Steve, come concordato a casa.
“Lavori per la CIA?” Domandò colpita Jane.
“No.” Rispose secco lui.
“Beh, ma anche se ci
lavorasse non lo potrebbe certo dire, no?” Fece Brit
all’amica, che annuì convita, poi tornarono entrambe ad
ammirare il capitano.
“Quindi la nostra
piccola Dixi è finita con un militare…” Fece
maligno Dick. “Tu che facevi le marce per la pace, sostenevi
Occupy Wall Street e volevi assaltare le baleniere.”
“Sono ancora convinta
che le baleniere debbano essere assaltate.” Si difese lei, mentre
Steve seguiva un po’ perplesso quel nuovo argomento.
“Ma Dick, hai
frainteso!” Intervenne Brit. “Dixi e Steve non stanno
insieme! Vero?” Aggiunse, con una nota allarmata finale,
voltandosi verso il capitano.
“È
vero.” Annuì Steve, con gli occhi in quelli di Dixi.
“Ma sarei orgoglioso di essere il compagno di una donna come
Euridice.” Asserì solenne.
Lei arrossì, ma poi abbassò gli occhi e sorrise ampiamente.
“Sai, Steve.”
Fece Jane, toccandogli il braccio, con espressione compassionevole.
“Non credo proprio tu sia il suo tipo.” Dixi alzò
gli occhi allibita. “Come si chiamava quel tuo ragazzo, Dixi?
Quello bassino, impacciato, bruttino con gli occhiali?”
“Julian…” Rispose lei lugubre.
“Già! Sembrava proprio uno di quegli sfigati di The Big Bang Theory!” Rise la bionda con la coda.
“Che fine ha fatto?” Domandò allora Brit.
“Ha avuto un dottorato in California – a Pasadena, proprio come nel telefilm… pensò Dixi – e ci siamo lasciati.” Raccontò.
“Oh, che peccato!
Eravate una così bella coppia, così adatti uno
all’altra!” Esclamò Brit con un fintissimo,
esagerato rammarico.
“Sì, entrambi così dediti allo studio…” Ironizzò Mark.
“Io penso che avresti
potuto aspirare a qualcosa di meglio, sai Dixi?” Le disse Jane,
posandole una mano sulla gamba. “Se solo ti fossi tolta gli
occhiali e vestita un po’ meglio…”
“O se fossi stata un
po’ più disponibile e meno…” Brit fece un
gesto con la mano. “…scostante.”
Dixi, tra quel fuoco di
fila, si trovò terribilmente fuori luogo, tornata
improvvisamente la ragazza insicura dei tempi del campus, che non
sapeva mai cosa dire in compagnia di queste ragazze e che riusciva ad
essere se stessa solo quando parlava di circuiti e pixel con i suoi
amici sfigati, magari con una puntata di Star Trek in sottofondo.
“Credo sia ora di
andare via.” Proclamò una voce nel marasma che assediava
le orecchie di Dixi: era la voce di Steve.
Alzò gli occhi e lo vide in mezzo al soggiorno di Brit. Jane era schizzata in piedi dietro di lui.
“Ma è ancora così presto!” Esclamò supplicante la ragazza.
“Scusate.” Fece
lui, gentile ed educato come sempre. “Ma non ci tengo a restare
ancora in mezzo a persone mediocri e arroganti che umiliano chi
è più intelligente e sensibile di loro solo per sentirsi
meno stupidi, quindi, Signori…”
Si girò verso Dixi e
le porse la mano. Lei, in quel momento, lo vide come uno splendido
cavaliere su un cavallo bianco e alato, che veniva a salvarla
sull’onda di una musica eroica.
“…buon proseguimento. Euridice, andiamo a casa.” Le disse dolcemente.
Dixi gli prese la mano e si
fece sollevare dal divano, poi, ancora come immersa nel sogno, lo
seguì a prendere la giacca e poi fuori da quella casa, sotto gli
sguardi increduli di tutti i presenti.
La ragazza seguì il
capitano arrancando fino al piccolo parco che divideva i due isolati,
poi decise di fermarlo. Doveva parlargli e… le scarpe le davano
il tormento!
“Steve!” Lo chiamò. “Steve, ti prego.”
“Che succede?” Le chiese garbato, voltandosi verso di lei.
“Sei arrabbiato con me?” Gli domandò Dixi con espressione colpevole.
Steve la osservò per un lungo momento, poi abbassò gli occhi e sospirò.
“No, non sono
arrabbiato con te.” Affermò infine, rialzando il capo.
“Solo che non capisco perché te ne stavi lì, senza
reagire, a farti umiliare da quella gente.” Aggiunse deluso.
Stavolta fu Dixi ad abbassare gli occhi. “Credevo che potessi capire.” Mormorò poi.
“Cosa, Dix?” L’interrogò lui.
Erano uno davanti
all’altra, in un vialetto semi buio, tra una panchina rotta ed un
lampione che illuminava male. Non sembrava il posto migliore per le
confessioni, eppure stava succedendo.
“Come ci si sente ad
osservare le persone che vivono intorno a te, che ridono, si divertono,
s’innamorano, e sapere che per te non sarà mai così
facile.” Dixi non avrebbe voluto, ma la sua voce
s’incrinò. “Guardare la vita degli altri e
desiderare di farne parte, di essere come loro.”
Steve la fissava serio, la fronte aggrottata ed un’espressione dubbiosa.
“So cosa vuoi dire e
lo capisco.” Le disse. “Ma quelle persone, Dix, sono
peggiori di te in tutto, non puoi veramente aver desiderato
assomigliargli.”
“Io volevo solo che le cose fossero più facili, come lo erano per loro.” Ammise lei, gli occhi lucidi.
“Sembrano più
facili solo perché le fanno con superficialità.”
Sentenziò implacabile Steve. “Dovresti essere felice di
essere così profonda da porti dei dubbi.”
“Io non…” Esalò Dixi.
Steve la prese per le
spalle all’improvviso e lei fu costretta ad alzare gli occhi e
fissare le iridi del capitano. Qualcosa di profondo e tormentato
agitava quell’azzurro solitamente calmo.
“Tu pensi che per me,
ora, la vita sia più facile? Solo perché non ho un
attacco d’asma dopo la seconda rampa di scale? Perché ora
sono le donne a desiderare me e non il contrario?” Le chiese
severo. “Solo perché ho il mio scudo e la mia forza? Non
è facile per niente.” Sostenne, stringendo la presa sulle
sue spalle. “Quando poso lo scudo, pensi che sia semplice per me
aprire il cuore a qualcuno e ammettere che ho paura, che sono fragile
come chiunque altro, che mi sento solo? Non ci sono molte persone
disposte a capire.”
“Ci sono io.” Dichiarò la ragazza con voce rotta.
“Sì, ci sei
tu.” Confermò lui con un sorriso appena accennato.
“E sei la cosa migliore che mi è capitata dal 1943,
Dix.”
“Oh, Steve…”
“Dimentica quella gente e pensa a quanto sei importante per me.”
Dixi trattenne le lacrime e
lo abbracciò d’impeto. “Non sai quanto ho aspettato
uno come te.” Confessò contro il suo petto.
“Scusami per il
ritardo.” Fece lui impacciato. “Ma ero un tantino…
congelato.” La ragazza rise piano e lui fece altrettanto,
stringendola a se.
“Adesso ho voglia di baciarti.” Ammise Dixi, mentre continuava a nascondere il viso nella giacca di pelle di Steve.
“Beh, anch’io.” Replicò il capitano; lei si scostò e lo fissò interrogativa.
“Vuoi baciarmi?” Fece perplessa.
“Non dovrei?”
Ribatté lui, poi arrossì appena abbassando il capo.
“Si da il caso che la mia confessione riguardo la tua importanza
nella mia vita, non fosse proprio platonica…”
Dixi sorrise e gli prese il
viso tra le mani. “Steve Rogers, tu sei il più adorabile
imbranato dell’universo!” Dichiarò allegramente. E
poi lo baciò.
Fu un bacio molto meno
rigido di quanto la ragazza avesse immaginato, perché Steve
rispose con passione, stringendola tra le braccia. Le sue labbra erano
morbide e impazienti e Dixi non si tirò certo indietro,
rispondendo con impegno.
“Oh, Capitano
Rogers…” Esalò quando si staccarono, dopo un tempo
non quantificabile. “…lei ha degli arretrati!”
“Sto cominciando
a… scaldarmi!” Scherzò lui. Risero insieme,
tenendosi abbracciati. “È meglio se andiamo a casa, non
vorrei dare spettacolo in un parco pubblico.” Suggerì poi
Steve, prima di darle un bacio sul naso e prenderla per mano.
Dixi, però, fece un verso sofferente che costrinse il capitano a fermarsi e guardarla interrogativo.
“Mi fanno malissimo le scarpe…” Confessò affranta la ragazza.
Steve sorrise con tenerezza, divertito. “Dai, salta su, ti porto io.” Le disse quindi, indicando le proprie spalle.
“Davvero?” L’interrogò lei stupita.
“Sali.” Rincarò lui, dandole la schiena.
Pochi istanti dopo Steve
camminava verso casa con Dixi sulle spalle. La reggeva agevolmente e
lei gli cingeva il collo, col naso affondato nel colletto del
giubbotto, pensando che era utile avere un supereroe quando ti fanno
male i piedi.
E quando la mise
giù, davanti al portone, Dixi dovette ringraziarlo con un altro
bacio, cui ne seguirono altri in ascensore e poi in soggiorno.
Dormirono insieme, perché separarsi sarebbe stato impossibile.
CONTINUA
NOTE:
(1) – spesso tradotto con “fidanzatino d’America”.
(2) – popolare serie televisiva con protagonisti giovani geniali nerd fissati con fumetti, fantasy e
fantascienza; perché sì, alla fine sono una geek che ama follemente Star Trek ed ha un debole
per i sociopatici genialoidi e quindi adoro questa serie!
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
InaH - 4
Bene, le vicende di questa bislacca coppia vanno avanti, spero che continuino ad appassionare la maggior parte dei lettori.
La canzone che introduce il capitolo è “Happy now” dei Bon Jovi. Mi sembrava adattissima, niente lucro.
Buona lettura!
Sara
Capitolo 4
Can I be happy now
Can I break free somehow
I just wanna live again
Love again
Take my pride up off of the ground
I’m ready to pick a fight
Crawl out of the dark to shine a light
I ain’t throwing stones, got sins of my own
Ain't everybody just trying to find their way home
Steve uscì dalla sua camera col sorriso sulle labbra.
La routine della
sua convivenza con Dixi non era cambiata molto da quando stavano
insieme, se così si poteva dire. Sì, capitava spesso che
dormissero insieme, nel più completo rispetto reciproco, o che
uscissero di casa mano nella mano e, magari, che passassero la serata
sul divano a baciarsi ignorando il film in onda. La maggior parte delle
loro serate, però, passava sempre nel vecchio modo: con Dixi che
gli spiegava qualcosa su telefoni e computer e lui che ascoltava
rapito, tenendola sulle ginocchia, posto usurpato alla povera Zephyr,
che si vendicava dormendo di notte sopra la testa di Steve a mò
di cappello di pelo.
Il capitano
ridacchiò a quel pensiero, mentre passava davanti alla camera
della sua coinquilina. Quando sentì la musica, però, si
fermò ad ascoltare. Dixi stava canticchiando sulle note
provenienti dallo stereo. Steve si affacciò nella stanza,
pensando di vederla rifare il letto o sistemare la biancheria, invece
la stanza era apparentemente vuota.
L’uomo
stava per andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Davanti alla porta del bagno c’era un grande specchio, di quelli
orientabili, con la cornice di legno, sembrava anche abbastanza antico,
forse era un ricordo di famiglia. Lo specchio era posizionato in modo
da riflettere la porta socchiusa del bagno e la figura di Dixi che si
spogliava per fare la doccia.
Steve sapeva che
era maleducato e anche abbastanza riprovevole farlo, ma non
riuscì a non guardare. Lui, che arrossiva se una delle ballerine
che l’accompagnavano sul palco si slacciava il costume di scena
davanti ai suoi occhi.
Dixi si
sfilò la maglietta. Sotto portava un reggiseno fucsia e un paio
di mutandine bianche. Il suo corpo era più armonioso di quanto
si poteva pensare vedendola con le sue magliette troppo larghe. Era
bella, con la pelle bianchissima ed i capelli appuntati a caso sulla
nuca. Cantava piano, con aria innocente e inconsapevole. Steve si
sentiva un verme, ma gli era impossibile togliersi da lì.
La ragazza si
tolse il reggiseno e, prima di buttarlo a terra, fece una specie di
balletto sulle note della canzone, che provocò una dolorosa
contrazione al basso ventre del capitano. Il suo seno era piccolo,
candido e sodo, doveva essere così delizioso al tatto…
Va bene, Steve… gli disse la voce della sua coscienza. È
la tua ragazza, è normale che la desideri, tu sei in colpevole
continenza da troppo tempo e lei, lei te lo ha detto apertamente che
è disponibile, dietro quanti paraventi morali ti vuoi ancora
nascondere, ragazzo mio?
Perché la voce della sua coscienza somigliava in modo preoccupante a quella di Tony Stark?
Oh, Dio, no… esalò mentalmente Steve, quando la ragazza si sfilò le mutandine. Basta così! si ordinò quindi, prima di fare un vigoroso dietrofront e allontanarsi velocemente dalla camera.
Steve se ne
andò in cucina, intenzionato a preparare la colazione. Era
ancora accaldato, le mani gli tremavano un po’ e c’era
qualcuno nei suoi pantaloni che non si decideva a mettersi a posto.
Cominciò
ad apparecchiare sul bancone, cercando di distrarsi, per quanto era
possibile. A quel punto, il sesso diventava un argomento che avrebbero
dovuto affrontare.
Distratto dai
suoi pensieri, mentre posava un piatto sul piano, urtò il
portatile di Dixi, come sempre abbandonato da quelle parti. Lo schermo
s’illuminò, ma lui non ci fece molto caso, almeno
finché, passandoci davanti per la seconda volta, non si accorse
di un’intestazione e di una foto.
Abbandonò
tutto quello che stava facendo ed ogni stupido pensiero che aveva in
testa, si sedette davanti all’apparecchio, scorrendo le pagine
come gli aveva insegnato Dixi, mentre la sua espressione si faceva via
via più torva e seria, durante la lettura. Strinse talmente
forte le dita intorno ad una tazza, che la sbriciolò.
Quando Dixi
arrivò in cucina tamponandosi i capelli, lo trovò
appoggiato con i fianchi al bancone della cucina, le braccia e le gambe
incrociate ed uno sguardo serio da far paura.
“Che succede?” Gli domandò lei con un gran sorriso, sperando di stemperare l’umore di Steve.
“Dovresti
dirmelo tu.” Replicò lui glaciale, poi allungò una
mano e girò platealmente il lap top, mostrandole lo schermo con
quello che aveva scoperto.
“Oh…” Riuscì solamente a dire lei.
“Tu, hai fatto delle ricerche su Peggy?” Le chiese cupo Steve.
“Sì,
l’ho fatto, ma…” Tentò Dixi, facendo per
avvicinarsi, ma lui alzò le mani e si spostò, mettendo
tra loro due la consistenza del mobile.
“Non
m’interessa perché lo hai fatto!” Sbottò
l’uomo. “Tu sei andata a scavare nel mio passato senza
permesso, in qualcosa che mi sta a cuore, e per farlo sei entrata
illegalmente nel database del Pentagono, Euridice!”
“Steve…”
La ragazza allungò una mano verso di lui, ma il capitano si
voltò dall’altra parte.
“Dimmi…”
Riprese, trattenendo a stento la rabbia. “…quanti
protocolli di sicurezza hai dovuto violare, per soddisfare la tua
curiosità?”
“Non
l’ho fatto per curiosità!” Si difese lei.
“Volevo solo sapere, capire… Pensavo che, prima o poi,
avresti dovuto affrontare questa cosa e…”
“No.”
La bloccò lui, posando una mano sul piano di marmo, gli occhi
bassi, poi scosse il capo. “Quella era la mia vita, le persone
che ho amato e tu… tu non c’entri niente.”
“Steve!”
Provò ancora Dixi, disperata, mentre lui lasciava la cucina.
“Dove vai?” Gli domandò seguendolo. Lo vide prendere
la giacca e aprire la porta di casa.
“A prendere una boccata d’aria.” Dichiarò lui, prima andarsene senza degnarla di uno sguardo.
La ragazza scivolò lungo il muro che aveva a fianco e scoppiò in un pianto dirotto.
“Signorina Potts.” Chiamò Tony entrando in ufficio.
“Signor Stark?” Fece lei di rimando, alzando gli occhi dalle cartelline che aveva in mano.
“Ti sei assicurata che il Capitano Rogers abbia ricevuto il suo invito alla festa?” Le chiese l’uomo.
“Ha mandato
una e-mail in cui confermava la sua presenza e quella di Dixi.”
Rispose la donna, finendo di sistemare il lavoro sulla scrivania.
“Oh, santo
cielo!” Esclamò Tony, infilando uno sguardo commosso degno
di un candidato all’Oscar. “Sa usare la posta elettronica,
sono così fiero di lui! Mi viene da mettere la mano sul cuore e
cantare l’inno!”
Pepper scosse il
capo levando gli occhi al cielo. Stava ancora cercando di capire cosa
provasse davvero Tony per Steve. Adorava prenderlo in giro, ma lei non
dubitava che volesse anche aiutarlo seriamente. Perché se
Capitan America era sempre stato uno dei motivi di lontananza tra Tony
e suo padre, Steve Rogers era una persona vera, leale e coraggiosa, che
lui, in fondo in fondo, ammirava.
“Sai, non
credo che Dixi abbia un vestito da sera adatto alla festa di
sabato.” Affermò la donna, poco dopo, tornando a girarsi
verso Tony.
“Beh?
Portala a fare shopping.” Suggerì lui. “Le
farà bene uscire con una donna di classe come te.”
“Eh…” Fece Pepper assorta. “…spero davvero che tra loro le cose vadano bene.”
“Perché non dovrebbero?” Ribatté stupito l’uomo.
“Hanno un background così diverso.” Sostenne la donna.
“Anche io e te e, beh, eccoci qua!” Dichiarò Stark allargando le mani.
“È
solo che mi dispiacerebbe se soffrissero.” Affermò Pepper.
“Sono due personcine così adorabili.”
“Non
temere, mia cara.” La rassicurò allora lui, stringendola
per le spalle. “Sono sotto l’ala protettrice di un
meraviglioso, illuminato, mecenate dell’amore.”
“Uno a caso, eh…” Commentò Pepper.
“Il migliore!” Asserì convinto Tony.
Pepper
riuscì a convincere Dixi ad andare a far compere insieme, ma
quel pomeriggio di shopping fu meno spensierato di quello che la donna
avrebbe immaginato.
Dixi era di
pessimo umore, malinconica e poco collaborativa; non aveva mai parlato
di Steve e sorrideva appena alle battute dell’amica.
Ora erano davanti
ad un enorme specchio in una delle boutique più prestigiose
della città e la ragazza indossava un magnifico abito rosso
monospalla che le stava d’incanto, però la sua espressione
era mesta, quasi triste.
“Cosa
succede, Dixi?” Le domandò dolcemente Pepper, decidendosi
finalmente ad infrangere la riservatezza della sua accompagnatrice.
Dixi si
guardò riflessa nello specchio e storse la bocca. “Non
credo che un vestito rosso e qualche stellina…” Disse poi,
toccando la piccola cascata di stelle luccicanti che collegava la
spallina allo scollo drappeggiato. “…possa servire a
qualcosa.”
“Che cosa è successo?” La domanda di Pepper era più preoccupata, ora.
Dixi chinò il capo, tormentando la gonna rossa che le scivolava sinuosa fino ai piedi.
“Io e Steve
abbiamo litigato.” Confessò seria. “Per… per
colpa mia… Verrà alla festa solo perché si sente
in obbligo verso Tony, ma se fosse per me, penso preferirebbe andarsene
in Canada.”
“Oh, non dire così, Dixi…” Fece comprensiva l’altra, posandole una mano sulla spalla.
“No, ha
ragione.” Replicò lei. “L’ho profondamente
deluso e non credo che mi perdonerà mai…”
“Non
potrà essere così terribile, c’è sempre un
modo di rimediare.” Le disse Pepper con aria saggia; se
c’era una che sapeva che si può rimediare anche a
situazioni impossibili era lei.
“Andiamo!”
Sbottò Dixi. “Stiamo parlando di Capitan America! Il suo
secondo nome potrebbe essere: inflessibile!”
“Ascoltami,
Dixi.” Le ordinò l’amica, prendendole le mani e
facendola girare verso di se. “Ho anche io a che fare con un uomo
un tantino… difficile.” Le disse poi, con tono paziente.
“Steve è intelligente e sensibile, sono certa che se gli
chiederai scusa con sincerità, saprà perdonarti.”
“Non vuole neanche ascoltarmi, Pepper!” Esclamò disperata la ragazza.
“Forse deve
un po’ sbollire.” Suggerì ottimista la Potts.
“È un maschio, sai, dovrà starsene a fare
l’orso muto per un po’, rimuginando e sfogandosi riempiendo
di cazzotti un saccone…”
“Spero sia solo per quello…” Commentò lugubre la ragazza.
“Magari la
festa sarà una buona scusa per poterci parlare.”
Ipotizzò Pepper. “E quando ti vedrà con questo
vestito, rimarrà così colpito che ti perdonerà
all’istante!”
“Non sono tanto convinta…”
“Al limite,
potrai farlo ingelosire un po’.” Fece Pepper, dandole una
spintarella. “Ci saranno un sacco di bei ragazzi.” Aggiunse
con un occhiolino.
La sera della
festa alla Stark Tower infine arrivò. Steve e Dixi ci andarono
insieme, ma non si poteva dire che fossero esattamente in coppia.
Non c’erano gesti galanti o mani congiunte, lui neanche la
guardava. E non aveva detto niente del vestito, anche se vedeva solo la
gonna sgargiante spuntare dal soprabito bianco.
Il capitano aveva
indossato lo smoking. Ed erano quelle cose che una ragazza sogna per
tutta la vita: un uomo così – con quegli occhi e quelle
mani e quelle spalle – dentro un vestito così. A Dixi,
però, non restava che ammirare quanto bene la giacca gli
scendesse su quell’opera d’arte che era il suo fondoschiena
e sospirare.
La ragazza si
sfilò il soprabito, davanti al guardaroba, poi si voltò
e, casualmente, si accorse dello sguardo di Steve che la osservava. O
meglio, guardava il vestito, i drappeggi, le stelle. Lui, poi,
alzò gli occhi e incrociò i suoi. Non disse niente e si
voltò subito.
Lei sbuffò
delusa e consegnò il trench alla guardarobiera. Quando
tornò a girarsi verso l’entrata del salone, l’uomo
biondo che vide non era lo stesso di prima.
A parte che era
perfino più alto di Steve, con due spalle spaventose nella loro
imponenza, accentuata da un mantello porpora accuratamente drappeggiato
sopra. Indossava un improponibile completo in scaglie d’argento,
ma aveva due bellissimi occhi blu ed un sorriso gentile.
“Buonasera,
fanciulla.” La saluto, con un modo un po’ antiquato.
“Il mio nome è Thor, principe di Asgard.” Si
presentò quindi.
“Oh!”
Fece lei stupita, non se lo immaginava per niente così; lo aveva
sempre associato alle vecchie immagini sui dischi di lirica della
nonna, con tizi panciuti dalle parrucche rossicce e dagli elmi cornuti.
Ma questo splendido vichingo non aveva niente a che fare con grassi
tenori che cantavano Wagner. Era molto, ma molto meglio.
“Posso conoscere il vostro nome?” Domandò lui, vedendola muta.
“Ah, sì!” Fece lei riscuotendosi. “Mi chiamo Dixi.”
“Dixi?” Pronunciò lui interrogativo. “Un nome alquanto bizzarro anche per il popolo di Midgard.”
“Beh, in realtà è… Euridice.” Confessò timidamente lei.
“Codesto
sì che è un bel nome, Madama Euridice, e vi dona
anche.” Asserì lui. “Volevo complimentarvi con voi
per la scelta di questo gioiello.” Le disse poi, prima di
allungare una grande mano e toccare, con inaspettata delicatezza, uno
degli orecchini di Dixi. “L’albero della vita,
Yggdrasill.” Disse infine.
“Sì,
è proprio quello.” Confermò la ragazza, sfiorando a
sua volta uno degli orecchini d’argento. Thor sorrise radioso,
eclissando anche le luci della festa.
“Posso
avere l’onore di accompagnarvi all’interno della sala,
Madama Euridice?” Le chiese quindi, indicando con un gesto ampio
l’entrata.
“Volentieri.” Rispose prontamente lei.
Thor allora le
porse il braccio che lei afferrò. Aveva dei bicipiti grandi come
tutta la sua testa e lei si ritrovò praticamente appesa come una
scimmietta.
Ripensò
alle parole di Pepper, forse era anche giusto aspettare i tempi di
Steve e non sentirsi in colpa a volersi godere la festa. Si
sentì egoista ma, in fondo, lui l’aveva mollata al
guardaroba.
Il salone della
festa era grandioso, ma non ci si sarebbe potuti aspettare di meno da
Tony Stark. L’evento si svolgeva su due livelli semicircolari;
sopra, una grande terrazza si affacciava sulla sala sottostante, al
centro un imponente lampadario di cristallo il quale, da solo,
probabilmente valeva milioni di dollari. L’orchestra suonava
armoniosa sulla sinistra, il bar era sulla destra ed il buffet davanti
alle grandi vetrate affacciate sulle luci dell’Hudson.
Dixi
spaziò velocemente tra le persone presenti, ma era pieno di
uomini in smoking e non riuscì a riconoscere Steve tra di loro.
Si disse che non doveva esserci, perché lo avrebbe notato di
sicuro.
Thor, con un
sorriso, la condusse all’interno, sotto lo sguardo incuriosito
delle persone presenti. Beh, presentarsi al braccio di uno così,
rendeva piuttosto appariscenti.
Arrivati nei
pressi del bar, si videro venire incontro un sorridente Stark, che
però si fece più serio ed interrogativo, man mano che si
avvicinava a loro.
“Aspettate
un attimo.” Li bloccò con la mano alzata, prima di
studiarli concentrato. “Qualcosa non torna… Ragazza
giusta, ma… Vendicatore sbagliato!” Affermò quindi.
Dixi e Thor lo fissarono perplessi, poi lei sbuffò e abbassò gli occhi, mentre Tony incrociava le braccia.
“Lui dov’è?” Chiese il miliardario alla ragazza.
“Ehm… non lo so…” Rispose imbarazzata lei, tormentandosi il braccialetto.
“Ma è venuto, vero?” Insisté Tony.
“Sì… però… mi ha lasciata al guardaroba…” Spiegò Dixi.
“Io non ci sto capendo niente.” Intervenne confuso Thor.
“Oh,
tranquillo, Thor!” Gli disse Stark con una pacca sul braccio.
“Ci siamo abituati.” Poi tornò a guardare Dixi con
sguardo severo. “Che cosa hai combinato? Perché non esiste
che Steve Rogers sia sgarbato con una donna, tanto da lasciarla in
balia del primo aitante dio norreno che passa.”
“Magari ne passassero di più!” Commentò la ragazza, con un’occhiata ai muscoli di Thor.
“Lo dici
perché non hai conosciuto suo fratello: emaciato, occhi da
pazzo, insana propensione alla defenestrazione, nahhh…”
Fece Tony. “Dicevamo di Steve, però.” Riprese
implacabile.
“Abbiamo avuto un problemino e…” Mormorò lei ad occhi bassi, guardando in giro.
“Ahhh!”
Fu il solo consapevole commento di Tony, poi si rivolse
all’asgardiano. “Thor, vai a prenderti un drink, fatti fare
un bel… Dixispitz, ha l’ombrellino rosa.”
La ragazza fissò il miliardario con tanto d’occhi. “Hai fatto fare un cocktail col mio nome?!”
“Sei tu, che ti chiami come un cocktail!” Ribatté immediato lui. “Thor, per favore…”
“Ho
capito!” Fece il biondo eroe alzando le mani. “Mi allontano
solo perché ho compreso che tu, Uomo di metallo, e Madama
Euridice dovete intraprendere un discorso privato, ma puoi star certo
che se riterrò tu la stia importunando, interverrò
immantinente.”
“Sì, ne sono certo.” Annuì Tony. “Bravo ragazzone.” Aggiunse, spingendolo verso il bar.
Quando
l’asgardiano si fu allontanato, Stark condusse Dixi un po’
in disparte, pronto ad un interrogatorio degno del Kgb.
“Allora, che cosa è successo?” Domandò con occhi affilati.
“Pepper non te l’ha detto?” Replicò timorosa lei.
“Ha detto
che avete discusso, non avevo idea che fosse così grave!”
Sbottò Tony. “Capitan Galantuomo che ti molla in
anticamera, devi avergli spezzato il cuore!”
“Oddio, sì!” Esclamò disperata la ragazza. “È tutta colpa mia!”
Tony la prese per le spalle. “Calma e ragioniamo! Cerchiamo di essere razionali!”
Dixi assunse
un’espressione sospettosa. “Non ti starai appassionando un
po’ troppo ai cazzi nostri, Signor Stark?” Chiese a fronte
aggrottata.
“Scherzi?!
Siete la mia soap opera preferita! Capitan Incasinato e la Reginetta
della Rete!” Rispose lui ad occhi spalancati. Dixi fece una
smorfia. “Parla!” La incitò lui.
“Io…”
Dixi era esitante, non sapeva se era giusto parlarne proprio con lui,
ma poi alzò gli occhi in quelli di Tony e li trovò
sinceramente preoccupati. “Ho fatto un casino.”
Esordì infine. “Ho fatto delle indagini su Peggy Carter,
lui l’ha scoperto e… s’è incazzato.”
Stark esalò un lungo respiro. “Hai violato qualche file riservato?” Le chiese partecipe.
Il viso della ragazza si contrasse in una smorfia colpevole. “Riservati no… Classificati, sì…”(1)
“Ohh,
classificati!” Esclamò Tony, improvvisamente gioioso.
“Avrai infranto innumerevoli firewall governativi, penetrando nei
più reconditi database del… Pentagono!” Fece,
orgoglioso.
“Sì,
esattamente…” Soffiò lei. “E magari anche del
Ministero della Difesa e dello SHIELD…”
“E lui lo
sa.” Dixi annuì. “E non ti ha buttata fuori di casa?
Hm, tiene a te più di quanto credessi…”
“Non sei divertente Tony…”
“Non devo ricordarti tutti i capi d’accusa che avevi sei anni fa, vero?”
“No, li ricordo uno ad uno…”
“Sai che,
con questa cosa, potresti finire dritta in un carcere federale?”
Dixi rantolò. “Hai violato i termini della libertà
condizionata, è un bel casino.”
“Non
infierire, ti prego.” Lo supplicò, coprendosi il viso con
una mano. “Se Steve sospettasse anche questo, credo che mi
bandirebbe a vita, forse con un provvedimento restrittivo…”
“Ma perché lo hai fatto?” Chiese arreso il milionario.
“Non lo so!” Squittì Dixi.
“Non
piagnucolare! Odio i piagnucolii, mi fanno arricciare le dita dei
piedi!” Le disse lui. “Vabbene, adesso vado a stanarlo e ci
parlo io.”
“No, per l’amor del cielo!” Lo bloccò lei.
“Perché?”
Fece lui, con l’espressione più ingenua del mondo.
“Ti garantisco che sarò diplomatico, potrebbero eleggermi
segretario dell’ONU.”
“E il giorno dopo l’ONU non ci sarebbe più…” Commentò lugubre Dixi.
“Ti fidi così poco?” S’informò meravigliato Tony. Lei storse la bocca.
“Signor Stark.” Li interruppe una suadente voce femminile.
Si voltarono e
videro una bellissima donna dai capelli rossi, inguainata in un
sensuale abito nero, al braccio di un uomo in smoking che ricordava
l’affascinante rocciosità del James Bond di Daniel Craig.
Lei li guardava con espressione da gatta maliziosa.
“Agente Romanoff, Agente Barton.” Salutò distrattamente Tony.
“Non ci
presenta la sua amica, Signor Stark?” Suggerì la donna,
indicando Dixi con gli occhi; lei sorrise timidamente.
“Natasha
Romanoff, Clint Barton, questa è Dixi Spitz.” Fece
sbrigativo il padrone di casa. “Ora se volete scu…”
“Un nuovo acquisto dello SHIELD?” Domandò Clint con un sorriso.
“Oh,
no!” Rispose subito Dixi. “Mi piacerebbe molto essere una
ninja girl che lancia stelle esplosive, o una super agente segreta che
nasconde fucili a canne mozze in microscopiche mutande, ma no…
sono solo un’analista informatica.” Spiegò con un
sorriso innocente.
Nel gruppetto,
però, era calato un silenzio glaciale, i due uomini stavano
guardando Natasha, trattenendosi palesemente dallo scoppiare a ridere.
La faccia della spia dai capelli rossi era ancora agghiacciata dalla
descrizione appena ricevuta, che per altro le calzava a pennello.
“E poi, mi
domando perché adoro questa ragazza.” Dichiarò
entusiasta Tony, prendendo una perplessa Dixi per le spalle.
Clint non si trattenne più e scoppiò a ridere. Natasha gli diede un pestone con i suoi acuminati tacchi.
Era stato un
attimo, perdere di vista Stark. Quando era arrivata Pepper, Clint e
Natasha stavano battibeccando per via della risata di lui, poi li aveva
raggiunti Thor con in mano un grosso ananas decorato da una vera e
propria mini pagoda di ombrellini rosa ed il discorso si era spostato
sul cocktail nominato Dixispitz. Qualche battuta e risata e Tony era
sparito.
Adesso sarebbe
andato a parlare con Steve – sempre che lui fosse ancora alla
festa – e Dixi ci avrebbe rimesso anche quella poca
dignità che le era rimasta…
Non fu difficile
per Tony scovare Steve. Era al bar del piano superiore, dove
c’era meno gente. Appollaiato su uno sgabello, i gomiti sul
bancone, gli occhi a fissare il vuoto e un bicchiere mezzo pieno
davanti. L’uomo fece un cenno al barista, che gli preparò
subito da bere.
In silenzio,
Stark si avvicinò e prese posto sullo sgabello vuoto accanto al
suo, scrutò il bel profilo del capitano, finché lui non
socchiuse le palpebre dalle lunghe ciglia e deviò lo sguardo.
“Vorresti
che ti facesse effetto, eh?” Soggiunse il milionario, indicando
il bicchiere di liquore davanti all’amico. Frattanto anche lui
veniva servito.
“Sì.” Annuì Steve.
“Ho parlato con Dixi.” Rivelò l’altro. Lui fece una smorfia.
“Scommetto
che le sue giustificazioni ti sono sembrate logiche e razionali.”
Commentò Steve, prima di prendere un altro sorso.
“No,
decisamente no, anche perché non gliele ho chieste.”
Replicò Tony, lui lo guardò stranito. “Ad ogni
modo, è una donna innamorata, non potrebbe in alcuno modo essere
logica e razionale.”
“Hmpf…” Soffiò Steve e svuotò il bicchiere.
“Ascolta,
non voglio darti consigli, perché sai benissimo che sono la
persona meno indicata per farlo.” Affermò Stark.
“Indubbiamente.” Confermò Rogers annuendo.
“Voglio
solo dirti questo…” Continuò Tony, ignorando il suo
commento. “… la vita mi ha dato praticamente tutto, ma
c’è una sola cosa per cui ringrazio.” Steve lo
guardò serio, attento. “Si chiama Virginia Potts.”
Il capitano abbassò gli occhi, colpito. “Perciò, se
tieni davvero a quella deliziosa ragazza là sotto, cerca di
capire il perché delle sue azioni e poi perdonala.”
L’altro rialzò il viso, aveva gli occhi lucidi.
“Credimi, non siamo abbastanza forti per affrontare tutto questo
da soli, io ci ho provato, fa schifo.”
Una volta
concluso il discorso, Tony buttò giù il suo liquore in un
sorso, poi diede una pacca sulla spalla di Steve e si allontanò
senza aggiungere altro.
Il capitano lo
seguì con lo sguardo, poi tornò a girarsi verso il
bancone e si passò una mano sulla bocca. Quel cattivo sapore non
lo sopportava più.
Il tintinnio
delle chiavi all’interno della ciotola di vetro le diede fastidio
alle orecchie. Sbuffò, mentre toglieva il soprabito e lo
appendeva nell’armadio a muro dell’ingresso.
Entrò in
soggiorno e alzò gli occhi. Davanti ad una delle finestre,
illuminate dall’esterno, si stagliava la figura solida e
rassicurante di Steve. Impossibile confondere il disegno perfetto delle
spalle, della vita stretta, del collo elegante, dei capelli corti. Il
suo bellissimo capitano.
Volle salutarlo proprio così. “Capitano.” Mormorò timidamente.
Steve si
girò. Era in maniche di camicia, le mani in tasca. I suoi occhi,
anche al buio, erano troppo chiari e troppo sinceri. Sinceramente
feriti. Le fece male il cuore ed abbassò i suoi.
“Sei tornata da sola?” S’informò allora il capitano.
“No.” Rispose Dixi, rialzando il capo. “Mi hanno accompagnata Barton e Natasha.”
“Ti sei divertita?” Chiese ancora, con un’amarezza troppo palese nella voce.
“Come pensi che avrei potuto divertirmi, tu non mi parli da tre giorni, Steve.” Rispose mesta lei.
Lui si voltò di nuovo verso la finestra. “Ti ho vista ridere, con Thor, Pepper e gli altri.”
“Se ho sorriso è solo per non mancare di rispetto ai tuoi
amici e a chi ci ospitava.” Affermò la ragazza,
avvicinandosi a lui, al centro del salotto. “Ma ti garantisco che
non mi sono divertita per niente.” Aggiunse seria.
L’uomo
continuava ostinatamente a darle le spalle, così Dixi gli
andò accanto e gli prese un avambraccio. Steve spostò lo
sguardo su di lei, serio, la mascella contratta.
“Steve, dobbiamo parlarne.” Gli disse la ragazza.
“Non voglio parlarne.” Replicò lui.
“Ma non
capisci che è proprio questo il motivo che mi ha spinto a
cercare?” Ribatté lei. “Ti sei tenuto tutto dentro,
tutto quello che hai perso… è un lutto enorme e non
l’hai affrontato.”
“Non puoi sapere se l’ho fatto o no.” Sostenne Steve.
“No, non posso, perché tu non ne parli!” Gli rimproverò Dixi, aggrappata al suo braccio.
Steve
abbassò gli occhi sulle sue mani magre che stringevano
convulsamente la stoffa della sua camicia bianca. Dixi, quando se ne
accorse, lo lasciò di scatto, facendo un passo indietro. Da
quella maggiore distanza, si guardarono negli occhi, per la prima volta
davvero da tre giorni a quella parte.
“Quando mi
sono svegliato…” Esordì infine Steve.
“…e ho capito che era passato tutto quel tempo, che
nessuna delle persone che avevo conosciuto e amato c’era
più, il primo sentimento che ho provato è stato
sbigottimento, era assurdo, impossibile, eppure vero.” Dixi lo
fissava attenta, tormentandosi le mani. “Poi è
sopraggiunta la rabbia, perché io ero sopravvissuto e loro no e
mi sentivo inutile come un vecchio macinino: il mondo era cambiato, la
guerra era cambiata ed un soldato d’altri tempi non serviva a
nulla.”
“Non puoi averlo pensato davvero, Steve, tu sei… unico.”
Lui sorrise con
una smorfia amara. “In quella fase della mia vita mi sentivo
così.” Spiegò quindi. “Poi c’è
stata la battaglia contro i Chitauri e mi sono sentito di nuovo parte
di qualcosa, utile a qualcuno.” Aggiunse. “Da quel momento
ho capito che non potevo continuare a pensare ad un passato che non
esisteva più, desideravo essere finalmente felice, volevo vivere
di nuovo, amare di nuovo ed è stato a quel punto che ho
incontrato te, Dix.”
Lei lo fissava
con espressione affranta, le tremava il mento e sapeva di stare per
mettersi a piangere come la ragazzina scema che non era mai stata.
“Mi dispiace.” Esalò disperata. “Ti ho deluso così tanto…”
“Sì,
mi hai ferito e deluso, ma la cosa peggiore è che non riesco a
capire perché.” Le disse lui.
Dixi abbassò gli occhi e strinse la stoffa del vestito. “Ero… ero gelosa.” Confessò infine.
Steve
spalancò gli occhi incredulo. “E di che cosa? Di qualcosa
che non ha nemmeno avuto il tempo di diventare amore? Di una donna che
probabilmente adesso è morta?” Le chiese confuso.
“Io…
è che io…” Balbettò imbarazzata Dixi.
“Io mi sento sempre così inadeguata, non
all’altezza…” Ammise dolorosamente.
“Perché, parliamoci chiaro, come è potuto succedere
che uno come te, sia capitato a una come me?”
Steve le dedico
una lunga occhiata. Gli stava davanti, in piedi sul tappeto del
salotto, con quel suo stupendo vestito, i capelli ancora acconciati, il
capo chino e il viso bagnato di lacrime.
“Perché? Cosa avresti che non va?” Le chiese infine.
Lei
sollevò di colpo gli occhi, sorpresa e incredula. Soprattutto
perché la voce di Steve si era fatta improvvisamente più
dolce. Lui la guardava con un sorriso triste.
“Non devi
sentirti inferiore a nessuno, Dix, eri così bella stasera, che
ho pensato Thor ti avrebbe portata ad Asgard con se.”
Affermò mesto il capitano; lei era sempre più stupita.
“È innamorato di una tizia del Nuovo Messico…” Commentò a sproposito.
“Non gli avrei comunque permesso di portati via da me.” Soggiunse Steve, avvicinandosi.
Quando le fu ad
un passo – ed il cuore di Dixi sul punto di esplodere –
alzò una mano e sfiorò con la punta delle dita le piccole
stelle sullo scollo del vestito di lei.
“Lo hai
preso per me, questo vestito?” Le domandò dolcemente,
sempre con gli occhi e le dita sulle stelline di Swarovski.
“Beh,
sì.” Confessò lei, ancora sull’orlo del
collasso. “È abbastanza patriottico?” Le rispose
solo un sorriso assorto di Steve, mentre continuava a guardarla.
“Ti sta
benissimo.” Le disse quindi. “Vuoi ballare con me?”
Chiese quindi, sconvolgendola del tutto. “Vuoi insegnarmi come si
fa?”
Dixi spalancò gli occhi, sbalordita. “Io… Oddio, certo che voglio!” Rispose poi commossa.
“Ti avverto che sono completamente impedito.” Asserì il capitano.
Dixi lo
abbracciò con forza. “Non ci credo!” Proclamò
poi, prima di affondare il viso nel suo petto. “Mi perdoni,
Steve?” Implorò allora.
Lui le
accarezzò i capelli. “Solo se mi prometti che non farai
mai più una cosa sciocca come dubitare di me e di quanto tu sia
importante.”
“Te lo giuro.” Gli promise. “Te lo giuro!”
Gli passò
le braccia intorno al collo, Steve la sollevò da terra e
volteggiarono tra il tavolino ed il divano. Non era un ballo, non erano
nemmeno passi. Erano loro che giravano nel silenzio. Con la donna
giusta, non c’era bisogno nemmeno della musica.
CONTINUA
NOTE:
(1)
– I file classificati hanno un livello di sicurezza molto
alto e quindi richiedono un’abilità
maggiore da parte dell’hacker che li viola.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
InaH - 5
Capitolo 5! Gente, comincia la parte Action, spero che sia almeno
decente, perché non è esattamente la mia
specialità. Siate magnanimi.
La canzone che introduce il capitolo è la
struggente Jack of all trades (cliccate)
di Bruce Springsteen, che ho
sentito dal vivo sotto un diluvio da fine del mondo e vi consiglio come
colonna sonora. No lucro, solo sconfinata devozione per il Boss.
Buona lettura!
Sara
Capitolo 5
The hurricane blows,
brings the hard rain
When the blue sky breaks
It feels like the world’s gonna change
And we’ll start caring for each other
Like Jesus said that we might
Quando comincia una storia d’amore, si vede tutto bello, i
cuoricini scoppiettano nell’aria ed hai sempre le farfalle
nello stomaco per l’attesa della prossima cosa bella che
capiterà.
Certo non ti aspetti un’orda di giganteschi robot che
assediano i punti strategici del paese, sequestrano il Presidente,
bloccano le basi militari principali, abbattono aerei da guerra e
affondano un paio di portaerei, il tutto senza essere stati
intercettati da nessuno.
Ma tutto questo, Steve e Dixi, ancora non lo sapevano.
Era una mattina splendente e quasi estiva, che illuminava
l’appartamento. Zephir, soddisfatta dalla propria colazione,
si puliva le zampe in cima ad uno sgabello, mentre Dixi e Steve
preparavano il loro pasto.
La ragazza stava frustando l’impasto per i pancakes, mentre
lui si occupava delle uova.
“Secondo te, vanno bene di zucchero?” Fece Dixi,
porgendo la frusta a Steve.
L’uomo prese un po’ d’impasto con un dito
e l’assaggiò, assaporandolo piano, giusto per
spazientirla un po’.
“Hm, secondo me lo zucchero è giusto,
però…” Fece poi, con aria saputa.
“…dovresti montare l’impasto con
più energia.”
“Mi stai accusando di essere deboluccia, Cap?”
Replicò minacciosa la ragazza.
“Oh, nooo…” Scherzò lui
provocatorio.
“Ah, sì?” Ribatté Dixi, poi
lo colpì sul naso con la frusta piena d’impasto.
Steve, prima, spalancò gli occhi, poi li
assottigliò pericoloso, con un sorrisetto storto e poco
promettente (o molto, dipende dalle aspettative), poi tuffò
un dito nell’impasto. Dixi fuggì con un gridolino
divertito, inseguita da un molto poco minaccioso – ma molto
sexy – capitano.
Steve la raggiunse in mezzo al salotto.
L’acchiappò per i fianchi, sollevandola facilmente
da terra. Dixi rideva senza controllo. Caddero sul divano, ridendo.
Lei si girò tra le sue braccia e trovò ad
aspettarla un gran sorriso, che faceva brillare ancora di
più gli occhi di Steve. Rimasero a fissarsi per un lungo
attimo, con Dixi che ridacchiava ancora. Poi lui le
accarezzò i capelli, scostandoli dalla fronte, e
l’ilarità diventò
qualcos’altro.
Dopo un denso istante occhi negli occhi, si baciarono, più
intensamente di quanto avessero mai fatto, avvinghiati sul divano. Dixi
gli teneva il viso tra le mani, mentre Steve le percorreva il fianco,
soffermandosi sulla curva morbida del seno o sull’incavo
della vita.
Furono sufficienti pochi istanti, perché Dixi si accorgesse
– con molta soddisfazione – dell’effetto
che stava facendo quel contatto a Steve; lo strinse di più,
avvolgendogli le braccia intorno al collo. Lui, però, si
sollevò sui gomiti, scostando il bacino da quello di lei.
“Che succede?” Domandò la ragazza un
po’ confusa.
“Io… io… scusami.” Fece lui,
arrossito fino alla punta delle orecchie. “È
imbarazzante e sconveniente… di solito non mi lascio andare
così, è molto brutto nei tuoi
confronti…”
“No, no!” Lo bloccò subito Dixi.
“Va bene, anzi benissimo! È…
è la cosa più naturale del mondo!”
“Ma io non voglio che succeda così con te, su un
divano…” Obiettò lui crucciato.
“Steve.” Lo chiamò dolcemente lei,
prendendogli il viso tra le mani. “Siamo io e te, per me ogni
momento sarà quello perfetto.” Aggiunse, prima di
dargli un bacio a fior di labbra.
“Rilassati…”
Lui sorrise, ancora un po’ incerto, ma Dixi se lo
tirò di nuovo contro e ricominciò a baciarlo.
Pochi secondi dopo, lo aiutò a togliersi la maglietta.
“Oh, aspetta un attimo…” Lo
bloccò quindi, pur avendo già il fiato corto ed
un gran calore dappertutto.
“Cosa c’è?” Chiese Steve
perplesso.
“Voglio guardarti solo un po’…”
Dixi passò le mani sulla pelle chiara di Steve, il suo petto
liscio, i capezzoli piccoli, l’addome scolpito, e perse il
fiato ancora di più.
“Dio, quanta roba sei!” Esclamò
estasiata, continuando a toccarlo. Lui inspirò e contrasse
la pancia, le dita della ragazza erano fredde.
“Sembra che tu non abbia mai visto un uomo.”
Scherzò Steve, la voce tremante.
“Non uno così!” Fece Dixi.
“L’ultimo aveva il fisico di un campione di pippe e
la pancia molliccia, qui non c’è niente di
molliccio…” Aggiunse, con gli occhi fissi sul
panorama ipnotico che aveva davanti.
“No.” Confermò lui, con uno sguardo
significativo verso il basso. “Qui non
c’è proprio
niente di molliccio.”
“Oh, Capitano, lei mi stupisce, con questo
linguaggio…”
Steve sorrise storto, al suo sorriso malizioso, poi tornarono a
baciarsi. E toccarsi, avvinghiarsi. In un groviglio di mani, braccia,
gambe e pelle, finché…
Finché non squillò un telefono.
“No, non rispondere…” Ansimò
Dixi sul suo collo.
“È Fury… la
suoneria…” Tentò Steve, ma lei gli
intrappolò una gamba con la sua.
“Fanculo Fury…” Imprecò la
ragazza, prima di morderlo sulla clavicola, lui gemette.
“Devo rispondere, potrebbe essere importante.”
Sentenziò serio il capitano, scostandosi deciso dal corpo
caldo e accogliente di Dixi. Lei sbuffò delusa, roteando gli
occhi.
“Se non sta finendo il mondo, sappi che mi
arrabbierò molto!” Sbottò quindi.
Contrariata, lo guardò alzarsi dal divano, cercare di
mascherare l’ingombrante disagio che aveva tra le gambe e poi
prendere il telefono dal tavolino e rispondere.
“Pronto?” Fece Steve. “Sì,
sono io, mi dica.”
Dixi, mentre lui ascoltava annuendo la comunicazione, si
alzò e gli andò alle spalle. Si adagiò
contro la sua bellissima schiena nuda, gl’infilò
le mani oltre il bordo dei pantaloni del pigiama e cominciò
ad accarezzargli la parte finale dell’addome, mentre gli
baciava la spina dorsale.
“Ahehm…” Un gemito sfuggì
alle labbra del capitano, che si girò minaccioso, mimando
con le labbra uno Smettila!
molto poco persuasivo alle orecchie
eccitate di Dixi. “No, niente, diceva?”
Continuò l’uomo, cercando d’ignorare le
dita fredde di lei che scendevano nei suoi calzoni.
“Cosa?!” Esclamò improvviso Steve,
irrigidendosi. Dixi si staccò da lui spaventata.
“Accendi la televisione.” Le ordinò
quindi.
La ragazza ubbidì prontamente, dimenticandosi di quanto
vicino era arrivata al tesoro proibito, mentre lui, espressione sempre
più orribilmente seria, continuava ad annuire al telefono.
Le immagini che lo schermo rimandò subito erano
terrificanti: enormi robot super armati dall’aspetto molto
steam punk assediavano Casa Bianca, Campidoglio, Pentagono e alcune
basi strategiche. Le informazioni parlavano di due portaerei affondate
e innumerevoli vittime.
“Sto vedendo.” Diceva in quel momento Steve al
direttore Fury.
C’era anche un comunicato di quelli che controllavano i robot
– non si sapeva se umani o alieni. Dichiaravano di avere in
mano gli snodi del potere in America, di tenere in ostaggio il
Presidente e di avere il potenziale per soggiogare tutto il pianeta.
“Ha già rintracciato Stark e gli altri?”
Chiese Rogers all’altro. “Va bene, sto
arrivando.” E chiuse la comunicazione.
L’uomo, a quel punto, guardò Dixi, che si era
seduta sul divano. Era pallida, chiaramente spaventata e lo fissava con
gli occhi spalancati e lucidi. Lui le si inginocchiò accanto
e le prese le mani.
“Va tutto bene, Dix.” Le disse.
“Non va tutto bene, invece!” Esclamò
lei. “Guarda che casino! Hanno preso il Presidente!”
“Stai tranquilla.” La rassicurò Steve,
posandole una mano sulla spalla. “Abbiamo affrontato di
peggio.” Aggiunse, con un sorriso timido.
“Steve…” Mormorò Dixi, la
voce liquida di chi sta per piangere.
“Io adesso devo andare alla base dello SHIELD, tu resta in
casa.” Dixi gli si aggrappò al braccio.
“Se succede qualcosa, vengo a prenderti, di questo non
dubitare.” Le assicurò quindi, carezzandole i
capelli.
Dixi lo guardò negli occhi ed erano così limpidi,
determinati, così pieni di qualcosa di speciale solo per
lei, che i dubbi sparirono e lei annuì. Steve le diede un
breve bacio e l’abbracciò forte.
Era notte fonda quando Dixi rivide Steve.
Aveva passato tutto il giorno davanti alle notizie contrastanti che
arrivavano dalla televisione. Sapeva che un paio di quei robot erano
stati distrutti nel centro di New York proprio da Capitan America, Thor
e Iron Man. Ne era stata fiera, ma la preoccupazione era diventata
ancora più intensa. Finché, spossata, aveva
spento tutto e si era rifugiata sotto le coperte in preda
all’ansia.
Il primo passo sulla moquette della camera la fece svegliare subito. Si
allungò verso la lampada sul comodino e l’accese.
Davanti alla porta c’era Steve. Indossava ancora
l’uniforme azzurra, con la stella d’argento sul
petto. Era sporco di fuliggine e con qualche strappo qua e
là.
Il capitano si avvicinò al letto togliendosi il cappuccio.
Lei si sollevò contro la spalliera, con un senso
d’attesa che le svuotava lo stomaco. Steve sedette sul bordo
del materasso con un sospiro stanco, non guardava verso la ragazza.
“Sai che sei bellissimo, vestito così?”
Gli disse lei.
“Credevo pensassi che fosse ridicolo.” Rispose lui
con un breve sorriso triste.
“Non te lo avevo mai visto addosso, ti dona.”
Replicò Dixi.
Si guardarono negli occhi. Provati e tristi, quelli di lui. Preoccupati
e arrossati quelli di lei.
“Oh, Dix…” Mormorò Steve.
“Steve.” Fece la ragazza, poi lo
abbracciò con forza, salendogli in braccio.
L’uniforme era spessa, ruvida, proprio una specie di
armatura. Lui aveva addosso odore di sudore, di bruciato, metallico e
chimico. La battaglia doveva essere stata dura. Non restava quasi
niente del profumo buono e dolce sentito sulla sua pelle solo poche ore
prima.
“Dix, preparati.” Affermò Steve,
scostandola un po’ da se. “Prendi un po’
di roba, ti porto alla base.”
“Che cosa è successo?”
Domandò allarmata la ragazza. Lui abbassò gli
occhi.
“Niente.” Rispose poi.
“Dimmi la verità!”
“Niente!” Esclamò allora Steve, gli
occhi severi. “Finché c’è
pericolo, ti voglio accanto a me, tutto qui. Adesso
preparati.” Aggiunse, prima di alzarsi dal letto e lasciarla
sola.
Parlarle della distruzione che potevano portare quei robot, dei morti
che aveva visto, della nuova guerra che avrebbe dovuto combattere, le
avrebbe spezzato il cuore.
Arrivarono sulla portaerei con un velivolo guidato da Clint Barton. La
Romanoff sedeva nel posto di copilota, muta e con un taglio sulla
fronte.
Steve non era mai stato un chiacchierone, ma ora sedeva più
silenzioso che mai, con un’espressione assorta che faceva
tremare i polsi a Dixi. Gli stava accanto senza osare domandargli
niente.
Thor era seduto di fronte a loro e, dopo averla salutata con un breve
sorriso tirato, adesso sembrava la statua di un dio scolpita nella
pietra.
C’era un’atmosfera veramente pesante e Dixi pensava
che le avessero raccontato solo la mezza messa, riguardo alla battaglia
appena combattuta.
Nessuno, ad ogni modo, tentò di fermarli. Non ci furono
attacchi o altre cose del genere e loro poterono atterrare senza
problemi.
Entrati nella sala operativa della nave, si trovarono davanti Tony,
anche lui un po’ acciaccato ma sempre col suo sorriso
canzonatorio.
“Dixispitz!” La salutò, senza la solita
verve però.
“Ciao, Tony.” Rispose lei. “Come va?
Pepper?” Domandò timidamente.
Lo sguardo di Stark si fece immediatamente più tormentato e
deviò lo sguardo. “Pepper…”
La voce tremò. “Pepper è alla Casa
Bianca, aveva una riunione col Presidente.”
“Oh, Dio!” Esclamò Dixi, poi si
voltò verso Steve. “Perché non me lo
hai detto?”
“Non volevo farti preoccupare.” Rispose mesto lui.
“Stai tranquilla, Dixi.” La rassicurò
Stark. “Abbiamo la situazione sotto controllo.”
“Scusa se mi permetto di dubitarne.”
Protestò lei. “Sembrate appena usciti da uno
scontro mortale tra un Transformer ed un dinosauro!”
“E lei chi è?” Domandò una
voce cavernosa alle loro spalle, interrompendo la discussione.
Si voltarono tutti. Un minaccioso uomo di colore, completamente vestito
di nero e con una benda sull’occhio sinistro, stava, a gambe
divaricate e braccia conserte, sul piedistallo di fronte a loro e li
guardava dall’alto.
Steve si spostò davanti a Dixi. “Lei è
con me.” Dichiarò risoluto.
“Capitano Rogers, sa benissimo che non sono ammessi civili
sull’helicarrier in momenti di crisi.”
Replicò impassibile Nick Fury.
“Andiamo, Fury!” Sbottò Tony.
“È una delle mie migliori analiste informatiche,
potrebbe anche essere utile!” Aggiunse allargando le braccia.
“Tanto più.” Rincarò il
direttore dello SHIELD. “La voglio lontana dai miei
terminali.”
“Mi assumo io tutte le responsabilità.”
Intervenne Steve. “Ma lei resta sulla nave.”
“E questa è l’ultima parola del
Capitano.” Lo appoggiò Stark. “Quindi,
Fury, non credo ci sia niente da aggiungere.”
Dixi, in tutto questo, era rimasta immobile, tra Thor e Steve, ad
ascoltare confusa quello scambio di battute. Quando vide il capitano
allontanarsi, facendole cenno di seguirlo, si ritrovò per un
secondo a non sapere cosa fare, poi intercettò lo sguardo
divertito di Tony.
“Restagli appiccicata.” Le consigliò con
un occhiolino.
Lei, allora, si sentì più ottimista. Rincorse
Steve e lo acchiappò alla vita, facendolo bloccare vicino
alla porta, poi gli fece un pizzico su una natica.
“Perché lo fai?” Le chiese incredulo ma
divertito.
“Perché ora posso.” Replicò
soddisfatta la ragazza.
“Dai…” Fece lui, arrossito fino alle
orecchie. “…non davanti a
tutti…” Dixi rise piano e lo prese a braccetto,
mentre uscivano dalla sala comando.
Steve, purtroppo, dovette lasciare sola Dixi poco dopo.
L’avevano relegata in una specie di saletta ricreativa, dove
per fortuna c’erano caffè, the e schifezze di ogni
tipo, per passare il tempo. Le era stato anche concesso di usufruire
del wi-fi per usare i due portatili di sua proprietà.
La stanchezza, però, aveva preso il sopravvento e presto il
divano era diventato più attraente degli schermi al led.
Dixi era crollata in un sonno profondo e agitato.
Si svegliò solo quando si sentì accarezzare da
una mano gentile. Aprì piano gli occhi e trovò
Steve a sorriderle dolcemente, seduto sul bordo del divano.
Si era tolto la giacca dell’uniforme e ora indossava solo
quei pantaloni azzurri che tanto gli donavano ed una maglietta dello
stesso colore, scandalosamente aderente.
“Ciao, bellissimo.” Lo salutò, con la
voce ancora appannata dal sonno.
“Ciao, dolcezza.” Rispose lui, fermando la mano
calda sulla sua guancia. “Eri stanca?” Le chiese.
Dixi annuì. “E tu?” Fece poi.
Steve sospirò, abbassando il capo. “Sono stanco, e
sono preoccupato… e sto cercando di rimanere lucido,
pronto.” Stavolta fu lei ad accarezzarlo.
“Posso aiutarti, in qualche modo?”
S’informò lei con genuino coinvolgimento.
“Non saprei come.” Rispose Steve con un sorriso
amaro.
“Magari ti faccio solo rilassare un
po’…” Ribatté furba Dixi,
alzandosi e mettendosi a cavalcioni su di lui. Il capitano sorrise
più tranquillo. “Siamo troppo in vista per cose
più impegnative…” Continuò
maliziosa la ragazza. “Ma un bacio, penso che possiamo anche
concedercelo…”
“Non te lo negherei mai.” Affermò Steve.
Dixi sorrise e gli passò le braccia intorno al collo, prima
di dedicarsi a quelle sue bellissime labbra.
Quando la porta si aprì ed entrarono due persone, nemmeno se
ne accorsero.
“Mi sbaglio, o quello con una ragazza spalmata addosso
è il Capitano Rogers?” Domandò uno dei
due nuovi arrivati.
“Devo dartene conferma.” Rispose la voce di Tony.
“Non credevo avrei mai assistito ad una scena del
genere.” Aggiunse compiaciuto.
I due innamorati si staccarono ridacchiando, quindi si girarono verso
gli altri restando abbracciati.
L’uomo che accompagnava Stark aveva un’aria
trasandata, i capelli scuri sconvolti e gli occhiali; sorrideva
timidamente e salutò Steve con la mano.
“Dottor Banner.” Rispose il capitano con un cenno
del capo.
“Dottor Banner? Bruce Banner?” Fece invece Dixi,
alzandosi dalle ginocchia di Steve e andandogli incontro con un sorriso
entusiasta. “Io ho letto tutte le sue pubblicazioni, il suo
lavoro è geniale!”
Lui la fissò incredulo. “Oh, mi fa
piacere…” Disse titubante, stringendo la mano che
gli veniva porta.
“Bruce.” Intervenne Tony. “Ti presento
Dixi Spitz, la fidanzata del Capitano.”
“Oh, credevo piuttosto la tua figlia segreta.”
Scherzò Banner.
“Hey!” Sbottò Stark. “Al
massimo sorella, sono troppo giovane per essere suo padre!”
“Felice di rivederti, Bruce.” Affermò
Steve, stringendo a sua volta la mano al dottore. “Dove ti ha
rintracciato lo SHIELD, stavolta?”
“In realtà, mi ha chiamato Tony.”
Rispose l’uomo. “Abbiamo… una specie di
linea diretta.”
“Bene.” Annuì il capitano. “Mi
sento più ottimista, ora che siamo tutti qui.”
“Signori.” Li interruppe una voce femminile, era
l’agente Hill. “Il direttore Fury vi
vuole.”
“Arriviamo subito.” Le disse Steve, poi si
voltò verso Dixi. “Devo lasciarti di nuovo sola,
mi spiace.” Lei sorrise.
“Andate a fare il vostro dovere.” Li
incitò. “Ci vediamo dopo.” Aggiunse,
prima di dare a Steve un breve dolce bacio.
Dixi era davanti ai suoi portatili e vedeva, attraverso le vetrate, il
gruppo di persone che discuteva animatamente al tavolo della sala
operativa.
La ragazza divideva la sua attenzione tra lo studio delle immagini dei
robot e quello delle espressioni sul viso di Steve. Non sapeva se
essere preoccupata o ottimista.
Ad un certo punto, però, una particolare finestra si
aprì sullo schermo del vecchio Skully –
così chiamava il suo storico lap top. Gli occhi di Dixi si
spalancarono.
Alla velocità della luce staccò i cavi e
ficcò tutto nel suo fedele zaino, poi si alzò di
corsa, precipitandosi in plancia, proprio mentre Fury ordinava che
l’helicarrier si alzasse in volo. Fu questione di attimi.
“C’è un virus!”
Gridò irrompendo nella riunione, tutti la fissarono confusi.
“C’è un virus, disconnettete
tutto!” Si girò verso Tony. “Disconnetti
Jarvis, subito! Disconnettilo!”
“Disconnettilo!” Replicò lui.
“Disconnetti, Jarvis, disconnetti!”
Ordinò concitato, appena prima che ogni terminale sul ponte
si spegnesse ed un inquietante suono metallico percorresse
l’intera struttura della nave.
Il ponte s’inclinò sulla destra, tutti dovettero
reggersi da qualche parte, mentre gli addetti cercavano di far
ripartire i computer.
“Che diavolo succede?!” Esclamò Fury,
mentre si teneva ai tubolari della piattaforma.
“Senza computer non possiamo volare, ne navigare, stiamo
ricadendo in mare!” Rispose l’agente Hill,
abbracciata ad una consolle.
Anche se la nave non si era ancora alzata di molto, il secondo colpo fu
più forte, Dixi perse l’equilibrio e si
ritrovò per terra. Davanti agli occhi Clint, appeso alla
base del tavolo, che teneva Natasha per un braccio. La ragazza
realizzò di essere molto vicina al termine della piattaforma
di comando, dove iniziava la buca con i terminali. Un altro colpo e
sarebbe volata di sotto.
Il metallo vibrò di nuovo, gemendo nello sforzo di movimenti
per cui non era studiato. Ci fu, poi, un sobbalzo tremendo e Dixi si
sentì sollevare da terra.
“Prendila! Prendila!” Sentì gridare da
Steve, che era dall’altra parte del ponte.
La ragazza si sentì afferrare da qualcosa di forte, poi
alzò gli occhi e vide una macchia azzurra volare davanti a
lei, verso le vetrate. Quando realizzò di essere tra le
braccia di qualcuno, anche lei stava cadendo oltre il corrimano del
ponte.
“La struttura è compromessa! Evacuazione
completa!” Fu l’ultima cosa che sentì,
prima di perdere i sensi. Era abbastanza certa che fosse la voce di
Fury.
Dopo ci fu solo la confusione.
Una sirena rombava assordante. La sua testa girava, le immagini erano
sfocate. Mani grandi che la sostenevano. Una luce rossa lampeggiava.
Capelli biondi e preoccupati occhi blu. Il volto contratto dalla paura
di Steve e la sua voce: “Dix!”. Scoppi in
lontananza. La propria voce strozzata: “Prendete i
computer… i miei computer…”.
Scricchiolii sinistri. Dolore alla testa, al fianco.
“Dobbiamo andare via! Ora!” Ordini con la voce di
Tony. “La porto io.” Oh, Steve…
Dixi si sentì sollevare e poi il dolore fu di nuovo acuto e
tutto ridiventò buio.
Quando riaprì gli occhi non capì subito dove si
trovava, solo che era qualcosa in movimento. Aveva una flebo al braccio
e qualcosa che somigliava ad una palla da biliardo che voleva
certamente uscirle dalla testa. Si guardò attorno confusa,
finché non incrociò gli occhi di una sorridente
donna bionda in camice.
“Stia tranquilla, Signorina Spitz, va tutto bene.”
La rassicurò la donna. “È su un
trasporto medico dello SHIELD.”
“Che cosa è successo?”
Domandò incerta la ragazza.
“Aspetti un attimo, chiamo il Capitano Rogers.” Gli
disse l’altra, prima di allontanarsi.
Dixi, a quel punto, diede un’altra occhiata intorno a se,
accorgendosi delle altre persone ferite che occupavano il trasporto.
Teste fasciate, braccia al collo, qualcuno con le flebo.
Ci volle pochissimo, perché la porta scorrevole sul fondo si
riaprisse e facesse la sua comparsa Steve in tutta la fierezza della
sua uniforme. Salutò e rassicurò gli altri agenti
feriti, poi la raggiunse.
“Hey.” Le fece dolcemente, carezzandole piano il
capo.
“Stai bene?” Gli domandò subito lei.
“Dix, sei tu che hai preso una botta in testa e diverse
contusioni.” Rispose Steve con un sorriso tirato, mentre
stava inginocchiato accanto alla sua lettiga.
“Ti ho visto volare attraverso tutta la plancia!”
Sbottò lei, ancora atterrita.
“Tranquilla, ci vuole ben altro per mettermi fuori
gioco.” Mormorò lui, prima di farle
un’altra carezza e darle un bacio sulla fronte.
“Io…” Sussurrò Dixi con voce
tremante. “Io, per un attimo, ho creduto di
morire…”
Steve la strinse un po’ di più. “Ti ha
salvata Thor.” Le disse poi.
“Oh, allora era lui… dovrò
ringraziarlo.”
“L’ho già fatto io, ma sono certo che
gli farà piacere.” Replicò lui con
dolcezza.
Dixi sospirò profondamente, poi si strinse a Steve,
aggrappandosi alle pieghe dure della sua uniforme. Lui
l’abbracciò piano, baciandole i capelli.
“Dove stiamo andando?” Chiese quindi la ragazza.
“Una delle basi più vecchie dello SHIELD, sui
monti Appalachi.” Rispose il capitano. “Dovremmo
essere al sicuro, almeno per un po’.”
“I miei computer?” S’informò
con urgenza, alzando la testa per guardare accanto al lettino.
“Sono qui sotto, nello zaino.” Le disse lui.
“Non capisco perché te ne preoccupi tanto, non hai
fatto che chiederli mentre ti portavo via dall’helicarrier,
Tony è tornato indietro solo per
prenderli…”
“Lui lo sa, dentro ci sono informazioni importanti,
Steve.” Fu tutto quello che gli rivelò lei.
“Ok.” Annuì poco convinto. “Io
adesso devo tornare davanti, tu riposati.”
Dopo un ultimo bacio, il capitano si alzò e tornò
da dove era venuto. Dixi, però, non diede ascolto al suo
consiglio. Afferrò lo zaino e aprì il fedele
Skully.
CONTINUA
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
InaH - 6
Che vi devo dire… Spero solo che stia in piedi e che la
RomCom si bilanci col resto. Il parere sta a voi, come sempre.
La meravigliosa canzone che consiglio come colonna sonora di quasi
tutto il capitolo e che lo introduce è Children of the revolution dei T-Rex, presente anche nella colonna
sonora di “Billy Elliot” (tutti i diritti agli
autori, no lucro).
Per la parte finale, consiglio una canzone romantica a piacere ^_-
Buona lettura!
Sara
Capitolo 6
Well you can bump and grind
If it's good for your mind
Well you can twist and shout
Let it all hang out
But you won't fool the children of the revolution
Le luci si accesero su una grigia e spartana sala di comando. La base,
ricavata in un’ex miniera di carbone, era stata un
laboratorio per esperimenti nucleari, poi un bunker missilistico e,
infine, assegnata allo SHIELD.
Tony si voltò verso Maria Hill, la quale aveva ancora la
mano sulla leva d’accensione.
“La base com’è alimentata?”
Chiese il miliardario con un sorrisetto retorico.
“Reattore nucleare.” Rispose la donna.
“Ah, benissimo!” Fece Stark. “Seduti su
un grande siluro puntato contro i nostri orifizi.”
“Preferiva niente corrente elettrica e acqua
calda?” Replicò lei senza ironia.
“Sarà meglio che ci sistemiamo, abbiamo tutti
bisogno di riposo.” Intervenne Rogers, interrompendo sul
nascere la prevedibile dissertazione di Tony.
“Andiamo, Signori.” Fece allora Stark.
“Il Capitano non vede l’ora di ritirarsi con la sua
dolce metà.” Steve lo guardò malissimo
e Dixi arrossì.
“Sei inopportuno, Stark.” Lo rimproverò
il compagno.
“No, non lo sono.” Rispose lui duro.
“Potreste non avere altre occasioni, quanto pensi che ci
metteranno a rintracciarci? Domani a quest’ora
potremmo…”
“Adesso basta!” Gli ordinò minaccioso
Steve, parandosi davanti all’amico.
“Ohohh, il Capitano gonfia il petto!”
Ribatté Tony con tono irritante.
“Finitela.” Ordinò Fury, mettendosi in
mezzo, la voce perfettamente calma. “Lei, Rogers,
è uno dei pochi a saper usare una radio(1), appena si
sarà sistemato l’aspetto di sotto con
l’Agente Barton.” Disse a Steve, poi si
girò verso Tony. “Stark, cerchi di rendersi utile,
invece di fomentare caos, abbiamo bisogno di tutti quanti.”
Tony e Steve, dopo un ultimo sguardo in cagnesco, si diedero le spalle.
Il primo sbuffò e rimase fermo, mentre l’altro
prese Dixi per le spalle e seguì Maria Hill verso la zona
dormitorio.
Appena arrivati nel piccolo alloggio assegnato a lei e Steve, Dixi
tirò subito fuori i lap top. Steve, dall’altra
parte del piccolo tavolino rotondo, la osservava sospettoso.
“Si può sapere cosa combini con quei
computer?” Le chiese.
“È per il virus.” Rispose sbrigativa
lei, mentre avviava Skully con una manata.
“Sei stata la prima ad accorgertene…”
Ricordò l’uomo.
Dixi annuì. “Sono una specie di…
esperta, è uno dei motivi per cui lavoro per
Tony.” Spiegò poi.
“E, quindi, tu che cosa…”
Il capitano non poté finire di formulare la domanda, che
sentirono bussare alla porta. Entrambi si voltarono in quella direzione.
“Avanti.” Invitò Steve.
La porta si socchiuse e ne fece capolino la testa scura di Tony Stark.
Gli occhi castani brillanti e un insopportabile sorrisetto storto.
Rogers sbuffò.
“State copulando? No?”
S’informò entrando. “No, siete
vestiti.” Si rispose da solo, allargando le mani.
“Che cosa vuoi?” Domandò torvo Steve,
mostrando di non aver dimenticato lo scontro precedente.
“Scusarmi con te, hm?” Fece l’altro,
sbrigativo. “Ok? Poi voglio lei.” Aggiunse,
indicando Dixi.
La ragazza abbassò gli occhi sulle proprie mani, mentre
Stark si avvicinava al tavolo.
“Hai dato un’occhiata al virus?” Le
chiese quindi.
Dixi lo guardò. “Durante il trasporto.”
Rispose.
“Volete, gentilmente, spiegare anche a me?”
S’intromise Steve.
“Questa ragazza qui.” Riprese Tony, accennando a
Dixi. “Spero tu abbia capito che non è una
qualunque.”
“L’ho capito benissimo.” Soggiunse il
capitano, dedicandole uno sguardo premuroso.
“La nostra Dixi ha un cervellino notevolmente sopra la media,
caro Cap.” Continuò Stark. “Ha creato un
programma – che, guarda un po’, si chiama Frozen,
era destino! – il quale è in grado di bloccare i
virus.” Spiegò quindi, non senza la solita ironia.
Steve guardò Dixi con espressione molto più che
interrogativa.
“Il mio programma intercetta e intrappola – surgela
– lo script dei virus.” Affermò la
ragazza. “Il computer viene infettato, ma questo ci da la
possibilità di studiare come è stato creato
l’agente patogeno.” Cercò di essere
più esauriente possibile.
“Mi stai dicendo che tu saresti in grado di
annullarlo?” Le chiese lui speranzoso.
“Beh, no, non proprio…” Fu costretta ad
ammettere lei. “Non senza accedere al server principale e
questo è impossibile, visto che attualmente sono loro a
controllare la rete, qualunque accesso sarebbe intercettato e
quindi…”
“Non preoccuparti di questo, ora.” La interruppe
Tony. “Voglio solo che tu mi dica se c’è
la concreta possibilità di creare un antivirus o un contro
virus, per annullare gli effetti.”
“Questa è roba grossa, Tony, ci hanno lavorato
delle gran teste, dammi retta.” Sostenne seria la ragazza.
“E sono teste umane, non c’è
dubbio.”
“Come fai a dirlo?”
L’interrogò Steve.
“Chi conosce il linguaggio di programmazione umano se ne
accorge subito.” Rispose lei con aria saputa. “Non
c’è niente di alieno, è gente che ha
studiato sulla Terra, non potrei dire lo stesso sui robot, ma il virus
è roba nostra.” Tony annuì al suo
discorso.
“Bene, questo è un vantaggio.”
Affermò poi, con insolito ottimismo. “Qui abbiamo
tre dei migliori cervelli a disposizione, ne verremo a capo.”
“Ma dobbiamo metterci subito al lavoro.”
Asserì Dixi.
“Ok.” Accettò Stark. “Rogie,
mi spiace ma vai in bianco anche questa volta.” Il capitano
gli dedicò un’occhiata contrariata.
“Vai, vai ad occuparti della tua radio, a far divertire Dixi
ci penso io…” Aggiunse, facendogli
l’occhiolino.
Qualche ora più tardi, Steve lasciò la sua
postazione davanti alla radio a Barton. I segnali che erano riusciti a
captare non erano stati molto utili, ma non disperavano di potersi
mettere in contatto con qualcuno delle forze armate.
Il capitano si fermò accanto alla macchina del
caffè. Non che la caffeina avesse un qualche effetto sul suo
metabolismo, ma il gusto del caffè gli piaceva allo stesso
modo di quando era normale.
Si stava versando una generosa tazza, quando vide arrivare il dottor
Banner, più arruffato e stropicciato che mai; sembrava che
si fosse giusto cambiato la camicia, sporcata di fuliggine dopo la fuga
dall’helicarrier.
“Bruce.” Lo salutò Rogers.
“Capitano.” Rispose lui con un cenno, prima di
prendere a sua volta una tazza per il caffè. “Come
va con la radio?” Gli chiese poi.
“Siamo riusciti a contattare solo alcuni utenti amatoriali,
speriamo che ci aiutino a creare un ponte radio in modo da contattare
qualcuno con un’utilità superiore.”
Rispose pratico Steve.
“Bene.” Annuì Banner, prima di prendere
un sorso dalla tazza.
“In laboratorio, invece?”
S’informò il capitano.
“Oh, è un idillio, quei due sono in perfetta
sintonia.” Rispose Bruce, senza nascondere una certa
sorpresa. “Hanno anche gli stessi gusti musicali…
Li ho lasciati in un brain storming sulle note di Children of the
revolution.” Aggiunse, con un sorrisetto storto.
“Oh, mio Dio…” Esalò Rogers.
“Co… cosa c’è?”
L’interrogò preoccupato Banner.
“Mi sono appena reso conto di avere una storia con una specie
di clone femminile di Tony Stark.” Confessò
abbattuto Steve, con una smorfia.
Bruce ridacchiò. “Questo la dice lunga su di
te!” Commentò poi.
“Dimmi che almeno stanno concludendo qualcosa.”
Supplicò il capitano.
“Sembrerebbe di sì.” Rispose ottimista
lo scienziato. “Ma vieni tu stesso a dare
un’occhiata.” Lo invitò poi.
“Ok, arrivo.” Acconsentì Steve.
“Prendo qualcosa da mangiare per Dix, se la conosco
sarà affamata.” Aggiunse dolcemente, voltandosi
verso il distributore di merendine.
“Sai, è bello vederti così.”
Affermò Bruce osservandolo.
Steve si voltò sorpreso. “Come?” Fece
interrogativo.
“Innamorato.” Rispose l’amico.
Il capitano sorrise appena e abbassò gli occhi.
“So che non è il momento migliore per…
iniziare una relazione, ma lei… è
speciale.” Sostenne con timidezza.
“Oh, ne sono certo!” Scherzò Banner.
“O non sarebbe di là con Tony Stark a creare un
antivirus per combattere un’invasione di robot!”
Steve, allora, gli sorrise apertamente, poi si presero per le spalle,
dandosi una pacca e si diressero in laboratorio.
Quando aprirono le porte del laboratorio, trovarono Dixi in ginocchio
su un tavolo e Tony ai suoi piedi che mimava l’assordante
assolo di chitarra che stava riempiendo la stanza.
“Dio, vi prego, spegnetelo!” Gridò
Steve, cercando di sovrastare il volume folle della musica.
“Jarvis, stoppa la musica!” Ordinò
allora la ragazza, facendo cessare immediatamente la canzone
– se così poteva essere chiamata.
“Oh, no!” Si lamentò Tony.
“Era il punto più bello!”
“State usando Jarvis?” Chiese Steve, ignorando il
miliardario che si lamentava ancora.
“Sì, è disconnesso.” Rispose
infastidito Stark. “L’importante è che
non acceda alla rete.”
“Almeno per ora.” Rincarò Dixi scendendo
dal tavolo.
“A che punto siete?” S’informò
il capitano, mentre Dixi lo salutava con un bacio sulla guancia.
“Buono, direi.” Affermò Tony annuendo.
“Stiamo completando un programma che possa sovrascrivere la
programmazione dei robot.” Spiegò la ragazza;
Steve la guardò aggrottando la fronte.
“È possibile?” Domandò serio.
“In via del tutto teorica, sì.” Gli
rispose Bruce, avvicinandosi ad un terminale.
“Abbiamo pensato che riprogrammare i robot era più
semplice – soprattutto con l’aiuto di Jarvis
– rispetto ad entrare nel loro server e infettarlo, di
nuovo.” Sostenne Dixi.
“Sembrate convinti.” Commentò il
capitano.
“Lo siamo.” Disse Tony, Bruce e la ragazza
annuirono.
“Cosa hai lì?” Domandò quindi
Dixi a Steve.
“Oh!” Fece lui alzando la mano dove teneva la
confezione di un muffin al cioccolato. “L’ho preso
per te, ho pensato che avessi fame.”
Lei gli rivolse uno sguardo adorante, poi guardò gli altri
due con occhi luccicanti.
“Ma come si fa a non innamorarsi di lui?” Chiese
retorica, prima di tornare a fissare il sorriso impacciato di Steve.
“Oh, è assolutamente impossibile!”
Commentò Stark, la voce falsamente sognante. Dixi gli fece
la linguaccia.
Quando, però, tornò a voltarsi, un capogiro la
fece vacillare. Steve la prese subito per le spalle sostenendola.
“Che succede?” Le chiese allarmato.
“No, niente… ho solo un po’ di mal di
testa…” Rispose lei mentre si massaggiava una
tempia.
“Dix sei esausta, hai bisogno di riposare.”
Replicò lui. “Oggi è stata una giornata
traumatica e sei anche rimasta ferita, devi dormire un
po’.”
“Ma io voglio essere utile!” Protestò
lei.
“In queste condizioni non ci servi a niente,
ragazzina.” Sbottò cinico Tony, voltandosi verso
una consolle. “È meglio se te ne vai.”
Dixi lo guardò male.
Bruce le poggiò amichevolmente una mano sulla spalla.
“Non ti preoccupare, lui fa così perché
odia essere privato della tua compagnia, ma…” Le
disse, accennando a Stark, lei sorrise. “…possiamo
continuare da soli, per un po’, tu vai a dormire, se avremo
bisogno ti chiameremo.”
“Promesso?” Fece la ragazza.
“Promesso.” Annuì solenne Banner.
Dixi guardò Steve che le sorrise incoraggiante, stringendola
appena a se e così lei decise di accettare qualche ora di
riposo. Salutò Bruce e Tony e seguì il capitano
fuori dal laboratorio.
Erano quasi davanti alla loro camera, quando si videro correre incontro
Natasha.
“Capitano!” Lo chiamò la donna,
avvicinandosi.
“Cosa succede, Agente Romanoff?”
S’informò immediato lui.
“Forse riusciamo a metterci in contatto col Generale
Woodward, alla Casa Bianca.” Gli annunciò la spia.
Steve prese un lungo respiro, poi guardò Dixi con
espressione colpevole ma determinata e lei capì subito qual
era l’importanza della cosa.
“Vai.” Lo incitò. “Io posso
dormire anche da sola.”
L’occhiata che le rivolse l’uomo era piena di
gratitudine, le sorrise e le diede un bacio sulla fronte, poi
seguì Natasha verso la sala radio.
“Chi sta parlando è il Capitano Steve Rogers degli
Avengers, Casa Bianca rispondete – passo.”
Era stato praticamente un miracolo che il ponte radio creato dagli
amatori li conducesse proprio alla Casa Bianca, dove erano tenuti in
ostaggio il presidente ed i membri della commissione sviluppo, tra cui
Pepper. Era stato un miracolo, ma Steve pensava che a volte fossero
necessari anche quelli.
“Rispondete – passo.” Continuava a
chiedere il capitano, sotto gli occhi dei suoi amici.
Erano arrivati anche Fury, Tony e Bruce, anche se Stark preferiva
ancora restare in un angolo buio vicino alla porta, forse impaurito
dalla delusione di non riuscire nel contatto.
“Parla il Generale Woodward, Capo di Stato Maggiore
dell’Esercito.” Rispose infine una voce energica.
“Lei è proprio il Capitano Rogers? Capitan
America? – passo.”
“Sì, sono io, Signore –
passo.” Replicò Steve.
“Il nemico ci aveva comunicato che i Vendicatori erano
dispersi nell’affondamento dell’helicarrier dello
SHIELD.” Rivelò il generale.
“Sono lieto di comunicarle che si tratta di una notizia
falsa, Signore.” Affermò Rogers. “Siamo
tutti salvi ed in buona salute.”
“Non sa che grande sollievo sia, Capitano.”
Esalò l’uomo. “Qui vicino a me
c’è il Presidente, vorrebbe parlarle.”
“Sarebbe un onore, per me.” Sostenne Steve.
“Capitano Rogers.” Esordì una seconda
voce, più profonda e solenne dell’altra.
“Signor Presidente.” Salutò subito lui,
raddrizzandosi come se lo avesse davanti.
“Non sa di quale conforto sia per noi, sapere che i
Vendicatori sono incolumi e costituiscono ancora la nostra
più grande speranza.” Dichiarò il
presidente.
“Le assicuro, Signor Presidente, che stiamo lavorando al
massimo delle nostre possibilità per riuscire a risolvere la
situazione.”
“Ne sono certo Capitano.” Asserì
l’altro. “In passato abbiamo mancato nel darvi la
nostra più completa fiducia ma, per quanto mi riguarda, non
commetterò questo errore una seconda volta.”
“La ringrazio, Presidente.” Annuì Steve.
“Faremo di tutto per non deluderla.”
“Pregherò che i vostri sforzi abbiamo un buon
fine.” Augurò Obama(2). “Che Dio vi
benedica.”
“Le sue parole ci rincuorano tutti, Signor
Presidente.” Gli assicurò Rogers, certamente
trattenendosi da mettersi sull’attenti e con la mano sul
cuore; Stark fece una smorfia. “Passo e
c…”
“No, aspettate un attimo!” Irruppe una voce
femminile, attraverso la statica della radio.
Era una voce che Tony conosceva benissimo e che gli provocò
un vuoto d’aria allo stomaco, costringendolo a staccarsi dal
muro che lo sosteneva. L’uomo si lasciò sfuggire
uno sbuffo divertito, immaginando la scena di Pepper che strappava il
microfono a Obama.
“Tony Stark è lì?”
Domandò la donna.
“Sì.” Rispose Steve, poi
incitò un recalcitrante Tony ad avvicinarsi, ma lo fece solo
quando Thor gli affibbiò uno spintone divino che avrebbe
potuto fargli sputare la spina dorsale.
“Ehm… Pepper, sono io…”
Tossicchiò nel microfono, quando fu davanti alla radio.
“Tony… Oh, Dio! Mi avevano detto che eri
morto!” Esclamò lei dall’altra parte.
“Non ti sei liberata di me neanche stavolta.”
Rispose ironico lui.
“Oh, ti odio!”
“Non è vero…”
“Scusate se v’interrompo…”
S’intromise Steve, doveva conoscere qualcosa che la
conversazione col presidente stava per fargli dimenticare di chiedere.
“Pepper, ho bisogno di sapere dove vi tengono e quanti
sono.”
“Ci tengono nel bunker della Casa Bianca.” Rispose
pratica lei. “Devono aver pensato che queste vecchie radio
non funzionassero, è un solo robot a controllarci, ma
nell’edificio sono entrati in tre e… Steve, si
comportano come adolescenti che giocano ai
videogames…”
“Ho capito.” Confermò lui.
“Steve…” Supplicò Pepper.
“…dimmi che sapete cosa fare.”
“Andrà tutto bene, Pepper.” Le
assicurò il capitano.
“Quando lo dice lui, viene da crederci anche a me.”
Soggiunse Tony, sporgendosi verso il microfono da sopra la spalla di
Steve.
“Tony, ti prego, non fare sciocchezze
pericolosissime…”
“Pep…”
“Ti amo.”
“Non sperare che ti risponda davanti a tutta questa
gente!”
“Non me lo aspetto mai, da te.” Affermò
retorica lei, con tono dolce. “Una volta, però,
prova a sorprendermi – passo e chiudo.”
Quello che restò dopo fu soltanto il fruscio della statica
ed il cuore di Tony aperto in due.
La scena che si sarebbe trovato davanti un ipotetico visitatore era a
dir poco deprimente.
Steve Rogers, ancora inguainato nella sua uniforme, sedeva per terra,
appoggiato al muro, le mani che ciondolavano tra le ginocchia piegate,
l’espressione vacua. Bruce Banner seduto su una poltroncina
si sosteneva il viso con una mano, l’aria di chi avrebbe
bisogno di un’urgente vacanza termale. Thor, in piedi contro
il muro a braccia incrociate ed un broncio nefasto sul viso. E, infine,
Tony Stark, seduto su un tavolo con le gambe penzoloni, che mangiava
pistacchi e ne gettava i gusci in un secchio di plastica poco distante,
infliggendo a tutti quel rumore cadenzato.
“Tony, ti prego, smettila, mi stai innervosendo.”
Lo supplicò Banner.
“E quanto, esattamente?”
S’informò il milionario. “Poco,
mediamente, in modo allarmante?”
“Allarmante, direi.” Rispose subito Bruce.
Stark, allora, alzò le mani in segno di resa e
posò sul tavolo il guscio che stava per gettare nel secchio.
Adorava punzecchiare Banner, ma non era il momento di mettersi
all’anima anche un Hulk, ne bastava una di base devastata.
“Andiamo, ragazzi.” Fece Steve, alzandosi.
“So che siamo tutti stanchi, ma abbiamo promesso al
Presidente che avremmo trovato una soluzione.”
“Tu, hai promesso al Presidente…” Gli
fece notare Tony, il capitano lo guardò malissimo.
“Io penso che dovremmo attaccare.” Sostenne Thor.
“Abbiamo lasciato fin troppo tempo al nemico per
organizzarsi, potevamo coglierlo di sorpresa se avessimo attaccato
subito.”
“Per quanto io sia d’accordo con te,
ragazzone.” Replicò Tony. “Questo nemico
ci ha tolto un sacco di possibilità col suo virus.”
“E quindi?” Li interrogò il dio norreno.
“Dobbiamo attaccare, ma con le armi giuste.”
Spiegò Banner.
“A tal proposito…” Intervenne Steve.
“…a che punto siete col programma?”
“Hm, buono.” Annuì Tony. “La
tua piccola Dixi ha fatto davvero un ottimo lavoro e non credevo di
poterlo dire a proposito di qualcosa non fatto da me.” Rogers
fece una smorfia. “Il lavoro è praticamente
finito, mancano solo un po’ di aggiustamenti.”
“Qual è il problema, dunque?”
“Il problema principale è di natura
logistica.” Affermò Bruce.
“È un po’ simile al tuo,
Rogie.” Fece Stark col suo solito irritante sorrisetto.
“Non sappiamo come fare a metterlo dentro.”
Steve roteò gli occhi. “Sorvolerò sulla
sua inopportuna e volgare allusione sessuale, per pensare a cose
più urgenti e concrete.” Dichiarò poi
con tono pratico. “Cosa pensate di fare?”
“È questo il bello…”
Mormorò lo scienziato.
“Non ne abbiamo la benché minima idea.”
Sentenziò Tony.
“Ma, per tutti i fulmini, ci deve essere un modo!”
Sbottò Thor.
“Riassumiamo i fatti.” Proclamò calmo
Steve a mani alzate. “Abbiamo un virus che può
sovrascrivere la programmazione dei robot, ma ci manca un modo per
infettarli e tutto questo a causa del fatto che sono i nostri nemici a
controllare la rete, mi sbaglio?”
“Santo cielo, sembra quasi che abbia capito
davvero…” Commentò sarcastico Stark,
meritandosi un’altra occhiata infastidita del capitano.
“Non vorrei fare ipotesi azzardate, ma credo che la formula
del Professor Erskine abbia ampliato anche le sue facoltà
intellettive.” Sostenne timidamente Bruce. Steve sorrise
grato.
“E infatti il mio era un complimento!”
Asserì Stark.
“Immagino che dovrei accontentarmi…”
Commentò divertito il capitano.
“Preferivi un bacio in bocca?” Ribatté
malizioso Tony.
“No, grazie, di questa esperienza faccio volentieri a
meno.” Fece immediato Steve, alzando le mani.
“Perché non hai provato.”
Ammiccò l’altro.
“Ok, basta così.” S’impose
Rogers. “Dobbiamo riposare qualche ora, magari le idee
verranno.”
“Sì, dai, vedi se almeno tu riesci a risolvere il
tuo problema logistico…” Replicò Tony.
“Stark, adesso basta.” Ringhiò il
capitano, prendendolo per il bavero della maglietta. “Mi hai
stufato con questi tuoi continui riferimenti alla mia vita privata,
quello che facciamo io e Dix sono solo affari nostri, hai
capito?”
Lui fece un sorriso senza ironia. “No, sei tu che non hai
capito.” Gli disse poi. “La vita è
troppo breve per non goderci quello che di speciale ci ha dato,
fottitene della tua buona educazione, dammi retta, domani potrebbe
essere tardi.”
Tony, quindi, si sottrasse alla sua presa e lasciò la stanza
aggiustandosi la maglia sulle spalle. Steve lo guardò andare
via, mentre si domandava perché loro due facessero sempre
tanta fatica a capirsi.
Steve entrò in camera facendo il minor rumore possibile.
Riuscì a trovare l’interruttore della luce del
bagno e, quindi, si sporse sul letto. Dixi dormiva profondamente e lui
fece un sospiro sollevato.
Decise che era assolutamente necessario farsi una doccia. Si chiuse nel
bagno e pochi istanti dopo era sotto il getto rilassante
dell’acqua tiepida. Uscì con un asciugamano sui
fianchi, dopo essersi sommariamente asciugato. Lasciò la
porta del bagno socchiusa, così che un po’ di luce
entrasse anche nella camera.
Il dialogo col presidente e la successiva conversazione con Tony e
Bruce gli avevano riversato addosso ulteriori preoccupazioni e
responsabilità. Si sentiva stanco, bisognoso di un momento
per non pensare a nulla.
Si sedette sul bordo del letto e carezzò Dixi, prima con lo
sguardo, poi con la mano, passando le dita tra i suoi capelli morbidi,
lungo la linea dolce della mascella, sul collo candido.
Lei aprì piano gli occhi, dapprima confusa, ma poi sorrise
riconoscendolo e posò la mano sulla sua, ferma sulla nuca.
Si guardarono negli occhi per un lungo momento e la ragazza riconobbe
la stanchezza e la pena sul viso di Steve, in quel sorriso abbozzato,
nei lineamenti gentili, in quegli occhi dalle ciglia lunghissime. Le si
strinse il cuore.
Lasciò la sua mano e si mise seduta. Lui la fissava un
po’ confuso, ma sempre senza parlare. La guardò
togliersi la t-shirt bianca che indossava e restare solo con gli slip,
poi prendergli il viso tra le mani e baciarlo. Con un calore che Steve
non aveva mai sentito.
Dixi, ora, era in ginocchio sul materasso, mentre lui era ancora seduto
sul bordo. La baciava, passandole con delicatezza le mani sulla
schiena. Le dita di lei tra i capelli ancora bagnati.
Quando si lasciarono per riprendere fiato, Steve la
allontanò appena da se e la osservò.
Toccò con delicatezza e una reverenza quasi religiosa il suo
seno, lo sguardo quasi commosso. Il silenzio era riempito solo dai loro
respiri sempre più profondi.
Steve, poi, si piegò a baciarle il petto con labbra gentili.
A Dixi sfuggì un piccolo gemito e si piegò su di
lui, baciandogli la nuca e le spalle.
Il calore in tutto il corpo stava diventando insopportabile e, a quel
punto, lei si sfilò le mutandine. Lui seguì i
suoi movimenti senza smettere di baciarla. L’asciugamano fu
molto più facile da abbandonare.
Steve, allora, la prese e la fece stendere sul letto, che
scricchiolò appena, strappando ad entrambi una risatina
nervosa, immediatamente soffocata da un bacio.
Dixi gli percorse con le dita tutta la schiena. Dio, doveva essere uno
spettacolo vedere quei muscoli contrarsi, mentre si abbassava su di lei
con rinnovata passione strappandole sospiri e piccoli versi
soddisfatti. E lui era così bello, con i capelli finalmente
spettinati ed il viso acceso di emozioni che controllava sempre troppo.
Quando entrò, Dixi esalò un lungo respiro
sorpreso, stringendosi ancora di più alle spalle solide di
Steve. Lui le baciò il collo, muovendosi piano sopra e
dentro di lei.
“Va tutto bene?” Le chiese dolce, direttamente
sulle labbra. Erano le sue prime parole.
“Meglio di così, è
impossibile…” Rispose lei senza fiato.
Invece era possibile. Perché quando cominciarono a muoversi
insieme, con il piacere che aumentava ad ogni spinta, i corpi premuti
uno contro l’altro, i sospiri ed i gemiti che si confondevano
nel respiro pensante di entrambi, Dixi pensò che quello era
sicuramente il paradiso.
Steve era forte, tenero e caldo e lei non era mai stata così
bene con nessuno. Anche se non avevano tempo, anche se domani forse il
mondo sarebbe finito. Steve era perfetto e lei era felice in un modo
così assoluto da far male.
Lui venne inarcandosi e sostenendosi sulle braccia, gli occhi chiusi e
le labbra appena aperte. Lei lo raggiunse poco dopo, aggrappandosi al
suo torace, con un gemito soffocato. Ricaddero entrambi sulle lenzuola
ruvide della base, respirandosi addosso. Ora la battaglia faceva meno
paura.
CONTINUA
NOTE:
(1) – intendo le radio di
vecchio tipo, non digitali, per intendersi, quelle usate prima
dell’avvento delle comunicazioni satellitari.
(2) – so che
nell’universo Marvel il presidente è un altro (tra
l’altro ho visto Iron Man 3 proprio venerdì
scorso), ma passatemi Obama come Guest Star del capitolo, ce lo vedevo
troppo bene Steve a salutare un presidente di colore! Disclaimer:
massimo rispetto per i personaggi reali citati, il loro lavoro e la
loro vita privata.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
INHA - 7
Bene,
gente, insospettabilmente siamo giunti al penultimo capitolo di questa
storia, che devo dire mi sta procurando più soddisfazioni di
quante avrei pensato. Le vostre recensioni mi riempiono di gioia,
davvero! Grazie ancora, in anticipo e anche a chi legge soltanto.
La canzone che introduce il
capitolo è “Mr. Big Time” (soprannome perfetto per
un certo genio filantropo di nostra conoscenza XD) di Jon Bon Jovi,
presente nella colonna sonora di “Armageddon”.
Buona lettura!
Sara
Capitolo 7
I'm getting ready for the big time
Someday I'm going to be in big time news
Ain't going to waste it when I'm big time
I'll be ready for it, bing, bang, boom
I can taste it, I'll be prime time
Dixi guardò la
sveglia: le quattro e quaranta del mattino. Negli ultimi giorni aveva
perso la cognizione del tempo, senza contare che in quella base
sotterranea non poteva nemmeno vedere il cielo e farsi un’idea
delle ore che scorrevano. Potevano essere passati molti giorni
dall’ultima volta che aveva visto casa. Sperò che la
vicina si fosse occupata di Zephyr come aveva promesso.
La ragazza sospirò e
tornò a fissare il soffitto, cosa che stava facendo da almeno
un’ora, alternandolo con la sveglia. Accarezzò il braccio
di Steve, che l’abbracciava ancora, dormendo profondamente. Per
quanto le dispiacesse, doveva svegliarlo.
“Steve.” Chiamò piano, carezzandogli il viso.
Era proprio un sacrificio,
privarsi di quell’abbraccio caldo e rassicurante, del corpo di
lui contro il proprio. Il mondo poteva cadere, ma finché era tra
le sue braccia, tutto sarebbe andato bene.
“Steve.” Insisté la ragazza.
Le lunghe ciglia bionde del
capitano fremettero, per poi aprirsi piano e mostrare le sue iridi
azzurre e assonnate. Le sorrise con tutta la dolcezza di cui era
capace. Dixi sentì un bellissimo calore buono diffondersi nel
suo cuore.
“Ciao.” Mormorò lui, prima di baciarle il collo.
“Ciao.” Rispose
lei. “Mi dispiace averti svegliato, ma devo assolutamente fare
una cosa.” Aggiunse con espressione colpevole.
“Cosa?” Domandò confuso lui.
“Devo parlare subito con Tony.” Confessò Dixi. Steve spalancò gli occhi e la guardò allarmato.
“Non di quello che è successo tra noi!” Esclamò quindi.
La ragazza ridacchiò, abbracciandolo. “No! Anche se penso ne sarebbe molto lieto.”
“Di che cosa, allora?” L’interrogò Steve.
“Quando mi sono
svegliata ho cominciato a pensare a cosa fare per introdurre il nostro
virus nella programmazione dei robot e mi è venuta
un’idea.” Raccontò lei. “So che non è
molto romantico…”
Rogers si staccò da
lei, sollevandosi su un gomito, per guardarla meglio. Nella stanza
c’era la penombra data dalla luce del bagno che filtrava
attraverso la porta socchiusa.
“Vestiamoci.” Dichiarò pratico l’uomo, lei annuì.
Pochi minuti dopo erano
pronti per tornare in azione. Avevano indossato le prime cose a
disposizione: jeans, anfibi e la maglietta con cui dormiva per Dixi,
pantaloni di una tuta e analoga t-shirt per lui. Si guardarono negli
occhi, appena prima di uscire dalla porta.
“Quanto al
romanticismo…” Fece Steve, prendendole la mano.
“…per quanto mi costi dirlo, ora non abbiamo tempo per
essere romantici.”
“Già.” Confermò la ragazza.
“Ma, credimi, quando tutto sarà finito, mi dedicherò solo a te.” Le promise lui.
“Stanotte, è già stata così tanto, Steve.” Replicò Dixi con un sorriso dolce.
“Ti amo, Euridice.” Confessò sicuro lui, guardandola negli occhi.
A lei venne un’extrasistole, da cui si riprese con sorprendente facilità.
“Oh,
Dio…” Fece poi, sconvolta, coprendosi il viso, Steve la
fissava confuso. “Ti amo anch’io, Cap!” Gli disse
infine, rassicurandolo con un abbraccio, dopo quella rivelazione
inaspettata.
Steve sorrise più determinato. “Andiamo a salvare il mondo, Signorina Spitz?”
“Se lo dici
così, potrei anche crederci.” Affermò sorridente
Dixi, poi lui la prese per le spalle e la guidò nei corridoi
della base.
Meno di mezz’ora dopo
erano di nuovo tutti nel laboratorio e Stark stava fissando con sguardo
vacuo l’espressione determinata di Dixi.
“Allora?” Le
fece, poco convinto. “Qual è il motivo per cui sono stato
svegliato dal mio sonno di bellezza, per il quale dovevo ringraziare un
paio di sonniferi e un bicchiere di vodka?”
“Ho avuto un’idea.” Gli disse la ragazza.
“Prima o dopo essergli saltata addosso?” S’informò spento Tony, accennando al capitano.
“Dopo.” Rispose lei.
“Ahhh!”
L’espressione del milionario si fece immediatamente più
interessata, mentre ammiccava al compagno d’armi.
“Lascia perdere le tue battute idiote, Stark e stalla a sentire.” Ordinò Steve con piglio severo.
“Hmm, non è arrapante quando fa il duro?” Soggiunse Tony, rivolto a Dixi.
“Oh,
sì.” Confermò lei, seguendo i movimenti del
capitano mentre si spostava nella stanza. Lui roteò gli occhi
arreso.
“Che poi, con quella faccia lì, quanto duro potrà mai essere?”
“Abbastanza, ti dirò…” Rispose Dixi allusiva, sollevando le sopracciglia in direzione di Tony.
Rogers si girò di
scatto e fulminò entrambi con un’occhiata glaciale che
avrebbe potuto trasformali agevolmente in parenti di Loki.
“Vogliamo ascoltare l’idea di Dixi, invece di continuare con le cavolate?” Intervenne Bruce.
“Finalmente una persona ragionevole!” Sbottò il capitano.
“E va bene,
ascoltiamo.” Fece Tony, passando accanto a Steve.
“Però, lascia che te lo dica Rogie, la gente di solito si
rilassa, facendo sesso…” Aggiunse, dandogli una pacca sul
braccio.
“Vabbene.” Fece
la ragazza alzando le mani. “Parliamo di cose serie.”
Sentenziò, attirando l’attenzione di Stark. “Cosa
sai del progetto Brother One?”
Tony si appoggiò ad
uno dei tavoli ed assunse un’espressione riflessiva; dopo qualche
secondo annuì e rialzò lo sguardo in quello della ragazza.
“C’erano voci
di un progetto supersegreto della Nasa, riguardo una rete alternativa
per la gestione degli armamenti nucleari, ma l’agenzia
governativa ha smentito, adducendo teorie complottistiche e deliri di
hacker strafatti.” Affermò infine il milionario.
“Non è una
teoria complottistica, né il delirio di un hacker.”
Sostenne Dixi. “Il progetto Brother One esiste, c’è
il satellite ed io so anche dove si trova.”
“E come fai a sapere tutte queste cose?” Domandò Stark più interessato.
“Lo sai, come…” Biascicò lei, deviando lo sguardo imbarazzata.
“Ah!” Esalò Tony. “Questo non c’era nei verbali…”
“Non mettono nei verbali i file segretissimi.” Fece la ragazza.
“Io non capisco…” Intervenne confuso Steve. “Verbali? Ma di che state parlando?”
“Lascia stare,
Cap.” Lo interruppe Tony, continuando a fissare Dixi. “Cosa
avresti intenzione di fare, ragazzina?” Le chiese serio.
“Se riuscissimo ad
avere accesso al satellite del Brother One, potremmo usare la rete
alternativa e riuscire ad infettare i robot.” Rispose
appassionata la ragazza.
“Una volta
sovrascritta la loro programmazione, potremmo usarli a nostro
piacimento.” Asserì Bruce, improvvisamente molto
interessato.
“È possibile
fare una cosa del genere?” Domandò Steve. “Accedere
e controllare un satellite…”
Dixi annuì. “Sì, ma c’è un solo modo.” Guardò negli occhi Tony.
“Dobbiamo interfacciare il satellite.” Dichiarò lui, lei confermò con un cenno.
“E come possiamo farlo?” S’informò il capitano.
“C’è una
sola possibilità.” Rispose Banner con espressione cupa.
“Dobbiamo andare lì.”
“Vuoi dire, nello spazio?” Fece Steve incredulo. Lo scienziato annuì.
“Bene,
ragazzi.” Intervenne Tony battendo le mani. “Niente panico,
c’è qui il vostro Iron Man pronto ad affrontare
quest’ennesima azione eroica, sì, non ringraziatemi, gli
applausi alla fine, prego.” Aggiunse baldanzoso, facendosi spazio
tra gli altri.
“Stark…” Accennò corrucciato il capitano.
“Tony, non mi risulta
che la tua attuale armatura sia stata testata per la
stratosfera.” Gli fece presente Banner, con tono preoccupato.
“Oh, ma saranno
sufficienti alcune piccole modifiche che possiamo benissimo fare io e
te.” Gli assicurò lui. “E, in fondo, sono già
stato nello spazio con un modello precedente, quindi…”
“Quello era un portale artificiale, non è esattamente la stessa cosa.” Si permise di obiettare Bruce.
“Dobbiamo metterci subito al lavoro, Banner, finiamola con i discorsi inutili!” Sbottò Tony.
“Che detto da te…” Commentò Steve.
“Io e Bruce
lavoreremo alle modifiche per l’armatura.” Dichiarò
però Stark, ignorandolo. “E tu, Dixispitz, finirai col
programma e preparerai l’interfaccia. Avete i vostri compiti,
Signori… ai posti di combattimento.” Aggiunse con piglio
deciso.
Gli altri non poterono fare
altro che raggiungere le proprie postazioni e salutare Rogers, il
quale, sentendosi abbastanza inutile, si apprestò a tornare in
sala comando, salutato da un bacio di Dixi.
“Sei consapevole, vero, che quello che possiamo darti sono solo secondi?”
“Li farò bastare.”
“Se non farai in
tempo, la tua armatura potrebbe fare la fine di una vaschetta di
alluminio nella spazzatura e tu, grande Tony Stark, quella
dell’avanzo delle lasagne.”
“Questo, Bruce, gli altri non devono saperlo per forza.”
Lavorarono senza
praticamente alzare la testa per le successive otto ore. Quando Dixi
annunciò che il programma era pronto, fu fatta una verifica da
Stark e Banner, poi si trasferirono tutti in sala comando per una
riunione operativa.
“Quello che ci serve
adesso è un diversivo.” Annunciò Rogers. “Che
possa distrarre il nemico e darci il tempo di arrivare al satellite,
interfacciarlo e infettare i robot col nostro virus.”
“Abbiamo pensato che
questo diversivo potrebbe essere liberare il Presidente e gli altri
prigionieri alla Casa Bianca.” Spiegò Fury.
“Sarà pericoloso, non lo nego, soprattutto senza le solite
comunicazioni, ma è necessario alla riuscita del piano.”
Aggiunse serio. “Guiderò personalmente
l’azione.”
“Siamo con lei, Signore.” Annuì Barton.
“Non vedo l’ora di distruggere un altro paio di quei cosi.” Rincarò Natasha con un ghigno sadico.
“Thor, vuoi essere dei nostri?” Chiese il direttore all’asgardiano.
“Sarebbe un onore, Uomo Bendato.” Annuì il biondo.
“E noi, cosa faremo?” Domandò preoccupata Dixi.
“Tu, io e Tony saremo
su uno degli edifici più alti della città, pronti a
spedire Iron Man nello spazio, mentre Bruce ci guarderà le
spalle.” Affermò Steve.
La ragazza guardò
verso Banner, il quale le sorrise mite, ma lei sospettò che i
nemici non avrebbero trovato quell’arrendevole scienziato ad
aspettarli.
“Bene, Signori, ora
sapete qual è il piano.” Dichiarò Fury. “Le
nostre strade si dividono qui.”
“E speriamo di non rivederci a cena nell’aldilà.” Scherzò Barton.
“È stato
comunque un piacere, combattere ancora insieme.” Intervenne la
Romanoff, sorridendo decisa. Clint confermò annuendo.
Dixi si guardò
intorno un po’ confusa, non aveva ancora familiarità con
quell’aura eroica e rotta alla possibilità di una morte
gloriosa. Trovò, infine, i rassicuranti occhi blu di Thor.
“Non temere,
Euridice.” Le disse il dio norreno. “Sono certo che il
Capitano non permetterà che ti succeda niente di male.”
Poi le prese la mano e la baciò piano.
Lei spostò lo
sguardo alla propria sinistra, dove sedeva Steve. L’uomo le
sorrise tranquillo, prima di stringere la sua mano nella propria,
già chiusa nel guanto di cuoio rosso.
*****
Era dunque così,
trovarsi in una battaglia? Il suo massimo erano stati i sit-in durante
Occupy Wall Street e già aveva avuto una paura assurda,
circondata da tutti quei poliziotti in assetto da sommossa. Qui, tutto
era così calmo e silenzioso.
Dixi si guardò
intorno. Washington occupata era deserta, in quell’alba nebbiosa
e lei si sentiva inquieta, anche se era stretta tra Steve in uniforme,
col suo scudo ben piazzato sul braccio, e la sfolgorante armatura color
rubino che conteneva Tony.
Affondò il viso nel
giubbotto di Steve – che aveva insistito per indossare – e
strinse a se il lap top che conteneva quella che speravano sarebbe
stata la salvezza, il pezzo più prezioso di quell’attacco.
Attaccata al fianco rassicurante del capitano, si girò appena
per osservare la scena circostante.
Accanto al loro gruppo
c’era un grattacielo altissimo e intorno solo strade vuote.
Pensò che in quella città non c’era stato
così poco traffico nemmeno ai tempi di Lincoln.
La ragazza, però,
improvvisamente sussultò, facendo voltare anche i due supereroi.
Un gigantesco essere verde, dalla impressionante muscolatura, si
dirigeva verso di loro.
Non aveva mai visto Hulk di
persona e ne rimase impressionata, faceva veramente paura. Steve la
rassicurò posandole un braccio sulle spalle.
“Tranquilla.” Le disse con voce calma.
“Hulk resta
giù.” Disse il gigante, con una voce che non somigliava
neanche lontanamente a quella mite del dottor Banner.
“Bravo.” Annuì Tony.
“E spacca tutto quello che ci minaccia.” Gli ordinò il capitano.
“Hulk spacca!” Ruggì lui e se andò minaccioso come era arrivato.
“Mamma mia…” Esalò Dixi, quando se ne fu andato, posandosi una mano sul petto.
“Fa impressione,
vero?” Fece Tony, prima di chiudere la protezione per il viso e
girarsi verso Steve. “Come procediamo, Cap?”
“Io salgo da dentro, tu porta su Dixi.” Rispose Rogers.
“Come?” Interrogò lei. “Mi porta su? E come?”
La risposta di Steve fu
solo un sorrisetto furbo, poi lei si sentì sollevare da terra e
si ritrovò tra le braccia di metallo di Stark.
“Reggiti.” Le disse lui, prima di spiccare il volo.
Quando furono sul tetto, la
depositò delicatamente a terra. Lei era completamente sbalordita
e entusiasta. Lui sollevò la maschera e le sorrise compiaciuto.
“Allora?” Le chiese.
“Questa –
è – una – cosa – FIGHISSIMA!”
Scandì la ragazza con un saltello, Tony gongolò.
Quando Steve li raggiunse,
la ragazza stava già preparando l’interfaccia che Iron Man
avrebbe portato verso il satellite.
“Tutto ok?” Domandò prudente il capitano.
“Siamo attivi.” Rispose Tony.
Rogers si avvicinò a
Dixi, la quale scriveva velocissima sulla tastiera, con espressione
concentrata. Alzò appena gli occhi per sorridergli.
“Dix.” La
chiamò però lui; lei gli mostrò attenzione con un
cenno. “Sei davvero sicura di riuscire a farlo?” Le chiese
serio.
La ragazza lo fissò stupita. “Steve, ho crackato i file della Nasa, del Pentagono, dello SHIELD…”
“Sì, ma quello era quasi una specie di gioco e…” Obiettò lui.
“Ma quale
gioco!” Intervenne Tony. “Diciotto imputazioni su tre
stati, l’FBI le è stata alle costole per mesi.”
Rogers lo fissò sbalordito per un lungo secondo, poi spostò uno sguardo severo su Dixi.
“Ehm…” Fece lei, desiderando di scomparire nel nulla.
“Prima o poi avresti dovuto dirglielo, ragazzina.” Dichiarò Stark.
“Grazie della delicatezza, Tony…” Commentò lugubre la ragazza.
“Spiegami.” Ordinò nel frattempo Steve, fissandola con piglio autoritario.
“Faccio io, che
abbiamo fretta.” S’intromise ancora l’amico.
“Quando i federali l’hanno arrestata, Dixi ha fatto un
accordo col procuratore che includeva la mia offerta di lavoro –
sai, sono dell’opinione che è meglio avere qualcuno tanto
dotato con me, invece che contro – ma stai tranquillo Rogie, la
libertà condizionata le scade l’anno prossimo.”
Steve e Dixi si scambiarono
un’occhiata. Lui sembrava ancora perplesso, vagamente arrabbiato.
Lei avrebbe preferito scambiarsi di posto con Tony ed essere spedita
nello spazio.
“Ora,
gentilmente…” Fece Tony, dando le spalle ad entrambi, un
portello si aprì sulla schiena dell’armatura.
“…vuole penetrarmi, Signorina Spitz?”
Dixi, con già il cavo in mano, fece una smorfia colpevole a Steve e poi si rivolse ad Iron Man.
“Con piacere, Signor
Stark.” E con un sorrisetto un po’ sadico allacciò
il cavo alla presa nell’armatura.
“Oh!” Esclamò Tony sussultando. “Questo è… interessante!”
“Perché, dalla tua espressione, sembra qualcosa di sessuale?” L’interrogò il capitano.
“Uhuhhh… Perché lo è!” Rispose l’altro, contorcendosi nella sua corazza.
“Mi scusi, Signore, devo adattarmi alla nuova configurazione.” Sostenne Jarvis.
“Tranquillo, fai pure!”
Steve levò gli occhi
al cielo. “Bene.” Affermò poi, sarcastico.
“Sto per affrontare una battaglia con un ninfomane e una
pregiudicata.”
“Cap!” Sbottarono all’unisono Stark e Dixi.
Ma non poterono aggiungere
altro, perché in un punto alla loro destra il cielo si
addensò ed i fulmini cominciarono a convergere verso il basso.
Thor stava attaccando. Osservarono la scena e le loro espressioni si
fecero immediatamente serie.
“È cominciato.” Annunciò cupo il capitano.
“Dixi, siamo pronti?” Domandò Tony, con un tono solenne che non erano abituati a sentirgli.
“Solo un attimo.” Rispose lei, il capo sulla tastiera.
Rogers andò davanti
a Stark e lo guardò negli occhi, gli rispose lo sguardo profondo
ma sempre ironico dell’amico. Steve gli sorrise brevemente.
“Qual è il piano B?” Domandò il milionario.
“Non abbiamo un piano B.” Rispose il soldato.
“Quindi se il piano A
non funziona sarà un gran tuffo di testa in un mare di sterco,
ottimo.” Commentò l’altro.
“Abbiamo sempre dimostrato di essere bravi a tenerci a galla.” Replicò tranquillo Rogers.
Stark sorrise storto, poi porse la mano all’amico. “È sempre un onore, Capitano.”
“Anche per me, Signor Stark.” Ribatté Steve, quindi si strinsero reciprocamente l’avambraccio.
Dixi, che aveva seguito
tutta la conversazione con un sorriso, staccò il cavo che
collegava il computer all’armatura. I due uomini si voltarono
verso di lei.
“È tutto pronto.” Annunciò la ragazza.
“Beh, che dire…” Fece Tony. “Merda.”
Salutò Dixi con un
buffetto metallico, annuì al capitano e poi spiccò il
volo. Lo seguirono con lo sguardo, finché anche l’ultimo
puntino di luce sparì tra le nuvole.
“Adesso è solo.” Commentò la ragazza. “Speriamo soltanto che il segnale funzioni.”
Il robot fu avvolto dai
fulmini, poi si accartocciò su se stesso emettendo una fumata
nera, quindi il dio del tuono si voltò, spiccò un balzo e
schiacciò la testa di un altro robot col suo martello.
Se la battaglia davanti
alla Casa Bianca non si era ancora trasformata in un’epica
sconfitta per i Vendicatori, molto era merito di Thor, perché
non molte altre armi oltre ai suoi fulmini ed al martello, erano
efficaci contro i nemici.
Certo Clint e Natasha ne
avevano fatti fuori un paio, grazie all’astuzia della Vedova ed
alle frecce esplosive del Falco, ma i robot erano troppo corrazzati per
qualsiasi altra azione efficace.
“Abbiamo notizie
certe che Iron Man è appena partito.” Riferì Fury,
parlando a Barton e Romanoff da sopra uno degli ultimi mezzi blindati
rimasti intatti dagli attacchi precedenti. “Dobbiamo dargli un
altro po’ di tempo.” I due agenti annuirono.
Natasha guardò Clint
con espressione pensierosa, non appena il capo si fu allontanato per
portare un nuovo attacco. Lui intuì che le era venuta
un’idea.
“Cosa c’è?” Domandò l’uomo, prima di caricare un’altra freccia esplosiva.
“Non c’è
nessuno a pilotare questi robot, sono comandati in remoto.”
Affermò la donna. “Deve esistere un centro di
comando.”
Lui la fissò per un lungo significativo momento. “Certo, che deve esserci.” Confermò.
“Troviamolo.” Dichiarò lei decisa.
Clint annuì ed ebbero una nuova missione, mentre Thor friggeva l’ennesimo guerriero artificiale.
Dixi alzò gli occhi
dallo schermo del lap top ed osservò la figura solida e perfetta
del capitano stagliarsi contro il cielo; immaginò il suo sguardo
serio rivolto ai rumori lontani della battaglia, le belle labbra
imbronciate, la mascella contratta.
Fino a quel momento, la
ragazza non aveva ancora realizzato quanto fosse assurda tutta la
situazione. Era consapevole di avere doti non comuni nella propria
materia, ma aver contribuito a qualcosa che poteva salvare il mondo era
leggermente fuori dalla sua portata. Si sentiva emotivamente
impreparata a quello che stava succedendo. Eppure vedere Steve, bello e
fiero come una statua antica e altrettanto solenne, le dava un certo
senso di sicurezza.
Questo almeno finché
l’uomo non parlò e la sua voce di solito dolce
suonò stranamente fredda e allarmante nel silenzio di quel tetto.
“Di quanto tempo
abbiamo ancora bisogno?” Chiese a Dixi, facendola sussultare; lui
non si era girato, continuava a guardare insistentemente verso la
battaglia.
“Secondo i calcoli…” Rispose lei, dopo essersi ripresa. “…circa nove minuti.”
“Non abbiamo nove minuti.” Sentenziò il capitano, dandole ancora le spalle.
“Che vuol dire?!” Interrogò preoccupata la ragazza. Steve si girò verso di lei con espressione seria.
“Stai lavorando in linea con Jarvis, vero?” Le disse quindi e lei capì.
Dixi annuì.
“Sì.” Confermò poi. “Ci
individueranno…” Aggiunse poi, consapevole.
Steve la guardò
negli occhi, cercando di essere il più fermo possibile,
nonostante l’idea che lei fosse coinvolta in uno scontro gli
facesse tremare le mani.
“Se arrivano, tu pensa solo al computer.” Le disse. “A loro ci penso io.”
“Steve…”
“Shh.” Fece lui, avvicinandosi. “Andrà tutto bene.”
Le prese la nuca con la
mano guantata e l’avvicinò a se, dandole un bacio appena
umido. Dixi fece un piccolo sorriso nervoso e gli strinse
l’avambraccio.
“Sei minuti, Signore.” Annunciò la voce di Jarvis.
“Bene.” Annuì Tony. “Eccolo là.” Aggiunse, dopo aver adocchiato il profilo del satellite.
Nel buio dello spazio, la
superficie metallica dell’attrezzatura brillava colpita dai raggi
del sole. Iron Man si avvicinò veloce e preciso, rallentando
quando gli fu vicino.
“Adesso troviamo
l’accesso più facile.” Disse il milionario, facendo
iniziare a Jarvis la scansione del satellite.
“Non devo dirle, vero
Signore, che appena cominceremo a scaricare l’interfaccia,
probabilmente il nemico ci individuerà.” Sostenne
l’intelligenza artificiale.
“Ci preoccuperemo di
quello quando succederà.” Sostenne Tony, mentre estraeva
il cavo da un portello sull’armatura. “Dammi il tempo,
piuttosto.”
“Quattro virgola quarantotto minuti alla decompressione della corazza.” Rispose Jarvis.
Tony trovò e
scardinò il portello che copriva l’accesso ai sistemi del
satellite, poi inserì la spina del cavo ed ordinò a
Jarvis di cominciare col download.
“Siamo dentro.” Soffiò quindi, mentre nel petto il cinismo combatteva con la speranza.
Steve stava fissando
l’orizzonte con nel petto la spiacevole sensazione che la pace
stesse per finire. Lanciò una veloce occhiata a Dixi, la quale
fissava intensamente lo schermo del lap top, poi tornò a girarsi
in direzione della battaglia.
“Il download è
quasi completato.” Annunciò la voce concentrata della
ragazza, proprio nel momento in cui lui vide tre punti neri alzarsi in
volo e prendere la loro direzione.
“Mettiti al riparo.” Ordinò il capitano.
Lei lo guardò incredula. “Che succede?” Domandò allarmata.
“Arrivano.” Rispose Steve, mentre si metteva in posizione divaricando le gambe.
Dixi osservò
l’orizzonte, dove si stavano allargando le tre figure scure;
ormai poteva riconoscere senza problemi i robot che li stavano per
attaccare.
“Ho detto: riparati.” Insisté Steve con tono glaciale.
La ragazza prese il
computer e si rifugiò oltre uno dei lucernari in vetro che
affacciavano sul tetto, quindi cominciò a dividere la sua
attenzione tra lo schermo – dove la barretta del download andava
riempiendosi – e quello che stava per affrontare il capitano.
Il primo robot non
riuscì nemmeno ad approcciare il tetto. Steve lanciò lo
scudo e gli tranciò di netto un braccio e un’ala.
L’automa perse stabilità, piegò di lato e
precipitò, schiantandosi con un boato contro l’edifico
accanto. Dixi sussultò per lo schianto e poi vide il fumo.
Il secondo nemico,
però, stava già per atterrare. Il capitano lanciò
ancora lo scudo, che lo colpì al petto, tornando indietro. Il
robot sparò e Steve si difese dietro lo schermo di vibranio. In
quel momento, atterrò anche il terzo nemico.
Dixi osservava la scena
terrorizzata. Steve era certamente forte, agile e con i riflessi
prontissimi – e anche particolarmente elegante quando combatteva
– ma affrontare due robot da solo e senza armi le sembrava
un’impresa enorme anche per lui.
Non fece in tempo a
formulare questo pensiero, che il capitano balzò sulle spalle di
uno dei due robot, strappandogli poi i circuiti sporgenti nella zona
del collo. L’automa sfrigolò e fumò, prima di
accasciarsi.
Tutta questa operazione,
però, comportò un attimo di distrazione, per Steve. Il
terzo robot non perse tempo e lo colpì con un raggio di energia.
Lui non fece in tempo a ripararsi con lo scudo.
Dixi vide Steve essere
investito dal raggio e lo sentì gridare di dolore, quindi il suo
corpo s’inarcò all’indietro in modo innaturale,
quasi sollevato sulle punte dalla scarica.
“Steve!” Gridò disperata, balzando in piedi, senza pensare che così rischiava di compromettere tutto.
Quando Tony li vide
arrivare, mancavano pochi secondi alla fine del download e due minuti
scarsi alla compromissione della corazza di Iron Man.
“Merda.” Imprecò tra i denti. “Quanti sono, Jarvis?”
“Cinque, Signore.”
“Completiamo il
download e inviamo il segnale, poi ci occuperemo della collezione di
Transformers.” Disse beffardo. “Mi manca giusto
l’ultimo Decepticon.”
“Download completato,
Signore.” Annunciò Jarvis, proprio mentre il primo robot
lanciava un missile. “Le armi del nemico sono puntate verso di
noi.”
“Mirano al satellite,
cazzo!” Esclamò Tony, rendendosi conto della situazione.
“Dobbiamo tenerli bada, Jarvis.” Aggiunse, rispondendo al
fuoco e distruggendo il missile dei nemici.
“Sistemi in linea, risposte d’attacco pronte.” Replicò il software.
“Tempo?”
“Un minuto e cinquantaquattro secondi alla decompressione dell’armatura.”
Tony strinse i denti, analizzò con lo sguardo i suoi schermi e distrusse altri due missili che puntavano al satellite.
“Invia il segnale, Jarvis.” Fu il suo ordine più urgente. “Adesso!”
Clint e Natasha presero un
elicottero e sorvolarono l’area dell’attacco. Non gli ci
volle molto ad individuare, nei pressi dello Smithsonian, un grande
rimorchio nero circondato da ben quattro armatissimi robot.
I due agenti si scambiarono
uno sguardo significativo. Se quella non era la base operativa del
nemico, ci somigliava parecchio ed era nel raggio d’azione
necessario per controllare gli automi da combattimento.
Non sarebbe stato facile
radunare uomini sufficienti ad affrontare i robot a guardia della base,
specie con le comunicazioni completamente azzerate. Provarono ad
inviare un segnale radio, ma prima che qualcuno gli potesse rispondere,
uno dei guardiani li individuò e sparò un missile contro
di loro.
Ci volle tutta
l’abilità di pilota di Barton, per schivare il colpo ed
atterrare a debita distanza; ad ogni modo, lui e la donna, fecero
appena in tempo a scappare dall’elicottero che questo fu
distrutto da un secondo missile. Le fiamme baluginavano ancora alle
loro spalle, mentre si rifugiavano dietro un edificio.
“Comunicazioni?” Domandò la Romanoff, ricaricando un fucile.
“La radio era sull’elicottero.” Rispose Barton, controllando le rimanenze nella faretra.
“Munizioni?” Fece allora Natasha; si guardarono. “No, non me lo dire: sull’elicottero!”
“Abbiamo solo
questo.” Dichiarò Clint, accennando
all’equipaggiamento che avevano davanti, mentre un primo colpo
raggiungeva il muro alle loro spalle, facendo esplodere pezzi di
cemento.
“Bene.” Annuì lei scuotendo i boccoli rossi. “La nostra situazione preferita…”
“Intendi quella con
un nemico dalla forza e potenza di fuoco superiore, senza rinforzi, con
poche armi e scarse possibilità di riuscita?”
Ironizzò lui.
“Esatto!” Esclamò la donna, con una luce vagamente folle negli occhi chiari.
“Lasciatelo dire, Nat.” Replicò Clint. “Tu sai come far divertire un uomo.”
“E non hai visto il meglio.” Sostenne lei, mentre montava l’ultimo pezzo di un piccolo bazooka.
La donna si mise l’arma in spalla e poi prese Clint per il bavero, dandogli un sensuale bacio.
“E questo?” Fece lui sorpreso.
Lei si strinse nelle
spalle. “Domani potremmo essere morti.” Rispose pratica,
prima di spostarsi sulla destra e sparare il primo colpo contro i robot.
Il grido di Dixi aveva
attirato l’attenzione del robot rimasto, dopo che Steve era
crollato a terra esanime. La ragazza lo vide camminare pesantemente
verso di se e prese l’unica decisione possibile: scappare.
Prese da terra il lap top e
corse. Non sapeva dove, ma doveva allontanarsi al più presto
possibile. Corse verso una delle torrette delle scale, forse
all’interno poteva salvarsi.
Il tempo, però,
decise che quello era il momento. Un cicalino insistente dal computer
le annunciò che – sì, proprio mentre correva
disperatamente per sfuggire ad un robot e non sapeva quale fosse la
sorte dell’uomo che amava – era il momento di premere quel
pulsante e dare il via al virus.
“Cazzo, cazzo, cazzo!” Imprecò correndo.
Dixi, poi, sentì
arrivare i colpi; probabilmente non la raggiungevano perché era
in movimento. Incavò la testa nel collo della giacca di Steve,
mentre la ghiaia del tetto le colpiva le gambe.
Un raggio raggiunse uno dei
lucernari, alla sua destra, facendolo esplodere in milioni di schegge
di vetro. Lei si riparò con un braccio, ma un’altra
esplosione fece spostare l’aria e venne colpita da qualcosa, che
la spinse con forza di lato. Si ritrovò a penzolare nel vuoto,
senza sapere come era successo. Si reggeva solamente con un braccio,
perché con l’altro teneva il computer – che
continuava a cicalare – e, fortunatamente, con un piede che
poggiava su una qualche sporgenza.
Ecco,
muoio così… di tutti i modi è quello che meno
avrei pensato… Rifletté la ragazza. Potevo esser messa
sotto da un taxi, per dire, o morire a centosei anni nel mio letto,
meglio, ma lasciare un mucchietto di budella sotto un grattacielo non
era esattamente nei miei progetti…
Quando la figura del robot
si affacciò sopra di lei, si convinse che era davvero la giunta
la sua ora. L’automa fece per alzare il suo braccio armato e
colpirla, ma proprio in quel momento lo vide vibrare, qualcosa sul suo
collo sfrigolò, poi l’imponente macchina vacillò in
avanti e cadde nel vuoto passandole sopra.
Lo schianto al suolo
avvenne proprio mentre qualcuno le afferrava la mano rimasta attaccata
al cornicione. Una manica azzurra e un guanto rosso e Dixi
ricominciò a respirare.
“Steve!” Chiamò con urgenza.
“Dix.” Rispose lui, affacciandosi oltre il cornicione; era senza cappuccio, spettinato e pallido.
“Dio, sei vivo!” Esclamò la ragazza con le lacrime agli occhi.
“Non so cosa mi ha
fatto quel raggio, ma sono molto debole, aiutami o non ce la
farò a tirarti su…” Le disse lui serio, con
evidente sforzo. “Butta il computer e dammi anche l’altra
mano.”
“No!”
Rifiutò decisa lei, lui aggrottò la fronte.
“C’è il segnale, Steve, Tony ce l’ha
fatta… manca così poco!” Aggiunse, guardandolo
negli occhi.
“Non ce la faccio, Dix…” Rantolò il capitano, stringendo la stretta sul suo polso.
“Steve…” Lo supplicò lei, che sentiva la propria presa allentarsi.
Ma la fortuna, si sa, aiuta
gli audaci e loro lo erano stati fin troppo quel giorno. Una gigantesca
mano verde si sporse dal tetto e acchiappò Dixi alla vita,
sollevandola con la stessa facilità che chiunque altro
riserverebbe ad un biscotto. La ragazza si ritrovò a fissare
incredula il faccione minaccioso di Hulk, mentre Steve ansimava ancora
disteso a terra sul bordo del palazzo.
“Adesso mettila
giù, piano…” Fece il capitano, mentre si metteva
seduto, facendo gesti calmi al gigante.
“Hulk salva.” Grugnì l’alter ego di Banner, mentre depositava Dixi a terra.
“Oh, Dio, grazie!” Esalò la ragazza una volta rimessi i piedi sul tetto.
Non poterono prendere
respiro più di tanto, perché videro subito altre due
robot dirigersi verso la loro posizione. Steve sospirò e
scrollò le spalle, apparentemente esausto.
“Oh, cazzo…” Imprecò poi.
“Steve, hai detto cazzo…” Gli fece notare Dixi sbalordita.
“Pensa Hulk.”
Sentirono però ringhiare dalle loro spalle, poi videro il
gigante verde balzare e acchiappare in volo i due nemici, per poi
portarli sul tetto dell’edificio di fronte e sbatterli come
stracci per la polvere.
“Dio, Dix, schiaccia
quel pulsante!” Esclamò subito il capitano, voltandosi di
scatto. Lei riaprì il lap top sulla schermata del segnale
d’invio.
“Ora!” Sostennero speranzosi Natasha e Clint, al riparo dai colpi, vicini alla sala operativa del nemico.
“Ora!”
Pregò dentro di se Nick Fury, mentre guidava un ultimo disperato
attacco contro i robot alla Casa Bianca.
“Ora!”
Sputò Tony Stark, combattendo per la salvezza del satellite dai
missili nemici, mentre il contatore del suo tempo scendeva
minacciosamente.
“Ora!” Invocò Thor brandendo il suo martello nel mezzo del Giardino delle Rose assediato dai nemici.
“Ora!” Gridò Steve e Dixi schiacciò il pulsante d’invio.
CONTINUA
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
inah
Questo è l’ultimo capitolo della storia.
Che dire, quando si
arriva alla conclusione dell’ennesimo lavoro? Certamente
c’è una grande soddisfazione nel vederlo finito e
contentezza nel sapere che vi è piaciuto. Ripeto che questa
storia mi ha dato un sacco di grattacapi e dubbi, sia perché era
l’esordio nel fandom che per le mie perplessità sulla
protagonista.
Voi l’avete
apprezzata, quindi spero che alla fine sia stato un buon lavoro.
Ringrazio tutti coloro che hanno soltanto letto e, con particolare
calore, quelli che hanno anche commentato, facendomi sapere la loro
opinione.
Le canzoni usate nel
capitolo sono: “Undivided” dei Bon Jovi e “Tomorrow
never knows” di Bruce Springsteen. Niente scopo di lucro, come
sempre.
Spero che gradirete anche questo finale, aspetto i vostri commenti!
Buona lettura!
Sara
Capitolo 8
Where we once were divided
Now we stand united
We stand as one
Undivided
Non poterono dire che
successe veramente qualcosa. I robot si fermarono, sì, come se
non sapessero più cosa fare, smettendo di attaccare e di
sparare, continuando però a muoversi e volare.
Qualcosa, ad ogni modo,
doveva essere fatta e se c’era qualcuno che sapeva cogliere le
occasioni quella era Natasha Romanoff. Incitò Barton,
radunò un gruppo di uomini dello SHIELD e sfondò la base
operativa nemica. Tempo un quarto d’ora e aveva il controllo dei
loro strumenti.
Le persone che erano al
comando dell’invasione, sarebbero state oggetto di un attento
rapporto successivo e, certamente, di un approfondito interrogatorio
stile Vedova.
Ora c’era altro a cui pensare. Prima di tutto ripristinare le comunicazioni col resto della squadra.
“Cap…”
Una voce era frusciata,
improvvisa e gracchiante, dal dispositivo di comunicazione nel suo
cappuccio. Steve, sorpreso, lo sollevò dalla spalla e lo
portò all’orecchio.
“Vi ricevo.” Fece il capitano, sotto lo sguardo perplesso di Dixi.
“Capitano, sono Natasha, io e Barton siamo nella stanza dei bottoni.” Gli annunciò la spia.
Steve, incredulo,
fissò negli occhi la ragazza, che lo osservava curiosa,
spostando l’attenzione da lui al cielo sopra di loro, dove
sperava di rivedere presto Tony.
“Spegnete tutto.” Ordinò infine Rogers con voce stanca.
Dixi annuì e gli sorrise. Lui la strinse a se passandole un braccio sopra le spalle, lei rispose avvolgendogli la vita.
Alla Casa Bianca, nel
frattempo, il presidente, la first lady, i collaboratori e i ministri
intrappolati, insieme a Pepper, uscivano finalmente alla luce di un
soleggiato mattino.
Furono accolti da Nick
Fury e Thor, che rivestì anche le veci di ambasciatore di Asgard
stringendo la mano alla più alta carica della nazione.
La signorina Potts,
naturalmente, chiese di Tony, ma nessuno ebbe veramente il coraggio di
dirle che doveva essere ancora abbracciato ad un satellite nella
stratosfera. Non sarebbe stato gentile.
Tre paia d’occhi
erano rivolti al cielo, sul tetto di quel grattacielo. C’erano
Steve, Dixi e Bruce – che li aveva raggiunti vestito solo di un
paio di pantaloni stracciati – col naso per aria.
“Perché non torna?” Domandò ansiosa la ragazza.
“Dovrebbe, il tempo è scaduto.” Mormorò Bruce, lei si girò di scatto verso di lui.
“Che vuol dire?!” Esclamò allarmata.
Steve fece una
consapevole smorfia amara. “Immagino che la sua armatura non
fosse in grado di resistere più di un tempo stabilito.”
“Sei intelligente, Capitano.” Commentò Banner.
“Ma…
merda!” Imprecò Dixi, colpita subito da un’occhiata
malevola di Steve. “Perché non me lo avete detto?!”
Chiese poi concitata.
“Perché avresti avuto un’ulteriore preoccupazione.” Rispose calmo il capitano.
“Cazzo, ma
è ancora lassù!” Continuò nervosa la
ragazza. “Possibile che non vi stiate preoccupando?”
“Conosciamo Tony.” Soggiunse pacato Bruce.
“Eccolo.”
Intervenne infatti Steve, indicando il cielo. “Spero che
rallenti, stavolta non ci sei tu a prenderlo.” Aggiunse
corrugando la fronte.
“Abbiamo pensato ad un altro metodo.” Affermò Banner. “Spero che funzioni…”
Osservarono la sagoma
di Iron Man farsi sempre più vicina e distinguibile. Quando era
ancora abbastanza lontana da non capirne il colore, dietro di essa si
aprì un’inconfondibile forma tonda e la sua
velocità rallentò.
“Ha un paracadute!” Esclamò Dixi.
“Ma non
sarà mai sufficiente ad attutire la velocità presa ed il
peso dell’armatura.” Commentò Steve allarmato.
“È un
prototipo di paracadute orbitale della Stark, dovrebbe essere
abbastanza resistente.” Spiegò Banner, seguendo a sua
volta la caduta di Tony.
In quel momento, una
musica violenta invase tutti i dispositivi di comunicazione della
squadra, compresi anche quelli dei robot. Evidentemente Stark si
approfittava del controllo dal satellite. Steve si staccò
il ricevitore dall’orecchio.
“Gente, questa
sì che è classe!” Fu il primo messaggio dalla voce
di Tony. “Venderò questi cosi alla Nasa,
all’Aeronautica Militare, a…” La comunicazione
s’interruppe frusciando. “Oh, merda…” Fu
l’unico commento successivo, mentre da terra videro il paracadute
lacerarsi di lato e far prendere ad Iron Man una piega non troppo
felice.
“Merda davvero.” Rincarò Dixi, vedendolo cadere.
Dal giardino della Casa
Bianca, tutta la squadra dello SHIELD, il presidente, la first lady e
Pepper Potts, videro Iron Man precipitare verso di loro.
Il paracadute si
sganciò, i motori dell’armatura funzionavano male. Lui si
abbassò pericolosamente, facendo dei movimenti per rallentare,
infine rotolò lungo il prato, abbattendo una fontana e
tracciando un solco profondo nell’erba. Quindi, ruzzolando
pesantemente, si fermò. Per lo stupore di tutti i presenti, era
perfettamente seduto. Corsero verso di lui.
“E questo lo
chiami atterraggio, Stark?” Fece Nick Fury, quando si
fermò accanto a lui con le mani sui fianchi.
“No.” Replicò Tony. “Lo chiamo: probabile frattura delle vertebre lombari.”
Il direttore dello
SHIELD si concesse una smorfia che poteva somigliare ad un sorriso
beffardo, mentre Stark si liberava dell’armatura e si metteva in
piedi con qualche difficoltà.
Quando rialzò
gli occhi, dopo essersi sufficientemente massaggiato il fondoschiena,
si trovò davanti il presidente, che gli sorrise allargando le
braccia.
“Signor Stark, mi permetta, a nome di tutta la Nazione, di porgerle i ring…”
Tony, però,
aveva già individuato una figuretta bionda e scarmigliata alle
sue spalle, che non tratteneva le lacrime, perché le donne forti
non hanno paura di piangere. Oh, e tu sei la più forte di tutte, Pep…
“Mi scusi, Signor
Presidente.” Fece il milionario alzando una mano e bloccando il
discorso di Obama. “Devo fare una cosa, prima.”
Aggirò il
presidente, che rimase impalato con le mani aperte ed un sorriso che si
stava trasformando in un’espressione perplessa, mentre si girava
per vedere dove sarebbe andato Stark. La first lady, invece, comprese
subito quello che stava per succedere e rassicurò il marito con
una pacca sulla spalla.
Tony Stark, nel
frattempo, aveva raggiunto una Pepper Potts che tentava di arginare le
lacrime; le sorrise dolcemente, mentre lei tirava su col naso.
“Ti avevo detto di non fare stupidaggini pericol…”
La donna non
poté mai finire la frase, perché lui la prese tra le
braccia e le diede un appassionato bacio in casquet, sotto gli sguardi
increduli dei presenti e quello soddisfatto di Michelle.
*****
La sala del ricevimento
era il posto più elegante dove Dixi fosse mai stata; anche se, a
dire il vero, non aveva mai pensato che nella vita le capitasse di
ricevere un encomio solenne alla Casa Bianca. Il presidente in persona
le aveva anche promesso che il suo ultimo anno di libertà
condizionata sarebbe diventato un ricordo. Questo capitava alle eroine
che contribuivano a salvare il mondo.
Non che lei si sentisse
un’eroina, però era bello essere lì, con un bel
vestito elegante, al braccio del suo stupendo capitano, lodata dalla
più altra carica della nazione.
“Euridice.” Si sentì chiamare, immaginando già chi si sarebbe trovata davanti.
“Thor!” Esclamò contenta, quando si trovò di fronte il guerriero.
Lui aveva i capelli
tirati indietro ed indossava un elegante completo con giacca e
cravatta. La ragazza lo osservò compiaciuta.
“Hm, come sei elegante!” Commentò poi.
“Eh,
sì.” Annuì lui con un luminoso sorriso.
“Qualcuno mi ha convinto che dovevo indossare abiti midgardiani,
per questa cerimonia.”
“Saresti comunque bellissimo.” Gli disse lei con un sorriso.
“Grazie.” Fece lui con un inchino del capo. “Sei molto bella anche tu, questa sera.”
“Oh, grazie!” Esclamò Dixi, abbassando gli occhi e lisciando l’ampia gonna dell’abito blu navy.
“Volevo
presentarti una persona.” Riprese Thor, lei alzò gli
occhi. “Jane, vieni.” Chiamò lui.
Dixi vide avvicinarsi
una ragazza dai capelli scuri, che indossava un bellissimo abito color
crema. Aveva occhi scuri ed uno stupendo sorriso.
“Euridice…” Proclamò solenne Thor. “…ti presento Jane Foster, del Giovane Messico.”
“Che piacere
conoscerti!” Fece subito Dixi. “Thor mi ha parlato un sacco
di te!” L’altra ragazza le sorrise un po’ impacciata
e poi rivolse un’occhiata confusa all’asgardiano.
“Jane, Euridice
è la compagna del Capitano Rogers, ti ho parlato di
lei…” Le spiegò imbarazzato l’uomo.
“Oh,
sì!” Esclamò allora lei. “Dio, scusami! Sono
una frana coi nomi!” Aggiunse rivolta a Dixi, poi si strinsero la
mano.
“Il Capitano ti ha nuovamente abbandonata ad una festa, Euridice?” Le chiese quindi Thor.
“Oh, no, per
fortuna!” Esalò divertita lei. “Deve essere in
giro… Se vedi un gruppo di adolescenti sospiranti, probabilmente
è lì vicino, a quanto pare le figlie del Presidente e le
loro amiche sono grandi fan di Capitan America!”
Tutti e tre risero, mentre si avvicinavano al tavolo degli aperitivi.
“Temo che questa sera dovremo anche salutarci, Euridice.” Annunciò Thor, dopo che ebbero preso da bere.
“Torni su Asgard?” S’informò la ragazza.
“Sì.”
Annuì lui. “Dopo i recenti sviluppi riguardanti
l’attacco, è necessario che io parli con
qualcuno…”
Dixi sapeva come era
finita la faccenda dei robot. Nella sala comando, Natasha e Clint
avevano trovato alcuni ragazzi, reclutati tra i più brillanti
studenti di prestigiose università; ed altri erano nelle sale
controllo vicine ai luoghi attaccati. Gente talmente piena di se e
ambiziosa da non domandarsi il perché di quello che stavano
facendo, ma pronti a gustare il sapore del potere. I robot non li
avevano costruiti loro. E questo era il risvolto più
preoccupante dell’intera storia. Qualcuno – una voce
attraverso la rete – glieli aveva forniti. Un’attenta
analisi di quelli rimasti, aveva provato che non erano manufatti umani,
anche se la programmazione era opera degli studenti manovratori. Le
risposte, quindi, andavano cercate altrove, probabilmente non sulla
Terra.
La ragazza sorrise amichevole a Thor, forse quella sua indagine era necessaria.
“Qualcuno tipo… il fratellastro malvagio?” Domandò poi. L’asgardiano fece una smorfia.
“Non mi piace
parlare di lui in questi termini, ma… sì.” Ammise
infine, sotto uno sguardo tenero di Jane.
“Beh, allora, se parti…” Riprese Dixi. “…devo salutarti per bene! Posso abbracciarti?”
Le rispose solo un sorriso radioso di Thor e le sue braccia che si allargavano. Lei sorrise e poi si rivolse a Jane.
“Non sei gelosa, vero?” Le chiese con un sorriso.
“Figurati!” Fece lei con una stretta di spalle. “Il suo cuore è piuttosto affollato.”
Dixi le fece un altro
sorriso complice, poi tornò a guardare Thor e lo
abbracciò con forza, facendosi circondare dalle sue braccia
calde.
“Fai buon viaggio e torna presto.” Gli disse la ragazza. “E grazie di tutto.”
“Dovere, Euridice.” Replicò dolcemente lui, carezzandole i capelli.
“Hey!” Chiamò una voce maschile, facendoli girare tutti.
Dixi era ancora affondata nel caloroso abbraccio di Thor, quando Steve si avvicinò con un sorriso.
“Quella è
la mia ragazza abbracciata ad un dio norreno?” Interrogò
il capitano quando gli fu accanto; loro risero.
“Thor, mi spiace
ma ti devo privare della compagnia di Dix.” Annunciò
compito Rogers. “Temo che l’attenda il nostro primo ballo
ufficiale.” Aggiunse, guardando negli occhi la sua ragazza.
“Ohhh, Capitano!” Fece lei con tono ansioso.
“Ohhh, Euridice.” Replicò lui dolcemente, prendendole le mani.
“Vogliamo davvero fare questa pessima figura davanti al Presidente?” Domandò allora lei.
“Sì, credo proprio che vogliamo farla.” Rispose Steve.
“Ok, allora, se per te va bene…” Accettò infine la ragazza.
Steve la prese per le
spalle e si voltarono entrambi a salutare Thor e Jane, prima di
allontanarsi stretti uno all’altra come la coppia solida che
ormai erano.
Thor, quindi, abbassò lo sguardo sulla figuretta sottile di Jane e le sorrise invitante.
“Vogliamo ballare anche noi?” Le chiese.
“Oh, Dio…” Esalò lei. “Ma… ma sei capace?” Domandò poi, timorosa.
Lui si strinse nelle
poderose spalle. “Beh, non è la Quadriglia Asgardiana,
ma…” Jane levò gli occhi al cielo. “…e
il fatto che una volta abbia quasi rotto un piede a Loki, non significa
che… Non era un bravo insegnante e poi sono passati
secoli…”
“Oh, ok! Stiamo
alla sorte.” Fece Jane, più a se stessa che all’uomo
che aveva accanto. “E poi non posso sentire di te e lui che
ballate la Quadriglia, quindi…” Aggiunse, prima di
prenderlo a braccetto. “Balliamo, Principe di Asgard.”
Ordinò, prima di trascinarlo sulla pista.
Epilogo
You and me, we been standing here my dear
Waiting for our time to come
Where the green grass grows
Tomorrow never knows
Era una mattina
d’estate piena di luce, il cielo era particolarmente limpido per
una città inquinata come New York e sembrava che gli alberi del
parco fossero pieni di vita, visto il cinguettio degli uccelli; dalla
finestra aperta entrava profumo di sole e foglie.
Dixi entrò in
cucina e sorrise, vedendo Steve seduto davanti alla finestra con in
mano il suo blocco per gli schizzi. Disegnava spesso, da quando la
situazione si era fatta più tranquilla.
La ragazza si
versò una tazza di caffè e raggiunse il capitano vicino
al tavolo. Lui le rivolse un sorriso e tornò a dare attenzione
al blocco, tracciando abilmente segni di carboncino.
“Cosa disegni?” Domandò Dixi, appoggiandosi contro la sedia.
Lui sorrise senza
alzare gli occhi. Lei, allora, osservò il foglio. Era un
paesaggio del parco: alberi, una porzione del lago, panchine, una
barca.
Dixi accarezzò i
capelli dell’uomo. “Sei bravissimo.” Gli disse, prima
di baciargli la sommità del capo.
“Grazie.” Fece lui. “Ho fatto anche questo.” Aggiunse, prima di voltare la pagina del blocco.
La ragazza rimase a
bocca aperta. Era un suo ritratto. Lei che lavorava al pc, di profilo,
coi capelli sciolti e Zephyr acciambellata accanto al lap top.
“Oh, Steve,
è… splendido!” Esclamò colpita, lui
alzò gli occhi e le sorrise. “Ti adoro!” Aggiunse
entusiasta lei, prima di baciarlo.
Quando il bacio finì, il capitano posò il blocco sul tavolo, continuando a tenerle la mano.
“Vieni, siediti qui.” La invitò, indicando le proprie ginocchia. “Devo parlarti di una cosa.”
Incuriosita, Dixi lo
assecondò, sedendogli in grembo. Gli passò un braccio
intorno alle spalle e lui le sorrise di nuovo, dandole un altro breve
bacio.
“Di che si tratta?” Gli chiese poi la ragazza.
“È qualche giorno che ci penso.” Esordì Steve. “E spero che non sia un problema per te.”
“Puoi parlarmi di tutto, lo sai.” Lo rassicurò lei.
Lui abbassò gli
occhi su una macchia di sole ai loro piedi. Dixi gli accarezzò
la nuca, cercando di trasmettergli la propria disponibilità ad
ascoltare.
“Dix, quelle
informazioni che avevi raccolto, su… Peggy…”
Mormorò infine il capitano. “Mi chiedevo se… se tu
volessi dirmi di che si tratta.”
La ragazza socchiuse le
labbra, sorpresa. Erano passati mesi da quello stupido litigio,
riguardante la sua violazione di file classificati per cercare
informazioni sulla donna del passato di Steve. Dixi, onestamente,
pensava che lui avesse letto tutto quel giorno che aveva scoperto la
ricerca sul computer. Evidentemente non era così.
“Non le avevi lette?” Gli domandò infatti.
“No.” Lui
contrasse la mascella. “Mi ero così arrabbiato nel vedere
cosa avevi fatto, che le informazioni passarono in secondo piano.”
“Ci credi se ti dico che sono ancora mortificata?” Accennò lei, abbassando gli occhi.
“Non importa, ti
ho perdonato.” Fece lui scuotendo il capo, poi la guardò
negli occhi. “Ma col passare del tempo, mi sono accorto che,
forse, voglio sapere.”
“Va bene.” Acconsentì Dixi, prima di carezzargli il viso e la nuca. Lui la baciò piano.
“Peggy Carter ha
lavorato per i servizi segreti dell’esercito fino alla fine della
guerra.” Raccontò la ragazza. “È stata
congedata con onore nel maggio del ’46, coi gradi di Maggiore e
diversi riconoscimenti al valore, successivamente ha avuto un incarico
nell’ufficio Relazioni con l’Estero del Pentagono, per poi
passare al Ministero della Difesa, dove ha lavorato fino alla pensione,
nel 1980.” Continuò, lui la seguiva con attenzione.
“Si è sposata nel 1951.”
“Un militare?” Domandò Steve.
“No… un
professore di filosofia.” Rispose divertita, lui sorrise
sorpreso. “Robert Bannister, insegnava alla Penn State, ad ogni
modo non è durata molto, hanno divorziato nel ’55.”
“Ha avuto dei figli?” S’informò il capitano.
“Sì, uno.” Rispose Dixi. “Il professor Stephen Bannister.”
Steve la guardò stupito. “Lo ha chiamato Stephen…”
“Già.”
Annuì lei con dolcezza. “Sai che lo conosco di vista?
Insegna Storia Militare ad Harvard.”
“Il mondo è proprio piccolo.” Commentò lui.
“Non mi chiedi altro di lei?” Fece Dixi, stringendosi di più al suo uomo.
“Voglio sapere, ma… ho anche timore.” Confessò Steve, prima di abbracciarla meglio alla vita.
“Non
c’è niente da temere.” Affermò sicura lei.
“È ancora viva, abita a Westchester, non lontano da New
York.” Gli rivelò infine.
“È ancora viva?” Esclamò incredulo Steve.
“Sì.” Annuì Dixi. “E se vuoi andare a trovarla, ti accompagno volentieri.”
La casa era una vecchia costruzione di mattoni scuri, con un portico dipinto di bianco ed un giardino curato e pieno di fiori.
Avevano telefonato il
giorno prima, pensando che annunciare la visita era più educato.
Gli aveva risposto la nipote di Peggy, una ragazza gentile di nome
Amanda.
Steve fermò la
moto davanti alla casa. Dixi scese e si sfilò il casco, poi
guardò lui, che era rimasto seduto in sella, col casco in mano e
l’espressione indecisa.
“Possiamo sempre tornare a New York.” Suggerì timidamente la ragazza.
“No.” Negò lui, alzando gli occhi nei suoi. “Devo farlo.”
Il capitano scese dalla
moto ed aiutò Dixi a legare i caschi, poi si diressero alla
porta, attraversando un vialetto pulito, fatto di pietre grigie.
Suonarono il campanello
e, pochi istanti dopo, gli aprì una sorridente ragazza bionda,
molto bella e dall’aria cordiale. Li squadrò un momento.
“Il Capitano Rogers?” Domandò poi, fissando Steve.
“Sì, piacere.” Fece lui, porgendole la mano.
“Amanda Bannister, la nipote di Peggy, piacere.” Rispose lei stringendogliela.
“Questa è
Euridice Spitz.” Presentò l’uomo, indicando la sua
compagna; anche le due donne si strinsero la mano.
“Accomodatevi.”
Li invitò Amanda. “Sa, Capitano, lei è un po’
diverso dalla foto…”
Steve guardò Dixi con espressione confusa, lei sorrise perplessa, stringendosi nelle spalle.
“Quale foto?” Domandò allora il capitano.
“Quella.” Indicò Amanda, mentre li precedeva nel vestibolo.
Alla loro destra, sotto
uno specchio ovale, c’era una consolle antica, di legno scuro,
sopra la quale c’erano diverse fotografie incorniciate. Steve
riconobbe subito Peggy in un’immagine dove indossava un vestito a
fiori, sullo sfondo di un paesaggio marino che ricordava
l’Italia. Poi c’era Amanda, vestita da sposa, accanto ad un
bel ragazzo con la divisa dei Marines. E Peggy più anziana,
accanto ad un giovane con toga e tocco.
E, infine, un po’ dietro alle altre, c’era la foto di Steve.
Una foto in bianco e
nero. Lui con uno sguardo malinconico ma determinato, che fissava
qualcosa oltre la vista del fotografo. I capelli biondi spettinati, una
t-shirt bianca, le piastrine sul petto. Il viso scavato, le spalle
troppo magre e strette. Era Steve, ma prima di Capitan America.
“Ecco perché le sembravi diverso.” Commentò dolcemente Dixi.
Steve si limitò
ad annuire, troppo emozionato dai ricordi e dalla dolce nostalgia che
quell’immagine gli rievocava. Sentì il tremito della
commozione invadergli la gola.
“Credo sia l’unica foto che abbia di lei.” Disse Amanda con tenerezza. Lui annuì.
“Lei dov’è?” Chiese quindi, con gli occhi ancora sulle foto, poi si voltò verso la ragazza.
“In veranda.” Rispose lei.
La luce proveniente dal
giardino sbiancava le vetrate, illuminando tutta la stanza con toni
caldi. C’erano pochi mobili e molte piante, un profumo
accogliente.
C’era una vecchia
signora elegante seduta su una poltrona vicino ad un tavolino rotondo.
Il servizio da the era disposto su un vassoio accanto ad un vaso di
camelie rosse.
Steve si avvicinò piano, lei guardava fuori. Le due ragazze rimasero sulla porta.
Riconobbe subito, sul
suo volto, i tratti della Peggy che aveva amato, anche se il viso era
un reticolo di rughe ed i suoi occhi avevano perso la brillantezza
della gioventù. Lui sapeva di avere gli occhi lucidi.
La donna si
voltò e, dimostrandogli di averlo perfettamente riconosciuto,
gli sorrise. Steve la raggiunse si inginocchiò accanto alla
poltrona. Dixi, commossa, si asciugò le palpebre.
Steve e Peggy si
guardarono negli occhi. Il tempo passato era nell’espressione di
entrambi, anche se i segni erano solo in quella di lei. Lui sorrideva
con amarezza, la donna con calore.
“Finalmente, Steve.” Mormorò Peggy, senza togliere gli occhi dai suoi.
“Scusami per il
ritardo, Peggy.” Replicò dolcemente il capitano, poi
socchiuse le palpebre e un paio di lacrime scesero veloci sulle sue
guance.
Peggy, sempre
sorridendo con consapevolezza, alzò una mano rugosa ed esile;
gli accarezzò i capelli, poi scese sul viso e glielo
asciugò. Steve le prese la mano e ne baciò con tenerezza
il dorso.
Ci sarebbero state
milioni di parole da dire, confessioni non fatte, balli rimandati ed il
tempo sembrava così poco – il loro
tempo non era mai stato – il futuro di entrambi era altrove, ma
almeno stavolta, si sarebbero salutati nel modo più giusto.
Perché questa volta, se l’eroe si fosse voltato indietro, non ci sarebbero stati rimpianti ad aspettarlo.
Where the time goes
Tomorrow never knows
FINE
Un ringraziamento particolare, permettetemelo, lo voglio dedicare a
Callie_Stephanides che non solo con le sue critiche mi ha spinto a
confrontarmi coi miei dubbi, ma che ha fatto questo meraviglioso video
(spero di riuscire a postarlo bene, altrimenti andate a vederlo nei
commenti al Capitolo 7): I need a hero - Video
Carissima, sappi che sto tramando per ripagarti adeguatamente!
Grazie a tutti, a presto!
Sentirete ancora parlare di me! (Minaccia accompagnata da risata
satanica XD)
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