The long and winding road di _SillyLoveSongs_ (/viewuser.php?uid=254633)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il rumore della solitudine ***
Capitolo 3: *** Inquietudini ***
Capitolo 4: *** Without you ***
Capitolo 5: *** La vita che scorre ***
Capitolo 6: *** Dream ***
Capitolo 7: *** Come back ***
Capitolo 8: *** Bad memories ***
Capitolo 9: *** Incontri ***
Capitolo 10: *** Chiamami Paul ***
Capitolo 11: *** Lacrime ribelli ***
Capitolo 12: *** Thank you ***
Capitolo 13: *** Un grido nel buio... ***
Capitolo 14: *** Un fantasma dal passato ***
Capitolo 15: *** Tug of War ***
Capitolo 16: *** She loves you ***
Capitolo 17: *** La proposta ***
Capitolo 18: *** Here There and Everywhere ***
Capitolo 19: *** Let me be your hero... ***
Capitolo 20: *** Rimorsi ***
Capitolo 21: *** Diritto negato ***
Capitolo 22: *** Come un'eclissi ***
Capitolo 23: *** Chiarimenti ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
The long and winding road
Prologo
Liverpool Agosto 1960
Il vociare allegro dei ragazzi.
Lo scroscio del mare, poco distante.
Le chiacchiere di quelle comari dalle mani ormai rugose.
Ognuno di quei piacevoli rumori venne catturato da un vento leggero che accarezzava i capelli folti dei bambini e quelli radi degli anziani. Quelle raffiche sorpresero i venditori ambulanti, costretti a proteggere la merce con le mani callose mentre la loro pelle si seccava al sole. Quest’ultimo disperdeva i suoi raggi negli anfratti cittadini. Si propagavano sui muri delle case e sui loro interni. Raggiunsero anche quella finestra che, da lontano, osservava il porto. Il sole penetrò le tende che la coprivano fino a riscaldare anche l’interno della stanza. In essa si percepiva il dolce suono della giovinezza.
Un antiquato orologio adornava la parete e il suo ticchettio veniva spesso inframmezzato da risate sommesse. Appartenevano a due voci differenti. Una, piuttosto profonda e tipicamente maschile, era uno dei tanti effetti dell’adolescenza su un ragazzo che si accingeva alla maturità fisica. L’altra, acuta e melodiosa, apparteneva ad una ragazza ancora nel fiore degli anni. Quelle due voci si accavallavano, si inseguivano nel tentativo di comporre frasi romantiche. Ma quel momento non necessitava di parole. Le labbra degli innamorati si protendevano in cerca di un bacio, per poi distendersi in un sorriso. Le mani di entrambi si affaccendavano sui capelli dell’altro, come alla ricerca di qualcosa. Le loro fronti si toccarono e si strofinarono l’una sull’altra, imitate dai nasi. La solitudine venne disturbata dalla voce del ragazzo.
-Ester… io… c’è una cosa che devo dirti…- I suoi occhi verdi cercavano la propria immagine in quelli della fidanzata, così vicini e scuri. Non riusciva a concentrarsi su altro, neppure su quel caldo afoso che gli pungeva la pelle. Osservava le guance arrossate di Ester e i boccoli chiari che le ricadevano disordinati sulle spalle. Da tempo il giovane si era promesso di dedicare una sua composizione alla rara bellezza della fidanzata ma stava rinunciando; aveva temuto che non sarebbero esistite parole adatte ad esprimere la meraviglia di quel volto raggiante. Un volto che assunse un’ironica espressione corrucciata all’ascolto di quelle parole.
-Dai, Paul… non rovinare tutto proprio adesso… mi stavo divertendo, sai?-
Ester circondò il collo di Paul con le braccia lasciando scivolare le dita sui capelli morbidi e neri del ragazzo. Lui sorrise, alzando gli occhi al cielo in un gesto di finta esasperazione. Poi prese le mani di Ester e se le portò al cuore. Fissò intensamente la fidanzata; i suoi diciott’anni non gli impedivano di comunicare efficacemente le sue emozioni.
-Non te lo direi se non fosse davvero importante.-
-Spara.-
Paul lanciò una rapida occhiata alla stanza matrimoniale dei genitori di Ester, quella nella quale lei lo ospitava per i loro incontri segreti. Provò una strana sensazione al pensiero che sarebbe passato parecchio tempo prima che potesse ancora osservare quel luogo.
-Abbiamo un batterista…-
-Ma è fantastico! Finalmente combinerete qualcosa di serio…- Ester si interruppe un momento, accarezzando la mascella di Paul, per poi chiedere: -Che tipo è?-
-Chi?-
-Come chi? Il batterista, Paul-
Il ragazzo, perso nei propri pensieri, stava cercando un modo adatto per mettere al corrente Ester della decisione presa da Allan in seguito all’entrata di Pete nel gruppo. Non gli interessava molto il nuovo arrivato e generalmente tentava di eludere le domande che lo trattavano. Lo conosceva poco e faticava a delinearne il carattere.
-Mah, non saprei, non si è esposto molto finora… forse ad Amburgo avrò una possibilità per conoscerlo meglio, non credi?- Inclinò la testa di lato ammiccando ed atteggiando la bocca carnosa ad un sorriso malizioso. Ester strabuzzò gli occhi, in un’espressione piacevolmente sorpresa.
-Cosa? Amburgo? Perché dovresti andare ad Amburgo?- la giovane lasciò guizzare gli occhi estasiati sul volto di Paul, come se potesse nascondere le risposte alle sue domande concitate.
-Allan ha approfittato della formazione ufficiale del nostro complesso per proporre a me e ai ragazzi una scrittura ad Amburgo. E noi non abbiamo potuto certo rifiutare. Non è una cosa incredibilmente meravigliosa?!-
Ester batté le mani eccitata, imprecò più volte dall’emozione per poi passarsi una mano tra i capelli ed esclamare: -è la notizia più bella che potessi darmi…- le sue parole si velarono di tristezza quando realizzò che la partenza di Paul li avrebbe allontanati probabilmente per molto tempo. Sorrise amara quando immaginò quanto la distanza fra lei e il suo innamorato avrebbe rallegrato suo padre. Egli aveva sempre disprezzato il giovane McCartney, “un ragazzino incapace di trovarsi un lavoro sicuro e a riporre la chitarra in uno sgabuzzino”. Nonostante Ester avesse cercato di distogliere il padre dai suoi pregiudizi, egli era rimasto irremovibile e lei si era trovata costretta proseguire una relazione clandestina che inizialmente andava contro a tutti i suoi principi morali. Non riusciva ad immaginare la noia della sua esistenza, una volta che Paul se ne fosse andato. Ma tentò di celare questo sentimento sotto una maschera di serenità, per evitare al ragazzo inutili preoccupazioni.
Paul le baciò le dita per poi giocare pensieroso con le unghie di Ester:
-Naturalmente non potrei mai neppure immaginare di partire senza di te…-
-Be, mi sa che dovrai farlo, tesoro- il tono ironico di Ester era velato di palese tristezza
-Cosa potrei dire a mio padre? Sai com’è fatto, non mi permetterebbe mai di lasciare il tetto familiare per imbarcarmi in un viaggio con un ragazzo. Se si tratta di te, poi…-
-Non ho detto che gli chiederai il permesso. Non lo dirai a nessuno. Partirai Domenica, con me e i ragazzi. Intonerai le melodie e le ballerai le nostre canzoni in quel modo frenetico e trascinante che sai fare solo tu. Ti prego. Pensarti lontana potrebbe farmi impazzire- sussurrò queste ultime parole all’orecchio della ragazza, prima di baciarle il collo. Lei sospirò, con aria sognante
-Non sai quanto vorrei farlo…-
-Facciamolo. Ci vediamo domenica mattina, di fronte alla chiesa. Poi raggiungeremo i ragazzi ed Allan e partiremo. Ti prometto che staremo insieme. Ti va?-
-Ti amo…- in quelle parole appena sussurrate, Ester tentò di esprimere tutti i sentimenti che provava per James Paul McCartney, il bassista diciottenne per il quale aveva perso la testa.
Il rumore di una chiave nella serratura interruppe il lungo bacio degli innamorati. Ester capì che il padre era tornato dall’incontro pomeridiano con i suoi colleghi di lavoro ed incitò Paul a lasciare la casa. Egli si vestì rapidamente e lanciò un bacio ad Ester che rideva nervosamente.
Il ragazzo aprì la finestra e vi mise un piede sul bordo. Poi si voltò verso Ester che, coperta solo dalle lenzuola, gli avvolgeva la vita con un caldo abbraccio.
-Prometti che ci sarai Domenica?-
-Promesso.- uno strano fremito scosse la schiena di Ester nel pronunciare quelle parole che erano un chiaro rifiuto all’autorità paterna che si stava facendo sempre più pressante. Osservò Paul discendere agilmente il muro della sua casa.
Aveva deciso. Avrebbe cominciato una nuova vita.
Con lui.
Angolo autrice:
Finalmente la prima storia a capitoli che riesco a pubblicare su questo sito. Spero che il prologo sia gradito; è pieno di descrizioni molto ma molto tenere ma non ne ho potuto fare a meno :D Aspetto con ansia le vostre recensioni sia positive che negative; mi fa sempre piacere sapere il parere altrui sul mio stile.
Ciao
Giulia
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Capitolo 2 *** Il rumore della solitudine ***
Il rumore della solitudine
New York 8 Dicembre 1980
Oscurità.
Silenzio.
Credo che siano queste le doti più apprezzabili della notte. Esse cullano i miei sensi, lasciando scivolare su di me un manto di serenità che indosso raramente. Le dita scivolano leggere sulla tastiera, formando parole che leggo confusamente sullo schermo del computer. Mi passo una mano sugli occhi, intimandogli silenziosamente di non cedere alla stanchezza, subdola tentatrice, che ha trovato in me la sua vittima preferita. Il lavoro incombente infatti mi ha rubato anche quelle poche ore di sonno di cui ho goduto fino a pochi giorni fa. Il ronzio del computer mi risuona nelle orecchie, un sussurro lento e continuativo, a ricordarmi quanto la nascente tecnologia debba ancora migliorarsi. Nonostante io sia ancora innamorata del profumo della carta e del fruscio della penna su di essa, ho trovato indispensabile l’utilizzo di uno strumento informatico che possa permettermi uno svolgimento più efficiente del mio lavoro. Osservo la mia camera, illuminata dalla luce di quel computer arrugginito. I miei dischi sono impilati sulla scrivania, in quell’ordine meticoloso con il quale mi ero imposta di sistemarli una volta entrata in questa casa. Ricordo perfettamente l’espressione ironicamente sorpresa della mia affittuaria che, il giorno del trasferimento mi ha aiutata nello scarico degli scatoloni. Essi ora riposano vuoti in corridoio, in attesa di una mia decisione nei loro confronti. La complessità dell’articolo che il direttore mi ha imposto di portare a termine non mi da neppure la possibilità di sbarazzarmi degli inutili residui del trasloco. Essi mi osservano, sotto forma di valige semiaperte gettate scompostamente ai piedi del letto, di capi di vestiario ripiegati alla rinfusa sulla poltrona del salottino.
Leggo per l’ennesima volta l’articolo correggendo refusi che la stanchezza non mi ha fatto notare precedentemente. Desidero impormi in quel mondo giornalistico nel quale sono appena entrata; alcuni errori grammaticali causati dall’ora tarda non mi agevoleranno certamente. Firmo il testo e mi porto le mani ai capelli, reclinando la schiena.
Avverto sotto i polpastrelli la pelle liscia delle tempie che si increspa ad ogni mia espressione. Lascio scivolare le dita sul collo, percependo i muscoli guizzanti sotto di esso. Poi avvolgo il mio busto fra le braccia, imitando i gesti affettuosi di una madre che sento lontana. Non avrei creduto che il mio animo ribelle potesse risentire della mancanza di una carezza. Gesto amorevole con cui mia madre ha colmato il mio viso e il mio cuore anche nel giorno della mia partenza. Quelle stesse lacrime che quel giorno le hanno rigato il viso ancora giovane, scorrono ora sulle mie guance. Le scaccio con un nervoso gesto della mano, sistemando gli occhiali sul naso. Mi passo la lingua sulle labbra screpolate. Neppure il ritornello di “Across the Universe ” ,che tento di riprodurre in un flebile fischiettio, è in grado di placare la mia tristezza.
Accendo la luce della mia camera per rischiarare l’ingresso verso il quale mi sto avviando. Attraverso il corridoio con estrema lentezza e la malinconia mi sorprende ancora nel percepire il suono debole dei miei passi sul linoleum, così diverso da quello vivace che essi producevano sul pavimento marmoreo della mia casa a Liverpool. Niente di questa mia nuova abitazione mi ricorda i rumori che si sprigionavano da quei muri antichi, il profumo dei vestiti di mia madre che impregnava le tende e il biancore della carta da parati. Mi sento a disagio nella modernità di quel monolocale ma non ho trovato un’alternativa altrettanto economica.
Una volta giunta in cucina apro il frigo, che mi consiglia distaccato di arricchirlo al più presto. Accetto il suo suggerimento silenzioso e recupero una mela, addentandola voracemente; l’imminenza del mio lavoro non mi ha neppure permesso di portare a termine una cena completa, ma soltanto alcuni rapidi snack pretesi dal mio stomaco affamato. Mi avvicino al tavolo, senza smettere di masticare.
L’ultima lettera di mia madre è ancora lì, spiegata, in attesa di essere riposta ordinatamente in un cassetto come tutte le sue compagne. Mi guarda, invitandomi ad un’ulteriore lettura di quelle numerosi frasi che macchiavano il biancore della sua carta. Cedo e afferro la lettera con la mano libera. Le parole scritte su di essa spronano quelle lacrime che avevo represso da alcuni minuti. Non ne fermo la corsa. La repressione del dolore non porterebbe che a un suo aumento.
La scrittura rapida di mamma esaurisce le battute di circostanza in poche righe. La penna è probabilmente scivolata dolcemente sul resto del foglio, il quale è adornato da desideri e speranze per il mio futuro. Futuro che lei non ha saputo garantirmi e che ora mi ritrovo a costruire lentamente. Ha tentato di nascondere fra l’inchiostro di questa lettera il dispiacere che prova nel non essere riuscita ad assicurarmi gli studi universitari; ma la carta non sa mentire. Ritrovo il rammarico in quelle parole affettuose e vorrei poter stringere la mano che le ha scritte, per baciarle le dita. La pagina ruvida è ammorbidita dalla macchia lasciata da una lacrima, probabilmente sfuggita agli occhi dell’autrice. Immagino il viso di mia madre colmarsi di tristezza durante la stesura si quest’epistola, proprio come quando riempiva il nostro quaderno dei conti con scritte sempre più brevi. Ricordo la copertina verde di quel libro, che aveva sempre tinto di una strana inquietudine la mia giovinezza. Esso riassumeva con poche cifre la spesa del mese e decretava freddamente la nostra situazione economica, sempre più precaria. Ho accettato il lavoro alla Stampa per offrirle maggiore stabilità con uno stipendio utile nella sua miseria. Mamma si è affrettata a concludere la lettera, senza ricordarmi di spedirle una piccola quota al termine della settimana. Spera che me ne dimentichi. Sa che non lo farò ma per un istante vuole illudersi che io utilizzi i miei soldi per scopi esclusivamente personali; desidererebbe che finissi di arredare la casa, che mi trovassi qualche abito carino, che truccassi il mio viso tanto grazioso. Ma la casa non ha bisogno del denaro quanto lei. Sono certa che si priverebbe volentieri della cena per vedere soddisfatto almeno uno di questi suoi piccoli sogni. Sogni alla cui realizzazione tenta di contribuire con piccole somme ricavate da alcuni lavoretti saltuari che la sua giovanissima età le permette ancora di svolgere. A volte, assieme alle sue lettere, ricevo qualche dollaro che mi premuro di rispedire al mittente. Accarezzo il suo nome vergato in inchiostro nero; non solo il nome di una madre, ma anche quello di una donna in grado di sostituire una figura paterna che non è mai stata presente nella mia vita. Non ringrazierò mai abbastanza mia madre che è sempre stata egregiamente in grado di costituire tutta la mia famiglia…
Sospiro, per l’ennesima volta questa sera.
Addento nuovamente la mela, della quale mi sono temporaneamente dimenticata. Mi concentro sul ticchettio regolare dell’orologio così diverso dalla mia vita disordinata.
Il trillo fastidioso del telefono mi scuote dai ricordi, facendomi sobbalzare.
Mi avvio in corridoio con un’insospettita curiosità.
Rispondo, ma una voce profonda si accavalla alla mia. Non fatico a riconoscere in essa il tono veemente del mio direttore. Strabuzzo gli occhi, definitivamente confusa.
-Buonasera, direttore. È… è successo qualcosa?-
-Dire che è semplicemente successo qualcosa sarebbe la più grande banalità che io abbia mai pronunciato.-
-La ascolto.- Arriccio il filo del telefono tra le dita, la fronte corrugata.
Per un istante la comunicazione fu colmata soltanto dal respiro affannato del mio interlocutore.
-Sei pronta a fare il servizio del secolo, Richards?- le sue parole sono velate da un’ombra di malizia che percepisco chiaramente.
-Potrei esserlo se lei mi aggiorna sulla novità che la turba così tanto.-
-Non ho tempo per le discussioni ora, Richards! Ho avuto una soffiata…-
-Di che genere?- lo incalzo ma lui ignora la domanda.
- Prendi tutto il tuo equipaggiamento e scendi in cortile. Ho dato il tuo indirizzo ad alcuni tuoi colleghi… non ti dispiace, vero? Certo che no! Ti verranno a prendere per poi dirigersi verso l’Upper West Side… Oh mio Dio! Oh….Mio…Dio!-
-Potrebbe spiegarsi meglio, direttore? Non credo di riuscire a fare ciò che mi chiede se non…-
-Ascoltami bene, Richards. Non ti ho accolto nella mia redazione perché avevo compassione dei tuoi vent’anni o del tuo disperato bisogno di lavoro. Ti ho assunta perché necessitavo di un giornalista in erba, determinato e zelante che obbedisse ai miei ordini. Ora ti chiedo di fare ciò che ti dico, se vuoi davvero dimostrarmi di valere qualcosa. Mi hai capito?-
-Certamente…- attendo qualche istante prima di chiedere.
-Cosa è successo esattamente?-
La voce dall’altro capo del telefono sussurra qualcosa di concitato, prima di rispondere
-Hanno sparato a John Lennon!-
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Innanzitutto desidero ringraziare (per l’ennesima volta xD) tutto coloro che hanno recensito la mi storia, esprimendo il loro parere su di essa, per me sempre importante. Voglio ringraziare anche quelli che con la loro lettura silenziosa mi fanno comunque molto felice ;)
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento come il precedente che ha raggiunto ben 5 recensioni in una sola settimana! Sono davvero entusiasta :D
Vi avverto anticipatamente che probabilmente alcuni inserimenti nel corso della storia potrebbero non risultare propriamente veritieri, ma sono indispensabili per il proseguimento logico della trama.
Ora vi lascio con la promessa di pubblicare il secondo capitolo sabato prossimo e, probabilmente, infastidirvi nel corso della settimana con un’altra one shot xD
Grazie ancora!
Giulia
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Capitolo 3 *** Inquietudini ***
Ciao a tutti, cari lettori!
Spero che questo capitolo possa suscitare lo stesso successo dei precedenti, anche se ne dubito fortemente. Ultimamente infatti le idee scarseggiano così come il tempo per dare loro una forma. Spero che questo capitolo sia apprezzato nonostante non contenga eccezionali risvolti.
Inoltre volevo informarvi che, ispirata da una mia carissima amica, ho deciso di allegare ad ogni capitolo una canzone che consiglio di ascoltare durante la lettura. In questo caso ho scelto la meravigliosa “Across the Universe”, a mio parere uno dei capolavori assoluti firmati Lennon\McCartney. Ho trovato il testo molto indicato al contenuto di questo capitolo, dedicato alla riflessione e ai pensieri di diversi personaggi.
Ma non voglio svelarvi altro J
Ecco qui il link della canzone su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=0yEItbal4ac
Buon ascolto e buona lettura!
New York 8 Dicembre 1980
Il mio respiro affannato crea un sottile strato di condensa sul finestrino. Nonostante cerchi di osservare il paesaggio attraverso di esso, riesco a scorgere soltanto il pallido alone creato dalle luci della città. Esse affrontano con arroganza i miei occhi stanchi che abbasso istintivamente. Lo sguardo si posa sulle pieghe create dal mio giaccone che si arriccia sulla vita. Tento di sistemarlo con le mani, un misero tentativo di distrazione. La mia attenzione infatti non pare voler abbandonare il ricordo della voce del direttore…
“Hanno sparato a John Lennon!”
Sparare…
John Lennon…
Quelle parole si scontrano nella mia mente, rifiutandosi di convivere nella stesse frase. La pace e la violenza si sono sfiorate in questa gelida sera di Dicembre; questa consapevolezza crea un sottile ma percettibile brivido lungo la mia schiena. Essa si è raffreddata a causa del contatto con i sedili del furgone. Questi si inclinano lievemente quando raddrizzo le spalle, tentando di liberarle dalla tensione. Ma lei non ha intenzione di abbandonarmi. Vaga confusa, soffermandosi talvolta sui miei pensieri agitati e sconnessi, talvolta sulle mani pallide di Mark che stringono il volante; spesso si insinua persino nel respiro affannoso di Patricia. La donna colma il silenzio nella vettura con una voce dal tono altrettanto desolante
-Cosa pensate di fare?-
Mark deglutisce, tentando di rispedire nello stomaco le paure di un giovane giornalista. Si passa nervosamente una mano sulla mascella per poi afferrare con foga il volante e sterzare, in tempo per evitare un tamponamento con una monovolume che non si è ancora adattata alla caotica New York. Al contrario dei miei pensieri che viaggiano liberi e rapidi. Ignoro la loro corsa e tento di concentrarmi sulla risposta di Mark, brusca come la sua manovra.
-Non lo so, porca miseria, non lo so! Il direttore avrà questo fottuto servizio, in un modo o nell’altro!-
Lancia una rapida occhiata alla macchina fotografica che tengo fra le mani. Ne accarezzo l’obbiettivo, come per tentarlo di liberarlo da preoccupazioni che stanno travolgendo me. Prima di uscire ho recuperato tutto il mio equipaggiamento, quello che ritenevo necessario per la realizzazione di un buon articolo. In esso non potrebbe mancare una rappresentazione fotografica dell’evento narrato. Per questo motivo ho protetto la fotocamera sotto un braccio prima di precipitarmi in strada dove il furgone privato degli addetti alla Stampa mi stava attendendo trepidante. La stessa agitazione che ho percepito nel motore si riversa negli occhi di Mark che guizzano sulle mani.
-Ti occupi tu delle foto, vero?-
Gli lancio un’occhiata disinteressata prima di rispondere con un cenno affermativo. Il direttore ha preferito sopperire alla mia inesperienza sul campo, con la presenza di Patricia Johnson e Mark Webber, colleghi con il compito di guidarmi nella realizzazione di un importante servizio. Ma in questo momento l’unica cosa a cui riesco a dare importanza sono i pensieri che si impossessano voraci della mia mente.
Essi riguardano la vita.
La vita pacifica di un uomo che con la sua musica aveva illuminato di speranza la mia infanzia oscura. Ora quella sua voce acuta, foriera di irrealizzabili sogni, sembra stonare in quell’amara canzone che è l’esistenza.
Avverto il fruscio dei capelli di Patricia, probabilmente causato dalle mani agitate che la donna porta spesso alla nuca.
Mark ruota il volante e si morde il labbro inferiore. Le luci stradali incontrano per un istante la barba incolta del ragazzo per poi eclissarsi oltre il suo collo. La mia coscienza si nasconde in modo analogo, lasciando spazio a una sorta di torpore piacevole al quale mi abbandonerei volentieri.
Mi riscuoto, scuotendo energeticamente il capo. La coda di cavallo nella quale ho tentato di raccogliere i miei capelli disordinati, sfiora la mia pelle in una carezza fastidiosa simile a quella del vento che mi accoglie una volta scesa dal furgone. Vorrei battere i piedi sul marciapiede nel tentativo di distendere le membra rattrappite ma il freddo non m lo permette. Patricia si piega sul sedile, scomparendo momentaneamente nell’oscurità della vettura. Ne riemerge con un dittafono, un block notes e i pass della Stampa che porge a me e a Mark con mani tremanti, così diverse dalle mie. Esse ricadono stanche lungo i fianchi, private del movimento da un terrore palpabile.
I miei occhi sono impegnati a seguire i movimenti dei miei compagni mentre le orecchie combattono contro il carico ingente di suoni che viene presentato loro. In esso convive il suono autoritario delle sirene della polizia e quello affaticato delle ambulanze, che si avvicinano pericolosamente.
Stringo la fotocamera con la poca forza che mi rimane, impiegandone la misera parte restante nel collo, che ruoto lentamente verso l’ingresso del Dakota. Esso era gremito di un’ingente folla che al suono degli spari si è radunata di fronte al lussuoso palazzo, incurante del pericolo. Le urla dei loro componenti sovrasta i miei pensieri, e i loro movimenti concitati occupano i miei occhi, che guizzano rapidamente sui loro corpi.
-Se il tuo brillante piano consiste nell’osservare passivamente questi imbecilli, hai ancora molto da imparare sul tuo lavoro, Richards! Hai detto che ti saresti occupata del servizio fotografico e ora è assolutamente necessario il tuo intervento, tesoro!-
Le parole sarcastiche di Mark riscuotono il mio orgoglio ferito che mi porta a esalare un sospiro infastidito, seguito da un borbottio sommesso. Il ragazzo scuote la testa e si allontana con un gesto infastidito delle mani. Patricia lancia un’occhiata compassionevole alla mia espressione terrorizzata. Non so cosa mi attende oltre la massa di membra affiancate che si agitano di fronte a me e ne ho paura. Un timore profondo e sordo che Patricia tenta di sopire
-Sei sicura di potercela fare. Il direttore non ha tenuto conto della tua giovane età, probabilmente poco adatta alla realizzazione di un servizio simile. Posso farlo io, se preferisci…-
-No. Io… credo… che sia compito mio…- vorrei aggiungere qualcos’altro ma ho rimandato troppo il mio dovere. Appoggio una mano sulle spalle della donna che mi sorride incoraggiante e si allontana. Invidio la sua tranquillità, probabilmente artificiosa. Impugno nuovamente la macchina fotografica, con una sicurezza che non mi appartiene ma che spero di simulare adeguatamente. Accantono i pensieri e mi avvicino al Dakota.
________
Freddo.
La sensazione fastidiosa del vento dicembrino che si insinua dai finestrini aperti si dipana dalle spalle alle mani che stringono convulsamente il volante. Unico oggetto questo sul quale posso riversare la mia frustrazione. Ignoro la pelle arrossata dei palmi, così come il petto che sobbalza a ogni respiro. Tento di sopperire inutilmente alla mia agitazione con sospiri profondi. Rinuncio rapidamente. Concentrarmi sulla strada sembra impossibile; i ricordi paiono molto più concreti delle auto che mi sfilano affianco.
“-Ehi Paul, dovremmo riprendere a suonare qualcosa insieme un giorno.-
-Puoi contarci, vecchio mio!-“
In quel momento quella sembra la promessa più effimera che abbia mai fatto a John.
Le lacrime restano intrappolate agli angoli degli occhi; non permetterò loro di scorrere finché non verrò chiaramente a conoscenza dello stato di salute di John. La voce di Yoko risuona vivida nelle mie orecchie, riacquistando la stessa disperazione con la quale la ricordo.
“Oh mio Dio, Paul! Oh mio Dio! Aiutami, ti prego! Aiutami!”
Spingo il piede sull’acceleratore, ignorando il prolungato lamento della mia auto. Svolto bruscamente verso il Dakota, ricordando in quante occasioni ho compiuto la stessa manovra, alleggerito da un animo più sereno.
Scendo dalla vettura e il vento gelido mi accoglie accompagnato dagli occhi di quei curiosi ai quali l’agitazione non impedisce di percepire i rumori circostanti. I giornalisti non faticano a riconoscermi e si avvicinano a me con passo trepidante, i denti a mordere quelle labbra tremanti dalle quali sgorgheranno presto numerose domande alle quali dubito di riuscire a rispondere. Distolgo l’attenzione dai loro volti perplessi e lancio una rapida occhiata alle numerose pattuglie di polizia, disordinatamente parcheggiate all’ingresso del Dakota, affiancate da altrettante ambulanze. Nascondo le mani nelle profonde tasche del cappotto, sperando che la mia preoccupazione le imitasse. Osservo sconsolato la schiera di poliziotti a preservare l’ingresso del palazzo dalla folla. Annuiscono, lasciandomi la possibilità di raggiungere Yoko, la cui figura esile è sostenuta da alcune guardie. Il suo respiro tremante vibra contro le mani che tiene premute sulle labbra, come per paura che da esse fuoriesca l’ennesimo urlo di terrore. I suoi occhi arrossati si posano sul mio viso sconvolto mentre il suo assume un’espressione distrutta. Balbetta frasi sconnesse e io non posso fare altro se non accoglierla in un abbraccio affaticato. Piange contro il mio petto e graffia con rabbia il mio cappotto. Le accarezzo i capelli e sussurro:
-Dov’è?-
Sobbalzo nell’udire la mia voce arrochita, così diversa da quella vellutata che sfoggio per il mio pubblico.
Percepisco una frase comprensibile tra i singhiozzi di Yoko.
-L’ambulanza… lui… lo stanno portando al Roosevelt Hospital…-
-Io… devo vederlo, ha bisogno di me… non posso lasciarlo solo, non di nuovo…- Tento di consolarla con una carezza, inutile ad asciugare le copiose lacrime che bagnano le sue guance. Le stringo le mani, sperando di averle infuso un po’ della speranza che mi sta abbandonando.
Allontano con gesti nervosi i poliziotti, dirigendomi verso le ambulanze. Attorno ad esse l’attenzione di numerosi uomini in divisa è attratta da qualcosa di riverso a terra sul quale le loro mani lavorano alacremente. Evado le domande dei giornalisti, scivolando fra i loro corpi e Lo raggiungo.
Lo vedo.
Apro la bocca, ma non ho la forza di urlare.
Angolo autrice:
Riconosco che la lunghezza del capitolo sia notevole ma mi sono lasciata prendere la mano. Vogliate perdonarmi :D
Ringrazio immensamente tutti coloro che hanno recensito finora la storia chi la segue, la ricorda e la “preferisce”.
Spero che l’idea dell’inserimento delle canzoni vi sia piaciuta. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Grazie ancora a tutti!
Baci
Giulia
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Capitolo 4 *** Without you ***
Ciao a tutti!
Sono tornata con un nuovo capitolo che, anche se breve, spero possa esprimere tutti i sentimenti di cui ho voluto arricchirlo.
Innanzitutto vorrei ringraziare nuovamente la carissima JennyWren che mi ha consigliata riguardo l’inserimento della canzone. Questo capitolo infatti non sarà interamente accompagnato da un canzone, bensì alcune frasi di essa verranno citate nella storia. Nonostante ciò posto anche il link del brano, nel caso in cui qualcuno di voi volesse ascoltarlo:
http://www.youtube.com/watch?v=DxHIykybPbk
Buona lettura!
New York 8 Dicembre1980 h 22:55
No, I can’t forget this evening…
Osservo.
Quello visivo è uno dei pochi canali sensoriali ai quali posso appellarmi, in questa notte gelida le cui spinose raffiche di vento infastidiscono le mie mani. Esse sussultano nel percepire quell’autoritaria carezza ma non possono sottrarvisi. Distendo le dita lungo la macchina fotografica, scura come la notte che neppure i lampioni cittadini riescono a illuminare. Ne scorgo la luce rischiarare pudicamente il profilo immobile ed austero dei palazzi e quello sudato della folla. Percepisco il furore dei suo componenti, la morbosa curiosità che agita le loro voci e i loro passi. Lasciano guizzare liberamente gli occhi che, con la stessa morbosità delle loro braccia, tentano di raggiungere il luogo dell’aggressione.
Sospiro e li imito.
Il mio corpo esile sguscia facilmente fra quello robusto di numerosi giornalisti, il cui sguardo attento e scaltro lascia trapelare una notevole esperienza che probabilmente conferisce una tranquillità che non possedevano. Quegli uomini dalla fronte corrugata agitano il microfono di fronte ai volti stremati dei poliziotti, affamati di notizie utili a rimpinguare la loro notorietà. Ignoro il loro eccitato comportamento e mi faccio faticosamente strada verso le ambulanze, radunate poco lontano. Reggo la fotocamera con entrambe le mani tremanti. Il vento freddo vibra sulla mia pelle come la preoccupazione che mi impedisce di imitare appieno questi orgogliosi cronisti newyorkesi che mi circondano. Ho scattato alcune foto al Dakota ma dubito della loro qualità; temo che le mie dita nervose abbiano oscurato l’obbiettivo. Ho sospirato profondamente prima di voltarmi verso il luogo della sparatoria. Ho osservato quei corpi ammassati scompostamente, credendo di non riuscire a raggiungerli. Mi sono passata una mano sul collo, credendomi incapace di immortalare il dolore di un uomo che ho amato così tanto in un’inutile fotografia. La voce del direttore mi è risuonata nelle orecchie, consigliandomi con la sua veemenza di mettere a tacere la sensibilità del mio animo se necessito davvero di un’occupazione stabile. Se mi rifiutassi di completare questo servizio probabilmente domani mi troverei imbarcata su un aereo di seconda classe diretto a Londra. Non posso permettere un simile fallimento.
Vengo involontariamente sospinta oltre la calca da un gruppo di giovani ragazzi le cui parole urlate vengono clementemente trasportate dal vento, che ne trasmette la rabbia.
Alcune ciocche di capelli si diramano sul mio volto, impedendomi la vista, come per timore di mostrarmi la scena che si svolge di fronte a me. Ignoro questo loro muto consiglio, scacciandole con un gesto infastidito.
…or your face as you were leaving…
Avvicino la fotocamera al viso quando i miei occhi catturano quelli socchiusi di John.
…you always smile but in your eyes your sorrow shows…
La morte che sta avvolgendo il suo corpo mi appare come un’austera padrona di casa che nega un rifugio a quella vita che mendica invano e che sembra abbandonare anche lo sguardo di John, sempre così vivido.
…yes, it shows…
Un urlo di dolore sfugge alle mie labbra, screpolate dal freddo.
La macchina fotografica cade a terra.
In frantumi, come l’umanità intera.
_______
… No, I can’t forget tomorrow…
…When I think of all my sorrow…
Il mio respiro affannoso crea nuvolette di condensa di fronte ai miei occhi. Esse assomigliano alle volute dense che si libravano dalle sigarette che John amava fumare con me, chinato sulla chitarra e l’attenzione rivolta alla mia voce che intonava una canzone. Essa veniva interrotta da un suo commento ironico seguito da quella risata che ora risuona nei miei ricordi, come un’eco sorda e beffarda del destino. Esso avvolge John con la sua aura di crudeltà, creando un lieve tremore alle mani pallide del mio amico. I suoi occhi si chiudono su un passato sereno, nel cuore il desiderio di un futuro irrealizzabile. Futuro che improvvisamente non mi sento in grado di affrontare.
…I can’t live if living is without you…
Sono certo che il ricordo di John potrà rivelarsi utile a sopperire momentaneamente il dolore ma non riuscirà a sostituire la sua figura alta e snella che mi ha accolto spesso in un caloroso abbraccio. Un conforto che ora le sue spalle ferite non potrebbero dare. Le stesse braccia si sono impregnate delle mie lacrime frustrate, delle mie carezze e dei miei pugni rabbiosi. Il pentimento amaro di questi ultimi lascia spazio alla rabbia che attecchisce in ogni mio pensiero, anche il più puro. Desidererei infatti sperare in un luogo sereno dove John possa trascorrere l’eternità, un campo di fragole dove possa intonare le sue canzoni di pace.
…I can’t live, I can’t give anymore…
Ma no, non ci riesco.
Il suo posto è qui.
Con il mondo, che lo ama.
Con Yoko che fa altrettanto.
E con me, un egoista che probabilmente è rimasto troppo abbagliato dal suo successo precoce per allontanarvisi e maturare.
Le domande dei giornalisti mi riscuotono mio malgrado dai miei pensieri. Essi si rivolgono a me con quesiti impertinenti. Al contrario dei miei sospiri disperati l’affanno delle loro voci è causato da una curiosità febbrile, che non ho la possibilità di soddisfare. I loro toni concitati interferiscono con il cigolio prodotto dalla barella su cui i paramedici hanno sistemato il corpo debole di John. Vorrei seguirlo, ma i microfoni dei giornalisti si sono assiepati attorno a me. Mi massaggio con una mano gli occhi, che il flash di numerose fotografie ha infastidito. Le domande dei presenti si fanno sempre più insistenti, pretendono da me risposte fiduciose che non sono pronto a dare. Porto le mani alle labbra cercando di scaldarle ed impedendo a parole ingiuriose rivolte ai cronisti di sgorgare rapidamente.
Un urlo agghiacciante proveniente dalle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi volto istintivamente a causa dell’estrema vicinanza di quel suono acuto. Proviene dalla bocca carnosa di una ragazza giovanissima ai cui piedi riconosco alcune schegge metalliche, probabilmente residuo di un apparecchio fotografico che le sue mani esili non hanno sorretto.
Guarda con interesse un punto lontano, il viso grazioso distorto dal dolore. Un volto così diverso da quello smanioso della folla che la circonda. Un volto in cui colgo la mia stessa disperazione. Sentimento che, come me, le impedisce ogni movimento e ogni domanda che il suo mestiere richiederebbe. Sulla sua giacca scorgo il pass della Stampa locale e leggo il nome che vi è stampato a caratteri chiaramente leggibili.
“Brianna Richards”
Brianna sostiene il mio sguardo con occhi velati di lacrime che solo lei fra i suoi colleghi sembra rammentarsi di versare, una quella notte di domande irrisolte.
Le sue spalle esili tremano, come i suoi passi lenti ma distesi con i quali si allontana da me. Accoglie il busto fra le braccia e scuote il capo dietro al quale oscilla una coda di cavallo, disordinata come la folla dalla quale vengo nuovamente inghiottito.
Angolo autrice:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Aspetto con ansia le vostre recensioni.
Nel frattempo ringrazio infinitamente coloro che ricordano di commentare la mia storiella da quattro soldi con i loro commenti sinceri.
Un ringraziamento speciale a Fannysparrow che ha cominciato da poco a leggere questa long fic ma che spero continui a recensire con i suoi commenti sempre pertinenti; a JennyWren che è sempre così gentile; e a Nikotvd, scrittrice in erba e talentuosa, il cui sostegno non mi manca mai. Grazie di tutto, my darling!
Spero di non avervi annoiati con questo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate
Peace&Love
Giulia
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Capitolo 5 *** La vita che scorre ***
Ehilà! Sono tornata con un nuovo capitolo che spero possa piacervi!
Su consiglio della carissima JennyWren (che non ringrazierò mai abbastanza per la sua pazienza :D) ho deciso di accompagnare il pov di Paul con la canzone "Wish you were here" dei Pink Floyd.
Eccovi il link:
http://www.youtube.coHYPERLINK "http://www.youtube.com/watch?v=DPL_SV3n7IU"mHYPERLINK "http://www.youtube.com/watch?v=DPL_SV3n7IU"/watch?v=DPL_SV3n7IU
Per il pov di Brianna ho optato per "Another Day" di McCartney.
Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=ExJaT2MkEYs
Buon ascolto e buona lettura ;)
Londra Febbraio 1981
Il ticchettio fastidioso della pioggia sui vetri disturba le note che si sprigionano lente dal mio pianoforte. Scivolano dolcemente dallo strumento, accompagnate dalla mia voce roca che a fatica si lascia trasportare dalla melodia. I tasti candidi cedono debolmente alla pressione delle mie dita, così come il tappeto che riposa paziente sotto i passi frettolosi di Linda. Mia moglie sussurra piano le parole della mia canzone mentre si aggira nel salotto alla ricerca della borsa.
Le sue unghie ripropongono il ritmo con dei lievi picchiettii lungo gli stipiti delle porte, accompagnate dalle risate divertite dei bambini. Tento di concentrarmi su quei suoni familiari mentre la musica avvolge in un piacevole torpore soltanto il mio corpo, i miei pensieri troppo impegnati a costruire ricordi fittizzi. In essi l'unica protagonista è una voce acuta che sgorga fluente da quelle labbra che ho amato ma che non articoleranno più parole d'amore. Proprio come la pioggia, sono scivolte sul mondo, infrangendosi sulla terra fredda ed inospitale, così diversa dalla mente accogliente che le ha partorite.
Alzo il capo verso la finestra, le guance umide come i suoi vetri. Rivolgo le mie parole al grigio cielo di Londra; credo che la musica sia l'unica forma di preghiera che possa raggiungere John. O almeno la sola che riesco a formulare, evitando alla frustrazione di sommergermi. Non voglio che i miei figli assistano alla debolezza del loro eroe. Non posso spegnere quei sorrisi, fonte dei pochi momenti di serenità che riesco ancora a vivere.
Due braccia esili circondano le mie spalle, infondendo un po' di calore a quella schiena fredda coperta da una camicia decisamente inadatta alla stagione. Le labbra tiepide di Linda sfiorano la mia mascella, ancora vibrante a causa delle ultime note della canzone che si disperdono in fretta. Reclino il capo, incontrando il suo petto impregnato del profumo che le ho regalato e che insipiro voracemente. I suoi capelli pungono piacevolmente il mio collo, imitando quelli di John che offrono un'anomala dolcezza ai miei ricordi amari.
-Sei ancora sicuro di non voler venire con noi? Le ragazze ci terrebbero molto, sai?-
La sua domanda risuona armoniosa alla mie orecchie, che ne colgono la dolcezza. Sospiro, passandomi una mano fra i capelli, sui quali Linda strofina il naso. Intreccio le mie dita con le sue e scuoto il capo.
-Vorrei uscire, davvero, non sai quanto. Ma... non ci riesco. Continuo.. a pensare a lui, all'ultimo sguardo che mi ha riservato così diverso da quello che spesso colorava il suo viso. Io... la musica è l'unico strumento in mio possesso utile a... rasserenarmi...- Un singhiozzo imprevisto crea un rapido sobbalzo nelle mie membra, accolte dall'abbraccio accogliente di Linda.
-Ne abbiamo parlato a lungo, Paul. La rassegnazione è l'unica soluzione possibile. Lui non vorrebbe vederti in questo stato a causa sua e...-
-Non mi basta più, Linda! Non voglio crogiolarmi nel mio dolore cantando canzoni che lui non ascolterà mai. Non posso continuare a mentire a me stesso con rassicurazioni religiose riguardo la vita eterna alle quali non ho mai creduto. Io...-
Mi alzo dallo sgabello, misuro la stanza a grandi passi, la mano sulla bocca ad intrapollare parole frustrate che Linda sussurra ad occhi bassi. L'affetto profondo che la lega a me la coinvolge direttamente nel mio dolore, che condivide silenziosamente.
Finalmente termino la frase:
-Io voglio che gli uomini conoscano John Lennon. Non l'artista che troppi hanno amato e criticato, no. Io voglio che il mondo conosca l'uomo meraviglioso che era, l'uomo che si è rivelato a me in anni di amicizia. Io...-
Puntello l'interno della guancia con la lingua
-Io voglio che qualcuno scriva la parte migliore che John mi ha mostrato. So di non esserne in grado da solo, i sentimenti e la tristezza prenderebbero il sopravvento. Desidererei vederlo rivivere nelle parole di un giornalista sensibile come John, che possa comprendere tutto ciò che voglio esprimere. Io...-
Linda mi ha raggiunto e circondato il collo con le braccia.
Interrompe il mio incontrollato flusso di parole con un bacio lento e amorevole.
-Hai bisogno di essere ascoltato, ti capisco. Qualunque cosa deciderai riguardo questa...- fa un vago gesto con la mano che afferro per portare alle labbra. -...intervista, io... appoggerò ogni tua scelta. Se utile a ridarti il sorriso.-
-Ti amo, Linda.-
La bacio frettolosamente, mentre le bimbe le intimano di raggiungerle in soggiorno per recarsi al cinema. Mia moglie mi raccomanda di mettere a letto James prima di uscire. Saluto le mie bambine e aspetto lo scatto della serratura per dirigermi in salotto dove Linda ha dimenticato la sua macchina fotografica accanto ad un block notes. Il rumore del vetro infranto dell'obbiettivo che quella notte ha catturato la mia attenzione, risuona nella mia mente.
Mi porto una mano al mento.
Rivedo chiaramente quel grazioso volto distrutto dal dolore e il nome della sua proprietaria indicata sul pass della stampa per cui lavorava.
Credo di conoscere l'animo sensibile in grado di narrare al mondo l'umanità di John.
_______
New York Marzo 1981
-Mi sembra buono, Bri. Il capo ne sarà sicuramente soddisfatto.-
Patricia osserva interessata il mio articolo, reggendo le pagine fra le dita della mano libera, mentre con l’altra raccoglie le briciole del panino che sono rimaste intrappolate agli angoli delle labbra. La ragazza lascia scorrere lentamente la punta della lingua su di esse, in un gesto soddisfatto simile a quello delle mie mani, intente a sistemare i miei capelli disordinato. Mi ero impegnata a raccoglierli in una coda di cavallo elegante e professionale, ma il risultato dettato dalla fretta non ha sortito in me l’effetto sperato. Tento un sorriso forzato, nel quale racchiudo uno sbadiglio evidente. La notte mi ha intrappolata in sogni orribili, la causa delle occhiaie che spero davvero gli occhiali possano nascondere. Il sole pallido di questo Marzo nascente riscalda penetra prepotentemente attraverso i finestrini dell’autobus, raggiungendo le mie lenti. Corrugo la fronte, spazientita da quei raggi e dalle chiacchiere dei newyorkesi, altrettanto fastidiose. Osservo affamata i resti del panino di Patricia che riposano sulle sue ginocchia, così diversi dalla mia misera colazione. Questa mattina essa ha compreso una tazza di caffè e alcuni biscotti; mi consolo pensando a quello come al classico pasto dei giovani lavoratori indaffarati. Questo è sicuramente l’appellativo che mi si addice maggiormente.
-Credi che i contenuti del mio lavoro possano convincere il signor Donovan ad affidarmi nuovamente l’incarico di reporter?-
Patricia gonfia le guance e inarca le sopracciglia. Cerca una risposta sincera mentre mi massaggio gli occhi stanchi.
-Dopo quello che hai combinato al Dakota, avrai bisogno di un'arma più affilata di un buon articolo per conquistare il vecchio Donovan. Ricordi la sua sfuriata quella sera, vero?-
La ricordo perfettamente.
"- Non ti ho chiesto nulla di difficile, Richards! Credevo fossi in grado di scattare quelle maledette foto. A causa del mio grossolano errore di sopravvalutazione nei tuoi confronti, il mio giornale invidierà anche i più miseri settimanali che riporteranno la notizia! Maledizione, Richards, ma che ti è preso?!-
Il volto pingue del signor Donova si arrossa fino a divenire un tutt'uno con la sua cravatta. E con il sangue di John Lennon, il cui colore purpureo è ancora impresso nella mia mente.
-Io... mi dispiace, direttore. Mi sono lasciata coinvolgere dal dolore della tragedia. N-non... non accadrà più... glielo prometto.-
-Farò in modo che questa tua promessa venga mantenuta, non temere...-"
Lo ha fatto. Ha degradato la mia posizione lavorativa e di conseguenza lo stipendio, a causa del quale il mio tenore di vita langue notevolemente. Il brontolio del mio stomaco affamato assomiglia al cigolio delle ruote dell'autobus, che interrompe alla nostra fermata la sua corse verso le vie trafficate di New York. Prendo l'articolo che Patricia mi porge e lo stringo al petto. La mia amica ravviva i capelli chiari, liberandoli dal cappotto in cui il vento li ha trattenuti ed entra negli uffici della Stampa. Il suo corpo sinuoso attira gli sguardi ammirati dei colleghi mentre al mio vengono riservate solo alcune occhiate di circostanza. Le mie scarse possibilità economiche non mi permettono di curare il mio aspetto fisico, spesso trasandato. I pantaloni scolorati e il maglione sformato sono una dimostrazione della mia incuria.
Lancio un'occhiata all'orologio che dal muro scandiva le ore di quelle giornate interminabili; sobbalzo nel verificare il mio evidente ritardo, che spero il signor Donovan non abbia notato. Ciò non metterebbe certo in risalto la mia reputazione ai suoi occhi. Siedo alla mia postazione, unendo le mie dita a quelle dei giornalisti che ticchettavano sulle tastiere, dopo aver appoggiato il mio articolo sulla scrivania. Lo avrei presentato al direttore al termine della mia giornata lavorativa.
Curvo le spalle e comincio a scrivere, immergendomi nel piacere che il fluire delle parole dalle mie mani provoca in me. Vengo interrotta in quella beatitudine dal rumore di una porta, che cigola sui suoi cardini. Alzo lo sguardo sulla porta socchiusa dell'ufficio del direttore, nascondendo il mio viso dietro allo schermo del computer, con malcelata indifferenza.
La sua voce tonante mi raggiunge. Pronuncia il mio nome con una sorta di curiosità preoccupata e sorpresa. Sentimenti questi che non ho mai notato nelle frasi ponderate e irremovibili del signor Donovan.
Lancio un'occhiata impreparata a Pat, mordendomi il labbro inferiore. Scuote il capo, indecisa. Mi alzo lentamente, cominciando una debole arringa in mia difesa
-M- mi dispiace, signor direttore. Il... ritardo dei mezzi pubblici non mi ha permesso l'entrata in orario. L-lei... lei sa qual'è la situazione d-dei trasporti a.. a New York e...-
-Potresti raggiungermi nel mio ufficio, Richards?-
Ho aperto la bocca, alla ricerca di parole convincenti quando mi ha interrotto. Aggrotto la fronte mentre la sua rimane immobile, imperlata di sudore che scivola verso gli occhi sgranati. Osservo terrorizzata la mia amica che indica con lo sguardo l'ufficio del direttore; un chiaro invito all'obbedienza.
Cammino fra i miei colleghi che non hanno alzato il capo dal loro lavoro e mi chiudo la porta di quell'ufficio asettico alle spalle.
Angolo autrice:
Spero che questo capitolo, non risulti troppo lungo, mi sono lasciata un po' prendere la mano xD
Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono, in particolare JennyWren (spero che il mio piccolo flashback assomigli almeno un po' ai tuoi :D). Ringrazio i miei lettori, i cui consigli ho tentato di seguire al meglio.
Aspetto con ansia le vostre recensioni ;)
Peace&Love
Giulia
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Capitolo 6 *** Dream ***
Ciao a tutti!
Perdonatami per il ritardo nella pubblicazione, ma sono stata molto impegnata. Spero di farmi perdonare con questo capitolo che mi auguro possa piacervi.
Ho scelto di accompagnare questo corto capitolo con la bellissima "I’m only sleeping". Ho deciso di seguire il consiglio di una mia simpatica lettrice, inserendo, come in un capitolo precedente, parte della canzone nel testo. Spero che la mia scelta risulti piuttosto azzeccata; non è semplice scegliere una canzone adatta fra le 211 dei grandi Fab... xD
Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=oW6pAnQx6NI
Buon ascolto e buona lettura.
New York Marzo 1981
“When I wake up early in the morning
Lift my head, I'm still yawning”
Il rollio degli pneumatici sull’asfalto culla i miei pensieri inconsistenti che scrutano ogni angolo della mia mente alla ricerca di un’attenzione che riservo solo al pallido sole primaverile. Sbadiglio rimproverando a Morfeo il suo ferreo rifiuto nell’accogliermi fra le sue braccia la notte precedente. Raggi impertinenti aggrediscono il parabrezza dell’auto creando riverberi allegri che guizzano sui miei occhi, i quali si abbassano ripetutamente troppo stanchi per sopportare quei giochi di luce.
Porto la sigaretta alle labbra e aspiro una lunga boccata, lo sguardo concentrato sugli stivali. Il loro colore opaco pare un triste invitato alla festa primaverile che mi circonda. Quelle non erano affatto le calzature che considero adatte per il mio viaggio aereo e neppure per la messa in risalto del mio aspetto. Ma le futilità della mia vita hanno perso d’importanza, scivolando fuori dalla mia mente come il fumo di quella sigaretta, sostituite da una solida certezza che ancora mi fa impallidire.
“When I'm in the middle of a dream…”
“-La prego, direttore, non punisca il mio ritardo. È… è stato un errore come le ho detto… non accadrà più…-
-Smettila di balbettare, Richards. Non è per il tuo ritardo che ti ho convocata.-
Sospiro, mordendomi spasmodicamente il labbro inferiore e corrugando la fronte, quasi sperando che quei gesti possano allontanare le parole rabbiose del signor Donovan, la cui causa mi è sconosciuta. Ogni minuzia può essere causa di veemenza in quell’omino pingue.
-Ho ricevuto una telefonata e…-
-Mia madre? Mia madre ha bisogno di me? È malata? Cosa…-
Per un istante temo per la salute di mia madre, la cui condizione risulta troppo spesso precaria. Quando ho trovato il tanto sospirato impiego a New York, le ho fornito il numero della redazione tramite il quale può entrare in contatto con me in qualunque momento. Conosco l’instabilità del suo stato nervoso che le causava grida isteriche che risvegliavano i miei sonni infantili. Tali accessi di inquietudine erano causati forse da un incubo al quale il suo inconscio disturbato dava troppa importanza. Essendo a conoscenza di quanto la malattia persista negli anni, porto una mano al petto ansimante prima che il direttore mi rassicuri con un gesto infastidito delle mani.
-Per l’amor del cielo, Richards, no, niente di tutto ciò... si tratta di… un nuovo incarico per te.-
-Un nuovo incarico?- ripeto le sue ultime parole, abbozzando un sorriso. La carriera di reporter, che ho tanto sognato di riconquistare, si avvicina intimidita ai miei pensieri sfiorandoli delicatamente. Osservo speranzosa il volto del signor Donovan, avvolto dal fumo del sigaro che tiene fra le dita; un viso serio sospettoso le cui ombre oscurano i miei desideri che si allontanano frettolosi per lasciare spazio ad una naturale curiosità.
Fa un gesto vago con la mano, sperando di terminare in fretta un colloquio indesiderato.
-Come ti ho detto, ho ricevuto una telefonata… dall’Inghilterra… da Londra… da un uomo. E non un uomo qualunque Richards…- Si porta una mano al mento, come incredulo delle sue stesse parole. Parole che creano una ruga d’espressione sulla mia fronte corrugata, che percepisco con il palmo umido di sudore. L’interesse indossa in fretta i panni dell’ansia che fino a quel momento ha riposato a contatto con i miei pensieri.
-Quale uomo?- la mia domanda risulta diretta, la voce acuta e affatto cordiale. Mi perdonerei per quell’evidente scortesia se l’etica occupasse un ruolo rilevante in questa circostanza.
Il signor Donovan prende un lungo sospiro che rilascia altrettanto lentamente prima di rispondere:
-Paul McCartney ha contattato la nostra redazione. Ha espresso il desiderio di raccogliere tutte le sue memorie dell’amico John Lennon in un libro intervista, realizzato da un talentuoso e sensibile giornalista. Ha chiesto di te espressamente. No, no, no, non dire una parola, so cosa stai pensando: neppure io comprendevo il modo in cui quell’uomo fosse venuto a conoscenza del tuo nome e domandargli spiegazioni non è stato semplice. Una delle discussioni più emozionanti della mia vita, credimi! Oh Cristo, ancora non posso crederci, mi sembra impossibile. Io ho sentito la sua voce, le sue parole eleganti che si rivolgevano proprio a me! Incredibile… Accidenti, cosa stavo dicendo? Oh, be, Sir McCartney ha affermato di essere rimasto piacevolmente colpito dal tuo sincero dolore, espresso nella notte dell’8 Dicembre ’80, indice del rispetto che vorrebbe riscontrare nel giornalista al quale avrebbe voluto affidare l’importante incarico di biografo di Lennon. Richards, io… probabilmente avrei dovuto informarti, prima di prendere accordi con il signor McCartney ma… un tale avvenimento potrebbe accrescere notevolmente la fama del nostro quotidiano e… insomma, pensavo avresti avuto nulla in contrario a sopportare quest’incarico, onorevole anche se notevolmente gravoso e… ecco, ho fissato il tuo primo incontro a Londra con McCartney fra qualche settimana e… Richards? Richards, mi stai ascoltando?-"
“Please, don’t wake me…
…I’m only sleeping…”
Tutto attorno a me si dissolve come le volute di fumo che si sprigionano dal sigaro del signor Donovan, ormai consumato dalle labbra eccitate del direttore. Ripercorro con la mente quei ricordi che ho allontanato, ricordi di una notte fredda governata dal cielo tenebroso e disturbata dalle grida strazianti delle ambulanze simili a quelle dei newyorkesi che si sono affollati attorno a me. Sento il movimento concitato dei loro corpi, così diverso da quello lento e inesorabile della mia fotocamera che ho lasciato cadere, incurante delle ripercussioni di quel gesto sulla mia carriera. Rivedo gli occhi di John, la cui naturale luce è andata attenuandosi.
E poi lui.
Il suo sguardo straziato che è scivolato sul corpo inerme dell’amico, le mani strette a pugno nascoste nelle tasche del cappotto, quel lineamenti che tanto ho amato in un’adolescenza non così lontana, contratti dalla disperazione. Quest’ultima ha creato un lieve tremore alle sue labbra, quelle labbra piene e femminee che da ragazza ho sognato inutilmente di baciare. Labbra che presto pronunceranno parole rivolte direttamente a me.
Questa consapevolezza crea in me un’ambigua rassicurazione, dissimile dall’entusiasmo del signor Donovan. Un’euforia celata la mia, che non trova sfogno nei comportamenti esterni; rimane nascosta a logorarmi lentamente.
Porto una mano al capo, mentre le parole del direttore colmano ancora l’ufficio d’allegria incontenibile. La mia coscienza si allontana da quel cicaleccio fastidioso, ottenebrata da una realtà futura alla quale riesco a stento a credere.”
“Everybody seems to think I'm lazy
I don't mind, I think they're crazy”
-Accidenti, Bri, è meraviglioso! Conoscerai Paul McCartney, ti rendi conto?! Paul McCartney, l’idolo della mia gioventù! Non sai quanto desidererei avere l’onore di intervistarlo e… be, non solo quello, e poi… Bri… Bri, che hai?- Aspiro l’ultima boccata dalla sigaretta lanciarla oltre il finestrino dell’auto in corsa. Rilascio il fumo lentamente verso il cielo azzurro, nel quale le nuvole si inseguono placide, senza alcuna fretta di liberare il cielo dalla loro ingombra presenza. Proprio come i newyorkesi.
“Running everywhere at such a speed
Till they find, there's no need…”
Lanciano brevi occhiate al mio volto pensieroso prima di continuare la loro quotidiana lotta contro la sopravvivenza. Una battaglia sfiancante alla quale anche io ho preso parte da tempo. Ma in quell’istante le guarnigioni sembrano così lontane mentre la mia armatura ammaccata riposa in un cassetto che non voglio aprire.
“Keeping an eye on the world going by my window
Taking my time”
Mi passo le mani tra i capelli muovendo il piede al ritmo delle dita di Patricia che tamburellano allegramente sul cruscotto. Riconosco anche nei suoi occhi chiari lo stesso entusiasmo del signor Donovan che non coinvolge il mio spirito, assuefatto all’idea del mio prossimo incontro con Paul McCartney. Osservo il paesaggio scorrere oltre il finestrino del guidatore, dal quale i capelli dorati di Pat scivolano convulsamente, trascinati dal vento marzolino. Una bandana colorata con motivi floreali tenta invano di raccogliere le ciocche, aiutata dai gesti infastiditi della ragazza. Ai gridolini eccitati di Patricia causati dal mio nuovo incarico, è seguito un suo invito perentorio ad accompagnarmi all’aeroporto il giorno della partenza. Il mio animo, troppo turbato dalla novità, non si è opposto alle sue insistenze.
-Io… io… non so cosa dire Pat, è tutto così… irreale…-
-Talmente irreale che il tuo aereo parte fra un’ora. Questo vecchio macinino non è abituato alle corse ma temo proprio che dovrà adeguarsi alle nostre esigenze.-
Osserva distrattamente l’orologio prima di pigiare decisa il piede sull’acceleratore. Ignora lo stupore nelle mie parole e raggiunge rapidamente la nostra tanto sospirata meta.
Frena bruscamente prima di voltarsi verso di me:
-Prometti che mi terrai aggiornata sugli sviluppi della tua intervista? Inoltre pretendo una descrizione dettagliata di Paul. Voglio essere accanto a te in ogni momento e le tue telefonate dovranno essere così minuziose da permettermelo. Oh, mi porterai un autografo, vero? Ti prego, ti prego, ti prego…- giunge le mani, sporgendo il labbro inferiore, nell’imitazione perfetta di una bimba capricciosa. La sua natura infantile si è rivelata a me da poche settimane, dalle sere trascorse in redazione, quelle in cui la nostra amicizia ha preso forma.
“…I'm miles away
And after all…”
-Sì, Pat, non lo dimenticherò.- tento un sorriso ma le preoccupazioni ingombrano il mio cuore, incapace di produrre sentimenti sinceri.
Patricia scuote le spalle, soddisfatta e apre la portiera. Recupera la mia valigia dal portabagagli e me la porge, inclinando il capo. Appoggia le mani sulle mie spalle, sottolineando inconsapevolmente la sua altezza, evidentemente superiore alla mia.
-Non dimenticarti di me a Londra, piccola.-
Mi arruffa i capelli affettuosamente e si allontana.
“…I’m only sleeping…”
Anglo autrice:
Ciao carissime!
Sono in ritardo con la pubblicazione, chiedo venia xD
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti i recensori incondizionatamente che con i loro consigli preziosi mi stanno aiutando davvero moltissimo, facendo maturare il mio stile.
Grazie a tutti!
Aspetto con ansia i vostri commenti!
Peace&Love
Giulia
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Capitolo 7 *** Come back ***
Ciao a tutte le mie straordinarie lettrici!
Eccomi puntualissima con un nuovo capitolo, che ho deciso di accompagnare con la bellissima "I'm so tired" (non preoccupatevi, arriverà l'occasione anche per canzoni decisamente più allegre xD).
Ecco il link su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=MIENus8bJlY
Buon ascolto e buona lettura! ;)
Manchester Marzo 1981
"I'm so tired,
I haven't slept a wink..."
Il pianto di un bambino.
I sussurri tranquillizzanti di una madre, dai quali trapela un'evidente irritazione.
I consecutivi colpi di tosse di un anziano signore seduto accanto a me, e il fruscio altrettanto ripetitivo delle pagine del suo giornale.
Quei suoni lievi ma insistenti ottenebrano l'aria della cabina aerea, già pregna di un insostenibile calore umano, dal quale tento di liberarmi con un sospiro. Chiudo gli occhi, le ciglia frementi contro le guance, senza riuscire ad assopirmi. Invidio il bimbo di fronte a me, le cui grida sono cessate da alcuni minuti, delle lacrime solo un tenue ricordo sulle gote arrossate.
Sorrido sollevata e rilasso le spalle. Aderiscono allo schienale rigido, senza esservi accolte come vorrei. Rinuncio in fretta al riposo e tento di trattenere uno sbadiglio con la mano. Mi accoccolo contro il finestrino, dal quale sono distinguibili numerose nubi dorate, che avvolgono il cielo nel loro abbraccio. Fra le maglie di quel lenzuolo naturale si perdono i raggi solari che, guidati dalle esperte mani della sera cuciono ricami dorati in quel tessuto vaporoso. Neppure quella paradisiaca visione mi distoglie dai miei pensieri che rendono vacuo il mio sguardo.
"...my mind is on the blink..."
Lascio trascorrere indifferente le ore di viaggio, sopportando pazientemente le parole del comandante articolate in svariate lingue che giungono a me attraverso l'altoparlante. Le lascio scivolare silenziose nella mente, come il dorso dell'aereo che si inclina elegantemente sulla pista di atterraggio. Recupero il mio bagaglio, forse ancora più pesante del nome che da ore è divenuto protagonista dei miei pensieri: Paul McCartney. Ne sento la voce nei sussurri concitati dei passeggeri aerei che si affrettano verso l'uscita, ne riconosco i lineamenti in quelli del capitano che mi saluta garbatamente. Scuoto il capo e ricambio il sorriso con un'impazienza adeguatamente mascherata da cordialità.
Manchester mi accoglie con una brezza fredda, che mi sfiora il viso in un affettuoso bacio di bentornato. La mano familiare del vento sospinge i miei capelli contro le labbra con una carezza un po' goffa. Trattengo un sospiro sereno, mordendo il labbro inferiore. Gli odori della città accorrono verso di me, ansiosi di donarmi il loro omaggio, con profumi speziati intrisi di umidità. Ricordo i profondi respiri con i quali papà tentava di trattenere con se quella piccola parte della grande metropoli inglese, creando in me una spontanea ilarità che riemerge a quel ricordo. La scaccio furiosa con un gesto repentino della mano che mi affretto ad interrompere per non destare le occhiate curiose dei cittadini che già mi osservano con un interesse alquanto sarcastico.
"...my mind is set on you..."
Mi porto le mani alle labbra, impallidite dal freddo e dall'amaro pensiero di mio padre. Ho ingenuamente creduto che la sua fuga dalla mia esistenza avesse comportato anche la sua rimozione dalla mia mente. Sorrido amaramente di questa mia debolezza e alzo gli occhi sulla strada trafficata.
"...I wonder should I call you but I know what you'd do..."
Ai lati di essa scorgo numerose cabine telefoniche, dal colore purpureo e la figura slanciata, che mi invitano a raggiungerle. Le osservo, incerta se telefonare a mia madre, dalla quale ho intenzione di alloggiare, oppure tacerle il mio arrivo a Manchester per stupirla con una sorpresa. Propendo per la seconda intenzione, ricordando gli occhi allegri di mia madre quando si perdono ad osservare un avvenimento inaspettato.
“…You'd say I'm putting you on
But it's no joke…”
Mentre salgo con esasperante lentezza i gradini che mi condurranno alla stazione rifletto sul modo migliore per informare mia madre del motivo della mia permanenza in Inghilterra. Non avrebbe creduto a un tono gioioso e avrebbe riso di uno esageratamente professionale. La mia voce atona in quel momento non sarebbe in grado di riprodurre adeguatamente nessuno di questi.
Tamburello nervosamente le dita sul fianco, massaggiando le labbra screpolate con la lingua e assaporando la dolce inflessione inglese nelle parole dei passanti, così diversa da quella roca che avevo a lungo sopportato nei discorsi americani. L’orgoglio delle mie origini distrae per un momento i miei pensieri evanescenti con la sua fierezza.
Salgo rapidamente sul primo diretto per Liverpool, seguita dal mio bagaglio non altrettanto agile.
Prendo posto in uno scompartimento deserto e adagio il collo sul sedile, simulando una tranquillità che non possiedo.
“…I can't sleep…
…I can't stop my brain…”
Premo i palmi delle mani sugli occhi con una pressione tale da creare buffe combinazioni colorate che da bambina consideravo motivo d’ilarità, una sorprendente scoperta che ho fatto con mio padre.
Mio padre.
La sua voce languida che si divertiva a intonare le canzoni di McCartney la domenica mattina.
L’odio provocato da quel ricordo rode ulteriormente le pareti della mia anima, scalfite da anni di dolore.
Morfeo non sembra intenzionato a liberarmi da quei pensieri pungenti e accetto amaramente la sua decisione.
Le rotaie rallentano progressivamente quando il treno lento e sospiroso giunge alla stazione di Liverpool. Assomiglia a quelle coppie di anziani che attendono sulle panchine, osservando con un sorriso spento la mia discesa.
Il ticchettio dei miei passi sul lastricato accompagna lo stridio dei gabbiani creando una melodia alquanto familiare. Osservo le ali di quei maestosi volatili aderire al loro corpo nel momento in cui le zampe palmate incontrano gli scogli. Immagino la ruvidezza di questi ultimi sotto le mie dita bagnate dal mare salato, rivivendo un momento di trascorsa infanzia che quell’acqua scura e il cielo plumbeo avevano osservato pazientemente. Come me trattengono quei ricordi in un recesso profondo, senza mostrarli al mondo, sempre troppo frettoloso per essere interessato.
Ogni strada si svela a me, consapevole di essere spogliata di ogni segreto dai miei occhi esperti. Saluto cordialmente le anziane signore che si affacciano alle finestre e sorrido ai loro camini dai quali si libera una voluta di fumo. La primavera è una ritardataria cronica durante i suoi appuntamenti annuali con Liverpool.
Di fronte alla mia scuola si raggruppa un nugolo di bimbi di altezze differenti quanto le loro estrazioni sociali. Osservo i capelli disordinati di un ragazzo e quelli ordinatamente pettinati di un compagno. Entrambi gli oggetti del mio interesse si voltano verso di me, indifferenti come le pietre che calcio lungo il selciato. Esse rotolano instancabili di fronte a me; il loro rollio morbido e attutito dal motore delle navi vicine somiglia alla voce che mi tormenta.
Paul McCartney.
Il suo nome è una lunga e piacevole nota nella melodia della vita, che solo io riesco a cogliere.
Giungo alla mia casa, il respiro affannato e le mani fredde. Sfioro con discrezione i mattoni del muro, come a voler ammansire quell’abitazione che ha perso familiarità con me dopo i mesi di lontananza. Trattengo un lacrima malinconica, causata dall’acre profumo dei fiori o forse dalle memorie di cui è foriero.
Mi porto una mano alla nuca dolorante prima di adagiarla sul campanello. Il trillo furioso di quest’ultimo mi fa sobbalzare e imprecare sommessamente.
Alcune parole borbottate giungono sparse alle mie orecchie, creando uno spontaneo sorriso sul mio volto.
Il rumore dei chiavistelli procura un rossore eccitato ed infantile sulle mie gote, in netto contrasto con i loro lineamenti maturi.
Il capo ricciuto di una giovane donna è ancora curvo sulla maniglia della porta, che stringe saldamente con le dita nervose. I suoi occhi guizzano sulle mie gambe, giungendo fino al mio volto, mostrando così il loro affascinante colore castano. Le sue labbra sottili si schiudono mentre alcune rughe d’espressione increspano le tempie lisce. Le sue mani raggiungono il ventre, coperto da un maglione colorato e sformato che poco si adatta alle forme esili della donna.
La sua bocca freme, intenzionata ad articolare suoni, ma consapevole di essere incapace.
Attendo qualche istante nel quale mi perdo ad osservare il suo lungo collo, che per anni ho visto piegarsi sul tavolo della cucina in preda ai singhiozzi e nel quale spesso ho nascosto il mio viso piangente.
Dopo una manciata di secondi lunghi un’eternità, la donna esclama:
-Brianna?!-
Lascio scivolare i bagagli a terra, incurante del loro contenuto e avvolgo le sue spalle con le braccia, beandomi di quel profumo sognante:
-Sono tornata, mamma.-
Angolo autrice:
Approfitto di questo piccolo spazio tutto per me per ringraziare nuovamente tutte le mie lettrici. Il merito dell’entusiasmo che metto nello scrivere questi capitoli è anche merito loro.
Trentasette recensioni! Trentasette! Non avrei mai creduto di raggiungere quello che a me sembra già un traguardo. Vi adoro!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto come i precedenti ;)
Peace&Love to Everyone!
Giulia
|
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Capitolo 8 *** Bad memories ***
Ciao a tutte!
Ecco il capitolo otto, ancora dedicato alla storia di Brianna che molte di voi attendono impazienti. Spero di essere esauriente ;)
Ho deciso di accompagnare la lettura di questo capitolo con “All of my life” di Phil Collins, un altro cantante che stimo molto. Perdonate la scelta frettolosa che spero possa rivelarsi ugualmente adeguata.
In questo capitolo non ho inserito le frasi della canzone come di consueto (lo studio non mi ha permesso di analizzare il testo alcuni giorni prima della pubblicazione) ma spero che possa piacervi lo stesso.
Ecco il link della meraviglia:
http://www.youtube.com/watch?v=FjzlQ6173fk
Buon ascolto e buona lettura!
Liverpool Marzo 1981
-Oh tesoro, non sai quanto sono felice di vederti! Non aspettavo una tua visita ultimamente e questa sorpresa mi ha rallegrata! Che ne dici di una tazza di the? Sono pronta a scommettere che un americano non ti abbia mai offerto un the di qualità pari a quello inglese, vero? Oh, ho comprato al negozio qui all’angolo dei muffin che sono la fine del mondo…
Le parole di mamma giungono attutite dal primo piano, carezzando fugacemente le pareti della mia camera sulle quali indugiano le mie dita. I polpastrelli si agitano al suono di una melodia inesistente. I gradini della scala che sto percorrendo scivolano sotto i miei piedi con la stessa rapidità dei miei pensieri che avvolgono la mia mente in un abbraccio malizioso che avrei voluto evitare.
“Corro.
Il mio cuore sobbalza eccitato, così come il mio corpo, abbastanza leggero da salire rapidamente gli scalini. Le mie mani paffute non cercano sostegno nel corrimano di legno, al contrario di quelle grandi di papà. Dal suo ampio petto si levano respiri affannosi che mi incitano a proseguire la mia corsa, orgogliosa della velocità che il mio avversario finge di invidiare.
Scosto i capelli dal viso con un gesto nervoso, l’abitino di lino che avvolge le mie gambe esili e pallide quanto la stoffa. Mi rifugio nella stanza dei miei genitori, che osserva il corridoio da lontano come ansiosa di assistere a quelle scene di vita. La maniglia in ottone cede a fatica alla pressione delle mie dita che si ritirano sorprese dal metallo freddo.
I suoi passi si avvicinano, così come le sue tenere minacce appena sussurrate.
Un gridolino gioioso sfugge alle mie labbra serrate quando le sue braccia accoglienti circondano la mia vita sottile. Il suo abbraccio saldo mi conduce fino alle sue spalle possenti coperte da una maglia sformata. Anche quella mattina essa è pregna del suo profumo che aspiro soddisfatta, un’espressione ridente negli occhi e falsamente impaurita sul viso.
-Ti ho presa!-
-Non è divertente che tu me lo faccia notare, papà!-
La mia replica risulta a stento comprensibile, perché soffocata dalle risate provocate dai suoi baci rapidi sulla mia pancia. Mi raggomitolo contro il suo petto nel tentativo di sfuggire al solletico, quando incontro il suo viso.
I capelli castani disordinati dalla notte incorniciano un volto abbronzato sul quale si mostra un timido cenno di barba. I suoi occhi scuri si dilatano, fissandosi nei miei.
-Dai papà mi arrendo! Ti prego, smettila!-
Mi bacia il apo con le labbra sottili, sulle quali le mie mani amano creare smorfie divertenti.
Mi accompagna in cucina, fischiettando alcune note di “Anytime at all”. Muovo il collo a ritmo con la canzone e guardo il mio eroe baciare la mamma sulla guancia.”
Mi rischiaro la gola riarsa dai ricordi amari e dal profumo di menta che aleggia in corridoio.
La porta socchiusa della mia camera mi permette di osservarne l’interno.
Il cigolio dei cardini accompagna quello dei miei passi, appesantiti dalle suole sporche degli stivali. Esse incontrano un pavimento altrettanto polveroso sul quale ho trovato spesso un rifugio fresco dal caldo torrido di alcune estati.
Di esse non restano che pochi ricordi; fotografie racchiuse in modeste cornici occupano il mio comodino. I sorrisi dei personaggi ritratti in esse sembrano rivolti al mio letto ordinato che attende ansioso la sua padrona. Accarezzo con attenzione le lenzuola, quasi timorosa di risultare irrispettosa verso quel compagno che aveva sopportato in silenzio le mie lacrime notturne. Esse si riaffacciano ai miei occhi quando questi ultimi si posano sulla scrivania. L’ordine che vi regna è frutto di una sistemazione ordinata che solo mamma è in grado di svolgere. Solo pochi libri erano stati dimenticati su quel ripiano, impazienti di occupare nuovamente le loro postazioni, probabilmente ignorate dalla padrona di casa. Li apro incuriosita e in essi trovo alcuni disegni, sfogo della mia frustrata adolescenza; il sorriso malizioso di Elvis e quello sensuale di Paul.
Riconosco la mia bravura con un gemito d’approvazione e apro un altro volume, un atlante al cui interno si trova una vecchia foto. Vecchia come il rancore che provo per colui che vi è ritratto.
“-Ehi piccola, non ti va un ballo?-
-Mi sono scatenata abbastanza questa sera. E poi devo tornare a casa se non voglio che i miei vengano a scoprire che il loro tesorino non è a fare la nanna.-
Aspiro l’ennesima boccata profonda dalla sigaretta che Alex mi tende annoiato. Il suo sguardo si sofferma sui miei capelli, illuminati dalle luci della discoteca. Scosta una ciocca dalla fronte sistemandola dietro l’orecchio. Un premura infantile, in contrasto con i lineamenti marcati del suo viso. La sua mascella naturalmente atteggiata ad una posa arrogante accoglie un sorriso intrigante del quale mi sono infatuata da qualche mese. Un periodo sufficiente a convincere il mio animo illuso del mio amore per lui.
Alex non permette al fumo di scivolare dalle mie labbra per accoglierle in un bacio passionale. Gli accarezzo maliziosamente il petto per poi concentrarmi sui suoi grandi occhi smeraldini, la caratteristica che mi ha attratta in lui. Ogni qualvolta vengo sorpresa da quello sguardo penetrante mi stupisco di paragonarlo a quello di Paul, l’oggetto di un desiderio impossibile da soddisfare.
-Ti accompagno a casa.-
Con quelle parole Alex mi conduce nel cortile della discoteca, dove raggiungiamo in fretta la sua moto.
Le case popolari di Liverpool sfrecciano accanto a noi sempre più lentamente.
Alex rallenta di fonte alla mia abitazione, permettendomi di scendere.
Mi attira a lui, ansioso di avere un altro bacio. Nasconde il viso nel mio collo quando il rombo di un auto poco lontana mi consiglia di rientrare in casa. Saluto Alex frettolosamente, raggiungendo il retro della casa dove i fari dell’auto in avvicinamento non potranno illuminarmi.
Tento di ristabilire il mio battito cardiaco con una carezza rilassata al petto che continua a sobbalzare.
Una macchina sconosciuta percorre il mio vialetto prima di fermarsi. I fari rimangono accesi e il loro bagliore mi permette di intravedere gli individui all’interno dell’abitacolo.
Una giovane donna libera il volante dalle proprie mani che si posano sul collo di uomo seduto al suo fianco. Le sue labbra avvolgono quelle del compagno, mentre quest’ultimo tenta di divincolarsi, indicando con un preoccupato cenno del capo la mia casa. La donna assume un’espressione delusa che l’uomo tenta di cancellare dal suo viso con un bacio fugace.
La portiera del passeggero si apre e le scarpe eleganti del signore calpestano l’acciottolato, dirette verso il portone dal quale mi allontano maggiormente.
L’auto parte silenziosa come le chiavi di mio padre che ruotano lentamente nella toppa.”
-Il the è pronto, cara. Che stai facendo?-
La voce di mia madre mi riscuote dal quel ricordo, scacciando i miei pensieri con il suo tono dolce.
La sua mano sfiora la mia che ancora impugna la fotografia, nella quale mio padre sorride divertito. Quell’atlante ha salvato una delle poche immagini di lui che non io non abbia distrutto. Vorrei farlo ora ma non ritengo la rabbia un comportament0 maturo. Sarebbe certamente più responsabile allontanare mia madre da quella fotografia, sorseggiare lentamente quel the che ha preparato con tanto amore e parlarle del motivo della mia visita.
Ma ormai la sua mente è impegnata ad accogliere le mie stesse memorie, senza la possibilità di rinnegarle.
“è inutile.
Neppure la sua voce riesce a distrarmi dall’eco indistinta delle grida di mio padre, che ancora aleggia fra le mura della mia casa.
Lacrime rabbiose sfociano dai miei occhi chiusi mentre la mia voce roca tenta di articolare i suoni di una canzone. Il fascino di Michelle si disperde attorno a me mentre le sue note scivolano dalle mie labbra screpolate.
Non riesco a credere che abbia avuto il coraggio di fare una cosa simile.
Il coraggio di urlare contro mia madre, di accusarla ingiustamente di un amore terminato da tempo; il coraggio di esprimerle il suo disprezzo, il disgusto di una vita che non lo soddisfa più.
Il ricordo delle grida di quell’uomo che non riesco più a considerare padre viene sostituito dai singhiozzi concreti di mia madre che libera il suo pianto contro il muro del bagno, sul quale è riversa.
Quel mostro ha avuto la forza di criticare anche quel corpo ora rannicchiato in posizione fetale, considerandolo indesiderabile rispetto a quello della giovane donna che da tempo frequenta.
La stessa che quella sera, al rientro dalla discoteca a me proibita, ho notato su quell’auto accanto a mio padre.
Al pensiero del viso di quella sgualdrina mi alzo rabbiosamente dal letto, distruggendo con veemenza le foto che mi ritraevano assieme al mio eroe infantile che dopo anni ha mostrato il suo volto sotto la maschera.
La carta strappata mi lacera le dita e l’anima, ormai erosa dalla furia del dolore.
Mi porto le mani al capo. I capelli deboli quanto me, cadono lungo le braccia e aderiscono al mio volto rigato dalle lacrime.
Domande frustrate interrompono i miei singhiozzi, destinate a rimanere prive di una risposta.”
Mi madre sospira, una mano intenta ad accarezzare il suo collo, pensosa. Curva le labbra verso l’interno, come a volerle nascondere alla mia vista o forse con lo scopo di trattenere la rabbia che ancora cova verso quell’uomo che ha abbandonato una famiglia, penalizzandone in modo irreversibile l’economia.
Ma il suo volto si distende, la mascella si rilassa così come le mani che chiudono in modo deciso l’atlante.
I suoi occhi lucidi riacquistano immantinente la loro naturale vivacità, che riconosco anche nella sua voce.
-Il the si raffredda. Devi ancora raccontarmi il motivo del tuo ritorno a Liverpool, tesoro.-
Mi circonda le spalle con le braccia forti, sulle quali aveva sorretto eroicamente i rimasugli della nostra famiglia negli ultimi anni.
Arruffo la sua chioma disordinata ironizzando sui ricci che stanno biancheggiando; segno evidente di un inverno prematuro che sorprende una donna che non ha conosciuto primavera.
Chiude la porta della mia camera con un sospiro soddisfatto, imprigionandovi i ricordi, almeno per qualche ora.
Angolo autrice:
Ed ecco un altro capitolo dedicato a Bri e al suo triste passato. Spero di aver fatto un buon lavoro con i flshback, che temo ancora di gestire poco bene.
Ringrazio ancora tutti i miei recensori e i lettori silenziosi che mi fa sempre piacere avere ;)
Un bacio a tutte
Peace&Love
Giulia
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Capitolo 9 *** Incontri ***
Ciao ragazze!
Dopo essere uscita vincitrice da una sequenza ininterrotta di compiti in classe –non ancora destinati a finire- sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Fra un pomeriggio di studio e i viaggi in treno ho tentato di figurarmi al meglio il fatidico incontro fra Paul e Brianna, descritto in questo capitolo… spero davvero di non deludervi…
Prima di cominciare mi sento in dovere di ringraziare immensamente la gentilissima Swaying_Daisies che è stata così disponibile nel consigliarmi la scelta della canzone. Sei la mia salvezza! :P
Ecco il link youtube della meravigliosa "I want to tell you":
http://www.youtube.com/watch?v=-Y9W8tgXKQU
Infine un abbraccio tenero e affettuosissimo alla mia Nikotvd; grazie per sopportare sempre i miei discorsi noiosi su questi capitoli… ti adoro!
Non vi tedierò oltre ;) Buon ascolto e buona lettura!
Londra Aprile 1981
Il calore afoso che aleggia in questa stanza asettica avvolge il mio corpo, costringendo il mio respiro faticoso ad un affanno di gran lunga maggiore. Tento inutilmente di ammansire il mio cuore frenetico con una lieve carezza. Ritiro rapidamente le mani dal petto, vergognandomi dell'umile camicia che lo ricopre. Lascio scivolare le dita sul tessuto, morbido e setoso come i miei capelli che ricadono sulle spalle. Rivolgo uno stentato sorriso di gratitudine alla spazzola, autrice di quell'ordine inusualeche governa la mia chioma solitamente ribelle.
L'ennesimo sospiro solca le mie labbra screpolate, aggredendo lo specchio già reso opaco da un pesante strato di polvere. I granelli che raccolgo accuratamente mi osservano silenti dai miei polpastrelli, in attesa di considerazione da parte di una governante forse troppo spossata per adempiere accuratamente ai propri doveri. Essi non implicano soltanto la pulizia di quella modesta stanza di motel, la quale necessiterebbe di un'accurata sistemazione della mobilia disordinata che lascia intendere uno stato di progressivo degrado.
Ignoro il calore fastidioso che impregna le mura pallide rallegrate solo da una vecchia carta da parati. Mi accontento di quell'abitazione provvisoria e poco dispendiosa a poca distanza dalla villa di Paul. Osservo le lenzuola scolorite del letto, come il volto di mia madre al momento della scoperta del motivo della mia presenza in Inghilterra.
"-Dici sul serio, Bri?-
Mia madre distoglie l’attenzione dal servizio da the in ceramica che ha accuratamente adagiato sul tavolo in legno, discretamente coperto da una tovaglia candida. Ne ammiro i fregi, delineandone il contorno con il pollice e scrutando la reazione di mia madre con una serie di rapide occhiate. Esse incontrano il volto di quella giovane donna, improvvisamente popolato da rughe straniere che le increspano gli angoli degli occhi. Questi ultimi si restringono, le ciglia frementi sulle guance tese. Deglutisce rumorosamente, passandosi una mano sul collo, per poi lasciare scivolare le dita su quel maglione che aveva spesso accolto le carezze di mio padre. La notizia del mio prossimo incontro con Paul rammenta a mia madre l’immagine odiosa di quell’uomo, l’amante de rock e l’artefice di quel passato doloroso che ancora brucia sulla pelle della mia mamma.
Cerco il suo polso con la mano tremante dall'emozione e dalla preoccupazione. Tento invano di attenuare i brividi che percorrono la sua pelle. Le lacrime le arrossano gli occhi scuri, le melodie di McCartney intonate dalla voce melodiosa di mio padre ancora vivide nella mente. Tenta di scacciarle con un cenno infastidito del capo e una frase arrochita nella quale percepisco la forza del suo animo solitamente fragile.
-è fantastico, tesoro. So perfettamente quanto sia importante ed emozionante per te questo incarico e quanto alacre sarà il tuo impegno nel portarlo a termine. Farai un ottimo lavoro, amore mio, ne sono certa.-
Le sorrido, intenzionata a sostenere quel suo spirito coraggioso che spesso lascia il posto alla furia silente della depressione.
Rilassa le spalle e mi porta la mano al viso sistemandomi accuratamente gli occhiali alla base del naso con la lieve pressione dell'indice che scivola sulle mie labbra. Lo bacio istintivamente.
Mia madre osserva con circospezione il mio bagaglio che ancora indugia nell'ingresso, corrugando la fronte.
-Mi fa piacere sapere che, durante il periodo dell'intervista, alloggerai da me. Credo però che la distanza da Liverpool a Londra sia piuttosto faticosa per te...-
-Riguardo ciò, ho pensato di affittare una stanza in un motel londinese, dove trascorrere la settimana. Ho intenzione di abbandonare la capitale durante il week end, che trascorrerò con te. Che ne pensi?-
Risponde al mio sguardo complice con un sorriso radioso che dona un po' di serenità al suo viso tormentato.
Analizza con cura gli arabeschi che rallegrano la bianca porcellana della tazzina di fronte a lei e solo dopo alcuni istanti alza gli occhi verso i miei.
-Penso che sia un'idea meravigliosa.-"
Le nubi scure che avvolgono il cielo londinese mi trasmettono efficacemente la loro minaccia di maltempo, espressa talvolta con qualche goccia di pioggia piuttosto convincente. Sistemo accuratamente la tesa del capello scuro sugli occhi, tentando di distinguere i movimenti dei passanti che mi circondano, attraverso le lenti umide degli occhiali.
"I want to tell you
My head is filled with things to say..."
Abbasso lo sguardo sul marciapiede, sperando di trovare in esso un compagno con il quale condividere la mia agitazione. Essa si propaga nel mio corpo, influenzando i miei pensieri, improvvisamente irrazionali.
"All those words they seem to slip away..."
Qualunque proposito riguardo la formulazione più adatta del mio primo approccio con Paul comincia a farsi confuso. Le parole vagano nella mia mente, alla furiosa ricerca di una frase logica alla quale accorparsi, senza successo.
Cerco rifugio nel contatto inospitale con il tessuto della mia borsa, che sobbalza contro il fianco, dove sono accuratamente riposti i miei strumenti lavorativi. Una volta giunta di fronte alla villa di Paul chiudo gli occhi, domando il tremore convulso delle mie membra e mordendo il labbro inferiore. Quest'ultimo freme impaziente contro il suo compagno mentre la mia mano scivola sul portone. Ne accarezzo i fregi delicati e accosto per un istante l'orecchio all'uscio, speranzosa di percepire uno sprazzo della quotidianità di quel maestoso artista attraverso i suoni. Rinuncio a quel patetico tentativo. Chiudo gli occhi, assumo una postura eretta e professionale, indosso il sorriso migliore e busso a quella porta tanto agognata per anni.
_______
La canzone sussurrata appena da Linda in cucina viene bruscamente interrotta da alcuni colpi lievi alla porta. Essi vibrano tenui lungo il corridoio giungendo alle mie orecchie ancora impegnate ad ascoltare la voce armoniosa di mia moglie.
Il gemito infastidito di James viene soffocato dalla carezza affettuosa di Mary. La bambina abbandona la posa rilassata che ha assunto sulla poltrona per dirigersi all’ingresso, accompagnata da un sospiro annoiato. La raggiungo ed interrompo i suoi passi strascicati con un tocco leggero ma deciso sulle sue spalle esili. Conosco la mia ospite e sono interessato a riceverla personalmente.
Ruoto il pomello della porta, abbozzando un sorriso alla vista dell’espressione sollevata di Mary che si allontana progressivamente da me.
Una volta scostato l’uscio scorgo una figura femminile che si staglia contro il cielo grigio di Londra.
Le lacrime umide delle nuvole scivolano ad intervalli regolari sul lungo cappotto immacolato di Brianna Richards, profanandone il candore.
Tale biancore si ripropone sul volto ovale della ragazza i cui lineamenti delicati racchiudono la sua estrema giovinezza. Essa traspare dal rossore imbarazzato che, dalle gote piene, si espande sul collo teso. Esso viene sfiorato da un insolito vento freddo. Quelle raffiche inospitali conducono i suoi capelli corvini in una danza frenetica che sembra coinvolgere anche le labbra screpolate, scosse da un tremore agitato. Esse si schiudono rapidamente, imitate dagli occhi castani che mi osservano colmi di un'emozione troppo prepotente per essere celata dalle lenti di un paio di stravaganti occhiali. La tesa del cappello scuro adombra la fronte liscia della ragazza, increspata da quelle rughe di preoccupazione che ho riscontrato soltanto negli adulti dal vissuto tempestoso.
Lascia scorrere le mani perlacee alla tracolla della borsa probabilmente pesante che grava sulla sua spalla.
"I want to tell you
I feel hung up and I don't know why..."
Il sorriso timido che mi rivolge è così diverso dalla smorfia di dolore che ha deformato la sua bocca carnosa alla vista dell'immagine di John riverso a terra. Quel ricordo si riaffaccia prepotentemente alla mia mente assieme ai sentimenti frustrati di cui è foriero.
Lo scaccio con un impercettibile cenno del capo che Brianna pare non riuscire a cogliere, ancora incantata dal mio personaggio che affascina quotidianimente i londinesi con i quali condivido la patria.
Mi passo una mano sul collo e le sorrido incoraggiante. Brianna tenta inutilmente di formulare una risposta degna di quello che per lei è probabilmente un idolo. La sua evidente ammirazione nei miei confronti mi imbarazza, costringendomi ad attendere una sua reazione; ora il palco non mi scherma da uno dei tanti sguardi emozionati che fatico a sostenere una volta riposto il basso in camerino.
"I don't mind
I could wait forever, I've got time..."
Osservo il suo pudico silenzio, così diverso dall'egocentrismo ostentato con cui molti ragazzi mi esprimono la propria stima.
Sostengo il suo sguardo, nessuna traccia del disagio temporaneo che mi ha turbato
E mi rassicuro nuovamente riguardo l'ottima scelta del giornalista che porterà a termine la mia intervista.
__________
"Sometimes I wish I knew you well
Then I could speak my mind and tell..."
L'ennessimo sospiro incredulo vibra nel mio petto tremante che non avverte più le raffiche gelate del vento e neppure le invadenti gocce di pioggia che porta con se. Solo una sensazione appagata che percorre ogni recesso del corpo per raggiungere la mente e impedirle ogni ragionamento razionale. La logica si dimostra indifferente a quelle frasi che tento pateticamente di comporre.
La corsa delle parole viene interrota alla soglia delle labbra, timorose di rivelare la mia voce al cospetto di quegli occhi verdi che per anni mi hanno osservata dagli album musicali senza vedermi realmente. Ora guizzano interessati sul mio volto impedendo qualunque movimento ai miei muscoli intirizziti.
"Maybe you'd understand..."
-Io...io... sì, insomma, io... io sono Brianna Richards e... sono... una giornalista americana... no, non esattamente americana ma... ecco... il direttore della Stampa per cui lavoro mi ha informata della... della sua... della sua telefonata in redazione signor... signor McCartney...io...-
Le sue labbra disegnate trattengono un sorriso divertito dalla mia ingenuità, che tento disperatamente di nascondere, abbassando gli occhi e concentrandomi precariamente sui gradini che portano all'ingresso della villa. Stringo i pugni lungo i fianchi, sperando con quel gesto di convincere l'imbarazzo ad abbandonarmi.
Una mano grande e calorosa avvolge la mia, distendendo le dita. Alzo istintivamente lo sguardo, incontrando i capelli lunghi di Paul che ricadono elegantemente sulle sue spalle mentre abbassa il capo, portandosi il mio palmo alla bocca. Sfiora la mia pelle con le labbra, in quel bacio che ha riservato solo a quelle personalità femminili a cui la sua carriera lo ha avvicinato nel corso degli anni.
"I want to tell you..."
Mi guarda dal basso, le ciglia lunghe curve e femminee si posano rapidamente sulle guance, accompagnate dalla sua voce raffinata.
-Sì, Brianna Richards, so chi sei. Ho parlato molto di te con il tuo direttore ma probabilmente hai bisogno di maggiori chiarimenti riguardo il tuo nuovo incarico. Spero di essere in grado di offrirteli, magari di fronte a una buona tazza di the. Che ne dici?-
Mi mostra l'ingresso della casa, invitandomi a seguirlo al suo interno. Acconsento, accompagnata dal profumo dei mobili e della sua acqua di colonia.
Angolo autrice:
Vi prego di perdonare questo ritardo allucinante ma mi sono ridotta a scrivere questo capitolo quando capitava: sul treno, durante un'interrogazione o uno spicchio di libertà serale prima del sonno. Ho accorpato i vari appunti ed è nato questo capitolo. Spero vi sia piaciuto, mi sono impegnata moltissimo! ;)
Grazie a tutti i miei lettori, siete meravigliosi!
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 10 *** Chiamami Paul ***
Ciao
ragazze!!!
Sono
tornata con un capitolo piuttosto corto e un po’ povero di
notizie rilevanti,
ma che spero utile per delineare più chiaramente il rapporto
nascente fra Bri e
Paul. L’intervista comincerà solo nel prossimo
capitolo, quando si entrerà nel
vivo del nostro racconto.
Come
noterete, anche per questo capitolo, ho deciso di non inserire le frasi
della
canzone che potrebbero intralciare i numerosi dialoghi che ho
disseminato nella
narrazione.
Ringrazio
sempre immensamente chi legge e chi ha voglia di recensire e in
particolare la
mia Nikotvd… la mia sostenitrice personale nelle
interrogazioni e nella stesura
dei capitoli. Ti voglio bene, cucciola!
Buona
lettura!
Londra
Aprile 1981
I
miei occhi si soffermano su ogni anfratto della ricca abitazione, con
la
spasmodica intenzione di cogliere le minime sfumature della
quotidianità
vissuta da
quell’uomo che segretamente
amo dall’infanzia. Il mio sguardo sfiora pudicamente il legno
scuro che
conferisce a quella libreria un aspetto elegante e piuttosto riservato,
simile
alle pose assunte dalle bambine di Paul sul divano del salotto.
Esso
risulta alquanto spazioso, inondato
dal tiepido sole pomeridiano, le cui richieste insistenti alle nuvole
per
mostrarsi sono state esaudite dopo numerosi tentennamenti.
Le
ombre dei mobili abbracciano
calorosamente quei raggi pallidi che, come me, avanzano lentamente nel
salotto.
I
miei passi accarezzano attutiti il
tappeto con la stessa riverenza che caratterizza le numerose occhiate
interessate che rivolgo all’arredamento.
Non
vi è traccia del disordine quotidiano
prodotto da una famiglia indaffarata; al contrario percepisco la cura e
la
dedizione con cui ogni oggetto è stato riposto dai
proprietari nelle apposite
postazioni.
Persino
i fogli che occupano il
pianoforte, arricchiti di parole e appunti musicali, risultano impilati
diligentemente. Tale ordine maniacale si ripropone sui divani, le cui
pieghe naturali
del tessuto sono state lisciate da una mano paziente. Probabilmente
quella
affusolata e nervosa di Linda, che stringo debolmente.
La
mia attenzione è riservata ai suoi
occhi scuri e allegri, circondati da alcune rughe precoci che il
sorriso esteso
sulle sue labbra intesse lungo le tempie.
Linda
inclina il capo, permettendo ai
capelli di frusciare contro la sua guancia, dorandone la pelle.
-
è davvero un piacere conoscerti,
Brianna Richards. Paul mi ha parlato spesso di te e del modo in
cui…- sospira,
passandosi una mano sul collo e ritirando le labbra -…Del
modo in cui ti ha
conosciuta. Non avrei creduto che una sensibilità tale
potesse influenzare l’animo
solitamente impetuoso di una ragazza così giovane, di pochi
anni più grande
della nostra Heather.-
La
donna si volta verso la ragazza che
rigira la sua tazzina da the fra le mani, osservandone con inesistente
curiosità i fregi e lasciando vagare lo sguardo sulla mia
borsa. Accarezzo la
tracolla con le dita prima di cercare i suoi occhi con i miei. Il suo
sorriso
abbozzato non mostra la dentatura così come i lunghi capelli
biondi, che celano
numerosi lineamenti del volto. L’adolescenza si artiglia a
quel corpo di donna
attraverso abiti sgargianti, impedendo alla maturità di fare
breccia in quella
personalità forse ancora puerile. Heather approva con un
cenno del capo il mio
abbigliamento, soffermandosi sulle mie calze scure che risaltano in
contrasto
con il candore della camicia. Ricambio il sorriso con un sospiro
ansioso che
Stella coglie facilmente.
Corruga la fronte liscia
sulla quale alcune
ciocche disegnano
morbidi arabeschi
chiari. Non comprende appieno la mia naturale agitazione durante il mio
primo
incontro con quell’uomo che per lei è solo un
papà affettuoso e presente. La
rassicuro con un sorriso stentato che Stella ripropone sulle labbra
carnose,
simili a quelle di Mary. Esse si schiudono in una posa concentrata
mentre culla
James sulle ginocchia dopo aver abbandonato la sua tazza da the sul
tavolino
del soggiorno. Gli occhi grandi del bambino assumono
un’espressione malinconica
che caratterizza anche quelli del padre, ai quali assomigliano
notevolmente.
Lascio
vagare le dita sui bottoni ruvidi
della mia camicia, invidiando per un istante il mio cappotto che mi
osserva
dall’appendiabiti. Le emozioni non sconvolgono la su forma
inerte, impedendo
così all’imbarazzo di profanare il candore del suo
tessuto con lo stesso
rossore insistente che sento assalire le mie guance. Raccolgo i capelli
dietro
le orecchie percependo con le dita il calore diffuso sulla mia pelle
che Paul
osserva affatto, ancora interessato all’ultimo sorso di the
che scorre sulla
parete della tazza. Inarca le sopracciglia un po’ deluso
della precarietà di
quel caldo piacere che sembra solito concedersi.
Mi
osserva con un’espressione
incoraggiante che mi costringe a distogliere gli occhi dai suoi e a
formulare
una risposta al commento precedente di Linda. Sfoglio rapidamente il
vocabolario in mio possesso e ne estrapolo i termini che maggiormente
considero
adeguati alla situazione.
-Io…
ho reagito istintivamente. Non sarei
mai riuscita ad imporre il mio lavoro al corpo di un uomo morente. Ho
creduto…
che quelle foto desiderassero immortalare freddamente un uomo che
avrebbe
meritato maggior calore in un momento simile… Ho voluto
porgere il mio rispetto
ad un grande artista anche se… ciò ha avuto una
notevole ripercussione sulla
mia carriera…-
-Di
che genere?- domanda Linda,
scrutandomi con attenzione oltre il bordo della tazza che si
è portata alle
labbra.
Le
parole sfuggono al timore reverenziale
che le ha trattenute fino a quel momento, incitate dai volti
interessati dei
miei ascoltatori.
-Il
mio direttore non ha apprezzato il
mio gesto, che non è mai stato condiviso dai miei colleghi,
la cui umanità
sembra soffocata dall’impellenza di un lavoro insensibile.
Io… non ho mai voluto
essere così, forse non ci sarei mai riuscita… ho
accettato la riduzione della
mia paga… la mia giovane età non mi permette
molte repliche…-
Sorrido
amaramente, congiungendo le mani
in grembo, il disagio nuovamente padrone di me con la stessa
autorità
silenziosa con cui il silenzio si impone nel salotto. La voce scandita
di
Heather così simile a quella della madre colma la stanza:
-è
stato davvero bello ciò che hai fatto,
davvero. Insomma, io avrei offerto la priorità ad un lavoro
precario come
quello del reporter giornalistico e piuttosto che al rispetto verso un
uomo che
non ho mai realmente conosciuto.-
Annuisco
energicamente prima di ribattere
debolmente.
-Credo…
insomma, credo che ogni essere
umano meriti il dovuto rispetto al momento della morte. E
poi… hai ragione, non
ho mai conosciuto John Lennon ma le sue canzoni conoscevano me e mi
hanno
supportato nei periodi neri della mia vita e… non trovi che
ciò sia più
importante di un semplice lavoro mal retribuito?-
Sorride
all’ironia con cui ho tinto le
mie ultime parole e approva con un cenno del capo le mie parole. La sua
espressione soddisfatta si riversa sul volto di Paul che mi osserva
incuriosito.
-Devo
ammettere che non avrei potuto
trovare un giornalista migliore per la realizzazione del mio
progetto…-
-Mi
dispiace deluderla signore ma temo di
non riuscire a svolgere con l’accuratezza desiderata il
lavoro che mi ha dato l’onore
di compiere in quanto non giovo affatto di esperienza a causa dei pochi
mesi
trascorsi in redazione. Le uniche qualità che possiedo sono
la sensibilità e la
passione per il giornalismo.-
-Saranno
certamente sufficienti. Non
intendo trasmettere la storia di John attraverso le parole studiate e
complesse
di un vecchio giornalista, bensì con la freschezza di un
animo giovane umano
che comprenda appieno la persona di John. Non ti chiedo altro se non
esprimere
con naturalezza la
quotidianità di un
grande artista e di chiamarmi semplicemente Paul- rimango incantata dal
suo
sorriso sinceramente divertito che contagia la mia espressione inquieta.
Attendo
qualche istante in cui Linda
recupera il servizio da the e si dirige in cucina non prima di aver
baciato il
capino di James che il bimbo scuote insistentemente per nulla
interessato alle
carezze di Mary sul suo petto.
Mi
porto la borsa al petto e sussurro
timidamente, per timore di interrompere quel silente idillio famigliare.
-Quando…
quando… possiamo cominciare?
Paul
strofina le mani prima sui braccioli
della poltrona e poi sui pantaloni scuri.
-Anche
subito se preferisci.-
Si
ala e mi tende la mano con un cenno
del capo.
-Ti
mostro il mio studio, un luogo
privato dove desidererei svolgere l’intervista. Se vuoi
seguirmi.-
Accetto
trepidante quell’invito e mi
avvicino alla sua schiena percependo il suono piacevole prodotto dal
suo
respiro che colma a intervalli regolari la camicia.
Angolo
autrice:
Ok,
è un capitolo piuttosto pietoso e vi
prego di perdonarmi ma non sono riuscita a fare di meglio…
spero possiate
perdonarmi… abbiate pietà nelle recensioni,
pleeeeeease xD
Vi
assicuro che i prossimi saranno più
soddisfacenti sia come trama che come stile narrativo ;)
Grazie
mille ancora a tutti!
Peace&Love
Giulia
PS: I love you :3
|
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Capitolo 11 *** Lacrime ribelli ***
Ciao
ragazze!
Ed
ecco finalmente il capitolo dedicato
alla prima parte dell’intervista che riguarderà i
pensieri del giovanissimo
Paul nei confronti di un John che ancora non conosceva.
Ho
deciso di strutturare l’intervista in
flashback, narrati in prima persona da Paul, interrotti a volte dalle
domande
di Bri.
Spero
che possa piacervi.
Come
sempre ringrazio tutte le mie
fantastiche lettrici, veterane ed acquisite; vi adoro!
Londra Aprile
1981
Il
respiro del vento satura l’aria con
una brezza piacevole che sfiora le tende. Il tessuto raffinato lambisce
il
pavimento e tende i suoi drappeggi alla scrivania in legno che
campeggia nella
stanza. Sopra il ripiano alcuni fogli sui quali una matita è
stata agitata
scompostamente nel tentativo imprimere la carta di un’idea
improvvisa.
Riconosco senza difficoltà la scrittura spigolosa e maschile
dell’uomo che mi
precede a grandi passi nella camera, raggiungendo due sedie appena
scostate dl
tavolo che osservano disinteressate i muri. Il colore pallido della
carta da
parati da cui sono avvolti è timidamente celato da alcune
foto incorniciate che
ritraevano quattro ragazzi dai capelli folti e il sorriso divertito. La
serenità nei loro volti pare causata dalla vista di una
libreria colma di
volumi che affianca la grande finestra.
Mi
avvicino istintivamente agli scaffali
per assaporare con le dita la ruvidezza di quei tomi rilegati. Il mio
polpastrello
ne saggia i dorsi con la stessa ponderatezza con cui le mie labbra
articolano
quei titoli riguardanti la musica e la letteratura. Faccio leva su uno
dei
ripiani per osservare meglio quella svariata collezione mentre Paul
tenta di
ordinare i suoi appunti in un plico che ripone in un cassetto alla base
della
libreria. Le mie dita si ritraggono soprese al contatto con una fredda
cornice.
In essa è racchiuso un sorriso appena accennato che deforma
una bocca sottile;
quella bocca attraverso la quale hanno viaggiato per molti anni parole
d’amore.
Sentimento che in quel ritratto antico colora gli occhi di un
giovanissimo Paul
che circonda le spalle dell’amico con un braccio che ricade
distrattamente sul
petto di John. Deglutisco evidentemente, tentando invano di ignorare il
brivido
freddo che percorre la mia schiena, scuotendola. La vitalità
di quegli bruni
pare impossibile da scalfire nella foto di quel grande uomo la cui vita
è stata
interrotta così bruscamente. L’espressione
maliziosa di quel giovane John
Lennon è così diversa da quella sofferente che
dalla notte dell’8 Dicembre 1980
tormenta i miei sonni. Appoggio una mano al petto, nel tentativo di
placare un
singhiozzo che dal mio cuore devastato risale rapidamente la gola ma
esso colma
ugualmente il silenzio con un suono irritante che viene accolto da Paul
con un
sorriso malinconico.
-Era
bellissimo, vero?-
Mi
volto repentinamente e raccolgo alcune
ciocche dei miei capelli oltre l’orecchio e annuisco
debolmente.
-Non
è facile dimenticare un sorriso
simile…- trattengo una lacrima, mordendo energicamente il
labbro inferiore.
Paul
osserva quel ritratto di gioventù
sul quale mi sono soffermata, gli occhi che guizzano distrattamente sui
lineamenti di John, la mente palesemente più interessata ai
ricordi che alla
realtà che lo circonda e che sembra aver perso di
importanza. Abbasso il capo,
come imbarazzata della mia inutile presenza in quel personale incontro
in cui
il passato si rivela prepotentemente a Paul. Il mio disagio si dissolve
alle
parole roche del bassista che scorrono a fatica sulle sue labbra
morbide.
-Affatto.
Ricordo… ricordo ancora il
primo giorno che lo incontrai. Sembrava così impavido ed
adulto e… ma è una storia
talmente remota e priva di risvolti notevoli che non avrai interesse ad
ascoltare…-
Sfilo
la tracolla dal capo e recupero a
fatica il dittafono, la matita e il block notes. Prendo posto su una
delle due
sedie abbastanza lontana dalla foto per scansare la malinconia ma
abbastanza
vicina per cogliere le espressioni mutevoli di Paul.
-Ti
ascolto.- esclamo, premendo il
pulsante di avvio al registratore audio.
Curva
le sopracciglia in un posa
piacevolmente sorpresa. Distolgo mio malgrado l’attenzione
dai suoi lucenti occhi
smeraldini per rivolgerla alle sue parole che colmano titubanti il
silenzio
dello studio con la loro naturale melodia.
_______
“La
pioggia sottile inumidisce le mie guance rosee che tento di
proteggere con il bavero del cappotto. Esso infastidisce la mia pelle
delicata,
ristorata da una di quelle camicie primaverili che la mia mamma ha
sempre amato
acquistare. Posseggo una collezione di quegli indumenti, la cui stoffa
lascio
spesso frusciare fra le dita, illudendomi di carezzare la chioma di mia
madre.
Abbasso il capo mentre avanzo verso le vie di Liverpool, immergendo il
naso
nell’apertura del cappotto sul collo con l’intento
di cogliere il profumo della
mia mamma che ancora impregna quella camicia.
Lascio
scivolare le mani nelle tasche forse troppo profonde di quel
cappotto la cui notevole lunghezza on pare adatta al mio corpo ancora
esile.
Alzo nuovamente il volto e le mie narici si restringono offese
dall’asprezza
degli odori che popolano le strade cittadine.
Svolto
in una vita laterale che conduce alla mia casa poco lontana. Assaporo anticipatamente il calore
familiare che mi
avvolgerà, con il quale papà tenta di sopperire
alla mancanza dell’affetto
materno. I miei pensieri vengono interrotti da una risata sarcastica.
-Dai,
tesoro, resta ancora un po’…-
Un
ragazzo piuttosto alto, dai capelli scuri e folti circonda la vita
di una ragazza giovane e snella, la cui chioma fulva avvolge un volto
delizioso. Le labbra della fanciulla avvolgono passionali quelle di
John, la
cui personalità egocentrica ed arrogante sembra risultare
un’attrattiva
irrinunciabile per le giovani studentesse.
Osservo
incuriosito i capelli di John, invidiandone la lucentezza
donata dal gel.
La
ragazza sussurra qualcosa di incomprensibile e una risata sommessa
scuote le spalle di John. Sospiro e tento di distogliere
l’attenzione dalla coppia
quando un richiamo interrompe la mia corsa verso casa.
-Ehi,
ciao McCartney!-
Nonostante
frequenti il college da poche settimane riconosco senza
difficoltà nel ragazzo che ho osservato poco prima con tanto
interesse il
padrone di quella voce acuta fortemente stimata da numerosi adolescenti
di
Liverpool.
Mi
volto lentamente ed incontro il suo sorriso traverso al quale le
sue labbra sottili paiono atteggiarsi naturalmente. Strizza
l’occhio verso di
me e ricambio il saluto con un lieve imbarazzo che celo oltre un coltre
di inesistente
maturità nella quale tento di nascondermi con un saluto.
-Ehi,
Lennon!-
Ricambio
il sorriso e riprendo il cammino soddisfatto.-“
-Questo
è il mio primo ricordo di John.
Avevo sentito parlare spesso di lui al college, di questo giovane
irresistibile, dall’animo ribelle e ambizioni irrealizzabili.
Ma quel giorno
uggioso lo incontrai per la prima volta e rimasi affascinato dal suo
sorriso,
cadendo preda di quella trappola di seduzione che il giovane Lennon
tendeva a
chiunque lo conoscesse. Era impossibile rimanere indifferente di fronte
a lui e
lo compresi molto presto.-
Pronuncio
queste ultime parole perso nell’osservazione
delle mani di Brianna che scivolano rapide sul foglio creando parole
minuziose
che si infittiscono ordinatamente. Mi stupisco dell’utilizzo
del block notes,
strumento inutile a causa della presenza del registratore che coglie
ogni mia
riflessione. Solitamente solleva gli occhi e scruta la mia espressione
oltre la
montatura degli occhiali che scivolano sul nasino con la stessa
raffinatezza
con cui i suoi capelli neri frusciano lungo la spalla, lasciando
visibile parte
del collo perlaceo.
Brianna
osserva soddisfatta il suo
operato ed esclama:
-è
davvero impressionante il tuo ricordo
così vivido di quell’attimo. Cosa pensavi di
riconoscere in quel sorriso?-
-Arroganza.
Supremazia. Sfida. Certamente
non serenità e pacatezza. I pregiudizi dei ragazzi sono
sempre parecchio fantasiosi-
Annuisce
lentamente, soffermandosi a
lungo sulle mie parole, la penna sollevata sul foglio.
In
quell’istante odo il ticchettio attutito
di un paio di stivali lungo le scale e riconosco la figura di Heather
che si
dirige verso l’ingresso, attraverso la porta socchiusa.
-Perdonami.-
mi allontano da Brianna,
incuriosito dal cigolio della porta principale.
_______
-Dove
vai, signorina?-
Le
parole sarcastiche di Paul giungono
nitidamente dal corridoio che ha attraversato a grandi passi,
invitandomi a raggiungerlo.
Dimentico
il mio equipaggiamento sulla
scrivania e osservo il volto stupito di Heather dalla porta dello
studio.
La
ragazza sistema la borsa sulla spalla
e ritira le labbra, lievemente imbarazzata. Sostiene
l’espressione divertita
del patrigno con occhi orgogliosi, nei quali è riconoscibile un velo
d’ironia.
-Io…
questa sera Maggie organizzerà una
festa e… mi ha detto di aiutarla con i
preparativi…-
-E,
dimmi, andrai anche tu a questa…
festa?-
-Ovvio!-
-Non
sarà poi così ovvio mia cara se non
mi assicuri che sarai attenta e responsabile. Me lo prometti, piccola?-
-Promesso
Paul, ma ti prego non chiamarmi
piccola…-
Paul
sfiora con un bacio la fronte di
Heather, arruffandole i capelli con la mano causando un gemito
infastidito da
parte della ragazza.
Quella
scena così famigliare ed
affettuosa sfuma di fronte ai miei occhi a causa delle lacrime che si
impongono
violentemente. Esse scaturiscono dalla chiara consapevolezza della
mancanza
dell’affetto paterno che mi ha provato di quelle piacevoli
preoccupazioni che
non avrei mai rifiutato. L’invidia nei confronti di Heather
è spossante e
indesiderata; tento di scacciare con un cenno del capo quel malevolo
sentimento
che corrode ogni mio pensiero. Al contrario di Heather i miei
diciannove anni
sono stati celebrati con viaggi estenuanti alla ricerca di un lavoro
indispensabile al quale la mia giovane età sembrava
precludermi; quel ricordo
istiga le lacrime a una discesa copiosa lungo le mie guance.
No
riesco a trattenere quella tristezza
repressa e, tentando di nascondere il volto arrossato.
-Io…
io… devo… io devo andare. Ho… ho
dimenticato un impegno e non posso… non posso davvero
rimandare… mi… mi
dispiace…-
Ignoro
gli sguardi stupiti che avverto
perforanti sulla mia figura e mi allontano dalla villa McCartney senza
aggiungere
un chiarimento in più.
La
mia non è stata una menzogna.
Ho
un impegno davvero improrogabile.
Il
mio passato attende da troppo tempo di
essere affrontato e non posso evitare il mio incontro con lui.
Non
più ormai.
Angolo
autrice:
Ma
ciao tesori miei!
Riconosco
che il capitolo è piuttosto lungo ma volevo davvero inserire
tutte le mie
emozioni e ciò richiedeva spazio… :P
Spero
vi sia piaciuto, lascio a voi le riflessioni a riguardo :D
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 12 *** Thank you ***
Ciao carissime ed affezionate lettrici!
Finalmente la scuola sta terminando e con le lei anche tutti gli
svariati impegni che mi impedivano di dedicare il dovuto tempo a questa
mia storiella.
Vi ringrazio nuovamente, tutti quanti: vorrei stringervi in un grande
abbraccio virtuale per tutto il supporto che mi state dando.
Ma veniamo al capitolo: ho deciso di accompagnarlo con la canzone di
Kelly Clarkson “Beacause of you” che Nikotvd mi ha
fatta conoscere tempo fa durante un viaggio in treno. Ti adoro!
Ecco a voi il link:
http://www.youtube.com/watch?v=Ra-Om7UMSJc
Vi consiglio di guardare il video una volta terminata la lettura; oltre
ad essere bellissimo lo considero anche abbastanza inerente alle
tematiche trattate nel capitolo.
Non vi annoierò oltre
Baci e buona lettura!
Londra
Aprile 1981
Lascio scivolare le dita sul volto, costringendole ad abbondonare le
palpebre sulle quali le ho mantenute premute per molto tempo. Il lucore
del lampadario aggredisce violentemente i miei occhi stanchi che
cercano freneticamente un oggetto al quale rivolgere la propria
attenzione. Sfioro con lo sguardo il profilo di Linda, le cui curve
desidererei accarezzare, imprimendo in quel gesto lo stesso affetto con
cui questo pomeriggio ho baciato la fronte liscia di quella che ormai
considero una figlia.
Ricordo senza difficoltà l’espressione di Brianna
che ha seguito quella mia azione, percependo in essa una frustrazione a
me incomprensibile.
Sospiro profondamente, ravvivando i capelli con la mano e
concentrandomi sulla borsa dal tessuto scuro e fintamente pregiato che
la giovane giornalista ha dimenticato nel mio studio. Percorro con i
polpastrelli le cuciture intrecciate sulla tracolla, fino a poche ore
prima stretta spasmodicamente fra le mani nervose della sua
proprietaria.
La pressione lieve della mia mano pare sufficiente ad incitare il
contenuto della cartella ad una rapida fuoriuscita. I fogli tentano
spasmodicamente di adagiarsi sul legno della scrivania ma i meno
fortunati raggiungono il pavimento con una danza annoiata.
La sorpresa disegna sulle mie labbra un tenue sorriso che si distende
naturalmente sul volto nel momento in cui curvo la schiena per
recuperare i documenti. Tento di decifrare su di essi alcune parole,
scritte rapidamente da una mano femminile il cui tremore ha permesso la
realizzazione di una calligrafia incerta.
Inclino il capo, sillabando con incertezza quei vocaboli.
Riconosco l’indirizzo di un motel accanto alla mia villa, che
una matita dal tratto morbido ha evidenziato sulla carta.
Inumidisco le labbra screpolate con la punta della lingua, immaginando
l’espressione concentrata di Brianna Richards intenta ad
appuntare il nome di un modesto albergo londinese in cui alloggiare
durante il periodo del suo nuovo incarico.
Tamburello le dita sul legno della scrivania, scrutando discretamente
il pavimento dell’ingresso che quel pomeriggio ha ceduto con
numerosi scricchiolii ai passi concitati di Brianna.
Osservo distrattamente l’indirizzo, portando la mano al
mento, nel tentativo di sorreggere il mio viso che
l’espressione pensosa sembra appesantire.
Raggiungo il corridoio e recupero il trench
dall’appendiabiti.
I miei fianchi vengono accolti da un abbraccio protettivo e le mie
orecchie occupate dal piacevole suono della voce di Linda.
-Dove si reca a quest’ora tarda, Sir?-
Le sue labbra cercano il mio collo quando mi volto verso di lei,
mostrandole la borsa di Brianna che trattengo fra le mani.
-Devo fare una consegna, milady.-
________
Il volto spesso imbronciato del cielo inglese inumidisce con le sue
lacrime capricciose il vetro del motel, che subisce quel pianto
silenzioso con la stessa impassibilità co cui le mie guance
accolgono la mia frustrazione. Essa ha tempestato il mio viso,
donandole espressioni disperate che hanno infuriato per ore sui miei
lineamenti delicati. Ora quella tempesta di emozioni è
degradata alla dolce risacca del silenzio, che sfiora i miei capelli,
ancorati alla fronte sudata.
Sottopongo la stanza all’indagine disattenta dei miei occhi
opachi che faticano a sopportare il fioco chiarore
dell’abatjour. Le impronte dei miei pugni rabbiosi sul
cuscino ne profanano il candore.
Sospiro e raccolgo i capelli sul capo con un fermaglio mentre il bordo
della canottiera si arriccia sulla vita, permettendo a parte del ventre
di mostrare la propria immagine allo specchio. Alzo il capo verso
quest’ultimo e porto le mani alle labbra.
“I will not make the same mistakes that you did…
I will not let myself cause my heart so much
misery…”
Riconosco senza difficoltà nel mio volto riflesso quello di
mia madre, la cui giovinezza è stata prematuramente
sconvolta da un dolore sordo il cui ricordo flagella anche me. Rammento
le lacrime di mia madre che mi hanno bagnato le spalle, un balsamo che
ho sempre desiderato lavare dalla mia pelle. Nonostante il mio
desiderio quel pianto antico riaffiora prepotentemente nella mia mente,
riproponendosi sulle mie guance.
Passo la mano sugli occhi in un gesto nervoso, con il quale spero
ingenuamente di allontanare il dolore. I capelli sfuggono
all’acconciatura frettolosa nella quale ho tentato di
ordinarli e sfiorano il collo. Le ciocche ramate somigliano a quelle di
mia madre, che le sue lunghe dita sfilacciavano con movimenti rabbiosi.
Tale rancore imperversa nei miei occhi arrossati che, socchiusi,
tentano di concentrarsi sulla mia figura.
“I will not break the way you did…
You fell so hard…”
Scaccio prepotentemente l’immagine indebolita e pallida di
mia madre, che sto inconsapevolmente imitando.
“I’ve learned the way, to never let it get that
far…”
Inclino il collo, artigliando la spalla con le mani ossute
che anche questa sera non si sono impegnate nella preparazione della
cena.
Appoggio i palmi sulle gote quando avverto il rossore tingere la pelle.
La vergogna per la mia reazione avventata al ritorno dei ricordi al
cospetto di Paul McCartney infiamma le orecchie e il collo.
Inspiro profondamente, tentando di allontanare quell’immagine.
Il mio respiro crea una debole condensa sullo specchio, offuscando
quell’immagine già oscurata dal passato.
Un tenue bussare alla porta scuote la mia schiena fredda. Aggrotto le
sopracciglia confusa e dirigo i miei passi incerti verso
l’uscio.
Il contatto con il pomello crea un rapido brivido lungo il petto che
interrompe repentinamente la sua corsa quando riconosco il mio ospite
inatteso.
L’attenzione di Paul, fino a poco tempo prima rapita
dall’umile carta da parati che tentava di rallegrare il
corridoio del motel, si rivolge a me. I suoi occhi sono adombrati dalla
tesa del cappello, così come le sue mani, nascoste dalle
lunghe maniche del cappotto. Allarga le braccia, mostrando la borsa che
quel pomeriggio ho dimenticato alla sua villa, contagiando la mia
espressione triste con il suo sorriso sincero. Scuoto ripetutamente le
ciglia, socchiudendo le labbra con fare evidentemente sorpreso.
-Paul… io… io… non ti aspettavo,
io…- mi porto una mano alla tempia. -Come… come
hai fatto a sapere l’indirizzo del motel?-
Sorrido, incuriosita, rilassando dopo molto tempo le spalle. Una
sensazione piacevole mi avvolge, impedendomi di avvertire alcun
imbarazzo.
Toglie il cappello, rivelando la foltezza dei capelli ramati,
illuminati dalla luce pallida dei neon.
Ravviva la chioma con la mano e gonfia le guance d’aria, in
un’espressione ironicamente dubbiosa.
-Ho notato il tuo appunto a lato di uno delle tue cartelle e ho
ipotizzato fosse il motel scelto per il tuo alloggio. Sarebbe stato
scortese da parte mia non accertarmene e consegnarti la borsa.-
Osserva la mia figura, appoggiata allo stipite della porta,
soffermandosi sulla canotta aderente. La vergogna prende nuovamente
possesso di me e l’ormai familiare rossore si dipana lungo il
mio volto.
-Ho sbagliato momento? Sono stato inopportuno, mi dispiace…-
-No. Sei stato molto gentile a raggiungermi, ti ringrazio.-
Indietreggio per permettergli di entrare sperando che il disordine
della camera non sia così evidente. Recupero la borsa che mi
porge educatamente, riponendola ai piedi del letto.
Porto le mani alle tasche profonde dei pantaloni e tentando di reggere
il suo sguardo senza cedere alla timidezza.
-Voglio… voglio scusarmi con te e la tua famiglia per quello
che è accaduto questo pomeriggio. Io… non era mia
intenzione essere sgarbata.-
-Non preoccuparti. È capitato anche me di essere assalito
all’improvviso da un ricordo spiacevole… a volte
è impossibile evitare di soccombervi. Ho riconosciuto subito
l’espressione stravolta sul tuo viso… la stessa
che ho indossato anche io numerose volte ultimamente, quando il sorriso
di John visitava improvvisamente i miei pensieri. Hai reagito
naturalmente…-
-Io… non avrei voluto. Insomma, credevo che il tempo avesse
lenito ogni ferita, ma… il passato mi raggiunge sempre
troppo spesso e io…-
“Because of you…
I never stay too far from the sidewalk…”
Mi zittisco con un gesto stizzito della mano.
-Perdonami, non credo che la mia triste vita sia un interessante
argomento di conversazione…-
“ I cannot cry…
Because I know that’s weakness in your
eyes…”
Abbozzo un sorriso, mentre la mia dimostrazione di serenità
viene intaccata da una lacrima traditrice che vela il mio occhio
destro. La reprimo con un singulto.
Abbassa il capo, per incontrare il mio sguardo.
Farfuglio una scusa quando le sue parole mi giungono con il loro dolce
accento inglese.
-Ti ascolto.-
_______
La voce arrochita di Brianna assume un tono vacuo mentre i suoi occhi
vagano sugli arabeschi che decorano le lenzuola del letto dove abbiamo
preso posto.
Osservo minuziosamente le sue spalle esili, spesso scosse da quei
singulti che l’orgoglio non riesce a trattenere. La canotta
raccoglie le sue forme morbide e piene che ignoro a causa dei suoi
lineamenti rattristati, incurvati verso il basso.
Corrugo la fronte, scandagliando il suo volto con gli occhi. Percepisco
facilmente il dolore nella sua voce, intenta a riprodurre una storia
che per troppo tempo ha custodito gelosamente nei suoi ricordi, ormai
oppressi da un tale carico.
Inumidisce le labbra con la lingua e volge il capo verso di me.
-A diciannove anni sono stata costretta ad abbandonare gli studi e a
cercare un lavoro che potesse offrirmi il denaro utile a sostenere me e
ciò che restava della mia famiglia. Ho trovato un posto come
giornalista emergente nella Stampe di New York, dove mi sono trasferita
da qualche anno.-
“I’m forced to fake, a smile, a laugh,
Every day in my life…”
Alza le mani ed esclama.
-Non ho i requisiti per rappresentare la classica donna in carriera
dalla vita brillante che il giornalismo americano avrebbe
desiderato…-
Un tenue sorriso illumina quel volto ovale. Scuoto il capo.
-Il giornalismo americano dovrebbe essere orgoglioso di vantare una
simile reporter.-
-Perché dovrebbe?-
-Perché troverebbe raramente una ragazza dal tuo stesso
coraggio, una giovane donna in grado di affrontare la vita con grande
forza d’animo. Io… non sono riuscito a sopportare
le avversità che la vita mi ha presentato in
gioventù con la tua stessa incredibile capacità.-
-Ho compreso presto che il mio impegno lavorativo sarebbe stato l'unico
mezzo concreto per alleviare la depressione di mia madre
così... mi sono data da fare e... sono arrivata fino a qui
talmente in fretta che ancora stento a crederci...-
Si morde il labbro inferiore, gli occhi traboccanti di un'eccitazione
repressa.
Sistema i capelli dietro le orecchie, nel tentativo di ricomporsi.
-Sono convinto che questo sarà solo l'inizio, Brianna
Richards.-
Sorride, mostrando lievemente la dentatura candida. In quel gesto
gentile riconosco gratitudine e speranza, sentimenti restii a mostrarsi
su quel volto grazioso.
Mi alzo dal letto, strofinando le mani sulle gambe nel tentativo di
riscaldare le giunture rattrappite che ho lasciato inerti durante tutta
la conversazione.
-è stato un piacere parlare con te. Spero che la nostra
conoscenza non si limiti a questa chiacchierata.-
Dopo un'incoraggiante strizzata d'occhio mi dirigo verso la porta del
motel, non prima di averla garbartamente salutata.
La mia mano indugia sulla maniglia quando una fiebile voce, rotta da un
singhiozzo soffocato, irrompe nella stanza, disturbando il silenzio che
vi ha regnato.
-Grazie.-
Mi volto verso di lei, appoggiando una mano sulla tesa del cappello
appena indossato.
Esco dalla stanza accompagnato dallo scroscio sommesso della pioggia,
pacato e riservato come le parole che Brianna mi ha appena rivolto.
Angolo autrice:
Hey bellezze!
Sono di ritorno con un po' di ritardo. Dato che domani è il
mio compleanno ho deciso di pubblicare tutto il capitolo oggi e non
aspettare per porre modifiche.
Grazie a tutte voi per il supporto, spero che il capitolo vi piaccia.
Aspetto con ansia le vostre recensioni.
Peace&Love
Giulia
Ps: vi prego, perdonate la scarsa qualità dei dialoghi ma
non sono davvero in grado di scrivere una conversazione decente XD
|
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Capitolo 13 *** Un grido nel buio... ***
Ciao
mie belle lettrici!
Finalmente
l'estate! Sono certa che questi mesi mi permetteranno di scrivere molto
di più
anche se purtroppo temo non riuscirò a pubblicare molto
spesso... :\
Vorrei
offrirvi
un ringraziamento speciale: con il capitolo precedente ho finalmente
raggiunto
e (con mio grande stupore) superato le cento recensioni, un traguardo
che mi è
sempre parso impossibile anche solo osservare da lontano. Probabilmente
il mio
era un desiderio piuttosto ingenuo ma sono davvero felice che si sia
realizzato. E tutto ciò grazie a voi che continuate a
supportarmi in questo
lavoro che trovo ogni giorno sempre più piacevole e
appagante.
Spero
di non
avervi annoiati ma mi sentivo in dovere di ringraziarvi.
Prima
di
lasciarvi, desidero mandare un bacio alla mia Nikotvd alla quale non
nascondo
di essermi un po' ispirata per il personaggio di Pattie, che ritorna in
questo
capitolo per una piccola comparsata.
Buona
lettura.
Londra Aprile
1981
"-Che
cazzo
ti sta succedendo McCartney?-
La
voce arrochita
di John risuona fra le pareti della vecchia
casa di Jim, causandole un'inaspettata vibrazione. Il
cigolio blando
della mobilia accompagna quello delle imposte delle finestre, fra le quali spira il vento tiepido.
Osservo le mani, tentando inutilmente di distinguerne la forma
arcuata
ed elegante, non poi così diversa da quella sinuosa dello
strumento che
imbraccio. Esso pare celarsi pudicamente agli occhi di John che,
ridotti a due
fessure, scandagliano attentamente il mio volto. Riconosco la loro
disperata
ricerca di una risposta ai miei turbamenti in quelle rughe
d'espressione che
increspano il mio giovane viso. Quest'ultimo mantiene la propria
attenzione
rivolta alle tende, intente ad intrappolare i prepotenti raggi del sole
estivo
nelle loro maglie intrecciate. Il lieve fluttuare di quei drappeggi
sfiora le
mie spalle, ancora lontano dalla cattura dei miei pensieri che gli
occhi di
John desiderano carpire.
Avverto
la
schiena scivolare lungo la poltrona, la camicia aderire al petto, con
la stessa
naturalezza con cui le lacrime sospingono contro le mie palpebre. La
vista
risulta d'improvviso sfocata e il mio labbro inferiore divenne preda di
un
morso nervoso che lascia scaturire uno spiacevole sapore ferroso sulla
mia
lingua.
-Io...
mi
dispiace John, davvero. Dovrei concentrarmi, pensare alla musica, al
gruppo,
ma...-
-Ma
cosa,
McCartney? Cosa?!-
Porto
le dita ai
capelli e mi dirigo repentinamente alla finestra, una debole
imprecazione
sussurrata fra i miei denti tremanti. Essi sussurrano silenziosamente
il nome
di una donna scomparsa da tempo, il cui volto fanciullesco mi osserva
sorridente, ormai racchiuso nella cornice di una vecchia foto. Questa
riposa
sullo scaffale della credenza, coperto da uno strato annoiato di
polvere, in
attesa di essere disgregato da una mano femminile.
Una
mano attenta
e curata, come quella di mia madre.
Una madre che ha arricchito
il mio volto di
carezze preziose, che custodisco gelosamente nella memoria.
Una madre che ha accolto con
occhi ridenti i
miei auguri di compleanno, quello stesso giorno ripetuto negli anni
troppo
brevi vissuti accanto a lei.
Sospiro,
assaporando quel breve refolo di fiato che si insinua fra le tende.
Il
movimento
regolare delle mie spalle pare non soddisfare l'animo notevolemnte
irritato di
John, al quale il proprio padrone permette il disturbo della quiete del
salotto.
-Sono stanco, McCartney!
Sono stanco della tua
indifferenza nei confronti del nostro gruppo. Stiamo tentando di creare
qualcosa di vero, qualcosa di nostro, maledizione, e la tua
insofferenza
riguardo il nostro lavoro in quest'ultimo periodo mi fa impazzire!
Credi che ti
abbia invitato ad entrare a far parte dei Quarrymen perchè
sei così carino da
risultare un'attrazione femminile?! Ci sai fare con la musica, sei il
talento
che cercavo! Ma non posso permettere un atteggiamento simile nel mio
complesso.
Mi hai capito?-
Sorrido
amaramente prima di voltarmi verso di lui. Il suo collo pallido
è attraversato
da vene scure e arrossate che tingono dello stesso colore purpureo il
resto del
volto.
Mi
avvicino a lui
a grandi passi e scuoto il capo amareggiato, incurvando le labbra in un
atteggiamento deluso. Lo rendo partecipe del mio dolore con la stessa
franchezza con cui mi ha rivolto le sue accuse crudeli.
-Quando
ero
bambino festeggiavo il compleanno di mia madre in questo mese. Questo
maledetto
mese che ogni anno mi rammenta la scomparsa dell'unica donna che abbia
mai
amato. Sai che ti dico, Lennon? Mi dispiace! Mi dispiace di aver
riservato
maggior importanza al ricordo di mia madre che al tuo stramaledetto
gruppo! E
no, non credo riuscirò mai a capirti davvero, Winston!-
Mi
dirigo verso
l'ingresso, permettendo alle lacrime di inumidire le guance, coinvolte
in
un'espressione rabbiosa.
La
mia
imprecazione urlata pare causare una furtiva carezza, che trattiene
decisamente
il mio braccio.
Noto
la
fievolezza della voce di John, in contrasto con la fermezza della sua
stretta.
-Scusami,
Paul...
io... non sapevo, io... sono un'idiota. è solo che... sono
fatto così(1)...
qualcuno dovrebbe rimontare i pezzi e creare un essere umano migliore,
non
credi?-
Abbozza
un
sorriso sarcastico mentre lascio sfuggire un'imprecazione affettuosa
che lascio
morire sulla sua spalla, in seguito a un lungo abbraccio.-"
-Non
ho mai risposto a quella sua ironica domanda ma no, non credo che
qualcuno
sarebbe stato in grado di creare un essere umano migliore di John.
Perché John
era quello; un essere umano colmo di pregi, e difetti ai quali tentava
spasmodicamente di porre rimedio. Credo che fosse questa la vera
bellezza di
John; l'impegno assiduo nell'illuminare gli anfratti oscuri della sua
anima.
Non tutti gli uomini dimostrano uno zelo tale riguardo un simile
compito.-
Brianna
scuote il capo divertita, lasciando scivolare i capelli sulla spalla e
permettendogli di sfiorare il candore del suo abito, rallegrato
soltanto da alcune
delicate stampe floreali.
La
fragranza del suo profumo primaverile contrasta con il sentore umido ed
uggioso
nel quale si dipana. L'aria pungente costringe gli ospiti del mio
studio alla
sua indesiderabile presenza, mostrandosi oltre la finestra semiaperta.
Il corpo
di Brianna reagisce a quell'incontro inaspettato con un lieve sobbalzo.
Sulla
pelle nuda delle braccia corre un brivido, accompagnato dal mio
sguardo,
interessato al movimento delle sue mani sul foglio.
-Molti
critici musicali e altrettanti benpensanti potrebbero ribattere a
quest'affermazione.-
-Credo
sia proprio questo il grande errore dell'umanità nei
confronti di John:
l'incomprensione.-
Allunga
la mano verso il registratore, intenzionata a porre fine
all'intervista.
Accoglie l'apparecchio in grembo mentre raccoglie i capelli con le
mani,
innalzandoli sul capo in una lunga coda di cavallo. Essa mostra
fieramente il
collo perlaceo, danzandovi sinuosamente attorno.
Osserva
distrattamente l'orologio al polso e raggrinza le labbra, imitate dalla
fronte
pensosa.
-Credo
debba andare, ora. Mia madre mi aspetta, le ho promesso di trascorrere
assieme
il fine settimana nella nostra vecchia casa a Liverpool e non ho ancora
preparato le valigie...-
-Tua
madre abita a Liverpool?-
Trovo
impossibile discernere lo stupore dalla domanda che pongo al viso
imbarazzato
di Brianna. Sorride, abbassando gli occhi, forse preda di un ricordo
piacevole.
Il mio sguardo incontra d'improvviso la sua giovane bellezza, la cui
ingenuità
le offre un'eleganza ammirevole.
Alza
il mento e risponde con una punta d'orgoglio che le imporpora le guance
piene.
-Sì,
in un appartamento che acquistò assieme a mio...assieme a
mio padre poco prima
delle nozze. Ho vissuto fra quelle pareti tutta la mia adolescenza,
respirando
fieramente gli stessi profumi fra i quali erano cresciuti i
più grandi maestri
del rock.-
Ammicca
verso di me, aspettando la restituzione di quel gesto in uno
altrettanto
complice. Sorrido divertito, causando un imbarazzo appena accennato
alla punta
delle sue orecchie.
Recupera
la borsa, che si assesta sul suo fianco con un lieve tonfo. Mi
sorprendo ad
ammirare le sue curve immature ancora in sboccio in quel corpo esile.
-Comincerò
a trascrivere la nostra intervista questa sera, di modo che, una volta
terminato il lavoro, possiamo analizzarlo assieme.-
Mi
saluta con un debole cenno della mano, allontanadosi da me, senza
voltare le
spalle.
Percepisco
la sua voce sottile chiamare il nome di Linda che risponde dal salotto,
prima
di chiudere la porta e raccogliere con un sospiro gli spartiti delle
mie
canzoni.
_______
-Riconosco
che non sia politicamente corretto da parte mia, Bri, ma... accidenti,
non sai
quanto ti stia invidiando!-
Raccolgo
l'estremità superiore della penna fra i denti prima che uno
spontaneo sorriso
incurvi le mie labbra. Scosto con un gesto nervoso una ciocca ribelle
dal viso
che tenta di raggiungere i fogli sui quali ho riportato fedelmente i
miei primi
incontri con Paul.
Il
registratore ascolta paziente la mia telefonata dal comodino,
illuminato
soltanto dalla luce soffusa dell'abatjour, la stessa che per anni ha
rischiarato il mio volto piangente.
Rilasso
le spalle contro la testiera del letto, lisciando con le dita le
lenzuola
raggrinzite. Ripercorro con i polpastrelli la forma avviluppata dei
loro
arabeschi mentre la mia mente svolge una simile operazione riguardo i
recenti
ricordi di quel pomeriggio.
Rammento
il viso sorridente di mia madre, ora avvolto dalla morbidezza del
cuscino che
ne accoglie i lineamenti. Avverto indistintamente il suo debole russare
attraverso la parete della mia camera.
Assaporo la dolcezza di quel suono a malapena percettibile
che disturba
le parole concitate di Patricia.
-Allora
com'è? è davvero l'uomo dei sogni come ho sempre
immaginato?-
Osservo
la mia collezione di vinili ordinati cronologicamente sulla scrivania e
fatico
a trattenere un sorriso a causa della palese eccitazione che trapela
dalla voce
della mia amica. Avvicino la cornetta alla bocca prima di rispondere.
-Lo
è eccome, Pat. è sempre così elegante
ed oppurtuno; mi ha subito resa a mio
agio durante il mio nuovo incarico. è sensibile, premuroso,
intelligente,
acuto, sempre così...-
-Dannatamente
perfetto?-
-Esatto...-
esclamo soffocando una risata, il cui rumore sguaiato potrebbe
disturbare i
placidi sonni di mia madre.
L'estasi
della mia amica mi accompagna senza difficoltà in
quell'adolescenza che non ho
mai vissuto e alla quale rubo furtivamente alcuni momenti, che spendo
con
parsimonia.
-Oh
mio Dio... non sai cosa gli farei se avessi la tua stessa occasione...-
il suo
tono languido lascia sfuggire la mia esclamazione ironicamente
indignata.
-Pat!-
-è
la pura verità, tesoro! Spero che ti sia procurata
quell'autografo che ti ho
raccomandato per sopire i miei bollenti desideri.-
-Lo
otterrò il prima possibile, non temere.-
Arriccio
il filo del telefono quando un urlo agghiacciante interrompe il mio
sorriso.
Esso scivola lungo la mascella fino a scomparire, sul mio volto l'ombra
di
un'espressione terrorizzata. Una sequela di grida provenienti dalla
camera di
mia madre irrompe nella mia attraverso le pareti che appaiono
d'improvviso
irrimediabilmente friabili.
La
corsa irrefrenabile del mio cuore coinvolge le palpebre che guizzano
rapidamente all'intorno.
-Brianna?
Brianna, che succede?-
-Pat,
io... devo andare... ti... ti richiamo presto...-
il
saluto preoccupato della mia amica svanisce rapidamente dai miei
ricordi,
impegnati a ripercorrere lo stridio di quel rumore raccapricciante che
si
ripete ferocemente. Graffia le mie orecchie con la sua foga che sembra
farsi
sempre più vicina mentre ruoto il pomello della porta che
conduce alla camera
da letto della mia mamma, avvolta nella penombra. Le tapparelle
lasciano
filtrare i raggi della luna abbastanza luminosi da delineare i contorni
del
corpo di quella donna riversa sul letto. Le coperte avvolgono
disordinatamente
il suo corpo formoso e agitato che smuove il materasso.
Invoco
il suo nome, mentre la mia voce si confonde con le sue urla disperate.
Esse
sgorgano ininterrotte dalla sua bocca, atteggiata ad una posa
sgraziata, nascosta
dal cuscino artigliato dalle sue unghie. I profondi solchi impressi sul
tessuto
vengono colmati dalle lacrime che scorrono copiose dai suoi occhi
serrati.
Accendo
la luce con le stesse mani tremanti che accarezzano le spalle di mia
madre, in
un pallido tentativo di risveglio.
-Mamma!
Mamma, ti prego svegliati! è solo un incubo, solo un incubo!
Mamma! Mamma!-
Un
pianto indesiderato offusca il mio sguardo e bagna le mie guance
pallide che
adagio su quelle di mia madre.
Un
sobbalzo scuote le membra della donna e le sue mani paiono chiudersi
ermeticamente sui miei polsi.
Le
iridi arrossate fissano le mie con indicibile stupore prima di
soffermarsi sul
resto della stanza. Muove ripetutamente le labbra ceree, appoggiando la
fronte
sul mio collo mentre i ricci biondi sfiorano la mia pelle.
-è
tornato, Bri... è tornato a tormentarmi...-
Avvolgo
il suo busto tremante in un abbraccio altrettanto precario ricordando
tutte le
notti che hanno seguito la fuga di mio padre in cui avevo assistito a
una
simile scena. E io, proprio come allora, non dimentico di cullare il
capo di
quella donna afflitta dai singhiozzi.
Nonostante le assicurazioni
di mia madre
riguardo la sua completa guarigione psicologica, l'immagine di
quell'uomo
tormenta ancora i suoi sonni.
-Non
lo farà, mamma, non lo farà più ormai.
Va tutto bene, è passato. Non tornerà
mai più a tormentarti, mamma, te lo prometto.-
Le
bacio i capelli, accetando a fatica le mie parole consolatorie.
(1)
In
un'intervista Paul ha rivelato che questa era l'usuale affermazione di
John in
seguito ad uno dei loro numerosi litigi.
Angolo
autrice:
L'intervista
prosegue, spero di essere riuscita ad impostarla al meglio possibile
per
renderla piacevole e non noiosa come potrebbe essere risultata
attraverso i
discorsi diretti.
Il
rapporto fra Paul e Brianna comincia ad intensificarsi e a rivelare un
velo di
complicità destinato a maturare...
La
madre di Bri non si rivela poi la donna forte e coraggiosa che era
parsa nei
primi capitoli.
A
prestissimo gli aggiornamenti ;)
Grazie
mille a tutti coloro che hanno ancora voglia di seguire questa storia e
di
recensirla rendendomi felicissima!
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 14 *** Un fantasma dal passato ***
Ciao
bellissime!
Innanzitutto
desidero dare il benvenuto a Kia85 una lettrice acquisita da poco che
voglio
ringraziare per aver intrapreso la lettura di questa mia storia.
Detto
ciò vi informo che stiamo entrando nel vivo nel nostro
racconto; i rapporti fra
i personaggi si consolidano, comincio a sentire Brianna più
familiare e
trattare sentimenti
di Paul è meno
difficile di quanto credessi inizialmente :P
Questo
capitolo è dedicato in parte al lavoro musicale che Paul,
nonostante il lutto
per la perdita dell’amico John, continua a portare avanti; e
in parte
all’incontro inaspettato fra due personaggi altrettanto
ambigui…
Dopo
questa premessa nella quale non voglio rivelarvi nulla di
più, vi auguro una
piacevole lettura.
Baci!
Londra
Aprile 1981
George
strofina il mento con la punta della biro che tiene fra le mani rugose.
Traccia
il profilo delle labbra sottili e della mascella,
un’espressione pensosa
corruga la sua fronte alta.
Osservo
discreto i movimenti di quell’uomo, i cui sospiri profondi
colmano la sala di
registrazione costringendo la mia bocca ad incurvarsi preoccupata.
Libero
il primo bottone della camicia dall’asola, permettendo al mio
collo di
assaporare la freschezza che traspira dai muri. Essi accolgono
indifferenti gli
sguardi vacui di George che contrae le palpebre, causando agli angoli
degli
occhi un tremore lieve.
-Nessuna
idea, Martin?-
Passa
la mano fra i radi capelli chiari prima di scuotere il capo, desolato.
Rivolge
per un istante l’attenzione nell’ala attigua alla
nostra in cui Stanley, Carl,
Richard e Steve discutono le migliore musicali riguardo le nostre
recenti
composizioni. Soccombo alla prepotenza di un sorriso che dona una
malinconica
serenità al mio volto adombrato quando incontro lo sguardo
di Richard. Gli
occhi ridenti paiono irrimediabilmente attratti dalle labbra schiuse,
verso le
quali si curvano. La sua voce profonda giunge ovattata alle mie
orecchie,
accompagnata a ricordi di gioventù, che non sembrano
così lontani.
-Nessuna.
La mia mente è un foglio completamente bianco, Paul, e non
riesco a scrivervi
neppure una maledetta parola…-
-Sei
certo che il titolo che ho proposto non sia adatto?-
Il
gesto stizzito delle sue mani mi intima il silenzio e il suo respiro
nervoso
invita le mie dita a tamburellare impazienti sulla superfice del tavolo.
-Questo
album ha bisogno di qualcosa di diverso, qualcosa di più
energico, marcato… ad
effetto, ecco. Qualcosa di concreto, diverso, fuori dagli schemi.-
Sospiro,
gonfiando inevitabilmente le guance.
-Hai
ragione, George, ma ultimamente sono molto impegnato e tutti i titoli
plausibili si rivelano sempre banali o inadatti…-
-Non
preoccuparti, ti capisco.-
Il
mio produttore rilassa le spalle sullo schienale della sedia, nella
vana
ricerca di una posizione comoda. Inarca le sopracciglia,
un’espressione
francamene interessata sul volto.
-Come
procede l’intervista? La giornalista che hai scelto
è efficiente ed esperta
come credevi?-
Porto
la sigaretta alle labbra, concentrando l’attenzione sulle
volute di fumo che si
sprigionano da essa. Aspiro una piacevole boccata prima i rispondere.
-Sono
soddisfatto. Riconosco che il compito affidatole sia doveroso ma,
nonostante la
sua giovane età, dimostra di sapersela cavare. È
così sensibile e motivata…
purtroppo queste due qualità convivono raramente in un
giornalista assetato di
notizie.-
Queste
ultime parole riportano alla mia mente i ricordi di quella notte fredda
e
pungente i cui numerosi microfoni si assieparono attorno al mio viso,
sfigurato
dal dolore. Posso immaginare ancora molto nitidamente i respiri
affannati dei
reporter americani, uomini dalle guance arrossate
dall’interesse mediatico.
Irrigidisco
istintivamente la mascella.
Le
dita lunghe e nervose di George avvolgono il braccio che lascio
riposare in
grembo.
-Il
tuo è stato un grande gesto, Paul. Lui… lui lo
avrebbe apprezzato.-
Gli
occhi azzurri dell’uomo impallidiscono, prede di lacrime che
George non
desidera mostrare.
Si
alza rapidamente, rischiarandosi la gola e abbozzando un sorriso.
-La
prossima settimana voglio leggere titoli un po’
più convincenti. Non battere la
fiacca, eh McCartney?-
_______
-Non la ricordavo
così bella...-
-Dovresti
tornare più spesso a Londra, mamma.-
Lo
stupore di mia madre pare intenzionato a coinvolgere ogni anfratto
londinese. I
suoi passi brevi ma affrettati trattengono a fatica
l’eccitazione di una donna
che non aveva spesso lasciato la propria città. I palazzi
della capitale,
attorniati di suoi tipici profumi erano sostati per molti anni nei suoi
ricordi
di bambina, riguardanti brevi viaggi con la famiglia. Schiude le labbra
e
reclinava il collo, nel tentativo di ammirare i monumenti. Deglutisce e
strabuzza gli occhi meravigliata, contribuendo alla nascita di
un’espressione
infantile sul proprio volto. Il sole pare restio ad illuminare i suoi
ricci
ancora biondi che trattiene sotto una cappello a tesa larga.
Le
passo il braccio attorno alle spalle, costringendo il suo capo ad
adagiarsi
nell’incavo del collo. Assaporo il suo profumo materno che si
confonde con
quello altrettanto inconfondibile di Londra.
Non
credevo che il mio incarico mi avrebbe permesso di trascorrere
più tempo con
mia madre. Quando Paul mi ha informata del suo impegno mattiniero che
avrebbe
naturalmente posticipato il nostro incontro al pomeriggio, ho proposto
a mia
madre una breve uscita assieme nelle strade della capitale. Il fine del
mio
invito riguarda principalmente la salute psichica di mia madre, che
credo possa
trovare sollievo dai ricordi solo in un luogo da cui essi sono avulsi.
Il
mio forte desiderio ha soffocato la titubanza di mia madre che ora
osserva con
l’incredulità di un bimbo ciò che la
circonda.
Mia
madre tenta di attirare la mia attenzione strattonando un lembo del mio
cappotto e tentando di proteggere con la mano libera il cappello dal
vento
impertinente.
-Ehi
Bri, non credi siano bellissime?-
Avvicina
il naso a una delle rose più belle che ornavano la
bancarella di un venditore
ambulante. Il fioraio osservò soddisfatto la sua merce che
pare aver attratto
una potenziale cliente.
Mia
madre sfiora il gambo del fiore che tiene delicatamente fra le mani, le
dita
tremanti come le labbra.
-Tuo
padre… tuo padre era solito regalarmi una rosa come questa
nei primi tempi del
nostro fidanzamento…-
Si
allontana progressivamente, il timore di cadere nuovamente preda dei
ricordi
impresso nei suoi occhi traslucidi.
-Dai
mamma, andiamo via…-
Intreccio
le mie dita alle sue, rabbrividendo al contatto con la pelle fredda e
sudata,
improvvisamente indifferente al timido calore primaverile.
Mi
volto lentamente, il capo rivolto all’asfalto scuro come i
miei pensieri.
Alzo
gli occhi, incontrando una figura che avanza verso di me.
Un
sorriso spontaneo nasce sulle mie labbra, talmente luminoso da
adombrare le mie
improvvise preoccupazioni.
Il
suo incedere elegante, le sue mani grandi accarezzate dalle falde del
cappotto
scuro, i suoi capelli ambrati che assecondano i capricci del vento;
ogni suo
dettaglio provoca in me un brivido lungo e piacevole che riesco a
stento a
trattenere.
Riconosco
senza fatica le sue labbra carnose che si schiudono come petali su
quella
delicata bocca di rosa. Quest’ultima è colorata di
un rossore scarlatto che
raggiunge tinte decisamente più tenui sulle guance. Gli
occhiali da sole non
gli impediscono di notarmi tra la frettolosa folla inglese. Inclina il
capo e,
con un cenno della mano, si avvicina.
Abbasso
gli occhi, imbarazzata dal subitaneo desiderio di quel corpo maturo e
slanciato.
-Ciao,
Bri. Accidenti, Londra non è così grande
dopotutto.-
La
musicalità della voce di Paul risuona sorda nella mia mente
affascinata. Scuoto
le spalle, i capelli sferzano la schiena.
-Ho
terminato da poco l’incontro con Martin e i ragazzi in Studio
ma neppure questa
“rimpatriata” è stata utile a definire
il titolo del mio prossimo album… temo
che sarà un lavoro lungo… ma non potevo
intrattenermi di più, sapevo di essere
impegnato.-
Sfila
gli occhiali, sfoggiando il suo sguardo smeraldino. Nei suoi occhi noto
i
riflessi della città, che continua a vivere dietro di me. Ne
avverto
indistintamente il pulsare frenetico mentre il cuore londinese lascia
dipartire
nelle arterie inglesi un flusso di indefessi lavoratori che raggiungono
i loro
uffici.
La
sua attenzione viene attirata al mio fianco da mia madre, che circonda
la mia
vita con un braccio.
-Non
mi avevi detto che avevi portato una sorella con te a Londra.-
-Oh,
no. Lei è mia…-
D’improvviso
il sorriso di Paul abbandona il suo volto grazioso, sostituito da
un’espressione confusa.
Il
disagio dell’uomo pare espresso solo dal respiro pesante e
affaticato che causa
movimenti accelerati al suo petto.
-Mia…-
Quando
tento di riprendere la frase mi rivolgo a mia madre, il cui volto
è stravolto
da un sentimento indecifrabile. La donna deglutisce, schiudendo le
labbra e
alzando gli occhi colmi di stupore su Paul.
Paul,
l’idolo di mio padre, l’autore di quelle parole
d’amore cantate dalla voce di
quell’uomo che da anni impregna più le pareti
della mia casa. Quell’uomo che ha
distrutto, forse per sempre, la meravigliosa ingenuità della
mia mamma,
trasformandola in una giovane e pavida donna, incapace di difendersi
anche dai
ricordi. Essi assumono forma in quell’uomo che, con le sue
composizioni,
permette il ritorno di un passato troppo irruento da sopportare.
Paul
corruga la fronte, nel folle tentativo di esprimere con lo sguardo,
seppur
espressivo, le proprie emozioni.
Mia
madre sostiene lo sguardo inquieto di Paul, lasciando guizzare gli
occhi sul
suo volto.
Le
uniche parole che odo distintamente sono quelle pronunciate dalla voce
arrochita e flebile della mia mamma.
-Io…
mi dispiace Brianna, ma… io devo andare… ho
parecchie cose da fare e… non ce la
faccio… Mi perdoni, signore…-
Passa
le mani fra i capelli e raccoglie le braccia attorno al busto, prima di
lanciarmi un’occhiata disperata e voltarsi.
-Mamma!-
La
raggiungo, avvolgendole il polso in una debole stretta.
-Mamma,
che succede?-
Scuote
il capo, i ricci si disperdono sulla pelle diafana delle guance,
solcata dalle
lacrime. Tento di asciugare queste ultime ma esse vengono sostituite da
altri
diligenti compagne che scorrono senza posa.
-Io…
non ci riesco, Bri. Lui… non credevo che incontrarlo mi
avrebbe fatto così
male…-
-Mamma,
lui non è papà. Non devi permettere a quel mostro
di farti ancora del male.-
Passa
le mani sul collo alla ricerca della collana che le ho regalato alcuni
anni
prima. Le prendo il mento fra le dita e sussulto inconsapevolmente nel
riconoscere nel suo sguardo un dolore indicibile.
-Non
riesco ad essere forte come te, amore mio… non
posso…-
Appoggia
la fronte alla mia spalle , invitandomi ad un abbraccio affettuoso.
Riesco a
scorgere il volto di Paul oltre la schiena di mia madre prima che la
tristezza
mi sopraffaccia.
________
Il
tepore della notte primaverile mi raggiunge attraverso il vento
leggero, che
accompagna i suoi delicati sussurri con i rumori cittadini. Le tende
frusciano
contro la finestra semiaperta che mi permettere di scorgere il fulgore
delle
luci mondane. Il mio sguardo vacuo tenta di carpire la
quotidianità dei
lavoratori londinesi che procedono a fatica nel traffico, ansiosi di
raggiungere le loro silenziose abitazioni. Mi passo la lingua sulle
labbra,
ricercando la serenità nella figura addormentata di Linda. I
capelli chiari
celano le efelidi che, dal volto, si propagano sulla schiena nuda che
le
lenzuola non paiono preoccuparsi di coprire. Il suo respiro ancora
affannoso
sfiora le labbra screpolate, incurvate in un sorriso soddisfatto.
Ignoro i suoi
mugolii, forse intenzionati a confessarmi i suoi sogni.
Accarezzo
la sua pelle morbida, lasciando scivolare le dita sul tessuto setoso,
increspato sul corpo di mia moglie.
Abbandono
un fuggevole bacio sul capo di Linda che cerca con la mano il mio
petto,
inconsapevole del fatto che io la osservi accanto al letto.
I
pensieri opprimenti mi hanno impedito di acquistare sonno,
consigliandomi di
raggiungere la grande finestra della camera da letto, per assaporare la
freschezza notturna.
Passo
le mani fra i capelli appoggiando la schiena al muro e reclinando il
capo,
sobbalzando al contatto della schiena contro la parete. Il ricordo dei
suoi
lineamenti ancora dolci nonostante l’età matura,
della sua espressione smarrita
e delle lacrime che hanno popolato all’improvviso il suo
volto preme contro la
mia memoria. Ripercorro mio malgrado il viale del passato, in cui mi
imbatto
immantinente in una figura minuta dal sorriso che coinvolge ogni
anfratto del
volto; riconosco in quest’ultimo la delicatezza del viso
puerile di quella donna
che ha mosso in me cotanta compassione.
Scuoto
amaramente il capo, una volta che quest’ingenua
considerazione ha assunto un
ruolo notevole nella mia mente.
Ho
fatto una promessa a me stesso, quel giorno.
Ho
sussurrato fra le mani distese sul viso una sola parola che negli anni
ha
risuonato nella mia memoria, avvertendomi dell’incombenza di
un ricordo
spiacevole.
Dimentica...
Un
semplice consiglio proveniente dalla mia coscienza, da tempo profanata
da
molteplici errori.
Indosso
con un sospiro la camicia, osservando con riluttanza il pigiama
ordinatamente
piegato sulla poltrona, che non riesce ad infondermi il sonno di cui
necessito.
Lascio
aderire la mano al corrimano ligneo mentre i miei passi producono un
tenue
scalpiccio sui gradini.
Raggiungo
il pianoforte che sosta placidamente in salotto, in attesa di un amico
fedele
al quale confidare tutti i suoi più inconfessabili segreti
sotto forma di
languide note, altrettanto misteriose. Percepisco un brivido gradevole
alla
consapevolezza della mia affinità con
quell’elegante strumento al quale mi
avvicino con un sorriso complice. Lambisco i tasti con i polpastrelli
intenzionato a comporre una melodia, abbastanza lieve da non disturbare
il
sonno dei miei famigliari ma tanto poderosa da soffocare i miei
pensieri.
La
pur sottile vibrazione proveniente dal pianoforte crea un fastidioso
ronzio
nelle orecchie.
Scuoto
il capo e alzo gli occhi, osservando con un sorriso la mia espressione
appagata
riflessa nello specchio. Dirigo lo sguardo al davanzale della finestra,
scorgendo oltre i vetri un vaso di rose rigogliose delle quali Linda si
occupa
diligentemente.
Permetto
alla mia attenzione di vagare nel colore purpureo dei petali, simili
alle
labbra morbide e scarlatte di Brianna.
Anglo
autrice:
Riconosco
che questo capitolo sia un po’
confuso, ma questo è proprio l’effetto che volevo
creare. XD
La
nostra Pauletta costudisce un segreto,
a quanto pare inconfessabile, che gli avvenimenti pomeridiani gli hanno
riportato alla memoria.
La
trama comincia a farsi un po’ più
intricata, spero che non vi annoi in seguito. :P
Non
so se riuscirò mai a ringraziarvi
abbastanza per il vostro caloroso supporto.
I really love you! :D
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 15 *** Tug of War ***
Ciao mie confuse lettrici! XD
Il capitolo precedente vi ha comprensibilmente creato parecchie grane
ma è stato davvero bellissimo vedere i vostri personali
tentativi di risoluzione al grande enigma che ho posto nella nostra
storia: quale è il nesso fra Paul e Brianna?
Sulla scia di questa domanda vi propongo il capitolo 15, ancora
dedicato all’intervista e alla scelta del titolo
dell’album “Tug of War” che il nostro
Paul portò a termine proprio nell’81 assieme a
George Martin e con la collaborazione di molti altri artisti.
Nella mia malsana fantasia Brianna ebbe un ruolo importante nella
realizzazione di tale progetto.
Vi prego di perdonare alcuni inserimenti che potrebbero risultare un
po’ surreali ma utili a dare un tocco di fantasia al nostro
racconto.
Grazie a tutti!
Buona lettura!
Londra Aprile 1981
Lascio scivolare lentamente il capo verso la finestra del bar. Sobbalzo
d'improvviso al contatto della fronte con il vetro freddo, sul quale il
rigido clima londinese e il tepore della sala hanno contribuito alla
nascita di un sottile strato di condensa. Osservo i tratti del mio viso
sfigurato oltre esso, prima che i raggi del sole pallido raggiungano
timidi i miei occhi e illuminino quel plico di fogli a cui rivolgo la
mia attenzione. Riconosco le parole che la mia mano paziente ha vergato
sulle pagine, senza trattenere alcun particolare del ricordo degli
incontri pomeridiani con Paul.
Cerco la sua voce melodiosa nei sussurri concitati degli studenti
ritardatari che mi circondano o nelle frasi affaticate delle signore.
Osservo con scarso interesse le voluminose sciarpe con cui queste
ultime tentano proteggere il volto dal vento inospitale che le attende
oltre la porta della tavola calda. Agli angoli delle loro bocche sono
tracciate rughe sottili che si increspano vivacemente ad ogni risata,
dimostrando orgogliosamente una serenità che mia madre non
riuscirà mai a condividere.
Ricordo con un sospiro l'espressione distrutta della mia
mamma che, il giorno prima, non sopportando la prepotenza con cui i
ricordi si sono imposti, si è diretta alla stazione
intenzionata a raggiungere Liverpool al più presto. La sua
triste persona ha agognato ad un luogo familiare in cui sopire il
proprio dolore.
Sospiro, all'inutile ricerca di sostegno negli occhi dei clienti dai
quali sono attorniata
Solo gli occhi della cameriera che si avvicina a me paiono interessati
alla mia figura, relegata in un recesso del locale, alla quale offrono
uno sguardo caloroso che fatico a riprodurre.
Ritrovo la dolcezza del sorriso di quella giovanissima ragazza nel
caffè che mi ha porto. Sorseggio pensosa la bevanda,
rileggendo la trasposizione scritta dell'intervista del giorno
precedente.
" "-Accidenti, McCartney, sei stato
grande questa sera! Devo ammettere però che sono un po'
invidioso: la biondina non aveva occhi che per te.-
John scuote ripetutamente le ciglia che accarezzano le guance candide
arrossate soltanto dall'estremità incandescente della
sigaretta che ha portato alle labbra. Le pudiche luci di Amburgo paiono
restie ad illuminare i lineamenti duri della sua mascella. Essa si
irrigidisce, i polmoni intenti ad aspirare il fumo che le sue labbra
liberano dopo pochi istanti il fumo che raggiunge i comignoli delle
case.
Inseguo con gli occhi quelle volute intrecciate, eleganti come i suoi
fianchi che ho accarezzato maliziosamente solo poche settimane prima.
-Pensi ancora a lei?-
-Io... ho sbagliato tutto con lei, John. Credevo di essere un uomo e
invece... mi sono dimostrato solo un bambino...-
-Un bambino che riconosce il suo pentimento. Questo ti fa onore, Paul.
Lei saprà certamente dartene atto...-
-E se non lo facesse? Se non mi perdonasse per averla lasciata?-
-Un uomo che riconosce i propri errori è un'inesauribile
fonte di interesse per le donne. Devi solo...-
mi porge la sigaretta con un afffascinante sorriso traverso.
-... non pensarci più-"
-Era quello il suo modo di proteggermi: lasciare il passato in un
angolo remoto della mente per poi affrontarlo con decisione in futuro.
Purtroppo ritengo ci siano errori la cui risoluzione non dovrebbe
essere posticipata; questo potrebbe solo aggravare il problema.-
-E quali errori avrebbe potuto commettere un ragazzino adolescente?-
La mia domanda appena accennata suscita un sorriso amaro sulle labbra
di Paul, che mi soffermo ad osservare con attenzione. La sua bocca
finemente cesellata è schiusa, su di essa ancora il ricordo
che ha appena rivissuto assieme a me. Le sue parole hanno causato in me
quella domanda spontanea frutto di una curiosità indiscreta
che mi pento di possedere.
Abbasso gli occhi, sussurrando una scusa che viene accolta con un
sorriso amichevole che pare non condannare il mio subitaneo interesse.
-Una ragazza sedotta e abbandonata ingiustamente poco prima di una
trasferta, ad esempio...-
La sua serenità è evidentemente velata da un
ricordo, la cui malinconia viene mascherata dall'ironia.
L'espressione accorata assunta dal volto di Paul sembra intenzionata a
celare un segreto passato che non ho il diritto di svelare.
-Come sta tua madre?-
Mi osserva incuriosito, tentando di catturare i miei occhi ne suoi. Mi
perdo nel suo sguardo incantevole, reprimendo un desiderio peccaminoso.
-Meglio, ti ringrazio. Ho provato a chiamarla, per accertarmi della sua
salute e l'ho scoperta decisamente più tranquilla. Mi
dispiace molto per quello che è accaduto questa mattina; la
tua musica, così apprezzata da me e da mio padre,
è divenuta un ricordo indelebile di un passato che mia madre
vuole dimenticare. Vedere l'idolo di mio padre è stato...
davvero troppo per la sua mente distrutta. Perdonala...-
-Non importa, posso capirla. Il passato spesso è infido; ti
coglie all'improvviso, ti stringe nella sua morsa impedendoti qualunque
fuga...-
I suoi occhi si perdono nell'osservazione minuziosa del mio abito, come
se esso celasse importanti rivelazioni. Ma la stoffa rimane
impassibile, così come la sua espressione, la fronte
corrugata culla un pensiero celato. "
________
-Mamma! Mary ha nascosto il mio pupazzo preferito, lo rivoglio!-
-Mary, dai quel pupazzo a tuo fratello.-
-Non sono stata io! Stella voleva fare un dispetto a James,
è colpa sua!-
-Cosa avrei voluto fare?!-
-Volete smetterla voi quattro? Domani ho un esame piuttosto importante
nel quale non dovrò certo trattare della calda atmosfera che
si respira nella mia famiglia... Potreste farmi studiare in pace?!-
-Aiutami a cercare quel maledetto pupazzo, Heather, e potrai finalmente
studiare, te lo assicuro.-
Porto le mani alle tempie, percependo la pelle tesa sotto i
polpastrelli e aggrottando istintivamente le sopracciglia.
Di fronte ai miei occhi chiusi distinguo soltanto alcune indistinte
chiazze colorate mentre nel mie orecchie risuonano le urla irritate di
mia moglie accompagnate da quelle dei miei bambini.
Osservo sconsolato i fogli disordinati, accumulato sulla mia scrivania
colmi di nuove idee musicali o possibili titoli per il nuovo album. Le
righe spazientite tracciate dalla mia biro sono divenute ormai simbolo
della mia frustrazione.
Mi sorprendo a rivolgere la mia attenzione a quell'inchiostro, scuro
come gli occhi di quella donna, così simili ai suoi. Le
pagine bianche somigliano alla pelle pallida di quella giovane signora
che tanto ingenuamente mi ha ricordato la sua.
Scaglio la penna che tengo da tempo fra le dita, portandomi le mani ai
capelli. Il rumore stridente della mina metallica sul pavimento causa
il mio profondo mugolio rassegnato che segue.
Esso è accompagnato da un singhiozzo a stento trattenuto che
giunge alle mie spalle. Mi volto rapidamente, incontrando il viso del
mio bimbo, trasfigurato in una posa rattristata velata da un lieve
timore provocato dal mio gesto irato.
Le lacrime imperlano le sue guance arrossate, scivolando sul tappeto.
Le mani strette a pugno raggiungono gli occhi mentre le labbra si
incurvando in una posa insoddisfatta.
-Papà... le mie sorelline sono state cattive con il mio
pupazzo... lo hanno nascosto sicuramente in un posto brutto e buio... e
Teddy ha paura del buio, non voglio lasciarlo solo... perchè
non vogliono darmelo, papà?- James pronuncia le ultime
parole fra i singulti, le spalle scosse dal tremore. Lancia un'occhiata
disinteressata ai fogli sparsi sulla scrivania per poi rivolgere
nuovamente l'attenzione a me e mostrarmi il labbro inferiore.
Passo la mano sulla fronte e lo raggiungo con il sorriso più
rassicurante che possa sfoderare.
Curvo la schiena, raggiungendo la sua modica altezza e arruffandogli i
capelli.
- Ehi, campione, troveremo il tuo pupazzo. E se le tue sorelle osassere
nascondere Teddy un'altra volta dovranno sopportare la furia di
papà Paul!-
Lo sollevo senza difficoltà, colmando il suo petto di baci
che solleticano la pelle liscia e profumata. La sua risata cristallina
irrompe nel mio studio, adombrando ogni preoccupazione e qualunque
antico ricordo.
La sua gola percorsa da un piacevole suono gutturale si adagia sul mio
collo, il suo repiro affannoso fruscia fra i miei capelli.
La voce ansante di Linda interrompe quell'attimo di intensa bellezza.
- C'è una visita per te, amore!-
Raccoglie i capelli sudati in una coda di cavallo, invitando Brianna
nel mio studio.
-Perdonami per il disordine, cara, ma i bambini sono un vero
terremoto...-
La giornalista ascolta le parole dispiaciute di mia moglie con un
sorriso di circostanza che le illumina il volto di una bellezza
leggiadra e delicata. Difficilmente riconoscibile come tale, le menti
frivole lo definirebbero semplice imbarazzo.
I suoi occhi neri si rabbuiano d'improvviso quando incontra quelli di
mio figlio, velandosi di una lieve malinconia. Lascia vagare gli occhi
nello studio, distraendo l'attenzione da quell'immaginare famigliare.
Rammentando il passato difficile che essa le riporta alla memoria,
libero James dal mio abbraccio, con un buffetto sulle spalle.
-Va a cercare Teddy con la mamma, Jimmy. Sono certo che lo troverete.
Vi raggiungerò quando avrò finito di lavorare.-
Linda avvolge con le braccia il corpicino di James, allontanandosi
assieme a lui e lasciando cigolare la porta dietro di se.
-Mi dispiace, io... ho interrotto qualcosa?-
-Te ne sono grato! Probabilmente la presenza di un'estraneo dovrebbe
domare i miei figli... la folle ricerca del pupazzo di James ha
scatenato un vero e proprio conflitto civile!-
Ride, sinceramente divertita, sistemando la borsa sulla poltrona e
lisciando le pieghe della camicia cremisi. Questa aderisce
perfettamente al suo corpo, esaltandone le curve. I pantaloni tentano
di nascondere i fianchi larghi sui quali, mio malgrado, dirigo lo
sguardo. Brianna intreccia le mani sul ventre piatto, graffiando le
dita con le unghie. Si avvicina alla mia scrivania, osservando con un
sorriso sognante i fogli dei miei appunti, sparsi sul ripiano ligneo.
Il sole riflette i suoi raggi sulla pelle altrettanto delicata
del seno della ragazza, di cui riesco a scorgere un anfratto.
Sospiro lentamente, incrociando le braccia sul petto.
-Stai lavorando al titolo del tuo nuovo album?-
Solleva con cura uno di quei fogli fra le mani, prestandogli
un'attenzione che non meritano. Sussurra rapidamente le parole che le
mie dita hanno trascritto distrattamente, dischiudendo le labbra in
un'espressione meravigliata.
-Sì... o almeno, ci sto provando. Non riesco a trovare
niente di adatto, niente che possa conformarsi alle mie canzoni...-
Inspira profondamente prima di fornirmi un timido consiglio.
-Forse... forse il titolo dell'album non dovrebbe adattarsi alle
canzoni che contiene ma ai sentimenti con i quali hai realizzato la tua
nuova opera musicale...-
Aggrotto le sopracciglia, incuriosito.
-Cosa intendi dire?-
-Credo che ogni album realizzato da un cantante segni una tappa della
sua vita. Compito del titolo non è altro che quello di
riassumere l'intervento, positivo o negativo, nella vita dell'artista
e...-
Interrompe la sua riflessione con un gesto della mano, gli occhi
puntati sulle tende che sembrano suggerirle le parole da pronunciare.
-Mi.. mi dispiace, io... sono stata inopportuna, non ho il diritto di
intromettermi. Che invadente! Perdonami, non era mia intenzione...-
Scuote violentemente il capo, i capelli le sferzano il viso
improvvisamente arrossato. I suoi occhi, illuminati dall'evidente
vergogna, risaltano le iridi scure.
Interrompo il movimento concitato delle sue dita con le mie. Avverto il
calore iridescente della sua pelle, che raggela immantinente al
contatto con la mia.
-Non devi scusarti di nulla, Bri. Il tuo parere è davvero
molto interessante, mi piacerebbe ascoltarlo...-
le rivolgo uno sguardo complice al quale risponde con un sorriso
flebile.
Si allontana rispettosamente da me e tenta di rincorrere quel pensiero
sfuggito poco tempo prima.
-Sì, ecco... credo che l'idea giusta non sia poi
così lontana. Devi... dovresti... insomma, ti consiglio di
ripensare ai momenti della tua vita che hanno accompagnato la creazione
dell'album e... penso che il titolo sia nasconsto proprio nel ricordo
della sua composizione...-
Porto una mano al mento, pensieroso, fingendo di ignorare lo sguardo
ammirato di Brianna.
-Ho cominciato questa avventura con parecchio entusiasmo; l'esperienza
con i Wings mi aveva quasi fatto dimenticare come fosse pubblicare un
album da solista. Ho affrontato il nuovo lavoro con molta naturalezza,
assieme a George Martin e a tutti i grandi musicisti che mi hanno
accompagnato in questo piacevole percorso. Fino a quando...-
Deglutisco, percependo il brivido che percuote la schiena di Brianna.
Il ricordo di John satura l'aria, difficlmente respirabile.
-Fino... fino alla morte di John. Il tragico evento ha distrutto tutti
noi e il rispetto per un amico strappato così brutalmente
alla vita ci ha suggerito una sospensione delle registrazioni. Una
volta ripreso il lavoro a Febbraio, io... io ero un uomo diverso. Avevo
dimenticato la gioia con cui avevo intrapreso l'incisione del nuovo
album e nonostante quest'ultimo tentasse di imporsi sulla mia
tristezza, questa dipingeva delle sue tinte oscure ogni mio pensiero.
La musica rivaleggiava contro la disperazione... come...-
-...come un tiro alla fune...-
Esclama Brianna, sistemando i capelli sulla spalla.
Alzo gli occhi su di lei, corrugando la fronte. Essa si distende
lentamente mentre quelle parole si insinuano nella mia mente creando
una gradevole consapevolezza.
-Come un tiro alla fune...- ripeto perplesso, poi con tono eccitato, le
labbra schiuse in un'espressione meravigliata.
-Come un tiro alla fune! Un tiro alla fune, accidenti! Un
maledettissimo tiro alla fune!-
Giunge le mani di fronte alla bocca, tormentando il labbro inferiore
con i denti.
Si ricompone, rischiarendosi la gola.
-Sono... sono felice di esserti stata d'aiuto. Sei stato
così gentile con me che... ecco, credevo fosse moralmente
corretto tentare di ricambiare.-
Mi passo le mani fra i capelli, beandomi della sua risata timida e
quelle parole altrettanto restie ad essere pronunciate.
Il desiderio di ringraziarla con un abbraccio si pone in contrasto con
la mia etica personale. Mi limito a rivolgerle una parola, la stessa
che alcune sere prima Brianna ha pronunciato nei miei confronti con una
voce appena sussurrata, rotta dalle lacrime.
-Grazie.-
In risposta sfoggia un rossore purpureo che le colora la punta delle
orecchie.
Assaporo la sua bellezza con gli occhi mentre la mente è
impegnata nell'acuta analisi del nuovo titolo del mio album.
Anche l'antica immagine di lei, perde d'importanza di fronte alla
violenza del presente.
_______
-Grazie ancora, Bri. Non sono certo che senza il tuo aiuto sarei
riuscito a comunicare già domani i miei progressi a George.-
L'orgoglio matura rigoglioso nel mio cuore, da tempo inaridito da una
vita priva di soddisfazioni.
Sistemo la tracolla percependo contro il fianco il registratore che
anche quel pomeriggio aveva diligentemente ascoltato i ricordi di Paul.
La voce di quest'ultima non ha parso assumere la malinconia delle scene
passate che raccontava; il tono del cantante è risultato
vagamente distratto ed eccitato durante l'intervista. In esso ho
riconosciuto l'entusiasmo appagato di uomo che ha risolto un faticoso
interrogativo.
Appoggia una mano allo stipite della porta, godendo della
serenità nella quale è improvvisamente avvolta la
sua abitazione. Distinguo oltre la figura di Paul quella minuta ed
esile di James che imbraccia fieramente un orsacchiotto di pezza.
ricambio con slancio il suo timido saluto.
Stringo le spalle, nella disperata ricerca del tepore del mio
corpo che si disperde nell'aria londinese assieme alle raffiche di
vento.
-Sono felice di aver contribuito alla realizzazione della tua opera...
anche se in piccola parte...-
-Al contrario, il tuo aiuto è stato importantissimo per noi.
Non sai da quanto tempo dovevamo scegliere un titolo per il nuovo
album. George e i ragazzi ne saranno davvero impressionati. A questo
proposito... ho intenzione di comunicare domani mattina a Martin la
buona notizia e mi chiedevo se fossi interessata ad accompagnarmi. In
fondo, il merito di questa brillante idea è tutto tuo, e
sarebbe sgarbato non riconoscerlo. Potremmo rimandare la nostra
intervista al pomeriggio, se non hai alcun impegno.-
La corsa galoppante del cuore coinvolge le mie ciglia, che vengono
scosse ripetutamente, nel tentativo di destarmi dal sogno meraviglioso
in cui sono scivolata. Gli occhi di Paul, insistentemente fissi su di
me, non mi agevolano affatto in quel compito.
Umetto le labbra screpolate con la lingua tremante, prima di balbettare
la mia approvazione.
Mi allontano dalla villa dei McCartney, la gioia che trasfigura il
volto, con la stessa evidenza con cui lo stupore popola gli sguardi
degli abitanti della capitale che si imbattono nella mia figura,
permeata da un'improvvisa aura di serenità.
Angolo autrice:
Ok, la leggenda moooolto personale riguardo la nascita di "Tug of War"
potrebbe risultare alquanto assurda ma credevo fosse un'idea originale
per alleggerire un po' l'atmosfera del racconto. In questo capitolo
più che mai aspetto la vostra opinione.
Grazie ancora a tutti, di cuore!
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 16 *** She loves you ***
Ciao a tutte!
Sono davvero lieta che il capitolo precedente sia stato acclamato a
furor di popolo… credevo che la nascita di Tug of War fosse
un po’ campata in aria ma i vostri commenti positivi mi hanno
convinta.
In questo capitolo tratterò l’incontro di Bri con
George Martin e l’intervista a Paul nel terzo Pov.
Il rapporto fra i due si infittisce notevolmente… lascio a
voi le interpretazioni di questo particolare sentimento, che
sfocerà fra pochi capitoli… ;)
Buona lettura!
Londra
Aprile 1981
Percepisco indistintamente le mie mani scivolare lungo le ciocche
intricate dei miei capelli, improvvisamente così simili ai
miei pensieri. Essi assumono maschere irrazionali che la mia mente
riflessiva non gli ha mai permesso di indossare. Danzano freneticamente
nel mio capo, adagiandosi fiaccamente lungo le tempie doloranti, che mi
soffermo a massaggiare con i polpastrelli.
L’ennesimo sospiro riscalda le mie labbra raggelate
dall’emozione.
Rassetto il vestito, riconoscendo nelle sue lievi pieghe le rughe
appena accennate di quell’uomo che mi appresto ad incontrare.
Un uomo che ha inseminato la mia mente di sogni e speranze che,
germogliando, hanno ravvivato la mia adolescenza mancata.
Quest’ultima adombra i miei lineamenti di un velo innocente e
grazioso che si riflette nel piccolo specchio che tengo fra le mani.
Stringo fra le mani quell’unica mia espressione di
vanità, mordendomi il labbro inferiore, dimenticando per un
istante la dolcezza artificiale del rossetto. Tento invano di ordinare
la frangetta con le unghie quando avverto una mano carezzarmi la
schiena con la stessa discreta compostezza del venticello primaverile.
Una mano grande e calorosa che preme debolmente sul tessuto del mio
abito, provocando alle mie membra un brivido appagato che fatico a
trattenere. Celo quel fuggevole piacere con un lieve colpo di tosse,
voltandomi.
-Sei nervosa?- la sua affermazione sorpresa è velata da una
curiosità lieve che la rende una domanda appena
riconoscibile.
La bocca di Paul si atteggia ad un sorriso piacevolmente stupito che
pare rivolgere al terreno. Su di esso sono rivolti i suoi occhi che,
con un guizzo repentino, rivolgono la loro attenzione al mio viso. Tale
interesse provoca un'innaturale rossore alle mie gote, i cui lineamenti
tesi vengono immantinente rilassati.
Osservo il tepore dell'aria primaverile carezzare i suoi capelli, che
il vento tenta di districare. Le sue ciglia lunghe si inchinano
ossequiosamente sulla pelle distesa delle guance, in attesa della mia
risposta. Quest'ultima scivola naturalmente dalle mie labbra, senza
affrontare il confuso disordine della mia mente.
-Beh... George Martin è uno dei miei idoli adolescenziali.
Vedevo in lui il creatore della musica, credevo quasi che essa non
esistesse prima di lui. Con la sua cultura e talento ha guidato i
più grandi compositori del nostro secolo e...-
Una risata gutturale lascia intravedere la sua bianca dentatura.
Tenta di ricomporsi con un timido colpo di tosse, che si confonde nella
folla dei rumori prodotti dalla frettolosa popolazione londinese.
Osservo incantata il profilo elegante del suo naso, illuminato dal sole
che mostra orglioso uno dei suoi raggi oltre le mura di un
appartamento. Trattengo una mano, desiderosa di sfiorare ingenuamente
quel volto, la cui bellezza viene generosamente arricchita dai doni
della natura.
Le sue parole distolgono i miei pensieri da quell'analisi minuziosa.
-Beh, tutto ciò non rende certo il vecchio George un giudice
di bellezza.-
Indica con un cenno del capo la borsa dove ho riposto lo specchio.
L'imbarazzo per i miei gesti vanitosi si insinua subdolo, la chiara
intenzione di impedirmi qualunque reazione.
Sfodera un sorriso sincero, caldo e familiare come l'accento inglese
degli indefessi lavori di cui sono attorniata.
Inclina il capo ed esclama, un'espressione sincera dipinta sulle labbra:
-Non hai nulla di cui preoccuparti, sei bellissima.-
Ricambio il suo sorriso, sistemando oltre l'orecchio una ciocca ribelle
che insegue un'improvvisa raffica di vento, come un'amante affezionata.
Paul si introduce negli studi di registrazione con un vivace
fischiettio. Rallento il passo, intenta a saggiare con la punta dei
piedi il pavimento lucido e con gli occhi le pareti alte e spaziose.
Queste ultime invitano la mia attenzione a perdersi nel loro candore.
Dalle mie labbra schiuse sguscia un celere gemito incantato, il cui
flusso tento di interrompere con una mano. Essa sosta per un istante
sulla bocca, prima di scivolare lungo il fianco.
Oltre una lunga parete vetrata scorgo un uomo dai capelli chiari che
corruga la fronte, intento a regolare l'acustica di alcuni strumenti.
-Sempre al lavoro, eh Martin?-
L'ironica domanda di Paul causa un movimento repentino al capo
dell'uomo, la cui espressione stupita assume i morbidi connotati della
serenità.
Strofina le mani e si avvicina a noi, permettendo alle rughe
d'espressione di infittirsi sulla sua fronte già lievemente
increspata dal tempo incalzante.
-Ehi, Paul, non ti aspettavo così presto. Hai avuto uno di
quei tuoi lampi di genio che mi fanno impazzire?-
George Martin sorride incuriosito dal mio viso sconosciuto, sul quale
si soffermano i suoi occhi. Concentra la sua attenzione sul mio abito,
puntellando la punta della lingua contro la parete interna della
guancia.
-Chi ho l'onore di conoscere?-
Tende la mano verso di me, i suoi lineamenti tesi in un'espressione
ingenuamente maliziosa.
Il mio sguardo è rapito dai calli che tentano di celarsi
oltre le pieghe dei suoi palmi. I solchi impressi nella sua pelle dalle
corde della chitarra, imbracciata nei lunghi anni di lavoro, suscita
una profonda ammirazione.
Scuoto le palpebre e alzo gli occhi, incontrando i suoi. Una balbuzie
lieve altera le mie parole eccitate.
-Io... io sono Brianna Richards e... mi occupo di un progetto...
giornalistico assieme... assieme al signor McCartney e...-
Deglutisco, la schiena coinvolta in un brivido freddo.
Quest'ultimo viene riscaldato dal tepore del braccio di Paul, avvolto
attorno alle mie spalle. Le sue dita affusolate premono debolmente
sulla stoffa dell'abito, irrigidendo le mie membra. Attira
amichevolmente il mio corpo contro il suo, provocando un improvviso
affanno al mio respiro regolare.
Sorrido timidamente al suo tentativo di soffocare in un abbraccio la
mia vergogna all'incontro con George Martin.
Termina la mia frase con una sicurezza invidiabile.
-...ed è la creatrice del titolo per il nostro nuovo album,
oltre che una tua grande ammiratrice.-
-Non credo di aver capito... hai trovato il titolo per l'album?-
-Non io, Brianna. Mi ha offerto il suo personale concetto di
interpretazione della vita di un cantante attraverso i suoi
componimenti, facendomi riflettere sulla nascita del nostro lavoro e
conducendomi al titolo perfetto.-
Paul attende un istante, beandosi dell'espressione tanto confusa quanto
sopresa del produttore.
Scioglie il mio busto dal suo abbraccio, permettendo al suo calore di
disperdersi. Al contrario, trattiene le labbra, le palpebre frementi.
George incrocia le braccia, spazientito.
La risposta a quel gesto stizzito viene offerta prontamente da Paul.
-Tug of War. Che ne pensi?-
Martin dirige l'attenzione prima all'amico poi a me.
-Sono certo che lo troverò più convincente se la
signorina Richards me ne chiarirà l'origine.-
Inspiro profondamente prima di cominciare una titubante spiegazione.
Martin mi osserva con particolare attenzione, gli occhi chiari che si
soffermano sui tratti del mio viso prima di scivolare sulle gambe. Con
quel repentino movimento oculare pareva desideroso di interpretare la
mia personalità, accuratamente celata.
Attende pazientemente il termine del mio discorso, un'espressione
soddisfatta sul volto, nel quale riconosco i ricordi di un passato
glorioso.
Allarga le braccia, piacevolmente sorpreso.
-Le sue parole sono davvero interessanti Mrs Richards e sono felice che
abbia deciso di mettere a disposizione la sua importante opinione. Ne
faremo certamente tesoro.-
Giungo le mani davanti al mento, l'euforia travolgente lascia danzare
le dita contro le compagne.
George condivide il mio sorriso spontaneo, accompagnato da un sospiro
che colma lentamente il petto.
-Purtroppo non credo di sapere come ricambiare...-
Paul rischiara rumorosamente la gola, attirando l'attenzione dei
presenti. La sua bellezza pare decisa a mostrarsi prepotentemente
attraverso gli occhi, illuminati da un cenno di maliziosa
consapevolezza che spodesta la mia razionalità.
Passa la lingua sulle labbra, incatendo il mio sguardo al suo.
Assaporo le sue parole che, come un unguento caldo, scivolano sulla mia
pelle.
-Io avrei un'idea...-
_______
-Io...io non so davvero cosa dire, Paul, sono... bellissime!-
Brianna scosta i capelli dalla fronte, aiutata dal vento che non sembra
intenzionato a liberare Londra dal suo possente abbraccio. Anche se
caloroso e famigliare quest'ultimo dona un innaturale gelo alla
stagione primaverile, che pare accontentarsi di rivolgere solo un
timido saluto all'Inghilterra.
Sistemo il cappotto per proteggermi dalle fastidiose dimostrazioni
d'affetto di quell'amico insistente. Rivolgo una rapida occhiata alla
figura tremante di Brianna, le cui braccia sono avvolte attorno al
corpo nel tentativo di trasmettere a quest'ultimo un po' di calore. Gli
occhi ancora arrossati dalle lacrime di commozione vengono
impietosamente flagellati dalle raffiche fredde. Sospira infastidita,
le mani affaccendate sulle ciocche ribelli. L'apprezzamento per la sua
ricompensa è ancora impresso sul suo volto raggiante. La mia
decisione di farle ascoltare anticipatamente rispetto al pubblico le
canzoni inserite nell'album, provocò in lei un risolino
eccitato che non provò neppure a contenere. Riascoltando
assieme a lei i miei componimenti ho preso la decisione improvvisa di
lasciar assumere ad uno di essi lo stesso titolo dell'album, causando a
Brianna un orglio senza eguali. "Here Today" ha impregnato il suo cuore
di malinconici sentimenti e i suoi occhi di lacrime che hanno profanato
il candore del suo abito. Il ricordo di John è
rimasto intrappolato per alcuni minuti nel suo pianto silente.
L'immagine di quell'uomo al quante ho dedicato la mia recente canzone
si riflette ancora negli occhi lucidi della sua ammiratrice, che
sembrano averne osservato personalmente i lineamenti duri e
pronunciati. Differenti da quelli di Brianna, dolci e distesi, rivolti
al cielo plumbeo, che lasciava scorgere a tratti alcuni raggi di sole.
Essi prediligono il viso della ragazza, sul quale si adagiano,
adattandosi al suo profilo. Non riscontro alcuna somiglianza con sua
madre, la cui figura pallida e fragile mi ha ingenuamente ricordato
quella coraggiosa e composta della ragazza del mio passato travagliato.
Quella ragazza che ora sopravvive solo nei miei ricordi,
così diversa da Brianna nell'aspetto eppure così
simile nel rossore che, in epoche diverse, ha tinto le guance di
entrambe dello stesso imbarazzo. Ma forse questa è
l'espressione della vergogna femminile negli animi riservati.
Il nasino accetta passivo l'impetuosità del vento
così come le mani raggrinzite.
Sussulta, permettendo ai capelli scuri di fluire nella modica
scollatura dell'abito. La pelle perlacea del seno è percorsa
da numerosi brividi che sembrano coinvolgere anche le mie spalle.
Deglutisco, preda di un anomalo desiderio che rifuggo immediatamente.
-Ti sono piaciute davvero?-
-Scherzi?! Sono meravigliose! Aggiungerò volentieri un altro
dei tuoi album alla mia collezione...-
Abbassa il capo, incapace di sostenere il mio sguardo.
-Io credo... credo che i tuoi componimenti posseggano la forza
prorompente della canzone e quella delicata della poesia. Non ho mai
considerato in questo modo un cantante e... accidenti, probabilmente
tutto questo sembrerà stupido ma... credo che le tue canzoni
possano risollevare l'animo di chi le ascolta dalle sue naturali
preoccupazioni... con me è accaduto...-
Assaporo con le orecchie la sua voce titubante e con gli occhi la sua
espressione sincera. Il ricordo del padre, ancora costantemente
presente nella sua mente, inumidisce gli occhi castani. Afferro
dolcemente il suo mento fra le mani, il pollice poco lontano dalle sue
labbra schiuse. Tento di infonderle tranquillità grazie a
quella grande dote comunicativa che Brianna mi conferisce.
-Ora tocca a te risollevare il mio animo dalle sue naturali
preoccupazioni, Brianna Richards.-
Lancio un'occhiata complice verso la borsa a tracolla, che riposa
contro il suo fianco, dove è custodito il suo materiale
lavorativo.
Sorride, deponendo temporaneamente le armi che da anni impugna durante
la pressante lotta contro il passato.
_______
"è un onore per me avervi ospitati nel mio programma. Spero
di ricervi ulteriormente in futuro. Oh, è stato tutto
davvero perfetto: devo confessare che non mi sono mai divertito tanto!
Per la prima volta da anni ho permesso a questa vecchia carcassa le
gioie del ballo! E sulle note di 'Twist and Shout' per giunta!
Accidenti, quanta grinta, quanta energia in quella canzone! Benedetta
gioventù, è questo il mondo in cui voglio
invecchiare! Un mondo in cui i giovani esprimono il proprio talento e i
poveri vecchi come me possono permettersi il lusso di ascoltarli e
rallegrarsi! Dico bene, ragazzi?-
Le parole inizialmenente intimidite del presentatore assumono
un'euforia contagiosa che dopo alcuni istanti assopisce la mia mente,
riducendola ad un raggruppamento informe di pensieri che non riesco a
decifrare. Sorrido, fingendomi interessato, causando alcuni applausi
sconnessi dalle ragazzine altrettanto confuse del pubblico che assumono
atteggiamenti scomposti ad ogni mia parola. Trattengo un
sospiro causato dal soliloquio dell'uomo e rivolgo una silente
richiesta d'aiuto ai miei amici, ognuno perso nei propri pensieri.
George soffoca una risata con la mano, con la quale finge di
massaggiare la mascella.
Ringo alza gli occhi alle luci artificiali dello studio,
così diverse da quella naturale del sole che ama assaporare
nei giorni estivi. I suoi occhi azzurri mi osservano dai cartelli,
sorretti con difficoltà da alcune ragazze, su cui sono stati
riprodotti fedelmente in un disegno che tradisce però
l'inesperienza del suo autore.
John lancia occhiate provocatorie alla valletta che attende il
conduttore poco distante. La fanciulla schiude la bocca in un gesto
malizioso, rimandando i bollenti desideri del giovane con un cenno
discreto della mano che nessuno tranne me pare notare. John le risponde
con un sorriso vittorioso.
Saluto garbatamente il presentatore e il pubblico che accoglie il cenno
della mia mano con un boato. Mi dirigo oltre lo studio, seguito dai
ragazzi.
-Una volta arrivato in albergo dovrò smaltire tutte le
chiacchiere di quel tizio con un bella dormita.-
esclama George, tendendo le braccia oltre la schiena, nel tentativo di
sciogliere le membra rattrappite.
-Credo che seguirò il tuo esempio, Geo.-
Ringo fatica a trattenere un sonoro sbadiglio.
-Io questa sera sono impegnato in faccende ben più
importanti.-
-Fammi indovinare, Lennon: una donna?-
-Non credo che John considererebbe importante qualcosa che non siano le
donne.-
-Taci, Starkey!-
-Allora dicci, Lennon, chi sarebbe la vittima?-
-Ho notato subito che la valletta del programma era il mio tipo e...
beh, abbiamo scambiato qualche parola durante le pause pubblicitarie
e... non ha saputo resistermi. Ci vediamo da lei alle nove. Sento che
sarà una serata... sorprendente!-
Le ultime parole di John sono accompagnate dal fumo che scivola copioso
dalla sigaretta che stringe fra le dita. Una risata sommessa vaga fra i
ragazzi, senza coinvolgermi.
Le mie labbra serrate lasciano sfuggire un'unica frase.
-Non dovresti farlo...-
-Cosa?!- esclama John, i bei lineamenti stravolti dallo stupore.
-Non dovresti farlo, John. Insomma... Cynthia ti vuole bene e i tuoi
continui tradimenti la stanno sfiancando. Non riesci proprio
a capire che il tuo comportamento potrebbe compromettere il tuo
matrimonio?-
Aspira una boccata profonda, chiudendo gli occhi, assaporando quel
piacere e forse immaginando quello di cui godrà presto.
-Il piacere è decisamente migliore dell'amore. La sua natura
fuggevole lo rende paradossalmente più solido del
matrimonio, la cui monotonia annoierebbe. è un'idea di quel
tizio irlandese che ha passato la sua vita a decantare la bellezza in
ogni sua espressione(1)... sei ancora piccola per capire principessa,
ma vedrai che presto condividerai questo mio pensiero. Non
c'è nulla di più appagante del peccato, fidati.-"
-Lo compresi presto, più in fretta forse di quanto John
potesse immaginare. A causa delle sue parole trovai il coraggio di
tradire Jane, non so in quale anfratto oscuro della mia coscienza.
Probabilmente quello in cui non c'è posto per la
razionalità, quello che viene sconvolto da una sensazione
effimera che si diparte in ogni fibra dell'essere umano, impedendo
qualunque ragionamento. Quella era una delle regioni della sua mente
che John preferiva e che alimentava senza posa. Tradì
Cynthia con molte donne ma una volta incontrata Yoko,
riscoprì le meraviglie dell'amore e l'appagamento della
reciproca fedeltà. Non lo vidi mai così felice
come il giorno in cui mi fece conoscere Yoko. Nei suoi occhi brillava
una luce diversa da quella maliziosa e sprezzante che aveva
indossato quel giorno in seguito alle riprese per quella trasmissione
televisiva. Credo sia questa la grande possibilità che
l'età adulta offre all'uomo; riflettere sui propri errori ed
affrontare la vita in modo diverso. John ha saputo cogliere
quest'opportunità a differenza di molti altri.-
Paul pare rivolgere le proprie parole a un grande pino che ci osserva
insofferente ad un'estremità del parco nel quale ha
desiderato condurmi. Il vento si è placato e il sole sembra
reclamere i propri diritti sulle nubi dense e scure. La
tranquillità del luogo in cui Paul ha deciso di proseguire
l'intervista viene interrotta soltanto dal cinguettio di alcuni passeri
che lasciano saettare la loro figurina scura e minuta nel cielo. I
movimenti concitati delle ali vengono attentamente osservati dagli
occhi sgranati di alcuni bambini, le cui bocche paiono eternamente
atteggiate ad un'espressione stupita.
Lancio un'occhiata furtiva al registratore che ho tentato di sistemare
sulla panchina. La sua notevole mole non infastidisce affatto i nostri
corpi, seduti compostamente.
Accavallo le gambe e trascrivo gli ultimi appunti riguardanti lo
sguardo vacuo che il cantante rivolge al paesaggio, con cui arricchire
il mio lavoro.
Ricevo con un gemito sopreso il calore improvviso del sole, inarcando
le sopracciglia.
Incrocio le braccia sul petto e osservo con un sorriso amaro un bimbo
rincorrere un pallone, seguito dalle carezze premurose di una donna
formosa.
-La vita è stata davvero crudele con John; gli ha donato la
possibilità di trascorrere pacificamente un'esistenza, alla
quale il destino stesso ha posto fine così bruscamente.-
-La vita è stata generosa con me, ma attendo all'erta uno
degli inganni tipici della sua natura infida.-
Spengo il registratore, inserendolo nella borsa assieme al plico di
fogli che ho trattenuto in grembo.
Inspiro avidamente il suo profumo, prima di rialzarmi.
-è così bello qui...-
Esclamo con un sospiro sognante, scuotendo le spalle.
-Una piccola isola tranquilla nel vasto oceano londinese...-
replica l'uomo con un sorriso.
Un gridolino acuto smuove i miei pensieri sereni, occupando interamente
la mia attenzione. Mi volte repentinamente verso il luogo della sua
provenienza. Una signora dalle curve pronunciate quanto il naso
importante sul quale troneggia un paio di occhiali, copre la bocca con
le mani, un'espressione eccitata sul volto.
Deglutisce rumorosamente, il volto impietrito dall'emozione, a
eccezione delle mani che tentano di ordinare i capelli cotonati. Indica
Paul con l'indice ossuto, una risata smorzata nella gola.
La voce arrochita della donna articola alcune parole stupite.
-Ma... ma lei.. lei... McCartney... Paul... Paul McCartney!!!-
La gioia della signora è espressa da una breve corsa nella
nostra direzione, il respiro affannato interrotto da alcune parole
concitate.
-Oh mio Dio! O... mio... Dio!!! Lo sapevo, lo sapevo io che prima o poi
l'avrei incontrata, Sir! Ma non credevo in un posto come questo...
credevo piuttosto in uno dei suoi favolosi concerti... A quando il
prossimo?! Spero sarà vicino a Newcastle, il mio luogo
d'origine... sa, sono qui solo per una vacanza nella quale non avrei
mai creduto di imbattermi in lei! Proprio lei! Deve sapere che da
ragazza...-
La donna ignora la mia presenza, il volto accaldato e le labbra rosse.
Recupero la borsa a tracolla e mi allontano discretamente, permettendo
all'ammiratrice di prendere il mio posto e osservo per un istante la
scena, cercando di guadagnare un istante di silenzio per salutare Paul.
Ma le parole della signora paiono come un fiume in piena pronto a
colmare con il loro sentimento gli occhi improvvisamente luminosi del
cantante.
Scruto il volto di Paul, che annuisce malinconico ai precisi ricordi
della donna riguardo la sua carriera passata.
Il sorriso orgoglioso di Paul incontra il mio, timido e quasi
impercettibile.
Strizza l'occhio verso di me, con aria complice, un saluto particolare
che scuote quel mio desiderio profondo, al quale non permetto di
emergere. Mordo il labbro inferiore, lusingata da quell'attenzione e mi
dirigo verso l'uscita del parco. La voce dell'ammiratrice di Paul
raggiunge ancor più infervorata le mie orecchie, sovrastata
soltanto dagli schiamazzi di alcuni ragazzini che osservano con
avidità un pallone che pare celare il segreto
delle loro gioie puerili.
(1)Trattasi di Oscar Wilde, uno dei più grandi esteti del
XIX secolo, nonchè uno dei miei maestri letterari.
Angolo autrice:
Ciao bellissime!
Allora, che ne pensate del nuovo capitolo?
Anche in questo il rapporto fra i nostri protagonisti pare consolidarsi
ed entra in gioco un'attrazione fisica evidente. Da parte di Brianna
(come disse una mia lettrice che saluto con un forte abbraccio)
è anche comprensibile. Chi non proverebbe un improvviso
arresto cardiaco di fronte a Paul? A mio parere Bri sta sta resistendo
persino troppo... XD
Ma Paul... beh, lascio a voi la possibilità di scoprire il
suo futuro atteggiamento nei confronti di Bri.
L'intervista prosegue e devo dire che sono piuttosto soddisfatta del
mio lavoro in questo capitolo. In esso ho voluto lasciare indossare a
John i panni di un cinico Lord Henry (chi ha letto "Il ritratto di
Dorian Gray" mi capirà :D) che trova redenzione nel futuro.
Grazie ancora a tutte per il supporto.
Peace&Love
Giulia
Ps: devo informarvi che la prossima settimana non potrò
pubblicare, in quanto riceverò a casa una ragazza americana
per l'home stay. Probabilmente potrò postare solo fra due
settimane. :\
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Capitolo 17 *** La proposta ***
Hey,
ragazze!
Sono
finalmente tornata, con un po’ di amarezza a causa della mia
deludente
esperienza riguardo l’home stay ma con un grande desiderio di
soddisfare le
vostre aspettative con questo mio nuovo capitolo.
Anche
questa volta l’intervista procede senza intoppi ma Brianna
rivolgerà a Paul una
richiesta… particolare.
Vi
lascio con un ringraziamento speciale; se sono arrivata fino a qui lo
devo
soprattutto a voi, lettori indefessi, che non vi siete ancora annoiati
della
mia storia. Grazie per tutto!
Londra Maggio
1981
“-Allora
che ne pensi, John? Potrebbe
funzionare?-
L’estremità
ricurva della matita delinea
il profilo delle mie labbra condotta dalle dita, impegnate in un gesto
pensoso.
Esso è l’unica espressione dei miei pensieri
confusi che rifuggono l’attenzione
di John, il quale tenta di coglierli oltre il velo opaco che si dipana
sui miei
occhi. Questi ultimi vagano incerti sul foglio che riposa sul mio
grembo,
riconoscendo senza difficoltà in quelle parole vergate
rapidamente il
sentimento con cui sono state realizzate.
Nella
mia mente una melodia incorporea
predomina fra i pensieri, cullando le strofe ancora acerbe e prive di
un
giaciglio musicale sul quale riposare.
Una
piacevole brezza increspa la
superficie dell’acqua, accompagnandola placidamente lungo i
bordi della
piscina. Lo stesso venticello pare intenzionato a sedurre i miei
capelli, da
esso sospinti. L’aria tiepida riserva maggior accuratezza al
capo di John, che
carezza pazientemente. Le sue ciocche scure scivolano sul profilo
pronunciato
della fronte distesa, oltre la quale alcun pensiero pare agitarsi. Gli
occhi
schiusi fremono debolmente a causa del sole impertinente, che costringe
le
palpebre di John ad abbassarsi repentinamente su quel cielo turchino,
oggetto
dell’attenzione del ragazzo. Egli inarca la schiena,
incontrando con le spalle
il legno resistente della sedia, sulla quale abbonda fiaccamente le
proprie
membra con un sospiro.
Ripropongo
il suo gesto, imitandone
ironicamente l’indolenza.
-Il
tuo contributo è davvero prezioso,
Lennon, ti ringrazio.-
John
porta una mano alle tempie,
ripercorrendo poi con le dita la curva del naso e massaggiando gli
angoli degli
occhi.
-Scusami,
Paul, non ti stavo ascoltando…-
-Me
ne sono accorto. Dovresti farlo, sai?
Dobbiamo pur produrre qualcosa per il nostro album e avrei bisogno del
tuo parere
sui miei testi, se non ti dispiace…- La mi lieve irritazione
traspare dalla
voce, che ristabilisco con un rapido colpo di tosse.
John
deglutisce, reclinando il collo
verso lo schienale, il mento rivolto alle nubi che paiono ignorarlo.
Invidio la
oro indifferenza verso quel volto incantevole proteso verso di loro.
Un
sospiro insoddisfatto scorre oltre le
sue labbra sottili, gonfiando le gote rosate. Scaccia con un movimento
stizzito
della mano la mia protesta.
-Accidenti
McCartney! Sì, lo so, lo so
perfettamente! Il fatto è che adesso… adesso non
riesco a concentrarmi su nulla
che non sia la mia fottuta situazione!-
John
irrigidisce la mascella, in cui il
nome di Cynthia pare irrimediabilmente intrappolato assieme a quelle
parole
d’amore che da tempo John non rivolgeva più alla
moglie. Le urla frustrate di
quest’ultima paiono ridondare nei ricordi del ragazzo,
così inopportuni da
costringere il proprio padrone a scuotere severamente il capo. Mi
avvicino a
lui, tralasciando la ruvidezza dei miei appunti per abbandonarmi alla
carezza
della sua mano morbida e affusolata. Questa, artigliata al bracciolo,
sembra
intenzionata ad impedire al corpo di John di essere travolto dalla
tempesta di
emozioni che lo travolge. Mi inoltro cautamente in quella bufera,
percependone
l’irruenza attraverso il respiro smorzato di John, sovrastato
dal mio.
-Mi
dispiace, John. Sai bene quanto il
tuo… il tuo divorzio mi addolori ma…dobbiamo
lavorare. La musica ti ha sempre
aiutato, perché non dovrebbe farlo ora?- Il mio sorriso
incoraggiante non
coinvolge la sua bocca, incurvata in un’espressione
insoddisfatta.
-Perché
non riesco a sentirla! Non riesco
a percepirne la forza e la vibrazione acuta che percorre il mio corpo.
Perché
nella mia mente non trovo spazio per le mie melodie ma soltanto per le
carte
della separazione che Cyn mi ha promesso di inviare al più
presto! E Julian?
Che ne sarà del mio bambino? Sono stato un’idiota
ad innamorarmi di Yoko, Paul,
un idiota!-
Percorre
con le dita i capelli sudati,
alzandosi dalla sedia, le gambe affaticate reggono a malapena le sue
membra
spossate.
Sfioro
con la mano la sua spalla
fremente.
-Hai
fatto ciò che ti suggeriva il cuore,
John? Tu ami Yoko, non è vero? Allora devi assumerti le
responsabilità che
questo tuo sentimento scaturisce.-
-Io
non voglio responsabilità, Paul! Io
vorrei tornare ad essere il piccolo delinquente che si aggirava per le
strade
di Liverpool e non
aveva nessun
matrimonio da salvare, nessun figlio da crescere, nessuna amante da
sedurre e
nessuna carriera da mantenere invidiabile! Io vorrei…-
Si
rischiara la voce che mantiene la sua
rochezza.
Distinguo
in quegli occhi che mi
osservano con attenzione una profonda e rabbiosa malinconia, tipica di
un uomo
viziato che riconosce amaramente l’irremovibilità
del passato, il quale non
cede neppure al suo volere.
-Vorrei
poter tornare a Liverpool e
rivivere almeno per un giorno quell’adolescenza spensierata,
prima di affogare
nuovamente nel presente.-
Appoggio
il mento sulla sua spalla,
percependo la stoffa aderente della sua camicia, sbottonata sul petto.
I lembi
del tessuto assecondano i capricci del vento estivo.
-Che
ne dici di tornare a Liverpool, una
volta terminato l’album? Forse l’aria familiare
della nostra città aiuterà i
tuoi pensieri a sgomberare la mente. E chissà se, per un
giorno, non potremmo
tornare gli adolescenti scapestrati di un tempo?-
Ricambia
la mia occhiata complice con un
sorriso amichevole, che rivela la dentatura candida e regolare. Sfrego
amorevolmente il naso contro il suo collo, provocando nella sua gola
una risata
gutturale che scuote le mie membra.
-Grazie,
principessa.-
Volta
il capo verso di me, mentre offro
un’affettuosa pacca sulla sua schiena possente,
improvvisamente in grado di
sopportare il peso della vita che grava su di essa.
Recupero
i fogli degli appunti dalla
sedia e li porgo a John con un’espressione ironica che si
riflette sui suoi
lineamenti.
-Ora
che ne dici di aiutarmi con la
canzone?-“
-E
hai mantenuto la tua promessa?-
-Non
ci sono riuscito. A volte le incombenze della vita non permettono la
realizzazione di simili progetti. Quell’anno il successo
provocato dalla
pubblicazione di “Revolver” occupò
appieno le nostre giornate e la nostra mente.
Quest’ultima risultò talmente affollata da
relegare in un anfratto remoto
quell’antica promessa fatta a John, il quale l’anno
dopo divorziò ufficialmente
da Cynthia. Il suo orgoglio gli impedì di rammentarmi
l’impegno assunto con lui
in quel giorno di Giugno ai bordi della piscina nella sua casa a
Weybridge.
Credette di poter sopportare le sue delusioni famigliari da solo e fu
certo di
esserci riuscito. Chissà, forse accadde davvero. Non sono
mai riuscito ad
esplorare appieno la mente di quell’uomo dalle idee
così limpide e cristalline
e i pensieri cotanto ombrosi.-
Spengo
il registratore, avvertendone il calore vibrante oltre la superfice
fredda.
Sfioro i tasti con i polpastrelli mentre lo strumento pareva rilassarsi
al
contatto con la mia pelle, come un ascoltatore attento al termine di
un’importante conferenza. Alzo
gli occhi
su Paul, il cui sguardo pare attratto dalle tende, fruscianti contro la
finestra del suo studio. Passa una mano fra i capelli, come a saggiarne
la
morbidezza , rivolgendomi uno di quei sorrisi che alleggeriscono il mio
cuore
da ogni sentimento, popolandolo di un desiderio tanto vorace quanto
peccaminoso.
Schiudo
le labbra quando il lieve sospiro del vento smuove le sue ciocche
ambrate
conducendole sulla fronte aggrottata, come guidandole in
un’incoraggiante
carezza verso quel capo colmo di ricordi.
Lascio
scorrere la matita sulle pagine riposte in grembo, intenzionata a
rapire
l’immagine meravigliosa del suo viso sulla carta attraverso
parole frettolose e
scomposte.
Porto
una mano al mento, senza distogliere gli occhi da quelli di Paul, che
ricambiano il mio interesse, incuriositi.
Assecondo
il rossore vergognoso che mi imporpora le guance , abbassando il capo,
mentre
permetto ad una acerba idea di maturare nella mia mente.
-Qualcosa
non va?- Esclama con gradita premura, la voce melodiosa che irrompe nel
silenzio dello studio. Raccolgo i capelli dietro le orecchie, umettando
le
labbra con la punta della lingua mentre Paul segue attentamente i miei
gesti
con gli occhi.
-Nulla,
stavo… pensando che…- deglutisco, visibilmente
imbarazzata. Tale disagio viene
attutito dalla flebile carezza delle mani di Paul, timidamente
intrecciate con
le mie. Un raggio di sole sfiora silenzioso le sue dita, come un
impacciato
ammiratore, avvolgendone la pelle in un caldo abbraccio.
-Pensavi
cosa?-
-Pensavo
che… forse potresti ancora mantenere quella
promessa…-
Reprimo
un gemito infastidito nell’istante in cui adagia il corpo
allo schienale della
poltrona, liberando i miei palmi dalla sua piacevole stretta. Le sue
mani ora
sono impegnate nel massaggio pensoso della mascella.
-Cosa
intendi dire?-
Ripongo
il plico di fogli nella borsa e scuoto le spalle.
-Insomma,
credo che… che una gita a Liverpool potrebbe liberare la tua
mente e aiutarti a
ricordare più dettagliatamente
la tua
adolescenza trascorsa con John, episodi con i quali poter arricchire
l’intervista.
E potresti portare con te John in quel luogo dove avevi promesso di
condurlo,
anche se non fisicamente. Credo che John lo apprezzerebbe.-
Il
suo volto si adombra e le sue labbra articolano parole incomprensibili.
Solo
alcune frasi giungono chiare alle mie orecchie.
-Io…
non credo di riuscirci… Liverpool… in quella
città ho troppi ricordi di lui e…
non sono certo di riuscire ad affrontarli….-
Si
avvia verso la finestra, liberando il collo dalla morsa che i primi
bottoni
della camicia effettuano sulla pelle. Il respiro diviene affannoso e la
pelle
sudata riluce
contro il sole.
Lo
raggiungo intimorita dalle emozioni che sconvolgono i suoi lineamenti.
Stringo
le mani a pugno lungo i fianchi mentre la sua fronte si increspa come
le pieghe
del mio abito sui fianchi.
Alzo
il mento ed esclamo:
-Credo
che lui vorrebbe che il suo ricordo venisse affrontato. Non credo che
seppellirlo farebbe scemare il dolore. Tornare a Liverpool sarebbe
molto
importante per la nostra intervista e anche per te stesso. E forse
ritornare
per un istante l’adolescente di un tempo potrebbe aiutarti a
superare il tuo
dolore proprio con la stessa efficacia con cui speravi accadesse a
John.-
Paul
volta il capo verso di me, i capelli scivolano indisturbati sulla
spalla.
La
fronte si incurva accompagnata dalle sopracciglia scure, che gravano
sugli
occhi grandi. Le labbra carnose e schiuse paiono intenzionate a
lasciare
sfuggire parole malevole riguardanti la mia presunzione. La
consapevolezza del
mio comportamento arrogante colma i miei occhi di lacrime e la mia
mente di un
rimorso sottile ma affamato di qualunque altro mio pensiero. Sospira,
il suo
rimprovero ormai prossimo riempie i polmoni e sarebbe scivolato
attraverso il
respiro se non fosse intervenuta la mia voce, lieve e arrocchita,
velata di
riconoscibile pentimento.
-Io…
mi dispiace tanto, non avrei dovuto imporre il mio pensiero
così, io…-
Recupero
la borsa e mi avvio verso l’uscita accompagnata da una
personale considerazione
che Paul ode chiaramente.
-Non
imparerò mai…-
-Brianna.-
Il
suo richiamo mi costringe a voltarmi mentre il labbro sanguinante
diviene preda
dei miei denti.
Riconosco
con difficoltà il sorriso di Paul attraverso il velo di
lacrime che si dipana
sui miei occhi. Il suo volto offuscato dalla mia tristezza rivela la
sua
serenità che accolgo con un gemito sorpreso.
Sobbalzo
indispettita quando le sue dita asciugano e mie lacrime e premono sulle
mie
gote rosee.
Assaporo
le sue parole confusamente grate, così diverse dal
rimprovero che ho atteso con
cotanta preoccupazione.
-Se
quella che tu definisci immodestia mi dona consigli così
saggi ti prego di non
imparare mai ad essere opportuna.-
Una
pausa ricca di sottintesi che forse solo io ho colto.
-Grazie,
Brianna-
_________
I
miei polpastrelli aggrediscono i tasti del pianoforte che cedono blandi
alla
pressione delle mie dita. Chiudo gli occhi mentre la musica rapisce i
miei
sensi, ammaliando la mia voce, che articola le parole della mia nuova
canzone.
Essa produce un brivido lungo la mia schiena simile a quello causato
dallo
sgradevole vento che spesso imperversa su Liverpool. Il profilo di
quella città
provoca in me una sensazione spiacevole, che riconosco come rimpianto
simile a
quello che la sola immagine di lei mi scaturisce.
Il
rimpianto di non aver trascorso tutta la mia gioventù a
Liverpool con John.
Il
rimpianto di non averlo ricondotto in quel luogo che desiderava
visitare
nuovamente con me. Con quell’amico che ora teme persino il
suo ricordo.
Quest’ultimo scivola dalla mia mente per accorparsi alle note
che saturano il
salone. La melodia e la figura incorporea di John che danza sulle note
da me
prodotte si affievolisce, soffocata da un altro suono, reale e
concreto. Esso
mi riscuote a fatica da quell’improvvisa fantasia, divenuta
la culla dai miei pensieri.
Alzo
gli occhi sul corpo di Linda, adagiato allo stipite della porta, le
braccia
conserte sul petto e in volto un’espressione sodisfatta che
neppure gli anni
trascorse con lei mi hanno insegnato a decifrare. La combinazione
adatta a
rivelare la cassaforte delle sue emozioni risiede in
quell’ambiguo sorriso che
non riesco a decifrare. Mi abbandono a quella mia
incapacità, strabuzzando gli
occhi incuriosito.
-A
cosa devo tutta questa allegria?-
-Ad
una meravigliosa notizia.-
Linda
si avvicina a me, puntellando l’interno della guancia con la
punta della
lingua.
-Anche
io ho una notizia da darti.-
-Prima
io.-
Esclama,
una gioia puerile negli occhi. La stessa ingenuità viene
riproposta dalle
efelidi, che subiscono passive la luce artificiale delle lampade. Tale
innocenza viene profanata da un gesto malizioso che conduce il corpo di
Linda a
cavalcioni sul mio. Le sue mani intrappolano le mie braccia oltre la
schiena e
il mio volto viene scandagliato dai suoi profondi occhi scuri.
Così
simili a quelli di Brianna…
Le
parole di Linda scacciano quell’istintivo raffronto.
-Una
nota direzione giornalistica inglese aveva urgente bisogno di una
fotografa
esperta e dalla fama invidiabile a cui affidare un servizio musicale
poco
lontano da Londra. Indovina a chi è stato affidato
l’incarico?-
La
mia attesa della risposta fu soddisfatta a breve dal tono concitato di
Linda.
-Alla
tua splendida mogliettina! Sono stata contattata oggi pomeriggio da un
uomo
distinto che, nonostante fosse al corrente del mio mancato esercizio
della
professione in questo periodo, necessitava di una fotografa famosa e
affidabile
in quanto l’importanza del suo prossimo servizio risulti
notevole. Mi ha
promesso un lauto compenso se mi presenterò alla redazione
nel fine settimana.
Mi ha promesso che l’incarico comincerà
venerdì e occuperà solo pochi giorni e
si è scusato enormemente per aver disturbato “la
signora McCartney”. Io ho
accettato ovviamente! Ero certa che il mio dolce consorte non avrebbe
avuto
nulla in contrario, non è vero?-
Linda
libera un bacio sul mio naso, esplorando con le mani i miei capelli. Le
sue
dita sulla mia pelle fremono di un’eccitazione che non stento
a riconoscere.
Inarco
le sopracciglia, piacevolmente sorpreso prima di esclamare:
-La
tua fama non si è affievolita con il tempo, amore. Sono
davvero felice di
sapere che le gradi Stampe contino ancora su di te.-
-Non
ti mancherò neppure un po’?- sussurra al mio
orecchio, una malizia inusitata
nella voce roca. Cercai inutilmente all’intorno i panni
materni svestiti
rapidamente da Linda, ansiosa di indossare quelli intimi e passionali
della
moglie che aveva riposto accuratamente da parecchio tempo. La donna
adagia le
labbra umide sul mio collo, senza provocare in me l’usuale
fremito causato dai
suoi baci caldi. La mancata reazione del mio corpo mi indispettisce,
costringendomi a rispondere alla sua ambigua domanda.
-Almeno
il momento della nostra separazione sarà più
facile da sopportare in quanto
venerdì pomeriggio non dovrò affrontare la
malinconia di una casa priva della
tua incantevole presenza.-
Linda
fissa gli occhi dei miei, scuotendo le ciglia,
nell’impaziente attesa di un chiarimento.
I capelli chiari ricadono diligentemente sul seno, che si muove
affannosamente.
Tale respiro affaticato è prodotto dalla bocca, scarlatta
quanto le guance e
protesa verso di me.
-Brianna
mi ha proposto una gita a Liverpool venerdì pomeriggio, con
lo scopo di
arricchire l’intervista.-
Una
preoccupazione quasi materna si insinua nella maschera sensuale del suo
viso,
una famigliare e gradevole intrusa.
-Sei
sicuro di farcela?-
Massaggia
le mie spalle con le mani, con la stessa energica cautela che si offre
alla
guarigione delle ferite infantili.
Ma
la mia ferita non è affatto così superficiale e
temo che le carezze di Linda
non possano giungere a lei.
Annuisco
con aria grave:
-Sì,
credo proprio di sì. Forse è giunto il momento di
affrontare il ricordo di
John.-
-Sono
felice che Brianna ti abbia convinto ad una decisione così
importante per te...-
Avvicina
il capo al mio, insinuando le mani oltre la camicia.
-Ma
dimmi, McCartney… dovrei forse essere gelosa di questa
giornalista giovane e
bella?-
Apro
la bocca per rispondere ma non riesco a formulare una rassicurazione a
quell’ironica
preoccupazione. Mi limito a sorridere, percependo la pelle del mio
petto, una
volta libera dalla camicia, incontrare l’aria fredda del
salone con la stessa
irruenza con cui molto presto la mia mente affronterà
l’antica immagine di
John.
Dopo
alcuni istanti riesco a pronunciare alcune incerte parole.
-No…
certo che… che no…-
Le
mani di Linda indugiano sulla cintura dei miei pantaloni mentre le sue
parole
colme di desiderio raggiungono le mie orecchie stanche.
-Allora
dimostramelo, James Paul McCartney…-
Angolo
autrice:
Ciao
a tutte, miei tesori!
Prima
di salutarvi volevo fare una piccola nota di fine capitolo:
l’incarico di Linda
non è mai esistito, è soltanto frutto della mia
fantasia, utile alla giusta
prosecuzione della trama già in buona parte conosciuta dalla
mia dolcissima Giu
(più comunemente conosciuta come _SheLovesTheBeatles_) che
mi ha estorto le
informazioni :D
Un
bacio a tutte, attendo con ansia le vostre recensioni!
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 18 *** Here There and Everywhere ***
Ciao a tutte!
Sulle note di Max Pezzali ho realizzato il diciottesimo
capitolo, in cui i sentimenti di Brianna e Paul divengono i
protagonisti.
Spero di essere all’altezza di affrontare un sentimento
così grande come una nascente affezione.
Un grande bacio e un ringraziamento a tutti coloro che hanno ancora
voglia di seguirmi in questa avventura!
Liverpool Maggio 1981
Il fruscio del vento pone sul mio viso una carezza prepotente ma dolce,
simile a quelle che le madri preoccupate adagiano sul viso dei bimbi
capricciosi. Quelle raffiche brucianti infastidiscono i miei occhi
lacrimosi, che producono un velo opaco attraverso il quale la vita
scorre placida. Ho avvertito la familiarità dei passi
concitati dei lavoratori, diversi dalle frasi appena accennate dalle
anziane signore che sono giungte abbozzate alle mie orecchie. Ho
assaporato quei suoni fievoli, la cui fuggevolezza ha impedito una
sosta considerevole nella mia memoria. Essa è stata
costantemente rimpinguata dai rumori umani, ansiosi di arricchire i
miei pensieri. Il cicaleccio cittadino ha tentato ingenuamente di
imporre la sua presenza prima di cadere preda del vorace rollio degli
pneumatici. Essi scivolano leggiadri sull'asfalto, rapide ed eleganti
gambe di quella moto che procede orgogliosa, riflettendo sui sedili i
raggi del sole che riscaldano il mio corpo. Esso si flette ricurvo
sulla schiena di Paul, la cui rassicurante ampiezza ricorda quella del
cielo turchino che ci sovrasta. Il vento disgrega prepotentemente le
nuvole dal loro affettuoso abbraccio mentre uno stormo di uccelli
assiste a quel malinconico allontamento con uno stridio acuto che
ferisce temporaneamente le mie orecchie. Abbasso istintivamente il capo
verso le spalle di Paul coperte da un capiente giubbotto che pare
disdegnare il suo ruolo; tale indumento infatti permette senza alcuna
protesta alle raffiche ventose di condurlo verso di me. La stoffa si
colma fieramente d'aria, come le guance di un bimbo in procinto di
spegnere con la sola forza del suo fiato le candeline sulla torta di
compleanno. Ma il corpo di Paul pare negare doverosamente la
libertà al giubbotto, che si appiana sulla pelle dell'uomo.
Osservo con attenzione quei movimenti, assecondati dalle mie mani
adagiate pudicamente sui fianchi di Paul. Nonostante il sostegno fosse
il fine di quella carezza, esso viene ben presto dimenticato dalla mia
mente, impegnata a saggiare con la fantasia la morbidezza delle membra
di Paul. Esse fremono a causa del contatto con la moto, altrettanto
vibrante. Il motore coinvolge in mio corpo in un inatteso sobbalzo
causando l'aumento istintivo di quella timorosa stretta. Percepisco la
nervosa tensione dei suoi addominali, efficamente trasmessa alle mie
dita che, timorose della reazione del corpo dell'uomo che sfiorano,
mantengono la loro posizione contratta.
Inspiro profondamente il profumo della sua pelle che l'aria infida
trasmette ai miei polmoni, assieme al profondo desiderio che provoca in
me. Protendo le labbra verso il suo collo, ammaliata da quell'essenza
mascolina e irriverente, simile alla sua risata che ridonda nei miei
ricordi. La consapevolezza del mio gesto avventato frena la mia bocca
famelica, che ritraggo silenziosamente. Placo la volontà di
inclinare il capo sulla schiena di Paul, l'orgoglio pressante sulla mia
tentazione.
Chiudo gli occhi, cullata dal rombo della vettura e dalla voce
stridente dei gabbiani che sostituisce naturalmente quella garrula dei
passeri. Il cinguettio festoso di questi ultimi viene ulteriormente
sovrastato dallo scroscio insistente delle onde che si infrangono sugli
scogli. La scarsa fauna marina che li popola si dirige frettolosa verso
il mare, poichè minacciata da incombenti cirri che oscurano
il cielo inglese. Esso, ormai avvezzo a tale spiacevole visita,
accoglie passivamente le nubi scure, foriere di alcune gocce di pioggia
che macchiano i nostri caschi.
Schiudo gli occhi, fino a quel momento tenuti serrati a causa del vento
impetuoso e del pentimento per quella mia tanto inusitata quanto
profonda voglia che mi ha assalita.
Osservo i sobborghi di Liverpool dispiegarsi alla mia vista, mostrando
le forme generose delle imbarcazioni attraccate al suo porto. I remi
scivolano nell'acqua scura, come le mani di una donna stanca
abbandonate fiaccamente oltre il letto sul quale riposa. Le onde
cullano quelle lignee dormienti, infrangendosi lungo i loro fianchi, in
un'inutile tentativo di risveglio. Le barche accettano indifferenti
quelle carezze, le prue rivolte alla città, come atteggiando
il legno inanimato ad una posa altezzosa. Essa pare causata dal profilo
della città, che accetta pudicamente quell'inesistente
interesse. Il sole pallido offre il suo bacio affettuoso sia alla
modesta guglia dell'unica chiesa che alle ruvide tegole delle case. Da
esse alcuni comignoli rivelano la loro presenza per mezzo di alcuni
sospiri di fumo, rilasciati in un cielo altrettanto plumbeo.
La moto rallenta progressivamente la sua corsa, come ammaliata
anch'essa dal timido incanto di quella provincia, la cui
tranquillità non viene profanata dai caotici rumori
cittadini.
Saggio con la punta dei piedi il selciato, riconoscendone la pietra
resistente sulla quale si affacendano i passi dei paesani.
Paul libera il capo dal casco che, durante le ore di viaggio, ha fatto
prigionieri i suoi capelli che esprimono la loro gratitudine attraverso
una danza frenetica condotta dal vento. Anche le mie ciocche corvine,
deludenti ballerine, tentano di imitare quelle leggiadre movenze,
ottenendo risultati assai poco aggraziati. Le mie dita si impegnano
inutilmente a districare quella chioma aggrovigliata che si avvicenda
sulla mia fronte. Essa rabbrividisce al contatto con il palmo freddo
dell'uomo, che la carezza amorevolmente. I suoi polpastrelli si
incuneano lungo la curva dei miei lineamenti, assaporando al tatto la
mia pelle ruvida.
Gli occhi chiari di Paul rapiscono i miei, incatenandoli al loro
sguardo. Mi beo di quella piacevole prigionia che scuote i miei sensi,
privandoli di qualunque reazione. L'unica iniziativa del mio corpo
riguarda il respiro, che colma il mio petto e scivola oltre le labbra.
Sorrido di quel tenue refolo di fiato, causato dalla presenza di un
uomo sposato, il cui interesse è riservato unicamente alla
famiglia e alla carriera. Il destino non ha riservato un anfratto per
la mia persona nella vita di Paul. Il mio ingenuo desiderio verso
quell'uomo alimenta inconsapevolmente la mia tristezza per quella
privazione.
Nonostante tale consapevolezza un brivido percorre il mio corpo
all'udire la sua voce, pura a differenza delle mie fantasie.
-Il vento di Liverpool fa sempre questo effetto.-
Esclama, tantando di rabbonire i miei capelli selvaggi con la mano,
accompagnando quel gesto con una risata sinceramente divertita. Esse
spegne d'improvviso la propria allegria; di quest'ultima soltanto un
ricordo sulle labbra schiuse di Paul, rivolte alla città che
pare ricambiare il suo sguardo incuriosito. Le case accolgono con
indifferenza quel visitatore, non imitate dei paesani, che indirizzano
le loro occhiate stupite nella nostra direzione.
Abbasso il capo, scacciando quei pensieri peccaminosi che non accennano
a dileguarsi, assecondando il rossore che imporpora le mie guance.
L'ombra di tale dimostrazione d'imbarazzo pare oscurare per un istante
anche la mascella di Paul, improvvisamente rigida e sollevata verso le
mura di Liverpool.
________
"-Ehi, Lennon!-
Esclamo alzando una mano nella sua direzione.
Ricambia il saluto, scuotendo distrattamente la sigaretta che stringe
fra le dita ossute. Esse carezzano pensose la parete della sigaretta,
con un'accuratezza che non ricordo abbia riservato ad alcun altro.
L'oggetto delle sue premure sprigiona una voluta di fumo che vela il
volto di John di una serietà grave, simile a quella dei
poeti italiani. I ritratti di questi ultimi riposano in quei libri che
sobbalzano nella cartella, non ancora aperti sui banchi di quella
scuola che oggi non godrà della mia presenza. La stessa
primavera che tanto ha inebriato le ragazze costringendole ad indossare
quelle festose gonne colorate, mi ha sedotto con le sue promesse di
libertà, così diverse da quelle assai meno nobili
sussurate dalle pareti dell'istituto scolastico.
Il mio gradevole fischiettio viene interrotto dalla figura di John,
mollemente adagiata contro una parete dalla scarsa altezza, dalla quale
le sue gambe cadono penzoloni simili a quelle di un bambino alla
ricerca del riposo in seguito ad ore di divertimenti. Ma il viso di
John non possiede quella spossatezza puerile, bensì la
severa delusione degli adulti. Di quegli uomini, le cui emozioni si
avvicendano sui suoi lineamenti, John possiede soltanto la voce
arrochita e profonda, il generoso dono dell'adolescenza di cui io non
posso ancora fregiarmi.
Mi avvicino a lui, senza smuovere affatto il suo interesse.
Una sola frase pare rivolta a me:
-McCartney! Credevo che uno zelante scolaro come te fosse riverso sui
banchi di scuola.-
Sorrido della lieve ironia che colgo nella sua voce e mi affianco a
lui. John porta nuovamente la sigaretta alle labbra, contraendo quelle
dita che il pomeriggio precedente ho ammirato scivolare sulle corde
della chitarra. Ma oggi i suoi gesti paiono aver perduto ogni eleganza
per lasciare spazio ad una sensazione di disinteresse.
-Potrei dire lo stesso di te. Che ci fai fuori da scuola? Il preside si
è nuovamente stancato di te?-
La sua reazione al mio sarcasmo, notevolmente diversa dalla mia,
provoca un irato rossore alle sue gote e all'estremità della
sigaretta.
-Non voglio sentir nominare quel figlio di puttana!-
-Che ha osato fare al nostro Lennon? Rivolgergli la parola?-
Esclamo, rivolgendo la mia domanda maliziosa alla scarsa pazienza di
John, che caratterizza da tempo i dialoghi risentiti delle anziane
comari di Liverpool.
-Magari si fosse limitato a quello! Mi ha espulso, quel bastardo!
Espulso! E per cosa?! è stato così vigliacco da
non dirmelo neppure in faccia! Si è limitato a sibilare:
"lei sa perfettamente ciò che ha combinato, signor Lennon".
Cosa avrei combinato di così terribile da essere espulso?!
Sentiamo! Probabilmente si tratta di quel frocio di Cunningam!
è stato lui a provocare quella rissa e sono certo che
è stato così idiota da spifferare tutto al
preside. E quel vecchio rimbambito ha preso provvedimenti! Ma non verso
quello stronzetto di Cunningam, oh no! Verso John Winston Lennon il
bullo della scuola, che miete vittime senza posa! Ma per piacere!-
John aspira una lunga boccata di fumo prima di osservare indispettito
la sigaretta che, fino a poco prima oggetto delle sue attenzioni, venne
gettata sul marciapiede opposto alla strada. Alzo le sopracciglia,
sorpreso da quel gesto tanto irato quanto inaspettato.
-E tu che ci fai qui?-
Esclama John, con un cenno del capo nella mia direzione, le labbra
sottili protese nell'impiego di rilasciare il fumo appena inspirato.
Accompagna quell'atto con un'espressione malinconica sul viso,
osservando con malcelato rimpianto i resti della sigaretta ormai
lontana.
Scuoto le spalle prima di rispondere, vago:
-Semplice desiderio di libertà.-
-Se la libertà risiedesse in questa schifosa
città non sarei ridotto così, ti pare?-
Ribatte, incrociando le braccia sul petto, lo sguardo rivolto alle
pareti delle case che ci circondano. Scruto con indifferenza le iridi
scure, ombrate dalle ciglia lunghe che si protendono verso le gote,
pallide quanto il cielo di Liverpool e dotati di lineamenti altrettanto
tristi.
Passo una mano fra i capelli, un sospiro pesante soffoca quello di John
che scivola stancamente dalle labbra.
-Forse uno spicchio di libertà esiste anche qui...-
Ammicco verso di lui che risponde con un'occhiata incuriosita, un lampo
malizioso attraversa gli occhi scuri, offuscati dalle sopracciglia
corrugate.
Sorrido del suo sguardo, probabilmente la trasposizione dei suoi
pensieri affatto appropriati alla sua mente adolescente.
-Che ne diresti di anticipare le prove del gruppo. Un piccolo duetto
solo io e te. Magari la musica calmerà i vostri irruenti
istinti, signor Lennon.- L'ultima frase scorre oltre la mia gola,
acquistando note ironicamente adulte che la mia voce non possiede. Il
mio tono arrochito, più simile a quello prodotto dai
gabbiani gracidanti, che a quello del preside che ha espulso John,
provoca una risata cristallina nel mio compagno.
Circonda le mie spalle con un braccio, un gesto amichevole che
inorgoglisce il mio giovane e animo.
-Lo farò soltanto se mi prometti di non parlare
più in quel modo!-
-Non gradisce le eleganti parole che le riservo, signor Lennon?-
-Stupido...-
Indugio le dita sulla ruvidezza di quel muretto, la cui altezza non
è mutata negli anni a differenza della sua età.
Il grigiore, somigliante a quello della barba rada degli anziani, non
accenna ad abbandonare quella pietra che risulta da tempo l'obbiettivo
della fotocamera che Brianna tiene sollevata all'altezza degli occhi.
La mia attenzione è istintivamente attirata dalla borsa
della ragazza dalla quale i tasti del registratore appena riposto
divengono preda del vento inospitale.
Il flash illumina la mia mano di un candore artificiale, riflettendosi
sulla fede nuziale e consigliandomi di mantenere una posa eretta ed
elegante che sarebbe rimasta immortalata ben presto nella polaroid.
Mi volto verso di lei, in seguito allo scatto fotografico, che
è parso ridondare nel silenzio cittadino. Esso è
interrotto soltanto dai passi impertinenti dei paesani che sembrano
disturbare il sonno ristoratore di Liverpool. Assaporo i ricordi che
giungono a me attraverso quelle mura silenti, prima di posare lo
sguardo su Brianna. Osservo le sue labbra scarlatte, sulle quali
sorprendo la mia fantasia a deporre un bacio ardente. Scaccio con un
gesto del capo quell'improvviso desiderio, tentando di imporre ad esso
la mia fede coniugale. Questa rivela timidamente la sua figura, resa
pallida ed emaciata al cospetto del sorriso raggiante di Bri. Esso
mostra le gengive arrossate che circondano la dentatura candida, simile
alla sua pelle. Questa tenta di celare le venature chiare che risalgono
il polso, ingioiellato da alcuni esempi di modesta bigiotteria. Le dita
affusolate avvicinano la fotocamera al petto, scosso da profondi
respiri: essi sollevano il seno perlaceo carezzato da quei capelli neri
che d'improvviso mi stupisco ad invidiare.
-Che ne pensi?-
Esclama Brianna mostrandomi la foto. Tendo le dita verso di essa,
sfiorando le unghie rosate della ragazza. Alzo il capo verso i suoi
occhi. Grandi e mori, le cui ciglia esili e puerili, si adagiano sulle
lenti degli occhiali per poi rialzarsi come indispettite. Nelle iridi
lucenti riconosco delle pagliuzze smeraldine simili alle Sue.
La città rinviene all'improvviso dal suo sonno, come un
bimbo sorpreso dal pianto causato da un incubo. Tale sgradevole sogno
pare assumere le Sue sembianze, che traspaiono nei viottoli di
Liverpool. Il mio paese natio sembra divertito a mostrarmi i ricordi di
Lei, sepolti negli anfratti di quel borgo saturo dei tipici profumi
speziati e delle immagini passate.
Poso lo sguardo sui portoni lignei delle abitazioni.
Sui baffi canuti di un anziano lavoratore e sul manto altrettanto
candido di un gabbiano che sorvola i comignoli.
Ma ogni elemento racchiude l'essenza di Lei, impedendomi qualunque
distrazione.
Il mio sguardo inquieto pare preoccupare anche quello di Brianna, per
un motivo assai più ingenuo.
-Non... non ti piace? Ho tentato di ritrarre tutti gli elementi
essenziali ma a quanto pare sono una fotografa più scarsa di
quanto credessi, vero?-
Il sorriso innocente di Brianna sovrasta il Suo, così vivido
nel mio ricordo. Assecondo la puerile incertezza della giornalista con
una risata la cui ipocrisia tento di velare con un colpo di tosse.
-No, è.. perfetta.-
Lo sguardo di Brianna assume il rimpianto di chi riconosce
l''inconvenienza di una propria decisione.
-Mi...mi dispiace. Credevo fosse una buona idea ripercorrere il passato
con John a Liverpool. Ma forse mi sbagliavo. Mi dispiace tanto di
averti costretto a rivivere ricordi dolorosi, io...-
Sorrido, alzando gli occhi in un finto gesto d'esasperazione. Nel cielo
non riscontro altro che le nuvole lattiginose, d'improvviso prive del
Suo profilo come qualunque cosa all'intorno. Il Suo ricordo ha
sospirato infelice sul mio cuore, causandone una repentina contrazione
in seguito alla quale è parso rilassarsi.
Riabbasso le palpebre sul volto di Brianna, dalla timida eleganza
così simile alla Sua. Scaccio quel paragone, cogliendone
l'inutilità. Ho imparato ad accettare la Sua scelta e ad
assumermi le mie responsabilità, che ancora riaffiorano nei
miei pensieri, profanando quella vita che ritengo immacolata. I miei
errori, nonostante abbia cercato di ripararvi, indugiano sulla soglia
della mia coscienza attendendo l'occasione per riproporsi, orgogliosi
della loro amarezza. Li allontano a fatica, deciso a distogliere il
ricordo del passato dal presente. Un presente che coinvolge anche una
giovanissima donna, troppo impegnata nel proprio lavoro per essere
coinvolta anche dal mio vissuto infelice. Allontano quest'ultimo da lei
con un sorriso.
-Non hai fatto nulla di sbagliato, Bri... nulla...-
Inspiro avidamente il suo profumo, mentre sorprendo i suoi occhi vagare
nei miei. L'immagine di Lei ora pare estranea a quelle iridi scure che
mi osservano rammaricate.
La mia volontà impedisce al mio braccio di interrompere la
sua corsa verso le spalle di Brianna. Attiro il suo corpo verso il mio;
il Suo viso si è dissolto nel ricordo, come il vapore
condensato creato dai respiri di Brianna. Il calore del corpo della
giornalista pare un'aura eterea che avvolge le mie membra come una
madre premurosa, impedendo al passato di scalfire quel manto estatico.
La gratitudine che infondo nello sguardo rivolto verso di lei pare non
essere colto da Brianna, il cui sorriso imbarazzato pare sanare il mio
animo, ferito da quel rimpianto antico.
Rischiaro la voce quando il suo petto palpitante incoraggia nuovamente
le mie peccaminose fantasie.
-La... la giornata è ancora lunga e... ci sono ancora molti
luoghi che voglio mostrare a te e ai lettori del nostro libro
intervista.-
Annuisce mentre le mie mani capricciose desiderano discendere lungo la
morbida curva dei suoi fianchi. Impedisco alle mie dita tale gesto
malizioso e sconveniente, il volto di Linda impresso nella mente,
arrossato e lieto come quello di Brianna.
________
-...E quello è il negozio del signor Smith, il cui
retrobottega era il luogo che John considerava perfetto per i suoi..
"incontri" immorali... non credevo esistesse ancora... Oh, e quella era
la pasticceria dei Douglas, vecchi americani trapiantati in
Inghilterra, i cui lunghi baffi arcuati erano spesso oggetto del
divertimento di John. Quello era il cortile del liceo dove John
scoprì il fumo e io... beh, io le ragazze. E questa...
questa, come ben sai, è la via principale di Liverpool che
per alcuni anni venne colmato dalle nostre osservazioni musicali che
amavano sussurrare al cielo grigio della città.
Principalmente quando esso si colorava di quella tinta rosata che
anticipa la sera e che già mostra le stelle, attente
spettatrici dei nostri sogni.(1)-
La mia mano scorre incantata sul foglio, che pare abbeverarsi di tutte
quelle nozioni che colmano la sua carta candida di parole inchiostrate.
Il registratore, il cui nobile udito, sarebbe stato disturbato dai
rumori cittadini, ha offerto alla mia mano il compito di cogliere i
ricordi di Paul. La voce dell'uomo attende paziente che la mia penna
interrompa il lungo bacio che la incatena al foglio prima di articolare
nuovamente parole fluide, pregne di un sentimento sincero. I passi di
Paul incedono sulla sua ombra, che si leva maestosa sul selciato, come
una marionetta creata dalle mani esperte del sole. Esso si distende sul
terreno pietroso, risalendo le pareti delle case come un bimbo
capriccioso che cerca rifugio fra le vesti della madre. L'edera
asseconda questi raggi impertinenti, accompagnando la loro faticosa
salita lungo le finestre delle abitazioni. Da queste scivolano i
capelli neri di una ragazza oppure quelli canuti di una
dìsignora anziana intenta a stendere i panni. I colori
chiari e allegri delle stoffe somigliano a quello degli occhi degli
uomini, che riflettono un riverbero lieto all'incontro con Paul. Egli
accoglie con un sospiro rallegrato i complimenti degli ammiratori e
accetta di buon grado di porre la sua firma sui bloc notes che quegli
uomini, desiderosi di un autografo, gli porgono. Il fruscio piacevole
della mia penna sulla carta e la melodia altrettanto piacevole delle
parole affettuose di Paul rivolte agli antichi conoscenti hanno donato
ai nostri passi una spensieratezza che entrambi abbiamo creduto di aver
dimenticato da tempo.
Sul far della sera l'indice di Paul non pare annoiarsi di indicare gli
anfratti di Liverpool che hanno costituito l'infanzia di John. Seguo
con gli occhi il suo dito proteso verso le insegne dei negozi, sbiadite
quanto il pelo arruffatto dei gatti, che impongono la loro presenza
altezzosa lungo la strada. Lo scalpiccio debole delle loro zampe
somiglia al battito altrettanto soffuso del mio cuore. Ogni cenno di
razionalità abbandona il mio corpo, sovente circondato
dall'abbraccio di Paul. Le sue membra rilassate conferiscono
uguale serenità alle mie. Dimentica infatti della
notorietà dell'uomo che procede accanto a me mi abbandono al
calore protettivo delle sue braccia che, nella mia adolescente
fantasia, divengono un rifugio sicuro da quel mondo che da tempo ha
annientato la mia fanciullezza. Paul accetta silente questo ruolo che
gli conferisco, limitandosi a sorridere provocando in me una risata
altrettanto spontanea.
Rallientiamo mio malgrado il passo di fronte ad una abitazione che gode
di notevole fama, al cospetto della quale ho sostato in numerose
occasioni durante la mia infanzia, la mente puerile dispersa in
fantasticherie tipiche di quella fuggevole età.
Paul deglutisce, il suo respiro inquieto colma l'aria che respiro a
fatica.
-Questa... questa è...- esclama, la voce arrochita da un
ricordo commovente. Termino la sua frase con maggior disinvoltura, la
quale tradisce ugualmente la mia emozione.
-...la casa di Mimi.-
Riservo un'acuta attenzione al cortile dell'edificio che conduce al
porticato. Esso appare come un'austero ed elegante signore circondato
dai suoi fidi servitori che pare abbiano assunto la forma di mattoni
rugginei. Essi riparano le pareti della casa come una veste pregiata,
dalla quale solo le finestre osano mostrarsi.
Paul traccia con i polpastrelli il profilo della bassa cancellata che
protegge l'abitazione, affidando a quel gesto la stessa attenta
precisione che viene riservata alla carezza delle nudità
femminili.
Le sue labbra guizzano d'improvviso fino ad assumere la curva di un
sorriso malinconico.
-Già.- esclama.
-La casa di Mimi...-
"-Buongiorno, signora. La trovo estremamente elegante oggi.-
-Così galante nonostante sia ancora imberbe! Ti ringrazio
molto... Paul, giusto?-
Il ragazzo adagia il petto contro il cancello scuro, fregiato da
numerosi araberschi ferrosi che ricordano le volute altrettanto
armoniose dei capelli di mia madre. Il suo volto dolce era assai
dissimile da quello della donna che mi sta sorridendo. I suoi occhi
cerulei sono protetti da occhiali dalla montatura fragile. Essa
ripropona il colore dei capelli della sua padrona, che stanno
lentamente ingrigendo. Ignoro quel buffo fenomeno con un complimento
astratto, come quelli che gli uomini usano porgere alle signore
distinte. Tutti gli uomini tranne mio padre, per cui l'unica donna
degna di attenzioni è mia madre, alla quale ormai
può donare un bacio solo attraverso una stinta fotografia.
Reprimo il ricordo del suo sorriso allegro con uno di circostanza che
mi affretto a dipingere sulle labbra.
-Esatto, signora. Paul, Paul McCartney, il figlio di Jim. John
è in casa?-
La donna porta una mano al mento, un'espressione soddisfatta sul viso,
forse causata dalla mia gentilezza che raramente caratterizza la voce
rude del nipote.
-Certo, sì, Paul McCartney. John parla spesso di te,
vantandoti come un buon suonatore.-
Incurva il capo verso di me, sussurrando con aria di segretezza.
-Il mio Johnny non lo ammetterà mai, ma credo che conti
sopratutto su di te per la buona riuscita del suo gruppo. I Quarry... e
qualcosa.- termina la frase con un gesto stizzito della mano, prima di
invitarmi ad entrare.
-Quarrymen, signora.- la corrego, sorridente.
Lei ricambia la mia cortesia prima di richiamare a gran voce:
-John! Johnny! è arrivato il tuo amichetto!(2)-
Dall'abitazione, di rimando, giunge un urlo spazientito, articolato da
una voce assai familiare che provoca una flebile risata che rimane
intrappolata nella mia gola.
-Stai zitta, Mimi! Sto provando a suonare un pezzo e la tua voce
gracidante non aiuta la mia concentrazione. Ti sarai grato se tenessi
chiusa la tua boccaccia rugosa, zietta adorata!-
Il volto della donna si imporpora quanto la spilla appuntata sulla
camicetta, prima di affrettare il passo verso la casa, dimentica dei
modi signorili sfoggiati poco prima.
-Non osare mai più rivolgerti così a tua zia,
Winston! Altrimenti quella maledetta chitarra non vivrà
ancora a lungo! Hai capito?! La renderò un ammasso di corde
prima che tu possa replicare! Hai capito, John?! Mi hai sentita? Sto
parlando con te, mascalzone!-
-Per anni, e forse ancora oggi stesso, credo che fosse quello il loro
modo d'amarsi. Una sorta di codice bizzarro di cui soltanto loro
conoscevano l'esatta decifrazione. Il sorriso di John ogni qualvolta
ricordavo la dolce zia Mimi, pareva così sincero e radioso
da rivelarmi quanto la sua irriverenza giovanile nei confronti di
quella donna non fosse stata null'altro che una maschera che l'impavido
John Winston Lennon amava indossare.-
-Ti ha mai reso partecipe di questo profondo affetto?- Esclamo,
abbozzando i ricordi di Paul sul bloc notes, indispettita nei confronti
dello scroscio delle auto che, assieme a quello assai meno melodioso
degli pneumatici delle auto, impedisce al registratore di cogliere le
parole del cantante.
Attendo la sua risposta, aggiungendo utili dettagli agli appunti,
già revisionati in precedenza. La mia profonda dedizione al
lavoro mi impedisce di alzare gli occhi su Paul, oggetto di quelle
fantasie che distoglierebbero la mia attenzione, dirottandola su
pensieri assai meno nobili del giornalismo. Deglutisco, paziente.
-No, affatto. John non è mai stato molto espansivo con
alcuno. I suoi pensieri parevano proprietà revocata dalla
sua mente, nella quale essi correvano agitati senza la
possibilità di essere afferrati da nessuno che non fosse il
loro generatore: John. Egli era solito fissare i suoi occhi nei miei,
come nella richiesta silenziosa di comprendere i suoi tormenti e
tentare di alleviarli. Io ho potuto donargli soltanto la mia amicizia,
sperando che essa potesse essere utile a risollevarlo dalle sue
inquietudini. Spero di aver soddisfatto quella sua richiesta d'aiuto ma
credo che continuerò a vivere nel dubbio.-
Trascrivo quelle parole sul foglio con un sospiro malinconico,
scuotendo il capo, in un gesto rassegnato. Ripongo il bloc notes nella
borsa, dalla quale recupero la fotocamera.
-Credo... credo che questo luogo necessiti di una foto.-
-Credo anch'io...- esclama, lo sguardo rapito dalle finestre che
proteggono una stanza oscura. Porto l'obbiettivo agli occhi, cercando
l'inquadratura adatta in cui inserire quel cortile e tutti i ricordi di
vita in esso germogliati. Schiudo le labbra in una posa concentrata
prima di scattare la foto.
Osservo compiaciuta la polaroid, immaginando il suo ruolo nel mio
importante lavoro cartaceo. Sorrido sognante, fantasticando sulle
parole gravi ma famigliari che avrebbero arricchito le pagine del mio
libro intervista, il cui profumo cartaceo avrebbe inebriato forse
numerosi lettori.
Innalzo orgogliosa la foto davanti ai miei occhi quando una piacevole
sensazione avvolge le mie membra. Comprendo ben presto che essa
è sprigionata dalle mani di Paul, adagiate sulle mie spalle.
Percepisco il suo petto sfiorare la mia schiena e i suoi fianchi
aderire perfettamente ai miei. Strabuzzo gli occhi, sorpresa da
quell'intimo abbraccio che pare intenzionato ad accendere quegli
istinti reconditi che ho tentato inutilmente di sopire. Quel gesto
inaspettato provoca un violento brivido alla mia schiena che coinvolge
anche il corpo di Paul. Avverto l'agonia dei miei respiri che si
staccano dolorosamente dal cuore, perdendo via via la forza di salirmi
alle labbra.
Mi volto confusa verso di lui, assecondando, con il mio movimento
improvviso, le sue mani. Esse scivolano lungo il mio busto fino a
raggiungere la vita, su cui le dita fremono di un'incomprensibile
impazienza. I suoi occhi si adombrano di una grave serietà e
la sua bocca si increspa, come le nuvole scure che ci sovrastano
ansiose di versare lacrime piovane.
Schiudo le labbra che inconsapevolmente imitano le sue, preda di un
desiderio innaturale e quasi famelico. Abbasso lo sguardo sulle sue
mani, notando il lucore della fede nuziale. Essa pare ammonirmi
riguardo lo stato civile e sentimentale di quell'uomo che da troppo
tempo scuote quei sensi che devo impegnarmi a chetare. Soffoco i miei
istinti decisamente immorali con il mio orgoglio, che consiglia al viso
di assumere un'espressione indifferente e al cuore di rallentare quegli
sconvenienti battiti.
Paul segue i miei occhi, rivolti al suo anulare, e la sua fronte si
corruga, come se le improvvise e profonde rughe della sua pelle abbiano
il compito di cullare placidamente i suoi pensieri in un sereno riposo.
Alcune parole raggiungono le sue labbra ma la mia voce concitata
impedisce a Paul qualunque reazione.
-Io... io ti ringrazio per questo bellissimo pomeriggio, credo... credo
sia stato utile a raccogliere molto materiale per il mio libro
intervista. Ma ora credo di dover scappare: mi dispiace di... di non
averti avvertito prima ma... avevo intenzione di fare una sorpresa a
mia madre. Abita qui vicino e la avrei raggiunta soltanto domani
pomeriggio, ma pensavo sarebbe stata una buona idea approfittare della
mia presenza a Liverpool per anticipare un po' il nostro incontro.
Mi... mi dispiace tanto di non averti informato, so bene che domani
dovremmo proseguire l'intervista ma... insomma, io... pensavo di
fermarmi qui, da mia madre, questa notte...- ignoro l'ipocrisia di
quelle parole, nate d'improvviso nella mia mente, forse utili ad
allontanare Paul e con lui il desiderio che suscita in me.
Assume un'espressione corrucciata, cosparsa di una grave consapevolezza
il cui oggetto mi è estraneo.
Si allontana progressivamente da me, con un sorriso imbarazzato che ho
mai avuto il privilegio di vedergli indossare. Le guance si arrossano,
simili alle dita che lascia scorrere nei capelli. Una piacevole
puerilità disegna i suoi lineamenti, come il pastello di un
bimbo intento a riprodurre un disegno infantile.
-Hai... ragione. Sì, certamente. Non hai nulla da scusarti.
La...- deglutisce, apparentemente soddisfatto. -...la nostra intervista
procede molto bene, non ti negherò certo un maggior riposo.
Concordo con te riguardo l'utilità di questa nostra uscita.
è stata... piacevole. Sì, molto piacevole.-
Sussurra con incertezza le ultime parole, come se esse siano frutto di
una minuziosa ricerca nei meandri nella sua mente in cui riposano
parole maggiormente spontanee ma forse inadatte ad essere pronunciate.
Alzo una mano per salutarlo. Lui mi imita con un gesto ironico, velato
di un rammarico che non stento a riconoscere.
Mi volto rapidamente, aspirando fortemente alla casa di mia madre. una
meta inaspettata, nella quale sono certa di incontrare l'unica persona
in grado di purificare il mio animo perduto con le sue carezze.
(1)I luoghi citati non sono reali, bensì soltanto frutto
della mia fervida immaginazione.
(2)La citazione di zia Mimi è tratta da "Nowhere boy", un
film che mi ha fatta impazzire, e che consiglio a chiunque non abbia
ancora avuto la fortuna di vederlo. XD
Angolo autrice:
Ed eccomi qui, care lettrici!
Questo capitolo mi ha dato parecchie grane, in quanto temevo di non
riuscire ad esprimere chiaramente i sentimenti dei personaggi. Spero di
esserci riuscita :P
Spoilerino di fine capitolo: il prossimo sarà un capitolo
decisivo per quelli che ormai possiamo considerare i nostri
"piccioncini".
Un bacio a tutte!
Peace&Love
Giulia
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Capitolo 19 *** Let me be your hero... ***
Ma ciao ragazze!
È con grande piacere (e forse anche un briciolo di timore)
che vi propongo questo capitolo.
Non voglio anticiparvi nulla; vi dirò soltanto che le parole
che scriverò potrebbero suscitare reazioni differenti a
seconda della vostra chiave di lettura. Sono troppo curiosa di leggere
i vostri prossimi commenti!
Inoltre sono tornata (credo con vostra sorpresa XD) ad inserire il
testo di una canzone in un capitolo. Avevo abbandonato tale usanza
semplicemente perché i capitoli erano già
complicati ed inserire una canzone diventava un po’ troppo
impegnativo per il mio povero cervelletto :P
Ma non ho resistito ad inserire una canzone che, fin dal primo ascolto
mi ha fatta pensare a Brianna e Paul e mi ha suggerito questo capitolo.
Trattasi di “Hero” di Enrique Iglesias, che
personalmente trovo meravigliosa.
Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=dCOu1CSgeCg
Prima i augurarvi una buona lettura voglio ringraziare Giulia, la mia
omonima fidata, che ha risolto un problema rilevante di questo
capitolo. Senza il tuo aiuto sarei ancora impegnata a scervellarmi; ti
ringrazio ancora, tesoro mio!
Buona lettura a tutti!
Londra Maggio 1981
"Would you dance, if I asked you to dance?"
Distinguo a malapena la musica che da tempo ha rivestito il ruolo di
maggior interesse del mio udito, a causa delle parole concitate di
alcuni ragazzi. Scivolano inconsapevolmente dalle loro labbra inumidite
dall’alcool, che si schiudono liberando risate fragorose.
Percepisco l’ipocrisia di quest’ultime, dono
generoso di quelle sostanze illegali che ancora circolano in quei corpi
giovani, il cui calore satura l’ambiente angusto di un olezzo
sgradevole, sprigionato dalle membra degli adolescenti, impegnate
nell’esecuzione di una danza frenetica. Osservo con sguardo
vacuo tali movimenti, i miei occhi arricchiti dal lucore artificiale
delle fastidiose luci intermittenti che come bambine maliziose
scherzano sugli abiti dei ragazzi. Quel gioco repentino pare
coinvolgere anche gli abiti di quei danzatori improvvisati, succinta
espressione di una giovinezza che mi sorprendo ad invidiare. I miei
sensi ovattati permettono una percezione altrettanto distorta di quello
sgradevole sentimento che tenta di sovrastare i miei pensieri. Essi
governano, simili a spietati despoti, quel regno servile che
è divenuto la mia mente.
La realtà che mi circonda riveste una scarsa
importanza nei riguardi di quella coscienza che soccombe ad
un’ulteriore verità. Questa diviene
l’assassina spietata della mia razionalità e mi
consiglia di richiamare l’attenzione del barista.
L’alcool appena ingerito offre alla mia voce un tono blando e
arrochito, simile a quello che caratterizza le lamentazioni dei bambini
in seguito ad un pianto deluso. Simili lacrime imperlano ancora i miei
occhi; alcune trovano rifugio nelle ciglia, osservando preoccupate le
loro compagne, rovinate rapidamente sul ripiano ligneo. Subisce
passivamente le carezze distratte della mia mano ancora tremante. Il
bicchiere del cocktail che ho richiesto interrompe bruscamente il
movimento delle mie dita, causando un gemito infastidito. Ignoro il
tepore della sostanza liquorosa che scivola nella mia gola, fino a
raggiungere lo stomaco dove riposa il mio malessere. Egli respira
ancora affannoso in seguito alla rapida corsa con la quale ha travolto
la mia mente. Chiudo gli occhi, mentre distinguo attraverso le palpebre
le luci del locale nel quale mi sono avventurata, preda di una
delusione, che ancora lacera con la sua irruenza la superfice friabile
dei miei ricordi.
“-Mamma? Sei in casa?-
Gli anfratti illuminati dell’appartamento paiono rispondere a
quell’inutile domanda con la loro silente presenza. Chiudo
delicatamente l’uscio, per timore che il rumore stridente
della serratura infastidisca il sensibile udito di quella donna che
certamente non attende la mia visita. Rassetto con lieve rammarico il
tessuto della camicia, ancora increspato sui fianchi a causa della
lieve pressione precedentemente esercitata dalle dita di Paul. La mia
ingenua certezza di avvertirne ancora il calore provoca un sorriso
amaro sulle mie labbra.
Passo una mano fra i capelli che frusciano contro il mio collo,
accompagnati da un movimento distratto del mio capo.
Il ticchettio delle mie scarpe ridonda lungo l’ingresso,
colmando l’aria rarefatta, interrotta inoltre da alcuni
respiri sommessi, provenienti da un padrone altrettanto ansioso.
Permetto a quei rumori fievoli di condurmi verso il loro luogo di
provenienza; la cucina inusitatamente inospitale, a cui neppure le
stampe floreali impresse sulle piastrelle donano accoglienza.
Percorro con gli occhi quegli steli privi di linfa, incredibilmente
somiglianti alle mani di mia madre, le cui dita affusolate arcuate sul
lavello esprimono l’intenzione vana di serrare il marmo in
una morsa fatale. Ma quest’ultima pare affliggere solo le
nocche di mia madre, che sbiancano progressivamente, creando un
alone all’intorno, dipinto di un rossore
inspiegabile, come gli occhi della donna. Le sue iridi scure come le
labbra screpolate guizzano sul mio volto, alla disperata ricerca di un
lucore gioioso e sorpreso con cui mascherare la desolazione che pare
oscurare il candore innaturale dei suoi occhi. La sua voce fievole pare
fragile quanto i capelli chiari, che scivolano lungo le spalle esili.
-Brianna? Cosa… cosa ci fai qui? Non ti aspettavo fino a
domani…-
Le tempie si increspano, conducendo gli occhi all’assunzione
di un’espressione lieta che tradisce tuttavia una profonda
inquietudine. Essa conduce le pupille verso il lavello, dove
un’anonima fiala attende la sua attenzione. Mi avvicino
all’oggetto che incute cotanta apprensione in mia madre, la
fronte corrugata e le labbra impegnata ad articolare parole atone.
-Sì, ho notato…-
Trattengo la fialetta fra le dita, ignorando i gemiti preoccupati di
mia madre. Inclino lo strumento, avverto con un brivido di delusione e
apprensione accompagnato dal rumore di alcune pastiglie che si adagiano
passive contro il vetro. Un presentimento rapisce i miei pensieri,
tramutandosi ben presto in un’inevitabile certezza. Leggo
ripetutamente l’etichetta, senza riuscire a tradurre
razionalmente le parole che vi sono impresse. Solo il loro significato
letterale giunge alla mia coscienza, offuscata dalla realtà
che mi avvolge d’improvviso. Inspiro profondamente mentre i
miei polmoni vengono gonfiati dall'aria, imitati dal cuore, colmi di
una delusione frustrata che dipinge anche le mie parole flebili.
-Cosa sono queste?-
Non accetto affatto di buon grado il composto silenzio di mia madre,
che tradisce una consapevole colpevolezza.
Avverto nitidamente il grido a malapena trattenuto nella mia voce, il
cui tono paziente pare non riuscire a mascherare la mia ira.
-Mamma, cosa sono queste?!-
La donna elude la mia domanda, passando una mano sul collo, in un gesto
infantile ma non per questo foriero d'indulgenza da parte mia.
Irrigidisce fiermante la mascella, nella quale riconosco alcuni
simghiozzi repressi.
Essi vengono reclusi dalla sua mano nell'oscuro teatro della gola, dove
inscenano gemiti rammaricati che giungono distintamente alle
mie orecchie arrossate dal furore. Un sentimento altrettanto spiacevole
delinea le mie parole, altrimenti atone e insensibili.
-Rispondi!-
Mia madre tenta di allontanare le mie parole con un gesto stizzito di
quelle dita che porta alle labbra. Le unghie cigolano sotto i suoi
denti, proprio come l'anima di quella donna, articolando una richiesta
d'aiuto che forse non riuscirò mai ad accogliere.
La sua risposta, velata di irritante insicurezza, impregna le pareti
della cucina.
-Io...sono... sono...-
-Ti aiuto io, mamma: tranquillanti. Gli stessi, maledetti tranquillanti
che popolavano la casa in seguito all'abbandono di quel verme! E allora
dimmi, mamma: perchè questi medicinali infernali sono
tornati quando eravamo riuscite ad allontanarli? Perchè?!-
Il mio palmo ricade pesantemente sul ripiano ligneo del tavolo, il
quale sussurra un lamento discreto che si confonde con i singulti
finalmente resi liberi da mia madre. Quest'ultima lascia vagare i palmi
all'intorno nella vana speranza di cogliere un'adeguata spiegazione al
mio esigente quesito. Tale ricerca pare terminare con una frase appena
accennato fra quelle lacrime libertine, che le rigano le guance pallide.
-Brianna, tu... tu non puoi capire...-
Un cinico sorriso colora le mie labbra smorte.
-Capisco benissimo, invece! Capisco quanto tu sia egoista ad affidarti
ancora ad un rimedio talmente inutile, che acuisce il tuo dolore
anzichè affievolirlo. Un dolore che ho tentato in tutti i
modi di placare con la mia dedizione al lavoro e con l'impegno costante
riservato alla tua unica felicità! E a cosa è
servito il mio amore, mamma?! A cosa sono serviti gli abbracci, le
consolazioni e l'affetto, quando l'unica cosa che sembra aiutarti sono
queste maledette pastiglie?!-
Scaglio lontano la fiala che ancora impugno, osservando con disprezzo i
frammenti vetrati che, come le foglie autunnali durante una tempesta
ventosa, si infrangono sul pavimento. Le lacrime che d'improvviso
colmano i miei occhi non vogliono essere espressione della desolazione
che segue il mio gesto irato, bensì della delusione rigurdo
l'inutilità del mio amore. Quell'amore che da anni motiva le
mie azioni e il mio lavoro indefesso, i cui frutti pecuniari sono state
ben lieta di cedere a mia madre, con la stessa disponibilità
con cui le ho riservato il mio affetto. Percepisco l'ombra effimera di
tale sentimento nel volto pallido delle pastiglie, che paiono sorridere
beffarde dal terreno.
-Brianna, io...-
-Non parlare. Non ho intenzione di restare un momento di più
in questa casa. E io che pensavo che vedermi anticipatamente ti avrebbe
reso lieta... a quanto pare è compito altrui quello di
rallegrarti...- esclamo, occhieggiando con disprezzo i medicinali e
avviandomi verso la porta. Il calpestio rapido dei passi di mia madre
intona una rapida melodia lungo il linoleum, suggerendomi di
interrompere la mia corsa. Questa ignora tale consiglio e raggiunge
l'uscio, prima che una mano artigli il mio braccio, accompagnata da una
voce arrochita e sconsolata.
-Ti prego, Bri, non andartene... Sono una stupida, una povera donna che
non ha saputo resistere ad una tentazione... io non ho altri che te.
Io... ti prego... perdonami...- ripete costantemente quest'ultima
parola, asciugando le lacrime sulla mia spalla. La mia mente rigetta
una consolazione, atteggiamento troppo forte per una giovane donna che
non si crede in grado di affrontarla. Tale presentimento non viene
affatto smentito dai miei pensieri, nei quali vortica la frustrazione
nei confronti di quella recenta scoperta e il surreale amore per Paul.
Solo alcune parole affrontano coraggiosamente la mia mente fino a
raggiungere le labbra, producendo una frase perentoria dal significato
inequivocabile.
-Lasciami stare, mamma.-"
"Would you run and never look back?"
Le lacrime offuscano i miei occhi, attraverso i quali le figure
londinesi si stagliano contro le luci cittadine. Esse riverberano sulle
lenti opache dei miei occhiali, costringendomi a chiudere
repentinamente le palpebre.
prto le dita attorno al naso, nello strenuo tentativo di proteggerlo
dalle raffiche ventose, che arrossano la pelle cartilaginea del naso.
Schiudo le labbra, mentre il tepore del mio respiro raggiunge i palmi.
L'alcool formicola nelle mie narici, riscaldando il mio fiato affannoso
a causa dei passi che si avvicendano sui marciapiedi inglesi. Porto le
mani alla vita, circondando timidamente il busto con le dita
affusolate. I miei polpastrelli offrono le loro carezze al giubbotto,
concentrando l'attenzione sulle mie scarpe e il loro colore vivace,
così diverso dai miei pensieri. Questi conducono la
sigaretta alla mia bocca tremante, i cui angoli si incurvano fino ad
assumere una posa malinconica.
Libero prepotentemente il fumo, tentando di scacciare con un gesto del
capo il recente ricordo di mia madre. Osservo vacua
l'estremità incandescente della sigaretta, prima di
abbandonarla sul ciglio della strada. Passo una mano fra i capelli, i
denti impressi sul labbro inferiore oltre il quale pazienta il dolore e
la frustrazione che non accennano ad abbandonarmi. Passo le mani fra i
capelli, che come bimbi giocosi, assecondano i capricci del vento,
conducendo liberamente la mia figura passiva. Sospiro profondamente,
ignorandoi commenti d'apprezzamento riguardanti il mio abito,
provenienti dai finestrini delle auto che sfrecciano accanto a me. Nel
silenzio innaturale che avvolge la mia coscienza, un'unico pallido
desiderio impone la sua presenza con un sussurro appenna percettibile.
Ma abbastanza nitido da costringere il mio corpo ad adottare un
andamento maggiormente rapido e deciso, così come la mia
profonda necessità di una compagnia comprensiva nei riguardi
del mio dolore.
________
-Quindi, se non ho frainteso, tu avresti deciso di recarti alla festa
vestita in quel modo?-
Esclamo sarcastico, indicando l'abito alquanto succinto che Heather
mostra fieramente sul suo corpo sinuoso. I capelli chiari scivolano
sulle spalle scoperte dal tessuto scuro che le avvolge il busto,
celando appena il seno florido. La ragazza allarga le braccia sorpresa
prima di analizzare criticamente il vestito con gli occhi.
-Certo! Non sono bellissima?- la sua istintiva domanda prevede una
risposta altrettanto tempestiva che il mio sorriso sincero offre, mio
malgrado. Osservo orgoglioso il corpo di quella giovane donna, che ha
accompagnato con la sua crescita il mio invecchiamento. Le sue gambe
nude non paiono temere il vento che imperversa negli angoli di Londra.
Il fischio suadente delle raffiche sui vetri delle finestre procura un
gemito infastidito in Mary e Stella, le cui manine si affacendano sulle
cerniere dei giubbotti.
Heather rivela la dentatura candida e le gengive umide, sulle quali il
lampadario del salotto crea un riverbero allegro. La ragazza giunge le
mani sul petto, esclamando parole sognanti.
-A Clive piace così tanto quest'abito. Lo ritiene...
"incredibilmente sexy".- Imita la pronuncia virile del fidanzato,
causando una mia risata sommessa che viene immantinente sostituita da
una preoccupazione paterna evidente.
-Stai attenta. Non vorrei che questo... Clive...-
-Paul, vado solo a passare la notte dal mio ragazzo! Non
accadrà nulla, saremo cauti...-
Scuote la testa, ironicamente esasperata da quelle raccomandazioni che
non voglio mancare di offrirle.
-Lo spero! Tua madre non sa nulla di questa uscita e se dovessi
cacciarti nei guai il sottoscritto ti seguirebbe a ruota e...-
-Non preoccuparti, Paul.-
Sorride, sinceramente grata a quel piacevole timore paterno che ristora
l'animo ostentatamente maturo dei figli adolescenti.
Depone un bacio affettuoso sulla mia nuca mentre la mia mano segue il
profilo del suo collo, nella creazione di una carezza.
-Ti ringrazio, Paul! Sei il padre migliore che potessi desiderare!-
Sorrido amaramente dell'inconsapevole erroneità della sua
constatazione, lasciando scivolare lo sguardo su Mary e Stella, la cui
eccitazione riguardo la sera che presto trascorreranno in pizzeria
assieme a quelle amiche che si sono gentilmente offerte di ospitarle
per la notte, è chiaramente evidente.
Bacio le guance delle mie bambine, raccomandando loro educazione e
cortesia.
-Ricordi l'indirizzo della pizzeria, Heather?-
Domando, indicando Mary e Stella con un cenno del capo.
-Paul. Promettimi che ora ti siederai al pianoforte, intonerai le tue
meravigliose melodie e ti rilasserai. Credimi, ne hai bisogno.- Esclama
Heather, il cui animo spensierato pare essere d'improvviso sostituito
da uno maggiormente maturo e responsabile. Tale mutamento è
chiaramente espresso dalla sua voce dolce e premurosa, quanto
quella di Linda.Rivolgo loro un'ultimo saluto al quale le loro voci
rispondo attutite dal cigolio del portone.
Passo una mano fra i capelli, seguendo il consiglio di Heather.
Sfioro pudicamente il profilo scuro dello strumento che sembra gradire
tale carezza. Adagio le dita sui tasti, nell'ingenua attesa dei gemiti
insoddisfatti di James che spesso interrompono il mio lavoro e che
probabilmente questa sera stanno articolano risate cristalline in
compagnia del piccolo Benjamin.
Ricordo con un sospiro compiaciuto le parole accorate della
madre del bambino con cui Jimmy ha stretto una tenera amicizia. Secondo
la donna l'ospitalità della sua famiglia è
dispinobile ogni qualvolta "lo sviluppo della mia arte necessiti di
solitudine".
Ho ringraziato la signora con un sorriso cordiale, aprofittando del suo
invito e causando in lei un'onorata gratitudine, forse causata dalla
profonda ammirazione nei miei confronti.
Schiudo le labbra, intento ad assaporare le note che si sprigionano da
quei tasti, bianchi come il pallore elegante di Brianna e neri come i
suoi occhi mori.
Irrigidisco istintivamente la mascella, il ricordo del corpo della
ragazza affiancato al mio vivido nella mia mente. Esso riaffora nella
mia mente, eludendo le promesse di fedeltà coniugale che ho
imposto ai miei pensieri. Le tende scarlatte che velano le finestre
come lunghe ciglia femminee istillano in me il ricordo delle labbra
altrettanto rosse di Brianna. I motivi floreali che arricchiscono
allegramente la tovaglia della cucina, di cui scorgo un lembo oltre la
porta, pare sussurrarmi il ricordo peccaminoso della gonna della
giornalista che fruscia fra le sue gambe tornite. Quelle gambe che
accendono un desiderio che, nonostante la mia volontà di
sopirlo, arde ferocemente. Getto su quel fuoco la realtà,
fredda e razionale, che gli avrebbe impedito di crepitare. Ma neppure
questa convinzione pare soffocare quelle esigenti fantasie. Esse
vengono interrotte d'improvviso da un lieve rumore proveniente dalla
porta d'ingresso, verso il quale mi sorprendo grato.
Mi alzo per rispondere a quel bussare flebile come la mia
volontà di abbandonare il pianoforte.
Sospiro infastidito, ruotando il pomello sotto le dita e assistendo
inconsapevolmente alla rivelazione del corpo di Brianna di fronte al
mio.
Schiudo le labbra, alcuna parola stupita in grado di varcare quella
soglia umida e carnosa.
Scandaglio attentamente con gli occhi la figura di Bri, i cui
lineamenti dolci godono della luce appena accennata dei lampioni.
Questi offrono un maggiore candore perlaceo alla pelle della
giornalista che freme a contatto con i muscoli tesi del volto. I
capelli li sfiorano prepotentemente, nello smanioso tentativo di
addolcirli.
Le labbra purpuree e tremule liberano numerosi refoli di fiato,
smorzati dal vento.
La curva arrossata del naso, conduce a quella altrettanto provata delle
palpebre.
"Would you cry if you saw me crying?"
Le ciglia evidentemente imperlate di lacrime si protendono verso di me
in un disperato slancio, proteggendo gli occhi dalle raffiche
inospitali che si insinuano lungo le pieghe del suo vestito.
La mia voce, sorpresa quanto la mia espressione, interrompe quel
silenzio gravoso.
-Brianna? Cosa... cosa ci fai a Londra? Credevo fossi... fossi rimasta
a Liverpool, da tua madre.-
Tali parole scuotono la sua immagine silente, provocando in essa un
unico singulto che Brianna tenta di soffocare, trattenendo fra i denti
il labbro inferiore. Questo viene rilasciato lentamente, con un sospiro.
"Would you save my soul tonight?"
-Io... mi dispiace, Paul, non... non so perchè sono venuta
da te. è.. è solo che.. è accaduta una
cosa terribile e io...ho solo bisogno di qualcuno con cui... con cui
parlare...-
Non attende una risposta dal mio volto preoccupato, indietreggiando con
un gesto noncurante della mano.
-Ma che sto facendo? Sono solo una stupida... perdonami...-
Racchiudo le sue dita fra le mie, impedendole di allontanarsi. I suoi
occhi grandi e speranzosi incatenano i miei, pronunciando una silente
richiesta d'aiuto a me incomprensibile ma impossibile da ignorare.
Le sorrido rassicurante, pronunciando quelle parole che tempo prima le
hanno intimato di rivelarmi i segreti del suo passato, permettendomi di
condividere parte del suo dolore.
-Ti ascolto.-
________
"I can be you hero, baby..."
-Io... io non riesco a capire perchè lo abbia fatto. Io...
ho sempre cercato di trasmetterle il mio amore e la mia vicinanza, sia
economica che affettiva. Cosa ho sbagliato con lei, Paul? Cosa?-
I fumi dell'alcool, che ancora riscalda le mie membra, incitano le mie
parole che scivolano senza posa dalle labbra umide. Osservo con
ostentata attenzione il salotto nel quale Paul mi ha ospitata,
attraverso la vista offuscata.
Colgo con innaturale soddisfazione gli ornamenti intessuti nel tappeto
persiano, seguendone i fregi con gli occhi vitrei, colmi di quelle
lacrime che la mia spossatezza mi impedisce di versare.
L'ingente dose di etanolo ingerita poco tempo prima solleva i miei
pensieri dalle loro preoccupazioni, donando loro futili oggetti
d'interesse.
Odo chiaramente l'eco del mio respiro in quella casa inusitatamente
silenziosa, che suppongo inabitata da buona parte dei suoi padroni.
Passo una mano fra i capelli, osservando senza alcun pudore il volto
preoccupato di Paul. Le sue iridi chiare si dilatano di fronte alle
mie, condividendo con esse la stessa vacuità.
Al contrario, le sue parole risultano espressive e alquanto accorate.
-Nulla, Bri. Credo che tua madre abbia ceduto ad una vecchia abitudine,
senza comprenderne le conseguenze.-
-Non avrebbe dovuto. Sa perfettamente quanto quei maledetti
tranquillanti abbiano deteriorato la sua condizione psicologica.
Credevo fosse guarita abbastanza per capirlo.-
-Forse ha più bisogno del tuo aiuto di quanto tu creda.-
Paul si avvicina a me con un sorriso caloroso e il capo, leggermente
inclinato sulla spalla, come un muto invito alla comprensione delle sue
parole.
-Ma io non posso farcela, Paul. Io ho solo ventun anni e durante
l'ultimo periodo della mia vita mi sono dimenticata di me stessa e
delle mie esigenze per soddisfare le sue. Cosa devo fare di
più? cosa posso fare ancora per sopire il suo dolore che sta
uccidendo anche me?-
Avverto le lacrime colmare gli occhi ma nessuna inibizione che mi
consigliasse di rigettarle in gola. Da questa proviene solo un singulto
sconsolato che pare ordinare alle mani di Paul di avvolgere le mie
spalle.
"...I can kiss away the pain..."
-Sei molto più forte di quanto immagini, Brianna Richards.
Riuscirai a superare anche questa difficoltà, come sei stata
in grado di affrontare quelle precedenti che hanno popolato il tuo
passato.-
Un unico, improvviso, desiderio che non riesco a domare, pare smentire
questa sua convinzione. Divengo improvvisamente preda di un istinto che
da troppo tempo tento di soffocare e che ora eroga il suo diritto di
rivelarsi. Esso non viene placato da quella razionalità che
ormai è stata rilegata in un anfratto remoto della mia mente
dal quale non desidero aiutarla a riemergere.
Ignorando la portata del mio gesto, intreccio le mie dita oltre il
collo di Paul; il collo di quell'uomo che ha ascoltato accuratamente le
mie parole, senza distogliere gli occhi dai miei; quell'uomo che con la
sua voce melodiosa ha accompagnato pazientemente la mia infanzia,
erodendo le sponde di quel fiume arido che ha trasportato il mio
tragico passato; quell'uomo che pare ora la mia unica àncora
solida ed efficente in quel tempestoso mare in cui si infrangono le
onde della realtà.
Mentre queste effimere convinzioni regnano sovrane la corte confusa e
indifesa dei miei pensieri, adagio le mie labbra sulle sue,
assaporandone con un gemito sorpreso la morbidezza. La sua bocca
diffidente freme contro la mia, prima di cedere al mio prepotente
desiderio con altrettanta irruenza. Percepisco le sue mani premere
trepidanti sul mio collo, come nel tentativo di lasciar sprigionare
dalla mia pelle quelle note melodiose che solo il suo pianoforte
è in grado di intonare. Schiude dolcemente la mia bocca con
la sua, prima di incurvarla in un sorriso appagato.
Ma le sue dita esigenti che premono sulla stoffa del mio vestito,
paiono suggerire un bisogno più profondo che non
può essere soddisfatto da quell'unico bacio peccaminoso.
Assecondo questa necessità con una lasciva carezza, che
scivola fra i suoi capelli.
Senza distogliere le sue labbra dalle mie, conduce il mio corpo oltre
il salone, in una stanza che si rivela assai più oscura ai
miei occhi chiusi.
Il mio capo, colmo di pensieri irrazionali plasmati da una fantasia
pungente, saggia una piacevole morbidezza di cui gode soltanto durante
il sonno. Riconosco la ruvidezza delle lenzuola che avvolgono il letto
matrimoniale, contro il mio petto nudo, rivelato dalle mani ansiose di
Paul. Sussurro il suo nome piacevolmente sorpresa, insinuando le dita
sotto la sua camicia setosa.
Affacendo lascivamente le mani sulla sua cintura, avvolgendo con le
gambe la sua vita; gesti naturali che la mia mente non pare in grado di
controllare.
Sorrido dei suoi baci audaci che percorrono la curva del mio
seno, abbandonando la mia moralità all'abisso tanto
piacevole quanto irreversibile dell'estasi.
Angolo autrice:
oooook, questa scena finale era inaspettata all'inizio della storia. Ma
credo fosse naturale inserirla; infondo il nostro caro Paul impazziva
per Bri e quest'ultima (forse a causa della leggera sbornia, o forse
per un amore da troppo tempo sopito) cede ad un'irresistibile
tentazione.
Ora sta a voi immaginare cosa accadrà fra i due nel prossimo
capitolo ;)
Aspetto con ansia le vostre recensioni
Peace&Love
Giulia
Ps: ringrazio Kia85 per il prezioso consiglio che mi ha offerto nella
recensione al capitolo 18; spero di averne fatto buon uso.
|
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Capitolo 20 *** Rimorsi ***
Ciao
mie sempre più care lettrici.
Ho
deciso di pubblicare anticipatamente il capitolo 20 proprio
perché
probabilmente non ci sentiremo per tre settimane. Sono certa che mi
mancherete
tantissimo! Ma spenderò il tempo trascorso lontano da voi
scrivendo gli ormai
pochissimi capitoli restanti al termine della storia.
Ma
passiamo al capitolo sottostante, in cui non accadrà nulla
di rilevante
riguardo la trama ma verranno analizzate le rispettive reazioni di
Brianna e
Paul riguardo la notte trascorsa assieme.
Spero
che il capitolo risulti gradito come i precedenti.
Buona
lettura!
Londra Maggio
1981
Il
primo suono avvertito dalle mie orecchie è quello del mio
respiro ancora
affannoso che sfiora le lenzuola, con lo stesso pudore con cui queste
ultime celano
le mie membra. Percepisco progressivamente la mia pelle raggrinzirsi a
causa
delle fastidiose raffiche di vento che si insinuano attraverso le
finestre,
schiuse come le mie labbra, dalle quali si sprigiona il fiato della
natura che
penetra oltre le coperte e si infiltra confusamente nei miei capelli
con un
sospiro soddisfatto. Simile a quello che nel sonno colma il petto di
Paul,
prima di oltrepassare la soglia delle sue labbra colorate di un rossore
accesso, simile a quello che dipinge le sue guance e che offre al suo
viso un
candore puerile.
Questo
si dipana sul suo petto villoso, rischiarato appena dai raggi lunari,
dai quali
le coperte paiono desiderose di proteggerlo. Quel pallido lucore si
introduce
pudicamente attraverso le maglie setose delle tende, le quali carezzano
altrettanto timidamente i vetri delle finestre. Odo indistintamente il
traffico
notturno che, non pago dell’occupazione strenua delle strade
di Londra,
imperversa anche nei miei pensieri confusi con suoni indefinibili che
non ho
intenzione di decifrare.
La
mia attenzione è infatti impegnata a sondare la
realtà circostante con il suo
occhio, reso affatto critico dalla spossatezza che infastidisce le mie
membra.
Scuoto ripetutamente le
palpebre per scacciare
malamente dalla vista la sensazione di tiepido sopore di cui la notte
l’ha
cosparsa. Riemergo lentamente dal sonno che ha colto poche ore prima il
mio
corpo, riversandolo blandamente su quello di Paul, anch’esso
accolto dal
sorriso ammaliante di Morfeo. Mi sono congedata dalla sua gentile
ospitalità
mentre Paul pare intenzionato a godere ancora della compagnia di quella
divinità effimera che avvolge con i suoi doni il volto
dell’uomo di un tepore
innaturale che permette di essere ammirato solo nel riposo. Tale
placidità
abbandona in fretta la mia mente come un’inquilina
insoddisfatta, sostituita da
un dolore notevole che assale le mie tempie con il suo silente grido.
Porto
una mano alla fronte sudata, dove i capelli si riversano in un posa
stremata.
Massaggio la pelle con i polpastrelli, corrugando le sopracciglia,
rivolte a
quegli occhi che mi ostino a tenere serrati. Oltre quella prigione in
cui
racchiudo le iridi scure, si avvicendano i recenti ricordi di quella
notte non
ancora trascorsa. Ripercorro naturalmente con la memoria i sospiri, le
mie urla
eccitate, il sorriso di Paul che poche ore prima hanno impregnato le
pareti di
quella stanza, ora silenziosamente indignate proprio come la mia
coscienza.
Questa riemerge dalla mia mente, con la stessa irruenza dei ricordi,
costringendomi a sedermi sul materasso lentamente, liberando i miei
capelli
dalle dita di Paul, adagiate su di essi.
Osservo
quella mano grande e callosa, la cui posizione assunta risulta
così diversa da
quella della sua compagna, distesa sul torace.
Porto
il lenzuolo a protezione del petto nudo, gli occhi sgranati che
scandagliano le
vesti riverse scompostamente sul tappeto, condividendo con la mia
morale la
stessa sdegnosa repulsione.
Distinguo
senza difficoltà i miei capi d’abbigliamento,
scuri come la notte e altrettanto
forieri di sgradevoli emozioni.
Distolgo
istintivamente gli occhi dalla
mia
biancheria, un moto di nausea che assale la mia gola aumentando i
dolori
consistenti al capo.
Lo specchio che ricopre la
parete di fronte al
letto matrimoniale verso cui rivolgo istintivamente il mio sguardo pare
crudelmente deciso ad arricchire tale sgradevole sensazione attraverso
l’immagine riflessa impietosamente.
Soffermo
la mia attenzione sul volto che mi osserva con eguale
curiosità. Una curiosità
morbosa, intenzionata a carpire nei miei lineamenti
l’empietà dell’atto
commesso.
Ma
nello specchio altri non riconosco se non un volto dalle gote piene, il
cui
rossore soddisfatto colora le labbra carnose e le spalle nude. Queste
sono
celate da lunghi capelli neri, che la notte pare aver intessuto
pazientemente
in eleganti volute che sfioro con i polpastrelli. Raccolgo fra le dita
una
ciocca, constatando amaramente che non ha subito mutamenti in seguito
al gesto
atroce compiuto poche ore prima.
Rivolgo
nuovamente gli occhi allo specchio, offrendo ad esso uno sguardo
maggiormente
accurato in grado di penetrare il mio piacevole aspetto e addentrarsi
nella mia
anima tormentata.
Curvo il capo verso il
ventre, sperando che
quella maschera di dita possa proteggermi dall’immagine
disperata che mi ha
osservata sarcastica dallo specchio.
Un’immagine
nella quale d’improvviso ho riconosciuto una donna del mio
passato; una donna
che ha ucciso la mia infanzia e che popola ancora la realtà
con il suo fantasma
onnipresente.
L’amante
di mio padre.
Libero
il volto dalle mani, unica parole che pare definire il mio essere che
ridonda
fra i miei pensieri sconnessi.
…Sgualdrina…
…sgualdrina…
…sgualdrina…
Concentro
l’attenzione sui miei respiri lenti, così diversi
da quelli affannosi che
colmano la mia memoria, senza riuscire a dimenticare
quell’unica parola, nella
quale è concentrata la mia natura barbara, che ha ceduto a
quegli istinti
carnali che ho ripulso con cotanto odio durante
l’adolescenza. Il mio più
grande nemico ha assunto le mie sembianze, con l’aiuto
dell’alcool, che ha
impedito alla mia coscienza di innalzare una barricata per impedire a
quell’avversario di penetrare i miei sensi.
Lascio
scivolare i polpastrelli sulla bocca, per intrappolare un gemito
profondo
causato dal rimorso, sentimento sgradevole arricchito dalla
consapevolezza
della mia moralità mancata.
Tale
certezza attanaglia il mio animo, costringendo alle mie membra una
sequenza
irrazionali di movimenti che paiono celare un’unica soluzione.
Recupero
gli occhiali dal comodino dove poche ore prima Paul li ha adagiati
accuratamente, ignorando pudicamente la foto di una Linda sorridente,
racchiusa
in una cornice altrettanto gioiosa.
Allontano
il ritratto con un gesto della mano, come una scolara che tenti di
spiegare il
motivo della sua impreparazione ad un’interrogazione. Ma non
sono certa di
essere in grado di chiarire neppure a me stessa il motivo del mio
errore, che
pulsa selvaggio oltre le tempie. Accompagnato da quell’unica
parola.
…
Sgualdrina…
Recupero
rapidamente i miei indumenti dal tappeto, accertandomi della loro
natura con la
sottile pressione delle dita. Mordo vergognosamente il labbro inferiore
all’udire la stoffa del mio vestito frusciare lungo quelle
gambe che poco tempo
prima hanno subito le lascive carezze di un uomo sposato.
…Sgualdrina…
…sgualdrina…
Un
uomo la cui bocca carnosa rilascia un gemito infastidito in seguito
allo
stridio dei tacchi delle mie scarpe sul pavimento. Indosso lentamente
le
calzature mentre il respiro di Paul riassume la sua
regolarità. L’unico
desiderio conscio che popola la mia mente riguarda la fuga da quella
stanza, le
cui pareti sono impregnate da un’imperdonabile peccato.
Porto
una mano alla testa, una silente implorazione rivolta a quella parola
tanto
crudele quanto definitiva che preme contro la mia fronte, con il fine
di
distruggere la labile barriera delle mie certezze. Esse sono scivolate
nell’abisso dell’estasi e del piacere che,
nonostante il rimpianto, ancora
contribuisce alla creazione di numerosi fremiti lungo le mie membra.
Quell’inesorabile
parola combatte contro la mia preesistente lussuria mentre mi dirigo
veros la
porta della camera da letto.
…Sgualdrina…
…sgualdrina…
…sgualdrina…
Un
sospiro tremulo vìola il mio respiro quando sfioro
distrattamente la figura di
Paul, placidamente addormentata.
La
mano che prima ha riposato sul suo petto ora scivola oltre il
materasso,
permettendo alla luce della luna di illuminare la fede nuziale. Il
riflesso
luminoso di quest’ultima causa un urlo maggiormente acuto
nella mia coscienza
che provoca la discesa di copiose lacrime lungo le guance.
SGUALDRINA!
Richiudo
l’uscio alle mie spalle accompagnata da un’unica
voce, assai effimera a
differenza del mio rimorso.
...Sgualdrina…
_______
Il
sole primaverile distende i suoi raggi pallidi nella stanza, sfiorando
inevitabilmente il mio volto.
Si
ritraggono repentinamente, desolati, sostituiti dall’ombra
oscura prodotta da
una nuvola passeggera che sosta solo pochi istanti nel cielo di Londra,
permettendo alle mie palpebre ancora chiuse di assaporare nuovamente il
lucore
flebile del sole.
Questo
pare invitarmi al risveglio, provocando il movimento istintivo delle
ciglia, che
si adagiano elegantemente sulle guance, come fedeli sudditi impegnati i
doverosi inchini. Ma il destinatario di questi ultimi pare indefinito,
forse
celato dalle lenzuola rese d’improvviso dorate. Dirigo una
mano verso la sponda
opposta del letto, ormai consapevole che non sia occupata dal corpo di
Brianna.
Quel
corpo che rivela immantinente i miei recenti ricordi, riaccendendo per
un istante
i miei sensi. Reprimo subitaneamente l’immagine delle sue
nudità, cercando con
gli occhi i suoi effetti personali che la notte precedente hanno
assistito alla
nostra passione rovente, assieme ai miei.
Mi
passo una mano fra i capelli, il profumo della giornalista ancora
impresso
sulla mia pelle, nonostante la chiara assenza della sua padrona.
Placo
il mio desiderio con un sospiro, permettendo a quella
razionalità bandita dai
miei pensieri per alcune ore, di riconquistare degnamente il suo
insigne ruolo
nella mia mente.
Abbasso
lo sguardo sulla mia fede nuziale, ricordando con un istintivo sorriso
il
rossore imbarazzato di Linda durante il ostro matrimonio in occasione
dello
scambio degli anelli. Quel rossore che io quella notte ho ingenuamente
creduto
di riconoscere sulle gote di Brianna; le gote di un’altra
donna, che ha
contribuito alla lontananza del ricordo di Linda che ora si adagia sui
miei
pensieri, occupandone l’intera attenzione.
Quella
parola di cui in passato non ho mai avuto timore, ripropone la sua
presenza
inaspettata, colpendo con ferocia le mie tempie.
…Traditore…
….traditore…
…traditore…
Tale
consapevolezza preme contro il mio ventre, creando una fastidiosa
sensazione di
vacuità che tento di soffocare recuperando la mia biancheria.
Mi
vesto con malcelata indifferenza, sperando invano che la
rapidità dei miei gesti
vincesse quella lunga maratona contro il rimorso.
Quell’avversario colmo di
risorse guadagna terreno nella mia mente, urlando un unico slogan.
...Traditore…
L’acqua
scorre copiosa lungo la mia schiena, inumidendo le pareti della doccia
dove ho
cercato invano rifugio dal mio tormento.
Inclino
il capo, permettendo al tepore delle gocce di imperlare il mio volto,
costringendomi a boccheggiare debolmente e a restringere gli occhi
brucianti. L’acqua
scivola lungo il mio corpo con l’eguale lascività
delle labbra di Brianna, le
quali nel mio ricordo non possiedono affatto la rassicurazione di
quelle di
Linda, come ho erroneamente creduto.
Reprimo
a fatico l’immagine delle labbra di Brianna che hanno
assaporato ogni minimo
anfratto delle mie membra. Deglutisco rumorosamente, ricordando mio
malgrado la
mia risposta a quell’inusitata voracità,
altrettanto feroce. Il mio respiro affannoso
pare espressione della mia improvvisa preoccupazione riguardante la
remota
possibilità della replica del mio antico errore giovanile.
Quel
flebile presentimento uccide lentamente la mia razionalità,
come un crudele
sicario al quale non riesco a fare fronte. Quella
probabilità, resa
improvvisamente possibile dal mio acuto timore.
Scuoto
tale pensiero sgradevole, asciugando il mio corpo da quelle gocce
d’acqua che
paiono affezionate alla mia pelle, da cui non desiderano essere
allontanate.
Il
dubbio che poco tempo prima ha attanagliato la mia mente mi costringe a
ripercorrere con un brivido di rimorso, la notte peccaminosa trascorsa
con
Brianna, alla smaniosa ricerca di una smentita. Mi porto le mani ai
capelli, un
terrore infantile e privo di reale fondamento a fremere nelle mie
membra intorpidite
che il cigolio dell’uscio principale scuote
d’improvviso.
Indosso
l’accappatoio, mostrando allo specchio il sorriso
rassicurante che mi affretto
ad indossare. Nonostante tale maschera in essa riconosco senza
difficoltà un
inusitato appagamento che provoca in me un impellente disagio che mi
risolvo ad
affrontare.
Accompagno
la mia uscita dal bagno con un sonoro sospiro, la cui motivazione ad
orecchie
altrui è fornita dalla soddisfazione della doccia appena
compiuta. Mentre alle
mie è solo espressione di desolazione e profondo ed
inguaribile rammarico.
-Paul?!
Non credevo fossi mattiniero!-
L’esclamazione
piacevolmente sorpresa di Heather reca con sé la spontanea
allegrezza di una
gioventù che io ho distrutto con un unico, scellerato gesto.
I
capelli biondi di quella che ormai da tempo considero la mia bambina
scivolano
affettuosamente verso le guance arrossate di James, sulle quali le mani
strette
a pugno del bambino paiono ricercare tepore in quell’ennesima
giornata ventosa.
Le braccia di Heather cullano affettuosamente il bambino che sbadiglia
sonoramente, imitato d Mary e Stella che, intuisco, abbiano preferito
la
compagnia delle amiche a quella silente e tediosa del letto.
Heather
si avvicina a me, un’aura preoccupata circonda i suoi occhi
ridenti.
-Che
succede? Hai dormito poco? Non sei più abituato passare la
notte da solo?-
L’ironia
contenuta nella sua ultima domanda scema progressivamente durante
l’analisi
attenta della mia espressione frustrata, probabilmente non celata
così
adeguatamente come credevo.
Alza
lo sguardo al cielo, fingendosi esasperata.
-Tranquillo,
io e Clive non abbiamo esagerato. È stato tutto
perfetto…- sussurra con aria
sognante, mordendo il labbro inferiore, incurvando le labbra in un
sorriso.
Le
ultime parole da lei pronunciate occupano d’improvviso la mia
mente,
sostituendo quella che ha governato fino a quel momento la mia mente.
Tutto
perfetto
La
realtà si dipana alla mia vista, oscurata da un effimero
piacere lussurioso.
Riconosco
senza difficoltà la perfezione insita nella mia famiglia;
negli occhi dei miei
figli, che mi osservano, pregni di puerili soddisfazioni quotidiane;
nella
risata cristallina di James e in quella altrettanto pura di Mary e
Stella; nell’ironica
malizia di Heather e in quella dolce ma sensuale di Linda. Sorrido
della
vetrata istoriata e luminosa fregiata di queste famigliari immagini,
che
permette al sole di penetrare in quella fortezza inespugnabile che pare
essere
la mia vita. La perfezione ha sempre adornato la mia esistenza,
oscurata
soltanto dal mio insano desiderio che mi ha consigliato di violare la
purezza
di Brianna. Tale bisogno viene improvvisamente soffocato, assieme a
tutti i
dubbi sorti precedentemente.
Solo
una frase commossa solca le mie labbra, che quella notte hanno
ingenuamente
liberato parole affannose, dettate da un amore effimero. E fuggevole,
come la
fedeltà famigliare che fatico ad immaginare senza ribrezzo
di aver tradito.
-Hai
ragione, Heather. Non sono più abituato a dormire da
solo…-
Angolo
autrice:
Ragazze!
Ho
scritto questo capitolo con un po’ di difficoltà,
ma spero sia stato gradito.
Ringrazio
tutti i miei lettori!
Peace&Love
Giulia
|
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Capitolo 21 *** Diritto negato ***
Ciao carissime!
Sono tornata!!
Vi preannuncio che questo sarà un capitolo succulento,
strutturato soltanto in un unico grande pov di Brianna, nel quale
verrà rivelata una verità a dir poco...
scovolgente! O almeno spero lo sia :P
Vi avviso non senza un po' di malinconia che mancano solo tre capitoli
al termine di questo racconto, escluso quello sottostante. Questa mia
splendida avventura sta per concludersi ma non è detto che
non ammainerò presto nuovamente le vele di questa grande e
meravigliosa nave che è la scrittura di fanfiction.
Stefania, questa metafora è tutta per te ;)
Anzi vi anticipo che ho già un'idea per una nuova long... ma
non svelo nulla.
Ho già rubato troppo spazio, vi lascio al capitolo!
Buona lettura.
Liverpool Maggio 1981
Le rotaie cedono senza difficoltà alla prorompente mole del
treno, con la stessa naturalezza con cui i miei pensieri subiscono
l'irruenza dei ricordi. Le immagini protagonisti di questi ultimi si
atteggiano come a grandi e celebri personalità che
passaggiano fra i prati, insinuano la loro figura fra gli alberi e le
nuvole sfilacciate, imponendo la loro presenza al paesaggio che si
rivela oltre al finestrino opaco, al quale ho offerto la mia
attenzione.
Passo una mano fra i capelli, le cui ciocche la mia fantasia crede
ancora plasmate dalle carezze di Paul.
Il cigolio blando che accompagna il treno sul binario successivo pare
incredibilmente somigliante a quei gemiti rochi e convulsi che
partecipano assiduamente alla progressiva rivelazione di quel recente
passato che tento di celare grazie ad un'ulteriore immagine.
Quella di una donna.
Una donna esile, non più padrona ormai del suo corpo minuto
e della sua anima altrettanto fragile contro la quale ho inveito,
incurante delle ripercussioni che tali urla avrebbero potuto causare
all'oggetto della mia ira.
Adagio il capo al finestrino, dimenticando il gelo innaturale che ne
pervade il vetro. Chiudo gli occhi e libero contro di esso una sola
lacrima che una anziana signora che ha da tempo preso posto accanto a
me, accoglie con un sorriso malinconico. Scambiandola forse per il
frutto di un amore non corrisposto e non per la figlia di un dolore che
ritengo insanabile.
"Una.
Due.
Tre.
Le venature di cui il soffito del motel è cosparso si
rivelano all'improvviso a quella mia analisi accurata, come
scolari capricciosi di fronte ad una maestra alquanto severa.
Ma di tale insegnante non possiedo l'intransigenza; qualità
che, forse, avrebbe soffocato quel mio desiderio lussurioso che non ho
tardato a soddisfare.
Il pentimento, vigoroso cavaliere da tempo addentratosi nella corte dei
miei pensieri, uccide brutalmente la passione, avversario emaciato,
ormai spossato dall'esperienza trascorsa soltanto poche ore prima.
Di quella notte non resta che un ricordo confuso, soffocato dall'alcool
maldestro e da quella necessità peccaminosa.
Il materasso sospira sollevato quando sollevo il mio corpo, il cui peso
ha gravato per alcuni istanti sulle lenzuola.
Le mani saggiano con una carezza premurosa il calore offerto alla mie
guance dalle lacrime copiose appena versate.
Un singhiozzo scuote le mie membra, avvicninandole alla finestra.
Questa risulta fiocamente illuminata dal sole, pallido come le mie
labbra, ormai scolorate di quella tinta purpurea, dono della passione
fuggevole.
Quella passione che ha arricchito i baci roventi di Paul di un
inaspettato calore e le sue rassicurazione precedenti di un'accoratezza
sincera.
D'improvviso alcune delle sue parole antecedenti a quel delirio carnale
risuonano nella mia mente, accompagnate da un tono autoritario che
originariamente non le ha plasmate.
-Forse ha più bisogno del tuo aiuto di quanto tu creda.-
Ricordo quanto questa frase appena sussurrata sia stata riferita a mia
madre e quanto coonservasse il fine di donarmi maggior spensieratezza.
Sentimento però che annebbia i miei umani rimorsi soltanto
ora, mostrandomi diligentemente il soggetto, per la salute del quale,
devo interrompere la corsa delle mie lacrime.
Scaccio quelle umide gocce salate dalle mie gote, con una bruschezza
indelicata, con la quale esprimo il mio disinteresse riguardo
quell'acuto dolore. Tale attenzione scema rapidamente, consacrandosi
senza alcuna riserva all'unico sentimento che ne fosse degno: l'affetto
profondo che provo per mia madre. Quell'amore incondizionatamente puro
che non ha riservato il suo candore a quelle mie ultime parole a lei
rivolte. La delusione le ha insozzate dell'unguento viscoso della
rabbia, generato da un unico istante. Di esso mi pento amaramente,
riconoscendo d'improvviso l'importanza gravosa che mia madre ha sempre
rivestito in quel gioco irreversibile che è la vita. Un
ruolo assai maggiore di quello che si fregiano le pedine del mio
dolore, che muovo in silente solitudine nella scacchiera della
realtà.
Respiro profondamente, rimembrando il volto terreo di mia madre, la cui
espressione forgiata dalle mie grida severe, ha espresso una disperata
richiesta d'aiuto che non sono riuscita a cogliere, a causa della mia
razionalità accecata dal rammarico. Sorrido, l'intenzione di
sopperire a tale mancanza palpita nel mio cuore ormai privo di
allegrezza, contribuendo a tingerlo di una vana speranza di redenzione.
Recupero le chiavi della mia casa a Liverpool da quell'antiquato
cassettone, il cui profilo sgraziato è stato riservato al
muro, che sopporta pazientemente la sua ingente mole.
Chiudo la portea lignea della stanza del motel e discendo rapidamente
le scale, ignorando le mie gambe slanciate, foriere di sgradevoli
ricordi."
Le raffiche ventose che da tempo gozzovigliano fra i quartieri di
Liverpool accolgono in un caloroso abbraccio sorpreso il mio corpo,
glorificando il mio arrivo con un fischio sonoro e vibrante. Questo
percuote con vivacità le mura inglesi come un bimbo che
avverte la madre di una presenza inaspettata afferrando le gonne della
donna spazientita fra le mani paffute. Quell'ingenua pretesa di
attenzione pare rivestire anche il volto inespressivo della
città, che si staglia orgogliosa di fronte a me, con
l'intenzione di suscitare i miei sguardi ammirati che non ho mai
dimenticato di offrirle. Ma oggi offro a quei lineamenti pietrosi solo
un sorriso apatico, come quello offerto dalle madri sconsolate a quei
figli che forse non potranno mai comprendere il loro dolore. Liverpool
approva il mio composto silenzio, trasudando però nei suoi
viottoli il vano desiderio di rallegrarmi.
Riconosco senza difficoltà i profumi speziati che fino ad
alcuni giorni prima ho respirato assieme a Paul, assaporando la dolce
fragranza che ha impregnato la sua camicia.
La nobile intenzione della città di offrirmi, attraverso il
suo paesaggio caratteristico, ricordi famigliari e affettuosi, pare ora
un crudele tentativo di deridere la debolezza della mia coscienza
grazie ad immagini di un passato recente. Quel passato che attanaglia
nuovamente la mia mente, insinuandosi in ogni anfratto di quella
provincia, da me cotanto amata. Percepisco la voce sudenti di Paul in
quella irriverente dei negozianti, le mani eleganti del cantante nei
gesti vaghi delle anziane comari e le labbra scarlatte dell'uomo in
quelle screpolate di alcuni ragazzini assiepati attorno ad un locale.
Abbasso il capo, come un soldato, nel tentativo di evitare le
incessanti granate con cui i ricordi desiderano punire la mia immorale
lussuria.
Avvolgo il mio busto con le braccia, tentando inutilmente di proteggere
il mio corpo da quel vento gelido, improvvisamente inospitale.
Accolgo con un sospiro soddisfatto la figura della mia abitazione,
esile e assai poco appariscente, proprio quanto la sua padrona. Osservo
con un sospiro malinconico quelle tegole sconnesse quanto l'animo di
mia madre, che nessuno ha mai avuto intenzione di riparare. Il tempo ha
eroso i mattoni, e il profilo candido della casa.
I fiori ordinati sul balcone, non sorridono al sole opaco con la
vivacità di quei colori ormai spenti a causa di una cattiva
cura.
Lascio scivolare la chiave nella toppa.
Tre cigolii.
Il primo, acuto e repentino.
Il secondo, basso e prolungato.
E il terzo che rivela con un sospiro affaticato l'interno della mia
dimora.
Sorrido di quei suoni familiari che donano alla mia mente un'unica,
sincera malinconia.
Mi addentro a casa ma percepisco appena il ticchettio dei miei stivali,
soffocato da passi assai più frettolosi, nei quali riconosco
l'angoscia di un'attesa a lungo sperata.
Tale piacevole rumore viene accompagnato da una voce, arrochita da un
pianto recente, interroto subitaneamente, al momento del mio rientro.
-Brianna?-
Mia madre giunge le mani di fronte alla bocca carnosa, così
simile alla mia, un sorriso sollevato che si dipana oltre le dita. Tale
espressione di gioia inaspettata fa rilucere il suo viso di
un'inaspettanto entusiamo, che riporta alla mente quello infantile.
Della puerilità, quella donna, possiede le gote arrossate da
quel sentimento benevolo e gli occhi raggianti.
Sorrido a questa visione, che da tempo ha occupato degnamente la mia
attenzione.
D'improvviso il dolore provato in seguito a quella notte immemorabile
viene soffocato dall'irruenza di un sentimento maggiore, la cui forza
familiare ha sorretto il mio animo per anni di disperazione, offrendomi
la forza di proseguire degnamente la mia vita: l'amore. Una
consapevolezza sguascia nella mia mente, come uno sciroppo benefico,
che scaccia senza difficoltà i miei timori.
Comprendo il mio errore riguardante la valutazione di Paul, il quale ho
sempre considerato la mia ancora di salvezza; essa risulta d'improvviso
avere il volto di mia madre. Una donna dall'animo debole che richiede
il mio aiuto e mi offre il suo attraverso un bacio o una carezza
altrettanto amorevole.
Quelle dimostrazioni affettive che ora arrichiscono il mio viso di un
appagamento beato simile al sonno ristoratore in cui la spossatezza
traghetta l'uomo in seguito ad una giornata sfiancante.
Prende il mio mento fra le mani e strofina il suo naso contro il mio,
ripercorrendo con un gesto un personale rituale infantile.
-Mi dispiace, Bri, mi dispiace davvero tanto. Non so cosa mi sia preso,
sono stata un'incosciente. Io... ti prometto che cambierò.
Sì, cambierò! Ti assicuro che mi
libererò di quelle maledette pillole, amore, te lo
prometto... te lo prometto...- Ripete le ultime parole in un refolo di
fiato che accarezza il mio collo. Adagio delicatamente la mia mano
contro la nuca, sussurrandole parole di conforto. Queste ultime vengono
interrotte da un gemito infantile proveniente dalle labbra di mia
madre, adagiate contro la mia spalla.
-Credevo non saresti tornata da me dopo quello che ti ho fatto. Sono
stata davvero ingenua a credere che quelle pillole siano più
importanti di te...-
Alza il capo e bacia sonoramente le mie guance.
-Ma niente è più importante di te, Brianna. Sei
l'unica ragione che ho... per continuare a vivere e io...-
-Lo so, mamma. Ti amo anch'io.- scuoto ripetutamente il capo prima di
proseguire.
-Non... non avrei dovuto dirti quelle cose orribili, sono stata un
mostro, io...-
-No...- la sua voce rassicurante è velata da una
sincerità oltremodo genuina.
-No, Bri! Tu sei stata matura e corretta nel tuo giudizio contro di me
e te ne sono grata. Se non fosse stato per le tue parole non avrei mai
capito la portata dell'errore che stavo compiendo.-
Il suo volto si oscura di una serietà compunta che anticipa
parole altrettanto sentite, le quali sono attorniate da un'eccitazione
acuta e incomprensibile.
-Sei incredibilmente responsabile, Bri. Hai sempre dimostrato questa
tua caratteristica in anni di adolescenza mancata, nella quale non mi
hai dimenticata per un solo istante. Hai abbandonato gli studi, hai
trovato un lavoro, hai guadagnato dei soldi, sei tornata a Liverpool
ogni volta che ne avevi la possibilità e tutto questo solo
per me...-
Sorrido, grata per quell'inaspettata constatazione. Tento nuovamente di
avvolgere mia madre in un abbraccio che lei rifiuta. Il cenno della sua
mano tremante con cui pone una distanza fra i nostri corpi pare non
essere d'accordo con il chiaro desiderio affettivo che freme nelle sue
membra.
-Non ho rimpianti per ciò che ho fatto mamma. Nonostante
ciò che ho detto ieri, io... io ti amo, sei la persona
più importante della mia vita... avrei dovuto sostenerti
maggiormente, starti più accanto per evitare che tutto
questo accadesse di nuovo ma ora sono qui. E ti prometto che
combatteremo insieme questa battaglia che è l'unica che vale
davvero la pena di combattere.-
Anche il mio tentativo di intrecciare le mie dita con le sua risulta
vano. Corrugo la fronte, con un sorriso stupito, accompagnando gli
occhi all'intorno, come alla ricerca di una motivazione a
quell'improvviso distacco.
Mia madre deglutisce profondamente, inclinando il capo, lo sguardo
attratto dai fregi del tappeto persiono che adorna l'ingresso.
-No, Bri, tu non hai sbagliato nulla con me. è colpa mia,
che ho ripagato la tua premura con un comportamento riprovevole. E
adesso... adesso credo... credo sia giunto il momento di spiegartne la
causa...-
Sgrano gli occhi, una spiacevole sensazione si impadronisce di me.
-So benissimo il motivo del tuo dolore mamma, forse perchè
l'ho provato anche io. A differenza tua però sono riuscita a
superare più facilmente la delusione per il gesto... il
gesto... il...- quell'azione passata di cui sono stata protagonista
poche ore prima fatica ad assumere la veste di quelle parole che fatico
a pronunciare.
-Il gesto... gesto... orribile che fece quel verme di mio padre. Non
devi spiegarmi nulla, lo sai. Io sono con te.-
La sua voce lamentosa tradisce un gemito stonato che risuona lungo le
pareti.
-No, quella... quella è solo parte della verità
che ti nego da troppo tempo, credendo... credendo che tu sia ancora
troppo piccola per capire... ma dopo la tua dimostrazione di
responsabilità e dedizione nei miei confronti non posso
negarti un tuo diritto... un diritto di cui una giovane donna come te
dovrebbe godere: la verità.-
Un presentimento alquanto spiacevole avvolge le mie membra di un
torpore innaturale dal quale emerge solo una domanda formulata dalla
mia voce arrochita che percepisco estranea.
-Quale verità, mamma? Che stai dicendo? Diritto negato?
Quale diritto? Di che stai parlando?-
Le mie parole si affaccendano ansiose sulle mie labbra in attesa di una
risposta.
Mia madre preme le mani sulle tempie, come infastidita dal mio tono
pretenzioso. Con un sospiro rilassa la fronte, percorsa da rughe
d'espressione.
Accenna ad abbandonare l'ingresso esclamando:
-Ti prego, seguimi. Io... devo dirti molte cose che ti ho indegnamente
taciuto fino ad ora. Credo proprio che sia giunto il momento che tu le
sappia.-
Tento di rassicurarla con le mie parole ancora poco convinte.
-Non siamo in un film, mamma, e tu non sei il personaggio che
svelerà chissà quali misteriosi segreti del mio
passato. Io conosco il mio passato e so perfettamente quanto sia stato
doloroso ma ora siamo insieme e affronteremo tutto, come sempre... non
ho bisogno di sapere altro.-
-Non è vero... tu non sai niente riguardo al tuo passato...
riguardo... riguardo a tuo padre...-
Alzo gli occhi al cielo, prima di accarezzarle le spalle in un gesto
preoccupato.
-Che altro devo sapere di quel verme? Ti ha picchiata? Ti ha fatto del
male? Ti ha costretta a fare qualcosa che non volevi? Ti ha molestata?
Oh mio Dio, se così fosse lo cercherò in capo al
mondo e ti giuro che gli restituisco tutti i torti che ti ha fatto.
Ovunque si sia cacciato con quella... quella...- sospiro, la parole
ancora aggrovigliata nelle maglie dei ricordi.
-Quella... quella... quella maledetta... sgualdrina, io ti giuro che lo
troverò.-
Un sorriso amaro dipinge la bocca di mia madre, incurvandola in
un'espressione altrettanto desolata.
-No, non riguarda Quel padre...-
-Perchè, ce ne sarebbero altri?- rispondo con una lieve
ironia che lo sguardo grave di mia madre allontana subitaneamente dalle
mie parole.
-Solo... solo uno...-
Deglutisco profondamente, alquanto confusa, scuotendo il capo verso
quello ricciuto di mia madre alla ricerca di una spiegazione.
Ma nasconde il viso fra le mani, preda di un singhiozzo, prima di
pronunciare un nome. Un unico nome, che uccide lentamente ma
altrettanto efficamente la mia razionalità.
Un nome appena sussurrato tra gli spiragli creati dalle dita, che
permettono accuratamente agli occhi di mia madre di non affrontare i
miei che d'improvviso si colmano di un velo opaco e irreale.
Tre sole parole.
Un unico nome.
Numerosi pensieri che non riesco ad ordinare.
Una folle consapevolezza che pullula nella mia mente.
-James Paul McCartney.-
Angolo autrice:
Ta-daaaa!
Ecco la grande sorpresa, forse un po' scioccante, che caratterizza la
mia storia. Spero di avervi (almeno un po') sorpresi :P
Inizialmente la maggior parte di voi aveva intuito qualcosa, ma ho
cercato (spero decentemente) di dirottare il vostro interesse verso
un'altro argomento: il rapporto fra Brianna e Paul. Che strategia, eh?
XD
Ringrazio come sempre la mia mitica Giu, che di parte di questo
capitolo conosceva un'ulteriore versione che ho modificato proprio
all'ultimo.
Non dico nient'altro, lascio a voi tutti i commenti!
Un bacio
Giulia
|
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Capitolo 22 *** Come un'eclissi ***
Ciao
ragazze!
Alloooora...
Il
capitolo sottostante riguarderà i chiarimenti di Ester
riguardo la verità da
lungo taciuta alla figlia. Una verità che ha interdetto
parecchie di voi, ma
che personalmente ritengo il tocco di originalità di questa
storia, altrimenti
banale e "già vista".
Vorrei
ringraziare Swaying_Daisies per avermi regalato un importante consiglio
riguardo la personalità di Brianna, che metterò
certamente a frutto in questo
capitolo.
Buona
lettura!
Liverpool Maggio
1981
Delusione.
Rabbia.
Frustrazione.
Oltre
la coltre impenetrabile di quelle travolgenti emozioni annegano i miei
sensi
indeboliti. Questi tentano invano di afferrare i lembi di quella
friabile
razionalità, ottendo unicamente la sua dispersione in quella
nuova e impensata
realtà. Palesandosi d'improvviso, impedisce ai miei muscoli
qualunque guizzo
stupito o l'assunzione di alcuna posa inquieta. Sul mio viso non pare
esservi
ospitalità per quelle introverse emozioni che limitano la
loro furia al
pensiero, senza permettere ad esso di plasmare i miei lineamenti.
Ma
ben presto la forza d'animo, quella che rivestiva i panni di
protagonista negli
elogi altrui riguardanti l'essenza della mia persona, abbandona
fiaccamente il
palco della mia coscienza sul quale ha tentato di recitare.
Ogni
effimera certezza donatami dalla mia vita abbandona il mio corpo
nell'unica
espressione che il mio dolore riveli; una lacrima.
Una
minuta rappresentante della solitudine in cui ho trascorso la mia
esistenza,
durante la quale quella goccia salata ha solcato sovente le mie guance.
Ora alcun orgoglio la
raccoglie lungo il
profilo delle ciglia, impedendole di rovinare contro il pavimento, non
degno di
subire la mia desolazione.
Ora
non permetto ad alcun sorriso di calcare con la sua figura le mie
labbra,
illuminato dai riflettori dell'ipocrisia.
Un'ipocrisia
che non sono in grado di dissimulare, poichè risulto
sprovvista di quel
coraggio, la cui unica menzione da parte di Paul è bastata
ad incitare il mio
desiderio lussurioso la notte precedente.
Quel
coraggio ora si dimostra un elemento fittizio delle convenzioni altrui,
e
affatto parte integrante del mio spirito.
Uno
spirito che ora si abbevera alla putrida fonte della verità,
come un assetato
reticente ad affrancarsi di quell'acqua fetida ma necessaria alla
soppravvivenza.
Un
brivido freddo e inospitale quanto quella sorgente fantastica percorre
la mia
schiena madida di sudore che, scivolosa come le pareti della mia
coscienza,
inditreggia progressivamente.
I
seguenti movimenti del mio corpo vengono sospinti dalla naturale
repulsione
verso quella donna, nella mia mente protagonista di una
verità celata.
Una
verità che offre ai miei ricordi di quella notte di passione
un ribrezzo
costante che la tramuta in una notte di orrore. In essa i sospiri
irregolari di
Paul, assumono i contorni di quelli paterni, placidi e silenti; le mie
urla
possiedono la puerilità di quelle capricciose di un bimbo. E
quel nostro
occasionale rapporto non preclude all'infedeltà le sue
caratteristiche ma anche
ad una realtà maggiore che neppure sono in grado di
pronunciare.
Affido
ai miei pensieri la formulazione di quella parola che rispecchia
l'inconsapevole natura della mia azione.
Incesto...
Questa
parola risuona sorda nella mia mente, come i rintocchi della chiesa di
Liverpool,
che scuotono ripetutamente le campane. Invidio d'improvviso le
vibrazioni
prodotte da quegli inusitati strumenti. Tali rintocchi vagano per
alcuni
impercettibili istanti all'interno del campanile per poi affievolirsi
lentamente finchè, della loro fuggevole esistenza non rimane
che il ricordo nei
timpani offesi dei paesani.
Quello
il destino che mi è stato negato.
La
morte rapida e indifferente in seguito a questa scoperta che dilania
crudelmente il mio corpo, come una bimba crudele, divertita dai suoi
nuovi
giochi.
Osservo
quella bambina impertinente senza poterle impedire di plasmare le mie
eventuali
reazioni sotto quelle manine perennamente insoddisfatte.
Le
mie membra intorpidiscono senza ulteriori indugi alla mia
immobilità, impedendo
anche quei movimenti istintivi che hanno condotto i miei passi verso la
porta.
Il
cigolio infastidito delle spalle che stento a rilassare ricorda quello
del
materasso del letto matrimoniale di Paul.
Il
letto di mio padre...
Il
letto in cui...
BASTA!
Impongo
questo divieto alla mia mente che ammutolisce, inquieta, come uno
scolaro
ripreso inaspettatamente dalla maestra. I miei ricordi si tingono dello
stesso
rossore imbarazzato, ma la vergogna che li caratterizza è
assai meno innocente.
Della puerilità non rimane in me che la rimembranza di un
passato, la cui
irrealtà è stata rivela con cotanta bruschezza da
quella donna che credevo una
madre amorevole.
L'affetto
incondizionato che ho da sempre nutrito per mia madre viene divorato da
quella
nascente scoperta con la stessa ingordigia che i passeri riservano alle
molliche di pane.
Ogni
pulsione affettiva che ho donato senza riserve a quella donna perde
d'importanza, soffocato da una verità impellente, che come
un'eclissi che ha
oscurato la mia già offuscata serenità.
L'ardore
inaspettato di quella confessione arde quanto il sole che sovrasta
senza remore
la luna, pallida e instabile quanto me.
Di
quest'ultima assumo il candore caliginoso che si dipana
progressivamente sul
mio volto. Lo avverto insinuarsi come un astuto trapezista oltre la mia
pelle.
Le sue evoluzioni vengono osservate minuziosamente da mia madre, gli
occhi
sgranati e le mani adagiate in grembo, come la spettatrice di uno
spettacolo
circense in procinto di applaudire.
Ma
nulla merita gratitudine e riconoscimento in quella stanza satura di
parole
rinchiuse fra le labbra, che urlano il loro diritto di essere liberate.
Quella
loro prigionia dilania ciò che resta della mia anima
permettendo solo una
apatica domanda, troppo spossata per possedere un accento
interrogativo.
-Cosa
stai dicendo, mamma?-
La
mia voce arrochita dal silenzio riporta alla mente i toni gutturali dei
miei
gemiti sensuali, causando il grottesco ritorno di quel recente passato.
Rinuncio
ad allontanarlo, poichè avversaria scadente in quella
battaglia contro le
emozioni che, d'improvviso si riverano dalla mia bocca senza alcun
ritegno.
Ormai
ho dimenticato la natura di qualunque sentimento che non sia il rancore.
-Cosa
cazzo stai dicendo?!-
Mia
madre si protegge le orecchie con le mani, come a proteggere l'udito
dalle mie
grida.
Queste
scuotono le pareti con malagrazia mentre il suo corpo si rannicchia in
posizione fetale su se stesso.
Alcun
fremito sospinge le mie mani ad una rassicurante carezza a quel volto
stremato,
il quale si atteggia ad un'espressione timorosa.
Qualunque
sentimento compassionevole nei confronti di quel viso scema
rapidamente,
sostituito da una rabbia incontrollabile e famelica. Affamata di
spiegazioni,
motivazioni a quella che pare un'affermazione inspiegabile a quella
mente che
ne è rimasta cotanto turbata.
Inclino
il capo mentre un'incipiente balbuzie difetta nella sua voce. O
ciò che è
rimasta di essa, un fiato flebile e impecettibile.
-I...io...
m... mi dispiace, io... a... avrei dovuto...dovuto dirtelo prima,
capire.. quanto
sarebbe stato importante, per... per te...-
Fra
quelle mura non pare sopravvivere nulla della piccola e speranzosa
famiglia in
cui sono cresciuta. Di quest'ultima non resta che un ricordo
probabilmente non
così fedele come avevo creduto.
Credere.
Una
parola improvvisamente priva della speranza di cui è stata
colmata in anni mai
pienamente vissuti poichè privi della rivelazione della
reale identità paterna.
Le
parole di mia madre mi permettono di riflettere su quella mancanza,
della quale
sono stata inconsapevolmente privata per anni.
-Importante?!
Importante?! è così che definisci una cosa
simile? Importante?-
Sospingo
le mie retincenti emozioni attraverso parole roventi, la cui corsa
verso
l'esterno non intendo interrompere.
Avvolgo
le braccia attorno al busto, come nell'intenzione di cullare il mio
animo
turbato in una pace inesistente che il tepore delle mie membra non
riesce a
ricreare.
Avverto
sotto i polpastrelli il calore della mia pelle, il cui fremito scuote
le mie
dita. Oltre la mia carne grava il giogo del dolore che impedisce
qualunque
reazione. La fiera domata delle mie membra pare appartenere
improvvisamente ad
un'identità diversa dalla mia, da quella che ho da sempre
forgiato. Il mio
cuore non gode ormai più di quel coraggio del quale sono
stata accreditata
durante gli anni dell'adolescenza; quel muscolo pulsante deperisce fra
le ossa
fragili di quel torace che troppe volte si è gonfiato di un
orgoglio che non
possiede. Orgoglio utile unicamente alla prosecuzione serena della mia
esistenza; orgoglio che ha abbandonato il mio profondo desiderio di
lotta al
dolore, rivelando la mia natura debole ed indifesa.
La
realtà mi osserva.
La
percepisco nascosta negli occhi vitrei di mia madre, le cui lacrime
costituiscono l'unico velo pudico a celare i sentimenti in essi
racchiusi. La
percepisco in quelle pareti, scarne di gioie concrete ma ricche di
ricordi
effimeri. Ricordi il cui protagonista ho ritratto servendomi dei
lineamenti di
Thomas Richards. Mio padre, l'uomo che ha allietato e annientato la mia
vita;
due termini rimati ma assai dissonanti nella poesia che è
stata la mia
esistenza. Un componimento malinconico, i cui personaggi si avvicendano
repentinamente nella mia mente, prima di urlare a gran voce un'unica
domanda,
che richiede una spiegazione altrettanto chiara e comprensibile.
Tento
di dare voce a questa questione che assale le mie instabili certezze,
con
evidente rassegnazione.
-Perchè?
Perchè? Quando pensavi di dirmelo? Quando? Non quando ero
una bambina
spensierata. Non quando ero un'adolescente amante della musica e del
divertimento ai quali ha dovuto rinunciare per il tuo sostentamento.
Non quando
mi sono dovuta trasferire a New York alla ricerca di un lavoro. E non
quando ti
ho avvertita del mio nuovo ed importante incarico. E allora
perchè, mamma?
Perchè adesso? Cosa ti fa credere che ora sia
così forte da riuscire a superare
tutto? Cosa ti fa credere che io sia sempre stata una ragazza forte?-
Scuote
il capo boccheggiante, le parole vagano fra i suoi denti tremanti, con
la
stessa confusione delle lacrime che rigano in torrenti sconnessi le
guance.
Tale
precarietà è avvertibile anche nelle sue parole,
che odo appena.
-Perchè...
perchè sei una donna, Brianna. Perchè meriti di
sapere la verità... da sempre.
Ma io... io non ho mai avuto il coraggio di dirlo a te e neppure a
Thomas...
lui... sapeva che non eri figlia sua ma non ho mani avuto la forza di
confessargli la vera identità del tuo padre biologico. Un
uomo orribile,
Brianna, che lasciata sola una bambina di sedici anni con il ventre
colmo della
presenza di un figlio e la mente piena di sogni che credeva
realizzabili. Io...
non avrei dovuto tacerti tutto questo e ho appurato da tempo di aver
sbagliato.
Quando ho saputo del tuo nuovo incarico ho capito che avresti dovuto
conoscere
davvero l'uomo che avresti intervistato. E allora ho deciso di dirtelo,
certa
che la tua maturità e la tua forza d'animo ti avrebbero
permesso di accettare
appieno la verità e...-
-Non
nominare la mia forza d'animo, mamma, ti prego.-
Esclamo,
portando una mano ai capelli, la maschera di un sorriso sarcastico
imposta alle
mie labbra pallide quanto il mio viso.
Assumo
un'espressione delusa che adombra i miei lineamenti.
-Limitati
a raccontarmi l'origine di questa "verità". E poi lasciami
andare via
di qui.-
Ester
Hoffman portò le mani al volto, nel tentativo di celare
l'espressione terrea su
esso dipinta.
Deglutisce
visibilmente, gli zigmi acuti e tesi sotto la pelle delle gote.
-Io...
lo conobbi a quindici anni. Ero una bambina e mi ero trasferita a...
Liverpool per...
impegni lavorativi di tuo nonno...-
Sospiro
infastidita da quelle interruzioni ricche di drammatici sottintesi che
ognuna
di noi interpreta differentemente.
-Era
il padrone di una fabbrica che raggiunse il fallimento dopo la sua
morte a
causa della cattiva gestione. A Liverpool incontrai... incontrai
Thomas, un
vecchio amico di invanzia che poco tempo prima aveva abbandonato
Preston per
trasferirsi a Liverpool e cominciare a... vivere di
un'attività propria. Aveva
aperto un bar piuttosto redditizio e appena venni a saperlo andai a
trovarlo e
così... trascorremmo parecchie ore a parlare di noi e del
poco tempo trascorso
a distanza. Aveva molte cose da raccontarmi e amavo passare del tempo
con
lui... era l'unica persona che conoscevo in paese e.. la sua compagnia
era
assai più gradita di quella... silenziosa e arcigna di mio
padre, la cui
presenza era rara in casa.
Trascorrevo
la mia adolescenza in un silenzio spensierato, privo dell'affetto di
una madre
morta prematuramente e di quello di un padre assente e incomprensivo
delle mie
esigenze... finchè...-
-Finchè?-
La
incalzo con la mia voce tremula, ansiosa di conoscere maggiormente quel
passato
la cui matessa sta districandosi lentamente e come un filo d'Arianna mi
sta
conducendo oltre il labirinto dell'inconsapevolezza.
Deglutisce
nuovamente, come imitando un vizio inveterato.
-Finchè
non... non conobbi... non conobbi... Paul nel... nel 1959. Viveva poco
lontano
da me e dopo una chiacchierata circostanziale capii che...
frequentavamo la
stessa scuola. Lui era... era più grande di me e... lo
vedevo così
affascianante, maturo e responsabile... cominciammo a frequentarci
regolarmente... all'insaputa di mio padre che non avrebbe approvato una
mia
relazione con un ragazzo considerato
scansafatiche dall'opinione altrui a causa... della sua passione per la
musica.
E pensare che è stata proprio quella sua passione a farmi...
a farmi...
innamorare di lui. Le sue mani che sfioravano le corde della chitarra,
la sua
schiena ricurva verso lo strumento, il suo profilo concentrato, il suo
sorriso
su queslle labbra schiuse...-
Scuote
la testa, proteggendola con le mani e scatenando un'irrefrenabile
tempesta di
riccioli chiari che sferzano i miei capelli neri.
Neri
come quelli di Paul.
Scaccio
infastidita quel paragone dalla mia mente, permettendo con un cenno del
capo a
mia madre di proseguire.
Lei
deglutisce e approva il mio tacito consiglio.
-Parlavo
spesso di lui a Thomas, chiamandolo con il suo nome, il primo che mi
rivelò e
che scrivevo sul mio diario, attorniandolo di cuoricini e frasi
romantiche:
James.
Thomas
approvò i nostri incontri seppur con reticenza, in quanto
egli provava da
sempre per me un affetto profondo che credeva sconfinasse l'amicizia.
Ero
estasiata. Estasiata dalla vita che pareva così bella, dalla
presenza di Paul
che regalò alla mia adolescenza il primo amore.
Quando
decisi di passare la mia prima notte d'amore con lui, credevo di
sognare;
finalmente mi sarei unita carnalmente con il ragazzo che possedeva il
mio
cuore. è stato tutto... perfetto. Credevo di non poter
essere più felice di
così...-
Tormenta
la veste con le unghie prima di proseguire a fatica, trattenendo le
lacrime che
soffocano le parole in gola.
Passo
una mano sul collo, immaginando mia mano avvolta nell'abbracio caloroso
di
Paul, accarezzata da quelle stesse mani che la sera prima hanno
provocato i
miei gemiti soddisfatti.
Ignoro
quell'infido ricordo, portando le dita alle tempie.
Un
sorriso apatico sfiora le labbra smorte di mia madre.
-Ci
amammo per parecchi mesi. Partecipavo come spettatrice alle sue prove
musicali
e... lo vedevo così bello e perfetto in ogni occasione.
Ero... ero innamorata
di lui...- sussurra l'ultima frase, donandole uno stupore tipico delle
scoperte
insospettabili. Quella sorpresa lieve, nella cui delicatezza freme
un'eccitazione contenuta.
-Provavo
per lui un sentimento... impossibile da descrivere a parole. Quel
sentimento
che... che ti fa ridere di gusto, che ti fa arrossire di imbarazzo,
quel
sentimento che... che ti spoglia di ogni vergogna che... che molti
definiscono... amore. Un amore giovane che causa... parecchie follie.
Una di
queste riguardava la... la sua partenza per... per... per...-
-Amburgo...-
Ipotezzo,
ricordando gli impegni musicali dei Quarrymen riguardanti quel periodo.
Rammento naturalmente gli avvenimenti concernenti gli artisti che
preferisco,
cogliendoli nel dedalo delle mie preoccupazioni.
Mia
madre annuisce, coprendo il volto con le mani. Queste ultime scivolano
lungo il
profilo ovale del viso, saggiandone il pallore.
-Esatto..
A.. Amburgo. Mi chiese di partire con lui, che non poteva neppure
immaginare
di... affrontare questa avventura senza di me. Io... sospettavo
già da alcune
settimane di essere incinta. Non ero affatto spaventata... ero...
eccitata...
un'eccitazione infantile causata da... da una certezza altrettanto
puerile.
Quella di avere al mio fianco l'uomo che amavo con il quale costruire
una
famiglia. Ma... ma... avevo dimenticato che quello non era affatto un
uomo ma
un diciottenne imberbe capace di pensare unicamente a se stesso.-
Sveste
quella maschera di dita con cui ha celato il volto, plasmato da un
rancore
antico, riafforato o probabilmente mai scomparso.
-Mi
convinse a partire di nascosto assieme a lui, nonostante la presenza di
mio
padre e la sua chiara avversione nei confronti di.. di Paul e della sua
disoccupazione, non adatta alla sua età... matura...
Accettai, guidata da
quell'entusiasmo ingenuo, decidendo di confessargli il mio segreto al
momento
della nostra partenza. Avevo pianificato tutto; lo avrei seguito
ovunque,
avremmo... avremmo cresciuto amorevolmente quel bambino, quella
creatura tutta
nostra. Io... io lo volevo, Brianna. Lo volevo tanto...-
Il
suo sguardo penetra i miei occhi, in cerca di una compassione che non
sono in
grado di elargire.
-Decisi...
decisi di assecondare questo mio desiderio, partendo all'alba di una
domenica
mattina... raccolsi i miei vestiti in una valigia, la stessa che avevo
colmato
dei miei essetti personali durante il trasloco da Preston a Liverpool.
Prima
di giungere al luogo dell'incontro con Paul e... imbarcarmi assieme a
lui e ai
componenti del gruppo per Amburgo decisi di offrire un ultimo saluto a
Thomas.
All'apice
dell'eccitazione giunsi a casa sua, lo svegliai e gli comunicai con
gran foga
le liete notizie. Rimase... rimase interdetto da entrambe; della mia
gravidanza
si preoccupò, ricordandomi quanto un bambino non fosse un
gioco bensì un
impegno per la vita. Lo rassicurai, dicendogli che amavo James e che
ero
certa... certa che... che avrebbe accettato questo bambino.
Inizialmente Thomas
non era concorde con la mia decisione ma mi credeva una ragazza matura
e
responsabile perciò... mi salutò con un abbraccio
e un augurio di buona
salute...-
Gli
occhi di mia madre rincorrono i ricordi lungo la parete bianca e
silente di fronte
ad essi.
-Mi
recai al luogo dell'appuntamento all'alba di una domenica mattina.
Ero...
circondata da un'aura di felicità e ingenuo entusiasmo che
avrebbe fatto
sorridere malinconicamente qualunque anziano. Lui... era già
giunto al luogo
dell'appuntamento e appena mi vide... mi baciò in quel modo
trascinante e
intenso che sapeva fare solo lui. L'ultimo bacio che... che ci
scambiammo.
Godetti appieno di quell'attimo prima di... prima di confessargli il
mio
segreto. Lui... lui...-
Deglutisce
nuovamente in un gesto ripetitivo ed incalzante, assassino della mia
pazienza
indebolita.
-Lui...
non so cosa accadde. In un istante tutti i miei sogni, i miei desideri
vennero
offuscati dai suoi lineamenti, che improvvisamente assunsero
un'espressione...
trragicamente frustrata. Io... credevo scherzasse. Credevo fosse
soltanto una
maschera utile a celare la felicità per quella
paternità forse un po'
prematura. Ricordo... ricordo... ogni gesto che anticipò le
sue parole. Le mani
fra i suoi capelli che inseguivano il vento, i suoi passi che... che si
allontanavano progressivamente per me. Cominciò a... urlare
frase
sconclusionate. Inizialmente mi... mi accusò di averlo
tradito, che lui era
stato attento, che non era possibile che fosse suo. Ma io lo amavo
troppo per
tradirlo e cercai di spiegarglielo ma... non volle sentire ragioni...
Poi parve
tranquillizzarsi e mi domandò cautamente se ne fossi
certa... io gli dissi che
avevo il sospetto da alcune settimane e che non vedevo l'ora di
cominciare la
nuova vita che mi aveva promesso. Assieme a lui e... al nostro
bambino...
Provai... provai ad abbracciarlo e a rassicuarlo... gli dissi che ce
l'avremmo
fatta, che avremmo cresciuto assieme quella creatura...-
Scosse
il capo sconsolata.
-Ma...
avevo dimenticato che stavo parlando con un diciottenne immaturo e
spaventato
dalla vita che si stava mostrando a lui con tutte le sue
difficoltà.-
Quel
barlume di lucidità abbandona mia madre, la quale prosegue
il suo racconto, la
voce rotta dai ricordi amari.
Ignoro
le emozioni che si avvicendano nella mia mente, per permettere ai miei
sensi di
cogliere appieno le parole della donna.
-Paul...
lui... mi allontanò e cominciò a... ad
innervosirsi, a dirmi che... che non era
pronto... non era pronto a sacrificare la sua vita per un bambino della
cui
esistenza non era neppure certo, lui... lui voleva... cantare. Cantare,
cantare, cantare; continuava a dirmi che non aveva intenzione di fare
altro
nella sua vita e... un bambino non era nelle sue priorità di
adolescente alla
ricerca delle sue passioni. Tutto quell'amore che credevo prvasse per
me... si
allontanò assieme a lui in quella mattina d'agosto...-
Le
lacrime sono asciutte sulle sue gote, il ricordo del pianto impresso
nel
rossore della sua pelle. La mia è intirizzita da un freddo
innaturale che non
concerne l'ambiente in cui risiedo, bensì il mio animo
turbato scosso da
subitanei tremori.
Le
parole di mia madre svelano, come i componenti di un mosaico
raccappricciante,
quella realtà a lungo taciuta, la cui essenza scuote
profondamente la mia
coscienza. Questa ricerca vanamente le fondamenta solide su cui ho
costruito
con difficoltà il mio futuro, preceduto da un passato ancor
più incerto.
-Non
sapevo cosa fare... tutta l'allegrezza, le speranze e le gioie erano
improvvisamente scomparse. L'unica cosa a cui... riuscissi a pensare
era... mio
padre, che certamente al suo risveglio aveva scoperto la mia assenza.
Non
riuscivo ad immaginare come sarei riuscita a spiegargli la presenza del
bambino
nel ventre di quella ragazzina che credeva ancora pura, e...
ripiombai... nella
realtà che... compresi presto non fosse così
sognante e spensierata. Tornai...
tornai a casa quel giorno. Incontrai mio padre ancora in pantofole che
fumava
nervosamente... attendeva da me una spiegazione... se la confessione
della mia
gravidanza fece arrossare l'estremità del suo sigaro, la...
rivelazione
dell'identità di tuo padre... ne fece consumare buona parte,
che macchiò il
pavimento. Ricordo perfettamente quella polvere ai suoi piedi, scura
come il
suo volto sul quale... la sua bocca sprigionò parole..
ingiuriose contro di me
e Paul, peccatore insidioso che mi aveva sedotto per poi abbandonarmi
una volta
saputa la verità. Mio... mio padre... mi ha intimato di
lasciare la casa,
proprio come avevo progettato con Paul... ma lo avrei fatto da sola,
senza
alcun aiuto, senza nessuna... prospettiva del futuro radioso che avevo
progettato... Mi cacciò di casa, ignorando il mio bambino e
le mie richieste di
perdono... il mio era... stato un atteggiamento arrogante nella sua
ingenuità e
avrei dovuto pagare per le mie azioni... queste furono le... ultime
parole di
mio padre... io non... non lo rividi mai più da quel
giorno...-
Alcuna
compassione sfiora la fortezza della mia consapevolezza, appena
rinvigorita da
quell'agghiacciante scoperta. Come il ghiaccio, infatti, indurisce la
superfice
della mia pietà, strozzandola in una morsa assassina. Non
tento di salvarla,
limitandomi ad osservare mia madre da sotto le lenti degli occhiali.
Li
stessi che Paul ha sfilato maliziosamente con i denti la sera
precedente.
Quei
denti sotto ai queli probabilmente il labbro inferiore di mia madre
è ceduto.
Quei
denti oltre i quali Paul ha liberato un sibilo rabbioso contro quella
donna che
portava in grembo sua figlia.
Una
figlia che ha respinto, alla quale non ha donato le carezze ora
riservate a
James, gli sguardi dolci offerti a Mary e Stella e quelli complici che
sovente
scambia con Heather. Il volto di quest'ultima si riflette nella mia
mente,
offrendo l'inspiegabile immagine di una ragazza adottata da un uomo che
vent'anni prima ha rigettato una creatura propria. Un'invidia puerile
attanaglia il mio orgoglio con una domanda pressante che richiede
urgentemente
una risposta che non ha ricevuto dal racconto non ancora terminato di
mia
madre. Ad ella riferisco il mio quesito appena sussurrato:
-Perchè...
perchè non mi ha cercata? Perchè non... non ti ha
raggiunta dopo il tour ad
Amburgo, chiedendoti di me e... di perdonarlo, perchè...-
Mia
madre mi interrompe a mezza voce:
-Paul...
lo ha fatto...-
Passa
le mani fra i capelli in un gesto frustrato che imito automaticamente,
balbettando parole vane che interferiscono con la sua spiegazione
flebile.
-Hai
bisogno di sapere tutto chiaramente... e io... devo farti capire.-
Liscia
la gonna con le mani, con la cautela di una massaia inesperta che
intesse per
la prima volta la tela del passato, impolverata e ormai lisa ma ancora
vivamente colorata.
-Priva
di una casa e di una protezione per quel bimbo che... avvertivo
crescere dentro
di me attimo dopo attimo... decisi di me... chiedere aiuto all'unica
persona di
cui potessi fidarmi a Liverpool...-
-Thomas
Richards...-
Esclamo,
l'ombra della verità che sorride incoraggiante ai miei
tentativi di svelarne il
volto.
Annuisce
desolata.
-Thomas...
si infuriò con me. Mi disse che era certo che non sarebbe
potuto accadere
altrimenti che io e questo James eravamo stati degli incauti, degli
sciocchi a
sfidare il destino con una gravidanza indesiderata... Io... gli chiesi
di
perdonarmi e... di aiutarmi. Thomas... accettò senza remore
di aiutarmi,
rimembrando il forte affetto che ci legava. Decise di ospitarmi
temporaneamente
nella sua casa, quella che anni prima aveva comprato con i risparmi
donategli
dal padre. Avrebbe impiegato i mesi della mia gravidanza alla ricerca
di una residenza
dove io e il bambino avremmo potuto... sopravvivere, grazie al lavoro
che
Thomas mi avrebbe aiutato a trovare. Ma... il momento del... del parto
si
avvicinava e Thomas avvertì la mia comprensibile ansia,
causata dalle future
rivelazioni che avrei dovuto farti. Non... non sapevo come comportarmi,
come
rispondere alle tue eventuali domande riguardanti tuo padre. Cosa avrei
potuto
inventare? Una morte accidentale in una collutazione automobilistica?
Un lungo
viaggio alla deriva dei continenti dal quale non vi sarà
ritorno? Thomas mi...
propose una soluzione. La nostra convivenza indeterminata, nella quale
lui si
sarebbe assunto la responsabilità di... fare le veci di Paul
e di crescerti
come se fossi figlia sua fino al momento in cui io non mi sarei sentita
pronta
a svelarti la realtà. Thomas... provava... un forte affetto
e una notevole
compassione per quella sedicenne incinta e abbandonata dal proprio
compagno,
e... non trovò altra risposta ai miei problemi,
perciò... accettai... fedele
che quella nostra farsa sarebbe durata, che almeno Thomas non avrebbe
avuto il
coraggio di abbandonarmi. Ma neppure... il rifiuto e la rabbia di Paul
mi
avevano spogliata di quella... quella immaturità che... che
ancora mi fa... mi
fa impazzire...-
I
singhiozzi di mia madre causano le mie domande spazientite:
-Perchè
hai affermato che Paul mi ha cercata? Cosa non... non mi hai ancora
detto,
mamma?-
La
sua schiena si appiana come una collina erosa dagli eventi atmosferici
che da
secoli imperversano su di lei.
Proprio
di quelle colline muschiose il volto di mia madre assume la tinta
olivastra.
Trattiene
il labbro inferiore fra i denti prima di proseguire a stento.
-Tu...
nascesti in un meraviglioso pomeriggio di primavera del 1961(1).
Eri
così bella, proprio come ora. Avevi le guance tonde e
arrossate tipiche dei
bambini e i capelli... diversi dai miei... neri e folti... come... come
quelli
di Paul. Io ero entusiasta per la tua nascita e per la mia nuova
aventura
materna ma in ogni istante della tua crescita... vedevo in te, nel tuo
aspetto,
nel tuo modo di sorridere... le caratteristiche di... quell'uomo che ha
ucciso
la mia adolescenza.-
Sorride
amaramente
-Uomo...
quello non era un uomo, ma solo uno stupido ragazzino. L'unico uomo che
credevo
abbastanza maturo da essere considerato tale era... Thomas. Giocava con
te, ti
faceva ridere con le sue smorfie divertenti... nonostante non fosse il
tuo
padre biologico e non provasse per me altro che un profondo affetto...
riusciva
a donarci la serenità di cui avevamo bisogno. E non... non
si lamentava mai...
Io... credo che fra noi stesse nascendo un profondo sentimento, al
quale la
nostra convivenza forzata non ha dato modo di germogliare. Eravamo
giovani e...
avevamo bisogno di coltivare quel nostro eventuale amore in modo...
equilibrato,
attraverso una relazione costante e non così...
affrettata...-
Massaggia
con le mani il collo arrossatto dall'imbarazzo.
-Sembrava
procedere tutto per il meglio. Il rapporto fra me e Thomas si
intensificò anche
se... con credo che lui sia mai riuscito a... ad amarti come una figlia
propria
e nè ad amare me come una compagna... ma in quel momento non
importava... tu
eri importante... finchè... finchè Paul non
tornò quando tu avevi tre mesi.
Quel giorno... ero uscita a fare compere, mentre Thomas occupava il suo
giorno
libero accanto a te... io... lo incontrai quasi casualmente in una via
del
centro. Mi riconobbe subito e mi fermò. Mi disse che era
appena tornato dal
tour e che aveva trascorso i mesi passati a... riflettere. A riflettere
su di
noi e... sul bambino. Disse di essere corso a cercarmi nella a casa mia
ma
appena mio padre conobbe la sua identità lo
cacciò in malo modo, intimandogli
di... non mettere mai più piede nella sua casa. Aveva
rinunciato alla
possibilità di parlarmi poichè trovarmi in quella
seppur piccola città gli
sembrava impossibile. Fino a che non mi incontrò durante
quella passeggiata per
lui ormai priva di meta. Mi prese...- mia madre tocca convulsamente le
braccia.
-...
le spalle, mi disse che aveva capito tutto. Aveva capito di essere
stato un
bambino privo di senno, che era cambiato ed era pronto a ricominciare.
Con me
e... con il suo bambino che appurò avessi partorito.
Promise... di darmi una
vita felice di amare me e quella creatura che aveva ripudiato. Promesse
vane
alle quali... non potevo credere. Ero stata ingannata, Brianna. Ferita
da quel
ragazzino che credeva che amalgamare i cocci di una vita perduta fosse
semplice
quanto distruggerla. Io... gli dissi di lasciarmi andare, che non avevo
bisogno
di lui, che ora avevo qualcuno che mi stesse accanto e che mi aiutasse
a
crescere mia figlia. Un uomo in grado di fare le veci di un padre che
per la
mia bambina non era mai esistito. Ero... ero così giovane,
Bri. Non potevo
dargli un'altra possibilità, mi sentivo delusa, umiliata da
lui. Gli... intimai
di imbracciare la sua chitarra, le sue ipocrite frasi d'amore... e mi
lasciasse
condurre la mia vita. Aveva perso un'occasione, non gliene avrei
concessa
un'altra. Mi chiese... mi chiese di... dirgli almeno il tuo nome, di
modo che...
potesse sapere quale... parola sussurrare durante i suoi pianti
addolorati...
glielo negai... non aveva il diritto neppure di sillabare il tuo nome,
quel
verme che ha distrutto la mia adolescenza...-
Mi
allontano progressivamente da lei, le mani immerse nei miei capelli
aggrovigliati. Il tremulo labbro inferiore ricorda con ripulsa i baci
famelici
di Paul, che anni prima avevano appagato la bocca di mia madre. Una
bocca che
aveva pronunciato parole ingiuriose nei confronti di quel giovane
ragazzo, il quale
considerava maturata la sua coscienza, finalmente in grado di
sopportare il
fardello di un figlio. Se la voce di mia madre avesse plasmato un tono
comprensivo e accondiscendente quel giorno estivo del 1961, forse Paul,
l’idolo
della mia adolescenza, la mia passione a lungo trattenuta, sarebbe
vissuto
accanto a me, mi avrebbe insegnato a parlare, a cantare, a suonare il
mio primo
strumento. Forse non sarei mai stata incaricata di svolgere con lui
un’intervista; forse non sarei rabbrividita al tocco furtivo
delle sue dita
sulla mia schiena, non riconoscendo altro in quel gesto se non un
affettuoso
abbraccio paterno; forse mia madre non avrebbe sofferto invano per il
tradimento di Thomas, il quale avrebbe osservato la nostra vita da poco
lontano,
la distanza prossemica di un amico fraterno che non avrebbe nuociuto ad
alcuno.
Forse mia madre non sarebbe ricorse all’abuso di quei
maledetti tranquillanti;
forse non avrei cercato conforto da Paul, prima di consumare con lui la
notte
più bella e immorale della mia vita. Forse non avrei sorriso
dei baci audaci di
quel padre inconsapevole dell’azione che stava compiendo.
Forse
non avrei fatto l’amore con mio padre e lui non mi avrebbe
mai assecondata.
Forse…
Forse…
Forse…
Le
ipotesi che germogliano nella mente contaminano quelle fragili certezze
che la
mia vita ha tentato faticosamente di erigere. Ora le
possibilità invadono quali
edera rampicante la mia esistenza, soffocando la realtà
effimera su cui ho
intessuto il velo delle mie speranze.
Esse
scivolano dalle mie labbra, raggiungendo le mie parole che occupano
seppur con
accento flebile la stanza.
-Perché
lo hai fatto? Perché non gli hai dato almeno una
possibilità? Avrebbe potuto
rimediare…-
-Non
lo sapevo, Brianna. Ero una ragazzina di sedici che conviveva con un
uomo che
si era offerto di dare una famiglia a me e alla mia bambina. Questa era
l’unica
cosa che importasse davvero. Come potevo fidarmi di un ragazzino che
appena un
anno prima mi aveva abbandonata. Come potevo, Bri?-
Colgo
un’impellente richiesta di comprensione nella sua voce, che
non ho intenzione
di ascoltare.
-E
Thomas? Perché mai non gli avresti rivelato che il suo idolo
era mio… padre?-
-Io…
non volevo che… l’identità di tuo
padre… distruggesse la… quiete
familiare…-
Il
mio tono sarcastico compromette l’improvviso silenzio che
regna in quel luogo,
custode di un passato a me sconosciuto.
-Certo…
la quiete familiare è sempre stata così stabile
che sarebbe stato davvero
sgradevole interromperla con la verità…-
-Io…
supponevo che Thomas si… sarebbe stancato di me…
di noi… aveva bisogno di… costruire
una vita con qualcuno che amasse davvero e non con una donna, verso la
quale
troppe volte aveva tentato di instaurare un legame affettivo
maggiormente
duraturo. Non eravamo… innamorati, e ho presto capito che la
nostra convivenza…
non sarebbe sopravvissuta a lungo, in assenza di un
sentimento… prevedevo l’abbondono
di Thomas, e… non ho sofferto, ho tentato in tutti i modi di
offrirti ciò di
cui la tua adolescenza aveva bisogno, non volevo che quella improvvisa
svolta
della nostra vita ti nuocesse…-
Trattengo
le lacrime, indicandola rabbiosamente, ritirando il labbro superiore
che freme
contro il compagno.
-Beh,
hai sbagliato i tuoi calcoli! Nonostante questa tua… ipotesi
riguardo l’abbandono
di pa… di Thomas, non hai fatto nulla per evitarlo! Non gli
hai ricordato ciò
che ha fatto in passato per te, non è così?! Non
gli hai neppure ricordato che
sotto questo maledetto tetto viveva una ragazzine ignorante delle
vostre
congetture, che non avrebbe accettato la fuga di quello che considerava
suo
padre!-
-Non
mi avrebbe dato ascolto, credeva che tu fossi abbastanza adulta,
credeva che
dopo la sua partenza ti avrei confessato tutto e lo avresti
perdonato…-
Quel
lieve sussurrò istiga la mia ira, che ribolle sulla
superfice delle mie parole,
arse dalla delusione.
-Perché
non lo facesti?! Perché permettessi che la mia
gioventù andasse a rotoli per
colpa di un samaritano bastardo che ha deciso di lasciarti proprio nel
momento
in cui avevi bisogno di lui?! Quale “vero uomo”
farebbe questo?!- esclamo
imitando l’intonazione che mia madre ha offerto alla
pronuncia di quell’aggettivo
che a suo parere avrebbe descritto Thomas.
-Un
vero uomo è colui che compie azioni riprovevoli e che
domanda perdono in seguito
ad esse. Un vero uomo non abbandona la sua famiglia per “la
ricerca del vero
amore”, pur sapendo quanto l’economia del nucleo
famigliare priva del proprio
capostipite sarebbe scivolata in malora! Un vero uomo non avrebbe
costretto sua
figlia ad abbandonare gli studi per trasferisti in una città
a lei sconosciuta
dove ricominciare tutto da zero per contribuire al sostentamento
familiare, al
quale la tua condizione psicologica degradata non ha donato altro che
grane.
Sai una cosa?! Non credo proprio che le tue strazianti urla notturne e
la tua
assunzione di psicofarmaci possano testimoniare il tuo superamento
riguardo l’abbandono
di Thomas. Non è così?!-
In
quella donna d’improvviso intimorita dalle mie urla non
riconosco più l’oggetto
della mia serenità, che ho abbracciato affettuosamente pochi
istanti prima.
Di
fronte a me ho solo un’estranea, il volto celato da un
segreto da troppo tempo
inconfessato, che con la sua confessione negata ha inconsapevolmente
permesso
alle mie mani di scivolare maliziosamente sul corpo di Paul.
Quel
corpo aitante e desiderabile che ancora non accenna ad isolare i miei
pensieri
dalla sua presenza.
Quella
che non riesco più a definire mia madre, tenta di replicare
alla mia accusa.
-Io…
gli psicofarmaci, le mie… crisi notturne che parevano
essersi placate negli
ultimi anni e che si sono… ripresentate
ultimamente… non sono… causate da
Thomas, ma… da Paul…-
-Che
cazzo stai dicendo?!-
La
mia carne trasuda rancore senza posa, la mia intenzione di interrompere
tale
flusso pare vana.
-Da
quando… mi hai avvertita del tuo… nuovo incarico,
io… ho ricordato Paul, tuo
padre, l’uomo che presto avresti frequentato per ragioni
lavorative… il ricordo…
di lui, del suo rifiuto nei tuoi confronti ha riaperto un ferita che
credevo…
rimarginata da tempo. Non potevo sopportare l’idea che tu
parlassi con lui,
assistessi alla sua vita, affiancassi i suoi figli senza…
senza sapere che
anche tu fai parte della sua famiglia… questo pensiero mi
uccideva giorno dopo
giorno e… credevo che i tranquillanti che assunsi dopo
l’abbandono di tuo padre
potessero sortire la stessa serafica sensazione di allora, che mi ha
permesso di
andare avanti… ma non avevo capito che eri tu
l’unico motivo per cui lottavo
ancora. L’unica persona al mondo che è stata in
grado di risollevare il mio
spirito, di farmi comprendere quanto il mio giudizio riguardo gli
antidepressivi fosse errato, l’unica che con la sua
incredibile voglia di vita
mia ha fatto dimenticare Thomas e il suo abbandono e l’unica
che mi ha fatto
capire quanto i ritorno alle vecchie abitudini non si che una discesa
infernale
verso la depressione…-
Si
avvicina a me, negli occhi lacrimosi intravvedo l’immagine di
Paul che da essi
non è mai fuggito. Ma tale immagine si rivela
improvvisamente al mio sguardo
finalmente consapevole, che rifiuta con sgarbo la figura di mia madre
che tenta
di unirsi alla mia in un abbraccio.
-Ti
prego… perdonami. Non avrei dovuto tenerti
all’oscuro di tutto. Avrei dovuto
confessarti l’identità del tuo padre biologico
alla partenza di Thomas ma
temevo mi avresti abbandonata… sapevo quanto amassi la
personalità artistica di
Paul, e… ero certa non avresti accettato la
verità… mi avresti lasciata sola e
io… non avrei potuto sopportarlo… ti prego,
perdonami…-
Scuoto
il capo, amareggiata e colma di un’indescrivibile
frustrazione.
-Come
potrei… Ester?- pronuncio il suo nome fra i denti, in un
suono stridente e
privo dell’affatto di cui credevo quella parola fosse foriera.
-Tu
mi hai delusa. Tu mi hai presa in giro durante tutta la mia miserabile
esistenza che ho condotto con un unico scopo; tu. La tua
felicità era il mi
appagamento. Non capivo quanto la tua serenità fosse frutto
di un egoismo
radicato nel profondo della tua ignobile persona, la quale ha negato la
realtà
alla propria figlia. L’amore che dici di provare per me on
è nient’altro che
una bugi, l’ennesima. E sai perché?
Perché l’amore si dimostra con la
fedeltà e
con la fiducia… quella fiducia che mi hai negato, credendo
la mia mente
adolescente troppo immatura per poter comprendere le tue parole.
Sai
che ti dico? Che non lo saprai mai; non saprai mai come avrei reagito e
non
saprai neppure quale sarebbe stato il riscatto di Paul al suo tremendo
errore.
Non potrai mai sapere se io sarei stata abbastanza adulta da accettare
tutto o
Paul abbastanza coscienzioso da rimediare ai suoi errori. Continuerai
a…
crogiolarti nel tuo egoismo e io… non
interromperò certo questo tuo lungo bagno…-
Mi
dirigo verso l’uscita, le lacrime offuscano la mia vista e
annientano la mia
effimera forza d’animo che dubito di possedere.
Mia
madre, tenta di raggiungermi e forse di imitare il tono di voce dei
bimbi
capricciosi che non hanno intenzione di perdere un giocattolo
divertente.
Perché
è questo ciò che credo di essere sempre stata per
mia madre; un giocattolo
privo di animo.
-No,
no, no, no, no, no! Ti prego! Ti prego, ti prego! Se mi lascerai in non
avrò
più alcun motivo per sopravvivere…-
Sibilo
sul suo volto ravvicinato al mio l’unica frase che riesca a
formulare.
-Un
motivo lo avresti, l’unico che ti ha davvero permesso di
proseguire la tua
miserabile vita e di celare a tua figlia la verità: te
stessa.-
Con
quelle parole ruoto il pomello dell’uscio e mi allontano da
quella che non è
mai stata la mia dimora, in quanto custode di arcani la cui pressante
mole mi
ha improvvisamente impedito di avvertire famigliari quelle mura.
(1)La
modifica riguarda l’età di Brianna che per
questioni storiche non
ha ventun anni come precedentemente affermato ma solo venti.
Angolo
autrice:
*sospiro
soddisfatto*
Finalmente
sono riuscita a scrivere questo benedetto capitolo. Non immaginate
quanto sia
stato faticoso per me terminarlo… XD
Vorrei
come sempre ringraziare i miei lettori sempre così fedeli ai
quali si è
aggiunta a mia sorpresa Quella che ama i Beatles… la
ringrazio per a fiducia
che ha avuto nella mia storia e che l’ha spinta a leggere. Il
prossimo sarà il
penultimo capitolo, spero di non fare scivoloni ma credo che il finale
sia
equilibrato.
Un
bacio a tutti e un abbraccio e un grazie immenso alla mia gemella. Lei
sa che
sto parlando di lei :*
Peae&Love
Giulia
|
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Capitolo 23 *** Chiarimenti ***
Ma
ciao, ragazze!
Ecco
a voi l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Risparmio
le lacrime e i ringraziamenti per l'ultimo capitolo in cui la mia nota
autrice
vi annoierà alquanto XD
Ma
passiamo al capitolo:
Brianna
è distrutta, dopo la scoperta dell'identità del
padre con il quale ha passato
una notte d'amore.
Riuscirà
a dire la verità a Paul? Lascio a voi la
possibilità di scoprirlo!
Un
ringraziamento a tutti e un bacio a JennyWren, che con una
chiacchierata
rigenerante mi ha fornito l'ispirazione.
Per
questa lettura vi propongo il componimento di Yiruma, "Kiss the rain"
che la mia Nico mi ha fatto conoscere. Grazie per essermi sempre
vicino,
nonostante tutto. Ti voglio bene.
Ecco
il link:
http://www.youtube.com/watch?v=so6ExplQlaY
Buona
lettura!
Londra
Maggio 1981
Quel
vento incessante sferza con la sua natura immortale i miei capelli
scuri che
paiono indicare al mio corpo, pressoché inerte, il percorso
conducente alla
villa di Paul. Quella villa maestosa e fatiscente, quanto il corpo di
quell'uomo che avrebbe avvolto le mie spalle in un abbraccio affettuoso
e non
in quello violento e rovente della passione.
Il
ricordo delle sue carezze pare racchiuso nelle mani dei cittadini
inglesi, affaccendate
lungo i lembi dei cappotti. Il suono dei suoi sospiri accompagna quelli
altrettanto affannosi dei lavoratori. Copro le orecchie con le mani,
nel vano
tentativo di allontanare la mia presenza da quella società
pulsante in cui il
mio recente passato dipinge la sua orrida figura.
Concentro
la mia attenzione sull'unico obbiettivo che mi sono prefissa, sul quale
ho
convogliato i miei pensieri, altrimenti ospiti disponibili della vivida
immagine delle nudità di Paul.
Il
desiderio di rivelargli la realtà assume contorni opachi,
così diversi dalla
nitidezza che ha caratterizzato il mio progetto al momento della sua
generazione. Un attimo in cui le lacrime hanno colmato i miei occhi,
arrossando
le mie guance; su queste ultime l'imbarazzo causato dal mio trascorso
con Paul
colora notevolmente la pelle che ho tentato di celare con le mani.
L'inibizione
che ha condotto il mio corpo sul suo si è timidamente
mostrata alla mia
coscienza come un bimbo capriccioso che ha subito il rimprovero
risentito della
madre. Un rimbrotto che risuona ancora efficacemente al mio udito, che
il
giorno precedente ha rigettato con disprezzo le parole di mia madre.
Parole
flebili, prive di quell'affetto materno che ho creduto ingenuamente di
riscontrare durante l'infanzia. La rochezza di quella voce è
giunta a me
durante la notte insonne appena trascorsa, consigliando al mio orgoglio
un'unica soluzione: la rivelazione. La rivelazione della
verità a quell'uomo
ignaro della mia identità; un comportamento nobile che
avrebbe differenziato la
mia natura da quella debole ed egoista di Ester.
Ester.
Un
nome estraneo che fatico ad associare al volto di mia madre, che ho
sempre
reputato familiare.
Ma
sconosciute sono state le sue amare parole che hanno rivelato il suo
animo,
impedendo a Morfeo qualunque tentativo di impadronirsi dei miei sensi.
Questi
hanno ceduto alla frustrazione che ha stimolato i miei singhiozzi
convulsi,
disturbatori del sonno degli affittuari della pensione.
Ignoro
lo sguardo malizioso di un ragazzo concentrato sulle mie gambe nude,
celate
appena dalla gonna. Questa viene scostata pudicamente dalla brezza
primaverile,
che dona un alito di freschezza alla mia pelle.
Le
prepotenti raffiche ventose che hanno imperversato attraverso le strade
cittadine fino a poco tempo prima, assumono un' innaturale
placidità,
similmente ai miei pensieri. Questi ultimi si intorpidiscono nella mia
mente,
preda dell'edera vorace della delusione, forse possibile da estirpare
con un'
unica azione.
Talmente
brutale e risolutiva da essere stata disdegnata da mia madre: la
verità.
Una
confessione che avrebbe differenziato la mia rispettabile persona da
quella di
mia madre. Nonostante ciò dubito fortemente che in me
sopravviva ancora una
sola caratteristica degna del mio orgoglio.
Questo
è scivolato sul pavimento della villa di Paul, assieme alle
mie vesti, la notte
in cui ho inconsapevolmente ceduto ad un'immorale attrazione. Il suo
ricordo
provoca un brivido inquieto lungo la mia schiena, causato dalla
consapevolezza
dell'identità dell'uomo che ho amato con tanto ardore.
Mio
padre.
Avvolgo
quelle parole sulla lingua, sussurrandole appena fra le dita che
proteggono le
labbra. Percepisco su di esse l'aroma spiacevole di quell'unico
termine, utile
ad esacerbare la mia frustrazione.
Frustrazione
causata da un'intimità inopportuna, consumata assieme ad un
uomo sposato, la
cui paternità nei miei confronti è stata
confermata da mia madre. Quella donna
della cui meschinità non riesco ancora a capacitarmi.
Avvolgo
le braccia attorno al busto, nell'illusione di eludere i ricordi delle
mani
calde di Paul afferrare poderosamente i miei fianchi. Immagino con
orrore
quello stesso gesto vigoroso interessare il corpo di mia madre, ancora
giovane
ed immaturo. Proprio come la mente di Paul al momento del mio
concepimento; una
mente maturata in fretta, in grado di produrre pentimento e rammarico.
Emozioni
che non hanno goduto della comprensione di mia madre, una donna il cui
egoismo
produce una smorfia infastidita sulle mie labbra. Le stesse che in
età
infantile ho permesso a mia madre di baciare, ora si increspano al
ricordo
quelle effimere dimostrazioni d'affetto.
Scuoto
il capo e rivolgo il mento alle auto che sfilano pigramente accanto a
me, i
clacson animati come un gruppo di furenti rivoltosi.
Ignoro
l'ira cigolante di quei motori, adagiando una mano sulla tracolla in
cuoio e
reprimendo le lacrime.
La
confessione della verità non necessita di debolezza.
Mia
madre è stata debole.
E
io non voglio essere come lei.
________
-Mio
Dio, Paul, mi sembra di non sentirti da una vita! Come stai? I bambini?
James
mangia regolarmente vero? Ti prego, non dirmi che si rifiuta di
mangiare le
verdure se non ci sono io! Ha avuto ancora gli incubi la notte? Se
dovesse
accadere sai quale canzone devi cantargli per farlo addormentare, vero?
La
stessa che intonavi a Mary. La ricordi, vero? Non puoi non ricordarla,
la
faceva sempre ridere! A proposito di Mary, sta facendo i compiti? La
matematica? La stai aiutando? Fra qualche giorno ha un compito in
classe e ha
bisogno di qualche chiarimento riguardo la geometria e tutte quelle
figure
solide che tu sei in grado di comprendere meglio di me. Stella continua
a
designare? Non vedo l'ora di vedere quei vestitini così
graziosi che si diverte
a colorare. E Heather? è uscita di nuovo con Clive? Quel
ragazzo non mi
piace... conosci la sua famiglia? Non godono di ottima fama nel
quartiere...-
Linda
interrompe il suo divertente soliloquio, composto da domande alle quali
le sue
parole preoccupate impediscono qualunque risposta.
Sorrido
debolmente all'udire la sua voce, la mia serenità turbata
dal tradimento che
ancora aleggia fra le mura della mia villa. Quelle mura che hanno
assistito
indignate alla nostra passione, accaldate dal sudore dei nostri corpi
che
percepisco impresso nella carta da parati.
Percorro
con l'indice gli arabeschi impressi su di essa, immaginando i capelli
di
Brianna, altrettanto intricati. Rammento d'improvviso le sue ciocche
corvine,
che hanno sfiorato maliziosamente il mio viso a differenza di quelle
ramate di
Linda, che non dimenticano di carezzare dolcemente le mie guance.
Passo
una mano sulla mascella, su cui due bocche diverse hanno abbandonato i
loro
baci. Ripercorro con i polpastrelli il profilo di quelle labbra
impegnate in
differenti dimostrazioni d'affetto. La prima riguardava la passione
figlia
dell'ammirazione, mentre la seconda un amore coniugale che riscontro
soltanto
nella voce accorata di Linda. Un tono pacato, colorato da un vivace
accento
americano che non ho riscontrato nelle parole maliziose di Brianna,
tinte della
dolcezza dell'idioma britannico. La familiarità di tale
caratteristica mi ha
illuso di riconoscere nelle forme generose della giovane giornalista
quelle
piacevoli e sinuose di mia moglie. Tale futile convinzione ha condotto
il mio
animo al compimento di quel peccato dal quale da tempo mi sono
discostato.
Chiudo
gli occhi, adagiando il capo contro quella parete, suggeritrice di un
ricordo
che la voce concitata di Linda sopprime.
-Stai
tranquilla, è tutto sotto controllo.-
Indugio
un istante prima di esclamare:
-Come
procede il tuo servizio fotografico?-
Sospira,
intimando alla mia immaginazione la visione della sua mano intrecciata
fra i
capelli paglierini.
-Direi
piuttosto bene. Il direttore che mi ha fatta venire qui mi richiede un
lavoro
piuttosto impegnativo ma posso farcela. Le ore di impiego sono
numerose, riesco
di rado ad uscire da quel maledetto studio per qualche ora. Ma sono
comunque
riuscita a procurarmi qualcosa che, sono convinta, ti farà
impazzire.-
Sussurra
quelle parole maliziose stimolando un sorriso sincero sul mio volto. Un
sorriso
privo della repentina eccitazione causata dalla presenza di Brianna,
bensì
arricchito di un'affettuosa sorpresa.
-Di
cosa si tratta?-
Domando,
ebbro di una naturale felicità, che non necessita del
tradimento per fiorire
nell'animo di un uomo innamorato quanto me della propria moglie.
-Lo
scoprirai molto presto. Il direttore del giornale ha affermato che se
procederemo con questo ritmo serrato il servizio potrebbe concludersi
prima del
previsto. La tua splendida mogliettina potrebbe addirittura rincasare
fra
qualche giorno. Non sei contento?-
Non
una risposta affiora alle mie labbra, ancora umide dei baci di Brianna,
ma un
unico sentimento che ingenuamente ho creduto di identificare
nell'attrazione
fisica che stimola in me la giovane Richards. Un sentimento che a
quella
giovane amante non ho mai espresso poichè mai germogliato
fra noi.
Un
sentimento concreto e pulsante, che ha convissuto nel mio animo assieme
a quei
desideri carnali, sui quali ha sempre prevalso. Un amore prorompente,
scatenato
dal sorriso di Linda, dal primo vagito dei miei bambini, dalle loro
voci
stridule intente ad intonare la mie canzoni, dalle confessioni appena
sussurrate di mia moglie in corridoio.
Appuro
con un sospiro sollevato l'inutilità della ricerca di
un'emozione nuova negli
abbracci roventi di Brianna.
Non
avrei ricercato altrove l'amore che convive da anni fra le mura della
mia
villa.
Esprimo
con due parole soltanto la mia desolazione riguardo la
cecità che mi ha
condotto ad un'azione immorale.
-Ti
amo.-
Riconosco
nella mia voce un'inusitata commozione, provocata dalla confessione di
una
realtà che ho ingenuamente ignorato.
Linda
reprime un risolino, disturbando la linea telefonica, prima di
esclamare:
-Ehi...
che ti succede? Non mi vorrai far credere che il virile Paul McCartney
ha
appena pronunciato queste parole...-
La
sua ironia coinvolge il mio subitaneo sorriso.
-Io
non… non sono propenso a simili… dichiarazioni,
Linda, ma… ci tenevo che tu..
che tu sapessi quanto ti amo…-
Alzo
la mano preda dell'improvviso desiderio di sfiorare con le unghie quei
lineamenti pronunciati che ho invano ricercato in Brianna.
Reprimo
un gemito insoddisfatto quando le mie mani penetrano nell'invisibile
manto
arioso che spira dalla finestra schiusa.
-Non
era necessario che me lo dicessi. Lo sapevo già.-
Tale
affermazione provoca il tremito della mia mascella che il il giorno
prima
fremeva contro quella di Brianna.
Reprimo
quel ricordo e attendo le prossime parole di Linda, anticipate da un
profondo
sospiro.
-Ti
amo anche io, Paul. Che ti succede? è raro sentirti parlare
in questo modo...
hai qualche problema con le tue canzoni?-
-Io...-
Rischiaro
la voce prima di camuffarla attraverso panni ironici.
-Non
sono libero di dichiarare il mio amore a mia moglie?-
-Assolutamente
no, anzi... fallo più spesso...-
Il
pudico imbarazzo che tinge il desiderio di Linda non pare
così distolto da
quello che spesso ho riscontrato nella voce di Ester.
Quella
visione delinea i contorni di una passato impossibile da percorrere
nuovamente,
custode di una realtà nella quale non sono stato coinvolto.
Una realtà
affrontata da una ragazzina per la quale le mie lacrime sono asciugate
lungo le
guance. Una realtà di cui ho imparato a non ritenermi
responsabile,
estraniandomi da essa con una noncuranza che si ripropone. Essa mi
consiglia di
allontanare nuovamente il passato e dedicare le mie energie all'amore
che nutro
per la mia famiglia e non alla rievocazione di antiche immagine.
Arranco
nel presente, sostenendomi a quelle certezze che mi circondano e che
paiono
improvvisamente espresse dalla voce di mia moglie.
Mia
moglie.
Linda.
La
donna che amo.
Sorrido
di tale affermazione che troneggia nella mia mente, come un sovrano che
esilia
lontano dai suoi possedimenti i piaceri effimeri che ho creduto
indispensabili.
-Torno
presto, amore mio. Mi mancate tantissimo tu e i ragazzi e...-
Heather
interrompe inconsapevolmente le parole della madre irrompendo nel
salotto.
Tenta di interrompere i suoi passi affrettati artigliando con le dita
arrossate
lo stipite della porta. La ragazza trattiene il labbro inferiore fra i
denti,
premendo la lingua sul palato nell'impaziente tentavo di attirare la
mia
attenzione.
Alzo
lo sguardo e incontro i suoi occhi che guizzano verso l'ingresso,
indicando
tacitamente la presenza di un'ospite atteso.
Termino
a malincuore la telefonata con Linda lanciando un'occhiata all'orologio
affisso
alla parete. Le lancette proseguono blandamente il loro tracciato
quotidiano in
attesa dell'arrivo di Brianna, usuale in questo momento della giornata.
Heather
incrocia le braccia sul seno che non ricordo così
prosperoso. Accolgo la sua
crescita con un sorriso soddisfatto prima di ascoltare le sue parole.
-
è arrivata Brianna. Posso farla entrare o avete in programma
qualche altra...
uscita? Sai, tutta questa vostra... intimità... comincia ad
incuriosirmi
molto...-
Abbasso
gli occhi, tentando di celare con un sorriso divertito il rossore
infantile,
avvampato sulle mie guance a causa delle parole di Heather.
-Non
essere ridicola...-
Esclamo
con un'irritazione affatto intenzionale che tento di mitigare con il
movimento
accurato delle mani lungo i lembi della camicia.
Heather
alza le mani in segno di resa e si allontana dal salotto.
-Perdoni
la mia ironia, Mr Serietà... a volte mi domando come la
mamma possa sopportare
questa tua totale assenza di predisposizione al sarcasmo.-
Ignoro
le sue parole quanto lei ignora la realtà che la circonda e
che affolla, mio
malgrado, la mia mente.
Mi
dirigo verso l'ingresso, aggrottando la fronte attraverso il sole che
inonda
l'ambiente attraverso il portone.
La
sua apertura generosa accoglie la figura di Brianna, la cui grazia
è
adombrata dai raggi
che trafiggono le
spalle della ragazza.
Queste
risultano coperte da un abito primaverile, pregno dello stesso aroma
dei fiori
ritratti sulla stoffa.
Lascio
scivolare lo sguardo sulle sue gambe nude che poco tempo prima hanno
avvolto i
miei fianchi, ora celate pudicamente dalla veste.
Deglutisco,
scacciando quel ricordo e permettendo al sorriso di Linda di occupare i
miei
pensieri. Ma sono consapevole che l'indifferenza riguardo quella notte
non
potrà sopravvivere ai chiarimenti necessari che entrambi
esigiamo.
Brianna
sfiora le labbra con la lingua, suscitando in me un'immagine alquanto
sconveniente.
Sistema
la tracolla con la mano, impegnando le dita che fino a quel momento
hanno
sostato lungo il suo busto.
Allontana
i capelli dal viso, mostrandomi i suoi lineamenti che ritengo
d'improvviso
estremamente giovani.
La
vergogna provocata dalla profanazione di quella fanciullezza avviluppa
il mio
spirito in una fastidiosa morsa.
Abbasso
gli occhi sdegnato dal piacere scaturito alla vista del corpo di quella
ragazzina.
Deglutisco,
punendo la debolezza del mio spirito e impegnando la mia mente
nell'immaginazione del viso di Linda.
Brianna
attende l'allontanamento di Heather prima di esclamare con ostentata
risolutezza:
-Io...
io devo... parlarti...-
Incontro
il suo sguardo indagatore che non pare appagato della maliziosa analisi
con cui
ha scandagliato il mio corpo pochi giorni prima.
L'interesse
che colma quegli occhi mori ha una natura assai differente. Una ambigua
curiosità conduce il suo sguardo lungo i miei capelli, la
curva del naso e
quella delle spalle ampie, il profilo del torace, prima di risalire
lungo le
gambe.
Il
suo respiro irregolare pare causato da un'affannosa preoccupazione.
Ignoro tale
supposizione, rischiarando la gola arida.
-Dobbiamo
entrambi.-
Le
mie parole risultano ferme e impassibili, a differenza della mia mente,
colme
di una certezza in attesa di essere esplicata.
Rivolgo
la mia esclamazione a Heather, senza distogliere l'attenzione da
Brianna.
-è
una bellissima giornata, Heath. Spero non ti dispiacerà se
conduco la...
signorina Richards nei luoghi londinesi preferiti da John. Credo... sia
molto
utile per... fare chiarezza...- Pronuncio l'ultima frase dimenticando
il
contenuto delle precedenti, riferendomi esclusivamente al mio rapporto
con
Brianna.
Heather
biascica una risposta assieme ad un panino farcito appena preparato.
-Non
preoccuparti, mi occupo io dei ragazzi.-
Raggiunge
l'ingresso, ammiccando discretamente nella mia direzione.
-Buon
lavoro...-
Sorrido
della sua ingenuità prima di annuire debolmente, ritirando
le labbra e
dirigendomi verso il portone ligneo.
________
Il fruscio delle fronde
degli alberi di pino
che circondano il parco occupa il mio udito, disimpegnato da qualunque
altro
ascolto.
L'aria
fredda che ha intorpidito le mie membra pare ora assecondare il
dilagamento di
un piacevole tepore nell'ambiente. Il vento estivo carezza la mia gonna
con lo
stesso trascinante desiderio che ha condotto le mani di Paul lungo la
mia
pelle.
Quelle
mani che ora mio padre abbandona lungo i fianchi, ignorandone il
possibile
utilizzo.
Quelle
mani a cui è stata impedita una carezza alla propria figlia
da una donna
egoista che non ritengo degna del mio perdono. Rivolgo quest'ultimo a
Paul che
lo riceve inconsapevolmente.
Permetto
nuovamente al mio sguardo indiscreto di indagare in quegli occhi verdi,
alla
ricerca delle iride ambiziose e pentite di quel ragazzo diciottenne che
mi ha
abbondata prima di reclamare dignitosamente la sua paternità.
Null'altro
che dignità infatti accompagna l'immagine di quell'uomo,
cresciuto con il
rimpianto di un errore al quale nessuno gli aveva offerto la
possibilità di
rimediare.
Ricerco
nei suoi connotati i miei lineamenti, tentando di individuare una
somiglianza
che non mi sono mai curata di cogliere.
Sfioro
la bocca con la mano, esibendo un'espressione pensosa, mentre riconosco
nella
carnosità delle mie labbra la pienezza di quelle di Paul.
Le
labbra di mio padre che neppure pochi giorni prima sono affondate nelle
mie in
una sequenza di baci passionali.
Immagino
quella stessa bocca impegnata in un bacio affettuoso delle mie guance,
colorate
dallo stesso rossore infantile che Thomas scherniva dolcemente con un
sorriso.
Forse
la reazione di Paul sarebbe stata diversa.
Forse
mi avrebbe abbracciata caldamente, sfiorando il mio naso con il suo,
gesto che
ripete sovente con James.
Allontano
le fantasie riguardo le probabilità che non vedranno mai
compimento,
concentrandomi sull'abominevole realtà che mi circondava.
Caratterizzato
da un riprovevole atto incestuoso il presente che il destino mi
costringe a
vivere istiga un sospiro trattenuto.
Paul
pare cogliere il mio tremulo refolo di fiato, a cui segue il suo.
Raccolgo
il poco coraggio di cui dispongo in ogni recesso della mia anima e
decido di
confessare la verità, sconosciuta a quest'uomo. Da egli il
mio tentativo di
espressione viene interrotto.
L'uomo
rischiara la gola e inclina il capo, in una posa che anticipa parole
scrupolose.
Negli
occhi di Paul compare il guizzo del ricordo che diviene protagonista
della sua
voce arrochita.
-Ricordi...
la prima volta che venimmo qui?-
Annuisco,
confusa dalla sua criptica domanda.
Accetta
il mio gesto, scuotendo le ciglia che si arcuano lungo le guance,
lunghe e
sinuose quanto le mie.
Concentra
lo sguardo di fronte a se, ignorando la mia figura che avanza al suo
fianco.
-Ricordi...
che ti parlai di John e di quanto la vita adulta riesca ad offrire
all'uomo
possibilità di comprensione e riscatto dai propri errori?-
Annuisco
nuovamente, decisamente meno sorpresa, intuendo il fine delle sue
parole.
-Credo
che... la mia esistenza sia un'eccezione a questa affermazione. Io
non... non
vado fiero della mia adolescenza, di quello che la mia giovinezza mi ha
spronato a fare, sbagli che... non sono stato in grado di...
affrontare...-
Deglutisce,
dandomi la possibilità di riconoscere il mio concepimento in
quei trascorsi
errori che lui stesso paventa.
Scuote
il capo, il rimpianto colma i suoi occhi che tento di osservare oltre
il velo
di lacrime che cela le mie iridi.
In
quel gesto di rassegnazione non intravvedo la malignità del
ragazzo descritto
da Ester bensì la dignità di un uomo responsabile
che affronta il passato, a
differenza di mia madre.
Distolgo
dalla mia mente l'immagine ingannatrice di quella donna che nonostante
gli anni
colma i ricordi di Paul di un rimorso evitabile.
Trattengo
il labbro inferiore fra i denti, nell'attesa della mia confessione che
seguirà
le sue parole.
Una
confessione necessaria quanto il tepore estivo che rinfranca le membra
infreddolite dei londinesi.
Tale
lieve calore pare avvolgere anche Paul, le cui mani si avvicendano sui
bottoni
del trench, dal quale desidera evidentemente spogliarsi.
-E
ora... sono ricaduto in quegli antichi errori di cui fa parte anche il
tradimento. Un tradimento di non una ma... di due persone. Di Linda,
mia
moglie, la donna che amo di più al mondo, la madre dei miei
figli, la persona
che ho deciso di sposare e con cui desidero trascorrere il resto della
mia
vita. E di te, una ragazza giovanissima che... è stata
vittima di una forte
ammirazione, che ha illuso la sua mente ottenebrata dal dolore di
provare una
pulsione irresistibile nei... miei confronti. E io... io sono stato un
ragazzino. Un maledetto ragazzino che ha ceduto ad una... tentazione
carnale
che spesso ha fatto vacillare le mie convinzioni giovanili. Ma ora non
ho alcun
dubbio riguardo i miei desideri: in essi non riconosco altri che la mia
famiglia. I miei bambini, che hanno bisogno di un padre fedele alla
propria
moglie e non di un lurido traditore, della cui fama mi sono macchiato
quella
notte. Una notte... che temo non riuscirò a dimenticare. La
mia attrazione per te
è sfociata in una passione... arsa in breve tempo che mi ha
fatto comprendere
l'importanza della stabilità di... un amore duraturo.
L'amore di Linda. L'amore
di Mary, Stella, Heather e James. Io... non posso permettermi di
mettere a
repentaglio tutto quello che ho creato così faticosamente.
Sono stato uno
stupido a permettere all'istinto di dominarmi, io... ti ho illusa. E mi
dispiace. Mi dispiace... davvero moltissimo. Non avrei voluto che...
che
finisse così fra di noi. Non avrei creduto accadesse... non
volevo accadesse.-
Umetta
le labbra con la lingua, distendendo il collo.
Osservo
il pomo d'Adamo guizzare oltre la pelle, mentre le parole di Paul
permeano il
mio udito, sovrastando il fruscio del vento.
La
sincerità della testimonianza di Paul permette un subitaneo
palpito al mio
cuore, di cui alcuni anfratti vengono conquistati da una consapevolezza
tanto
violenta quanto inaspettata.
Permetto
alla voce di Paul di scivolare nella mia mente che ne assorbe il
significato.
Una
sensazione di amarezza colma il mio palata nell’appurare la
genuinità dell’amore
provato da Paul per la moglie Linda.
Un
amore che non ha mai sussurrato all’orecchio di mia madre, di
cui non ha mai
intriso le carezze al mio capino infantile.
Un
affetto incondizionato, la difesa del quale è considerata un
onere piacevole e
doveroso.
Un
affetto che offre un orgoglioso onore a colui che è
interessato dalla sua influenza.
Tale
soddisfazione, paragonabile solo a quella scaturita in un bimbo durante
l’esame
di una propria faticosa realizzazione, ho creduto provocata in me dai
baci di
mia madre nei quali ho riconosciuto solo ipocrisia al momento della
sconcertante rivelazione della donna.
Avverto
nuovamente la pungente frustrazione lungo il profilo della mascella,
rielaborando con la mente le parole di mia madre che ora paiono velate
da una
veste differente.
Non
più le spoglie meschine che hanno ricoperto le
giustificazioni di Ester ma un
tessuto maggiormente comprensibile e altrettanto irreale.
Una
maschera di protezione che non ho delineato prima nella voce di mia
madre.
Protezione
di una persona amata dalla realtà, forse troppo crudele per
essere affrontata.
Lo stesso senso di protezione che mi impedisce d’improvviso
di confessare la
realtà che ha sfiorato i miei sensi a quell’uomo
che ne ha provocato il
turbamento.
Alzo
gli occhi verso Paul, divenendo vittima di una subitanea inquietudine.
Osservo
le mani del musicista annaspare lungo il profilo delle tasche del
trench. In
quanto fumatrice riconosco senza difficoltà la smania che
conduce i suoi gesti
alla frenetica ricerca del pacchetto di sigarette. Decifro altrettanto
facilmente
il rammarico sul suo volto alla scoperta dell’assenza di quel
piccolo piacere.
Mi
domando incuriosita quanto quei suoi piccoli gesti avrebbero costellato
la mia
infanzia. Ma il ricordo di quest’ultima possiede un ulteriore
protagonista:
Thomas.
Un
uomo generoso che assieme a mia madre a deciso di compiere una
decisione
altrettanto altruista. La stessa che si insinua improvvisamente in me
impedendo
alla mia volontà di compiere l’azione per cui ho
trovato il coraggio di
mostrarmi di fronte alla villa di Paul, celando il mio imbarazzo.
Un
volere pressante che impedisce, forse con la stessa furia con cui ha
stimolato
il silenzio di mia madre nei confronti
dell’identità di mio padre, la mia
confessione.
Una
confessione che distruggerebbe l’esistenza di mio padre, di
quell’uomo nella
cui maturità non rimane neppure un ricordo
dell’adolescenza sprovveduta. Quest’ultima
permette ai suoi lineamenti di assumere un’espressione
seriosa, levigata da un
passato che, come uno schiaffo violento permette al rossore di
propagarsi sulla
pelle, corrode i connotati di Paul.
Comprendo
quanto le mie parole potrebbero permettere ai ricordi di riaffiorare
assieme
alla consapevolezza delle conseguenze della nostra debolezza carnale
che non ha
causato solo la mia frustrazione e il suo tradimento nei riguardi della
moglie.
Ha
stimolato un peccaminoso incesto, la cui scoperta impedirebbe alla vita
di Paul
un prosecuzione in quella serenità amorevole che
l’uomo paventa.
Io
non sono altro che una ragazza, spaventata da una realtà
più grande di lei, con
la quale dovrà adattarsi ad una convivenza forzata. Una
convivenza che non
dovrà causare discrepanze nella famiglia di mio padre, in
quella realtà che ha
costruito faticosamente.
Il
mio risoluto desiderio di confessione e conseguente redenzione dei
peccati
commessi sfuma di fronte alla possibilità di causare con
esse l’infelicità di
Paul.
Immagino
di riconoscere nella mia titubanza quella che ha guidato il silenzio di
mia
madre.
Osservo
il volto di Paul, nella speranza che i suoi lineamenti conservino un
conforto
ai miei indugi.
Ma
su di esso non riconosco che le lievi rughe di un uomo, appianate dalle
carezze
di quei figli i cui sorrisi lo attendono a casa.
Gli
stessi sorrisi che forse arcuano le sue labbra e permettono al suo capo
di
inclinarsi verso il basso, dove gli occhi non incontrano il terreno ma
trasmettono le immagini della sua quotidianità che crede
ristabilita con le
parole appena pronunciate.
Riproduco
la posa della sua bocca, mossa da un motivo ben diverso; la netta
comprensione
delle azioni di mia madre, che nonostante fatichi ancora ad insinuarsi
nella
ferita del mio orgoglio contribuisce a sanarla.
Assume
un’espressione cordiale, nella quale il ricordo della notte
passata assieme
crea un’aura
ipocrita e falsamente
amicale.
-Volevi…
dirmi qualcosa, giusto? Riguardo… beh, riguardo…-
La frase ricerca il suo
termine senza successo.
Deglutisco
ed esclamo, senza distogliere i miei occhi da quelli di mio padre:
-Volevo
dirti che… quello che ho fatto è
stato… meschino. Volevo dirti… che ti apprezzo
e che l’alcool non mi ha aiutata ad esprimere la mia stima
nel modo adeguato.
Volevo dirti che proprio la benevolenza che provo per te mi costringe
a… non
interferire con la tua vita. Una vita appagante che non deve essere
distrutta
da… un errore…- un fremito scuote la mia schiena
del momento in cui riferisco
quel termine al mio concepimento. Deglutisco e riprendo:
-Ami
tua moglie. E io… rispetto il tuo sentimento quanto rispetto
te. Io… volevo
solo dirti che mi dispiace… per quello che ho
fatto…vorrei solo che tu…
proseguissi la tua vita senza rimorsi riguardo il nostro
sbaglio… una volta
terminata l’intervista non… non
interferirò mai più con te… te lo
prometto… non
rovinerò la tua vita..-
L’irreversibilità
di tale affermazione scuote le mie spalle, rendendomi consapevole della
sua
necessità.
Subisco
il suo sguardo su il mio viso, stravolto dal desiderio di sfiorare in
una carezza
priva di malizia le braccia che avrebbero voluto cullarmi e che
inconsapevolmente ho avvolto attorno alla mia vita con passione.
Permetto
a quell’immagine di penetrare la mia anima, considerando
questa l’unica
possibilità di convivere con il raccapriccio del mio gesto:
l’affronto.
Il
vento continua a frusciare fra le siepi ma il suo sibilo si confonde
con il
respiro di Paul, che immagino di sentire quella sera, sulla mia gota
adagiata
al guanciale. Un
piacere di cui godranno
presto i figli di mio padre.
Una consapevolezza adeguata a farmi comprendere la correttezza della
mia
decisione.
Angolo
di uno zombie:
Ragazze…
È
mezzanotte e spero vogliate compatirmi.
Ho
finito ora di scrivere, abbiate pietà del risultato.
Aspetto
con ansie le vostre recensioni.
Giu
|
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Capitolo 24 *** Epilogo ***
Ecco.
Ci
siamo.
È
arrivato il triste ma altresì euforico momento di
presentarvi il mio epilogo.
L’epilogo
di una storia che avete seguito in moltissimi, molti più di
quanti mi sarei mai
aspettata.
Rimando
i ringraziamenti all’angolo autrice (l’ultimo
angolo autrice…). Fa una certa
impressione dirlo.
Ma
rimando la malinconia al termine della storia.
Vi
presento con soddisfazione l’epilogo ringraziandovi del
sostegno che avete
apportato alla mia storia.
Epilogo
New
York
25 Ottobre 2006
Lo
sento.
È
arrivato per me, lo stavo aspettando.
Percepisco
il suo respiro sulla pelle del collo e le sue mani vagare nella stanza,
alla
ricerca del mio corpo.
Un
corpo sudato e pulsante che non riesce a confondersi
nell’oscurità
dell’ambiente.
Lo
vedo.
È
immobile di fronte a me, il fiato smorzato sul mio naso.
Si
avvicina mentre la mia gola reprime un singulto terrorizzato.
Adagia
la mano guantata che fino a poco tempo prima ha carezzato la mia pelle
sulle
mie spalle.
Mi
guarda con i suoi occhi penetranti e…
Lascio
scivolare le mani lungo i capelli, la cui tinta mora riflette alcuni
bagliori
argentei nello schermo del computer che si sta progressivamente
oscurando.
Osservo il motivo floreale che occupata con lentezza esasperante il
video,
sopperendo all'assenza delle mie parole. Queste parole attendono la
proprio
ricomparsa, possibile unicamente dal movimento del mouse. Ma le mie
dita non
paiono intenzionate ad abbandonare la pelle del mio collo, resa rovente
dalla
quantità notevole di caffeina ingerita durante il
pomeriggio. Tale ingente
consumo è causato dalla mancata presenza di ispirazione.
Essa coinvolge sovente
i miei pensieri in una danza frenetica, imitata dalle mie dita sui
tasti del
computer.
Ora
il silenzio che accompagna i miei pensieri in un sopore indesiderato,
causa la
mia improvvisa frustrazione.
Il
mio sospiro rassegnato attira l'attenzione di Cameron, non
più riservata al
quotidiano, che abbandona con malagrazia sulla poltrona.
Lo
osservo, incuriosita da quel gesto spazientito, inusuale nelle azioni
spesso
pacate di mio marito.
Egli
schiude le labbra sottili, premendo i polpastrelli sugli occhi, grigi
come i
suoi capelli. Questi ultimi articolano le proprie ciocche in volute
minute, che
popolano il suo capo, rivolto alle mani.
La
sua camicia cela il petto esile, al quale la salute ha permesso un
piacevole
rinvigorimento durante gli ultimi mesi del nostro matrimonio.
Gli
addominali colmano la stoffa, i cui lembi immagino di ordinare con le
mani.
Quelle
mani che ora abbandono in grembo, permettendo ai miei occhi di vagare
sulla
mobilia del salotto.
Lo
stile con il quale io e Cameron abbiamo deciso di arredare quella
stanza è
concorde con la modernità crescente negli edifici newyorkesi.
Sorrido
malinconicamente a causa della totale assenza di quelle suppellettili
inglesi,
la cui peculiare eleganza non riserva il suo garbo al mio appartamento.
Ricordo
la mia casa a Liverpool, e con essa i ricordi che, nonostante la mia
volontà di
repressione, riposano ancora negli anfratti della mia mente.
Ho
ingenuamente creduto che il matrimonio e la costruzione di una vota
soddisfacente potesse relegare al passato ciò che vi
appartiene.
Ma
il ricordo si insinua nella mia mente, impedendo la realizzazione del
lavoro
che il mio editore richiede da tempo.
Quel
lavoro in cui ho ritrovato distrazione e riscatto da quella vita che
per troppo
tempo ho trovato insoddisfacente e dalla realtà, dalla quale
mi dono sentita
costantemente braccata.
Rimembro
senza difficoltà le lacrime che il mio guanciale ha raccolto
pazientemente
durante la giovinezza, il rimorso che ha soffocato i singhiozzi,
tramutandoli
in gemiti soffocati.
Gemiti
finalmente domati dalle carezze amorevoli di Cameron. Queste sono
giunte sulle
mi pelle pochi anni dopo la scoperta dell'angosciante
verità, quella che ha impedito
alla mia mente qualunque pensiero razionale che non riguardasse le
prospettive
lavorative, alquanto aumentate in seguito all'intervista con Paul. Il
suo
proseguimento è stato costellato dall'imbarazzo evidente
dell'uomo che non
permetteva alle sue mani di avvolgere le mie spalle, in quegli abbracci
che era
solito donarmi. Gli stessi che ha riservato ai figli, verso i quali una
sottile
invidia ha ottenebrato i miei pensieri.
Essi
per molti anni hanno privilegiato la delineazione dei lineamenti di
Cameron,
l'uomo di cui mi sono innamorata e al quale, poco tempo prima del
nostro
matrimonio, ho confessato la reale identità di mio padre.
Cameron
abbandona la poltrona, per avvicinarsi a me.
Osservo
il suo petto ampio, che ha accolto le mie lacrime senza alcuna
protesta, così
come le sue orecchie, che hanno udito gli spiacevoli ricordi del mio
passato,
accettandoli con amorevole pazienza. Ha asciugato con i suoi baci
sinceri le
mie lacrime, non condannando con le sue parole comprensive la mia
debolezza
carnale, che ha condotto nell'abisso della perdizione quell'uomo presto
rivelatosi mio padre.
Ho
affidato senza remore il mio futuro a quell'uomo che ora circonda le
mie spalle
con le braccia.
Quelle
braccia calorose, che per un istante non mi fanno rimpiangere le
attenzioni di
un padre che non ha mai rivestito tali panni.
-Che
succede, Bri? Calo d'ispirazione? Posso aiutarti?-
Sorrido,
cogliendo nella sua voce la speranza di un rifiuto all'ultima domanda
posta.
Riconosco la sua ritrosia nell'affrontare la stesura di un testo
narrativo,
come quello che ho intrapreso da alcune settimane. Ma apprezzo il suo
desiderio
di contribuire alla realizzazione del mio lavoro.
Soffoco
una risata, i pensieri concentrati unicamente sul volto di mio marito.
-No,
amore, non ti costringerò ad una simile tortura...-
Assume
un'aria ironicamente colpevole, che accentua le rughe che da tempo
affollano
gli angoli degli occhi, rendendone ridenti le iridi.
-Potrei...
potrei cercare di risolvere un intoppo in uno dei capitoli... l'ho
già fatto
nei romanzi precedenti, ricordi?-
Scuoto
il capo, umettando le labbra con la lingua.
-Hai
ragione... Ma, il fatto è che...-
-Ancora
Paul, vero?-
Annuisco,
grata a Cameron della sua comprensione che non ha mai tentato di
ostentare una
maschera di invadenza.
Il
suo silenzio rispettoso accentua il mio affetto nei riguardi della sua
persona.
Riceve
il mio mento fra le mani, sfiorando le gote con i polpastrelli e
causando il
mio debole sorriso.
Schiudo
le labbra con un sospiro che anticipa un'affermazione da tempo
ponderata.
-Cam,
io... credo... sia arrivato il momento di dirlo a Josh...-
Strabuzza
gli occhi e inclina il capo.
-Credi
che sia pronto alla verità sulla sua famiglia?-
-Io...
devo dirglielo. A sedici anni nessuno mi ha dato la
possibilità di aprire gli
occhi e di conoscere il mio passato e... sai bene cosa... ha comportato
questa
omissione...-
Deglutisco,
prima di riprendere.
-E
non voglio che mio figlio viva la sua giovinezza nell'ignoranza
dell'identità
di suo nonno... non come ho fatto io...-
Si
passo una mano fra i capelli scuri prima di trattenere le mie dita fra
le sue.
-E...
hai intenzione di... raccontargli anche di... quella notte?-
La
realtà si presenta alla mia mente, assieme alla propria
gravità. Una realtà che
Josh avrà la possibilità di comprendere durante
la sua adolescenza.
Una
realtà che non pretendo accetti immantinente ma che
avrà la possibilità di
affrontare assieme alla sua famiglia.
Un
sostegno del quale non ho mai goduto da parte di mia madre. Ho offerto
fiduciosamente una possibilità a quest'ultima di riscattarsi
dal proprio errore
passato, senza avvertire più quel sincero trasporto verso di
lei.
Ho
tentato di convincermi riguardo il fine ammirevole del silenzio di mia
madre,
sostenendo ingenuamente che presto sarei riuscita ad assolverla appieno
dal
proprio peccato.
Attendo
ancora con assai meno trepidazione quel momento, limitandomi ad
accettare i
tentativi di amorevole approccio da parte di mia madre.
Mi
riscuoto da quei pensieri per rispondere al quesito posto da Cameron.
-Sì.
Devo farlo, Cam. Conoscere la verità è un suo
diritto e io non ho il dovere di
negarglielo. Sono sua madre e lo amo. Credo siano requisiti sufficienti
per
desiderare la sua felicità. E non potrà mai
essere davvero felice se ignora la
realtà.-
Cameron
adagia le sue labbra roventi sulle mie, gelate dal timore delle parole
che
rivolgerò a mio figlio.
Chiudo
gli occhi nel tentativo di assaporare l'affetto racchiuso in quel
bacio, la cui
dolcezza tento di riproporre in una carezza riservata alla mascella
ispida di
mio marito.
Sfiora
la mia fronte con la sua, permettendo ai nostri nasi un lieve contatto.
Lo
stesso gesto compiuto da Paul nei miei confronti, duranti quella notte
di
venticinque anni fa. L'ennesimo brivido di repulsione percorre la mia
schiena.
Il
mio sobbalzo viene domato dalle carezze di Cameron e dalla sua voce
rassicurante.
-Io
non ti lascerò sola, Brianna. Josh è anche mio
figlio e desidero quanto te la
sua serenità. Ti aiuterò a rivelargli ogni cosa,
non temere. Io... ci sarò
sempre per te... e per nostro figlio. E se questa è la cosa
giusta da fare...
io ti sosterrò.-
Sorrido
amaramente prima di esclamare:
-A
volte mi chiedo perché tu non sia fuggito una volta che ti
confessai il mio
passato. Non staresti affrontando tutto questo...-
Scuote
il capo, una risposta ovvia sulle labbra:
-Perché
ti amo, Brianna.-
Avvolgo
i suoi fianchi con le braccia e premo la tempia sul suo petto,
avvertendo il
battito frenetico del suo cuore.
Infondo
in quel gesto un sentimento che non sarei in grado di esprimere con
qualunque
altro mezzo.
Il
cigolio della porta d'ingresso causa un sobbalzo in entrambi,
poiché non
dubitiamo della natura dell'ospite appena entrato.
-Mamma,
papà, sono a casa!-
L'accento
britannico che Josh ha ereditato da me, attira la mia attenzione,
causando un
acceleramento dei miei respiri.
Il
tremolio della mano si Cameron sulla mia schiena non agevola la mia
tranquillità.
Odo
lo stridio prodotto dalle suole delle scarpe di Josh sul pavimento e i
suoi
sospiri affannosi a causa della salita della scalinata che conduce al
nostro
appartamento.
Deglutisco
e strabuzzo gli occhi prima di richiuderli rapidamente, accompagnando
il loro
movimento da quello altrettanto repentino delle ciglia.
Il
sangue tormenta le mie tempie, causando un inusitato dolore oltre di
esse.
Osservo
la figura di Josh, senza riuscire a celare l'orgoglio provocato dalla
sua
presenza.
Il
corpo esile e dinoccolato pare orientarsi a fatica nel corridoio,
vittima di
quei mutamenti adolescenziali che interessano il fisico.
Le
sue mani grandi vagano liberamente lungo i fianchi, protetti dai jeans
scoloriti.
I
capelli neri, ordinatamente tagliati, scivolano lungo gli occhi,
argentei come
quelli di Cameron.
La
pelle del viso, vittima dell'acne giovanile, incanta il mio amorevole
sguardo
che non nota imperfezioni in quei lineamenti.
Sveste
rapidamente il giubbotto, scostando la frangia dalla fronte.
Un
gesto comune a Paul, che gli ho visto compiere in numerose occasioni.
Riconosco
mio malgrado lo stesso fascino del musicista nell'azione di Josh.
Ignoro
a fatica quel ricordo mentre le parole di mio figlio ridondano
nell'appartamento ormai silente.
-Domani
vado a pranzo da Greg, sua madre ha insistito tanto... e anche sua
sorella...
dice che vorrebbe conoscere meglio gli amici di Greg. Probabilmente
domani
riuscirò a combinare qualcosa con Candice Stevenson! Fammi
gli auguri, papà!-
Ammicca
verso Cameron che inusitatamente non risponde con espressione
altrettanto
maliziosa.
Josh
allarga le braccia e corruga la fronte prima di rivolgere a me la sua
attenzione.
Analizza
repentinamente il mio volto prima di anticipare alcune parole annoiate
con un
gesto di noncuranza della mano.
-Sì,
lo so, mamma. è più grande di me e io sono ancora
troppo piccolo per queste
cose. Ma tu non conosci Candice, mamma! è uno schianto! E
sono più che sicuro
di interessarle... Ehi, non fare quella faccia! Studierò
oggi per il compito in
classe di venerdì; sono già preparato su buona
parte degli argomenti, devo solo
rivedere Carlo Magno... maledetti Franchi...-
Si
dirige verso la propria camera a passi strascicati prima di essere
interrotto
dalla mia voce, ancora incerta, nonostante la fermezza della mia
decisione.
-Josh!-
Il
ragazzo risponde immantinente al mio richiamo, assumendo un'espressione
preoccupata da una possibile accusa riguardante una delle bravate
solitamente
compiute.
La
ricerca del coraggio viene agevolata dalla mano di Cameron, intrecciata
alla
mia, allegoria di un'unione indissolubile.
Sospiro
nuovamente prima di esclamare con accento tremulo:
-Josh...
c'è una cosa che devi sapere...-
FINE
Angolo
autrice:
I
sentimenti che esplodono in un autore durante il termine della stesura
di un
proprio lavoro probabilmente possono essere compresi solo da un altro
autore.
Una
sorta di malinconia, venata di soddisfazione.
La
prima è causata dall'addio di un universo che tu stessi hai
concepito; l'addio
a quei personaggi che si sono insinuati nella tua mente in una notte
insonne e
ai quali hai deciso di proiettare sullo schermo.
La
seconda invece è provoca da un comune sentimento umano che
inorgoglisce
chiunque sia riuscito a raggiungere un traguardo.
E
giungere all'epilogo di questa storiella era uno scopo che non credevo
sarei
mai riuscita a soddisfare.
Riconosco
benissimo che la portata della storia non è eccezionale e
neppure il mio stile
narrativo; e di questa storia non rimarrà altro che un file
su un computer. Ma
ciò che mi rende orgogliosa è il mio impegno nel
realizzare questo progetto e
il vostro sostegno.
Ringrazio
tutti coloro che si sono limitati a leggere anche se non nascondo che i
loro
pareri mi avrebbero fatto piacere :)
Non
posso non ringraziare personalmente tutti coloro che hanno letto e
recensito la
mia storia:
•
Fannysparrow,
grande amante del meraviglioso
Jack, che con le sue recensioni precise e chiare mi ha donato
complimenti e
consigli.
•
Jenny
Wren, l'unica ragazza che ama Paul quanto
me (se non di più XD) che ho avuto la grande fortuna di
conoscere, anche se
solo virtualmente. Ti ringrazio per le lunghe chiacchierate e per
avermi fatto
sognare ad occhi aperti raccontandomi i tuoi ricordi dei concerti a cui
hai
avuto la fortuna di partecipare. Credo tu abbia notato che in questo
epilogo ho
fatto un omaggio ad uno dei tanti gesti vanitosi di Paul, che mi ha
fatto
collassare XD
•
The
Rolling Beatles, sempre dolce e attenta
nell'analisi dei capitoli. Grazie per aver espresso sempre in tutta
sincerità
il tuo parere sulla mia storia e aver ipotizzato sul proseguimento.
Sono
proprie queste le qualità di un lettore che invogliano un
autore a proseguire
il proprio lavoro.
•
Iansom,
assidua lettrice dei miei capitoli, forse
l'unica che dimostra in un'unica recensione di aver colto ogni
più piccolo
dettaglio della mia trama. Ti ringrazio per l'attenzione che hai donato
alla
mia storia e spero davvero di poterti sentire ancora su questo Fandom,
nonostante tu sia un po' estranea al mondo Beatlesiano. Ma mi
piacerebbe
continuare ad avere un tuo parere sui miei lavori. E anche io
bazzicherò più
spesso sul Fandom di TVD... forse solo per leggere le tue storie
incantevoli ;)
•
Lady_Klayne,
la mia cara Nico, compagna di scuola
e amica. Ti chiedo scusa per non essermi fatta sentire ultimamente ma
ne
conosci perfettamente il motivo. Ti ringrazio per avermi sempre
sostenuta in
questo piccolo progetto, per le passeggiate capitolo in attesa di quel
treno
che arrivava sempre troppo presto. Grazie per i messaggi sempre cortesi
con cui
riesci a tirarmi su il morale. Sei uno dei motivi per cui tornare a
scuola non
mi dispiace. Ti voglio bene.
•
Quella
che ama i Beatles, novella lettrice dei
miei capitoli, simpatica e
solare in
ogni commento. Grazie per aver letto e commentato e per avermi fatta
sorridere
con i tuoi commenti adulatori riguardo Paul. A proposito, concordo;
figo a 10
anni, figo a 71 e certamente figo a 38. Quell'uomo è un
angelo *__*
•
Swaying_Daisies,
certamente la lettrice che ho
temuto maggiormente XD Quella estremamente preparata in materia
Beatlesiana che
con le sue "recensioni fiume" mi ha elogiata e meritatamente
criticata, offrendomi numerosi spunti per migliorare il mio stile e la
trama
della storia. Ti ringrazio davvero per tutto, per la pazienza che hai
avuto nel
leggere attentamente ogni capitolo e a catturarne le
peculiarità. EFP ha
bisogno di lettori così informati e precisi come te.
•
Kia85,
per la costante cortesia che riserva alle
mie recensioni. Ti ringrazio per aver seguito questa storiella.
è un onore per
me aver interessato con questo lavoretto la più brava
autrice di McLennon su
EFP. Spero di non infastidirti se nel mio prossimo esperimento slash mi
affiderò ai tuoi consigli ;)
•
Mrs_McCartney,
un altra amante del meraviglioso
Paul, la prima a leggere e recensire la mia storia. Ti ringrazio molto
per le
belle parole che hai riservato alla mia storia e spero che in futuro tu
abbia
ancora voglia di seguire i miei racconti.
•
strawberryfield_JI,
che nonostante non riesca a
recensire costantemente mi rende sempre partecipe dell'interesse che
l'ha
coinvolta nella lettura di The Long and Winding Road. Grazie.
•
Go_always_ahead,
ottima autrice di poesie che
purtroppo per problemi scolastici non è riuscita a
continuare nella lettura. La
ringrazio per avermi avvertita del suo tentativo di ricominciare presto
ad
affrontare la mia storia. Io la aspetterò, così
come questo angolino tutto
dedicato a lei.
Infine
vorrei ringraziare in modo particolare una persona per la quale vorrei
spendere
qualche parola in più:
Trattasi
di Giulia, mia omonima.
Ma
ho avuto modo di appurare che il nome non è l'unica cosa che
abbiamo in comune.
Il
caso ci ha fatte incontrare su EFP, ricordi, Giu? Sotto le spoglie di
un tuo
compito in classe riguardante la triste assenza all'ultimo concerto di
Paul, a
Verona.
Rimasi
colpita dalla sincerità delle sue parole e non esitai a
recensire positivamente
il suo lavoro.
Incuriosita
dal mio commento, anche tu sei venuta a dare un'occhiata alle mie
storie.
Mi
hai riempita di complimenti, causando in me un grande orgoglio e
un'istintiva
simpatia per le tue parole allegre.
Non
credevo che una semplice simpatia circostanziale potesse divenire
un'amicizia,
genuina come la nostra.
Comprendo
che in molti potrebbero ritenere questo un sentimento effimero, in
quanto non
abbiamo potuto ancora ufficializzare la nostra conoscenza con un
incontro
fisico.
Ma
le nostre menti si sono già incontrate, ritrovandosi
perfettamente affini.
Neppure
quando ci siamo scambiate il numero di cellulare ho sperato che
continuassimo a
contattarci.
Invece,
grazie le nostre chiacchierate, ho scoperto una ragazza incredibilmente
intelligente e responsabili, aggettivi con cui purtroppo non posso
identificare
molti dei miei conoscenti.
Hai
dimostrato di condividere con me ogni più intimo pensiero e
non soltanto le
grandi passioni che ci hanno fatte incontrare.
Tale
incredibile somiglianza ci ha fatte sorridere ed ha alimentato la
nostra
complicità. Quest'ultima è palesemente dimostrata
dalle nostre chiacchierate
sempre più intime e piacevoli.
Chiacchierate
che hanno la capacità di risollevarmi il morale di farmi
sorridere e che danno
la forza alle mie dita stanche di digitare anche durante la notte sulla
tastiera del cellulare.
Perchè
purtroppo solo con essa posso comunicare con te; ma non mi sono mai
sentita più
vicina a qualcuno nostante la distanza.
Non
mi sono sentita mai così affine con qualcuno,
così libera di esprimere la mia
natura con chi so che ne condivide una identica.
Sorrido
ancora al pensiero del nostro primo scambio di messaggi vocali: ma la
tua voce
mi è parsa subito familiare e l'imbarazzo mi ha abbandonata
immantinente.
Sai
che spesso mi addormento pensando al nostro viaggio a Liverpool?
Perché io sono
certa che lo faremo.
Sono
certa che un giorno potrò abbracciarti e sussurrarti quanto
ti voglio bene.
Un
giorno lo farò e sarà uno dei giorni
più belli della mia vita.
Dopo
questa parentesi dedicata solo a colei che tutti definiscono
comunemente She
Loves the Beatles, ringrazio un'ultima volta tutti. E vi anticipo che
tornerò
presto con una Long su George e... sulla mafia italiana.
A
presto
Peace&Love
Giulia
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