The long and winding road

di _SillyLoveSongs_
(/viewuser.php?uid=254633)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il rumore della solitudine ***
Capitolo 3: *** Inquietudini ***
Capitolo 4: *** Without you ***
Capitolo 5: *** La vita che scorre ***
Capitolo 6: *** Dream ***
Capitolo 7: *** Come back ***
Capitolo 8: *** Bad memories ***
Capitolo 9: *** Incontri ***
Capitolo 10: *** Chiamami Paul ***
Capitolo 11: *** Lacrime ribelli ***
Capitolo 12: *** Thank you ***
Capitolo 13: *** Un grido nel buio... ***
Capitolo 14: *** Un fantasma dal passato ***
Capitolo 15: *** Tug of War ***
Capitolo 16: *** She loves you ***
Capitolo 17: *** La proposta ***
Capitolo 18: *** Here There and Everywhere ***
Capitolo 19: *** Let me be your hero... ***
Capitolo 20: *** Rimorsi ***
Capitolo 21: *** Diritto negato ***
Capitolo 22: *** Come un'eclissi ***
Capitolo 23: *** Chiarimenti ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The long and winding road
Prologo
Liverpool   Agosto 1960
Il vociare allegro dei ragazzi.
Lo scroscio del mare, poco distante.
Le chiacchiere di quelle comari dalle mani ormai rugose.
Ognuno di quei piacevoli rumori venne catturato da un vento leggero che accarezzava i capelli folti dei bambini e quelli radi degli anziani. Quelle raffiche sorpresero i venditori ambulanti, costretti a proteggere la merce con le mani callose mentre la loro pelle si seccava al sole. Quest’ultimo disperdeva i suoi raggi negli anfratti cittadini. Si propagavano sui muri delle case e sui loro interni. Raggiunsero anche quella finestra che, da lontano, osservava il porto. Il sole penetrò le tende che la coprivano fino a riscaldare anche l’interno della stanza. In essa si percepiva il dolce suono della giovinezza.
Un antiquato orologio adornava la parete e il suo ticchettio veniva spesso inframmezzato da risate sommesse. Appartenevano a due voci differenti. Una, piuttosto profonda e tipicamente maschile, era uno dei tanti effetti dell’adolescenza su un ragazzo che si accingeva alla maturità fisica. L’altra, acuta e melodiosa, apparteneva ad una ragazza ancora nel fiore degli anni. Quelle due voci si accavallavano, si inseguivano nel tentativo di comporre frasi romantiche. Ma quel momento non necessitava di parole. Le labbra degli innamorati si protendevano in cerca di un bacio, per poi distendersi in un sorriso. Le mani di entrambi si affaccendavano sui capelli dell’altro, come alla ricerca di qualcosa. Le loro fronti si toccarono e si strofinarono l’una sull’altra, imitate dai nasi. La solitudine venne disturbata dalla voce del ragazzo.
-Ester… io… c’è una cosa che devo dirti…- I suoi occhi verdi cercavano la propria immagine in quelli della fidanzata, così vicini e scuri. Non riusciva a concentrarsi su altro, neppure su quel caldo afoso che gli pungeva la pelle. Osservava le guance arrossate di Ester e i boccoli chiari che le ricadevano disordinati sulle spalle. Da tempo il giovane si era promesso di dedicare una sua composizione alla rara bellezza della fidanzata ma stava rinunciando; aveva temuto che non sarebbero esistite parole adatte ad esprimere la meraviglia di quel volto raggiante. Un volto che assunse un’ironica espressione corrucciata all’ascolto di quelle parole.
-Dai, Paul… non rovinare tutto proprio adesso… mi stavo divertendo, sai?-
Ester circondò il collo di Paul con le braccia lasciando scivolare le dita sui capelli morbidi e neri del ragazzo. Lui sorrise, alzando gli occhi al cielo in un gesto di finta esasperazione. Poi prese le mani di Ester e se le portò al cuore. Fissò intensamente la fidanzata; i suoi diciott’anni non gli impedivano di comunicare efficacemente le sue emozioni.
-Non te lo direi se non fosse davvero importante.-
-Spara.-
Paul lanciò una rapida occhiata alla stanza matrimoniale dei genitori di Ester, quella nella quale lei lo ospitava per i loro incontri segreti. Provò una strana sensazione al pensiero che sarebbe passato parecchio tempo prima che potesse ancora osservare quel luogo.
-Abbiamo un batterista…-
-Ma è fantastico! Finalmente combinerete qualcosa di serio…- Ester si interruppe un momento, accarezzando la mascella di Paul, per poi chiedere: -Che tipo è?-
-Chi?-
-Come chi? Il batterista, Paul-
Il ragazzo, perso nei propri pensieri, stava cercando un modo adatto per mettere al corrente Ester della decisione presa da Allan in seguito all’entrata di Pete nel gruppo. Non gli interessava molto il nuovo arrivato e generalmente tentava di eludere le domande che lo trattavano. Lo conosceva poco e faticava a delinearne il carattere.
-Mah, non saprei, non si è esposto molto finora… forse ad Amburgo avrò una possibilità per conoscerlo meglio, non credi?- Inclinò la testa di lato ammiccando ed atteggiando la bocca carnosa ad un sorriso malizioso. Ester strabuzzò gli occhi, in un’espressione piacevolmente sorpresa.
-Cosa? Amburgo? Perché dovresti andare ad Amburgo?- la giovane lasciò guizzare gli occhi estasiati sul volto di Paul, come se potesse nascondere le risposte alle sue domande concitate.
-Allan ha approfittato della formazione ufficiale del nostro complesso per proporre a me e ai ragazzi una scrittura ad Amburgo. E noi non abbiamo potuto certo rifiutare. Non è una cosa incredibilmente meravigliosa?!-
Ester batté le mani eccitata, imprecò più volte dall’emozione per poi passarsi una mano tra i capelli ed esclamare: -è la notizia più bella che potessi darmi…- le sue parole si velarono di tristezza quando realizzò che la partenza di Paul li avrebbe allontanati probabilmente per molto tempo. Sorrise amara quando immaginò quanto la distanza fra lei e il suo innamorato avrebbe rallegrato suo padre. Egli aveva sempre disprezzato il giovane McCartney, “un ragazzino incapace di trovarsi un lavoro sicuro e a riporre la chitarra in uno sgabuzzino”. Nonostante Ester avesse cercato di distogliere il padre dai suoi pregiudizi, egli era rimasto irremovibile e lei si era trovata costretta proseguire una relazione clandestina che inizialmente andava contro a tutti i suoi principi morali. Non riusciva ad immaginare la noia della sua esistenza, una volta che Paul se ne fosse andato. Ma tentò di celare questo sentimento sotto una maschera di serenità, per evitare al ragazzo inutili preoccupazioni.
Paul le baciò le dita per poi giocare pensieroso con le unghie di Ester:
-Naturalmente non potrei mai neppure immaginare di partire senza di te…-
-Be, mi sa che dovrai farlo, tesoro- il tono ironico di Ester era velato di palese tristezza
-Cosa potrei dire a mio padre? Sai com’è fatto, non mi permetterebbe mai di lasciare il tetto familiare per imbarcarmi in un viaggio con un ragazzo. Se si tratta di te, poi…-
-Non ho detto che gli chiederai il permesso. Non lo dirai a nessuno. Partirai Domenica, con me e i ragazzi. Intonerai le melodie e le ballerai le nostre canzoni in quel modo frenetico e trascinante che sai fare solo tu. Ti prego.  Pensarti lontana potrebbe farmi impazzire- sussurrò queste ultime parole all’orecchio della ragazza, prima di baciarle il collo. Lei sospirò, con aria sognante
-Non sai quanto vorrei farlo…-
-Facciamolo. Ci vediamo domenica mattina, di fronte alla chiesa. Poi raggiungeremo i ragazzi ed Allan e partiremo. Ti prometto che staremo insieme. Ti va?-
-Ti amo…- in quelle parole appena sussurrate, Ester tentò di esprimere tutti i sentimenti che provava per James Paul McCartney, il bassista diciottenne per il quale aveva perso la testa.
Il rumore di una chiave nella serratura interruppe il lungo bacio degli innamorati. Ester capì che il padre era tornato dall’incontro pomeridiano con i suoi colleghi di lavoro ed incitò Paul a lasciare la casa. Egli si vestì rapidamente e lanciò un bacio ad Ester che rideva nervosamente.
Il ragazzo aprì la finestra e vi mise un piede sul bordo. Poi si voltò verso Ester che, coperta solo dalle lenzuola, gli avvolgeva la vita con un caldo abbraccio.
-Prometti che ci sarai Domenica?-
-Promesso.- uno strano fremito scosse la schiena di Ester nel pronunciare quelle parole che erano un chiaro rifiuto all’autorità paterna che si stava facendo sempre più pressante. Osservò Paul discendere agilmente il muro della sua casa.
Aveva deciso. Avrebbe cominciato una nuova vita.
Con lui.
     
 
 
Angolo autrice:
Finalmente la prima storia a capitoli che riesco a pubblicare su questo sito. Spero che il prologo sia gradito; è pieno di descrizioni molto ma molto tenere ma non ne ho potuto fare a meno :D Aspetto con ansia le vostre recensioni sia positive che negative; mi fa sempre piacere sapere il parere altrui sul mio stile.
Ciao
Giulia
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il rumore della solitudine ***


Il rumore della solitudine
 
New York      8 Dicembre 1980
Oscurità.
Silenzio.
Credo che siano queste le doti più apprezzabili della notte. Esse cullano i miei sensi, lasciando scivolare su di me un manto di serenità che indosso raramente. Le dita scivolano leggere sulla tastiera, formando parole che leggo confusamente sullo schermo del computer. Mi passo una mano sugli occhi, intimandogli silenziosamente di non cedere alla stanchezza, subdola tentatrice, che ha trovato in me la sua vittima preferita. Il lavoro incombente infatti mi ha rubato anche quelle poche ore di sonno di cui ho goduto fino a pochi giorni fa. Il ronzio del computer mi risuona nelle orecchie, un sussurro lento e continuativo, a ricordarmi quanto la nascente tecnologia debba ancora migliorarsi. Nonostante io sia ancora innamorata del profumo della carta e del fruscio della penna su di essa, ho trovato indispensabile l’utilizzo di uno strumento informatico che possa permettermi uno svolgimento più efficiente del mio lavoro. Osservo la mia camera, illuminata dalla luce di quel computer arrugginito. I miei dischi sono impilati sulla scrivania, in quell’ordine meticoloso con il quale mi ero imposta di sistemarli una volta entrata in questa casa. Ricordo perfettamente l’espressione ironicamente sorpresa della mia affittuaria che, il giorno del trasferimento mi ha aiutata nello scarico degli scatoloni.  Essi ora riposano vuoti in corridoio, in attesa di una mia decisione nei loro confronti. La complessità dell’articolo che il direttore mi ha imposto di portare a termine non mi da neppure la possibilità di sbarazzarmi degli inutili residui del trasloco. Essi mi osservano, sotto forma di valige semiaperte gettate scompostamente ai piedi del letto, di capi di vestiario ripiegati alla rinfusa sulla poltrona del salottino.
Leggo per l’ennesima volta l’articolo correggendo refusi che la stanchezza non mi ha fatto notare precedentemente. Desidero impormi in quel mondo giornalistico nel quale sono appena entrata; alcuni errori grammaticali causati dall’ora tarda non mi agevoleranno certamente. Firmo il testo e mi porto le mani ai capelli, reclinando la schiena.
 Avverto sotto i polpastrelli la pelle liscia delle tempie che si increspa ad ogni mia espressione. Lascio scivolare le dita sul collo, percependo i muscoli guizzanti sotto di esso. Poi avvolgo il mio busto fra le braccia, imitando i gesti affettuosi di una madre che sento lontana. Non avrei creduto che il mio animo ribelle potesse risentire della mancanza di una carezza. Gesto amorevole con cui mia madre ha colmato il mio viso e il mio cuore anche nel giorno della mia partenza. Quelle stesse lacrime che quel giorno le hanno rigato il viso ancora giovane, scorrono ora sulle mie guance. Le scaccio con un nervoso gesto della mano, sistemando gli occhiali sul naso. Mi passo la lingua sulle labbra screpolate. Neppure il ritornello di “Across the Universe ” ,che tento di riprodurre in un flebile fischiettio, è in grado di placare la mia tristezza.
Accendo la luce della mia camera per rischiarare l’ingresso verso il quale mi sto avviando. Attraverso il corridoio con estrema lentezza e la malinconia mi sorprende ancora nel percepire il suono debole dei miei passi sul linoleum, così diverso da quello vivace che essi producevano sul pavimento marmoreo della mia casa a Liverpool. Niente di questa mia nuova abitazione mi ricorda i rumori che si sprigionavano da quei muri antichi, il profumo dei vestiti di mia madre che impregnava le tende e il biancore della carta da parati. Mi sento a disagio nella modernità di quel monolocale ma non ho trovato un’alternativa altrettanto economica.
Una volta giunta in cucina apro il frigo, che mi consiglia distaccato di arricchirlo al più presto. Accetto il suo suggerimento silenzioso e recupero una mela, addentandola voracemente; l’imminenza del mio lavoro non mi ha neppure permesso di portare a termine una cena completa, ma soltanto alcuni rapidi snack pretesi dal mio stomaco affamato. Mi avvicino al tavolo, senza smettere di masticare.
L’ultima lettera di mia madre è ancora lì, spiegata, in attesa di essere riposta ordinatamente in un cassetto come tutte le sue compagne. Mi guarda, invitandomi ad un’ulteriore lettura di quelle numerosi frasi che macchiavano il biancore della sua carta. Cedo e afferro la lettera con la mano libera. Le parole scritte su di essa spronano quelle lacrime che avevo represso da alcuni minuti. Non ne fermo la corsa. La repressione del dolore non porterebbe che a un suo aumento.
La scrittura rapida di mamma esaurisce le battute di circostanza in poche righe. La penna è probabilmente scivolata dolcemente sul resto del foglio, il quale è adornato da desideri e speranze per il mio futuro. Futuro che lei non ha saputo garantirmi e che ora mi ritrovo a costruire lentamente. Ha tentato di nascondere fra l’inchiostro di questa lettera il dispiacere che prova nel non essere riuscita ad assicurarmi gli studi universitari; ma la carta non sa mentire. Ritrovo il rammarico in quelle parole affettuose e vorrei poter stringere la mano che le ha scritte, per baciarle le dita. La pagina ruvida è ammorbidita dalla macchia lasciata da una lacrima, probabilmente sfuggita agli occhi dell’autrice. Immagino il viso di mia madre colmarsi di tristezza durante la stesura si quest’epistola, proprio come quando riempiva il nostro quaderno dei conti con scritte sempre più brevi. Ricordo la copertina verde di quel libro, che aveva sempre tinto di una strana inquietudine la mia giovinezza. Esso riassumeva con poche cifre la spesa del mese e decretava freddamente la nostra situazione economica, sempre più precaria. Ho accettato il lavoro alla Stampa per offrirle maggiore stabilità con uno stipendio utile nella sua miseria. Mamma si è affrettata a concludere la lettera,  senza ricordarmi di spedirle una piccola quota al termine della settimana. Spera che me ne dimentichi. Sa che non lo farò ma per un istante vuole illudersi che io utilizzi i miei soldi per scopi esclusivamente personali; desidererebbe che finissi di arredare la casa, che mi trovassi qualche abito carino, che truccassi il mio viso tanto grazioso. Ma la casa non ha bisogno del denaro quanto lei. Sono certa che si priverebbe volentieri della cena per vedere soddisfatto almeno uno di questi suoi piccoli sogni. Sogni alla cui realizzazione tenta di contribuire con piccole somme ricavate da alcuni lavoretti saltuari che la sua giovanissima età le permette ancora di svolgere. A volte, assieme alle sue lettere, ricevo qualche dollaro che mi premuro di rispedire al mittente.  Accarezzo il suo nome vergato in inchiostro nero; non solo il nome di una madre, ma anche quello di una donna in grado di sostituire una figura paterna che non è mai stata presente nella mia vita. Non ringrazierò mai abbastanza mia madre che è sempre stata egregiamente in grado di costituire tutta la mia famiglia…
Sospiro, per l’ennesima volta questa sera.
Addento nuovamente la mela, della quale mi sono temporaneamente dimenticata. Mi concentro sul ticchettio regolare dell’orologio così diverso dalla mia vita disordinata.
Il trillo fastidioso del telefono mi scuote dai ricordi, facendomi sobbalzare.
Mi avvio in corridoio con un’insospettita curiosità.
Rispondo, ma una voce profonda si accavalla alla mia. Non fatico a riconoscere in essa il tono veemente del mio direttore. Strabuzzo gli occhi, definitivamente confusa.
-Buonasera, direttore. È… è successo qualcosa?-
-Dire che è semplicemente successo qualcosa sarebbe la più grande banalità che io abbia mai pronunciato.-
-La ascolto.- Arriccio il filo del telefono tra le dita, la fronte corrugata.
Per un istante la comunicazione fu colmata soltanto dal respiro affannato del mio interlocutore.
-Sei pronta a fare il servizio del secolo, Richards?- le sue parole sono velate da un’ombra di malizia che percepisco chiaramente.
-Potrei esserlo se lei mi aggiorna sulla novità che la turba così tanto.-
-Non ho tempo per le discussioni ora, Richards! Ho avuto una soffiata…-
-Di che genere?- lo incalzo ma lui ignora la domanda.
- Prendi tutto il tuo equipaggiamento e scendi in cortile. Ho dato il tuo indirizzo ad alcuni tuoi colleghi… non ti dispiace, vero? Certo che no! Ti verranno a prendere per poi dirigersi verso l’Upper West Side… Oh mio Dio! Oh….Mio…Dio!-
-Potrebbe spiegarsi meglio, direttore? Non credo di riuscire a fare ciò che mi chiede se non…-
-Ascoltami bene, Richards. Non ti ho accolto nella mia redazione perché avevo compassione dei tuoi vent’anni o del tuo disperato bisogno di lavoro. Ti ho assunta perché necessitavo di un giornalista in erba, determinato e zelante che obbedisse ai miei ordini. Ora ti chiedo di fare ciò che ti dico, se vuoi davvero dimostrarmi di valere qualcosa. Mi hai capito?-
-Certamente…- attendo qualche istante prima di chiedere.
-Cosa è successo esattamente?-
La voce dall’altro capo del telefono sussurra qualcosa di concitato, prima di rispondere
-Hanno sparato a John Lennon!-
  
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Innanzitutto desidero ringraziare (per l’ennesima volta xD) tutto coloro che hanno recensito la mi storia, esprimendo il loro parere su di essa, per me sempre importante. Voglio ringraziare anche quelli che con la loro lettura silenziosa mi fanno comunque molto felice ;)
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento come il precedente che ha raggiunto ben 5 recensioni in una sola settimana! Sono davvero entusiasta :D
Vi avverto anticipatamente che probabilmente alcuni inserimenti nel corso della storia potrebbero non risultare propriamente veritieri, ma sono indispensabili per il proseguimento logico della trama.
Ora vi lascio con la promessa di pubblicare il secondo capitolo sabato prossimo e, probabilmente, infastidirvi nel corso della settimana con un’altra one shot xD
Grazie ancora!
Giulia 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Inquietudini ***


Ciao a tutti, cari lettori!
Spero che questo capitolo possa suscitare lo stesso successo dei precedenti, anche se ne dubito fortemente. Ultimamente infatti le idee scarseggiano così come il tempo per dare loro una forma. Spero che questo capitolo sia apprezzato nonostante non contenga eccezionali risvolti.
Inoltre volevo informarvi che, ispirata da una mia carissima amica, ho deciso di allegare ad ogni capitolo una canzone che consiglio di ascoltare durante la lettura. In questo caso ho scelto la meravigliosa “Across the Universe”, a mio parere uno dei capolavori assoluti firmati Lennon\McCartney. Ho trovato il testo molto indicato al contenuto di questo capitolo, dedicato alla riflessione e ai pensieri di diversi personaggi.
Ma non voglio svelarvi altro J
Ecco qui il link della canzone su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=0yEItbal4ac
Buon ascolto e buona lettura!
 
 
 
 
New York     8 Dicembre 1980
 
Il mio respiro affannato crea un sottile strato di condensa sul finestrino. Nonostante cerchi di osservare il paesaggio attraverso di esso, riesco a scorgere soltanto il pallido alone creato dalle luci della città. Esse affrontano con arroganza i miei occhi stanchi che abbasso istintivamente. Lo sguardo si posa sulle pieghe create dal mio giaccone che si arriccia sulla vita. Tento di sistemarlo con le mani, un misero tentativo di distrazione. La mia attenzione infatti non pare voler abbandonare il ricordo della voce del direttore…
Hanno sparato a John Lennon!”
Sparare…
John Lennon…
Quelle parole si scontrano nella mia mente, rifiutandosi di convivere nella stesse frase. La pace e la violenza si sono sfiorate in questa gelida sera di Dicembre; questa consapevolezza crea un sottile ma percettibile brivido lungo la mia schiena. Essa si è raffreddata a causa del contatto con i sedili del furgone. Questi si inclinano lievemente quando raddrizzo le spalle, tentando di liberarle dalla tensione. Ma lei non ha intenzione di abbandonarmi. Vaga confusa, soffermandosi talvolta sui miei pensieri agitati e sconnessi, talvolta sulle mani pallide di Mark che stringono il volante; spesso si insinua persino nel respiro affannoso di Patricia. La donna colma il silenzio nella vettura con una voce dal tono altrettanto desolante
-Cosa pensate di fare?-
Mark deglutisce, tentando di rispedire nello stomaco le paure di un giovane giornalista. Si passa nervosamente una mano sulla mascella per poi afferrare con foga il volante e sterzare, in tempo per evitare un tamponamento con una monovolume che non si è ancora adattata alla caotica New York. Al contrario dei miei pensieri che viaggiano liberi e rapidi. Ignoro la loro corsa e tento di concentrarmi sulla risposta di Mark, brusca come la sua manovra.
-Non lo so, porca miseria, non lo so! Il direttore avrà questo fottuto servizio, in un modo o nell’altro!-
Lancia una rapida occhiata alla macchina fotografica che tengo fra le mani. Ne accarezzo l’obbiettivo, come per tentarlo di liberarlo da preoccupazioni che stanno travolgendo me. Prima di uscire ho recuperato tutto il mio equipaggiamento, quello che ritenevo necessario per la realizzazione di un buon articolo. In esso non potrebbe mancare una rappresentazione fotografica dell’evento narrato. Per questo motivo ho protetto la fotocamera sotto un braccio prima di precipitarmi in strada dove il furgone privato degli addetti alla Stampa mi stava attendendo trepidante. La stessa agitazione che ho percepito nel motore si riversa negli occhi di Mark che guizzano sulle mani.
-Ti occupi tu delle foto, vero?-
Gli lancio un’occhiata disinteressata prima di rispondere con un cenno affermativo. Il direttore ha preferito sopperire alla mia inesperienza sul campo, con la presenza di Patricia Johnson e Mark Webber, colleghi con il compito di guidarmi nella realizzazione di un importante servizio. Ma in questo momento l’unica cosa a cui riesco a dare importanza sono i pensieri che si impossessano voraci della mia mente.
 Essi riguardano la vita.
La vita pacifica di un uomo che con la sua musica aveva illuminato di speranza la mia infanzia oscura. Ora quella sua voce acuta, foriera di irrealizzabili sogni, sembra stonare in quell’amara canzone che è l’esistenza.
Avverto il fruscio dei capelli di Patricia, probabilmente causato dalle mani agitate che la donna porta spesso alla nuca.
Mark ruota il volante e si morde il labbro inferiore. Le luci stradali incontrano per un istante la barba incolta del ragazzo per poi eclissarsi oltre il suo collo. La mia coscienza si nasconde in modo analogo, lasciando spazio a una sorta di torpore piacevole al quale mi abbandonerei volentieri.
Mi riscuoto, scuotendo energeticamente il capo. La coda di cavallo nella quale ho tentato di raccogliere i miei capelli disordinati, sfiora la mia pelle in una carezza fastidiosa simile a quella del vento che mi accoglie una volta scesa dal furgone. Vorrei battere i piedi sul marciapiede nel tentativo di distendere le membra rattrappite ma il freddo non m lo permette. Patricia si piega sul sedile, scomparendo momentaneamente nell’oscurità della vettura. Ne riemerge con un dittafono, un block notes e i pass della Stampa che porge a me e a Mark con mani tremanti, così diverse dalle mie. Esse ricadono stanche lungo i fianchi, private del movimento da un terrore palpabile.
I miei occhi sono impegnati a seguire i movimenti dei miei compagni mentre le orecchie combattono contro il carico ingente di suoni che viene presentato loro. In esso convive il suono autoritario delle sirene della polizia e quello affaticato delle ambulanze, che si avvicinano pericolosamente.
Stringo la fotocamera con la poca forza che mi rimane, impiegandone la misera parte restante nel collo, che ruoto lentamente verso l’ingresso del Dakota. Esso era gremito di un’ingente folla che al suono degli spari si è radunata di fronte al lussuoso palazzo, incurante del pericolo. Le urla dei loro componenti sovrasta i miei pensieri, e i loro movimenti concitati occupano i miei occhi, che guizzano rapidamente sui loro corpi.
-Se il tuo brillante piano consiste nell’osservare passivamente questi imbecilli, hai ancora molto da imparare sul tuo lavoro, Richards! Hai detto che ti saresti occupata del servizio fotografico e ora è assolutamente necessario il tuo intervento, tesoro!-
Le parole sarcastiche di Mark riscuotono il mio orgoglio ferito che mi porta a esalare un sospiro infastidito, seguito da un borbottio sommesso. Il ragazzo scuote la testa e si allontana con un gesto infastidito delle mani. Patricia lancia un’occhiata compassionevole alla mia espressione terrorizzata. Non so cosa mi attende oltre la massa di membra affiancate che si agitano di fronte a me e ne ho paura. Un timore profondo e sordo che Patricia tenta di sopire
-Sei sicura di potercela fare. Il direttore non ha tenuto conto della tua giovane età, probabilmente poco adatta alla realizzazione di un servizio simile. Posso farlo io, se preferisci…-
-No. Io… credo… che sia compito mio…- vorrei aggiungere qualcos’altro ma ho rimandato troppo il mio dovere. Appoggio una mano sulle spalle della donna che mi sorride incoraggiante e si allontana. Invidio la sua tranquillità, probabilmente artificiosa. Impugno nuovamente la macchina fotografica, con una sicurezza che non mi appartiene ma che spero di simulare adeguatamente. Accantono i pensieri e mi avvicino al Dakota.
 
 
 
 
 
________
 
Freddo.
La sensazione fastidiosa del vento dicembrino che si insinua dai finestrini aperti si dipana dalle spalle alle mani che stringono convulsamente il volante. Unico oggetto questo sul quale posso riversare la mia frustrazione. Ignoro la pelle arrossata dei palmi, così come il petto che sobbalza a ogni respiro. Tento di sopperire inutilmente alla mia agitazione con sospiri profondi. Rinuncio rapidamente. Concentrarmi sulla strada sembra impossibile; i ricordi paiono molto più concreti delle auto che mi sfilano affianco.
 
-Ehi Paul, dovremmo riprendere a suonare qualcosa insieme un giorno.-
-Puoi contarci, vecchio mio!-“
 
In quel momento quella sembra la promessa più effimera che abbia mai fatto a John.
Le lacrime restano intrappolate agli angoli degli occhi; non permetterò loro di scorrere finché non verrò chiaramente a conoscenza dello stato di salute di John. La voce di Yoko risuona vivida nelle mie orecchie, riacquistando la stessa disperazione con la quale la ricordo.
 
Oh mio Dio, Paul! Oh mio Dio! Aiutami, ti prego! Aiutami!”
 
Spingo il piede sull’acceleratore, ignorando il prolungato lamento della mia auto. Svolto bruscamente verso il Dakota, ricordando in quante occasioni ho compiuto la stessa manovra, alleggerito da un animo più sereno.
Scendo dalla vettura e il vento gelido mi accoglie accompagnato dagli occhi di quei curiosi ai quali l’agitazione non impedisce di percepire i rumori circostanti. I giornalisti non faticano a riconoscermi e si avvicinano a me con passo trepidante, i denti a mordere quelle labbra tremanti dalle quali sgorgheranno presto numerose domande alle quali dubito di riuscire a rispondere. Distolgo l’attenzione dai loro volti perplessi e lancio una rapida occhiata alle numerose pattuglie di polizia, disordinatamente parcheggiate all’ingresso del Dakota, affiancate da altrettante ambulanze. Nascondo le mani nelle profonde tasche del cappotto, sperando che la mia preoccupazione le imitasse. Osservo sconsolato la schiera di poliziotti a preservare l’ingresso del palazzo dalla folla. Annuiscono, lasciandomi la possibilità di raggiungere Yoko, la cui figura esile è sostenuta da alcune guardie. Il suo respiro tremante vibra contro le mani che tiene premute sulle labbra, come per paura che da esse fuoriesca l’ennesimo urlo di terrore. I suoi occhi arrossati si posano sul mio viso sconvolto mentre il suo assume un’espressione distrutta. Balbetta frasi sconnesse e io non posso fare altro se non accoglierla in un abbraccio affaticato. Piange contro il mio petto e graffia con rabbia il mio cappotto. Le accarezzo i capelli e sussurro:
-Dov’è?-
Sobbalzo nell’udire la mia voce arrochita, così diversa da quella vellutata che sfoggio per il mio pubblico.
Percepisco una frase comprensibile tra i singhiozzi di Yoko.
 -L’ambulanza… lui… lo stanno portando al Roosevelt Hospital…-
-Io… devo vederlo, ha bisogno di me… non posso lasciarlo solo, non di nuovo…- Tento di consolarla con una carezza, inutile ad asciugare le copiose lacrime che bagnano le sue guance. Le stringo le mani, sperando di averle infuso un po’ della speranza che mi sta abbandonando.
Allontano con gesti nervosi i poliziotti, dirigendomi verso le ambulanze. Attorno ad esse l’attenzione di numerosi uomini in divisa è attratta da qualcosa di riverso a terra sul quale le loro mani lavorano alacremente. Evado le domande dei giornalisti, scivolando fra i loro corpi e Lo raggiungo.
Lo vedo.
Apro la bocca, ma non ho la forza di urlare.
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
 
Riconosco che la lunghezza del capitolo sia notevole ma mi sono lasciata prendere la mano. Vogliate perdonarmi :D
Ringrazio immensamente tutti coloro che hanno recensito finora la storia chi la segue, la ricorda e la “preferisce”.
Spero che l’idea dell’inserimento delle canzoni vi sia piaciuta. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Grazie ancora a tutti!
Baci
Giulia 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Without you ***


Ciao a tutti!
Sono tornata con un nuovo capitolo che, anche se breve, spero possa esprimere tutti i sentimenti di cui ho voluto arricchirlo.
Innanzitutto vorrei ringraziare nuovamente la carissima JennyWren che mi ha consigliata riguardo l’inserimento della canzone. Questo capitolo infatti non sarà interamente accompagnato da un canzone, bensì alcune frasi di essa verranno citate nella storia. Nonostante ciò posto anche il link del brano, nel caso in cui qualcuno di voi volesse ascoltarlo:
http://www.youtube.com/watch?v=DxHIykybPbk
 
Buona lettura!
 
 
New York   8 Dicembre1980     h 22:55
 
No, I can’t forget this evening…
 
 
Osservo.
Quello visivo è uno dei pochi canali sensoriali ai quali posso appellarmi, in questa notte gelida le cui spinose raffiche di vento infastidiscono le mie mani. Esse sussultano nel percepire quell’autoritaria carezza ma non possono sottrarvisi. Distendo le dita lungo la macchina fotografica, scura come la notte che neppure i lampioni cittadini riescono a illuminare. Ne scorgo la luce rischiarare pudicamente il profilo immobile ed austero dei palazzi e quello sudato della folla. Percepisco il furore dei suo componenti, la morbosa curiosità che agita le loro voci e i loro passi. Lasciano guizzare liberamente gli occhi che, con la stessa morbosità delle loro braccia, tentano di raggiungere il luogo dell’aggressione.
Sospiro e li imito.
Il mio corpo esile sguscia facilmente fra quello robusto di numerosi giornalisti, il cui sguardo attento e scaltro lascia trapelare una notevole esperienza che probabilmente conferisce una tranquillità che non possedevano. Quegli uomini dalla fronte corrugata agitano il microfono di fronte ai volti stremati dei poliziotti, affamati di notizie utili a rimpinguare la loro notorietà. Ignoro il loro eccitato comportamento e mi faccio faticosamente strada verso le ambulanze, radunate poco lontano. Reggo la fotocamera con entrambe le mani tremanti. Il vento freddo vibra sulla mia pelle come la preoccupazione che mi impedisce di imitare appieno questi orgogliosi cronisti  newyorkesi che mi circondano. Ho scattato alcune foto al Dakota ma dubito della loro qualità; temo che le mie dita nervose abbiano oscurato l’obbiettivo. Ho sospirato profondamente prima di voltarmi verso il luogo della sparatoria. Ho osservato quei corpi ammassati scompostamente, credendo di non riuscire a raggiungerli. Mi sono passata una mano sul collo, credendomi incapace di immortalare il dolore di un uomo che ho amato così tanto in un’inutile fotografia. La voce del direttore mi è risuonata nelle orecchie, consigliandomi con la sua veemenza di mettere a tacere la sensibilità del mio animo se necessito davvero di un’occupazione stabile. Se mi rifiutassi di completare questo servizio probabilmente domani mi troverei imbarcata su un aereo di seconda classe diretto a Londra. Non posso permettere un simile fallimento.
Vengo involontariamente sospinta oltre la calca da un gruppo di giovani ragazzi le cui parole urlate vengono clementemente trasportate dal vento, che ne trasmette la rabbia.
Alcune ciocche di capelli si diramano sul mio volto, impedendomi la vista, come per timore di mostrarmi la scena che si svolge di fronte a me. Ignoro questo loro muto consiglio, scacciandole con un gesto infastidito.
 
…or your face as you were leaving…
 
Avvicino la fotocamera al viso quando i miei occhi catturano quelli socchiusi di John.
 
you always smile but in your eyes your sorrow shows…
 
La morte che sta avvolgendo il suo corpo mi appare come un’austera padrona di casa che nega un rifugio a quella vita che mendica invano e che sembra abbandonare anche lo sguardo di John, sempre così vivido.
 
yes, it shows…
 
Un urlo di dolore sfugge alle mie labbra, screpolate dal freddo.
La macchina fotografica cade a terra.
In frantumi, come l’umanità intera.
 
 
_______
 
No, I can’t forget tomorrow…
…When I think of all my sorrow…
 
Il mio respiro affannoso crea nuvolette di condensa di fronte ai miei occhi. Esse assomigliano alle volute dense che si libravano dalle sigarette che John amava fumare con me, chinato sulla chitarra e l’attenzione rivolta alla mia voce che intonava una canzone. Essa veniva interrotta da un suo commento ironico seguito da quella risata che ora risuona nei miei ricordi, come un’eco sorda e beffarda del destino. Esso avvolge John con la sua aura di crudeltà, creando un lieve tremore alle mani pallide del mio amico. I suoi occhi si chiudono su un passato sereno, nel cuore il desiderio di un futuro irrealizzabile. Futuro che improvvisamente non mi sento in grado di affrontare.
 
I can’t live if living is without you…
 
Sono certo che il ricordo di John potrà rivelarsi utile a sopperire momentaneamente il dolore ma non riuscirà a sostituire la sua figura alta e snella che mi ha accolto spesso in un caloroso abbraccio. Un conforto che ora le sue spalle ferite non potrebbero dare. Le stesse braccia si sono impregnate delle mie lacrime frustrate, delle mie carezze e dei miei pugni rabbiosi. Il pentimento amaro di questi ultimi lascia spazio alla rabbia che attecchisce in ogni mio pensiero, anche il più puro. Desidererei infatti sperare in un luogo sereno dove John possa trascorrere l’eternità, un campo di fragole dove possa intonare le sue canzoni di pace.
 
I can’t live, I can’t give anymore…
 
Ma no, non ci riesco.
Il suo posto è qui.
Con il mondo, che lo ama.
Con Yoko che fa altrettanto.
E con me, un egoista che probabilmente è rimasto troppo abbagliato dal suo successo precoce per allontanarvisi e maturare.
Le domande dei giornalisti mi riscuotono mio malgrado dai miei pensieri. Essi si rivolgono a me con quesiti impertinenti. Al contrario dei miei sospiri disperati l’affanno delle loro voci è causato da una curiosità febbrile, che non ho la possibilità di soddisfare. I loro toni concitati interferiscono con il cigolio prodotto dalla barella su cui i paramedici hanno sistemato il corpo debole di John. Vorrei seguirlo, ma i microfoni dei giornalisti si sono assiepati attorno a me. Mi massaggio con una mano gli occhi, che il flash di numerose fotografie ha infastidito. Le domande dei presenti si fanno sempre più insistenti, pretendono da me risposte fiduciose che non sono pronto a dare. Porto le mani alle labbra cercando di scaldarle ed impedendo a parole ingiuriose rivolte ai cronisti di sgorgare rapidamente.
Un urlo agghiacciante proveniente dalle mie spalle mi fa sobbalzare. Mi volto istintivamente a causa dell’estrema vicinanza di quel suono acuto. Proviene dalla bocca carnosa di una ragazza giovanissima ai cui piedi riconosco alcune schegge metalliche, probabilmente residuo di un apparecchio fotografico che le sue mani esili non hanno sorretto.
Guarda con interesse un punto lontano, il viso grazioso distorto dal dolore. Un volto così diverso da quello smanioso della folla che la circonda. Un volto in cui colgo la mia stessa disperazione. Sentimento che, come me, le impedisce ogni movimento e ogni domanda che il suo mestiere richiederebbe. Sulla sua giacca scorgo il pass della Stampa locale e leggo il nome che vi è stampato a caratteri chiaramente leggibili.
“Brianna Richards”
Brianna sostiene il mio sguardo con occhi velati di lacrime che solo lei fra i suoi colleghi sembra rammentarsi di versare, una quella notte di domande irrisolte.
 Le sue spalle esili tremano, come i suoi passi lenti ma distesi con i quali si allontana da me. Accoglie il busto fra le braccia e scuote il capo dietro al quale oscilla una coda di cavallo, disordinata come la folla dalla quale vengo nuovamente inghiottito.
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Aspetto con ansia le vostre recensioni.
Nel frattempo ringrazio infinitamente coloro che ricordano di commentare la mia storiella da quattro soldi con i loro commenti sinceri.
Un ringraziamento speciale a Fannysparrow che ha cominciato da poco a leggere questa long fic ma che spero continui a recensire con i suoi commenti sempre pertinenti; a JennyWren che è sempre così gentile; e a Nikotvd, scrittrice in erba e talentuosa, il cui sostegno non mi manca mai. Grazie di tutto, my darling!
Spero di non avervi annoiati con questo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate
Peace&Love
Giulia
 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La vita che scorre ***


Ehilà! Sono tornata con un nuovo capitolo che spero possa piacervi!

Su consiglio della carissima JennyWren (che non ringrazierò mai abbastanza per la sua pazienza :D) ho deciso di accompagnare il pov di Paul con la canzone "Wish you were here" dei Pink Floyd.

Eccovi il link:

http://www.youtube.coHYPERLINK "http://www.youtube.com/watch?v=DPL_SV3n7IU"mHYPERLINK "http://www.youtube.com/watch?v=DPL_SV3n7IU"/watch?v=DPL_SV3n7IU

Per il pov di Brianna ho optato per "Another Day" di McCartney.

Ecco il link:

http://www.youtube.com/watch?v=ExJaT2MkEYs

Buon ascolto e buona lettura ;)

Londra Febbraio 1981

Il ticchettio fastidioso della pioggia sui vetri disturba le note che si sprigionano lente dal mio pianoforte. Scivolano dolcemente dallo strumento, accompagnate dalla mia voce roca che a fatica si lascia trasportare dalla melodia. I tasti candidi cedono debolmente alla pressione delle mie dita, così come il tappeto che riposa paziente sotto i passi frettolosi di Linda. Mia moglie sussurra piano le parole della mia canzone mentre si aggira nel salotto alla ricerca della borsa.

Le sue unghie ripropongono il ritmo con dei lievi picchiettii lungo gli stipiti delle porte, accompagnate dalle risate divertite dei bambini. Tento di concentrarmi su quei suoni familiari mentre la musica avvolge in un piacevole torpore soltanto il mio corpo, i miei pensieri troppo impegnati a costruire ricordi fittizzi. In essi l'unica protagonista è una voce acuta che sgorga fluente da quelle labbra che ho amato ma che non articoleranno più parole d'amore. Proprio come la pioggia, sono scivolte sul mondo, infrangendosi sulla terra fredda ed inospitale, così diversa dalla mente accogliente che le ha partorite.

Alzo il capo verso la finestra, le guance umide come i suoi vetri. Rivolgo le mie parole al grigio cielo di Londra; credo che la musica sia l'unica forma di preghiera che possa raggiungere John. O almeno la sola che riesco a formulare, evitando alla frustrazione di sommergermi. Non voglio che i miei figli assistano alla debolezza del loro eroe. Non posso spegnere quei sorrisi, fonte dei pochi momenti di serenità che riesco ancora a vivere.

Due braccia esili circondano le mie spalle, infondendo un po' di calore a quella schiena fredda coperta da una camicia decisamente inadatta alla stagione. Le labbra tiepide di Linda sfiorano la mia mascella, ancora vibrante a causa delle ultime note della canzone che si disperdono in fretta. Reclino il capo, incontrando il suo petto impregnato del profumo che le ho regalato e che insipiro voracemente. I suoi capelli pungono piacevolmente il mio collo, imitando quelli di John che offrono un'anomala dolcezza ai miei ricordi amari.

-Sei ancora sicuro di non voler venire con noi? Le ragazze ci terrebbero molto, sai?-

La sua domanda risuona armoniosa alla mie orecchie, che ne colgono la dolcezza. Sospiro, passandomi una mano fra i capelli, sui quali Linda strofina il naso. Intreccio le mie dita con le sue e scuoto il capo.

-Vorrei uscire, davvero, non sai quanto. Ma... non ci riesco. Continuo.. a pensare a lui, all'ultimo sguardo che mi ha riservato così diverso da quello che spesso colorava il suo viso. Io... la musica è l'unico strumento in mio possesso utile a... rasserenarmi...- Un singhiozzo imprevisto crea un rapido sobbalzo nelle mie membra, accolte dall'abbraccio accogliente di Linda.

-Ne abbiamo parlato a lungo, Paul. La rassegnazione è l'unica soluzione possibile. Lui non vorrebbe vederti in questo stato a causa sua e...-

-Non mi basta più, Linda! Non voglio crogiolarmi nel mio dolore cantando canzoni che lui non ascolterà mai. Non posso continuare a mentire a me stesso con rassicurazioni religiose riguardo la vita eterna alle quali non ho mai creduto. Io...-

Mi alzo dallo sgabello, misuro la stanza a grandi passi, la mano sulla bocca ad intrapollare parole frustrate che Linda sussurra ad occhi bassi. L'affetto profondo che la lega a me la coinvolge direttamente nel mio dolore, che condivide silenziosamente.

Finalmente termino la frase:

-Io voglio che gli uomini conoscano John Lennon. Non l'artista che troppi hanno amato e criticato, no. Io voglio che il mondo conosca l'uomo meraviglioso che era, l'uomo che si è rivelato a me in anni di amicizia. Io...-

Puntello l'interno della guancia con la lingua

-Io voglio che qualcuno scriva la parte migliore che John mi ha mostrato. So di non esserne in grado da solo, i sentimenti e la tristezza prenderebbero il sopravvento. Desidererei vederlo rivivere nelle parole di un giornalista sensibile come John, che possa comprendere tutto ciò che voglio esprimere. Io...-

Linda mi ha raggiunto e circondato il collo con le braccia.

Interrompe il mio incontrollato flusso di parole con un bacio lento e amorevole.

-Hai bisogno di essere ascoltato, ti capisco. Qualunque cosa deciderai riguardo questa...- fa un vago gesto con la mano che afferro per portare alle labbra. -...intervista, io... appoggerò ogni tua scelta. Se utile a ridarti il sorriso.-

-Ti amo, Linda.-

La bacio frettolosamente, mentre le bimbe le intimano di raggiungerle in soggiorno per recarsi al cinema. Mia moglie mi raccomanda di mettere a letto James prima di uscire. Saluto le mie bambine e aspetto lo scatto della serratura per dirigermi in salotto dove Linda ha dimenticato la sua macchina fotografica accanto ad un block notes. Il rumore del vetro infranto dell'obbiettivo che quella notte ha catturato la mia attenzione, risuona nella mia mente.

Mi porto una mano al mento.

Rivedo chiaramente quel grazioso volto distrutto dal dolore e il nome della sua proprietaria indicata sul pass della stampa per cui lavorava.

Credo di conoscere l'animo sensibile in grado di narrare al mondo l'umanità di John.

_______

 

 

New York Marzo 1981

-Mi sembra buono, Bri. Il capo ne sarà sicuramente soddisfatto.-

Patricia osserva interessata il mio articolo, reggendo le pagine fra le dita della mano libera, mentre con l’altra raccoglie le briciole del panino che sono rimaste intrappolate agli angoli delle labbra. La ragazza lascia scorrere lentamente la punta della lingua su di esse, in un gesto soddisfatto simile a quello delle mie mani, intente a sistemare i miei capelli disordinato. Mi ero impegnata a raccoglierli in una coda di cavallo elegante e professionale, ma il risultato dettato dalla fretta non ha sortito in me l’effetto sperato. Tento un sorriso forzato, nel quale racchiudo uno sbadiglio evidente. La notte mi ha intrappolata in sogni orribili, la causa delle occhiaie che spero davvero gli occhiali possano nascondere. Il sole pallido di questo Marzo nascente riscalda penetra prepotentemente attraverso i finestrini dell’autobus, raggiungendo le mie lenti. Corrugo la fronte, spazientita da quei raggi e dalle chiacchiere dei newyorkesi, altrettanto fastidiose. Osservo affamata i resti del panino di Patricia che riposano sulle sue ginocchia, così diversi dalla mia misera colazione. Questa mattina essa ha compreso una tazza di caffè e alcuni biscotti; mi consolo pensando a quello come al classico pasto dei giovani lavoratori indaffarati. Questo è sicuramente l’appellativo che mi si addice maggiormente.

-Credi che i contenuti del mio lavoro possano convincere il signor Donovan ad affidarmi nuovamente l’incarico di reporter?-

Patricia gonfia le guance e inarca le sopracciglia. Cerca una risposta sincera mentre mi massaggio gli occhi stanchi.

-Dopo quello che hai combinato al Dakota, avrai bisogno di un'arma più affilata di un buon articolo per conquistare il vecchio Donovan. Ricordi la sua sfuriata quella sera, vero?-

La ricordo perfettamente.

"- Non ti ho chiesto nulla di difficile, Richards! Credevo fossi in grado di scattare quelle maledette foto. A causa del mio grossolano errore di sopravvalutazione nei tuoi confronti, il mio giornale invidierà anche i più miseri settimanali che riporteranno la notizia! Maledizione, Richards, ma che ti è preso?!-

Il volto pingue del signor Donova si arrossa fino a divenire un tutt'uno con la sua cravatta. E con il sangue di John Lennon, il cui colore purpureo è ancora impresso nella mia mente.

-Io... mi dispiace, direttore. Mi sono lasciata coinvolgere dal dolore della tragedia. N-non... non accadrà più... glielo prometto.-

-Farò in modo che questa tua promessa venga mantenuta, non temere...-"

Lo ha fatto. Ha degradato la mia posizione lavorativa e di conseguenza lo stipendio, a causa del quale il mio tenore di vita langue notevolemente. Il brontolio del mio stomaco affamato assomiglia al cigolio delle ruote dell'autobus, che interrompe alla nostra fermata la sua corse verso le vie trafficate di New York. Prendo l'articolo che Patricia mi porge e lo stringo al petto. La mia amica ravviva i capelli chiari, liberandoli dal cappotto in cui il vento li ha trattenuti ed entra negli uffici della Stampa. Il suo corpo sinuoso attira gli sguardi ammirati dei colleghi mentre al mio vengono riservate solo alcune occhiate di circostanza. Le mie scarse possibilità economiche non mi permettono di curare il mio aspetto fisico, spesso trasandato. I pantaloni scolorati e il maglione sformato sono una dimostrazione della mia incuria.

Lancio un'occhiata all'orologio che dal muro scandiva le ore di quelle giornate interminabili; sobbalzo nel verificare il mio evidente ritardo, che spero il signor Donovan non abbia notato. Ciò non metterebbe certo in risalto la mia reputazione ai suoi occhi. Siedo alla mia postazione, unendo le mie dita a quelle dei giornalisti che ticchettavano sulle tastiere, dopo aver appoggiato il mio articolo sulla scrivania. Lo avrei presentato al direttore al termine della mia giornata lavorativa.

Curvo le spalle e comincio a scrivere, immergendomi nel piacere che il fluire delle parole dalle mie mani provoca in me. Vengo interrotta in quella beatitudine dal rumore di una porta, che cigola sui suoi cardini. Alzo lo sguardo sulla porta socchiusa dell'ufficio del direttore, nascondendo il mio viso dietro allo schermo del computer, con malcelata indifferenza.

La sua voce tonante mi raggiunge. Pronuncia il mio nome con una sorta di curiosità preoccupata e sorpresa. Sentimenti questi che non ho mai notato nelle frasi ponderate e irremovibili del signor Donovan.

Lancio un'occhiata impreparata a Pat, mordendomi il labbro inferiore. Scuote il capo, indecisa. Mi alzo lentamente, cominciando una debole arringa in mia difesa

-M- mi dispiace, signor direttore. Il... ritardo dei mezzi pubblici non mi ha permesso l'entrata in orario. L-lei... lei sa qual'è la situazione d-dei trasporti a.. a New York e...-

-Potresti raggiungermi nel mio ufficio, Richards?-

Ho aperto la bocca, alla ricerca di parole convincenti quando mi ha interrotto. Aggrotto la fronte mentre la sua rimane immobile, imperlata di sudore che scivola verso gli occhi sgranati. Osservo terrorizzata la mia amica che indica con lo sguardo l'ufficio del direttore; un chiaro invito all'obbedienza.

Cammino fra i miei colleghi che non hanno alzato il capo dal loro lavoro e mi chiudo la porta di quell'ufficio asettico alle spalle.

 

 

 

Angolo autrice:

Spero che questo capitolo, non risulti troppo lungo, mi sono lasciata un po' prendere la mano xD

Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono, in particolare JennyWren (spero che il mio piccolo flashback assomigli almeno un po' ai tuoi :D). Ringrazio i miei lettori, i cui consigli ho tentato di seguire al meglio.

Aspetto con ansia le vostre recensioni ;)

Peace&Love

Giulia

 

 

 

 

 

  

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dream ***


Ciao a tutti!
Perdonatami per il ritardo nella pubblicazione, ma sono stata molto impegnata. Spero di farmi perdonare con questo capitolo che mi auguro possa piacervi.
Ho scelto di accompagnare questo corto capitolo con la bellissima "I’m only sleeping". Ho deciso di seguire il consiglio di una mia simpatica lettrice, inserendo, come in un capitolo precedente, parte della canzone nel testo. Spero che la mia scelta risulti piuttosto azzeccata; non è semplice scegliere una canzone adatta fra le 211 dei grandi Fab... xD
Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=oW6pAnQx6NI
 
Buon ascolto e buona lettura.
 
 
 
New York    Marzo 1981
 
“When I wake up early in the morning
 Lift my head, I'm still yawning”
 
Il rollio degli pneumatici sull’asfalto culla i miei pensieri inconsistenti che scrutano ogni angolo della mia mente alla ricerca di un’attenzione che riservo solo al pallido sole primaverile. Sbadiglio rimproverando a Morfeo il suo ferreo rifiuto nell’accogliermi fra le sue braccia la notte precedente. Raggi impertinenti aggrediscono il parabrezza dell’auto creando riverberi allegri che guizzano sui miei occhi, i quali si abbassano ripetutamente troppo stanchi per sopportare quei giochi di luce.
Porto la sigaretta alle labbra e aspiro una lunga boccata, lo sguardo concentrato sugli stivali. Il loro colore opaco  pare un triste invitato alla festa primaverile che mi circonda. Quelle non erano affatto le calzature che considero adatte per il mio viaggio aereo e neppure per la messa in risalto del mio aspetto. Ma le futilità della mia vita hanno perso d’importanza, scivolando fuori dalla mia mente come il fumo di quella sigaretta, sostituite da una solida certezza che ancora mi fa impallidire.
 
“When I'm in the middle of a dream…”
 
“-La prego, direttore, non punisca il mio ritardo. È… è stato un errore come le ho detto… non accadrà più…-
-Smettila di balbettare, Richards. Non è per il tuo ritardo che ti ho convocata.-
Sospiro, mordendomi spasmodicamente il labbro inferiore e corrugando la fronte, quasi sperando che quei gesti possano allontanare  le parole rabbiose del signor Donovan, la cui causa mi è sconosciuta. Ogni minuzia può essere causa di veemenza in quell’omino pingue.
-Ho ricevuto una telefonata e…-
-Mia madre? Mia madre ha bisogno di me? È malata? Cosa…-
Per un istante temo per la salute di mia madre, la cui condizione risulta troppo spesso precaria. Quando ho trovato il tanto sospirato impiego a New York, le ho fornito il numero della redazione tramite il quale può entrare in contatto con me in qualunque momento. Conosco l’instabilità del suo stato nervoso che le causava grida isteriche che risvegliavano i miei sonni infantili.  Tali accessi di inquietudine erano causati forse da un incubo al quale il suo inconscio disturbato dava troppa importanza. Essendo a conoscenza di quanto la malattia persista negli anni, porto una mano al petto ansimante prima che il direttore mi rassicuri con un gesto infastidito delle mani.
-Per l’amor del cielo, Richards, no, niente di tutto ciò... si tratta di… un nuovo incarico per te.-
-Un nuovo incarico?- ripeto le sue ultime parole, abbozzando un sorriso. La carriera di reporter, che ho tanto sognato di riconquistare, si avvicina intimidita ai miei pensieri sfiorandoli delicatamente. Osservo speranzosa il volto del signor Donovan, avvolto dal fumo del sigaro che tiene fra le dita; un viso serio sospettoso le cui ombre oscurano i miei desideri che si allontanano frettolosi per lasciare spazio ad una naturale curiosità.
Fa un gesto vago con la mano, sperando di terminare in fretta un colloquio indesiderato.
-Come ti ho detto, ho ricevuto una telefonata… dall’Inghilterra… da Londra… da un uomo. E non un uomo qualunque Richards…- Si porta una mano al mento, come incredulo delle sue stesse parole. Parole che creano una ruga d’espressione sulla mia fronte corrugata, che percepisco con il palmo umido di sudore. L’interesse indossa in fretta i panni dell’ansia che fino a quel momento ha riposato a contatto con i miei pensieri.
-Quale uomo?- la mia domanda risulta diretta, la voce acuta e affatto cordiale. Mi perdonerei per quell’evidente scortesia se l’etica occupasse un ruolo rilevante in questa circostanza.
Il signor Donovan prende un lungo sospiro che rilascia altrettanto lentamente prima di rispondere:
-Paul McCartney ha contattato la nostra redazione. Ha espresso il desiderio di raccogliere tutte le sue memorie dell’amico John Lennon in un libro intervista, realizzato da un talentuoso e sensibile giornalista. Ha chiesto di te espressamente. No, no, no, non dire una parola, so cosa stai pensando: neppure io comprendevo il modo in cui quell’uomo fosse venuto a conoscenza del tuo nome e domandargli spiegazioni non è stato semplice. Una delle discussioni più emozionanti della mia vita, credimi! Oh Cristo, ancora non posso crederci, mi sembra impossibile. Io ho sentito la sua voce, le sue parole eleganti che si rivolgevano proprio a me! Incredibile… Accidenti, cosa stavo dicendo? Oh, be, Sir McCartney ha affermato di essere rimasto piacevolmente colpito dal tuo sincero dolore, espresso nella notte dell’8 Dicembre ’80, indice del rispetto che vorrebbe riscontrare nel giornalista al quale avrebbe voluto affidare l’importante incarico di biografo di Lennon. Richards, io… probabilmente avrei dovuto informarti, prima di prendere accordi con il signor McCartney ma… un tale avvenimento potrebbe accrescere notevolmente la fama del nostro quotidiano e… insomma, pensavo avresti avuto nulla in contrario a sopportare quest’incarico, onorevole anche se notevolmente gravoso e… ecco, ho fissato il tuo primo incontro a Londra con McCartney fra qualche settimana e… Richards? Richards, mi stai ascoltando?-"
 
Please, don’t wake me…
…I’m only sleeping…”
 
Tutto attorno a me si dissolve come le volute di fumo che si sprigionano dal sigaro del signor Donovan, ormai consumato dalle labbra eccitate del direttore. Ripercorro con la mente quei ricordi che ho allontanato, ricordi di una notte fredda governata dal cielo tenebroso e disturbata dalle grida strazianti delle ambulanze simili a quelle dei newyorkesi che si sono affollati attorno a me. Sento il movimento concitato dei loro corpi, così diverso da quello lento e inesorabile della mia fotocamera che ho lasciato cadere, incurante delle ripercussioni di quel gesto sulla mia carriera. Rivedo gli occhi di John, la cui naturale luce è andata attenuandosi.
E poi lui.
Il suo sguardo straziato che è scivolato sul corpo inerme dell’amico, le mani strette a pugno nascoste nelle tasche del cappotto, quel lineamenti che tanto ho amato in un’adolescenza non così lontana, contratti dalla disperazione. Quest’ultima ha creato un lieve tremore alle sue labbra, quelle labbra piene e femminee che da ragazza ho sognato inutilmente di baciare. Labbra che presto pronunceranno parole rivolte direttamente a me.
 Questa consapevolezza crea in me un’ambigua rassicurazione, dissimile dall’entusiasmo del signor Donovan. Un’euforia celata la mia, che non trova sfogno nei comportamenti esterni; rimane nascosta a logorarmi lentamente.
Porto una mano al capo, mentre le parole del direttore colmano ancora l’ufficio d’allegria incontenibile. La mia coscienza si allontana da quel cicaleccio fastidioso, ottenebrata da una realtà futura alla quale riesco a stento a credere.”
 
“Everybody seems to think I'm lazy
 I don't mind, I think they're crazy”
 
-Accidenti, Bri, è meraviglioso! Conoscerai Paul McCartney, ti rendi conto?! Paul McCartney, l’idolo della mia gioventù! Non sai quanto desidererei avere l’onore di intervistarlo e… be, non solo quello, e poi… Bri… Bri, che hai?- Aspiro l’ultima boccata dalla sigaretta lanciarla oltre il finestrino dell’auto in corsa. Rilascio il fumo lentamente verso il cielo azzurro, nel quale le nuvole si inseguono placide, senza alcuna fretta di liberare il cielo dalla loro ingombra presenza. Proprio come i newyorkesi.
 
“Running everywhere at such a speed
Till they find, there's no need…”
 
 Lanciano brevi occhiate al mio volto pensieroso prima di continuare la loro quotidiana lotta contro la sopravvivenza. Una battaglia sfiancante alla quale anche io ho preso parte da tempo. Ma in quell’istante le guarnigioni sembrano così lontane mentre la mia armatura ammaccata riposa in un cassetto che non voglio aprire.
 
“Keeping an eye on the world going by my window
 Taking my time”
 
Mi passo le mani tra i capelli muovendo il piede al ritmo delle dita di Patricia che tamburellano allegramente sul cruscotto. Riconosco anche nei suoi occhi chiari lo stesso entusiasmo del signor Donovan che non coinvolge il mio spirito, assuefatto all’idea del mio prossimo incontro con Paul McCartney. Osservo il paesaggio scorrere oltre il finestrino del guidatore, dal quale i capelli dorati di Pat scivolano convulsamente, trascinati dal vento marzolino. Una bandana colorata con motivi floreali tenta invano di raccogliere le ciocche, aiutata dai gesti infastiditi della ragazza. Ai gridolini eccitati di Patricia causati dal mio nuovo incarico, è seguito un suo invito perentorio ad accompagnarmi all’aeroporto il giorno della partenza. Il mio animo, troppo turbato dalla novità, non si è opposto alle sue insistenze.
-Io… io… non so cosa dire Pat, è tutto così… irreale…-
-Talmente irreale che il tuo aereo parte fra un’ora. Questo vecchio macinino non è abituato alle corse ma temo proprio che dovrà adeguarsi alle nostre esigenze.-
Osserva distrattamente l’orologio prima di pigiare decisa il piede sull’acceleratore. Ignora lo stupore nelle mie parole e raggiunge rapidamente la nostra tanto sospirata meta.
Frena bruscamente prima di voltarsi verso di me:
-Prometti che mi terrai aggiornata sugli sviluppi della tua intervista? Inoltre pretendo una descrizione dettagliata di Paul. Voglio essere accanto a te in ogni momento  e le tue telefonate dovranno essere così minuziose da permettermelo. Oh, mi porterai un autografo, vero? Ti prego, ti prego, ti prego…- giunge le mani, sporgendo il labbro inferiore, nell’imitazione perfetta di una bimba capricciosa. La sua natura infantile si è rivelata a me da poche settimane, dalle sere trascorse in redazione, quelle in cui la nostra amicizia ha preso forma.
 
“…I'm miles away
 And after all…”
 
-Sì, Pat, non lo dimenticherò.- tento un sorriso ma le preoccupazioni ingombrano il mio cuore, incapace di produrre sentimenti sinceri.
Patricia scuote le spalle, soddisfatta e apre la portiera. Recupera la mia valigia dal portabagagli e me la porge, inclinando il capo. Appoggia le mani sulle mie spalle, sottolineando inconsapevolmente la sua altezza, evidentemente superiore alla mia.
-Non dimenticarti di me a Londra, piccola.-
Mi arruffa i capelli affettuosamente e si allontana.
 
“…I’m only sleeping…”
 
 
 
Anglo autrice:
 
Ciao carissime!
Sono in ritardo con la pubblicazione, chiedo venia xD
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti i recensori incondizionatamente che con i loro consigli preziosi mi stanno aiutando davvero moltissimo, facendo maturare il mio stile.
Grazie a tutti!
Aspetto con ansia i vostri commenti!
Peace&Love
Giulia  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Come back ***


Ciao a tutte le mie straordinarie lettrici!
Eccomi puntualissima con un nuovo capitolo, che ho deciso di accompagnare con la bellissima "I'm so tired" (non preoccupatevi, arriverà l'occasione anche per canzoni decisamente più allegre xD).
Ecco il link su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=MIENus8bJlY
 
Buon ascolto e buona lettura! ;)
 
 
Manchester     Marzo 1981
 
"I'm so tired,
I haven't slept a wink..."

Il pianto di un bambino.
I sussurri tranquillizzanti di una madre, dai quali trapela un'evidente irritazione.
I consecutivi colpi di tosse di un anziano signore seduto accanto a me, e il fruscio altrettanto ripetitivo delle pagine del suo giornale.
Quei suoni lievi ma insistenti ottenebrano l'aria della cabina aerea, già pregna di un insostenibile calore umano, dal quale tento di liberarmi con un sospiro. Chiudo gli occhi, le ciglia frementi contro le guance, senza riuscire ad assopirmi. Invidio il bimbo di fronte a me, le cui grida sono cessate da alcuni minuti, delle lacrime solo un tenue ricordo sulle gote arrossate.
Sorrido sollevata e rilasso le spalle. Aderiscono allo schienale rigido, senza esservi accolte come vorrei. Rinuncio in fretta al riposo e tento di trattenere uno sbadiglio con la mano. Mi accoccolo contro il finestrino, dal quale sono distinguibili numerose nubi dorate, che avvolgono il cielo nel loro abbraccio. Fra le maglie di quel lenzuolo naturale si perdono i raggi solari che, guidati dalle esperte mani della sera cuciono ricami dorati in quel tessuto vaporoso. Neppure quella paradisiaca visione mi distoglie dai miei pensieri che rendono vacuo il mio sguardo.

"...my mind is on the blink..."

Lascio trascorrere indifferente le ore di viaggio, sopportando pazientemente le parole del comandante articolate in svariate lingue che giungono a me attraverso l'altoparlante. Le lascio scivolare silenziose nella mente, come il dorso dell'aereo che si inclina elegantemente sulla pista di atterraggio. Recupero il mio bagaglio, forse ancora più pesante del nome che da ore è divenuto protagonista dei miei pensieri: Paul McCartney. Ne sento la voce nei sussurri concitati dei passeggeri aerei che si affrettano verso l'uscita, ne riconosco i lineamenti in quelli del capitano che mi saluta garbatamente. Scuoto il capo e ricambio il sorriso con un'impazienza adeguatamente mascherata da cordialità.
Manchester mi accoglie con una brezza fredda, che mi sfiora il viso in un affettuoso bacio di bentornato. La mano familiare del vento sospinge i miei capelli contro le labbra con una carezza un po' goffa. Trattengo un sospiro sereno, mordendo il labbro inferiore. Gli odori della città accorrono verso di me, ansiosi di donarmi il loro omaggio, con profumi speziati intrisi di umidità. Ricordo i profondi respiri con i quali papà tentava di trattenere con se quella piccola parte della grande metropoli inglese, creando in me una spontanea ilarità che riemerge a quel ricordo. La scaccio furiosa con un gesto repentino della mano che mi affretto ad interrompere per non destare le occhiate curiose dei cittadini che già mi osservano con un interesse alquanto sarcastico.
"...my mind is set on you..."
Mi porto le mani alle labbra, impallidite dal freddo e dall'amaro pensiero di mio padre. Ho ingenuamente creduto che la sua fuga dalla mia esistenza avesse comportato anche la sua rimozione dalla mia mente. Sorrido amaramente di questa mia debolezza e alzo gli occhi sulla strada trafficata.
 
"...I wonder should I call you but I know what you'd do..."

Ai lati di essa scorgo numerose cabine telefoniche, dal colore purpureo e la figura slanciata, che mi invitano a raggiungerle. Le osservo, incerta se telefonare a mia madre, dalla quale ho intenzione di alloggiare, oppure tacerle il mio arrivo a Manchester per stupirla con una sorpresa. Propendo per la seconda intenzione, ricordando gli occhi allegri di mia madre quando si perdono ad osservare un avvenimento inaspettato.
 
“…You'd say I'm putting you on
 But it's no joke…”
 
Mentre salgo con esasperante lentezza i gradini che mi condurranno alla stazione rifletto sul modo migliore per informare mia madre del motivo della mia permanenza in Inghilterra. Non avrebbe creduto a un tono gioioso e avrebbe riso di uno esageratamente professionale. La mia voce atona in quel momento non sarebbe in grado di riprodurre adeguatamente nessuno di questi.
Tamburello nervosamente le dita sul fianco, massaggiando le labbra screpolate con la lingua e assaporando la dolce inflessione inglese nelle parole dei passanti, così diversa da quella roca che avevo a lungo sopportato nei discorsi americani. L’orgoglio delle mie origini distrae per un momento i miei pensieri evanescenti con la sua fierezza.
Salgo rapidamente sul primo diretto per Liverpool, seguita dal mio bagaglio non altrettanto agile.
Prendo posto in uno scompartimento deserto e adagio il collo sul sedile, simulando una tranquillità che non possiedo.
 
“…I can't sleep…
…I can't stop my brain…”
 
Premo i palmi delle mani sugli occhi con una pressione tale da creare buffe combinazioni colorate che da bambina consideravo motivo d’ilarità, una sorprendente scoperta che ho fatto con mio padre.
Mio padre.
 La sua voce languida che si divertiva a intonare le canzoni di McCartney la domenica mattina.
L’odio provocato da quel ricordo rode ulteriormente le pareti della mia anima, scalfite da anni di dolore.
Morfeo non sembra intenzionato a liberarmi da quei pensieri pungenti e accetto amaramente la sua decisione.
Le rotaie rallentano progressivamente quando il treno lento e sospiroso giunge alla stazione di Liverpool. Assomiglia a quelle coppie di anziani che attendono sulle panchine, osservando con un sorriso spento la mia discesa.
Il ticchettio dei miei passi sul lastricato accompagna lo stridio dei gabbiani creando una melodia alquanto familiare. Osservo le ali di quei maestosi volatili aderire al loro corpo nel momento in cui le zampe palmate incontrano gli scogli. Immagino la ruvidezza di questi ultimi sotto le mie dita bagnate dal mare salato, rivivendo un momento di trascorsa infanzia che quell’acqua scura e il cielo plumbeo avevano osservato pazientemente. Come me trattengono quei ricordi in un recesso profondo, senza mostrarli al mondo, sempre troppo frettoloso per essere interessato.
Ogni strada si svela a me, consapevole di essere spogliata di ogni segreto dai miei occhi esperti. Saluto cordialmente le anziane signore che si affacciano alle finestre e sorrido ai loro camini dai quali si libera una voluta di fumo. La primavera è una ritardataria cronica durante i suoi appuntamenti annuali con Liverpool.
Di fronte alla mia scuola si raggruppa un nugolo di bimbi di altezze differenti quanto le loro estrazioni sociali. Osservo i capelli disordinati di un ragazzo e quelli ordinatamente pettinati di un compagno. Entrambi gli oggetti del mio interesse si voltano verso di me, indifferenti come le pietre che calcio lungo il selciato. Esse rotolano instancabili di fronte a me; il loro rollio morbido e attutito dal motore delle navi vicine somiglia alla voce che mi tormenta.
Paul McCartney.
Il suo nome è una lunga e piacevole nota nella melodia della vita, che solo io riesco a cogliere.
Giungo alla mia casa, il respiro affannato e le mani fredde. Sfioro con discrezione i mattoni del muro, come a voler ammansire quell’abitazione che ha perso familiarità con me dopo i mesi di lontananza. Trattengo un lacrima malinconica, causata dall’acre profumo dei fiori o forse dalle memorie di cui è foriero.
Mi porto una mano alla nuca dolorante prima di adagiarla sul campanello. Il trillo furioso di quest’ultimo mi fa sobbalzare e imprecare sommessamente.
Alcune parole borbottate giungono sparse alle mie orecchie, creando uno spontaneo sorriso sul mio volto.
Il rumore dei chiavistelli procura un rossore eccitato ed infantile sulle mie gote, in netto contrasto con i loro lineamenti maturi.
Il capo ricciuto di una giovane donna è ancora curvo sulla maniglia della porta, che stringe saldamente con le dita nervose. I suoi occhi guizzano sulle mie gambe, giungendo fino al mio volto, mostrando così il loro affascinante colore castano. Le sue labbra sottili si schiudono mentre alcune rughe d’espressione increspano le tempie lisce. Le sue mani raggiungono il ventre, coperto da un maglione colorato e sformato che poco si adatta alle forme esili della donna.
La sua bocca freme, intenzionata ad articolare suoni, ma consapevole di essere incapace.
Attendo qualche istante nel quale mi perdo ad osservare il suo lungo collo, che per anni ho visto piegarsi sul tavolo della cucina in preda ai singhiozzi e  nel quale spesso ho nascosto il mio viso piangente.
Dopo una manciata di secondi lunghi un’eternità, la donna esclama:
-Brianna?!-
Lascio scivolare i bagagli a terra, incurante del loro contenuto e avvolgo le sue spalle con le braccia, beandomi di quel profumo sognante:
-Sono tornata, mamma.-
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Approfitto di questo piccolo spazio tutto per me per ringraziare nuovamente tutte le mie lettrici. Il merito dell’entusiasmo che metto nello scrivere questi capitoli è anche merito loro.
Trentasette recensioni! Trentasette! Non avrei mai creduto di raggiungere quello che a me sembra già un traguardo. Vi adoro!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto come i precedenti ;)
Peace&Love to Everyone!
Giulia 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Bad memories ***


Ciao a tutte!
Ecco il capitolo otto, ancora dedicato alla storia di Brianna che molte di voi attendono impazienti. Spero di essere esauriente ;)
Ho deciso di accompagnare la lettura di questo capitolo con “All of my life” di Phil Collins, un altro cantante che stimo molto. Perdonate la scelta frettolosa che spero possa rivelarsi ugualmente adeguata.
In questo capitolo non ho inserito le frasi della canzone come di consueto (lo studio non mi ha permesso di analizzare il testo alcuni giorni prima della pubblicazione) ma spero che possa piacervi lo stesso.
Ecco il link della meraviglia:
http://www.youtube.com/watch?v=FjzlQ6173fk
Buon ascolto e buona lettura!
 
Liverpool      Marzo 1981
-Oh tesoro, non sai quanto sono felice di vederti! Non aspettavo una tua visita ultimamente e questa sorpresa mi ha rallegrata! Che ne dici di una tazza di the? Sono pronta a scommettere che un americano non ti abbia mai offerto un the di qualità pari a quello inglese, vero? Oh, ho comprato al negozio qui all’angolo dei muffin che sono la fine del mondo…
Le parole di mamma giungono attutite dal primo piano, carezzando fugacemente le pareti della mia camera sulle quali indugiano le mie dita. I polpastrelli si agitano al suono di una melodia inesistente. I gradini della scala che sto percorrendo scivolano sotto i miei piedi con la stessa rapidità dei miei pensieri che avvolgono la mia mente in un abbraccio malizioso che avrei voluto evitare.
 
“Corro.
Il mio cuore sobbalza eccitato, così come il mio corpo, abbastanza leggero da salire rapidamente gli scalini. Le mie mani paffute non cercano sostegno nel corrimano di legno, al contrario di quelle grandi di papà. Dal suo ampio petto si levano respiri affannosi che mi incitano a proseguire la mia corsa, orgogliosa della velocità che il mio avversario finge di invidiare.
Scosto i capelli dal viso con un gesto nervoso, l’abitino di lino che avvolge le mie gambe esili e pallide quanto la stoffa. Mi rifugio nella stanza dei miei genitori, che osserva il corridoio da lontano come ansiosa di assistere a quelle scene di vita. La maniglia in ottone cede a fatica alla pressione delle mie dita che si ritirano sorprese dal metallo freddo.
I suoi passi si avvicinano, così come le sue tenere minacce appena sussurrate.
Un gridolino gioioso sfugge alle mie labbra serrate quando le sue braccia accoglienti circondano la mia vita sottile. Il suo abbraccio saldo mi conduce fino alle sue spalle possenti coperte da una maglia sformata. Anche quella mattina essa è pregna del suo profumo che aspiro soddisfatta, un’espressione ridente negli occhi e falsamente impaurita sul viso.
-Ti ho presa!-
-Non è divertente che tu me lo faccia notare, papà!-
La mia replica risulta a stento comprensibile, perché soffocata dalle risate provocate dai suoi baci rapidi sulla mia pancia. Mi raggomitolo contro il suo petto nel tentativo di sfuggire al solletico, quando incontro il suo viso.
I capelli castani disordinati dalla notte incorniciano un volto abbronzato sul quale si mostra un timido cenno di barba. I suoi occhi scuri si dilatano, fissandosi nei miei.
-Dai papà mi arrendo! Ti prego, smettila!-
Mi bacia il apo con le labbra sottili, sulle quali le mie mani amano creare smorfie divertenti.
Mi accompagna in cucina, fischiettando alcune note di “Anytime at all”. Muovo il collo a ritmo con la canzone e guardo il mio eroe baciare la mamma sulla guancia.”
 
Mi rischiaro la gola riarsa dai ricordi amari e dal profumo di menta che aleggia in corridoio.
La porta socchiusa della mia camera mi permette di osservarne l’interno.
Il cigolio dei cardini accompagna quello dei miei passi, appesantiti dalle suole sporche degli stivali. Esse incontrano un pavimento altrettanto polveroso sul quale ho trovato spesso un rifugio fresco dal caldo torrido di alcune estati.
Di esse non restano che pochi ricordi; fotografie racchiuse in modeste cornici occupano il mio comodino. I sorrisi dei personaggi ritratti in esse sembrano rivolti al mio letto ordinato che attende ansioso la sua padrona. Accarezzo con attenzione le lenzuola, quasi timorosa di risultare irrispettosa verso quel compagno che aveva sopportato in silenzio le mie lacrime notturne. Esse si riaffacciano ai miei occhi quando questi ultimi si posano sulla scrivania. L’ordine che vi regna è frutto di una sistemazione ordinata che solo mamma è in grado di svolgere. Solo pochi libri erano stati dimenticati su quel ripiano, impazienti di occupare nuovamente le loro postazioni, probabilmente ignorate dalla padrona di casa. Li apro incuriosita e in essi trovo alcuni disegni, sfogo della mia frustrata adolescenza; il sorriso malizioso di Elvis e quello sensuale di Paul.
 Riconosco la mia bravura con un gemito d’approvazione e apro un altro volume, un atlante al cui interno si trova una vecchia foto. Vecchia come il rancore che provo per colui che vi è ritratto.
 
“-Ehi piccola, non ti va un ballo?-
-Mi sono scatenata abbastanza questa sera. E poi devo tornare a casa se non voglio che i miei vengano a scoprire che il loro tesorino non è a fare la nanna.-
Aspiro l’ennesima boccata profonda dalla sigaretta che Alex mi tende annoiato. Il suo sguardo si sofferma sui miei capelli, illuminati dalle luci della discoteca. Scosta una ciocca dalla fronte sistemandola dietro l’orecchio. Un premura infantile, in contrasto con i lineamenti marcati del suo viso. La sua mascella naturalmente atteggiata ad una posa arrogante accoglie un sorriso intrigante del quale mi sono infatuata da qualche mese. Un periodo sufficiente a convincere il mio animo illuso del mio amore per lui.
Alex non permette al fumo di scivolare dalle mie labbra per accoglierle in un bacio passionale. Gli accarezzo maliziosamente il petto per poi concentrarmi sui suoi grandi occhi smeraldini, la caratteristica che mi ha attratta in lui. Ogni qualvolta vengo sorpresa da quello sguardo penetrante mi stupisco di paragonarlo a quello di Paul, l’oggetto di un desiderio impossibile da soddisfare.
-Ti accompagno a casa.-
Con quelle parole Alex mi conduce nel cortile della discoteca, dove raggiungiamo in fretta la sua moto.
Le case popolari di Liverpool sfrecciano accanto a noi sempre più lentamente.
Alex rallenta di fonte alla mia abitazione, permettendomi di scendere.
Mi attira a lui, ansioso di avere un altro bacio. Nasconde il viso nel mio collo quando il rombo di un auto poco lontana mi consiglia di rientrare in casa. Saluto Alex frettolosamente, raggiungendo il retro della casa dove i fari dell’auto in avvicinamento non potranno illuminarmi.
Tento di ristabilire il mio battito cardiaco con una carezza rilassata al petto che continua a sobbalzare.
Una macchina sconosciuta percorre il mio vialetto prima di fermarsi. I fari rimangono accesi e il loro bagliore mi permette di intravedere gli individui all’interno dell’abitacolo.
Una giovane donna libera il volante dalle proprie mani che si posano sul collo di uomo seduto al suo fianco. Le sue labbra avvolgono quelle del compagno, mentre quest’ultimo tenta di divincolarsi, indicando con un preoccupato cenno del capo la mia casa. La donna assume un’espressione delusa che l’uomo tenta di cancellare dal suo viso con un bacio fugace.
La portiera del passeggero si apre e le scarpe eleganti del signore calpestano l’acciottolato, dirette verso il portone dal quale mi allontano maggiormente.
L’auto parte silenziosa come le chiavi di mio padre che ruotano lentamente nella toppa.”
 
-Il the è pronto, cara. Che stai facendo?-
La voce di mia madre mi riscuote dal quel ricordo, scacciando i miei pensieri con il suo tono dolce.
La sua mano sfiora la mia che ancora impugna la fotografia, nella quale mio padre sorride divertito. Quell’atlante ha salvato una delle poche immagini di lui che non io non abbia distrutto. Vorrei farlo ora ma non ritengo la rabbia un comportament0 maturo. Sarebbe certamente più responsabile allontanare mia madre da quella fotografia, sorseggiare lentamente quel the che ha preparato con tanto amore e parlarle del motivo della mia visita.
Ma ormai la sua mente è impegnata ad accogliere le mie stesse memorie, senza la possibilità di rinnegarle.
 
“è inutile.
Neppure la sua voce riesce a distrarmi dall’eco indistinta delle grida di mio padre, che ancora aleggia fra le mura della mia casa.
Lacrime rabbiose sfociano dai miei occhi chiusi  mentre la mia voce roca tenta di articolare i suoni di una canzone. Il fascino di Michelle si disperde attorno a me mentre le sue note scivolano dalle mie labbra screpolate.
Non riesco a credere che abbia avuto il coraggio di fare una cosa simile.
Il coraggio di urlare contro mia madre, di accusarla ingiustamente di un amore terminato da tempo; il coraggio di esprimerle il suo disprezzo, il disgusto di una vita che non lo soddisfa più.
Il ricordo delle grida di quell’uomo che non riesco più a considerare padre viene sostituito dai singhiozzi concreti di mia madre che libera il suo pianto contro il muro del bagno, sul quale è riversa.
Quel mostro ha avuto la forza di criticare anche quel corpo ora rannicchiato in posizione fetale, considerandolo indesiderabile rispetto a quello della giovane donna che da tempo frequenta.
 La stessa che quella sera, al rientro dalla discoteca a me proibita, ho notato su quell’auto accanto a mio padre.
Al pensiero del viso di quella sgualdrina mi alzo rabbiosamente dal letto, distruggendo con veemenza le foto che mi ritraevano assieme al mio eroe infantile che dopo anni ha mostrato il suo volto sotto la maschera.
La carta strappata mi lacera le dita e l’anima, ormai erosa dalla furia del dolore.
Mi porto le mani al capo. I capelli deboli quanto me, cadono lungo le braccia e aderiscono al mio volto rigato dalle lacrime.
Domande frustrate interrompono i miei singhiozzi, destinate a rimanere prive di una risposta.”
 
 Mi madre sospira, una mano intenta ad accarezzare il suo collo, pensosa. Curva le labbra verso l’interno, come a volerle nascondere alla mia vista o forse con lo scopo di trattenere la rabbia che ancora cova verso quell’uomo che ha abbandonato una famiglia, penalizzandone in modo irreversibile l’economia.
Ma il suo volto si distende, la mascella si rilassa così come le mani che chiudono in modo deciso l’atlante.
I suoi occhi lucidi riacquistano immantinente la loro naturale vivacità, che riconosco anche nella sua voce.
-Il the si raffredda. Devi ancora raccontarmi il motivo del tuo ritorno a Liverpool, tesoro.-
Mi circonda le spalle con le braccia forti, sulle quali aveva sorretto eroicamente i rimasugli della nostra famiglia negli ultimi anni.
Arruffo la sua chioma disordinata ironizzando sui ricci che stanno biancheggiando; segno evidente di un inverno prematuro che sorprende una donna che non ha conosciuto primavera.
Chiude la porta della mia camera con un sospiro soddisfatto, imprigionandovi i ricordi, almeno per qualche ora.
 
 
 
 
Angolo autrice:
Ed ecco un altro capitolo dedicato a Bri e al suo triste passato. Spero di aver fatto un buon lavoro con i flshback, che temo ancora di gestire poco bene.
Ringrazio ancora tutti i miei recensori e i lettori silenziosi che mi fa sempre piacere avere ;)
Un bacio a tutte
Peace&Love
Giulia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Incontri ***


Ciao ragazze!

Dopo essere uscita vincitrice da una sequenza ininterrotta di compiti in classe –non ancora destinati a finire- sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo. Fra un pomeriggio di studio e i viaggi in treno ho tentato di figurarmi al meglio il fatidico incontro fra Paul e Brianna, descritto in questo capitolo… spero davvero di non deludervi…

Prima di cominciare mi sento in dovere di ringraziare immensamente la gentilissima Swaying_Daisies che è stata così disponibile nel consigliarmi la scelta della canzone. Sei la mia salvezza! :P

Ecco il link youtube della meravigliosa "I want to tell you":

http://www.youtube.com/watch?v=-Y9W8tgXKQU

Infine un abbraccio tenero e affettuosissimo alla mia Nikotvd; grazie per sopportare sempre i miei discorsi noiosi su questi capitoli… ti adoro!

Non vi tedierò oltre ;) Buon ascolto e buona lettura!

 

Londra Aprile 1981

Il calore afoso che aleggia in questa stanza asettica avvolge il mio corpo, costringendo il mio respiro faticoso ad un affanno di gran lunga maggiore. Tento inutilmente di ammansire il mio cuore frenetico con una lieve carezza. Ritiro rapidamente le mani dal petto, vergognandomi dell'umile camicia che lo ricopre. Lascio scivolare le dita sul tessuto, morbido e setoso come i miei capelli che ricadono sulle spalle. Rivolgo uno stentato sorriso di gratitudine alla spazzola, autrice di quell'ordine inusualeche governa la mia chioma solitamente ribelle.

L'ennesimo sospiro solca le mie labbra screpolate, aggredendo lo specchio già reso opaco da un pesante strato di polvere. I granelli che raccolgo accuratamente mi osservano silenti dai miei polpastrelli, in attesa di considerazione da parte di una governante forse troppo spossata per adempiere accuratamente ai propri doveri. Essi non implicano soltanto la pulizia di quella modesta stanza di motel, la quale necessiterebbe di un'accurata sistemazione della mobilia disordinata che lascia intendere uno stato di progressivo degrado.

Ignoro il calore fastidioso che impregna le mura pallide rallegrate solo da una vecchia carta da parati. Mi accontento di quell'abitazione provvisoria e poco dispendiosa a poca distanza dalla villa di Paul. Osservo le lenzuola scolorite del letto, come il volto di mia madre al momento della scoperta del motivo della mia presenza in Inghilterra.

"-Dici sul serio, Bri?-

Mia madre distoglie l’attenzione dal servizio da the in ceramica che ha accuratamente adagiato sul tavolo in legno, discretamente coperto da una tovaglia candida. Ne ammiro i fregi, delineandone il contorno con il pollice e scrutando la reazione di mia madre con una serie di rapide occhiate. Esse incontrano il volto di quella giovane donna, improvvisamente popolato da rughe straniere che le increspano gli angoli degli occhi. Questi ultimi si restringono, le ciglia frementi sulle guance tese. Deglutisce rumorosamente, passandosi una mano sul collo, per poi lasciare scivolare le dita su quel maglione che aveva spesso accolto le carezze di mio padre. La notizia del mio prossimo incontro con Paul rammenta a mia madre l’immagine odiosa di quell’uomo, l’amante de rock e l’artefice di quel passato doloroso che ancora brucia sulla pelle della mia mamma.

Cerco il suo polso con la mano tremante dall'emozione e dalla preoccupazione. Tento invano di attenuare i brividi che percorrono la sua pelle. Le lacrime le arrossano gli occhi scuri, le melodie di McCartney intonate dalla voce melodiosa di mio padre ancora vivide nella mente. Tenta di scacciarle con un cenno infastidito del capo e una frase arrochita nella quale percepisco la forza del suo animo solitamente fragile.

-è fantastico, tesoro. So perfettamente quanto sia importante ed emozionante per te questo incarico e quanto alacre sarà il tuo impegno nel portarlo a termine. Farai un ottimo lavoro, amore mio, ne sono certa.-

Le sorrido, intenzionata a sostenere quel suo spirito coraggioso che spesso lascia il posto alla furia silente della depressione.

Rilassa le spalle e mi porta la mano al viso sistemandomi accuratamente gli occhiali alla base del naso con la lieve pressione dell'indice che scivola sulle mie labbra. Lo bacio istintivamente.

Mia madre osserva con circospezione il mio bagaglio che ancora indugia nell'ingresso, corrugando la fronte.

-Mi fa piacere sapere che, durante il periodo dell'intervista, alloggerai da me. Credo però che la distanza da Liverpool a Londra sia piuttosto faticosa per te...-

-Riguardo ciò, ho pensato di affittare una stanza in un motel londinese, dove trascorrere la settimana. Ho intenzione di abbandonare la capitale durante il week end, che trascorrerò con te. Che ne pensi?-

Risponde al mio sguardo complice con un sorriso radioso che dona un po' di serenità al suo viso tormentato.

Analizza con cura gli arabeschi che rallegrano la bianca porcellana della tazzina di fronte a lei e solo dopo alcuni istanti alza gli occhi verso i miei.

-Penso che sia un'idea meravigliosa.-"

 

Le nubi scure che avvolgono il cielo londinese mi trasmettono efficacemente la loro minaccia di maltempo, espressa talvolta con qualche goccia di pioggia piuttosto convincente. Sistemo accuratamente la tesa del capello scuro sugli occhi, tentando di distinguere i movimenti dei passanti che mi circondano, attraverso le lenti umide degli occhiali.

"I want to tell you

My head is filled with things to say..."

Abbasso lo sguardo sul marciapiede, sperando di trovare in esso un compagno con il quale condividere la mia agitazione. Essa si propaga nel mio corpo, influenzando i miei pensieri, improvvisamente irrazionali.

"All those words they seem to slip away..."

Qualunque proposito riguardo la formulazione più adatta del mio primo approccio con Paul comincia a farsi confuso. Le parole vagano nella mia mente, alla furiosa ricerca di una frase logica alla quale accorparsi, senza successo.

Cerco rifugio nel contatto inospitale con il tessuto della mia borsa, che sobbalza contro il fianco, dove sono accuratamente riposti i miei strumenti lavorativi. Una volta giunta di fronte alla villa di Paul chiudo gli occhi, domando il tremore convulso delle mie membra e mordendo il labbro inferiore. Quest'ultimo freme impaziente contro il suo compagno mentre la mia mano scivola sul portone. Ne accarezzo i fregi delicati e accosto per un istante l'orecchio all'uscio, speranzosa di percepire uno sprazzo della quotidianità di quel maestoso artista attraverso i suoni. Rinuncio a quel patetico tentativo. Chiudo gli occhi, assumo una postura eretta e professionale, indosso il sorriso migliore e busso a quella porta tanto agognata per anni.

 

_______

La canzone sussurrata appena da Linda in cucina viene bruscamente interrotta da alcuni colpi lievi alla porta. Essi vibrano tenui lungo il corridoio giungendo alle mie orecchie ancora impegnate ad ascoltare la voce armoniosa di mia moglie.

Il gemito infastidito di James viene soffocato dalla carezza affettuosa di Mary. La bambina abbandona la posa rilassata che ha assunto sulla poltrona per dirigersi all’ingresso, accompagnata da un sospiro annoiato. La raggiungo ed interrompo i suoi passi strascicati con un tocco leggero ma deciso sulle sue spalle esili. Conosco la mia ospite e sono interessato a riceverla personalmente.

Ruoto il pomello della porta, abbozzando un sorriso alla vista dell’espressione sollevata di Mary che si allontana progressivamente da me.

Una volta scostato l’uscio scorgo una figura femminile che si staglia contro il cielo grigio di Londra.

Le lacrime umide delle nuvole scivolano ad intervalli regolari sul lungo cappotto immacolato di Brianna Richards, profanandone il candore.

Tale biancore si ripropone sul volto ovale della ragazza i cui lineamenti delicati racchiudono la sua estrema giovinezza. Essa traspare dal rossore imbarazzato che, dalle gote piene, si espande sul collo teso. Esso viene sfiorato da un insolito vento freddo. Quelle raffiche inospitali conducono i suoi capelli corvini in una danza frenetica che sembra coinvolgere anche le labbra screpolate, scosse da un tremore agitato. Esse si schiudono rapidamente, imitate dagli occhi castani che mi osservano colmi di un'emozione troppo prepotente per essere celata dalle lenti di un paio di stravaganti occhiali. La tesa del cappello scuro adombra la fronte liscia della ragazza, increspata da quelle rughe di preoccupazione che ho riscontrato soltanto negli adulti dal vissuto tempestoso.

Lascia scorrere le mani perlacee alla tracolla della borsa probabilmente pesante che grava sulla sua spalla.

"I want to tell you

I feel hung up and I don't know why..."

Il sorriso timido che mi rivolge è così diverso dalla smorfia di dolore che ha deformato la sua bocca carnosa alla vista dell'immagine di John riverso a terra. Quel ricordo si riaffaccia prepotentemente alla mia mente assieme ai sentimenti frustrati di cui è foriero.

Lo scaccio con un impercettibile cenno del capo che Brianna pare non riuscire a cogliere, ancora incantata dal mio personaggio che affascina quotidianimente i londinesi con i quali condivido la patria.

Mi passo una mano sul collo e le sorrido incoraggiante. Brianna tenta inutilmente di formulare una risposta degna di quello che per lei è probabilmente un idolo. La sua evidente ammirazione nei miei confronti mi imbarazza, costringendomi ad attendere una sua reazione; ora il palco non mi scherma da uno dei tanti sguardi emozionati che fatico a sostenere una volta riposto il basso in camerino.

"I don't mind

I could wait forever, I've got time..."

Osservo il suo pudico silenzio, così diverso dall'egocentrismo ostentato con cui molti ragazzi mi esprimono la propria stima.

Sostengo il suo sguardo, nessuna traccia del disagio temporaneo che mi ha turbato

E mi rassicuro nuovamente riguardo l'ottima scelta del giornalista che porterà a termine la mia intervista.

 

__________

"Sometimes I wish I knew you well

Then I could speak my mind and tell..."

L'ennessimo sospiro incredulo vibra nel mio petto tremante che non avverte più le raffiche gelate del vento e neppure le invadenti gocce di pioggia che porta con se. Solo una sensazione appagata che percorre ogni recesso del corpo per raggiungere la mente e impedirle ogni ragionamento razionale. La logica si dimostra indifferente a quelle frasi che tento pateticamente di comporre.

La corsa delle parole viene interrota alla soglia delle labbra, timorose di rivelare la mia voce al cospetto di quegli occhi verdi che per anni mi hanno osservata dagli album musicali senza vedermi realmente. Ora guizzano interessati sul mio volto impedendo qualunque movimento ai miei muscoli intirizziti.

"Maybe you'd understand..."

-Io...io... sì, insomma, io... io sono Brianna Richards e... sono... una giornalista americana... no, non esattamente americana ma... ecco... il direttore della Stampa per cui lavoro mi ha informata della... della sua... della sua telefonata in redazione signor... signor McCartney...io...-

Le sue labbra disegnate trattengono un sorriso divertito dalla mia ingenuità, che tento disperatamente di nascondere, abbassando gli occhi e concentrandomi precariamente sui gradini che portano all'ingresso della villa. Stringo i pugni lungo i fianchi, sperando con quel gesto di convincere l'imbarazzo ad abbandonarmi.

Una mano grande e calorosa avvolge la mia, distendendo le dita. Alzo istintivamente lo sguardo, incontrando i capelli lunghi di Paul che ricadono elegantemente sulle sue spalle mentre abbassa il capo, portandosi il mio palmo alla bocca. Sfiora la mia pelle con le labbra, in quel bacio che ha riservato solo a quelle personalità femminili a cui la sua carriera lo ha avvicinato nel corso degli anni.

"I want to tell you..."

Mi guarda dal basso, le ciglia lunghe curve e femminee si posano rapidamente sulle guance, accompagnate dalla sua voce raffinata.

-Sì, Brianna Richards, so chi sei. Ho parlato molto di te con il tuo direttore ma probabilmente hai bisogno di maggiori chiarimenti riguardo il tuo nuovo incarico. Spero di essere in grado di offrirteli, magari di fronte a una buona tazza di the. Che ne dici?-

Mi mostra l'ingresso della casa, invitandomi a seguirlo al suo interno. Acconsento, accompagnata dal profumo dei mobili e della sua acqua di colonia.

 

Angolo autrice:

Vi prego di perdonare questo ritardo allucinante ma mi sono ridotta a scrivere questo capitolo quando capitava: sul treno, durante un'interrogazione o uno spicchio di libertà serale prima del sonno. Ho accorpato i vari appunti ed è nato questo capitolo. Spero vi sia piaciuto, mi sono impegnata moltissimo! ;)

Grazie a tutti i miei lettori, siete meravigliosi!

Peace&Love

Giulia 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chiamami Paul ***


 

 

 

Ciao ragazze!!!

Sono tornata con un capitolo piuttosto corto e un po’ povero di notizie rilevanti, ma che spero utile per delineare più chiaramente il rapporto nascente fra Bri e Paul. L’intervista comincerà solo nel prossimo capitolo, quando si entrerà nel vivo del nostro racconto.

Come noterete, anche per questo capitolo, ho deciso di non inserire le frasi della canzone che potrebbero intralciare i numerosi dialoghi che ho disseminato nella narrazione.

Ringrazio sempre immensamente chi legge e chi ha voglia di recensire e in particolare la mia Nikotvd… la mia sostenitrice personale nelle interrogazioni e nella stesura dei capitoli. Ti voglio bene, cucciola!

Buona lettura!

 

 

 

Londra       Aprile 1981

 

I miei occhi si soffermano su ogni anfratto della ricca abitazione, con la spasmodica intenzione di cogliere le minime sfumature della quotidianità vissuta  da quell’uomo che segretamente amo dall’infanzia. Il mio sguardo sfiora pudicamente il legno scuro che conferisce a quella libreria un aspetto elegante e piuttosto riservato, simile alle pose assunte dalle bambine di Paul sul divano del salotto.

Esso risulta alquanto spazioso, inondato dal tiepido sole pomeridiano, le cui richieste insistenti alle nuvole per mostrarsi sono state esaudite dopo numerosi tentennamenti.

Le ombre dei mobili abbracciano calorosamente quei raggi pallidi che, come me, avanzano lentamente nel salotto.

I miei passi accarezzano attutiti il tappeto con la stessa riverenza che caratterizza le numerose occhiate interessate che rivolgo all’arredamento.

Non vi è traccia del disordine quotidiano prodotto da una famiglia indaffarata; al contrario percepisco la cura e la dedizione con cui ogni oggetto è stato riposto dai proprietari nelle apposite postazioni.

Persino i fogli che occupano il pianoforte, arricchiti di parole e appunti musicali, risultano impilati diligentemente. Tale ordine maniacale si ripropone sui divani, le cui pieghe naturali del tessuto sono state lisciate da una mano paziente. Probabilmente quella affusolata e nervosa di Linda, che stringo debolmente.

La mia attenzione è riservata ai suoi occhi scuri e allegri, circondati da alcune rughe precoci che il sorriso esteso sulle sue labbra intesse lungo le tempie.

Linda inclina il capo, permettendo ai capelli di frusciare contro la sua guancia, dorandone la pelle.

- è davvero un piacere conoscerti, Brianna Richards. Paul mi ha parlato spesso di te e del modo in cui…- sospira, passandosi una mano sul collo e ritirando le labbra -…Del modo in cui ti ha conosciuta. Non avrei creduto che una sensibilità tale potesse influenzare l’animo solitamente impetuoso di una ragazza così giovane, di pochi anni più grande della nostra Heather.-

La donna si volta verso la ragazza che rigira la sua tazzina da the fra le mani, osservandone con inesistente curiosità i fregi e lasciando vagare lo sguardo sulla mia borsa. Accarezzo la tracolla con le dita prima di cercare i suoi occhi con i miei. Il suo sorriso abbozzato non mostra la dentatura così come i lunghi capelli biondi, che celano numerosi lineamenti del volto. L’adolescenza si artiglia a quel corpo di donna attraverso abiti sgargianti, impedendo alla maturità di fare breccia in quella personalità forse ancora puerile. Heather approva con un cenno del capo il mio abbigliamento, soffermandosi sulle mie calze scure che risaltano in contrasto con il candore della camicia. Ricambio il sorriso con un sospiro ansioso che Stella coglie facilmente.

 Corruga la fronte liscia sulla quale alcune ciocche  disegnano morbidi arabeschi chiari. Non comprende appieno la mia naturale agitazione durante il mio primo incontro con quell’uomo che per lei è solo un papà affettuoso e presente. La rassicuro con un sorriso stentato che Stella ripropone sulle labbra carnose, simili a quelle di Mary. Esse si schiudono in una posa concentrata mentre culla James sulle ginocchia dopo aver abbandonato la sua tazza da the sul tavolino del soggiorno. Gli occhi grandi del bambino assumono un’espressione malinconica che caratterizza anche quelli del padre, ai quali assomigliano notevolmente.

Lascio vagare le dita sui bottoni ruvidi della mia camicia, invidiando per un istante il mio cappotto che mi osserva dall’appendiabiti. Le emozioni non sconvolgono la su forma inerte, impedendo così all’imbarazzo di profanare il candore del suo tessuto con lo stesso rossore insistente che sento assalire le mie guance. Raccolgo i capelli dietro le orecchie percependo con le dita il calore diffuso sulla mia pelle che Paul osserva affatto, ancora interessato all’ultimo sorso di the che scorre sulla parete della tazza. Inarca le sopracciglia un po’ deluso della precarietà di quel caldo piacere che sembra solito concedersi.

Mi osserva con un’espressione incoraggiante che mi costringe a distogliere gli occhi dai suoi e a formulare una risposta al commento precedente di Linda. Sfoglio rapidamente il vocabolario in mio possesso e ne estrapolo i termini che maggiormente considero adeguati alla situazione.

-Io… ho reagito istintivamente. Non sarei mai riuscita ad imporre il mio lavoro al corpo di un uomo morente. Ho creduto… che quelle foto desiderassero immortalare freddamente un uomo che avrebbe meritato maggior calore in un momento simile… Ho voluto porgere il mio rispetto ad un grande artista anche se… ciò ha avuto una notevole ripercussione sulla mia carriera…-

-Di che genere?- domanda Linda, scrutandomi con attenzione oltre il bordo della tazza che si è portata alle labbra.

Le parole sfuggono al timore reverenziale che le ha trattenute fino a quel momento, incitate dai volti interessati dei miei ascoltatori.

-Il mio direttore non ha apprezzato il mio gesto, che non è mai stato condiviso dai miei colleghi, la cui umanità sembra soffocata dall’impellenza di un lavoro insensibile. Io… non ho mai voluto essere così, forse non ci sarei mai riuscita… ho accettato la riduzione della mia paga… la mia giovane età non mi permette molte repliche…-

Sorrido amaramente, congiungendo le mani in grembo, il disagio nuovamente padrone di me con la stessa autorità silenziosa con cui il silenzio si impone nel salotto. La voce scandita di Heather così simile a quella della madre colma la stanza:

-è stato davvero bello ciò che hai fatto, davvero. Insomma, io avrei offerto la priorità ad un lavoro precario come quello del reporter giornalistico e piuttosto che al rispetto verso un uomo che non ho mai realmente conosciuto.-

Annuisco energicamente prima di ribattere debolmente.

-Credo… insomma, credo che ogni essere umano meriti il dovuto rispetto al momento della morte. E poi… hai ragione, non ho mai conosciuto John Lennon ma le sue canzoni conoscevano me e mi hanno supportato nei periodi neri della mia vita e… non trovi che ciò sia più importante di un semplice lavoro mal retribuito?-

Sorride all’ironia con cui ho tinto le mie ultime parole e approva con un cenno del capo le mie parole. La sua espressione soddisfatta si riversa sul volto di Paul che mi osserva incuriosito.

-Devo ammettere che non avrei potuto trovare un giornalista migliore per la realizzazione del mio progetto…-

-Mi dispiace deluderla signore ma temo di non riuscire a svolgere con l’accuratezza desiderata il lavoro che mi ha dato l’onore di compiere in quanto non giovo affatto di esperienza a causa dei pochi mesi trascorsi in redazione. Le uniche qualità che possiedo sono la sensibilità e la passione per il giornalismo.-

-Saranno certamente sufficienti. Non intendo trasmettere la storia di John attraverso le parole studiate e complesse di un vecchio giornalista, bensì con la freschezza di un animo giovane umano che comprenda appieno la persona di John. Non ti chiedo altro se non esprimere con naturalezza  la quotidianità di un grande artista e di chiamarmi semplicemente Paul- rimango incantata dal suo sorriso sinceramente divertito che contagia la mia espressione inquieta.

Attendo qualche istante in cui Linda recupera il servizio da the e si dirige in cucina non prima di aver baciato il capino di James che il bimbo scuote insistentemente per nulla interessato alle carezze di Mary sul suo petto.

Mi porto la borsa al petto e sussurro timidamente, per timore di interrompere quel silente idillio famigliare.

-Quando… quando… possiamo cominciare?

Paul strofina le mani prima sui braccioli della poltrona e poi sui pantaloni scuri.

-Anche subito se preferisci.-

Si ala e mi tende la mano con un cenno del capo.

-Ti mostro il mio studio, un luogo privato dove desidererei svolgere l’intervista. Se vuoi seguirmi.-

Accetto trepidante quell’invito e mi avvicino alla sua schiena percependo il suono piacevole prodotto dal suo respiro che colma a intervalli regolari la camicia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

 

Ok, è un capitolo piuttosto pietoso e vi prego di perdonarmi ma non sono riuscita a fare di meglio… spero possiate perdonarmi… abbiate pietà nelle recensioni, pleeeeeease xD

Vi assicuro che i prossimi saranno più soddisfacenti sia come trama che come stile narrativo ;)

Grazie mille ancora a tutti!

Peace&Love

Giulia

PS: I love you :3

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Lacrime ribelli ***


Ciao ragazze!

Ed ecco finalmente il capitolo dedicato alla prima parte dell’intervista che riguarderà i pensieri del giovanissimo Paul nei confronti di un John che ancora non conosceva.

Ho deciso di strutturare l’intervista in flashback, narrati in prima persona da Paul, interrotti a volte dalle domande di Bri.

Spero che possa piacervi.

Come sempre ringrazio tutte le mie fantastiche lettrici, veterane ed acquisite; vi adoro!

 

 

 

Londra    Aprile 1981

 

Il respiro del vento satura l’aria con una brezza piacevole che sfiora le tende. Il tessuto raffinato lambisce il pavimento e tende i suoi drappeggi alla scrivania in legno che campeggia nella stanza. Sopra il ripiano alcuni fogli sui quali una matita è stata agitata scompostamente nel tentativo imprimere la carta di un’idea improvvisa. Riconosco senza difficoltà la scrittura spigolosa e maschile dell’uomo che mi precede a grandi passi nella camera, raggiungendo due sedie appena scostate dl tavolo che osservano disinteressate i muri. Il colore pallido della carta da parati da cui sono avvolti è timidamente celato da alcune foto incorniciate che ritraevano quattro ragazzi dai capelli folti e il sorriso divertito. La serenità nei loro volti pare causata dalla vista di una libreria colma di volumi che affianca la grande finestra.

Mi avvicino istintivamente agli scaffali per assaporare con le dita la ruvidezza di quei tomi rilegati. Il mio polpastrello ne saggia i dorsi con la stessa ponderatezza con cui le mie labbra articolano quei titoli riguardanti la musica e la letteratura. Faccio leva su uno dei ripiani per osservare meglio quella svariata collezione mentre Paul tenta di ordinare i suoi appunti in un plico che ripone in un cassetto alla base della libreria. Le mie dita si ritraggono soprese al contatto con una fredda cornice. In essa è racchiuso un sorriso appena accennato che deforma una bocca sottile; quella bocca attraverso la quale hanno viaggiato per molti anni parole d’amore. Sentimento che in quel ritratto antico colora gli occhi di un giovanissimo Paul che circonda le spalle dell’amico con un braccio che ricade distrattamente sul petto di John. Deglutisco evidentemente, tentando invano di ignorare il brivido freddo che percorre la mia schiena, scuotendola. La vitalità di quegli bruni pare impossibile da scalfire nella foto di quel grande uomo la cui vita è stata interrotta così bruscamente. L’espressione maliziosa di quel giovane John Lennon è così diversa da quella sofferente che dalla notte dell’8 Dicembre 1980 tormenta i miei sonni. Appoggio una mano al petto, nel tentativo di placare un singhiozzo che dal mio cuore devastato risale rapidamente la gola ma esso colma ugualmente il silenzio con un suono irritante che viene accolto da Paul con un sorriso malinconico.

-Era bellissimo, vero?-

Mi volto repentinamente e raccolgo alcune ciocche dei miei capelli oltre l’orecchio e annuisco debolmente.

-Non è facile dimenticare un sorriso simile…- trattengo una lacrima, mordendo energicamente il labbro inferiore.

Paul osserva quel ritratto di gioventù sul quale mi sono soffermata, gli occhi che guizzano distrattamente sui lineamenti di John, la mente palesemente più interessata ai ricordi che alla realtà che lo circonda e che sembra aver perso di importanza. Abbasso il capo, come imbarazzata della mia inutile presenza in quel personale incontro in cui il passato si rivela prepotentemente a Paul. Il mio disagio si dissolve alle parole roche del bassista che scorrono a fatica sulle sue labbra morbide.

-Affatto. Ricordo… ricordo ancora il primo giorno che lo incontrai. Sembrava così impavido ed adulto e… ma è una storia talmente remota e priva di risvolti notevoli che non avrai interesse ad ascoltare…-

Sfilo la tracolla dal capo e recupero a fatica il dittafono, la matita e il block notes. Prendo posto su una delle due sedie abbastanza lontana dalla foto per scansare la malinconia ma abbastanza vicina per cogliere le espressioni mutevoli di Paul.

-Ti ascolto.- esclamo, premendo il pulsante di avvio al registratore audio.

Curva le sopracciglia in un posa piacevolmente sorpresa. Distolgo mio malgrado l’attenzione dai suoi lucenti occhi smeraldini per rivolgerla alle sue parole che colmano titubanti il silenzio dello studio con la loro naturale melodia.

 

 

 

_______

 

“La pioggia sottile inumidisce le mie guance rosee che tento di proteggere con il bavero del cappotto. Esso infastidisce la mia pelle delicata, ristorata da una di quelle camicie primaverili che la mia mamma ha sempre amato acquistare. Posseggo una collezione di quegli indumenti, la cui stoffa lascio spesso frusciare fra le dita, illudendomi di carezzare la chioma di mia madre. Abbasso il capo mentre avanzo verso le vie di Liverpool, immergendo il naso nell’apertura del cappotto sul collo con l’intento di cogliere il profumo della mia mamma che ancora impregna quella camicia.

Lascio scivolare le mani nelle tasche forse troppo profonde di quel cappotto la cui notevole lunghezza on pare adatta al mio corpo ancora esile. Alzo nuovamente il volto e le mie narici si restringono offese dall’asprezza degli odori che popolano le strade cittadine.

Svolto in una vita laterale che conduce alla mia casa poco lontana. Assaporo anticipatamente il calore familiare che mi avvolgerà, con il quale papà tenta di sopperire alla mancanza dell’affetto materno. I miei pensieri vengono interrotti da una risata sarcastica.

-Dai, tesoro, resta ancora un po’…-

Un ragazzo piuttosto alto, dai capelli scuri e folti circonda la vita di una ragazza giovane e snella, la cui chioma fulva avvolge un volto delizioso. Le labbra della fanciulla avvolgono passionali quelle di John, la cui personalità egocentrica ed arrogante sembra risultare un’attrattiva irrinunciabile per le giovani studentesse.

Osservo incuriosito i capelli di John, invidiandone la lucentezza donata dal gel.

La ragazza sussurra qualcosa di incomprensibile e una risata sommessa scuote le spalle di John. Sospiro e tento di distogliere l’attenzione dalla coppia quando un richiamo interrompe la mia corsa verso casa.

-Ehi, ciao McCartney!-

Nonostante frequenti il college da poche settimane riconosco senza difficoltà nel ragazzo che ho osservato poco prima con tanto interesse il padrone di quella voce acuta fortemente stimata da numerosi adolescenti di Liverpool.

Mi volto lentamente ed incontro il suo sorriso traverso al quale le sue labbra sottili paiono atteggiarsi naturalmente. Strizza l’occhio verso di me e ricambio il saluto con un lieve imbarazzo che celo oltre un coltre di inesistente maturità nella quale tento di nascondermi con un saluto.

-Ehi, Lennon!-

Ricambio il sorriso e riprendo il cammino soddisfatto.-“

 

-Questo è il mio primo ricordo di John. Avevo sentito parlare spesso di lui al college, di questo giovane irresistibile, dall’animo ribelle e ambizioni irrealizzabili. Ma quel giorno uggioso lo incontrai per la prima volta e rimasi affascinato dal suo sorriso, cadendo preda di quella trappola di seduzione che il giovane Lennon tendeva a chiunque lo conoscesse. Era impossibile rimanere indifferente di fronte a lui e lo compresi molto presto.-

Pronuncio queste ultime parole perso nell’osservazione delle mani di Brianna che scivolano rapide sul foglio creando parole minuziose che si infittiscono ordinatamente. Mi stupisco dell’utilizzo del block notes, strumento inutile a causa della presenza del registratore che coglie ogni mia riflessione. Solitamente solleva gli occhi e scruta la mia espressione oltre la montatura degli occhiali che scivolano sul nasino con la stessa raffinatezza con cui i suoi capelli neri frusciano lungo la spalla, lasciando visibile parte del collo perlaceo.

Brianna osserva soddisfatta il suo operato ed esclama:

-è davvero impressionante il tuo ricordo così vivido di quell’attimo. Cosa pensavi di riconoscere in quel sorriso?-

-Arroganza. Supremazia. Sfida. Certamente non serenità e pacatezza. I pregiudizi dei ragazzi sono sempre parecchio fantasiosi-

Annuisce lentamente, soffermandosi a lungo sulle mie parole, la penna sollevata sul foglio.

In quell’istante odo il ticchettio attutito di un paio di stivali lungo le scale e riconosco la figura di Heather che si dirige verso l’ingresso, attraverso la porta socchiusa.

-Perdonami.- mi allontano da Brianna, incuriosito dal cigolio della porta principale.

 

 

_______

 

-Dove vai, signorina?-

Le parole sarcastiche di Paul giungono nitidamente dal corridoio che ha attraversato a grandi passi, invitandomi a raggiungerlo.

Dimentico il mio equipaggiamento sulla scrivania e osservo il volto stupito di Heather dalla porta dello studio.

La ragazza sistema la borsa sulla spalla e ritira le labbra, lievemente imbarazzata. Sostiene l’espressione divertita del patrigno con occhi orgogliosi, nei quali è riconoscibile un velo d’ironia.

-Io… questa sera Maggie organizzerà una festa e… mi ha detto di aiutarla con i preparativi…-

-E, dimmi, andrai anche tu a questa… festa?-

-Ovvio!-

-Non sarà poi così ovvio mia cara se non mi assicuri che sarai attenta e responsabile. Me lo prometti, piccola?-

-Promesso Paul, ma ti prego non chiamarmi piccola…-

Paul sfiora con un bacio la fronte di Heather, arruffandole i capelli con la mano causando un gemito infastidito da parte della ragazza.

Quella scena così famigliare ed affettuosa sfuma di fronte ai miei occhi a causa delle lacrime che si impongono violentemente. Esse scaturiscono dalla chiara consapevolezza della mancanza dell’affetto paterno che mi ha provato di quelle piacevoli preoccupazioni che non avrei mai rifiutato. L’invidia nei confronti di Heather è spossante e indesiderata; tento di scacciare con un cenno del capo quel malevolo sentimento che corrode ogni mio pensiero. Al contrario di Heather i miei diciannove anni sono stati celebrati con viaggi estenuanti alla ricerca di un lavoro indispensabile al quale la mia giovane età sembrava precludermi; quel ricordo istiga le lacrime a una discesa copiosa lungo le mie guance.

No riesco a trattenere quella tristezza repressa e, tentando di nascondere il volto arrossato.

-Io… io… devo… io devo andare. Ho… ho dimenticato un impegno e non posso… non posso davvero rimandare… mi… mi dispiace…-

Ignoro gli sguardi stupiti che avverto perforanti sulla mia figura e mi allontano dalla villa McCartney senza aggiungere un chiarimento in più.

La mia non è stata una menzogna.

Ho un impegno davvero improrogabile.

Il mio passato attende da troppo tempo di essere affrontato e non posso evitare il mio incontro con lui.

Non più ormai.

 

 

 

 

Angolo autrice:

Ma ciao tesori miei!

Riconosco che il capitolo è piuttosto lungo ma volevo davvero inserire tutte le mie emozioni e ciò richiedeva spazio… :P

Spero vi sia piaciuto, lascio a voi le riflessioni a riguardo :D

Peace&Love

Giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Thank you ***


Ciao carissime ed affezionate lettrici!
Finalmente la scuola sta terminando e con le lei anche tutti gli svariati impegni che mi impedivano di dedicare il dovuto tempo a questa mia storiella.
Vi ringrazio nuovamente, tutti quanti: vorrei stringervi in un grande abbraccio virtuale per tutto il supporto che mi state dando.
Ma veniamo al capitolo: ho deciso di accompagnarlo con la canzone di Kelly Clarkson “Beacause of you” che Nikotvd mi ha fatta conoscere tempo fa durante un viaggio in treno. Ti adoro!
Ecco a voi il link:
http://www.youtube.com/watch?v=Ra-Om7UMSJc
Vi consiglio di guardare il video una volta terminata la lettura; oltre ad essere bellissimo lo considero anche abbastanza inerente alle tematiche trattate nel capitolo.
Non vi annoierò oltre
Baci e buona lettura!



Londra       Aprile 1981

Lascio scivolare le dita sul volto, costringendole ad abbondonare le palpebre sulle quali le ho mantenute premute per molto tempo. Il lucore del lampadario aggredisce violentemente i miei occhi stanchi che cercano freneticamente un oggetto al quale rivolgere la propria attenzione. Sfioro con lo sguardo il profilo di Linda, le cui curve desidererei accarezzare, imprimendo in quel gesto lo stesso affetto con cui questo pomeriggio ho baciato la fronte liscia di quella che ormai considero una figlia.
Ricordo senza difficoltà l’espressione di Brianna che ha seguito quella mia azione, percependo in essa una frustrazione a me incomprensibile.
Sospiro profondamente, ravvivando i capelli con la mano e concentrandomi sulla borsa dal tessuto scuro e fintamente pregiato che la giovane giornalista ha dimenticato nel mio studio. Percorro con i polpastrelli le cuciture intrecciate sulla tracolla, fino a poche ore prima stretta spasmodicamente fra le mani nervose della sua proprietaria.
La pressione lieve della mia mano pare sufficiente ad incitare il contenuto della cartella ad una rapida fuoriuscita. I fogli tentano spasmodicamente di adagiarsi sul legno della scrivania ma i meno fortunati raggiungono il pavimento con una danza annoiata.
La sorpresa disegna sulle mie labbra un tenue sorriso che si distende naturalmente sul volto nel momento in cui curvo la schiena per recuperare i documenti. Tento di decifrare su di essi alcune parole, scritte rapidamente da una mano femminile il cui tremore ha permesso la realizzazione di una calligrafia incerta.
Inclino il capo, sillabando con incertezza quei vocaboli.
Riconosco l’indirizzo di un motel accanto alla mia villa, che una matita dal tratto morbido ha evidenziato sulla carta.
Inumidisco le labbra screpolate con la punta della lingua, immaginando l’espressione concentrata di Brianna Richards intenta ad appuntare il nome di un modesto albergo londinese in cui alloggiare durante il periodo del suo nuovo incarico.
Tamburello le dita sul legno della scrivania, scrutando discretamente il pavimento dell’ingresso che quel pomeriggio ha ceduto con numerosi scricchiolii ai passi concitati di Brianna.
Osservo distrattamente l’indirizzo, portando la mano al mento, nel tentativo di sorreggere il mio viso che l’espressione pensosa sembra appesantire.
Raggiungo il corridoio e recupero il trench dall’appendiabiti.
I miei fianchi vengono accolti da un abbraccio protettivo e le mie orecchie occupate dal piacevole suono della voce di Linda.
-Dove si reca a quest’ora tarda, Sir?-
Le sue labbra cercano il mio collo quando mi volto verso di lei, mostrandole la borsa di Brianna che trattengo fra le mani.
-Devo fare una consegna, milady.-


________

Il volto spesso imbronciato del cielo inglese inumidisce con le sue lacrime capricciose il vetro del motel, che subisce quel pianto silenzioso con la stessa impassibilità co cui le mie guance accolgono la mia frustrazione. Essa ha tempestato il mio viso, donandole espressioni disperate che hanno infuriato per ore sui miei lineamenti delicati. Ora quella tempesta di emozioni è degradata alla dolce risacca del silenzio, che sfiora i miei capelli, ancorati alla fronte sudata.
Sottopongo la stanza all’indagine disattenta dei miei occhi opachi che faticano a sopportare il fioco chiarore dell’abatjour. Le impronte dei miei pugni rabbiosi sul cuscino ne profanano il candore.
Sospiro e raccolgo i capelli sul capo con un fermaglio mentre il bordo della canottiera si arriccia sulla vita, permettendo a parte del ventre di mostrare la propria immagine allo specchio. Alzo il capo verso quest’ultimo e porto le mani alle labbra.

“I will not make the same mistakes that you did…
I will not let myself cause my heart so much misery…”

Riconosco senza difficoltà nel mio volto riflesso quello di mia madre, la cui giovinezza è stata prematuramente sconvolta da un dolore sordo il cui ricordo flagella anche me. Rammento le lacrime di mia madre che mi hanno bagnato le spalle, un balsamo che ho sempre desiderato lavare dalla mia pelle. Nonostante il mio desiderio quel pianto antico riaffiora prepotentemente nella mia mente, riproponendosi sulle mie guance.
Passo la mano sugli occhi in un gesto nervoso, con il quale spero ingenuamente di allontanare il dolore. I capelli sfuggono all’acconciatura frettolosa nella quale ho tentato di ordinarli e sfiorano il collo. Le ciocche ramate somigliano a quelle di mia madre, che le sue lunghe dita sfilacciavano con movimenti rabbiosi.
Tale rancore imperversa nei miei occhi arrossati che, socchiusi, tentano di concentrarsi sulla mia figura.

“I will not break the way you did…
You fell so hard…”

Scaccio prepotentemente l’immagine indebolita e pallida di mia madre, che sto inconsapevolmente imitando.

“I’ve learned the way, to never let it get that far…”
 Inclino il collo, artigliando la spalla con le mani ossute che anche questa sera non si sono impegnate nella preparazione della cena.
Appoggio i palmi sulle gote quando avverto il rossore tingere la pelle. La vergogna per la mia reazione avventata al ritorno dei ricordi al cospetto di Paul McCartney infiamma le orecchie e il collo.
Inspiro profondamente, tentando di allontanare quell’immagine.
Il mio respiro crea una debole condensa sullo specchio, offuscando quell’immagine già oscurata dal passato.
Un tenue bussare alla porta scuote la mia schiena fredda. Aggrotto le sopracciglia confusa e dirigo i miei passi incerti verso l’uscio.
Il contatto con il pomello crea un rapido brivido lungo il petto che interrompe repentinamente la sua corsa quando riconosco il mio ospite inatteso.
L’attenzione di Paul, fino a poco tempo prima rapita dall’umile carta da parati che tentava di rallegrare il corridoio del motel, si rivolge a me. I suoi occhi sono adombrati dalla tesa del cappello, così come le sue mani, nascoste dalle lunghe maniche del cappotto. Allarga le braccia, mostrando la borsa che quel pomeriggio ho dimenticato alla sua villa, contagiando la mia espressione triste con il suo sorriso sincero. Scuoto ripetutamente le ciglia, socchiudendo le labbra con fare evidentemente sorpreso.
-Paul… io… io… non ti aspettavo, io…- mi porto una mano alla tempia. -Come… come hai fatto a sapere l’indirizzo del motel?-
Sorrido, incuriosita, rilassando dopo molto tempo le spalle. Una sensazione piacevole mi avvolge, impedendomi di avvertire alcun imbarazzo.
Toglie il cappello, rivelando la foltezza dei capelli ramati, illuminati dalla luce pallida dei neon.
Ravviva la chioma con la mano e gonfia le guance d’aria, in un’espressione ironicamente dubbiosa.
-Ho notato il tuo appunto a lato di uno delle tue cartelle e ho ipotizzato fosse il motel scelto per il tuo alloggio. Sarebbe stato scortese da parte mia non accertarmene e consegnarti la borsa.-
Osserva la mia figura, appoggiata allo stipite della porta, soffermandosi sulla canotta aderente. La vergogna prende nuovamente possesso di me e l’ormai familiare rossore si dipana lungo il mio volto.
-Ho sbagliato momento? Sono stato inopportuno, mi dispiace…-
-No. Sei stato molto gentile a raggiungermi, ti ringrazio.-
Indietreggio per permettergli di entrare sperando che il disordine della camera non sia così evidente. Recupero la borsa che mi porge educatamente, riponendola ai piedi del letto.
Porto le mani alle tasche profonde dei pantaloni e tentando di reggere il suo sguardo senza cedere alla timidezza.
-Voglio… voglio scusarmi con te e la tua famiglia per quello che è accaduto questo pomeriggio. Io… non era mia intenzione essere sgarbata.-
-Non preoccuparti. È capitato anche me di essere assalito all’improvviso da un ricordo spiacevole… a volte è impossibile evitare di soccombervi. Ho riconosciuto subito l’espressione stravolta sul tuo viso… la stessa che ho indossato anche io numerose volte ultimamente, quando il sorriso di John visitava improvvisamente i miei pensieri. Hai reagito naturalmente…-
-Io… non avrei voluto. Insomma, credevo che il tempo avesse lenito ogni ferita, ma… il passato mi raggiunge sempre troppo spesso e io…-

“Because of you…
I never stay too far from the sidewalk…”

Mi zittisco con un gesto stizzito della mano.
-Perdonami, non credo che la mia triste vita sia un interessante argomento di conversazione…-

“ I cannot cry…
Because I know that’s weakness in your eyes…”

Abbozzo un sorriso, mentre la mia dimostrazione di serenità viene intaccata da una lacrima traditrice che vela il mio occhio destro. La reprimo con un singulto.
Abbassa il capo, per incontrare il mio sguardo.
Farfuglio una scusa quando le sue parole mi giungono con il loro dolce accento inglese.
-Ti ascolto.-

_______

La voce arrochita di Brianna assume un tono vacuo mentre i suoi occhi vagano sugli arabeschi che decorano le lenzuola del letto dove abbiamo preso posto.
Osservo minuziosamente le sue spalle esili, spesso scosse da quei singulti che l’orgoglio non riesce a trattenere. La canotta raccoglie le sue forme morbide e piene che ignoro a causa dei suoi lineamenti rattristati, incurvati verso il basso.
Corrugo la fronte, scandagliando il suo volto con gli occhi. Percepisco facilmente il dolore nella sua voce, intenta a riprodurre una storia che per troppo tempo ha custodito gelosamente nei suoi ricordi, ormai oppressi da un tale carico.
Inumidisce le labbra con la lingua e volge il capo verso di me.
-A diciannove anni sono stata costretta ad abbandonare gli studi e a cercare un lavoro che potesse offrirmi il denaro utile a sostenere me e ciò che restava della mia famiglia. Ho trovato un posto come giornalista emergente nella Stampe di New York, dove mi sono trasferita da qualche anno.-

“I’m forced to fake, a smile, a laugh,
Every day in my life…”

Alza le mani ed esclama.
-Non ho i requisiti per rappresentare la classica donna in carriera dalla vita brillante che il giornalismo americano avrebbe desiderato…-
Un tenue sorriso illumina quel volto ovale. Scuoto il capo.
-Il giornalismo americano dovrebbe essere orgoglioso di vantare una simile reporter.-
-Perché dovrebbe?-
-Perché troverebbe raramente una ragazza dal tuo stesso coraggio, una giovane donna in grado di affrontare la vita con grande forza d’animo. Io… non sono riuscito a sopportare le avversità che la vita mi ha presentato in gioventù con la tua stessa incredibile capacità.-
-Ho compreso presto che il mio impegno lavorativo sarebbe stato l'unico mezzo concreto per alleviare la depressione di mia madre così... mi sono data da fare e... sono arrivata fino a qui talmente in fretta che ancora stento a crederci...-
Si morde il labbro inferiore, gli occhi traboccanti di un'eccitazione repressa.
Sistema i capelli dietro le orecchie, nel tentativo di ricomporsi.
-Sono convinto che questo sarà solo l'inizio, Brianna Richards.-
Sorride, mostrando lievemente la dentatura candida. In quel gesto gentile riconosco gratitudine e speranza, sentimenti restii a mostrarsi su quel volto grazioso.
Mi alzo dal letto, strofinando le mani sulle gambe nel tentativo di riscaldare le giunture rattrappite che ho lasciato inerti durante tutta la conversazione.
-è stato un piacere parlare con te. Spero che la nostra conoscenza non si limiti a questa chiacchierata.-
Dopo un'incoraggiante strizzata d'occhio mi dirigo verso la porta del motel, non prima di averla garbartamente salutata.
La mia mano indugia sulla maniglia quando una fiebile voce, rotta da un singhiozzo soffocato, irrompe nella stanza, disturbando il silenzio che vi ha regnato.
-Grazie.-
Mi volto verso di lei, appoggiando una mano sulla tesa del cappello appena indossato.
Esco dalla stanza accompagnato dallo scroscio sommesso della pioggia, pacato e riservato come le parole che Brianna mi ha appena rivolto.



Angolo autrice:
Hey bellezze!
Sono di ritorno con un po' di ritardo. Dato che domani è il mio compleanno ho deciso di pubblicare tutto il capitolo oggi e non aspettare per porre modifiche.
Grazie a tutte voi per il supporto, spero che il capitolo vi piaccia. Aspetto con ansia le vostre recensioni.
Peace&Love
Giulia
Ps: vi prego, perdonate la scarsa qualità dei dialoghi ma non sono davvero in grado di scrivere una conversazione decente XD

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Un grido nel buio... ***


Ciao mie belle lettrici!

Finalmente l'estate! Sono certa che questi mesi mi permetteranno di scrivere molto di più anche se purtroppo temo non riuscirò a pubblicare molto spesso... :\

Vorrei offrirvi un ringraziamento speciale: con il capitolo precedente ho finalmente raggiunto e (con mio grande stupore) superato le cento recensioni, un traguardo che mi è sempre parso impossibile anche solo osservare da lontano. Probabilmente il mio era un desiderio piuttosto ingenuo ma sono davvero felice che si sia realizzato. E tutto ciò grazie a voi che continuate a supportarmi in questo lavoro che trovo ogni giorno sempre più piacevole e appagante.

Spero di non avervi annoiati ma mi sentivo in dovere di ringraziarvi.

Prima di lasciarvi, desidero mandare un bacio alla mia Nikotvd alla quale non nascondo di essermi un po' ispirata per il personaggio di Pattie, che ritorna in questo capitolo per una piccola comparsata.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

Londra     Aprile 1981

 

"-Che cazzo ti sta succedendo McCartney?-

La voce arrochita di John risuona fra le pareti della vecchia  casa di Jim, causandole un'inaspettata vibrazione. Il cigolio blando della mobilia accompagna quello delle imposte delle finestre, fra le quali spira il vento tiepido. Osservo le mani, tentando inutilmente di distinguerne la forma arcuata ed elegante, non poi così diversa da quella sinuosa dello strumento che imbraccio. Esso pare celarsi pudicamente agli occhi di John che, ridotti a due fessure, scandagliano attentamente il mio volto. Riconosco la loro disperata ricerca di una risposta ai miei turbamenti in quelle rughe d'espressione che increspano il mio giovane viso. Quest'ultimo mantiene la propria attenzione rivolta alle tende, intente ad intrappolare i prepotenti raggi del sole estivo nelle loro maglie intrecciate. Il lieve fluttuare di quei drappeggi sfiora le mie spalle, ancora lontano dalla cattura dei miei pensieri che gli occhi di John desiderano carpire.

Avverto la schiena scivolare lungo la poltrona, la camicia aderire al petto, con la stessa naturalezza con cui le lacrime sospingono contro le mie palpebre. La vista risulta d'improvviso sfocata e il mio labbro inferiore divenne preda di un morso nervoso che lascia scaturire uno spiacevole sapore ferroso sulla mia lingua.

-Io... mi dispiace John, davvero. Dovrei concentrarmi, pensare alla musica, al gruppo, ma...-

-Ma cosa, McCartney? Cosa?!-

Porto le dita ai capelli e mi dirigo repentinamente alla finestra, una debole imprecazione sussurrata fra i miei denti tremanti. Essi sussurrano silenziosamente il nome di una donna scomparsa da tempo, il cui volto fanciullesco mi osserva sorridente, ormai racchiuso nella cornice di una vecchia foto. Questa riposa sullo scaffale della credenza, coperto da uno strato annoiato di polvere, in attesa di essere disgregato da una mano femminile.

Una mano attenta e curata, come quella di mia madre.

 Una madre che ha arricchito il mio volto di carezze preziose, che custodisco gelosamente nella memoria.

 Una madre che ha accolto con occhi ridenti i miei auguri di compleanno, quello stesso giorno ripetuto negli anni troppo brevi vissuti accanto a lei.

Sospiro, assaporando quel breve refolo di fiato che si insinua fra le tende.

Il movimento regolare delle mie spalle pare non soddisfare l'animo notevolemnte irritato di John, al quale il proprio padrone permette il disturbo della quiete del salotto.

 -Sono stanco, McCartney! Sono stanco della tua indifferenza nei confronti del nostro gruppo. Stiamo tentando di creare qualcosa di vero, qualcosa di nostro, maledizione, e la tua insofferenza riguardo il nostro lavoro in quest'ultimo periodo mi fa impazzire! Credi che ti abbia invitato ad entrare a far parte dei Quarrymen perchè sei così carino da risultare un'attrazione femminile?! Ci sai fare con la musica, sei il talento che cercavo! Ma non posso permettere un atteggiamento simile nel mio complesso. Mi hai capito?-

Sorrido amaramente prima di voltarmi verso di lui. Il suo collo pallido è attraversato da vene scure e arrossate che tingono dello stesso colore purpureo il resto del volto.

Mi avvicino a lui a grandi passi e scuoto il capo amareggiato, incurvando le labbra in un atteggiamento deluso. Lo rendo partecipe del mio dolore con la stessa franchezza con cui mi ha rivolto le sue accuse crudeli.

-Quando ero bambino festeggiavo il compleanno di mia madre in questo mese. Questo maledetto mese che ogni anno mi rammenta la scomparsa dell'unica donna che abbia mai amato. Sai che ti dico, Lennon? Mi dispiace! Mi dispiace di aver riservato maggior importanza al ricordo di mia madre che al tuo stramaledetto gruppo! E no, non credo riuscirò mai a capirti davvero, Winston!-

Mi dirigo verso l'ingresso, permettendo alle lacrime di inumidire le guance, coinvolte in un'espressione rabbiosa.

La mia imprecazione urlata pare causare una furtiva carezza, che trattiene decisamente il mio braccio.

Noto la fievolezza della voce di John, in contrasto con la fermezza della sua stretta.

-Scusami, Paul... io... non sapevo, io... sono un'idiota. è solo che... sono fatto così(1)... qualcuno dovrebbe rimontare i pezzi e creare un essere umano migliore, non credi?-

Abbozza un sorriso sarcastico mentre lascio sfuggire un'imprecazione affettuosa che lascio morire sulla sua spalla, in seguito a un lungo abbraccio.-"

 

-Non ho mai risposto a quella sua ironica domanda ma no, non credo che qualcuno sarebbe stato in grado di creare un essere umano migliore di John. Perché John era quello; un essere umano colmo di pregi, e difetti ai quali tentava spasmodicamente di porre rimedio. Credo che fosse questa la vera bellezza di John; l'impegno assiduo nell'illuminare gli anfratti oscuri della sua anima. Non tutti gli uomini dimostrano uno zelo tale riguardo un simile compito.-

Brianna scuote il capo divertita, lasciando scivolare i capelli sulla spalla e permettendogli di sfiorare il candore del suo abito, rallegrato soltanto da alcune delicate stampe floreali.

La fragranza del suo profumo primaverile contrasta con il sentore umido ed uggioso nel quale si dipana. L'aria pungente costringe gli ospiti del mio studio alla sua indesiderabile presenza, mostrandosi oltre la finestra semiaperta. Il corpo di Brianna reagisce a quell'incontro inaspettato con un lieve sobbalzo. Sulla pelle nuda delle braccia corre un brivido, accompagnato dal mio sguardo, interessato al movimento delle sue mani sul foglio.

-Molti critici musicali e altrettanti benpensanti potrebbero ribattere a quest'affermazione.-

-Credo sia proprio questo il grande errore dell'umanità nei confronti di John: l'incomprensione.-

Allunga la mano verso il registratore, intenzionata a porre fine all'intervista. Accoglie l'apparecchio in grembo mentre raccoglie i capelli con le mani, innalzandoli sul capo in una lunga coda di cavallo. Essa mostra fieramente il collo perlaceo, danzandovi sinuosamente attorno.

Osserva distrattamente l'orologio al polso e raggrinza le labbra, imitate dalla fronte pensosa.

-Credo debba andare, ora. Mia madre mi aspetta, le ho promesso di trascorrere assieme il fine settimana nella nostra vecchia casa a Liverpool e non ho ancora preparato le valigie...-

-Tua madre abita a Liverpool?-

Trovo impossibile discernere lo stupore dalla domanda che pongo al viso imbarazzato di Brianna. Sorride, abbassando gli occhi, forse preda di un ricordo piacevole. Il mio sguardo incontra d'improvviso la sua giovane bellezza, la cui ingenuità le offre un'eleganza ammirevole.

Alza il mento e risponde con una punta d'orgoglio che le imporpora le guance piene.

-Sì, in un appartamento che acquistò assieme a mio...assieme a mio padre poco prima delle nozze. Ho vissuto fra quelle pareti tutta la mia adolescenza, respirando fieramente gli stessi profumi fra i quali erano cresciuti i più grandi maestri del rock.-

Ammicca verso di me, aspettando la restituzione di quel gesto in uno altrettanto complice. Sorrido divertito, causando un imbarazzo appena accennato alla punta delle sue orecchie.

Recupera la borsa, che si assesta sul suo fianco con un lieve tonfo. Mi sorprendo ad ammirare le sue curve immature ancora in sboccio in quel corpo esile.

-Comincerò a trascrivere la nostra intervista questa sera, di modo che, una volta terminato il lavoro, possiamo analizzarlo assieme.-

Mi saluta con un debole cenno della mano, allontanadosi da me, senza voltare le spalle.

Percepisco la sua voce sottile chiamare il nome di Linda che risponde dal salotto, prima di chiudere la porta e raccogliere con un sospiro gli spartiti delle mie canzoni.

 

_______

 

-Riconosco che non sia politicamente corretto da parte mia, Bri, ma... accidenti, non sai quanto ti stia invidiando!-

Raccolgo l'estremità superiore della penna fra i denti prima che uno spontaneo sorriso incurvi le mie labbra. Scosto con un gesto nervoso una ciocca ribelle dal viso che tenta di raggiungere i fogli sui quali ho riportato fedelmente i miei primi incontri con Paul.

Il registratore ascolta paziente la mia telefonata dal comodino, illuminato soltanto dalla luce soffusa dell'abatjour, la stessa che per anni ha rischiarato il mio volto piangente.

Rilasso le spalle contro la testiera del letto, lisciando con le dita le lenzuola raggrinzite. Ripercorro con i polpastrelli la forma avviluppata dei loro arabeschi mentre la mia mente svolge una simile operazione riguardo i recenti ricordi di quel pomeriggio.

Rammento il viso sorridente di mia madre, ora avvolto dalla morbidezza del cuscino che ne accoglie i lineamenti. Avverto indistintamente il suo debole russare attraverso la parete della mia camera.  Assaporo la dolcezza di quel suono a malapena percettibile che disturba le parole concitate di Patricia.

-Allora com'è? è davvero l'uomo dei sogni come ho sempre immaginato?-

Osservo la mia collezione di vinili ordinati cronologicamente sulla scrivania e fatico a trattenere un sorriso a causa della palese eccitazione che trapela dalla voce della mia amica. Avvicino la cornetta alla bocca prima di rispondere.

-Lo è eccome, Pat. è sempre così elegante ed oppurtuno; mi ha subito resa a mio agio durante il mio nuovo incarico. è sensibile, premuroso, intelligente, acuto, sempre così...-

-Dannatamente perfetto?-

-Esatto...- esclamo soffocando una risata, il cui rumore sguaiato potrebbe disturbare i placidi sonni di mia madre.

L'estasi della mia amica mi accompagna senza difficoltà in quell'adolescenza che non ho mai vissuto e alla quale rubo furtivamente alcuni momenti, che spendo con parsimonia.

-Oh mio Dio... non sai cosa gli farei se avessi la tua stessa occasione...- il suo tono languido lascia sfuggire la mia esclamazione ironicamente indignata.

-Pat!-

-è la pura verità, tesoro! Spero che ti sia procurata quell'autografo che ti ho raccomandato per sopire i miei bollenti desideri.-

-Lo otterrò il prima possibile, non temere.-

Arriccio il filo del telefono quando un urlo agghiacciante interrompe il mio sorriso. Esso scivola lungo la mascella fino a scomparire, sul mio volto l'ombra di un'espressione terrorizzata. Una sequela di grida provenienti dalla camera di mia madre irrompe nella mia attraverso le pareti che appaiono d'improvviso irrimediabilmente friabili.

La corsa irrefrenabile del mio cuore coinvolge le palpebre che guizzano rapidamente all'intorno.

-Brianna? Brianna, che succede?-

-Pat, io... devo andare... ti... ti richiamo presto...-

il saluto preoccupato della mia amica svanisce rapidamente dai miei ricordi, impegnati a ripercorrere lo stridio di quel rumore raccapricciante che si ripete ferocemente. Graffia le mie orecchie con la sua foga che sembra farsi sempre più vicina mentre ruoto il pomello della porta che conduce alla camera da letto della mia mamma, avvolta nella penombra. Le tapparelle lasciano filtrare i raggi della luna abbastanza luminosi da delineare i contorni del corpo di quella donna riversa sul letto. Le coperte avvolgono disordinatamente il suo corpo formoso e agitato che smuove il materasso.

Invoco il suo nome, mentre la mia voce si confonde con le sue urla disperate. Esse sgorgano ininterrotte dalla sua bocca, atteggiata ad una posa sgraziata, nascosta dal cuscino artigliato dalle sue unghie. I profondi solchi impressi sul tessuto vengono colmati dalle lacrime che scorrono copiose dai suoi occhi serrati.

Accendo la luce con le stesse mani tremanti che accarezzano le spalle di mia madre, in un pallido tentativo di risveglio.

-Mamma! Mamma, ti prego svegliati! è solo un incubo, solo un incubo! Mamma! Mamma!-

Un pianto indesiderato offusca il mio sguardo e bagna le mie guance pallide che adagio su quelle di mia madre.

Un sobbalzo scuote le membra della donna e le sue mani paiono chiudersi ermeticamente sui miei polsi.

Le iridi arrossate fissano le mie con indicibile stupore prima di soffermarsi sul resto della stanza. Muove ripetutamente le labbra ceree, appoggiando la fronte sul mio collo mentre i ricci biondi sfiorano la mia pelle.

-è tornato, Bri... è tornato a tormentarmi...-

Avvolgo il suo busto tremante in un abbraccio altrettanto precario ricordando tutte le notti che hanno seguito la fuga di mio padre in cui avevo assistito a una simile scena. E io, proprio come allora, non dimentico di cullare il capo di quella donna afflitta dai singhiozzi.

 Nonostante le assicurazioni di mia madre riguardo la sua completa guarigione psicologica, l'immagine di quell'uomo tormenta ancora i suoi sonni.

-Non lo farà, mamma, non lo farà più ormai. Va tutto bene, è passato. Non tornerà mai più a tormentarti, mamma, te lo prometto.-

Le bacio i capelli, accetando a fatica le mie parole consolatorie.

 

(1) In un'intervista Paul ha rivelato che questa era l'usuale affermazione di John in seguito ad uno dei loro numerosi litigi.

 

 

 

 

Angolo autrice:

 

L'intervista prosegue, spero di essere riuscita ad impostarla al meglio possibile per renderla piacevole e non noiosa come potrebbe essere risultata attraverso i discorsi diretti.

Il rapporto fra Paul e Brianna comincia ad intensificarsi e a rivelare un velo di complicità destinato a maturare...

La madre di Bri non si rivela poi la donna forte e coraggiosa che era parsa nei primi capitoli.

A prestissimo gli aggiornamenti ;)

Grazie mille a tutti coloro che hanno ancora voglia di seguire questa storia e di recensirla rendendomi felicissima!

Peace&Love

Giulia

 

 

 

        

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Un fantasma dal passato ***


Ciao bellissime!

Innanzitutto desidero dare il benvenuto a Kia85 una lettrice acquisita da poco che voglio ringraziare per aver intrapreso la lettura di questa mia storia.

Detto ciò vi informo che stiamo entrando nel vivo nel nostro racconto; i rapporti fra i personaggi si consolidano, comincio a sentire Brianna più familiare e trattare  sentimenti di Paul è meno difficile di quanto credessi inizialmente :P

Questo capitolo è dedicato in parte al lavoro musicale che Paul, nonostante il lutto per la perdita dell’amico John, continua a portare avanti; e in parte all’incontro inaspettato fra due personaggi altrettanto ambigui…

Dopo questa premessa nella quale non voglio rivelarvi nulla di più, vi auguro una piacevole lettura.

Baci!

 

 

 

Londra     Aprile 1981

 

George strofina il mento con la punta della biro che tiene fra le mani rugose. Traccia il profilo delle labbra sottili e della mascella, un’espressione pensosa corruga la sua fronte alta.

Osservo discreto i movimenti di quell’uomo, i cui sospiri profondi colmano la sala di registrazione costringendo la mia bocca ad incurvarsi preoccupata.

Libero il primo bottone della camicia dall’asola, permettendo al mio collo di assaporare la freschezza che traspira dai muri. Essi accolgono indifferenti gli sguardi vacui di George che contrae le palpebre, causando agli angoli degli occhi un tremore lieve.

-Nessuna idea, Martin?-

Passa la mano fra i radi capelli chiari prima di scuotere il capo, desolato. Rivolge per un istante l’attenzione nell’ala attigua alla nostra in cui Stanley, Carl, Richard e Steve discutono le migliore musicali riguardo le nostre recenti composizioni. Soccombo alla prepotenza di un sorriso che dona una malinconica serenità al mio volto adombrato quando incontro lo sguardo di Richard. Gli occhi ridenti paiono irrimediabilmente attratti dalle labbra schiuse, verso le quali si curvano. La sua voce profonda giunge ovattata alle mie orecchie, accompagnata a ricordi di gioventù, che non sembrano così lontani.

-Nessuna. La mia mente è un foglio completamente bianco, Paul, e non riesco a scrivervi neppure una maledetta parola…-

-Sei certo che il titolo che ho proposto non sia adatto?-

Il gesto stizzito delle sue mani mi intima il silenzio e il suo respiro nervoso invita le mie dita a tamburellare impazienti sulla superfice del tavolo.

-Questo album ha bisogno di qualcosa di diverso, qualcosa di più energico, marcato… ad effetto, ecco. Qualcosa di concreto, diverso, fuori dagli schemi.-

Sospiro, gonfiando inevitabilmente le guance.

-Hai ragione, George, ma ultimamente sono molto impegnato e tutti i titoli plausibili si rivelano sempre banali o inadatti…-

-Non preoccuparti, ti capisco.-

Il mio produttore rilassa le spalle sullo schienale della sedia, nella vana ricerca di una posizione comoda. Inarca le sopracciglia, un’espressione francamene interessata sul volto.

-Come procede l’intervista? La giornalista che hai scelto è efficiente ed esperta come credevi?-

Porto la sigaretta alle labbra, concentrando l’attenzione sulle volute di fumo che si sprigionano da essa. Aspiro una piacevole boccata prima i rispondere.

-Sono soddisfatto. Riconosco che il compito affidatole sia doveroso ma, nonostante la sua giovane età, dimostra di sapersela cavare. È così sensibile e motivata… purtroppo queste due qualità convivono raramente in un giornalista assetato di notizie.-

Queste ultime parole riportano alla mia mente i ricordi di quella notte fredda e pungente i cui numerosi microfoni si assieparono attorno al mio viso, sfigurato dal dolore. Posso immaginare ancora molto nitidamente i respiri affannati dei reporter americani, uomini dalle guance arrossate dall’interesse mediatico.

Irrigidisco istintivamente la mascella.

Le dita lunghe e nervose di George avvolgono il braccio che lascio riposare in grembo.

-Il tuo è stato un grande gesto, Paul. Lui… lui lo avrebbe apprezzato.-

Gli occhi azzurri dell’uomo impallidiscono, prede di lacrime che George non desidera mostrare.

Si alza rapidamente, rischiarandosi la gola e abbozzando un sorriso.

-La prossima settimana voglio leggere titoli un po’ più convincenti. Non battere la fiacca, eh McCartney?-

 

 

_______

 

 -Non la ricordavo così bella...-

-Dovresti tornare più spesso a Londra, mamma.-

Lo stupore di mia madre pare intenzionato a coinvolgere ogni anfratto londinese. I suoi passi brevi ma affrettati trattengono a fatica l’eccitazione di una donna che non aveva spesso lasciato la propria città. I palazzi della capitale, attorniati di suoi tipici profumi erano sostati per molti anni nei suoi ricordi di bambina, riguardanti brevi viaggi con la famiglia. Schiude le labbra e reclinava il collo, nel tentativo di ammirare i monumenti. Deglutisce e strabuzza gli occhi meravigliata, contribuendo alla nascita di un’espressione infantile sul proprio volto. Il sole pare restio ad illuminare i suoi ricci ancora biondi che trattiene sotto una cappello a tesa larga.

Le passo il braccio attorno alle spalle, costringendo il suo capo ad adagiarsi nell’incavo del collo. Assaporo il suo profumo materno che si confonde con quello altrettanto inconfondibile di Londra.

Non credevo che il mio incarico mi avrebbe permesso di trascorrere più tempo con mia madre. Quando Paul mi ha informata del suo impegno mattiniero che avrebbe naturalmente posticipato il nostro incontro al pomeriggio, ho proposto a mia madre una breve uscita assieme nelle strade della capitale. Il fine del mio invito riguarda principalmente la salute psichica di mia madre, che credo possa trovare sollievo dai ricordi solo in un luogo da cui essi sono avulsi.

Il mio forte desiderio ha soffocato la titubanza di mia madre che ora osserva con l’incredulità di un bimbo ciò che la circonda.

Mia madre tenta di attirare la mia attenzione strattonando un lembo del mio cappotto e tentando di proteggere con la mano libera il cappello dal vento impertinente.

-Ehi Bri, non credi siano bellissime?-

Avvicina il naso a una delle rose più belle che ornavano la bancarella di un venditore ambulante. Il fioraio osservò soddisfatto la sua merce che pare aver attratto una potenziale cliente.

Mia madre sfiora il gambo del fiore che tiene delicatamente fra le mani, le dita tremanti come le labbra.

-Tuo padre… tuo padre era solito regalarmi una rosa come questa nei primi tempi del nostro fidanzamento…-

Si allontana progressivamente, il timore di cadere nuovamente preda dei ricordi impresso nei suoi occhi traslucidi.

-Dai mamma, andiamo via…-

Intreccio le mie dita alle sue, rabbrividendo al contatto con la pelle fredda e sudata, improvvisamente indifferente al timido calore primaverile.

Mi volto lentamente, il capo rivolto all’asfalto scuro come i miei pensieri.

Alzo gli occhi, incontrando una figura che avanza verso di me.

Un sorriso spontaneo nasce sulle mie labbra, talmente luminoso da adombrare le mie improvvise preoccupazioni.

Il suo incedere elegante, le sue mani grandi accarezzate dalle falde del cappotto scuro, i suoi capelli ambrati che assecondano i capricci del vento; ogni suo dettaglio provoca in me un brivido lungo e piacevole che riesco a stento a trattenere.

Riconosco senza fatica le sue labbra carnose che si schiudono come petali su quella delicata bocca di rosa. Quest’ultima è colorata di un rossore scarlatto che raggiunge tinte decisamente più tenui sulle guance. Gli occhiali da sole non gli impediscono di notarmi tra la frettolosa folla inglese. Inclina il capo e, con un cenno della mano, si avvicina.

Abbasso gli occhi, imbarazzata dal subitaneo desiderio di quel corpo maturo e slanciato.

-Ciao, Bri. Accidenti, Londra non è così grande dopotutto.-

La musicalità della voce di Paul risuona sorda nella mia mente affascinata. Scuoto le spalle, i capelli sferzano la schiena.

-Ho terminato da poco l’incontro con Martin e i ragazzi in Studio ma neppure questa “rimpatriata” è stata utile a definire il titolo del mio prossimo album… temo che sarà un lavoro lungo… ma non potevo intrattenermi di più, sapevo di essere impegnato.-

Sfila gli occhiali, sfoggiando il suo sguardo smeraldino. Nei suoi occhi noto i riflessi della città, che continua a vivere dietro di me. Ne avverto indistintamente il pulsare frenetico mentre il cuore londinese lascia dipartire nelle arterie inglesi un flusso di indefessi lavoratori che raggiungono i loro uffici.

La sua attenzione viene attirata al mio fianco da mia madre, che circonda la mia vita con un braccio.

-Non mi avevi detto che avevi portato una sorella con te a Londra.-

-Oh, no. Lei è mia…-

D’improvviso il sorriso di Paul abbandona il suo volto grazioso, sostituito da un’espressione confusa.

Il disagio dell’uomo pare espresso solo dal respiro pesante e affaticato che causa movimenti accelerati al suo petto.

-Mia…-

Quando tento di riprendere la frase mi rivolgo a mia madre, il cui volto è stravolto da un sentimento indecifrabile. La donna deglutisce, schiudendo le labbra e alzando gli occhi colmi di stupore su Paul.

Paul, l’idolo di mio padre, l’autore di quelle parole d’amore cantate dalla voce di quell’uomo che da anni impregna più le pareti della mia casa. Quell’uomo che ha distrutto, forse per sempre, la meravigliosa ingenuità della mia mamma, trasformandola in una giovane e pavida donna, incapace di difendersi anche dai ricordi. Essi assumono forma in quell’uomo che, con le sue composizioni, permette il ritorno di un passato troppo irruento da sopportare.

Paul corruga la fronte, nel folle tentativo di esprimere con lo sguardo, seppur espressivo, le proprie emozioni.

Mia madre sostiene lo sguardo inquieto di Paul, lasciando guizzare gli occhi sul suo volto.

Le uniche parole che odo distintamente sono quelle pronunciate dalla voce arrochita e flebile della mia mamma.

-Io… mi dispiace Brianna, ma… io devo andare… ho parecchie cose da fare e… non ce la faccio… Mi perdoni, signore…-

Passa le mani fra i capelli e raccoglie le braccia attorno al busto, prima di lanciarmi un’occhiata disperata e voltarsi.

-Mamma!-

La raggiungo, avvolgendole il polso in una debole stretta.

-Mamma, che succede?-

Scuote il capo, i ricci si disperdono sulla pelle diafana delle guance, solcata dalle lacrime. Tento di asciugare queste ultime ma esse vengono sostituite da altri diligenti compagne che scorrono senza posa.

-Io… non ci riesco, Bri. Lui… non credevo che incontrarlo mi avrebbe fatto così male…-

-Mamma, lui non è papà. Non devi permettere a quel mostro di farti ancora del male.-

Passa le mani sul collo alla ricerca della collana che le ho regalato alcuni anni prima. Le prendo il mento fra le dita e sussulto inconsapevolmente nel riconoscere nel suo sguardo un dolore indicibile.

-Non riesco ad essere forte come te, amore mio… non posso…-

Appoggia la fronte alla mia spalle , invitandomi ad un abbraccio affettuoso. Riesco a scorgere il volto di Paul oltre la schiena di mia madre prima che la tristezza mi sopraffaccia.

 

 

 ________

 

Il tepore della notte primaverile mi raggiunge attraverso il vento leggero, che accompagna i suoi delicati sussurri con i rumori cittadini. Le tende frusciano contro la finestra semiaperta che mi permettere di scorgere il fulgore delle luci mondane. Il mio sguardo vacuo tenta di carpire la quotidianità dei lavoratori londinesi che procedono a fatica nel traffico, ansiosi di raggiungere le loro silenziose abitazioni. Mi passo la lingua sulle labbra, ricercando la serenità nella figura addormentata di Linda. I capelli chiari celano le efelidi che, dal volto, si propagano sulla schiena nuda che le lenzuola non paiono preoccuparsi di coprire. Il suo respiro ancora affannoso sfiora le labbra screpolate, incurvate in un sorriso soddisfatto. Ignoro i suoi mugolii, forse intenzionati a confessarmi i suoi sogni.

Accarezzo la sua pelle morbida, lasciando scivolare le dita sul tessuto setoso, increspato sul corpo di mia moglie.

Abbandono un fuggevole bacio sul capo di Linda che cerca con la mano il mio petto, inconsapevole del fatto che io la osservi accanto al letto.

I pensieri opprimenti mi hanno impedito di acquistare sonno, consigliandomi di raggiungere la grande finestra della camera da letto, per assaporare la freschezza notturna.

Passo le mani fra i capelli appoggiando la schiena al muro e reclinando il capo, sobbalzando al contatto della schiena contro la parete. Il ricordo dei suoi lineamenti ancora dolci nonostante l’età matura, della sua espressione smarrita e delle lacrime che hanno popolato all’improvviso il suo volto preme contro la mia memoria. Ripercorro mio malgrado il viale del passato, in cui mi imbatto immantinente in una figura minuta dal sorriso che coinvolge ogni anfratto del volto; riconosco in quest’ultimo la delicatezza del viso puerile di quella donna che ha mosso in me cotanta compassione.

Scuoto amaramente il capo, una volta che quest’ingenua considerazione ha assunto un ruolo notevole nella mia mente.

Ho fatto una promessa a me stesso, quel giorno.

Ho sussurrato fra le mani distese sul viso una sola parola che negli anni ha risuonato nella mia memoria, avvertendomi dell’incombenza di un ricordo spiacevole.

 

Dimentica...

 

Un semplice consiglio proveniente dalla mia coscienza, da tempo profanata da molteplici errori.

Indosso con un sospiro la camicia, osservando con riluttanza il pigiama ordinatamente piegato sulla poltrona, che non riesce ad infondermi il sonno di cui necessito.

Lascio aderire la mano al corrimano ligneo mentre i miei passi producono un tenue scalpiccio sui gradini.

Raggiungo il pianoforte che sosta placidamente in salotto, in attesa di un amico fedele al quale confidare tutti i suoi più inconfessabili segreti sotto forma di languide note, altrettanto misteriose. Percepisco un brivido gradevole alla consapevolezza della mia affinità con quell’elegante strumento al quale mi avvicino con un sorriso complice. Lambisco i tasti con i polpastrelli intenzionato a comporre una melodia, abbastanza lieve da non disturbare il sonno dei miei famigliari ma tanto poderosa da soffocare i miei pensieri.

La pur sottile vibrazione proveniente dal pianoforte crea un fastidioso ronzio nelle orecchie.

Scuoto il capo e alzo gli occhi, osservando con un sorriso la mia espressione appagata riflessa nello specchio. Dirigo lo sguardo al davanzale della finestra, scorgendo oltre i vetri un vaso di rose rigogliose delle quali Linda si occupa diligentemente.

Permetto alla mia attenzione di vagare nel colore purpureo dei petali, simili alle labbra morbide e scarlatte di Brianna.  

 

 

Anglo autrice:

Riconosco che questo capitolo sia un po’ confuso, ma questo è proprio l’effetto che volevo creare. XD

La nostra Pauletta costudisce un segreto, a quanto pare inconfessabile, che gli avvenimenti pomeridiani gli hanno riportato alla memoria.

La trama comincia a farsi un po’ più intricata, spero che non vi annoi in seguito. :P

Non so se riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza per il vostro caloroso supporto.

I really love you! :D

Peace&Love

Giulia

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Tug of War ***


Ciao mie confuse lettrici! XD
Il capitolo precedente vi ha comprensibilmente creato parecchie grane ma è stato davvero bellissimo vedere i vostri personali tentativi di risoluzione al grande enigma che ho posto nella nostra storia: quale è il nesso fra Paul e Brianna?
Sulla scia di questa domanda vi propongo il capitolo 15, ancora dedicato all’intervista e alla scelta del titolo dell’album “Tug of War” che il nostro Paul portò a termine proprio nell’81 assieme a George Martin  e con la collaborazione di molti altri artisti.
Nella mia malsana fantasia Brianna ebbe un ruolo importante nella realizzazione di tale progetto.
Vi prego di perdonare alcuni inserimenti che potrebbero risultare un po’ surreali ma utili a dare un tocco di fantasia al nostro racconto.
Grazie a tutti!
Buona lettura!




Londra      Aprile 1981

Lascio scivolare lentamente il capo verso la finestra del bar. Sobbalzo d'improvviso al contatto della fronte con il vetro freddo, sul quale il rigido clima londinese e il tepore della sala hanno contribuito alla nascita di un sottile strato di condensa. Osservo i tratti del mio viso sfigurato oltre esso, prima che i raggi del sole pallido raggiungano timidi i miei occhi e illuminino quel plico di fogli a cui rivolgo la mia attenzione. Riconosco le parole che la mia mano paziente ha vergato sulle pagine, senza trattenere alcun particolare del ricordo degli incontri pomeridiani con Paul.
Cerco la sua voce melodiosa nei sussurri concitati degli studenti ritardatari che mi circondano o nelle frasi affaticate delle signore. Osservo con scarso interesse le voluminose sciarpe con cui queste ultime tentano proteggere il volto dal vento inospitale che le attende oltre la porta della tavola calda. Agli angoli delle loro bocche sono tracciate rughe sottili che si increspano vivacemente ad ogni risata, dimostrando orgogliosamente una serenità che mia madre non riuscirà mai a condividere.
 Ricordo con un sospiro l'espressione distrutta della mia mamma che, il giorno prima, non sopportando la prepotenza con cui i ricordi si sono imposti, si è diretta alla stazione intenzionata a raggiungere Liverpool al più presto. La sua triste persona ha agognato ad un luogo familiare in cui sopire il proprio dolore.
Sospiro, all'inutile ricerca di sostegno negli occhi dei clienti dai quali sono attorniata
Solo gli occhi della cameriera che si avvicina a me paiono interessati alla mia figura, relegata in un recesso del locale, alla quale offrono uno sguardo caloroso che fatico a riprodurre.
Ritrovo la dolcezza del sorriso di quella giovanissima ragazza nel caffè che mi ha porto. Sorseggio pensosa la bevanda, rileggendo la trasposizione scritta dell'intervista del giorno precedente.

"    "-Accidenti, McCartney, sei stato grande questa sera! Devo ammettere però che sono un po' invidioso: la biondina non aveva occhi che per te.-
John scuote ripetutamente le ciglia che accarezzano le guance candide arrossate soltanto dall'estremità incandescente della sigaretta che ha portato alle labbra. Le pudiche luci di Amburgo paiono restie ad illuminare i lineamenti duri della sua mascella. Essa si irrigidisce, i polmoni intenti ad aspirare il fumo che le sue labbra liberano dopo pochi istanti il fumo che raggiunge i comignoli delle case.
Inseguo con gli occhi quelle volute intrecciate, eleganti come i suoi fianchi che ho accarezzato maliziosamente solo poche settimane prima.
-Pensi ancora a lei?-
-Io... ho sbagliato tutto con lei, John. Credevo di essere un uomo e invece... mi sono dimostrato solo un bambino...-
-Un bambino che riconosce il suo pentimento. Questo ti fa onore, Paul. Lei saprà certamente dartene atto...-
-E se non lo facesse? Se non mi perdonasse per averla lasciata?-
-Un uomo che riconosce i propri errori è un'inesauribile fonte di interesse per le donne. Devi solo...-
mi porge la sigaretta con un afffascinante sorriso traverso.
-... non pensarci più-"

-Era quello il suo modo di proteggermi: lasciare il passato in un angolo remoto della mente per poi affrontarlo con decisione in futuro. Purtroppo ritengo ci siano errori la cui risoluzione non dovrebbe essere posticipata; questo potrebbe solo aggravare il problema.-
-E quali errori avrebbe potuto commettere un ragazzino adolescente?-
La mia domanda appena accennata suscita un sorriso amaro sulle labbra di Paul, che mi soffermo ad osservare con attenzione. La sua bocca finemente cesellata è schiusa, su di essa ancora il ricordo che ha appena rivissuto assieme a me. Le sue parole hanno causato in me quella domanda spontanea frutto di una curiosità indiscreta che mi pento di possedere.
Abbasso gli occhi, sussurrando una scusa che viene accolta con un sorriso amichevole che pare non condannare il mio subitaneo interesse.
-Una ragazza sedotta e abbandonata ingiustamente poco prima di una trasferta, ad esempio...-
La sua serenità è evidentemente velata da un ricordo, la cui malinconia viene mascherata dall'ironia.
L'espressione accorata assunta dal volto di Paul sembra intenzionata a celare un segreto passato che non ho il diritto di svelare.
-Come sta tua madre?-
Mi osserva incuriosito, tentando di catturare i miei occhi ne suoi. Mi perdo nel suo sguardo incantevole, reprimendo un desiderio peccaminoso.
-Meglio, ti ringrazio. Ho provato a chiamarla, per accertarmi della sua salute e l'ho scoperta decisamente più tranquilla. Mi dispiace molto per quello che è accaduto questa mattina; la tua musica, così apprezzata da me e da mio padre, è divenuta un ricordo indelebile di un passato che mia madre vuole dimenticare. Vedere l'idolo di mio padre è stato... davvero troppo per la sua mente distrutta. Perdonala...-
-Non importa, posso capirla. Il passato spesso è infido; ti coglie all'improvviso, ti stringe nella sua morsa impedendoti qualunque fuga...-
I suoi occhi si perdono nell'osservazione minuziosa del mio abito, come se esso celasse importanti rivelazioni. Ma la stoffa rimane impassibile, così come la sua espressione, la fronte corrugata culla un pensiero celato.    "



________

-Mamma! Mary ha nascosto il mio pupazzo preferito, lo rivoglio!-
-Mary, dai quel pupazzo a tuo fratello.-
-Non sono stata io! Stella voleva fare un dispetto a James, è colpa sua!-
-Cosa avrei voluto fare?!-
-Volete smetterla voi quattro? Domani ho un esame piuttosto importante nel quale non dovrò certo trattare della calda atmosfera che si respira nella mia famiglia... Potreste farmi studiare in pace?!-
-Aiutami a cercare quel maledetto pupazzo, Heather, e potrai finalmente studiare, te lo assicuro.-
Porto le mani alle tempie, percependo la pelle tesa sotto i polpastrelli e aggrottando istintivamente le sopracciglia.
Di fronte ai miei occhi chiusi distinguo soltanto alcune indistinte chiazze colorate mentre nel mie orecchie risuonano le urla irritate di mia moglie accompagnate da quelle dei miei bambini.
Osservo sconsolato i fogli disordinati, accumulato sulla mia scrivania colmi di nuove idee musicali o possibili titoli per il nuovo album. Le righe spazientite tracciate dalla mia biro sono divenute ormai simbolo della mia frustrazione.
Mi sorprendo a rivolgere la mia attenzione a quell'inchiostro, scuro come gli occhi di quella donna, così simili ai suoi. Le pagine bianche somigliano alla pelle pallida di quella giovane signora che tanto ingenuamente mi ha ricordato la sua.
Scaglio la penna che tengo da tempo fra le dita, portandomi le mani ai capelli. Il rumore stridente della mina metallica sul pavimento causa il mio profondo mugolio rassegnato che segue.
Esso è accompagnato da un singhiozzo a stento trattenuto che giunge alle mie spalle. Mi volto rapidamente, incontrando il viso del mio bimbo, trasfigurato in una posa rattristata velata da un lieve timore provocato dal mio gesto irato.
Le lacrime imperlano le sue guance arrossate, scivolando sul tappeto. Le mani strette a pugno raggiungono gli occhi mentre le labbra si incurvando in una posa insoddisfatta.
-Papà... le mie sorelline sono state cattive con il mio pupazzo... lo hanno nascosto sicuramente in un posto brutto e buio... e Teddy ha paura del buio, non voglio lasciarlo solo... perchè non vogliono darmelo, papà?- James pronuncia le ultime parole fra i singulti, le spalle scosse dal tremore. Lancia un'occhiata disinteressata ai fogli sparsi sulla scrivania per poi rivolgere nuovamente l'attenzione a me e mostrarmi il labbro inferiore.
Passo la mano sulla fronte e lo raggiungo con il sorriso più rassicurante che possa sfoderare.
Curvo la schiena, raggiungendo la sua modica altezza e arruffandogli i capelli.
- Ehi, campione, troveremo il tuo pupazzo. E se le tue sorelle osassere nascondere Teddy un'altra volta dovranno sopportare la furia di papà Paul!-
Lo sollevo senza difficoltà, colmando il suo petto di baci che solleticano la pelle liscia e profumata. La sua risata cristallina irrompe nel mio studio, adombrando ogni preoccupazione e qualunque antico ricordo.
La sua gola percorsa da un piacevole suono gutturale si adagia sul mio collo, il suo repiro affannoso fruscia fra i miei capelli.
La voce ansante di Linda interrompe quell'attimo di intensa bellezza.
- C'è una visita per te, amore!-
Raccoglie i capelli sudati in una coda di cavallo, invitando Brianna nel mio studio.
-Perdonami per il disordine, cara, ma i bambini sono un vero terremoto...-
La giornalista ascolta le parole dispiaciute di mia moglie con un sorriso di circostanza che le illumina il volto di una bellezza leggiadra e delicata. Difficilmente riconoscibile come tale, le menti frivole lo definirebbero semplice imbarazzo.
I suoi occhi neri si rabbuiano d'improvviso quando incontra quelli di mio figlio, velandosi di una lieve malinconia. Lascia vagare gli occhi nello studio, distraendo l'attenzione da quell'immaginare famigliare. Rammentando il passato difficile che essa le riporta alla memoria, libero James dal mio abbraccio, con un buffetto sulle spalle.
-Va a cercare Teddy con la mamma, Jimmy. Sono certo che lo troverete. Vi raggiungerò quando avrò finito di lavorare.-
Linda avvolge con le braccia il corpicino di James, allontanandosi assieme a lui e lasciando cigolare la porta dietro di se.
-Mi dispiace, io... ho interrotto qualcosa?-
-Te ne sono grato! Probabilmente la presenza di un'estraneo dovrebbe domare i miei figli... la folle ricerca del pupazzo di James ha scatenato un vero e proprio conflitto civile!-
Ride, sinceramente divertita, sistemando la borsa sulla poltrona e lisciando le pieghe della camicia cremisi. Questa aderisce perfettamente al suo corpo, esaltandone le curve. I pantaloni tentano di nascondere i fianchi larghi sui quali, mio malgrado, dirigo lo sguardo. Brianna intreccia le mani sul ventre piatto, graffiando le dita con le unghie. Si avvicina alla mia scrivania, osservando con un sorriso sognante i fogli dei miei appunti, sparsi sul ripiano ligneo.
Il sole riflette i suoi raggi sulla pelle altrettanto delicata del  seno della ragazza, di cui riesco a scorgere un anfratto.
Sospiro lentamente, incrociando le braccia sul petto.
-Stai lavorando al titolo del tuo nuovo album?-
Solleva con cura uno di quei fogli fra le mani, prestandogli un'attenzione che non meritano. Sussurra rapidamente le parole che le mie dita hanno trascritto distrattamente, dischiudendo le labbra in un'espressione meravigliata.
-Sì... o almeno, ci sto provando. Non riesco a trovare niente di adatto, niente che possa conformarsi alle mie canzoni...-
Inspira profondamente prima di fornirmi un timido consiglio.
-Forse... forse il titolo dell'album non dovrebbe adattarsi alle canzoni che contiene ma ai sentimenti con i quali hai realizzato la tua nuova opera musicale...-
Aggrotto le sopracciglia, incuriosito.
-Cosa intendi dire?-
-Credo che ogni album realizzato da un cantante segni una tappa della sua vita. Compito del titolo non è altro che quello di riassumere l'intervento, positivo o negativo, nella vita dell'artista e...-
Interrompe la sua riflessione con un gesto della mano, gli occhi puntati sulle tende che sembrano suggerirle le parole da pronunciare.
-Mi.. mi dispiace, io... sono stata inopportuna, non ho il diritto di intromettermi. Che invadente! Perdonami, non era mia intenzione...-
Scuote violentemente il capo, i capelli le sferzano il viso improvvisamente arrossato. I suoi occhi, illuminati dall'evidente vergogna, risaltano  le iridi scure.
Interrompo il movimento concitato delle sue dita con le mie. Avverto il calore iridescente della sua pelle, che raggela immantinente al contatto con la mia.
-Non devi scusarti di nulla, Bri. Il tuo parere è davvero molto interessante, mi piacerebbe ascoltarlo...-
le rivolgo uno sguardo complice al quale risponde con un sorriso flebile.
Si allontana rispettosamente da me e tenta di rincorrere quel pensiero sfuggito poco tempo prima.
-Sì, ecco... credo che l'idea giusta non sia poi così lontana. Devi... dovresti... insomma, ti consiglio di ripensare ai momenti della tua vita che hanno accompagnato la creazione dell'album e... penso che il titolo sia nasconsto proprio nel ricordo della sua composizione...-
Porto una mano al mento, pensieroso, fingendo di ignorare lo sguardo ammirato di Brianna.
-Ho cominciato questa avventura con parecchio entusiasmo; l'esperienza con i Wings mi aveva quasi fatto dimenticare come fosse pubblicare un album da solista. Ho affrontato il nuovo lavoro con molta naturalezza, assieme a George Martin e a tutti i grandi musicisti che mi hanno accompagnato in questo piacevole percorso. Fino a quando...-
Deglutisco, percependo il brivido che percuote la schiena di Brianna. Il ricordo di John satura l'aria, difficlmente respirabile.
-Fino... fino alla morte di John. Il tragico evento ha distrutto tutti noi e il rispetto per un amico strappato così brutalmente alla vita ci ha suggerito una sospensione delle registrazioni. Una volta ripreso il lavoro a Febbraio, io... io ero un uomo diverso. Avevo dimenticato la gioia con cui avevo intrapreso l'incisione del nuovo album e nonostante quest'ultimo tentasse di imporsi sulla mia tristezza, questa dipingeva delle sue tinte oscure ogni mio pensiero. La musica rivaleggiava contro la disperazione... come...-
-...come un tiro alla fune...-
Esclama Brianna, sistemando i capelli sulla spalla.
Alzo gli occhi su di lei, corrugando la fronte. Essa si distende lentamente mentre quelle parole si insinuano nella mia mente creando una gradevole consapevolezza.
-Come un tiro alla fune...- ripeto perplesso, poi con tono eccitato, le labbra schiuse in un'espressione meravigliata.
-Come un tiro alla fune! Un tiro alla fune, accidenti! Un maledettissimo tiro alla fune!-
Giunge le mani di fronte alla bocca, tormentando il labbro inferiore con i denti.
Si ricompone, rischiarendosi la gola.
-Sono... sono felice di esserti stata d'aiuto. Sei stato così gentile con me che... ecco, credevo fosse moralmente corretto tentare di ricambiare.-
Mi passo le mani fra i capelli, beandomi della sua risata timida e quelle parole altrettanto restie ad essere pronunciate.
Il desiderio di ringraziarla con un abbraccio si pone in contrasto con la mia etica personale. Mi limito a rivolgerle una parola, la stessa che alcune sere prima Brianna ha pronunciato nei miei confronti con una voce appena sussurrata, rotta dalle lacrime.
-Grazie.-
In risposta sfoggia un rossore purpureo che le colora la punta delle orecchie.
Assaporo la sua bellezza con gli occhi mentre la mente è impegnata nell'acuta analisi del nuovo titolo del mio album.
Anche l'antica immagine di lei, perde d'importanza di fronte alla violenza del presente.

_______

-Grazie ancora, Bri. Non sono certo che senza il tuo aiuto sarei riuscito a comunicare già domani i miei progressi a George.-
L'orgoglio matura rigoglioso nel mio cuore, da tempo inaridito da una vita priva di soddisfazioni.
Sistemo la tracolla percependo contro il fianco il registratore che anche quel pomeriggio aveva diligentemente ascoltato i ricordi di Paul. La voce di quest'ultima non ha parso assumere la malinconia delle scene passate che raccontava; il tono del cantante è risultato vagamente distratto ed eccitato durante l'intervista. In esso ho riconosciuto l'entusiasmo appagato di uomo che ha risolto un faticoso interrogativo.
Appoggia una mano allo stipite della porta, godendo della serenità nella quale è improvvisamente avvolta la sua abitazione. Distinguo oltre la figura di Paul quella minuta ed esile di James che imbraccia fieramente un orsacchiotto di pezza. ricambio con slancio il suo timido saluto.
 Stringo le spalle, nella disperata ricerca del tepore del mio corpo che si disperde nell'aria londinese assieme alle raffiche di vento.
-Sono felice di aver contribuito alla realizzazione della tua opera... anche se in piccola parte...-
-Al contrario, il tuo aiuto è stato importantissimo per noi. Non sai da quanto tempo dovevamo scegliere un titolo per il nuovo album. George e i ragazzi ne saranno davvero impressionati. A questo proposito... ho intenzione di comunicare domani mattina a Martin la buona notizia e mi chiedevo se fossi interessata ad accompagnarmi. In fondo, il merito di questa brillante idea è tutto tuo, e sarebbe sgarbato non riconoscerlo. Potremmo rimandare la nostra intervista al pomeriggio, se non hai alcun impegno.-
La corsa galoppante del cuore coinvolge le mie ciglia, che vengono scosse ripetutamente, nel tentativo di destarmi dal sogno meraviglioso in cui sono scivolata. Gli occhi di Paul, insistentemente fissi su di me, non mi agevolano affatto in quel compito.
Umetto le labbra screpolate con la lingua tremante, prima di balbettare la mia approvazione.
Mi allontano dalla villa dei McCartney, la gioia che trasfigura il volto, con la stessa evidenza con cui lo stupore popola gli sguardi degli abitanti della capitale che si imbattono nella mia figura, permeata da un'improvvisa aura di serenità.

   

Angolo autrice:
Ok, la leggenda moooolto personale riguardo la nascita di "Tug of War" potrebbe risultare alquanto assurda ma credevo fosse un'idea originale per alleggerire un po' l'atmosfera del racconto. In questo capitolo più che mai aspetto la vostra opinione.
Grazie ancora a tutti, di cuore!
Peace&Love
Giulia


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** She loves you ***


Ciao a tutte!
Sono davvero lieta che il capitolo precedente sia stato acclamato a furor di popolo… credevo che la nascita di Tug of War fosse un po’ campata in aria ma i vostri commenti positivi mi hanno convinta.
In questo capitolo tratterò l’incontro di Bri con George Martin e l’intervista a Paul nel terzo Pov.
Il rapporto fra i due si infittisce notevolmente… lascio a voi le interpretazioni di questo particolare sentimento, che sfocerà fra pochi capitoli… ;)
Buona lettura!





Londra       Aprile 1981

Percepisco indistintamente le mie mani scivolare lungo le ciocche intricate dei miei capelli, improvvisamente così simili ai miei pensieri. Essi assumono maschere irrazionali che la mia mente riflessiva non gli ha mai permesso di indossare. Danzano freneticamente nel mio capo, adagiandosi fiaccamente lungo le tempie doloranti, che mi soffermo a massaggiare con i polpastrelli.
L’ennesimo sospiro riscalda le mie labbra raggelate dall’emozione.
Rassetto il vestito, riconoscendo nelle sue lievi pieghe le rughe appena accennate di quell’uomo che mi appresto ad incontrare. Un uomo che ha inseminato la mia mente di sogni e speranze che, germogliando, hanno ravvivato la mia adolescenza mancata. Quest’ultima adombra i miei lineamenti di un velo innocente e grazioso che si riflette nel piccolo specchio che tengo fra le mani. Stringo fra le mani quell’unica mia espressione di vanità, mordendomi il labbro inferiore, dimenticando per un istante la dolcezza artificiale del rossetto. Tento invano di ordinare la frangetta con le unghie quando avverto una mano carezzarmi la schiena con la stessa discreta compostezza del venticello primaverile.
Una mano grande e calorosa che preme debolmente sul tessuto del mio abito, provocando alle mie membra un brivido appagato che fatico a trattenere. Celo quel fuggevole piacere con un lieve colpo di tosse, voltandomi.
-Sei nervosa?- la sua affermazione sorpresa è velata da una curiosità lieve che la rende una domanda appena riconoscibile.
La bocca di Paul si atteggia ad un sorriso piacevolmente stupito che pare rivolgere al terreno. Su di esso sono rivolti i suoi occhi che, con un guizzo repentino, rivolgono la loro attenzione al mio viso. Tale interesse provoca un'innaturale rossore alle mie gote, i cui lineamenti tesi vengono immantinente rilassati.
Osservo il tepore dell'aria primaverile carezzare i suoi capelli, che il vento tenta di districare. Le sue ciglia lunghe si inchinano ossequiosamente sulla pelle distesa delle guance, in attesa della mia risposta. Quest'ultima scivola naturalmente dalle mie labbra, senza affrontare il confuso disordine della mia mente.
-Beh... George Martin è uno dei miei idoli adolescenziali. Vedevo in lui il creatore della musica, credevo quasi che essa non esistesse prima di lui. Con la sua cultura e talento ha guidato i più grandi compositori del nostro secolo e...-
Una risata gutturale lascia intravedere la sua bianca dentatura.
Tenta di ricomporsi con un timido colpo di tosse, che si confonde nella folla dei rumori prodotti dalla frettolosa popolazione londinese. Osservo incantata il profilo elegante del suo naso, illuminato dal sole che mostra orglioso uno dei suoi raggi oltre le mura di un appartamento. Trattengo una mano, desiderosa di sfiorare ingenuamente quel volto, la cui bellezza viene generosamente arricchita dai doni della natura.
Le sue parole distolgono i miei pensieri da quell'analisi minuziosa.
-Beh, tutto ciò non rende certo il vecchio George un giudice di bellezza.-
Indica con un cenno del capo la borsa dove ho riposto lo specchio. L'imbarazzo per i miei gesti vanitosi si insinua subdolo, la chiara intenzione di impedirmi qualunque reazione.
Sfodera un sorriso sincero, caldo e familiare come l'accento inglese degli indefessi lavori di cui sono attorniata.
Inclina il capo ed esclama, un'espressione sincera dipinta sulle labbra:
-Non hai nulla di cui preoccuparti, sei bellissima.-
Ricambio il suo sorriso, sistemando oltre l'orecchio una ciocca ribelle che insegue un'improvvisa raffica di vento, come un'amante affezionata.
Paul si introduce negli studi di registrazione con un vivace fischiettio. Rallento il passo, intenta a saggiare con la punta dei piedi il pavimento lucido e con gli occhi le pareti alte e spaziose. Queste ultime invitano la mia attenzione a perdersi nel loro candore. Dalle mie labbra schiuse sguscia un celere gemito incantato, il cui flusso tento di interrompere con una mano. Essa sosta per un istante sulla bocca, prima di scivolare lungo il fianco.
Oltre una lunga parete vetrata scorgo un uomo dai capelli chiari che corruga la fronte, intento a regolare l'acustica di alcuni strumenti.
-Sempre al lavoro, eh Martin?-
L'ironica domanda di Paul causa un movimento repentino al capo dell'uomo, la cui espressione stupita assume i morbidi connotati della serenità.
Strofina le mani e si avvicina a noi, permettendo alle rughe d'espressione di infittirsi sulla sua fronte già lievemente increspata dal tempo incalzante.
-Ehi, Paul, non ti aspettavo così presto. Hai avuto uno di quei tuoi lampi di genio che mi fanno impazzire?-
George Martin sorride incuriosito dal mio viso sconosciuto, sul quale si soffermano i suoi occhi. Concentra la sua attenzione sul mio abito, puntellando la punta della lingua contro la parete interna della guancia.
-Chi ho l'onore di conoscere?-
Tende la mano verso di me, i suoi lineamenti tesi in un'espressione ingenuamente maliziosa.
Il mio sguardo è rapito dai calli che tentano di celarsi oltre le pieghe dei suoi palmi. I solchi impressi nella sua pelle dalle corde della chitarra, imbracciata nei lunghi anni di lavoro, suscita una profonda ammirazione.
Scuoto le palpebre e alzo gli occhi, incontrando i suoi. Una balbuzie lieve altera le mie parole eccitate.
-Io... io sono Brianna Richards e... mi occupo di un progetto... giornalistico assieme... assieme al signor McCartney e...-
Deglutisco, la schiena coinvolta in un brivido freddo.
Quest'ultimo viene riscaldato dal tepore del braccio di Paul, avvolto attorno alle mie spalle. Le sue dita affusolate premono debolmente sulla stoffa dell'abito, irrigidendo le mie membra. Attira amichevolmente il mio corpo contro il suo, provocando un improvviso affanno al mio respiro regolare.
Sorrido timidamente al suo tentativo di soffocare in un abbraccio la mia vergogna all'incontro con George Martin.
Termina la mia frase con una sicurezza invidiabile.
-...ed è la creatrice del titolo per il nostro nuovo album, oltre che una tua grande ammiratrice.-
-Non credo di aver capito... hai trovato il titolo per l'album?-
-Non io, Brianna. Mi ha offerto il suo personale concetto di interpretazione della vita di un cantante attraverso i suoi componimenti, facendomi riflettere sulla nascita del nostro lavoro e conducendomi al titolo perfetto.-
Paul attende un istante, beandosi dell'espressione tanto confusa quanto sopresa del produttore.
Scioglie il mio busto dal suo abbraccio, permettendo al suo calore di disperdersi. Al contrario, trattiene le labbra, le palpebre frementi. George incrocia le braccia, spazientito.
La risposta a quel gesto stizzito viene offerta prontamente da Paul.
-Tug of War. Che ne pensi?-
Martin dirige l'attenzione prima all'amico poi a me.
-Sono certo che lo troverò più convincente se la signorina Richards me ne chiarirà l'origine.-
Inspiro profondamente prima di cominciare una titubante spiegazione. Martin mi osserva con particolare attenzione, gli occhi chiari che si soffermano sui tratti del mio viso prima di scivolare sulle gambe. Con quel repentino movimento oculare pareva desideroso di interpretare la mia personalità, accuratamente celata.
Attende pazientemente il termine del mio discorso, un'espressione soddisfatta sul volto, nel quale riconosco i ricordi di un passato glorioso.
Allarga le braccia, piacevolmente sorpreso.
-Le sue parole sono davvero interessanti Mrs Richards e sono felice che abbia deciso di mettere a disposizione la sua importante opinione. Ne faremo certamente tesoro.-
Giungo le mani davanti al mento, l'euforia travolgente lascia danzare le dita contro le compagne.
George condivide il mio sorriso spontaneo, accompagnato da un sospiro che colma lentamente il petto.
-Purtroppo non credo di sapere come ricambiare...-
Paul rischiara rumorosamente la gola, attirando l'attenzione dei presenti. La sua bellezza pare decisa a mostrarsi prepotentemente attraverso gli occhi, illuminati da un cenno di maliziosa consapevolezza che spodesta la mia razionalità.
Passa la lingua sulle labbra, incatendo il mio sguardo al suo.
Assaporo le sue parole che, come un unguento caldo, scivolano sulla mia pelle.
-Io avrei un'idea...-
 


_______

-Io...io non so davvero cosa dire, Paul, sono... bellissime!-
Brianna scosta i capelli dalla fronte, aiutata dal vento che non sembra intenzionato a liberare Londra dal suo possente abbraccio. Anche se caloroso e famigliare quest'ultimo dona un innaturale gelo alla stagione primaverile, che pare accontentarsi di rivolgere solo un timido saluto all'Inghilterra.
Sistemo il cappotto per proteggermi dalle fastidiose dimostrazioni d'affetto di quell'amico insistente. Rivolgo una rapida occhiata alla figura tremante di Brianna, le cui braccia sono avvolte attorno al corpo nel tentativo di trasmettere a quest'ultimo un po' di calore. Gli occhi ancora arrossati dalle lacrime di commozione vengono impietosamente flagellati dalle raffiche fredde. Sospira infastidita, le mani affaccendate sulle ciocche ribelli. L'apprezzamento per la sua ricompensa è ancora impresso sul suo volto raggiante. La mia decisione di farle ascoltare anticipatamente rispetto al pubblico le canzoni inserite nell'album, provocò in lei un risolino eccitato che non provò neppure a contenere. Riascoltando assieme a lei i miei componimenti ho preso la decisione improvvisa di lasciar assumere ad uno di essi lo stesso titolo dell'album, causando a Brianna un orglio senza eguali. "Here Today" ha impregnato il suo cuore di malinconici sentimenti e i suoi occhi di lacrime che hanno profanato il candore del suo abito.  Il ricordo di John è rimasto intrappolato per alcuni minuti nel suo pianto silente.
L'immagine di quell'uomo al quante ho dedicato la mia recente canzone si riflette ancora negli occhi lucidi della sua ammiratrice, che sembrano averne osservato personalmente i lineamenti duri e pronunciati. Differenti da quelli di Brianna, dolci e distesi, rivolti al cielo plumbeo, che lasciava scorgere a tratti alcuni raggi di sole. Essi prediligono il viso della ragazza, sul quale si adagiano, adattandosi al suo profilo. Non riscontro alcuna somiglianza con sua madre, la cui figura pallida e fragile mi ha ingenuamente ricordato quella coraggiosa e composta della ragazza del mio passato travagliato. Quella ragazza che ora sopravvive solo nei miei ricordi, così diversa da Brianna nell'aspetto eppure così simile nel rossore che, in epoche diverse, ha tinto le guance di entrambe dello stesso imbarazzo. Ma forse questa è l'espressione della vergogna femminile negli animi riservati.
Il nasino accetta passivo l'impetuosità del vento così come le mani raggrinzite.
Sussulta, permettendo ai capelli scuri di fluire nella modica scollatura dell'abito. La pelle perlacea del seno è percorsa da numerosi brividi che sembrano coinvolgere anche le mie spalle.
Deglutisco, preda di un anomalo desiderio che rifuggo immediatamente.
-Ti sono piaciute davvero?-
-Scherzi?! Sono meravigliose! Aggiungerò volentieri un altro dei tuoi album alla mia collezione...-
Abbassa il capo, incapace di sostenere il mio sguardo.
-Io credo... credo che i tuoi componimenti posseggano la forza prorompente della canzone e quella delicata della poesia. Non ho mai considerato in questo modo un cantante e... accidenti, probabilmente tutto questo sembrerà stupido ma... credo che le tue canzoni possano risollevare l'animo di chi le ascolta dalle sue naturali preoccupazioni... con me è accaduto...-
Assaporo con le orecchie la sua voce titubante e con gli occhi la sua espressione sincera. Il ricordo del padre, ancora costantemente presente nella sua mente, inumidisce gli occhi castani. Afferro dolcemente il suo mento fra le mani, il pollice poco lontano dalle sue labbra schiuse. Tento di infonderle tranquillità grazie a quella grande dote comunicativa che Brianna mi conferisce.
-Ora tocca a te risollevare il mio animo dalle sue naturali preoccupazioni, Brianna Richards.-
Lancio un'occhiata complice verso la borsa a tracolla, che riposa contro il suo fianco, dove è custodito il suo materiale lavorativo.
Sorride, deponendo temporaneamente le armi che da anni impugna durante la pressante lotta contro il passato.



_______

"è un onore per me avervi ospitati nel mio programma. Spero di ricervi ulteriormente in futuro. Oh, è stato tutto davvero perfetto: devo confessare che non mi sono mai divertito tanto! Per la prima volta da anni ho permesso a questa vecchia carcassa le gioie del ballo! E sulle note di 'Twist and Shout' per giunta! Accidenti, quanta grinta, quanta energia in quella canzone! Benedetta gioventù, è questo il mondo in cui voglio invecchiare! Un mondo in cui i giovani esprimono il proprio talento e i poveri vecchi come me possono permettersi il lusso di ascoltarli e rallegrarsi! Dico bene, ragazzi?-
Le parole inizialmenente intimidite del presentatore assumono un'euforia contagiosa che dopo alcuni istanti assopisce la mia mente, riducendola ad un raggruppamento informe di pensieri che non riesco a decifrare. Sorrido, fingendomi interessato, causando alcuni applausi sconnessi dalle ragazzine altrettanto confuse del pubblico che assumono atteggiamenti scomposti ad ogni mia parola.  Trattengo un sospiro causato dal soliloquio dell'uomo e rivolgo una silente richiesta d'aiuto ai miei amici, ognuno perso nei propri pensieri.
George soffoca una risata con la mano, con la quale finge di massaggiare la mascella.
Ringo alza gli occhi alle luci artificiali dello studio, così diverse da quella naturale del sole che ama assaporare nei giorni estivi. I suoi occhi azzurri mi osservano dai cartelli, sorretti con difficoltà da alcune ragazze, su cui sono stati riprodotti fedelmente in un disegno che tradisce però l'inesperienza del suo autore.
John lancia occhiate provocatorie alla valletta che attende il conduttore poco distante. La fanciulla schiude la bocca in un gesto malizioso, rimandando i bollenti desideri del giovane con un cenno discreto della mano che nessuno tranne me pare notare. John le risponde con un sorriso vittorioso.
Saluto garbatamente il presentatore e il pubblico che accoglie il cenno della mia mano con un boato. Mi dirigo oltre lo studio, seguito dai ragazzi.
-Una volta arrivato in albergo dovrò smaltire tutte le chiacchiere di quel tizio con un bella dormita.-
esclama George, tendendo le braccia oltre la schiena, nel tentativo di sciogliere le membra rattrappite.
-Credo che seguirò il tuo esempio, Geo.-
Ringo fatica a trattenere un sonoro sbadiglio.
-Io questa sera sono impegnato in faccende ben più importanti.-
-Fammi indovinare, Lennon: una donna?-
-Non credo che John considererebbe importante qualcosa che non siano le donne.-
-Taci, Starkey!-
-Allora dicci, Lennon, chi sarebbe la vittima?-
-Ho notato subito che la valletta del programma era il mio tipo e... beh, abbiamo scambiato qualche parola durante le pause pubblicitarie e... non ha saputo resistermi. Ci vediamo da lei alle nove. Sento che sarà una serata... sorprendente!-
Le ultime parole di John sono accompagnate dal fumo che scivola copioso dalla sigaretta che stringe fra le dita. Una risata sommessa vaga fra i ragazzi, senza coinvolgermi.
Le mie labbra serrate lasciano sfuggire un'unica frase.
-Non dovresti farlo...-
-Cosa?!- esclama John, i bei lineamenti stravolti dallo stupore.
-Non dovresti farlo, John. Insomma... Cynthia ti vuole bene e i tuoi continui tradimenti la stanno sfiancando. Non  riesci proprio a capire che il tuo comportamento potrebbe compromettere il tuo matrimonio?-
Aspira una boccata profonda, chiudendo gli occhi, assaporando quel piacere e forse immaginando quello di cui godrà presto.
-Il piacere è decisamente migliore dell'amore. La sua natura fuggevole lo rende paradossalmente più solido del matrimonio, la cui monotonia annoierebbe. è un'idea di quel tizio irlandese che ha passato la sua vita a decantare la bellezza in ogni sua espressione(1)... sei ancora piccola per capire principessa, ma vedrai che presto condividerai questo mio pensiero. Non c'è nulla di più appagante del peccato, fidati.-"

-Lo compresi presto, più in fretta forse di quanto John potesse immaginare. A causa delle sue parole trovai il coraggio di tradire Jane, non so in quale anfratto oscuro della mia coscienza. Probabilmente quello in cui non c'è posto per la razionalità, quello che viene sconvolto da una sensazione effimera che si diparte in ogni fibra dell'essere umano, impedendo qualunque ragionamento. Quella era una delle regioni della sua mente che John preferiva e che alimentava senza posa. Tradì Cynthia con molte donne ma una volta incontrata Yoko, riscoprì le meraviglie dell'amore e l'appagamento della reciproca fedeltà. Non lo vidi mai così felice come il giorno in cui mi fece conoscere Yoko. Nei suoi occhi brillava una luce diversa da quella maliziosa e sprezzante  che aveva indossato quel giorno in seguito alle riprese per quella trasmissione televisiva. Credo sia questa la grande possibilità che l'età adulta offre all'uomo; riflettere sui propri errori ed affrontare la vita in modo diverso. John ha saputo cogliere quest'opportunità a differenza di molti altri.-
Paul pare rivolgere le proprie parole a un grande pino che ci osserva insofferente ad un'estremità del parco nel quale ha desiderato condurmi. Il vento si è placato e il sole sembra reclamere i propri diritti sulle nubi dense e scure. La tranquillità del luogo in cui Paul ha deciso di proseguire l'intervista viene interrotta soltanto dal cinguettio di alcuni passeri che lasciano saettare la loro figurina scura e minuta nel cielo. I movimenti concitati delle ali vengono attentamente osservati dagli occhi sgranati di alcuni bambini, le cui bocche paiono eternamente atteggiate ad un'espressione stupita.
Lancio un'occhiata furtiva al registratore che ho tentato di sistemare sulla panchina. La sua notevole mole non infastidisce affatto i nostri corpi, seduti compostamente.
Accavallo le gambe e trascrivo gli ultimi appunti riguardanti lo sguardo vacuo che il cantante rivolge al paesaggio, con cui arricchire il mio lavoro.
Ricevo con un gemito sopreso il calore improvviso del sole, inarcando le sopracciglia.
Incrocio le braccia sul petto e osservo con un sorriso amaro un bimbo rincorrere un pallone, seguito dalle carezze premurose di una donna formosa.
-La vita è stata davvero crudele con John; gli ha donato la possibilità di trascorrere pacificamente un'esistenza, alla quale il destino stesso ha posto fine così bruscamente.-
-La vita è stata generosa con me, ma attendo all'erta uno degli inganni tipici della sua natura infida.-
Spengo il registratore, inserendolo nella borsa assieme al plico di fogli che ho trattenuto in grembo.
 Inspiro avidamente il suo profumo, prima di rialzarmi.
-è così bello qui...-
Esclamo con un sospiro sognante, scuotendo le spalle.
-Una piccola isola tranquilla nel vasto oceano londinese...-
replica l'uomo con un sorriso.
Un gridolino acuto smuove i miei pensieri sereni, occupando interamente la mia attenzione. Mi volte repentinamente verso il luogo della sua provenienza. Una signora dalle curve pronunciate quanto il naso importante sul quale troneggia un paio di occhiali, copre la bocca con le mani, un'espressione eccitata sul volto.
Deglutisce rumorosamente, il volto impietrito dall'emozione, a eccezione delle mani che tentano di ordinare i capelli cotonati. Indica Paul con l'indice ossuto, una risata smorzata nella gola.
La voce arrochita della donna articola alcune parole stupite.
-Ma... ma lei.. lei... McCartney... Paul... Paul McCartney!!!-
La gioia della signora è espressa da una breve corsa nella nostra direzione, il respiro affannato interrotto da alcune parole concitate.
-Oh mio Dio! O... mio... Dio!!! Lo sapevo, lo sapevo io che prima o poi l'avrei incontrata, Sir! Ma non credevo in un posto come questo... credevo piuttosto in uno dei suoi favolosi concerti... A quando il prossimo?! Spero sarà vicino a Newcastle, il mio luogo d'origine... sa, sono qui solo per una vacanza nella quale non avrei mai creduto di imbattermi in lei! Proprio lei! Deve sapere che da ragazza...-
La donna ignora la mia presenza, il volto accaldato e le labbra rosse.
Recupero la borsa a tracolla e mi allontano discretamente, permettendo all'ammiratrice di prendere il mio posto e osservo per un istante la scena, cercando di guadagnare un istante di silenzio per salutare Paul. Ma le parole della signora paiono come un fiume in piena pronto a colmare con il loro sentimento gli occhi improvvisamente luminosi del cantante.
Scruto il volto di Paul, che annuisce malinconico ai precisi ricordi della donna riguardo la sua carriera passata.
Il sorriso orgoglioso di Paul incontra il mio, timido e quasi impercettibile.
Strizza l'occhio verso di me, con aria complice, un saluto particolare che scuote quel mio desiderio profondo, al quale non permetto di emergere. Mordo il labbro inferiore, lusingata da quell'attenzione e mi dirigo verso l'uscita del parco. La voce dell'ammiratrice di Paul raggiunge ancor più infervorata le mie orecchie, sovrastata soltanto dagli schiamazzi di alcuni ragazzini che osservano con avidità un  pallone che pare celare il segreto delle loro gioie puerili.


(1)Trattasi di Oscar Wilde, uno dei più grandi esteti del XIX secolo, nonchè uno dei miei maestri letterari.



Angolo autrice:
Ciao bellissime!
Allora, che ne pensate del nuovo capitolo?
Anche in questo il rapporto fra i nostri protagonisti pare consolidarsi ed entra in gioco un'attrazione fisica evidente. Da parte di Brianna (come disse una mia lettrice che saluto con un forte abbraccio) è anche comprensibile. Chi non proverebbe un improvviso arresto cardiaco di fronte a Paul? A mio parere Bri sta sta resistendo persino troppo... XD
Ma Paul... beh, lascio a voi la possibilità di scoprire il suo futuro atteggiamento nei confronti di Bri.
L'intervista prosegue e devo dire che sono piuttosto soddisfatta del mio lavoro in questo capitolo. In esso ho voluto lasciare indossare a John i panni di un cinico Lord Henry (chi ha letto "Il ritratto di Dorian Gray" mi capirà :D) che trova redenzione nel futuro.
Grazie ancora a tutte per il supporto.
Peace&Love
Giulia


Ps: devo informarvi che la prossima settimana non potrò pubblicare, in quanto riceverò a casa una ragazza americana per l'home stay. Probabilmente potrò postare solo fra due settimane. :\

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La proposta ***


Hey, ragazze!

Sono finalmente tornata, con un po’ di amarezza a causa della mia deludente esperienza riguardo l’home stay ma con un grande desiderio di soddisfare le vostre aspettative con questo mio nuovo capitolo.

Anche questa volta l’intervista procede senza intoppi ma Brianna rivolgerà a Paul una richiesta… particolare.

Vi lascio con un ringraziamento speciale; se sono arrivata fino a qui lo devo soprattutto a voi, lettori indefessi, che non vi siete ancora annoiati della mia storia. Grazie per tutto!

 

 

 

 

 

Londra      Maggio 1981

 

“-Allora che ne pensi, John? Potrebbe funzionare?-

L’estremità ricurva della matita delinea il profilo delle mie labbra condotta dalle dita, impegnate in un gesto pensoso. Esso è l’unica espressione dei miei pensieri confusi che rifuggono l’attenzione di John, il quale tenta di coglierli oltre il velo opaco che si dipana sui miei occhi. Questi ultimi vagano incerti sul foglio che riposa sul mio grembo, riconoscendo senza difficoltà in quelle parole vergate rapidamente il sentimento con cui sono state realizzate.

Nella mia mente una melodia incorporea predomina fra i pensieri, cullando le strofe ancora acerbe e prive di un giaciglio musicale sul quale riposare.

Una piacevole brezza increspa la superficie dell’acqua, accompagnandola placidamente lungo i bordi della piscina. Lo stesso venticello pare intenzionato a sedurre i miei capelli, da esso sospinti. L’aria tiepida riserva maggior accuratezza al capo di John, che carezza pazientemente. Le sue ciocche scure scivolano sul profilo pronunciato della fronte distesa, oltre la quale alcun pensiero pare agitarsi. Gli occhi schiusi fremono debolmente a causa del sole impertinente, che costringe le palpebre di John ad abbassarsi repentinamente su quel cielo turchino, oggetto dell’attenzione del ragazzo. Egli inarca la schiena, incontrando con le spalle il legno resistente della sedia, sulla quale abbonda fiaccamente le proprie membra con un sospiro.

Ripropongo il suo gesto, imitandone ironicamente l’indolenza.

-Il tuo contributo è davvero prezioso, Lennon, ti ringrazio.-

John porta una mano alle tempie, ripercorrendo poi con le dita la curva del naso e massaggiando gli angoli degli occhi.

-Scusami, Paul, non ti stavo ascoltando…-

-Me ne sono accorto. Dovresti farlo, sai? Dobbiamo pur produrre qualcosa per il nostro album e avrei bisogno del tuo parere sui miei testi, se non ti dispiace…- La mi lieve irritazione traspare dalla voce, che ristabilisco con un rapido colpo di tosse.

John deglutisce, reclinando il collo verso lo schienale, il mento rivolto alle nubi che paiono ignorarlo. Invidio la oro indifferenza verso quel volto incantevole proteso verso di loro.

Un sospiro insoddisfatto scorre oltre le sue labbra sottili, gonfiando le gote rosate. Scaccia con un movimento stizzito della mano la mia protesta.

-Accidenti McCartney! Sì, lo so, lo so perfettamente! Il fatto è che adesso… adesso non riesco a concentrarmi su nulla che non sia la mia fottuta situazione!-

John irrigidisce la mascella, in cui il nome di Cynthia pare irrimediabilmente intrappolato assieme a quelle parole d’amore che da tempo John non rivolgeva più alla moglie. Le urla frustrate di quest’ultima paiono ridondare nei ricordi del ragazzo, così inopportuni da costringere il proprio padrone a scuotere severamente il capo. Mi avvicino a lui, tralasciando la ruvidezza dei miei appunti per abbandonarmi alla carezza della sua mano morbida e affusolata. Questa, artigliata al bracciolo, sembra intenzionata ad impedire al corpo di John di essere travolto dalla tempesta di emozioni che lo travolge. Mi inoltro cautamente in quella bufera, percependone l’irruenza attraverso il respiro smorzato di John, sovrastato dal mio.

-Mi dispiace, John. Sai bene quanto il tuo… il tuo divorzio mi addolori ma…dobbiamo lavorare. La musica ti ha sempre aiutato, perché non dovrebbe farlo ora?- Il mio sorriso incoraggiante non coinvolge la sua bocca, incurvata in un’espressione insoddisfatta.

-Perché non riesco a sentirla! Non riesco a percepirne la forza e la vibrazione acuta che percorre il mio corpo. Perché nella mia mente non trovo spazio per le mie melodie ma soltanto per le carte della separazione che Cyn mi ha promesso di inviare al più presto! E Julian? Che ne sarà del mio bambino? Sono stato un’idiota ad innamorarmi di Yoko, Paul, un idiota!-

Percorre con le dita i capelli sudati, alzandosi dalla sedia, le gambe affaticate reggono a malapena le sue membra spossate.

Sfioro con la mano la sua spalla fremente.

-Hai fatto ciò che ti suggeriva il cuore, John? Tu ami Yoko, non è vero? Allora devi assumerti le responsabilità che questo tuo sentimento scaturisce.-

-Io non voglio responsabilità, Paul! Io vorrei tornare ad essere il piccolo delinquente che si aggirava per le strade di Liverpool  e non aveva nessun matrimonio da salvare, nessun figlio da crescere, nessuna amante da sedurre e nessuna carriera da mantenere invidiabile! Io vorrei…-

Si rischiara la voce che mantiene la sua rochezza.

Distinguo in quegli occhi che mi osservano con attenzione una profonda e rabbiosa malinconia, tipica di un uomo viziato che riconosce amaramente l’irremovibilità del passato, il quale non cede neppure al suo volere.

-Vorrei poter tornare a Liverpool e rivivere almeno per un giorno quell’adolescenza spensierata, prima di affogare nuovamente nel presente.-

Appoggio il mento sulla sua spalla, percependo la stoffa aderente della sua camicia, sbottonata sul petto. I lembi del tessuto assecondano i capricci del vento estivo.

-Che ne dici di tornare a Liverpool, una volta terminato l’album? Forse l’aria familiare della nostra città aiuterà i tuoi pensieri a sgomberare la mente. E chissà se, per un giorno, non potremmo tornare gli adolescenti scapestrati di un tempo?-

Ricambia la mia occhiata complice con un sorriso amichevole, che rivela la dentatura candida e regolare. Sfrego amorevolmente il naso contro il suo collo, provocando nella sua gola una risata gutturale che scuote le mie membra.

-Grazie, principessa.-

Volta il capo verso di me, mentre offro un’affettuosa pacca sulla sua schiena possente, improvvisamente in grado di sopportare il peso della vita che grava su di essa.

Recupero i fogli degli appunti dalla sedia e li porgo a John con un’espressione ironica che si riflette sui suoi lineamenti.

-Ora che ne dici di aiutarmi con la canzone?-“

 

-E hai mantenuto la tua promessa?-

-Non ci sono riuscito. A volte le incombenze della vita non permettono la realizzazione di simili progetti. Quell’anno il successo provocato dalla pubblicazione di “Revolver” occupò appieno le nostre giornate e la nostra mente. Quest’ultima risultò talmente affollata da relegare in un anfratto remoto quell’antica promessa fatta a John, il quale l’anno dopo divorziò ufficialmente da Cynthia. Il suo orgoglio gli impedì di rammentarmi l’impegno assunto con lui in quel giorno di Giugno ai bordi della piscina nella sua casa a Weybridge. Credette di poter sopportare le sue delusioni famigliari da solo e fu certo di esserci riuscito. Chissà, forse accadde davvero. Non sono mai riuscito ad esplorare appieno la mente di quell’uomo dalle idee così limpide e cristalline e i pensieri cotanto ombrosi.-

Spengo il registratore, avvertendone il calore vibrante oltre la superfice fredda. Sfioro i tasti con i polpastrelli mentre lo strumento pareva rilassarsi al contatto con la mia pelle, come un ascoltatore attento al termine di un’importante conferenza. Alzo  gli occhi su Paul, il cui sguardo pare attratto dalle tende, fruscianti contro la finestra del suo studio. Passa una mano fra i capelli, come a saggiarne la morbidezza , rivolgendomi uno di quei sorrisi che alleggeriscono il mio cuore da ogni sentimento, popolandolo di un desiderio tanto vorace quanto peccaminoso.

Schiudo le labbra quando il lieve sospiro del vento smuove le sue ciocche ambrate conducendole sulla fronte aggrottata, come guidandole in un’incoraggiante carezza verso quel capo colmo di ricordi.

Lascio scorrere la matita sulle pagine riposte in grembo, intenzionata a rapire l’immagine meravigliosa del suo viso sulla carta attraverso parole frettolose e scomposte.

Porto una mano al mento, senza distogliere gli occhi da quelli di Paul, che ricambiano il mio interesse, incuriositi.

Assecondo il rossore vergognoso che mi imporpora le guance , abbassando il capo, mentre permetto ad una acerba idea di maturare nella mia mente.

-Qualcosa non va?- Esclama con gradita premura, la voce melodiosa che irrompe nel silenzio dello studio. Raccolgo i capelli dietro le orecchie, umettando le labbra con la punta della lingua mentre Paul segue attentamente i miei gesti con gli occhi.

-Nulla, stavo… pensando che…- deglutisco, visibilmente imbarazzata. Tale disagio viene attutito dalla flebile carezza delle mani di Paul, timidamente intrecciate con le mie. Un raggio di sole sfiora silenzioso le sue dita, come un impacciato ammiratore, avvolgendone la pelle in un caldo abbraccio.

-Pensavi cosa?-

-Pensavo che… forse potresti ancora mantenere quella promessa…-

Reprimo un gemito infastidito nell’istante in cui adagia il corpo allo schienale della poltrona, liberando i miei palmi dalla sua piacevole stretta. Le sue mani ora sono impegnate nel massaggio pensoso della mascella.

-Cosa intendi dire?-

Ripongo il plico di fogli nella borsa e scuoto le spalle.

-Insomma, credo che… che una gita a Liverpool potrebbe liberare la tua mente e aiutarti a ricordare più dettagliatamente  la tua adolescenza trascorsa con John, episodi con i quali poter arricchire l’intervista. E potresti portare con te John in quel luogo dove avevi promesso di condurlo, anche se non fisicamente. Credo che John lo apprezzerebbe.-

Il suo volto si adombra e le sue labbra articolano parole incomprensibili. Solo alcune frasi giungono chiare alle mie orecchie.

-Io… non credo di riuscirci… Liverpool… in quella città ho troppi ricordi di lui e… non sono certo di riuscire ad affrontarli….-

Si avvia verso la finestra, liberando il collo dalla morsa che i primi bottoni della camicia effettuano sulla pelle. Il respiro diviene affannoso e la pelle sudata  riluce contro il sole.

Lo raggiungo intimorita dalle emozioni che sconvolgono i suoi lineamenti. Stringo le mani a pugno lungo i fianchi mentre la sua fronte si increspa come le pieghe del mio abito sui fianchi.

Alzo il mento ed esclamo:

-Credo che lui vorrebbe che il suo ricordo venisse affrontato. Non credo che seppellirlo farebbe scemare il dolore. Tornare a Liverpool sarebbe molto importante per la nostra intervista e anche per te stesso. E forse ritornare per un istante l’adolescente di un tempo potrebbe aiutarti a superare il tuo dolore proprio con la stessa efficacia con cui speravi accadesse a John.-

Paul volta il capo verso di me, i capelli scivolano indisturbati sulla spalla.

La fronte si incurva accompagnata dalle sopracciglia scure, che gravano sugli occhi grandi. Le labbra carnose e schiuse paiono intenzionate a lasciare sfuggire parole malevole riguardanti la mia presunzione. La consapevolezza del mio comportamento arrogante colma i miei occhi di lacrime e la mia mente di un rimorso sottile ma affamato di qualunque altro mio pensiero. Sospira, il suo rimprovero ormai prossimo riempie i polmoni e sarebbe scivolato attraverso il respiro se non fosse intervenuta la mia voce, lieve e arrocchita, velata di riconoscibile pentimento.

-Io… mi dispiace tanto, non avrei dovuto imporre il mio pensiero così, io…-

Recupero la borsa e mi avvio verso l’uscita accompagnata da una personale considerazione che Paul ode chiaramente.

-Non imparerò mai…-

-Brianna.-

Il suo richiamo mi costringe a voltarmi mentre il labbro sanguinante diviene preda dei miei denti.

Riconosco con difficoltà il sorriso di Paul attraverso il velo di lacrime che si dipana sui miei occhi. Il suo volto offuscato dalla mia tristezza rivela la sua serenità che accolgo con un gemito sorpreso.

Sobbalzo indispettita quando le sue dita asciugano e mie lacrime e premono sulle mie gote rosee.

Assaporo le sue parole confusamente grate, così diverse dal rimprovero che ho atteso con cotanta preoccupazione.

-Se quella che tu definisci immodestia mi dona consigli così saggi ti prego di non imparare mai ad essere opportuna.-

Una pausa ricca di sottintesi che forse solo io ho colto.

-Grazie, Brianna-

 

 

 

_________

 

I miei polpastrelli aggrediscono i tasti del pianoforte che cedono blandi alla pressione delle mie dita. Chiudo gli occhi mentre la musica rapisce i miei sensi, ammaliando la mia voce, che articola le parole della mia nuova canzone. Essa produce un brivido lungo la mia schiena simile a quello causato dallo sgradevole vento che spesso imperversa su Liverpool. Il profilo di quella città provoca in me una sensazione spiacevole, che riconosco come rimpianto simile a quello che la sola immagine di lei mi scaturisce.

Il rimpianto di non aver trascorso tutta la mia gioventù a Liverpool con John.

Il rimpianto di non averlo ricondotto in quel luogo che desiderava visitare nuovamente con me. Con quell’amico che ora teme persino il suo ricordo. Quest’ultimo scivola dalla mia mente per accorparsi alle note che saturano il salone. La melodia e la figura incorporea di John che danza sulle note da me prodotte si affievolisce, soffocata da un altro suono, reale e concreto. Esso mi riscuote a fatica da quell’improvvisa fantasia, divenuta la culla dai miei pensieri.

Alzo gli occhi sul corpo di Linda, adagiato allo stipite della porta, le braccia conserte sul petto e in volto un’espressione sodisfatta che neppure gli anni trascorse con lei mi hanno insegnato a decifrare. La combinazione adatta a rivelare la cassaforte delle sue emozioni risiede in quell’ambiguo sorriso che non riesco a decifrare. Mi abbandono a quella mia incapacità, strabuzzando gli occhi incuriosito.

-A cosa devo tutta questa allegria?-

-Ad una meravigliosa notizia.-

Linda si avvicina a me, puntellando l’interno della guancia con la punta della lingua.

-Anche io ho una notizia da darti.-

-Prima io.-

Esclama, una gioia puerile negli occhi. La stessa ingenuità viene riproposta dalle efelidi, che subiscono passive la luce artificiale delle lampade. Tale innocenza viene profanata da un gesto malizioso che conduce il corpo di Linda a cavalcioni sul mio. Le sue mani intrappolano le mie braccia oltre la schiena e il mio volto viene scandagliato dai suoi profondi occhi scuri.

Così simili a quelli di Brianna…

Le parole di Linda scacciano quell’istintivo raffronto.

-Una nota direzione giornalistica inglese aveva urgente bisogno di una fotografa esperta e dalla fama invidiabile a cui affidare un servizio musicale poco lontano da Londra. Indovina a chi è stato affidato l’incarico?-

La mia attesa della risposta fu soddisfatta a breve dal tono concitato di Linda.

-Alla tua splendida mogliettina! Sono stata contattata oggi pomeriggio da un uomo distinto che, nonostante fosse al corrente del mio mancato esercizio della professione in questo periodo, necessitava di una fotografa famosa e affidabile in quanto l’importanza del suo prossimo servizio risulti notevole. Mi ha promesso un lauto compenso se mi presenterò alla redazione nel fine settimana. Mi ha promesso che l’incarico comincerà venerdì e occuperà solo pochi giorni e si è scusato enormemente per aver disturbato “la signora McCartney”. Io ho accettato ovviamente! Ero certa che il mio dolce consorte non avrebbe avuto nulla in contrario, non è vero?-

Linda libera un bacio sul mio naso, esplorando con le mani i miei capelli. Le sue dita sulla mia pelle fremono di un’eccitazione che non stento a riconoscere.

Inarco le sopracciglia, piacevolmente sorpreso prima di esclamare:

-La tua fama non si è affievolita con il tempo, amore. Sono davvero felice di sapere che le gradi Stampe contino ancora su di te.-

-Non ti mancherò neppure un po’?- sussurra al mio orecchio, una malizia inusitata nella voce roca. Cercai inutilmente all’intorno i panni materni svestiti rapidamente da Linda, ansiosa di indossare quelli intimi e passionali della moglie che aveva riposto accuratamente da parecchio tempo. La donna adagia le labbra umide sul mio collo, senza provocare in me l’usuale fremito causato dai suoi baci caldi. La mancata reazione del mio corpo mi indispettisce, costringendomi a rispondere alla sua ambigua domanda.

-Almeno il momento della nostra separazione sarà più facile da sopportare in quanto venerdì pomeriggio non dovrò affrontare la malinconia di una casa priva della tua incantevole presenza.-

Linda fissa gli occhi dei miei, scuotendo le ciglia, nell’impaziente attesa di un chiarimento. I capelli chiari ricadono diligentemente sul seno, che si muove affannosamente. Tale respiro affaticato è prodotto dalla bocca, scarlatta quanto le guance e protesa verso di me.

-Brianna mi ha proposto una gita a Liverpool venerdì pomeriggio, con lo scopo di arricchire l’intervista.-

Una preoccupazione quasi materna si insinua nella maschera sensuale del suo viso, una famigliare e gradevole intrusa.

-Sei sicuro di farcela?-

Massaggia le mie spalle con le mani, con la stessa energica cautela che si offre alla guarigione delle ferite infantili.

Ma la mia ferita non è affatto così superficiale e temo che le carezze di Linda non possano giungere a lei.

Annuisco con aria grave:

-Sì, credo proprio di sì. Forse è giunto il momento di affrontare il ricordo di John.-

-Sono felice che Brianna ti abbia convinto ad una decisione così importante per te...-

Avvicina il capo al mio, insinuando le mani oltre la camicia.

-Ma dimmi, McCartney… dovrei forse essere gelosa di questa giornalista giovane e bella?-

Apro la bocca per rispondere ma non riesco a formulare una rassicurazione a quell’ironica preoccupazione. Mi limito a sorridere, percependo la pelle del mio petto, una volta libera dalla camicia, incontrare l’aria fredda del salone con la stessa irruenza con cui molto presto la mia mente affronterà l’antica immagine di John.

Dopo alcuni istanti riesco a pronunciare alcune incerte parole.

-No… certo che… che no…-

Le mani di Linda indugiano sulla cintura dei miei pantaloni mentre le sue parole colme di desiderio raggiungono le mie orecchie stanche.

-Allora dimostramelo, James Paul McCartney…-

 

 

 

 

Angolo autrice:

Ciao a tutte, miei tesori!

Prima di salutarvi volevo fare una piccola nota di fine capitolo: l’incarico di Linda non è mai esistito, è soltanto frutto della mia fantasia, utile alla giusta prosecuzione della trama già in buona parte conosciuta dalla mia dolcissima Giu (più comunemente conosciuta come _SheLovesTheBeatles_) che mi ha estorto le informazioni :D

Un bacio a tutte, attendo con ansia le vostre recensioni!

Peace&Love

Giulia

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Here There and Everywhere ***


Ciao a tutte!
 Sulle note di Max Pezzali ho realizzato il diciottesimo capitolo, in cui i sentimenti di Brianna e Paul divengono i protagonisti.
Spero di essere all’altezza di affrontare un sentimento così grande come una nascente affezione.
Un grande bacio e un ringraziamento a tutti coloro che hanno ancora voglia di seguirmi in questa avventura!


Liverpool      Maggio 1981

Il fruscio del vento pone sul mio viso una carezza prepotente ma dolce, simile a quelle che le madri preoccupate adagiano sul viso dei bimbi capricciosi. Quelle raffiche brucianti infastidiscono i miei occhi lacrimosi, che producono un velo opaco attraverso il quale la vita scorre placida. Ho avvertito la familiarità dei passi concitati dei lavoratori, diversi dalle frasi appena accennate dalle anziane signore che sono giungte abbozzate alle mie orecchie. Ho assaporato quei suoni fievoli, la cui fuggevolezza ha impedito una sosta considerevole nella mia memoria. Essa è stata costantemente rimpinguata dai rumori umani, ansiosi di arricchire i miei pensieri. Il cicaleccio cittadino ha tentato ingenuamente di imporre la sua presenza prima di cadere preda del vorace rollio degli pneumatici. Essi scivolano leggiadri sull'asfalto, rapide ed eleganti gambe di quella moto che procede orgogliosa, riflettendo sui sedili i raggi del sole che riscaldano il mio corpo. Esso si flette ricurvo sulla schiena di Paul, la cui rassicurante ampiezza ricorda quella del cielo turchino che ci sovrasta. Il vento disgrega prepotentemente le nuvole dal loro affettuoso abbraccio mentre uno stormo di uccelli assiste a quel malinconico allontamento con uno stridio acuto che ferisce temporaneamente le mie orecchie. Abbasso istintivamente il capo verso le spalle di Paul coperte da un capiente giubbotto che pare disdegnare il suo ruolo; tale indumento infatti permette senza alcuna protesta alle raffiche ventose di condurlo verso di me. La stoffa si colma fieramente d'aria, come le guance di un bimbo in procinto di spegnere con la sola forza del suo fiato le candeline sulla torta di compleanno. Ma il corpo di Paul pare negare doverosamente la libertà al giubbotto, che si appiana sulla pelle dell'uomo. Osservo con attenzione quei movimenti, assecondati dalle mie mani adagiate pudicamente sui fianchi di Paul. Nonostante il sostegno fosse il fine di quella carezza, esso viene ben presto dimenticato dalla mia mente, impegnata a saggiare con la fantasia la morbidezza delle membra di Paul. Esse fremono a causa del contatto con la moto, altrettanto vibrante. Il motore coinvolge in mio corpo in un inatteso sobbalzo causando l'aumento istintivo di quella timorosa stretta. Percepisco la nervosa tensione dei suoi addominali, efficamente trasmessa alle mie dita che, timorose della reazione del corpo dell'uomo che sfiorano, mantengono la loro posizione contratta.
Inspiro profondamente il profumo della sua pelle che l'aria infida trasmette ai miei polmoni, assieme al profondo desiderio che provoca in me. Protendo le labbra verso il suo collo, ammaliata da quell'essenza mascolina e irriverente, simile alla sua risata che ridonda nei miei ricordi. La consapevolezza del mio gesto avventato frena la mia bocca famelica, che ritraggo silenziosamente. Placo la volontà di inclinare il capo sulla schiena di Paul, l'orgoglio pressante sulla mia tentazione.
Chiudo gli occhi, cullata dal rombo della vettura e dalla voce stridente dei gabbiani che sostituisce naturalmente quella garrula dei passeri. Il cinguettio festoso di questi ultimi viene ulteriormente sovrastato dallo scroscio insistente delle onde che si infrangono sugli scogli. La scarsa fauna marina che li popola si dirige frettolosa verso il mare, poichè minacciata da incombenti cirri che oscurano il cielo inglese. Esso, ormai avvezzo a tale spiacevole visita, accoglie passivamente le nubi scure, foriere di alcune gocce di pioggia che macchiano i nostri caschi.
Schiudo gli occhi, fino a quel momento tenuti serrati a causa del vento impetuoso e del pentimento per quella mia tanto inusitata quanto profonda voglia che mi ha assalita.
Osservo i sobborghi di Liverpool dispiegarsi alla mia vista, mostrando le forme generose delle imbarcazioni attraccate al suo porto. I remi scivolano nell'acqua scura, come le mani di una donna stanca abbandonate fiaccamente oltre il letto sul quale riposa. Le onde cullano quelle lignee dormienti, infrangendosi lungo i loro fianchi, in un'inutile tentativo di risveglio. Le barche accettano indifferenti quelle carezze, le prue rivolte alla città, come atteggiando il legno inanimato ad una posa altezzosa. Essa pare causata dal profilo della città, che accetta pudicamente quell'inesistente interesse. Il sole pallido offre il suo bacio affettuoso sia alla modesta guglia dell'unica chiesa che alle ruvide tegole delle case. Da esse alcuni comignoli rivelano la loro presenza per mezzo di alcuni sospiri di fumo, rilasciati in un cielo altrettanto plumbeo.
La moto rallenta progressivamente la sua corsa, come ammaliata anch'essa dal timido incanto di quella provincia, la cui tranquillità non viene profanata dai caotici rumori cittadini.
Saggio con la punta dei piedi il selciato, riconoscendone la pietra resistente sulla quale si affacendano i passi dei paesani.
Paul libera il capo dal casco che, durante le ore di viaggio, ha fatto prigionieri i suoi capelli che esprimono la loro gratitudine attraverso una danza frenetica condotta dal vento. Anche le mie ciocche corvine, deludenti ballerine, tentano di imitare quelle leggiadre movenze, ottenendo risultati assai poco aggraziati. Le mie dita si impegnano inutilmente a districare quella chioma aggrovigliata che si avvicenda sulla mia fronte. Essa rabbrividisce al contatto con il palmo freddo dell'uomo, che la carezza amorevolmente. I suoi polpastrelli si incuneano lungo la curva dei miei lineamenti, assaporando al tatto la mia pelle ruvida.
Gli occhi chiari di Paul rapiscono i miei, incatenandoli al loro sguardo. Mi beo di quella piacevole prigionia che scuote i miei sensi, privandoli di qualunque reazione. L'unica iniziativa del mio corpo riguarda il respiro, che colma il mio petto e scivola oltre le labbra.
Sorrido di quel tenue refolo di fiato, causato dalla presenza di un uomo sposato, il cui interesse è riservato unicamente alla famiglia e alla carriera. Il destino non ha riservato un anfratto per la mia persona nella vita di Paul. Il mio ingenuo desiderio verso quell'uomo alimenta inconsapevolmente la mia tristezza per quella privazione.
Nonostante tale consapevolezza un brivido percorre il mio corpo all'udire la sua voce, pura a differenza delle mie fantasie.
-Il vento di Liverpool fa sempre questo effetto.-
Esclama, tantando di rabbonire i miei capelli selvaggi con la mano, accompagnando quel gesto con una risata sinceramente divertita. Esse spegne d'improvviso la propria allegria; di quest'ultima soltanto un ricordo sulle labbra schiuse di Paul, rivolte alla città che pare ricambiare il suo sguardo incuriosito. Le case accolgono con indifferenza quel visitatore, non imitate dei paesani, che indirizzano le loro occhiate stupite nella nostra direzione.
Abbasso il capo, scacciando quei pensieri peccaminosi che non accennano a dileguarsi, assecondando il rossore che imporpora le mie guance. L'ombra di tale dimostrazione d'imbarazzo pare oscurare per un istante anche la mascella di Paul, improvvisamente rigida e sollevata verso le mura di Liverpool.


 ________

"-Ehi, Lennon!-
Esclamo alzando una mano nella sua direzione.
Ricambia il saluto, scuotendo distrattamente la sigaretta che stringe fra le dita ossute. Esse carezzano pensose la parete della sigaretta, con un'accuratezza che non ricordo abbia riservato ad alcun altro. L'oggetto delle sue premure sprigiona una voluta di fumo che vela il volto di John di una serietà grave, simile a quella dei poeti italiani. I ritratti di questi ultimi riposano in quei libri che sobbalzano nella cartella, non ancora aperti sui banchi di quella scuola che oggi non godrà della mia presenza. La stessa primavera che tanto ha inebriato le ragazze costringendole ad indossare quelle festose gonne colorate, mi ha sedotto con le sue promesse di libertà, così diverse da quelle assai meno nobili sussurate dalle pareti dell'istituto scolastico.
Il mio gradevole fischiettio viene interrotto dalla figura di John, mollemente adagiata contro una parete dalla scarsa altezza, dalla quale le sue gambe cadono penzoloni simili a quelle di un bambino alla ricerca del riposo in seguito ad ore di divertimenti. Ma il viso di John non possiede quella spossatezza puerile, bensì la severa delusione degli adulti. Di quegli uomini, le cui emozioni si avvicendano sui suoi lineamenti, John possiede soltanto la voce arrochita e profonda, il generoso dono dell'adolescenza di cui io non posso ancora fregiarmi.
Mi avvicino a lui, senza smuovere affatto il suo interesse.
Una sola frase pare rivolta a me:
-McCartney! Credevo che uno zelante scolaro come te fosse riverso sui banchi di scuola.-
Sorrido della lieve ironia che colgo nella sua voce e mi affianco a lui. John porta nuovamente la sigaretta alle labbra, contraendo quelle dita che il pomeriggio precedente ho ammirato scivolare sulle corde della chitarra. Ma oggi i suoi gesti paiono aver perduto ogni eleganza per lasciare spazio ad una sensazione di disinteresse.
-Potrei dire lo stesso di te. Che ci fai fuori da scuola? Il preside si è nuovamente stancato di te?-
La sua reazione al mio sarcasmo, notevolmente diversa dalla mia, provoca un irato rossore alle sue gote e all'estremità della sigaretta.
-Non voglio sentir nominare quel figlio di puttana!-
-Che ha osato fare al nostro Lennon? Rivolgergli la parola?-
Esclamo, rivolgendo la mia domanda maliziosa alla scarsa pazienza di John, che caratterizza da tempo i dialoghi risentiti delle anziane comari di Liverpool.
-Magari si fosse limitato a quello! Mi ha espulso, quel bastardo! Espulso! E per cosa?! è stato così vigliacco da non dirmelo neppure in faccia! Si è limitato a sibilare: "lei sa perfettamente ciò che ha combinato, signor Lennon". Cosa avrei combinato di così terribile da essere espulso?! Sentiamo! Probabilmente si tratta di quel frocio di Cunningam! è stato lui a provocare quella rissa e sono certo che è stato così idiota da spifferare tutto al preside. E quel vecchio rimbambito ha preso provvedimenti! Ma non verso quello stronzetto di Cunningam, oh no! Verso John Winston Lennon il bullo della scuola, che miete vittime senza posa! Ma per piacere!-
John aspira una lunga boccata di fumo prima di osservare indispettito la sigaretta che, fino a poco prima oggetto delle sue attenzioni, venne gettata sul marciapiede opposto alla strada. Alzo le sopracciglia, sorpreso da quel gesto tanto irato quanto inaspettato.
 -E tu che ci fai qui?-
Esclama John, con un cenno del capo nella mia direzione, le labbra sottili protese nell'impiego di rilasciare il fumo appena inspirato. Accompagna quell'atto con un'espressione malinconica sul viso, osservando con malcelato rimpianto i resti della sigaretta ormai lontana.
Scuoto le spalle prima di rispondere, vago:
-Semplice desiderio di libertà.-
-Se la libertà risiedesse in questa schifosa città non sarei ridotto così, ti pare?-
Ribatte, incrociando le braccia sul petto, lo sguardo rivolto alle pareti delle case che ci circondano. Scruto con indifferenza le iridi scure, ombrate dalle ciglia lunghe che si protendono verso le gote, pallide quanto il cielo di Liverpool e dotati di lineamenti altrettanto tristi.
Passo una mano fra i capelli, un sospiro pesante soffoca quello di John che scivola stancamente dalle labbra.
-Forse uno spicchio di libertà esiste anche qui...-
Ammicco verso di lui che risponde con un'occhiata incuriosita, un lampo malizioso attraversa gli occhi scuri, offuscati dalle sopracciglia corrugate.
Sorrido del suo sguardo, probabilmente la trasposizione dei suoi pensieri affatto appropriati alla sua mente adolescente.
-Che ne diresti di anticipare le prove del gruppo. Un piccolo duetto solo io e te. Magari la musica calmerà i vostri irruenti istinti, signor Lennon.- L'ultima frase scorre oltre la mia gola, acquistando note ironicamente adulte che la mia voce non possiede. Il mio tono arrochito, più simile a quello prodotto dai gabbiani gracidanti, che a quello del preside che ha espulso John, provoca una risata cristallina nel mio compagno.
Circonda le mie spalle con un braccio, un gesto amichevole che inorgoglisce il mio giovane e animo.
-Lo farò soltanto se mi prometti di non parlare più in quel modo!-
-Non gradisce le eleganti parole che le riservo, signor Lennon?-
-Stupido...-

Indugio le dita sulla ruvidezza di quel muretto, la cui altezza non è mutata negli anni a differenza della sua età. Il grigiore, somigliante a quello della barba rada degli anziani, non accenna ad abbandonare quella pietra che risulta da tempo l'obbiettivo della fotocamera che Brianna tiene sollevata all'altezza degli occhi. La mia attenzione è istintivamente attirata dalla borsa della ragazza dalla quale i tasti del registratore appena riposto divengono preda del vento inospitale.
Il flash illumina la mia mano di un candore artificiale, riflettendosi sulla fede nuziale e consigliandomi di mantenere una posa eretta ed elegante che sarebbe rimasta immortalata ben presto nella polaroid.
Mi volto verso di lei, in seguito allo scatto fotografico, che è parso ridondare nel silenzio cittadino. Esso è interrotto soltanto dai passi impertinenti dei paesani che sembrano disturbare il sonno ristoratore di Liverpool. Assaporo i ricordi che giungono a me attraverso quelle mura silenti, prima di posare lo sguardo su Brianna. Osservo le sue labbra scarlatte, sulle quali sorprendo la mia fantasia a deporre un bacio ardente. Scaccio con un gesto del capo quell'improvviso desiderio, tentando di imporre ad esso la mia fede coniugale. Questa rivela timidamente la sua figura, resa pallida ed emaciata al cospetto del sorriso raggiante di Bri. Esso mostra le gengive arrossate che circondano la dentatura candida, simile alla sua pelle. Questa tenta di celare le venature chiare che risalgono il polso, ingioiellato da alcuni esempi di modesta bigiotteria. Le dita affusolate avvicinano la fotocamera al petto, scosso da profondi respiri: essi sollevano il seno perlaceo carezzato da quei capelli neri che d'improvviso mi stupisco ad invidiare.
-Che ne pensi?-
Esclama Brianna mostrandomi la foto. Tendo le dita verso di essa, sfiorando le unghie rosate della ragazza. Alzo il capo verso i suoi occhi. Grandi e mori, le cui ciglia esili e puerili, si adagiano sulle lenti degli occhiali per poi rialzarsi come indispettite. Nelle iridi lucenti riconosco delle pagliuzze smeraldine simili alle Sue.
La città rinviene all'improvviso dal suo sonno, come un bimbo sorpreso dal pianto causato da un incubo. Tale sgradevole sogno pare assumere le Sue sembianze, che traspaiono nei viottoli di Liverpool. Il mio paese natio sembra divertito a mostrarmi i ricordi di Lei, sepolti negli anfratti di quel borgo saturo dei tipici profumi speziati e delle immagini passate.
Poso lo sguardo sui portoni lignei delle abitazioni.
Sui baffi canuti di un anziano lavoratore e sul manto altrettanto candido di un gabbiano che sorvola i comignoli.
Ma ogni elemento racchiude l'essenza di Lei, impedendomi qualunque distrazione.
Il mio sguardo inquieto pare preoccupare anche quello di Brianna, per un motivo assai più ingenuo.
-Non... non ti piace? Ho tentato di ritrarre tutti gli elementi essenziali ma a quanto pare sono una fotografa più scarsa di quanto credessi, vero?-
Il sorriso innocente di Brianna sovrasta il Suo, così vivido nel mio ricordo. Assecondo la puerile incertezza della giornalista con una risata la cui ipocrisia tento di velare con un colpo di tosse.
-No, è.. perfetta.-
Lo sguardo di Brianna assume il rimpianto di chi riconosce l''inconvenienza di una propria decisione.
-Mi...mi dispiace. Credevo fosse una buona idea ripercorrere il passato con John a Liverpool. Ma forse mi sbagliavo. Mi dispiace tanto di averti costretto a rivivere ricordi dolorosi, io...-
Sorrido, alzando gli occhi in un finto gesto d'esasperazione. Nel cielo non riscontro altro che le nuvole lattiginose, d'improvviso prive del Suo profilo come qualunque cosa all'intorno. Il Suo ricordo ha sospirato infelice sul mio cuore, causandone una repentina contrazione in seguito alla quale è parso rilassarsi.
Riabbasso le palpebre sul volto di Brianna, dalla timida eleganza così simile alla Sua. Scaccio quel paragone, cogliendone l'inutilità. Ho imparato ad accettare la Sua scelta e ad assumermi le mie responsabilità, che ancora riaffiorano nei miei pensieri, profanando quella vita che ritengo immacolata. I miei errori, nonostante abbia cercato di ripararvi, indugiano sulla soglia della mia coscienza attendendo l'occasione per riproporsi, orgogliosi della loro amarezza. Li allontano a fatica, deciso a distogliere il ricordo del passato dal presente. Un presente che coinvolge anche una giovanissima donna, troppo impegnata nel proprio lavoro per essere coinvolta anche dal mio vissuto infelice. Allontano quest'ultimo da lei con un sorriso.
-Non hai fatto nulla di sbagliato, Bri... nulla...-
Inspiro avidamente il suo profumo, mentre sorprendo i suoi occhi vagare nei miei. L'immagine di Lei ora pare estranea a quelle iridi scure che mi osservano rammaricate.
La mia volontà impedisce al mio braccio di interrompere la sua corsa verso le spalle di Brianna. Attiro il suo corpo verso il mio; il Suo viso si è dissolto nel ricordo, come il vapore condensato creato dai respiri di Brianna. Il calore del corpo della giornalista pare un'aura eterea che avvolge le mie membra come una madre premurosa, impedendo al passato di scalfire quel manto estatico. La gratitudine che infondo nello sguardo rivolto verso di lei pare non essere colto da Brianna, il cui sorriso imbarazzato pare sanare il mio animo, ferito da quel rimpianto antico.
Rischiaro la voce quando il suo petto palpitante incoraggia nuovamente le mie peccaminose fantasie.
-La... la giornata è ancora lunga e... ci sono ancora molti luoghi che voglio mostrare a te e ai lettori del nostro libro intervista.-
Annuisce mentre le mie mani capricciose desiderano discendere lungo la morbida curva dei suoi fianchi. Impedisco alle mie dita tale gesto malizioso e sconveniente, il volto di Linda impresso nella mente, arrossato e lieto come quello di Brianna.


________

-...E quello è il negozio del signor Smith, il cui retrobottega era il luogo che John considerava perfetto per i suoi.. "incontri" immorali... non credevo esistesse ancora... Oh, e quella era la pasticceria dei Douglas, vecchi americani trapiantati in Inghilterra, i cui lunghi baffi arcuati erano spesso oggetto del divertimento di John. Quello era il cortile del liceo dove John scoprì il fumo e io... beh, io le ragazze. E questa... questa, come ben sai, è la via principale di Liverpool che per alcuni anni venne colmato dalle nostre osservazioni musicali che amavano sussurrare al cielo grigio della città. Principalmente quando esso si colorava di quella tinta rosata che anticipa la sera e che già mostra le stelle, attente spettatrici dei nostri sogni.(1)-
La mia mano scorre incantata sul foglio, che pare abbeverarsi di tutte quelle nozioni che colmano la sua carta candida di parole inchiostrate. Il registratore, il cui nobile udito, sarebbe stato disturbato dai rumori cittadini, ha offerto alla mia mano il compito di cogliere i ricordi di Paul. La voce dell'uomo attende paziente che la mia penna interrompa il lungo bacio che la incatena al foglio prima di articolare nuovamente parole fluide, pregne di un sentimento sincero. I passi di Paul incedono sulla sua ombra, che si leva maestosa sul selciato, come una marionetta creata dalle mani esperte del sole. Esso si distende sul terreno pietroso, risalendo le pareti delle case come un bimbo capriccioso che cerca rifugio fra le vesti della madre. L'edera asseconda questi raggi impertinenti, accompagnando la loro faticosa salita lungo le finestre delle abitazioni. Da queste scivolano i capelli neri di una ragazza oppure quelli canuti di una dìsignora anziana intenta a stendere i panni. I colori chiari e allegri delle stoffe somigliano a quello degli occhi degli uomini, che riflettono un riverbero lieto all'incontro con Paul. Egli accoglie con un sospiro rallegrato i complimenti degli ammiratori e accetta di buon grado di porre la sua firma sui bloc notes che quegli uomini, desiderosi di un autografo, gli porgono. Il fruscio piacevole della mia penna sulla carta e la melodia altrettanto piacevole delle parole affettuose di Paul rivolte agli antichi conoscenti hanno donato ai nostri passi una spensieratezza che entrambi abbiamo creduto di aver dimenticato da tempo.
Sul far della sera l'indice di Paul non pare annoiarsi di indicare gli anfratti di Liverpool che hanno costituito l'infanzia di John. Seguo con gli occhi il suo dito proteso verso le insegne dei negozi, sbiadite quanto il pelo arruffatto dei gatti, che impongono la loro presenza altezzosa lungo la strada. Lo scalpiccio debole delle loro zampe somiglia al battito altrettanto soffuso del mio cuore. Ogni cenno di razionalità abbandona il mio corpo, sovente circondato dall'abbraccio di Paul. Le sue membra rilassate  conferiscono uguale serenità alle mie. Dimentica infatti della notorietà dell'uomo che procede accanto a me mi abbandono al calore protettivo delle sue braccia che, nella mia adolescente fantasia, divengono un rifugio sicuro da quel mondo che da tempo ha annientato la mia fanciullezza. Paul accetta silente questo ruolo che gli conferisco, limitandosi a sorridere provocando in me una risata altrettanto spontanea.
Rallientiamo mio malgrado il passo di fronte ad una abitazione che gode di notevole fama, al cospetto della quale ho sostato in numerose occasioni durante la mia infanzia, la mente puerile dispersa in fantasticherie tipiche di quella fuggevole età.
Paul deglutisce, il suo respiro inquieto colma l'aria che respiro a fatica.
-Questa... questa è...- esclama, la voce arrochita da un ricordo commovente. Termino la sua frase con maggior disinvoltura, la quale tradisce ugualmente la mia emozione.
-...la casa di Mimi.-
Riservo un'acuta attenzione al cortile dell'edificio che conduce al porticato. Esso appare come un'austero ed elegante signore circondato dai suoi fidi servitori che pare abbiano assunto la forma di mattoni rugginei. Essi riparano le pareti della casa come una veste pregiata, dalla quale solo le finestre osano mostrarsi.
Paul traccia con i polpastrelli il profilo della bassa cancellata che protegge l'abitazione, affidando a quel gesto la stessa attenta precisione che viene riservata alla carezza delle nudità femminili.
Le sue labbra guizzano d'improvviso fino ad assumere la curva di un sorriso malinconico.
-Già.- esclama.
-La casa di Mimi...-

"-Buongiorno, signora. La trovo estremamente elegante oggi.-
-Così galante nonostante sia ancora imberbe! Ti ringrazio molto... Paul, giusto?-
Il ragazzo adagia il petto contro il cancello scuro, fregiato da numerosi araberschi ferrosi che ricordano le volute altrettanto armoniose dei capelli di mia madre. Il suo volto dolce era assai dissimile da quello della donna che mi sta sorridendo. I suoi occhi cerulei sono protetti da occhiali dalla montatura fragile. Essa ripropona il colore dei capelli della sua padrona, che stanno lentamente ingrigendo. Ignoro quel buffo fenomeno con un complimento astratto, come quelli che gli uomini usano porgere alle signore distinte. Tutti gli uomini tranne mio padre, per cui l'unica donna degna di attenzioni è mia madre, alla quale ormai può donare un bacio solo attraverso una stinta fotografia.
Reprimo il ricordo del suo sorriso allegro con uno di circostanza che mi affretto a dipingere sulle labbra.
-Esatto, signora. Paul, Paul McCartney, il figlio di Jim. John è in casa?-
La donna porta una mano al mento, un'espressione soddisfatta sul viso, forse causata dalla mia gentilezza che raramente caratterizza la voce rude del nipote.
-Certo, sì, Paul McCartney. John parla spesso di te, vantandoti come un buon suonatore.-
Incurva il capo verso di me, sussurrando con aria di segretezza.
-Il mio Johnny non lo ammetterà mai, ma credo che conti sopratutto su di te per la buona riuscita del suo gruppo. I Quarry... e qualcosa.- termina la frase con un gesto stizzito della mano, prima di invitarmi ad entrare.
-Quarrymen, signora.- la corrego, sorridente.
Lei ricambia la mia cortesia prima di richiamare a gran voce:
-John! Johnny! è arrivato il tuo amichetto!(2)-
Dall'abitazione, di rimando, giunge un urlo spazientito, articolato da una voce assai familiare che provoca una flebile risata che rimane intrappolata nella mia gola.
-Stai zitta, Mimi! Sto provando a suonare un pezzo e la tua voce gracidante non aiuta la mia concentrazione. Ti sarai grato se tenessi chiusa la tua boccaccia rugosa, zietta adorata!-
Il volto della donna si imporpora quanto la spilla appuntata sulla camicetta, prima di affrettare il passo verso la casa, dimentica dei modi signorili sfoggiati poco prima.
-Non osare mai più rivolgerti così a tua zia, Winston! Altrimenti quella maledetta chitarra non vivrà ancora a lungo! Hai capito?! La renderò un ammasso di corde prima che tu possa replicare! Hai capito, John?! Mi hai sentita? Sto parlando con te, mascalzone!-

-Per anni, e forse ancora oggi stesso, credo che fosse quello il loro modo d'amarsi. Una sorta di codice bizzarro di cui soltanto loro conoscevano l'esatta decifrazione. Il sorriso di John ogni qualvolta ricordavo la dolce zia Mimi, pareva così sincero e radioso da rivelarmi quanto la sua irriverenza giovanile nei confronti di quella donna non fosse stata null'altro che una maschera che l'impavido John Winston Lennon amava indossare.-
-Ti ha mai reso partecipe di questo profondo affetto?- Esclamo, abbozzando i ricordi di Paul sul bloc notes, indispettita nei confronti dello scroscio delle auto che, assieme a quello assai meno melodioso degli pneumatici delle auto, impedisce al registratore di cogliere le parole del cantante.
Attendo la sua risposta, aggiungendo utili dettagli agli appunti, già revisionati in precedenza. La mia profonda dedizione al lavoro mi impedisce di alzare gli occhi su Paul, oggetto di quelle fantasie che distoglierebbero la mia attenzione, dirottandola su pensieri assai meno nobili del giornalismo. Deglutisco, paziente.
-No, affatto. John non è mai stato molto espansivo con alcuno. I suoi pensieri parevano proprietà revocata dalla sua mente, nella quale essi correvano agitati senza la possibilità di essere afferrati da nessuno che non fosse il loro generatore: John. Egli era solito fissare i suoi occhi nei miei, come nella richiesta silenziosa di comprendere i suoi tormenti e tentare di alleviarli. Io ho potuto donargli soltanto la mia amicizia, sperando che essa potesse essere utile a risollevarlo dalle sue inquietudini. Spero di aver soddisfatto quella sua richiesta d'aiuto ma credo che continuerò a vivere nel dubbio.-
Trascrivo quelle parole sul foglio con un sospiro malinconico, scuotendo il capo, in un gesto rassegnato. Ripongo il bloc notes nella borsa, dalla quale recupero la fotocamera.
-Credo... credo che questo luogo necessiti di una foto.-
-Credo anch'io...- esclama, lo sguardo rapito dalle finestre che proteggono una stanza oscura. Porto l'obbiettivo agli occhi, cercando l'inquadratura adatta in cui inserire quel cortile e tutti i ricordi di vita in esso germogliati. Schiudo le labbra in una posa concentrata prima di scattare la foto.
Osservo compiaciuta la polaroid, immaginando il suo ruolo nel mio importante lavoro cartaceo. Sorrido sognante, fantasticando sulle parole gravi ma famigliari che avrebbero arricchito le pagine del mio libro intervista, il cui profumo cartaceo avrebbe inebriato forse numerosi lettori.
Innalzo orgogliosa la foto davanti ai miei occhi quando una piacevole sensazione avvolge le mie membra. Comprendo ben presto che essa è sprigionata dalle mani di Paul, adagiate sulle mie spalle. Percepisco il suo petto sfiorare la mia schiena e i suoi fianchi aderire perfettamente ai miei. Strabuzzo gli occhi, sorpresa da quell'intimo abbraccio che pare intenzionato ad accendere quegli istinti reconditi che ho tentato inutilmente di sopire. Quel gesto inaspettato provoca un violento brivido alla mia schiena che coinvolge anche il corpo di Paul. Avverto l'agonia dei miei respiri che si staccano dolorosamente dal cuore, perdendo via via la forza di salirmi alle labbra.
Mi volto confusa verso di lui, assecondando, con il mio movimento improvviso, le sue mani. Esse scivolano lungo il mio busto fino a raggiungere la vita, su cui le dita fremono di un'incomprensibile impazienza. I suoi occhi si adombrano di una grave serietà e la sua bocca si increspa, come le nuvole scure che ci sovrastano ansiose di versare lacrime piovane.
Schiudo le labbra che inconsapevolmente imitano le sue, preda di un desiderio innaturale e quasi famelico. Abbasso lo sguardo sulle sue mani, notando il lucore della fede nuziale. Essa pare ammonirmi riguardo lo stato civile e sentimentale di quell'uomo che da troppo tempo scuote quei sensi che devo impegnarmi a chetare. Soffoco i miei istinti decisamente immorali con il mio orgoglio, che consiglia al viso di assumere un'espressione indifferente e al cuore di rallentare quegli sconvenienti battiti.
Paul segue i miei occhi, rivolti al suo anulare, e la sua fronte si corruga, come se le improvvise e profonde rughe della sua pelle abbiano il compito di cullare placidamente i suoi pensieri in un sereno riposo.
Alcune parole raggiungono le sue labbra ma la mia voce concitata impedisce a Paul qualunque reazione.
-Io... io ti ringrazio per questo bellissimo pomeriggio, credo... credo sia stato utile a raccogliere molto materiale per il mio libro intervista. Ma ora credo di dover scappare: mi dispiace di... di non averti avvertito prima ma... avevo intenzione di fare una sorpresa a mia madre. Abita qui vicino e la avrei raggiunta soltanto domani pomeriggio, ma pensavo sarebbe stata una buona idea approfittare della mia presenza a Liverpool per anticipare un po' il nostro incontro. Mi... mi dispiace tanto di non averti informato, so bene che domani dovremmo proseguire l'intervista ma... insomma, io... pensavo di fermarmi qui, da mia madre, questa notte...- ignoro l'ipocrisia di quelle parole, nate d'improvviso nella mia mente, forse utili ad allontanare Paul e con lui il desiderio che suscita in me.
Assume un'espressione corrucciata, cosparsa di una grave consapevolezza il cui oggetto mi è estraneo.
Si allontana progressivamente da me, con un sorriso imbarazzato che ho mai avuto il privilegio di vedergli indossare. Le guance si arrossano, simili alle dita che lascia scorrere nei capelli. Una piacevole puerilità disegna i suoi lineamenti, come il pastello di un bimbo intento a riprodurre un disegno infantile.
-Hai... ragione. Sì, certamente. Non hai nulla da scusarti. La...- deglutisce, apparentemente soddisfatto. -...la nostra intervista procede molto bene, non ti negherò certo un maggior riposo. Concordo con te riguardo l'utilità di questa nostra uscita. è stata... piacevole. Sì, molto piacevole.- Sussurra con incertezza le ultime parole, come se esse siano frutto di una minuziosa ricerca nei meandri nella sua mente in cui riposano parole maggiormente spontanee ma forse inadatte ad essere pronunciate.
Alzo una mano per salutarlo. Lui mi imita con un gesto ironico, velato di un rammarico che non stento a riconoscere.
Mi volto rapidamente, aspirando fortemente alla casa di mia madre. una meta inaspettata, nella quale sono certa di incontrare l'unica persona in grado di purificare il mio animo perduto con le sue carezze.


(1)I luoghi citati non sono reali, bensì soltanto frutto della mia fervida immaginazione.

(2)La citazione di zia Mimi è tratta da "Nowhere boy", un film che mi ha fatta impazzire, e che consiglio a chiunque non abbia ancora avuto la fortuna di vederlo. XD




Angolo autrice:
Ed eccomi qui, care lettrici!
Questo capitolo mi ha dato parecchie grane, in quanto temevo di non riuscire ad esprimere chiaramente i sentimenti dei personaggi. Spero di esserci riuscita :P
Spoilerino di fine capitolo: il prossimo sarà un capitolo decisivo per quelli che ormai possiamo considerare i nostri "piccioncini".
Un bacio a tutte!
Peace&Love
Giulia
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Let me be your hero... ***


Ma ciao ragazze!
È con grande piacere (e forse anche un briciolo di timore) che vi propongo questo capitolo.
Non voglio anticiparvi nulla; vi dirò soltanto che le parole che scriverò potrebbero suscitare reazioni differenti a seconda della vostra chiave di lettura. Sono troppo curiosa di leggere i vostri prossimi commenti!
Inoltre sono tornata (credo con vostra sorpresa XD) ad inserire il testo di una canzone in un capitolo. Avevo abbandonato tale usanza semplicemente perché i capitoli erano già complicati ed inserire una canzone diventava un po’ troppo impegnativo per il mio povero cervelletto :P
Ma non ho resistito ad inserire una canzone che, fin dal primo ascolto mi ha fatta pensare a Brianna e Paul e mi ha suggerito questo capitolo.
Trattasi di “Hero” di Enrique Iglesias, che personalmente trovo meravigliosa.
Ecco il link:

http://www.youtube.com/watch?v=dCOu1CSgeCg


Prima i augurarvi una buona lettura voglio ringraziare Giulia, la mia omonima fidata, che ha risolto un problema rilevante di questo capitolo. Senza il tuo aiuto sarei ancora impegnata a scervellarmi; ti ringrazio ancora, tesoro mio!
Buona lettura a tutti!





Londra    Maggio 1981

"Would you dance, if I asked you to dance?"

Distinguo a malapena la musica che da tempo ha rivestito il ruolo di maggior interesse del mio udito, a causa delle parole concitate di alcuni ragazzi. Scivolano inconsapevolmente dalle loro labbra inumidite dall’alcool, che si schiudono liberando risate fragorose. Percepisco l’ipocrisia di quest’ultime, dono generoso di quelle sostanze illegali che ancora circolano in quei corpi giovani, il cui calore satura l’ambiente angusto di un olezzo sgradevole, sprigionato dalle membra degli adolescenti, impegnate nell’esecuzione di una danza frenetica. Osservo con sguardo vacuo tali movimenti, i miei occhi arricchiti dal lucore artificiale delle fastidiose luci intermittenti che come bambine maliziose scherzano sugli abiti dei ragazzi. Quel gioco repentino pare coinvolgere anche gli abiti di quei danzatori improvvisati, succinta espressione di una giovinezza che mi sorprendo ad invidiare. I miei sensi ovattati permettono una percezione altrettanto distorta di quello sgradevole sentimento che tenta di sovrastare i miei pensieri. Essi governano, simili a spietati despoti, quel regno servile che è divenuto la mia mente.
 La realtà che mi circonda riveste una scarsa importanza nei riguardi di quella coscienza che soccombe ad un’ulteriore verità. Questa diviene l’assassina spietata della mia razionalità e mi consiglia di richiamare l’attenzione del barista. L’alcool appena ingerito offre alla mia voce un tono blando e arrochito, simile a quello che caratterizza le lamentazioni dei bambini in seguito ad un pianto deluso. Simili lacrime imperlano ancora i miei occhi; alcune trovano rifugio nelle ciglia, osservando preoccupate le loro compagne, rovinate rapidamente sul ripiano ligneo. Subisce passivamente le carezze distratte della mia mano ancora tremante. Il bicchiere del cocktail che ho richiesto interrompe bruscamente il movimento delle mie dita, causando un gemito infastidito. Ignoro il tepore della sostanza liquorosa che scivola nella mia gola, fino a raggiungere lo stomaco dove riposa il mio malessere. Egli respira ancora affannoso in seguito alla rapida corsa con la quale ha travolto la mia mente. Chiudo gli occhi, mentre distinguo attraverso le palpebre le luci del locale nel quale mi sono avventurata, preda di una delusione, che ancora lacera con la sua irruenza la superfice friabile dei miei ricordi.

“-Mamma? Sei in casa?-
Gli anfratti illuminati dell’appartamento paiono rispondere a quell’inutile domanda con la loro silente presenza. Chiudo delicatamente l’uscio, per timore che il rumore stridente della serratura infastidisca il sensibile udito di quella donna che certamente non attende la mia visita. Rassetto con lieve rammarico il tessuto della camicia, ancora increspato sui fianchi a causa della lieve pressione precedentemente esercitata dalle dita di Paul. La mia ingenua certezza di avvertirne ancora il calore provoca un sorriso amaro sulle mie labbra.
Passo una mano fra i capelli che frusciano contro il mio collo, accompagnati da un movimento distratto del mio capo.
Il ticchettio delle mie scarpe ridonda lungo l’ingresso, colmando l’aria rarefatta, interrotta inoltre da alcuni respiri sommessi, provenienti da un padrone altrettanto ansioso.
Permetto a quei rumori fievoli di condurmi verso il loro luogo di provenienza; la cucina inusitatamente inospitale, a cui neppure le stampe floreali impresse sulle piastrelle donano accoglienza.
Percorro con gli occhi quegli steli privi di linfa, incredibilmente somiglianti alle mani di mia madre, le cui dita affusolate arcuate sul lavello esprimono l’intenzione vana di serrare il marmo in una morsa fatale. Ma quest’ultima pare affliggere solo le nocche di mia madre, che sbiancano progressivamente, creando un alone  all’intorno, dipinto di un rossore inspiegabile, come gli occhi della donna. Le sue iridi scure come le labbra screpolate guizzano sul mio volto, alla disperata ricerca di un lucore gioioso e sorpreso con cui mascherare la desolazione che pare oscurare il candore innaturale dei suoi occhi. La sua voce fievole pare fragile quanto i capelli chiari, che scivolano lungo le spalle esili.
-Brianna? Cosa… cosa ci fai qui? Non ti aspettavo fino a domani…-
Le tempie si increspano, conducendo gli occhi all’assunzione di un’espressione lieta che tradisce tuttavia una profonda inquietudine. Essa conduce le pupille verso il lavello, dove un’anonima fiala attende la sua attenzione. Mi avvicino all’oggetto che incute cotanta apprensione in mia madre, la fronte corrugata e le labbra impegnata ad articolare parole atone.
-Sì, ho notato…-
Trattengo la fialetta fra le dita, ignorando i gemiti preoccupati di mia madre. Inclino lo strumento, avverto con un brivido di delusione e apprensione accompagnato dal rumore di alcune pastiglie che si adagiano passive contro il vetro. Un presentimento rapisce i miei pensieri, tramutandosi ben presto in un’inevitabile certezza. Leggo ripetutamente l’etichetta, senza riuscire a tradurre razionalmente le parole che vi sono impresse. Solo il loro significato letterale giunge alla mia coscienza, offuscata dalla realtà che mi avvolge d’improvviso. Inspiro profondamente mentre i miei polmoni vengono gonfiati dall'aria, imitati dal cuore, colmi di una delusione frustrata che dipinge anche le mie parole flebili.
-Cosa sono queste?-
Non accetto affatto di buon grado il composto silenzio di mia madre, che tradisce una consapevole colpevolezza.
Avverto nitidamente il grido a malapena trattenuto nella mia voce, il cui tono paziente pare non riuscire a mascherare la mia ira.
-Mamma, cosa sono queste?!-
La donna elude la mia domanda, passando una mano sul collo, in un gesto infantile ma non per questo foriero d'indulgenza da parte mia. Irrigidisce fiermante la mascella, nella quale riconosco alcuni simghiozzi repressi.
Essi vengono reclusi dalla sua mano nell'oscuro teatro della gola, dove inscenano gemiti rammaricati  che giungono distintamente alle mie orecchie arrossate dal furore. Un sentimento altrettanto spiacevole delinea le mie parole, altrimenti atone e insensibili.
-Rispondi!-
Mia madre tenta di allontanare le mie parole con un gesto stizzito di quelle dita che porta alle labbra. Le unghie cigolano sotto i suoi denti, proprio come l'anima di quella donna, articolando una richiesta d'aiuto che forse non riuscirò mai ad accogliere.
La sua risposta, velata di irritante insicurezza, impregna le pareti della cucina.
-Io...sono... sono...-
-Ti aiuto io, mamma: tranquillanti. Gli stessi, maledetti tranquillanti che popolavano la casa in seguito all'abbandono di quel verme! E allora dimmi, mamma: perchè questi medicinali infernali sono tornati quando eravamo riuscite ad allontanarli? Perchè?!-
Il mio palmo ricade pesantemente sul ripiano ligneo del tavolo, il quale sussurra un lamento discreto che si confonde con i singulti finalmente resi liberi da mia madre. Quest'ultima lascia vagare i palmi all'intorno nella vana speranza di cogliere un'adeguata spiegazione al mio esigente quesito. Tale ricerca pare terminare con una frase appena accennato fra quelle lacrime libertine, che le rigano le guance pallide.
-Brianna, tu... tu non puoi capire...-
Un cinico sorriso colora le mie labbra smorte.
-Capisco benissimo, invece! Capisco quanto tu sia egoista ad affidarti ancora ad un rimedio talmente inutile, che acuisce il tuo dolore anzichè affievolirlo. Un dolore che ho tentato in tutti i modi di placare con la mia dedizione al lavoro e con l'impegno costante riservato alla tua unica felicità! E a cosa è servito il mio amore, mamma?! A cosa sono serviti gli abbracci, le consolazioni e l'affetto, quando l'unica cosa che sembra aiutarti sono queste maledette pastiglie?!-
Scaglio lontano la fiala che ancora impugno, osservando con disprezzo i frammenti vetrati che, come le foglie autunnali durante una tempesta ventosa, si infrangono sul pavimento. Le lacrime che d'improvviso colmano i miei occhi non vogliono essere espressione della desolazione che segue il mio gesto irato, bensì della delusione rigurdo l'inutilità del mio amore. Quell'amore che da anni motiva le mie azioni e il mio lavoro indefesso, i cui frutti pecuniari sono state ben lieta di cedere a mia madre, con la stessa disponibilità con cui le ho riservato il mio affetto. Percepisco l'ombra effimera di tale sentimento nel volto pallido delle pastiglie, che paiono sorridere beffarde dal terreno.
-Brianna, io...-
-Non parlare. Non ho intenzione di restare un momento di più in questa casa. E io che pensavo che vedermi anticipatamente ti avrebbe reso lieta... a quanto pare è compito altrui quello di rallegrarti...- esclamo, occhieggiando con disprezzo i medicinali e avviandomi verso la porta. Il calpestio rapido dei passi di mia madre intona una rapida melodia lungo il linoleum, suggerendomi di interrompere la mia corsa. Questa ignora tale consiglio e raggiunge l'uscio, prima che una mano artigli il mio braccio, accompagnata da una voce arrochita e sconsolata.
-Ti prego, Bri, non andartene... Sono una stupida, una povera donna che non ha saputo resistere ad una tentazione... io non ho altri che te. Io... ti prego... perdonami...- ripete costantemente quest'ultima parola, asciugando le lacrime sulla mia spalla. La mia mente rigetta una consolazione, atteggiamento troppo forte per una giovane donna che non si crede in grado di affrontarla. Tale presentimento non viene affatto smentito dai miei pensieri, nei quali vortica la frustrazione nei confronti di quella recenta scoperta e il surreale amore per Paul.
Solo alcune parole affrontano coraggiosamente la mia mente fino a raggiungere le labbra, producendo una frase perentoria dal significato inequivocabile.
-Lasciami stare, mamma.-"



"Would you run and never look back?"

Le lacrime offuscano i miei occhi, attraverso i quali le figure londinesi si stagliano contro le luci cittadine. Esse riverberano sulle lenti opache dei miei occhiali, costringendomi a chiudere repentinamente le palpebre.
prto le dita attorno al naso, nello strenuo tentativo di proteggerlo dalle raffiche ventose, che arrossano la pelle cartilaginea del naso.
Schiudo le labbra, mentre il tepore del mio respiro raggiunge i palmi. L'alcool formicola nelle mie narici, riscaldando il mio fiato affannoso a causa dei passi che si avvicendano sui marciapiedi inglesi. Porto le mani alla vita, circondando timidamente il busto con le dita affusolate. I miei polpastrelli offrono le loro carezze al giubbotto, concentrando l'attenzione sulle mie scarpe e il loro colore vivace, così diverso dai miei pensieri. Questi conducono la sigaretta alla mia bocca tremante, i cui angoli si incurvano fino ad assumere una posa malinconica.
Libero prepotentemente il fumo, tentando di scacciare con un gesto del capo il recente ricordo di mia madre. Osservo vacua l'estremità incandescente della sigaretta, prima di abbandonarla sul ciglio della strada. Passo una mano fra i capelli, i denti impressi sul labbro inferiore oltre il quale pazienta il dolore e la frustrazione che non accennano ad abbandonarmi. Passo le mani fra i capelli, che come bimbi giocosi, assecondano i capricci del vento, conducendo liberamente la mia figura passiva. Sospiro profondamente, ignorandoi commenti d'apprezzamento riguardanti il mio abito, provenienti dai finestrini delle auto che sfrecciano accanto a me. Nel silenzio innaturale che avvolge la mia coscienza, un'unico pallido desiderio impone la sua presenza con un sussurro appenna percettibile. Ma abbastanza nitido da costringere il mio corpo ad adottare un andamento maggiormente rapido e deciso, così come la mia profonda necessità di una compagnia comprensiva nei riguardi del mio dolore.



________

-Quindi, se non ho frainteso, tu avresti deciso di recarti alla festa vestita in quel modo?-
Esclamo sarcastico, indicando l'abito alquanto succinto che Heather mostra fieramente sul suo corpo sinuoso. I capelli chiari scivolano sulle spalle scoperte dal tessuto scuro che le avvolge il busto, celando appena il seno florido. La ragazza allarga le braccia sorpresa prima di analizzare criticamente il vestito con gli occhi.
-Certo! Non sono bellissima?- la sua istintiva domanda prevede una risposta altrettanto tempestiva che il mio sorriso sincero offre, mio malgrado. Osservo orgoglioso il corpo di quella giovane donna, che ha accompagnato con la sua crescita il mio invecchiamento. Le sue gambe nude non paiono temere il vento che imperversa negli angoli di Londra. Il fischio suadente delle raffiche sui vetri delle finestre procura un gemito infastidito in Mary e Stella, le cui manine si affacendano sulle cerniere dei giubbotti.
Heather rivela la dentatura candida e le gengive umide, sulle quali il lampadario del salotto crea un riverbero allegro. La ragazza giunge le mani sul petto, esclamando parole sognanti.
-A Clive piace così tanto quest'abito. Lo ritiene... "incredibilmente sexy".- Imita la pronuncia virile del fidanzato, causando una mia risata sommessa che viene immantinente sostituita da una preoccupazione paterna evidente.
-Stai attenta. Non vorrei che questo... Clive...-
-Paul, vado solo a passare la notte dal mio ragazzo! Non accadrà nulla, saremo cauti...-
Scuote la testa, ironicamente esasperata da quelle raccomandazioni che non voglio mancare di offrirle.
-Lo spero! Tua madre non sa nulla di questa uscita e se dovessi cacciarti nei guai il sottoscritto ti seguirebbe a ruota e...-
-Non preoccuparti, Paul.-
Sorride, sinceramente grata a quel piacevole timore paterno che ristora l'animo ostentatamente maturo dei figli adolescenti.
Depone un bacio affettuoso sulla mia nuca mentre la mia mano segue il profilo del suo collo, nella creazione di una carezza.
-Ti ringrazio, Paul! Sei il padre migliore che potessi desiderare!-
Sorrido amaramente dell'inconsapevole erroneità della sua constatazione, lasciando scivolare lo sguardo su Mary e Stella, la cui eccitazione riguardo la sera che presto trascorreranno in pizzeria assieme a quelle amiche che si sono gentilmente offerte di ospitarle per la notte, è chiaramente evidente.
Bacio le guance delle mie bambine, raccomandando loro educazione e cortesia.
-Ricordi l'indirizzo della pizzeria, Heather?-
Domando, indicando Mary e Stella con un cenno del capo.
-Paul. Promettimi che ora ti siederai al pianoforte, intonerai le tue meravigliose melodie e ti rilasserai. Credimi, ne hai bisogno.- Esclama Heather, il cui animo spensierato pare essere d'improvviso sostituito da uno maggiormente maturo e responsabile. Tale mutamento è chiaramente espresso dalla sua voce dolce  e premurosa, quanto quella di Linda.Rivolgo loro un'ultimo saluto al quale le loro voci rispondo attutite dal cigolio del portone.
Passo una mano fra i capelli, seguendo il consiglio di Heather.
Sfioro pudicamente il profilo scuro dello strumento che sembra gradire tale carezza. Adagio le dita sui tasti, nell'ingenua attesa dei gemiti insoddisfatti di James che spesso interrompono il mio lavoro e che probabilmente questa sera stanno articolano risate cristalline in compagnia del piccolo Benjamin.
 Ricordo con un sospiro compiaciuto le parole accorate della madre del bambino con cui Jimmy ha stretto una tenera amicizia. Secondo la donna l'ospitalità della sua famiglia è dispinobile ogni qualvolta "lo sviluppo della mia arte necessiti di solitudine".
Ho ringraziato la signora con un sorriso cordiale, aprofittando del suo invito e causando in lei un'onorata gratitudine, forse causata dalla profonda ammirazione nei miei confronti.
Schiudo le labbra, intento ad assaporare le note che si sprigionano da quei tasti, bianchi come il pallore elegante di Brianna e neri come i suoi occhi mori.
Irrigidisco istintivamente la mascella, il ricordo del corpo della ragazza affiancato al mio vivido nella mia mente. Esso riaffora nella mia mente, eludendo le promesse di fedeltà coniugale che ho imposto ai miei pensieri. Le tende scarlatte che velano le finestre come lunghe ciglia femminee istillano in me il ricordo delle labbra altrettanto rosse di Brianna. I motivi floreali che arricchiscono allegramente la tovaglia della cucina, di cui scorgo un lembo oltre la porta, pare sussurrarmi il ricordo peccaminoso della gonna della giornalista che fruscia fra le sue gambe tornite. Quelle gambe che accendono un desiderio che, nonostante la mia volontà di sopirlo, arde ferocemente. Getto su quel fuoco la realtà, fredda e razionale, che gli avrebbe impedito di crepitare. Ma neppure questa convinzione pare soffocare quelle esigenti fantasie. Esse vengono interrotte d'improvviso da un lieve rumore proveniente dalla porta d'ingresso, verso il quale  mi sorprendo grato.
Mi alzo per rispondere a quel bussare flebile come la mia volontà di abbandonare il pianoforte.
Sospiro infastidito, ruotando il pomello sotto le dita e assistendo inconsapevolmente alla rivelazione del corpo di Brianna di fronte al mio.
Schiudo le labbra, alcuna parola stupita in grado di varcare quella soglia umida e carnosa.
Scandaglio attentamente con gli occhi la figura di Bri, i cui lineamenti dolci godono della luce appena accennata dei lampioni. Questi offrono un maggiore candore perlaceo alla pelle della giornalista che freme a contatto con i muscoli tesi del volto. I capelli li sfiorano prepotentemente, nello smanioso tentativo di addolcirli.
Le labbra purpuree e tremule liberano numerosi refoli di fiato, smorzati dal vento.
La curva arrossata del naso, conduce a quella altrettanto provata delle palpebre.

"Would you cry if you saw me crying?"

Le ciglia evidentemente imperlate di lacrime si protendono verso di me in un disperato slancio, proteggendo gli occhi dalle raffiche inospitali che si insinuano lungo le pieghe del suo vestito.
La mia voce, sorpresa quanto la mia espressione, interrompe quel silenzio gravoso.
-Brianna? Cosa... cosa ci fai a Londra? Credevo fossi... fossi rimasta a Liverpool, da tua madre.-
Tali parole scuotono la sua immagine silente, provocando in essa un unico singulto che Brianna tenta di soffocare, trattenendo fra i denti il labbro inferiore. Questo viene rilasciato lentamente, con un sospiro.

"Would you save my soul tonight?"
 
-Io... mi dispiace, Paul, non... non so perchè sono venuta da te. è.. è solo che.. è accaduta una cosa terribile e io...ho solo bisogno di qualcuno con cui... con cui parlare...-
Non attende una risposta dal mio volto preoccupato, indietreggiando con un gesto noncurante della mano.
-Ma che sto facendo? Sono solo una stupida... perdonami...-
Racchiudo le sue dita fra le mie, impedendole di allontanarsi. I suoi occhi grandi e speranzosi incatenano i miei, pronunciando una silente richiesta d'aiuto a me incomprensibile ma impossibile da ignorare.
Le sorrido rassicurante, pronunciando quelle parole che tempo prima le hanno intimato di rivelarmi i segreti del suo passato, permettendomi di condividere parte del suo dolore.
-Ti ascolto.-


________

"I can be you hero, baby..."

-Io... io non riesco a capire perchè lo abbia fatto. Io... ho sempre cercato di trasmetterle il mio amore e la mia vicinanza, sia economica che affettiva. Cosa ho sbagliato con lei, Paul? Cosa?-
I fumi dell'alcool, che ancora riscalda le mie membra, incitano le mie parole che scivolano senza posa dalle labbra umide. Osservo con ostentata attenzione il salotto nel quale Paul mi ha ospitata, attraverso la vista offuscata.
Colgo con innaturale soddisfazione gli ornamenti intessuti nel tappeto persiano, seguendone i fregi con gli occhi vitrei, colmi di quelle lacrime che la mia spossatezza mi impedisce di versare.
L'ingente dose di etanolo ingerita poco tempo prima solleva i miei pensieri dalle loro preoccupazioni, donando loro futili oggetti d'interesse.
Odo chiaramente l'eco del mio respiro in quella casa inusitatamente silenziosa, che suppongo inabitata da buona parte dei suoi padroni.
Passo una mano fra i capelli, osservando senza alcun pudore il volto preoccupato di Paul. Le sue iridi chiare si dilatano di fronte alle mie, condividendo con esse la stessa vacuità.
Al contrario, le sue parole risultano espressive e alquanto accorate.
-Nulla, Bri. Credo che tua madre abbia ceduto ad una vecchia abitudine, senza comprenderne le conseguenze.-
-Non avrebbe dovuto. Sa perfettamente quanto quei maledetti tranquillanti abbiano deteriorato la sua condizione psicologica. Credevo fosse guarita abbastanza per capirlo.-
-Forse ha più bisogno del tuo aiuto di quanto tu creda.-
Paul si avvicina a me con un sorriso caloroso e il capo, leggermente inclinato sulla spalla, come un muto invito alla comprensione delle sue parole.
-Ma io non posso farcela, Paul. Io ho solo ventun anni e durante l'ultimo periodo della mia vita mi sono dimenticata di me stessa e delle mie esigenze per soddisfare le sue. Cosa devo fare di più? cosa posso fare ancora per sopire il suo dolore che sta uccidendo anche me?-
Avverto le lacrime colmare gli occhi ma nessuna inibizione che mi consigliasse di rigettarle in gola. Da questa proviene solo un singulto sconsolato che pare ordinare alle mani di Paul di avvolgere le mie spalle.

"...I can kiss away the pain..."

-Sei molto più forte di quanto immagini, Brianna Richards. Riuscirai a superare anche questa difficoltà, come sei stata in grado di affrontare quelle precedenti che hanno popolato il tuo passato.-
Un unico, improvviso, desiderio che non riesco a domare, pare smentire questa sua convinzione. Divengo improvvisamente preda di un istinto che da troppo tempo tento di soffocare e che ora eroga il suo diritto di rivelarsi. Esso non viene placato da quella razionalità che ormai è stata rilegata in un anfratto remoto della mia mente dal quale non desidero aiutarla a riemergere.
Ignorando la portata del mio gesto, intreccio le mie dita oltre il collo di Paul; il collo di quell'uomo che ha ascoltato accuratamente le mie parole, senza distogliere gli occhi dai miei; quell'uomo che con la sua voce melodiosa ha accompagnato pazientemente la mia infanzia, erodendo le sponde di quel fiume arido che ha trasportato il mio tragico passato; quell'uomo che pare ora la mia unica àncora solida ed efficente in quel tempestoso mare in cui si infrangono le onde della realtà.
Mentre queste effimere convinzioni regnano sovrane la corte confusa e indifesa dei miei pensieri, adagio le mie labbra sulle sue, assaporandone con un gemito sorpreso la morbidezza. La sua bocca diffidente freme contro la mia, prima di cedere al mio prepotente desiderio con altrettanta irruenza. Percepisco le sue mani premere trepidanti sul mio collo, come nel tentativo di lasciar sprigionare dalla mia pelle quelle note melodiose che solo il suo pianoforte è in grado di intonare. Schiude dolcemente la mia bocca con la sua, prima di incurvarla in un sorriso appagato.
Ma le sue dita esigenti che premono sulla stoffa del mio vestito, paiono suggerire un bisogno più profondo che non può essere soddisfatto da quell'unico bacio peccaminoso. Assecondo questa necessità con una lasciva carezza, che scivola fra i suoi capelli.
Senza distogliere le sue labbra dalle mie, conduce il mio corpo oltre il salone, in una stanza che si rivela assai più oscura ai miei occhi chiusi.
Il mio capo, colmo di pensieri irrazionali plasmati da una fantasia pungente, saggia una piacevole morbidezza di cui gode soltanto durante il sonno. Riconosco la ruvidezza delle lenzuola che avvolgono il letto matrimoniale, contro il mio petto nudo, rivelato dalle mani ansiose di Paul. Sussurro il suo nome piacevolmente sorpresa, insinuando le dita sotto la sua camicia setosa.
Affacendo lascivamente le mani sulla sua cintura, avvolgendo con le gambe la sua vita; gesti naturali che la mia mente non pare in grado di controllare.
 Sorrido dei suoi baci audaci che percorrono la curva del mio seno, abbandonando la mia moralità all'abisso tanto piacevole quanto irreversibile dell'estasi.



Angolo autrice:
oooook, questa scena finale era inaspettata all'inizio della storia. Ma credo fosse naturale inserirla; infondo il nostro caro Paul impazziva per Bri e quest'ultima (forse a causa della leggera sbornia, o forse per un amore da troppo tempo sopito) cede ad un'irresistibile tentazione.
Ora sta a voi immaginare cosa accadrà fra i due nel prossimo capitolo ;)
Aspetto con ansia le vostre recensioni
Peace&Love
Giulia


Ps: ringrazio Kia85 per il prezioso consiglio che mi ha offerto nella recensione al capitolo 18; spero di averne fatto buon uso.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Rimorsi ***


Ciao mie sempre più care lettrici.

Ho deciso di pubblicare anticipatamente il capitolo 20 proprio perché probabilmente non ci sentiremo per tre settimane. Sono certa che mi mancherete tantissimo! Ma spenderò il tempo trascorso lontano da voi scrivendo gli ormai pochissimi capitoli restanti al termine della storia.

Ma passiamo al capitolo sottostante, in cui non accadrà nulla di rilevante riguardo la trama ma verranno analizzate le rispettive reazioni di Brianna e Paul riguardo la notte trascorsa assieme.

Spero che il capitolo risulti gradito come i precedenti.

Buona lettura!

 

 

 

 

Londra      Maggio 1981

Il primo suono avvertito dalle mie orecchie è quello del mio respiro ancora affannoso che sfiora le lenzuola, con lo stesso pudore con cui queste ultime celano le mie membra. Percepisco progressivamente la mia pelle raggrinzirsi a causa delle fastidiose raffiche di vento che si insinuano attraverso le finestre, schiuse come le mie labbra, dalle quali si sprigiona il fiato della natura che penetra oltre le coperte e si infiltra confusamente nei miei capelli con un sospiro soddisfatto. Simile a quello che nel sonno colma il petto di Paul, prima di oltrepassare la soglia delle sue labbra colorate di un rossore accesso, simile a quello che dipinge le sue guance e che offre al suo viso un candore puerile.

Questo si dipana sul suo petto villoso, rischiarato appena dai raggi lunari, dai quali le coperte paiono desiderose di proteggerlo. Quel pallido lucore si introduce pudicamente attraverso le maglie setose delle tende, le quali carezzano altrettanto timidamente i vetri delle finestre. Odo indistintamente il traffico notturno che, non pago dell’occupazione strenua delle strade di Londra, imperversa anche nei miei pensieri confusi con suoni indefinibili che non ho intenzione di decifrare.

La mia attenzione è infatti impegnata a sondare la realtà circostante con il suo occhio, reso affatto critico dalla spossatezza che infastidisce le mie membra.

 Scuoto ripetutamente le palpebre per scacciare malamente dalla vista la sensazione di tiepido sopore di cui la notte l’ha cosparsa. Riemergo lentamente dal sonno che ha colto poche ore prima il mio corpo, riversandolo blandamente su quello di Paul, anch’esso accolto dal sorriso ammaliante di Morfeo. Mi sono congedata dalla sua gentile ospitalità mentre Paul pare intenzionato a godere ancora della compagnia di quella divinità effimera che avvolge con i suoi doni il volto dell’uomo di un tepore innaturale che permette di essere ammirato solo nel riposo. Tale placidità abbandona in fretta la mia mente come un’inquilina insoddisfatta, sostituita da un dolore notevole che assale le mie tempie con il suo silente grido.

Porto una mano alla fronte sudata, dove i capelli si riversano in un posa stremata. Massaggio la pelle con i polpastrelli, corrugando le sopracciglia, rivolte a quegli occhi che mi ostino a tenere serrati. Oltre quella prigione in cui racchiudo le iridi scure, si avvicendano i recenti ricordi di quella notte non ancora trascorsa. Ripercorro naturalmente con la memoria i sospiri, le mie urla eccitate, il sorriso di Paul che poche ore prima hanno impregnato le pareti di quella stanza, ora silenziosamente indignate proprio come la mia coscienza. Questa riemerge dalla mia mente, con la stessa irruenza dei ricordi, costringendomi a sedermi sul materasso lentamente, liberando i miei capelli dalle dita di Paul, adagiate su di essi.

Osservo quella mano grande e callosa, la cui posizione assunta risulta così diversa da quella della sua compagna, distesa sul torace.

Porto il lenzuolo a protezione del petto nudo, gli occhi sgranati che scandagliano le vesti riverse scompostamente sul tappeto, condividendo con la mia morale la stessa sdegnosa repulsione.

Distinguo senza difficoltà i miei capi d’abbigliamento, scuri come la notte e altrettanto forieri di sgradevoli emozioni.

Distolgo istintivamente gli occhi  dalla mia biancheria, un moto di nausea che assale la mia gola aumentando i dolori consistenti al capo.

 Lo specchio che ricopre la parete di fronte al letto matrimoniale verso cui rivolgo istintivamente il mio sguardo pare crudelmente deciso ad arricchire tale sgradevole sensazione attraverso l’immagine riflessa impietosamente.

Soffermo la mia attenzione sul volto che mi osserva con eguale curiosità. Una curiosità morbosa, intenzionata a carpire nei miei lineamenti l’empietà dell’atto commesso.

Ma nello specchio altri non riconosco se non un volto dalle gote piene, il cui rossore soddisfatto colora le labbra carnose e le spalle nude. Queste sono celate da lunghi capelli neri, che la notte pare aver intessuto pazientemente in eleganti volute che sfioro con i polpastrelli. Raccolgo fra le dita una ciocca, constatando amaramente che non ha subito mutamenti in seguito al gesto atroce compiuto poche ore prima.

Rivolgo nuovamente gli occhi allo specchio, offrendo ad esso uno sguardo maggiormente accurato in grado di penetrare il mio piacevole aspetto e addentrarsi nella mia anima tormentata.

 Curvo il capo verso il ventre, sperando che quella maschera di dita possa proteggermi dall’immagine disperata che mi  ha osservata sarcastica dallo specchio.

Un’immagine nella quale d’improvviso ho riconosciuto una donna del mio passato; una donna che ha ucciso la mia infanzia e che popola ancora la realtà con il suo fantasma onnipresente.

L’amante di mio padre.

Libero il volto dalle mani, unica parole che pare definire il mio essere che ridonda fra i miei pensieri sconnessi.

 

…Sgualdrina…

…sgualdrina…

…sgualdrina…

 

Concentro l’attenzione sui miei respiri lenti, così diversi da quelli affannosi che colmano la mia memoria, senza riuscire a dimenticare quell’unica parola, nella quale è concentrata la mia natura barbara, che ha ceduto a quegli istinti carnali che ho ripulso con cotanto odio durante l’adolescenza. Il mio più grande nemico ha assunto le mie sembianze, con l’aiuto dell’alcool, che ha impedito alla mia coscienza di innalzare una barricata per impedire a quell’avversario di penetrare i miei sensi.

Lascio scivolare i polpastrelli sulla bocca, per intrappolare un gemito profondo causato dal rimorso, sentimento sgradevole arricchito dalla consapevolezza della mia moralità mancata.

Tale certezza attanaglia il mio animo, costringendo alle mie membra una sequenza irrazionali di movimenti che paiono celare un’unica soluzione.

Recupero gli occhiali dal comodino dove poche ore prima Paul li ha adagiati accuratamente, ignorando pudicamente la foto di una Linda sorridente, racchiusa in una cornice altrettanto gioiosa.

Allontano il ritratto con un gesto della mano, come una scolara che tenti di spiegare il motivo della sua impreparazione ad un’interrogazione. Ma non sono certa di essere in grado di chiarire neppure a me stessa il motivo del mio errore, che pulsa selvaggio oltre le tempie. Accompagnato da quell’unica parola.

 

… Sgualdrina…

 

Recupero rapidamente i miei indumenti dal tappeto, accertandomi della loro natura con la sottile pressione delle dita. Mordo vergognosamente il labbro inferiore all’udire la stoffa del mio vestito frusciare lungo quelle gambe che poco tempo prima hanno subito le lascive carezze di un uomo sposato.

 

…Sgualdrina…

…sgualdrina…

 

Un uomo la cui bocca carnosa rilascia un gemito infastidito in seguito allo stridio dei tacchi delle mie scarpe sul pavimento. Indosso lentamente le calzature mentre il respiro di Paul riassume la sua regolarità. L’unico desiderio conscio che popola la mia mente riguarda la fuga da quella stanza, le cui pareti sono impregnate da un’imperdonabile peccato.

Porto una mano alla testa, una silente implorazione rivolta a quella parola tanto crudele quanto definitiva che preme contro la mia fronte, con il fine di distruggere la labile barriera delle mie certezze. Esse sono scivolate nell’abisso dell’estasi e del piacere che, nonostante il rimpianto, ancora contribuisce alla creazione di numerosi fremiti lungo le mie membra. Quell’inesorabile parola combatte contro la mia preesistente lussuria mentre mi dirigo veros la porta della camera da letto.

 

…Sgualdrina…

…sgualdrina…

…sgualdrina…

 

Un sospiro tremulo vìola il mio respiro quando sfioro distrattamente la figura di Paul, placidamente addormentata.

La mano che prima ha riposato sul suo petto ora scivola oltre il materasso, permettendo alla luce della luna di illuminare la fede nuziale. Il riflesso luminoso di quest’ultima causa un urlo maggiormente acuto nella mia coscienza che provoca la discesa di copiose lacrime lungo le guance.

 

SGUALDRINA!

 

Richiudo l’uscio alle mie spalle accompagnata da un’unica voce, assai effimera a differenza del mio rimorso.

 

...Sgualdrina…

 

 

 

 

_______

 

Il sole primaverile distende i suoi raggi pallidi nella stanza, sfiorando inevitabilmente il mio volto.

Si ritraggono repentinamente, desolati, sostituiti dall’ombra oscura prodotta da una nuvola passeggera che sosta solo pochi istanti nel cielo di Londra, permettendo alle mie palpebre ancora chiuse di assaporare nuovamente il lucore flebile del sole.

Questo pare invitarmi al risveglio, provocando il movimento istintivo delle ciglia, che si adagiano elegantemente sulle guance, come fedeli sudditi impegnati i doverosi inchini. Ma il destinatario di questi ultimi pare indefinito, forse celato dalle lenzuola rese d’improvviso dorate. Dirigo una mano verso la sponda opposta del letto, ormai consapevole che non sia occupata dal corpo di Brianna.

Quel corpo che rivela immantinente i miei recenti ricordi, riaccendendo per un istante i miei sensi. Reprimo subitaneamente l’immagine delle sue nudità, cercando con gli occhi i suoi effetti personali che la notte precedente hanno assistito alla nostra passione rovente, assieme ai miei.

Mi passo una mano fra i capelli, il profumo della giornalista ancora impresso sulla mia pelle, nonostante la chiara assenza della sua padrona.

Placo il mio desiderio con un sospiro, permettendo a quella razionalità bandita dai miei pensieri per alcune ore, di riconquistare degnamente il suo insigne ruolo nella mia mente.

Abbasso lo sguardo sulla mia fede nuziale, ricordando con un istintivo sorriso il rossore imbarazzato di Linda durante il ostro matrimonio in occasione dello scambio degli anelli. Quel rossore che io quella notte ho ingenuamente creduto di riconoscere sulle gote di Brianna; le gote di un’altra donna, che ha contribuito alla lontananza del ricordo di Linda che ora si adagia sui miei pensieri, occupandone l’intera attenzione.

Quella parola di cui in passato non ho mai avuto timore, ripropone la sua presenza inaspettata, colpendo con ferocia le mie tempie.

 

…Traditore…

….traditore…

…traditore…

 

Tale consapevolezza preme contro il mio ventre, creando una fastidiosa sensazione di vacuità che tento di soffocare recuperando la mia biancheria.

Mi vesto con malcelata indifferenza, sperando invano che la rapidità dei miei gesti vincesse quella lunga maratona contro il rimorso. Quell’avversario colmo di risorse guadagna terreno nella mia mente, urlando un unico slogan.

 

...Traditore…

 

L’acqua scorre copiosa lungo la mia schiena, inumidendo le pareti della doccia dove ho cercato invano rifugio dal mio tormento.

Inclino il capo, permettendo al tepore delle gocce di imperlare il mio volto, costringendomi a boccheggiare debolmente e a restringere gli occhi brucianti. L’acqua scivola lungo il mio corpo con l’eguale lascività delle labbra di Brianna, le quali nel mio ricordo non possiedono affatto la rassicurazione di quelle di Linda, come ho erroneamente creduto.

Reprimo a fatico l’immagine delle labbra di Brianna che hanno assaporato ogni minimo anfratto delle mie membra. Deglutisco rumorosamente, ricordando mio malgrado la mia risposta a quell’inusitata voracità, altrettanto feroce. Il mio respiro affannoso pare espressione della mia improvvisa preoccupazione riguardante la remota possibilità della replica del mio antico errore giovanile.

Quel flebile presentimento uccide lentamente la mia razionalità, come un crudele sicario al quale non riesco a fare fronte. Quella probabilità, resa improvvisamente possibile dal mio acuto timore.

Scuoto tale pensiero sgradevole, asciugando il mio corpo da quelle gocce d’acqua che paiono affezionate alla mia pelle, da cui non desiderano essere allontanate.

Il dubbio che poco tempo prima ha attanagliato la mia mente mi costringe a ripercorrere con un brivido di rimorso, la notte peccaminosa trascorsa con Brianna, alla smaniosa ricerca di una smentita. Mi porto le mani ai capelli, un terrore infantile e privo di reale fondamento a fremere nelle mie membra intorpidite che il cigolio dell’uscio principale scuote d’improvviso.

Indosso l’accappatoio, mostrando allo specchio il sorriso rassicurante che mi affretto ad indossare. Nonostante tale maschera in essa riconosco senza difficoltà un inusitato appagamento che provoca in me un impellente disagio che mi risolvo ad affrontare.

Accompagno la mia uscita dal bagno con un sonoro sospiro, la cui motivazione ad orecchie altrui è fornita dalla soddisfazione della doccia appena compiuta. Mentre alle mie è solo espressione di desolazione e profondo ed inguaribile rammarico.

-Paul?! Non credevo fossi mattiniero!-

L’esclamazione piacevolmente sorpresa di Heather reca con sé la spontanea allegrezza di una gioventù che io ho distrutto con un unico, scellerato gesto.

I capelli biondi di quella che ormai da tempo considero la mia bambina scivolano affettuosamente verso le guance arrossate di James, sulle quali le mani strette a pugno del bambino paiono ricercare tepore in quell’ennesima giornata ventosa. Le braccia di Heather cullano affettuosamente il bambino che sbadiglia sonoramente, imitato d Mary e Stella che, intuisco, abbiano preferito la compagnia delle amiche a quella silente e tediosa del letto.

Heather si avvicina a me, un’aura preoccupata circonda i suoi occhi ridenti.

-Che succede? Hai dormito poco? Non sei più abituato passare la notte da solo?-

L’ironia contenuta nella sua ultima domanda scema progressivamente durante l’analisi attenta della mia espressione frustrata, probabilmente non celata così adeguatamente come credevo.

Alza lo sguardo al cielo, fingendosi esasperata.

-Tranquillo, io e Clive non abbiamo esagerato. È stato tutto perfetto…- sussurra con aria sognante, mordendo il labbro inferiore, incurvando le labbra in un sorriso.

Le ultime parole da lei pronunciate occupano d’improvviso la mia mente, sostituendo quella che ha governato fino a quel momento la mia mente.

 

Tutto perfetto

 

La realtà si dipana alla mia vista, oscurata da un effimero piacere lussurioso.

Riconosco senza difficoltà la perfezione insita nella mia famiglia; negli occhi dei miei figli, che mi osservano, pregni di puerili soddisfazioni quotidiane; nella risata cristallina di James e in quella altrettanto pura di Mary e Stella; nell’ironica malizia di Heather e in quella dolce ma sensuale di Linda. Sorrido della vetrata istoriata e luminosa fregiata di queste famigliari immagini, che permette al sole di penetrare in quella fortezza inespugnabile che pare essere la mia vita. La perfezione ha sempre adornato la mia esistenza, oscurata soltanto dal mio insano desiderio che mi ha consigliato di violare la purezza di Brianna. Tale bisogno viene improvvisamente soffocato, assieme a tutti i dubbi sorti precedentemente.

Solo una frase commossa solca le mie labbra, che quella notte hanno ingenuamente liberato parole affannose, dettate da un amore effimero. E fuggevole, come la fedeltà famigliare che fatico ad immaginare senza ribrezzo di aver tradito.

-Hai ragione, Heather. Non sono più abituato a dormire da solo…-

 

 

 

 

Angolo autrice:

Ragazze!

Ho scritto questo capitolo con un po’ di difficoltà, ma spero sia stato gradito.

Ringrazio tutti i miei lettori!

Peace&Love

Giulia

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Diritto negato ***


Ciao carissime!
Sono tornata!!
Vi preannuncio che questo sarà un capitolo succulento, strutturato soltanto in un unico grande pov di Brianna, nel quale verrà rivelata una verità a dir poco... scovolgente! O almeno spero lo sia :P
Vi avviso non senza un po' di malinconia che mancano solo tre capitoli al termine di questo racconto, escluso quello sottostante. Questa mia splendida avventura sta per concludersi ma non è detto che non ammainerò presto nuovamente le vele di questa grande e meravigliosa nave che è la scrittura di fanfiction. Stefania, questa metafora è tutta per te ;)  
Anzi vi anticipo che ho già un'idea per una nuova long... ma non svelo nulla.
Ho già rubato troppo spazio, vi lascio al capitolo!
Buona lettura.







Liverpool    Maggio 1981

Le rotaie cedono senza difficoltà alla prorompente mole del treno, con la stessa naturalezza con cui i miei pensieri subiscono l'irruenza dei ricordi. Le immagini protagonisti di questi ultimi si atteggiano come a grandi e celebri personalità che passaggiano fra i prati, insinuano la loro figura fra gli alberi e le nuvole sfilacciate, imponendo la loro presenza al paesaggio che si rivela oltre al finestrino opaco, al quale ho offerto la mia attenzione.
Passo una mano fra i capelli, le cui ciocche la mia fantasia crede ancora plasmate dalle carezze di Paul.
Il cigolio blando che accompagna il treno sul binario successivo pare incredibilmente somigliante a quei gemiti rochi e convulsi che partecipano assiduamente alla progressiva rivelazione di quel recente passato che tento di celare grazie ad un'ulteriore immagine.
Quella di una donna.
Una donna esile, non più padrona ormai del suo corpo minuto e della sua anima altrettanto fragile contro la quale ho inveito, incurante delle ripercussioni che tali urla avrebbero potuto causare all'oggetto della mia ira.
Adagio il capo al finestrino, dimenticando il gelo innaturale che ne pervade il vetro. Chiudo gli occhi e libero contro di esso una sola lacrima che una anziana signora che ha da tempo preso posto accanto a me, accoglie con un sorriso malinconico. Scambiandola forse per il frutto di un amore non corrisposto e non per la figlia di un dolore che ritengo insanabile.


"Una.
Due.
Tre.
Le venature di cui il soffito del motel è cosparso si rivelano all'improvviso a quella mia analisi accurata, come scolari  capricciosi di fronte ad una maestra alquanto severa. Ma di tale insegnante non possiedo l'intransigenza; qualità che, forse, avrebbe soffocato quel mio desiderio lussurioso che non ho tardato a soddisfare.
Il pentimento, vigoroso cavaliere da tempo addentratosi nella corte dei miei pensieri, uccide brutalmente la passione, avversario emaciato, ormai spossato dall'esperienza trascorsa soltanto poche ore prima.
Di quella notte non resta che un ricordo confuso, soffocato dall'alcool maldestro e da quella necessità peccaminosa.
Il materasso sospira sollevato quando sollevo il mio corpo, il cui peso ha gravato per alcuni istanti sulle lenzuola.
Le mani saggiano con una carezza premurosa il calore offerto alla mie guance dalle lacrime copiose appena versate.
Un singhiozzo scuote le mie membra, avvicninandole alla finestra. Questa risulta fiocamente illuminata dal sole, pallido come le mie labbra, ormai scolorate di quella tinta purpurea, dono della passione fuggevole.
Quella passione che ha arricchito i baci roventi di Paul di un inaspettato calore e le sue rassicurazione precedenti di un'accoratezza sincera.
D'improvviso alcune delle sue parole antecedenti a quel delirio carnale risuonano nella mia mente, accompagnate da un tono autoritario che originariamente non le ha plasmate.



-Forse ha più bisogno del tuo aiuto di quanto tu creda.- Ricordo quanto questa frase appena sussurrata sia stata riferita a mia madre e quanto coonservasse il fine di donarmi maggior spensieratezza. Sentimento però che annebbia i miei umani rimorsi soltanto ora, mostrandomi diligentemente il soggetto, per la salute del quale, devo interrompere la corsa delle mie lacrime.
Scaccio quelle umide gocce salate dalle mie gote, con una bruschezza indelicata, con la quale esprimo il mio disinteresse riguardo quell'acuto dolore. Tale attenzione scema rapidamente, consacrandosi senza alcuna riserva all'unico sentimento che ne fosse degno: l'affetto profondo che provo per mia madre. Quell'amore incondizionatamente puro che non ha riservato il suo candore a quelle mie ultime parole a lei rivolte. La delusione le ha insozzate dell'unguento viscoso della rabbia, generato da un unico istante. Di esso mi pento amaramente, riconoscendo d'improvviso l'importanza gravosa che mia madre ha sempre rivestito in quel gioco irreversibile che è la vita. Un ruolo assai maggiore di quello che si fregiano le pedine del mio dolore, che muovo in silente solitudine nella scacchiera della realtà.
Respiro profondamente, rimembrando il volto terreo di mia madre, la cui espressione forgiata dalle mie grida severe, ha espresso una disperata richiesta d'aiuto che non sono riuscita a cogliere, a causa della mia razionalità accecata dal rammarico. Sorrido, l'intenzione di sopperire a tale mancanza palpita nel mio cuore ormai privo di allegrezza, contribuendo a tingerlo di una vana speranza di redenzione.
Recupero le chiavi della mia casa a Liverpool da quell'antiquato cassettone, il cui profilo sgraziato è stato riservato al muro, che sopporta pazientemente la sua ingente mole.
Chiudo la portea lignea della stanza del motel e discendo rapidamente le scale, ignorando le mie gambe slanciate, foriere di sgradevoli ricordi."

Le raffiche ventose che da tempo gozzovigliano fra i quartieri di Liverpool accolgono in un caloroso abbraccio sorpreso il mio corpo, glorificando il mio arrivo con un fischio sonoro e vibrante. Questo percuote con vivacità le mura inglesi come un bimbo che avverte la madre di una presenza inaspettata afferrando le gonne della donna spazientita fra le mani paffute. Quell'ingenua pretesa di attenzione pare rivestire anche il volto inespressivo della città, che si staglia orgogliosa di fronte a me, con l'intenzione di suscitare i miei sguardi ammirati che non ho mai dimenticato di offrirle. Ma oggi offro a quei lineamenti pietrosi solo un sorriso apatico, come quello offerto dalle madri sconsolate a quei figli che forse non potranno mai comprendere il loro dolore. Liverpool approva il mio composto silenzio, trasudando però nei suoi viottoli il vano desiderio di rallegrarmi.
Riconosco senza difficoltà i profumi speziati che fino ad alcuni giorni prima ho respirato assieme a Paul, assaporando la dolce fragranza che ha impregnato la sua camicia.
La nobile intenzione della città di offrirmi, attraverso il suo paesaggio caratteristico, ricordi famigliari e affettuosi, pare ora un crudele tentativo di deridere la debolezza della mia coscienza grazie ad immagini di un passato recente. Quel passato che attanaglia nuovamente la mia mente, insinuandosi in ogni anfratto di quella provincia, da me cotanto amata. Percepisco la voce sudenti di Paul in quella irriverente dei negozianti, le mani eleganti del cantante nei gesti vaghi delle anziane comari e le labbra scarlatte dell'uomo in quelle screpolate di alcuni ragazzini assiepati attorno ad un locale.
 Abbasso il capo, come un soldato, nel tentativo di evitare le incessanti granate con cui i ricordi desiderano punire la mia immorale lussuria.
Avvolgo il mio busto con le braccia, tentando inutilmente di proteggere il mio corpo da quel vento gelido, improvvisamente inospitale.
Accolgo con un sospiro soddisfatto la figura della mia abitazione, esile e assai poco appariscente, proprio quanto la sua padrona. Osservo con un sospiro malinconico quelle tegole sconnesse quanto l'animo di mia madre, che nessuno ha mai avuto intenzione di riparare. Il tempo ha eroso i mattoni, e il profilo candido della casa.
I fiori ordinati sul balcone, non sorridono al sole opaco con la vivacità di quei colori ormai spenti a causa di una cattiva cura.
Lascio scivolare la chiave nella toppa.
Tre cigolii.
Il primo, acuto e repentino.
Il secondo, basso e prolungato.
E il terzo che rivela con un sospiro affaticato l'interno della mia dimora.
Sorrido di quei suoni familiari che donano alla mia mente un'unica, sincera malinconia.
Mi addentro a casa ma percepisco appena il ticchettio dei miei stivali, soffocato da passi assai più frettolosi, nei quali riconosco l'angoscia di un'attesa a lungo sperata.
Tale piacevole rumore viene accompagnato da una voce, arrochita da un pianto recente, interroto subitaneamente, al momento del mio rientro.
-Brianna?-
Mia madre giunge le mani di fronte alla bocca carnosa, così simile alla mia, un sorriso sollevato che si dipana oltre le dita. Tale espressione di gioia inaspettata fa rilucere il suo viso di un'inaspettanto entusiamo, che riporta alla mente quello infantile. Della puerilità, quella donna, possiede le gote arrossate da quel sentimento benevolo e gli occhi raggianti.
Sorrido a questa visione, che da tempo ha occupato degnamente la mia attenzione.
D'improvviso il dolore provato in seguito a quella notte immemorabile viene soffocato dall'irruenza di un sentimento maggiore, la cui forza familiare ha sorretto il mio animo per anni di disperazione, offrendomi la forza di proseguire degnamente la mia vita: l'amore. Una consapevolezza sguascia nella mia mente, come uno sciroppo benefico, che scaccia senza difficoltà i miei timori.
Comprendo il mio errore riguardante la valutazione di Paul, il quale ho sempre considerato la mia ancora di salvezza; essa risulta d'improvviso avere il volto di mia madre. Una donna dall'animo debole che richiede il mio aiuto e mi offre il suo attraverso un bacio o una carezza altrettanto amorevole.
Quelle dimostrazioni affettive che ora arrichiscono il mio viso di un appagamento beato simile al sonno ristoratore in cui la spossatezza traghetta l'uomo in seguito ad una giornata sfiancante.
Prende il mio mento fra le mani e strofina il suo naso contro il mio, ripercorrendo con un gesto un personale rituale infantile.
-Mi dispiace, Bri, mi dispiace davvero tanto. Non so cosa mi sia preso, sono stata un'incosciente. Io... ti prometto che cambierò. Sì, cambierò! Ti assicuro che mi libererò di quelle maledette pillole, amore, te lo prometto... te lo prometto...- Ripete le ultime parole in un refolo di fiato che accarezza il mio collo. Adagio delicatamente la mia mano contro la nuca, sussurrandole parole di conforto. Queste ultime vengono interrotte da un gemito infantile proveniente dalle labbra di mia madre, adagiate contro la mia spalla.
-Credevo non saresti tornata da me dopo quello che ti ho fatto. Sono stata davvero ingenua a credere che quelle pillole siano più importanti di te...-
Alza il capo e bacia sonoramente le mie guance.
-Ma niente è più importante di te, Brianna. Sei l'unica ragione che ho... per continuare a vivere e io...-
-Lo so, mamma. Ti amo anch'io.- scuoto ripetutamente il capo prima di proseguire.
-Non... non avrei dovuto dirti quelle cose orribili, sono stata un mostro, io...-
-No...- la sua voce rassicurante è velata da una sincerità oltremodo genuina.
-No, Bri! Tu sei stata matura e corretta nel tuo giudizio contro di me e te ne sono grata. Se non fosse stato per le tue parole non avrei mai capito la portata dell'errore che stavo compiendo.-
Il suo volto si oscura di una serietà compunta che anticipa parole altrettanto sentite, le quali sono attorniate da un'eccitazione acuta e incomprensibile.
-Sei incredibilmente responsabile, Bri. Hai sempre dimostrato questa tua caratteristica in anni di adolescenza mancata, nella quale non mi hai dimenticata per un solo istante. Hai abbandonato gli studi, hai trovato un lavoro, hai guadagnato dei soldi, sei tornata a Liverpool ogni volta che ne avevi la possibilità e tutto questo solo per me...-
Sorrido, grata per quell'inaspettata constatazione. Tento nuovamente di avvolgere mia madre in un abbraccio che lei rifiuta. Il cenno della sua mano tremante con cui pone una distanza fra i nostri corpi pare non essere d'accordo con il chiaro desiderio affettivo che freme nelle sue membra.
-Non ho rimpianti per ciò che ho fatto mamma. Nonostante ciò che ho detto ieri, io... io ti amo, sei la persona più importante della mia vita... avrei dovuto sostenerti maggiormente, starti più accanto per evitare che tutto questo accadesse di nuovo ma ora sono qui. E ti prometto che combatteremo insieme questa battaglia che è l'unica che vale davvero la pena di combattere.-
Anche il mio tentativo di intrecciare le mie dita con le sua risulta vano. Corrugo la fronte, con un sorriso stupito, accompagnando gli occhi all'intorno, come alla ricerca di una motivazione a quell'improvviso distacco.
Mia madre deglutisce profondamente, inclinando il capo, lo sguardo attratto dai fregi del tappeto persiono che adorna l'ingresso.
-No, Bri, tu non hai sbagliato nulla con me. è colpa mia, che ho ripagato la tua premura con un comportamento riprovevole. E adesso... adesso credo... credo sia giunto il momento di spiegartne la causa...-
Sgrano gli occhi, una spiacevole sensazione si impadronisce di me.
-So benissimo il motivo del tuo dolore mamma, forse perchè l'ho provato anche io. A differenza tua però sono riuscita a superare più facilmente la delusione per il gesto... il gesto... il...- quell'azione passata di cui sono stata protagonista poche ore prima fatica ad assumere la veste di quelle parole che fatico a pronunciare.
-Il gesto... gesto... orribile che fece quel verme di mio padre. Non devi spiegarmi nulla, lo sai. Io sono con te.-
La sua voce lamentosa tradisce un gemito stonato che risuona lungo le pareti.
-No, quella... quella è solo parte della verità che ti nego da troppo tempo, credendo... credendo che tu sia ancora troppo piccola per capire... ma dopo la tua dimostrazione di responsabilità e dedizione nei miei confronti non posso negarti un tuo diritto... un diritto di cui una giovane donna come te dovrebbe godere: la verità.-
Un presentimento alquanto spiacevole avvolge le mie membra di un torpore innaturale dal quale emerge solo una domanda formulata dalla mia voce arrochita che percepisco estranea.
-Quale verità, mamma? Che stai dicendo? Diritto negato? Quale diritto? Di che stai parlando?-
Le mie parole si affaccendano ansiose sulle mie labbra in attesa di una risposta.
Mia madre preme le mani sulle tempie, come infastidita dal mio tono pretenzioso. Con un sospiro rilassa la fronte, percorsa da rughe d'espressione.
Accenna ad abbandonare l'ingresso esclamando:
-Ti prego, seguimi. Io... devo dirti molte cose che ti ho indegnamente taciuto fino ad ora. Credo proprio che sia giunto il momento che tu le sappia.-
Tento di rassicurarla con le mie parole ancora poco convinte.
-Non siamo in un film, mamma, e tu non sei il personaggio che svelerà chissà quali misteriosi segreti del mio passato. Io conosco il mio passato e so perfettamente quanto sia stato doloroso ma ora siamo insieme e affronteremo tutto, come sempre... non ho bisogno di sapere altro.-
-Non è vero... tu non sai niente riguardo al tuo passato... riguardo... riguardo a tuo padre...-
Alzo gli occhi al cielo, prima di accarezzarle le spalle in un gesto preoccupato.
-Che altro devo sapere di quel verme? Ti ha picchiata? Ti ha fatto del male? Ti ha costretta a fare qualcosa che non volevi? Ti ha molestata? Oh mio Dio, se così fosse lo cercherò in capo al mondo e ti giuro che gli restituisco tutti i torti che ti ha fatto. Ovunque si sia cacciato con quella... quella...- sospiro, la parole ancora aggrovigliata nelle maglie dei ricordi.
-Quella... quella... quella maledetta... sgualdrina, io ti giuro che lo troverò.-
Un sorriso amaro dipinge la bocca di mia madre, incurvandola in un'espressione altrettanto desolata.
-No, non riguarda Quel padre...-
-Perchè, ce ne sarebbero altri?- rispondo con una lieve ironia che lo sguardo grave di mia madre allontana subitaneamente dalle mie parole.
-Solo... solo uno...-
Deglutisco profondamente, alquanto confusa, scuotendo il capo verso quello ricciuto di mia madre alla ricerca di una spiegazione.
Ma nasconde il viso fra le mani, preda di un singhiozzo, prima di pronunciare un nome. Un unico nome, che uccide lentamente ma altrettanto efficamente la mia razionalità.
Un nome appena sussurrato tra gli spiragli creati dalle dita, che permettono accuratamente agli occhi di mia madre di non affrontare i miei che d'improvviso si colmano di un velo opaco e irreale.
Tre sole parole.
Un unico nome.
Numerosi pensieri che non riesco ad ordinare.
Una folle consapevolezza che pullula nella mia mente.
-James Paul McCartney.-






Angolo autrice:
Ta-daaaa!
Ecco la grande sorpresa, forse un po' scioccante, che caratterizza la mia storia. Spero di avervi (almeno un po') sorpresi :P
Inizialmente la maggior parte di voi aveva intuito qualcosa, ma ho cercato (spero decentemente) di dirottare il vostro interesse verso un'altro argomento: il rapporto fra Brianna e Paul. Che strategia, eh? XD
Ringrazio come sempre la mia mitica Giu, che di parte di questo capitolo conosceva un'ulteriore versione che ho modificato proprio all'ultimo.
Non dico nient'altro, lascio a voi tutti i commenti!
Un bacio
Giulia
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Come un'eclissi ***


Ciao ragazze!

Alloooora...

Il capitolo sottostante riguarderà i chiarimenti di Ester riguardo la verità da lungo taciuta alla figlia. Una verità che ha interdetto parecchie di voi, ma che personalmente ritengo il tocco di originalità di questa storia, altrimenti banale e "già vista".

Vorrei ringraziare Swaying_Daisies per avermi regalato un importante consiglio riguardo la personalità di Brianna, che metterò certamente a frutto in questo capitolo.

Buona lettura!

 

 

 

 

Liverpool     Maggio 1981

 

Delusione.

Rabbia.

Frustrazione.

Oltre la coltre impenetrabile di quelle travolgenti emozioni annegano i miei sensi indeboliti. Questi tentano invano di afferrare i lembi di quella friabile razionalità, ottendo unicamente la sua dispersione in quella nuova e impensata realtà. Palesandosi d'improvviso, impedisce ai miei muscoli qualunque guizzo stupito o l'assunzione di alcuna posa inquieta. Sul mio viso non pare esservi ospitalità per quelle introverse emozioni che limitano la loro furia al pensiero, senza permettere ad esso di plasmare i miei lineamenti.

Ma ben presto la forza d'animo, quella che rivestiva i panni di protagonista negli elogi altrui riguardanti l'essenza della mia persona, abbandona fiaccamente il palco della mia coscienza sul quale ha tentato di recitare.

Ogni effimera certezza donatami dalla mia vita abbandona il mio corpo nell'unica espressione che il mio dolore riveli; una lacrima.

Una minuta rappresentante della solitudine in cui ho trascorso la mia esistenza, durante la quale quella goccia salata ha solcato sovente le mie guance.

 Ora alcun orgoglio la raccoglie lungo il profilo delle ciglia, impedendole di rovinare contro il pavimento, non degno di subire la mia desolazione.

Ora non permetto ad alcun sorriso di calcare con la sua figura le mie labbra, illuminato dai riflettori dell'ipocrisia.

Un'ipocrisia che non sono in grado di dissimulare, poichè risulto sprovvista di quel coraggio, la cui unica menzione da parte di Paul è bastata ad incitare il mio desiderio lussurioso la notte precedente.

Quel coraggio ora si dimostra un elemento fittizio delle convenzioni altrui, e affatto parte integrante del mio spirito.

Uno spirito che ora si abbevera alla putrida fonte della verità, come un assetato reticente ad affrancarsi di quell'acqua fetida ma necessaria alla soppravvivenza.

Un brivido freddo e inospitale quanto quella sorgente fantastica percorre la mia schiena madida di sudore che, scivolosa come le pareti della mia coscienza, inditreggia progressivamente.

I seguenti movimenti del mio corpo vengono sospinti dalla naturale repulsione verso quella donna, nella mia mente protagonista di una verità celata.

Una verità che offre ai miei ricordi di quella notte di passione un ribrezzo costante che la tramuta in una notte di orrore. In essa i sospiri irregolari di Paul, assumono i contorni di quelli paterni, placidi e silenti; le mie urla possiedono la puerilità di quelle capricciose di un bimbo. E quel nostro occasionale rapporto non preclude all'infedeltà le sue caratteristiche ma anche ad una realtà maggiore che neppure sono in grado di pronunciare.

Affido ai miei pensieri la formulazione di quella parola che rispecchia l'inconsapevole natura della mia azione.

 

Incesto...

 

Questa parola risuona sorda nella mia mente, come i rintocchi della chiesa di Liverpool, che scuotono ripetutamente le campane. Invidio d'improvviso le vibrazioni prodotte da quegli inusitati strumenti. Tali rintocchi vagano per alcuni impercettibili istanti all'interno del campanile per poi affievolirsi lentamente finchè, della loro fuggevole esistenza non rimane che il ricordo nei timpani offesi dei paesani.

Quello il destino che mi è stato negato.

La morte rapida e indifferente in seguito a questa scoperta che dilania crudelmente il mio corpo, come una bimba crudele, divertita dai suoi nuovi giochi.

Osservo quella bambina impertinente senza poterle impedire di plasmare le mie eventuali reazioni sotto quelle manine perennamente insoddisfatte.

Le mie membra intorpidiscono senza ulteriori indugi alla mia immobilità, impedendo anche quei movimenti istintivi che hanno condotto i miei passi verso la porta.

Il cigolio infastidito delle spalle che stento a rilassare ricorda quello del materasso del letto matrimoniale di Paul.

Il letto di mio padre...

Il letto in cui...

BASTA!

Impongo questo divieto alla mia mente che ammutolisce, inquieta, come uno scolaro ripreso inaspettatamente dalla maestra. I miei ricordi si tingono dello stesso rossore imbarazzato, ma la vergogna che li caratterizza è assai meno innocente. Della puerilità non rimane in me che la rimembranza di un passato, la cui irrealtà è stata rivela con cotanta bruschezza da quella donna che credevo una madre amorevole.

L'affetto incondizionato che ho da sempre nutrito per mia madre viene divorato da quella nascente scoperta con la stessa ingordigia che i passeri riservano alle molliche di pane.

Ogni pulsione affettiva che ho donato senza riserve a quella donna perde d'importanza, soffocato da una verità impellente, che come un'eclissi che ha oscurato la mia già offuscata serenità.

L'ardore inaspettato di quella confessione arde quanto il sole che sovrasta senza remore la luna, pallida e instabile quanto me.

Di quest'ultima assumo il candore caliginoso che si dipana progressivamente sul mio volto. Lo avverto insinuarsi come un astuto trapezista oltre la mia pelle. Le sue evoluzioni vengono osservate minuziosamente da mia madre, gli occhi sgranati e le mani adagiate in grembo, come la spettatrice di uno spettacolo circense in procinto di applaudire.

Ma nulla merita gratitudine e riconoscimento in quella stanza satura di parole rinchiuse fra le labbra, che urlano il loro diritto di essere liberate.

Quella loro prigionia dilania ciò che resta della mia anima permettendo solo una apatica domanda, troppo spossata per possedere un accento interrogativo.

-Cosa stai dicendo, mamma?-

La mia voce arrochita dal silenzio riporta alla mente i toni gutturali dei miei gemiti sensuali, causando il grottesco ritorno di quel recente passato.

Rinuncio ad allontanarlo, poichè avversaria scadente in quella battaglia contro le emozioni che, d'improvviso si riverano dalla mia bocca senza alcun ritegno.

Ormai ho dimenticato la natura di qualunque sentimento che non sia il rancore.

-Cosa cazzo stai dicendo?!-

Mia madre si protegge le orecchie con le mani, come a proteggere l'udito dalle mie grida.

Queste scuotono le pareti con malagrazia mentre il suo corpo si rannicchia in posizione fetale su se stesso.

Alcun fremito sospinge le mie mani ad una rassicurante carezza a quel volto stremato, il quale si atteggia ad un'espressione timorosa.

Qualunque sentimento compassionevole nei confronti di quel viso scema rapidamente, sostituito da una rabbia incontrollabile e famelica. Affamata di spiegazioni, motivazioni a quella che pare un'affermazione inspiegabile a quella mente che ne è rimasta cotanto turbata.

Inclino il capo mentre un'incipiente balbuzie difetta nella sua voce. O ciò che è rimasta di essa, un fiato flebile e impecettibile.

-I...io... m... mi dispiace, io... a... avrei dovuto...dovuto dirtelo prima, capire.. quanto sarebbe stato importante, per... per te...-

Fra quelle mura non pare sopravvivere nulla della piccola e speranzosa famiglia in cui sono cresciuta. Di quest'ultima non resta che un ricordo probabilmente non così fedele come avevo creduto.

Credere.

Una parola improvvisamente priva della speranza di cui è stata colmata in anni mai pienamente vissuti poichè privi della rivelazione della reale identità paterna.

Le parole di mia madre mi permettono di riflettere su quella mancanza, della quale sono stata inconsapevolmente privata per anni.

-Importante?! Importante?! è così che definisci una cosa simile? Importante?-

Sospingo le mie retincenti emozioni attraverso parole roventi, la cui corsa verso l'esterno non intendo interrompere.

Avvolgo le braccia attorno al busto, come nell'intenzione di cullare il mio animo turbato in una pace inesistente che il tepore delle mie membra non riesce a ricreare.

Avverto sotto i polpastrelli il calore della mia pelle, il cui fremito scuote le mie dita. Oltre la mia carne grava il giogo del dolore che impedisce qualunque reazione. La fiera domata delle mie membra pare appartenere improvvisamente ad un'identità diversa dalla mia, da quella che ho da sempre forgiato. Il mio cuore non gode ormai più di quel coraggio del quale sono stata accreditata durante gli anni dell'adolescenza; quel muscolo pulsante deperisce fra le ossa fragili di quel torace che troppe volte si è gonfiato di un orgoglio che non possiede. Orgoglio utile unicamente alla prosecuzione serena della mia esistenza; orgoglio che ha abbandonato il mio profondo desiderio di lotta al dolore, rivelando la mia natura debole ed indifesa.

La realtà mi osserva.

La percepisco nascosta negli occhi vitrei di mia madre, le cui lacrime costituiscono l'unico velo pudico a celare i sentimenti in essi racchiusi. La percepisco in quelle pareti, scarne di gioie concrete ma ricche di ricordi effimeri. Ricordi il cui protagonista ho ritratto servendomi dei lineamenti di Thomas Richards. Mio padre, l'uomo che ha allietato e annientato la mia vita; due termini rimati ma assai dissonanti nella poesia che è stata la mia esistenza. Un componimento malinconico, i cui personaggi si avvicendano repentinamente nella mia mente, prima di urlare a gran voce un'unica domanda, che richiede una spiegazione altrettanto chiara e comprensibile.

Tento di dare voce a questa questione che assale le mie instabili certezze, con evidente rassegnazione.

-Perchè? Perchè? Quando pensavi di dirmelo? Quando? Non quando ero una bambina spensierata. Non quando ero un'adolescente amante della musica e del divertimento ai quali ha dovuto rinunciare per il tuo sostentamento. Non quando mi sono dovuta trasferire a New York alla ricerca di un lavoro. E non quando ti ho avvertita del mio nuovo ed importante incarico. E allora perchè, mamma? Perchè adesso? Cosa ti fa credere che ora sia così forte da riuscire a superare tutto? Cosa ti fa credere che io sia sempre stata una ragazza forte?-

Scuote il capo boccheggiante, le parole vagano fra i suoi denti tremanti, con la stessa confusione delle lacrime che rigano in torrenti sconnessi le guance.

Tale precarietà è avvertibile anche nelle sue parole, che odo appena.

-Perchè... perchè sei una donna, Brianna. Perchè meriti di sapere la verità... da sempre. Ma io... io non ho mai avuto il coraggio di dirlo a te e neppure a Thomas... lui... sapeva che non eri figlia sua ma non ho mani avuto la forza di confessargli la vera identità del tuo padre biologico. Un uomo orribile, Brianna, che lasciata sola una bambina di sedici anni con il ventre colmo della presenza di un figlio e la mente piena di sogni che credeva realizzabili. Io... non avrei dovuto tacerti tutto questo e ho appurato da tempo di aver sbagliato. Quando ho saputo del tuo nuovo incarico ho capito che avresti dovuto conoscere davvero l'uomo che avresti intervistato. E allora ho deciso di dirtelo, certa che la tua maturità e la tua forza d'animo ti avrebbero permesso di accettare appieno la verità e...-

-Non nominare la mia forza d'animo, mamma, ti prego.-

Esclamo, portando una mano ai capelli, la maschera di un sorriso sarcastico imposta alle mie labbra pallide quanto il mio viso.

Assumo un'espressione delusa che adombra i miei lineamenti.

-Limitati a raccontarmi l'origine di questa "verità". E poi lasciami andare via di qui.-

Ester Hoffman portò le mani al volto, nel tentativo di celare l'espressione terrea su esso dipinta.

Deglutisce visibilmente, gli zigmi acuti e tesi sotto la pelle delle gote.

-Io... lo conobbi a quindici anni. Ero una bambina e mi ero trasferita a... Liverpool per... impegni lavorativi di tuo nonno...-

Sospiro infastidita da quelle interruzioni ricche di drammatici sottintesi che ognuna di noi interpreta  differentemente.

-Era il padrone di una fabbrica che raggiunse il fallimento dopo la sua morte a causa della cattiva gestione. A Liverpool incontrai... incontrai Thomas, un vecchio amico di invanzia che poco tempo prima aveva abbandonato Preston per trasferirsi a Liverpool e cominciare a... vivere di un'attività propria. Aveva aperto un bar piuttosto redditizio e appena venni a saperlo andai a trovarlo e così... trascorremmo parecchie ore a parlare di noi e del poco tempo trascorso a distanza. Aveva molte cose da raccontarmi e amavo passare del tempo con lui... era l'unica persona che conoscevo in paese e.. la sua compagnia era assai più gradita di quella... silenziosa e arcigna di mio padre, la cui presenza era rara in casa.

Trascorrevo la mia adolescenza in un silenzio spensierato, privo dell'affetto di una madre morta prematuramente e di quello di un padre assente e incomprensivo delle mie esigenze... finchè...-

-Finchè?-

La incalzo con la mia voce tremula, ansiosa di conoscere maggiormente quel passato la cui matessa sta districandosi lentamente e come un filo d'Arianna mi sta conducendo oltre il labirinto dell'inconsapevolezza.

Deglutisce nuovamente, come imitando un vizio inveterato.

-Finchè non... non conobbi... non conobbi... Paul nel... nel 1959. Viveva poco lontano da me e dopo una chiacchierata circostanziale capii che... frequentavamo la stessa scuola. Lui era... era più grande di me e... lo vedevo così affascianante, maturo e responsabile... cominciammo a frequentarci regolarmente... all'insaputa di mio padre che non avrebbe approvato una mia relazione con un ragazzo  considerato scansafatiche dall'opinione altrui a causa... della sua passione per la musica. E pensare che è stata proprio quella sua passione a farmi... a farmi... innamorare di lui. Le sue mani che sfioravano le corde della chitarra, la sua schiena ricurva verso lo strumento, il suo profilo concentrato, il suo sorriso su queslle labbra schiuse...-

Scuote la testa, proteggendola con le mani e scatenando un'irrefrenabile tempesta di riccioli chiari che sferzano i miei capelli neri.

Neri come quelli di Paul.

Scaccio infastidita quel paragone dalla mia mente, permettendo con un cenno del capo a mia madre di proseguire.

Lei deglutisce e approva il mio tacito consiglio.

-Parlavo spesso di lui a Thomas, chiamandolo con il suo nome, il primo che mi rivelò e che scrivevo sul mio diario, attorniandolo di cuoricini e frasi romantiche: James.

Thomas approvò i nostri incontri seppur con reticenza, in quanto egli provava da sempre per me un affetto profondo che credeva sconfinasse l'amicizia. Ero estasiata. Estasiata dalla vita che pareva così bella, dalla presenza di Paul che regalò alla mia adolescenza il primo amore.

Quando decisi di passare la mia prima notte d'amore con lui, credevo di sognare; finalmente mi sarei unita carnalmente con il ragazzo che possedeva il mio cuore. è stato tutto... perfetto. Credevo di non poter essere più felice di così...-

Tormenta la veste con le unghie prima di proseguire a fatica, trattenendo le lacrime che soffocano le parole in gola.

Passo una mano sul collo, immaginando mia mano avvolta nell'abbracio caloroso di Paul, accarezzata da quelle stesse mani che la sera prima hanno provocato i miei gemiti soddisfatti.

Ignoro quell'infido ricordo, portando le dita alle tempie.

Un sorriso apatico sfiora le labbra smorte di mia madre.

-Ci amammo per parecchi mesi. Partecipavo come spettatrice alle sue prove musicali e... lo vedevo così bello e perfetto in ogni occasione. Ero... ero innamorata di lui...- sussurra l'ultima frase, donandole uno stupore tipico delle scoperte insospettabili. Quella sorpresa lieve, nella cui delicatezza freme un'eccitazione contenuta.

-Provavo per lui un sentimento... impossibile da descrivere a parole. Quel sentimento che... che ti fa ridere di gusto, che ti fa arrossire di imbarazzo, quel sentimento che... che ti spoglia di ogni vergogna che... che molti definiscono... amore. Un amore giovane che causa... parecchie follie. Una di queste riguardava la... la sua partenza per... per... per...-

-Amburgo...-

Ipotezzo, ricordando gli impegni musicali dei Quarrymen riguardanti quel periodo. Rammento naturalmente gli avvenimenti concernenti gli artisti che preferisco, cogliendoli nel dedalo delle mie preoccupazioni.

Mia madre annuisce, coprendo il volto con le mani. Queste ultime scivolano lungo il profilo ovale del viso, saggiandone il pallore.

-Esatto.. A.. Amburgo. Mi chiese di partire con lui, che non poteva neppure immaginare di... affrontare questa avventura senza di me. Io... sospettavo già da alcune settimane di essere incinta. Non ero affatto spaventata... ero... eccitata... un'eccitazione infantile causata da... da una certezza altrettanto puerile. Quella di avere al mio fianco l'uomo che amavo con il quale costruire una famiglia. Ma... ma... avevo dimenticato che quello non era affatto un uomo ma un diciottenne imberbe capace di pensare unicamente a se stesso.-

Sveste quella maschera di dita con cui ha celato il volto, plasmato da un rancore antico, riafforato o probabilmente mai scomparso.

-Mi convinse a partire di nascosto assieme a lui, nonostante la presenza di mio padre e la sua chiara avversione nei confronti di.. di Paul e della sua disoccupazione, non adatta alla sua età... matura... Accettai, guidata da quell'entusiasmo ingenuo, decidendo di confessargli il mio segreto al momento della nostra partenza. Avevo pianificato tutto; lo avrei seguito ovunque, avremmo... avremmo cresciuto amorevolmente quel bambino, quella creatura tutta nostra. Io... io lo volevo, Brianna. Lo volevo tanto...-

Il suo sguardo penetra i miei occhi, in cerca di una compassione che non sono in grado di elargire.

-Decisi... decisi di assecondare questo mio desiderio, partendo all'alba di una domenica mattina... raccolsi i miei vestiti in una valigia, la stessa che avevo colmato dei miei essetti personali durante il trasloco da Preston a Liverpool.

Prima di giungere al luogo dell'incontro con Paul e... imbarcarmi assieme a lui e ai componenti del gruppo per Amburgo decisi di offrire un ultimo saluto a Thomas.

All'apice dell'eccitazione giunsi a casa sua, lo svegliai e gli comunicai con gran foga le liete notizie. Rimase... rimase interdetto da entrambe; della mia gravidanza si preoccupò, ricordandomi quanto un bambino non fosse un gioco bensì un impegno per la vita. Lo rassicurai, dicendogli che amavo James e che ero certa... certa che... che avrebbe accettato questo bambino. Inizialmente Thomas non era concorde con la mia decisione ma mi credeva una ragazza matura e responsabile perciò... mi salutò con un abbraccio e un augurio di buona salute...-

Gli occhi di mia madre rincorrono i ricordi lungo la parete bianca e silente di fronte ad essi.

-Mi recai al luogo dell'appuntamento all'alba di una domenica mattina. Ero... circondata da un'aura di felicità e ingenuo entusiasmo che avrebbe fatto sorridere malinconicamente qualunque anziano. Lui... era già giunto al luogo dell'appuntamento e appena mi vide... mi baciò in quel modo trascinante e intenso che sapeva fare solo lui. L'ultimo bacio che... che ci scambiammo. Godetti appieno di quell'attimo prima di... prima di confessargli il mio segreto. Lui... lui...-

Deglutisce nuovamente in un gesto ripetitivo ed incalzante, assassino della mia pazienza indebolita.

-Lui... non so cosa accadde. In un istante tutti i miei sogni, i miei desideri vennero offuscati dai suoi lineamenti, che improvvisamente assunsero un'espressione... trragicamente frustrata. Io... credevo scherzasse. Credevo fosse soltanto una maschera utile a celare la felicità per quella paternità forse un po' prematura. Ricordo... ricordo... ogni gesto che anticipò le sue parole. Le mani fra i suoi capelli che inseguivano il vento, i suoi passi che... che si allontanavano progressivamente per me. Cominciò a... urlare frase sconclusionate. Inizialmente mi... mi accusò di averlo tradito, che lui era stato attento, che non era possibile che fosse suo. Ma io lo amavo troppo per tradirlo e cercai di spiegarglielo ma... non volle sentire ragioni... Poi parve tranquillizzarsi e mi domandò cautamente se ne fossi certa... io gli dissi che avevo il sospetto da alcune settimane e che non vedevo l'ora di cominciare la nuova vita che mi aveva promesso. Assieme a lui e... al nostro bambino... Provai... provai ad abbracciarlo e a rassicuarlo... gli dissi che ce l'avremmo fatta, che avremmo cresciuto assieme quella creatura...-

Scosse il capo sconsolata.

-Ma... avevo dimenticato che stavo parlando con un diciottenne immaturo e spaventato dalla vita che si stava mostrando a lui con tutte le sue difficoltà.-

Quel barlume di lucidità abbandona mia madre, la quale prosegue il suo racconto, la voce rotta dai ricordi amari.

Ignoro le emozioni che si avvicendano nella mia mente, per permettere ai miei sensi di cogliere appieno le parole della donna.

-Paul... lui... mi allontanò e cominciò a... ad innervosirsi, a dirmi che... che non era pronto... non era pronto a sacrificare la sua vita per un bambino della cui esistenza non era neppure certo, lui... lui voleva... cantare. Cantare, cantare, cantare; continuava a dirmi che non aveva intenzione di fare altro nella sua vita e... un bambino non era nelle sue priorità di adolescente alla ricerca delle sue passioni. Tutto quell'amore che credevo prvasse per me... si allontanò assieme a lui in quella mattina d'agosto...-

Le lacrime sono asciutte sulle sue gote, il ricordo del pianto impresso nel rossore della sua pelle. La mia è intirizzita da un freddo innaturale che non concerne l'ambiente in cui risiedo, bensì il mio animo turbato scosso da subitanei tremori.

Le parole di mia madre svelano, come i componenti di un mosaico raccappricciante, quella realtà a lungo taciuta, la cui essenza scuote profondamente la mia coscienza. Questa ricerca vanamente le fondamenta solide su cui ho costruito con difficoltà il mio futuro, preceduto da un passato ancor più incerto.

-Non sapevo cosa fare... tutta l'allegrezza, le speranze e le gioie erano improvvisamente scomparse. L'unica cosa a cui... riuscissi a pensare era... mio padre, che certamente al suo risveglio aveva scoperto la mia assenza. Non riuscivo ad immaginare come sarei riuscita a spiegargli la presenza del bambino nel ventre di quella ragazzina che credeva ancora pura, e... ripiombai... nella realtà che... compresi presto non fosse così sognante e spensierata. Tornai... tornai a casa quel giorno. Incontrai mio padre ancora in pantofole che fumava nervosamente... attendeva da me una spiegazione... se la confessione della mia gravidanza fece arrossare l'estremità del suo sigaro, la... rivelazione dell'identità di tuo padre... ne fece consumare buona parte, che macchiò il pavimento. Ricordo perfettamente quella polvere ai suoi piedi, scura come il suo volto sul quale... la sua bocca sprigionò parole.. ingiuriose contro di me e Paul, peccatore insidioso che mi aveva sedotto per poi abbandonarmi una volta saputa la verità. Mio... mio padre... mi ha intimato di lasciare la casa, proprio come avevo progettato con Paul... ma lo avrei fatto da sola, senza alcun aiuto, senza nessuna... prospettiva del futuro radioso che avevo progettato... Mi cacciò di casa, ignorando il mio bambino e le mie richieste di perdono... il mio era... stato un atteggiamento arrogante nella sua ingenuità e avrei dovuto pagare per le mie azioni... queste furono le... ultime parole di mio padre... io non... non lo rividi mai più da quel giorno...-

Alcuna compassione sfiora la fortezza della mia consapevolezza, appena rinvigorita da quell'agghiacciante scoperta. Come il ghiaccio, infatti, indurisce la superfice della mia pietà, strozzandola in una morsa assassina. Non tento di salvarla, limitandomi ad osservare mia madre da sotto le lenti degli occhiali.

Li stessi che Paul ha sfilato maliziosamente con i denti la sera precedente.

Quei denti sotto ai queli probabilmente il labbro inferiore di mia madre è ceduto.

Quei denti oltre i quali Paul ha liberato un sibilo rabbioso contro quella donna che portava in grembo sua figlia.

Una figlia che ha respinto, alla quale non ha donato le carezze ora riservate a James, gli sguardi dolci offerti a Mary e Stella e quelli complici che sovente scambia con Heather. Il volto di quest'ultima si riflette nella mia mente, offrendo l'inspiegabile immagine di una ragazza adottata da un uomo che vent'anni prima ha rigettato una creatura propria. Un'invidia puerile attanaglia il mio orgoglio con una domanda pressante che richiede urgentemente una risposta che non ha ricevuto dal racconto non ancora terminato di mia madre. Ad ella riferisco il mio quesito appena sussurrato:

-Perchè... perchè non mi ha cercata? Perchè non... non ti ha raggiunta dopo il tour ad Amburgo, chiedendoti di me e... di perdonarlo, perchè...-

Mia madre mi interrompe a mezza voce:

-Paul... lo ha fatto...-

Passa le mani fra i capelli in un gesto frustrato che imito automaticamente, balbettando parole vane che interferiscono con la sua spiegazione flebile.

-Hai bisogno di sapere tutto chiaramente... e io... devo farti capire.-

Liscia la gonna con le mani, con la cautela di una massaia inesperta che intesse per la prima volta la tela del passato, impolverata e ormai lisa ma ancora vivamente colorata.

-Priva di una casa e di una protezione per quel bimbo che... avvertivo crescere dentro di me attimo dopo attimo... decisi di me... chiedere aiuto all'unica persona di cui potessi fidarmi a Liverpool...-

-Thomas Richards...-

Esclamo, l'ombra della verità che sorride incoraggiante ai miei tentativi di svelarne il volto.

Annuisce desolata.

-Thomas... si infuriò con me. Mi disse che era certo che non sarebbe potuto accadere altrimenti che io e questo James eravamo stati degli incauti, degli sciocchi a sfidare il destino con una gravidanza indesiderata... Io... gli chiesi di perdonarmi e... di aiutarmi. Thomas... accettò senza remore di aiutarmi, rimembrando il forte affetto che ci legava. Decise di ospitarmi temporaneamente nella sua casa, quella che anni prima aveva comprato con i risparmi donategli dal padre. Avrebbe impiegato i mesi della mia gravidanza alla ricerca di una residenza dove io e il bambino avremmo potuto... sopravvivere, grazie al lavoro che Thomas mi avrebbe aiutato a trovare. Ma... il momento del... del parto si avvicinava e Thomas avvertì la mia comprensibile ansia, causata dalle future rivelazioni che avrei dovuto farti. Non... non sapevo come comportarmi, come rispondere alle tue eventuali domande riguardanti tuo padre. Cosa avrei potuto inventare? Una morte accidentale in una collutazione automobilistica? Un lungo viaggio alla deriva dei continenti dal quale non vi sarà ritorno? Thomas mi... propose una soluzione. La nostra convivenza indeterminata, nella quale lui si sarebbe assunto la responsabilità di... fare le veci di Paul e di crescerti come se fossi figlia sua fino al momento in cui io non mi sarei sentita pronta a svelarti la realtà. Thomas... provava... un forte affetto e una notevole compassione per quella sedicenne incinta e abbandonata dal proprio compagno, e... non trovò altra risposta ai miei problemi, perciò... accettai... fedele che quella nostra farsa sarebbe durata, che almeno Thomas non avrebbe avuto il coraggio di abbandonarmi. Ma neppure... il rifiuto e la rabbia di Paul mi avevano spogliata di quella... quella immaturità che... che ancora mi fa... mi fa impazzire...-

I singhiozzi di mia madre causano le mie domande spazientite:

-Perchè hai affermato che Paul mi ha cercata? Cosa non... non mi hai ancora detto, mamma?-

La sua schiena si appiana come una collina erosa dagli eventi atmosferici che da secoli imperversano su di lei.

Proprio di quelle colline muschiose il volto di mia madre assume la tinta olivastra.

Trattiene il labbro inferiore fra i denti prima di proseguire a stento.

-Tu... nascesti in un meraviglioso pomeriggio di primavera del 1961(1). Eri così bella, proprio come ora. Avevi le guance tonde e arrossate tipiche dei bambini e i capelli... diversi dai miei... neri e folti... come... come quelli di Paul. Io ero entusiasta per la tua nascita e per la mia nuova aventura materna ma in ogni istante della tua crescita... vedevo in te, nel tuo aspetto, nel tuo modo di sorridere... le caratteristiche di... quell'uomo che ha ucciso la mia adolescenza.-

Sorride amaramente

-Uomo... quello non era un uomo, ma solo uno stupido ragazzino. L'unico uomo che credevo abbastanza maturo da essere considerato tale era... Thomas. Giocava con te, ti faceva ridere con le sue smorfie divertenti... nonostante non fosse il tuo padre biologico e non provasse per me altro che un profondo affetto... riusciva a donarci la serenità di cui avevamo bisogno. E non... non si lamentava mai... Io... credo che fra noi stesse nascendo un profondo sentimento, al quale la nostra convivenza forzata non ha dato modo di germogliare. Eravamo giovani e... avevamo bisogno di coltivare quel nostro eventuale amore in modo... equilibrato, attraverso una relazione costante e non così... affrettata...-

Massaggia con le mani il collo arrossatto dall'imbarazzo.

-Sembrava procedere tutto per il meglio. Il rapporto fra me e Thomas si intensificò anche se... con credo che lui sia mai riuscito a... ad amarti come una figlia propria e nè ad amare me come una compagna... ma in quel momento non importava... tu eri importante... finchè... finchè Paul non tornò quando tu avevi tre mesi. Quel giorno... ero uscita a fare compere, mentre Thomas occupava il suo giorno libero accanto a te... io... lo incontrai quasi casualmente in una via del centro. Mi riconobbe subito e mi fermò. Mi disse che era appena tornato dal tour e che aveva trascorso i mesi passati a... riflettere. A riflettere su di noi e... sul bambino. Disse di essere corso a cercarmi nella a casa mia ma appena mio padre conobbe la sua identità lo cacciò in malo modo, intimandogli di... non mettere mai più piede nella sua casa. Aveva rinunciato alla possibilità di parlarmi poichè trovarmi in quella seppur piccola città gli sembrava impossibile. Fino a che non mi incontrò durante quella passeggiata per lui ormai priva di meta. Mi prese...- mia madre tocca convulsamente le braccia.

-... le spalle, mi disse che aveva capito tutto. Aveva capito di essere stato un bambino privo di senno, che era cambiato ed era pronto a ricominciare. Con me e... con il suo bambino che appurò avessi partorito. Promise... di darmi una vita felice di amare me e quella creatura che aveva ripudiato. Promesse vane alle quali... non potevo credere. Ero stata ingannata, Brianna. Ferita da quel ragazzino che credeva che amalgamare i cocci di una vita perduta fosse semplice quanto distruggerla. Io... gli dissi di lasciarmi andare, che non avevo bisogno di lui, che ora avevo qualcuno che mi stesse accanto e che mi aiutasse a crescere mia figlia. Un uomo in grado di fare le veci di un padre che per la mia bambina non era mai esistito. Ero... ero così giovane, Bri. Non potevo dargli un'altra possibilità, mi sentivo delusa, umiliata da lui. Gli... intimai di imbracciare la sua chitarra, le sue ipocrite frasi d'amore... e mi lasciasse condurre la mia vita. Aveva perso un'occasione, non gliene avrei concessa un'altra. Mi chiese... mi chiese di... dirgli almeno il tuo nome, di modo che... potesse sapere quale... parola sussurrare durante i suoi pianti addolorati... glielo negai... non aveva il diritto neppure di sillabare il tuo nome, quel verme che ha distrutto la mia adolescenza...-

Mi allontano progressivamente da lei, le mani immerse nei miei capelli aggrovigliati. Il tremulo labbro inferiore ricorda con ripulsa i baci famelici di Paul, che anni prima avevano appagato la bocca di mia madre. Una bocca che aveva pronunciato parole ingiuriose nei confronti di quel giovane ragazzo, il quale considerava maturata la sua coscienza, finalmente in grado di sopportare il fardello di un figlio. Se la voce di mia madre avesse plasmato un tono comprensivo e accondiscendente quel giorno estivo del 1961, forse Paul, l’idolo della mia adolescenza, la mia passione a lungo trattenuta, sarebbe vissuto accanto a me, mi avrebbe insegnato a parlare, a cantare, a suonare il mio primo strumento. Forse non sarei mai stata incaricata di svolgere con lui un’intervista; forse non sarei rabbrividita al tocco furtivo delle sue dita sulla mia schiena, non riconoscendo altro in quel gesto se non un affettuoso abbraccio paterno; forse mia madre non avrebbe sofferto invano per il tradimento di Thomas, il quale avrebbe osservato la nostra vita da poco lontano, la distanza prossemica di un amico fraterno che non avrebbe nuociuto ad alcuno. Forse mia madre non sarebbe ricorse all’abuso di quei maledetti tranquillanti; forse non avrei cercato conforto da Paul, prima di consumare con lui la notte più bella e immorale della mia vita. Forse non avrei sorriso dei baci audaci di quel padre inconsapevole dell’azione che stava compiendo.

Forse non avrei fatto l’amore con mio padre e lui non mi avrebbe mai assecondata.

Forse…

Forse…

Forse…

Le ipotesi che germogliano nella mente contaminano quelle fragili certezze che la mia vita ha tentato faticosamente di erigere. Ora le possibilità invadono quali edera rampicante la mia esistenza, soffocando la realtà effimera su cui ho intessuto il velo delle mie speranze.

Esse scivolano dalle mie labbra, raggiungendo le mie parole che occupano seppur con accento flebile la stanza.

-Perché lo hai fatto? Perché non gli hai dato almeno una possibilità? Avrebbe potuto rimediare…-

-Non lo sapevo, Brianna. Ero una ragazzina di sedici che conviveva con un uomo che si era offerto di dare una famiglia a me e alla mia bambina. Questa era l’unica cosa che importasse davvero. Come potevo fidarmi di un ragazzino che appena un anno prima mi aveva abbandonata. Come potevo, Bri?-

Colgo un’impellente richiesta di comprensione nella sua voce, che non ho intenzione di ascoltare.

-E Thomas? Perché mai non gli avresti rivelato che il suo idolo era mio… padre?-

-Io… non volevo che… l’identità di tuo padre… distruggesse la… quiete familiare…-

Il mio tono sarcastico compromette l’improvviso silenzio che regna in quel luogo, custode di un passato a me sconosciuto.

-Certo… la quiete familiare è sempre stata così stabile che sarebbe stato davvero sgradevole interromperla con la verità…-

-Io… supponevo che Thomas si… sarebbe stancato di me… di noi… aveva bisogno di… costruire una vita con qualcuno che amasse davvero e non con una donna, verso la quale troppe volte aveva tentato di instaurare un legame affettivo maggiormente duraturo. Non eravamo… innamorati, e ho presto capito che la nostra convivenza… non sarebbe sopravvissuta a lungo, in assenza di un sentimento… prevedevo l’abbondono di Thomas, e… non ho sofferto, ho tentato in tutti i modi di offrirti ciò di cui la tua adolescenza aveva bisogno, non volevo che quella improvvisa svolta della nostra vita ti nuocesse…-

Trattengo le lacrime, indicandola rabbiosamente, ritirando il labbro superiore che freme contro il compagno.

-Beh, hai sbagliato i tuoi calcoli! Nonostante questa tua… ipotesi riguardo l’abbandono di pa… di Thomas, non hai fatto nulla per evitarlo! Non gli hai ricordato ciò che ha fatto in passato per te, non è così?! Non gli hai neppure ricordato che sotto questo maledetto tetto viveva una ragazzine ignorante delle vostre congetture, che non avrebbe accettato la fuga di quello che considerava suo padre!-

-Non mi avrebbe dato ascolto, credeva che tu fossi abbastanza adulta, credeva che dopo la sua partenza ti avrei confessato tutto e lo avresti perdonato…-

Quel lieve sussurrò istiga la mia ira, che ribolle sulla superfice delle mie parole, arse dalla delusione.

-Perché non lo facesti?! Perché permettessi che la mia gioventù andasse a rotoli per colpa di un samaritano bastardo che ha deciso di lasciarti proprio nel momento in cui avevi bisogno di lui?! Quale “vero uomo” farebbe questo?!- esclamo imitando l’intonazione che mia madre ha offerto alla pronuncia di quell’aggettivo che a suo parere avrebbe descritto Thomas.

-Un vero uomo è colui che compie azioni riprovevoli e che domanda perdono in seguito ad esse. Un vero uomo non abbandona la sua famiglia per “la ricerca del vero amore”, pur sapendo quanto l’economia del nucleo famigliare priva del proprio capostipite sarebbe scivolata in malora! Un vero uomo non avrebbe costretto sua figlia ad abbandonare gli studi per trasferisti in una città a lei sconosciuta dove ricominciare tutto da zero per contribuire al sostentamento familiare, al quale la tua condizione psicologica degradata non ha donato altro che grane. Sai una cosa?! Non credo proprio che le tue strazianti urla notturne e la tua assunzione di psicofarmaci possano testimoniare il tuo superamento riguardo l’abbandono di Thomas. Non è così?!-

In quella donna d’improvviso intimorita dalle mie urla non riconosco più l’oggetto della mia serenità, che ho abbracciato affettuosamente pochi istanti prima.

Di fronte a me ho solo un’estranea, il volto celato da un segreto da troppo tempo inconfessato, che con la sua confessione negata ha inconsapevolmente permesso alle mie mani di scivolare maliziosamente sul corpo di Paul.

Quel corpo aitante e desiderabile che ancora non accenna ad isolare i miei pensieri dalla sua presenza.

Quella che non riesco più a definire mia madre, tenta di replicare alla mia accusa.

-Io… gli psicofarmaci, le mie… crisi notturne che parevano essersi placate negli ultimi anni e che si sono… ripresentate ultimamente… non sono… causate da Thomas, ma… da Paul…-

-Che cazzo stai dicendo?!-

La mia carne trasuda rancore senza posa, la mia intenzione di interrompere tale flusso pare vana.

-Da quando… mi hai avvertita del tuo… nuovo incarico, io… ho ricordato Paul, tuo padre, l’uomo che presto avresti frequentato per ragioni lavorative… il ricordo… di lui, del suo rifiuto nei tuoi confronti ha riaperto un ferita che credevo… rimarginata da tempo. Non potevo sopportare l’idea che tu parlassi con lui, assistessi alla sua vita, affiancassi i suoi figli senza… senza sapere che anche tu fai parte della sua famiglia… questo pensiero mi uccideva giorno dopo giorno e… credevo che i tranquillanti che assunsi dopo l’abbandono di tuo padre potessero sortire la stessa serafica sensazione di allora, che mi ha permesso di andare avanti… ma non avevo capito che eri tu l’unico motivo per cui lottavo ancora. L’unica persona al mondo che è stata in grado di risollevare il mio spirito, di farmi comprendere quanto il mio giudizio riguardo gli antidepressivi fosse errato, l’unica che con la sua incredibile voglia di vita mia ha fatto dimenticare Thomas e il suo abbandono e l’unica che mi ha fatto capire quanto i ritorno alle vecchie abitudini non si che una discesa infernale verso la depressione…-

Si avvicina a me, negli occhi lacrimosi intravvedo l’immagine di Paul che da essi non è mai fuggito. Ma tale immagine si rivela improvvisamente al mio sguardo finalmente consapevole, che rifiuta con sgarbo la figura di mia madre che tenta di unirsi alla mia in un abbraccio.

-Ti prego… perdonami. Non avrei dovuto tenerti all’oscuro di tutto. Avrei dovuto confessarti l’identità del tuo padre biologico alla partenza di Thomas ma temevo mi avresti abbandonata… sapevo quanto amassi la personalità artistica di Paul, e… ero certa non avresti accettato la verità… mi avresti lasciata sola e io… non avrei potuto sopportarlo… ti prego, perdonami…-

Scuoto il capo, amareggiata e colma di un’indescrivibile frustrazione.

-Come potrei… Ester?- pronuncio il suo nome fra i denti, in un suono stridente e privo dell’affatto di cui credevo quella parola fosse foriera.

-Tu mi hai delusa. Tu mi hai presa in giro durante tutta la mia miserabile esistenza che ho condotto con un unico scopo; tu. La tua felicità era il mi appagamento. Non capivo quanto la tua serenità fosse frutto di un egoismo radicato nel profondo della tua ignobile persona, la quale ha negato la realtà alla propria figlia. L’amore che dici di provare per me on è nient’altro che una bugi, l’ennesima. E sai perché? Perché l’amore si dimostra con la fedeltà e con la fiducia… quella fiducia che mi hai negato, credendo la mia mente adolescente troppo immatura per poter comprendere le tue parole.

Sai che ti dico? Che non lo saprai mai; non saprai mai come avrei reagito e non saprai neppure quale sarebbe stato il riscatto di Paul al suo tremendo errore. Non potrai mai sapere se io sarei stata abbastanza adulta da accettare tutto o Paul abbastanza coscienzioso da rimediare ai suoi errori. Continuerai a… crogiolarti nel tuo egoismo e io… non interromperò certo questo tuo lungo bagno…-

Mi dirigo verso l’uscita, le lacrime offuscano la mia vista e annientano la mia effimera forza d’animo che dubito di possedere.

Mia madre, tenta di raggiungermi e forse di imitare il tono di voce dei bimbi capricciosi che non hanno intenzione di perdere un giocattolo divertente.

Perché è questo ciò che credo di essere sempre stata per mia madre; un giocattolo privo di animo.

-No, no, no, no, no, no! Ti prego! Ti prego, ti prego! Se mi lascerai in non avrò più alcun motivo per sopravvivere…-

Sibilo sul suo volto ravvicinato al mio l’unica frase che riesca a formulare.

-Un motivo lo avresti, l’unico che ti ha davvero permesso di proseguire la tua miserabile vita e di celare a tua figlia la verità: te stessa.-

Con quelle parole ruoto il pomello dell’uscio e mi allontano da quella che non è mai stata la mia dimora, in quanto custode di arcani la cui pressante mole mi ha improvvisamente impedito di avvertire famigliari quelle mura.

 

 

(1)La modifica riguarda l’età di Brianna che per questioni storiche non ha ventun anni come precedentemente affermato ma solo venti.

 

 

Angolo autrice:

*sospiro soddisfatto*

Finalmente sono riuscita a scrivere questo benedetto capitolo. Non immaginate quanto sia stato faticoso per me terminarlo… XD

Vorrei come sempre ringraziare i miei lettori sempre così fedeli ai quali si è aggiunta a mia sorpresa Quella che ama i Beatles… la ringrazio per a fiducia che ha avuto nella mia storia e che l’ha spinta a leggere. Il prossimo sarà il penultimo capitolo, spero di non fare scivoloni ma credo che il finale sia equilibrato.

Un bacio a tutti e un abbraccio e un grazie immenso alla mia gemella. Lei sa che sto parlando di lei :*

Peae&Love

Giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Chiarimenti ***


Ma ciao, ragazze!

Ecco a voi l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.

Risparmio le lacrime e i ringraziamenti per l'ultimo capitolo in cui la mia nota autrice vi annoierà alquanto XD

Ma passiamo al capitolo:

Brianna è distrutta, dopo la scoperta dell'identità del padre con il quale ha passato una notte d'amore.

Riuscirà a dire la verità a Paul? Lascio a voi la possibilità di scoprirlo!

Un ringraziamento a tutti e un bacio a JennyWren, che con una chiacchierata rigenerante mi ha fornito l'ispirazione.

Per questa lettura vi propongo il componimento di Yiruma, "Kiss the rain" che la mia Nico mi ha fatto conoscere. Grazie per essermi sempre vicino, nonostante tutto. Ti voglio bene.

Ecco il link:

 

http://www.youtube.com/watch?v=so6ExplQlaY

 

 

 

Buona lettura!

 

 

 

Londra       Maggio 1981

 

Quel vento incessante sferza con la sua natura immortale i miei capelli scuri che paiono indicare al mio corpo, pressoché inerte, il percorso conducente alla villa di Paul. Quella villa maestosa e fatiscente, quanto il corpo di quell'uomo che avrebbe avvolto le mie spalle in un abbraccio affettuoso e non in quello violento e rovente della passione.

Il ricordo delle sue carezze pare racchiuso nelle mani dei cittadini inglesi, affaccendate lungo i lembi dei cappotti. Il suono dei suoi sospiri accompagna quelli altrettanto affannosi dei lavoratori. Copro le orecchie con le mani, nel vano tentativo di allontanare la mia presenza da quella società pulsante in cui il mio recente passato dipinge la sua orrida figura.

Concentro la mia attenzione sull'unico obbiettivo che mi sono prefissa, sul quale ho convogliato i miei pensieri, altrimenti ospiti disponibili della vivida immagine delle nudità di Paul.

Il desiderio di rivelargli la realtà assume contorni opachi, così diversi dalla nitidezza che ha caratterizzato il mio progetto al momento della sua generazione. Un attimo in cui le lacrime hanno colmato i miei occhi, arrossando le mie guance; su queste ultime l'imbarazzo causato dal mio trascorso con Paul colora notevolmente la pelle che ho tentato di celare con le mani. L'inibizione che ha condotto il mio corpo sul suo si è timidamente mostrata alla mia coscienza come un bimbo capriccioso che ha subito il rimprovero risentito della madre. Un rimbrotto che risuona ancora efficacemente al mio udito, che il giorno precedente ha rigettato con disprezzo le parole di mia madre.

Parole flebili, prive di quell'affetto materno che ho creduto ingenuamente di riscontrare durante l'infanzia. La rochezza di quella voce è giunta a me durante la notte insonne appena trascorsa, consigliando al mio orgoglio un'unica soluzione: la rivelazione. La rivelazione della verità a quell'uomo ignaro della mia identità; un comportamento nobile che avrebbe differenziato la mia natura da quella debole ed egoista di Ester.

Ester.

Un nome estraneo che fatico ad associare al volto di mia madre, che ho sempre reputato familiare.

Ma sconosciute sono state le sue amare parole che hanno rivelato il suo animo, impedendo a Morfeo qualunque tentativo di impadronirsi dei miei sensi. Questi hanno ceduto alla frustrazione che ha stimolato i miei singhiozzi convulsi, disturbatori del sonno degli affittuari della pensione.

Ignoro lo sguardo malizioso di un ragazzo concentrato sulle mie gambe nude, celate appena dalla gonna. Questa viene scostata pudicamente dalla brezza primaverile, che dona un alito di freschezza alla mia pelle.

Le prepotenti raffiche ventose che hanno imperversato attraverso le strade cittadine fino a poco tempo prima, assumono un' innaturale placidità, similmente ai miei pensieri. Questi ultimi si intorpidiscono nella mia mente, preda dell'edera vorace della delusione, forse possibile da estirpare con un' unica azione.

Talmente brutale e risolutiva da essere stata disdegnata da mia madre: la verità.

Una confessione che avrebbe differenziato la mia rispettabile persona da quella di mia madre. Nonostante ciò dubito fortemente che in me sopravviva ancora una sola caratteristica degna del mio orgoglio.

Questo è scivolato sul pavimento della villa di Paul, assieme alle mie vesti, la notte in cui ho inconsapevolmente ceduto ad un'immorale attrazione. Il suo ricordo provoca un brivido inquieto lungo la mia schiena, causato dalla consapevolezza dell'identità dell'uomo che ho amato con tanto ardore.

Mio padre.

Avvolgo quelle parole sulla lingua, sussurrandole appena fra le dita che proteggono le labbra. Percepisco su di esse l'aroma spiacevole di quell'unico termine, utile ad esacerbare la mia frustrazione.

Frustrazione causata da un'intimità inopportuna, consumata assieme ad un uomo sposato, la cui paternità nei miei confronti è stata confermata da mia madre. Quella donna della cui meschinità non riesco ancora a capacitarmi.

Avvolgo le braccia attorno al busto, nell'illusione di eludere i ricordi delle mani calde di Paul afferrare poderosamente i miei fianchi. Immagino con orrore quello stesso gesto vigoroso interessare il corpo di mia madre, ancora giovane ed immaturo. Proprio come la mente di Paul al momento del mio concepimento; una mente maturata in fretta, in grado di produrre pentimento e rammarico. Emozioni che non hanno goduto della comprensione di mia madre, una donna il cui egoismo produce una smorfia infastidita sulle mie labbra. Le stesse che in età infantile ho permesso a mia madre di baciare, ora si increspano al ricordo quelle effimere dimostrazioni d'affetto.

Scuoto il capo e rivolgo il mento alle auto che sfilano pigramente accanto a me, i clacson animati come un gruppo di furenti rivoltosi.

Ignoro l'ira cigolante di quei motori, adagiando una mano sulla tracolla in cuoio e reprimendo le lacrime.

La confessione della verità non necessita di debolezza.

Mia madre è stata debole.

E io non voglio essere come lei.

 

________

 

-Mio Dio, Paul, mi sembra di non sentirti da una vita! Come stai? I bambini? James mangia regolarmente vero? Ti prego, non dirmi che si rifiuta di mangiare le verdure se non ci sono io! Ha avuto ancora gli incubi la notte? Se dovesse accadere sai quale canzone devi cantargli per farlo addormentare, vero? La stessa che intonavi a Mary. La ricordi, vero? Non puoi non ricordarla, la faceva sempre ridere! A proposito di Mary, sta facendo i compiti? La matematica? La stai aiutando? Fra qualche giorno ha un compito in classe e ha bisogno di qualche chiarimento riguardo la geometria e tutte quelle figure solide che tu sei in grado di comprendere meglio di me. Stella continua a designare? Non vedo l'ora di vedere quei vestitini così graziosi che si diverte a colorare. E Heather? è uscita di nuovo con Clive? Quel ragazzo non mi piace... conosci la sua famiglia? Non godono di ottima fama nel quartiere...-

Linda interrompe il suo divertente soliloquio, composto da domande alle quali le sue parole preoccupate impediscono qualunque risposta. 

Sorrido debolmente all'udire la sua voce, la mia serenità turbata dal tradimento che ancora aleggia fra le mura della mia villa. Quelle mura che hanno assistito indignate alla nostra passione, accaldate dal sudore dei nostri corpi che percepisco impresso nella carta da parati.

Percorro con l'indice gli arabeschi impressi su di essa, immaginando i capelli di Brianna, altrettanto intricati. Rammento d'improvviso le sue ciocche corvine, che hanno sfiorato maliziosamente il mio viso a differenza di quelle ramate di Linda, che non dimenticano di carezzare dolcemente le mie guance.

Passo una mano sulla mascella, su cui due bocche diverse hanno abbandonato i loro baci. Ripercorro con i polpastrelli il profilo di quelle labbra impegnate in differenti dimostrazioni d'affetto. La prima riguardava la passione figlia dell'ammirazione, mentre la seconda un amore coniugale che riscontro soltanto nella voce accorata di Linda. Un tono pacato, colorato da un vivace accento americano che non ho riscontrato nelle parole maliziose di Brianna, tinte della dolcezza dell'idioma britannico. La familiarità di tale caratteristica mi ha illuso di riconoscere nelle forme generose della giovane giornalista quelle piacevoli e sinuose di mia moglie. Tale futile convinzione ha condotto il mio animo al compimento di quel peccato dal quale da tempo mi sono discostato.

Chiudo gli occhi, adagiando il capo contro quella parete, suggeritrice di un ricordo che la voce concitata di Linda sopprime.

-Stai tranquilla, è tutto sotto controllo.-

Indugio un istante prima di esclamare:

-Come procede il tuo servizio fotografico?-

Sospira, intimando alla mia immaginazione la visione della sua mano intrecciata fra i capelli paglierini.

-Direi piuttosto bene. Il direttore che mi ha fatta venire qui mi richiede un lavoro piuttosto impegnativo ma posso farcela. Le ore di impiego sono numerose, riesco di rado ad uscire da quel maledetto studio per qualche ora. Ma sono comunque riuscita a procurarmi qualcosa che, sono convinta, ti farà impazzire.-

Sussurra quelle parole maliziose stimolando un sorriso sincero sul mio volto. Un sorriso privo della repentina eccitazione causata dalla presenza di Brianna, bensì arricchito di un'affettuosa sorpresa.

-Di cosa si tratta?-

Domando, ebbro di una naturale felicità, che non necessita del tradimento per fiorire nell'animo di un uomo innamorato quanto me della propria moglie.

-Lo scoprirai molto presto. Il direttore del giornale ha affermato che se procederemo con questo ritmo serrato il servizio potrebbe concludersi prima del previsto. La tua splendida mogliettina potrebbe addirittura rincasare fra qualche giorno. Non sei contento?-

Non una risposta affiora alle mie labbra, ancora umide dei baci di Brianna, ma un unico sentimento che ingenuamente ho creduto di identificare nell'attrazione fisica che stimola in me la giovane Richards. Un sentimento che a quella giovane amante non ho mai espresso poichè mai germogliato fra noi.

Un sentimento concreto e pulsante, che ha convissuto nel mio animo assieme a quei desideri carnali, sui quali ha sempre prevalso. Un amore prorompente, scatenato dal sorriso di Linda, dal primo vagito dei miei bambini, dalle loro voci stridule intente ad intonare la mie canzoni, dalle confessioni appena sussurrate di mia moglie in corridoio.

Appuro con un sospiro sollevato l'inutilità della ricerca di un'emozione nuova negli abbracci roventi di Brianna.

Non avrei ricercato altrove l'amore che convive da anni fra le mura della mia villa.

Esprimo con due parole soltanto la mia desolazione riguardo la cecità che mi ha condotto ad un'azione immorale.

-Ti amo.-

Riconosco nella mia voce un'inusitata commozione, provocata dalla confessione di una realtà che ho ingenuamente ignorato.

Linda reprime un risolino, disturbando la linea telefonica, prima di esclamare:

-Ehi... che ti succede? Non mi vorrai far credere che il virile Paul McCartney ha appena pronunciato queste parole...-

La sua ironia coinvolge il mio subitaneo sorriso.

-Io non… non sono propenso a simili… dichiarazioni, Linda, ma… ci tenevo che tu.. che tu sapessi quanto ti amo…-

Alzo la mano preda dell'improvviso desiderio di sfiorare con le unghie quei lineamenti pronunciati che ho invano ricercato in Brianna.

Reprimo un gemito insoddisfatto quando le mie mani penetrano nell'invisibile manto arioso che spira dalla finestra schiusa.

-Non era necessario che me lo dicessi. Lo sapevo già.-

Tale affermazione provoca il tremito della mia mascella che il il giorno prima fremeva contro quella di Brianna.

Reprimo quel ricordo e attendo le prossime parole di Linda, anticipate da un profondo sospiro.

-Ti amo anche io, Paul. Che ti succede? è raro sentirti parlare in questo modo... hai qualche problema con le tue canzoni?-

-Io...-

Rischiaro la voce prima di camuffarla attraverso panni ironici.

-Non sono libero di dichiarare il mio amore a mia moglie?-

-Assolutamente no, anzi... fallo più spesso...-

Il pudico imbarazzo che tinge il desiderio di Linda non pare così distolto da quello che spesso ho riscontrato nella voce di Ester.

Quella visione delinea i contorni di una passato impossibile da percorrere nuovamente, custode di una realtà nella quale non sono stato coinvolto. Una realtà affrontata da una ragazzina per la quale le mie lacrime sono asciugate lungo le guance. Una realtà di cui ho imparato a non ritenermi responsabile, estraniandomi da essa con una noncuranza che si ripropone. Essa mi consiglia di allontanare nuovamente il passato e dedicare le mie energie all'amore che nutro per la mia famiglia e non alla rievocazione di antiche immagine.

Arranco nel presente, sostenendomi a quelle certezze che mi circondano e che paiono improvvisamente espresse dalla voce di mia moglie.

Mia moglie.

Linda.

La donna che amo.

Sorrido di tale affermazione che troneggia nella mia mente, come un sovrano che esilia lontano dai suoi possedimenti i piaceri effimeri che ho creduto indispensabili.

-Torno presto, amore mio. Mi mancate tantissimo tu e i ragazzi e...-

Heather interrompe inconsapevolmente le parole della madre irrompendo nel salotto. Tenta di interrompere i suoi passi affrettati artigliando con le dita arrossate lo stipite della porta. La ragazza trattiene il labbro inferiore fra i denti, premendo la lingua sul palato nell'impaziente tentavo di attirare la mia attenzione.

Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi che guizzano verso l'ingresso, indicando tacitamente la presenza di un'ospite atteso.

Termino a malincuore la telefonata con Linda lanciando un'occhiata all'orologio affisso alla parete. Le lancette proseguono blandamente il loro tracciato quotidiano in attesa dell'arrivo di Brianna, usuale in questo momento della giornata.

Heather incrocia le braccia sul seno che non ricordo così prosperoso. Accolgo la sua crescita con un sorriso soddisfatto prima di ascoltare le sue parole.

- è arrivata Brianna. Posso farla entrare o avete in programma qualche altra... uscita? Sai, tutta questa vostra... intimità... comincia ad incuriosirmi molto...-

Abbasso gli occhi, tentando di celare con un sorriso divertito il rossore infantile, avvampato sulle mie guance a causa delle parole di Heather.

-Non essere ridicola...-

Esclamo con un'irritazione affatto intenzionale che tento di mitigare con il movimento accurato delle mani lungo i lembi della camicia.

Heather alza le mani in segno di resa e si allontana dal salotto.

-Perdoni la mia ironia, Mr Serietà... a volte mi domando come la mamma possa sopportare questa tua totale assenza di predisposizione al sarcasmo.-

Ignoro le sue parole quanto lei ignora la realtà che la circonda e che affolla, mio malgrado, la mia mente.

Mi dirigo verso l'ingresso, aggrottando la fronte attraverso il sole che inonda l'ambiente attraverso il portone.

La sua apertura generosa accoglie la figura di Brianna, la cui grazia è adombrata  dai raggi che trafiggono le spalle della ragazza.

Queste risultano coperte da un abito primaverile, pregno dello stesso aroma dei fiori ritratti sulla stoffa.

Lascio scivolare lo sguardo sulle sue gambe nude che poco tempo prima hanno avvolto i miei fianchi, ora celate pudicamente dalla veste.

Deglutisco, scacciando quel ricordo e permettendo al sorriso di Linda di occupare i miei pensieri. Ma sono consapevole che l'indifferenza riguardo quella notte non potrà sopravvivere ai chiarimenti necessari che entrambi esigiamo.

Brianna sfiora le labbra con la lingua, suscitando in me un'immagine alquanto sconveniente.

Sistema la tracolla con la mano, impegnando le dita che fino a quel momento hanno sostato lungo il suo busto.

Allontana i capelli dal viso, mostrandomi i suoi lineamenti che ritengo d'improvviso estremamente giovani.

La vergogna provocata dalla profanazione di quella fanciullezza avviluppa il mio spirito in una fastidiosa morsa.

Abbasso gli occhi sdegnato dal piacere scaturito alla vista del corpo di quella ragazzina.

Deglutisco, punendo la debolezza del mio spirito e impegnando la mia mente nell'immaginazione del viso di Linda.

Brianna attende l'allontanamento di Heather prima di esclamare con ostentata risolutezza:

-Io... io devo... parlarti...-

Incontro il suo sguardo indagatore che non pare appagato della maliziosa analisi con cui ha scandagliato il mio corpo pochi giorni prima.

L'interesse che colma quegli occhi mori ha una natura assai differente. Una ambigua curiosità conduce il suo sguardo lungo i miei capelli, la curva del naso e quella delle spalle ampie, il profilo del torace, prima di risalire lungo le gambe.

Il suo respiro irregolare pare causato da un'affannosa preoccupazione. Ignoro tale supposizione, rischiarando la gola arida.

-Dobbiamo entrambi.-

Le mie parole risultano ferme e impassibili, a differenza della mia mente, colme di una certezza in attesa di essere esplicata.

Rivolgo la mia esclamazione a Heather, senza distogliere l'attenzione da Brianna.

-è una bellissima giornata, Heath. Spero non ti dispiacerà se conduco la... signorina Richards nei luoghi londinesi preferiti da John. Credo... sia molto utile per... fare chiarezza...- Pronuncio l'ultima frase dimenticando il contenuto delle precedenti, riferendomi esclusivamente al mio rapporto con Brianna.

Heather biascica una risposta assieme ad un panino farcito appena preparato.

-Non preoccuparti, mi occupo io dei ragazzi.-

Raggiunge l'ingresso, ammiccando discretamente nella mia direzione.

-Buon lavoro...-

Sorrido della sua ingenuità prima di annuire debolmente, ritirando le labbra e dirigendomi verso il portone ligneo.

 

 

 

 

 

________

 

 Il fruscio delle fronde degli alberi di pino che circondano il parco occupa il mio udito, disimpegnato da qualunque altro ascolto.

L'aria fredda che ha intorpidito le mie membra pare ora assecondare il dilagamento di un piacevole tepore nell'ambiente. Il vento estivo carezza la mia gonna con lo stesso trascinante desiderio che ha condotto le mani di Paul lungo la mia pelle.

Quelle mani che ora mio padre abbandona lungo i fianchi, ignorandone il possibile utilizzo.

Quelle mani a cui è stata impedita una carezza alla propria figlia da una donna egoista che non ritengo degna del mio perdono. Rivolgo quest'ultimo a Paul che lo riceve inconsapevolmente.

Permetto nuovamente al mio sguardo indiscreto di indagare in quegli occhi verdi, alla ricerca delle iride ambiziose e pentite di quel ragazzo diciottenne che mi ha abbondata prima di reclamare dignitosamente la sua paternità.

Null'altro che dignità infatti accompagna l'immagine di quell'uomo, cresciuto con il rimpianto di un errore al quale nessuno gli aveva offerto la possibilità di rimediare.

Ricerco nei suoi connotati i miei lineamenti, tentando di individuare una somiglianza che non mi sono mai curata di cogliere.

Sfioro la bocca con la mano, esibendo un'espressione pensosa, mentre riconosco nella carnosità delle mie labbra la pienezza di quelle di Paul.

Le labbra di mio padre che neppure pochi giorni prima sono affondate nelle mie in una sequenza di baci passionali.

Immagino quella stessa bocca impegnata in un bacio affettuoso delle mie guance, colorate dallo stesso rossore infantile che Thomas scherniva dolcemente con un sorriso.

Forse la reazione di Paul sarebbe stata diversa.

Forse mi avrebbe abbracciata caldamente, sfiorando il mio naso con il suo, gesto che ripete sovente con James.

Allontano le fantasie riguardo le probabilità che non vedranno mai compimento, concentrandomi sull'abominevole realtà che mi circondava.

Caratterizzato da un riprovevole atto incestuoso il presente che il destino mi costringe a vivere istiga un sospiro trattenuto.

Paul pare cogliere il mio tremulo refolo di fiato, a cui segue il suo.

Raccolgo il poco coraggio di cui dispongo in ogni recesso della mia anima e decido di confessare la verità, sconosciuta a quest'uomo. Da egli il mio tentativo di espressione viene interrotto.

L'uomo rischiara la gola e inclina il capo, in una posa che anticipa parole scrupolose.

Negli occhi di Paul compare il guizzo del ricordo che diviene protagonista della sua voce arrochita.

-Ricordi... la prima volta che venimmo qui?-

Annuisco, confusa dalla sua criptica domanda.

Accetta il mio gesto, scuotendo le ciglia che si arcuano lungo le guance, lunghe e sinuose quanto le mie.

Concentra lo sguardo di fronte a se, ignorando la mia figura che avanza al suo fianco.

-Ricordi... che ti parlai di John e di quanto la vita adulta riesca ad offrire all'uomo possibilità di comprensione e riscatto dai propri errori?-

Annuisco nuovamente, decisamente meno sorpresa, intuendo il fine delle sue parole.

-Credo che... la mia esistenza sia un'eccezione a questa affermazione. Io non... non vado fiero della mia adolescenza, di quello che la mia giovinezza mi ha spronato a fare, sbagli che... non sono stato in grado di... affrontare...-

Deglutisce, dandomi la possibilità di riconoscere il mio concepimento in quei trascorsi errori che lui stesso paventa.

Scuote il capo, il rimpianto colma i suoi occhi che tento di osservare oltre il velo di lacrime che cela le mie iridi.

In quel gesto di rassegnazione non intravvedo la malignità del ragazzo descritto da Ester bensì la dignità di un uomo responsabile che affronta il passato, a differenza di mia madre.

Distolgo dalla mia mente l'immagine ingannatrice di quella donna che nonostante gli anni colma i ricordi di Paul di un rimorso evitabile.

Trattengo il labbro inferiore fra i denti, nell'attesa della mia confessione che seguirà le sue parole.

Una confessione necessaria quanto il tepore estivo che rinfranca le membra infreddolite dei londinesi.

Tale lieve calore pare avvolgere anche Paul, le cui mani si avvicendano sui bottoni del trench, dal quale desidera evidentemente spogliarsi.

-E ora... sono ricaduto in quegli antichi errori di cui fa parte anche il tradimento. Un tradimento di non una ma... di due persone. Di Linda, mia moglie, la donna che amo di più al mondo, la madre dei miei figli, la persona che ho deciso di sposare e con cui desidero trascorrere il resto della mia vita. E di te, una ragazza giovanissima che... è stata vittima di una forte ammirazione, che ha illuso la sua mente ottenebrata dal dolore di provare una pulsione irresistibile nei... miei confronti. E io... io sono stato un ragazzino. Un maledetto ragazzino che ha ceduto ad una... tentazione carnale che spesso ha fatto vacillare le mie convinzioni giovanili. Ma ora non ho alcun dubbio riguardo i miei desideri: in essi non riconosco altri che la mia famiglia. I miei bambini, che hanno bisogno di un padre fedele alla propria moglie e non di un lurido traditore, della cui fama mi sono macchiato quella notte. Una notte... che temo non riuscirò a dimenticare. La mia attrazione per te è sfociata in una passione... arsa in breve tempo che mi ha fatto comprendere l'importanza della stabilità di... un amore duraturo. L'amore di Linda. L'amore di Mary, Stella, Heather e James. Io... non posso permettermi di mettere a repentaglio tutto quello che ho creato così faticosamente. Sono stato uno stupido a permettere all'istinto di dominarmi, io... ti ho illusa. E mi dispiace. Mi dispiace... davvero moltissimo. Non avrei voluto che... che finisse così fra di noi. Non avrei creduto accadesse... non volevo accadesse.-

Umetta le labbra con la lingua, distendendo il collo.

Osservo il pomo d'Adamo guizzare oltre la pelle, mentre le parole di Paul permeano il mio udito, sovrastando il fruscio del vento.

La sincerità della testimonianza di Paul permette un subitaneo palpito al mio cuore, di cui alcuni anfratti vengono conquistati da una consapevolezza tanto violenta quanto inaspettata.

Permetto alla voce di Paul di scivolare nella mia mente che ne assorbe il significato.

Una sensazione di amarezza colma il mio palata nell’appurare la genuinità dell’amore provato da Paul per la moglie Linda.

Un amore che non ha mai sussurrato all’orecchio di mia madre, di cui non ha mai intriso le carezze al mio capino infantile.

Un affetto incondizionato, la difesa del quale è considerata un onere piacevole e doveroso.

Un affetto che offre un orgoglioso onore a colui che è interessato dalla sua influenza.

Tale soddisfazione, paragonabile solo a quella scaturita in un bimbo durante l’esame di una propria faticosa realizzazione, ho creduto provocata in me dai baci di mia madre nei quali ho riconosciuto solo ipocrisia al momento della sconcertante rivelazione della donna.

Avverto nuovamente la pungente frustrazione lungo il profilo della mascella, rielaborando con la mente le parole di mia madre che ora paiono velate da una veste differente.

Non più le spoglie meschine che hanno ricoperto le giustificazioni di Ester ma un tessuto maggiormente comprensibile e altrettanto irreale.

Una maschera di protezione che non ho delineato prima nella voce di mia madre.

Protezione di una persona amata dalla realtà, forse troppo crudele per essere affrontata. Lo stesso senso di protezione che mi impedisce d’improvviso di confessare la realtà che ha sfiorato i miei sensi a quell’uomo che ne ha provocato il turbamento.

Alzo gli occhi verso Paul, divenendo vittima di una subitanea inquietudine.

Osservo le mani del musicista annaspare lungo il profilo delle tasche del trench. In quanto fumatrice riconosco senza difficoltà la smania che conduce i suoi gesti alla frenetica ricerca del pacchetto di sigarette. Decifro altrettanto facilmente il rammarico sul suo volto alla scoperta dell’assenza di quel piccolo piacere.

Mi domando incuriosita quanto quei suoi piccoli gesti avrebbero costellato la mia infanzia. Ma il ricordo di quest’ultima possiede un ulteriore protagonista: Thomas.

Un uomo generoso che assieme a mia madre a deciso di compiere una decisione altrettanto altruista. La stessa che si insinua improvvisamente in me impedendo alla mia volontà di compiere l’azione per cui ho trovato il coraggio di mostrarmi di fronte alla villa di Paul, celando il mio imbarazzo.

Un volere pressante che impedisce, forse con la stessa furia con cui ha stimolato il silenzio di mia madre nei confronti dell’identità di mio padre, la mia confessione.

Una confessione che distruggerebbe l’esistenza di mio padre, di quell’uomo nella cui maturità non rimane neppure un ricordo dell’adolescenza sprovveduta. Quest’ultima permette ai suoi lineamenti di assumere un’espressione seriosa, levigata da un passato che, come uno schiaffo violento permette al rossore di propagarsi sulla pelle, corrode i connotati di Paul.

Comprendo quanto le mie parole potrebbero permettere ai ricordi di riaffiorare assieme alla consapevolezza delle conseguenze della nostra debolezza carnale che non ha causato solo la mia frustrazione e il suo tradimento nei riguardi della moglie.

Ha stimolato un peccaminoso incesto, la cui scoperta impedirebbe alla vita di Paul un prosecuzione in quella serenità amorevole che l’uomo paventa.

Io non sono altro che una ragazza, spaventata da una realtà più grande di lei, con la quale dovrà adattarsi ad una convivenza forzata. Una convivenza che non dovrà causare discrepanze nella famiglia di mio padre, in quella realtà che ha costruito faticosamente.

Il mio risoluto desiderio di confessione e conseguente redenzione dei peccati commessi sfuma di fronte alla possibilità di causare con esse l’infelicità di Paul.

Immagino di riconoscere nella mia titubanza quella che ha guidato il silenzio di mia madre.

Osservo il volto di Paul, nella speranza che i suoi lineamenti conservino un conforto ai miei indugi.

Ma su di esso non riconosco che le lievi rughe di un uomo, appianate dalle carezze di quei figli i cui sorrisi lo attendono a casa.

Gli stessi sorrisi che forse arcuano le sue labbra e permettono al suo capo di inclinarsi verso il basso, dove gli occhi non incontrano il terreno ma trasmettono le immagini della sua quotidianità che crede ristabilita con le parole appena pronunciate.

Riproduco la posa della sua bocca, mossa da un motivo ben diverso; la netta comprensione delle azioni di mia madre, che nonostante fatichi ancora ad insinuarsi nella ferita del mio orgoglio contribuisce a sanarla.

Assume un’espressione cordiale, nella quale il ricordo della notte passata assieme crea  un’aura ipocrita e falsamente amicale.

-Volevi… dirmi qualcosa, giusto? Riguardo… beh, riguardo…- La frase ricerca il suo termine senza successo.

Deglutisco ed esclamo, senza distogliere i miei occhi da quelli di mio padre:

-Volevo dirti che… quello che ho fatto è stato… meschino. Volevo dirti… che ti apprezzo e che l’alcool non mi ha aiutata ad esprimere la mia stima nel modo adeguato. Volevo dirti che proprio la benevolenza che provo per te mi costringe a… non interferire con la tua vita. Una vita appagante che non deve essere distrutta da… un errore…- un fremito scuote la mia schiena del momento in cui riferisco quel termine al mio concepimento. Deglutisco e riprendo:

-Ami tua moglie. E io… rispetto il tuo sentimento quanto rispetto te. Io… volevo solo dirti che mi dispiace… per quello che ho fatto…vorrei solo che tu… proseguissi la tua vita senza rimorsi riguardo il nostro sbaglio… una volta terminata l’intervista non… non interferirò mai più con te… te lo prometto… non rovinerò la tua vita..-

L’irreversibilità di tale affermazione scuote le mie spalle, rendendomi consapevole della sua necessità.

Subisco il suo sguardo su il mio viso, stravolto dal desiderio di sfiorare in una carezza priva di malizia le braccia che avrebbero voluto cullarmi e che inconsapevolmente ho avvolto attorno alla mia vita con passione.

Permetto a quell’immagine di penetrare la mia anima, considerando questa l’unica possibilità di convivere con il raccapriccio del mio gesto: l’affronto.

Il vento continua a frusciare fra le siepi ma il suo sibilo si confonde con il respiro di Paul, che immagino di sentire quella sera, sulla mia gota adagiata al guanciale.  Un piacere di cui godranno presto i figli di mio padre.

Una consapevolezza adeguata a farmi comprendere la correttezza della mia decisione.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di uno zombie:

Ragazze…

È mezzanotte e spero vogliate compatirmi.

Ho finito ora di scrivere, abbiate pietà del risultato.

Aspetto con ansie le vostre recensioni.

Giu

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Epilogo ***


Ecco.

Ci siamo.

È arrivato il triste ma altresì euforico momento di presentarvi il mio epilogo.

L’epilogo di una storia che avete seguito in moltissimi, molti più di quanti mi sarei mai aspettata.

Rimando i ringraziamenti all’angolo autrice (l’ultimo angolo autrice…). Fa una certa impressione dirlo.

Ma rimando la malinconia al termine della storia.

Vi presento con soddisfazione l’epilogo ringraziandovi del sostegno che avete apportato alla mia storia.

                                  

 

 

 

 

Epilogo

 

 

New York      25 Ottobre 2006

 

 

 

Lo sento.

È arrivato per me, lo stavo aspettando.

Percepisco il suo respiro sulla pelle del collo e le sue mani vagare nella stanza, alla ricerca del mio corpo.

Un corpo sudato e pulsante che non riesce a confondersi nell’oscurità dell’ambiente.

Lo vedo.

È immobile di fronte a me, il fiato smorzato sul mio naso.

Si avvicina mentre la mia gola reprime un singulto terrorizzato.

Adagia la mano guantata che fino a poco tempo prima ha carezzato la mia pelle sulle mie spalle.

Mi guarda con i suoi occhi penetranti e…

 

 

 

Lascio scivolare le mani lungo i capelli, la cui tinta mora riflette alcuni bagliori argentei nello schermo del computer che si sta progressivamente oscurando. Osservo il motivo floreale che occupata con lentezza esasperante il video, sopperendo all'assenza delle mie parole. Queste parole attendono la proprio ricomparsa, possibile unicamente dal movimento del mouse. Ma le mie dita non paiono intenzionate ad abbandonare la pelle del mio collo, resa rovente dalla quantità notevole di caffeina ingerita durante il pomeriggio. Tale ingente consumo è causato dalla mancata presenza di ispirazione. Essa coinvolge sovente i miei pensieri in una danza frenetica, imitata dalle mie dita sui tasti del computer.

Ora il silenzio che accompagna i miei pensieri in un sopore indesiderato, causa la mia improvvisa frustrazione.

Il mio sospiro rassegnato attira l'attenzione di Cameron, non più riservata al quotidiano, che abbandona con malagrazia sulla poltrona.

Lo osservo, incuriosita da quel gesto spazientito, inusuale nelle azioni spesso pacate di mio marito.

Egli schiude le labbra sottili, premendo i polpastrelli sugli occhi, grigi come i suoi capelli. Questi ultimi articolano le proprie ciocche in volute minute, che popolano il suo capo, rivolto alle mani.

La sua camicia cela il petto esile, al quale la salute ha permesso un piacevole rinvigorimento durante gli ultimi mesi del nostro matrimonio.

Gli addominali colmano la stoffa, i cui lembi immagino di ordinare con le mani.

Quelle mani che ora abbandono in grembo, permettendo ai miei occhi di vagare sulla mobilia del salotto.

Lo stile con il quale io e Cameron abbiamo deciso di arredare quella stanza è concorde con la modernità crescente negli edifici newyorkesi.

Sorrido malinconicamente a causa della totale assenza di quelle suppellettili inglesi, la cui peculiare eleganza non riserva il suo garbo al mio appartamento.

Ricordo la mia casa a Liverpool, e con essa i ricordi che, nonostante la mia volontà di repressione, riposano ancora negli anfratti della mia mente.

Ho ingenuamente creduto che il matrimonio e la costruzione di una vota soddisfacente potesse relegare al passato ciò che vi appartiene.

Ma il ricordo si insinua nella mia mente, impedendo la realizzazione del lavoro che il mio editore richiede da tempo.

Quel lavoro in cui ho ritrovato distrazione e riscatto da quella vita che per troppo tempo ho trovato insoddisfacente e dalla realtà, dalla quale mi dono sentita costantemente braccata.

Rimembro senza difficoltà le lacrime che il mio guanciale ha raccolto pazientemente durante la giovinezza, il rimorso che ha soffocato i singhiozzi, tramutandoli in gemiti soffocati.

Gemiti finalmente domati dalle carezze amorevoli di Cameron. Queste sono giunte sulle mi pelle pochi anni dopo la scoperta dell'angosciante verità, quella che ha impedito alla mia mente qualunque pensiero razionale che non riguardasse le prospettive lavorative, alquanto aumentate in seguito all'intervista con Paul. Il suo proseguimento è stato costellato dall'imbarazzo evidente dell'uomo che non permetteva alle sue mani di avvolgere le mie spalle, in quegli abbracci che era solito donarmi. Gli stessi che ha riservato ai figli, verso i quali una sottile invidia ha ottenebrato i miei pensieri.

Essi per molti anni hanno privilegiato la delineazione dei lineamenti di Cameron, l'uomo di cui mi sono innamorata e al quale, poco tempo prima del nostro matrimonio, ho confessato la reale identità di mio padre.

Cameron abbandona la poltrona, per avvicinarsi a me.

Osservo il suo petto ampio, che ha accolto le mie lacrime senza alcuna protesta, così come le sue orecchie, che hanno udito gli spiacevoli ricordi del mio passato, accettandoli con amorevole pazienza. Ha asciugato con i suoi baci sinceri le mie lacrime, non condannando con le sue parole comprensive la mia debolezza carnale, che ha condotto nell'abisso della perdizione quell'uomo presto rivelatosi mio padre.

Ho affidato senza remore il mio futuro a quell'uomo che ora circonda le mie spalle con le braccia.

Quelle braccia calorose, che per un istante non mi fanno rimpiangere le attenzioni di un padre che non ha mai rivestito tali panni.

-Che succede, Bri? Calo d'ispirazione? Posso aiutarti?-

Sorrido, cogliendo nella sua voce la speranza di un rifiuto all'ultima domanda posta. Riconosco la sua ritrosia nell'affrontare la stesura di un testo narrativo, come quello che ho intrapreso da alcune settimane. Ma apprezzo il suo desiderio di contribuire alla realizzazione del mio lavoro.

Soffoco una risata, i pensieri concentrati unicamente sul volto di mio marito.

-No, amore, non ti costringerò ad una simile tortura...-

Assume un'aria ironicamente colpevole, che accentua le rughe che da tempo affollano gli angoli degli occhi, rendendone ridenti le iridi.

-Potrei... potrei cercare di risolvere un intoppo in uno dei capitoli... l'ho già fatto nei romanzi precedenti, ricordi?-

Scuoto il capo, umettando le labbra con la lingua.

-Hai ragione... Ma, il fatto è che...-

-Ancora Paul, vero?-

Annuisco, grata a Cameron della sua comprensione che non ha mai tentato di ostentare una maschera di invadenza.

Il suo silenzio rispettoso accentua il mio affetto nei riguardi della sua persona.

Riceve il mio mento fra le mani, sfiorando le gote con i polpastrelli e causando il mio debole sorriso.

Schiudo le labbra con un sospiro che anticipa un'affermazione da tempo ponderata.

-Cam, io... credo... sia arrivato il momento di dirlo a Josh...-

Strabuzza gli occhi e inclina il capo.

-Credi che sia pronto alla verità sulla sua famiglia?-

-Io... devo dirglielo. A sedici anni nessuno mi ha dato la possibilità di aprire gli occhi e di conoscere il mio passato e... sai bene cosa... ha comportato questa omissione...-

Deglutisco, prima di riprendere.

-E non voglio che mio figlio viva la sua giovinezza nell'ignoranza dell'identità di suo nonno... non come ho fatto io...-

Si passo una mano fra i capelli scuri prima di trattenere le mie dita fra le sue.

-E... hai intenzione di... raccontargli anche di... quella notte?-

La realtà si presenta alla mia mente, assieme alla propria gravità. Una realtà che Josh avrà la possibilità di comprendere durante la sua adolescenza.

Una realtà che non pretendo accetti immantinente ma che avrà la possibilità di affrontare assieme alla sua famiglia.

Un sostegno del quale non ho mai goduto da parte di mia madre. Ho offerto fiduciosamente una possibilità a quest'ultima di riscattarsi dal proprio errore passato, senza avvertire più quel sincero trasporto verso di lei.

Ho tentato di convincermi riguardo il fine ammirevole del silenzio di mia madre, sostenendo ingenuamente che presto sarei riuscita ad assolverla appieno dal proprio peccato.

Attendo ancora con assai meno trepidazione quel momento, limitandomi ad accettare i tentativi di amorevole approccio da parte di mia madre.

Mi riscuoto da quei pensieri per rispondere al quesito posto da Cameron.

-Sì. Devo farlo, Cam. Conoscere la verità è un suo diritto e io non ho il dovere di negarglielo. Sono sua madre e lo amo. Credo siano requisiti sufficienti per desiderare la sua felicità. E non potrà mai essere davvero felice se ignora la realtà.-

Cameron adagia le sue labbra roventi sulle mie, gelate dal timore delle parole che rivolgerò a mio figlio.

Chiudo gli occhi nel tentativo di assaporare l'affetto racchiuso in quel bacio, la cui dolcezza tento di riproporre in una carezza riservata alla mascella ispida di mio marito.

Sfiora la mia fronte con la sua, permettendo ai nostri nasi un lieve contatto. Lo stesso gesto compiuto da Paul nei miei confronti, duranti quella notte di venticinque anni fa. L'ennesimo brivido di repulsione percorre la mia schiena.

Il mio sobbalzo viene domato dalle carezze di Cameron e dalla sua voce rassicurante.

-Io non ti lascerò sola, Brianna. Josh è anche mio figlio e desidero quanto te la sua serenità. Ti aiuterò a rivelargli ogni cosa, non temere. Io... ci sarò sempre per te... e per nostro figlio. E se questa è la cosa giusta da fare... io ti sosterrò.-

Sorrido amaramente prima di esclamare:

-A volte mi chiedo perché tu non sia fuggito una volta che ti confessai il mio passato. Non staresti affrontando tutto questo...-

Scuote il capo, una risposta ovvia sulle labbra:

-Perché ti amo, Brianna.-

Avvolgo i suoi fianchi con le braccia e premo la tempia sul suo petto, avvertendo il battito frenetico del suo cuore.

Infondo in quel gesto un sentimento che non sarei in grado di esprimere con qualunque altro mezzo.

Il cigolio della porta d'ingresso causa un sobbalzo in entrambi, poiché non dubitiamo della natura dell'ospite appena entrato.

-Mamma, papà, sono a casa!-

L'accento britannico che Josh ha ereditato da me, attira la mia attenzione, causando un acceleramento dei miei respiri.

Il tremolio della mano si Cameron sulla mia schiena non agevola la mia tranquillità.

Odo lo stridio prodotto dalle suole delle scarpe di Josh sul pavimento e i suoi sospiri affannosi a causa della salita della scalinata che conduce al nostro appartamento.

Deglutisco e strabuzzo gli occhi prima di richiuderli rapidamente, accompagnando il loro movimento da quello altrettanto repentino delle ciglia.

Il sangue tormenta le mie tempie, causando un inusitato dolore oltre di esse.

Osservo la figura di Josh, senza riuscire a celare l'orgoglio provocato dalla sua presenza.

Il corpo esile e dinoccolato pare orientarsi a fatica nel corridoio, vittima di quei mutamenti adolescenziali che interessano il fisico.

Le sue mani grandi vagano liberamente lungo i fianchi, protetti dai jeans scoloriti.

I capelli neri, ordinatamente tagliati, scivolano lungo gli occhi, argentei come quelli di Cameron.

La pelle del viso, vittima dell'acne giovanile, incanta il mio amorevole sguardo che non nota imperfezioni in quei lineamenti.

Sveste rapidamente il giubbotto, scostando la frangia dalla fronte.

Un gesto comune a Paul, che gli ho visto compiere in numerose occasioni.

Riconosco mio malgrado lo stesso fascino del musicista nell'azione di Josh.

Ignoro a fatica quel ricordo mentre le parole di mio figlio ridondano nell'appartamento ormai silente.

-Domani vado a pranzo da Greg, sua madre ha insistito tanto... e anche sua sorella... dice che vorrebbe conoscere meglio gli amici di Greg. Probabilmente domani riuscirò a combinare qualcosa con Candice Stevenson! Fammi gli auguri, papà!-

Ammicca verso Cameron che inusitatamente non risponde con espressione altrettanto maliziosa.

Josh allarga le braccia e corruga la fronte prima di rivolgere a me la sua attenzione.

Analizza repentinamente il mio volto prima di anticipare alcune parole annoiate con un gesto di noncuranza della mano.

-Sì, lo so, mamma. è più grande di me e io sono ancora troppo piccolo per queste cose. Ma tu non conosci Candice, mamma! è uno schianto! E sono più che sicuro di interessarle... Ehi, non fare quella faccia! Studierò oggi per il compito in classe di venerdì; sono già preparato su buona parte degli argomenti, devo solo rivedere Carlo Magno... maledetti Franchi...-

Si dirige verso la propria camera a passi strascicati prima di essere interrotto dalla mia voce, ancora incerta, nonostante la fermezza della mia decisione.

-Josh!-

Il ragazzo risponde immantinente al mio richiamo, assumendo un'espressione preoccupata da una possibile accusa riguardante una delle bravate solitamente compiute.

La ricerca del coraggio viene agevolata dalla mano di Cameron, intrecciata alla mia, allegoria di un'unione indissolubile.

Sospiro nuovamente prima di esclamare con accento tremulo:

-Josh... c'è una cosa che devi sapere...-

 

 

 

FINE

 

 

 

Angolo autrice:

I sentimenti che esplodono in un autore durante il termine della stesura di un proprio lavoro probabilmente possono essere compresi solo da un altro autore.

Una sorta di malinconia, venata di soddisfazione.

La prima è causata dall'addio di un universo che tu stessi hai concepito; l'addio a quei personaggi che si sono insinuati nella tua mente in una notte insonne e ai quali hai deciso di proiettare sullo schermo.

La seconda invece è provoca da un comune sentimento umano che inorgoglisce chiunque sia riuscito a raggiungere un traguardo.

E giungere all'epilogo di questa storiella era uno scopo che non credevo sarei mai riuscita a soddisfare.

Riconosco benissimo che la portata della storia non è eccezionale e neppure il mio stile narrativo; e di questa storia non rimarrà altro che un file su un computer. Ma ciò che mi rende orgogliosa è il mio impegno nel realizzare questo progetto e il vostro sostegno.

Ringrazio tutti coloro che si sono limitati a leggere anche se non nascondo che i loro pareri mi avrebbero fatto piacere :)

Non posso non ringraziare personalmente tutti coloro che hanno letto e recensito la mia storia:

        Fannysparrow, grande amante del meraviglioso Jack, che con le sue recensioni precise e chiare mi ha donato complimenti e consigli.

        Jenny Wren, l'unica ragazza che ama Paul quanto me (se non di più XD) che ho avuto la grande fortuna di conoscere, anche se solo virtualmente. Ti ringrazio per le lunghe chiacchierate e per avermi fatto sognare ad occhi aperti raccontandomi i tuoi ricordi dei concerti a cui hai avuto la fortuna di partecipare. Credo tu abbia notato che in questo epilogo ho fatto un omaggio ad uno dei tanti gesti vanitosi di Paul, che mi ha fatto collassare XD

        The Rolling Beatles, sempre dolce e attenta nell'analisi dei capitoli. Grazie per aver espresso sempre in tutta sincerità il tuo parere sulla mia storia e aver ipotizzato sul proseguimento. Sono proprie queste le qualità di un lettore che invogliano un autore a proseguire il proprio lavoro.

        Iansom, assidua lettrice dei miei capitoli, forse l'unica che dimostra in un'unica recensione di aver colto ogni più piccolo dettaglio della mia trama. Ti ringrazio per l'attenzione che hai donato alla mia storia e spero davvero di poterti sentire ancora su questo Fandom, nonostante tu sia un po' estranea al mondo Beatlesiano. Ma mi piacerebbe continuare ad avere un tuo parere sui miei lavori. E anche io bazzicherò più spesso sul Fandom di TVD... forse solo per leggere le tue storie incantevoli ;)

        Lady_Klayne, la mia cara Nico, compagna di scuola e amica. Ti chiedo scusa per non essermi fatta sentire ultimamente ma ne conosci perfettamente il motivo. Ti ringrazio per avermi sempre sostenuta in questo piccolo progetto, per le passeggiate capitolo in attesa di quel treno che arrivava sempre troppo presto. Grazie per i messaggi sempre cortesi con cui riesci a tirarmi su il morale. Sei uno dei motivi per cui tornare a scuola non mi dispiace. Ti voglio bene.

        Quella che ama i Beatles, novella lettrice dei miei capitoli, simpatica  e solare in ogni commento. Grazie per aver letto e commentato e per avermi fatta sorridere con i tuoi commenti adulatori riguardo Paul. A proposito, concordo; figo a 10 anni, figo a 71 e certamente figo a 38. Quell'uomo è un angelo *__*

        Swaying_Daisies, certamente la lettrice che ho temuto maggiormente XD Quella estremamente preparata in materia Beatlesiana che con le sue "recensioni fiume" mi ha elogiata e meritatamente criticata, offrendomi numerosi spunti per migliorare il mio stile e la trama della storia. Ti ringrazio davvero per tutto, per la pazienza che hai avuto nel leggere attentamente ogni capitolo e a catturarne le peculiarità. EFP ha bisogno di lettori così informati e precisi come te.

        Kia85, per la costante cortesia che riserva alle mie recensioni. Ti ringrazio per aver seguito questa storiella. è un onore per me aver interessato con questo lavoretto la più brava autrice di McLennon su EFP. Spero di non infastidirti se nel mio prossimo esperimento slash mi affiderò ai tuoi consigli ;)

        Mrs_McCartney, un altra amante del meraviglioso Paul, la prima a leggere e recensire la mia storia. Ti ringrazio molto per le belle parole che hai riservato alla mia storia e spero che in futuro tu abbia ancora voglia di seguire i miei racconti.

        strawberryfield_JI, che nonostante non riesca a recensire costantemente mi rende sempre partecipe dell'interesse che l'ha coinvolta nella lettura di The Long and Winding Road. Grazie.

        Go_always_ahead, ottima autrice di poesie che purtroppo per problemi scolastici non è riuscita a continuare nella lettura. La ringrazio per avermi avvertita del suo tentativo di ricominciare presto ad affrontare la mia storia. Io la aspetterò, così come questo angolino tutto dedicato a lei.

 

 

Infine vorrei ringraziare in modo particolare una persona per la quale vorrei spendere qualche parola in più:

Trattasi di Giulia, mia omonima.

Ma ho avuto modo di appurare che il nome non è l'unica cosa che abbiamo in comune.

Il caso ci ha fatte incontrare su EFP, ricordi, Giu? Sotto le spoglie di un tuo compito in classe riguardante la triste assenza all'ultimo concerto di Paul, a Verona.

Rimasi colpita dalla sincerità delle sue parole e non esitai a recensire positivamente il suo lavoro.

Incuriosita dal mio commento, anche tu sei venuta a dare un'occhiata alle mie storie.

Mi hai riempita di complimenti, causando in me un grande orgoglio e un'istintiva simpatia per le tue parole allegre.

Non credevo che una semplice simpatia circostanziale potesse divenire un'amicizia, genuina come la nostra.

Comprendo che in molti potrebbero ritenere questo un sentimento effimero, in quanto non abbiamo potuto ancora ufficializzare la nostra conoscenza con un incontro fisico.

Ma le nostre menti si sono già incontrate, ritrovandosi perfettamente affini.

Neppure quando ci siamo scambiate il numero di cellulare ho sperato che continuassimo a contattarci.

Invece, grazie le nostre chiacchierate, ho scoperto una ragazza incredibilmente intelligente e responsabili, aggettivi con cui purtroppo non posso identificare molti dei miei conoscenti.

Hai dimostrato di condividere con me ogni più intimo pensiero e non soltanto le grandi passioni che ci hanno fatte incontrare.

Tale incredibile somiglianza ci ha fatte sorridere ed ha alimentato la nostra complicità. Quest'ultima è palesemente dimostrata dalle nostre chiacchierate sempre più intime e piacevoli.

Chiacchierate che hanno la capacità di risollevarmi il morale di farmi sorridere e che danno la forza alle mie dita stanche di digitare anche durante la notte sulla tastiera del cellulare.

Perchè purtroppo solo con essa posso comunicare con te; ma non mi sono mai sentita più vicina a qualcuno nostante la distanza.

Non mi sono sentita mai così affine con qualcuno, così libera di esprimere la mia natura con chi so che ne condivide una identica.

Sorrido ancora al pensiero del nostro primo scambio di messaggi vocali: ma la tua voce mi è parsa subito familiare e l'imbarazzo mi ha abbandonata immantinente.

Sai che spesso mi addormento pensando al nostro viaggio a Liverpool? Perché io sono certa che lo faremo.

Sono certa che un giorno potrò abbracciarti e sussurrarti quanto ti voglio bene.

Un giorno lo farò e sarà uno dei giorni più belli della mia vita.

 

 

 

Dopo questa parentesi dedicata solo a colei che tutti definiscono comunemente She Loves the Beatles, ringrazio un'ultima volta tutti. E vi anticipo che tornerò presto con una Long su George e... sulla mafia italiana.

A presto

Peace&Love

Giulia

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1691097