Sfumature di Rosso

di N e v e r l a n d 91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi ***
Capitolo 2: *** La lite ***
Capitolo 3: *** La noia quotidiana ***
Capitolo 4: *** Frammenti di verità ***



Capitolo 1
*** Ricordi ***




Pagina Face: 
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Era buio quella notte. Tremendamente buoi, e il ticchettio dell’orologio risuonava come il rumore di mille goccie d’acqua dopo la tempesta. Lento, ed inesorabilmente frustrante. Come se si fosse portato via l’ultimo brandello di luce che la giornata concedeva.
Le gocce mi portarono lontano, lontano dal silenzio stantio della mia camera. Oramai così vuota e spoglia di tutto ciò che prima la riempiva. Le mie orecchie si concentrarono sui ticchettii , che aumentavano sempre il loro battito.
Tic tac, tic tac.
Un flash mi riporta sotto il palazzo bianco. Le immagini sono in movimento e mi scombussolano lo stomaco perché impotente rivivo la scena che mi distrugge il cuore ogni notte. So di trovarmi in un sogno. Ma non so mai come uscirne.
Rivivo le parole di Sherlock. Le riascolto ogni notte, ed ogni notte mi convinco che qualcosa è nascosto in esse. Ma mai riesco a venirne a capo. Un altro Flash. Sherlock mi sta dicendo che è colpa sua, che è stato lui ad organizzare il tutto. “Devi dirlo alla signora Hudson. E a Molly” La sua voce è spezzata, e risuona così delicata dalla trasformazione che traspare dal telefono. “Devi dirlo a chiunque voglia ascoltarti.” Mi accorgo che non è normale, Sherlock non è mai stato interessato dell’opinione della gente, e, sebbene voglia farmi credere che è stato lui a creare tutto, che tutto è una messa in scena io non ci casco. Non è da Sherlock, io lo conosco, chiunque può credere alla sua colpevolezza, perfino lui stesso ma io no. Io non ci crederei nemmeno se le prove mi fossero mostrate davanti agli occhi. Ed è stato fatto.
Sospiro.  Sto per assistere ancora a ciò che non posso sopportare di vedere, E non posso far a meno di continuare a rivivere la scena, a vedere il suo sguardo. I suoi occhi spaventati che cercano i miei. Che mi implorano di non muovermi, di aspettare, di ascoltare le sue parole ma io so. Io so che lui non vuole davvero che io ci creda, perché lui crede in me, ha sempre creduto che io lo apprezzassi per ciò che è e che mai avrei dubitato della sua parola fra quella di mille.
Stava soffrendo mentre mi diceva quella che lui voleva far passare per verità. E mai avevo visto quell’uomo inumidirsi gli occhi per qualcosa che non lo spaventasse davvero. Ed io sapevo che aveva paura. Aveva paura che io ci credessi sul serio, aveva paura che io ne soffrissi.
Ascoltai di nuovo le parole di Sherlock, bloccato in quello che era un sogno senza uscita.
“Tieni gli occhi fissi su di me!” Qui la sua voce si spezza, e le lacrime gli rigano il viso. Non sono bravo come lui a capire la gente, ed in quel momento avevo così tanta paura che era un miracolo che riuscissi a respirare. Non avevo mai avuto così paura nemmeno in battaglia, mai, come in quel momento. Ero paralizzato, dimenticavo di respirare mentre i miei occhi non si scostavano per un momento dai suoi.  Bloccato in quello che era un sogno senza uscita si, ma in realtà, nonostante odiassi quel sogno. Ero grato alla mia mente per ripropormelo ogni notte. Almeno potevo rivederlo, ancora una volta, ogni volta che i miei occhi si chiudevano.
“Addio John”
E poi arriva. Si, come un incubo che si rispetti arriva la fine, ed è uguale ogni notte. Il mio urlo, la sua caduta. Tutto si frammentizza in un secondo. Lo vedo al rallenting come se potessi fermarlo. Ma purtroppo nemmeno io riesco ad essere veloce, anche io mi muovo al rallentatore e non riesco a salvarlo. Ancora una volta, avevo visto il mio migliore amico morire dinanzi ai miei occhi. Schiacciato dalla gravità, e ancora una volta non riuscivo a crederci.

Mi svegliai di soprassalto. Gli occhi brucianti dal sogno appena fatto e la bocca impastata da quella che doveva essere saliva inacidita. Classica situazione da incubo. Strofino gli occhi con le mani e ne passo una tra i capelli mentre bevo un sorso della fresca acqua che preparavo ogni sera prima di andare a dormire.  Era ora di andare. Dovevo dirigermi al funerale, ed ero certo che ben poche persone si sarebbero presentate. Ma non era una cosa che mi importava, visto che sapevo che nemmeno a lui sarebbe importato.
Mi vesto, indosso la camicia e la mia giacca migliore mentre mi fisso in uno specchio che riflette l’immagine di un uomo dal volto stanco, spento ed esausto.
Quando io e la signora Hudson usciamo incontro Lestrade. Lo fisso, lui fissa me e fa il cenno di un saluto. Ricambio per educazione anche se in quel momento avevo voglia di distruggergli al faccia. Lo ritenevo colpevole quanto Moryarti della morte si Sherlock. Si, perché lui era caduto nella rete del ragno,e nemmeno se n’era accorto.  Stupido burattino senza cervello.
Non so chi rimane ad assistere perché io non ascolto. Non osservo nessuno. Mi limito a fissare quella che doveva essere la tomba del mio amico, del mio compagno di avventure. E non riesco a credere che davvero sia finito li dentro. A più di dieci metri sotto terra con gli occhi chiusi e il cranio spaccato. Sospiro passando la mano sul viso. Cercando di trattenere le lacrime. Nessuno deve vedere la mia debolezza, nessuno di questi traditori lo merita.
Quando anche la signora Hudson va via, mi ritrovo io e la tomba. Mi avvicino, e la sfioro appena . Un brivido mi percorre lungo la schiena per la sensazione di freddezza che mi provoca il marmo a contatto con le mie mani accaldate.
“Ero solo come un cane… E ti devo moltissimo…”
Serrai le labbra a quelle parole. Avevo bisogno di parlargli, dovevo parlare con lui almeno un’ultima volta. Fissai la lapide per qualche momento e feci per andarmene, ma poi mi fermai. Non era ancora il momento, qualcosa mi premeva il petto e dovevo tirarla fuori. A fatica iniziai a parlare.
“Ti prego c’è ancora una cosa.. una cosa, un’ultima cosa, un ultimo miracolo Sherlock…” Chiusi gli occhi, e presi aria, trattenendo qualsiasi cosa volesse uscire dal mio corpo. Qualsiasi parola strozzata o lacrima amara, combattei per qualche secondo prima di riprendere a parlare
“Non….Essere… Morto…”
Sull’ultima parola la mia voce cedette, non riuscii a trattenere il singhiozzo ed uscì un suono strozzato.
“Potresti farlo per me? Voglio che la smetti, smetti questa farsa”
Non so cosa, ma qualcosa mi faceva credere che non poteva essere morto, che non poteva trattarsi della verità.  Ci speravo, ci speravo con tutto il cuore che fosse così, ma la tomba nera e scura mi contraddiva, il nome scritto sulla lapide era il suo, ma non poteva essere davvero lui . Stavo impazzendo.
sospirai guardando il cielo. Prima di iniziare a piangere. Era il momento, avevo ceduto alla verità.
Sherlock Holmes era morto, Il mio migliore amico e compagno di avventure, l’uomo che avevo sempre adorato ed ammirato non c’era più, e al suo posto c’era una tomba vuota e priva di qualsiasi forma di vita. Isolata dal resto delle tombe e senza amici che gli portassero fiori.
Sherlock Holmes era morto.
 
 
Mi svegliai di soprassalto. Avevo sognato ancora tutto. Quei giorni infernali, il funerale. Oramai era costante fare sogni nei sogni. Iniziava a diventare una cosa inquetante. Mi diedi un pizzicotto e constatai di essere sveglio. La fronte era bollente, avevo evidentemente sudato per tutta la notte, accesi la luce. Ero stanco di dormire così, nemmeno le terapie facevano effetto. Il mio cuore non riusciva a riprendersi.
erano passati 9 mesi. Nove mesi da quando il grande genio era morto. Ed io ero ancora lì, nella casa che un tempo condividevamo, con le sue cose spolverate e ri spolverate da me. Con il suo violino tenuto come un oggetto antico.
Mi alzai dal letto. Fradicio di sudore e forse anche di lacrime, ma ormai non ci facevo più caso. Mi diressi in cucina e presi un sorso di latte. Quando sentii una voce familiare porgermi un saluto. Per un momento il latte mi andò di traverso, poi chiusi il frigo e mi voltai. La mia mano cedette e il latte cadde a terra.
Non potevo crederci. Presi aria, tanta aria, prima di formulare una sola parola, tremolante, incerta. Magari era un altro dei miei sogni.
“Sh… SherlocK?!” 






Spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo :D se si magari vi riempirò di altri capitoli dove la storia inizia a farsi più intrigante no? ** 

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Capitolo 2
*** La lite ***


Sherlock era li, dinanzi a me, ed io non riuscivo a far uscire il benchè minimo suono dalla mia bocca. Provai ad innaspare qualche parola ma finiva sempre che la mia lingua ne risucchiava il suono, e ciò che ne usciva era un balbettio privo si significato. Gli occhi di Sherlock erano puntati su di me, il suo sguardo era semplice in un misto tra sollievo e preoccupazione, era chiaramente in difficoltà ma mai come me che non riuscivo nemmeno a concentrare l’attenzione sulle gambe, che tremavano sempre di più.
“Sher…”
Decisi che dovevo chiudere gli occhi. Non sarebbe stata la prima volta che avevo un allucinazione, e mi presi due secondi per pensare.
“John…” La sua voce era così dannatamente vera, che risuonava nelle mie orecchie ferendone il timano. Avevo la sensazione che mi sanguinassero. No, Non erano le orecchie. Era il mio cuore, il mio cuore stava sanguinando.
“Come hai, come hai…” Presi aria e riaprii gli occhi, lui era ancora dinanzi a me, appena più vicino di qualche centimetro, ne sentivo il peso. Il suo sguardo era fermo su di me, e per la prima volta dopo 9 mesi, vidi i suoi occhi percorrermi il corpo per incanalare quel poco di informazioni che gli servivano per capire tutto. NO. Io non volevo che capisse quanto ero stato male. Non volevo che dai miei capelli grassi e dalla mia barba incolta intravedesse la disperazione di un uomo che non trovava la forza nemmeno di trascinarsi in bagno a fare la doccia. Non volevo che dal mio pigiama sporco capisse che non ero nemmeno riuscito a cambiarmi, che non ero uscito di casa per tutto quel tempo. Non volevo mostrarmi debole.
“Che ci fai qui.”
Lo dissi con tono freddo. Come se stessi parlando con un illusione, persino lui ne fu sorpreso e fece un passo indietro chinando la testa verso il basso.
“Sono tornato..” Lo disse con così tanta calma, che scattò in me una reazione violenta. Lo colpii sul viso con un gancio e lui cadde a terra, la mano sul livido che ben presto si sarebbe formato e il volto fermo, cosciente, come se sapesse che sarebbe andata così.
“Brutto figlio di puttana. Che cavolo vuol dire ‘sono tornato’ EH?”
mi avvicinai, a lui il dolore che sentivo era reale, la mano mi doleva sul serio e questo mi portò alla realtà. Lui era li, lui era vero. Non mi aveva abbandonato.
“Come hai… io ti ho…” Caddi a terra, le mani sul viso e le lacrime che dopo tanto tempo si ripresentarono ai miei occhi, ero stanco. Stanco di piangere e di tremare, stanco di avere paura. E la mia paura era causa sua, della stessa persona che me l’aveva tolta di dosso in quel momento.
Le lacrime scesero senza che io potessi fare nulla per impedirglielo. Avvertii una mano che mi si posò sulla spalla e questo mi fece disperare ancora di più. Gli bisbigliai tra i singhiozzi che era uno stronzo. E anche se non lo vedevo, sapevo che stava annuendo alle mie affermazioni.
“Ho dovuto farlo John… moryarti ti avrebbe ucciso altrimenti..”
Presi aria. E sollevai appena lo sguardo. La consapevolezza che lo aveva fatto per me mi rendeva ancora più arrabbiato.
“Non avresti dovuto mentirmi..”
“Dovevo..”
“Non a me.”
“Era l’unica scelta”
“NO non lo era.”
“John..”
“Avresti potuto farmelo capire!!!”
L’ultima frase uscì in un rugito, colpii il pavimento con il pugno già malandato ed iniziai a perdere sangue. Sherlock si scostò ed io mi alzai in piedi.
“Vado a fare la doccia.”
“Ok”
“E dopo andrò via.”
“John..”
Mi voltai di scatto, il dito puntato verso il suo viso e una maschera di disgusto era apparsa sul mio volto.
“Non pronunciare mai più… il mio nome..”
Entrai nel bagno e sbattei la porta. L’ultima immagine che vidi fu il viso di Sherlock impassibile, anche se, nonostante la fretta. Giurai di aver visto una lacrima.


**


L’albergo era confortevole, nonostante costasse una miseria. La mia mente non poteva far a meno di pensare a ciò che era successo qualche ora prima, a volte confusa da immagini sfuocate che mi portavano a pensare ancora, anche se ero certo non fosse così, che si fosse trattato di un sogno:
Allungai la mano ferita verso l’esterno e vidi la lacerazione che percorreva le nocche che avevo usato per distruggere la mattonella del salotto. La signora Hudson sarà fuori di testa, anche se probabilmente non ci farà caso, quando scoprirà che Sherlock è vivo quello potrebbe essere l’ultimo dei suoi problemi.
-Sherlock è vivo…- pensai. Che strana impressione mi faceva, dopo nove mesi di rassegnazione questa scoperta. Eppure non potevo evitare di essere felice, oltre che ferito.
In quel momento una voglia lancinante di vederlo mi trafisse lo stomaco, Fissai il telefono. Se l’avessi chiamato ero certo che sarebbe corso a spiegarsi e a chiarire, ma l’orgoglio mi impediva qualsiasi movimento.
Sobbalzai. Il telefono della stanza stava squillando.
Alzai la cornetta, titubante. Non poteva essere Sherlock. Nonostante il suo genio non poteva aver capito davvero dove fossi finito.
“pronto?”
La sua voce uscì vellutata, pulita e grave come poche avevo sentito in vita mia.
John.. Non capivo perché, ma ancora una volta una lacrima mi rigò il viso. Insomma, che diavolo, stavo diventando forse una femminuccia?
La verità è che era troppo. Troppe emozioni in una sola serata.
“Sherlock…”
Lo dissi come un saluto, come se lo vedessi ogni giorno e quella per me non era una novità sconvolgente.
“John…
ripeteva il mio nome come una ninnananna, era strano il modo in cui lo pronunciava. Rilassato, stanco.
“Dimmi…”
“John, mi dispiace..”
Non potei non cedere. In quel momento le mie difese si sgretolarono, anche se quella non era una stupidaggine, non potevo fare a meno, dopo una lite, di correre da lui. Era successo dopo l’esplosione vicino casa, dopo che l’avevo conosciuto, e ancora in questo momento.
La sua voce era una calamita per me, e il pensiero di averlo ancora vicino mi aveva completamente cambiato la giornata.
“Non mi interessa” nonostante tutto, non sapevo perché continuavo a rispondere in quel modo.
“Mi hai deluso. Smetti di chiamare.” Riagganciai, ma subito dopo mi pentii di ciò che avevo detto. Provai a riprendere il telefono, feci il numero, ma squillava a vuoto. Non poteva essere, dovevo chiedere scusa, nonostante tutto non meritava quelle parole.
presi la mia borsa e corsi 10 piani di scale in discesa due a due, inciampai un paio di volte, ma riuscii comunque a non cadere. Appena scesi al piano terra pagai e tornai a correre. Quella sera pioveva, pioveva così tanto che l’acqua che cadeva sul mio corpo mi ripuliva di tutte le sensazioni negative che si erano impadronite di me per tutti quei mesi. Fanculo tutto. Sherlock era vivo… Sherlock era vivo.
Non smettevo di ripetermelo. Casa era lontana e la corsa doveva essere tanta, iniziai ad affannarmi, non ero più abituato come un tempo a quello sprint. Ma anche se l’aria mi mancava nei polmoni, qualche strana forza motrice costringeva il mio corpo a muoversi, un passo dopo l’altro.
Feci quasi cadere un ciclista, che probabilmente imprecò contro di me, non mi voltai a guardare. Pian piano la pioggia si faceva più fitta ed avevo già corso per più di due km.
una figura all’improvviso si fece largo tra la fitta pioggia, una figura che conoscevo. Rallentai, e non fui il solo. Anche lui rallentò. Ci ritrovammo a camminare lentamente l’uno verso l’altro, Sherlock sorrise appena, sorpreso di quello che vedeva di fronte a se, e riuscì a strappare un sorriso anche a me.
“Sherlock..” Dissi affannato, con lo stesso tono che avevo riservato alla cornetta del telefono.
“John.” Sorrideva, stavolta sorrideva. E sapevo che anche se avessi negato, quel geniaccio avrebbe capito che stavo correndo verso di lui, e non ero il solo.
“Che facevi?” Chiesi, ridacchiando tra me e me.
“Una passeggiata nella pioggia. Quale momento migliore per stimolare un cervello?”
Sorrisi.
“E tu?”
“Ho dimenticato l’ombrello.” Risposi prontamente.
Sherlock scrollò le spalle. “capita.”
Annuii. “Che ne dici di tornare a casa ora?”
Abbassai lo sguardo, Sherlock tese la mano ed io mi presi qualche momento per riflettere. Ma volevo parlare subito. La pioggia mi avrebbe reso calmo, avrebbe ripulito tutto.
“Perché non me l’hai detto..” Chiesi ancora. Sherlock rimase in silenzio. Poi capì ed abbassò la mano, alzando il viso al cielo, chiudendo gli occhi come per godersi quel momento. Poi parò.
“Avevo paura John.. paura che ti uccidesse davvero. Non avrei potuto sopportare la tua morte, così ho inscenato la mia.”
L’ascoltavo, era sempre stato un codardo, e questo lo sapevo. Era il suo più grande punto debole: la paura, la paura di ciò che non capiva, la paura dell’ignoto. Non sapeva se con la morte di Moryarti sarei davvero morto o no, e per questo voleva essere sicuro. Sicuro che io potessi vivere, anche senza di lui. Se quella può chiamarsi vita.
“Mai nessun messaggio. Se poi mi avessi lasciato qualche segno io avrei capito… e avrei aspettato!”
“Non è vero John, mi avresti cercato. E se non mi avessi trovato avresti spostato la tua attenzione su Moriarty, così se fossi stato certo che nessuno avrebbe più potuto minacciarmi, io sarei tornato”
Chiusi la bocca, non potevo negare che le sue parole sarebbero state probabilmente ciò che avrei fatto.
“Ed io non potevo permettere che tu ti lasciassi uccidere. Era l’unico modo John, dovevi credere che fossi colpevole.”
“Ma io questo non l’ho mai creduto!” La pioggia era la mia salvezza, perché per la terza volta quel giorno, le lacrime mi rigarono il viso.
“Lo so… Grazie.”
dalle sue parole capii che non se l’aspettava. Non si aspettava che io non credessi alle sue parole, che era felice che confidassi così tanto in lui. Sospirai.
“Ti ho visto morto..”
“La morte è un’illusione della mente. Tu non volevi credere che fosse possibile, così il sangue ti ha fatto credere che quello che vedevi era vero. Sono un genio John, smetti di chiederti come faccio a fare le cose.”
Stavolta rise, e contagiò anche me, ah, quanto mi era mancata quella sensazione.
“Ho capito…” Dissi in un bisbiglio. Non volevo chiedere altro.
“Ora torniamo a casa…” Disse lui.
“Ok Sherlock.. Torniamo a casa.”



OOk fine del secondo capitolo. Che cosa ne pensate?? ** fatemi sapereee <3

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Capitolo 3
*** La noia quotidiana ***


Questo Capitolo è stato concepito in un momento di follia, chiedo perfavore di non far caso ad eventuali errori di battitura xD ahah L'ho caricato senza controllarlo (Devo smettere di fare così) Comunque sia buona lettura ** 

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Capitolo II: La noia quotidiana.

 
 
Sherock era tornato da due mesi. Avevo imparato con il tempo, a considerare ancora normale i suoi atteggiamenti invasati da genio pazzoide. Aprii il frigo per preparare la cena e spostai l’arto mozzato di un chissà quale cadavere a sinistra, mentre con l’altra afferravo la ciotola dii brodo che avevo preparato a pranzo.
“Ma proprio in frigo devi mettere questa roba?”
Sherlock era seduto sul suo divano, una matita che scorreva veloce tra le dita e lo sguardo vacuo puntato fuori dalla finestra. E’ vero, mi era mancato Sherlock, ma di questo genere di cose avrei preferito farne a meno.

“Non mi distrarre John…”
La sua voce da baritono, uscì calda ed asciutta come sempre mentre mi ammoniva con noia.
“Non voglio distrarti, solo la prossima volta trova un altro posto dove nascondere questi… arti.”
Sherlock rise, e strappò un lieve sorriso anche a me. Erano passati due mesi, ma ancora non mi  abituavo del tutto a vederlo in casa.
“Mi ha chiamato Lestrade oggi..” Dissi, convinto che sarei riuscito ad attirare la sua attenzione.
E così fu, perché Sherlock si alzò e si trascinò a tavola, mascherava la paura in modo imperscrutabile e mi costrinse in un altro sorriso soffocato. Probabilmente aveva capito che cosa volevo dirgli e pensava fossi arrabbiato.
Inizialmente, quando Greg si lasciò sfuggire quel: “Quindi è già tornato” a telefono ebbi una reazione violenta, lo aggreidii perché compresi che lui lo sapeva, che Sherlock si era fidato di Greg più di quanto non avesse fatto con me.

Ma poi capii, dalle parole dell’ispettore, che in realtà anche questa volta, aveva agito nel mio interesse.
Moriarty non avrebbe mai creduto che John potesse bersi la storia del genio impostore, che creava casi al sol scopo di evitare la noia. Per questo aveva detto la verità a Greg, molto più credibile.
Eppure la consapevolezza di tanto tatto nei miei confronti non mi causava altro che irritazione, perché alla fine, quello che aveva sofferto di più ero stato io.

Sherlock mi fissava, il brodo riscaldato dinanzi a lui creava un movimento di vapore che distorceva il suo viso, ma non ne rovinava la bellezza, anzi la rese più astratta, interessante, come il quadro di un artista del rinascimento. E un viso come il suo, sarebbe stato desiderato Da tanti, a quel tempo.
Quando parlò distolsi lo sguardo, mi accorsi che la mia espressione doveva essergli apparsa dura, e severa, perché il viso di Sherlock era angustiato, come la prima volta che l’aveva rivisto.

“Quindi sai che lui sapeva…”
Disse semplicemente, ed io, semplicemente, annuii, appena infastidito da quell’atteggiamento tipico di lui.
“Era l’unico modo. Avevo bisogno di complici e lui e Molly…”
Inarcai le sopracciglia.
“Molly.??”
Sherlock non si mosse, rimase impassibile per qualche minuto, poi, quando vide che la mia bocca non si muoveva, continuò.
“Molly era l’unica che poteva dichiarare la veridicità del decesso. E Greg era indispensabile. Non ha mai creduto che io potessi essere un assassino. Quel giorno mi ha chiamato. Mi ha detto che qualcosa non andava, che tutti mi stavano incolpando e che dovevo scappare.” Sherlock rise.
“Povero Lestrade, sempre così preoccupato per me..”
“Continua…” Lo intimai. Ancora incredulo.
Sherlock tornò a guardarmi per qualche secondo prima di continuare il suo racconto.
“Presumo John, che sia inutile tenerti all’oscuro dei fatti, perché proprio non riesci ad ignorarne la macchinazione.”
Sorrisi prima di annuire, poi gli feci segno di andare avanti e lui sospirò, come se la verità fosse stata ovvia e che io ero un idiota, per non esserci arrivato prima.
“Quando arrivai alla conclusione che non c’era via d’uscita decisi che l’unico modo, l’unico modo per risolvere la situazione era fingere la mia morte. Chiamai Greg  e gli dissi che doveva organizzarla. Gli spiegai tutto quello che doveva fare…”
“Ma io ti ho visto Sher…” Ingurgitai al ricordo ancora fresco nella mia mente, di Sherlock che precipitava.
“Lo so. Ho dovuto lanciarmi, ma sapevo come cadere, cosa colpire per attutire la caduta, e poi potevo far sembrare le mie ferite più gravi di ciò che erano in realtà. Tu eri caduto a terra colpito da una bici, era calcolato anche quello, quel colpo ti stordì. Qualsiasi cosa passasse dinanzi ai tuoi occhi sarebbe stata astratta, modificata ed amplificata dalla scossa celebrale che avevi ricevuto. Ovviamente sarei potuto anche morire da quel lancio, però i miei calcoli sono stati corretti, e sono sopravvissuto.”
“Dove sono stato è tutto un dire, in molti posti, ma per la maggior parte del tempo nascosto in casa di Greg.”
Annuii. Passando una mano sulla fronte.
“ok… ok…”
Ingurgitai ancora, mi girava la testa e sentivo che stavo quasi per vomitare, il pensiero che fosse andato da Lestrade e non da me mi martellava il cervello, non capivo che cosa stessi provando ma non era nulla di piacevole. Mi dava fastidio, mi urtava il pensiero che avesse passato 9 mesi in casa di Lestrade. Poi considerata la sua noia, come avevano passato il tempo?
MI costrinsi ad arrestare il flusso di pensieri quando Sherlock parlò ancora.
“Sei a posto ora?” Chiese Sherlock, iniziando a mangiare in modo più spensierato come se si fosse finalmente liberato di un fardello pesante.
“Si…” Dissi.
“E.. che ti ha detto Lestrade? Solo quello?”
Sollevai lo sguardo verso Sherlock che non condivideva il mio, era appena imbarazzato, non afferrai totalmente che cos’altro avesse dovuto dirmi.
“Si, perché avrei dovuto sapere qualcos’altro?”
“No, assolutamente.”
Continuai a scrutare la figura del genio, che per la prima volta dopo molto tempo, sembrava imbarazzata. Troppo imbarazzata.
Finsi di ignorare la sua goffaggine, ma non avrei smesso di indagare. Il giorno dopo, sarei andato da Lestrade, e mi avrebbe detto tutto. Con le buone o con le cattive.






Note dell'autrice: Non sono poi tanto soddisfatta di questo capitolo u.u ma comunque sia spero di rimediare nel prossimo. 
Commentate cosa ne pensate ** <3

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Capitolo 4
*** Frammenti di verità ***



Capitolo 3: Frammenti di verità


''Ho paura, poichè è notte
che sia un sogno soltanto troppo seducente
e dolce per avere sostanza ''
--William Shakespeare




La casa di Lestrade era come al solito spoglia e priva di vita. Quell’uomo passava talmente tanto tempo in centrale che non aveva praticamente mai tempo per sistemare la sua abitazione.
Mi sentii appena in colpa quando ricordai che solo qualche anno fa aveva divorziato. Ne era uscito distrutto. Quindi non avrà avuto molto tempo per pulire e dar vita alla sua casa senza la presenza costante di una moglie.
Mi avvicinai al campanello, intorno al vialetto brulicavano migliaia di erbaccie incolte, lumachine di piccola statura vagavano senza meta lungo il pianerottolo, inarcai le sopracciglia quando incappai in un ragno dalle dimensioni esagerate. Pensavo che di ragni così se ne trovassero solamente in Australia.
Arricciai il naso dal disgusto ed istintivamente camminai allargandomi il più possibile da quello che era l’aracne appeso al muro. Quando suonai la porta ero posizionato come la torre di Pisa, sarò sembrato un cretino ai vicini dell’ispettore.

Lestrade tardò ad arrivare, la prima cosa che udii fu un goffo casino, era prevedibile, di domenica, niente centrale, undici di mattina… Dormiva.
Sospirai appena, ancora impennato in quella scomoda posizione, diedi istintivamente un ulteriore occhiata al ragno, che sembrava tessere la sua ragnatela noncurante della mia presenza, mi chiesi se avesse bisogno di una casa a parte, vista l’eccessiva grandezza.
Finalmente Lestrade venne ad aprire, sospirai e sorrisi in contemporanea, forse per mascherare l’ansia. Lui aveva l’aspetto (e la puzza) di un uomo che non usciva di casa da giorni, ma io finsi di non farci caso.
I suoi capelli erano arruffati e sembravano impostati come uno dei personaggi dei manga; a caso. Gli occhi assonnati e rossi, come se avesse del sonno arretrato e in dosso solo il pigiama, forse non avrei dovuto fare una visita a sorpresa.
“Salve Lestrade…” Sorrisi ammiccando con la testa, lui mi guardava confuso, come a capire chi fossi o che cosa ci facessi in casa sua a quell’ora del mattino. Anche se non era poi così tardi.
“W..Watson” Sorrise e mi fece cenno di entrare, obbedii, almeno avrei potuto scappare da quella bestia appollaiata nel pianerottolo.
“Come va? Posso offrirti qualcosa? Perdona il disordine” Stava ridacchiando, ma era evidentemente a disagio. mi fece sedere sul divano del salotto mentre lui corse in cucina, magari a preparare un teh, gli sorrisi finchè non uscì dalla stanza dopodichè iniziai a guardarmi intorno.
“Un teh grazie!” Dissi per sicurezza, non avevo proprio voglia di un caffè, l’avevo gia fatto prima di arrivare.
La stanza era senza foto, la cosa mi sembrava strana. Quando passi molto tempo con Sherlock inizi a farti più domande di quante tu non te ne faccia abitualmente.

Il tavolino al centro della stanza solleva un vaso di fiori finti, un posacenere inutilizzato, visto che Lestrade doveva aver smesso di fumare, almeno da quanto diceva, e delle gomme da masticare in un vassoio.
Il telecomando della tv e un centrino ingiallito. Niente di particolarmente sospetto.
Spostai la mia attenzione verso la sala, molte cornici senza foto, solo quelle che vengono messe quando compri la cornice, foto finte, con modelli e non legami familiari.
Aprii un cassetto e notai che conteneva molti album, quindi le foto le aveva, solo che non le esponeva. Strano. Continuai a guardarmi attorno, c’era molta polvere in quella casa. Non riuscivo ad immaginare come potesse essere stato vivere con Sherlock per Lestrade.
Litigi continui, nessuno che puliva nulla, e poi dubitavo fortemente che Lestrade avrebbe preso il telefono di tasca a Scherlock, piuttostò gli avrebbe piantato una pallottola sulla testa.
Lestrade tornò, ed mi lanciai contro il divano, fingendo di trovarmi in attesa. Mi posò la tazza davanti e lo zucchero che avrei messo da solo. Poi si sedette anche lui.
A giudicare dai capelli, doveva averli sistemati prima di venire, forse non voleva apparire troppo trasandato.
“Cosa la porta qui, Mr Watson?”
Sorrideva, ma il suo volto non voleva farlo, era come se lo costringesse a fare quello sforzo inumano; sorridermi.
“Il ritorno del mio amico. Voglio saperne di più…” Gli sorrisi di rimando, sapevo che non sarebbe stato facile ottenere informazioni, magari Sherlock lo teneva in pugno con qualche strano ricatto.
“Non mi convince che lei e Sherlock abbiate convissuto insieme per 9 mesi. Non mi convince perché che le piaccia o no, siete troppo simili…” Lestrade sorrise, e sorseggiò con calma il suo teh prima di rispondermi, stavolta il suo sorriso era diverso, un po’ strafottente, un po’ indisponente.
“Io ho aiutato un amico.”
“Sherlock non ha amici, all’infuori di me”
Lo dissi con risolutezza, cercando di non arrossire perché dopo un secondo mi accorsi che le mie parole potevano essere fraintese. Ma lasciai perdere, Lestrade aveva capito.
“Beh, non lo nego. Non vorrei affatto essere amico di Sherlock, infatti mi aiuta solo per casi difficili..”
“Diciamo quasi tutti..” Sorrisi.
“Comunque… ” Mi interruppe, sorrideva ancora, mentre beveva di tanto in tanto la sua tazza di teh.
“Lui è venuto a chiedermi aiuto. Io l’ho aiutato perché non potevo fare altrimenti, tutto qui.”
Era tornato risoluto anche lui, mi fissava serioso e diceva la verità, non so che cosa me lo faceva credere ma a quanto pare mi sbagliavo. Sherlock mi aveva detto la verità, aveva convissuto per 9 mesi con Lestrade.
D’un tratto tutto fu chiaro.
Le chiamate di Lestrade per sapere come stavo, il suo avvicinamento alla mia persona, il suo chiedermi di continuo di partecipare ai casi della polizia per farmi uscire di casa. C’era Sherlock dietro tutto.
“Lestrade, quindi… avete convissuto davvero?” Mi rispose con un semplice cenno del capo, non riuscivo a credere che due persone come loro fossero riuscite a non ammazzarsi a vicenda per tutto quel tempo
“Ma insomma, Sherlock si annoia di continuo senza un caso… come ha fatto a convivere con te senza sentire la voglia di tornare in pista? Come hai fatto a convivere con lui senza ammazzarlo? Perché so che ne avresti avuto voglia!! Come?”
Lestrade si strinse nelle spalle
“Abbiamo trovato il modo” Disse semplicemente.
“Trovato il modo..” Ripetei, incredulo. Avevano trovato il modo di vivere insieme senza ammazzarsi, ma come? Era troppo per me , io non ero Sherlock non potevo risolvere questo enigma.
Per 9 mesi, per nove mesi ero stato male come un cane, e loro erano qui a litigare perché Sherlock voleva il cellulare e Lestrade non voleva passarglielo.. o perché Sherlock si annoiava a morte e sparava contro il muro. Non riuscivo a credere nemmeno usando tutta la mia volontà che Sherlock avesse resistito alla noia per tutto quel tempo.
“Non riesco a crederci..”
“A cosa non credi?”
Sospirai. Passando una mano tra i capelli, quasi bagnati dal sudore.
“A tutto questo, mi sembra di vivere in un sogno.”
Lestrade sorrise, poi portò i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo su di me.
“Ascolti Watson, non ci pensi più… Ora Sher è tornato, sta bene, non è morto. Questo era il suo desiderio no? Lo voleva vivo. Ed è vivo, ed è con lei, nel vostro appartamento, è tornato da lei. Che vuole di più?”
Il suo sguardo variò molto tra l’inizio e la fine della frase. All’inizio era vivo, poi vacuo, infine spento.
Che diavolo volevano dire tutte quelle frasi campate in aria? –Questo era il tuo desiderio-
Un momento.
“Come sa di ciò che ho detto dinanzi la tomba di Sherlock?”
Lestrade inarcò le sopracciglia.
“Deve essergli sfuggito, non ricordo in che occasione..”
“A Sherlock non sfugge nulla. Sherlock non parla dei fatti suoi con il primo che capita.”
In quel momento ero talmente confuso che il sospetto era la mia unica ancora. Le sue parole erano strane, parlava di Sherlock come se.. Come se..
“E poi da quando lo chiama ‘Sher’ e non Holmes?”
Lestrade provò a rispondere ma lo interruppi ancora.
“Lestrade, lei mi sembra strano…”
Lestrade si strinse ancora nelle spalle.
“Non sono obbligato a dirle nulla, Watson. E detto tra noi, c’è poco da dire. Sherlock è stato qui solo il tempo necessario per essere sicuri che di Moriarty non ce ne fosse traccia, e così è stato. Non sembra essersi fatto vivo, nei telegiornali parlano del grande ritorno di Sherlock e tutti sono felici e contenti..”
“Lei non mi sembra felice e contento però.”
Venni interrotto dal suono di un cellulare. Era quello di Lestrade, la suoneria non somigliava affatto alla mia, ed era un messaggio. Lestrade fissò il cellulare e poi me, capii che non era qualcosa che dovevo leggere così lo afferrai prima di lui, provò a bloccarmi ma alla fine riuscii a leggere il messaggio.

“Non farti uscire di bocca nulla, capito?
-Sherlock”

Rimasi per un secondo senza fiato.
Sherlock sapeva che ero lì, probabilmente Lestrade gli aveva mandato un messaggio mentre era in cucina.
E quindi c’era davvero qualcosa che non dovevo sapere. Fissai Lestrade, e non era un bello sguardo, era uno di quei sguardi da ‘o me lo dici o ti ammazzo’ solo più truce.
“Deve dirmi tutto… ”
Lestrade passò una mano tra i capelli.Sospirò e poi fece cenno di no.
“Non posso.”
“Sa che prima o poi lo scoprirò. Verò?”
Presi il cellulare e composi il numero. Uno squillo. Due. Tre. Poi rispose.
“John…”

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AAH salve a tutti questo capitolo è venuto giù come sempre d mezzanotte all'una xD mamma mia prima non mi viene ispirazione :D comunque vorrei qualche opinione ^^
Dai su u.u non si vive di sole letture <3
PS: Spero di non aver mandato Lestrade troppo fuori pg, :/ sto cercando di rendere tutti il più oc possibile ^^ quindi se è così fatemi sapere e provvederò :D

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