I Want You Back

di Keros_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13- Don't You Remember ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***






Sebastian spostò la spalla ancora assonnato, infastidito dal peso che vi era poggiato sopra e il solletico causato da dei capelli. Sentì due braccia cingergli affettuosamente i fianchi da dietro, e due mani posarsi sul suo stomaco.

Aprì immediatamente gli occhi. Trovandosi stretto in una morsa calda, troppo calda per i suoi gusti per essere il cuscino. Si mise a sedere, senza nemmeno premurarsi di slacciare le mani che aveva in grembo e si girò verso il loro proprietario.

“Alzati.” Ordinò, colpendo con poca delicatezza la spalla dell’uomo con i capelli scuri.

Tony emise un gemito infastidito, portandosi una mano a stropicciarsi gli occhi.

“Allora, ti muovi?” Chiese Sebastian, alzandosi dal letto; per poi dirigersi al bagno in camera.

Lasciando la porta aperta, tirò giù i pantaloni; non curandosi di poter essere visto o meno, liberandosi.

Una volta finito, si diresse al lavandino per lavarsi il viso, nel tentativo di svegliarsi completamente. Erano le otto, e alle nove e mezza doveva un appuntamento dall'avvocato insieme a Blaine. Aprì il rubinetto e si getto l'acqua ancora ghiacciata in faccia, nella speranza di raffreddare il nervoso che gli salì a quel pensiero.

Si asciugò con l'asciugamano e aprì il lo specchio per prendere il suo spazzolino da denti, quando trovò accanto al suo quello di Tony.

Lo afferrò e richiuse la superficie riflettente con forza, facendola tintinnare. Si sporse dalla porta del bagno verso la camera da letto, per guardare meglio il moro che adesso era seduto.

"Che ci fa il tuo spazzolino da denti nel mio bagno?", Sbottò, brandendo l'oggetto come fosse un arma. "Anzi, che ci fai ancora nel mio letto?"

Tony abbassò lo sguardo, giocherellando con il lenzuolo, poi borbottò: "Scusa.. non pensavo ti dispiacesse."

"Non pensavi..?", Sebastian ridacchiò infastidito, "Non pensavi mi dispiacesse? Siamo andati a letto un paio-"

"Venti", lo corresse prontamente il moro.

"Come vuoi.  Venti volte; abbiamo fatto sesso otto volte, cosa ti fa credere che voglia i tuoi orrendi oggetti personali sparsi per casa mia?"

"Niente." Mormorò Tony, dispiaciuto di dover ammettere quella dura verità. Si alzò dal letto, dirigendosi sulla sedia poco lontano da lui per rivestirsi.

Sebastian  ritornò in bagno, imprecando a mezza voce. Prese il suo spazzolino e si lavò i denti. Quel giorno ci mancava solo
Tony e una delle sue trovate.

Già di per sé il mal di testa da dopo sbornia non aiutava, il dover incontrare Blaine da li a poco neanche, e se doveva pure aggiungerci anche lui che cercava d'istaurare un rapporto un pò più intimo, poteva benissimo definirla una "Giornata da dimenticare" prima ancora d'avere l'onore di mettere un piede fuori di casa.
 

 
 
Tony era innamorato di lui da tanto tempo; precisamente da quando lo aveva incontrato per sbaglio nella caffetteria dell'ufficio. Stava chiacchierando con i colleghi che gli davano il benvenuto per il nuovo posto di lavoro quando Sebastian entrò. Lui non ci fece molto caso, ai tempi stava ancora con Blaine, così si diede un occhiata in giro sentendo due occhi addosso. Tony gli fece un sorriso sghembo e lui ricambiò con un semplice cenno del capo. L'aveva trovato fin da subito molto attraente, di certo non era da buttar via, ma non gli interessava. Aveva due bambini, una famiglia e Blaine; soprattutto lui.

Di conseguenza non gli diede mai nemmeno una chance, ovviamente fin quando Blaine non andò via di casa. Da quel momento aveva iniziato a saltare da un letto all'altro, facendo entrare anche molti uomini nel proprio; cercando di ritornare alla sua vecchia vita da scapolo, quella in cui Blaine non era mai esistito se non per un periodo tra i suoi diciassette e i suoi diciotto anni, dove era uno stronzo egocentrico e menefreghista.

Uno dei tanti uomini era stato Tony. Non è che Sebastian si ricordasse molto come finirono a letto. Era rimasto in ufficio per finire qualche pratica e lì, a qualche porta di distanza c'era Tony e lui approfittò dell'occasione. Da lì  il loro rapporto era cambiato, anzi solo da parte del moro. Sebastian non ricambiava mai i sorrisi, non gli portava mai la colazione, non gli chiedeva di pranzare insieme e non gli proponeva mai di restare a dormire a casa sua la sera. Anche se ne approfittava, ad ogni occasione gli ripeteva che tra loro non c'era niente, se non sesso quando non aveva niente da fare e non poteva andare in qualche Bar gay.
 

 
 
Alle nove e trenta, puntuale come un orologio svizzero, Sebastian era davanti il palazzo dove vi era l’ufficio dell’avvocato con cui lui e Blaine avevano appuntamento. Si guardò intorno, alla ricerca di una testa amorevolmente impiastricciata di gel per capelli, sorridendo quando non ne notò alcuna.

Blaine era in ritardo anche quella volta, nonostante fosse stato lui a prendere l’appuntamento e aver tentato di convincerlo nei giorni precedenti, sfoderando perfino la sua arma micidiale: Juliette. Se l’era comprata e poi l’aveva scagliata contro di lui, conoscendo alla perfezione come si comportava Sebastian con sua figlia, che riusciva ad averlo in pugno con soltanto un sorriso con qualche dente mancante.

Sebastian si sistemò il nodo della cravatta, aspettando altri cinque minuti buoni. Poi decise di salire dal legale, prima o poi sarebbe arrivato.

Superò le porte scorrevoli e si diresse all’ascensore, pigiando il tasto per chiamarlo. Aspettò qualche minuto,  tenendo saldamente la valigetta da ufficio tra le mani, spostando il peso da un piede all’altro. Aspettare era la cosa che odiava di più in assoluto, perché quel diamine di ascensore non si dava una mossa?

Pochi secondi dopo la sua preghiera silenziosa, le ante dell’ascensore si aprirono, facendo scendere vari uomini d’affari che avevano già sbrigato di prima mattina qualche faccenda di poco peso. Aspetto che l’ascensore fosse vuoto prima d’entrare, premendo freneticamente il pulsante per far farlo partire.

Le ente stavano per chiudersi quando una voce agitata arrivò alle sue orecchie.

“Aspetti, aspetti per favore! Sono in ritardo.”

Sebastian ghignò, sboccando le ante.

“Grazie e mi scus- Sebastian!” Blaine cambiò subito tono nel momento in cui salì sull’ascensore, notando l’uomo che vi stava dentro. “Sali pure, io aspetto-“

“Non fare l’idiota.” Lo interruppe quest’ultimo, afferrandolo per un braccio e far partire l’ascensore. “Come hai detto tu: siamo in ritardo.”

Blaine annuì, mugugnando qualcosa in proposito ma senza aggiungere una parola.

“Buongiorno, comunque.” Continuò Sebastian, cercando di spezzare quel silenzio teso che si era formato.
Nessuna risposta.

“Cercavo di fare conversazione o salutarti come si deve. Sai,  si chiama buona educazione.”

“Certo.”

“Blaine, hai cinque anni?” Sbottò il più alto, fissando l’altro uomo che evitava il suo sguardo fissando dritto difronte a sé.

“No, non ho cinque anni. Ma tua figlia ne ha otto e stamattina ha fatto i capricci perché non voleva andare a scuola.”

Sebastian buttò all’aria qualsiasi tentativo di conquista o istigazione verso Blaine, passandosi una mano tra i capelli. In quel momento c’era qualcosa di molto più importante a cui pensare: Juliette.

“Ch’è successo?”

“Niente.” Rispose il moro, nella più completa semplicità ed alzando le spalle. “Voleva il tuo bacio del buongiorno.”

“E’ tutta mia figlia.” Commentò Sebastian, sorridendo tra sé e sé sentendo quelle parole.

“Esatto. Mi ha fatto vedere le pene dell’inferno.” Blaine si passò una mano sul viso stanco, dove due occhiaie facevano bella mostra sotto ai suoi occhi spenti.

“Hey,” Disse, avvicinandosi al moro. “Stai bene? Vuoi che vada io a prenderli oggi a scuola ? ”

Quest’ultimo, vedendolo avanzare, gli lanciò uno sguardo omicida, per poi cercare di non far vedere quanto si fosse sciolto a quelle domande premurose e al tono dolce che aveva usato, per poi farfugliare un “Ok, va bene, ma ricordati di fargli fare i compiti. Li viene a prendere Cooper di pomeriggio verso le sette.”

“Nessun problema.”

Blaine sollevò gli angoli della bocca e Sebastian avrebbe voluto appuntarselo nella agenda o nel calendario, o su entrambi magari.

E l’avrebbe pure fatto, se quel maledettissimo ascensore non si fosse aperto proprio in quell’istante, proprio ora che stava ricominciando a parlare con lui senza urlarsi parole contro.
 

 
Erano all’interno di quel palazzo da quasi tre ore e all’interno di quell’ufficio da dieci minuti e Sebastian ne aveva fin sopra i capelli.

Essendo arrivati in ritardo, avevano perso il turno facendo passare un’altra coppia avanti a loro e la segretaria che, a detta di Blaine era stata gentilissima e, a detta Sebastian soltanto un’incapace, li avrebbe spostati riuscendo comunque ad inserirli entro la mattinata. La cosa peggiore era stata espettare, non avrebbe avuto senso andare in ufficio per cinque minuti per poi tornare indietro. Così erano rimasti nel più completo silenzio nella sala d’attesa, a dire la verità soltanto Sebastian era rimasto in silenzio, dato che il moro aveva subito stretto amicizia con una bambina e la rispettiva madre che non potendola lasciare sola, se l’era portata con sé.

Blaine sapeva che Sebastian non aveva un debole particolare per i bambini, a meno ché questi non fossero i suoi figli; di conseguenza, a quest’ultimo sembrò che il moro lo facesse apposta ad essere così simpatico e disinvolto a parlare e giocare perfino con quella bimba, sapendo quanto adorava passare le giornate disteso sul divano a far finta di leggere l’ultimo libro psicologico perché era troppo impegnato a guardare di sottecchi lui e Juliette, con talvolta la presenza di Grant, a giocare a terra sul pavimento, ridendo e scherzando.

Poi, a mettere la ciliegina sulla torta era stata la domanda da parte della donna fatta a Blaine, “Sembrate davvero una bella coppia e da come descrivi i vostri figli sembrate una bella famiglia, ma se non sono indiscreta, che ci fate qui?”
Perché ovviamente Blaine doveva parlare di Juliette, Grant e delle vacanze estive, invernarli e feste comandate con tutti, per poi sbiancare a quella legittima domanda. Sebastian era rimasto semplicemente in silenzio, sentendo un groppo in gola, mentre Blaine si ritrovò a balbettare qualcosa per poi sputare la verità e far sentire a disaggio la donna che per parecchi minuti non smise nemmeno per un secondo di scusarsi.

Blaine e la sua intelligenza.

Ma Sebastian, non voleva uscire da quell’edificio per ciò che era successo in sala d’attesa, ma per quello che stava dicendo l’avvocato in quel momento davanti ai suoi occhi.  Aveva iniziato a non ascoltarlo più già dal momento in cui avevano iniziato a parlare di pratiche per il divorzio.

Su quel punto di vista era sempre rimasto indifferente, passivo in un certo senso, fin dal primo giorno. Aveva accontentato Blaine in tutto e per tutto, facendosi trascinare a destra e a manca da avvocati, commercialisti e psicologi, per chiedere che impatto il loro divorzio avrebbe avuto nella loro vita e soprattutto in quella dei bambini.

In realtà restava accondiscendente su tutto per due ragioni: Si voleva fare perdonare e secondo, voleva fin dove Blaine si sarebbe spinto, pur consapevole di star giocando con il fuoco. Perché Blaine era una persona dolce, ma era anche determinata e decisa.

Ma fin quando non vi era nulla di serio o veniva presa qualche decisione importante, poteva pure continuare in quel modo, restando insensibile e menefreghista.

Aspettava solo il momento giusto, le carte, Blaine, le aveva scoperte e lui avrebbe fatto la sua mossa quando lo avrebbe ritenuto più opportuno.

“…Capito, Sebastian?”

“Mmmh ?” Sebastian svenne scosso dai suoi pensieri e riportato alla realtà dalla voce del suo ex marito che ancora era suo a tutti gli effetti. Alzò il mento dalla mano e si raddrizzò sulla sedia, riprendendo un aspetto più dignitoso di quello di poco prima che era praticamente abbandonato sulla scrivania del legale.

“Signor Smythe, ha capito ciò che ho detto a lei e al signor Anderson?”

“E’ pregato di chiamarci ancora Anderson-Smythe, ad entrambi.” Precisò, infastidito dal non sentire cognome del marito accanto al suo.

“Sebastian.”

“..e comunque la risposta è no, il vostro sproloquiare sul nostro divorzio mi annoia, di conseguenza non ho ascoltato non una parola oltre il suo saluto datoci appena varcata la porta d’ufficio. Ma se mi fa la grazia di ripetere ciò che ha precedentemente detto, sarò lieto di prestarle attenzione.”

L’avvocato restò interdetto da quell’afflusso di parole e quell’ammissione, mentre Blaine si passò una mano sul viso, rassegnato.

“Bene,” decretò il legale prima di schiarirsi la voce e continuare. “Come ho già detto, nella maggior parte delle volte in caso di divorzio, la custodia del figli viene data alla madre a meno ché non ci siano seri problemi o casi particolari. Di conseguenza, in quanto due uomini, nessuno dei due gode di questo diritto e quindi si hanno due opzioni: O la custodia dei figli verrà data a chi percepisce uno stipendio maggiore, oppure al genitore naturale del bambino.”

L’avvocato fece una pausa per rispondere ad un eventuale domanda da parte di Sebastian, ma quest’ultimo restò in silenzio con un’espressione indecifrabile in viso, così continuò.

“Adesso, la differenza tra quello che sarebbe il vostro reddito separato è davvero minimo, quindi ci sono molte probabilità che il giudice decida per la seconda opzione.”

Blaine trattenne il respiro, temendo in una possibile reazione da parte di Sebastian, e sia lui che l’avvocato restarono a fissarlo.

“Quindi… il genitore che non avrà la custodia del figlio biologico, non potrà vederlo?”

L’avvocato alzò le sopracciglia, visibilmente a disaggio per quella domanda. “Beh.. sì. Biologicamente non avete nessun legame sanguigno e il giudice potrebbe non prendere una decisione in merito, ma si possono sempre creare decisioni interne. Scegliendo insieme le condizioni.”

“E i bambini verrebbero separati, giusto?”

“Purtroppo sì.”

Sebastian si girò verso Blaine per cercare il suo sguardo, ma quest’ultimo si girò dall’altra parte, deciso a non guardarlo.

“Potrebbe darci due minuti?” Chiese Sebastian all’avvocato, senza però staccare gli occhi da quei capelli pasticciati di gel.

“Ma certo, prendetevi tutti il tempo che vi serve. Se avete bisogno di me sarò a sistemare alcune cose con la segretaria.” Detto ciò, il legale si alzò dalla poltrona e uscì dalla stanza, chiudendo bene la porta dietro di sé.

Blaine e Sebastian restarono in silenzio per qualche secondo, il primo perché non aveva niente da dire e il secondo perché cercava di far sbollire un po’ di rabbia prima di parlare e possibilmente urlare contro il moro.

Prima d’aprire bocca, cercò d’assimilare bene ciò che gli era stato precedentemente detto e poi convenne che aveva assecondato un po’ troppo il marito e che adesso era il momento di riprendere in mano la situazione ed aggiustare le cose, ma prima doveva avere la certezza di ciò che poteva utilizzare a suo vantaggio.

“Blaine-“

“No, Sebastian.” Lo interruppe subito l’altro, scattando in piedi. “Non mi fai nessuno dei tuoi giochetti manipolatori o discorso epico. Ho preso la mia decisione.”

“Ascoltami, Blaine. Mi andava bene quando a separarci eravamo soltanto noi, ma adesso non mi va bene più. Non ti permetterò di distruggere le loro vite solo per un tuo capriccio.”

“Capriccio?” Rispose incollerito il moro, voltandosi a guardarlo. “Mi hai tradito, nel nostro letto. E questo dovrebbe essere un capriccio? No, Sebastian.  Mi dispiace, ma non lo è.”

“Anche tu hai tradito Kurt da giovane.”

“Avevo diciotto anni, Sebastian, ero un ragazzino. Tu hai quasi quaranta anni e una famiglia, che scuse hai?”
Sebastian rimase in silenzio, incapace di poter dire una singola parola sull’argomento, così decise di cambiare discorso.

“Juliette è mia figlia come Grant lo è per te, non mi priverò di vederla e non li priverò di vedersi.”

“Ho preso la mia decisione, non torno indietro.”

Sebastian si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui con fare lento e cadenzato, pur sapendo che non si sarebbe spostato. Una volta a mezzo metro di distanza lo contemplò un attimo, notando come si fosse irrigidito alla sua presenza e come facesse dei rispiri profondi, del tutto di diversi di quelli che faceva per calmarsi o rispondere fiato.

“Mi ami, Blaine?”

Quest’ultimo fece una faccia stupita a quella domanda, fissandolo per un attimo per poi abbassare lo sguardo. “No.”

“Guardami negli occhi,” Sebastian gli alzò il mento con l’indice, costringendolo a far incontrare le loro iridi. “Mi ami?”

“E tu mi ami, Sebastian?” controbatté il moro, curioso di sapere se anche questa volta si sarebbe tirato indietro.

Sebastian sorrise e gli sfiorò il mento con il pollice, notando come per la fretta quella mattina si era fatto male la barba. “Si.”
Blaine restò stupito da quell’affermazione e dal tono sincero in cui lo disse.

“Ma non sviare la domanda. Blaine, mi ami?”

“No." Sebastian ghignò a quella risposta secca; Quelle iridi caramellate urlavano "Sto mentendo."










Eccomi tornata con una nuova storia, ma tranquilli questa volta la finirò e non farò come a mio solito.
Il prossimo capitolo arriverà Giovedì 21, così inizierete a capire meglio l'andamento della storia se non avete visto il video dove ne parlo xD ma sentitevi comunque liberi di dirmi come vi è sembrato questo capitolo, mi farebbe piacere :3

piccola parentesi su ciò che dice l’avvocato. Ciò che dice ha un fondo di verità, anche se adesso non ricordo dove ho letto a riguardo, MA vale soltanto negli stati in cui l’adozionematernitàpaternità per le coppie omosessuali non è legale; Quindi non è il caso di Blaine e Sebastian, ma mentre plottavo la FF me ne sono dimenticata e me ne sono accorta troppo tardi xD Ci tenevo a dirlo, perché anche se non lo sono, voglio dare agli altri l’impressione di essere una persona precisa

Grazie alla mia Ninnicicci che ha betato, i love you <3

Mirma :) 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***






Capitolo 2




L’avvocato rientrò un paio di minuti dopo, ricominciando a parlare dal punto esatto in cui si erano interrotti, portando i due uomini a sedersi ai rispettivi posti. Il moro scombussolato e Sebastian con un ghigno impercettibile in volto.

Per tutta l’ora successiva avevano continuato a parlare animatamente di varie faccende, alcune delicate ed altre meno. Sebastian restava impassibile a tutto ciò che gli veniva proposto, annuendo o mugugnando qualcosa, fregandosene di tutto ciò, perché il moro ad ogni tema che si affrontava sembrava incupirsi sempre di più e la sua determinazione scemare.

Il biondo aveva scoperto ciò che gli serviva, non aveva più bisogno d’interessarsi ulteriormente a quelle cose, di cui lui sicuramente non aveva di che farsene. Come Blaine, anche lui aveva preso la sua decisione e non sarebbe ritornato indietro, si era stufato di giocare.

Uscirono dall’ufficio e si diressero all’ascensore e Sebastian si ritrovò ad imprecare nel trovarlo pieno e non poter stare da solo con Blaine.

Quest’ultimo si mise dalla parte opposta alla sua e Sebastian capì che voleva evitarlo nel momento in cui si apri l’ascensore e questi percorse l’androne del palazzo quasi di corsa, scomparendo in strada tra la folla, prima ancora che potesse dire “Allora li prendo io i bambini a scuola.” Che poi, anche se doveva preoccuparsi di quel comportamento, non ci riusciva, continuando invece a sorridere tra sé e sé.

Guardò l’orologio notando come fosse tardi, era quasi l’ora di pranzo e da lì a poco Grant e Juliette uscivano da scuola.

Si diresse in macchina, aprì lo sportello e gettò la valigetta sul sedile posteriore, si allacciò la cintura mettendo in moto, per poi infilarsi nel traffico.
 
 

 
 


Parcheggiò fuori dall’edificio scolastico, nel solito punto e accese la radio per tenersi compagnia. Odiava dover aspettare, era una cosa che non gli era mai piaciuta ma per aiutare Blaine avrebbe fatto quello ed altro e soprattutto non avrebbe mai lasciato Juliette ad aspettarlo in strada; magari Grant sì, ma la piccola proprio no.

Con  lui le cose non andavano rose e fiori da tempo, fin da prima del divorzio. Grant diceva che era Sebastian a sbagliare, Blaine che erano entrambi orgogliosi, prima di lanciare un occhiataccia al marito; Juliette che erano tutti e due innamorati di papà e quindi erano gelosi l’uno dell’altro e Sebastian che erano semplicemente uguali e quindi due idioti e che, purtroppo, se Grant non fosse cambiato, sarebbe diventato esattamente Sebastian-adolescente-idiota.

Non che con gli anni fosse cambiato.

Però negli ultimi tempi il rapporto padre-figlio tra i due stava andando sempre più sgretolandosi. Ma purtroppo non solo con Sebastian, ma anche con Blaine, in maniera meno evidente. Grant era diventato irrispettoso, rispondeva male ai genitori e non voleva mai parlare, perlomeno con loro.

Avevano provato a chiedergli se fosse in disaccordo alla decisione dei due adulti ma lui come risposta dava sempre un “Devo andare” o

“Non m’importa niente, vi odio entrambi allo stesso modo” o “Quando finirete con questa farsa fatemi un fischio.”

Sebastian cacciò via quei pensieri, sostituendoli con ciò che avrebbero mangiato lui e i suoi figli per pranzo. Non aveva cucinato niente, il giorno prima aveva avuto un pranzo di lavoro e di sera mangiare era stato il suo ultimo pensiero.

Decise che avrebbero mangiato fuori o avrebbero comprato del cibo da asporto dove più i bambini preferivano.  Poi sentì bussare al finestrino della macchina, si girò per trovare fuori occhi azzurri a fissarlo. Sbuffò e tirò giù il finestrino, pronto a  dirgliene quattro.

“Tony, cosa vuoi ancora?”

“Capire cos’è successo stamattina!” rispose allegro lui, non facendo caso al tono annoiato e quasi arrabbiato di Sebastian. “Non ci siamo salutati e non ti sei presentato all’ufficio.”

“Non sono affari tuoi, adesso sparisci che i miei figli stanno per arrivare.”

“E’ andata male?” Chiese Tony, rattristato.

“Al contrario,” rispose prontamente Sebastian, ghignando al ricordo di ciò che lesse nelle iridi caramellate. “è andata benissimo.”

“Allora divorziate!”

Sebastian lo fulminò con lo sguardo e fortuna che a dividerli c’era lo sportello dalla macchina, la sua pigrizia e il fatto che lo reputasse un idiota, o sarebbe sceso e lo avrebbe volentieri preso a calci li stesso.

No, lui e Blaine non avrebbero divorziato.

“Sparisci.” Sibilò, disgustato da tutto quell’entusiasmo, alzando il finestrino. Ma Tony lo bloccò in tempo infilando una mano dentro l’abitacolo e portando Sebastian ad avere pietà di essa. “Che vuoi ancora?”

“Stai aspettando i tuoi figli? Posso conoscerli?”

Sebastian alzò un sopracciglio, disgustato ancora una volta. Poi, continuando a guardarlo negli occhi, alzò il finestrino, fregandosene che le sue mani  potessero venire schiacciate. Tony le ritirò immediatamente e unì la labbra in una smorfia dispiaciuta; poi iniziò a indicare un punto dietro la testa di Sebastian e questo si girò a guardare, vedendo Grant e Juliette avvicinarsi alla macchina con la manina.

“Va via!” Disse a voce alta, per farsi sentire da quell’idiota. Fortunatamente questi obbedì, dandogli le spalle e attraversando la strada mentre Sebastian tirava un sospiro di sollievo.

Mise in moto e abbassò la musica, sistemandosi meglio sul sedile. Grant aprì lo sportello dell’auto e salì di fianco a Sebastian, gettando la cartella a casaccio nel sedile posteriore.

“Ciao pà,” lo salutò allacciandosi la cintura di sicurezza.

Juliette salì nei sedili posteriori, in modo ordinato e si sedette al centro, sporgendosi nello spazio tra il sedile del guidatore e quello passeggiero.

“Ciao, papì!” Disse, mentre Sebastian si girava verso di lei per farsi dare un bel bacino sulla guancia.

“Ciao, principessa.” Rispose lui, tornando  composto e mettendo la prima. “Ciao anche a te, campione.”

Grant non rispose.

Sebastian entrò nella carreggiata, tamburellando con le dita sul volante. “Che avete fatto a scuola?”

“Niente di speciale, la maestra ha corretto i compiti e io ho preso ottimo! Ah e David e Lucy si sono dati un bacino.”

“Come se t’interessasse realmente.”

“Cosa, giovanotto?” Domandò Sebastian, alzando un sopracciglio a quell’accusa.

“Non t’importa niente di ciò che abbiamo fatto a scuola. Perché non ci dici tu cos’hai fatto oggi?”

“Se volevi sapere com’è andata dal’avvocato, potevi direttamente chiederlo. Senza accuse, giri di parole o fare scoppiare una lite.”

Grant girò la testa dall’altra parte. Era l’orgoglio a farlo reagire così e Sebastian lo sapeva fin troppo bene. Aveva preso da lui, infondo.
Gli poggiò una mano sulla gamba, per rassicurarlo, per dirgli che stava andando tutto bene, ma il ragazzo gliela scostò poco gentilmente e Sebastian si dovette trattenere per non sbottare e non irrigidirsi troppo.Continuando a tenere gli occhi sulla strada disse: “E’ andata.. bene e andrà bene. Non devi preoccuparti.”

“Certo, lo dici sempre. E nel frattempo noi facciamo un po’ qua e un po’ la perché tu sei troppo impegnato a correre dietro l’uomo sbagliato o a divertirti in qualche gay bar squallido!”

“Calmati.” Lo rimproverò Sebastian, cercando di riprendere in mano la situazione. Era pur sempre suo padre e maledizione a quell’idiota, aveva visto Tony. “Io non corro dietro nessun uomo.”

“Neanche dietro papà.” Sussurrò Grant, nella speranza di non farsi sentire. Ma anche se Sebastian capì benissimo quelle parole fece finta di niente, sentendo un peso sul cuore.

“Papà, posso dormire con te oggi pomeriggio?” S’intromise Juliette, nella speranza d’allentare la tensione tra padre e figlio.

“Certo, zucchero.” Rispose Sebastian, ammiccandole dallo specchietto retrovisore, vedendola arrossire un poco a quel gesto. Poi senza accorgere le parole gli sfuggirono dalla labbra, “Però prima devo cambiare le lenzuola.”

Quella mattina era uscito di casa di fretta e nello spronare Tony a muoversi, si era dimenticato di cambiarle.

“No-o, però! Io non le voglio le lenzuola nuove! Non profumano di te.” Si lamentò la piccola, abbracciando malamente il collo del padre. “Mi sei mancato tanto!”

Sebastian ridacchiò, per poi ritornare subito serio quando si ricordò che Blaine faceva esattamente così quando rientrava a casa dopo alcuni giorni passati fuori per lavoro. “Anche tu, principessa. Ma sono sporche e vanno lavate.”
Ma prima che Juliette potesse aprire la bocca per controbattere, fu un altro a parlare.

“Nel letto tuo e di papà. C’era da aspettarselo, sei il solito. E poi ti lamenti perché Blaine ti ha lasciato.”

“Grant non è-“

“Come penso? Vorresti dire che ho torto? Papà ha fatto bene, non lo meriti.”

“Grant, adesso stai esagerando. Io amo tuo padre.”

“Non lo dimostri.”

“E’-“

“Non dirmi che è complicato, papà. Perché non lo è! Non così tanto. Invece di andare incontro a papà e dimostrargli ciò che dici di provare, continui a scoparti chi ti capita prima. Sei un idiota!” Grant urlò quelle parole, tremante di rabbia.

“E tu sei in punizione!”

“E tu non sei mio padre, mi rifiuto di essere come te.”


L’unico motivo per cui Sebastian non si piantò a centro di strada per controllare se quelle iridi troppo simili ai suoi dicessero la verità o
meno, erano le macchine che frecciavano a tutta velocità in quella stessa strada. Camuffò un respiro profondo con uno sbuffo infastidito, cercando di far capire che quelle parole non ebbero nessun impatto su di lui, ma la verità era che si sentiva completamente sbagliato e un pessimo genitore; perché Grant non aveva ragione su tutto ciò che aveva detto, ma sulla maggior parte sì.

“Juliette dove vuoi andare a mangiare?” Chiese dopo un paio di minuti di silenzio, alzando lo sguardo sullo specchietto retrovisore. La bambina aveva il viso rigato dalle lacrime mentre piangeva silenziosamente. Le prese un braccio con una mano, facendola ancorare a sé.

“Hey, non piangere, va tutto bene.” Le sussurrò, baciandole delicatamente la fronte.

“Non volevo farvi litigare...” Rispose lei flebilmente.

“Non è colpa tua, nanetta.” Le sussurrò, lasciandole un altro bacio, questa volta sulla guancia però; sapendo come amasse quando la prendeva in giro. “Ti va se prendiamo un bel Happy Meal e pure il gelato?”

Juliette annuì, baciandolo sulla guancia, per poi asciugarsi il viso con la manica del giacchino.

“Grant, tu lo vuoi il gelato?”

“Non ho fame.”
 

 





Blaine era seduto sul divano in modo scomposto, i piedi sul tavolino, la schiena contro lo schienale, un pacco di patatine sul grembo e una birra per tre quarti piena in mano. Una smorfia inconsolabile sul volto.

Non beveva mai, tranne durante la cena o una serata con i colleghi di lavoro, forse era per questo che aveva quella bottiglia da quando era rientrato a casa, all’ora di pranzo. Ed erano le sei e mezza di pomeriggio.

Era salito a in macchina di corsa per evitare Sebastian, poi aveva guidato a velocità controllata fino ad arrivare a casa del fratello, si era fatto una doccia non sapendo bene se ciò che gli bagnasse il viso fosse solo acqua oppure ci fosse in mazzo anche qualche lacrima. Si era vestito, frizionato i capelli, acceso la tv, preso una birra dal frigo, le patatine dalla credenza e poi si era accasciato sul divano.

Non si era mosso, nemmeno di un centimetro. Aveva visto diversi programmi televisivi in tutto il pomeriggio, ma non ne ricordava nemmeno uno. Aveva passato il pomeriggio a rimuginare su tutto ciò che gli aveva detto l’avvocato, il “Ti amo” di Sebastian, il suo ghigno dopo avergli detto che non ricambiava il suo stesso sentimento.

Andava tutto male e lui era un idiota, non doveva rispondere e non doveva guardarlo negli occhi e soprattutto non doveva trovarli così irresistibili e belli da morire. Ogni volta era la stessa storia, più li guardava più sentiva un calore all’altezza del cuore, come la prima volta. Dio, era un adulto ma continuava a comportarsi come un ragazzino difronte a suo marito. Ex-marito, si corresse mentalmente.

Ma la verità era che non era colpa di Sebastian, cioè la maggior parte sì, ma era anche sua e l’amore che continuava a provare per lui. Nonostante cercasse di nasconderlo e continuasse a ripetersi che era finita, che non potevano tornare insieme.

Ma non era così semplice, non si fidava più di lui e il ricordo di Sebastian nel suo letto con un altro uomo gli faceva fin troppo male.
Ma perché lo aveva fatto? Perché aveva trasformato una semplice litigata, un po’ pesante, in qualcosa di così grosso?

Era stato fuori di casa per meno di una settimana e quando si era presentato alla porta con un mazzo di fiori e la faccia di uno che sta per
dire “ti prego, scusami e andiamo a fare l’amore nel letto,” voleva solo quello, prima di un tenero bacio di Sebastian e magari le scuse anche da parte sua per avergli urlato contro. Invece aveva bussato alla porta e nessuno aveva aperto, i bambini erano con Cooper e così decise di entrare, magari per fargli una sorpresa, aveva girato la chiave nella toppa, spalancato la porta e diretto in camera da letto, non ci fu nemmeno bisogno di aprire la porta visto che era aperta, così la vista di Sebastian  avvinghiato ad un altro lo colpì come uno schiaffo in pieno viso. Gli oggetti gli caddero dalle mani e i due uomini si accorsero di lui soltanto nel momento esatto i fiori toccarono terra. Uscì correndo via, inseguito da Sebastian ancora nudo.

 Blaine venne destato dai ricordi dal tintinnio di chiavi provenire dal pianerottolo e delle risate. Si portò la birra alla bocca sentendo la porta aprirsi, e ne bevve un sorso quando la sentì richiudersi e degli schiocchi di baci riempire la stanza.

Com’era bello essere felici con il proprio partner e avere sempre voglia di fare l’amore.

“Cooper, ma che fai?” Una risata divertita e lo schiocco di un bacio, “Rimettimi giù.”

“Va bene,” un altro bacio, “Però in camera da letto.”

Entrambi i due amanti scoppiarono a ridere e Blaine sorrise amaro mentre Cooper prendeva a camminare diretto in camera da letto.

“Aspetta, torna indietro.” Disse Elizabeth e Cooper obbedì,  facendo qualche passo indietro per fermarsi davanti al salone dove era Blaine.

“Ciao,” salutò quest’ultimo, rivolgendogli un sorriso appena accennato.

“Tutto bene?” Chiese la ragazza, stringendosi all’uomo per non cadere.

“Si, sta bene. Adesso però andiamo. Ciao Blaine.” Intervenne Cooper, ma al posto di dirigersi in camera da letto restò lì, conscio di come sarebbe andata a finire.

“No, aspetta,” Elizabeth lo baciò sulle labbra, per poi fargli capire di voler scendere e lui la lasciò andare, alzando gli occhi al cielo. “Va tutto bene?”

“Si,” Rispose lui, sedendosi composto sul divano e scendendo i piedi. “Continuate pure, io sto bene.”

Lei lo guardò per un attimo, poi guardò il suo ragazzo per poi riguardare Blaine. Si avvicinò a quest’ultimo e si sedette accanto a lui, prendendogli una mano per stringerla forte tra le proprie. Cooper fece un giro su se stesso, imprecando a bassa voce, poi si avvicinò a loro. Si sedette accanto alla compagna, passandole un braccio sulle spalle.

Blaine distolse lo sguardo da quei due occhi azzurri che sembravano guardarlo dentro, restarono in silenzio per qualche secondo, fin quando El non iniziò a parlare.

“Blaine… vuoi dirci ch’è successo?” Lui si sentì come Grant quando cercava di farlo aprire con lui, stesso tono gentile e un po’ allarmato, e la cosa non gli piacque molto. “Puoi sfogarti con noi, è successo qualcosa con l’avvocato?”

“No, non sono un bambino.”

“Lo sappiamo, Blainey. Ma noi avremmo dell’altro da fare e non abbiamo tempo da perdere con te, quindi sputa il rospo.” Intervenne Cooper, beccandosi due occhiatacce da parte degli altri due. “Ok, però parla.”

“Sei molto incoraggiante, Cooper.” Ribatté con ironia Blaine.

“Ho capito, me ne vado.” Rispose il fratello maggiore, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la cucina. Poi proprio sulla soglia si voltò verso Blaine e guardandolo negli occhi disse: “Questa storia non può più andare avanti così.

Poi uscì dalla stanza e Blaine ed Elizabeth si scambiarono uno sguardo eloquente, Cooper lo aveva appena minacciato. Il moro si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi, respirando profondamente; Chissà cos’avrebbe combinato suo fratello.

“Blaine?” La voce calma e dolce della ragazza lo costrinse ad aprire gli occhi, per vederla chinata su di lui. “Vuoi raccontarmi?”

Blaine annuì piano, ma restò per un attimo in silenzio a raccogliere le idee.

Elizabeth non era soltanto la fidanzata di suo fratello, era anche un amica fidata con cui si conoscevano fin da quando si era trasferito a New York e frequentava la NYADA. Si volevano bene e faceva parte al cento per cento della famiglia Anderson ed Anderson-Smythe, anche se ancora non sposata con Cooper. Per Grant e Juliette era più che una zia, era un’amica, una psicologa e una madre persino; non che ne avessero bisogno, ma era quella figura femminile di cui tutti avevano bisogno, persino Blaine e talvolta Sebastian. Per loro era più come una sorella anche se quest’ultimo non l’avrebbe mai ammesso. Tentare di nasconderle qualcosa era come tentare di far diventare Blaine orripilante agli occhi di Sebastian: Impossibile.

Lei sapeva ogni segreto di Blaine e lo consigliava nel modo migliore possibile, anche se a volte i suoi consigli facevano male.

“Oggi siamo stati dall’avvocato.” Esordì Blaine, “E non è andata come pensavo.”

“In che senso?” Chiese lei, avvicinandosi ancora di più a lui.

“L’avvocato ha detto che… beh la custodia dei bambini molto probabilmente andrà per paternità, quindi Juliette con me e Grant con Sebastian; e il giudice potrebbe non prendere ulteriori provvedimenti, così non avrei nessun obbligo a vedere Grant e Sebastian a vedere la piccola.”

Elizabeth si limitò ad annuire, assimilando ciò che le veniva detto.

“E dovremmo essere io e Sebastian a prendere una decisione in merito. Solo che... lui non vuole far separare Grant e Juliette e come al solito abbiamo litigato..” Blaine lasciò la frase in sospeso, la voce sempre più flebile.

“E tu vorresti farli crescere separati?” Il tono  della donna non era accusatorio, ma Blaine si sentì comunque ferito e oltraggiato da quella domanda.

“Certo che no!” Rispose subito, allontanandosi da lei. “Non vorrei mai una cosa del genere! Ma… ma sarà il giudice a deciderlo e non potremo farci niente. Che poi.. insomma, l’avvocato ha detto che io e Sebastian potremo fare un accordo tra di noi per poter stare con i figli, è legale.”

Lei sbatté le palpebre un paio di volte, poi alzò le sopracciglia e disse: “Allora qual è il problema?”

“Il problema è-“ Blaine s’interruppe da solo, non sapendo come dar voce a ciò che lo turbava. Elizabeth si riavvicinò a lui e gli prese una mano, intrecciando le dita.

“Il problema è che lo amo.” Disse con un fil di voce, sentendo gli occhi pizzicare. “L’avvocato ci ha lasciati da soli cinque minuti e lui si è avvicinato.”

Elizabeth si poggiò con la schiena al divano, poi tirò Blaine, facendolo accoccolare contro il suo petto, “Ti ha baciato?”

Blaine tirò su col naso, cercando di non lasciarsi andare. “No,” balbettò contro la maglia scura della ragazza, “No, ma avrei voluto.”
“Non è una cosa brutta essere innamorati del proprio marito.”

“Si, ma noi stiamo divorziando.” Disse, stringendola bisognoso. “Vorrei solo non sentirmi così impotente quando c’è lui, vorrei essere più forte e non come Grant alla sua prima cotta.”

Elizabeth ridacchiò al paragone con il nipote e passò una mano tra i riccioli liberi dal gel dell’uomo.
Poi tornò subito seria e anche se Blaine non poteva vederlo, gli rivolse un sorriso.

“Non dovete divorziare, se non lo vuoi.”

“Lo sai, ne abbiamo già parlato.” Rispose lui, scuotendo la testa. “Andrò avanti in questa storia.”











Don't worry, be happy !
Sappiamo tutti che Blaine non è poi così determinato come crede. 

Il prossimo capitolo sarà meno Angost, promesso :3

"Calmati" Non me la sento di commentare e dire cosa mi ha ricordato, proprio no ç_ç 

Grazie a tutti per aver letto, recensito e messo la long nelle preferite\ricordate\seguite ecc.. nel capitolo precedente! Awww vi adoro <3

Un bacione e a Giovedì !

Keros_ 




P.s. Ninnicicci grazie e I LOVE YOU. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***







Capitolo 3







Grant uscì dagli spogliatoi passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati per la doccia fatta poco prima. Amava giocare a Football e gli piaceva restare cinque minuti in più rispetto agli altri per continuare a correre sul prato sintetico o fare alcuni tiri in più, magari facendo aspettare uno dei genitori.
 
C’era un motivo per cui aveva scelto di fare Football e non Lacrosse o Baseball come suo padre avrebbe voluto: Non faceva impazzire Sebastian. Ma, ovviamente, non aveva preso in considerazione l’ipotesi di potersi davvero affezionare a quello sport.
 
Da quando i suoi papà avevano dato la notizia del divorzio e Blaine era andato a vivere con Cooper, Grant non faceva altro che giocare a pallone o, al massimo, studiare. Non era soltanto un passatempo, ma anche un modo per sentirsi libero; sì, quando correva per poi calciare il pallone si sentiva senza problemi e finalmente un sorriso gli si delineava sulle labbra.
 
Ormai non faceva nemmeno caso a quante ore d’allenamento facesse, sia con o senza allenatore, non faceva caso nemmeno a quanto sudasse o se avesse bisogno di prendersi qualche integratore per sentirsi in forze. Molte volte era arrivato ad avere la pressione eccessivamente bassa, sentirsi svenire o ad avere la vista annebbiata, ma non era mai arrivato ad avere le allucinazioni, non fino a quel momento almeno.
 
Elizabeth lo stava aspettando nel punto in cui solitamente lo aspettava Blaine, che quel giorno doveva prenderlo dopo gli allenamenti. Era appoggiata alla macchina, le braccia conserte e un sorrisomaterno in volto. E adesso che voleva?
 
Continuò a camminare avanti, deciso a non parlarle. La superò senza nemmeno rivolgerle uno sguardo, sistemandosi meglio la bretella del borsone sulla spalla.
 
“Grant?” Cantilenò la donna, girandosi verso di lui, “Adesso fai finta di non vedermi?”
 
“Dov’è Blaine?” Rispose lui con rabbia, ferito dal fatto che non ci fosse suo padre al posto suo. Se l’era dimenticato? Aveva cercato una scusa per non restare da solo con lui? Si, sicuramente era così.
 
“Ho insistito io per venirti a prendere.” Rispose lei con semplicità, facendo qualche passo verso di lui. “Volevo stare un po’ da sola con te.”
 
“Mi dispiace, ma Sebastian mi ha insegnato due cose nella vita: Non andare a letto con un parente e che tu trami sempre qualcosa dietro.”
 
Lei alzò un sopracciglio, sorpresa da quelle parole. “Sei più simile a tuo padre di quanto pensi e no, non ho assolutamente intenzione di fare nulla con te. Sei brutto e Cooper mi piace parecchio.”
 
“Non sono come mio padre.” Farfugliò immediatamente lui, non ammettendo affermazioni del genere, sentendo la rabbia ribollire. “Vattene.”
 
“No, non ne ho la minima intensione,” lei fece il giro della macchina, passandogli accanto per poi aprire lo sportello del guidatore. “Ti conviene salire.”
 
Grant si mordicchiò il labbro inferiore, non sapendo bene cosa fare: sapeva che Elizabeth era davvero testarda e non l’avrebbe lasciato in pace.
 
“Ho dei Cheeseburger, due gelati e una meta,” continuò la donna salendo in macchina, “Vorresti dirmi che non hai fame?”
 
Grant sbuffò sentendo il suo stomaco brontolare, senza pensarci due volte fece il giro dell’auto e salì in macchina non sbattendo nemmeno troppo violentemente lo sportello. Maledizione, doveva farlo più forte. Si allacciò la cintura e rimase in silenzio mentre Elizabeth metteva a moto cercando di camuffare un sorriso.
 
E va bene, era salito in auto e allora? Lo aveva fatto solo per la fame e i panini. Solo per quello.
 








 

“Affamato eh ?”
 
Grant mandò giù l’ultimo boccone del Cheeseburger che aveva appena divorato, poi appallottolò la carta e la diede in mano ad El.
 
“Il calcio mi mette fame.” Lei sorrise e gli scompigliò i capelli, inutile dire che il ragazzo si scostò in malo modo, guardandola poi profondamente per un attimo e dicendo: “Cosa vuoi?”
 
“Parlarti.” Rispose semplicemente lei, alzando le spalle. Si girò alla parte opposta al ragazzo e iniziò a frugare all’interno della busta del Fast-Food, gettandoci dentro anche la carta passatagli poco prima da Grant. Si girò nuovamente verso di lui, con due gelati in un recipiente di cartone azzurrino e gliene passò uno.
 
“Non sei mia madre.” Le fece notare quest’ultimo, afferrando ciò che gli stava porgendo la donna.
 
“E’ buffo, sai?” Elizabeth ridacchiò, “Tuo padre me l’aveva chiesto.”
 
Grant quasi si soffocò con il gelato che stava mangiando, lo guardò confuso e si domandò se era davvero la madre surrogata di cui i suoi genitori non prendevano mai l’argomento. Lei sembrò leggergli nel pensiero, così chiarì dicendo: “Prima di mettermi con tuo zio Cooper.”
 
Face un sospiro di sollievo, concio d’aver perso dieci anni di salute nell’arco di pochi secondi.
 
“Avevamo fatto un accordo: Se fossimo arrivati ai quarant’anni entrambi single ci saremmo sposati.” Elizabeth si sistemò un i capelli dietro l’orecchio, “Fortuna che non è andata così.”
 
“Per una donna etero deve essere un disastro sposare un gay,” commentò Grant ed entrambi scoppiarono a ridere; e lui si perse nel guardarla, capendo, infondo, che non gli sarebbe dispiaciuto se fosse stata lei la sua mamma biologica e che, anche se non lo avrebbe ammesso se non in un momento di difficoltà, le voleva davvero bene.
 
“Di cosa volevi parlarmi?” Le chiese dopo un attimo di silenzio.
“Del tuo comportamento.” Rispose semplice lei, accavallando le gambe fasciate dei jeans scuri e ruotando ulteriormente il busto verso di lui per guardarlo meglio.
 
“Che comportamento?” Chiese finto innocente, “sono un angelo,” continuò ghignando.
 
“Grant, sai a cosa mi riferisco. Non fare il bambino.”
 
“Ho quattordici anni, ne ho tutto il diritto.”
 
“No, tua sorella che ha 8 anni ce l’ha. Tu sei un adolescente.” Poi lo guardò con i suoi occhioni azzurri estremamente espressivi e poi con il suo fare da psicologa domandò: “Perché aggredisci sempre tuo padre?”
 
“Non sopporto Sebastian. Lui si comporta male con me e io faccio altrettanto.” Grant fece una pausa, non sapendo se fosse giusto ciò che stava dicendo o meno; dette a voce alta, quelle parole sembravano diverse da come suonavano nella sua testa. “Come si dice? Tu rispetti me, io rispetto te.”
 
“E’ tuo padre, Grant e devi portargli rispetto a prescindere, non funziona come hai appena detto.” Nel tono della donna non c’era alcuna nota di rimprovero, ma lui si sentì rimpicciolire. “Non con lui almeno.”
 
“Non è più mio padre.” Sussurrò a quel punto, sentendo il respiro farsi irregolare un po’ per il nervoso e un po’ per il pianto che si stava per arrivare.
 
“Non dire così, adesso stai esagerando. Non credi?” Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
 
“No! No! Non esagero.” Grant iniziò ad urlare, gli occhi sempre più rossi,
 
“Sebastian non è più mio padre, quello non è mio padre. Dov’è finito il papà che mi portava al parco e che sbuffava quando chiedevo di fare l’altalena ma poi mi accontentava? Che giocava a Baseball con me, che cercava di darmi consigli d’abbordaggio a dieci anni, dov’è? Dov’è? Dov’è il Sebastian che mi dava un colpo di libro in testa quando giocavo troppo alla Xbox o quello che mi sbatteva fuori dal salone o mi corrompeva per uscire di casa per poter baciare liberamente Blaine, e Dio solo sa che altro? Io gli dicevo che mi faceva schifo vederli e invece.. invece li adoravo! Perché non c’è più?”
Ormai le lacrime gli scendevano copiose dagli occhi, le labbra erano arrossate e il volto era rosso, ma Elizabeth non si avvicinò a lui né tanto meno disse una parola. Grant avrebbe voluto che lo facesse, ma capì il suo piano: Si stava finalmente sfogando e se lo avesse bloccato non avrebbe più continuato; così continuò.
 
“Adesso c’è solamente un Sebastian che va a letto con chiunque, e no, Elizabeth, non dirmi che non è così; può fregare chiunque, ma non me, non me ! So ch’è così e so anche che papà non ne sa nulla, e io li rivoglio indietro, li rivoglio che si dicono tutto e che si danno palpatine poco velate quando pensano che io e Juliette non ce ne accorgiamo. E invece c’è solo Sebastian che se ne frega, che gioca con i sentimenti di tutti. Perché fa così, perché? Spiegamelo, ti prego, perché io non lo capisco.”
 
Appena finì di dire quel flusso di parole, si sentì molto più leggero e libero, come se gli avessero tolto un macigno di dosso e adesso potesse tornare ad essere se stesso. In quello stesso momento si sentì afferrare per un braccio per poi ritrovarsi stretto nell’abbraccio di Elizabeth e lui non poté far altro che abbandonarsi contro il suo petto.
 
“E’ il suo modo di reagire, non può farci niente.” Esordì lei dopo un po’, mentre gli accarezzava i capelli, “Ognuno ha un modo diverso per farlo e lui ha scelto di vedere il lato positivo,” disse le ultime parole con ironia. “Sta facendo tutto ciò che non ha fatto per anni, un ritorno al passato, per così dire,” Grant la sentì sorridere contro i suoi capelli, “cercando di non pensare a ciò che sta accadendo.”
 
“E’ da idioti, dovrebbe soltanto darsi una mossa e chiedere a Blaine una seconda possibilità.” Commentò farfugliando contro il suo petto.
 
“Adesso non chiami papà nemmeno Blaine?” Chiese Elizabeth, con tono divertito. Lui si accoccolò ancora di più contro di lei. Tanto ormai l’aveva visto piangere, poteva anche farsi coccolare, no?
 
“Ogni tanto sì, sono arrabbiato anche con lui.”
 
“E perché? Basta che non parti a piangere un’altra volta però!” lo canzonò lei e Grant si ritrovò a sorridere e a pizzicarle il fianco.
 
“Perché non da una seconda possibilità a Sebastian e io so che gliela concedesse non la sprecherebbe.”
 
“Grant, non è così-“
 
“No, non dirmi che non è così facile,” ribatté sciogliendo l’abbraccio, “perché è esattamente come credo io. Se papà gli desse una possibilità, Sebastian non butterebbe tutto all’aria e torneremo ad essere la famiglia che eravamo prima.”
 
“Grant lo so che sembra facile, ma non lo è. Blaine non si fida più di tuo padre e dare una seconda possibilità non è così semplice, io non lo farei. Gli darebbe soltanto un ulteriore modo per ferirlo, soprattutto quando si è così innamorati. In poche parole sarebbe come dare un coltello ad un Killer, sperando solo che questa volta cambi idea e non ti colpisca. Tu lo faresti?”
 
“No.” Sussurrò debolmente e lei tornò ad abbracciarlo. Restarono un attimo in silenzio poi chiese:
 
 “Allora papà dovrebbe riconquistare la sua fiducia?”
 
“Si,” rispose lei, lasciandogli un bacio sulla fronte.
 
“Spero lo capisca presto.” 








 

Blaine si fermò davanti alla porta dell’appartamento e poggiò la fronte contro la superficie. Chiuse gli occhi ed espirò tutta l’aria che aveva nei polmoni, rammentando tutti gli avvenimenti degli ultimi due giorni.
 
Lui e Sebastian erano andati dall’avvocato, con tanto di mezza litigata da film romantico e poi uscendo dall’edificio seminò l’ex marito per non affrontare un discorso alquanto scomodo; era tornato a casa e poi Elizabeth lo aveva consolato. Il giorno seguente Sebastian lo aveva avvertito del comportamento poco gentile da parte di loro figlio mentre lo informava che quel pomeriggio non poteva andare a prendere il suddetto a causa di vari impegni lavorativi; Alla fine non era andato a prenderlo perché Elizabeth si era offerta –imposta- di farlo al posto suo e lui era rimasto a casa con Juliette e Cooper che giocavano con i pupazzi.
 
Quella mattina era andato a lavoro e come ciliegina sulla torta, Grant, Cooper ed Elizabeth avevano continuato a mandargli messaggi a dir poco ambigui e poco adeguati per i ruoli di figlio, fratello e fidanzata del fratello\ migliore amica, facendolo confondere più volte davanti ai vari studenti della NYADA mentre spiegava come respirare meglio con il diaframma, nonostante gli rispondesse dopo decine di minuti e continuasse ad ignorare le domande sulla sua vita sessuale come: l’ultima volta che l’aveva fatto, la posizione preferita, attivo o passivo, preliminari e quali erano i suoi preferiti. Inutile dire che poi aveva spento il cellulare e aveva cancellato quelli del figlio senza nemmeno aprirli, anche se ad un certo punto gli aveva mandato un messaggio di cui non aveva ben capito l’utilità: “Biondo o moro?”
 
Ma poi a che gli serviva? Fortuna volle che Blaine non si soffermò a domandarselo.
 
Finalmente si staccò dalla porta e si portò una mano in tasca per estrarre la chiave dell’appartamento, la girò nella toppa e con fare stanco entrò in casa. Appese svogliatamente la giacca sull’appendiabiti, abbandonò la borsa a terra e si diresse in cucina con fare annoiato, si prese un bicchiere dalla credenza e si versò un po’ d’acqua.
 
Bevve tutto d’un sorso e poi si grattò la nuca, troppo silenzio e una strana sensazione di non doversi trovare li. Ma perché? A casa non c’era nessuno e, poi, lui non era mai di troppo.
 
Lasciò il bicchiere sul ripiano della cucina e uscì dal vano, diretto al bagno per farsi una bella doccia calda per rilassare i nervi… oppure poteva farsi un bel bagno.
 
Sì, probabilmente l’avrebbe aiutato di più. Cambiò direzione e andò in camera da letto, si tolse maglietta e pantaloni, restando in boxer. Prese la prima tuta che gli capitò tra le mani e uscì, dirigendosi nel secondo bagno, quello poco utilizzato, mentre un piccolo sorriso si delineava tra le labbra carnose.
 
Da quando avevano deciso d’allargare il loro piccolo nucleo famigliare con l’arrivo di Grant, Blaine e Sebastian si ritrovarono con poco tempo a disposizione da concedersi da soli e poter esprimere a gesti i loro sentimenti, così iniziarono a farsi il bagno o la doccia insieme perché “Così ci laviamo entrambi, facciamo ecologia e rispariamo tempo” per come la definiva Sebastian.
 
Blaine sapeva che entrare in bagno gli avrebbe portato alla mente alcuni ricordi, ma di certo non pensava quel tipo di ricordi, quelli dove era il cockblocker più odiato da suo fratello.
 
 
Cooper, infatti, era seduto dentro la vasca da bagno con Elizabeth a cavalcioni su di lui, la schiuma che fortunatamente copriva la maggior parte della pelle scoperta d’entrambi, che in quel momento smisero di baciarsi in modo alquanto spinto che poteva portare solo ad una cosa. Blaine rabbrividì a quel pensiero e desiderò di poter sparire seduta stante dalla faccia della terra, visto che i due amanti lo stavano guardando allibiti e infastiditi allo stesso tempo.
 
Fece per uscire, ma una voce lo trattenne inchiodato lì dov’era.
 
“Resta.”
 
Con un gesto repentino si girò verso Elizabeth, guardandola con le sopracciglia alzate e miriadi di pensieri disgustosi e poco casti si facevano strada dentro la sua testa. “Che hai detto?”
 
“Che puoi restare.” Rispose lei, prima di alzarsi in piedi, costringendo Blaine a guardare altrove. Cooper sbuffò infastidito e insultò il fratello a mezza voce. Ma la donna non ci fece molto caso,  allungò un braccio e prese un asciugamano per fasciarsi il corpo.
 
“No, stavo andando via.” Ma Elizabeth uscì dalla vasca con grazia e si diresse verso di lui, per poi superarlo con nonchalance e lasciargli una leggera pacca sul sedere.
 
“Grazie, davvero. Immediatamente mi sento più giovane di circa.. trent’anni?” Disse ironico Cooper e Blaine ringraziò il cielo di non essere più un bambino e dover stare attento a qualche scappellotto non troppo soft da parte del fratello.  “Sei sempre il solito davvero, non riesco a crederci.”
 
Il più giovane degli Anderson arrossì fino alla punta dei capelli e abbassò lo sguardo, poi farfugliò: “Mi dispiace, Coop. Pensavo non ci fosse nessuno in casa, non era mia intenzione.”
 
“E quando mai, Blaine? Quando mai?” Continuò a chiedere retoricamente prima d’alzarsi anche lui in piedi e avvolgersi i fianchi con un asciugamano poggiata vicino alla vasca. “E’ la seconda volta in giro di un paio di giorni, non contando tutte le volte a partire dalla settimana scorsa.”
 
“E dai, mi dispiace! E poi non è molto carino che me lo rinfacci sempre.” Controbatté subito lui, seguendo con lo sguardo il fratello che si stava avvicinando a lui. “E’ una cosa momentanea, appena posso me ne vado.”
 
“Oh, sì che lo farai.” Acconsentì il più alto, poggiandogli le mani sulle spalle e piegandosi un po’ in avanti per poterlo guardare bene dritto negli occhi. “A partire da venerdì prossimo che uscirai con John.”
 
“Cosa?” Blaine spalancò gli occhi e la bocca, scuotendo lentamente la testa. “Io non uscirò con nessuno, John o no.”
 
“Invece lo fai.” Chiuse il discorso Cooper, abbandonando la presa. “Conoscerai questo mio amico e passerai la serata il più lontano possibile da me ed Elizabeth.”
 
Il più alto si allontanò dal fratello e si diresse verso la porta, per poi girarsi quando era ormai sulla soglia. “Questa storia deve finire.”
 
E Blaine capì che Cooper aveva mantenuto la promessa-sfida-minaccia che gli aveva lanciato qualche giorno prima. 









 



 

Ma l'avete capito che non faccio MAI le cose che dico di fare, vero? xD

Non ho molto da dire, se non che questo è un capitolo di passaggio ma anche molto importante e che aggiornerò Domenica, sì, per pasqua.

Ah, si, questi sono Tony e John. Gli ho dato un volto, così vi viene meglio (?) no? fa lo stesso. 

Baci,

Keros_


 



P.s. Mi sono ricordata d'aver scritto, per la Anderbros Week, una Seblaine dove viene approfondito ulteriormente l'argomento "Blaine di troppo e che non se ne rende conto" che la trovate Qui. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***






Capitolo 4

Dopo un intera settimana di lotta, Blaine aveva ceduto; si era lasciato convincere ad andare a quell’appuntamento al buio programmatogli dal fratello. Aveva provato in tutti i modi ad imporsi e a dire che non ci sarebbe andato, ma sembravano essersi coalizzati tutti insieme in un complotto contro di lui.
 
Grant improvvisamente sembrava essere diventato più gentile, persino con Sebastian e Blaine non poteva far altro che ringraziare il cielo, pur sapendo che l’unica persona che doveva prendersi il merito era Elizabeth.
 
Per disdire l’appuntamento aveva sperato su una reazione poco carina di Juliette. Inutile dire che fece soltanto un buco nell’acqua. La bambina, dopo che gli ebbe spiegato la situazione dettaglio per dettaglio proprio per spaventarla, lo aveva guardato con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa, poi quando Blaine credette d’aver almeno un motivo per cui giustificarsi con Cooper, aveva detto: “Papà devi andarci e se è uno della tv, visto che conosce lo zio? E poi devi essere felice.” Dopo averla ascoltata, Blaine si batté una mano sulla fronte e si era diretto trotterellando da El, sperando almeno sul suo appoggio. Altro buco nell’acqua. “Blaine, vai, divertiti, scompari dalla circolazione almeno per una sera così io e tuo fratello possiamo stare tranquilli e perché no? Vedi di divertirti anche tu.”
 
Cooper nemmeno a nominarlo, era stato capace di preparargli lui stesso i vestiti e dargli qualche lezione per un appuntamento perfetto e lo aveva tartassato di continui: “Vacci,” “Sono un attore, ho perso del tempo prezioso per procurarti questo appuntamento, ora ci vai,”
 
“Blaine, voglio la casa libera. DE-VI SCOM-PA-RI-RE.”
 
E quindi, adesso, Blaine si ritrovava a dover chiamare l’ultima persona che volesse venisse a conoscenza della sua uscita: Sebastian.  Si erano sentiti più o meno ogni giorno, come al solito dopotutto, ma non aveva accennato nemmeno una volta a quell’uscita nella speranza che non ce ne fosse bisogno e adesso doveva proprio dirglielo, visto che aveva acconsentito a tenersi lui quella sera i bambini.
 
Prese il cellulare dalla borsa e si sedette sulla cattedra, sperando che qualche studente non arrivasse in aula prima del suono della campanella e riuscisse a sentire quella che sicuramente sarebbe stata l’ennesima litigata. Poi pensò che stranamente, gli ultimi giorni erano passati tranquillamente senza troppi battibecchi e con un Sebastian molto più accondiscendente del solito.
 
Digitò il numero del quasi ex marito e portò l’apparecchio elettronico all’orecchio. Dopo qualche squillo, in cui aveva pensato a qualche possibile scusa per permettergli di non dovergli dire la verità, la voce di Sebastian arrivò ben decisa.
 
“Ciao dolcezza.”
 
Ciao, Sebastian. Come sta-“
 
 “Tutto quello che vuoi, zucchero. Che ti serve?”
 
“Mi serve un favore.”
 
“Accetta un caffè e possiamo discuterne.”
 
“Sebastian, non è il momento e non voglio litigare. Quindi-“
 
“Cosa ti serve? E’ successo qualcosa?”
 
Il tono di voce leggermente allarmato fece sentire Blaine ancora più in colpa. Fece un respiro profondo e poi disse: “No, sta tranquillo. E’ che mi hanno spostato il consiglio docenti all’ultimo minuto e oggi sono tutto il pomeriggio a scuola. Volevo chiederti… Non è che stasera i bambini possono rimanere con te?”
 
Sebastian sbuffò dall’altro capo del telefono.
 
 “sicuro che non puoi stasera?”
 
“Si, ma se è un problema fa niente. Non vorrei-“
 
“Disdico l’impegno che avevo, non preoccuparti.” Lo sentì sorridere, “Per te questo ed altro.”
 
“Grazie.” Blaine si mordicchiò il labbro poi aggiunse: “Devo andare, ci sentiamo.”
 
 
Sebastian portò il telefono davanti agli occhi e lo guadò con un sopracciglio alzato, Blaine non gli aveva dato nemmeno il tempo di rispondere che aveva già riagganciato. Decise di non farci troppo caso e ripose il telefono nella tasca dei pantaloni.
 
Per quella sera aveva progettato di andare a divertirsi in qualche locale poco consono alle persone della sua età, ma dover passare la serata con i figli non dispiaceva più di tanto, anzi da una parte quella notizia l’aveva messo di buon umore. Frequentare i bar gay non era più come se lo ricordava, divertente e un buon posto dove trovare qualcuno da portarsi a letto, ma era noioso e monotono.
 
“Chi era al telefono?” Si girò verso Grant che lo guardava con un ghigno dal sedile accanto al suo.
 
“Tuo padre,” rispose alzando le spalle.
 
“Ti ha detto di John?” Continuò il figlio, con uno strano ghigno a delineargli le labbra.
 
Sebastian inchiodò di colpo, istintivamente; Fortuna volle che erano parcheggiati davanti alla scuola di Grant e ancora fermi. Si girò verso il ragazzo, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro, gli stesse facendo uno scherzo o voleva soltanto vedere la sua reazione; rimase sorpreso nel vederlo completamente sincero, anche se un po’ divertito. Stava dicendo la verità e Blaine non gli aveva detto niente.
 
“Chi è John?” Chiese in cagnesco, senza preoccuparsi di dover sembrare freddo e distaccato. Che poi al diavolo, Blaine era suo e questo qui da dove era spuntato? Aveva tutto il diritto di sentire il sangue ribollire nelle vene e il bisogno d’andare da quel moretto e baciarlo con foga per fargli capire quanto si appartenessero.
 
“Uno con cui esce stasera, al vostro ristorante preferito.” Rispose Grant, alzando le spalle e allacciandosi la cintura, con la più completa  indifferenza.
 
“Come lo ha conosciuto?” Chiese lui, dovendosi controllare dal non staccare il voltante a furia di stringerlo così forte.
 
“Non lo so, penso tramite zio Coop. Si vedono alle otto e mezza…”
 
Sebastian non rispose e fece cadere il discorso, chiedendosi perché diamine suo figlio stesse lasciando la frase in sospeso e dicesse cose che a lui non interessavano…
 
O forse sì? Sì, gli interessavano.
 
In pochi secondi pianificò tutto ciò che avrebbe fatto quella sera e si annotò in mente di chiamare la babysitter per tenere sotto controllo Grant e Juliette.




 



 


Blaine si sentiva un vero ed emerito idiota.
 
Era davanti all’entrata del ristorante da una quindicina di minuti buoni, imbacuccato nel suo giubbotto blu scuro e ancora non si era fatto vedere nessuno; oppure era lui che non voleva entrare ? Ovviamente la seconda.
 
Cooper gli aveva raccomandato di farsi trovare alle otto e mezza, puntuale e non come suo solito, nel tavolo prenotato a suo nome e molto probabilmente avrebbe trovato John lì ad aspettarlo e invece aveva fatto tutto il contrario: Si era presentato con dieci minuti di ritardo, aveva dato un’occhiatina veloce all’interno del locale che aveva trovato per metà vuoto, come era solito nei giorni di settimana, e poi era uscito ingannandosi lui stesso dicendosi che in quel modo l’avrebbe riconosciuto subito e incontrato prima.
 
Ma la verità era un’altra: Voleva solo andare via.
 
Ancora si chiedeva perché diamine aveva accettato di presentarsi lì a conoscere uno sconosciuto, amico di suo fratello. Guardò l’orologio da polso, notando che erano già le nove meno dieci e decise d’entrare e sedersi al tavolo;  credeva che non si sarebbe presentato e ormai che era lì, si sarebbe concesso il suo piatto preferito.
 
Spinse la porta con gentilezza e sorrise al cameriere che ricambiò e lo accompagnò fino al tavolo, in silenzio, un po’ confuso di non vederlo insieme a Sebastian, ma non disse nulla.
 
Quando ancora stavano insieme andavano molto spesso in quel locale, con i bambini e non, quindi il proprietario li conosceva, così  come tutti gli altri che vi lavoravano e Blaine ringraziò il cielo che nessuno di questi, che aveva già salutato, gli avesse chiesto il motivo dell’assenza del quasi ex-marito.
 
Non gli andava di dover dire che non stavano più insieme, ma non perché erano cose personali, bensì perché suonava male dirlo ad alta voce e poi non gli piacevano quelle pacche nelle spalle e i “eravate una bella coppia, peccato che è finita così.”
 
Già, peccato e lui non poteva far altro che dargli ragione, mentre gli si posava un peso sul cuore.
 
Si sedette e poggiò il giubbotto nella sedia accanto alla sua, mentre i cameriere lasciava due menù sul tavolo. “Cenate da solo o aspettate qualcuno?”
 
Preferirei da solo ma forse verrà un uomo che neanche conosco.
 
Preferirei aspettare altri cinque minuti per ordinare, se non è un problema” Rispose gentilmente,  lasciandogli uno dei suoi sorrisi cordiali.
 
“Come preferite, ripasserò più tardi.” Detto questo, il ragazzo in vestito nero andò via, lasciando Blaine da solo.
 
Poggiò i gomiti sul tavolo per poi intrecciare le mani tra loro e poggiarci il viso. Avrebbe aspettato soltanto cinque minuti, dopodiché avrebbe ordinato, mangiato e poi tornato a casa solo per la soddisfazione di vedere l’espressione impaurita di suo fratello quando gli avrebbe rivolto un occhiata truce. 


 




 

Dopo una decina di minuti e ormai con il dubbio che la sua famiglia l’avesse davvero preso in giro, la porta del locale si aprì, facendo entrare un uomo di qualche anno più grande di lui, avvolto in un cappotto nero e una sciarpa viola intorno al collo.
 
Blaine lo vide parlare con il cameriere che aveva accolto anche lui, e arrossì visibilmente quando quest’ultimo indicò proprio verso di lui e sentì due occhi azzurri addosso. Improvvisamente sperò che ci fosse stato un equivoco e che l’uomo non si stava dirigendo proprio verso di lui.
 
Ovviamente furono speranze vane.
 
L’uomo infatti si fermò proprio dall’altra parte del tavolo e Blaine notò che aveva dei bellissimi riccioli biondi non troppo lunghi e un pizzetto poco evidente per via del colore chiaro. Questi poggiò una mano sulla sedia e dopo un attimo di silenzio prese la parola.
“Ciao, sono John. Tu sei Blaine, giusto?”
“Si,” rispose immediatamente, un po’ agitato.
“Posso sedermi?”
Certosiovviamente.”
Il biondo sorrise a quelle tre affermazioni dette senza spazio tra loro, mostrando delle bellissime rughe d’espressione intorno agli occhi che delineavano anche sugli zigomi alti.
 
“Scusami per il ritardo,” disse levandosi il cappotto e lasciandolo sulla sedia, sopra quello di Blaine. Si sedette comodamente difronte a quest’ultimo, “Ma la Signora Colin si è sentita male e non potevo di certo lasciarla senza il mio aiuto.”
 
“Sei-Sei un dottore?” balbettò Blaine in risposta e l’altro si illuminò.
 
“Si, sono uno pediatra a dire il vero. Ho il mio studio, ma molto spesso mi chiedono una mano all’ospedale.”
 
“Ma se lavori-“
 
“Scusa se ti interrompo ma voglio rispondere subito alla tua domanda,” disse con un sorriso e il moro annuì leggermente, per nulla offeso. “La Signora Colin è la mia vicina di casa e siccome vivo da solo, diciamo che mi fa più come mamma,” John rise leggermente, “è molto anziana e prendendosi cura della nipotina, si è presa la febbre pure lei.” Si fermò un attimo, come a riflettere su qualcosa poi disse: “Tu invece abiti con tuo fratello, se non sbaglio.”
 
Emmh.. no, non sbagli. Vivo con Cooper e la sua compagna Elizabeth.” Rispose titubante, sentendosi in colpa per non aver nominato i figli.
 
“Oh già, dimenticavo. Sono una bellissima coppia,” commentò l’altro, alzandosi di poco le maniche del maglione. “Cooper mi aveva detto di volere un figlio.”
 
Blaine quasi si soffocò con la sua stessa saliva e ringraziò mentalmente il cameriere che era appena arrivato al tavolo, chiedendo se volessero dell’acqua mentre aspettavano di decidere i piatti per la cena. Se ne andò subito dopo e John si sporse un poco verso l’altro, controllando se stesse bene, visto che era diventato ancora più rosso di poco prima.
 
“Cooper... Un figlio?” Chiese questi, facendo cenno con la mano di non preoccuparsi e urlandosi mentalmente di essere un idiota per aver fatto quella brutta figura. “Sicuro che te l’abbia detto? Non voleva cambiare nemmeno il pannolino a Grant quando è nato e gliel’avevo affidato per due giorni perché io e Sebastian eravamo fuori a causa di un impegno di lavoro, figuriamoci ad avere un figlio. Sarebbe una catastrofe.”
 
“Grant?” Domandò John, con un sopracciglio alzato e un menù a mezzaria. “E..” arricciò il naso, “Sebastian?”
 
Non li aveva nominati davvero, non l’aveva fatto. Aveva solo sentito male, tutto qui.
 
“Non rovinare tutto, divertiti e non parlare di ex-mariti e bambini.”
 
Ma perché non aveva dato ascolto alle parole di Elizabeth? Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, pensando a qualcosa da dire. Niente. Non gli venne in mente niente, se non la più cruda e imbarazzante verità. “John, senti..”
 
“Scusatemi, possiamo ordinare?” Blaine si voltò di scatto, non sapendo se dover ringraziare o maledire il ragazzo che lo aveva interrotto per la seconda volta. Optò per la prima.
 
Il biondo sorrise al ragazzo e iniziò a dettargli le ordinazioni, dando il tempo a Blaine di decidere il piatto che preferiva, ma lui lo aveva già in mente, così ordinò la sua pietanza  e John aggiunse anche una bottiglia di vino rosso, dicendo che era davvero squisito e che doveva assaggiarlo. Lo ringraziò per il pensiero e acconsentì.
 
“John, non so cosa ti abbiano raccontato Cooper ed Elizabeth sul mio conto, ma sono sicuro che non abbiano detto la verità e che  mi abbiano dipinto in un modo molto differente da ciò che sono veramente.” Ammise quando il cameriere andò via.
 
“L’avevo capito, non sembri né depresso, né la brutta e piccola copia di tuo fratello.” Rispose serio l’uomo, ma con un piccolo sorriso sulle labbra, prima di intrecciare le braccia sul tavolo e porsi in avanti, incuriosito da ciò che stava per dirgli.
 
Blaine ridacchiò, grattandosi la fronte prima di ritornare serio. “Grazie… ma non era questo quello che intendevo. Io… Vedi, John, sto uscendo da un matrimonio.”
 
“A dire dalla tua fede non si direbbe.” Commentò dolce e scherzoso John, meravigliandolo. Si aspettava un commento acido e non un sorriso adorabile.
 
Istintivamente guardò la mano sinistra poggiata sul tavolo, notando un anello d’oro bianco in bella mostra sull’anulare. Fece per ritrarre la mano così da poterla togliere, ma una mano ben curata si poggiò sulla sua.
 
“Non devi toglierla per me, non mi causa nessun problema.” Disse l’altro, allentando la presa, “So quanto possa essere difficile.  Tre anni fa’ mi lasciai con il mio compagno dopo otto anni di convivenza, all’inizio non è stato facile.”
 
“Grazie,” rispose istintivamente, non sapendo nemmeno bene il motivo per cui l’aveva detto, forse perché lo capiva e non stava infierendo maggiormente. “Sono un idiota, già al primo appuntamento combino tutti questi disastri parlando di ex-mariti e figli.”
 
“E’ da tanto che non vai ad un appuntamento?”
 
“Da quando mi sono messo con Sebastian, quindi sì.” Rispose con un sorriso amaro, sentendosi in imbarazzo.
 
“Ti.. ti va di parlare dei tuoi figli?”
 
“Non sei spaventato all’idea che li abbia?” Chiese Blaine, confuso da tutta quella curiosità. Di solito gli uomini non scappavano sentendo parlare di bambini?
 
“No,” rispose ridacchiando, “Non so se l’hai notato, Blaine, ma sono più un ragazzino. Mi sono divertito nella mia vita, sempre senza esagerare, e le relazioni impegnative non mi spaventano e soprattutto ho sempre voluto avere dei bambini.”
 
Blaine rimase a bocca aperta, non era di certo la risposta che si aspettava. John fraintese quel silenzio, così continuò, “Non volevo dire che mi metterò tra te e tuo marito, tanto meno voglio rimpiazzarlo.”
 
“Esatto, perché non ne avresti nessuna possibilità.”
 
Blaine chiuse gli occhi e prese un respiro profondo sentendo un’altra mano posarsi su quella sua e di John, prima si sentire quest’ultima allontanarsi bruscamente. Alzò le palpebre e si girò verso Sebastian, in piedi davanti a loro e con un ghigno sulle labbra.
 
“Adesso, Mr non-mi-metterò-tra-te-e-tuo-marito, perché non sparisci dalla circolazione? Abbiamo da fare.”
 
“Sebastian,” riuscì a sibilare, “Che ci fai qui?”
 
“Oh, ciao zucchero. Ti avrei salutato prima se non fosse per riccioli d’oro seduto al mio posto.”
 
“Ma che dici? Quello non è il tuo posto, tu non dovresti essere neanche qui!”
 
“Fa niente,” Interruppe John ciò che sicuramente sarebbe stata un’altra litigata. “Evidentemente avete delle questioni da risolvere e come ho già detto: non mi voglio mettermi tra voi due.”
 
“Non ti stai intromettendo da nessuna parte.”
 
Il biondo si alzò in piedi, indossando il cappotto, guardando Blaine come a volersi scusare “E’ stato un piacere chiacchierare con te. Se ti va e avrete chiarito la situazione, puoi sempre chiamarmi.”
 
“Non lo farà.” Rispose al suo posto Sebastian e Blaine non sapeva se sentirsi lusingato o furibondo.
 
“E’ stato un piacere anche conoscere te, Sebastian,” Continuò il biondo, facendo finta di non aver sentito e offrendogli la mano che l’altro strinse con riluttanza. “Perdonami, ma non me la sento di fare il terzo incomodo o dover assistere a una vostra litigata.”
 
“John, lui non era previsto, non sapeva nemmeno che fossi venuto qui,” controbatté Blaine, riferendosi al marito che stava ghignando senza pudore.
 
“Blaine, non so come funzioni tra voi due, ma il fatto che tu non gliel’abbia detto mi fa capire che sono di troppo e non mi va’ proprio questa situazione, mi spiace.”
 
In quelle parole c’era molta sofferenza e in quel momento Blaine avrebbe tanto voluto saperne il motivo, che molto probabilmente era legato al suo ex compagno. Ma si limitò ad annuire dispiaciuto, mentre il biondo gli faceva un cenno con il capo prima di dirigersi verso l’uscita.
 
Il moro non poté nemmeno seguirlo con lo sguardo, visto che il suo campo visivo venne compromesso da Sebastian che si era appena seduto sulle sue gambe, poggiato le braccia sulle sue spalle lasciandole a penzoloni e avvicinando pericolosamente il viso al suo.
 
“Se-Sebastian, ma sei scemo? Scendi subito.” Disse, cercando di cacciarlo via, confuso da quel movimento così rapido. “Ci stanno guardando tutti.”
 
“Chi era?” Chiese l’altro, ignorandolo del tutto e facendo incatenare i loro occhi.
 
“Chi?” Domandò quest’ultimo, ormai con il cervello scollegato, riuscendo soltanto a guardare le varie sfumature di verde all’interno di quelle iridi. E Blaine capì perché aveva deciso di sedersi proprio sopra di lui e non nella sedia accanto o difronte: non aveva via l’uscita ed era molto più vulnerabile del solito.
 
“…riccioli d’oro,” Rispose il più alto “Perché era qui?”
 
“Che t’importa.” Ma che stavano facendo? Stavano davvero mettendo in scena un teatrino così ridicolo e assolutamente surreale? “Sebastian, scendi immediatamente dalla mie gambe e vattene.”
 
“Così chiami non-mi-metterò-tra-te-e-tuo-marito?”
 
“Non hai nessun diritto di essere geloso. Non ne hai alcuno e adesso scendi.” Sbottò Blaine, ripetendo le stesse parole per ribadire il concetto, innervosito da tutta quella situazione.
 
“Non ne ho la minima intenzione.”
 
Sebastian!
 
“Non scendo.” Ripose il suddetto, che anzi si sistemò meglio sopra le sue gambe.
“Levati immediatamente.” Continuò Blaine, poggiandogli una mano sulla coscia per spingerla via, senza alcun risultato.
 
“No fin quando non mi rispondi e risolviamo questa storia.”
 
“Ma che ti prende?  Ti stai comportando come un bambino.” Lo ammonì il moro, sperando che almeno quell’affermazione lo facesse tornare in sé.
 
“Non mi sto comportando come un bambino, sei tu che ti comporti come un idiota.”
 
“Perché, sei geloso?” Gli chiese cercando di spaventarlo, sperando che si alzasse una volta per tutte.
 
“Non lo so,” Sebastian lo guardò confuso per un attimo, “Non sono geloso, solo non mi va che tu vada in giro con quello lì.”
 
“Bèh, non m’importa. Devi alzarti di qui, scusarti con me e andartene. Hai già fatto abbastanza.”
 
“Ceniamo insieme e poi me ne vado.” Controbatté Sebastian, abbassando lo sguardo sulle labbra dell’altro mentre le iridi si scurivano leggermente.
 
“Non ceneremo insieme, levatelo dalla testa. E adesso scendi, mi stai mettendo in imbara-“ Blaine non riuscì a terminare la frase a causa delle labbra di Sebastian sulle sue, che prorompenti se ne erano impossessate, lasciando scivolare la sua lingua contro quella del moro, coinvolgendolo in un bacio appassionato.
 
Dopo un attimo di esitazione e sorpresa, Blaine si ritrovò a ricambiare con la stessa foga, stringendogli la gamba, sentendo il bisogno di averne di più e crogiolandosi in quel sapore di pasta dentifricia e della sigaretta che Sebastian era solito fumarsi quando agitato o sotto pressione.
 
Si staccarono soltanto quando ebbero il bisogno di riprendere aria nei polmoni e Blaine ringraziò il cielo, perché se l’avesse baciato per un altro secondo, sarebbe diventato di nuovo dipendente da quelle labbra e avrebbe potuto dire addio a mesi e mesi di sacrificio.
 
“Ti voglio Blaine, ti voglio davvero. E non solo a livello sessuale, noi siamo più di questo. Ti rivoglio indietro.” Confessò Sebastian una volta staccati, ma restando col viso sempre a pochi centimetri di distanza.
 
“Sono un giocattolo, Sebastian? E’ così che mi vedi? Pensi di potermi riprendere quando qualcuno si avvicina o scartarmi quando non ti vado bene?”
 
“Tu mi vai sempre bene.”
 
“Non quella volta, a quando pare.” Controbatté Blaine, “Levati, per favore.”
 
Sebastian finalmente si decise dal alzarsi, un po’ ferito da quella situazione. Blaine fece lo stesso, mentre il cameriere portava le prime portate, lasciandole sul tavolo, senza dire una parola; e fu in quel momento che si rese conto del silenzio in cui si era imbattuto il locale.
 
Afferrò il giubbotto e lo indossò, guardando Sebastian sedersi al posto di John e iniziare a mangiare, fingendo che non sia successo nulla. Abbottonò l’ultimo bottone e si girò, dando le spalle al ex-marito, stava per dirigersi all’uscita quando la voce di quest’ultimo arrivò alle sue orecchie.
 
“Tutto ciò che ti ho detto è vero, comprese le due parole dall’avvocato.”
 
Blaine non rispose, semplicemente uscì dal locale, senza salutare o dare spiegazioni, perché sapeva che Sebastian era stato sincero con lui, che volevano le stesse cose, che gli aveva parlato a cuore aperto e che lo aveva ferito di proposito, e soprattutto che era ritornato ad essere dipendente da quelle labbra.
 
Ciò che non sapeva era di Sebastian che si leccava le labbra dopo che se ne era andato, che pagava il conto senza aver quasi toccato cibo, che decideva di non andare a letto con nessun’altro che non fosse lui








 




TADAAAAN.SSi emmm ecco.. cosa dovrei dire? 
Questo qui è il mio Sebu Gelosone completamente OOC, purtroppo ç_ç personalmente volevo qualcosa di più IC, ma è uscito così e Ninni l'ha definito il capitolo perfetto.. e io chi sono per contraddirla? LOL
 
A voi è piaciuto? Magari fatemi sapere :3
 
E niente prima d'andare a letto (perché sono le 4.20 e io sono ancora qui) vi ricordo che per tutta la settimana non aggiornerò e non so quando sarà possibile, ma vi terrò aggiornati nella pagina autore.
 
Bacioni,

Mirma :)
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***






Capitolo 5




I giorni successivi non furono semplici né per Sebastian né per Blaine, un po’ per il litigio avvenuto al ristorante, un po’ perché erano andati al ristorante, per tutto ciò che era successo e ciò che non era successo.

Sebastian non faceva altro che leccarsi involontariamente le labbra, sperando ancora di sentire il sapore di quelle di Blaine e cercava di stare il più lontano possibile da qualsiasi cosa rischiasse di fargli rompere la promessa che aveva fatto a se stesso.

Ma quello che stava peggio dei due era il moro, proprio come Sebastian aveva programmato. Lui non affrontava quella situazione come il quasi ex-marito, ma in modo molto differente. Già dalla mattina successiva aveva capito di essere nei guai fino al collo, visto che si era alzato con la voglia di tastare il corpo ancora dormiente di Sebastian disteso accanto a lui, e quella era una fase che aveva superato da tempo, come non potersi accoccolare e intrecciare le gambe con quelle sue durante la notte.

Le cose poi erano andate peggiorando durante il giorno, quando tutti gli iniziarono a chiedere come fosse andata la cena, per quale motivo avesse sbattuto violentemente la porta alle due di notte e soprattutto quando gli chiedevano cose avesse fatto fino a quell’ora se era scappato via dal locale che erano appena passate le nove.

Così iniziò a ricordare tutte le piccole cose che lui piaceva credere d’aver dimenticato e le abitudini che non erano più abitudini.

Non sapeva nemmeno se essere arrabbiato o meno, una lotta silenziosa si abbatteva dentro di lui. Sebastian non aveva nessun diritto di rovinargli la serata, né tanto meno di essere geloso; si era comportato pure da maleducato con John e avevano fatto una scenata stile film romantico all’interno del ristorante. Blaine non era furioso a riguardo, di più. Ma c’era anche da dire che da una parte non faceva altro che sentirsi contento per tutto quello, perché Sebastian era geloso e, anche se non avrebbe dovuto pensarlo, lo trovava adorabile.

Poi c’era la confusione ad aggiungersi a tutto il resto. Non sapeva che fare e le parole di Sebastian gli martellavano nel cervello.

Ti rivoglio.”

Diamine se lo voleva anche lui, e come aveva detto l’ ex, non solo a livello sessuale.

Ma poi nella sua mente iniziava un susseguirsi di varie scene dei loro litigi, di Sebastian a letto con un altro, le rose abbandonate a terra; e allora ritornava ad essere arrabbiato e triste allo stesso tempo.







“Blaif, ha fiamafo tuo fiffio. Defe andafe a caffio.”

“Cosa?” Chiese Blaine entrando nel salone, guardando inorridito il fratello stravaccato sul divano con un pacco di biscotti sullo stomaco.

Quest’ultimo ingoiò rumorosamente, facendo preoccupare un po’ il fratello. Era sicuro che ne aveva almeno quattro in bocca, ma non disse nulla e rimase immobile, in attesa.

“Ha chiamato Grant, deve andare a calcio.” Cooper alzò di poco la testa, poi con uno sguardo confuso domandò: “Che c’è?”

“Cooper potevi dirmelo prima, sono appena tornato a casa, se me lo dicevi passavo a prenderlo direttamente!” Protestò Blaine, passandosi una mano a massaggiarsi le tempie.

“Stavo vedendo un programma divertentissimo su degli chef dove uno urlava in faccia agli altri per la qualsiasi cosa.”

“MasterChef?”

“Sì, quello! Non è fantastico? Il biondo è il mio preferito.”

“Anche il mio,” ammise Blaine prima di cambiare discorso. “A che ora ha l’allenamento?”

“Chi?” Cooper lo guardò confuso.

“GRANT!”

“Ah...” Il più grande si grattò la nuca, cercando di ricordare ciò che gli aveva detto il nipote, “ non lo ricordo, ma ha detto qualcosa riguardo a qualcuno con la febbre e uno a lavoro. Non so a chi si riferisse.”

Possibile che era così smemorato? Blaine ripensò a quella volta in cui era uscito con il pigiama perché si era dimenticato di non essersi vestito e decise che sì, nonostante gli anni aveva la memoria di un pesciolino rosso. Decise di non arrabbiarsi perché infondo sapeva che non l’aveva fatto di proposito e la sua mente si spostò su un’altra frase che aveva detto il fratello “qualcuno con la febbre.”

Decise di non chiedere a chi si riferisse e prese il cellulare dalla tasca per chiamare il figlio. Digitò il numero e portò l’apparecchio all’orecchio.

“Pronto?”

“Grant, sono papà.”

“Lo so che sei papà, perché lo dici? Vabbé, fa niente. Dove sei? Ho gli allenamenti tra poco e non voglio arrivare in ritardo, quindi sbrigati visto che non c’è nemmeno Sebastian, così non assisto a nessuna delle vostre solite litigate. Non che mi importi qualcosa, per intenderci. Ma si può sapere per quale motivo papà è così e tu pure? No, non m’importa. Muoviti a venire.”

Blaine alzò gli occhi al cielo sentendo tutto quel flusso di parole, poi capendo di poter finalmente rispondere disse:“Non avevi ricominciato a chiamare Sebastian papà?”

“Si, ma oggi non mi va, tanto mica si offende. Ma tornando a me, dov’è sei?”

“Sono appena tornato a casa, il tempo della strada e arrivo. Ma chi c’è lì con te?”

“Juliette, ma è a letto con la febbre. La babysitter oggi non poteva venire.”

“Juliette ha la febbre? Ce l’ha alta? Sto arrivando e perché Sebastian non c’è? Possibile che deve essere sempre lui. Come gli è venuta? L’ha fatta camminare scalza, sì deve essere così. Ma perché non mi ascolta-“

“Si, pà davvero molto interessante, ma non m’importa niente di ciò che stai dicendo Comunque qualcuno deve restare con lei, adesso sta dormendo, ma prima farfugliava qualcosa in dormiveglia.”

Ok, ok. Sto arrivando. Tu stalle accanto e misurale la febbre.”

“Si, si, come dici tu. Ciao.”

Blaine guardò con occhi glaciale in cellulare da cui l’unico rumore che usciva era un orrendo ‘tututu’, visto che ormai Grant aveva riattaccato. Sì, assomigliava proprio a Sebastian anche caratterialmente e Blaine si ritrovò a sbuffare.

“Cooper, poi accompagnare Grant agli allenamenti mentre io sto con Juliette che ha la febbre?”  Chiese con gentilezza, facendo lo sguardo dolce per convincere il fratello.

“Ok, ma poi prendi un Taxi per il ritorno o ti fai accompagnare da Sebastian.” Rispose lui, alzandosi dal divano e abbandonando i biscotti sul divano, fingendo che non esistessero.

“Dov’è la mia macchina?” Chiese distrattamente Blaine, indossando il giubbotto.

“Elizabeth... penso.” Disse Cooper, superandolo e dirigendosi verso la porta. Blaine decise di non indugiare oltre, la febbre della figlia era più importante. 







“…Ciao, papà.”

“Grant, mi stai ascoltando?”

“Sì, sì.” Rispose quest’ultimo afferrando il borsone e aprendo la porta.

“Dico allo zio che poi lo chiami.”

“E di comprare l’antibiotico.” Gli ricordò Blaine, visto che il ragazzo sembrava esserselo scordato mentre stava già per scappare via.

“Ok, ho capito. Sei arrivato da soltanto due minuti e mi stai già assillando. Vado, ciao.”

“Ciao,” salutò la porta di casa ormai chiusa. Restò fermo in quel punto per qualche minuto, intrecciando le braccia al petto e stringendosi nelle spalle, non sapendo bene dove far cadere lo sguardo.

Da quando avevano deciso di vivere in case separate -più precisamente Blaine aveva deciso-, aveva messo piede in quell’appartamento si e no tre o quattro volte e tutte per estrema necessità e ancora, a distanza di mesi, non riusciva a camminare per i corridoi o per le stanze tranquillamente e senza aver paura di trovarsi faccia a faccia con i ricordi.

Blaine aveva sempre amato le foto, gli piacevano e ne scattava delle nuove ad ogni occasione; fortunatamente a Sebastian non andavano a genio di più tanto, così non gli permise di tappezzare ogni centimetro di muro con qualche loro immagine strampalata, magari di quelle famigliari o in vacanza.

Per casa, quindi, non erano molte le cornici sparse qua e là per i vani, ma Sebastian non le aveva comunque tolte, nemmeno quelle con le foto in cui erano in costume da bagno in una delle tante spiagge francesi, del loro matrimonio, in luna di miele o appena fidanzati.  Da una parte non gli dispiaceva, ma dall’altra sì, perché gli faceva male.

Gli faceva male ricordare di loro.

Si fece forza e prendendo un respiro profondo percorse il corridoio per dirigersi in camera da letto dove dormiva la figlia. Entrò deciso a non pensare, addolcendosi soltanto alla vista di Juliette accucciata sotto le coperte che guardava i cartoni animati in dormiveglia.

“Papy, vedi Rapunzel con me?” Chiese la bimba, guardandolo con aria speranzosa. Lui fece di sì con la testa e si avvicinò a lei, sedendosi al suo fianco sopra le coperte. “No, papà! Metti il pigiama di papà e stai sotto a letto con me?”

Blaine non sapeva che rispondere, così la guardò insistentemente per un attimo.

“Dai, papà! Ho la febbre, non dici sempre che i bimbi malati vanno sempre accontentati?”

No, non era stato lui a dirglielo, ma Sebastian in uno dei tanti pomeriggi passati a casa quando i figli avevano il morbillo e volevano a tutti i costi le patatine fritte e il gelato. Da quel momento, quando stavano male, Grant e Juliette venivano sempre accontentati su qualsiasi cosa e i genitori si ripetevano che per qualche giorno potevano pure godere di quel privilegio.

“Ok,” rispose alzandosi e dirigendosi verso l’armadio. Fece scorrere l’anta scorrevole ed istintivamente aprì uno dei tanti cassetti che prima utilizzava per metterci i vestiti, trovandolo vuoto; così ne aprì un altro e un altro ancora, fino ad esaurire tutti quelli riservati a lui. “Juliette, mi dispiace. Ma non ho né vestiti né pigiami qui.”

“Indossane uno di papà, tanto non si arrabbia.” Controbatté lei, non facendo molto caso a ciò che stava dicendo per via della febbre e dalla tv che guardava con interesse.

“Tesoro, non credo sia il caso..”

“E dai papà! Ho la febbre alta, mi devi accontentare!” Le ricordò Juliette, battendo un pugno sul piumone. Con quel comportamento la febbre gliel’avrebbe fatta venire a lui. Poi, rendendosi conto di essere stata troppo diretta e autoritaria, farfuglio: “Perrrrfavoooore” con tanto di testa piegata da un lato.

“Ok, va bene.” Cedette in fine, sorridendo contro la sua volontà. Chiuse l’armadio e si stava dirigendo verso il comò dove Sebastian teneva i pigiami quando la voce della figlia lo fermò.

“No, papi! Metti questo qui,” Juliette si alzò di poco, iniziando a frugare sotto al cuscino per uscirne da sotto una maglia e dei pantaloni blu scuro.

“Juliette, è usato.” Gli fece notare lui, facendo gli ultimi passi per arrivare accanto al letto, “non si mettono le cose già indossate da altri, è poco igienico.”

“Ma tu mettevi sempre la maglietta del pigiama di papà e lui pure!” Rispose lei con cocciutaggine, facendo un gesto convesso con la mano, per ribadire l’ovvietà di quelle parole.

“Juliette, è diverso. E’ poco igienico.” Tagliò secco lui.

“E dai! Ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego. Dai, sono malata,daaaaaaiiii.  Poi non ti chiedo più niente. Solo per questa volta.”

“E va bene.” Cedette in fine, prendendo i vestiti che gli stava porgendo la figlia.

Si tose la maglietta e i pantaloni, per poi indossare il pigiama del quasi ex-marito e in quel momento capì il motivo per cui Juliette avesse insistito tanto: adesso aveva addosso sia il suo profumo che quello di Sebastian, come la mattina appena svegliati quando stavano insieme o la sera tardi, quando accompagnavano la figlia a letto dopo aver passato l’intera serata accoccolati sul divano a guardare un film.

Quell’odore era mancato anche a lui, non poteva darle le colpa perché gli aveva chiesto d’indossare quel pigiama.

Si infilò sotto le coperte, venendo colpito in pieno volto dal profumo pungente della colonia di Sebastian. Cercò di non pensarci e si distese comodamente sul materasso, supino, sentendo la figlia accoccolarsi contro il suo torace con la testa rivolta alla televisione.

Blaine la sentì annusarlo, ma non disse niente, lasciò soltanto che un sorriso gli delineasse le labbra. 






“Papà Blaine?” Lo chiamò quasi un ora dopo Juliette, portandolo alla realtà al cartone animato.

“Si, Juliette?” Chiese a sua volta, scostandosi un po’ da lei per guardarla meglio.

“Tu vuoi bene a papà?”


“C-certo che voglio bene a papà.” Rispose balbettando, confuso da quella domanda.

“Allora,” iniziò la piccola, giocherellando con la stoffa della maglia di Blaine, “perché siete ancora litigati?”

“Perché a volte il volersi bene non basta, ci vuole anche la fiducia, il rispetto e il comportarsi bene nei confronti della persona amata.”

“Ma tu lo ami ancora quindi,” farfugliò la piccola, concatenando gli occhi con quelli del padre, “tornerete insieme di sicuro.”

“E tutta questa convinzione da dove esce, signorinella?” scherzò Blaine, tracciando il nasino della bimba con l’indice, ridacchiando leggermente.

“Perché anche papà ti ama tanto. Quando dormo con lui la notte, a volte farfuglia il tuo nome e altre volte parole che non capisco,” Juliette fece una pausa, aggrottando le sopracciglia. “però poi dice anche tanti Ti amo e io ridacchio sempre perché sembra così stupido.” La bambina terminò ridendo leggermente, ma la mente di Blaine pensava a tutt’altro.

“Sei sicura che dica il mio nome?”

“Humm-humm,” mugugnò come risposta, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi sotto lo sguardo sgranato del padre.

Quest’ultimo le toccò delicatamente la fronte, notando quanto fosse bollente. Lentamente sgusciò via dalla sua presa, per alzarsi in piedi e dirigersi in bagno per inumidire una benda da poggiarle sulla fronte per far abbassare la temperatura. Frugò un qua e là nei mobilucci e quando ne ebbe trovata una, la mise sotto il lavandino, la strizzò forte e poi si diresse di nuovo in camera da letto.

Poggiò la stoffa sulla fronte calda della piccola e si distese al suo fianco, stringendola a sé. 





Blaine venne svegliato dal rumore della porta di casa che veniva aperta e una valigetta abbandonata a terra. Si alzò a sedere, cercando di fare mente locale su dove si trovasse e sul perché la televisione fosse ancora accesa, il cartone animato che stava vedendo con la figlia ormai finito da un pezzo. Si sfregò gli occhi col palmo della mano e ancora mezzo addormentato, lanciò uno sguardo a Juliette che dormiva beatamente accanto a lui.

“Grant, dove sei?” La voce preoccupata di Sebastian arrivò dritta alle sue orecchie, come una pallottola, non sapendo se il motivo fosse perché stava urlando o perché era ancora arrabbiato con lui. Molto probabilmente la seconda.

“Juliette sta bene?”

Blaine sgusciò fuori dal letto e, senza nemmeno mettersi le ciabatte, uscì dalla stanza, rischiando più volte di cadere a causa dei pantaloni troppo lunghi per le sue gambe. Silenziosamente scese al piano di sotto, cercando di fare meno rumore per non svegliare la piccola.

Shhh, Sebastian. Sta zitto.” Lo rimproverò a voce moderata, arrivando all’ingresso. “Juliette sta dormendo.”

Sebastian per poco non si strozzò con la cravatta nera che stava cercando di allentare, lo squadrò da capo a piedi, in silenzio, e Blaine lo vide trattenere a stento un ghigno prima di tornare di nuovo serio. “Che ci fai qui?”

“Grant aveva gli allenamenti e Juliette stava male,” alzò le spalle, “quindi eccomi qui.”

“Come sta?” Chiese il più alto, passandosi una mano tra i capelli mentre si dirigeva in cucina.

“Niente di grave, ho chiamato il pediatra e le ha prescritto un antibiotico, riposo e cartoni animati.”

“E un infermiere sexy a prendersi cura di lei.”

“Sebastian.” Lo ammonì subito, sapendo dove sicuramente sarebbe andata a parare la situazione. Si sedette al tavolo della cucina, guardando l’altro frugare tra la dispensa. Era strano tutto quello, sembrava come essere tornati indietro di qualche mese e non poteva far altro che peggiorare la situazione.  

“Non ho detto niente di male,” lo corresse quest’ultimo, aprendo il frigo e uscendone un involucro con dentro di plastica. “Juliette mangia?”

“No, sta dormendo.”

“E tu?”

Blaine lo guardò per un attimo, spiazzato da quella domanda. “No, non ho fame.” Rispose dopo qualche secondo.

“Cena con me.” Lo invitò Sebastian, con lo stesso tono del appuntamento con John.

“Non ho fame.” Chiuse il discorso Blaine e l’altro non rispose, limitandosi ad accendere i fornelli e a mettere una padella sopra il fuoco.

Nella stanza cadde un silenzio molto teso ed imbarazzato, che nessuno dei due voleva spezzare sapendo le conseguenze a cui avrebbero portato: un litigio o un qualcosa con cui nessuno dei due successivamente sarebbe stato in grado di gestire. E tutto quello sembrava strano.

Tra loro non c’erano mai stati silenzi di quel genere, tranne quando uno dei due faceva qualcosa di davvero stupido, ma che poi si risolveva con delle battute a tavola, un bacio rubato guardando la televisione e una serata a letto; perché a letto o si risolvevano le situazioni o uno dei due dormiva sul divano e fortunatamente nessuno dei due aveva avuto l’occasione di costatare se fosse così comodo come gli avevano assicurato al momento dell’acquisto.

“Come torni da Cooper?” Chiese ad un tratto Sebastian, prendendo la tovaglia da tavola da un cassetto per distenderla sulla superficie piana del mobile.

“La mia macchina è misteriosamente scomparsa, quindi dovrei prendere un taxi,” rispose il moro, restando sul vago.

“Che significa dovrei? E che fine ha fatto la tua macchina?”

“E’ questo il punto: non ne ho idea e Cooper cambia discorso al riguardo, spero non l’abbiano distrutta completamente.” Blaine fece una pausa, passandosi la mano tra i riccioli, “E’ strano da chiedertelo ma.. Juliette ha la febbre alta, ti dispiace se stasera resto qui?”

“No,” rispose subito Sebastian, così rapidamente e deciso che il moro ne rimase quasi scoccato. “Non mi dispiace, puoi restare qui tutto il tempo che vuoi. Ti direi di prendere qualche mio capo d’abbigliamento, ma vedo che hai già fatto da solo.” Continuò, alludendo agli indumenti che portava addosso.

“Juliette ha insistito per farmi indossare il tuo pigiama, non ti da fastidio, vero?”

“Potresti fare qualunque cosa e niente mi darebbe fastidio.” Rispose Sebastian, scendendo la carne dal fuoco, dando le spalle a Blaine, che s’infastidì a quella risposta.

“E allora-“

“Tranne vederti uscire con riccioli d’oro.” Lo interruppe subito, mettendo ben le cose in chiaro e dirigendosi verso il tavolo per lascarci sopra il piatto. “Quello non lo accetto.”

“Non credevo di doverti dare chiedere il permesso o avere la tua approvazione! Sono adulto e vaccinato, posso fare tutto quello che voglio e-“

“Sono tuo marito.”

“Quasi ex-marito.”

Quasi, esatto.” Lo corresse Sebastian, puntandogli un dito contro, poggiando una mano sul tavolo e spostando il peso da una gamba.

“Questo non c’entra! Hai perso quel titolo nel momento in cui sei stato a letto con un altro.” Controbatté il moro, alzandosi in piedi con così tanta foga da far quasi cadere a terra la sedia.

“Ah, è così che la pensi?” Sebastian fece qualche passo verso di lui, inarcando le sopracciglia.

“E’ esattamente così che penso.” Blaine, istintivamente, fece un passo in avanti, gli occhi incatenati con quelli verdi dell’altro.

“Allora perché non ti fai venire a prendere da lui e ti fai accompagnare a casa?” Chiese in tono di sfida quest’ultimo, sorridendo beffardo.

“Perché sei tu il padre dei miei figli!”

“Oppure non lo hai più richiamato?” Lo canzonò Sebastian, sorprendendolo.

“Io. Io…” Blaine boccheggiò in vano qualcosa, non sapendo cosa dire. Il giorno seguente lo aveva chiamato per scusarsi, ma gli aveva detto che doveva risolvere ancora della questioni con Sebastian e John lo aveva salutato con affetto, ripetendogli che a lui avrebbe comunque fatto piace uscire un’altra volta con lui se ne avesse avuto voglia. “Non importa! Non sono affari tuoi, gli ho chiesto scusa, al contrario tuo.”

“Ma non gli hai detto di uscire.”

“Non sono cose che ti riguardano.” Disse Blaine, sviando lo sguardo e facendo qualche passo indietro.

“E invece sì, se il motivo sono io.” Continuò imperterrito Sebastian, facendo ancora qualche passo in avanti.

“Il motivo non sei tu!” Smentì spudoratamente il moro, cercando di non perdere la pazienza.

“E io sono etero!” Sbottò l’altro, allontanandosi e passandosi una mano tra i capelli folti, mordicchiandosi il labbro inferiore per non dire altro.

“Buonanotte Sebastian!” Tagliò la conversazione Blaine, uscendo dalla cucina, diretto in camera da letto.

“Dove stai andando?” Domandò allarmato Sebastian, seguendolo fino alla porta della cucina, irritato da quel comportamento.

“A dormire con mia figlia.” Rispose il moro, salendo le scale poco delicatamente e battendo i piedi.

“No, dormo io con lei.” Controbatté l’altro, spegnendo la luce della cucina e seguendolo.

“No, io.”

“Io dormo nei mio letto.” Sebastian lo raggiunse, cercando di superarlo per arrivare primo alla camera da letto.

Nostro letto. Ho tutto il diritto di dormire lì”

L’hai perso quando ho deciso d’andare a letto con un altro.” Sebastian gli fece il verso, per prenderlo in giro per tutte le volte che glielo diceva e Blaine si bloccò sulle scale, immobile.

Si girò lentamente verso di lui, occupando tutta la scala. Piantò i suoi occhi su quelli verdi dell’altro, assottigliandosi così tanto da fargli diventare due fessure.

Non lo aveva detto davvero.

Lo fissò per un lungo momento, poi fece scivolare lo sguardo lungo tutto il corpo e il viso di Sebastian. Non sembrava nemmeno preoccupato o dispiaciuto per ciò che aveva detto, impassibile.

“…buonanotte,” Decretò infine, si girò dall’altra parte e salì gli ultimi scalini a due a due. Si diresse in camera da letto e colpì forte la porta per chiuderla, che se non fosse stata fermata da Sebastian, avrebbe fatto un rumore assordante.

“Io dormo qui.” Disse quest’ultimo, entrando a sua volta nella stanza a privandosi della camicia per poi gettarla in giro senza nemmeno farci troppo caso.

“Fa come vuoi,” lo liquidò il moro, mettendosi accanto a letto per poi intrufolarsi sotto le coperte.

“Appunto.” Sebastian indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte, su in fianco per ritrovarsi faccia a faccia con Blaine.

Juliette si mosse di poco, disturbata da tutto quell’improvviso movimento sul materasso. Entrambi gli adulti trattennero il fiato e si scambiarono uno sguardo eloquente. Istintivamente Blaine si avvicinò alla figlia, sentendo quest’ultima accoccolarsi ancora di più a lui; invece Sebastian si sistemò meglio sul suo lato del letto, piegando il braccio per poi poggiarci le testa sopra, tenendo sott’occhio la bimba e il moro.

Blaine cercò di farsi scivolare via di sotto tutto il nervosismo che aveva accumulato litigando con l’altro, e chiuse gli occhi, coprendo meglio se stesso e la figlia. Cercò anche di distrarsi dall’odore e il calore di Sebastian che era poco distante da lui, se si fosse mosso un po’ sarebbe riuscito a toccarlo. Restò fino ad addormentarsi, sentendo l’altro fare lo stesso. 






Faceva caldo. Troppo caldo per i suoi gusti, e no, non era la febbre. Per non parlare che era tutto troppo stretto, e si sentiva schiacciata.

Juliette sollevò lentamente le palpebre, per poi sfregarsi gli occhi con la manina. Aspettò qualche minuto per abituarsi al buio della stanza prima di alzare la testa e quello che vide gli piacque.

E molto.

Era premuta contro il corpo addormentato dei papà, questo perché durante la notte si erano avvicinati.

Sorrise tra sé e sé, scostò le coperte per guardare meglio il motivo per cui poteva muoversi a malapena. Le gambe dei suoi papà erano intrecciate tra loro, Blaine aveva una mano sul braccio di Sebastian, mentre quest’ultimo gli cingeva un fianco.

Però c’era troppo caldo e i due uomini sembravano infastiditi dal sentire quel cambiamento di temperatura, tanto che si strinsero appena un po’ di più, rischiando di schiacciarla seriamente; così decise di scendere dal letto e di andare a dormire in camera sua, nel suo letto freddo.

Deliziosamente freddo.

Guardò prima un papà e poi l’altro, frenandosi dal ridacchiare nel vedere le loro facce completamente rilassate e con gli angoli della bocca rivolti verso l’alto in un piccolo sorrisetto soddisfatto, poi piano piano di mise a sedere cercando di non dare fastidio. E adesso come faceva a scendere?

Senza fare troppo rumore e con tutta la delicatezza possibile, sgusciò verso la testata del letto, dove i due corpi dei genitori erano un po’ più distanti. Fece pressione sui cuscini di entrambi, mettendosi a sedere e poi successivamente in piedi, controllando sempre i visi dei papà. Mise una gamba dietro la testa di Blaine e rimase immobile per qualche secondo, sentendo Sebastian grugnire. Dopo aver capito che era un falso allarme, scavalcò il moro e cercando di far meno rumore e non muovere troppo il letto, si mise a gattoni, tirando le coperte per coprire gli adulti. Dopo di ché scese dal letto e silenziosamente uscì dalla camera per poi trotterellare verso camera sua.

Chissà, forse senza lei di mezzo, i papà si sarebbero stretti ancora di più.






E quindi, Juliette è proprio un brutto personaggio vero? *^* 
Questo è uno dei miei capitoli preferiti, insieme al possimo. Perché si, il fluff non può mica finire qui :3 

Niente, vado via dicendo che spero di aggiornare sempre verso lunedì\martedì, ma ho finito i capitoli betati e quindi sono so quanto ci metterà Ninni a correggere. :)
 
Niente, vado via dicendo che siccome siamo il male di EFP, Posterò qualcosa per Sunday che non fa mai male. 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, quanto è piaciuto a me scriverlo :3 
 
Bacioni,
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Blaine non era mai stata una persona dal sonno movimentato, solitamente si svegliava come si era addormentato la sera precedente o al massimo rivolto dall’altro lato. Aveva anche il sonno molto leggero dalla nascita di Grant, era una cosa comune tra i genitori, dopotutto; ovviamente fatta eccezione di Sebastian che invece riusciva a dormire come un sasso anche all’interno di un asilo nido pieno di neonati strillanti.

Per via di questo tipo di sonno, ogni tanto apriva gli occhi durante la notte e tendeva le orecchie per poi tornare beatamente a dormire; ma negli ultimi tempi le cose erano un po’ cambiate, infatti Blaine aveva davvero molte difficoltà ad addormentarsi e al risveglio non era mai completamente riposato e attivo, ma a volte si sentiva ancora più stanco del solito e veniva sempre più spesso svegliato dal rumore assordante del cellulare che gli ricordava di mettersi in piedi per non far tardi e portare i figli a scuola.

Invece quella notte aveva dormito benissimo. Mentre era ancora in dormi-veglia non si sentiva per niente stanco, anche se aveva ben capito di essersi spostato almeno un po’ durante tutta la notte.

Si stiracchiò un po’, tenendo ancora gli occhi chiusi, per poi riappoggiare la testa sul petto di Sebastian e intrecciare ancora una volta le loro gambe, mentre il suo profumo gli entrava dalle narici per finire dritto al cervello.

Stop! Tra loro non c’era Juliette?

Istintivamente Blaine aprì gli occhi di colpo, sollevando la testa per guardare sopra il materasso.

“Tranquillo, sta dormendo nel suo letto,” disse Sebastian, abbassando il libro che stava leggendo sullo stomanco, poggiandolo proprio vicino al viso del moro.

Quest’ultimo lo guardò confuso prima di guardare in che posizione erano messi e mordersi il labbro. Avevano le gambe intrecciate e fino a qualche minuto prima era completamente spalmato al fianco di Sebastian, cingendogli la vita con un braccio e tenendo la testa sopra il suo pettorale destro.

“Perché non mi ha svegliato?” Chiese in fine, passandosi una mano tra i capelli.

“Perché non sono nemmeno le sette e mezza,” gli comunicò l’altro, con tono freddo e distaccato, “pensavo volessi dormire.”

“Mmh .. Si, grazie,” disse, mentre Sebastian tornava a leggere un libro che Blaine non conosceva. Rimasero in silenzio per un attimo, poi agrottò le sopracciglia e chiese: “Perchè l’hai fatta dormire di là?”

“Non l’ho fatta dormire di là, mi sono svegliato che non c’era, sono andato a controllare ed era a letto. Pensavo fossi stato tu.”Rispose l’altro, girando pagina.

“Certo, come no.” Commentò Blaine, sarcastico e alzando gli occhi al cielo.

“Ti ricordo che sei tu quello che mi sta abbracciando e si è avvinghiato a me durante la notte, e non in contrario.”

Il moro spalancò gli occhi e deglutì a fatica, prima d’allontanarsi da Sebastian. Si diete dello stupido mentalmente. Come aveva potuto abbracciarlo, soprattutto dopo una litigata? “Dormivo, l’ho fatto involontariamente.”

“Appunto.” Commentò Sebastian, un po’ acido.

Blaine non gli diede nemmeno la soddisfazione di rispondergli, semplicemente si girò dal lato opposto, dandogli le spalle. Avrebbe dovuto alzarsi, lo sapeva bene, ma non ne aveva assolutamente voglia. Il letto nella camera degli ospiti a casa di Cooper non era affatto male per dormire, anzì era di ottima qualità, ma nessuno sembrava essere così comodo come quello.

E Blaine sapeva il motivo, non era di certo la qualità che lo rendeva tale, ma era con chi lo divideva, i ricordi, tutte le volte in cui gli avevano fatto l’amore ancora, ancora e ancora, tutte le volte in cui avevano dormito con i figli e tutte le volte che lui e Sebastian si erano addormentati abbracciati, quello lo rendeva più comodo.  Ma era anche lo stesso letto in cui aveva trovato Sebastian avvinghiato ad un altro.

Istintivamente si alzò dal letto con poca grazia, rischiando anche di inciampare a causa nel lenzuolo finito a terra. L’altro inarcò le sopracciglia per quel gesto improvviso, ma rimase in silenzio, molto probabilmente ancora offeso per la litigata del giorno precedente.

Blaine scosse la testa, pensando che l’unico a dover essere offeso dovesse essere lui, e decise d’andare a controllare la figlia nell’altra stanza. Uscì dal vano ed istintivamente gli venne di chiudere la porta per tagliare fuori Sebastian come voleva fare nella sua vita, ma riuscì a trattenersi in tempo.

Entrò in camera della figlia, schiudendo la porta lentamente e cercando di fare meno rumore possibile per non svegliarla. Si avvicinò e si chinò su di lei per controllarle la temperatura, che sfortunatamente si era alzata durante la notte. Ma come c’era finita nel suo letto?

Le accarezzò dolcemente i capelli, per poi ripassare con i polpatrelli anche le gote rosse come i petali di rose appena sbocciate. Si accorse anche che non era così calda da allarmarsi, ma decise che avrebbe preso il termometro per essere più sicuro. La sentì rabbrividire al suo tocco, che sicuramente per lei era freddo, e le si sedette accanto sul piumone quando mugnugnò leggermente qualcosa.

La coprì meglio e le vide un sorriso furbo nascerle sulle labbra, segno che si era svegliata, facendolo sorridere a sua volta; ormai stava solo facendo finta di dormire per godersi pure e semplici coccole.

“Non sei un’attrice così brava come pensi,” la canzonò lasciandole un bacio sulla fronte, a cui la bimba sbuffò leggermente per essere stata scoperta. “Vuoi qualcosa per colazione?”

“Si, il latte.” Rispose lei, come se fosse un lamento e stringendo la mano del padre poggiata sul cuscino, “Però mi viene da vomitare.”

Blaine mugugnò qualcosa in dissenso e le accarezzò la schiena con la mano libera, “Allora non puoi mangiare il latte, ti vanno dei biscotti?”

La bambina annuì e si portò la mano del padre sul viso per avere un po’ di sollievo alle guance che sembravano bruciare. “Papà, sento caldo però.”

“Adesso chiamiamo il dottore, va bene?” rispose lui con dolcezza, lasciandole un altro bacio leggero sulla fronte. “Nel frattempo andiamo in cucina a mangiare e cercare di far abbassare questa brutta febbre cattiva.”

Juliette sorrise e si mise a sedere sul materasso, “Ma mangia anche papà con noi?”

“C-certo… penso di sì.” Rispose Blaine un po’ titubante, non sapendo esattamente se Sebastian aveva voglia di far colazione con loro o meno.

“Bene. Ciao. Vado in cucina e a chiamare papà.” Disse lei, scostando le coperte e scendendo da letto in modo fulmineo, per poi correre via dalla stanza senza mettere nemmeno le calzette, lasciando Blaine accigliato e in pieno stato confusionale.

Sbattè un attimo le palpebre, facendo saettare la sguardo dal letto ormai vuoto della figlia alla porta, continuando a restare meravigliato da tutta quella rapidità; non aveva avuto nemmeno il tempo di aiutarla o dirle qualcosa che era già sparita dalla circolazione. Certo che però passava troppo tempo con il fratello.

Si alzò in piedi e prese un paio di calzette pulite dalla cassettiera accanto al letto, per poi dirigersi in cucina e iniziare a prendere il necessario per la colazione dalla dispenza.

Cinque minuti dopo, quando il tavolo era preparato e Blaine stava uscendo il latte dal frigo, Sebastian e la figlia fecero il loro ingresso nel vano. Quest’ultima si mise subito a sedere, mentre l’uomo si avvicinava al moro, senza però dire una parola. Lo affiancò e prese la caffettiera dalla credenza, per poi riempirla alla meno peggio con il caffè.

“Se vuoi te lo preparo io,” propose Blaine, cercando di allentare almeno di poco la tensione creatasi nella stanza.

“Non c’è bisogno.” Lo liquidò l’altro, poggiando l'elettrodomestico sui fornelli. “Tu lo prendi sempre con il latte?”

Blaine spalancò gli occhi a quella domanda con più di un solo quesito e un doppio senso non troppo velato. Fortuna che Juliette ancora non capiva certe cose e lui decise di non rispondere a tono, ma lasciar correre prima di tagliuzzarlo in mille pezzettini con gli occhi.

“Si,” rispose esitante, dandosi dello stupido per averlo degnato di una sola parola dopo quella battuta.

 Non aspettandosi una risposta da parte di Sebastian che non arrivò e senza aggiungere altro si diresse da Juliette, sedendosi accanto a lei, che gli lanciò un occhiata confusa a cui lui rispose sviando lo sguardo per portarlo al latte che si stava versando sulla nella tazza.

Di certo non poteva dirle che era uscito con un altro uomo e che suo padre aveva avuto la brillante idea di presentarsi anche a lui all'appuntamento, per poi litigare e finire con il baciarsi con gli occhi di tutte le persone all’interno del locale addosso; e come ciliegina sulla torta, che aveva volontariamente ferito i sentimenti di Sebastian solo per cercare di allontanarlo. E ovviamente non poteva nemmeno dirgli che la sera prima avevano litigato un’altra volta mentre lei dormiva con la febbre alta.

In quel momento la mente di Blaine si illuminò e capì subito il motivo di tutta quella gentilezza iniziale della sera prima da parte di Sebastian che di certo non era da lui: lo aveva fatto soltanto perché la figlia stava male; poi ovviamente il moro lo aveva fatto sbottare e addio buoni propositi.

“Papà, ne vuoi uno?” chiese gentilmente Juliette, indicando il pacco di biscotti che aveva davanti.

“Si, grazie,” rispose lui, infilando la mano dentro l’involucro per prenderne uno, ma poi la voce di Sebastian arrivò dritta alle sue orecchie e lasciò subito andare quello che aveva preso, sconsolato.

“Non dare dolcetti a tuo padre, sta già ingrassando e lo sanno tutti che dopo una certa età è difficile perdere peso.”

“Io non sto ingrassando!” controbatté lui, con una nota di panico nella voce. Non stava ingrassando, no? Aveva preso soltanto due chili negli ultimi mesi, ma non erano a malapena visibili e poi erano per lo più di massa muscolare, visto che aveva ripreso a fare box. Possibile che Sebastian se ne fosse accorto? Blaine non si rispose nemmeno mentalmente a quella domanda, riconoscendo quanto fosse idiota e la risposta scontata.

“Come vuoi, ma hai preso almeno un chilo e mezzo.”

Si stava ancora facendo domande?

“Ma tanto papà è bello lo stesso!” lo difese la bambina, facendo una linguaccia al altro padre mentre questi si sedeva dall’altra parte del tavolo. “Papà Blaine è sempre bello, vero?”

Il diretto interessato trattenne il respiro, visto che la figlia lo aveva chiesto a Sebastian. Non che gli interessasse la sua opinione, figuriamoci... ma ormai la curiosità si era insinuata dentro di lui come il veleno di un serpente e sapeva che se avesse dato esito negativo, una parte sua parte ne sarebbe rimasta ferita.

Sebastian prese un sorso di caffè, facendo solo finta di pensare a una risposa da dare, stava prendendo solo tempo e Blaine lo sapeva bene, perché quando rifletteva aggrottava leggermente le sopracciglia o si mordicchiava un po’ le labbra, cosa che non aveva nemmeno fatto.

“Vero,” disse in fine, leccandosi le labbra impregnate di caffè e Blaine si ritrovò a sorridere come un idiota senza nemmeno rendersene conto.

“Quindi, papà, mangiati tutti i biscotti che vuoi!” Decretò Juliette, facendo la linguaccia a Sebastian e porgendo i biscotti al moro che ne prese uno senza pensarci due volte, mentre l’altro alzava gli occhi al cielo con aria di sufficienza.

All'interno della stanza cadde il silenzio per qualche minuto, interrotto soltanto dal masticare poco rumoroso di Juliette.

Entrambi gli adulti evitavano di incrociare gli sguardi a vicenda, non volendo perdersi nelle iridi dell’altro e possibilmente far trapelare parole ed emozioni sicuramente vere, ma che non potevano venire rivelate o ricordate all’altro in quel momento. Volevano mantenere quel distacco tipico di due persone in procinto di divorziare, illudendosi di volerlo davvero, o almeno uno di loro ci provava.

Blaine non si era dimenticato dell’avvocato e di ciò che gli aveva detto, ma semplicemente ancora non ne aveva parlato con i due figli, tanto meno aveva chiarito la cosa con Sebastian o discusso con Cooper e approfondito il discorso con Elizabeth. Diceva di avere troppi pensieri per la testa e che per il momento poteva sbrigare altre faccende, magari sull’aspetto finanziario e redditizio, cosa che faceva, ma aveva anche il terrore di parlarne con qualcuno e magari esporre la sua decisione che, oltretutto, non aveva ancora preso.  

Insomma: era terrorizzato all’idea di poter dividere i figli e di venir mangiato vivo da qualcuno; qualsiasi fosse stata la sua scelta, si sarebbe trovato difronte a una scelta difficile su cui qualcuno avrebbe sicuramente avuto qualcosa da ridire. E poi c’era Sebastian.

Si ripeteva ancora di essere deciso, che ce l’avrebbe fatta e che se non fosse stato per i figli molto probabilmente con lui non avrebbe avuto più nessun contatto; ma appunto se lo ripeteva.

Se lo ripeteva per convincersi e in quel modo s’ingannava da solo: perché una persona convinta di ciò che deve fare, non ha bisogno di ripetersi certi concetti.

 Da una parte il lavoro e i figli occupavano davvero molto tempo della sua giornata, di conseguenza per lui non era molto facile poter andare girando da ufficio a ufficio per sbrigarsi varie pratiche e poi nessuno sembrava disposto a dargli una mano, anzi a volte sembrava volessero ostacolarlo, a dire il vero.

Sebastian anche se all’esterno sembrava molto distaccato e insensibile a quella situazione, dentro stava lentamente cadendo a pezzi. Non parlava o rivelava i suoi sentimenti a nessuno e quando aveva parlato sinceramente con Blaine di ciò che provava e lui gli aveva risposto in quel modo, si era sentito ancora più ferito della volta in cui gli aveva chiesto il divorzio; perché lo aveva fatto di proposito e, a detta sua, senza nessun motivo.

Sì, aveva preso delle decisioni drastiche, come non andare più a letto con nessun altro, ma insomma, il suo orgoglio era sempre il suo orgoglio e il fatto che amasse Blaine e lui lo sapeva, non gli dava il diritto di trattarlo in quel modo, e non gli interessava quanto ipocrita potesse sembrare detto da lui. Era pur sempre uno Smythe, anche se uno Smythe innamorato.

Talmente innamorato da stringere tutta la notte tra le braccia il marito, baciandolo delicatamente, nei pochi momenti di dormiveglia, mentre questi dormiva come un ghiro. E si sentiva uno stupido a pensarci, non perché non lo avesse mai fatto prima, ma perché lo aveva fatto di nascosto, come se fosse una cosa sbagliata e lui stesse infrangendo una legge diversa da cui era solito non curarsene. E diamine no, non aveva fatto niente di male.

“Vi siete dati i bacini, stanotte?”

Entrambi gli uomini rischiarono di strozzarsi con la bevanda che stavano tranquillamente sorseggiando. Guardarono la bimba con fare interrogativo e lei in risposta gli regalò un sorriso innocente. Il pensiero di Blaine andò subito a Sebastian che chiedeva alla figlia di porre quella domanda a colazione, tanto per metterlo in imbarazzo, mentre l’altro mise su un’adorabile faccia d’angelo con tanto di sorriso dolce.

“No, tesoro.” Rispose quest’ultimo, poggiando la tazza sul tavolo, evitando di guardare gli occhi di Blaine che al momento non sapeva bene come rispondere. “Sono arrabbiato con papà.”

“Allora il bacino ve lo dovete dare!” Commentò felicemente la bambina, battendo le manine soddisfatta. “Così fate subito pace e poi dormite sempre insieme.”

Peccato che la bambina non sapesse che dopo un’arrabbiatura e un bacio, Blaine e Sebastian continuavano a fare pace per ore nel letto, accarezzandosi, baciandosi, tracciando ogni centimetro del corpo dell’altro con i polpastrelli.

Entrambi gli adulti sorrisero, stando ben attenti a non far intrecciare i loro occhi; Blaine scosse lievemente la testa e disse rivolto alla figlia, “Non possiamo darci un bacino, ci dispiace.”

“Parla per te, io sto benissimo senza baciarti.”

Juliette guardò Sebastian alzando le sopracciglia in una smorfia scettica, ma non diede voce ai suoi pensieri. Silenziosamente, mentre i due genitori continuavano a flirtare anche senza accorgersene, si mise in ginocchio sulla sedia e poggiò un gomito sul tavolo per poi poggiare la guancia sulla mano chiusa a pugno, guardandoli con gli occhi che, se solo fosse stato possibile, sarebbero diventati a forma di cuoricino.

“Oh, davvero? E quindi il fatto che tu faccia di tutto per avvicinarti è solo una mia impressione.”

“Esattamente, dolcezza. L’astinenza al mio corpo ti fa brutti effetti.”

Blaine sbatté più volte le palpebre, non credendo alle sue orecchie. Non era talmente stupido d’averlo detto, soprattutto davanti a sua figlia. E invece sì. Si ritrovò a non sapere se ridere o piangere; non aveva tutti i torti, anzi aveva proprio ragione, quel corpo gli mancava, ma il modo in cui l’aveva detto, indicandosi persino il torace era stato più che esilarante, tanto che anche Juliette si concesse un accenno di risata.

“Forse è il contrario, che dici?” riuscì a canzonarlo, riuscendo a dare una risposta a tono e a scaricargli la patata bollente.

“Sei tu che ti sei avvinghiato a me, stanotte.” Gli ricordò Sebastian, con la solita aria da stronzo e superficialità.

“No, no, papà! Anche tu abbracciavi papà Blaine, ti ho visto io! lo abbracciavi forte forte. Se non mi svegliavo e andavo nel mio letto da sola, mi schiacciavate!”

Blaine guardò Sebastian. Sebastian guardò il pavimento della cucina perché in quel momento gli venne in mentre che forse potevano pure utilizzare delle mattonelle differenti.

“Ti ricordo che sei tu quello che mi sta abbracciando e si è avvinghiato a me durante la notte, e non in contrario.” Bonfocchiò Blaine, facendo il verso a Sebastian e sorridendo mentre lo guardava serrare la mascella per delineare le labbra in un sorrisetto di circostanza.

“Tesoro, ti senti meglio adesso?” Chiese in fine, rivolgendosi alla figlia con tono abbastanza dolce.

“Si, ho di nuovo sonno.”

Blaine guardò prima la bambina e poi si scambiò uno sguardo eloquente con l’uomo prima d’alzarsi dal tavolo e guardare in giro per la cucina alla ricerca del telefono di casa, mentre Juliette veniva presa in braccio da Sebastian che le baciò la fronte per poi sistemarle la frangia. Trovò l’apparecchio elettronico vicino al lavabo e aggrottando le sopracciglia pensando a come fosse finito lì, si diresse in cucina per chiamare il pediatra.

La bambina si sedette in grembo al padre, abbracciandolo forte, venendo ricambiata con la stessa intensità.  Si crogiolò tra quelle braccia, poggiando la testa contro la stoffa del pigiama di Sebastian, sorridendo debolmente. La febbre si era decisamente alzata e le era venuto davvero tanto sonno, così allentò di poco la stretta e socchiuse lentamente gli occhi.

Pochi minuti dopo, Blaine fece di nuovo il suo ingresso in cucina, giocherellando con l’orlo della maglia del pigiama che era decisamente troppo grande per lui e facendo intravedere una piccola porzione di pelle tra l’inguine e l'ombelico, che fece mettere sull'attenti  Sebastian mentre si mordicchiava il labbro inferiore.

Guardò prima l’uomo e poi la bambina che si era quasi addormentata tra le braccia del padre e si sentì riscaldare all'altezza del cuore, mentre una sensazione di benessere lo pervadeva e senza accorgersene si ritrovò con la testa inclinata d’un lato e un sorriso sincero sulle labbra.

Poi, istintivamente, i suoi occhi finirono per delineare i tratti della figlia, notando quanto fossero dolci e morbidi; poco dopo però, le labbra che stava fissando, erano ben diverse da quelle di poco prima; erano più chiare e sottili, e un labbro era catturato tra gli incisivi, giocherellando con la pelle appena screpolata.

Dio, come gli mancavano.

Scosse la testa e arrossì come un peperone quando le vide distendersi  in un ghigno perché Sebastian aveva notato cosa stava facendo. Si girò di spalle, poggiando le mani sul lavello della cucina prima di chiudere gli occhi, sentendo quelli dell’altro sul suo fondoschiena. Ridacchiò.

“Cosa ridi?”

“Mmm… niente” rispose lui vago, prima di fare un respiro profondo e avvicinarsi al frigo per prendersi un po’ d’acqua. Bevendo direttamente dalla bottiglia.

Sebastian assottigliò gli occhi, rivolgendogli il suo solito scopa-sguardo e Blaine si diede dello stupido, imbarazzandosi, per ciò che aveva appena fatto. Diede un leggero colpo di tosse, richiudendo il frigorifero.

“Il dottore è in ferie...” disse in fine, facendo qualche passo avanti verso il tavolo, “quindi dobbiamo portarla da un suo collega, un certo Garrent.”

Sebastian annuì, continuandolo a guardare in quel modo e istintivamente si chiese se avevano chiarito la situazione senza che lui se ne fosse accorto.

“Papi, mi porti a letto?” Chiese Juliette, riaprendo gli occhi.

Blaine annuì, ma proprio quando allungò le braccia per prenderla in braccio il marito fece cadere su di se l’attenzione.

“Vado in ufficio oggi pomeriggio, quindi di mattina sono libero. Posso portarla io, visto che tu hai lezione tra poco.”

“Purtroppo riceve i pazienti del dottor Charson solo il pomeriggio dalle due e mezza fino alle cinque.”

“Allora la porti tu, oggi proprio non ci arrivo.”

“Non ti preoccupare, ci penso io,” lo rassicurò Blaine, con un sorriso gentile. “Porto la principessa di là e poi vado a prepararmi.”

“D’accordo.” Acconsentì Sebastian, sorridendogli  a sua volta.


“Adesso vi date un bacino, vero?”

Gli adulti spalancarono gli occhi, ma non commentarono. Sebastian restò indecifrabile in volto e Blaine restò un attimo immobile a ponderare la situazione. Dopo mezzo secondo si chinò sul marito, che lo guardò alzando le sopracciglia, e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.


Vide Juliette battere le manine e senza pensarci due volte la prese in braccio, per poi dirigersi a passo spedito verso la camera da letto. 










TATAN!! Eccovi tutta la dolcezza, vi è piaciuto? :3 
Sinceramente non vedevo l'ora di postarvelo, perché amo letteralmente questo capitolo, molto stile family!
 
E niente, che dire? Ah si, godetevelo, perché.. perché si!
A giovedì!

Bacioni,
 
 
Nel prossimo capitolo: Qualcuno ricorda il mestiere di John? eheheh. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***





Capitolo 7

 

Blaine si sistemò meglio sulla sedia, prima di ricominciare a rispondere alle domande e affermazioni della piccola accoccolata al suo fianco. “Lo sai, tesoro, non potevo baciare papà.”

“Invece sì.”

“Juliette, ne abbiamo già parlato,” rispose dolcemente lui, passandole un braccio sulle spalle per stringerla meglio, “io e papà non facciamo più quelle cose. Noi ci siamo.. Ci siamo.. C-ci..”

“Lasciati,” terminò la bambina per lui, alzando la testa per guardarlo meglio. “Perché in tv fanno vedere che anche se due si sono lasciati, quelle cose le fanno lo stesso?”

“Tv spazzatura.” Commentò acido, sperando di chiudere il discorso.

“Però ha ragione, tante persone fanno quelle cose. Perché tu e papà no?” Blaine la guardò per un lungo istante negli occhi, sperando di trovare una risposta a quella domanda.

Fin da prima che Blaine chiedesse ufficialmente il divorzio a Sebastian, tra loro due c’era stata sempre quella forma di rispetto e distacco, nonostante molte volte si erano trovati in situazioni molto favorevoli al fare sesso o annullare la distanza tra i loro corpi anche solo per baciarsi. Cosa alquanto strana per un uomo come Sebastian, ma lui non se n’era mai lamentato, sapendo che se fosse successo qualcosa tra loro, avrebbero solo peggiorato la situazione e ne aveva avuto la conferma con quel bacio inaspettato che gli diede il quasi ex- marito.

Per non parlare di ciò che avrebbe dovuto subire nei giorni seguenti e di come si sentiva già in quel momento. Gli mancava già il corpo caldo di Sebastian accanto al suo e poter intrecciare le loro gambe e sentire la sua colonia mista al suo odore naturale mentre dormiva. Sicuramente quella notte l’avrebbe passata in bianco a guardare il soffitto della sua camera.

“Perché noi... vogliamo qualcosa di diverso. Di più maturo.” Disse in fine, annuendo leggermente mentre la bambina lo guardava alzando un sopracciglio per ridacchiare quasi impercettibilmente e in lei Blaine vide una parte di Sebastian.

Blaine era il padre biologico di Juliette e Sebastian di Grant,  ma a volte sembrava il contrario. Blaine riusciva a comunicare meglio con il figlio, nonostante negli ultimi tempi le cose non erano proprio rose e fiori, ma prima, prima che succedesse tutto, loro due avevano un buon rapporto nel quale si confidavano più o meno tutto e Grant gli dava ascolto senza batter ciglio, ogni tanto.

Mentre con Juliette le cose erano leggermente differenti. Lei, nonostante avesse preso la sua dolcezza e molto del suo carattere, era estremamente furba, quando voleva antipatica e molto testarda e determinata. E, soprattutto, amante di coccole.

Su questo non c’era niente di strano, tutti i bambini amano lo stare tra le braccia dei genitori, ma chi lo avrebbe mai detto che fosse proprio Sebastian a darle tutte quelle attenzioni e riuscire a essere così in sintonia con lei?

Di certo non Blaine. Conoscendolo, se qualcuno gli avesse detto che Sebastian avrebbe instaurato un rapporto del genere con la figlia, sicuramente sarebbe scoppiato a ridere. Poi, ovviamente, si ritrovò a ricredersi, perché il loro rapporto era diverso da quello che avevano con chiunque altro, anche con lui stesso. E quindi, adesso era facile trovare Sebastian in Juliette, anche se Blaine non ci avrebbe mai fatto l’abitudine.

“Anderson?”  Chiamò la voce femminile nella segretaria, vedendo una donna con il proprio figlio uscire da una porta bianca. Blaine si alzò in piedi, porgendo la mano alla figlia che la afferrò e si alzò a sua volta. “Da questa parte,” continuò, indicando la porta dietro il quale vi era il dottore.

Lui annuì e sistemò meglio il berretto di lana sui capelli della figlia, prima di dirigersi verso la porta bianca, ringraziando la segretaria con un sorriso mentre la superavano. Fece entrare Juliette dentro la stanza, per poi seguirla chiudendo la porta.

L’arredamento era molto costoso, la scrivania in legno scuro con due sedie con imbottitura davanti e una in pelle girevole, occupava un lato della stanza; tutte i muri erano ricoperti di diverse pareti attrezzate su cui erano posti modellini del corpo umano, libri e medicinali. Vicino al lettino, c’era una porta scorrevole, che portava in un quello che, dall'angolazione di Blaine, sembrava un bagno.

“Accomodatevi pure.” Urlò una voce dall'altra stanza che Blaine ricordò d’averla già sentita da qualche parte.

Cercò la figlia con lo sguardo, trovandola già comodamente seduta su una delle sedie, un po’ assonnata. Le stava risalendo la febbre. Le si avvicinò, sedendosi accanto, per poi accarezzarle la guancia bollente.

“Eccomi qua,” disse la voce di poco prima, mentre la porta scorrevole si apriva, “Allora, che abbiam-Blaine!”

Il moro si girò, trovandosi a concatenare lo sguardo con una paio di iridi azzurro intenso. Sentì la bocca seccarsi e le guance diventare appena un po’ più rosee.  Scattò in piedi, si fregò la mano sul pantalone e poi la porse all'uomo che in quel momento si stava avvicinando, “Ciao, John.”

“E’ un piacere rivederti,” Rispose quest’ultimo, stringendogli la mano ancora umida, segno che l’aveva appena lavata, sorridendo adorabilmente, facendo intravedere dei denti bianchissimi. Blaine sorrise a sua volta, ritraendo la mano e seguendolo con lo sguardo mentre lui si sedeva dell’altra parte della scrivania.

“E tu chi sei?” Chiese amorevolmente, John, rivolto alla bambina.

“Juliette,” rispose lei, sorridendogli e porgendogli la manina che il biondo strinse con gentilezza. “sono la figlia di Blaine.”

“Oh,” disse lui, finto sorpreso, “ papà non mi aveva detto d’avere una cucciolotta come figlia.” Continuò, spostando gli occhi su Blaine che si portò una mano a grattarsi la nuca, imbarazzato, anche se nella voce di John non c’era nessuna nota accusatoria.

“Non c’è stata l’occasione, dato ciò che è successo,” si scusò imbarazzato, “anzi, ti chiedo ancora scusa per l’arrivo di Seb-“

“Shh,” lo interruppe il biondo, sorridendogli. “Te l’ho già detto, non è stato un problema.” Poi spostò lo sguardo su Juliette, “Allora, dimmi un po’, come ti senti?”

Lei le lanciò uno sguardo tagliente, prima di rispondere un “Male” con tono poco educato. Lui non ci fece molto caso e gli rivolse ugualmente un sorriso affabile, mentre Blaine spalancò gli occhi; Juliette era dolce, non riusciva proprio a capire quel comportamento.

“Hai mal di testa? Tosse?”

“Ho sonno e mi fa male la gola.” Tagliò corto lei, facendo arrivare la mandibola di Blaine quasi a toccare il pavimento.  Ma John non si scompose, semplicemente annuì divertito, per poi abbassare lo sguardo per scrivere qualcosa su un foglietto.

“Juliette,” la rimproverò Blaine in un sussurro, sperando che si scusasse senza che fosse lui a dirglielo, ma lei gli sorrise divertita, portandolo a schiaffarsi una mano sulla fronte e sbuffare leggermente, chiedendosi perché diamine gli permetteva a Sebastian d’insegnargli cose così stupide come “Se ti piace, fa l’antipatica.”

Era una stupidaggine che uscì una volta Sebastian mentre erano accoccolati sul divano e Grant parlava della sua prima cotta per una certa Ashley  della sua classe accanto. Era ungioco molto semplice che consisteva nel comportarsi male con chi si aveva una cotta e vedere che reazione che avrebbe avuto l’altro, nel caso si fosse dimostrato gentile, allora si cambiava atteggiamento per farlo definitivamente crollare ai propri piedi. Inutile dire che Sebastian quel comportamento lo utilizzava ancora, e purtroppo anche i figli, nonostante Blaine gli avesse espressamente detto che era un comportamento sbagliato, ma ovviamente non gli avevano dato ascolto.

“Allora,” esordì poco dopo John, alzandosi dalla sedia, “Juliette, ti siedi sul lettino così facciamo una controllatina veloce?”

Lei annuì e si alzò in piedi, dirigendosi verso il lettino per poi salirvi sopra con qualche difficoltà mentre John faceva il giro della scrivania e la raggiungeva.  Si portò lo stetoscopio alle orecchie, per poi alzare delicatamente la maglietta della bambina, le poggiò la campana sul petto, e ascoltò attentamente il battito cardiaco.
 
 

Pochi minuti dopo, quando finì di controllare Juliette, John si risedette alla scrivania per scrivere la ricetta medica che poco dopo passò a Blaine. “Ha preso soltanto un colpo d’aria,” disse, “non ha niente. Un po’ di riposo, tre giorni a casa e poi potrà tornare a scuola senza problemi.”

“Grazie,” lo ringraziò il moro, prendendo il foglio che John gli stava porgendo, “Sei stato davvero gentile.”

“E’ il mio lavoro,” minimizzò John, sorridendo sia a lui che alla bambina. “Mi dispiace di avervi fatti venire fin qui.”

Blaine ridacchiò appena, alzandosi in piedi e prendendo per mano la figlia. Aspettò che il biondo lo affiancasse, per poi dirigersi alla porta, che quest’ultimo aprì con grazia, mettendosi da parte per farlo passare e offrirgli la mano.

“Blaine...” sussurrò, avvicinandosi di poco al suo orecchio per non farsi sentire da Juliette, “So che ti ho detto di uscire solo quando saresti stato pronto ma...” esitò un attimo, uscendo un piccolo pezzo di carta piegato più volte su se stesso dalla tasca dei pantaloni, e Blaine lo riconobbe subito, perché era il primo che aveva scritto da quando erano entrati. “Se ti va, sabato sera sono qui...” Poi, lasciando la frase in sospeso, fece scivolare il fogliettino nella tasca della camicia del moro, facendolo arrossire leggermente.

“Beh.. io..”

“Senza impegno,” lo rassicurò subito, “ci andrò in ogni caso.”

“Ok... Allora ci vediamo.” Lo salutò Blaine, allontanandosi con un sorriso imbarazzato.

“Ci vediamo.” Ripeté il biondo, con tono dispiaciuto, seguendolo andar via con lo sguardo.

 

 


 

“Ed erano abbracciati stretti stretti.”

“Davvero? Ma stretti come?”

“Stretti così,” rispose Juliette, gettandosi tra le braccia di Elizabeth per abbracciarla.

“Non era così,” Intervenne Blaine, “Juliette sta ingigantendo la cosa.”

“E poi papà gli ha dato un bacino sulla guancia a papà!” Blaine sbuffò e visto che nessuno sembrava dargli conto, si alzò in piedi dal divano, dirigendosi in cucina per prendersi qualcosa da mangiare, sentendo la figlia continuare fin da lì, “..però, secondo me, glielo voleva dare sulle labbra.”

Ovviamente Sebastian rise a quell'affermazione. Idiota.

Aprì il frigo, cercando qualcosa da preparare per la cena, visto che Cooper ed Elizabeth sembravano del tutto essersi dimenticati dell’orario. Uscì delle uova e pancetta, poggiandoli sul ripiano per poi prendere una pentola e riempirla d’acqua e metterla sui fornelli.

Uscì un pacco di pasta dalla credenza e proprio mentre la stava pesando sentì un piccolo pizzicotto sul sedere. “Ehi,” si lamentò, poco importava chi fosse stato.

“Va di là a riprendere tua figlia,” Disse Elizabeth, ridacchiando. “ti sta proprio sputtanando per bene.”

“Potresti parlare pulita?” la rimproverò lui, affiancandola mentre lei sbatteva le uova. “Ci sono i bambini di là.”

“Come se Grant non sapesse più parolacce di me,” lo canzonò, poi vedendolo accendere i fornelli aggiunse: “Lascia, preparo io la cena.”

Lui le sorrise per ringraziarla, voltandosi per poggiare il fondoschiena contro il ripiano della cucina, guardandola muoversi velocemente da una parte all’altra. Istintivamente la sua mente lo riportò a tutte le volte che aveva guardato Sebastian cucinare per lui e i figli. Scrollò la testa, cercando di scacciare quei ricordi. Tese le orecchie, cercando d’ascoltare il motivo delle risate che provenivano dal soggiorno e per quale motivo stessero parlando così ad alta voce, senza però ottenere alcun risultato.

“Se vuoi puoi andare di la, non mi serve la bella statuina qui a guardarmi. Ah, Sebastian e i bambini cenano con noi?” Domandò El, mettendo il sale nell'acqua.

“No, stiamo per andare via.” Comunicò Sebastian, entrando il cucina, facendo sussultare entrambi che non si erano accorti di lui.  “Posso parlare da solo con Blaine?”

“Certo,” rispose subito la donna, strofinandosi le mani, “vado a vedere se Cooper mangia la pasta o vuole qualcos'altro.” Detto questo, Elizabeth uscì dalla cucina, lasciando entrambi gli uomini a fissarsi, in silenzio.

A Blaine bastò un’occhiata per capire che era sicuramente successo qualcosa , ma non capiva cosa. Sebastian aveva uno sguardo che chi non lo conosceva bene definiva subito strano, inquietante, arrabbiato, triste, ma lui sapeva come definirlo: ferito.

Ferito per qualcosa di cui lui non ne aveva la minima idea.

“Sicuro che non vuoi lasciare Juliette con me, stasera?” chiese in fine, cercando di allentare la tensione e poter liberarsi di quello sguardo, che sembrava pesare duecento chili sul suo capo.

“Come è andata oggi dal pediatra?”

Era questo che aveva sempre amato di Sebastian: arrivava subito al punto, senza mezzi termini; ovviamente quando gli conveniva. Era la prima cosa che gli era piaciuta di lui in quel Lima Bean parecchi anni prima, era la cosa che ancora lo stordiva di più; perché a volte era utile, altre estremamente imbarazzante.

“Te l’ho già detto...” Cercò di temporeggiare, sperando che quello che pensava non fosse vero, “E’ solo il  freddo. Qualche giorno di riposo e starà bene.”

Sebastian rise.

Maledizione.

“Juliette dice che era bello. Con gli occhi azzurri e i capelli biondi; sembrava conoscerti.” Fece qualche passo verso la sua direzione, avvicinandosi lentamente, per poi fermarsi a pochi centimetri da lui.

“Era riccioli d’oro?”

Blaine aprì la bocca per replicare, ma non uscì nulla, così la richiuse.

“Ha detto che ti ha messo un bigliettino nella tasca,” rispose con tono seducente, guardandolo negli occhi, mentre con una mano s’intrufolava all'interno della tasca della camicia del moro, proprio all'altezza del cuore.

Quest’ultimo deglutì, sperando che il battito accelerato del suo cuore, un po’ per l’acqua alla gola e un po’ per la vicinanza di Sebastian,  non si notasse. “No-non-“

“Non ho nessun diritto,” terminò per lui la frase, il più alto, aprendo il biglietto. “Ma questo non ti da il permesso di far conoscere uomini ai nostri figli.”

Blaine gli stappò il biglietto dalle mani prima che potesse leggerlo, poi sgusciò via dalla trappola data dalla cucina e il corpo del quasi ex-marito. Prese un respiro profondo e disse:  “Non sapevo fosse John il sostituto di Steve. E non gliel'ho presentato... voglio dire non come frequentante o altro.”

“Quindi vi frequentate?”

“No,” rispose lui secco. “Siamo usciti solo una volta, dove tu ti sei presentato.”

“Meglio così.”

“Meglio così?” chiese ironicamente, trattenendo una risata. Se solo fosse stato vero, se solo non lo amasse ancora, allora sarebbe stato meglio così. E invece lo amava, restava a guardarlo incantato ogni volta come quando erano ragazzi.

“Esattamente.”

Blaine scoppiò a ridere. In una risata di scherno, falsa nel suo modo di essere vera.

Come si dice in certi casi? Meglio ridere per non piangere, e lui lo stava esattamente facendo; non aveva voglia di cedere e spiegargli che era stato un puro e semplice caso che aveva incontrato John, che non l’aveva fatto apposta e che non era assolutamente come pensava lui.

“Perché ridi? C’è qualcosa da ridere per caso?”

“La tua gelosia.” Rispose lui, sorridendo per poi dargli le spalle; senza aggiungere altro.

“Mi sembra d’averti già detto che non sono geloso.” Controbatté Sebastian, avvicinandosi a lui. “Ma riccioli d’oro non mi piace.”

“Non deve piacere a te,” borbottò Blaine, cercando di distrarsi girando la padella e controllando la pasta. “e comunque non sono affari tuoi.”

“Lo hai già detto.”

“Non è vero e comunque forse è meglio che l’abbia ripetuto, sai? Così ti entra bene in testa.”

“Pensala come vuoi.” Tagliò il discorso Sebastian, poggiandogli una mano sul fianco per farlo voltare e poter abbassare lo sguardo per  far incontrare i loro occhi, “Ma i nostri figli non devono essere messi in mezzo.”

“Sebastian, pensi che io sia stupido? Lo so che non era una cosa da fare, ma per Juliette lui è soltanto il pediatra, per quanto ne sa potrebbe benissimo essere un mio amico.”

“E’ qualcosa di più?”

Blaine si perse a guardare l’espressione sul volto di Sebastian; era un ammasso di emozioni e sentimenti, mandando il suo cervello nel panico. In quel momento, togliendogli quella maschera da essere irraggiungibile e faccio queste domande solo perché sono curioso e non voglio che fai soffrire i nostri figli, era vulnerabile e talmente facile da scalfire che sarebbe bastato un semplicissimo ‘Sì’ per farlo crollare; ma lui era sempre stato buono, non sarebbe riuscito a fargli del male.

“N-no... insomma, ci conosciamo a malapena.” Balbettò in fine, vedendolo tirare un sospiro di sollievo.

Restarono in silenzio per un istante, guardandosi negli occhi, l’uno a poca distanza all’altro e Sebastian con ancora la mano sul fianco di Blaine. Entrambi pensavano la stessa cosa, entrambi volevano la stessa cosa. Inevitabilmente gli occhi di Blaine caddero sulla labbra sottili e rosee dell’altro; si leccò il labbro inferiore prima di deglutire piano, sentendo la voglia di baciarlo farsi sempre più viva.

Tutto quello non sfuggì a Sebastian, che a sua volta si morse l’interno guancia. Che poi si sa, lui non era mai stato un uomo riflessivo e coscienzioso, che ponderava bene le situazioni prima di agire, così come Blaine che talvolta si comportava come lui. Inevitabilmente si trovò a chinarsi su di lui, sentendo l’altro fare lo stesso quando…

“Papààààà, ho fame!”

Gli adulti, come se appena risvegliati da un bellissimo sogno, per poco non saltarono in aria per poi mugugnare qualcosa infastiditi. Sebastian si voltò di scatto verso la porta della cucina e Blaine si sporse un poco per vedere se ci fosse qualcuno, fortunatamente erano soli e la voce proveniva dall'ingresso. Si allontanarono ancora un po’ e Blaine sentì la mano sul suo fianco scivolare via. Imprecò mentalmente prima di darsi dell’idiota.

“Noi andiamo.” Esordì il più alto dopo poco, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni, “Ciao.”

“Aspetta,” Il viso di Sebastian si illuminò, sorpreso e con un può d’aspettativa, “vengo a salutare i bambini di là.”

Poche volte Sebastian si era sentito più frustrato e peggio di così per un misero bacio. 

 




 

Blaine provò ad ignorare la vibrazione del telefono per più di dieci minuti buoni, continuando a ripetersi che non era niente di urgente e che poi non era giusto nei confronti dei suoi allievi interrompere la lezione mentre stavano provando e anche con risultati niente male; ma alla quasi ottava chiamata persa, il suo essere gentile lo richiamò all'ordine, dicendogli che se qualcuno lo stava cercando così insistentemente, allora un motivo c’era e non poteva continuare ad ignorarlo, facendo il maleducato.

Prese il cellulare dalla scrivania e si alzò in piedi, fece un cenno con la mano ai ragazzi per fargli capire di continuare a provare anche senza di lui e si diresse fuori dall’aula, chiudendosi la porta alle spalle prima di poggiarcisi con le spalle.

Sperò solo che al telefono non fosse Cooper che gli chiedeva di raccomandarlo con qualche suo collega o gli chiedesse di comprare la Nutella perché era finita dato che ne mangiava in quantità industriale, e che nel giro di quei pochi minuti che avrebbe passato fuori, non scoppiasse una rissa su chi era il più talentuoso della NYADA, chi il più meritevole o il più belloccio.

Respirò a fondo, poi aprì la telefonata e si portò l’apparecchio al telefono. “Pronto?”

“Signor Anderson?”

“Si, mi dica.”

“Sono la segretaria dell’avvocato Watson. La chiamo per avvertirla che purtroppo, a causa di un impegno improvviso, è costretto a rinviare l’appuntamento per oggi pomeriggio. E’ un problema?”

“No, no, non c’è nessun problema,” si affrettò a rispondere.

“Benissimo.  Le va bene se spostiamo l’appuntamento sempre entro questa settimana?”

“No, va bene.” Blaine stava iniziando a sentirsi un po’ confuso dalla voce acuta e veloce della donna al telefono, sembrava una di quelle che chiamava a casa per vendere qualche abbonamento via telefono o una cosa simile.

“Perfetto, allora le farò sapere entro domani quando sarà possibile!” la sentì respirare profondamente, forse per riprendere fiato o forse per paura di come avrebbe reagito dopo aver proseguito con la domanda che Blaine capì voleva porgli.

“Il.. il signor Watson.. mi ha chiesto di porvi una domanda alquanto personale ma che gli servirà per andare avanti con il divorzio.”

“Si, mi dica pure.” Disse lui gentile e incuriosito.

“Ha parlato con i suoi figli della loro eventuale separazione?”





 



ZAZZAN! 

Il prossimo capitolo arriverà o Lunedì o Martedì, ancora non so. 
E niente, oggi non ho proprio nulla da aggiungere se non che siete un amore che continuate a leggere, recensire e mettere la storia nelle seguite\ricordate. Grazie, grazie, grazie.
 
Un bacio,
 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



Il motivo per cui scrivo le note qui sopra è perché dopo mi ucciderete o non riuscirete a mettere a fuoco ciò che dico. 
Questo è il capitolo più lungo scritto fino a ora e anche uno di quelli scritti meglio; forse il contenuto non è dei più felici ma per me è così. 
Boh, vabbé scappo via e vi ricordo che potete insultarmi sia qui, che su facebook sia su Ask dove potete chiedermi anche la qualsiasi cosa. 









Capitolo 8




“Ha parlato con i suoi figli della loro eventuale separazione?”

Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso; sentiva quello stesso dolore, solo nel petto. Per poco non gli cadde il telefono a terra e si dovette ricordare di essere appoggiato a una porta e non a un muro che si poteva gettare senza paura che si aprisse.

“Io.. no, non ne ho ancora parlato con loro. In realtà.. non ne ho nemmeno parlato con mio marito.”

“Capisco.” Rispose la donna e Blaine capì immediatamente perché sembrava aver perso la tua parlantina spedita e il tono acuto: aveva detto MIO marito, senza ex, senza quasi ex; non aveva aggiunto nulla che facesse pensare che volesse divorziare. “Ma è importante che lo faccia. E’ una decisione molto importante, per questo l’avvocato ha bisogno di esserne messo al corrente, così da poter procedere tranquillamente.”

“Ah.. ma certo, può dirgli che appena parleremo con i nostri figli, gli faremo subito sapere la nostra decisione.”

“Molto bene.  Allora la richiamerò per riferirle la data. Buona giornata,” Lo salutò e Blaine capì che stava sorridendo.

“Buona giornata,” rispose, sapendo già che non ci sarebbe stato niente di buono quel giorno. 





 

Sebastian era sfinito. Era arrivato al limite, non ne poteva più. Se solo Tony gli avesse proposto un’altra volta di pranzare insieme o di parlare, non sapeva bene se lo avrebbe ucciso o sarebbe stato lui a buttarsi dalla finestra, magari quella del suo ufficio che era ai piani più alti dell’edificio.

Da quando aveva fatto quella specie di voto di castità, Tony sembrava essere diventato più insopportabile del solito. Sapeva che sarebbe diventato una palla al piede fin dalla prima volta che, da sposato, gli aveva chiesto comunque d’andare a mangiare un boccone e se n’era convinto quando l’aveva sbattuto poco delicatamente contro la stampante della sala fotocopie. Ma era sempre stato così rompi scatole?

Insomma, va bene che era più giovane di lui di un età considerevole e fosse uno di quelli che crede nell’amore, ma adesso ne aveva fin sopra i capelli. Oppure era l’astinenza a parlare? Molto probabile. Non aveva mai fatto una cosa del genere prima e per lui era una cosa del tutto nuova; quando era sposato con Blaine, anche se ogni tanto gli cadeva l’occhio su di un bel sedere, non aveva mai di quei problemi, anche con la frustrazione del lavoro a mille. Era semplice: tornava a casa, mettevano i bambini a letto e poi facevano l’amore per quando la stanchezza accumulata per tutto il giorno glielo permettesse.

Sebastian sbuffò.

Perché era quello che in realtà lo infastidiva, non poter fare più quelle cose;  non era Tony, o il lavoro, il suo capo o… bhe, li sotto. Era Blaine a mancargli. Perché sì, poteva fare il menefreghista, lo scorbutico e lo scontroso, ma era lui che gli mancava e nessun altro, nient’altro.

Era vero, riusciva a fingere e far credere che a lui la vicinanza al marito non facesse nessun effetto, che baciare Blaine non gli faceva nessun effetto, che dormire con Blaine non gli faceva nessun effetto, ma appunto fingeva.

Poteva dare la colpa a chiunque, ma sapeva che in realtà era solo e soltanto colpa sua.

“Hey.” Disse una voce irritante dalla porta del suo ufficio.

“Che vuoi?” Chiese lui brusco, massaggiandosi le tempie e riaprendo lentamente gli occhi.

“Niente di speciale... gli altri stanno andando a pranzare insieme e ci hanno invitati ad andare con loro, vuoi-“

No,” rispose secco, respirando a fondo per non prendere il controllo. “Vattene.”

“C’è qualcosa che non va? Magari ti posso aiutare!” Continuò Tony, speranzoso. Per poco Sebastian non lo lanciò dalla finestra. “Sul serio, se vuoi parlarne puoi! Mi dicono tutti che sono un bravo ascoltatore e consigliere-“

“Vuoi aiutarmi? Sparisci dalla circolazione.”

Tony sorrise appena, pensando che quello fosse il suo modo carino per dirgli “Resta”, non sapendo di star facendo un errore madornale. Si avvicinò a lui, per poi fare il giro della scrivania e poggiarcisi sopra, proprio accanto a Sebastian che lo guardò alzando un sopracciglio e un’aria indecifrabile.

“Pensavo,” esordì il moro, “Che magari... Stasera potresti venire a cena da me, che ne pensi?”

“Che piuttosto mangerei pietre.” Rispose Sebastian, ghignando appena nel vederlo abbassare lo sguardo. “Ti ho già detto mille volte che non ho nessuna voglia di fare nessun pasto con te. Come te lo devo dire?”

Tony  si sporse leggermente verso di lui, portando i loro viso a poca distanza l’uno dall’altro. “Lo so, ma in questi giorni sembra che mi stai evitando..”

Ho cose più importanti da fare che evitarti.

“…e ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere passare una serata insieme...”

Hai pensato decisamente male.

“… come i due frequentanti che siamo.”

Sebastian non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.

Tony lo guardò con gli occhi sgranati, per poi guardare a destra e sinistra, cercando la causa che facesse ridere l’altro così forte. Poi, dopo aver capito che non c’era niente in quell’ufficio, lo guardò con un sopracciglio alzato, “Cosa?”

Sebastian non se la sentì d’infierire maggiormente, dal tono innocente con cui l’aveva detto, s’intuiva che era sincero  e che non aveva davvero capito. Si sistemò meglio nella sedia, come se ci fosse qualcosa che gli dava fastidio, quando per sbaglio i loro occhi s’intrecciarono e istintivamente deglutì rumorosamente.

Quegli occhi azzurri sembravano due oceani e anche se erano diversi da quelli di Blaine, dietro nascondevano le stesse emozioni, le stesse speranze. E quello che disse successivamente, non lo fece per Tony in se, ma per Blaine.

“Senti  Tony, dobbiamo parlare.”

Il ragazzo s’incupì di colpo, allontanandosi, per poi guardarlo allarmato. “Su cosa?”

“Sulla…” Sebastian temporeggiò, trovando una parola che non suonasse troppo male. “Sulla nostra relazione.”

“C’è qualcosa che non va?” Continuò il moro, costringendo l’altro a mordicchiarsi il labbro per non rispondere acido e possibilmente finire per insultarlo. “Ho fatto qualcosa che non ti è piaciuto? Posso rimediare, ti chiedo scusa!”

Ma stava davvero cercando i rompere una relazione che non c’era mai stata?

“Tony, ascolta.. il problema non sei tu,” E’ Blaine, continuò nella sua mente, per poi darsi dello stupido, io lo amo, si diede dello stupido un’altra volta. “Il problema sono io,” perfetto, adesso citava le più scadenti commedie romantiche. Guarda che gli toccava fare. “Sono io che non ti merito,” questo un po’ era vero, “e non voglio vederti soffrire per causa mia,” questo forse non tanto, “forse è meglio chiuderla qui,” verissimo.

Il ragazzo spalancò la bocca, incredulo per quello che le sue orecchie avevano appena sentito. “Vuoi rompere con me?”

Non è che siamo mai stati insieme.

“E’ meglio per tutti e due.”

“Ma io non voglio rompere con te.”

Dio, ma quando siamo mai stati insieme, io e te?

“Te l’ho già detto è meglio per entrambi.”

“Potremmo almeno discuterne meglio?” Chiese Tony, afflitto e Sebastian avrebbe giurato che sarebbe scoppiato a piangere da li a poco.

“Io-“ Sebastian si bloccò nel momento esatto in cui il telefono iniziò a vibrare nella tasca del completo che indossava, si infilò una mano nella tasca ed estrasse l’apparecchio elettronico, per poi alzare le sopracciglia e ghignare appena leggendo il nome sul display. “Tony, ne parliamo più tardi, eh?”

Lui annuì e deglutendo rumorosamente si staccò dalla scrivania per poi uscire dalla porta e restare lì fuori, in attesa che l’altro finisse di parlare.

“Blaine!”

“Dobbiamo parlare.” Dèjà-vu di pochi secondi o cosa?

“Ok, dimmi pure.” Rispose lui, senza emozione.

“Riguarda i bambini e l’avvocato.”

Il buon giorno si vede dal mattino, no?

“Cos’è successo?” Chiese, sbuffando e cercando di reprimere la rabbia sembrando invece il più distaccato possibile.

“Niente. Per lo meno non per adesso. Lunedì andrò dall’avvocato perché non abbiamo trovato un buco libero in questa settimana, ma il problema non è questo; vuole sapere che decisione abbiamo preso sull’eventuale separazione di Grant e Juliette.”

“Ah... quello.” Rispose lui, facendo finta che niente lo avesse scalfito, “Pensavo fosse chiaro che i bambini non si separeranno.”

“Sebastian,” lo supplicò il moro dall’altra parte del telefono, con il solito tono da ti-prego-assecondami-non-ho-nessuna-voglia-di-litigare-con-te.

Ma quello non riguardava Blaine, lo avrebbe accontentato sennò, ma si trattava dei suoi figli, di lui e della loro famiglia in sé; no, quella volta non poteva passarci sopra. “Niente Sebastian, Blaine.” disse, pronunciando il suo nome allo stesso modo in cui lo aveva detto l’altro poco prima, “Non ho alcuna intenzione di far separare i nostri figli.”

“Ne ho già discusso-“

“Con chi?”

“E abbiamo deciso di parlarne prima con i bambini.” Continuò Blaine imperterrito, facendo finta di non essere stato interrotto.

“Blaine, ascoltami. Ne puoi parlare con chiunque, ma dimentichi che io sono il padre, come te, e ho gli stessi diritti.”

“Per questo voglio che glielo diciamo insieme.”

Vigliacco. Sebastian sapeva che l’unico motivo per cui lo voleva al suo fianco era perché terrorizzato dalle reazioni di Grant e Juliette, non era mica stupido. “Blaine, non c’è niente da dire. Io non voglio nemmeno il nostro divorzio, figuriamoci se voglio separare i nostri figli.”

“Sebastian sei sempre il solito, con te non si può parlare.”

Pochi secondi dopo, entrambi avevano già perso il controllo della situazione e si stavano urlando contro attraverso la cornetta. 


 


 

 

Venti minuti dopo, Sebastian stava ancora urlando contro l’apparecchio elettronico, visibilmente agitato e la voglia che aveva di rompere tutto si poteva notare a chilometri di distanza. Venti minuti dopo, non aveva ancora risolto nulla; venti minuti dopo, voleva solo riaprire gli occhi e ritrovarsi nel suo letto, possibilmente con Blaine accanto che gli diceva che era solo un brutto sogno; venti minuti dopo, gli chiuse il telefono in faccia, deciso a chiudere quella conversazione che doveva ancora essere ben chiarita.

Non che ci fosse molto da dire o su cui discutere, per tutta la telefonata non avevano fatto altro che urlare, insultarsi in modo più o meno pensate e rinfacciarsi azioni che potevano benissimo risalire all’età medievale per quanto erano vecchie. Del vero motivo della telefonata ne avevano parlato poco e niente, Sebastian aveva capito -ma poteva benissimo sbagliarsi- che ne avrebbero parlato insieme con i bambini e sempre con loro avrebbero deciso le condizioni su cui fare il loro accordo, ma aveva capito che era una cosa che non voleva neanche Blaine e non perché ne era terrorizzato.  E secondo il marito, doveva pure accontentarsi di quella offerta, visto che poteva benissimo decidere di fare tutto da solo, ma col cavolo che Sebastian si accontentava.

Poggiò con forza il cellulare sulla scrivania, che fece un tonfo sordo, dopodiché si alzò in piedi di scatto, facendo spostare la sedia girevole di quasi mezzo metro, tale era la forza con cui si era mosso, e guardò verso la porta, cercando Tony con lo sguardo. Non fu difficile trovarlo, visto che era ancora li dove si era messo quando era uscito dall’ufficio.

“Tony,” lo chiamò, la voce ancora agitata, ma sperò che non ci facesse molto caso e fortunatamente fu così. Il ragazzo entrò un po’ incerto, non sapendo bene cosa aspettarsi. “Accetterei l’invito a cena di stasera, sempre se è ancora valido.”

Sebastian sentì i due occhi azzurri del ragazzo scrutarlo attentamente, ma non ebbe la forza di incontrare le sue iridi, così fece finta di cercare qualche scartoffia sulla scrivania.

“Ma certo,” rispose Tony, sorridendo e con chi occhi pieni di gioia. “Ci vediamo alle nove a casa mia.”


 




 

Blaine era sempre stata una persona molto aperta, solare, vivace e divertente; era sempre riuscito a catturare l’attenzione su di sé con poche difficoltà e riusciva a sentirsi completamente a suo agio in posti affollati e a parlare in pubblico.

Era sempre stato, però, un ragazzo che arrossiva facilmente e dal solito sorriso idiota a ogni minimo apprezzamento sul suo aspetto fisico e interiore; non era mai stata una cosa che gli era piaciuta, trovava imbarazzante che tutti riuscissero a conoscere il suo stato d’animo, ma aveva iniziato ad apprezzarlo quando Sebastian lo definì “Super hot” e successivamente “adorabile”, e una cosa detta da uno come lui, poteva solo farlo sentire lusingato.

Ma in quel momento, seduto a poltrire sul divano, era l’esatto opposto di ciò che era di solito. Stava lì immobile a guardare Cooper giocare con i nipoti, senza nemmeno vederli perché la sua mente era troppo impegnata a pensare e ripensare alla litigata di quella mattina con il quasi ex-marito.

Non che non ci fosse abituato, ma litigare con lui gli faceva sempre male, soprattutto dopo che in quei giorni le cose sembravano migliorarsi un po’. Voleva che ritornassero ad andare d’accordo e anche se sapeva che era una cosa impossibile,  ci sperava. Voleva anche sentirsi d’avere ragione.

Sì, perché una parte di lui sapeva di non aver poi così ragione e che, anche se le sue motivazioni erano fondate, stava agendo nel modo sbagliato. Far dividere i figli era un pensiero che lo angosciava, gli faceva venire un groppo in gola e pizzicare gli occhi; Ma l’altra parte, non riusciva a vederne via d’uscita o un altro modo per sistemare quella situazione; sapeva che una delle tante era di tornare con Sebastian, ma in quel momento, dopo la furiosa litigata di quella mattina dove entrambi avevano avuto sia ragione che torto, non prendeva nemmeno in considerazione quell’eventualità.

Anche se, una parte di lui, non faceva altro che supplicarlo di pensarci, ricordandogli che nei momenti in cui non litigavano, dove la maggior parte delle volte usciva lui la discussione, stavano bene insieme e sentiva un colare riscaldargli il petto e la mente riempirsi di ricordi.

Scrollò la testa, sbuffando.

“Cosa c’è?” Gli chiese Cooper, alzando gli occhi su di lui e tenendo Juliette a terra facendole una lieve pressione sul petto.

“Niente,” rispose lui, sorridendogli gentile e fingendo che andasse tutto bene sentendo gli occhi dei suoi figli addosso. “Dov’è Elizabeth?”

“Non lo so,” gli rispose pensieroso il fratello, “credo da qualche parte in casa.. ma non ne sono sicuro.”

Che fidanzato modello, pensò Blaine tra sé e sé.
“Sta facendo il bucato,” rispose Grant che gli dava le spalle per poi sbuffare leggermente.

Il moro ringraziò il figlio e si alzò in piedi; uscì dalla stanza con Juliette che strattonava i capelli dell’attore con forza, prendendosi la rivincita, seduta a cavalluccio sopra la sua schiena, mentre l’uomo gemeva di dolore e cercava di disarcionarla con tanto di nitrito; sorrise a quella scena, cercando di non dar troppo peso a due occhi fin troppo simili al quasi ex-marito che lo seguirono per tutto il tragitto, fin quando non svoltò l’angolo.

Una volta arrivato in bagno, dove Elizabeth stava disponendo in file separate i panni sporchi colorati da quelli bianchi, si avvicinò a lei per poi superarla passandole una mano sulla schiena, per poi appoggiarsi alla lavabiancheria.

“Hey,” Disse disinvolto, cercando di iniziare una conversazione.

“Che hai?” Gli chiese lei, come se non avesse mai aperto bocca, guardandolo con gli occhi preoccupati.

I suoi occhi erano bellissimi, di un azzurro cielo con varie sfumature blu mare; solitamente erano dolci e facevano trasparire i suoi stati d’animo e tutta la sua furbizia, ma in quel momento sembravano leggerlo dentro, come se nei suoi occhi passasse una scritta a neon che raccontava del suo problema e possibilmente come risolverlo, visto che la maggior parte delle volte aveva la soluzione sempre pronta.

“niente,” mentì comunque; sperando che lei lasciasse perdere e cambiasse argomento. Ma doveva immaginarsi che non sarebbe mai stato così fortunato.

“Hai litigato con Sebastian, se ne vuoi parlare sono qui.”

“Non c’è niente di cui parlare.” Blaine la vide alzare un sopracciglio. Provò a mordersi la lingua per stare zitto, ma ovviamente non ci riuscì. “Gli ho telefonato, gli ho detto che avremmo dovuto parlare con i bambini del divorzio, del loro distacco, gli ho anche offerto di vederci pure da soli prima, per non finire a litigare davanti a loro, ma lui non ne ha voluto sapere e abbiamo finito per urlarci contro.”

“Blaine, la cosa è seria.” Disse apprensiva lei, tracciando più volte i contorni del suo viso con chi occhi.

“Lo so,” concordò lui, angosciato.

“Gli hai offerto di passare un po’ di tempo da soli e lui ha rifiutato.” Blaine la guardò perplesso e annuendo, non capendo. “Blaine, ha rifiutato, non vuole stare da solo con te. Ha rifiutato a stare da solo con te. Dobbiamo scappare, sicuramente tra poco scoppierà un’altra guerra mondiale.”

“Eh?”

“Eh?”

“Vai a quel paese. Non era divertente e non faceva ridere.” Disse Blaine giocoso, prima di tornare serio. “E’ davvero grave.. e non per quello che pensi tu.” Si affrettò ad aggiungere vedendo nascere un ghigno sulle labbra della donna.

“Ascoltami, Blaine. Io vorrei aiutarti, lo sai, ma non posso se continui a non volermi parlare di questa fantomatica decisione che vuoi prendere. E’ una cosa delicata, lo capisco che per il momento non vuoi condividerla con nessuno, ma così non so cosa fare. L’unico consiglio che posso darti è chiamare Sebastian e cercare di sistemare la situazione.”

“Non se ne parla!” Rispose secco lui, prima di borbottare: “mi ha pure rinfacciato d’avergli rotto il suo CD preferito anni fa. Lo sa che non l’ho fatto apposta e che mi sono scusato un sacco di volte.”

Elizabeth lo guardò come solitamente si guarda un cucciolo randagio in mezzo alla strada sotto la pioggia, in un miscuglio di tenerezza e pietà. Perché doveva essere così idiota? Con tutto quello che Sebastian gli aveva urlato contro –e sapeva che quando era arrabbiato ci andava giù pesante con le parole- lui si ricordava che gli aveva rinfacciato d’avergli rotto un CD. Sorrise.

“Humm-humm.”

“Sai che altro mi ha rinfacciato?  Ricordi quella volta…”

Ma Elizabeth aveva già iniziato a desiderare di scomparire dalla circolazione.

 

Trenta minuti dopo era sicura che, se Blaine avesse continuato a parlare per soli altri 2 minuti, il cervello avrebbe iniziato a fumargli. Gli voleva bene, ed era più che il fratello di Cooper per lei, era più come il fratello che aveva sempre desiderato e mai avuto. Voleva vederlo felice, aiutarlo e consolarlo, ma se solo fosse uscita un’altra parola o lamentela da quelle labbra carnose, lo avrebbe schiaffeggiato per altri trenta minuti di seguito; anche lei aveva bisogno di un po’ di calma e tranquillità e invece lui stava continuando a parlare senza sosta.

Per tutto il tempo non aveva fatto altro che dirgli della litigata, di ciò che si erano detti, come Sebastian lo avesse messo di cattivo umore, di come ancora si sentiva impotente davanti a lui, che la sua voce ancora gli dava i brividi, di come entrambi avessero ragione e di come lui avesse ragione.

“Blaine!” disse a voce alta ad un certo punto, facendolo zittire di colpo e granare gli occhi. “Zitto. Anche solo per un momento, ma sta zitto.”

Lui la guardò stranito, poi altri la bocca per chiedere se c’era qualcosa che non andava ma lei lo precedette con un: “Shh, zitto un attimo. Mi stai facendo venire mal di testa.”

“Ma-“

“Shh”

“Scus-“

“silenzio.”

“Ok..”

“Shh lo stesso.” Elizabeth si massaggiò una tempia, mentre l’altro continuava a guardarla come una psicopatica, non sapendo che l’unico a dover essere guardato in quel modo era lui. La donna assaporò quel lungo attimo dove l’unico rumore erano le urla che provenivano dal salotto e nel frattempo si chinò a prendere i pantaloni colorati sul pavimento.

“Dammi a me, quelli sono i miei.” Le disse Blaine, avvicinandosi, ma lei lo cacciò via in modo teatrale.

“Non c’è bisogno,” disse poi, sorridendogli e girando l’indumento che aveva tra le mani. “Mi spieghi perché ti metti ancora questi pantaloni color senape? Sono brutti e fuori moda!”

“Cosa? Stai scherzando spero.” Ribatté il moro scandalizzato. “Sono bellissimi e sono vintage.”

“Andavano di moda quando avevi 19 anni.”

“Vanno di moda tutt’ora.” Continuò lui, imperterrito.

Elizabeth alzò gli occhi al cielo, mettendo i pantaloni nella pila apposita. Poi afferrò una camicia bianca, rigirandola tra le mani, scoprendo una rivista di sposa sul pavimento per metà nascosta da indumenti. Blaine si chinò lentamente, cercando di non farsi notare. La afferrò e iniziò a sfogliare le prime pagine, trovando vari appunti al bordo delle pagine con una calligrafia disordinata e minuta.

“Io non penso proprio, sono veramente orribili... Che stai facendo?” Chiese lei allarmata girandosi verso di lui, facendo scivolare gli occhi da Blaine alla rivista. “Dammela.”


“E’ una rivista dasposa,” rispose lui, calcando l’ultima parola e dicendola come qualcosa d’impensabile.

“Mi serve per il lavoro.” Mentì Elizabeth, cercando di strappargliela dalle mani, ma lui fu più lesto, spostandosi e leggendo qualche riga. “Blaine, ridammela.”

“Perché tutta quest’agitazione se è per lavoro?” La canzonò lui, ghignando. “non è che mi stai nascondendo qualcosa?”


Blaine si aspettava qualche risposta rabbiosa o battuta tagliente, ma invece alle sue orecchie non arrivò nulla. Pensò che stesse prendendo tempo o voleva soltanto far cadere la conversazione così. Alzò gli occhi su di lei per capire quale fosse davvero la sua intenzione e quado lo fece ne rimase pietrificato.

Elizabeth aveva abbandonato la camicia che fino a poco prima aveva tra le mani ed era intenta a leggere il foglio di carta che gli aveva lasciato John. Se n’era completamente dimenticato e lo aveva anche lasciato nella camicia; non che non ci avesse riflettuto sull’eventualità d’andarci, anzi ci aveva pensato ore intere, ma quella sera aveva i figli a cui badare.

“E questo cos’è?” Cantilenò la donna facendo la finta innocente, spostando gli occhi su di lui. “Un invito ad un secondo appuntamento?”

“No, non è un appuntamento.”

“Non ti credo, neanche un po’,” continuò lei, usando un tono bambinesco che assomigliava tanto a quello di Juliette.


“El, te l’ho già detto, non è un appuntamento. John ci va con dei suoi amici e ha invitato anche me… credo.”

“E tu ci andrai, non è così?” Più che un incoraggiamento e una domanda informativa, sembrava più una minaccia bella e buona. Blaine la guardò per un attimo, pensando a quale sarebbe stata la sua reazione dopo che gli avesse detto la verità.

“No.”

“Su, su, forza! Andiamo.” Disse subito lei, afferrandolo per le spalle e iniziando a camminare dietro di lui, facendo uscire dal bagno.

“Dove?” chiese lui confuso, girando un po’ la testa per poterla vedere in viso.

“A prepararti.” Rispose lei, con il tono più naturale del mondo e Blaine avrebbe voluto sprofondare, perché infondo doveva immaginarselo che sarebbe finita così. 


 


 

 

Tony era più iperattivo del solito mentre apparecchiava la tavola. Aveva uscito il miglior servizio di piatti che aveva a disposizione in casa, visto che aveva da poco abbandonato quella dei suoi genitori per sentirsi un po’ più indipendente e fargli capire quanto fosse maturato.

Aveva indossato i vestiti nuovi comprati la settimana precedente, una comodissima e attillatissima maglietta nera che gli risaltava il fisico muscoloso e asciutto, insieme a un paio di jeans scuri e delle scarpe Prada in nero lucido che erano un ammirabile emblema di elegante sportivo, come il suo outfit.

Andò quasi trotterellando fino alla credenza, prendendo due piatti fondi e due piatti piani, per poi dirigersi al tavolo e sistemarli l’uno di fronte al tavolo. Uscì dalla tasca un accendino e accese la candela che era al centro del ripiano, sorridendo tra sé e sé, tra poco sarebbe arrivato Sebastian.

Per un attimo impallidì, pensando di non essere abbastanza elegante o bello per l’occasione. Si catapulto quasi correndo in bagno, per specchiarsi meglio, facendo anche due giri su se stesso. Poi affermò che, tutto sommato, non era niente male e arrossì leggermente immaginandosi Sebastian fargli un complimento.

Tornò in cucina per controllare il pollo e accertarsi che la pasta fosse quasi pronta e che avesse messo già il sale; non era mai stato bravo in cucina, a dire il vero.  Poi aprì il frigo e ne uscì la bottiglia di vino che aveva comprato proprio per quell’occasione e prese anche l’apri bottiglie. Fu in quel momento che il campanello suonò.

Rabbrividì d’eccitazione e sventolò un pugno in aria in segno di vittoria. Lasciò tutto lì dov’era e si diresse alla porta d’entrata. Guardò dallo spioncino per sicurezza, restando folgorato alla vista dell’uomo; si passò una mano tra i capelli per sistemarli meglio e aprì la porta, mordicchiandosi il labbro inferiore alla vista del ghigno di Sebastian. 


 



 

Blaine entrò nel locale in un po’ titubante, era da tanto che non andava in un locale gay. Ogni tanto ci andava con Sebastian, ma anche quelle volte erano rare, nessuno dei due amava quei luoghi particolarmente. Blaine ricordava ancora l’avance propostagli a lui e suo marito per un “favoloso sesso a tre” per la quale si era pure litigato con Sebastian che l’aveva davvero presa in considerazione.

Si addentrò sempre di più, cercando John con gli occhi, dovendo ammettere a se stesso che il locare era davvero carino nonostante le luci basse e il fumo che gli pizzicava il naso. Essendo parecchio affollato però non riuscì subito ad individuarlo, così fu costretto a farsi due volte il giro del locale, fino a quando una mano con una presa dolce ma decisa lo afferrò per il braccio.

“Blaine!” Lo salutò il biondo, lasciandogli un affettuosa e delicata pacca sulla spalla.

“Ciao, scusa ma non ti avevo visto,”  Rispose subito lui, sorridendo mentre John usciva dalla stretta di amici da cui era adornato.

“Non pensavo saresti venuto,” Aggiunse subito il biondo, “o mi sarei vestito meglio per far colpo su di te,” Continuò facendogli l’occhiolino e Blaine ridacchiò. 

“Ti va se prendiamo una birra e poi ti presento i miei amici?”

“Certo.”


 


 

 

Tony si mordicchiò il labbro guardando verso il salone dove aveva spedito Sebastian dopo averlo fatto entrare in casa, dicendogli d’accomodarsi. Aveva calcolato male il tempo che ci voleva per cucinare il pollo e la pasta, così si trovava in cosa in mezzo all'insalata.

Voleva andare subito dall’altro e cercare di capire per quale motivo quella mattina voleva mettere la parola Fine alla loro relazione, ma sapeva che se l’avesse fatto avrebbe sicuramente bruciato qualcosa e non voleva sembrare ridicolo davanti al suo frequentante.

Continuò a trotterellare per la cucina, cercando posate e qualcosa da offrire come aperitivo e di prendere tempo. Sentì Sebastian accendere la tv e sorridendo iniziò a preparare due bicchieri e qualcosina da sgranocchiare. 



 




 

“Hey, c’è qualcosa che non va?” Gli chiese John, avvicinandosi a lui e sedendosi nello sgabello accanto a lui. “Hai un espressione triste?”

“Cosa? No,” Rispose prontamente Blaine, girandosi un po’ verso di lui e bevendo un lungo sorso di birra. “Sono solo un po’ stanco.”

“Sicuro? Perché se ti annoi ti accompagno a casa.” Propose l’altro, non credendo neanche un po’ alle parole del moro.

“No, no. Mi sto divertendo.” Mentì Blaine, sorridendogli. Ma capì subito che John non gli aveva creduto e infondo, come avrebbe potuto? Era da più di mezz’ora che era seduto lì senza far niente, ancora a rimuginare su Sebastian e al casino di quei giorni.

“Blaine, non sono stupido. Se non ti trovi bene, puoi dirmelo. Non ti sei offeso per la buttata di Lorenzo sulla tua altezza, vero?”

“Oh, dio, no” Lo rassicurò subito, ridacchiando ancora alla battuta pessima che gli aveva fatto il ragazzo. “I tuoi amici sono simpatici. E’ che in questi giorni ho davvero tanti pensieri per la testa, mi dispiace.”

John gli poggiò una mano sulla schiena, sorridendogli per rassicurarlo. “Dispiace a me che non ti diverti. Ti va di ballare, così ti distrai un po’?”

Blaine lo fissò per un attimo, cercando di capire se ci fosse qualche scopo dietro quel sorriso genuino. Rifletté sul da farsi prima di decidere che John avesse ragione: aveva bisogno di distrarsi e ballare non era per niente una brutta idea. Sorrise raggiante e si alzò in piedi, bevendo un altro lungo sorso di birra aspettando che l’altro facesse lo stesso.

Gli sorrise e fece strada, fino ad arrivare alla pista da ballo con il biondo dietro di sé. Si avvicinarono al gruppo di amici del pediatra e si sistemarono l’uno di fronte all’altro, iniziando a ballare e sorridendosi.

 


Non ci volle molto affinché Tony bruciasse ciò che stava cucinando, era bastato soltanto uno sguardo languido da parte di Sebastian, accompagnato a un sorso d’aperitivo.

Era seduto sul tavolino in legno difronte all’altro quando dell’odore di bruciato arrivò a riempirgli le narici, facendolo sussultare a correre svelto in cucina dove trovò del fumo nero condensato davanti al forno e dalle pentole poste sui fornelli. Aprì le finestre e fece cambiare l’aria, passandosi una mano tra i capelli folti e cercando di non pensare all’orrenda figura che aveva fatto con Sebastian.

Quella cena doveva servire a far colpo su di lui, a passare del tempo insieme e fargli capire che non sarebbe stato così male come suo compagno, riuscendo ad essere allo stesso livello di quel Blaine di cui aveva sentito tanto parlare e che non riusciva proprio a sopportare; lo aveva visto una volta, in una foto incorniciata sulla scrivania di Sebastian, che teneva in braccio un fagottino rosa. Lo aveva trovato sexy, era vero, ma nulla di eccezionale e non riusciva a capire cos’avesse di speciale da far cadere tutti gli altri uomini e ragazzi al cospetto di Sebastian, visto che aveva occhi solo per lui.

Tony voleva dimostrargli che anche lui aveva qualcosa di speciale e che, al contrario di Blaine, non lo avrebbe mai trattato in quel modo, nemmeno dopo un tradimento; e invece aveva combinato un pasticcio. Sapeva che Sebastian non aveva un altissima considerazione di lui per via della loro differenza di età e in quel momento non aveva fatto altro che dargli ragione.

Ma, fortunatamente, quando tornò il salone a comunicargli cos’era successo, l’uomo non fece nessun commento acido com’era solito fare e non si dimostrò nemmeno contrariato quando gli propose d’ordinare del cibo da asporto.

Gli sorrise e anche se Sebastian non rispose, Tony non poté non sentirsi felice lo stesso. 

 


 

Blaine rideva. Rideva talmente forte e in un modo talmente divertito, che non si ricordava quando fosse l’ultima volta in cui aveva sentito le guance fargli male come in quel momento. Si teneva addirittura le mani sulla pancia quando non erano troppo impegnate ad asciugare le lacrime sul viso.

Aveva sempre creduto che suo fratello fosse un’idiota egocentrico e invece si ritrovava a ringraziarlo mentre ascoltava John che gli raccontava delle scene bizzarre che aveva vissuto o raccontava barzellette. Per una volta Cooper aveva pensato anche a lui, facendo qualcosa di positivo. Il biondo lo stava facendo divertire come non riusciva nessun’altro, escludendo Sebastian. Finalmente si sentiva la testa libera di ogni pensiero e si sentiva sereno e rilassato. 

Rise ancora una volta alla battuta di John, prima che questi si avvicinasse per sedersi accanto a lui e allontanasse la bottiglia di birra sul tavolo posta poco distante da lui, per poi passarsi una mano sul viso stanco e sorridergli successivamente.

Blaine, essendo sempre stata una persona premurosa, si rizzò subito sullo sgabello, guardandolo preoccupato. Gli poggiò una mano sulla schiena quando lo vide sbadigliare. “Vuoi andare a casa?”

“Vorrei, ma non posso.” Rispose il biondo, nascondendo uno sbadiglio dietro la mano.

“E perché?”

“Non sarebbe giusto nei tuoi confronti, visto che finalmente ti stai divertendo e poi sono in macchina con Daniel.” Disse John, facendo cenno verso il gruppetto dei suoi amici distanti un paio di metri di distanza, da cui Blaine si era allontanato per prendersi da bere.

“Non è un problema se vuoi andare a casa, sono stanco anch’io! Ho la macchina di mio fratello qua fuori, se vuoi ti do un passaggio fino a casa.”


“Sei sicuro di non voler restare?” Chiese il biondo, titubante. Blaine annuì convinto, sorridendogli per rassicurarlo. Era già tardi e non gli dispiaceva tornare a casa. “Allora va bene, però non bere più, voglio tornare nel mio appartamento ancora integro.”

Entrambi risero e John si alzò per andare a salutare i suoi amici e avvertire che se ne stavano andando e Blaine, una volta rimasto solo, non seguì il consiglio dell’altro e si scolò tutta la birra sul bancone. 

 


    

Sebastian ne aveva già fin sopra i capelli e se non fosse che doveva distrarsi in qualche modo per non dare di matto e chiamare Blaine per finire a litigare un’altra volta, se ne sarebbe andato senza battere ciglio. Avrebbe potuto passare la sera in uno dei tanto bar gay della zona, magari uno di quelli sistemati e carini, ma quando aveva accettato quell’invito a cena era fin troppo arrabbiato pure per fermarsi cinque secondi e aspettare; però, dopotutto, non era stata un’idea così cattiva: aveva chi poteva soddisfarlo a portata di mano.

Aveva promesso a se stesso che non sarebbe andato a letto con nessun’altro che non fosse stato Blaine, era vero, ma quella mattina era stato così arrabbiato da dimenticarsene. Adesso era più sereno, anche se sarebbe bastato un minimo a farlo scoppiare un’altra volta.

 Adesso non ricordava nemmeno il motivo per cui aveva accettato quell’invito, ma di sicuro si ricordava le intenzioni che non erano così difficili da capire e ovviamente sapeva che anche Tony da una parte ne era a conoscenza o almeno ci sperava.

Il ragazzo, come chiamato dai suoi pensieri, arrivò in cucina buttando il telefono sull’altro divano, prima di sbuffare piano e sedersi accanto a lui.

“Questa è la seconda volta che li chiamo per sapere che fine hanno fatto e mi ripetono sempre la stessa cosa. Che palle.”

“Cosa ti hanno detto?” Chiese Sebastian, sedendosi meglio sul divano per fargli spazio mentre questi si sedeva a gambe incrociate perso la sua direzione.

“Che è tutto pronto, che il stanno aspettando il fattorino, blablabla, che passa un po’, blablabla, che gli dispiace e via dicendo.”

Sebastian mugugnò qualcosa come risposta, prima di tornare a guardare la partita di Lacrosse che stava guardando sullo schermo. Pochi secondi dopo sentì il momento del moro poggiarsi sulla sua spalla e due occhioni azzurri fissarlo.

Si girò verso di lui e immediatamente sentì due labbra poggiarsi sulle sue per staccarsi pochi istanti dopo con uno schiocco ben  udibile. Quando Tony aprì gli occhi, lo fissò intensamente. Sebastian non ebbene nemmeno il bisogno di percorrere tutto il suo viso per ricordarsi che quello non era Blaine, ma sentì la rabbia montargli dentro comunque.

In quello stesso istante, il ragazzo sembrava imbarazzato, non aveva le guance arrossate, ma era tenero. I suoi occhi facevano trasparire le sue emozioni e i suoi sentimenti. I capelli neri gli ricadevano sulla fronte e quelle labbra socchiuse sembravano pronte a chiedergli scusa, anche se non sapeva bene quale fosse il motivo o cosa avesse fatto di sbagliato.

Semplicemente Sebastian ci vide Blaine un’altra volta. E sentì il bisogno di ferirlo. Di togliergli quel luccichio di vitalità negli occhi. Nella sua mente poco importava che non fosse suo marito o che Tony non gli avesse fatto niente di male. Perché c’era stato quel minimo che lo aveva fatto scoppiare.

“Ti va se saltassimo la cena e arrivassimo subito al dopo?”

E senza aspettare una risposta, Sebastian lo baciò languido, poi con veemenza, fino a farsi fasciare i fianchi con le sue gambe per sollevarlo e portarlo in camera da letto.

 

Perché, alla fine, lo faceva per Blaine. 
    

 


 

John aveva capito appena entrati in macchina che Blaine aveva bevuto qualcos’altro, così aveva insistito per guidare lui, nonostante potesse sembrare da maleducati.

Aveva guidato fino a casa sua continuando a chiacchierare con lui e Blaine non poteva far altro che ridacchiare, leccarsi le labbra e fargli anche qualche avance poco velata.

Arrivati sotto casa, entrambi scesero dalla macchina e si diressero davanti al portone di casa, ma John non lo aprì, come si aspettava Blaine, semplicemente si limitò ad uscire il cellulare dalla tasca del giubbotto e a digitare un numero che l’altro non riuscì a riconoscere per via dell’alcool in circolo all’interno del suo corpo, ma prima che potesse avviare la chiamata, lo interruppe.

“Non mi fai salire?” Chiese biascicando, per poi ridacchiare appena.

“No.” Rispose semplicemente l’altro. Cercò di tornare a prestare attenzione allo schermo del suo cellulare, ma fu interrotto un’altra volta dalla mano di Blaine sulla sua.

“Sai, sei davvero un bell'uomo. Molto affascinante,” continuò languido, avvicinandosi pericolosamente al biondo. “Mi piaci tanto.. ti andrebbe di farmi salire?”

John aprì la bocca per replicare, ma la richiuse insieme agli occhi quando sentì due labbra carnose baciargli il collo. Gemette per la sorpresa e anche per il modo eccitante con un Blaine spostava la bocca. Ci volle un minuto buono per fargli formulare una risposta che non era neanche granché. “Si, a dire il vero mi piacerebbe tantissimo, ma non sali comunque.”

“E perché?” Chiese il moro contro il collo dell’altro, prima di lasciargli un altro bacio umidiccio e morderlo leggermente, mentre gli poggiava una mano sul fondoschiena.

“Basta, basta. Blaine, fermati!” Lo rimproverò il biondo, allontanandogli subito le braccia e bloccandogli le sue per allontanarlo. “Che stai facendo?”

“Ti stavo-“

“Non dicevo in quel senso,” lo corresse John, sempre in tono dolce e comprensivo, facendo vergognare Blaine.

“Beh, io pensavo.. che.. insomma.. ti andasse bene.” Balbettò quest’ultimo, riacquistando un po’ di lucidità.

“Mi andrebbe bene, ma in un’altra situazione. Sei ubriaco, Blaine.”


“Si tratta solo di-“

“Sesso. Appunto. Proprio per questo ti devi fermare.” Gli spiegò John e il moro aspettò che continuasse. “Non voglio essere ipocrita, non dico che non accetterei un semplice rapporto sessuale, ma ti sentiresti in colpa dopo, e non voglio.”

Blaine aprì la bocca per rispondere, ma l’altro parlò di nuovo. “Prima di dire qualsiasi cosa, voglio che tu rifletta su ciò che stavi facendo e se non c’è un motivo per cui non dovremmo continuare, allora ti farò salire a casa mia.”

Restò in silenzio e abbassò lo sguardo. John aveva capito che il motivo per cui si stava comportando in quel modo era per l’alcool mischiato a quello che era successo quella mattina e non lui non riuscì a non sentirsi in colpa. C’era un motivo per cui non poteva salire a casa sua, c’era un motivo per cui non aveva cercato nessuno in quel mesi, c’era un motivo per cui si sarebbe sentito in colpa, o meglio qualcuno.

“Mi dispiace.” Mormorò in fine, ma prima che potesse aggiungere qualcos’altro, il biondo gli aveva già poggiato l’indice sulle labbra, notando che voleva aggiungere qualcosa.

“Non voglio sapere il motivo, non m’interessa.” John spostò la mano, portandola ad accarezzargli uno zigomo. “Chiamo Cooper, non puoi guidare così.”

Blaine annuì e gli sorrise gentile, ringraziandolo per averlo fermato e fatto fare la cosa giusta.

Perché gli aveva fatto capire il motivo per cui negli ultimi mesi non si era trovato nessuno.

E sorrise amaro.

Perché, alla fine, lo aveva fatto per Sebastian.





 



Aww John <3

Sebtony e Blohn <3.. no? LOL 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***






Capitolo 9


 

Grant non vedeva l’ora che Elizabeth tornasse a casa per poterla invitare alla sua partita di Football che si sarebbe svolta la settimana successiva. Era molto orgoglioso di essere stato scelto dall'allenatore, era uno degli attaccanti e voleva che tutti si accorgessero di quanto fosse migliorato da quando aveva varcato per la prima volta la soglia del campo da gioco.

Aveva deciso d’invitare tutti, pure i due papà. Gli andava così. Più semplicemente voleva dimostrare a se stesso di essere un bravo giocatore e che la loro separazione non aveva nulla a che fare con lui e che quindi non aveva avuto nessun calo nello sport.

Ovviamente era tutta una scusa che si ripeteva a se stesso, non vedeva l’ora di vedere la faccia di suo padre illuminarsi e la mascella arrivare al pavimento per poi fargli un complimento distaccato; non che ne avesse bisogno, sapeva di essere fantastico in qualsiasi caso, dopo tutto era un Anderson-Smythe per come gli ripeteva sempre suo padre, ma sperava anche in un semplice e banalissimo: “Anche se il calcio fa schifo, sei migliorato.”

Non gli interessava che gli dicesse: “Sono fiero di te” e tutto il resto. Grant non era fiero di lui, quindi che gli importava?

Per quello c’era Blaine. Lui sicuramente lo avrebbe guardato con gli occhi sognanti per tutta la partita e poi si sarebbe avvicinato per poi abbracciarlo forte, nonostante le sue imprecazioni e poi lo avrebbe baciato sulla guancia blaterando cose come “Sei stato meraviglioso,” “Eri il migliore di tutti,” “Sono così orgoglioso di te! Sei stato fantastico.”

Voleva vedere Juliette indicarlo dall’alto delle scalinate e dire a tutti “Quello è il mio fidanzato,” e che gli chiedesse di spostarlo; anche se erano fratelli. Tanto poi gli avrebbe detto di no perché papà Sebastian si sarebbe ingelosito troppo.

La persona che voleva far felice era Elizabeth. Se lo meritava, lo stava aiutando molto da quando ebbero la famosa chiacchierata al parco; gli stava insegnando molte cose sul mondo degli adulti e su come andassero davvero le cose. Avrebbe voluto fossero stati i suoi papà a farlo, ma in quel momento non li riteneva all’altezza visto come si stavano comportando e così si era imposto categoricamente di non chiedere aiuto a loro. Sapeva che era l’orgoglio a parlare, ma si era promesso che quando se lo sarebbero meritati, avrebbe iniziato a parlarne anche con loro.

Per il momento Elizabeth gli andava più che bene, quindi era lei l’invitata d’onore. Sperava che almeno per un giorno si potesse rilassare. Da quando i suoi genitori avevano preso la decisione di divorziare, insieme a loro c’era andata di mezzo anche lei, dovendosi sopportare i lunghi monologhi di Blaine, fare la babysitter ventiquattro ore su ventiquattro, non poter stare tranquillamente con Cooper e dovendo rinunciare a moltissime e semplicissime cose che prima era abituata a fare.

Grant, inoltre aveva anche notato che il suo nervosismo era peggiorato drasticamente negli ultimi giorni, lei diceva che era a causa di un nuovo incarico lavorativo, ma lui l’aveva vista nascondere nella borsa due riviste da sposa; non si fermò molto a riflettere, il suo cervello fece due più due da solo.

Grant venne risvegliato dai suoi pensieri quando la porta di casa dello zio Cooper venne aperta e richiusa con un colpo sordo. Sentì un paio di tacchi camminare sul parquet e non ci volle molto per capire che era proprio Elizabeth a essere tornata a casa.  

Si alzò in piedi dal pavimento su cui era comodamente sdraiato, ma prima che potesse avvicinarsi e raggiungere la donna, Cooper  uscì dalla cucina, facendogli passare un braccio alla vita e spingerla a se per baciarla con passione, sorprendendola.

Grant trattenne a stento il vomito.

Spostò lo sguardo, facendolo cadere sul pavimento per ammirare i graffi sul legno, notando che erano molto più numerosi di quando lui, suo padre e Juliette erano andati a vivere con loro. Capì che i due adulti si erano staccati, grazie a uno schiocco, così ritornò a guardarli e vide la sorella posta dietro di loro che li guardava come le donne guardano un anello di diamanti.

“Ho un provino tra due giorni e devo ancora imparare le ultime battute, mi aiuti?” le chiese speranzoso Cooper, lasciandole un altro bacio a fior di labbra.

Lei si allontanò leggermente, passandosi una mano sul viso stanco. “Va bene.” Gli concesse in fine, alzando una gamba per levarsi in malo modo le scarpe e Cooper la afferrò dai fianchi per darle equilibrio e non farla cadere.

“El, stai bene?” Chiese lui preoccupato, togliendole la borsa e le scarpe dalle mani.

“Si, ho soltanto un po’ di mal di testa.” Lo liquidò, prima di avvicinarsi a Juliette e chinarsi leggermente per lasciarle un bacino sulla fronte “prendo un’aspirina e poi passa.”

“Vado a prendertela io!” Propose subito Grant, sentendosi angosciato dentro per qualche strano motivo nel vederla così. “Tu siediti sul divano.”

“Si, zia, vieni!” Disse la bambina, prendendola per una mano e trascinandola con sé.

Grant andò in cucina e aprì lo sportello delle medicine per prendere una pillola effervescente . Prese un bicchiere pulito vicino al lavandino e lo riempì d’acqua prima di tornare in cucina e darlo alla donna, per poi sedersi sul pavimento  a gambe incrociate, facendo scivolare lo sguardo tra i tre seduti sul divano, cercando di capire di cosa stessero parlando i due adulti.

“…certo che è stato Blaine con i suoi monologhi.”

“Ancora su Sebastian?”

“Insomma, diciamo che adesso ha un po’ cambiato repertorio. Parla anche un po’ di John.”

Grant si morse il labbro per non interromperli con un’imprecazione. Entrambi sembravano non fare caso a lui e alla sorellina mentre parlavano e lui stava ricevendo troppe informazioni succulente per farne a meno.

“Com’è finita l’altra sera?”

“E’ questo il punto!” Rispose lei, prima di prendere un sorso dal bicchiere. “Non hanno fatto niente” rimarcò l’ultima parola con disgusto e Grant rabbrividì al solo pensiero di suo padre potesse fare quel genere di cose.  “Ma non è questo il problema. Sarebbe stato fin troppo semplice, quindi no. Quando gli ho chiesto perché non è salito a casa sua, sai cosa mi ha risposto?”

Grant, Cooper e Juliette scossero la testa con la bocca aperta e totalmente presi dal racconto.

L’ho fatto per Sebastian. Questa è stata la sua risposta! L’ha fatto per Sebastian! Anzi, non l’ha fatto per Sebastian. Che risposta è?”

“Beh-“ Iniziò Cooper, ma lei lo interruppe.

“Io non capisco niente! Vuole divorziare da lui, ma poi non fa assolutamente niente perché pensa a lui. Perché lo ama.” Elizabeth disse le sue parole facendo il verso a Blaine, prima di poggiare il bicchiere ancora pieno sul tavolino e continuare a parlare. “Capisco che lo ama, però a me scoppia la testa! Ho pensato a lui e non ho potuto farlo, andare a letto con John sarebbe stato solo un modo per vendicarmi di Sebastian o per ferirlo. Non me la sono sentita.” Continuò ancora, citando le testuali parole dell’amico.

“Ma è fantastico!” dissero in coro gli altri tre.

“Si ma il mal di testa viene a me!” li rimproverò lei, prima di riafferrare il bicchiere e bere tutto in un sorso per poi fare una faccia schifata. “Ci serve qualcosa per farli stare da soli.”

“Ancora?” Chiese Cooper, sconsolato.

“Tutto quello che abbiamo già fatto non è bastato?” Continuò Grant e lei scosse la testa.

“Sono più cocciuti e cretini di quanto credessimo.”

“Ma hanno dormito pure insieme! Mi stavano pure per schiacciare!” Ribadì la piccola, chiedendosi mentalmente come fosse possibile.

“Non è bastato nemmeno John?” Chiese sconsolato Grant, sperando che a qualcuno venisse un colpo di genio, magari uno di quelli acuti che riuscisse a far risolvere tutti i problemi.

“Sei sicura che una volta rimasti soli, si risolverà tutto?”

“Si! Blaine ha praticamente ceduto, anche se non lo sa ancora.”

Tutti e quattro sorrisero e Juliette batté anche le manine. Scese il silenzio nella stanza, ognuno troppo preso a pensare a un modo per far restare soli i due adulti facendolo apparire come una cosa casuale. Ma mentre pensava, la mente di Grant tornò alla partita di calcio a cui non aveva ancora invitato Elizabeth.

La partita di calcio.

Doveva comprare i biglietti per la partita di calcio, visto che erano a pagamento per finanziare l’eventuale trasferta della squadra.

Erano a pagamento e lui non li aveva ancora comprati.

Erano a pagamento, lui non li aveva ancora comprati e poteva scegliere quelli che voleva.

Erano a pagamento, lui non li aveva ancora comprati, poteva scegliere quelli che voleva mettendo vicino chi voleva.

E lui voleva mettere vicino Blaine e Sebastian.

“Io un modo ce l’ho.” E tutti gli diedero l’attenzione che meritava. 

 


 

 

Blaine scrutò attentamente il figlio, chiedendosi se stesse per fare la scelta giusta.

Ma non sul completino che stava indossando per scegliere quella taglia a un’altra più grande, che tra l’altro era l’unico motivo per cui era lì, ma era indeciso se comunicargli la sua decisione o meno.

“Papà, penso che questa misura mi stia bene, che ne dici?”

“Humm-humm.”Rispose senza nemmeno pensarci, troppo immerso a pensare a qualcos’altro.

“Sarebbe un sì o un no?” Gli domando il figlio, spazientito, che rifece un giro su se stesso poco convinto.

“Non lo so...” Rispose Blaine, ancora vago con tono assente.

“Papà sei gay! Aiutare le persone a scegliere i vestiti adatti, dando un parere distaccato, è il tuo mestiere per natura.”

Il moro lo guardò facendo una smorfia di confusione, non sapendo da dove uscisse quel commento senza senso e offensivo. Forse era l’agitazione per la partita, o forse era solo il DNA Smythe a parlare per lui. Comunque non rispose, si limitò a rimproverarlo con lo sguardo e lui rientrò nel camerino con un ghigno e l’aria trionfante.

Blaine scosse la testa, cercando di trattenere un sorriso. Guardò intensamente la tenda dietro cui era sparito il figlio, come se volesse vederci attraverso, anche se in realtà la fissava senza nemmeno vederla. Decise che gli avrebbe parlato, non gli avrebbe detto la sua decisione, ma soltanto che il prima possibile dovevano fare una chiacchierata di famiglia, magari parlando con tono rassicurante, tanto per fargli capire che non c’era nulla di cui aver paura. Perché infondo, non ce n’era, no?

“…Mi stai ascoltando?”

Blaine sobbalzò alla domanda del figlio. Non si era accorto che era uscito dal camerino. “Si, dicevi?”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, prima d’imprecare sottovoce. “Mi sta meglio questa misura? E’ quella più grande.”

Il genitore lo guardò un attimo, tentando di ricordare la taglia precedente. “Prendiamo questa, l’altra era troppo precisa.”

Grant fece cenno di sì con la testa, prima di rientrare nel camerino. Stava per tirare di nuovo la tenda e sparirci dietro quando si voltò verso di lui a guardarlo, facendo sgretolare tutte le speranze di Blaine sul fatto che non si fosse accorto di niente.

“Che mi devi dire?” Gli chiese, dopo un lungo istante nel quale si fissarono negli occhi.

“I-io..” Blaine boccheggiò un attimo, non sapendo cosa rispondere. Possibile che tutti lo riuscivano a capire anche solo con uno sguardo? Evidentemente sì.

Sbuffò sconsolato. “Io e tuo padre dobbiamo parlarvi, a te e a tua sorella.”

Silenzio.

“Non è nulla di grave, riguarda il nostro divorzio.”

Grant lo fissò e quegli occhi gli diedero un brivido lungo tutta la schiena. Erano dello stesso verde di Sebastian, avevano la stessa forma degli occhi di Sebastian. E come quelle di Sebastian, quelle iridi lo guardavano incolore, senza emozione, fiero anche se quelle parole lo stavano facendo sentire male dentro.

“Volete separare anche me e Juliette, non è vero?”

Adesso era Blaine a rimanere in silenzio.

“Papà me l’ha già detto. Non ti preoccupare, non m’importa.”

“Sebastian te l’ha già detto?” Chiese Blaine con gli occhi sbarrati.

“Si, ma non è un problema. Fa’ come credi.” Detto questo, Grant chiuse la tenda, sparendo dietro il camerino e la cosa incuriosì molto il moro.

Si era aspettato qualche imprecazione, una sceneggiata, un insulto di rabbia, un qualcosa che gli facesse capire che stava facendo la scelta sbagliata e invece non ricevette niente, solo un tono menefreghista e il totale disinteresse. Aveva sentito la sua voce inclinarsi leggermente, ma era per la sorpresa di sentirselo dire un’altra volta, probabilmente.

Blaine era confuso più che altro. E in quel momento anche abbastanza infastidito, visto che Sebastian ne aveva parlato con il figlio senza aspettarlo. Si morse il labbro, sentendo la rabbia salire.

Pochi minuti dopo, Grant uscì dal camerino vestito di tutto punto come quando erano entrati nel negozio, la mano destra con le nocche arrossate, ma Blaine fece finta di non notarle. Si diressero alla cassa dove una commessa giovane gli sorrise cordiale mentre il ragazzo le porgeva il completino.

“Tu vieni a vedermi, vero, papà?” Chiese con nonchalance Grant, continuando a guardare la commessa che prendeva il codice a barre sull’etichetta.

“Certo che vengo! Non mi perderei mai una tua partita, per nulla al mondo.”

Un ghigno gli delineò le labbra e Grant  sperò soltanto che in quel nulla, ci fosse compreso anche suo padre.

 



 

Sentì Sebastian arrivare a casa e immediatamente si scostò le coperte di dosso e spense la televisione, si alzò in piedi e cercando di fare meno rumore possibile cercò di rifare il letto matrimoniale su cui, fino a pochi secondi prima, era comodamente rintanato sotto al piumone.

Fece il più in fretta possibile, ma, purtroppo, il padre andrò nella camera aprendo la porta di scatto senza troppe cerimonie, cogliendolo in fragrante.

Grant avrebbe voluto scomparire.

“Ah, sei qui.” Esordì Sebastian, poi guardandolo meglio scoppiò a ridere. “Che stavi facendo?”

“Niente,” borbottò lui irritato, lasciando andare le coperte con poca grazia e cercando le ciabatte.

“Niente? Grant, non prendermi in giro.” Lo rimproverò secco il padre. “Mi spieghi perché hai addosso il pigiama di tuo padre e mi stai rifacendo il letto?”

“Ti stavo mettendo l’orticaria tra le lenzuola, contento?” Ribatté lui acido.

“Ma davvero? E di grazia, mi spiegheresti perché hai il pigiama di tuo padre, adesso?” Domandò tagliente Sebastian, con un ghigno compiaciuto in volto.

“Per farti sentire in colpa.”

Silenzio.

Il silenzio più totale cadde nella stanza. Entrambi con gli occhi bassi che evitavano ogni singolo contatto. Grant non sapeva nemmeno perché glielo aveva detto. Era pure una bugia; l’unico motivo per cui aveva indosso il pigiama di Blaine era perché l’aveva trovato sopra al letto e lo aveva indossato soltanto per vedere se ormai prendevano la stessa taglia o era ancora troppo piccolo. Insomma, tutti i suoi coetanei lo facevano e alla sua età era pure plausibile. I pantaloni gli stavano un po’ corti dalle caviglie, di conseguenza poteva prendere in giro suo padre quanto voleva. Non era mica un reato.

Ma, con tutto quello, la frase che aveva pronunciato non c’entrava niente. Ormai era talmente abituato ad attaccare Sebastian, che alla minima cosa scattava. Che poi, a dirla tutta, non aveva mica torto. Una parte di lui voleva davvero che suo padre si sentisse tale.

La cosa che però lo sconvolse di più, fu la reazione di quest’ultimo. Solitamente lo rimproverava, gli diceva di dovergli portare rispetto, che era suo padre e poi finivano per litigare; invece quella volta non fece niente di tutto questo. Semplicemente la sua faccia si trasformò in una maschera indecifrabile, non facendo capire se fosse arrabbiato, divertito, amareggiato o altro.

Solamente, l’uomo camminò fino al letto come uno zombi, facendo sgranare gli occhi al figlio, ma senza badarci troppo; sistemò il piumone e si ci sedette sopra.

Grant non ebbe il coraggio di fiatare.

Sebastian si tolse le scarpe prima di stendersi supino e guardare il soffitto. Grant non disse una parola.

Dopo quasi un minuto che sembrò non trascorrere mai, il padre gli fece cenno con la mano di stendersi accanto a lui nel materasso.

Grant non si mosse.

“Papà?” Lo chiamò dopo un lunghissimo minuto di silenzio, che sembrava opprimerlo come se ci fosse un sacco di duecento chili sopra la sua testa.

Chi l’avrebbe mai detto, che quello a sentirsi in colpa, il quel momento era lui?

“Chiamami Sebastian...” Sussurrò flebilmente l’uomo, facendogli di nuovo cenno con la mano di stendersi accanto a lui e Grant capì.

Non era nulla di grave, sicuramente stava solo avendo un infarto.

“Papà stai bene? Perché se devi andare all’ospedale, io non ti ci porto.”

Sebastian rise amaro, facendo preoccupare seriamente il figlio.

“Stavo scherzando, ok? All’ospedale ti ci porto.” Disse avvicinandosi a lui, per poi fermarsi accanto a letto. “E non voglio nemmeno che ti senta in colpa, ok? Tanto è successo tanto tempo fa, chi se ne frega. Se vuoi tolgo pure il pigiama.” Avrebbe voluto dire che gli dispiaceva, ma il suo orgoglio non glielo permise, così portò per un imbarazzante: “Chiamo l’ambulanza?”

“Grant, sto bene. Mi stai sembrando l’amica di tuo padre, Elizabeth. Sono solo stanco per il lavoro.”

Lui sapeva che stava mentendo, prima che lo vedesse e dicesse quelle parole sembrava ok, adesso, invece, sembrava Ko. Senza che Sebastian glielo chiedesse di nuovo, Grant salì sul letto di sua spontanea volontà, sdraiandosi accanto al padre ma restando sempre un po’ distante.

Dopo qualche minuto, dove l’unico rumore furono i loro respiri regolari, sentì il padre iniziare a giocherellare con la maglia che indossava, prendendo un lembo di stoffa e facendoselo passare tra le dita, prima di stringerlo forte e poi lasciarlo andare, per poi ricominciare dall’inizio. Capì subito che stava pensando al marito, ma non disse niente, rimase in silenzio, perché era così che parlava suo padre con lui, con il silenzio.

Poi lo sentì tirare forte su col naso e allora la sua testa scattò in alto, per guardarlo meglio. Non poteva piangere, insomma, era suo padre, Cuore-di-pietra e poi non c’era nemmeno un motivo. Ma se lo doveva aspettare infondo; Sebastian non stava piangendo, anche se aveva gli occhi arrossati, un volto incolore e le narici dilatate per respirare a fondo.

Si sentì il cuore pensante, nonostante avesse voluto per tanto tempo vederlo in questo stato o magari che piangesse disperato.  
Istintivamente, il suo cervello, gli suggerì di sollevargli il morale; anche se infondo non se lo meritava. Così decise d’invitarlo alla partita, forse si sarebbe arrabbiato, ma almeno poteva dire l’averci provato.

“Papà?”

“Sebastian.” Lo corresse lui, un po’ irritato e Grant si sentì più confuso che mai.

Prima perché lo chiamava per nome perché non lo credeva degno di essere chiamato papà, si lamentava e adesso che se lo meritava, non voleva più? Chi lo riusciva a capire, era proprio bravo.

Ma di certo, Grant non poteva sapere che suo padre non se lo meritava affatto.

Sebastian,” Ripeté lui, chiamandolo all’attenzione e il padre si volto.

“Questo fine settimana ho la prima partita importante di Football. Farò l’attaccante, è un ruolo importante e mi farebbe piacere se venissi a vedermi. So che non ti piace e che volevi facessi Lacrosse, però, boh, fa come vuoi. Se non vuoi venire fa niente.”

Sebastian lo guardò per un attimo e Grant credette che stesse per mandarlo a quel paese o scoppiargli a ridere in faccia.

“Anche se mi annoierò a morte, verrò a vedere il mio campione battere gli avversari.” Poi Sebastian alzò un pugno, lasciandolo a mezzaria e lui ci sbatté contro il suo, sorridendo nel gesto.

“Mi dispiace.”

 “Vado a prendere il termometro.”  Disse in fine Grant, stufo di non capirlo neanche un po’, quel giorno.  Ma di una cosa era sicuro:Sebastian Stava delirando.  






 


Tranquilli, non siete voi a delirare è proprio il capitolo ad essere così! Se avete letto il precedente allora capirete il comportamento di Sebastian sennò.. beh non vi viene male a capire se saltate i capitoli?! LOL 
 
E quindi, so che questo capitolo forse non era quello che vi aspettavate perché i Seblaine neanche si vedono, ma questo serviva perché nel prossimo ci sarà *rullo di tamburi*  La Partita LALALALA. E basta, non vi voglio dire più niente.
 
Spero tanto vi sia piaciuto, un bacione!
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




Capitolo 10

 

Sebastian non ce la poteva fare, lo sapeva.

Lo sapeva da quando aveva aperto gli occhi quella mattina e il pensiero della partita lo colpì in faccia come il ceffone che si meritava. Perché aveva sbagliato un’ altra volta, e lui poteva pur aver ripreso il suo voto di castità o come poteva definirsi quel compromesso che aveva fatto con se stesso, visto che continuava a toccarsi e a fantasticare su suo marito, come un quindicenne o come Grant.

Grant.

 Alla partita ci andava per lui, il football non gli era mai interessato, neanche un po’. Proprio come di Kurt Hummel mentre ci provava spudoratamente con Blaine, come quando erano ancora adolescenti, non esisteva. Ma suo figlio sì e, anche se non l’avrebbe ammesso molto facilmente, soprattutto con il suddetto, ci teneva a vederlo in campo con il suo completino bianco con dietro la scritta “Anderson-Smythe.”

Anderson-Smythe e pensandoci su, per un istante, Sebastian avrebbe voluto che sula schiena del figlio ci fosse scritto solo il cognome di Blaine.

Blaine.

Tutti i suoi dubbi, pensieri e sensi di colpa, erano scattati in lui quando realizzò di doverlo incontrare. Ma il tipo di ansia che lo assaliva mentre si dirigeva al palazzetto dello sport, era diverso dal solito che gli prendeva quando solitamente doveva incontrarlo. A dir la verità, Sebastian non era mai ansioso di dover vedere Blaine; perché lui era confortante, era suo marito, sapeva di casa ed era il suo amore più grande. Per lui non c’era differenza tra i suoi figli e Blaine, li amava tutti e tre con la stessa intensità, solo con modi e manifestazioni differenti.

Era stato ansioso d’incontrarlo soltanto al Municipio, il giorno del loro matrimonio. Ma anche lì era stato diverso; sapeva di poterlo baciare se ne avesse avuto voglia, che lui aveva le sue stesse paure e il suo stesso panico, che si amavano e che, in verità, erano solo agitati perché erano stati distanti per giorni e non soltanto il giorno prima come era solito fare, nonostante entrambi avessero fatto notare che erano due uomini e non c’era nessuna sposa. Quella volta era ansioso e non voleva far altro che incontrare Blaine.

Questa volta, se avesse potuto, sarebbe scappato a milioni di anni di distanza solo per non vederlo. Non vedere i suoi occhi ambrati, i suoi capelli impacchettati nel gel, le sue labbra carnose che si sarebbero, inevitabilmente, incurvate in un sorriso, almeno una volta.

E Sebastian non ne sarebbe uscito vivo. Non sarebbe riuscito a farcela, a smettere di sentirsi in colpa, a poterlo guardare in quegli occhi cangianti.

Si era sentito soltanto un’altra volta in quel modo in tutta la sua vita ed era stato per lo stesso motivo.

E non poteva far altro che sentirsi in colpa, sporco, ingrato.  

Aveva agito d’impulso, quel giorno e anche con Tony. Entrambe le volte l’aveva fatto per ferirlo, per ferirsi; non sapendo che quello che ne usciva peggio, era sempre lui. Blaine aveva tutti: Cooper, Elizabeth, Grant, Juliette, Riccioli d’oro, Louis, Margaret, tutti i suoi colleghi di lavoro di cui non si ricordava mai i nomi, i suoi studenti della NYADA che lo reputavano un’insegnate fantastico. Blaine aveva persino lui, sempre e comunque. Anche dopo avergli chiesto il divorzio c’era stato per lui. Anche dopo l’ultima trovata di far separare i figli perché l’avvocato diceva di sì.

Quello che c’era uscito peggio di tutti, anche se non lo sapeva, era lui. Gli erano rimasti i suoi genitori, Juliette e Grant quando gli girava. Amici di lavoro non ne aveva, o comunque non erano così stretti da poterli definire così; aveva un brutto carattere, era risaputo, e quello incideva molto. Gli era rimasto Hunter, ma di certo non era uno su cui poter fare affidamento. A Sebastian non importava di chi era rimasto, ma di chi non era rimasto.

Blaine. Insieme a lui. Insieme a Blaine, aveva perso anche se stesso.

Quel pensiero gli fece venir voglia di rimanere seduto sul sedile della sua auto e non alzarsi mai più, ma poi i suoi occhi caddero sull'orologio che aveva al polso, facendogli notare che era pure il leggero ritardo. Non si preoccupò, perché sapeva che nel calcio si diceva un orario e poi non si rispettava mai, così prese un respiro profondo, si guardò allo specchio per preparare la sua faccia più allegra e rilassata allo stesso tempo e si fece pure l’occhiolino prima d’uscire dalla macchina, ignorando il voler rompere lo specchio retrovisore con un pugno ben assestato.

Scese dalla macchina e percorse il parcheggio, per poi entrare e salire le scale. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni e uscì il biglietto della partita che gli aveva dato Grant il giorno precedente. Per qualche motivo sorrise, poi si diresse verso gli spalti e, senza pensarci, iniziò a cercare il suo posto sperando che per qualche rancore da parte del figlio, di cui lui non ne era a conoscenza, l’avesse sbarcato da qualche parte completamente opposta a quella di Blaine.

Ma capì di non essere stato così fortunato circa due minuti dopo quando, camminando come un idiota con il viso basso per controllare il numero dei posti, vide Juliette con gli zii e il padre che chiacchieravano animatamente tra di loro.

Sebastian prese un altro respiro profondo e prima di poter fare qualsiasi altra cosa, iniziò a camminare verso di loro con passo deciso. Appena arrivato lì, Juliette staccò la presa dalla mano dello zio per catapultarsi verso di lui e senza esitazione, Sebastian si chinò sui polpacci, per accoglierla tra le sue braccia.

“Ciao papà!” lo salutò, lasciandogli un bacino sulla guancia. “Mi sei mancato tanto, tanto!”

“Sono solo due giorni che non ci vediamo.” Gli fece notare lui, con un sopracciglio alzato, ma con tono più che divertito.

“Si, però mi sei mancato lo stesso.” Miagolò lei, stringendosi nelle spalle, mentre le sue guance di tingevano leggermente. Guance che diventarono rosso fuoco nel momento esatto in cui Sebastian gli lasciò un tenero bacio di sfuggita sulle labbra. Lei si ammutolì del tutto e lui non si prese nemmeno la briga di camuffare la sua risata con un leggero colpo di tosse.

Juliette, per rimediare al momento imbarazzante, lo afferrò per una mano, facendolo costringere ad alzarsi e lo trascinò accanto agli altri.

“Guardate chi è venuto!” Annunciò lei, felicissima e Sebastian salutò Elizabeth e Cooper con la mano, mentre fece semplice cenno con la testa a Blaine.

“Ciao Sebastian!” Lo salutò quest’ultimo, sorridendogli allegramente. Con uno di quei sorrisi belli, sinceri, capace d’illuminare intere giornate e Sebastian non avrebbe voluto far altro che scomparire.

“Ciao Blaine.” Rispose semplicemente, guardandolo soltanto il tempo di dire quelle due parole, prima di tornare a parlare con la figlia che sembrava non poter più contenere la gioia che provava.

Restarono così per almeno dieci minuti buoni, Cooper, Elizabeth e Blaine che parlavano tra di loro e Sebastian che rideva e scherzava con Juliette, sentendo sempre due occhi color caramello addosso, anche se cercava di non pensarci. Poi, il comizio terminò nel momento esatto in cui le due squadre entrarono in campo.

“Noi andiamo,” li salutò Cooper, prendendo per mano la nipote. “Ci vediamo più tardi.”

“Cosa?” Chiesero gli altri due uomini all’unisono, sbarrando gli occhi.

“I nostri posti sono di là e la partita sta per cominciare.” Chiarì Elizabeth, prima di prendere l’altra mano della nipote e iniziare a camminare prima che i due potessero anche solo dire “State scherzando?” che se n’erano già andati; anche se Sebastian avrebbe giurato di vedergli fare un occhiolino a Blaine.

Decise di non soffermarsi ulteriormente a pensarci e si sedette accanto al moro, evitandolo. Rimasero entrambi in silenzio, anche se dopo qualche minuto, Sebastian sentì gli occhi dell’altro addosso e istintivamente si girò a guardarlo. Lo trovò con un sorriso genuino in volto, gli occhi brillanti in cui si poteva leggere tutta la sua felicità.

Sebastian non riuscì a non sorridergli di rimando e sentirsi in colpa subito dopo.

Stavano per cominciare a chiacchierare, ma poi l’arbitro diede il fischio d’inizio ed entrambi si concentrarono sul campo da gioco.
 
 

 


Sebastian non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma il calcio non era poi così male.

O forse si sentiva solo troppo fiero di suo figlio che aveva già segnato un goal, chi poteva dirlo?

Erano a quasi metà del primo tempo e già erano due a zero per la squadra di Grant e la felicità, Sebastian poteva sentirla nell’aria. Eppure lui non riusciva a esserlo totalmente.

Avrebbe voluto potersi godere a fondo quel momento, poter dire di essere totalmente felice, e invece non poteva. Perché aveva Blaine vicino e si sentiva in colpa.

Era bello e perfetto, era esaltato e fiero di tutto quello. Aveva un sorriso a trentadue denti che Sebastian non faceva altro che fissare quando lui non se ne accorgeva.

Blaine era felice come non lo era da molto tempo e lui si sentiva sporco, perché l’aveva voluto ferire, anche se ancora lui non ne era a conoscenza. L’aveva fatto di proposito, per ripicca a quel bagliore nei suoi occhi caldi ed espressivi; aveva voluto ferire un essere così perfetto e si fece schifo da solo.
 
 

 



La partita ormai stava per svolgere al termine.

Le cose si erano riprese per le due squadra avversaria, stavano ormai due a due, ma non era un problema, anche la se la tensione era palpabile, perché Grant e i suoi amici stavano giocando bene. Perlomeno era quello che credeva Sebastian, visto che di football non ne capiva.

Si limitava a tenere gli occhi sul figlio, sulla palla e su Blaine.

Era lì che aveva gli occhi da più di cinque minuti abbondanti e fortunatamente il moro non sembrava essersene accorto.

Ad un certo punto, vide il suo volto illuminarsi ancora di più di quanto non fosse e portarsi una mano alla bocca, stupito ed eccitato, guardando il campo. Istintivamente si girò a guardare, vedendo Grant correre con la palla al piede. In quel momento si dimenticò di Blaine, di averlo accanto e concentrò l’attenzione sul figlio, seguendolo con gli occhi mentre sfrecciava con la palla al piede.

Si sentì così fiero di lui.

Grant passò la palla a un altro giocatore, facendola passare proprio accanto a uno della squadra avversaria, per poi continuare a correre fino a raggiungere quasi la porta avversaria. L’altro giocatore in completino bianco, passò la palla a un altro che era libero e senza altri giocatori vicino. Questi iniziò a correre, ma quando si trovò una schiera di altri giocatori dell’altra squadra, si ritrovò spiazzato e con un gesto repentino la passo di nuovo al giovane Anderson-Smythe.

E fu in quel momento che Sebastian smise di guardare la partita, perché Blaine gli aveva appena stretto la mano, intrecciando le dita. Forse era troppo preso dal gioco o forse lo aveva fatto volontariamente, ma qualsiasi fosse la causa, non gli importava perché il suo cuore in quel momento fece una capriola all’indietro, per poi cominciare a battere forte nel petto.

Rimase lì a guardare le loro mani, sorridendo. Erano così belle.

D’un tratto, il moro si alzò in piedi, iniziando a urlare insieme alla platea e Sebastian fece lo stesso, dimenticandosi delle loro dita intrecciate quando capì che a segnare era stato suo figlio.

“Vai, Grant!” Urlò Blaine con tutto il fiato che aveva in corpo, ma anche se il ragazzo non lo sentì, continuò ad urlare di felicità, facendo sorridere compiaciuto Sebastian.

“Sebastian?” Lo chiamò dopo un po’ il moro, prima di risedersi. Lui si voltò a guardarlo. “Ti va se dopo andiamo a festeggiare insieme?”

In quel momento il cuore di Sebastian, si fermò per un attimo.

 

 

 
 
Si dice che non si capisce di essere felici, fin quando la felicità non la si perde.

Ma non è vero. Quando si è felici lo si capisce subito, si sorride senza un motivo, si ci sente pieni di vita e si ha continuamente voglia di fare qualcosa perché si è pieni di energia; si ha voglia di correre, saltare e gridare, rimanendo sempre vicino a ciò che ci rende così.

In un secondo la vita diventa bella e meravigliosa, tutto sembra sorriderci, sembra che tutto giri nel verso giusto e si dimentica persino il morivo per cui si è stati tristi per tanto tempo.

E’ un po’ come se il nostro cervello si staccasse dalla realtà e ci catapultasse in un universo parallelo, dove tutto è splendente, pieno di colori, di magia e musica perfino; si, perché quando si è felici di solito si ha sempre una di quelle fastidiosissime canzoncine in testa, magari proprio una delle pubblicità dei cereali.

Quando si è in questo stato, si tende a perdonare tutti, a non portare più rancore verso nessun altro e a sentirsi soddisfatti dentro perché il bianco e il nero scompaiono, ritornando dar posto ai colori.

Dopo un periodo triste, i colori sembrano essere più brillanti.

Il blu è più brillante, il giallo, il rosso, il viola, l’azzurro, il marrone.

Il verde è più brillante.

E Blaine in quel momento non poteva far altro che abbagliarsi gli occhi di quel colore senza voler mettere gli occhiali da sole, perché non era una stella a rendere le iridi di Sebastian di quel verde così intenso, ma era la felicità che aveva dentro in quel momento, mentre lo guardava ridere con i suoi figli e i cognati, seduto difronte a lui.

La partita era finita da poco meno di un’ora e subito dopo erano andati a festeggiare la vittoria in quel locale per famiglie. Gli schiamazzi degli altri ragazzi della sala riempivano le orecchie di Blaine, permettendogli di capire davvero poco di ciò che stava raccontando il fratello, ma non gli importava, perché riusciva benissimo a sentire la risata di Sebastian e non c’era nient’altro che volesse sentire al momento.

Alla fine aveva ceduto.

Aveva deciso di andare oltre e di dare un’altra delle sue possibilità a Sebastian; perché lo amava e gli stava dimostrando di meritarselo, infondo, tra una litigata e l’altra.

“Papy, mi compri il gelato?” Blaine venne bruscamente riportato alla realtà dalla voce di Juliette che aveva pure preso a strattonargli la manica della camicia, visto che non le dava le giuste attenzioni. “Papy?”

“Tesoro, non vedi che papà è troppo occupato a fare la faccia da pesce lesso per ascoltarti?” la rimproverò dolcemente Elizabeth, afferrandola per il braccio per avvicinarla a sé. “Dopo andiamo a prendere il gelato, per il momento stai qui.”

“Non ho la faccia da pesce lesso.” Controbatté lui, cercando di difendersi.

“Ma se è da tre ore che fissi Sebastian come un cretino.”  lo canzonò Cooper, prima di scambiarsi uno sguardo complice con la donna, mentre l’uomo in questione deglutì in maniera appena percettibile.

Blaine guardò torvo il fratello, ma si limitò a restare in silenzio, maledicendosi per essere stato scoperto. Ma alla fine che importava? Il suo mondo era di nuovo a colori e quelli di Sebastian gli erano mancati così tanto, che non poteva far a meno di fissarli per impregnarsi le giuste tonalità nella memoria.

Perché era felice e non gli importava, voleva soltanto poter comunicare quella notizia al marito per poi sperare in una risposta che concordasse alla sua decisione intrecciando le dita dietro la schiena. Voleva potergli dire tutto e che i colori restassero brillanti per sempre. Voleva tornare a dormire nel suo letto con Sebastian, magari con Juliette che ogni tanto si intrufolava dentro per avere un po’ di coccole in più.

“Zio CoopCoop, andiamo a prendere il gelato?” provò la bambina con lo zio, attaccandosi al suo fianco e guardandolo con occhioni adoranti.

“Va bene, ma soltanto se posso interpretare uno dei personaggi-“

“Zio, fa come vuoi. Andate a prendere il gelato.” lo interruppe Grant, dicendo le ultime quattro parole con tono eloquente, prima di scambiarsi un occhiata con Elizabeth e poi tornare a guardare lo zio che lo guardava con un sopracciglio alzato, alquanto confuso.

“Zio... Andate, Juliette vuole il gelato.” Continuò il ragazzo, indicando il bancone con la testa quando disse il primo verbo.

Aaaaah! Il gelato. Certo, andiamo principessa.” disse ad un tratto Cooper, ricordandosi qualcosa che di sicuro doveva ricordarsi molto prima. Si alzò dal tavolo e aiutò nipotina a uscire dal sedile in pelle rosso, prima di prenderla per la mano.

“…che pessima memoria,” borbottò Elizabeth tra sé e sé, seguendo anche lei la bambina per affiancare il compagno. “Torniamo tra un po’, non vi preoccupate!” Annunciò sorridente, prima di prendere l’altra mano di Juliette e iniziare a camminare.

I tre Anderson-Smythe rimasti al tavolo, si guardarono per un attimo con circospezione, poi Blaine scivolò lentamente vicino a Sebastian, senza farsi accorgere troppo e con la coda dell’occhio vide il figlio fare una faccia preoccupata.

“Allora, bella partita, no?” Esordì Blaine dopo poco, rompendo il ghiaccio che si era formato in quei pochi attimi di silenzio.

“Si, anche se è stata abbastanza facile da vincere. Quelli non sapevano nemmeno come si gioca, a football.”

Il moro ridacchiò per la risposta del figlio. “Il solito esagerato, sono sicuro che anche loro non sono niente male.”

“Certo, per aver perso tre a due.”

“Ti ricordo che avete sempre subito due goal; non sono pochi.” Intervenne Sebastian, riportando il figlio con i piedi per terra. “E non eravate nemmeno tanto più bravi di loro, forse solo tu.”

L’uomo non ebbe bisogno di aggiungere altro, perché Blaine vide Grant sorridere soddisfatto a quel complimento camuffato e sorrise a sua volta. “Comunque, sei stato davvero bravo.”

“E’ stato fantastico, Blaine. Non per niente è uno Smythe.”

Ed ecco che per l’ennesima volta, quando Grant faceva qualcosa di buono, diventava subito e soltanto suo figlio e tanti saluti all’Anderson-Smythe. Il diretto interessato, arrossì appena per i numerosi complimenti che stava ricevendo dai genitori; quando notò che Sebastian lo stava guardando con un ghigno, tossì appena, prima di guardarsi in giro e annunciare in modo vago: “Sapete, lì ci sono alcuni miei compagni di squadra, vado a salutarli, ciao.” Detto questo si alzò dal tavolo un po’ troppo frettolosamente per sembrare una cosa improvvisata e scomparì dalla circolazione e Blaine lo seguì con gli occhi finché non arrivò dov’erano seduti alcuni suoi coetanei.

“Tu che ci fai qui?” Chiese Sebastian, sbattendo le palpebre, confuso dal vederlo così vicino quando prima era dalla parte opposta del divanetto.

“Ti da’ fastidio?” Chiese a sua volta il moro, sorridendogli.

“Killer, quando mai la tua vicinanza mi ha infastidito?” Blaine decise di non rispondere, non gli andava di fargli un vero e proprio elenco. Si limitò ad alzare un sopracciglio e a sorridergli.

Deglutì rumorosamente, non trovando più il coraggio di staccargli gli occhi di dosso e di dirgli ciò che da un po’ gli frullava per la testa. Sebastian gli stava ghignando e il suo cervello stava per non connettere più. Si sentiva il cuore martellare violentemente nel petto e credette che se non gliel’avesse detto entro pochi minuti, sarebbe scoppiato. “Sebastian, vorrei parlarti di una cosa importante e... non so bene come dirtela.”

“Blaine, se si tratta un’altra volta dell’avvocato non c’è bisogno-“

“Non si tratta dell’avvocato!” Esclamò subito tutto d’un fiato, vedendolo già portarsi sulla difensiva. “Si tratta di me, di te e della nostra famiglia.”

Sebastian si sistemò meglio, prima di intrecciare le braccia al petto in segno d’ascolto. Non poteva sbagliare, non in quel momento.

“Io.. ci ho riflettuto molto, e ho preso la mia decisione.”

“Blaine...”

“No, no, Sebastian! Fammi finire. In quest’ultimo periodo abbiamo passato molto tempo insieme, più di tanto ne abbiamo passato da quando abitiamo in case diverse e... e ho capito. E mi-“

“Blaine, ascolta-“

“No, Sebastian! Voglio dirtelo, perché finalmente ho preso la mia decisione, ho capito.” Sebastian gli annuì impercettibilmente e lui gli sorrise prima di continuare. “Voglio ritornare con te, voglio tornare ad essere una famiglia, perché mi manca troppo e tu mi hai dimostrato di meritartelo.”

Sebastian cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore con gli incisivi.

“Mi hai ricordato quanto siamo fatti l’uno per l’altro, senza il tuo aiuto forse non l’avrei mai fatto. Quando abbiamo dormito insieme, ho capito quante cose mi mancassero, quanto tu mi mancassi. Hai ripreso i rapporti con Grant e hai insistito tanto per non far dividere i nostri figli. Non mi sono mai sentito così desiderato da te come quando hai fatto quella scenata stile bambino al ristorante davanti a John e non ho mai realizzato quanto volessi tornare insieme a te fino all’altra sera. Mi dispiace così tanto, Sebastian. E... e di qualcosa, ti prego.”

Il volto di Sebastian restò indecifrabile fin a quel momento, poi un sorriso gli delineò le labbra e Blaine capì che anche lui stava iniziando a vedere i colori più brillanti. “Blaine, l’ho voluto tanto anch’io e ho capito tante cose grazie a te. Dispiace anche a me, tanto. Mi dispiace di tutto. Ti amo, Blaine.”

“E… non sei arrabbiato con me?” Chiese titubante per la troppa felicità, sentiva già le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.

“No, non lo sono,” Rispose Sebastian con un sorriso, prima passargli un braccio sulla spalla, attirandolo a sé e Blaine lo abbracciò forte, poggiando il mento sopra la sua spalla. Avevano entrambi voglia di baciarsi, ma non lo fecero per la gran confusione all’interno del locale, e anche se a Sebastian non importava, a Blaine non piaceva dare spettacolo in pubblico.

Il moro sciolse l’abbraccio, ma restò comunque con il braccio del marito sulle spalle, sistemandosi un po’ meglio contro di lui. “So che forse è un po’ presto, o forse no visto che siamo sposati da anni,” disse confuso, “ma, Grant è stato invitato ad uscire con dei suoi amici e io e Juliette andiamo con lui.. ti andrebbe di uscire con noi?”

Sebastian scoppiò a ridere, prima di baciargli la fronte. “Mi stai invitando ad un appuntamento con tanto di nostri figli, per caso?” Lo canzonò scherzosamente, facendogli l’occhiolino. “Mi sembra ovvio che verrò.”

“A me non così tanto.” Disse un’altra voce maschile. Entrambi i due uomini alzarono gli occhi, per incontrarne un paio di un celeste chiaro. Blaine sentì Sebastian irrigidirsi come una tavola di legno accanto a sé.

“Scusa, ma tu chi saresti?” Chiese il ricciolo, un po’ confuso dall’arrivo di quel ragazzo.

“Sono Tony, il nuovo-“

“Nessuno. Non è nessuno.” Intervenne Sebastian, togliendo il braccio dal marito, prima di sporgersi sul tavolo e sibilare: “Che stai facendo, vattene da qui.”

“Ah, Sebastian mi ha parlato di te!” Continuò Blaine, facendo sbarrare gli occhi agli altri due, “Sei l’ultimo arrivato al suo ufficio, quello che si è preso una cotta per lui.”

“Tony, vattene,” gli bisbigliò Sebastian, guardandolo minaccioso.

Il ragazzo per tutta risposta sfoderò uno dei suoi sorrisi compiaciuti e con un gran tono da stronzo disse: “E’ questo che ti ha detto Sebastian, perché mentre era nel mio letto ha detto altro.” E con il massimo della nonchalance, scostò di poco la camicia sul petto, facendo intravedere un succhiotto quasi sbiadito.

Ci volle meno di un nanosecondo per far tornare il mondo di Blaine in bianco e nero.

“Tony!” Lo rimproverò Sebastian.

“Amore mio.” Rispose dolcemente l’altro, sorridendogli soddisfatto.

Sebastian fece per alzarsi, ma Blaine lo afferrò per il braccio, ributtandolo giù sulla sedia. “Restate pure qui, avrete sicuramente questioni da risolvere.”

“Blaine, aspetta-“ Ma lui non lo fece parlare, gli fece cenno di stare zitto, che non voleva sentirlo parlare e scivolò fuori dal divanetto, prima di afferrare il giubbotto e allontanarsi dal tavolo, da Sebastian e da quel ragazzo.

Superò il bancone del bar, dove vide Juliette mangiare un gelato con accanto gli zii che parlavano tra di loro. Sperò che nessuno lo notasse, ma sapeva benissimo di non essere così fortunato, così non fece nemmeno una piega quando vide il fratello avvicinarsi e lui si fermò per aspettarlo.

“Ch’è successo?”

“Niente, che sono un completo idiota!” Disse trattenendo le lacrime e con un sorriso amaro stampato sulle labbra. “Torno a casa, prendo un taxi.”

“Blaine, aspetta! Ne vuoi parlare? Sono tuo fratello, puoi dirmi tutto.” Continuò Cooper, seguendolo fino in strada, e correndogli dietro quando vide una macchina gialla fermarsi davanti al fratello.

Questi aprì lo sportello posteriore e sedendosi disse: “No, lasciami solo.”




 



Comunicazione importante: 
Come molti di voi sapranno mancano solo poco più di due settimane alla fine della scuola e purtroppo sono piene zeppe di interrogazioni e compiti e io ho poco tempo per scrivere i capitoli (anche perché vorrei provare a fare qualcosa per la Seblaine Week) Quindi, quindi, quindi.. Per prendere tempo visto che ho soltanto pochi capitoli betati a disposizione, io la prossima settimana FORSE potrei postare uno spin-off e di conseguenza far slittare l'aggiornamento per il prossimo capitolo. Ma ancora non è niente di confermato, mi devo decidere completamente. 
 
Tornando a noi: 
Mi linciate se vi dico che uno dei motivi principali per cui ho iniziato a scrivere questa long è.. questo capitolo insieme all'ottavo e il tredicesimo? Si?
Bene allora mi ritiro per cercare di evitare le lattine, gli smalti, le pietre e le ciabatte che mi state per tirare. 
Per insultarmi, se proprio volete farlo, potete trovarmi qui e qui, oppure tramite una recensione :D
 
*sparisce nel nulla* 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***



Capitolo 11



Il mondo è fatto di colori, profumi, odori, suoni.

Quando si è felici si percepiscono in modo amplificato e tutto è più luminoso, più bello e migliore; ma questa è una cosa già detta.

Quando si è tristi invece, sembra un posto orribile dove vivere; è silenzioso, monotono, senza profumi e colori. Tutto sembra volerti ricordare la causa della tua tristezza, quando il mondo lo si vede ancora. Si, perché ognuno di noi ha un modo di comportarsi differente quando si è tristi; c’è chi il mondo continua a vederlo e lo critica soltanto, poi c’è chi il mondo non lo vede più e basta, che si rinchiudono in se stessi e tutto diventa bianco e nero; cioè vuoto.

Sono due colori che in sé racchiudono tutti gli altri, ma che ti danno quella stessa sensazione di immenso ed infinito che ci mette paura.

Alcuni pensano che il bianco non metta paura, perché è un colore puro e invece non è così, forse  è proprio per questo che ci spaventa tanto; basti pensare a un foglio di carta vuoto, cioè bianco, e al panico e chi viene mentre lo fissiamo per riempirlo. Abbiamo sempre paura di riempirlo con le parole sbagliate e quindi di sporcarlo. Basti pensare, invece, a una parete bianca, dopo un po’ ci da la nausea perché ci opprime e vorremo riempirla di mille colori, ma poi non ci sappiamo decidere e allora continua a fissarci di rimando, facendoci restare indecisi e con la voglia di cambiare.

Poi c’è il nero e non è difficile trovare le motivazioni che ci spaventano. Come pigmento è formato dall’insieme di tutti gli altri colori e quindi è un insieme di tutto, che in realtà non fa vedere niente. Un po’ come il buio, ecco, appunto. Il buio è un’altra cosa che ci spaventa, grandi e piccini, perché è tutto nero e all’interno si ci può nascondere chiunque e la qualunque cosa, un po’ come le emozioni buie che non abbiamo mai il coraggio di analizzare, esplorare, perché abbiamo paura di ciò che ci potremmo trovare dentro.

Di conseguenza si potrebbe dire che sono due colori pieni e invece no, perché loro sono troppo pieni e quando si ha troppo in realtà non si ha nulla.

Si è vuoti.

Il bianco è vuoto, il nero è vuoto, Blaine era vuoto.

Blaine era vuoto perché il suo mondo, ora, era proprio in bianco e nero.

Senza colori, con distacco netto l’uno dall’altro, un po’ come quando si mette la “Colorita e contrasto” nelle immagini a livello troppo alto. Nel suo mondo non c’era nemmeno il grigio, perché è un colore. Di conseguenza, Blaine si comportava proprio come le persone vuote erano solite fare: vedeva senza guardare, sentiva senza ascoltare, mangiava poco e niente, passava il tempo libero seduto sul divano e, soprattutto, non parlava.
 
 

 


“Blaine?”
Un mugolio si levò dalle labbra serrate del moro seduto sul divano.

“Ti va di parlare?”

“No.”

“Blaine...” Lo supplicò Elizabeth, lasciando la frase in sospeso, prima di avvicinarsi lentamente verso di lui, allontanandosi dalla porta da dove era ferma da un po’ a osservarlo. Si parò davanti alla televisione, davanti al moro, portandosi le mani ai fianchi e mettendo su faccia minacciosa.

“Stavo guardando la tv, potresti spostarti ?” Fu l’unica sua risposta, infastidito già da quella presenza e quel comportamento.

“Non la stavi guardando, eri solo qui a prendere polvere come fai da tre giorni.”

“Elizabeth, sul serio, non sono affari tuoi. Adesso puoi spostarti?”

Lei lo guardò affranta, prima di sospirare. “Invece sì.”

“Non ti seguo.” Rispose lui, guardandola interrogativo, inclinando leggermente la testa da un lato.

El chiuse gli occhi, sconsolata, prima di sedersi composta accanto a lui e prendere il telecomando della tv per spegnerla e poter avere il silenzio di cui aveva bisogno per confessargli tutto. Blaine boccheggiò qualcosa quando vide lo schermo diventare sempre più nero, fino a spegnersi completamente, ma non disse nulla.

“E’ dei CoopelSuperFavolosi&Nipoti. .”

Blaine si sistemò subito sul divano, dandole la sua più completa attenzione, facendola sentire ancora più incolpa. “Come sarebbe, scusa? Dei che?”

“Blaine, sei un tonto! Ho detto dei CoopelSuperFavolosi&Nipoti.”

“E cosa sarebbero?”

“Io, tuo fratello e i tuoi figli.” Rispose lei con fare accigliato, non capendo perché non capisse una cosa così facile. Poi gli venne in mente. “Il nome l’ha scelto tuo fratello, si è pure litigato con Grant per affermarlo come ‘il nome ufficiale della squadra’.”

Blaine annuì.

“Ci dispiace tanto. Anche se sappiamo che sono io quella che ha più colpe.” Disse lei dopo qualche istante di silenzio, scuotendo la testa.

Il moro annuì pensieroso all’ultima frase, ripensando a tutte le stupidate gli aveva combinato quella ragazza; ma ancora non riusciva a capire bene cosa intendesse. “Che avete fatto?”

“Tutto, Blaine. Non è così chiaro?” Chiese retorica a sua volta, alzando leggermente la voce per il disaggio e i sensi di colpa. “La scenata al ristorante, il rubarti la macchina, il dormire nel letto insieme, la partita di football, farti cambiare idea.”

“Io non ci posso credere.” L’uomo scosse la testa, incapace di credere alle sue orecchie. “Avete fatto venire la febbre a mia figlia di proposito? E perché l’avreste fatto?”

Elizabeth prese un respiro profondo, “Blaine, mi sembra ovvio che nessuno ha fatto prendere di proposito la febbre a Juliette; le è venuta da sola e noi ne abbiamo approfittato.”

“Chi vi ha dato il permesso?” Chiese ancora lui, visibilmente irritato.

“Tuo figlio si è messo a piangere davanti a me, vi voleva insieme, così come tutti noi e... e io non ce l’ho fatta a dirgli di no.” Rispose lei, mortificata, ma pur restando sicura nella voce.

“E tu accontenti un bambino pur giocando con le vite degli altri?” Domandò sarcastico.

“Blaine, non è un bambino, è tuo figlio e scusami tanto se volevamo soltanto aiutarvi.”

“A ridurmi così? Mi spieghi come vi è venuto in mente, no perché io non l’ho ancora capito. Vi siete presi gioco di me e di Sebastian. Avete pensato che fosse tutto un enorme gioco!”

“Ora smettila, Blaine. Le nostre intenzioni erano delle migliori e non sembra che tu te ne lamentassi quando ti ritrovavi con tuo marito.” Lo aggredì lei, guardandolo tagliente.

“E’ diverso.” Tagliò corto Blaine, sperando di poter non affrontare quel discorso.

“Ma davvero? Beh, allora sappi che noi facevamo soltanto accadere gli eventi, ciò che facevate tu e Sebastian non lo decidevamo noi, quindi scusami se sei ancora innamorato marcio di tuo marito e lui di te.” Continuò lei tagliente, dicendo l’ultima frase con evidente ironia.

“Non sono affari che non ti riguardano.” Disse lui, altrettanto affilato.

“Hai ragione, noi non ti dovevamo aiutare. Non dovevamo immischiarci, e mi scuso per questo; ma ricordati che con l’unica cosa che hai fatto da solo, senza il nostro aiuto, hai combinato un completo disastro e indovina un po’? Sebastian ti ha tradito un’alta volta.”

Ci fu un attimo di silenzio, poi Elizabeth si alzò con una nonchalance invidiabile e uscì dalla stanza senza fare una piega, non guardandosi indietro e lasciando Blaine a sprofondare ancora di più nel bianco e nero.
 
 

 
 


Grant mise con rabbia la padella nel lavandino, riempiendo la cucina di quel rumore sordo. Imprecò a bassa voce, prima di portare a tavola i due piatti con il petto di pollo che aveva appena cucinato.

“Potresti fare un po’ meno casino quando cucini.” Esordì Sebastian entrando in cucina. Si avvicinò al tavolo e alzò un sopracciglio nel vederlo apparecchiato per due persone. “Se non sai apparecchiare bastava dirlo e ti avrei dato una mano.”

“So apparecchiare e contare benissimo, se è a questo che vuoi alludere.” Rispose sarcastico il ragazzo. “Dov’è Juliette?”

“Eccomi!” disse allegramente la bambina entrando nella stanza, prima di sedersi a tavola, sorridendo. “Mmm.. Buono! Grant cucina sempre bene, come te papà.”

“Grazie principessa,” disse lui, sorridendogli teneramente. Poi si girò verso il figlio per continuare quella conversazione in sospeso. “Ti ho lasciato cucinare perché credevo preparassi la cena per tutti e tre. Si può sapere che ti prende?”

“Lascia stare, Sebastian.” Tagliò corto lui, scuotendo la testa. Capì che non ci fu bisogno d’aggiungere altro nel momento esatto in cui sentì l’uomo sedersi sul divano e lui sorrise amaro.

“Voi non mangiate?” domandò Juliette, mentre metteva in bocca la forchetta. Li guardava a occhi aperti e con la testa leggermente inclinata d’un lato, non capendo proprio quella situazione.

“Non ho fame.” Rispose Sebastian, guardandola teneramente.

“A me è passata.”

“Allora perché fate i capricci se non avete fame?” domandò ancora, sempre confusa dal comportamento del fratello e del padre.

“E’ una cosa da grandi.” Disse Grant, prima di cominciare a sparecchiare. Neanche tutta la fatica che aveva fatto!
 

 
 


Venti minuti dopo e ben due cartoni animati che avevano fatto venire il mal di testa a tutti e tre, Juliette mise in bocca l’ultimo pezzo di petto di pollo rimasto nel piatto e Grant tirò un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora d’andarsene.

Si alzò in piedi e sparecchiò anche le ultime cose rimaste sulla tavola, mentre la bimba  andava ad accoccolarsi contro il petto del padre ancora seduto sul divano.

“Papà, posso dormire con te, stasera?” Gli miagolò, facendo gli occhi dolci. Il padre la guardò alzando un sopracciglio ma rimase impassibile. “Dai, dai,dai! Lo so che non vuoi perché poi mi prendo il vizio e tu e papà non dormite male perché vi tengo lontani, però daaaaaaaai!”

“Se continuano così, non dormiranno insieme per molto tempo.” Commentò acido Grant, e anche se al momento il padre non gli disse nulla, sapeva bene che lo aveva sentito.

“Va bene. Però senza peluche tra i piedi.” Acconsentì l’uomo, prima che Juliette lo stingesse forte e gli lasciasse un grande bacio sulla guancia, con tanto di sonoro schiocco. “Ora vai di là, il tempo che parlo un attimo con tuo fratello e arrivo.”

Eccolo lì, adesso gli avrebbe fatto chissà quale grande sceneggiata, dicendogli chissà cosa.. e chissà a chi fregava! Di certo non a Grant che ne aveva la scatole piene. Fosse stato per lui, lo avrebbe gentilmente preso a pedate nel didietro e non gli avrebbe rivolto più nemmeno la parola.

Aveva mancato di rispetto a tuo padre, alla sua famiglia, a Juliette e anche a lui. Diceva di amarli e alla fine combinava casini su’ casini. Era un idiota. Lui lo aiutava e in cambio non riusciva nemmeno a far tenere chiusa la bocca a un ragazzino che si era felicemente scopato, che gran ringraziamento.

Juliette annuì piano, prima di lasciarli un altro bacio sulla guancia e scendere dal divano prima di trotterellare verso il corridoio per salire in camera da letto e accedere la tv. Sebastian si alzò in piedi, schiarendosi la voce e  Grant restò immobile, in mezzo alla cucina.

“Non provare nemmeno a chiedermi cosa mi è successo.” Lo ammonì subito, senza mezzi termini.

“Non ne avevo nessuna intenzione, l’ho capito da quando non mi chiami più papà.”

“E tu hai aspettato tre giorni prima di dirmi qualcosa?”

“Non ti rivolgere a me così, sono sempre tuo padre. Ho aspettato così tanto perché non c’è proprio niente da dire, ma il tuo comportamento mi sta dando davvero sui nervi.”

Rispose Sebastian, indecifrabile. Grant non sapeva se lo stesse prendendo in giro o era serio. Parlava con fermezza, ma sembrava che nemmeno lui credesse in quelle parole, voleva solo evitare il discorso.

“A me da sui nervi il tuo comportamento, come la mettiamo?” Lo sfidò Grant, sorprendendo l’uomo.

“Non la mettiamo. La devi smettere e basta, ciò che hai da dire non m’interessa, lo tieni per te e ti comporti bene.”

“E’ così che vuoi affrontare la cosa, Sebastian? Davvero vuoi che mi comporti come se nulla fosse, quando hai rovinato letteralmente tutto?” Lui restò ad ascoltarlo. “Avevi di nuovo papà tra le tue braccia, potevate ritornare insieme, potevamo riessere un famiglia e invece no, devi sempre rovinare tutto.”

“Non posso controllare le persone, tanto meno quell’idiota di Tony.”

“Il problema non è controllare o meno qualcuno, il problema è che nonostante tu e papà vi foste avvicinati di nuovo, tu hai continuato ad andare a letto con quello lì. Sapevi che Blaine voleva tornare con te, la cosa era così evidente e sapevi che l’avrebbe fatto.” Sbottò Grant, ma questa volta senza lacrime, soltanto con la rabbia che gli bruciava dentro, perché proprio non lo capiva.

“Pensi che non lo sappia? Lo so. So tutto, è sono tremendamente dispiaciuto. Ma tuo padre non vuole nemmeno ascoltarmi, non mi fa’ spiegare la situazione.”

“Ma-“ Iniziò di nuovo il ragazzo, ma il padre lo fermò.

“…ha ragione e io sono stato quello che sono, non lo biasimo.” Rispose amaro Sebastian.

“Sai che ti dico? Che io con questa storia non voglio averci proprio niente a che fare. Al posto di non fare niente, vai a parlarci. Spiegagli che sei un coglione, che sono cose avvenute prima, che non significano niente e che hai sbagliato. Faglielo capire, perché io non ho alcuna intenzione di vivere tutta la mia vita con te, senza papà e senza Juliette. Piuttosto vado a vivere sotto ai ponti.”

Poi Grant uscì dalla stanza, lasciando il padre accigliato e interdetto all’interno della cucina.
 
 

 

Alla fine Blaine non si era ripreso, ma aveva acconsentito a uscire di casa anche per altre cose al di fuori del suo lavoro da insegnante.

Il mondo doveva andare avanti, così come lui e come gli consigliavano gli altri.

Il problema era che lui ad andare avanti proprio non ce la faceva, anche solo il pensiero lo turbava. Doveva davvero entrare in quell’edificio e firmare tutte le carte che l’avvocato gli avrebbe messo davanti, ma non riusciva a fare altro che guardare quell’enorme edificio a bianco e nero come se fosse un mostro che stava per divorarlo.

Era arrabbiato con Sebastian, l’avrebbe felicemente preso a pugni, eppure era lì davanti da più di dieci minuti buoni.

Salire significava firmare le carte per il divorzio una volta per tutte, chiudere completamente la storia con Sebastian. Certo, lui non le aveva ancora firmate, ma lo avrebbe fatto non appena gli avesse schiaffato in faccia tutto il suo dolore.

Aveva fatto di tutto per ricostruire qualcosa con lui: prima per i figli, poi perché lo amava, poi perché aveva capito che tornare insieme era la cosa giusta da fare. E invece aveva sbagliato tutto, forse si era immaginato tutto. Perché in quel momento si sentiva così, come se il suo amore non fosse corrisposto, come se solo lui sentisse il bisogno del suo corpo accanto al suo, come se lo lui avesse provato qualcosa nel baciarlo o volesse davvero tornare a casa, nella famiglia Anderson-Smythe. Si sentiva come se solo lui volesse prendere a calci il mondo, come se fosse solo lui e basta, senza nessun’altro.

Non prese nemmeno un respiro profondo, perché non ne aveva bisogno, semplicemente si diresse verso l’edificio ed entrò. Fece un cenno con il capo alla donna che, stranamente e gentilmente, gli stava tenendo aperto l’ascensore prima di poter andare.

Si diresse alle scale e iniziò a salire gli scalini come se in realtà stesse solo camminando; perché la rabbia e il dolore che aveva dentro sarebbero riusciti a fargli fare qualsiasi cosa.

Arrivato all’ottavo piano si rese conto che forse non sarebbe arrivato al diciassettesimo, ma non si diede per finto, rallentò il ritmo e continuò a salire facendo dei respiri profondi.
 

 
 

Varcò la soglia dello studio legale con la fronte imperlata di sudore e l’affanno, ma non si sentiva per niente stanco, perché ancora bruciava dentro.

Si asciugò la fronte con la manica della camicia e si avvicinò alla segretaria, rivolgendole un sorriso gentile.

“Salve, sono Blaine Anderson. Ho un appuntamento con l’avvocato.”

“Buonasera, aspetti che controllo subito,” rispose lei con tono rassicurante, prima d’abbassare lo sguardo sul laptop del computer che aveva davanti. “Mi spiace, ma aveva appuntamento più di mezz’ora fa. Purtroppo è saltato.”

No, no, no. No, doveva farlo subito.

“Posso aspettare, mi siedo lì e aspetto.”

“Mi dispiace, ma non è possibile. Posso provare a inserirla domani.”

No, era una cosa che doveva essere fatta subito o Blaine sarebbe bruciato vivo. Non poteva più resistere, nonostante l’avesse fatto per giorni, mesi. Ma era diverso, adesso. Lui aveva provato a riavvicinarsi, a mettere il suo orgoglio da parte e Sebastian lo aveva ringraziato in quel modo. No, non poteva più aspettare adesso che la tristezza era sparita lasciando spazio alla rabbia più infuocata che avesse mai sentito dentro.

In quel momento si sentiva vivo, vivo come si sentiva del giorno alla partita di calcio; vivo, non felice, ma questo a Blaine non importava. Non importava niente che non fosse entrare in quel maledetto ufficio.

In quel momento esatto la porta si aprì e uscì fuori un uomo davvero molto attraente e subito dopo una donna. Non ci volle molto prima che i suoi piedi partissero da soli.

Senza né come, né ma, Blaine si allontanò con molta nonchalance e si avvicinò dove erano usciti i due, mentre la segretaria sembrava essersi persa nel leggere un messaggino arrivatole nel cellulare. Poi scivolò dentro l’ufficio con un movimento fluido e chiuse la porta.

“Signor Anderson, cosa ci fa qui? L’aspettavo più di mezz’ora fa.” Domandò l’avvocato quando sentì la porta chiudersi e alzò gli occhi ai fogli che stava scrivendo, confuso nel vederlo lì.

“Ho avuto un imprevisto, niente di che.” Rispose lui frettolosamente, avvicinandosi alla scrivania. “Mi chiedevo... ha ancora i documenti da firmare per il divorzio?”

“Si certo, sono ancora qui da qualche parte.” Disse sovrappensiero l’uomo, iniziando a cercare nei cassetti.

“Eccoli qui.” Annunciò poco dopo estraendo una carpetta verde pallido, prima di porgerla a Blaine.

“Grazie.” Blaine gli sorrise, levandogliela un po’ troppo frettolosamente dalle mani, prima d’aprirla. “Dove devo firmare?”

“Nei documenti dove c’era scritto il suo nome, sono tutti pinzettati insieme.” Disse Watson, guardandolo sempre più stranito.

Blaine annuì, prima di cercare tra tutti quei fogli. Li trovò poco dopo e li uscì dalla carpetta, poggiandoli sulla scrivania, dove prese una penna e iniziò a firmare vicino a tutte le ‘’X’’ scritte in rosso.

“Li porta-“

“SI.” Lo interruppe secco Blaine, ancora chino in avanti per mettere l’ultima firma.
Poggiò la penna nera sulla carta bianca e senza aver paura di sbagliare scrisse un ammirabile Blaine Anderson con una grafia pulita, mettendo tutta la pressione di cui ne aveva bisogno, assaporandosi il sapere di ogni lettera.

“Fatto.” Disse in fine, sorridendo compiaciuto.

Aveva appena chiuso la sua storia con Sebastian. 










Ebbene sì, io scompaio dalla circolazione per due settimane e riappaio con questo capitolo taaanto carino LOL Sono carina pure io puahahhaha. 
 
E Niente.. Adesso me ne rivò :)
 
Baci, 
Mirma <3 
*lancia biscotti e schiva maledizioni* 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***




 

Capitolo 12



La primavera era ormai alle porte e come sempre in quel periodo, le giornate iniziavano a essere più calde, il sole più splendente e lo stare all’aperto diventava sempre più piacevole.

A Blaine non piaceva stare al bar per crogiolarsi nel dolce far nulla,  ma in quel momento, seduto a un tavolino di fronte a John, non riusciva minimamente a trovare la voglia di alzarsi da quella sedia in alluminio, che in quel momento sembrava stranamente così dannatamente comoda.

Era passato solo un giorno da quando aveva firmato i documenti dall’avvocato e già si sentiva meglio con sé stesso. Per meglio si intende soltanto meno rabbia in circolo e mente svuotata da tutti i pensieri che però sarebbero riemersi, era solo questione di tempo, lo sapeva, eppure non voleva pensarci; perché quella mattina libera la voleva passare con tranquillità, semplicemente lui, la felicità e John.

Che poi lo sapeva, sarebbe stata soltanto la quiete prima della tempesta.

Lo sapeva e non gli importava, così rise ancora, ancora e ancora. Stare con John era divertente e facile; lo faceva ridere, sentire a suo agio e gli faceva mordicchiare le labbra per non fargli qualche complimento di troppo riguardo il suo aspetto o su quanto fosse divertente.

John era davvero un bell’uomo, dentro e fuori; era divertente, solare, altruista, saggio e sicuramente a letto prometteva bene per l’idea che dava il suo cavallo dei pantaloni e il suo sedere che non era per niente male.

Ecco, quest’ultima cosa Blaine l’aveva scoperta nel momento esatto in cui si era abbassato per prendere un foglio che era appena volato a terra dalla borsa di John, e lui si era trovato quasi faccia a faccia con ... beh quello.

In quelle situazioni Blaine reagiva sempre in due modi: se era qualcuno che non conosceva o che non fosse l’ex marito, faceva finta di non aver visto niente e pochi minuti dopo se l’era già dimenticato; se si trattava di Sebastian iniziava a fare dei pensieri poco casti per poi attuarli una volta rimasti soli.

Adesso però non aveva alcun motivo di scegliere una delle due opzioni, ormai era quasi single. Poteva benissimo pensare a qualcosa, qualsiasi cosa. Avrebbe anche potuto agire, a quel punto, ma c’era qualcosa che lo frenava.

Non riusciva, in quel momento, a immaginare qualcosa al di là della stoffa del pantalone scuro e anche se faceva finta di non capirne il motivo, ne era a conoscenza.

Nella sua mente era ancora qualcosa di sbagliato.

Si alzò a sedere e porse il foglio a John che lo stava guardando divertito, con un sopracciglio alzato mentre cercava di trattenere una risata.

“Cosa?” Chiese innocentemente il moro, guardando a destra e a sinistra come avrebbe fatto un bambino.

“Niente,” minimizzò John, continuando a trattenersi. “Mi stavi guardando il pacco.”

Blaine strabuzzò gli occhi a quell’affermazione e giurò che anche le sue orecchie si stessero tingendo di rosso.  “Non è vero.”

“Ho sentito i tuoi occhi addosso proprio lì e poi sei rimasto sotto per troppo tempo.” Controbatté facendogli notare l’ovvio, ridacchiando appena. “Non c’è niente di male, solo ... evita di farlo in pubblico.”

“Ma-“ Ogni sua voglia di controbattere venne azzerata dalla risata cristallina del biondo e  sbuffò confitto. “Ok, va bene! Diciamo che potrei  averlo fatto.  E allora?”

“Allora niente,” rispose ragionevole lui, alzando le spalle. “Tanto rimarrai lontano da me per un bel po’ di tempo.”

Blaine, se possibile, arrossì ancora di più, desiderando soltanto di potersi nascondere sotto terra. Poi capì che non aveva più diciotto anni e che doveva farsi carico delle sue responsabilità. “John senti, lo so che quella volta è stato un disastro; mi dispiace, non sono così, avevo bevuto.” Il biondo alzò una mano per fermarlo e lui fece come gli aveva intimato.

“Come ti ho  già detto: non mi sarebbe dispiaciuto, nemmeno un po’. Avevi bevuto, ma non eri totalmente ubriaco e stà tranquillo che non mi sono spaventato. Solo, ci sono dei motivi per cui continuo a rifiutarti o ti rifiuterei.”

“Quali sarebbero?” Chiese Blaine, accigliato e incuriosito allo stesso tempo.

“La volta scorsa perché eri ubriaco.”

“E questa volta?”

“La fede,” rispose compassionevole, John, prima di tornare a guardare le sue carte.

Blaine non ebbe nemmeno bisogno di guardarsi la mano sinistra per ricordarsi o costatare d’avere davvero ancora l’anello al dito, solamente si diede dell’idiota.  L’avrebbe tolta, ma sapeva che John non glielo avrebbe permesso.

“Sei così idealista?” Gli chiese senza dare troppo peso alle parole.

“No,” rispose John, prima di rialzare gli occhi e sporgersi un po’ sul tavolo, “ma il motivo per cui verresti a letto con me, sarebbe lo stesso della volta precedente, con uguali conseguenze. Per non dire anche che faresti del male solo a te stesso. Non devi vendicarti con Sebastian su di me.”

“Non sei una vendetta, John.” Controbatté subito Blaine, non potendo concedergli di pensarla in quel modo.

“Ma venire a letto con me lo sarebbe.”

Blaine non rispose, trattenne il respiro e alzò di poco le spalle, non trovando le parole per rispondergli in modo adeguato. Lui non vedeva John in quel modo, come un rimpiazzo o qualcuno su cui sfogarsi. Non lo usa per far ingelosire Sebastian; ci stava bene insieme, non lo definiva come un nuovo interesse amoroso, perché non sarebbe stato appropriato, Sebastian lo amava ancora e la storia con lui doveva davvero terminarsi, ma avere una relazione con John di certo non gli sarebbe dispiaciuta.

Lo guardò ritornare ai suoi fogli e  tracciò con gli occhi il suo viso, trovandolo davvero meraviglioso; ma ricordandosi anche che non era Sebastian. Era strano guardare così attentamente un altro uomo, da una parte era anche nuovo. Era da tanto tempo che non lo faceva, ma la cosa non lo metteva a disaggio, anzi.

 
 
“Potresti smetterla, per favore?” chiese John dopo una decina di minuti, facendo aggrottare le sopracciglia a Blaine e a fargli schiudere leggermente le labbra.

“Di fare cosa?”

“Di fissarmi, mi metti in suggestione e sto facendo delle cose importanti, questa è la terza volta che sbaglio.” Rispose gentilmente il biondo, alzando gli occhi dai fogli che aveva davanti per sorridergli e frugare un po’ all’interno della borsa per farne uscire il correttore.

“Oh, scusa! Mi dispiace” borbottò in risposta, dimenticandosi di dover negare il tutto. Era un’idiota, scoperto fin dal principio.

“Tranquillo, non è niente di grave,” utilizzò il bianchetto sulla parola sbagliata, “il tempo che asciughi e sarà tutto come prima.”

Blaine ridacchiò appena, prima di sentire la suoneria del cellulare provenire dalla sua tasca dei pantaloni. Lo prese e guardò lo schermo del cellulare, rimanendo incantato nel leggere il nome sullo schermo dove lampeggiava la scritta “Sebastian.”

“Rispondi pure.” Disse gentile John, fissandolo accigliato, non capendo il motivo per cui non rispondesse.

“Non è nessuno d’importante.” Si affrettò a rispondere, mettendo in modalità silenzioso il telefonino.

“Allora se non è nessuno d’importante puoi benissimo rispondere e dire che sei occupato, anche se non è vero.” Controbatté il biondo, alzando un sopracciglio chiaro.

“No, fa niente.” Continuò lui alzando le spalle, prima di poggiare l’apparecchio elettronico sul tavolo e grattarsi il collo con una mano mentre si guardava intorno per non incrociare lo sguardo dell’altro che, una volta distratto, si sporse sul tavolo per leggere di sottecchi il nome del mittente della chiamata.

“Rispondi, Blaine.” Quasi gli ordinò John, la voce un po’ più alta e agitata di prima.

“Non ho alcuna intenzione di parlargli in questo momento, mi rovinerebbe la giornata e basta.” Rispose superficiale il moro, intrecciando le braccia al petto.

“Blaine, rispondi per favore.” Stavolta il biondo lo disse con un leggero tono di panico nella voce e Blaine lo guardò un attimo confuso, ma non disse niente, così  John disse: “Allora risponderò io per te.” Detto questo afferrò il cellulare dal tavolo prima ancora che il moro potesse contraddirlo.

“Pronto? Sì, ciao Sebastian.”

La bocca di Blaine di aprì in una piccola o, dando al volto un’espressione sorpresa degna di un bambino di cinque anni.

“..Stavamo chiacchierando al bar ma era in bagno così ho preso io il suo cellulare… Ho capito, si sta sedendo al tavolino adesso, aspetta che te lo passo..”  disse John al telefono, parlando con Sebastian, prima di passargli la cornetta sibilandogli un “fa con calma” premuroso.

Blaine restò un attimo a guardarlo prima di battere due volte le palpebre per capire se quello fosse un sogno o meno e prendere in mano il telefono. “Dimmi.” Disse freddo e distaccato.

“Blaine, stamattina mi hai mandato un messaggio, ma ero in riunione e l’ho visto solo adesso.”

Ah, sì, il messaggio che gli aveva inviato per organizzarsi per lasciargli i documenti del divorzio da firmare. 

“Ti devo consegnare dei documenti, oggi ho la giornata libera, dimmi un orario che passo a consegnarteli.”

“Mmm.. non lo so, oggi ho un’altra riunione alle tre, penso di finire per le quattro e mezza, ti va bene?”

“Si, va bene. Passo in ufficio.”

“Perché sei con riccioli d’oro?”

“Sebastian, vorresti davvero osare-“

“Era così.. tanto per parlare..”

“Passo alle quattro e mezza.” Tagliò corto Blaine, pronto per riattaccare se Sebastian non avesse ripreso a parlare.

“Blaine, mi dispiace, sono geloso. OK? Non posso farci niente, so di essere un testa di cazzo, ma se mi dessi anche solo un attimo per spiegare-“

“Ciao, Sebastian.” Detto questo, Blaine raccolse tutta la forza che aveva in corpo e chiuse la conversazione prima ancora che l’ex marito potesse rispondere.

Era stato un po’ troppo maleducato e non era da lui, era vero e lo poteva capire dal sopracciglio alzato sul viso di John, ma quel giorno non aveva la minima intenzione di ascoltare Sebastian, di farsi venire dubbi o farlo insinuare nella propria mente con qualche giochetto manipolatore. Proprio no.

“Sei un bel tipo, lo sai?” Domandò John, ridacchiando appena guardandolo divertito. Lui non aveva sentito ciò che aveva detto Sebastian e anche se l’avesse  fatto, non ci avrebbe fatto una bella figura ugualmente.

“Non sono sempre così.. solo non mi va d’ascoltare ciò che ha da dire.” Borbottò Blaine abbassando lo sguardo.

“Ti capisco, è capitato anche a me, ma dovresti ascoltarlo.”

“No. Mi ha preso in giro per troppo tempo.” Rispose amaro, mentre in faccia gli si dipingeva una smorfia triste.


“Ti consiglierei di andarci a parlare e magari ti aiuterei anche, ma mi piaci troppo e sono troppo egoista per farlo.” Disse John, sorridendo tra il divertito e il compiaciuto e Blaine ridacchiò imbarazzato, non sapendo bene cosa rispondere o come sentirsi. Optò per sorridere imbarazzato. “Comunque mi vorrei scusare per prima.”

“Per cosa?” Chiese Blaine, leggermente confuso.

“Sono stato maleducato, non dovevo assolutamente prendere il tuo cellulare e rispondere. Mi dispiace, non è da me ma..” John fece una pausa, a disagio, cercando di trovare le parole adatte. “Penso mi sia venuta una piccola crisi di panico; non mi succede spesso, ma a volte mi capitano, mi dispiace tanto.”

“P-parli per prima? Non è successo niente, mi è sembrato un po’ strano lo ammetto, ma non è nulla di grave.” Minimizzò lui, sorridendogli cordiale.

“E’ che certe volte mi vengono così e non so cosa fare.”  Controbatté John, ridacchiando amaro. “E' grave invece.”

Rimasero in silenzio per un po’, John ritornò al suo lavoro, Blaine a pensare ai vari comportamenti dell’altro, soprattutto a quelli del loro primo appuntamento, ricordandosi che anche lì, c’era stato un momento, in cui era rimasto sorpreso del suo comportamento e si sentì troppo curioso per potersi mordere la lingua e zittire la sua testa che voleva sapere il motivo di quei comportamenti.

“John.. se non sono troppo indiscreto.. vorrei sapere il motivo dell’attacco di panico di prima. So che è una cosa personale, ma se vuoi non rispondermi.” Chiese titubante, sperando mentalmente di non averlo messo a disagio.

“No, va bene. Sapevo che prima o poi me l’avresti chiesto.” Rispose John sorridendogli. “Tu mi hai raccontato subito la tua storia, di Sebastian e dei tuoi splendidi bambini, beh io non l’ho ancora fatto. In realtà non credevo potesse interessarti, sono cose successe anni fa, ma è giusto che adesso te lo dica.”

Blaine aggrottò le sopracciglia e gli fece cenno di continuare.

“Ti ho parlato di Paul al primo appuntamento mi sembra e ti dissi che dopo otto anni di convivenza ci lasciammo circa tre anni fa.” Il moro annuì, ricordando quelle parole. “Beh, non è del tutto vero, non ci lasciammo.. lui morì d’Aids.”

Blaine trattenne il respiro all’ultima frase e si sentì triste nel sentire la voce di John inclinarsi leggermente, gli occhi appena un po’ più lucidi e istintivamente gli prese la mano sul tavolo, restando in silenzio affinché continuasse.

“Come ti ho già detto siamo stati insieme per parecchi anni e tutto era fantastico, rose e fiori per molto tempo, ma il temporale arriva sempre a rovinare le belle giornate di Primavera, no? Così.. anche noi iniziammo a litigare per vari motivi; io volevo una famiglia, lui non aveva nemmeno detto ai suoi genitori di essere gay, era medico e lavorava all’ospedale ma in quel periodo le cose non andavano tanto bene, e nemmeno a me. Avevamo tante pressioni addosso e poco tempo per parlare e chiarirci. Così una sera litigammo di brutto e ci lasciammo o almeno doveva essere così.” John sbuffò malinconico. “Continuavamo a sentirci quasi tutti i giorni per un motivo o per un altro, ci comportammo come due bambini degni d’andare all’asilo nido e..  poi successe.” Si fermò un attimo, prendendo fiato per ricomporsi e non far inclinare la voce e Blaine gli strinse un po’ più forte la mano. “Litigammo un’altra volta al telefono e anche se era un uomo molto attento, accecato dalla rabbia andò a letto con qualcuno senza usare le giuste precauzioni. L’altro non gli disse di essere sieropositivo o forse non lo sapeva nemmeno lui, fatto sta che si infettò pure lui.”

“E che successe?”

“Quello che doveva succedere. Tornando a casa me lo trovai sul pianerottolo, davanti alla porta di casa, mi abbracciò forte e mi sussurrò tutto all’orecchio e non riuscii a essere cattivo con lui e nemmeno ad esserne arrabbiato. La nostra storia era finita, lui poteva andare a letto con chi voleva. Mi si ruppe il cuore quando assimilai la notizia della sua malattia ma cercai di non farlo scoraggiare e lui tornò a vivere con me; non tornammo insieme, almeno non subito, e io mi presi cura di lui.”

“E.. poi..”

“Poi le sue condizioni di vita peggiorarono e morì; era una malattia terminare, ce lo aspettavamo entrambi, anche se non eravamo pronti.” John chiuse gli occhi per un momento, forse per trattenere le lacrime, prima di dire: “Quindi, Blaine, per quanto fossa essere difficile, penso dovresti ascoltarlo e chiudere la storia in modo decente. E’ sempre il padre dei tuoi figli e se succedesse una qualsiasi cosa, fidati, non te lo perdoneresti mai.”

“Ci proverò,” gli promise, sorridendo appena.
 
 

 

Per tutto il giorno, le parole di John, gli rimbombarono nella testa. Gli aveva promesso che ci avrebbe provato, anche se non ne aveva nessuna intenzione. Il racconto che gli aveva detto lo aveva turbato non poco, dato che assomigliava un po’ alla loro situazione e non si sarebbe mai perdonato una cosa del genere, ma era ancora troppo arrabbiato per ascoltarlo o anche solo essere gentile con lui. Forse più in là lo avrebbe ascoltato, ma  non quel giorno.

Salì sull’ascensore insieme ad altre persone e pigiò il pulsante per salire al piano dell’ufficio di Sebastian. Sorrise gentile guardandosi intorno, sentendosi un po’ a disaggio in mezzo a tutte quelle persone che non conosceva.

Fu uno degli ultimi ad uscire e si diresse a passo moderato dall'ex-marito, fermandosi ogni tanto a scambiare qualche convenevole e una risata con qualche collega di Sebastian che lo riconosceva. Quando stavano ancora insieme capitava spesso che passasse nel suo ufficio, per una cosa o per un'altra; a volte anche solo per baciarlo quando la giornata si presentava assolutamente negativa.

Passò tra i vari uffici e sentì la risata di Sebastian in lontananza. Si avvicinò con decisione alla porta e bussò con le nocchie sulla superficie scura. Trovò l’uomo seduto sulla scrivania che parlava con Jason, un suo collega con il quale uscivano ogni tanto la sera con le famiglie. Sorrise gentile a quest’ultimo quando entrambi si voltarono verso di lui e Jason lasciò una pacca amichevole sulla spalla di Sebastian, prima di dirigersi verso di lui. “Vi lascio da soli,” disse, stringendogli la mano.

Blaine annuì convinto e gli sorrise, prima di ritornare serio quando uscì dalla stanza chiudendosi la porta e restò solo con Sebastian. Gli si avvicinò e gli porse la cartelletta di un verde pastello senza troppi convenevoli.

“Cosa sono?” Chiese Sebastian, prendendola per poi poggiarla accanto a sé sulla scrivania.

“I documenti per il divorzio, io li ho già firmati.” Rispose distaccato, ma cercando di essere il più gentile possibile, anche se aveva soltanto voglia di sferrargli un bel gancio destro.

“E i nostri figli?” Domandò Sebastian in un sussurro e Blaine non riusciva a capire come fosse realmente dentro.

“Prima di ufficializzare il tutto dovremo passare dall’avvocato per firmare un accordo tra di noi.”

“Va bene.”

Blaine strabuzzò gli occhi a quell’affermazione, aspettandosi tutt’altro. Sebastian non poteva acconsentire così facilmente, non era da lui, era.. strano. “Va bene?”

“Va bene, ma voglio che prima tu ascolti ciò che ho da dirti.” Ripeté lui, alzandosi in piedi per avvicinarsi giusto un po’, ma Blaine si allontanò per mantenere sempre la stessa distanza, facendogli cenno con la testa di continuare. “Voglio chiederti scusa per quello che ho fatto, ma io e Tony non avevamo una relazione. Di nessun tipo. L’ho licenziato.”

“Non l’hai licenziato, non puoi farlo.” Controbatté Blaine, intrecciando le braccia al petto.

“E’ vero, ma non lavora più per me, credimi.”

“Ti credo, anche sulla relazione. Ci hai messo due anni affinché mi presentassi a tutti come il tuo ragazzo, non credo che avresti definito Tony come tale nel giro di qualche mese.”

“Grazie al cielo,” borbottò Sebastian tra sé e sé.

“Ma rimane il fatto che mi hai preso in giro.”

“Io non ti ho preso in giro, non ti ho mai preso in giro. Da quando ci siamo riavvicinati io non sono andato a letto con nessuno.”

“Sei andato a letto con Tony, smettila di prendermi per fesso!”

“E’ successo solo una volta, ero arrabbiato-“

“Ah, e quindi se tornassimo insieme ogni volta che ti farei arrabbiare andresti a tradirmi con qualcuno?” Domandò Blaine, alterato, alzando la il tono di voce.

“No! Ma io.. non lo so, volevo vendicarmi e.. Blaine-“

“Volevi vendicarti? Tu volevi ferirmi, Sebastian? Per cosa, precisamente? Per volere il divorzio da te, che te ne vai a letto con chiunque?”  Blaine disse tutte quelle domande con rabbia, mentre il nervoso e le lacrime crescevano sempre di più dentro di lui.

“Blaine-“

“No, Sebastian, niente 'Blaine', niente scuse, niente di niente. Ho già sentito abbastanza.” Lo interruppe, prima di fare un respiro profondo per calmarsi. “Era una bella giornata, prima di venire qui.”

“Te ne vai?” Chiese Sebastian irritato, vedendolo dirigersi verso la porta. “Io non ho ancora finito di parlare!”

“Ho sentito abbastanza. Ti mando un messaggio con la data e l’orario per andare dall’avvocato.”

Sebastian cercò a raggiungerlo, ma Blaine fu più veloce di lui e uscì dall’ufficio sbattendo violentemente la porta. La riaprì ugualmente e avrebbe continuato a seguirlo fino a raggiungerlo, se, quando mise la testa fuori dalla porta, non si fosse ritrovato con decine dei suoi colleghi a fissarlo mentre altri seguivano con lo sguardo Blaine che percorreva il corridoio.

Lui aveva classe, non si sarebbe mai messo a ricorrerlo lì davanti a tutti. Blaine aveva ragione, non poteva controbattere come era solito fare; avrebbe trovato un’altra soluzione.

Ma una volta tornato in ufficio, con la mente annebbiata dai pensieri, firmò comunque tutti i documenti che Blaine gli aveva portato.
 
 


Blaine si era trasferito a New York dopo il diploma per seguire i suoi sogni, si era iscritto alla NYADA e aveva chiesto a Kurt di sposarlo durante l’ultimo anno di liceo. Si era trasferito a casa sua, dove viveva insieme a Rachel e Santana, la loro storia era andata avanti ma poi si sa, l’amore non può durare per sempre, soprattutto il primo. L’organizzazione del matrimonio aveva portato Kurt all’estremo consentito dell’isteria, lui aveva capito che aveva fatto una mossa troppo ardita per la sua giovane età ed entrambi si resero conto di star facendo un errore e che ancora avevano troppe cose da vivere prima di legarsi legalmente e sentimentalmente in matrimonio.

Blaine si era trasferito a casa del fratello, che fece subito di tutto per farlo sbarcare altrove senza risultati, anche lui in città per le riprese di un film che non ebbe il successo sperato; continuando a frequentare la NYADA e a fare qualche provino in vari musical.

Ebbe numerosi ragazzi fin quando non venne trascinato in discoteca da Elizabeth e Cooper, che stavano insieme da un anno, e un ragazzo alto non si avvicinò a lui da dietro sussurrandogli all’orecchio “stavo puntando un bel moretto da la giù infondo, poi mi sono detto 'Hey aspetta un momento, ma quei capelli li conosco!' Ciao Blaine.”* Quella notte finirono a letto insieme e beh, tutto cambiò.

Inizialmente nessuno dei due voleva mettersi con l’altro, ognuno per motivi differenti, così continuarono a vedersi senza impegni ma non avevano messo in conto il fascino dell’altro e s’innamorarono come due pere cotte. Ovviamente si tennero per sé tutto, fin quando non fu Blaine a cedere per primo, ma nonostante questo ci vollero anni affinché riuscirono a definirsi una coppia affermata e andassero a vivere insieme per la gioia di Cooper che era stanco di tornare a casa e trovare il fratellino a darsi da fare sul suo divano.

Si trasferirono in un piccolo appartamento in centro, trovando subito qualche difficoltà a causa delle loro abitudini comuni e opposte che non gli permetteva di convivere serenamente, ma entrambi si diedero da fare e misero da parte il “vinco io,” riuscendo piano piano ad adattarsi e a vivere civilmente.

Non appena finita l’università, Sebastian entrò come tirocinante nell’ufficio dove lavorava tutt’ora, per poi riuscire ad avere un posto stabile e aumentare di livello in anno in anno. Blaine, invece, decise d’entrare nel mondo dello spettacolo come aveva sempre desiderato. Cooper si improvvisò come suo manager, ma in realtà Blaine sapeva che lo faceva solo per rubargli ogni posto di rilievo, e riuscì a trovargli diversi ruoli di poco conto, riuscendo pian piano a farlo entrare nel vero mondo dello spettacolo.

Oliver McVille lo vide una sera e decise di diventare il suo manager, facendo felice Blaine che non vedeva l’ora di liberarsi di suo fratello. L’uomo riuscì a trovargli, quello che fino a quel mento era il suo più grande ruolo e riuscì a farlo davvero uscire dall’anonimato e a diventare famoso: Tony di West Side Story. Inutile dire che quando Blaine comunicò a Sebastian che avrebbe fatto il provino, gli rise in faccia. Ebbero diversi problemi in seguito nella loro relazione, dati soprattutto dall’essere “diva” di Blaine, che finirono soltanto parecchi anni dopo con un Sebastian arrivato al limite dell’esasperazione e un Blaine che ritrovava il senno.

Dopo appena qualche anno, si liberò una cattedra alla NYADA e Blaine riuscì a guadagnarsela, riuscendo a dividersi tra Broadway e i suoi studenti. Una volta entrambi stabili economicamente, decisero di sposarsi – in realtà Blaine aveva deciso- e poco dopo d’avere una famiglia.

Con la nascita di Grant e successivamente di Juliette, Blaine non riuscì più a dividersi equilibratamente tra casa-scuola-teatro e i ruoli di marito-padre-fratello -attore-insegnate; così decise di abbandonare il mondo dello spettacolo.

E non fece mai scelta migliore.

Alla NYADA si trovava bene, era un luogo dove condivideva il suo talento e le sue esperienze con gli altri, i suoi studenti che cercava di far crescere artisticamente e non. Tutti quegli occhi pieni di sogni e i sorrisi timidi, gli ricordavano i suoi di quando era lui lo studente. Amava anche stare in una stanza vuota da solo con il piano forte o con lo stereo per improvvisare qualche balletto o cercare di ricordare qualche vecchia coreografia.

Ma della NYADA, gli piaceva soprattutto il fatto che nessuno lì veniva mai a disturbarlo, né i figli, né Sebastian, né Elizabeth.  Quando era lì Blaine cercava di lasciare i suoi problemi famigliari a casa e soprattutto di lasciare a casa l’unico che in famiglia non avesse capito che quella era la sua piccola zona di vetro dove nessuno potesse entrare: Cooper.

Si, perché suo fratello era un caso a parte, l’eccezione. Per quanto Blaine potesse ripetergli che non doveva mettere un piede in quella scuola perché odiava quando lo diminuiva davanti agli studenti, il fratello faceva sempre di testa sua, interrompendo serenamente le lezioni, portando scompiglio e facendo lezione al posto suo anche.

E Blaine lo odiava quando lo faceva, non riusciva a mantenere il sorriso e a essere carino con lui. Non sopportava che si dovesse mettere sempre al centro dell’attenzione, sminuendolo e prendendolo in giro senza nemmeno rendersene conto. Che poi, Blaine, non insegnava nemmeno recitazione.

“Schizzo, prenderesti quello sgabello e ti siederesti di fronte a me?”

Lui lo guardò in cagnesco, sentendo tutti i ragazzi ridacchiare divertiti. Scosse la testa rassegnato e facendo come gli era stato chiesto gli sibilò un: “non chiamarmi così” tagliente, prima si sedersi di malagrazia difronte a lui, accerchiato dai suoi alunni seduti comodamente a terra.

“Bene,” Cooper sorrise raggiante e si chinò di lato per frugare all’interno della sua borsa, facendo aguzzare la vista alle ragazze. Blaine alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal ridere. “Ecco, qui!” Disse Cooper, riportandosi a sedere composto, prima di lasciare un blocco di fogli sulle gambe del fratello. “Ho qui alcuni script di alcuni provini che ho fatto, la cosa è molto semplice: bisogna leggerli e improvvisarli. Lo so che alcune performance non saranno delle migliori perché non siete Cooper Anderson e perché non conoscete a fondo la trama dei vari fari film e personaggi, ma io sono qui per questo,” sorrise amabilmente, “per darvi una mano. Nel frattempo io e Blainey vi daremo una dimostrazione.”

“Con piacere CiuffCiuff.” Lo canzonò Blaine, beandosi di quelle iridi azzurre sbigottite per via del soprannome ridicolo e che suo fratello odiava tanto. Era uscito una delle solite sere in cui cenavano tutti insieme e i bambini erano piccoli. Juliette chiamò lo zio CoopCoop come era solita chiamarlo, ma quella volta fu diverso perché ricordò a tutti il fischio di un treno in partenza, Sebastian fu tanto carino da farlo notare a tutti e da quel momento Blaine iniziò a chiamare il fratello CiuffCiuff per prenderlo in giro e vendicarsi di tutti quei nomignoli che era solito dargli anche in compagnia di sconosciuti.

Gli studenti che sentirono quel nomignolo ridacchiarono piano per non farsi sentire e Blaine li guardò divertito prima di prendere un fascicoletto di cinque fogli pinzati insieme e passarlo al fratello per poi prenderne la copia e portarlo davanti agli occhi per leggere il titolo del film da cui era tratta la scena che evidentemente Cooper volesse interpretare.

Non conosceva il titolo del film né tanto meno la trama, però decise ugualmente di accontentare suo fratello. Continuò a leggere tutta la pagina senza fare una piega, ma quando Cooper iniziò a recitare urlando alcune parole e sussurrandone delle altre, continuando a puntargli il dito rischiando di cavargli un occhio più volte, le sue buone intenzioni lo abbandonarono e sperò soltanto che finissero presto.
 
 

 
 

“Oh, grazie! Grazie!”

“Non c’è di che!” Rispose Cooper con un sorriso, restituendo a una ragazza una sua foto appena autografata.

“Possiamo darle un bacio?” Gli chiese speranzosa la ragazza con i capelli biondi raccolti in una lunga e ordinata coda di cavallo. L’uomo sorrise sorpreso a quella domanda, mentre Blaine, che guardava la scena da lontano perché stava risistemando i suoi oggetti personali nella borsa, alzò le sopracciglia cercando di capire fin dove le sue studentesse si sarebbero spinte.

“Certo mi piacciono i baci!” Rispose Cooper allegro e il fratello si domandò se gli piacessero anche i ceffoni di Elizabeth se mai l’avesse saputo. Le due ragazze gli diedero entrambe due baci nelle guance contemporaneamente e Blaine scosse la testa divertito.

“Ragazze, ma voi due non avete lezione?” Fece finta di rimproverarle quando tornarono a debita distanza da Cooper con gli stessi occhi sognanti di poco prima; loro annuirono e li salutarono borbottando qualcosa d’indistinto, ancora tutte rosse in faccia che portarono i due uomini a ridere allegramente una volta uscite dalla stanza.

Una volta rimasti soli, Blaine tornò a rimettere a posto i suoi oggetti nella borsa e si chiese perché non l’avesse fatto prima quando capì che quel giorno non avrebbe potuto fare una lezione a causa del fratello. Stava proprio riponendo alcuni spariti quando questi gli cinse le spalle con un braccio.

“Non abbiamo ancora finito, devo provare ancora una parte.”

“Quella del fratello rompiscatole la sai interpretare fin troppo bene, non c’è bisogno di provare per quello.” Rispose ironico.

Cooper gli diede un colpo nello stomaco, provocandogli un gemito di dolore. “Non sei divertente e sono profondamente ferito da queste tue parole.”

Blaine roteò gli occhi al cielo. “Scusa, mi dispiace tanto.”

“Grazie” rispose subito l’altro, facendo finta di non capire il tono ironico con cui aveva detto quelle parole.

“Per cosa devi provare?”

“Un ruolo importante  e ho assolutamente bisogno del tuo aiuto.”

“Non ti può aiutare.. la tua ragazza?” Blaine disse l’ultima parte della frase con titubanza.

“No, è una cosa importante che solo un fratello può fare.”

Blaine alzò un sopracciglio ma annuì e, anche se stremato, lasciò stare la borsa e si decise ad aiutarlo; dopotutto era il suo fratellone. “Ok, cosa devo fare?”

“Umm, niente, siediti sullo sgabello. Il tempo che prendo una cosa e arrivo.”

Lui annuì e fece come gli era stato detto, sedendosi allo stesso posto di un ora e mezza prima. Seguì il fratello recarsi all’appendiabiti con lo sguardo. Lo vide cercare qualcosa nelle tasche, ma dal punto di vista in cui era messo, non riuscì a vedere bene cosa uscì Cooper fuori dalla tasca. 

Lo guardò avvicinarsi e notò com’era impallidito in giro di pochi secondi.

“Non mi hai dato il copione.” Gli fece notare e Cooper lo guardò impietosito, forse pensando a quanto fosse scemo.

“Ce l’hai sotto al sedere.”

Fu allora che si alzò in piedi per guardare lo sgabello per trovare un foglio banco proprio sul sedile. Si diede dello stupido e sentì il fratello borbottare qualcosa che assomigliava tanto a un “tanto talento sprecato.” Ridacchiò tra sé e sé e si risedette, ma prima che potesse cominciare a leggere qualcosa, Cooper iniziò a parlare, catturando la sua attenzione.

“Ricordi l’altra sera quando abbiamo parlato a letto dopo aver fatto l’amore?”

Blaine strabuzzò gli occhi a quella domanda, poi capì che suo fratello aveva appena iniziato a recitare, così lesse la sua risposta sul copione e annuì. “Quando eravamo ancora nudi e abbracciati stretti?” Blaine si trattenne dal ridere prima di continuare a leggere. “Dopo che sei stato così fantastico ed eccitante? Ed eri bellissimo come al tuo solito? Si, me lo ricordo.”

Cooper annuì e il ricciolino continuò a leggere. “Mi sentivo così bene e al sicuro, il tuo corpo da favola così vicino al mio e tutto- Scusami Cooper, ma a cosa serve questa scena? Perché da qui in poi inizia a sembrare una cosa.. pornografica.”

“Tu dici?” Chiese lui a sua volta, leggermente allarmato.

“Un po’.” Blaine era abituato a interpretare quelle scene, ma il dover lavorare con suo fratello e raccontare quelle cose lo metteva un po’ a disaggio senza un motivo valido.

“Tanto lo so che lo dirà,” borbottò Cooper, facendo accigliare il fratello, ma convinto di non essere stato sentito continuò dicendo: “Allora andiamo avanti, direttamente al monologo vero e proprio.”

“Va bene.. Sembra che tu voglia dirmi qualcosa.”

“E’ così.” Rispose lui, sedendosi difronte a Blaine. “Da quando ti ho incontrata la mia vita è cambiata. Io sono cambiato, beh un poco, diciamo. Ricordo il giorno in cui sbattei contro di te come se fosse ieri e.. SAI QUANTO QUESTO SIGNIFICHI data la mia PESSIMA MEMORIA. Da quel giorno sono cambiate tante cose perché TU SEI ENTRATA a far parte DELLA MIA VITA e io adesso non SAPREI come VIVERLA SENZA DI TE. Quindi, il discorso CHE ABBIAMO FATTO la scorsa notte, mi ha fatto RIFLETTERE.”

Blaine inclinò la testa di lato, sorridendogli tenero, mentre nella sua testa si chiedeva ancora perché non gli avesse mai dato una vera e propria lezione di recitazione. “Su cosa, amore mio?”

“Noi stiamo insieme da SEDICI anni e ho CAPITO quanto tu DESIDERI un MATRIMONIO. E quindi,” Cooper si avvicinò con lo sgabello al fratello minore e poi uscì dalla tasca posteriore dei pantaloni una scatolina in velluto rosso. “Elizabeth, vuoi sposarmi?” Chiese alzandone il coperchio e a Blaine gli occhi si riempirono di lacrime di gioia in una frazione di secondo. Annuì per continuare la parte e Cooper gli prese la mano, prese l’anello e glielo infilò nel mignolo della mano sinistra fin dove entrava, dato che le dita di Blaine erano molto più grandi della donna a cui sarebbe appartenuto.

Blaine  vide il fratello avvicinarsi verso di lui e per un momento dubitò d’avvero che potesse baciarlo, all’ultimo Cooper si spostò sulla sua guancia per lasciargli un bacio umidiccio e Blaine colse l’occasione per stringerlo in un abbraccio.

“I-io non so cosa dire.” Balbettò dopo qualche attimo di silenzio.

“Guarda che non ti stavo davvero chiedendo di sposarmi eh.”

Blaine rise come un cretino e sciolse l’abbraccio. “Non ti sposerei neanche se non fossi mio fratello e saresti l’ultimo uomo sulla terra.”

Cooper schiuse la bocca scioccato, non aspettandosi per niente una risposta del genere. “Tanto ti direi di no in ogni caso. Saresti troppo basso.” Lo liquidò cercando di ferirlo, ma Blaine rise soltanto, ancora troppo felice per quella notizia.

Adesso tutti i tasselli del puzzle erano completi e finalmente Blaine riusciva a capire il motivo di tutte quelle riviste da sposa nascoste per casa, il continuo uscire furtivo di entrambi e l’essere sempre irritata di Elizabeth quando parlava del suo divorzio o del loro matrimonio. Scosse la testa, pensando a quanto fosse idiota per non essersene accorto prima.

Era ancora arrabbiato con Elizabeth e riteneva che quello che aveva fatto era ingiusto, ma non gli importava, era troppo felice in quel momento. Finalmente Cooper si sarebbe sposato, El si sarebbe sposata realizzando così un suo sogno. A far pace con lei ci avrebbe pensato successivamente.

“Sono così emozionato! L’hai già detto ai nostri genitori?”

“No, ma gli arriverà l’invito.”

“Cooper..” Blaine non riuscì a dire altro, semplicemente lo abbracciò di nuovo. Si sentiva così fiero di lui; era una delle decisioni più importanti che suo fratello avesse preso e il fatto che avesse deciso di sposarsi dopo tutto quel tempo, non gli sembrava ancora vero.

“Schizzo?” lo chiamò lui dopo poco.

“humm-mmm?”

“Secondo me va bene come proposta o devo migliorare qualcosa?”

Blaine si allontanò da lui, non sapendo bene come rispondere per non ferirlo. Il discorso che aveva fatto tutto sommato non era male, era il modo in cui lo aveva detto che aveva distrutto il tutto.

“Credo che dovremmo migliorare qualcosa.”

Cooper annuì radioso perché aveva usato il plurale e ciò significava che aveva deciso di dargli una mano. “Vado a prendere una penna per aggiungere qualcosa e tu invece pensa a darmi dei consigli sull’esposizione; non voglio fare schifo per via dell’emozione.”

“Va bene” acconsentì Blaine, sorridendo entusiasta. “Magari.. ti aiuto anche a decidere dove chiederglielo e in che modo..”

Vide il fratello alzarsi e allontanarsi dandogli le spalle; istintivamente i suoi occhi ricaddero sull’anello che aveva ancora infilato nel mignolo e sentì una fitta al cuore, ricordandosi la volta in cui chiese a Sebastian di sposarlo.

 
Lo guardò con un sorriso amaro e cercò di distrarsi pensando a che bella scelta avesse fatto suo fratello. Ma la verità è che, pochi istanti dopo, Blaine si era già lasciato andare ai ricordi.










**c’è davvero bisogno di spiegarlo? :3

Si, ho dato un po' di più spessore a John, perché sì, non è fesso.. è cucciolo(?) 

e... si! finalmente i Coopel si sposeranno! non ve lo aspettavate vero? LOL In realta' doveva essere davvero una sorpresa, pero' non ci sono riuscita. vabbe'. 

Come qualcuno mi ha gentilmente ricordato, i miei capitoli preferiti sono sempre quelli dove succede qualcosa di brutto ai nostri Seblaine, ma il prossimo sara' speciale perche' *rullo di tamburi* ci saranno soltanto  ricordi di Blaine e si, sara' tanto fluffoso. (?)

Un bacione e alla prossima settimana 

Keros_ 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13- Don't You Remember ***


 

Capitolo 13

Don't You Remember





Sposarsi.

Suo fratello Cooper, un ammasso di egocentrismo,  bellezza e presunzione, stava per sposarsi.

E Blaine non avrebbe mai potuto esserne più felice.

Eppure, mentre lo ascoltava ripetere il suo discorso, che sarebbe dovuto essere romantico ma che in pratica lo era poco e niente, non riusciva davvero a concentrarsi sulle parole che pronunciava. Perché la sua mente era piena di ricordi e lui non voleva lasciarsi andare a essi.

Ma era più forte di lui e proprio quando Cooper gli sorrise, decise di non combatterli più e farsi avvolgere da tutti quegli spezzoni della sua vita.

Perché sarebbe stato del tutto inutile continuare a combatterli.

Per lui, voleva riviverli.

 

 

Blaine, credeva nel matrimonio e sposarsi era una delle tappe fondamentali della sua vita. L’aveva stabilito anni prima e niente gli avrebbe impedito di farlo, soprattutto adesso che era legale in tutti gli Stati d’America.

Infatti, niente gli avrebbe impedito di farlo, ma qualcuno sì: Sebastian, il suo ragazzo.

In realtà Blaine non sapeva bene cosa Sebastian pensasse del matrimonio e la cosa era anche abbastanza ovvia; perché ogni singola volta il discorso non aveva mai  una durata che superasse i cinque minuti.

Quando erano in compagnia, Sebastian si limitava ad annuire di tanto in tanto restando in silenzio e Blaine sapeva che in realtà non ascoltava nemmeno una singola parola ma che nella sua testa stava già escogitando un modo più rapido per spogliarlo per quando sarebbero tornati a casa. 

Quando invece gli capitava di parlarne da soli, in realtà era solo Blaine a parlare per cinque minuti mentre Sebastian probabilmente continuava a leggere il libro comprato il giorno precedente, poi si stufava di dover rileggere per la quinta volta la stessa riga e mendava tutto a quel paese, zittendo le labbra di Blaine con un bacio, prima di infilargli le mani sotto la maglietta e finire in camera.

Blaine aveva passato intere notti a pensare se prendere davvero in considerazione l’idea di chiedere a Sebastian di sposarlo, ma ne era terrorizzato. E se gli avesse detto di no? O peggio, di si? Molto probabilmente sarebbe morto sul colpo in tutti e due i casi con un attacco di cuore; nel primo caso si sarebbe distrutto completamente in mille piccoli frammenti, nel secondo caso sarebbe potuto esplodere di gioia, ne era sicuro.

Così Blaine non riusciva a decidersi sul da farsi. Aveva accennato qualcosa al fratello, ma lui molto gentilmente lo guardò battendo le palpebre un paio di volte prima di esclamare “Vieni con me a comprarmi un nuovo maglioncino da indossare domani sera a un party?” e la cosa era finita lì; sapeva che sarebbe stato inutile insistere.

Così dopo vari “non posso” e “non sarebbe giusto,” Blaine capì che doveva muovere quel culetto che Sebastian definiva perfetto e andare a parlare con l’unica persona che gli avrebbe dato un consiglio serio, aiutandolo a valutare bene la situazione: Elizabeth. Certo, non aveva tutti i torti a non voler andare da lei, ma aveva bisogno della sua migliore amica. Insomma, ogni tanto doveva pur ricoprire il suo ruolo.

Blaine sapeva che lei voleva già sposarsi da un paio di anni ed era arrivata quasi a chiederlo ufficialmente a Cooper, ma lui aveva fatto capire che per il momento non aveva alcuna intenzione di fare un contratto così vincolante e che voleva dedicarsi alla sua carriera più tosto che a creare una famiglia. Elizabeth ovviamente non aveva potuto replicare, anche perché lei si trovava nella sua stessa posizione per essere un esordiente come organizzatrice di eventi e forse non era davvero il momento migliore per unirsi in matrimonio; però sentir parlare di matrimoni la metteva in suggestione e non era difficile notarle gli occhi luminosi quando qualcuno le chiedeva di organizzarglielo, che si contrapponevano nettamente al sorriso amaro che le spuntava sulle labbra.

Quindi Blaine sapeva che ci sarebbe rimasta un po’ male e che si sarebbe lamentata per giorni, coinvolgendo anche Cooper, ma a qualcuno doveva pur chiedere consiglio e lei era la persona più ovvia e che gli stava più vicino.

Quel giorno le aveva dato appuntamento proprio davanti alla pista da ghiaccio del Central Park, alle tre del pomeriggio. Ovviamente lui arrivò con dieci minuti di ritardo e la trovò seduta su una panchina che si sistemava il suo nuovissimo cappello di lana, sui capelli scuri. Le si avvicinò e quando lo vide, El si alzò in piedi sui tacchi alti per andargli in contro, sorridendogli cordiale.

“Ciao Bellissimo,” Lo saluto, gettandogli le braccia al collo e baciandolo sulla guancia.

“Ciao tesoro,” rispose lui, rispondendo all’abbraccio e arricciando il naso contro la lana del capello che gli solleticava il viso.

“Allora, cosa c’era di così urgente da farmi venire qui in pieno inverno e con tutto questo freddo?” Domandò Elizabeth una volta staccati, facendo finta di essere irritata nonostante il sorrisone che aveva sul viso. Blaine sorrise a sua volta mentre lei lo prendeva sottobraccio, accoccolandosi a lui per ripararsi dal freddo pungente di dicembre.

“Come se  ti dispiacesse! Dici sempre che è bellissimo passeggiare qui durante il periodo natalizio, quindi eccoti accontentata.”

Lei ridacchiò, “Si, ma è diverso, sai? Magari se mi mettessi qualcosa di più pesante, o dei Jeans, invece di dover camminare in mezzo alla neve con  tacchi e vestito, sarebbe più comodo.”

“Esagerata,” scherzò lui, “Hai i collant.” Entrambi scoppiarono a ridere e in quel momento un soffio di aria gelida soffiò verso la loro direzione, facendo rabbrividire Elizabeth da capo a piedi e lui le circondò le spalle con un braccio. “Se vuoi possiamo andare a prenderci un caffè da qualche parte, così non senti freddo.”

“Ah, quindi è una cosa lunga,” lo canzonò lei,  aggiungendo si proposito il doppio senso, accompagnando il tutto con un sorriso birichino.

“Sei incorreggibile.” La rimproverò lui, senza avere la decenza di metterci un minimo di convinzione e scuotendo la testa. “E comunque sì, si tratta di una cosa lunga; ma non nel senso che intendi tu.”

“Peccato, sarebbe stato divertente vederti arrossire parlandomi di quelle cose.” Commentò alzando le spalle.

Risero entrambi e poi iniziarono a parlare del più e del meno, del lavoro, degli ultimi gossip in città, delle loro vite da fidanzati e dei loro vari problemi al riguardo. Elizabeth gli disse d’aver anche trovato un appartamento davvero molto carino a qualche isolato di distanza da dove stavano già, ma era molto più grande e anche più costoso, ma se la banca le avesse fatto un prestito forse avrebbero potuto permetterselo.

Blaine ne rimase entusiasta e iniziarono a progettare sul quel appartamento che lui non aveva nemmeno ancora visto; così quando in un attimo di silenzio la ragazza gli chiese cosa voleva dirgli ne rimase spiazzato.

Guardò un attimo prima i suoi occhi azzurri, poi i resti della neve caduta su New York qualche giorno prima, poi decise che era arrivato il momento. O la va o la spacca. “Sai, Elizabeth.. ho.. noi.. no, in realtà i-io.-“

“Blaine?”

“Si?”

“A parole tue.” Scherzò lei, prima di diventare seria. “Dillo e basta. Non ti mangio mica.”

Blaine sospirò e disse: “Voglio chiedere a Sebastian di sposarmi.”

E poi la vide: la tristezza nei suoi occhi.

Lui sapeva che non era invidiosa, gelosa o qualsiasi altra brutta cosa il motivo per cui reagì così. Era stata una cosa naturale, tanto che non era ferita, ma solo sorpresa e rammaricata di non potersi sposare anche lei. Gli sorrise gentile, mettendo su un sorriso che, nonostante non volesse esserlo, era finto e Blaine se ne pentì di averglielo detto, ma prima o poi quel giorno sarebbe arrivato e lo sapevano entrambi.

“Sono felicissima!” Esclamò lei, fermandosi in mezzo al viale per abbracciarlo e lui lo sapeva che quelle parole erano vere, anche se non come entrambi avrebbero voluto. “Sono sicura che ti dirà di sì!”

“Non so, El..” rispose titubante, non sapendo bene cosa dire senza peggiorare la situazione.

“Cosa non sai?” Domandò lei, con il tono di chi non ammetteva repliche e lui cedette.

“E’ Sebastian. Sai che potrebbe pure dirmi di no… f-forse dovrei aspettare che sia lui a propormelo.”

Elizabeth alzò un sopracciglio, e lo guardò con aria di sufficienza. “Sei una donna, per caso? No, sei un uomo. Siete tutti e due uomini. Quindi puoi benissimo chiederglielo tu, non hai bisogno che sia lui a fare la prima mossa.” Lei lo afferrò per mano, prima di iniziare a camminare a passo spedito, trascinandoselo. “E sì, hai ragione: dobbiamo trovare un bar, è davvero una cosa lunga.”

Blaine la guardo sbalordito, cercando di prendere il suo ritmo. Guardò il suo sorriso, era sincero; ciò nonostante non gli sfuggì l’altra mano che andò ad asciugarsi l’occhio destro.

 

 

Blaine scelse una tiepida giornata di fine febbraio per fare il grande passo e chiedere a Sebastian di sposarlo.

Erano passati due mesi perché tra vacanze, spettacoli, prove, party lavorativi, drammi Coopeschi un giorno sì e l’altro pure, aveva avuto ben poco tempo per parlare della sua decisione con il suo agente, i suoi genitori e capire cosa ci fosse davvero in quella zucca vuota del suo ragazzo.

Alla fine Blaine ed Elizabeth avevano capito che Sebastian non aveva niente contro il matrimonio e che quindi poteva benissimo chiederglielo. Il problema più grande furono i suoi genitori: lo ritenevano troppo giovane e non facevano altro che ripetergli che lui e Sebastian erano usciti da pochissimo da una brutta situazione e la quasi rottura a causa del suo comportamento da Diva.

Lo stare sotto i riflettori gli aveva dato alla testa, lo ammetteva, ma la sua scelta non aveva niente in comune con tutto quello e soprattutto con la paura di perderlo; non era come con Kurt. Lui voleva sposarlo perché lo amava ed era arrivato il momento di compiere il grande passo.

E Blaine aveva deciso di compierlo proprio sull’Empire State Building.

Non era stato difficile convincere Sebastian ad accompagnarlo: andavano lì molto spesso quando avevano tempo e volevano rilassarsi un poco godendosi la vista di New York, sorridendo alle facce meravigliate dei turisti che salivano lì su per la prima volta. E il panorama, ripagava le lunghe attese; lo ammetteva anche Sebastian stesso che brontolava sempre un po’ quand’erano in fila.

Così quel pomeriggio, subito dopo pranzo, Blaine gli aveva chiesto di fare una passeggiata prima che facesse e buio e mentre camminavano per le vie affollate di Manhattan, gli aveva chiesto di salire. Aveva programmato tutto per quella proposta, il modo in cui chiederglielo, la canzone, aveva scelto un giorno senza nuvole e aveva anche chiesto a Elizabeth di aiutarlo facendo partire la musica al segnale prestabilito.

 

“Vado a buttare questi,” disse Sebastian dopo qualche attimo di silenzio, afferrando i cartoni del caffè che erano poggiati tra i loro corpi. “Torno subito.”

Blaine annuì, guardandolo alzarsi in piedi e sparire in mezzo alla folla, dall’espressione sembrava un po’ deluso. E lui non poteva dargli di certo torto: era nervosissimo, tremava appena e rispondeva a monosillabi o annuendo, e non faceva altro che rispondere ai messaggini della sua migliore amica che gli diceva di darsi una mossa da quando erano arrivati.

Sebastian doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava, quando in realtà andava tutto benissimo, alla perfezione; aveva soltanto bisogno di calmarsi un poco, smettere di guardarlo come se non l’avesse mai visto prima e chiedergli di sposarlo.

Facile come bene un bicchier d’acqua, pensò sarcastico nella sua mente.

Si alzò in piedi e si diresse al parapetto, facendo zigzag tra gli altri visitatori, poggiando le mani sulla ringhiera per guardare la Grande Mela al tramonto.

I raggi di sole illuminavano i vetri degli edifici e donavano al cielo bellissime sfumature di arancio, rosso e giallo; nonostante i clacson delle macchine e il chiacchiericcio della gente, la città pareva stranamente silenziosa alle orecchie di Blaine. Tutto sembrava stranamente tranquillo sotto quella combinazione di luce e colori caldi, che non facevano altro che farlo sentire fiero di se stesso per aver scelto il luogo migliore in assoluto per fare il grande passo.

Sebastian tornò poco dopo, stringendosi nel giubbotto e affondando ancora di più il viso nella sciarpa che portava al collo. Poggiò i gomiti sulla ringhiera anche lui, per poi guardare il suo ragazzo con la coda dell’occhio. “Sei strano oggi.”

“C-cosa?” Chiese lui, preso di contropiede. “Nah, sono normalissimo.”

“Sei troppo silenzioso.”

“Dici sempre che parlo troppo-“ Blaine non riuscì a lamentarsi a dovere, perché Sebastian lo interruppe.

“Si, ma nei momenti sbagliati.”

Lui annuì, sorridendo divertito per la scemenza del suo ragazzo e stava per rispondergli  quando quest’ultimo parlò di nuovo. “E’ come se ci fosse qualcosa che non vuoi dirmi.”

Blaine rimase zitto un momento per raccogliere le idee; era davvero arrivato il momento. Era pronto. Doveva chiederglielo. Dopotutto non aveva passato il giorno precedente a provare canzone e a rifinire tutti i dettagli con Elizabeth per niente, no?

“In realtà è proprio il contrario: voglio dirti una cosa. Quindi, adesso, sta fermo qua.” Lo avverti, prima di sorridergli sicuro e allontanarsi da lui di qualche metro.

Uscì dalla tasca il cellulare per mandare un rapido messaggio alla sua migliore amica, con scritto: “Adesso.”

Restò un attimo a guardarsi le scarpe, poi dalle casse dell’Empire partì la base di “You and me”  dei Lifehouse. Alzò gli occhi per incontrare quelli di Sebastian, che adesso lo guardavano straniti, divertiti e preoccupati allo stesso tempo; sorrise tra sé e sé, una cosa del genere non se la aspettava.

What day is it?
and in what month?
this clock never seemed so alive
I can’t keep up
and I can’t back down
I’ve been losing so much time

cause it’s you and me and all of the people
with nothing to do
nothing to lose
and it’s you and me and all of the people
and I don’t know why
I can’t keep my eyes off of you

E mentre cantava quelle parole, Blaine non riusciva veramente a staccare gli occhi da Sebastian, che con il tramonto e Manhattan alle spalle, il venticello leggero e freddo che gli scompigliava i capelli e lo portava socchiudere gli occhi dietro le lenti spesse degli occhiali, era più bello che mai.

all of the things that I want to say
just aren’t coming out right
I’m tripping on words
you got my head spinning
I don’t know where to go from here

Sebastian ghignò e si staccò dal parapetto, avvicinandosi con lentezza verso Blaine che continuava a cantare guardandolo come se non avesse mai visto cosa più bella prima e sì, forse era vero.

cause it’s you and me and all of the people
with nothing to do
nothing to prove
and it’s you and me and all of the people
and I don’t know why
I can’t keep my eyes off of you

Sebastian si fermò solo quando fu a meno di mezzo metro di distanza da lui. Lo guardò negli occhi, gli sorrise dolce e dopo alzò entrambe le braccia in aria per sventolarle e urlare: “STOP!” facendo sgranare gli occhi a Blaine mentre la musica si staccava.

“C-cosa? Come? Perché?” Chiese Quest’ultimo, guardando scoccato il suo ragazzo.

“Si.”

Blaine sbarrò gli occhi. “Cosa?”

“Si, Blaine,” ripeté Sebastian con tono annoiato. “La risposta alla tua domanda… è si.”

“A quale domanda?” Continuò a domandare Blaine, non capendo a cosa si riferisse.

Sebastian ridacchiò, prima di poggiare le mani sui suoi fianchi, sollevando un leggero “oooh” dal pubblico. Fu in quel momento che Blaine si guardò in torno e  vide che una piccola folla si era radunata lì intorno a loro per vedere lo spettacolo e adesso li guardavano adoranti.

“Sei così idiota Blaine Anderson,” Rispose Sebastian, sfregando la punta del suo naso contro quello di Blaine. “A quella se ti voglio sposare o meno. La risposta è sì.” Detto questo, lo baciò piano sulle labbra, prima di farle dischiudere con la propria lingua per approfondire di più il contatto, ma Blaine non ricambiò con la stessa intensità.

“Non è come me l’ero immaginato,” commentò subito il moro quando si staccarono, non riuscendo a nascondere il tono deluso nella sua voce.

“Blaine, con me non è mai come te lo immagini,” gli fece notare lui, così da fargli capire che non era così strana l’azione che aveva appena fatto.

“Lo so, è per questo che voglio chiedertelo,” rispose Blaine dolce, “ma vorrei farlo a modo mio. Almeno l’ultima parte,” continuò leccandosi le labbra, prima che entrambi scoppiassero a ridere di nuovo. Sebastian gli fece cenno di sì con la testa e di conseguenza lo lasciò andare per farlo inginocchiare.

Blaine sorrise raggiante e con gli occhi luminosi disse: “Visto che ormai tutto il mio discorso filosofico non lo posso più fare perché mi hai interrotto a metà canzone ... te lo chiederò e basta.” Sebastian annuì entusiasta e Blaine prese dalla tasca della giacca una scatolina in velluto blu, la aprì mostrando un bellissimo anello in oro bianco ma semplice e si schiarì la voce. “Sebastian Smythe,” fece una pausa, “Vuoi sposarmi?”

“Si, Hobbit, voglio sposarti.”

Blaine ridacchiò alzandosi in piedi e senza ulteriori indugi, gettò le braccia al collo di Sebastian.

E quello sì che fu un vero bacio.

 

 

 

“Mancano soltanto pochi minuti, Elizabeth! Come hai fatto a dimenticarti le fedi?” Domandò Blaine, sull’orlo di una crisi di manico.

“Non è colpa mia, le doveva prendere tuo fratello, mica io!” Si difese la donna, facendo accomodare l’amico su una sedia.

“E’ tutto un disastro, questo giorno è un completo disastro.” Si lamentò quest’ultimo, coprendosi il volto con le mani e scuotendo la testa, proprio come un bambino capriccioso. “Ma tu lo sai che Cooper ha la memoria di un pesciolino rosso.”

“Ok, senti,” iniziò lei, avvicinandosi a lui e abbassandosi un po’ per guardarlo negli occhi, “ho mandato Emily a prenderle venti minuti fa. Sono sicura che tra cinque minuti sarà qui.”

Blaine a quelle parole sembrò calmarsi un po’ e aprendo di poco le dita, guardò la sua amica. “Sei sicura?”

“Al cento per cento.”

“Non ci sarà bisogno di spostare niente,” disse lei guardandolo teneramente, “o mi morirai qui sul pavimento.”

“Grazie,” rispose lui sarcastico, prima di sistemarsi la manica della giacca. “Dio, chissà cosa ne penserà Sebastian di tutto questo disastro,” disse dopo un poco, “se non mi volesse più sposare non lo biasimerei neanche.”

“E’ più probabile che si esporti un rene,” commentò lei, alzando gli occhi al cielo.

“Ho bisogno di vederlo!” Disse Blaine, alzandosi in piedi di botto.

“Cosa? No, non puoi!” Rispose prontamente lei, mettendosi davanti a lui per impedirgli il passaggio, “non puoi vedere lo sposo prima del matrimonio.”

“Elizabeth, non sono una donna! Ieri ti abbiamo accontentata e siamo andati a festeggiare rispettivamente ai lati opposti di New York –e Dio solo sa quanti sederi avrà palpato Sebastian con i suoi amici; lui non ha visto il mio vestito e né io il suo. E va bene, ma El, ti prego, ho bisogno di vederlo solo due minuti.” Sbottò lui, esasperato da tutta quella storia.

Lei lo guardò pensierosa per un attimo, poi abbassò lo sguardo arrossendo un poco. Da quando Blaine le aveva dato la grande notizia, Elizabeth non aveva fatto altro che prendere il dominio su ogni sua decisione a riguardo, aveva organizzato tutto lei, dalla chiesa fino ai lacci delle scarpe di entrambi gli sposi. Lui non aveva detto niente in merito, anche perché lo aveva aiutato moltissimo nel rendere il tutto a dir poco magnifico, ma sapeva che l’unico motivo per cui lo aveva fatto era che voleva così tanto sposarsi, da rendere suo anche il matrimonio di Blaine.

Tossicchiò piano, prima di aggiustarsi l’ampia gonna del vestito rosso che aveva addosso, rimanendo in silenzio; poi si guardò le scarpe e sempre evitando lo sguardo dell’amico, si sistemò un piccolo strass che si stava staccando del corpetto.

“Hey, Blaine, siamo pronti, andiamo!” Esordì Cooper entrando nella stanza con un sorriso raggiante. Entrambi i due ragazzi si voltarono a guardare il nuovo arrivato, poi si avvicinarono a lui.

“Grazie, Cooper.” Disse Blaine, dandogli una pacca sulla spalla prima di uscire.

“Che è successo?” Chiese quest’ultimo preoccupato, guardando la sua ragazza, prima di circondarle la vita con un braccio. Lei alzò le spalle, restando in silenzio. “Dai, non fare quella faccia,” disse dolce lui, lasciandole un bacio a stampo sulle labbra, “dopo si balla!”

“Si.. Cooper.. dopo si balla..” ripeté lei, senza entusiasmo e scivolando via dalla sua stretta. “Vado a dare una mano a Blaine.”

E in quel momento, un urlo si levò dal corridoio del comune. “ELIZABETH!”

Lei arrivò di corsa, trovando l’amico poggiato con la schiena contro la porta da dove sarebbero dovuti entrare di lì a poco. Gli si avvicinò con lentezza, terrorizzata dal comportamento del ragazzo. Sembrava così nervoso che non si sarebbe sorpresa neanche un po’ se avesse tentato di gettarsi dalla finestra.

E’giadentro.”

“Che hai detto?” Chiese lei, alzando un sopracciglio.

“Sebastian è già dentro!” Lei batté le palpebre più volte, poi si sporse sulla destra per guardare attraverso la porta aperta.

“Si, lo so.”

“Ha un vestito nero.” Sibilò lui per non farsi sentire, uccidendola mentalmente venticinque volte con lo sguardo.

“Si, lo so.” Ripeté lei, non capendo dove stesse il problema.

“Io ho il vestito color panna,” Blaine parlava davvero come uno psicopatico, “Avevi detto che aveva un vestito bianco pure lui, invece è nero. Nero, Elizabeth, nero.”

“Blaine, ti ho già detto che lo so. Ma avevi detto che questo vestito ti piaceva, qual è il problema?”

“Il problema è..” Blaine si fermò appena in tempo. Cooper li superò sorridendogli raggiante prima di alzare i pollici per fargli capire che andava tutto bene, poi una volta che fu entrato, Blaine continuò. “.. è che io sono La Sposa, quando invece sono Lo Sposo.”

Lei scoppiò a ridere, “ma dai, se lo sanno tutti che quello che lo prende sei tu.”

“Elizabeth, ci sono i miei genitori lì dentro!”

“Appunto,” disse lei, prendendolo dalle spalle e mettendosi dietro di lui, “quindi cerca di entrare e dire quel maledetto sì.” Poi lo spinse davanti alla porta e Blaine, finalmente lo poté vedere dedicandogli la giusta attenzione.

Sebastian era lì in piedi davanti al sindaco, nel suo abito nero che sembrava essergli cucito  addosso, elegantissimo come sempre. Aveva i capelli leggermente tirati in dietro e fissati con la lacca, un po’ diversi dalla sua solita pettinatura. Aveva le mani intrecciate tra di loro mentre chiacchierava con suo fratello Stefan venuto appositamente con la sua famiglia da Parigi per il matrimonio. Fu proprio quest’ultimo a fargli notare il suo arrivo, così si girò a guardarlo, facendo tremare le gambe a Blaine, che si calmò soltanto quando gli sorrise e gli fece un occhiolino, facendogli dimenticare persino del suo nome e di tutti i presenti in sala.

Si avvicinò a lui con passo cadenzato, notando che anche le sue mani tramavano leggermente per l’emozione. Si avvicinò a lui dimenticandosi di tutte le cose che erano andate storte quel giorno fin dal primo mento in cui aprì gli occhi. Si avvicinò a lui libero di pensieri e preoccupazioni, perché non riusciva a smettere di fissarlo, perché quello era il loro momento, il loro matrimonio.

E quando una volta vicino a lui, Sebastian gli prese la mano, capì d’aver fatto la scelta giusta, di voler passare il resto della sua vita con lui, di non essere mai stato così pronto come in quel momento di pronunciare un fermo e orgoglioso “Sì, lo voglio.”

 

 

Blaine non ricordava con certezza la prima volta che fecero il discorso “bambini”, ma doveva essere stato sicuramente a Parigi durante una delle tante vacanze che facevano ed erano andati a pranzare a casa dei genitori di Sebastian, dove c’era anche suo fratello con la moglie.

Tirava una brutta aria a tavola, Sebastian e Stefan non erano mai andati tanto d’accordo, ma in modo diverso da quello di Blaine e  Cooper. Questi ultimi non andava d’accordo per vari motivi come la differenza d’età, l’egoismo del maggiore e il suo voler stare sempre al centro dell’attenzione, la competizione che avevano sempre avuto fin da bambini perché i loro genitori sembravano apprezzare sempre di più Cooper che Blaine, ma erano cose che con il passare degli anni e la crescita di quest’ultimo avevano perso la loro importanza, permettendogli di essere i fratelli che avrebbero dovuto essere fin da bambini.

Ma tra Sebastian e Stefan era sempre stato diverso, glielo aveva detto Stephanie stessa. Da bambini erano sempre stati molto uniti, anche se litigavano molto spesso, come tutti i bambini d’altronde; poi con l’arrivo della adolescenza e la differenza d’età che, per sé non era molta, solo tre anni, ma che durante quella fase contava e come, iniziarono a dividersi gradualmente. Stefan aveva degli interessi del tutto diversi da quelli del fratello, della letteratura, musica e party non gliele importava proprio niente; iniziò pure a frequentare un gruppo di ragazzi che non facevano attività al massimo della legalità e molto chiusi di pensiero. Poi, quando compì diciassette anni, il padre, Pier, venne trasferito in America per lavoro e ovviamente Sebastian andò con lui, mentre Stefan e Stephanie restarono in Francia.

Ma ciò che fece davvero crollare il loro legame già in bilico, fu quando Sebastian gli disse di essere omosessuale e da lì, per parecchi anni, non si parlarono nemmeno, nonostante i loro genitori fecero di tutto per farli riconciliare. Poi verso i ventiquattro anni, quando Blaine venne presentato alla famiglia Smythe come il ragazzo di Sebastian, i due fratelli ricominciarono a parlarsi, ma tutti sapevano che era solo per una curiosità di Stefan, che voleva capire un po’ meglio il mondo omosessuale e non perché voleva ricostruire un rapporto con il fratello.

Nonostante i rapporti si ripresero, non c’era mai serenità tra loro e neanche fare i rispettivi testimoni di nozze aveva apportato un miglioramento.

Stefan ormai era sposato con Francesca da tre anni e a tavola uscirono il discorso “figli” affermando di volerne uno; ovviamente tutti li appoggiarono immediatamente, tranne Sebastian che commentò con qualcosa che era tra l’offensivo e il divertente.

E fu proprio in quel momento che Stefan si voltò verso di lui, guardandolo tagliente e con tono di sfida disse: “Tu, invece, quand’è che rimani incinto?”

Sulla sala da pranzo scese il silenzio, tutti a guardare i due fratelli indecifrabili in volto; la tensione era tale che Stephanie stessa poggiò le pinze nella ciotola dell’insalata, preoccupata.

Sebastian invece, con tanta serenità, ridacchiò piano poggiandosi con la schiena alla sedia; si portò il bicchiere di vino alle labbra e dopo averne bevuto un lungo sorso rispose: “Ah, guarda non saprei dirlo con certezza, ma sono sicuro che stanotte Blaine ci darà dentro di brutto col mio culo.”

“Sebastian!” Lo rimproverò sua madre, non ammettendo un certo tipo di linguaggio. “Siamo a tavola, contieniti.”

“Già, contieniti Sebastian,” lo canzonò Stefan, “a mamma non importa sapere quanto ti piace prenderlo in culo.”

“O-oh,” controbatté lui divertito. “Almeno io lo ammetto.”

Poi non ci volle molto prima che Stefan andasse in escandescenza e la sala da pranzo diventasse il ring di un vero e proprio scontro di lotta. Si staccarono soltanto dopo venti minuti buoni e Blaine, mortificato, trascinò via Sebastian per portarlo nella piccola mansarda che avevano affittato per quelle due settimane che avrebbero dovuto essere di assoluto relax.

Quella sera, qualche ora più tardi, quando Blaine uscì dal bagno dopo essersi lavato i denti e si diresse a letto dove Sebastian lo stava aspettando con del ghiaccio poggiato sopra la guancia sinistra, Blaine ricevette il via libera per prendere davvero in considerazione l’idea di mettere su famiglia.

“Però non ha tutti i torti quel coglione.” Esordì Sebastian, facendogli spazio sul materasso mentre Blaine spostava le lenzuola per intrufolarsi dentro al letto.

“Su cosa?”

“Sui bambini e tutte quelle cose lì.”

“Vuoi davvero rimanere incinto?” Chiese Blaine divertito, accoccolandosi contro di lui.

“Beh, no, non vorrei mai rovinare il mio fisico da urlo.” Rispose Sebastian, rimanendo al gioco. “Però non dovrebbe essere così tanto malaccio avere dei marmocchi che rompono le palle per la qualsiasi cosa.”

“Mmm, sì, non dovrebbe esserlo.” Commentò lui pensieroso. “La nostra casa è abbast-“

Sebastian non lo fece finire di parlare, perché lo prese per un braccio e con uno strattone lo fece finire sopra di sé, poi avvicinò il viso a quello di Blaine. “Scusami dolcezza, ma ho promesso a Stefan che stasera ci avresti dato dentro con il mio culo e questa promessa mi piace particolarmente, quindi cosa ne dici di mantenerla?”

Il moro ridacchiò a quella domanda e malizioso domandò a sua volta: “Sbaglio o avevi detto di non voler restare incinto?”

“Non sbagli, ma mica ho detto di non volerci provare,” rispose lui facendogli l’occhiolino, prima di cingere i fianchi di Blaine con le gambe e infilargli le mani sotto la maglietta per toglierla.

 

 

 

Dopo quell’intensa notte di fuoco nella capitale francese, Blaine non riuscì più a non pensare a ciò che molto velatamente aveva cercato di fargli capire Sebastian. E la voglia d’avere dei bambini, si insinuò dentro di lui come il veleno di un serpente.

Aveva sempre desiderato avere dei bambini e con loro ci sapeva pure fare. Da piccolo aiutava quelli più piccoli con i compiti se non capivano qualcosa e soprattutto durante l’estate e nei week-end, era solito fare da baby-sitter.

Sapeva che fare il papà non era una cosa semplice e che dopo un paio di ore non poteva restituire il bambino ai genitori - anche perché in caso avrebbe dovuto restituirlo a sé stesso - e tornare a fare la solita vita di sempre. Un bambino avrebbe stravolto la sua vita e quella di Sebastian, lo sapeva ma era disposto a fare quel cambiamento radicale.

Certo forse non era ancora pronto, ma quale genitore lo è? E poi avrebbe avuto Sebastian con lui ad aiutarlo.

E proprio a Sebastian doveva dirlo.

Di questa decisione però, al contrario di come era solito fare, decise di non parlarne con nessuno e discuterne direttamente per primo con il marito. Anche perché, Blaine lo sapeva, non avrebbe mai retto le occhiate dispiaciute di tutti i suoi amici e famigliari se Sebastian gli avesse di no.

Così per parlarne sul serio, decise di farlo in maniera abbastanza anonima, di chiederlo a brucia pelo per vedere la sua reazione così, a random, perché in altro modo lo avrebbe accontentato e basta e no, non poteva andare in quel modo, doveva essere una cosa che volevano entrambi.

Doveva essere un desiderio di entrambi.

Quello era un pomeriggio di pieno inverno tranquillo, fuori nevicava e faceva freddo, dall’altra parte del continente invece faceva caldo e bel tempo mentre i giocatori di Lacrosse disputavano la partita che Blaine e Sebastian stavano (s)comodamente guardando in tv.

Erano sdraiati sul divano, Sebastian sulla schiena e con la testa poggiata sul cuscino che aveva sistemato sopra al bracciolo per essere più comodo, una mano era adagiata sul fondo schiena del marito, mentre l’altra era a penzoloni, che teneva il telecomando; Blaine era letteralmente sdraiato in mezzo alle sue gambe con la testa poggiata sul suo sterno, che cercava in tutti i modi di scaldarsi i piedi con quelli di Sebastian visto che la coperta non arrivava a coprirli.

“Merda!” Esclamò Sebastian.

“Mmh?” Chiese Blaine, alzando di poco la testa per prestare attenzione alla tv.

“Hanno segnato,” Gli rispose il marito e Blaine annuì piano. “Che entusiasmo.”

“Lo sai Sebastian che se non sei tu a giocare questo sport non mi diverte,” si difese lui, tornando ad accoccolarsi contro il petto del marito, “vedi se c’è del Baseball o del rugby.”

Sebastian arricciò il naso, “non se ne parla nemmeno, il rugby non mi piace e poi sto guardando la partita.”

Blaine sbuffò leggermente, lasciando perdere. Per Sebastian il Lacrosse era sacro, non si toccava, se c’era una partita si restava in casa per guardarla; a lui non dispiaceva, anche se a volte si annoiava a morte dover guadare quello sport che non gli piaceva un granché.

Quindi, proprio per questo motivo, decise di prendere la palla in balzo e uscire l’argomento.

“Ti piacciono i bambini, Sebastian?”

“Cosa c’entrano i bambini con la partita?” Chiese lui alzando un sopracciglio.

“Niente, tu rispondi alla domanda.”

“Intendi esteticamente? Perché esteticamente sì, sono belli, hanno una pelle morbida-“

“Non esteticamente,” lo interruppe Blaine, “in generale, ti piacciono?”

Sebastian restò in silenzio qualche istante, riflettendoci su. “Prima non tanto, non ci ho mai pensato a dire il vero, ma Sophie mi piace, è bella esteticamente ed è dolce, nonostante sia nata da quel coglione di Stefan.”

Blaine si mordicchiò il labbro, non sapendo bene cosa dire, prima non tanto quindi voleva dire che adesso gli piacevano , ma non ci aveva mai pensato sul serio, quindi aveva anche detto la prima cosa che gli era venuta in mente. Non sapeva bene cosa fare, ma più il tempo passava, più Sebastian poteva intuire dove voleva arrivare.

Decise che era arrivato il momento giusto, così si sporse in avanti e tolse dalle mani del marito il telecomando per spegnere la televisione, guadagnandosi un’occhiata assassina da quest’ultimo, poi lo poggiò sul tavolino e si girò a guardarlo negli occhi.

“Voglio avere un bambino, Sebastian.” Disse in fine, tutto l’un colpo.

“Due.” Controbatté immediatamente lui.

“Due?”

“Due bambini, Blaine. Voglio avere due bambini.” Gli spiegò Sebastian, con tono quasi dolce.

“T-tu hai già deciso quanti ne avremo?” Chiese Blaine incredulo, non riuscendo a credere alle due orecchie.

“In realtà ho già scelto anche i nomi,” rispose lui alzando le spalle e ghignando leggermente.

“Ma non sai nemmeno se avremo un maschietto o una femminuccia,” controbatté Blaine ridacchiando.

“Saranno due, mi sembra normale che saranno dei due sessi opposti.”

“Sebastian, non so se l’hai notato, ma abbiamo entrambi due fratelli maschi.” Lui alzò le spalle, annoiato; così Blaine proseguì, ormai era anche curioso di sapere se voleva un maschio o una femmina come primogenito. “Al mio tre diciamo di che sesso vogliamo il primo figlio, d’accordo?”

Sebastian alzò gli occhi al cielo.

“Tre.. due.. uno…”

“Femmina”

“Maschio.”

“Vuoi una femmina?”

“E tu vuoi un maschio?”

“Sì, pensavo che pure tu volessi un maschio.”

“E io pensavo che tu volessi una femmina, Blaine.”

“No. Ma perché tu vuoi una femmina?”

“Perché dovrei volere un maschio?”

“Perché di solito i padri vogliono i maschi.”

“E io voglio una femmina invece.”

“Perché una femmina?”

“Perché voglio una femmina.”

“Dai, dimmelo,” disse Blaine seducente, avvicinandosi pericolosamente a Sebastian.

“Perché voglio una femmina e basta.”

“So che c’è un motivo,” Controbatté lui con tono basso, facendo le fusa contro il collo del marito prima di iniziare a lasciarci baci leggeri.

“Vedi che così non mi compri,” lo avvertì Sebastian, stringendo un poco la presa sul suo sedere.

“Scommettiamo?” lo provocò quest’ultimo e Sebastian fece cenno di sì con la testa. Blaine ghignò divertito, prima di sgusciare via dalla sua presa, alzarsi in piedi e mettere le ciabatte per allontanarsi.

“Blaine, dove stai andando? Blaine! Blaine non osare andare via! Blaine, vieni qui a prenderti cura di me!”

“Tu dimmi il motivo,” rispose lui divertito, senza nemmeno curarsi di trattenere una risata.

“Non ti dirò il motivo.”

“Allora vorrà dire che andrò in cucina,” lo minacciò, sapendo che Sebastian era troppo pigro per alzarsi e seguirlo.

“Promettimi di non ridere, prima.”

“Promesso.”

“Voglio la mia principessa.” Le sopracciglia di Blaine scattarono all’insù, mentre lui continuava a guardare suo marito incredulo. “Non provare a ridere. E’ che essendo gay non ho mai avuto una ragazza, una mia principessa. E’ una cosa così stupida.”

“Non la trovo stupida, sai?” Disse Blaine dolce, avvicinandosi a lui per sedersi sul bordo del divano. “E’ una cosa molto seria, ti capisco. Nemmeno io ho mai avuto una ragazza con cui fare il cavaliere ed è anche giusto volerne una, soprattutto se è la propria figlia. Non la trovo una cosa stupida, la trovo dolce.”

“Ancora peggio.”

Blaine rise, prima di stendersi accanto a lui, poi dopo qualche minuto di silenzio domandò: “E se il primo fosse maschio?”

Sebastian alzò le spalle. “Vorrà dire che diventerò il miglior allenatore di Lacrosse sulla faccia della terra.”

“Sei un idiota,” disse Blaine, dandogli una gomitata.

“E perché?”

“Perché mio figliò diventerà il miglior cantante di tutti i tempi.”

“Ma fammi il piacere.”

 

 

 

 

Pochi mesi dopo Blaine e Sebastian riuscirono a trovare un ovulo e un surrogato perfetto, sentendosi al settimo cielo quando il ginecologo disse loro che l’ovulo venne fecondato al primo tentativo. Nessuno dei due però si poté vantare del prodigioso sperma, dato che per il primo bambino avevano deciso di mischiarli insieme così da non sapere chi fosse il padre biologico. Ovviamente non potevano immaginare che Grant sarebbe divenuta la fotocopia di Sebastian da piccolo.

Quando ricevettero la telefonata che gli cambiò per sempre le loro vite, erano in macchina che percorrevano l’autostrada. Quella settimana Blaine ebbe la fine del suo ultimo tour, anche se lui non lo sapeva ancora, e di conseguenza non ci fu modo d’andare alla visita medica insieme a Susan anche perché Sebastian aveva deciso tempo a dietro di andare con lui, almeno quella volta.

Il viaggio era tranquillo e c’erano poche macchine per l’autostrada, permettendo a Sebastian di superare il limite di velocità senza troppi problemi. Blaine, che ancora di doveva riprendere dalla sera precedente in cui parteciparono a un party e lui si era ubriacato senza pudore, teneva la testa contro il finestrino con gli occhi socchiusi, sperando di addormentarsi il prima possibile.

Erano le quattro meno un quarto del pomeriggio quando il telefono di Sebastian iniziò a suonare, facendo gemere infastiditi i due ragazzi. Blaine si sporse verso i sedili posteriori per afferrare quel maledetto cellulare che gli stava facendo venire il mal di testa, sentendo gli occhi del marito sul proprio fondo schiena che lo guardavano famelico.

Sorrise tra sé e sé, afferrando finalmente l’apparecchio elettronico. Aprì la telefonata e si portò il cellulare all’orecchio senza nemmeno leggere il nome di chi stesse chiamando.

“Pronto?”

“Sebastian ho una notizia fantastica!”

“Susan?”

“Blaine?

“Si, sono Blaine. Sebastian è al volante e adesso non può parlare. Puoi dirmi a me se ti va.” Chiarì lui la situazione, tornando a sedersi composto sul sedile passeggero; dovendosi pure sorbire in silenzio  una pacca sul sedere da parte di suo marito.

“Ah capisco. Ho provato a chiamare pure te al cellulare, ma non ha risposto nessuno.” Susan fece un attimo di pausa, ma prima che Blaine potesse dire qualcosa, ricominciò a parlare. “Stamattina sono andata a fare la visita e sai che vi avevo detto che il ginecologo non mi avrebbe detto niente di speciale?”

Blaine annuì, dimenticandosi che la ragazza non poteva vederlo.

“Beh, ecco, mi sono sbagliata! A quanto pare il bambino si è spostato dall’ultima visita e beh.. si vede il sesso!”

“Oddio! È una cosa meravigliosa!”

“Cosa sta blaterando?” Domandò annoiato Sebastian, che era all’oscuro di tutta quella conversazione. 

Blaine si ricordò soltanto di quel momento che c’era anche lui all’interno dell’abitacolo e che anche lui doveva sapere quella fantastica notizia. “Le hanno detto il sesso del bambino!”

Sebastian non rispose, semplicemente tolse la mano destra dal cambio e la portò a stringere la mano di Blaine.

“Susan, aspetta un attimo che ti metto in viva-voce.” La ragazza acconsentì e lui staccò il cellulare dall’orecchio prima di portarlo davanti agli occhi per far sentire la sua voce anche a Sebastian. “Ecco fatto.”

“Siete  pronti?” Domandò, entusiasta anche lei per dover dare quella notizia strepitosa.

Blaine guardò per un attimo il marito, che si voltò un attimo verso di lui per annuire e fargli l’occhiolino. Prese un respiro profondo e ignorando il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto disse:

“Siamo pronti.”

“E’ un maschietto!”

“Oh mio dio, è fantastico! Lo sapevo, me lo aspettavo!”

“Sapevo che sareste stati felici! Comunque mi dispiace, ma adesso devo andare, così voi magari festeggiate per bene. Ci sentiamo più tardi magari, così vi racconto di più della visita.”

Blaine la salutò caloroso, continuando a sorridere e a tremare da capo a piedi dalla felicità. Aveva talmente tanta adrenalina che sentiva di poter arrivare a New York andando a piedi. Fu soltanto quando chiuse definitivamente la telefonata e si voltò a guardare Sebastian che un po’ di felicità abbandonò il suo corpo così com’era arrivato.

Sebastian continuava a guardare la strada davanti a sé e non aveva ancora detto niente riguardo la notizia del bambino. Lui aveva sempre voluto una femmina, la sua principessa. E per un momento, credette che per suo marito fu solo un colpo al cuore.

Ma come ogni  volta, Sebastian lo smentì quando lui lo chiamò piano, titubante e il marito voltò la testa con lentezza e Blaine si accorse degli occhi rossi, delle lacrime di felicità che gli segnavano il volto; e poi gli chiese:

“Blaine, secondo te sarò un bravo allenatore?”

E lui non si degnò nemmeno di rispondergli a parole, semplicemente si sporse in avanti per  un bacio a stampo sulle labbra che avrebbe davvero voluto approfondire se non fossero stati in autostrada.

 

 

 

“Sebastian?”

“Si?”

“Forse dovrei lasciare il mondo dello spettacolo una volta per tutte.” Rispose lui, accoccolandosi contro il petto del marito, evitando i suoi occhi.

“Cosa?” Chiese lui, spostandosi un poco per cercare i suoi occhi nella semi oscurità nella stanza.

Era mezzanotte e mezza a casa Anderson-Smythe, e il piccolo Grant stava dormendo nella stanza accanto nella sua culla nuova di zecca, mentre i due genitori si erano messi sotto le coperte da poco, troppo stanchi anche solo per accendere la tv, decidendo così di restare un po’ in silenzio, che dopo una giornata di strilli, ci voleva proprio.

Blaine non permise al marito d’incontrare i suoi occhi, ma al contrario si strinse ancora di più a lui, farfugliando qualcosa d’indistinto.

“Dolcezza, dovresti parlare un po’ di più forte e staccarti un po’ da me - per quanto questo mi comporti un enorme dispiacere - ma non ti sento.”

Lui sbuffò, “credo sia meglio se mi ritirassi delle scene e continuassi il mio ruolo da insegnante.”

“Ma perché?” Chiese Sebastian, iniziando ad accarezzargli dolcemente la schiena.

“Non sono più in grado di riuscire a conciliare il tutto; sono troppo stressato, Grant ha bisogno di un padre che lo aiuti a imparare e non che gli urli contro solo perché tenta di disegnare sul muro o si sfila sempre le scarpe e le calzette,” Blaine disse quelle parole mortificato, vergognandosi del comportamento increscioso che aveva avuto con il figlio e con Sebastian nell’ultimo periodo a causa della pressione che gli veniva messa addosso dal lavoro e i famigliari stessi che pretendevano da lui il giusto, ma che ormai era diventato troppo per la sua mente e il suo corpo.

“Non so se l’hai notato, ma sono stato io a farlo piangere quando ha colorato tutta la parete del salone.”

“E’ diverso. Lui si è messo a piangere perché lo hai rimproverato e non perché gli hai urlato o fatto paura.”

“Con la faccia da cucciolo bastonato che ti ritrovi non faresti paura nemmeno a una mosca.” Entrambi ridacchiarono alla battuta di Sebastian, mentre lui si distendeva su un lato per poter essere faccia a faccia col marito. “Blaine, sei ancora giovane; non pensi che potrai pentirtene se molli adesso?”

Lui restò un attimo a guardarlo. In quella semioscurità, Blaine poteva vedere soltanto a grandi linee il viso del marito, ma non i suoi occhi. Quelli li vedeva benissimo. Lì, luminosi, che lo guardavano in un modo tale da far trasparire tutto l’amore che provava per lui e che gli faceva scorrere un brivido lungo la schiena ogni volta.

“No,” disse deciso, cercando la sua mano sotto le coperte, per stringerla forte. “Non potrei mai pentirmi d’aver creato una famiglia con te.”

Sebastian si avvicinò un altro po’ a lui, prima di baciarlo sulle labbra, facendogli portare la testa indietro per approfondire ancora di più quel contatto. “Bene,” disse una volta che si furono staccati, “perché voglio ancora la mia Juliette e tu me la darai.”

Detto questo, gli lasciò un altro bacio veloce sulle labbra e poi un altro sulla fronte, prima di chiudere gli occhi per addormentarsi; lasciando Blaine lì a fissarlo, incredulo su ciò che gli aveva appena detto.

 

 

Blaine adesso, tornato a quella realtà che lo fece tremare, seduto su quello sgabello al centro dell’aula deserta, non poteva far altro che sentire il suo cuore cadere a pezzi.

Perché di quel rapporto magnifico che ebbero per tanti anni lui e Sebastian, adesso era rimasto poco e niente.

Chiuse gli occhi asciugandosi una lacrima solitaria che gli scendeva sul viso.

Avrebbe davvero voluto restare lì a ricordare, a pensare, ma doveva tornare a casa, da Juliette e Grant.

Ma, più di tutto, Blaine avrebbe voluto aggiungere altri ricordi alla sua già lunga collezione che comprendeva lui e Sebastian.


 



Eeeh! visto che tutta questa preoccupazione per questo capitolo era infondata? :)
Beh, magari non più di tanto, perché mi sono messa a piangere mentre scrivevo le ultime righe, ma questi sono segreti che rimarranno tra me e voi. shh. 
La canzone l'ha scelta Ali perché le canzoni romantiche non sono il mio forte e un bacione alla Black_eyes che mi ha betato tutto, e sono due cucciole <3
Il sottotitolo, per così dire, è il titolo della canzone di Adele che stavo ascoltanto mentre scrivevo e quindi sì, lacrime come se piovesse.  
Ora me ne vado con la speranza che questo capitolo vi sia piaciuto perché io lo amo e scriverlo è stato facilissimo come respirare. Ah, il fluff. 
mm.. so che non lo dico spesso, però mi farebbe piacere sapere la vostra opinione almeno qui, tanto per sapere che non è caruccio soltanto nella mia testolina malefica. 
un bacione e alla prossima settimana,

Keros_

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




Capitolo 14

 

 

Quella mattina si alzò stranamente di buon umore.

Sarebbe stata una grande giornata, se lo sentiva. Non c’era un vero perché, lo sapeva bene, ma dopotutto confidava nel il suo sesto senso femminile. Che poi si sa, sono le sensazioni quelle che contano davvero. 

Elizabeth non sapeva spiegarsi perché, ma quel giorno sembrava speciale, senza un motivo valido. O forse sì. Con Blaine non parlava da giorni, Grant e Juliette erano già a scuola e non l’avevano nemmeno svegliata litigando e Cooper era già alle prove. 

Certo, avrebbe voluto passare un po’ più di tempo con lui avendo la casa libera, ma non se ne lamentava, finalmente si era svegliata rilassata dopo mesi, il sole spendeva fuori dalla finestra e quel giorno doveva solo andare in pasticceria per ritirare la torta per il party del piccolo Timothy Logan per cui stava organizzando il sesto compleanno, portarla lì e controllare che  la location fosse addobbata come aveva previsto; fare la organizzatrice di eventi, alcuni giorni, era davvero rilassante. 

Si alzò sulle punte per riuscire ad afferrare il pacco del caffè sulla credenza, poi lo aprì e con il cucchiaino ne mise la giusta quantità nella caffettiera; nonostante le lamentele di Cooper e Blaine riguardo la sicurezza e la bontà del caffè delle macchinette, lei preferiva il metodo tradizionale e soprattutto adorava quando per la cucina si sollevava il profumo della bevanda. 

Lasciò la caffettiera sui fornelli e camminando scalza si diresse all’ingresso per frugare all’interno della sua borsa cercando il telefono, che trovò poco dopo. La prima cosa che controllò fu se c’erano messaggi o chiamate perse; e con grande stupore si accorse che Cooper le aveva mandato un tenero buongiorno e la ragazza che aveva incaricato per i palloncini l'aveva chiamata qualche ora prima, forse per un inconveniente. 

Guardò velocemente l’orario, strabuzzando gli occhi quando si accorse che erano di già le undici passate e senza pensarci due volte rispose al suo compagno, prima di comporre il numero di Marika. 

“Pronto?” La voce della ragazza arrivò dritta e squillante alle sue orecchie.

“Ciao Marika, sono El, ho trovato una chiamata persa nel cellulare da parte tua, è successo qualcosa?” 

“Ohi buongiorno, scusami per prima se ti ho disturbata, ma è successo un casino!”

Lei strabuzzò gli occhi a quelle parole, facendo un respiro profondo; la festa per quello stesso giorno. “Cosa intendi per casino?”

“Beh.. ecco..” tentennò la ragazza dall’altro capo del telefono ed Elizabeth riuscì ad immaginarla nello spostare il peso da una gamba all’altra per l’imbarazzo. “Sai che ogni tanto porto Jasper qui in negozio, no?”

Eccome se lo ricordava, quello stramaledetto gatto bianco era il suo acerrimo nemico. Gliene combinava sempre di tutti i colori quando andava dalla sua proprietaria per ritirare i palloncini e i festoni; parecchie volte le era saltato addosso da sopra le travi in legno del soffitto, altre le aveva strappato i collant nel disperato tentativo di graffiarla e altre ci era davvero riuscito. Era difficile non ricordarsi di quell’ammasso di pelo. 

“Certo, lo ricordo benissimo,” rispose, enfatizzando un po’ di più nell’ultima parola. 

“Beh ecco.. sai che solitamente è dolcissimo e calmo ma..”

“Ma?” La sollecitò Elizabeth, con una bella dose di panico nella voce. Dal tono che stava utilizzando Marika per esprimersi, doveva essere qualcosa di grave. 

“Stamattina l’ho portato in negozio ma poi è passato Mark e mi ha chiesto di prendere un caffè insieme. Tu sai quanto sono stracotta di lui, così gli ho detto di sì e ho lasciato Jasper da solo.”

El spalancò gli occhi mentre sul suo cervello faceva due più due e in quel preciso istante si ricordò di quanto odiasse tutte quelle ragazzette che avevano la metà dei suoi anni: erano così ingenue. 

“Marika, ti prego, dimmi che non ha fatto scoppiare tutti e dico tutti i palloncini.” 

“…Sono sicurissima che non l’ha fatto per male.”

Maledetto gattaccio.

“Dimmi che avevi già qualche altra decorazione pronta per qualche altro compleanno.” 

“In verità no..” 

“Come diamine facciamo?” Sbottò infine, non riuscendo più a trattenersi. Le decorazioni in una festa sono una delle cose principali, soprattutto in quelle a tema come quella per Timothy. Doveva trovare un modo. 

“I-io credo di poter rifarne qualcuna.. ma ha distrutto anche altre cose… credo d’aver bisogno di un tuo aiuto.”

Elizabeth respirò a fondo, cercando di non farsi prendere dal nervoso. In fondo la pagava profumatamente per ogni ingaggio, le voleva bene, lavoravano quasi sempre assieme, e ovviamente non sarebbero mai arrivate a rifare le decorazioni per una festa con tema i pirati e per più di sessanta invitati. Perché sì, anche una festa di compleanno di un bambino di sei anni, a New York, diventava uno splendido evento mondano. 

“Il tempo di vestirmi, prendere un taxi e sono da te.”

“Perfetto, io sono già a lavoro.” 

“A dopo,” detto questo chiuse la conversazione, battendo in piede per terra. 

Odiava i gatti. 

Però, volendo, la missione non era impossibile; faceva quel lavoro da quasi vent’anni, aveva organizzato feste, matrimoni, ogni tipo di feste per sacramenti religiosi, party lavorativi, serate di beneficenza con cui aveva avuto molti più problemi ed erano riusciti alla grande, quindi non c’era niente di cui aver paura. 

Marika era una ragazza in gamba, aveva ventidue anni ed è concesso essere un po’ ingenui e imbranati, ma aveva anche una gran voglia di fare e soprattutto era piena di risorse; e in qualche modo ce l’avrebbero fatta. 

Elizabeth annuì convinta ai suoi stessi pensieri, prima di riguardare lo schermo del cellulare per cercare di chiedere aiuto per quella situazione a Cooper e a qualche suo dipendente; e in quel momento arrivò proprio un messaggio da parte del suo compagno. 

“Da: Cooper <3 
Amore, visto che sei a casa potresti prepararmi la valigia? Basta che mi metti dentro soltanto dei pantaloni , maglioni per cinque giorni. Mi sono dimenticato di dirti che oggi parto per girare uno spot. Grazie <3”

Perché ovviamente Cooper si dimenticava di dirgli una cosa così importante e gli chiedeva pure di preparargli la valigia. Un classico. Perché aveva scelto di stare con uno con la stessa memoria di un pesciolino rosso? 

Per: Cooper <3
Vedrò che posso fare, oggi è un casino.”

Dopo aver digitato e invitato il messaggio, Elizabeth tornò in cucina con la testa china ancora sull’apparecchio elettronico, cercando di trovare qualche suo dipendente che non fosse già impegnato con qualche altro evento, appuntandosi mentalmente di arrabbiarsi con Cooper quando ne avesse avuto il tempo. 

Elizabeth gestiva e dirigeva una piccola agenzia eventi che aveva da più di sette anni in collaborazione con altri due sue amici; Philip felicemente in vacanza all’estero ed Emily si stava già occupando d’organizzare un’altra festa dall’altra parte della città, già impegnatissima fino al collo, però decise di chiederle lo stesso una mano. 

Appena entrò nel vano, però, la puzza di bruciato le invase le narici, facendola tossicchiare. Alzò gli occhi e vide il caffè tutto colato sui fornelli, un leggero fumo nero che aleggiava nella stanza. 

Una grande giornata, sì. 
 
 
 
 
*
 
Elizabeth uscì da casa venti minuti dopo con i capelli attaccati malamente a una coda alta da dove uscivano parecchi ciuffi, la gonna blu a vita alta le stringeva la stomaco – l’aveva afferrata dall’armadio senza nemmeno guardare e indossandola si era dimenticata che alcuni giorni prima aveva sbagliato il lavaggio e adesso era di una taglia più stretta - i tacchi le stavano già facendo male ai piedi e la borsa era anche parecchio pesante, dato che non aveva avuto nemmeno il tempo di svuotarla di tutte le cose in più di cui non aveva assolutamente bisogno. 

Aveva anche frugato in giro per casa alla ricerca delle chiavi della macchina, ma non ne aveva trovato nessuna traccia; così aveva deciso di prendere un taxi  se non fosse stato che quella mattina sembrava del tutto invisibile agli occhi di tutti: tre persone erano andate a sbattergli contro e aveva tenuto il braccio alzato per tre minuti di fila senza che nemmeno una dannatissima macchina gialla si avvicinasse a lei; poi, quando finalmente un tassista si decise ad accostare al marciapiede, eccolo lì il ruba taxi di turno. E certo, doveva pure aspettarselo. 

Mandando maledizioni a destra e a manca e, soprattutto, a ogni essere vivente sulla faccia della terra, decise di camminare a piedi, tanto per fare due passi fino a una qualsiasi entrata per la metro; ma ovviamente le stazioni che servivano a lei erano bloccate per lavori di manutenzione. Scontato. 

E se di mattina, affacciandosi alla finestra, aveva pensato che quel cielo azzurro e quel sole splendente erano un toccasana per quei giorni di stress, Elizabeth fu costretta a ricredersi: c’era un caldo infernale; e mentre camminava a passo spedito tra i passanti indaffarati, non faceva altro che sudare e lei odiava sudare e sentirsi sporca. 

Quando sentì una piccola gocciolina di sudore partire dall’attaccatura dei capelli e scendere da dietro l’orecchio sinistro, lungo tutto il collo, decise di fermarsi e togliersi la giacca. La stava sfilando da una manica quando il cellulare iniziò a squillare. 
Brontolò qualcosa e restando con un braccio incastrato, l’altro lo infilò dentro la borsa. Prese l’apparecchio  elettronico e senza pensarci troppo rispose. 

“Pronto?”

“Elizabeth, c’è un problema.”

Si, aveva proprio bisogno di sentire quella frase in quel momento. 

“Che è successo?”

“Uno dei due ragazzi che avevano dato la disponibilità per fare gli animatori ha la febbre e non ho nessun altro che possa sostituirla.” 
Calma, calma, calma. Avrebbe trovato qualcun altro, non era la fine del mondo. 

“Sai sicuro di non poter trovare nessuno?”

“Purtroppo no, nessuno è disponibile per oggi, avrei dovuto dirglielo prima, ma la ragazza me l’ha comunicato solo questa mattina.”

“Ok. Bene.” Rispose secca lei, visibilmente irritata e lui piagnucolò qualche scusa indistinta dall’altra parte della cornetta. “Non potresti farlo tu? Sei un capo animatore dopotutto.”

“Serve una ragazza, io non posso indossare un vestito del genere!” Controbatté Gordon e Elizabeth avrebbe tanto voluto offenderlo dicendogli che effeminato per com’era, con parrucca e vestito, nessuno si sarebbe accorto che era un uomo in realtà; ma si trattenne, mordendosi la lingua. 

“Tu sei sicuro di non aver-aspetta mi è arrivato un messaggio,” rispose, staccando la frase a metà per comunicargli la nuova notizia quando sentì un piccolo “bip”. Allontanò il cellulare dell’orecchio e guardò lo schermo del cellulare, aprendo il nuovo messaggio.

“Da: Cooper <3 
El, mi metti in valigia anche il maglioncino quello color porpora che mi ha regalato Blaine la settimana scorsa perché aveva sbagliato a prendere la taglia e anche la giacca grigia che ho utilizzato per quando siamo andati al compleanno di Adele? Sono nelle cose sporche. Grazie amore, non saprei cosa fare senza di te <3 
Mi raccomando, lavali a mano, sennò si rovinano!”

 
Elizabeth sbraitò sonoramente e stava per riportare il cellulare all’orecchio quando un gentilissimo uomo d’affari sulla sessantina andò a sbattere contro il suo braccio, quello in cui reggeva la borsa, facendogliela cadere a terra, per poi continuare a camminare senza nemmeno voltarsi a guardarla o domandarle se aveva bisogno una mano. 

Sbraitò di nuovo, insultando quell’idiota per poi constatare che tutti i suoi vari oggetti personali erano finiti sul marciapiede. 

“El, tutto apposto? Perché pensandoci, l’animatrice potresti farla tu!”

Lei si limitò a guardare il cellulare con uno sguardo assassino. 

 
 
 
 
*


“Elizabeth, sei andata a prendere la torta?”

“La torta?” Ripeté con il panico della voce, posando la borsa sulla sedia. 

“Si, la torta! La pasticceria non ti ha chiamata?” 

Brutto presentimento. Bruttissimo presentimento. Senza far capir nulla, scosse il capo con non-calanche lasciò anche la giacca sulla sedia e cercò di togliersi i tacchi. Ancora non ci credeva d’averci corso per New York, averci fatto venti minuti di metrò tra un cambio e l’altro, per arrivare in negozio solo in quel momento. 

“Beh, forse dovresti chiamarli..” le consigliò Marika, prima di allontanarsi da lei il più presto possibile, ed Elizabeth capì che non avrebbe mai retto un’altra brutta notizia. 

“So che ci hai già parlato,” continuò lei, seguendola nel retrobottega dove la ragazza era solita fare le decorazioni che le venivano chieste.
“Che ti hanno detto?”

Lei rimase in silenzio, facendola irritare ancora di più. Aveva bisogno di sapere.

“Marika..” la supplicò, inclinando la testa da un lato. 

“Hanno sbagliato i chili della torta,” mormorò lei in risposta, tornando a gonfiare i palloncini.

“Non sei seria, ti prego, dimmi che stai scherzando.” 

Marika scosse il capo in risposta. 

“Seppelliscimi viva e svegliami direttamente tra due settimane quando anche le lamentele degli ospiti saranno scomparse nel nulla,” piagnucolò Elizabeth, portandosi le mani a coprirsi il viso come se con quel gesto potesse davvero proteggersi da tutto quello che stava accadendo. 

Poi aprì di poco le dita, così da poterci vedere attraverso e chiese: “ti quanto hanno fatto la torta?”

“Ottanta chili.” 

“Ottanta chili?” Chiese sull’orlo di una crisi nervosa. Non ci poteva credere, davvero non ci poteva credere. Sicuramente le stava facendo uno scherzo di davvero pessimo gusto perché non poteva davvero essere vero. Ottanta chili di torta; poteva darla a un esercito, era l’unica soluzione, quella migliore. Il vero problema però non era a chi darla, era come pagarla. Ottanta chili di torta equivalevano a più di mille e duecento dollari. 

Stava per svenire, ne era sicura. 

“M-Mi stai prendendo in giro!?” Disse poi, sperando davvero in un risposta affermativa, ma purtroppo era tutto vero. 

“Insisto: dovresti chiamare alla pasticceria.” 

Elizabeth batté un piede scalzo sul pavimento, prima di tornare indietro a prendere il cellulare. 

 
 
*
 

 
Da: Cooper <3 
Elizabeth, purtroppo non possiamo pranzare insieme, ho le ultime prove prima di partire. Ti dispiace se saltiamo? Sapevo che avresti detto di si. Sono sicurissimo che mi ami da morire, però se me lo ripetessi non sarebbe male.. oggi sei fredda e mi hai risposto male :’(..  


Da: Cooper <3
Ah, mi prenderesti anche le scarpe eleganti lucide? 

 
Per: Cooper <3
Non mi sembra che tu sia stato tutta questa dolcezza, però. 

 
Da: Cooper <3
Ma lo sai che ti amo <3 
Metti anche la camicia bianca con il colletto nero..

 
Per: Cooper <3
Coop, non sono a casa, fattela da solo la valigia!

 
Da: Cooper <3
:O 

 
Da: Cooper <3
Pensavo ti facesse piacere avere l’onore di ordinarmi i vestiti per la mia partenza. Ma certo, anche tu stai complottando contro di me come le riviste di gossip. 

 
Per: Cooper <3
Farò finta di non aver letto NULLA di ciò che hai scritto. E poi non ho capito dove devi andare e perché. 

 
Da: Cooper <3
Sei gelosa?

 
Per: Cooper <3
-.-

 
Da: Cooper <3
Fai bene! Lì ci saranno un sacco di belle ragazze con il fisico da urlo. 

 
Da: Cooper <3
L’ho fatta grossa questa volta, vero?

 
Da: Cooper <3
L’ho fatta decisamente grossa. Però promettimi che i pantaloni azzurri in valigia  me li metti lo stesso!

 
Per: Cooper <3
No, ti metto quelli viola. 

 
Da: Cooper <3
NO, quelli viola NO.

 
Per: Cooper <3
Si. Quelli viola SI. 
 

Inviato l’ultimo messaggio, Elizabeth ghignò soddisfatta. Almeno per lui aveva avuto la sua rivincita. 

Poi, sbuffando, si preparò a ricevere un’altra lunga e dolorosa telefonata. 

 
 
 
*

“Elizabeth?”

“Si?”

“Hanno pure detto d’aver rotto il camioncino e non sanno come portarti la torta.” 

“Devo andare a prenderla io, è questo che vuoi dirmi?”

“Si, ma qualcuno verrà con te per aiutarti a caricarla e scaricarla!” 

“Hai qualcuno che ti aiuterà a finire tutto in tempo?”

“Potrei chiedere a Mark di darmi una mano..”

“Marika, confido in te. Se non riesco a tornare, ci vediamo alle quattro alla location.”
 
 
*



El non riuscì a tornare al negozio per dare una mano a Marika, come non riuscì a trattenersi nell’imprecare addosso al proprietario della pasticceria quando arrivò lì e con il fattorino che restò a bocca aperta quando la vide arrivare nel suo vestito argenteo pieno di brillantini che le strisciava a terra, la fascia dello stesso tessuto tra i capelli e i tacchi che le facevano un male cane. 

Ancora doveva capire perché diamine Gordon usasse quel tipo di costumi per i suoi dipendenti. Una spada e una bandana evidentemente non gli andavano bene, doveva pure inscenare scene come 'il pirata che rapisce la principessa.'

Senza ulteriori intoppi, se non cinque minuti buoni in cui ebbe dovuto spiegare a Harry, un amico di Marika che aveva un camioncino a disposizione, dove si trovava il locale, arrivarono a destinazione e proprio mentre i due uomini scaricavano la torta, Elizabeth ricevette un messaggio.

Da: Sconosciuto 
Entrate dalla sala posteriore. 

 
Elizabeth preferì non fare ulteriori domande e sperando che almeno il catering non avesse combinato qualche disastro fece come le era stato scritto nel messaggio. Per poi entrare all’interno della grande sala per metà buia a causa dei raggi del sole che ne illuminavano solo una parte e restare a bocca aperta per l’enorme quantità di palloncini alti mezzo metro sparsi per tutto il pavimento e alcuni che scendevano pure dal soffitto. All’interno sembrava non ci fosse nessuno, tutte le decorazioni erano dello stesso colore del vestito che indossava. 

Harry e il ragazzo posarono l’enorme torta a più piani a terra, al centro della sala, ma Elizabeth non ebbe nemmeno il tempo di chiedergli il motivo di quella decisione che avevano già fatto e il ragazzo la privò pure dello scatolone.

E proprio quando stava per ribellarsi, le persiane delle vetrate da cui entrava la luce si abbassarono di scatto, lasciando per qualche istante il vano nella più completa oscurità, poi si accese un faretto bianco, dritto su Elizabeth, che con i brillantini del vestito sembrava emanare luce propria. Aguzzando la vista, proprio accanto al faro, c’era Cooper vestito da pirata con un microfono in mano. 

“Ma che-?”

“Salve donzella, è inseguita da brutti pirati che cercano di derubarla?” Chiese guardandola con tenerezza, stringendo in una mano una corda che era appesa ai fari che servivano per illuminare la stanza per le feste. 

Lei lo guardò stranita per qualche istante e, dimenticandosi di tutti i problemi che l’avevano afflitta durante la giornata e quelli ancora da risolvere, decise di stare al gioco. “Oh si, ma non è anche lei uno di loro?”

“Oh no, io sono qui per salvarla,” rispose lui, salendo sulla ringhiera e facendo preoccupare immensamente Elizabeth, che però rimase composta. “Sempre se mi è concesso.” 

“Si che lo è,” rispose lei ridacchiando, non sapendo d’aver dato il segnale a Cooper per saltare.

Lei sbiancò di colpo, aprendo la bocca e portandosi due mani su di essa per coprirla, pregando silenziosamente; Cooper invece strinse la corda con due mani e scivolò giù verso di lei e stava per compiere un atterraggio, perfetto se non avesse messo il piede male, cadendo a terra di fondo schiena. 

La stanza si riempì di piccoli risolini ed Elizabeth capì che non erano soli; si sarebbe pure unita a loro per ridere se Cooper non stesse imprecando in quel modo. Così trattenne una risata e tentò di avvicinarsi a lui, ma questi non glielo permise, dicendole di restare lì dov’era prima di alzarsi in piedi a tentoni. 

“Bene,” disse l’uomo, schiarendosi la voce, dirigendosi verso la sua compagna, ma guardando in giro con circospezione. “Bene,” ripeté convinto, alzando il tono della voce per farsi sentire da qualcuno che evidentemente non gli stava dando retta. “Mi sto avvicinando alla fanciulla. Colei che deve essere salvata.” 

A quel punto, la torta iniziò a muoversi pericolosamente ed Elizabeth la guardò spaventata, facendo qualche passo indietro;  poi si ruppe da un lato e si aprì una piccola porticina larga mezzo metro, da dove uscirono altri due ragazzi, vestiti anch’egli da pirati. 

E beh, certo, se lo doveva immaginare che da una torta di ottanta chili, che poi sapeva erano di più, alta quasi due metri e lunga quasi tanto quanto, doveva uscirci qualcuno; cose da tutti i giorni, dopotutto. Normale. 

Gli altri due si voltarono verso Cooper e sguainarono la spada di plastica, pronti ad attaccarlo e lui fece la stessa cosa, avvicinandosi a loro con passo deciso. Elizabeth scosse la testa divertita e in quello stesso istante i tre iniziarono a combattere. 

Lei sapeva di doversi chiedere il perché, di quella, che molti, avrebbero definito soltanto una grossa pagliacciata, ma la sua mente non smetteva un attimo di pensare a quanto Cooper fosse stato tenero, stupido allo stesso tempo e oltremodo romantico senza un motivo ben specifico. 

Si perse a guardarlo mentre colpiva in pieno stomaco uno degli altri due pirati; era davvero bello sotto quella luce abbagliante, con un occhio coperto dalla benda, i capelli tirati all’indietro e la fronte corrugata per ricordarsi quella che sicuramente era una coreografia ben progettata. 

Restando a contemplarlo non si accorse nemmeno che Cooper aveva battuto anche l’altro pirata fin quando non si girò a guardarla e le sorrise dirigendosi verso di lei. Istintivamente trattenne il respiro, restando incantata da tutta quella bellezza. 

“Posso chiederle questo ballo?” Chiese lui quando le fu vicina, tendendole la mano.

“Non sapevo che i pirati si dedicassero alla danza,” incalzò lei, tendendogli la sua mano e facendo un passo avanti. 

“Di tanto in tanto,” rispose lui, alzando le spalle, “quando non saccheggiano si dedicano anche ad altro.” Le mise una mano su un fianco, stringendola a se, prima di chinarsi su di lei per baciarle la guancia mentre le note di 'When you look me in the eyes' si sollevavano nell’aria. 

Cooper fece un passo indietro mentre Blaine iniziava a cantare, conducendo Elizabeth nel ballo. 

“Ricordi quella sera quando abbiamo parlato a letto dopo aver fatto l’amore?” 

Elizabeth aggrottò le sopracciglia a quella domanda, cercando di fare mente locale; l’ultima volta che erano andati a letto insieme e poi avevano parlato era stata la sera precedente ma non avevano parlato un granché perché erano troppo stanchi, poi qualche giorno prima.. ma non erano a letto. E poi.. la verità è che parlavano sempre dopo aver fatto l’amore, ma per non sembrare insensibile agli occhi di Cooper rispose con un: “vagamente.”

“Oh, si certo..” Commentò lui, visibilmente a disagio. Evidentemente si aspettava una risposta positiva. “E-e.. ti ricordi che poi.. aspetta com’era?! Ah si, che abbiamo parlato di Blaine e il suo rapporto con Sebastian?”

“No,” rispose lei con altrettanto disagio, non sapendo bene cosa dire mentre cercava di non cadere nonostante il vestito le si fosse impigliato nel tacco. 

“Del loro matrimonio..?” Azzardò a quel punto Cooper, cercando di farle ricordare qualcosa.

“Oh si! Certo che lo ricordo, per chi mi hai presa? E’ stato perfetto tutto sommato, il catering è stato fantastico, le decorazioni-“

“Elizabeth non ti stai attenendo al copione!” La rimproverò secco, prima di cambiare direzione per fare un giro su loro stessi. 

“Che copione?” Chiese accigliata, sentendo la rabbia montarle dentro. Se era un'altra delle sue prove per i provini poteva davvero ricominciare a definirsi single. “Se ti riferisci a quello del provino in cui ti avevo promesso di aiutarti, mi dispiace tanto ma non l’ho letto e ho pure tanto da fare.” 

“Ma no, certo, tu non puoi saperlo,” disse Cooper scuotendo la testa prima di borbottare tra sé e sé: “mica lo dovevi sapere, sono un idiota.” 

“Si sei un idiota,” asserì Elizabeth, prima di portargli una mano sul viso, per accarezzargli dolcemente lo zigomo destro, “e sai che a me puoi dire tutto, se hai dimenticato di dirmi di prenderlo per metterlo in valigia va bene, chiederò a qualcuno di prenderlo a casa e portarlo, visto che la valigia è già fuori.” 

“Che valigia?”

“Quella che stamattina mi hai chiesto di preparare,” rispose lei, accigliata tanto quanto Cooper in quel momento. “Mi hai pure rotto le scatole per tutto il giorno mandandomi continuamente dei messaggi con le scritto le cose da metterci dentro.”

“Oggi non avevo il cellulare, l’ho dimenticato a casa.” Controbatté lui, guardandola come se fosse stata un alieno. 

“Sei sicuro?”

“Si, avevo chiesto a Blaine di passarmelo, però poi mi sono dimenticato di prenderglielo dalle mani e quindi..”

“E’ rimasto a lui. Mi ha rotto lui le scatole tutto il giorno al posto tuo!” Intuirono finalmente entrambi, mentre le note della canzone si dissipavano definitivamente nel locale. 

Entrambi si voltarono verso un angolo della stanza, da dove fino a poco prima proveniva la voce del minore degli Anderson e sentirono una risata divertita in risposta. 

Ah, quindi lo aveva fatto apposta. 

Elizabeth era pronta ad andare da lui per prenderlo a schiaffi, intuendo che quindi era stato tutto un’enorme complotto verso di lei fin dalla mattina e che quindi era tutta una balla; la festa del piccolo Timothy era ancora perfetta come doveva essere; ma Cooper strinse ancora di più la presa alla sua mano, costringendola a restare ferma ad ascoltarlo. 

“Elizabeth, Da quando TI HO INCONTRATA la mia vita E’ CAMBIATA. IO sono CAMBIATO, beh un PO’, diciamo-“

“Cooper, non recitare; dillo e basta, qualsiasi cosa tu debba dire.” Lo incitò lei, sentendo un moto di felicità riempirle il petto in meno di un nano secondo; certo che quel giorno le sue stati d’animo stavano cambiando davvero molto spesso. Forse le stava per venire il ciclo. 

“Beh, io…” Tentennò un poco, mordicchiandosi l’interno guancia, riflettendo sul da farsi. “Elizabeth,” iniziò infine, cercando di restare composto, “Ci conosciamo da quando siamo giovani, stiamo insieme da allora senza mai esserci lasciati e io.. sono cambiato, finalmente ho capito che per te sposarsi significa molto, me lo hai fatto capire l’altra sera e mentre tu dormivi ci ho riflettuto: Voglio sposarmi. Con te. E quindi, non lo so.. Vuoi sposarmi?”

Elizabeth scoppiò in lacrime proprio nell’istante in cui Cooper si inginocchiò davanti a lei, aprendo la scatolina per mostrarle l’anello. Finalmente dopo anni di speranze Cooper le aveva chiesto davvero di sposarla e lei quasi saltellando sul posto non riuscì a dire altro che un flebile “Si.”

Lui le mise l’anello al dito e mentre ancora lei lo ammirava si alzò in piedi per stringerla forte a sé e baciarle la fronte. “Però la festa ufficiale di fidanzamento la organizzi tu per la prossima domenica, con tanto di lista degli invitati.” 

“Tutto quello che vuoi,” rispose lei in preda all’entusiasmo, prima di asciugarsi il viso con una manica del vestito e alzarsi sulle punte per baciarlo sulle labbra. 

E sì, dopotutto quella era stata davvero una grande giornata che avrebbe ricordata per il resto della sua vita.
Il suo sesto senso non si sbagliava mai. 
 
 
*
 
 

“..E quindi la dobbiamo invitare.”

“Cooper, io non ce la voglio quella poco di buono alla mia festa di fidanzamento. Non se ne parla.”

“Perché non mi ascolti quando ti parlo? Eppure dicono che la mia voce è sexy.” Elizabeth roteò gli occhi al cielo, senza replicare. “Te l’ho appena spiegato: è la fidanzata di Jake e lui dobbiamo invitarlo per forza.”

“Ecco. Bravo, adesso mi devi spiegare pure perché dobbiamo invitare  questo qui che non conosco neanche.” 

Lui la guardò alzando un sopracciglio, “E’ un mio amico dai tempi del liceo.”

“Si, ma quella Tanya ci ha provato con te al party di Megan e no, non la voglio in giro per la nostra festa.” 

“Jake è Jake.” Cercò di farle capire Cooper, mettendo su una faccia da cucciolo che gli aveva insegnato sicuramente suo fratello.

“E va bene,” acconsentì Elizabeth con uno sbuffo, “ma Victor rimane a casa!” 

“No, Victor no! Non sarà divertente senza di lui che combina un bordello! E’ l’anima della festa!” Protestò l’attore. 

“Appunto, Cooper,” intervenne lei, avvicinandosi a lui mentre erano seduti sul divano. “Lui combina bordelli e la mia festa di fidanzamento sarà qualcosa di raffinato e non voglio persone che vadano in giro per la sala in mutande!”

“Ma-“

“No.”

“El-“

“Al suo posto potrai invitare George e Frank.”

“E Joe?” Chiese speranzoso Cooper.

“E Joe,” ripeté Elizabeth per darle il suo assenso. “Ma deve stare a chilometri di distanza dal karaoke o da un microfono semmai ce ne sarà uno.” 

“Grazie,” Disse lui prima di baciarla con gentilezza sulle labbra, facendola scogliere come neve al sole. “Ora dobbiamo passare anche ai parenti?”

Lei annuì sconfitta, prima di spingere Cooper contro il bracciolo del divano per poi sdraiarsi anche lei, rivolta su un fianco per poter guardare in viso il suo futuro marito. 

Quel pomeriggio avevano deciso di dedicarlo alla lista delle persone da invitare alla loro festa di fidanzamento e ovviamente avevano avuto opinioni totalmente diverse per come organizzarlo all’inizio, prima che Elizabeth ebbe la meglio su Cooper, decidendo per uno stile sobrio ed elegante. Di conseguenza questo portava a una netta scelta tra chi invitare e il fatto che fosse anche qualcosa di piccolo non aiutava nemmeno un po’. Per non aggiungere che la data per la festa era solo dopo solo una settimana e mezza e il matrimonio a settembre. 

“Della tua famiglia o della mia?” Chiese Cooper passandole un braccio sulla spalla per stringerla un po’ di più.

“Facciamo la mia, così ci sbrighiamo subito,” rispose lei, sorridendo mentre si accoccolava un po’ a lui. “Allora.. c’è mio padre – che lo mettiamo nel tavolo insieme ai tuoi - mio zio Albert e i miei nonni, dalla parte di papà. Da parte di mamma… mmm.. facciamo che invitiamo la zia Naomi e zio Chuck, con i miei due cugini. E.. Basta.”

“Sicura di non voler invitare anche tuo Zio Robert o altri parenti da parte di tua madre?” Chiese Cooper, costatando che la lista dei parenti della sua compagnia erano davvero povera.

“Sicura, con loro non voglio averci proprio niente a che fare.” 

Cooper preferì non replicare a quella decisione, sapeva che Elizabeth aveva contatti con pochi componenti della sua famiglia, quelli che aveva deciso d’invitare. I suoi nonni, infatti, non avevano mai accettato la relazione tra i suoi genitori e quando Katie, sua madre, rimase incinta di lei divennero freddi e distaccati; poi alla sua morte, che avvenne quando Elizabeth aveva solo sei anni, rimasero accanto a lei e a suo padre, sua zia Naomi, mentre gli altri sembravano essere scomparsi nel nulla e la stessa cosa accadde dalla parte degli altri parenti dalla parte di suo padre dato che i genitori si erano battuti per le decisioni del figlio. 

“Ok” Disse lui dopo un attimo di silenzio, mentre Elizabeth si accoccolava ancora di più contro di lui. “El?”

“Si?”

“Il mio spazio,” la rimproverò, guardandola storta per quella mancanza di spazio personale che gli aveva fatto sentire. Lei borbottò qualche scusa e si allontanò di poco. “Bene, adesso passiamo ai miei… quindi.. direi i miei genitori… dobbiamo invitare anche tutti gli zii e i cugini lontani di cui non ricordo neanche i nomi?”

Lei alzò le spalle, accigliata. “Non ne ho idea, la mia famiglia non è molto.. grande.”

“Uhmm, poi ci pensa mamma,” minimizzò lui, prima di continuare. “Poi c’è Blaine, magari lo infiliam-“

“Dobbiamo invitarlo per forza?” brontolò Elizabeth coprendosi il viso con le mani, sembrando una bambina che fa i capricci, facendo ridere Cooper che le baciò la fronte. 

“Si e poi dovreste smetterla di far finta di litigare ancora, comunque, vi parlate pure e poi vi dedicate ancora più attenzioni per punzecchiarvi quando potreste benissimo dedicarle a me.” 

Elizabeth ridacchiò, dandogli una leggera manata sullo stomaco. “Quanto sei stupido.”

“Io sono serio.”

“Certo,” acconsentì sarcastica, prima di tornare seria. “Ad ogni modo, poi abbiamo Grant e Juliette insieme a lui. Secondo te John viene con lui? Perché così organizziamo anche i tavoli. Cioè tu che dici?”

“Penso che potremmo convincere Blaine a farlo venire con lui, dopotutto si sentono da un po’.”

Elizabeth annuì sovrappensiero. “Però.. non credo sia una grande idea metterli nello stesso tavolo con Sebastian. Voglio dire, anche se non venissero insieme, li mettiamo comunque nello stesso tavolo.”

“Sebastian?” Chiese Cooper, alzando un sopracciglio, in un modo così teatrale che l’avrebbe capito anche un cieco che si aspettava benissimo quella considerazione.

“Si, certo: Sebastian Smythe.” 

“Non lo voglio alla mia festa.” 

“Ma Cooper,” iniziò lei, mettendosi a sedere per poi voltarsi verso di lui per guardarlo meglio in volto; perché nonostante si capisse che aveva già preparato quel discorso, in volto era serio come l’aveva visto davvero poche volte in tutti gli anni che erano stati insieme. “E’ il padre di Juliette e Grant, il quasi ex marito di tuo fratello, lo conosciamo da una vita, non puoi non invitarlo.”

“Elizabeth, Sebastian ha tradito Blaine, lo ha preso in giro-“

“Sbaglio o hai avuto tu l’idea di far incontrare John e Blaine per farlo ingelosire e farli tornare insieme?”

Cooper si mise a sedere accanto a lei, prima di guardarla negli occhi per farle capire meglio le sue parole. “Blaine è felice quando è con lui, è vivo  e glielo si legge negli occhi; ma ogni volta che gli sta lontano, che lo ferisce, Blaine muore dentro sempre un po’ di più. E può capitare di far del male a chi si ama, io lo faccio sempre con chiunque, ma non posso accettare che lui lo faccia di proposito.” Fece un attimo di pausa prima di continuare, “So di non essere stato il fratello modello per Blaine o che altro per davvero molto tempo, a volte non lo sono tutt’ora, ma gli voglio bene e ho il compito di prendermi cura di lui. Che è talmente cotto di Sebastian da non rendersi conto del dolore che gli provoca e adesso con John sembrerebbe riprendersi e non voglio che lui lo spezzi un’altra volta.”

Elizabeth non era mai stata più fiera di Cooper in quel momento. E quelle parole dette con lentezza e con le giuste pause erano state così intense da farle venire la pelle d’oca. 

Forse, prima o poi, gli avrebbe detto che per essere intenso non gli servivano dita puntate contro o urlare, ma che doveva soltanto parlare a cuore aperto. 

“Sta tranquilla,” continuò lui, preoccupato perché ancora non aveva replicato. “Non glielo diremo così non saremo obbligati a dirglielo.”

Elizabeth lo guardò un secondo, alzò un sopracciglio e con aria furba disse: “Oh no, caro mio; tu glielo dirai.”

Quello fu l’inizio di una lunga discussione
 
 
 
 
*
 
Erano passate settimane da quando aveva firmato quei dannatissimi documenti, erano pronti, lì, che lo fissavano di rimando sul tavolino del soggiorno. 

Quando Blaine glieli aveva consegnati sentì lo stomaco contorcersi dentro e il senso di colpa gli fece scrivere quel “Sebastian Mattew Smythe”. Adesso invece tutto quel sentirsi colpevole e la voglia di mollare erano spariti misteriosamente. 

Forse perché quella mattina, quando si erano incontrati per sbaglio al bar vicino la scuola dei figli, Blaine era ancora più bello del solito con le guance rosse e i riccioli spettinati mentre arrossiva per i complimenti che le faceva la commessa che forse non aveva ancora ben capito il suo orientamento sessuale. 

Lo aveva guardato senza avvicinarsi fino a quando il moro non uscì dal locale senza nemmeno vederlo, così senza far niente, soltanto perdendosi in quelle sue azioni che ormai prevedeva, quella risata sincera e quella voglia di passare una mano tra quei capelli che ormai gli era raro vederli in quel modo. E nonostante tutto mentre Blaine chiacchierava contento, il suo cuore si scaldava sempre un po’ di più senza che se ne accorgesse. 

E Sebastian non poteva  far altro che sentirsi un coglione mentre si alzava dal divano e afferrava la giacca per andare a prendere Grant e Juliette a casa degli zii. 

Perché era da idioti continuare a evitare Blaine per non dovergli consegnare le carte per il divorzio e sperare allo stesso tempo d’incontrarlo solo per potersi specchiare in quegli occhi caldi; e non importava se ogni volta che incrociava quelle iridi era come una sfilettata al cuore, lui aveva bisogno di incontrare quello sguardo. 

Erano sposati da quindici anni e Sebastin si sentiva come quando ne aveva diciassette e frequentava quello stupido Lima Bean che faceva anche un caffè orribile ma in cui continuava ad andarci solo perché Blaine andava sempre lì con i suoi amici.. e faccia da checca. 

Chissà come gongolava adesso che sapeva che stavano per divorziare e se indossava ancora quegli orrendi vestiti che lo facevano sembrare una lesbica molto effeminata. 

Ad ogni modo, Sebastian decise che proprio non gli poteva interessare ed entrò in macchina buttando sul sedile posteriore la bambolina che Juliette aveva lasciato quella mattina mentre la accompagnava a scuola; mise in moto e si diresse verso casa di Cooper. 
 

Venti minuti dopo, Sebastian aspettava dietro la porta dopo aver suonato il campanello, battendo il piede a terra per ogni secondo che passava; non riusciva proprio ad aspettare. 

“Papà!” Esordì Juliette mentre apriva l’uscio e si fiondava tra le sue braccia, fasciata ancora nel suo tenero pigiama bianco e nero che aveva il compito di farla sembrare proprio un cucciolo di panda. 

“Principessa,” la salutò lui, stringendola a sé mentre la prendeva in braccio. “Stai iniziando a essere pesante, sai?” 

“Non è vero. Tu prendi sempre papà in braccio prima di portarlo in camera da letto e io sono molto più leggera di lui che è grande!”

Controbatté lei  mettendo su un dolcissimo broncio che fece ridacchiare il padre mentre entrava dentro casa, domandandosi mentalmente come sua figlia sapesse certi dettagli visto che prima facevano certe cose quando almeno lei non era nei paraggi, ma decise che proprio non lo voleva sapere per non sentire il cuore stingersi nel costatare che aveva parlato al presente. 

“Ma era un complimento, vuol dire che stai crescendo pure tu come tuo fratello.” 

“Juliette?” Chiamò la voce di  Cooper dal salotto, seguito dal rumore di alcuni fogli che cadevano per terra. 

“Zio CoopCoop è venuto papà!” Rispose lei mentre stringeva il collo del papà che si dirigeva in cucina. 

“Blaine, che hai deciso, quindi? Tu e John vi vedrete direttamente lì insieme o lui viene dopo? Perché non l’ho capito molto bene. Ed

Elizabeth voleva sapere se per i bambini andava bene che ci fosse anche lui nel tavolo con voi e… Sebastian!” Cooper si bloccò restando a bocca aperta nello stesso istante in cui a voltare l’angolo non fu suo fratello ma la figura slanciata del cognato. Rimase per un attimo in quel modo, prima di far finta che niente fosse.

“Dov’è che andranno i bambini con Blaine e John?” Sebastian rimase schifato da solo nel pronunciare quell’ultimo nome, facendo pure una smorfia che fece ridere la bambina. 

“Alla festa di fidanzamento mia e di Elizabeth.” Rispose Cooper con noncuranza, facendo spallucce. 

“Oh,” Sebastian fece scendere Juliette a terra, “e perché non ne sapevo niente?”

“Amore, perché non ti vai a vestire e dici a tuo fratello che è arrivato papà?” Chiese dolce l’attore, guardando la bambina con amore. 
Lei sorrise e annuì prima d’accarezzare la mano del padre e uscire salterellando verso il corridoio. 

“Tu non sei stato invitato.” Tagliò corto Cooper una volta rimasti soli. 

“E immagino che questa decisione l’abbia presa Blaine,” commentò acido Sebastian, facendo finta di non essere stato ferito da quella scelta.

“Ti sbagli,” rispose l’altro, tornando a sistemare i fari fascicoli che erano sparsi un po’ sul tavolino e un po’ sul divano, “questa decisione l’ho presa io e tutti gli altri hanno acconsentito.”

Sebastian alzò un sopracciglio, stupefatto da quella presa di posizione. Eppure non capiva il motivo per cui Cooper si stesse comportando così con lui; erano sempre andati d’accordo fin da quando ci provava spudoratamente con Blaine quando erano al liceo ed era stato il primo a fare da paciere tra suo fratello e lui quando si misero insieme. Addirittura, qualche giorno dopo il tradimento, non gli diede neanche un pugno tanto forte allo stomaco. 

“Perdonami, ma potrei sapere il perché?” Domandò finto dispiaciuto. 

“Perché rovineresti la festa, faresti deprimere o piangere Blaine, faresti infuriare Grant, offenderesti di nuovo John facendo una delle tue scenate e io ed Elizabeth non vogliamo niente di tutto questo.”

“E da quando sei diventato così premuroso?”  Lo canzonò con tono scettico Sebastian, intrecciando le braccia al petto e mettendo su una delle sue solite fecce strafottenti, sicuro d’averlo messo in difficoltà.

Cooper invece fece un sorriso sghembo, per niente turbato. “Si può cambiare.”

“Ma per favore.” Commentò lui con sufficienza, scuotendo la testa. 

Cooper alzò le spalle, formando una pila di fogli. 

Restarono in un silenzio teso per qualche secondo, fin quando un sussurro non lo spezzò: “Non voglio ferirlo più.”

“E io lo voglio vedere di nuovo vivo.” Cooper si sistemò in piedi.

“Lui è vivo con me!” Rispose Sebastian irritato da quell’accusa. 

“Io so solo che ogni volta che ti vede arriva a casa sempre un po’ più distrutto e sinceramente sono stufo di doverlo consolare.”

Quelle parole gli fecero male, molto male; talmente male da costringerlo ad abbassare lo sguardo.

“Voglio vederlo sorridere di nuovo, che ritorni ad essere la persona solare e allegra che era prima. Non so se John ci riesca, ma so soltanto che tu non ci riesci più.”

“Papàààààààààààààà!” 

Entrambi i due uomini si voltarono a guardare verso l’ingresso, da dove poco dopo spuntarono Juliette e Grant che teneva gli zaini di tutti e due. 

“Andiamo?” Chiese quest’ultimo, senza nemmeno salutare Sebastian. 

“Certo,” rispose lui, avvicinandosi ai figli prima di voltarsi a guardare Cooper. “Ti dimostrerò che ti sbagli.”

“Alla festa non sei invitato comunque.” Tagliò corto lui, prima di mandare un bacio alla nipotina. 

Sebastian e Grant gli fecero un cenno del capo per salutarlo e poi tutti e tre uscirono di casa. 
 
 
Ma Cooper non lo sapeva che Sebastian si divertiva sempre di più alle feste in cui non era invitato? 
 




 



Permettetemi di dire tre cose: 
MUAHAHAHAHAHAH e adesso cosa ci sarà nel prossimo capitolo?! 
Ci sarà la festa di fidanzamento dei Coopel... e Sebastian con la rosa tra le labbra. L'avevo detto e ci sarà.
 
La seconda cosa è che: No dai, non potevo lasciarla così la proposta di matrimonio, lo zampino smielato e stronzo da parte di Blaine doveva esserci.
 
La terza: Si, i Jonas Brothers; perché io ci sono ancora fissata e li amo da morire, e le ultime canzoni sono bellissime e mi fanno ritornare ad essere una brava bimbaminchia coi fiocchi. Quindi se non conoscete la canzone (vi ucciderò tutti) la trovateQUI e la dovete ascoltare.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e spero vivamente di far arrivare il prossimo entro questa settimana. 
 
 
 
Ok, Mirma la fangirl se ne va. Un bacione! Prima o poi cambierò pure queste note.
 
Cla, questo è spammare una fanfiction. Ma non è che ho violato qualche regolamento vero?

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***




Capitolo 15

 

A Sebastian non era piaciuto il modo in cui Cooper gli aveva parlato, proprio non gli era andato giù. 
 
Non gli era piaciuto che non l’avessero invitato alla festa, che Blaine avesse acconsentito, che John sarebbe stato tutto il tempo con suo marito e che per Cooper, lui era soltanto colui che riduceva Blaine in un mucchietto di cenere, ossa, lacrime e dolore.
 
Cooper si sbagliava, Sebastian sapeva che si sbagliava. Non era vero, lui rendeva suo marito felice, sorridente, lo faceva ridere e gli riempiva il cuore di gioia e gli faceva battere forte il cuore nel petto. 
 
E quel giorno lo avrebbe dimostrato. 
 
Mentre sceglieva i vestiti da indossare l’indomani, però preferì non chiedersi per chi dovesse farlo: se per sé stesso o per gli altri. 
 
 
 
*


 
Blaine guardò Juliette con amore, prima di stendersi nel letto accanto a lei e sdraiarsi di fianco. Iniziò a darle leggeri bacini sul viso mentre lei dormiva, vedendola arricciare il naso quando per sbaglio la pizzicava con la barba incolta. 
 
Juuulieeeette,” la chiamò dolcemente, dandole l’ennesimo bacio sulle guance morbide.
 
“mmm” rispose lei infastidita, prima di girarsi dall’altra parte.
 
“Amore, è tardi,” tentò di convincerla, “Elizabeth e Cooper sono già usciti, e Grant sta facendo colazione.”

Un altro mugolio senza senso. 
 
“Il vestitino lilla l’ho già stirato..” Tentò Blaine, sapendo quanto la figlia amasse quel vestitino con la gonna larga che la faceva sembrare una vera principessa. 
 
Juliette aprì un occhio e lui le diede un altro bacino. 
 
“Ti alzi, quindi?” Chiese lui ancora, prima di stringerla affettuosamente tra le braccia, ma lei scosse piano la testa, un po’ triste. Blaine, a quel punto, sbatté le palpebre più volte, stranito da quell’atteggiamento. Le diede un bacio sulla fronte e accarezzandole i boccoli continuò dolce. “Hey, principessa, c’è qualcosa che non va? Ti dovevo dare più bacini per caso?”
 
Juliette scosse la testa, con un piccolo sorriso, ma non rispose come Blaine si era aspettato. E qualcosa non andava. 
 
“Ti fa male la pancia per caso, visto che ieri con papà chissà che porcherie avete mangiato?” 
 
“No.” Rispose lei in un sussurro, accoccolandosi contro il suo petto e Blaine sentiva la preoccupazione crescere sempre di più.
 
“Hai litigato con Grant? Perché se vuoi mi faccio dire che è successo,” tentò lui, sentendo la bambina stringersi ancora di più a lui. “Hai combinato qualche disastro?”
 
Juliette non rispose, rimase in silenzio e Blaine decise di non insistere ulteriormente in quel momento; così rimase lì ad abbracciarla, mettendo di lato il pensiero della festa di fidanzamento del fratello e ad ascoltare i loro due respiri nella stanza silenziosa, mentre dalla cucina si sentivano dei piatti venire posti nel lavandino. 
 
“C’è anche John, oggi?” Chiese a un certo punto la bambina, con un fil di voce e la testa nascosta contro il petto del padre per la vergogna. Era un tipo di vergogna diversa, non derivato dall’effetto che l’uomo aveva su di lei, ma come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato e di troppo. 
 
“S-si,” rispose incerto, “gli zii lo hanno invitato.”
 
“E papà invece non c’è, vero?”

“Vero,” ripeté amaro, provando odio verso il blocco alla bocca dello stomaco che gli venne, quando disse quella parola. 
 
Juliette allora si scostò di poco, tirando indietro la testa per poter guardare meglio il padre negli occhi. “Tu e John avete fatto l’amore?”
 
Blaine strabuzzò gli occhi e iniziò a tossire senza un vero e proprio motivo logico, tanto per camuffare l’imbarazzo a quella domanda. Istintivamente pensò che Sebastian avesse chiesto alla figlia di domandarglielo, ma la conosceva troppo bene e sapeva che Juliette era capacissima di pensarci da sola a fare certe domande, ovviamente guardandone il lato romantico. 
Tuttavia preferì non rispondere, anche perché parlare di quelle cose con sua figlia di otto anni non era proprio il caso. “Perché questa domanda?”
 
“Prometti che non ti arrabbi?” 
 
Blaine alzò un sopracciglio, ma annuì anche se perplesso. Quando qualcuno glielo faceva promettere dopo gli dicevano di tutto, da 'ho gettato dalla finestra il tuo gel perché mi piaci di più con i riccioli al vento' a 'Blainey, purtroppo ho.. ecco.. rotto la tua macchina.' Però, ripensandoci, Juliette al massiamo avrebbe potuto bucare i collant o rotto qualche brutto soprammobile di Cooper. 
 
“Voglio che tu faccia l’amore solo con papà.”
 
Blaine rimase senza parole. 

“Lo so che ti avevo detto di volere la tua felicità, papi, però.. io voglio pure quella di papà.  John mi piace, è bello e mi piacete insieme, però tu e papà mi piacete di più.” Juliette tornò a rifugiarsi contro il suo petto, “Grant dice che forse John potrebbe diventare il mio nuovo papà, visto che poi papà non lo vedrò più e io non voglio!”

“Juliette,” tentò di interromperla Blaine, per dirle che si stava sbagliando e spiegarle la situazione dato che la sua voce si stava incrinando sempre più. Ma lei non glielo permise, continuando a parlare come se non l’avesse nemmeno sentito. 
 
“Io voglio papà Sebastian che mi sveglia la mattina e mi da i bacini. Lo so che mi vorrai bene anche con John tra noi, non sono come Grant che non capisce niente, però papà è papà.. e io voglio che sia ancora il mio papà, voglio vederlo tutti i giorni o quasi.” Juliette iniziò a piangere e Blaine insultò mentalmente quel cretino di suo figlio perché aveva fatto preoccupare la sorellina di cose del tutto finte e quell’idiota di Sebastian senza un motivo, ma sapeva di doverlo fare comunque.
 
In realtà, voleva solo scaricare la colpa agli altri per non dover arrabbiarsi con sè stesso. 
 
“Juliette,” la chiamò dolcemente, scostandole i capelli dal viso, “tesoro, siediti qui e calmati,” continuò facendo segno sulle sue gambe mentre lui si sedeva sul materasso e lei ubbidì, ma senza calmarsi. “Grant!” continuò lui, urlando il nome del figlio per farsi sentire. 
 
Sentirono dei bicchieri cadere nel lavandino e poi dei passi provenire dal corridoio. Dopo qualche attimo, sulla soglia apparve il ragazzino ancora in pigiama che li guardò stranito. 
 
“Siediti,” Lo invitò Blaine, facendogli segno sul materasso al figlio. 
 
Quest’ultimo li guardò alzando un sopracciglio, poi con uno sguardo di sufficienza fece il giro del letto per sedersi accanto a loro. “Ditemi.”
 
“Voglio farvi un discorso che ho rimandato per fin troppo tempo, anche se l’ho fatto in modo indiretto già un sacco di volte,” esordì Blaine. “Io e John.. non stiamo insieme,” e nonostante non avesse voluto, dire quelle parole non gli costò nulla; “Noi siamo amici, forse diventeremo qualcosa di più o forse no” spiegò alzando le spalle, “ma quello che c’è tra me e lui, non cambierà mai il rapporto che abbiamo tra di noi o con Sebastian. Siamo una famiglia,” continuò prendendo la mano di Grant mentre Juliette si stringeva un po’ più forte seduta sulle sue gambe. “Io potrò fare l’amore con qualcun altro che non sarà vostro padre.. ma non per questo gli vorrò meno bene o meno a voi. E vi assicuro, che nessuno proverà o riuscirà mai a rimpiazzarlo. Juliette, tu continuerai ancora a vedere papà, ok?  E Grant a vedere me. Forse vivremo in case separate, ma staremo insieme perché io sono vostro padre e lo è anche Sebastian.”
 
E mentre Grant ascoltava suo padre fare quel discorso, ghignò amaro. I sentimenti di Blaine per Sebastian non erano mai cambiati nonostante tutto e lo poteva capire dalla sicurezza nel tono della sua voce. Se non fosse stato così certo, avrebbe tentennato un po’; perché potrebbe sempre capitare d’innamorarsi ancora, e invece il cuore di Blaine sapeva di non potersi più rinnamorare, se non di un uomo di nome Sebastian Smythe. 
 
E in quel momento, Grant smise di preoccuparsi. 
 
 
 
*

 
 
Sorrise al suo riflesso, passandosi una mano sulla giacca del completo scuro; poi si portò una mano a ravvivarsi e capelli. 

Era pronto. 
 
Finalmente avrebbe parlato con Blaine spiegandogli la situazione dicendogli come stavano veramente le cose e che non potevano davvero divorziare.
 
Ghignò soddisfatto e uscì di casa, guardando con sufficienza i documenti già firmati posti sul mobile all’ingresso. 
 
 
 
*

 
“Buongiorno.”Blaine si girò verso la voce che lo aveva salutato, prendendo la borsetta che Juliette aveva insistito per portarsi e adesso non voleva più.
 
John era dietro di lui che gli sorrideva gentile. Indossava un pantalone scuro con un gilet dello stesso colore, una camicia bianca con i risvolti alle maniche che lasciava gli avambracci scoperti; e per rendere più elegante il tutto aveva una cravatta celeste e nera allacciata al collo. 
 
Blaine rimase un attimo a fissarlo; il pizzetto chiaro che aveva a contornagli le labbra lo faceva sembrare un po’ più grande, ma comunque bellissimo, anche se quella visione non gli tolse il respiro. 
 
“C-ciao,” rispose lui cordiale, balbettando un po’ per l’imbarazzo. 
 
“Con questo accessorio,” scherzò lui, guardando la borsetta lilla con la tracolla di perline, “sei ancora più sexy.”
 
Blaine ridacchiò, chiudendo lo sportello, “grazie, non credevo potessi piacerti anche con questa,” disse mettendosi la borsetta sulla spalla, prima di chiudere  la macchina e iniziare a camminare, seguito da John. 
 
“Credo che rimarresti sorpreso se ti dicessi in quanti modi strani continueresti a piacermi,” Continuò quest’ultimo, un po’ imbarazzato. Poi gli mise una mano sulla schiena e Blaine con un sorriso si fece guidare all’interno del locale. 
 
 
 
*
 
L’orologio batteva le dodici meno un quarto quando Sebastian fece il suo ingresso alla festa di fidanzamento di Cooper ed Elizabeth. 

Gli invitati erano tutti dispersi per la sala a chiacchierare tra di loro o a ballare sul parquet nella zona lasciata appunto a quello scopo, seguendo la musica prodotta dalla band incaricata del giorno. Tutto era curato nei minimi dettagli, ogni piccola decorazione studiata. 

Sebastian entrò lì con passo fiero e la testa alta, cercando subito con gli occhi suo marito che sicuramente era da qualche parte a parlare amorevolmente con qualche lontana zia o persone che sostanzialmente conosceva poco o niente. 
 




Elizabeth lasciò il bicchiere vuoto sul vassoio di un cameriere che le stava passando accanto. Aveva i piedi che già le dolevano per via dei tacchi alti che stava indossando e il vestito forse era un po’ troppo stretto nella parte superiore. Scosse la testa a quell’assurdo pensiero, l’unico motivo per cui le batteva forte il cuore e stava per entrare in iperventilazione era l’agitazione. 
 
Non vedeva il signor e la signora Anderson da natale, dove si respirava brutta aria per via di Blaine che aveva tenuto per tutto il tempo l’aria da cane bastonato e suo padre non aveva fatto altro che ricordargli quanto avesse sbagliato senza mezzi termini. 
 
Girò su se stessa alla ricerca del suo futuro marito e con la coda dell’occhio vide qualcuno che non doveva esserci. Strabuzzò gli occhi, pensando che fosse soltanto la sua fervida immaginazione a produrre quella visione e invece dovette ricredersi quando vide il volto di Grant, dall’altra parte della sala, aprirsi in un’espressione sorpresa con tanto di ghigno in bella vista. 
 
 


“..e quindi non si sa ancora se questo progetto verrà effettuato o meno, ma la trovo una bella idea.” Concluse John, prima di prendere un sorso di una bevanda analcolica che aveva versato nel bicchiere. 
 
“Oh si, è fantastica,” rispose Blaine entusiasmato, mentre gli occhi si illuminavano giusto un po’, “finalmente avranno dei buoni medici anche in Africa! E’ proprio una bella idea e finalmente quei bambini avranno delle cure adatte,” continuò spostando gli occhi su Juliette che stava parlottando in sottovoce col fratello.  Lui, a una sua morte per una febbre, non sarebbe mai sopravvissuto. 
 
“Si e stanno cercando anche dei volontari, vorrei offrimi ma.. dovrei stare lontano da qui per minimo cinque mesi-“ John si sboccò, lasciando incompleto cioè che stava per dire. Blaine spostò di nuovo lo sguardo verso di lui, trovandolo con la bocca aperta a guardare un punto preciso, perplesso. “Non sapevo che Sebastian era stato invitato.”

“Infatti, non lo è.”
 


 
“Ha avuto anche la faccia tosta di venire, a quanto vedo.” 
 
Cooper lasciò uno sguardo glaciale a suo padre, che lo aveva interrotto nella sua conversazione riguardante l’ultimo provino in cui gli avevano detto che gli avrebbero fatto sapere. 
 
“Non ha proprio ritegno,” concordò con disprezzo la moglie, entrambi a guardare un punto indefinito dietro la spalla del figlio. 

“Chi?” Chiese quest’ultimo, irritato per il brusco cambio d’argomento. 
 
“L’ex marito di tuo fratello.”
 
Cooper spalancò gli occhi a quella frase e contrasse la mascella, irritato, prima di girarsi per vedere proprio Sebastian che si avvicinava sempre di più a Blaine. “Come si è permesso?” Chiese retorico. Guardò i suoi genitori con la coda dell’occhio, “torno subito.”
 
Cooper si allontanò da loro, diretto verso l’ospite non gradito quando Elizabeth gli piombò addosso, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo teneramente sulle labbra in un bacio a stampo molto dolce. Sentì gli sguardi accigliati dei suoi genitori addosso e El si spostò leggermente. 
 
Quest’ultima gli afferrò sia la mano che il braccio, come se volesse bloccarlo per non farlo andare via. “Salve, vi piace la festa? Vi state divertendo?” chiese tutto d’un fiato e senza lasciargli il tempo di rispondere continuò: “Io e Cooper dovremmo a ballare, questa canzone mi carica sempre parecchio ed è bellissima e siiiiii, aaaandiamoooo!”
 
Restò un attimo in silenzio, guardando i volti dei suoi suoceri che la guardavano come se fosse indemoniata, poi trascinò Cooper via da lì, a testa bassa per la figuraccia, dirigendosi a centro di pista. 
 
 



Sebastian ghignò quando Blaine si voltò di scatto per lasciargli un’occhiata sorpresa e poi rigirarsi facendo trapelare tutta la sua preoccupazione. Sebastian sentì su di sé anche gli occhi di John e il suo ghigno si ampliò ancora di più; si guardò in giro, notando anche Cooper ed Elizabeth che stavano iniziando a ballare un lento, entrambi che lo fissavano non riuscendo proprio a sembrare disinvolti. Notò che i tavoli avevano delle tovaglie bianche ed erano decorati con delle bellissime composizioni floreali. 
 
Gli venne un’adorabile idea in mente. 
 
Si avvicinò a uno di essi, con tanta calma da fare invidia a un bradipo, come se fosse stato davvero invitato. Pensando a quanto fosse strano che Juliette non gli era ancora andato in contro per abbracciarlo, scelse una piccola rosa rossa dalla composizione e spezzò lo stelo che era troppo lungo. Notò con piacere che il fioraio aveva già tolto le spine, forse perché gli era venuto meglio per lavorarci. 

Poi si allontanò dal tavolo con una nonchalance invidiabile e si diresse da Blaine, incontrando gli occhi dei due figli nel tragitto. Juliette sorrise prima di continuare ad annuire alle parole del fratello, ma le rivolse comunque un occhiolino, mentre si portava alle labbra lo stelo della rosa.

Si fermò proprio davanti a John e Blaine che fino a quel momento stavano parlando tranquillamente, come se si fossero accorti della sua presenza solo in quel momento. 

“Permette?” Chiese innocentemente, porgendo la mano a Blaine.

“Cos-Cosa-“

“Certamente,” rispose John guardando Sebastian dritto negli occhi; il moro guardò entrambi gli uomini e fu solo in quel momento capì che Sebastian non aveva chiesto direttamente il permesso a lui, ma a John.

Sebastian guardò il biondo senza espressione e poi prese la mano di Blaine, conducendolo sulla pista. 
 


 

John sbuffò infastidito mentre i due si allontanavano, chiedendosi mentalmente anche perché gli avesse dato il permesso. 

“John?” Lo chiamò una vocina dolce e subito dopo sentì una manina prendergli la sua. 

“Si?” Rispose lui, abbassando la testa per specchiarsi in un paio di occhi verdi. 

“Balli con me?”

Lui sorrise e prese la mano di Juliette, facendosi condurre al centro della zona da ballo per poi prenderle entrambe le mani e farla ballare, sentendo subito il buon umore ritornare. 
 
 


“Che sta facendo?”

“Cooper!” lo rimproverò Elizabeth, staccando la mano della sua spalla per portargliela a fargli girare la testa per guardarla negli occhi, “lasciagli solo due minuti e vedi che succede.” 

Lui sbuffò, poi si lasciò andare, stringendo ancora di più Elizabeth tra le braccia e chinarsi a baciarle il collo.
 

 

Sebastian rallentò gradualmente e si portò di fronte a lui, facendo ruotare dolcemente la mano in quella di Blaine, per poi far intrecciare le loro dita. 

“Non è così la posizione delle mani,” lo corresse, guardandolo in viso per qualche secondo prima di riabbassare lo sguardo. 

“D’accordo,” commentò Sebastian, sciogliendo le loro dita per far poggiare nel modo corretto la mano di Blaine sulla sua, mentre con l’altra si toglieva la rosa dalle labbra. 

Blaine lo vide chinarsi su di sé e infilare lo stelo del fiore nel taschino della giacca, sul cuore; ammirando le sue mani e le sue sopracciglia aggrottarsi. Sebastian alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono. 

E anche se Blaine non voleva, quando gli sorrise, i colori tornarono nel suo mondo; almeno per il momento. 
 
 


“Lo sta baciando!” 

Elizabeth alzò gli occhi al cielo, “Non lo sta baciando.” 

“Ma-“

“Cooper, non lo sta baciando, gli sta sistemando qualcosa… ma.. se vuoi.. potresti sempre baciare me..” 
 
 


“Sebastian, perché sei qui?” Gli chiese Blaine mentre lui gli poggiava una mano su un fianco. 

“Perché voglio ballare con te.”

“Sebastian, perché sei qui?” Ripeté lui, non prendendo nemmeno in considerazione la risposta precedente. 

“Perché ti amo.” 
 

Blaine rimase affascinato dal colore dei suoi occhi, così intensi, così vivi e belli che lo fecero restare senza fiato. 
 
 


“Ogni volta non mi fai mai parlare, comandi tu la conversazione e io ho bisogno di farti ragionare,” Sebastian disse serio, prima di prendere un lungo respiro e iniziare a ballare girando in torno. “Hai ragione a essere furioso con me. Hai tutto il diritto di chiedermi il divorzio per tutto ciò che ti ho fatto: per il tradimento, per aver abbandonato la speranza, per aver fatto di tutto e facendoti soffrire, per aver offeso riccioli d’oro, per non aver cercato di dialogare con Grant. Hai ragione su tutte queste cose, ma tu volevi tornare con me. Me l’hai detto esplicitamente; eri disposto a passare sopra tutto questo.”
 
Blaine abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio per qualche secondo. “Si, poi sei andato a letto con Tony.”

Sebastian si maledisse ancora e ancora, rimpiangendo come non mai quell’errore. “Blaine, l’ho fatto perché sono un coglione e so cosa stai pensando, non andrò di nuovo a letto con qualcun altro se mi arrabbiassi di nuovo con te.”

 
Blaine continuò a seguire Sebastian nei movimenti. 

Era in conflitto con se stesso; il suo cuore voleva credere a quelle parole con tutto sè stesso, ma il suo cervello gli faceva ricordare i fatti.
Decise che nonostante il calore dentro al petto che sentiva, tutto ciò non bastava. "Però lo hai fatto. ” 

Sebastian lo fece allontanare per fargli fare un giro su sè stesso continuando a tenergli la mano, facendo alzare gli occhi al cielo, poi una volta tornato al suo posto usò la scusa di dovergli rimettere la mano sul fianco per tirarlo ancora di più a sé. 

“Blaine, è successo quando eravamo divisi, quando non ti avevo più accanto. Con te sono migliore, te l’ho dimostrato un sacco di volte. Sei il mio lato luminoso e io sono il tuo.” 
 
Blaine rimase in apnea per quella frase. 
 
 


“Ora ci vado. Gli starà dicendo altre cose per ferirlo e sono pure passati i due minuti che dovevo concedergli.” 

Cooper fece per allontanarsi, ma Elizabeth lo afferrò per il polso costringendolo a tornare al suo posto e posizionargli le mani suoi fianchi.

“Io ho ancora voglia di ballare. E guarda il suo viso: non è ferito, è luminoso come non era da tempo.” 
 
 

John sorrise teneramente a Juliette, lasciando andare le sue mani; per poi farle un piccolo applauso, “non ho mai visto una bambina ballare bene come te, complimenti.” 

La bambina arrossì come un pomodoro, stringendosi nelle spalle. “G-grazie,” balbettò in fine. Poi alzò lo sguardo verso i suoi genitori che stavano ancora ballando poco lontano da loro, senza musica a un ritmo inventato perché erano talmente presi l’uno dall’altro da non accorgersi che la canzone era finita e stava per iniziarne un’altra. 

Cercò con lo sguardo gli occhi del fratello e lì trovò poco dopo nel punto in cui si erano lasciati, e adesso gli faceva segno di continuare a ballare. 

“John, balli ancora con me?”

Lui non poté dirle di no. 
 
 


Blaine si perse in quel viso e in quelle parole, non sapendo più come doversi sentire sul serio. Perché il suo cuore batteva impazzito e la
sua mente non faceva altro che ripetergli che era vero, Sebastian aveva ragione. 

“Ma non posso fidarmi di te.” Rispose amaro.

“Lo so e sono disposto a lavorarci per farti capire che sono perfetto per te e il tuo culo per me.” 
 
Blaine scoppiò a ridere come un bambino a cui si fa il solletico; doveva aspettarsi qualcosa del genere da parte di Sebastian che era fin troppo dolce in quella occasione. “Quanto sei scemo.” 

“Scemo? È vero!” ribatté lui con tono finto innocente e grazie al suono della loro risata sembrava che tutto fosse cambiato, la tensione si allentò in un lampo e  inconsapevolmente per quel momento si concessero di far finta che nulla fosse mai accaduto.

“Sei il solito, non riesci mai a fare un discorso senza andare a parare in quelle cose.” 

“Oh, perdonami,” rispose fingendosi dispiaciuto Sebastian, “ma non si direbbe che ti dispiace.” 
 



“Non mi piace questa storia.”

“Lo so, perché è la dimostrazione che avevo ragione e tu torto,” Elizabeth fece una pausa, “come al solito.”

Cooper alzò gli occhi al cielo, facendola girare. “Non è vero.  Anch’io ho spesso ragione, lo dimostra la presenza di Sebastian.”

“Sei stato tu a non volerlo invitare!” Gli ricordo lei, rimproverandolo. 

“Si, ma io ti avevo detto di non dirglielo, tu hai voluto che gli parlassi.” 

“Appunto.” Controbatté con un sorriso malizioso, “fa due più due.”

Cooper la guardò confuso, alzando un sopracciglio. 
 
  


“Grant, tesoro,” lo salutò sua nonna, accarezzandogli la nuca, “tutto bene?”

“Si, nonna, è un piacere rivederti,” mentì lui mentre le lasciava un bacio sulla guancia. 

Grant vedeva i suoi nonni Anderson davvero raramente perché abitavano in due stati diversi, quindi soprattutto per le feste comandate o i grandi eventi. Eppure, per quanto poco tempo passasse con loro, non gli erano mai piaciuti più di tanto. Aveva sempre l’impressione che lo trattassero diversamente da Juliette solo perché figlio biologico di Sebastian, per non parlare che dedicavano sempre più attenzioni a suo Zio Cooper che a suo padre. 

“Oh lo è anche per me, caro,” disse lei con un tono che voleva sembrare materno. 

Grant annuì piano, guardandola con la coda dell’occhio, prima di tornare a guardare i suoi papà che stavano ballando muovendosi di qualche passo dallo stesso punto, conversando come se niente fosse e con dei sorrisi che sicuramente non sapevano d’avere. 
 


“..Ero arrabbiato con te perché sembrava che non t’importasse niente dei nostri figli. Sembravi talmente disposto a volermi tagliare fuori dalla tua vita che non t’importava nemmeno un po’ di Grant o di Juliette.”

“Ma mi sembra d’averti dato la dimostrazione che non era così, l’altro giorno dall’avvocato,” lo canzonò Blaine, non riuscendo a resistere. 

Perché lo amava, continuava ad amarlo ancora e il suo cuore batteva veloce nel sentire la voce di Sebastian quasi nel suo orecchio e il suo respiro sul collo. Era tutto talmente intenso che sentiva il bisogno di mettere gli occhiali da sole e di allontanarsi un poco da Sebastian perché il suo profumo gli riempiva le narici e piano piano gli stava dando alla testa, eppure non riusciva ad allontanarsi o anche solo la mano sul fianco che gli riscaldava tutto il corpo. 

Continuava comunque a lottare contro sè stesso e contro Sebastian, perché non era giusto dargliela per vinta come se lui non valesse niente, come se non lo avesse ferito talmente tanto da farlo a pezzi giorno dopo giorno senza mai uccidere l’amore che provava per lui; perché Blaine lo sapeva che Sebastian giocava su quello. 

“Lo so, Blaine. Ma io non potevo saperlo; come avrei potuto? Anche l’accordo che abbiamo raggiunto è ingiusto, fa schifo, però ho capito che non vuoi separarli sul serio. Mi dispiace tantissimo d’averti ferito. Ho bisogno soltanto di un’altra possibilità.”

Blaine sapeva che doveva rispondergli a tono e concentrarsi su tutto il discorso e non soltanto sulle scuse, ma proprio non ci riuscì perché era più forte di lui ascoltare le scuse di Sebastian; o forse ci aveva soltanto fatto l’abitudine.
 
 


“Juliette, sono un po’ stanco,” disse John con tono dispiaciuto, rallentando il ritmo con cui muoveva le spalle e il bacino, “ci fermiamo cinque minuti?”

La bambina guardò un attimo i due genitori e poi tornò a guardare l’uomo. Abbassò lo sguardo e con tono supplichevole farfuglio: “la canzone sta finendo.. per faaaaaavoore.”

John scosse la testa, ridacchiando da solo alla sua incapacità di dire di no ai bambini, nonostante cercassero di prenderlo per fesso. 
 
 


“Ti amo.”

Blaine alzò di scattò la testa, allontanandosi di nuovo un po’ da Sebastian per guardarlo negli occhi e lì lo vide, quel sentimento che Sebastian diceva tanto di provare. Lì in tutta la sua bellezza. 

“Sai che è vero,” sussurrò ancora Sebastian, fermandosi in mezzo alla pista da ballo. 

Blaine si fermò a sua volta e sentì la mano dell’ex marito sfiorargli la guancia e accarezzargli lo zigomo sinistro con il pollice. Sebastian si chinò su di lui e Blaine rimase in mobile e come se il tempo andasse a rallentatore, lo vide da prima chiudere gli occhi e poi avvicinarsi sempre di più, le labbra distendersi in un piccolo sorriso. Sentì il suo respiro sul viso e le labbra di Sebastian a distanza di un bacio.
 

 
 
 

“Oh mio Dio, Cooper! Lo sta baciando!”
 
“COSA?”
 
 
 
 
“Lo sapevo che aveva preso dalla tua famiglia per essere così idiota.”
 
“Gli Anderson non hanno mai avuto gay nell’interno della nostra famiglia.” 
 
Grant smise d’ascoltare i nonni. 
 
 
 
 
Juliette si fermò a guardare Blaine e Sebastian che stavano per baciarsi, stringendo un po’ più forti le mani di John, mentre lui abbassava lo sguardo, spostandolo da un’altra parte.
 
 
 
 
Sebastian stava per premere le labbra su quelle di Blaine quando lui lo bloccò dicendo: “E’ finita la musica.”
 
“Scusami?” Chiese lui accigliato, riaprendo gli occhi per guardare il marito. 
 
“E’ finita la musica. Mi avevi chiesto un ballo e te l’ho concesso.” Gli spiegò quest’ultimo come se fosse la cosa più naturale possibile. Lasciò andare la sua mano e Sebastian sentì subito il freddo penetrare nelle ossa nel punto in cui prima c’era il calore di Blaine. 
 
“Io stavo per-“
 
“Ciao, Sebashian.” Concluse il moro, facendogli  un cenno con la testa prima di voltarsi e andarsene al proprio posto. Lasciando Sebastian lì da solo, con il dolore di quel nome pronunciato male nel petto. 
 
 
 
 
“Ha fatto bene.”
 
“Sei un idiota.” Controbatté Elizabeth dandogli una spallata per allontanarlo e superarlo. 
 
“Perché?” Domandò Cooper confuso, afferrandola per un polso per non farla andare via e costringerla a guardarlo. “Ascoltami, non è la fine del mondo se per una volta hai torto e io ragione.”
 
“Disse colui che mette il broncio se gli fa notare che sbaglia,” lo canzonò lei in risposta, facendo un movimento convesso con la mano per rafforzare il concetto. 
 
“Perché ci devo andare di mezzo io se stiamo parlando di te?” 
 
“Non è questo, quello che vuoi?” domandò lei a sua volta, in tono tagliante. “Stare sempre al centro dell’attenzione?”
 
“Elizabeth.”
 
“Sei disposto a far andare a monte il matrimonio di tuo fratello pur di non smentirti.” Continuò lei incredula, portando le mani al cielo. “Io non ci posso credere.” 
 
“Se lo sono distrutti da soli, il matrimonio.” Gli fece notare Cooper, non capendo perché gli stesse addossando la colpa a lui. 
 
“Dimmi che non hai visto quello che ho visto io, Cooper, dimmelo.” Fece lei, intrecciando le braccia al petto e confondendo sempre di più l’uomo. “Tu hai detto che Sebastian lo riduce come uno zombie, che lo distrugge, ma hai appena avuto la prova che non è così. Blaine sorrideva e non mi riferisco solo alle labbra- siamo capaci tutti a piegare le labbra all’insù. Lui sorrideva davvero, anche con gli occhi. Non riusciva a togliere lo sguardo da Sebastian e a smettere di muoversi- lo hai visto pure tu che era Blaine a guidare anche se in teoria doveva essere Sebastian. Non andavano a tempo come noi perché la musica ce l’avevano nel cervello, hanno ballato due canzoni e forse non se ne sono nemmeno accorti.”
 
“Erano troppo presi, è normale.”
 
“Esattamente!” Incalzò lei, puntando le mani verso di lui, prima di prendergli il viso tra le mani e baciarlo piano. “Parlaci, per favore.”
 
“Perché non lo fai tu?” chiese Cooper acido, nonostante non avesse ben capito il motivo per cui dovesse parlarci. 
 
“Io con Blaine litigo spesso, e comunque è scemo. Devi parlare con Sebastian e lo sai che tra uomini è diverso.”
 
“Blaine ti uccide se ti rimetti di nuovo in mezzo al suo matrimonio, vero?”
 
“Ti amo perché sei perspicace.”
 
Mentre Cooper ed Elizabeth complottavano tra di loro, Sebastian si dirigeva verso l’uscita del locale con passo fermo e deciso, senza guardarsi indietro o anche solo pensare di salutare i figli perché troppo preso da altri pensieri. 
 
Elizabeth se ne accorse proprio mentre usciva dalla porta in vetro e si allontanò subito da Cooper che la guardò accigliato. “Se ne sta andando, vai a dirglielo, su” gli disse lei, spingendolo nella stessa direzione in cui era andato Sebastian. 
 
 
 
 
Cooper si lasciò cacciare via dalla sua fidanzata e raggiunse Sebastian fuori dal locale, fermandosi a stringere la mano ai ritardatari che arrivavano in quel momento o a dire che sarebbe ripassato dopo ai suoi amici che cercavano d’intavolare una conversazione con lui. 
 
Cooper lo raggiunse vicino alla macchina su cui Sebastian era comodamente poggiato mentre accendeva una sigaretta, pensieroso e cupo. 
 
“Tu non fumi,” affermò Cooper guardandolo sbigottito mentre Sebastian portava la sigaretta alle labbra e la aspirava. 
 
“Ciao Cooper,” Lo salutò lui in risposta, cambiando discorso come se non l’avesse nemmeno sentito. 
 
C’era qualcosa di strano in quel tono di voce, di debole, incolore e di sconfitto. Cooper notò  che Sebastian stava per parlare di nuovo, così rimase in silenzio. 
 
“Non sarei dovuto venire oggi, mi spiace.”
 
Cooper notò che aveva un atteggiamento strano e remissivo, come se gli fosse appena morto il gatto eppure aveva quel piccolo ghigno sulle labbra. Lo guardò di sottecchi, trovandolo espirare con fare bisognoso la sigaretta. 
 
“Figurati, anzi se vuoi puoi rimanere. Ciò che ho detto l’altro giorno non vale più.”
 
Sebastian si girò verso di lui a guardarlo, andando un sopracciglio. “Avevi detto che non ero invitato.” 
 
“Si, lo so; ma ho capito che il discorso dell’altra volta era tutto completamente sbagliato…” Cooper ci rifletté un attimo prima di aggiungere: “o quasi.” 
 
“Che intendi?”
 
“Che- non so per quale strano scherzo del destino, sul serio- quando è con te è felice; è pazzesco ma è così, quindi.. resta. Almeno per il discorso di Blaine.” 
 
“Blaine farà un discorso?” Chiese Sebastian incredulo, la cosa gli sembrava abbastanza strana. 
 
Nessuno avrebbe voluto tenere un discorso sull’amore e il matrimonio dopo quello che gli stava succedendo, ma ovviamente nessuno era Blaine.
 
“Si, io gliel’ho proposto per conto di Elizabeth e lui ha accettato.” Cooper sorrise nel vedere Sebastian gettare a terra più di metà sigaretta e schiacciarla con il piede; ormai la curiosità si era impadronita di lui. 
 
 
 
*
 
 
 
Un’ora dopo, Blaine stava conversando con Marika e Mark, un'amica di El e il suo nuovo frequentante. La ragazza portava un vestitino bianco a fiori, lungo fino al ginocchio e stava in piedi su delle zeppe alte almeno dieci centimetri; si vedeva che non era abituata a portare altre scarpe al di fuori di ballerine e quelle da tennis, così per non sbilanciarsi troppo e rischiare di cadere, teneva ben stretta la mano del ragazzo accanto a lei. 
 
Lui continuava a guardarla di sottecchi nelle pause che faceva mentre parlava con Blaine o lui non lo guardasse negli occhi, cercando di non farsi scoprire, ma ovviamente senza risultati. Si vedeva che era nervoso dal modo in cui giocava col tovagliolo di carta che aveva all’interno della tasca dei pantaloni.
 
“…la proposta di Cooper è stata fantastica! E’ stata pazzesca, ancora non ci credo d’avervi aiutato a fare una cosa simile.” Commentò Marika gesticolando con la mano intrecciata a quella di Mark, come se anch’essa fosse sua.
 
Gli occhi di Blaine vi caddero sopra involontariamente e si dovette trattenere dal fare un mormorio stridulo e arricciare il naso per quanto quella visione fosse dolce. Lei aveva le dita affusolate e chiare come la sua carnagione, con le unghie smaltate di un rosa pallido, mentre le dita di Mark erano più tozze, grandi, con un colorito olivastro e le unghie erano mangiucchiate qua e là. 
 
Sentì uno strano senso di vuoto nel petto e si sentì solo.
 
Quando Blaine tornò da John dopo aver ballato con Sebastian, era diventato glaciale. Ovviamente continuava a essere educato e a rispondere cordialmente a ogni sua domanda, ma ogni qualvolta che Blaine cercava di iniziare una conversazione, John la faceva concludere dopo poche battute; così al quinto tentativo il moro smise di provarci, capendo che l’unico motivo per cui gli parlava e non era nel suo stile mandare a quel paese le persone. Poi si erano divisi e non lo vedeva da almeno mezz’ora.
 
Blaine non si era nemmeno lontanamente sognato di potergli dire qualcosa, rassicurarlo o chiedergli il motivo per quel comportamento; il perché lo poteva vedere benissimo anche un cieco. 
 
Sebastian era ancora dentro la sala e Blaine di tanto in tanto poteva sentire quegli occhi color verde smeraldo posarsi sul suo viso e sul suo corpo. Non si erano più parlati da quando avevano ballato e la minima distanza tra loro era stata di dieci metri e per puro caso. Blaine sapeva che Sebastian c’era rimasto un po’ così perché era riuscito a ritrarsi proprio nel momento prima di baciarlo e adesso gli voleva lasciare un messaggio: tocca a te. 

Si, toccava a lui prenderlo a colpi di sedia in testa. 

La verità, purtroppo, era che a quello che Sebastian gli aveva detto ci pensava. 
 
“Blaine.. tuo fratello sta facendo dei gesti inquietanti con le braccia,” disse Mark guardando perplesso altre la sua spalla, “Si, credo proprio che ti stia chiamando.”
 
Blaine fece un mezzo giro su sè stesso per seguire gli occhi del ragazzo e scorgere suo fratello Cooper che muoveva le braccia in aria; perché doveva essere così teatrale? 
 
Si gratto la fronte e alzò lo sguardo per guardare le iridi chiare del fratello, lui gli fece cenno di avvicinarsi e Blaine obbedì. Si diresse da lui con passo svelto e deciso, per poi fermarsi al suo fianco. 
 
“Adesso io ed El annunciamo il fidanzamento, poi tu fai il tuo discorso, ok?” Gli chiese Cooper tutto agitato, nonostante sembrasse una statua. 

“Ok,” rispose lui dolcemente, sfregandogli una mano sulla schiena per tranquillizzarlo un po’ e lui per tutta risposta gli sorrise mordicchiandosi un labbro. 
 
Elizabeth apparve poco dopo alle spalle di Cooper e lo abbracciò teneramente da dietro, poggiando una guancia contro la sua giacca scura. Fece l’occhiolino a Blaine e poi si allontanò dal maggiore degli Anderson per prenderlo per mano. Gli annunciò che era arrivato il momento di dare la conferma ufficiale del fidanzamento e annunciare la data del loro matrimonio. 
 
Blaine le strinse un braccio per rassicurarla a tutti e tre si diressero al centro della pista da ballo e pochi minuti dopo tutti gli ospiti erano raccolti in un grande semicerchio accanto a loro e Blaine si fece da parte per lasciare annunciare a Cooper ed Elizabeth il tutto. 

 
Cinque minuti dopo nella sala si levò un applauso generale ed entusiasta, i due promessi sposi erano un po’ rossi per i complimenti e ridevano per la felicità e le battute che gli ospiti facevano loro, comprese quelle di Blaine e Sebastian che non si risparmiavano di prenderli in giro. 
 
Poco dopo, quando le acque stavano di nuovo per rasserenarsi, Cooper prese la parola e concentrò su di sé tutta l’attenzione dei presenti; Blaine gli vide un certo luccichio negli occhi per tutte quelle attenzioni.
 
“Adesso lasciamo la parola al mio fratellino Schizzo che vuole dire qualcosa in proposito.” 
 
Blaine per un attimo rifletté se strangolarlo o meno per quel soprannome che odiava tanto, poi decise che almeno per quel giorno poteva lasciare stare. 
 
Rigirò tra l’indice e il pollice il bicchiere di spumante ancora mezzo pieno che gli avevano dato per il brindisi poco prima e da cui aveva già bevuto due piccoli sorsi. Cooper lo prese per una spalla e lo spinse in avanti per dargli coraggio e fargli dare una mossa. 
 
Blaine sorrise al pubblico e si ricordò in quel momento di non aver ripassato il discorso che si era scritto il giorno prima da studiare e adesso non ne ricordava neanche una riga. Sbuffò sconfitto e poi si rassegnò al fatto che fosse un completo idiota. 

Era un attore sento cielo e quindi, tanto che non aveva altra scelta, avrebbe improvvisato. 
 
“Salve a tutti e come hanno già detto, io sono il fratello di Cooper, Blaine…” ok, avrebbe optato per qualcosa di sintetico e indolore, “.. e sono felicissimo che abbia chiesto a Elizabeth si sposarlo; lei per me è come una sorella e sono perfetti insieme.” 

Blaine parlava spostando lo sguardo sul viso di ogni persona, soffermandosi su di esso per non più di dieci secondi, così d’avere un punto
di riferimento a cui guardare senza mettere a disaggio nessuno. 
 
“Lui ha l’insana predisposizione a combinare disastri e lei a rimettere le cose apposto,” i suoi occhi color nocciola incontrarono quelli di un verde intenso, “direi che si completano.”

Sebastian per tutta risposta si fece più attento, sollevandosi di poco sulle punte per poter guardare meglio Blaine, dato che si trovava dietro una ragazza con i tacchi alti che gli impediva una completa visione del moro. 
 
“Sono felice che abbiano trovato la loro metà mancante che li rende migliori; Da piccolo ricordo che dicevo sempre a Cooper che non avrebbe mai trovato nessuno per il suo caratteraccio e per molti anni ho avuto ragione.” Ci fu una piccola risata generale e Blaine sorrise, continuando a guardare Sebastian negli occhi. “Q-quando.. incontrò Elizabeth e successivamente me la presentò come la sua ragazza.. non ci avrei scommesso un centesimo che sarebbero restati insieme tutti questi anni e che si sarebbero sposati. Erano troppo diversi per stare insieme nella mia mente.. e lo sono ancora, nonostante tutto sono ancora innamorati l’uno dell’altra.”
 
Blaine distolse lo sguardo quando vide nascere un piccolo ghigno sulle labbra di Sebastian, spostandolo su quello degli altri invitati, trovandoli tutti un po’ accigliati e confusi, non capendone il perché. 

“Sono dolci e distaccati allo stesso tempo -hanno entrambi un caratteraccio, che credete? La loro relazione è bellissima, ve lo assicuro; è quel tipo di storia che bisogna provare per capirla fino in fondo, entrambi sono stati disposti a fare diversi cambiamenti nella loro vita per l’altro, ad amarsi nonostante i guai, a rinunciare a molte cose. Ed è questo che significa amare, mettere la persona che si ama prima di sè stessi; eppure loro non l’hanno sempre fatto, si sono feriti a volte e altre sono stati egoisti; ad esempio.. m-mio fratello ha fatto aspettare per parecchi anni Elizabeth per questo momento,” Blaine abbassò lo guardo soltanto per vedere la donna abbracciare Cooper e accarezzargli il petto sussurrandogli parole dolci, “nonostante questo lei non ha mai insistito, più di tanto eh, perché in amore ci vuole anche la comprensione e sapeva che non era quello che Cooper cercava, non smettendo mai d’amarlo. Ci sono sempre stati l’uno per l’altra, erano sempre lì a stringersi la mano nei momenti difficili e anche divertenti, allegri, a sostenersi. A ridere e piangere insieme.  Adesso invece sono qui, soltanto in attesa del grande giorno- perché sappiamo tutti che El aspetta solo quello-  ma vi voglio dire una cosa, con il giorno delle nozze il vostro rapporto cambierà.” Si sollevò un mormorio d’assenso da tutte le coppie sposate, soprattutto dagli uomini che annuivano solenni. Sebastian si limitò a fare un sorriso bello e sincero che si vedeva raramente sul suo volto. “Ma” Blaine ridacchiò appena “...no, no, non come credete voi. Si, è vero, a volte col matrimonio ci si lascia un po’ troppo andare, ma non è questo il suo vero significato? Lasciarsi andare senza paure perché si ha la consapevolezza che l’altra persona ci ama nonostante tutto? Cooper, El, rassegnatevi, ciò che vi dico è vero, cambierà… in meglio, ve lo assicuro.” Inevitabilmente, gli occhi di Blaine cercarono un paio di iridi verde smeraldo e le trovò poco dopo, come se non aspettassero altro che quel momento, di nuovo.  “Q-quella fede al dito servirà a unirvi ancora di più, a rendere quella stretta di mano un po’ più forte, i pianti un po’ più isterici, gli abbracci un po’ più bisognosi. Vi farà comprendere meglio la felicità dietro ai silenzi, a leggere meglio la paura e le insicurezze dietro quelle iridi che ormai conoscete a memoria, a capire la motivazione dietro ai ghigni. Vi aiuterà a sorprendervi sempre di più per ogni piccolo gesto che non vi aspettavate, ad aprire ancora di più il vostro cuore e a essere più vulnerabili. Di questo però non dovete averne paura,” vide Sebastian abbassare lo sguardo per un attimo, prima di portarlo di nuovo su di lui e Blaine sentì una piccola lacrima solcargli la guancia. Non l’asciugò. “L’amore è anche esporsi e fin quando c’è davvero amore si riuscirà sempre a perdonare, n-non importa quanto male il vostro partner vi possa procurare, se il vostro cuore batte per lui allora non potrete far altro che perdonarlo, in un modo o nell’altro. Prima o poi la rabbia passa e resterà soltanto il dolore, ma se sarete disposti a riaprirvi di nuovo, quell’esperienza vi aiuterà a farvi conoscere e unire ancora di più. Perché quando si ama veramente, non si può fare a meno di quella persona, la si vuole sempre nella propria vita: nel il ruolo di moglie, marito, migliore amico, amico o conoscente.”
 
Era un discorso che Blaine non sapeva come concludere, perché più parlava, più Sebastian sembrava illuminarsi sempre di più e lui stava mettendo troppo di personale; decise comunque che era tempo di tornare al suo posto, nonostante le numerose cose che aveva ancora da dire.

Si schiarì la gola e riprese: “Questo vale anche per Cooper ed Elizabeth, a cui voglio bene e si meritano tutta la felicità che stanno avendo. Quindi, ci vedremo tutti al giorno delle nozze.” 
 
Detto questo tutti fecero un piccolo applauso, molti di loro ancora con delle facce accigliate e altri invece erano solo annoiati. Elizabeth lo guardò con un sopracciglio alzato ma non gli disse niente, si limito ad accarezzargli un braccio e a superarlo per andare a chiacchierare con altri invitati. 
 
Cercò John con lo sguardo per andare a parlargli, ma lo trovò già impegnato in una conversazione con una donna con i capelli scuri e indosso un vestito blu, sembrava volerci provare con lui; Blaine ridacchiò e decise di non disturbarli, tanto per divertirsi di più quando John glielo avrebbe raccontato. 
 
Si guardò in torno per cercare i figli con lo sguardo ma al posto loro trovò Sebastian e Cooper a parlare dell’altra parte della sala, molto vicini e a tono basso, come se stessero complottando qualcosa. Li guardò con sospetto e stava per avvicinarsi a loro quando sentì due piccole braccia abbracciarlo da dietro e lui di voltò a guardare sua figlia.
 
“Papà, mi accompagni in bagno che ho paura di macchiarmi il vestitino se ci vado da sola?”






Eheheheh. Niente, ok, questa volta non ho proprio niente da dire, se non che spero davvero tanto che il discorso di Blaine sia piaciuto, perché sul serio, sennò non ho dove andare a sbattere la testa. Yeah!
 
In questo capitolo sono stata davvero baldracca, potete benissimo dirmelo LOL
 
Un bacione!
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
 
La sveglia batteva le due di notte spaccate e Sebastian non riusciva ancora a prendere sonno.

“Devi deciderti Sebastian. Sono pronto a darti una mano, ma non ferirlo mai più o ti spaccherò la faccia.”

L’uomo sbuffò alle parole di Cooper che rimbombavano nella sua mente e sentì Juliette mugugnare qualcosa infastidita e abbracciarlo ancora un po’ di più.
 
“Sai cosa penso di John e anche quello che penso di te; quindi non sbagliare di nuovo.”

Come se fosse semplice per uno come Sebastian non sbagliare, soprattutto con Blaine. Con lui era così facile sbagliare, proprio come era facile amarlo senza risorse. Levargli il sorriso era semplice proprio come farglielo ritornare con un bacio a fior di labbra o una battuta a sfondo sessuale sul suo sedere. 
 
“Inventati qualcosa e poi mi fai sapere.”
 
Cosa diavolo avrebbe potuto inventarsi?  Doveva restare da solo con Blaine, senza bambini, parenti o riccioli d’oro di mezzo. Solo loro due da soli. Magari avrebbe potuto fare una delle romanticherie che piacevano tanto al moro, tanto per fargli capire quanto ci tenesse a lui. 
Sebastian accarezzò gentilmente i capelli della piccola che dormiva teneramente attaccata a lui come se fosse stata attaccata con la colla. Sorrise a quel pensiero e in quel momento gli venne il colpo di genio. 
 
Allungò un braccio e prese il cellulare per appuntarsi tutto quello che avrebbe dovuto fare l’indomani mattina; scrivendo in maiuscolo “chiamare Cooper.”

 
*
 
 
 
“Dai Blaine, muoviti” Disse Cooper lanciandogli una camicia sporca addosso, “non voglio fare aspettare troppo Elizabeth.” Vide il fratello roteare gli occhi al cielo mentre rilanciava l’indumento sul letto e alzò un sopracciglio; “è la mia futura moglie, mi permetti che voglio essere puntuale?”

“State insieme da anni, non hai bisogno di essere puntuale.” Rispose il moretto, annoiato, prima di sfilarsi la maglietta del pigiama da sopra la testa. “Che poi non capisco perché dobbiamo venire pure io e i bambini a mangiare al ristorante con voi; non ha senso.”

Cooper sbuffò a quelle parole, roteando gli occhi al cielo. Quando si metteva, Blaine riusciva a essere davvero sfiancante con niente. Non gli poteva dire che aveva organizzato tutto con Sebastian, però stava facendo davvero troppe storie per i suoi gusti e rimpianse davvero di non essere più un adolescente per potergli dare uno scappellotto. 

“Cooper, i ragazzi sono da Sebastian e io non sono dell’umore adatto per uscire; perché non vai a prendere da solo El e andate in un bel ristorante romantico, solo tu e lei?” Gli suggerì Blaine, avvicinandosi a lui e poggiandogli le mani sulle spalle, “sono sicuro che lo apprezzerebbe.” 

Cooper non ascoltò nemmeno una parola su ciò che gli aveva consigliato il fratello, concentrandosi invece sui suoi pettorali, arricciando il naso. “Mettiti una maglietta, Schizzo. Sei raccapricciante.” 

“Perché?” domandò allarmato il fratello minore, abbassando lo sguardo per guardarsi il petto. 

“Sei peloso e hai la pancetta, che schifo,” dichiarò Cooper, guardandolo con disgusto, “non capisco cosa ci trovano in te.”

“Ma non ho la pancetta! Mi stanno pure tornando gli addominali perché faccio box!” protestò il più basso, scandalizzato. Poi titubante aggiunse: “e.. mi faccio la ceretta.. è normale che adesso ce li riabbia ma sono ancora troppo corti per poter andare dall’estetista.”

Cooper lo guardò con sufficienza. “Quelli non sono né addominali né pettorali,” Si alzò la maglietta nera che aveva in dosso e con un dito si indicò il torso nudo che sembrava scolpito da un’abile artista e la pelle era liscia e senza alcuna imperfezione, “questa è una tartaruga.” 

Blaine lo guardò con odio, riducendo gli occhi in due fessure, “sparisci da camera mia!” urlò prima di spingerlo e costringerlo a girarsi, ma Cooper gli fece resistenza.

“Tecnicamente questa è casa mia,” gli fece notare, piantando i piedi a terra  ma il fratello continuava a stingerlo. “C’hai pure un brutto culo e le gambe corte.”

“Cooper, via di qui!” Continuò il moro facendo finta di non sentirlo, spingendolo oltre la soglia della camera, “mi devo cambiare.”

“Ti vergogni, per caso?” Lo istigò il fratello maggiore, sentendosi sempre più fiero di se stesso. 

“Vattene,” ripeté Blaine, riuscendo a chiudere la porta dietro le spalle di Cooper e facendo fare uno scatto alla serratura; poi borbottò, “adesso vediamo chi è brutto.”

Cooper strinse un pugno in aria, farfugliando una serie di “sisisi.” Finalmente Blaine si sarebbe vestito decentemente e provocante.
Dio, era ancora così facile manipolare quella testolina fatta di gel. 
 
 


*
 
 

Sebastian passò la cintura tra i passanti del pantalone e la mise al terzo buco. Era dimagrito ancora. Sbuffò un poco e continuò a prepararsi cercando di non pensarci.

Erano un po’ che mangiava sempre meno del dovuto, ormai cucinava solo quando aveva i bambini a casa. Il problema fondamentalmente era che non aveva appetito, era andato anche da un medico ma questi lo aveva guardato con aria di sufficienza e gli aveva detto “E’ sano come un pesce. E’ stressato per caso o sta passando un brutto periodo?” Sebastian aveva annuito e l’uomo continuò, “allora non si preoccupi, è per questo che ha lo stomaco chiuso, lei però si sforzi comunque di mangiare. Vedrà che appena sarà tutto passato le tornerà il doppio dell’appetito, glielo assicuro.”

Sebastian però non faceva come gli aveva raccomandato il medico e se non sentiva almeno un languorino restava a digiuno. Non gli andava d’andare in sala pranzo in ufficio senza un motivo e incontrare gli occhi di Tony dall’altra parte della stanza; gli faceva venire sempre una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Non gli andava nemmeno di mettersi davanti ai fornelli e cucinarsi soltanto una fetta di carne, gli ricordava tutto quello che era cambiato in quei mesi da quando ancora cucinava per quattro persone anziché soltanto per sé stesso. 

Quel pomeriggio però aveva di nuovo utilizzato l’intera cucina, a partire dai fornelli fino ad arrivare ai ripiani che non aveva mai utilizzato se non per fare l’amore con Blaine quando restavano soli in casa. Gli era venuta malinconia, in realtà, ma aveva continuato a cucinare prelibatezze. 

Grant entrò in camera sua proprio chiedendogli di questo, restando un attimo a fissarlo davanti alla porta. “Fortuna che sei bello, almeno c’ho guadagnato questo da te.”

Sebastian alzò un sopracciglio a quell’affermazione e si allontanò dello specchio chiudendo l’anta dell’armadio. “Che stavi dicendo prima d’entrare?”

“Ti stanno bene questi pantaloni beige con la camicia bianca, aveva ragione papà.” Continuò Grant, come se non avesse sentito la domanda. “Devi mettere le scarpe quelle nere belle, e i capelli fatteli più all’insù.” 

Sebastian sbuffò scherzosamente e poi disse: “Figurati se prendo lezioni di moda da te.” 

Grant rise e si avvicinò a lui, “Papà senti.. ti ricordi che mi avevi detto che posso indossare le tue scarpe?”

“No, non l’ho detto,” rispose pensieroso, cercando di fare mente locale.

“Bene! Ho intenzione di prenderne in prestito un paio per questa sera.” Disse Grant con un sorriso sfacciato, prima di fare dietro front e cercare di scappare via; La voce di Sebastian lo fermò in tempo.

“Le mie ti stanno grandi; ce ne sono alcune di papà nella scarpiera, quelle che non usa più, prendi quelle.”

“Grazie pà’” Disse il ragazzo, prima di correre via gongolante. Il suo piano era quello fin dall’inizio. 
 
 
 
*


Cooper entrò in bagno per sbaglio e quando aprì la porta e vide il fratello davanti allo specchio non poté far altro che ghignare.

Blaine indossava una maglietta bianca aderente che faceva risaltare il suo fisico asciutto e rendevano visibili alcuni accenni dei muscoli, alcuni dei peletti più scuri erano visibili dalla scollatura un po’ pronunciata; i pantaloni invece erano dei jeans scuri molto aderenti che gli accentuavano senza alcun ritegno il sedere e il cavallo dell’uomo, che, stranamente, aveva le caviglie coperte. 

Cooper fissò intensamente il volto del fratellino nello specchio, vedendolo versarsi una quantità smisurata di gel sulle mani e lui fece una faccia schifata. Blaine aveva della barbetta in colta sul tutto il viso che lo rendeva più giovane e, avrebbe voluto dire “sexy” ma anche solo l’idea di dare quell’aggettivo a suo fratello lo faceva rabbrividire, così optò per “sbarazzino”. 

E quel gel avrebbe preso a coltellate il tutto. 

Una volta sentì dire a Blaine che se si passa la spazzola nei capelli dopo aver messo il gel, i capelli diventano improponibili e quindi una cosa indecente; Cooper si ricordava ancora una volta in cui Blaine lo fece per sbaglio e si ritrovò con dei capelli improbabili, così fu costretto a rilavarseli. 

Così attese. 

Attese con pazienza che Blaine si mettesse il gel nei capelli e si sistemasse per bene, mentre lui si avvicinava e frugava tra gli scaffali del bagno cercando qualcosa di non ben definito; poi quando lo vide che mancavano soltanto dei ritocchi, si avvicinò a lui per specchiarsi a sua volta nello specchio, abbassò lo sguardo e accanto al lavandino prese il suo profumo e se ne mise un po’, poi lo poggiò nuovamente sul ripiano e senza farsi notare prese la spazzola che  era lì accanto. 

Vide Blaine sistemarsi l’ultimo ricciolo e fu in quel momento che decise a colpire senza nascondersi troppo, ghignò e disse: “Blaine, forse hai tralasciato qualcosa, aspetta che te lo sistemo io.”

Poi, con tanta nonchalance gli passò la spazzola ancora prima che se ne accorgesse, combinando un disastro in quella testa fatta di riccioli, gel e demenza. Blaine sbarrò gli occhi, borbottando qualcosa e Cooper capì che avrebbe dovuto scappare ma si difese dicendo:

“scuuuuuuusa, non volevo! Non avevo idea che potesse succedere una cosa del genere! Se vuoi te li sistemo io.”

“No. Cooper.” Ringhiò a denti stretti Blaine, cercando di mantenere la calma mentre si portava le mani ai capelli. “Hai già fatto abbastanza.”
Il fratello maggiore ghignò e poi si lavò i denti mentre l’altro cercava in tutti i modi di sistemarsi l’acconciatura ma sapevano entrambi che doveva lavarsi. Quando Blaine arrivò a quella conclusione sbuffò e lanciò uno sguardo truce al fratello che sputò il dentifricio e si lavò la bocca.

Cooper gli lasciò lo spazio e Blaine infilò la testa sotto l’acqua già calda. Chiese al fratello di passargli lo shampoo e lui lo accontentò. 

Cinque minuti dopo, Blaine si stava frizionando i capelli e stava per aprire la scatola del gel quando Cooper fece fintamente cadere gli occhi sull’orologio.

Uuuh che tardi!” Disse con un tono teatrale, “Mi dispiace, niente gel stasera.”

“Cosa? Cooper lasciami! Cooper il braccio! Mi stai facendo male! Cooper sappi che io di casa non esco fino a quando non mi porterai di nuovo in bagno a mettermi il gel! Cooper non mi tappare la bocasdfg con la manjhsgdfghjk.”
 
 
 
*


Sebastian si poggiò col braccio allo stipite della porta per guardare meglio i figli che stavano felicemente sistemando le ultime cose nella cucina. Ne aveva parlato anche con loro del piano, lui non voleva ma Cooper aveva insistito, e si trovò stupito quando anche Grant aderì al complotto senza batter ciglio. Non era una novità, però non si aspettava nemmeno tutto quell’entusiasmo; Sebastian non capiva se lo facesse per puro egoismo, per il bene per Blaine o per lui, non ci riusciva, eppure non voleva trovare una risposta alla sua domanda. 

Juliette si accorse della sua presenza e gli fece un occhiolino prima di poggiare le posate sul tavolo e andargli incontro. “Papà, mi metti le forcine tra i capelli che io non le so mettere bene?”

“Va bene, va di là a prenderle.” Rispose lui accarezzandole i boccoli che le ricadevano sulle spalle; lei lo superò e corse via, in bagno per prendere quello di cui aveva bisogno. 

Grant nel frattempo uscì da dietro il muretto che divideva la cucina e Sebastian poté notare che era già pronto, con ai piedi un paio di scarpe di Blaine molto costose. Il ragazzo poggiò una candela sul tavolo e poi vi poggiò accanto un accendino, pensieroso; dopo qualche istante di riflessione si voltò a guardare il padre. 

“Tu e papà non dovevate uscire?”

“Si,” rispose Sebastian, infilandosi le mani nella tasca. 

“E perché hai cucinato e stiamo anche apparecchiando la tavola?” Continuò a chiedere Grant confuso, non capendo bene il collegamento logico.

“Perché,” spiegò l’uomo, “Io conosco tuo padre e ho voluto prendere precauzioni. Male che vada per domani avremo il pranzo pronto.” 

Grant lo guardò annuendo mentre assimilava bene le informazioni, premendosi le labbra. Sembrava così Blaine in quel momento, che Sebastian si ritrovò a inclinare la testa un lato per quella visione non accorgendosene nemmeno.  

“Altre domande?” Gli chiese infine, vedendolo ancora un po’ perplesso. 

“Si,” rispose il ragazzo, voltandosi completamente verso di lui. Poggiò una mano sul tavolo e si portò l’altra sul fianco. “Da domani come sarà la situazione? Papà tornerà a vivere qui, continueremo a vivere in due case differenti, faremo finta che niente sia accaduto o andremo avanti senza dimenticare? Me lo sono sempre chiesto, in realtà.”

Avere la certezza quella sera avrebbe cambiato molte cose, sarebbe stato bello. Sebastian avrebbe voluto rispondere con dei “Si,” “No,”
“Magari aspetteremo un po’”, “Ti conviene sistemarti la stanza se non vuoi che a tuo padre venga un colpo, domani” ma non poteva. Non poteva per il semplice fatto che non era lui a decidere. 

Doveva dirgli che Blaine avrebbe potuto dirgli di non voler niente a che fare con lui, di non costruirsi castelli per aria, che se fossero riusciti a non litigare un’altra volta avrebbero potuto stappare lo champagne, che forse sarebbe stata soltanto una cena come le altre. Eppure non disse niente di tutto questo, per orgoglio; non avrebbe mai ammesso a suo figlio, o nessun altro, che forse non sarebbe riuscito a riconquistare Blaine. Perché lo sapeva che quella era la sua ultima carta da giocare. 

“Credo che le cose andranno con calma,” rispose invece, ghignando. 

Grant in risposta alzò un sopracciglio, un po’ scettico, poi si mise dritto e tornò dall’altra parte del muretto per avvicinarsi al frigo a prendersi un bicchiere d’acqua. “Giocati bene tutte le tue carte; fa pure il passivo se serve.” 

Sebastian alzò le spalle, “Lo farei comunque.” 

Grant rabbrividì da capo a piedi, con tanto di faccia schifata. Perché diamine l’aveva detto? “S-secondo me Juliette ha bisogno di aiuto, ci sta mettendo troppo tempo.”

“Vado a controllare.” 
 
 
*
 
 
“Io non scendo.”

“Non fare il bambino e sali con me che dobbiamo andare a prendere i bambini.” Disse Cooper fermandosi con la macchina proprio davanti al cancello della villetta. Mise il freno a mano e spense il motore, si tolse la cintura di sicurezza e poi si voltò a guardare il fratello. “Blaine, ti muovi o dobbiamo fare come quando eri piccolo?” 

“Non ho cinque anni.” Borbottò lui in risposta, intrecciando le braccia al petto.

“Dato il tuo comportamento non si direbbe.”

“Davvero t’interessa del mio comportamento?” Incalzò Blaine, come sfidandolo. 

“Blaine, se sei nervoso non devi necessariamente prendertela con me. Ti ho solo detto di accompagnarmi dentro, non c’è bisogno di aggredirmi così.” Rispose Cooper comprensivo, tralasciando il fastidio che gli diede il tono di voce che aveva utilizzato il fratello. “Adesso scendi prima che ricominci a rubarti tutti i biscotti che hai nascosto in cucina tra le pentole.” 

Blaine aprì la bocca, sconvolto da quelle parole. Che stronzo. 

“Si, non ti aspettavi che me ne accorgessi, vero?”
 
 
*
 

Quando suonarono al campanello, Sebastian stava finendo di pettinare i capelli di Juliette seduta tra le sue gambe. Grant gli fece cenno che sarebbe andato lui ad aprire e lo lasciò fare. Lo sentì aprire la porta di casa e subito dopo le voci di Cooper e Blaine nel corridoio. 

Juliette si allontanò da lui e corse subito dal papà, costringendo Sebastian a lasciare la spazzola sul divano e seguirla. Prima di voltare l’angolo dietro cui si trovava il marito, si fermò a fare un respiro profondo e mettere su un ghigno. 

“Ti piace come mi sta questa magliettina, papà?” 

“Si, amore, sei meravigliosa!” Le rispose Blaine con un sorriso. 

“Buonasera,” Esordì Sebastian, guardando i nuovi arrivati. Cooper gli rispose con un semplice cenno della testa e Blaine si bloccò quando alzò gli occhi su di lui, gli sorrise appena e poi borbottò qualcosa che nessuno capì bene. “Blaine, come stai?” Continuò sprezzante, notando come il moro si sentiva sempre più a disagio. 

“Bene,” rispose, poi si guardò il polso su cui era allacciato l’orologio, “è tardi, Elizabeth ci sta aspettando, dobbiamo andare.”

“Si, hai ragione.” Concordò Cooper, facendo un segnale a Juliette che il fratello non notò perché era davanti a lui. 

La bambina annuì e poi con molta nonchalance si avvicinò ancora un po’ a Blaine, si mise le braccia dietro la schiena e dondolandosi disse: “Papà, me la prendi la borsetta che è in camera mia, così io nel frattempo saluto papà?”

“Va bene, torno subito,” acconsentì Blaine, prima di superare il resto della famiglia e sparire su per le scale.

In quel momento tutti si presero d’agitazione e in fretta Cooper aprì la porta cercando di fare meno rumore possibile, Sebastian si avvicinò a loro e si chinò per farsi dare un bacio nella guancia da Juliette che lo abbracciò brevemente prima di seguire lo zio fuori casa. Grant si avvicinò al padre, lo guardò dritto negli occhi.

“Bottom, papà. Non te lo dimenticare: Bottom.” Sebastian per tutta risposta lo spinse fuori dalla porta e fece finta di dargli un calcio nel didietro, entrambi che ridevano come due bambini. 

Quando sentì Blaine scendere di nuovo le scale si chiuse subito la porta alle spalle e si girò per guardarlo. “Tesoro, ho trovato questa qui di jeans, spero ti vada bene comunque, l’altra non l’ho trov-“ Il moro si bloccò sull’ultimo scalino quando alzò gli occhi da terra e guardò Sebastian negli occhi, ridacchiò tra sé e sé, scuotendo leggermente la testa. “Era tutto programmato, non è vero?” 

“Non so di cosa tu stia parlando.” Rispose lui alzando le spalle, innocente. 

“Lo dovevo immaginare, in fondo.” Blaine scese anche l’ultimo scalino e poggiò la borsetta della figlia sul mobile dell’ingresso. “Chiamo un taxi.” Disse dopo qualche attimo di silenzio in cui Sebastian non smise nemmeno un secondo di fissarlo. 

“Non fare lo stupido, usciamo.” Propose Sebastian fingendo nonchalance, avvicinandosi a lui per prendere le chiavi di casa. 

“Non ho nessuna voglia di uscire con te, Sebastian; chiamo un taxi e mi faccio portare a casa.” 

“E come te ne vai se la porta è chiusa e io ho le chiavi?”

Blaine per tutta risposta se ne andò in salotto.
 
 
*
 
“Farai la muffa se resti ancora su quel divano.” Esordì Sebastian entrando nel salotto. “Dato che non vuoi andare al ristorante almeno aiutami ad apparecchiare la tavola, no?”
 
Blaine si voltò a guardarlo cercando di mantenere un'espressione di noncuranza senza tanto successo. Si era seduto lì da quando li avevano lasciati soli e non si era ancora mosso, rispondendo a monosillabi ad ogni quesito postogli da Sebastian. Non era un comportamento di cui andava molto fiero, ma non capiva nemmeno lui il motivo per cui si stava comportando in quel modo. O forse non voleva sul serio prenderne coscienza. 

“Non ho fame, ma tu cena pure se ti va.” Rispose gentilmente, “Grazie, comunque.”

Sebastian incrociò le braccia al petto e inclinò la testa di lato. “Lo so che hai fame. Cooper  ti ha fatto mangiare soltanto un panino a pranzo di proposito,” disse con aria vittoriosa. 

“Adesso mi controllate pure il cibo?” domandò il moro freddamente, indignato da quella nuova scoperta. 

“No, ma ormai ti conosciamo abbastanza.” Tagliò corto Sebastian, facendo qualche passo verso la sua direzione e sedersi accanto a lui. “Ho cucinato i tuoi piatti preferiti, non farti pregare.”

“Non cenerò con te.” Controbatté incollerito Blaine, iniziando a gesticolare. “Sono stufo di tutte queste macchinazioni e complotti. Cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Che per ottenere qualcosa dobbiamo fregare gli altri? Se volevi invitarmi a cena fuori dovevi solo chiedermelo!” 

“Avresti detto di no.” Ribatté placidamente Sebastian, voltandosi a guardarlo. 

Blaine si sentì osservato e lo guardò negli occhi a sua volta, dopo un lungo istante di silenzio disse: “Avrei detto di sì.” 

“Stai mentendo,” ridacchiò l’altro, senza alcun divertimento. 

“Ok, non so se avrei detto di sì o meno, ma questo è sequestro di persona!” Cedetté il moro, riprendendosi alla fine. 
Sebastian fece finta di non ascoltarlo. “Vieni in cucina o no?”

“Non mi muovo di qui.” 

Sebastian annuì e si alzò in piedi, non degnandolo nemmeno di una risposta. Si diresse in cucina, dove sul tavolo erano già disposto tutto in necessario per apparecchiare la tavola. Si voltò verso il soggiorno dov’era Blaine e imprecò a mezza voce. 

E ora?

Poggiò le mani su una sedia facendo ticchettare il piede sul parquet, cercando d’inventarsi qualcosa. Aveva messo in programma che Blaine non sarebbe voluto uscire e che non avrebbe voluto parlargli, ma che non si sarebbe mosso dal divano proprio no. Ci rifletté un attimo, poi decise che no, non poteva prenderlo di peso e costringerlo a sedersi a tavola con lui. 

Per di più adesso non aveva nemmeno fame. 

In realtà aveva fame di qualcos’altro che del pesce che aveva cucinato nel pomeriggio. Blaine era terribilmente sexy quella sera e quel piccolo broncio era soltanto il tocco finale. Come avrebbe voluto catturare quelle labbra carnose tra le sue e leccarle con la lingua finché non ne fosse stato sazio. 

In quel momento gli venne l’idea brillante. 

Ghignò tra sé e sé e senza indugiare oltre prese la tovaglia e tornò in salone. La distese sul tavolino da caffè che vi era di fronte al divano, sotto lo sguardo accigliato di Blaine. Gli sorrise e tornò di nuovo in cucina per prendere i piatti, bicchieri, posate, candele e tutto il resto. 
 


Dieci minuti dopo aveva già finito e spense la luce del salotto, facendo sussultare Blaine che non si era ancora mosso dalla sua posizione. Il vano era illuminato da alcune candele che aveva sparso un po’ ovunque mentre il moro fingeva di guardare la tv ma in realtà lo seguiva con lo sguardo. Si avvicinò al divano e prese due cuscini che dispose a terra, nei due lati opposti del piccolo tavolino, poi si sedette sopra a uno. Versò il vino nei calici e attese. 

Blaine lo guardò per un momento, poi capendo che era da maleducato non sedersi a tavola mentre Sebastian mangiava, spense il televisore e si sedette difronte a lui. Si fermò a fissarlo per un momento, la luce fioca della candele gli davano un colorito completamente diverso e i suoi occhi parevano più luminosi, i suoi tratti più duri per via delle ombre. 

“Dovresti cominciare a mangiare, sono sicuro che riuscirai a fare due cose contemporaneamente.” Lo canzonò Sebastian, accorgendosi di due occhi color ambra su di lui. 

“Come ho già detto prima: non ho fame.” 

“Ho cucinato per te, non è tanto carino che adesso non assaggi niente.” 

“Apprezzo lo sforzo, ma non ho fame.” Ripeté Blaine, un po’ più duro questa volta per ribadire meglio il concetto. 

“Vuoi che ti imbocchi io per caso?” Propose Sebastian con un ghigno, sicuro che se avessero tenuto le luci accese lo avrebbe visto arrossire un poco. 

“Smettila.” Tagliò corto il moro. Prese la forchetta e il coltello, dopodiché prese una forchettata dal piatto e se la portò alla bocca. Era squisito, ma non fece nessun commento al riguardo. Dopo il terzo boccone alzò lo sguardo per guardare Sebastian, che sembrava mangiare con riluttanza. Sicuramente perché senza occhiali e con quella luce non vedeva benissimo. “Dovrai sentirti un’idiota con tutta quest’atmosfera romantica,” disse, catturando la sua attenzione, “i fiori sul tavolo, la luce della candele, noi seduti a terra sopra i cuscini.. lo trovi squallido, non è vero?”

“Mi sento un completo coglione, in realtà; l’odore dei fiori m’infastidisce, il culo fra poco mi farà male e non vedo niente mentre mangio,” fece una pausa, poi si scrollò le spalle, “ma a te piace.”

Blaine non riuscì più a tenere il muso con lui. 

Restarono a mangiare il primo in silenzio, guardandosi di sfuggita; quando i loro occhi si incrociavano Sebastian rivolgeva un piccolo sorriso a Blaine e lui abbassava lo sguardo, evitandolo. Doveva avere la gola secca, perché non faceva altro che bere a ogni due forchettate, fu Sebastian stesso a farglielo notare dopo il terzo bicchiere nel giro di cinque minuti e gli versò dell’acqua. 

Blaine per tutta risposta prese l’espressione di uno che voleva sparire dalla faccia della terra e lo ringraziò, evitando ancora il suo sguardo; sembrava pensieroso anche, come se non riuscisse a tenere gli occhi sul volto dell’altro perché lo distraeva.

Sebastian si sforzò di mangiare tutto per distrarsi da Blaine e da quanto fosse maledettamente bello quella sera; quando questi finì di mangiare si alzò in piedi e portò entrambi i patti in cucina per prendere il secondo, nonostante nel suo ci fosse più di metà pietanza. Mentre era da solo decise che era arrivato il momento di prendere in mano la situazione perché non poteva resistere un minuto di più con quella strana tensione tra di loro. E voleva dei chiarimenti. Prese i tue piatti che erano poggiati sul tavolo e tornò in salone. 

“Sono felice per Elizabeth e Cooper,” esordì mentre passava un piatto a Blaine. 

“Anch’io” rispose quest’ultimo, sorridendo genuino. 

Sebastian si sedette al suo posto, gemendo infastidito per quanto fosse scomodo quel cuscino e dover cenare in quel modo. Poi guardò Blaine, bevette un sorso di vino e disse: “Il tuo discorso mi ha affascinato molto.”

Le sopracciglia di Blaine scattarono all’insù ma non sembrava davvero sorpreso, come se  quasi si aspettasse quella considerazione. Prese anche lui un sorso di vino e gli sorrise. “Ha sorpreso anche me, a dire il vero.”

Adesso era Sebastian a essere sorpreso. E’ vero, aveva capito che l’aveva improvvisato, ma pensava che avesse utilizzato una traccia anziché inventare tutto sul momento. Questa cosa lo incuriosì ancora di più e lo fece sentire giusto un po’ più forte. 

“Pensavi tutto ciò che hai detto?”

“Più o meno,” rispose Blaine con semplicità, bevendo un altro sorso dal calice per poi poggiarlo sul tavolino. “Non ho più fame,” disse ad un certo punto, spostando il proprio piatto, “magari lo mangerò più tardi,” poi scoppiò in una piccola risata. 

Sebastian sospirò, non era questo quello che voleva. Amava Blaine ubriaco, lo faceva sempre ridere, perdeva ogni inibizione e.. poi il giorno dopo era sempre bellissimo con i capelli tutti arruffati, le borse sotto gli occhi e la faccia da cucciolo bastonato mentre gli chiedeva di raccontargli ciò che aveva fatto perché non lo ricordava più e arrossiva mentre Sebastian si inventava anche un po’ di cose. Però quella sera proprio non lo voleva alticcio. 

“Ti avevo detto che non dovevi bere più vino.” 

“Ma io non sono ubriaco,” rispose in tono semplice, prima di ghignargli un po’ malizioso, “rido per quello che sto per fare,” gli spiegò quando lo vide un po’ accigliato. “Più che altro mi farà ridere la tua faccia.” 

“E cosa stai per fare?”

Blaine non gli rispose, semplicemente fece il giro del tavolino camminando sulle ginocchia fino a essergli di fronte. Si sedette col sedere sui polpacci e rimasero a fissarsi, gli sorrise inclinando la testa da una parte. Rimase in silenzio e Sebastian decise di non disturbarlo, perché sembrava stesse per fare la scelta più importante della sua vita. 

Poi un secondo dopo, Blaine si sporse verso di lui guardandolo negli occhi, gli portò una mano tra i capelli e prima ancora che Sebastian potesse assimilare davvero il tutto, poggiò le labbra sulle sue. Entrambi tirarono un sospiro di sollievo e sorrisero l’uno tra le labbra dell’altro. Rimasero in quella stessa posizione per qualche istante, come due ragazzi al loro primo bacio. Un secondo dopo la necessità di sentirsi più vicini si fece avanti. 

Sebastian tracciò le labbra del moro con la lingua e questi le dischiuse senza troppe cerimonie. Iniziarono a baciarsi come se non aspettassero altro da una vita, sempre più bisognosi e languidi, scontrandosi più volte con i denti e mordendosi le labbra. Poco dopo Blaine si ritrovò in grembo a Sebastian e le sue mani sul sedere, tra le mutande e i pantaloni, che lo stringeva possessivo e non voleva altro che sentirlo più vicino, come se essere spalmato già contro di lui non bastasse. 

Si staccò un attimo dalle sue labbra e lo spinse, facendolo sdraiare a terra per poi tornare a baciarlo di nuovo, più agevolati di prima per la nuova posizione. Dopo un’altra serie di baci, questa volta fu Sebastian a staccarsi da lui.

“Il motivo?” Chiese, sapendo bene che Blaine avrebbe intuito a cosa si riferisse. 

“Perché ti amo.” Rispose quest’ultimo, come se quelle parole bastassero a mettere a posto tutto.

E lo fecero.
 
 
*
 
 
Sebastian si passò una mano tra i capelli sudaticci, prima di voltare la testa di lato per guardare la luce accesa in cucina, dopo pochi secondi sentì il frigorifero chiudersi e comparire la figura di Blaine in controluce. 

“Siamo stati degli idioti, il tavolino lo dovevamo lasciare in pace,” esordì questi entrando in salone, “guarda che macello.” 

“Ne è valsa la pena; pensavo che si sarebbe rotto, in realtà” disse Sebastian. Guardò i cocci dei piatti e dei bicchieri sul pavimento di controvoglia, insieme ai fiori e alle candele con cui più volte aveva rischiato di bruciarsi. “Pulirò più tardi.”

“Si, adesso non mi va,” concordò Blaine, sdraiandosi a terra accanto a lui, facendo capire che adesso non era più da solo. Si sistemò uno dei cuscini che avevano utilizzato per sedersi a cena dietro la testa, non fece altro. 

Sebastian si avvicinò per poter usufruire anche lui del cuscino e gli accarezzò il ventre, a palmo aperto, sentendo un fremito al contatto e del suono della loro pelle; salì fino ad accarezzargli il volto e stava per avvicinarsi ancora un po’ di più per baciarlo e abbracciarlo quando lui si tirò indietro. 
 
“Puzzo,” si giustificò, prendendo la mano che aveva sul viso per portarsela alle labbra e lasciarci un piccolo bacio. “Puzzo di te,” ridacchiò. 

“E di sudore, della tua colonia che ti sei messo prima di venire, del sesso, di noi due, di sper-AHI!” Sebastian gemette di dolore quando Blaine lo morse per zittirlo perché stava iniziando a essere sconcio, però non tentò nemmeno a ritrarre la mano. “Non credi d’avermi morso abbastanza?”

“No,” rispose lui divertito, lasciandogli un altro bacio prima portarsela di nuovo sul viso. 

“Mi sei mancato.”

“Mi sei mancato tanto anche tu.” 

Sebastian sorrise a quella affermazione, pareva musica la voce di Blaine in quel momento, ancora bassa e roca. Si avvicinò a lui e lo baciò sulle labbra, perché gli erano mancate anche quelle. Il moro gli portò una mano sul fianco nudo, scendendo sempre di più verso il sedere e quando si staccarono poggiò la fronte contro la sua con gli occhi chiusi. 

“Da adesso come sarà la situazione?” Chiese dopo qualche secondo Sebastian, dando voce a quella domanda che lo assaliva da un po’.

Blaine per tutta risposta gemette infastidito, probabilmente messo in difficoltà. “Non lo so,” disse riaprendo gli occhi per potersi specchiare in quelli smeraldini del marito, “ti amo e voglio darti un’altra possibilità, ma questa volta sarà davvero l’ultima. Ho bisogno dei miei tempi però e non facciamolo sapere subito ai bambini, non voglio che s’illudano di nuovo, non mi va.”

Sebastian annuì solenne, sicuro che questa volta non avrebbe sbagliato. “Ricominciamo.” 

“Ricominciamo,” ripeté Blaine, baciandolo a stampo. 

Sebastian lo strinse a sé, abbracciandolo stretto come se non lo volesse più lasciare andare. Era strano, aveva cercato per mesi di poter stare di nuovo con lui e ancora adesso non riusciva a rendersi davvero conto che Blaine era davvero lì, tra le sua braccia e d’averci fatto l’amore. 

Gli baciò la spalla, perché ne sentiva il bisogno, perché gli sembrava ancora un sogno; ma non lo era, perché Blaine mugugnò qualcosa d’indistinto stringendosi ancora di più a lui. 

“A che ora tornano a casa?” Blaine spezzò il silenzio, riferendosi a suo fratello e ai figli.

Sebastian guardò l’orologio che aveva al polso, “abbiamo ancora molto tempo.”

“Allora vado a lavarmi,” disse allontanandosi da lui e alzandosi in piedi. 

“Questo è un tuo modo carino e complesso per dirmi che puzzo? Perché se è così mi offendo.” 

“No, questo è un modo carino e complesso per dirti di seguirmi dentro la doccia.” 
 
 
*
 
 
Aveva rimandato la cosa per troppo tempo, lo sapeva.

Il problema era stato per molto la rabbia e poi l’orgoglio. Avevano mantenuto un certo contegno solo perché non poteva permettersi dei battibecchi troppo accesi davanti a Cooper. Non che avesse fatto qualcosa, ma non le piaceva metterlo in mezzo con le discussioni con Blaine, questo perché quel rapporto di fratellanza era sempre stato un po’ in bilico. 

Gli voleva bene ma il modo in cui l’aveva trattata non le era andato a genio per niente. Però adesso doveva parlargli da persona matura e coscienziosa e porre fine a quella storia. Blaine si sarebbe scusato e lei avrebbe fatto lo stesso, così finalmente avrebbe riavuto indietro il suo migliore amico. Certo, aveva Emily, ma non era la stessa cosa, nemmeno un po’. Le serviva qualcuno da poter assillare con i preparativi del matrimonio e solo lui pareva adatto a quel ruolo; anche se lo sapeva che si sarebbe preso la sua vendetta rovinandoglielo. 

Erano passati poco più di un paio di giorni da quando Cooper le aveva fatto quella sorpresa andando a prenderla al lavoro con i due nipotini e portandola a cena fuori, spiegandole tutto il misfatto. In un primo momento era stata titubante, ma un secondo dopo stava già baciando il suo fidanzato. 

Non aveva avuto grandi notizie al riguardo, Blaine non era un tipo che parlava molto a suo fratello e Grant le aveva detto che “meno ne so, meglio sto;” a Juliette aveva preferito non chiederle, probabilmente era ancora all’oscuro di tutto. 

Così aveva mandato un messaggio al moro con scritto:

“Domani. Solito posto. Otto e mezza. 
Se ritardi ti stacco la testa. 
Bacio.

E adesso era seduta al tavolo della solita caffetteria nella stessa strada della NYADA, sapendo che Blaine si sarebbe come minimo presentato alle nove, per questo si era presentata pure lei in ritardo e fatto la fila per il caffè, tanto prendevano sempre le stesse ordinazioni e alcune volte gliele facevano trovare già pronte con i nomi scritti sopra. 
 
“Ciao El”, La salutò Blaine passandole dietro la sedia e facendola sobbalzare; non l’aveva sentito arrivare.

“Ciao.”
 
“Mi hai preso già il caffè, grazie,” disse notandole i due bicchieri di cartone che teneva tra le mani.

“Si tieni,” affermò poggiando uno dall’altra parte del tavolo mentre si sedeva. “Ti ho preso anche un ciambellina, ma l’ho mangiata io.”

“Grazie del pensiero, allora?” 

“Prego.” Rispose lei con fermezza, sorvolando sul sarcasmo dell’uomo. 

Restarono in silenzio un paio di minuti, nessuno dei due voleva chiedere scusa all’altro; non era una novità quella, ma Elizabeth, se pur piena di pazienza, non riusciva a sopportare quel tipo di tensione con qualcuno. Restò un altro momento a chiedersi se dovesse farlo sul serio e se era necessario, poi si diede della stupida. 

“Scusa per quello che ho fatto. Non mi sarei mai dovuta intromettere tra te e Sebastian. Blablabla, mi dispiace, blablablà, non lo farò più, blablà, ti voglio bene e ti rivoglio come amico e blabla-
 
“Non potresti solo abbassare la testa per una volta e scusarti come le persone normali?” La canzonò Blaine acido, alzando un sopracciglio. 
 
“Mmh sì e per cosa?” chiese lei retoricamente. “Lo sappiamo tutti che io mi intrufolerò di nuovo tra te e Sebastian, sappiamo tutti che non avrei dovuto farlo, sai che ti voglio bene con tutto il mio cuore e che mi sei mancato; sappiamo anche che non mi dispiace neanche un pochino. Perché dovrei farti delle vere scuse?”
 
“Non potresti soltanto farti gli affari tuoi?”
 
“Guarda che anche quando mi dici 'ho problemi con Sebastian' o 'ieri ho litigato con lui' mi intrometto nel tuo matrimonio,” gli fece notare con un sorrisetto vittorioso, “non fare tanto l’offeso.”

Blaine sorrise e abbassò lo sguardo, poi lo rialzò di nuovo per guardare la donna negli occhi, “Hai ragione, scusami. Ho dato di matto e senza di te probabilmente non starei di nuovo con Sebastian.” 

“Ti voglio bene,” disse lei con tono dolce, afferrando la sua mano sul tavolo per stringerla, “e grazie per averlo ammesso.”

“Ti voglio bene pure io.”

“Perfetto, detto questo dobbiamo iniziare a cercare un vestito da damigella d’onore per Juliette e poi la dovrei presentare alle prove. Poi devi venire con me a vedere gli abiti da sposa, ne ho già visti un sacco ma non ne ero convinta, quindi mi serve una mano, per il tuo pensavo...” 

Elizabeth iniziò a parlare senza sosta del suo matrimonio fino hai minimi dettagli; Blaine le prestava attenzione e la consigliava, dicendole cosa sarebbe stato meglio e prendendo appunti sul telefono per le cose che doveva fare così non ne se sarebbe dimenticato. 

Passarono la seguente ora così, a parlare senza sosta fin quando Elizabeth non nominò John per caso mentre faceva un piccolo elenco. Blaine si bloccò nel bel mezzo della frase, guardando nel vuoto. 

“Blaine?”

“Non lo sento dalla festa di fidanzamento; io non l’ho cercato e lui ovviamente non ne aveva motivo dopo quello che è successo. Ma secondo te dovrei parlargli comunque, per dirgli che sono tornato con Sebastian?”

“Penso che sia un po’ difficile come adesso parlargli.” Disse Elizabeth aggrottando le sopracciglia, “e penso che sapesse già che eri tornato con Seb o almeno lo immaginava.” 

“Che intendi dire? Perché è difficile parlargli?”

“Blaine, è partito per il Sud Africa due giorni fa.” 

L’uomo spalancò gli occhi a quella affermazione e dischiuse le labbra. Non poteva crederci. Gli aveva già accennato qualcosa alla festa di fidanzamento, non gli aveva prestato molta attenzione per via di Juliette e successivamente di Sebastian, ma sapeva che sarebbe dovuto partire più in là, non così presto. 

“Cos..? Come?” Chiese accigliato, non potendo credere a quella notizia. 

“L’ho visto il giorno prima che partisse e ha detto a me e a Coop che si era fatto inserire tra il primo gruppo di medici che doveva andare perché non aveva più niente a trattenerlo qui.” Elizabeth fece una pausa e lo guardò preoccupata. “Mi dispiace, pensavo te lo avesse detto.” 

“No, non mi ha detto niente.” Farfugliò ancora sotto shock. 

“Sei dispiaciuto per caso?”

“N-no.. cioè si, eravamo amici e avevamo entrambi una certa simpatia, ma io amo Sebastian. Soltanto.. avrei voluto dirglielo io e beh, che almeno mi dicesse della sua partenza.”

“Ha detto che tornerà in tempo per il matrimonio. Potrai parlargli lì.” 





Cliccami! :D
 
Voglio essere davvero breve oggi, quindi: Si, sono tornati insieme. No, Blaine non era ubriaco, ma capiva benissimo.E NO, non ho scritto nessun spin-off Seblano. 

ATTENZIONE:
Adesso, avremo un salto temporale di ben cinque mesi (?) più o meno, perché ci ritroveremo direttamente al matrimonio dei Coopel :) 
Ecco, quindi si, il prossimo capitolo sarà L'ULTIMO, che però non so quando arriverà perché lo devo ancora finire! spero comunque entro la prossima settimana, anche perché poi avrò seri problemi ad aggiornare. (le vacanze arrivano anche per me, chi l'avrebbe mai detto?) e poi avremo l'epilogo (una schifezzuola di sole 1000 parole). 
 
 
Team John\Blohn:
I componenti di questo team si sono lamentati degli insulti e dei festeggiamenti che riservate al nostro piccolo John e quando una cosa tra lui e Blaine va male. E in quanto sostenitrice ufficiale vi dico che dispongo di due mogli cazzutissime, tre draghi, un Loki e il suo esercito e gli Stark, compreso Iron Man e i meta-lupi. E *rullo di tamburi* Word. Ah, per di più sono siciliana LOL 
 
Ok, scherzi a parte e finte minacce, ho parlato un sacco anche questa volta e quindi me ne vado lasciandovi il mio amore <3
 
 
P.s. Alcuni personaggi torneranno nel prossimo capitolo. Yeah. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***




Capitolo 17


 

Blaine e Sebastian, riuscirono a tenere nascosta la loro relazione ai figli per un mese; un arco di tempo abbastanza lungo, considerando che Sebastian  non faceva proprio niente per mantenere il segreto, sopratutto i primi giorni in cui, ancora euforico, non smetteva nemmeno per un attimo di cercare un qualsiasi contatto con lui. 
 
I bambini, ovviamente, continuavano a fare di tutto per farli restare da soli, invitando continuamente Blaine a uscire con loro in compagnia di Sebastian oppure a casa, dove poi scomparivano nelle loro stanze o a giocare in giardino e i due adulti non perdevano tempo per approfittarne. 
 
Vennero fregati proprio in quel modo: Sebastian seduto sul tavolo della cucina e Blaine in mezzo alle sue gambe, che gli lasciava dei baci –fortunatamente casti- sulle guance, sul mento, sulla fronte, e sulle labbra, mentre lui sbuffava perché voleva qualcosa di più movimentato. I due piccoli Anderson-Smythe, ormai avevano intuito qualcosa da qualche giorno, quando seduti sul divano videro le mani dei due adulti intrecciate, così entrarono correndo dalla porta del retro portando i due genitori a congelarsi sul posto. Si fissarono per qualche secondo, immobili; poi Juliette afferrò il fratello per la manica e se lo trascinò via, continuando a complimentarsi con i papà, mentre questi non ne capivano il perché.
 
Nonostante quell’episodio, continuarono a tenere un comportamento abbastanza distaccato in presenza dei figli, comportandosi come una coppia ai primi mesi: Blaine ogni tanto cenava con loro, passavano la sera a guardare la tv sul divano, uscivano tutti insieme per le passeggiate e di domenica Sebastian partecipava al pranzo di famiglia a casa di Cooper ed Elizabeth, parlavano al telefono e si scambiavano messaggi anche di notte, soprattutto quando Sebastian era da solo e Blaine aveva sempre il terrore di quello che poteva combinare.
 
Con il passare del tempo, piano piano, ritornarono alla loro vecchia routine di coppia sposata, con l’unica differenza che Blaine non dormiva mai di sera a casa loro, tranne i weekend in cui gli zii si portavano i bambini per una gita di due giorni o dormivano a casa dei compagnetti di classe; non importava se fossero le dieci o le tre di notte, o se praticamente stesse dormendo in piedi, Blaine tornava a dormire a casa di Cooper; anche se l’indomani mattina doveva accompagnare lui a scuola Grant e Juliette.
Sebastian gli ripeteva che era una cosa inutile, ma Blaine aveva deciso così e dopo molte imprecazioni lo lasciò perdere, sapendo che c’era poco da fare con un cocciuto come il marito.
 
 
Con il passare dei mesi, anche il giorno del matrimonio di Cooper ed Elizabeth si avvicinava, rendendo la donna sempre più isterica e l’organizzazione curata fino a ogni mimino dettaglio, com’era prevedibile d’altronde. 
 
El infatti non aveva lasciato proprio niente al caso, decidendo lei stessa anche i vestiti degli invitati; fortunatamente si limitò ad imporsi soltanto con amici più stretti e ai parenti, anziché su tutti. Il suo voler avere tutto sotto controllo, ad un certo punto, due mesi prima del matrimonio, era diventato anche un po' troppo maniacale, portando Blaine all’esasperazione. Sì, Blaine, perché Elizabeth lo voleva sempre accanto a sé per scegliere qualunque decisione e farsi consigliare, anche se poi non lo lasciava nemmeno parlare se la sua opinione era diversa dalla sua. 
 
Cooper invece, al terzo giorno con lei per organizzare il matrimonio, le aveva lasciato carta bianca, l’aveva baciata sulle labbra e se n’era andato dicendo: “Fallo come vuoi tu, so che lo farai perfetto. Lì c’è Blaine, per qualsiasi cosa prenditela con lui.”
Così si era ritrovato in quella posizione, non sapendo più come uscirne. Non biasimava Cooper, perché sapeva che l’unico motivo per cui aveva reagito così, era per non chiedere il divorzio prima del tempo. Tutti sapevano che Elizabeth diventava isterica quando era sotto pressione, non riusciva proprio a dargli torto. 
 
Anche se lo odiava quando, come suo solito, compariva dal nulla, si faceva mettere al corrente della situazione e poi andava dicendo le cose che non gli andavano bene e dovevano essere cambiate; perché Elizabeth diventava doppiamente isterica. 
Che avessero gusti totalmente differenti non era di certo una novità, una scoperta, ma almeno poteva mostrare il buon gusto di non criticare troppo ciò che sceglieva la futura sposa, che poi si sapeva che se la prendeva con Blaine che “non la sapeva consigliare e che era inutile.” Fortunatamente, poi Blaine era riuscito a convincere Elizabeth a non dar peso a ciò che diceva Cooper, perché tanto si sarebbe accontentato della qualsiasi cosa.
 
Ecco, purtroppo non aveva considerato l’altro lato della medaglia mentre glielo diceva, perché con quelle parole le aveva conferito ancora più potere e si ritrovò a essere comandato a bacchetta ed essere spodestato da casa di Cooper tre giorni prima del matrimonio insieme al fratello. 
 
Elizabeth si era impossessata dell’appartamento perché aveva portato lì il vestito da sposa e tutti i vari gingilli per la cerimonia; terrorizzata che Cooper potesse vederli, i bambini rovinarli e Blaine perché semplicemente sperava di farlo tornare a vivere con Sebastian. 
 
Non ci riuscì, perché Cooper si rifiutò categoricamente di essere ospitato del cognato e in fondo nemmeno Sebastian era tanto accondiscendente alla cosa, così si trascinò anche il fratello minore in un albergo vicino alla villa Anderson-Smythe. 
Il giorno del matrimonio, per questioni di comodità, acconsentirono a prepararsi a casa con i bambini, perché Blaine doveva controllare per bene Grant e stare attento che Juliette non si rovinasse l’acconciatura che le aveva fatto il parrucchiere o macchiare il vestito da damigella prima del previsto. E poi avere la scusa per guardare Sebastian camminare in giro a petto nudo o averlo sempre accanto,  non era affatto male.
 
 
“Blaine e se mi dimenticassi la promessa?” Chiese Cooper a un certo punto, alzandosi di scatto dalla sedia. Il fratello minore sobbalzò, la mano con cui si stava passando il correttore sopra le occhiaie tremò, facendogliene andare un po’ dentro l’occhio, accecandolo. 
 
Immediatamente si alzò in piedi e con un occhio aperto e l’altro mezzo chiuso corse nel bagno della camera da letto, inciampando pure tra le varie scatole di scarpe sparse per il pavimento.  Imprecò sottovoce e lanciò maledizioni a suo fratello. Aprì l’acqua del rubinetto e con la mano se ne portò un po’ all’occhio, stando attento a non far sbavare il correttore sotto la palpebra inferiore dell’altro. 
 
“Ahi, che dolore,” imprecò di nuovo a mezza voce, continuando a gettarsi l’acqua nell’occhio, sentendolo bruciare sempre di più e pregò soltanto di non ritrovarselo tutto arrossato. Era il giorno del matrimonio di suo fratello, non poteva avere un occhio rosso. 
 
Mentre il panico iniziava a divorarlo sempre di più, ecco che una piccola risata arrivò alle sue orecchie; non aveva bisogno di girarsi per capire a chi appartenesse, ma lo fece comunque per guardare Sebastian prenderlo in giro.
 
“Sei un idiota,” gli disse, prima di camminare verso di lui con un ghigno in volto; Blaine abbassò lo sguardo, sorridendo anche lui. Sebastian gli prese il mento tra l’indice e il pollice per poterlo guardare negli occhi, poi con l’altra mano gli aprì leggermente quello sinistro che gli bruciava, e ci soffiò dentro. “Meglio?” chiese, prima di lasciargli un bacio sulle labbra. 
 
“Si, però continua,” rispose Blaine, sollevandosi sulle punte per essergli più vicino, e Sebastian fece come gli venne chiesto, sorridendo, mentre gli poggiava l’altra mano sul fianco per attirarlo ancora di più a sé e non farlo stancare troppo. 
 
“Grazie,” disse dopo quasi un minuto, “adesso è meglio che torno di là e finisco di sistemarmi.” 
 
“Tuo fratello deve fare ancora molto?” Chiese Sebastian esasperato, guardandolo implorante e facendolo ridere. “Sono serio, non credo di riuscire a reggere un altro suo attacco di pazzia o di acidità; giuro che te lo sbatto fuori di casa.”
 
“E’ solo nervoso,” rispose Blaine ridendo, sporgendosi di poco per guardare attraverso la porta e vedere suo fratello fissarsi allo specchio borbottando qualcosa tra sé e sé e guardandosi costantemente il viso per cercare qualche piccola imperfezione da poter coprire in qualche modo. 
 
Il giorno prima, per il suo addio al celibato, Blaine e Sebastian erano andati in un locale per adulti insieme agli amici di Cooper per festeggiare; lì ovviamente non c’erano uomini d’ammirare per loro, di conseguenza si divertirono chiacchierando con gli altri e tenere sott’occhio lo sposo. E la cosa gli era puzzata per tutto il tempo. Non a caso, Kit aveva insistito tanto per organizzare lui la serata e tutti sapevano che con Elizabeth erano molto amici. Blaine non si stupì nemmeno di vedere per tutta la sera le cameriere, più nude che coperte, posare gli alcolici distante dal fratello e  il proprietario del locale improvvisamente decidere che avevano già bevuto abbastanza. 
 
Quella mattina Cooper, dopo avergli dato parecchi calci nel sonno -perché sì, avevano deciso di prendere una  camera matrimoniale e dividere il letto- aveva avuto un leggero mal di testa, aveva preso un’aspirina e tutto era passato. Nel frattempo, facendosi sempre più consapevole di che giorno era, iniziò a essere irrequieto, a fare domande assurde e a far uscir fuori tutte le sue paure. Anche se non chiese mai se fosse una scelta giusta sposarsi; forse perché sapeva che la risposta era affermativa.
“Lo siamo tutti il giorno del matrimonio, no?” 
 
“Mi vedi nervoso, per caso?” Gli chiese a sua volta Sebastian, ghignando e guardandolo con superiorità. 
 
Blaine corrugò le sopracciglia un momento e piegò la testa di lato; ciò che gli aveva detto il marito non aveva alcun senso. “Tu non devi sposarti, noi lo siamo già.”
 
Sebastian lo guardò impassibile per un attimo, fissandolo negli occhi e a Blaine venne una voglia matta di baciarlo per quant’era bello anche in quel modo, quando non si faceva capire; poi però il marito si allontanò dirigendosi verso suo fratello senza dargli nemmeno il tempo di alzarsi sulle punte e fargli capire le sue intenzioni. Di malavoglia lo seguì e poi lo superò per sedersi di nuovo davanti allo specchio, accanto a Cooper, che nel frattempo era tornato seduto. 
 
“Non ti dimenticherai nessuna promessa,” gli disse, poggiandogli una mano sulla palla per rassicurarlo. 
 
Cooper per tutta risposta lo guardò malissimo e si scostò la mano del fratello. “Come fai a saperlo? Quando sono sotto pressione dimentico tutto e oggi non posso sbagliare: devo fare una performance impeccabile, perfetta.”
 
“Idiota,” borbottò Sebastian a bassa voce per non farsi sentire, poi si mise in mezzo ai fratelli Anderson per sistemarsi i capelli e decidere come acconciarli. 
 
“Cooper, non devi girare uno spot televisivo o un film: devi sposarti. E devi essere te stesso per non sbagliare.”
 
“No, non capisci: devo essere perfetto, non posso commettere un minimo errore” gli spiegò il fratello, voltandosi verso di lui sporgendosi un pò in avanti per guardarlo senza avere l’impiccio di Sebastian. “Non posso fare questo a Elizabeth, ci tiene troppo. Devo farlo per lei. ”
 
Blaine gli sorrise teneramente, inclinando la testa di lato e guardandolo adorante. Cooper, solitamente, era eccentrico anche quando esternava il suo affetto verso una persona e giocava molto sul lato fisico: abbracciava, baciava e dava pacche sulle spalle. Erano cose carine e faceva piacere a tutti riceverle, ma molto spesso erano fine a sé stesse, mai supportati da dei gesti che facessero capire quant’erano vere e sentire. Per questo Blaine, in quel momento, restò un attimo a fissarlo in quel modo, perché realizzò quanto amore provasse per Elizabeth. 
 
“Sono sicuro che andrà benissimo; adesso sei nervoso, ma ti assicuro che quando la vedrai arrivare tutta vestita di bianco,” fece Blaine, cercando gli occhi di Sebastian che sembrarono fare lo stesso, “ti tranquillizzerai all’istante e tutto sarà perfetto.”
 
“No, non lo sarà. Non si accontenterà soltanto di me. Non questa volta. Non è come voi.” Lo contraddì Cooper, in tono acido prima di girare la testa con fare superiore. 
 
“Scusami, cosa vorresti dire?” Intervenne subito Sebastian, che era già irritato per il comportamento dell’uomo da quella mattina che non faceva altro che rispondere in quel modo. Capiva che era il giorno del suo matrimonio, ma mica quando lui sposò Blaine si passò il tempo a insultare Stefan.
 
Blaine a quel punto, sentendo la brutta aria che tirava, si alzò in piedi e parlò prima del fratello. “.. che è ora di mettere il papillon e accompagnare Juliette da Elizabeth per le foto!”
 
Al nome della sposa, Cooper si irrigidì come una tavola di legno e si mordicchiò il labbro. Sebastian guardò prima uno e poi l’altro e scosse la testa. “Vado a controllare che Juliette non si sia sporcata o rovinata i capelli; ci vediamo di là, Blaine,” disse facendogli l’occhiolino e il marito gli rispose con un sorriso complice. 
 
 
 
*
 
 
 
Vendetta. 
 
La vendetta è un piatto che va servito assolutamente freddo per poterla gustare fino in fondo e poterne assaporare ogni sfaccettatura. 
 
Blaine non sapeva portare rancore, ma Elizabeth gli aveva rovinato, per così dire, il suo matrimonio; alla fine era risultato perfetto comunque, ma non era stato come se l’era sempre immaginato. Per non parlare che per tutto il tempo si era sentito “la sposa.” E lui odiava sentirsi così. 
 
Lui aveva sempre voluto avere un vestito nero, camminare fino ad arrivare davanti al legale con Sebastian al suo fianco e fare una festa intima, come il matrimonio d’altronde. Niente cose eccentriche, pochi fiori tanto per abbellire il ristorante, così d’accontentare anche Sebastian. Invece non aveva avuto niente di  tutto questo. Era rimasto senza parole quando vide il tutto, ma non ne era rimasto completamente soddisfatto, anche se poi, guardando Sebastian felice, lo era stato anche lui. 
 
Con il passare degli anni, dopo lunghe riflessioni, aveva deciso di vendicarsi. 
 
Era una cosa un po’ meschina e proprio da stronzo, considerando il fanatismo di Elizabeth per l’evento, ma lui si sentiva in dovere con sé stesso. Non aveva architettato niente di eclatante, era una cosa da bambini capricciosi infondo, ma a lui andava benissimo così. Non voleva rovinarglielo davvero. O perlomeno, non così tanto.
 
Si era limitato a scambiare i nomi nei tavoli degli invitati, a nascondergli le scarpe, a far scrivere sui confetti delle bomboniere delle parole fraintendibili anziché le iniziali degli sposi e, per finire, tanto per mettere la ciliegina sulla torta, aveva parlato con la sarta dicendo che il vestito da damigella di Juliette, appositamente disegnato da Elizabeth insieme a quelle delle altre bambine, doveva essere rosso acceso e non Rosa Pesca come gli altri. 
 
Blaine guardò la figlia seduta sul sedile passeggero accanto a lui, che guardava eccitata fuori dal finestrino mentre muoveva ritmicamente le gambe, canticchiando qualcosa d’indefinito. Aveva i capelli per metà alzati e i boccoli a coprirle le spalle; il rosso del vestito le faceva risaltare il colore della pelle leggermente più chiara della sua. 
 
“Sembri proprio una principessa, oggi,” le fece notare, destandola dai suoi pensieri e lei sussultò appena. 
 
“Grazie papà ,”Rispose, guardandolo sorridente prima di abbassare lo guardo mentre le sue gote prendevano una totalità più rosea. Poi lo scrutò un attimo, inclinò la testa da un lato e splendente disse: “E tu sembri un principe!”
 
“Più di papà?” Le domandò ridacchiando, cercando di metterla in difficoltà per divertirsi, ma con scarsi risultati. 
 
Lei aggrottò le sopracciglia un attimo e poi tornò a guardarlo. “Bhè, ma così non vale! Quando siamo usciti papà era ancora con i pantaloncini del pigiama, mentre tu eri già vestito. Però non importa, perché lo siete entrambi,” terminò la frase in tono risoluto e annuendo alle sue stesse parole. “E siete miei.”
 
Blaine rise e scuotendo la testa ritornò a dare la giusta attenzione alla strada.  Adorava sua figlia perché lo metteva sempre di buon umore e in quel giorno gli ci voleva proprio. Già poteva sentire le urla di Elizabeth alla vista della nipote e mezza casa messa a soqquadro per via di alcuni scatti isterici. 
 
Ma dopotutto una vendetta era una vendetta. 
 
“All’altare mi accompagnerete tutti e due, e se c’è posto, anche Grant!”
 
“Credo che sarà un po’ difficile,” commentò lui, cercando parcheggio. “Soltanto uno potrà accompagnarti” e io so già chi sceglierai, stava per aggiungere, ma poi si trattenne. 
 
“No, ci parlerò io col prete! Anzi, lo chiederò anche a zio Coop, i numeri dispari non mi piacciono!” 
 

 
*
 




“Blaine!”
 
“Salve James!” Rispose lui cordiale, andandogli contro per stringergli la mano. 
 
James Cristin era il padre di Elizabeth, un uomo alto e impostato. Aveva dei bei lineamenti nonostante l’età che si faceva sentire; da giovane, Blaine ci avrebbe messo la mano sul fuoco, doveva essere proprio uno di quei ragazzi bellocci con tutte le ragazze ai propri piedi. El gli aveva anche raccontato una volta, d’aver sempre desiderato lo stesso colore di capelli castano tendente al rossiccio di suo padre, peccato che adesso di quel colore eccezionale, non ne fosse rimasta alcuna traccia per lasciare spazio al bianco. Aveva gli occhi di un verde talmente chiaro che spesso poteva venire scambiato per azzurro o addirittura color ghiaccio e a volte invece parevano verde intenso, in base alla luce. 
 
“E’ tanto che non si ci vede.” 
 
“Già, lei dovrebbe scendere più spesso da L.A.” 
 
“Il lavoro, il lavoro!” ripeté come tormentato, in modo alquanto teatrale facendoli sorridere, “è sempre il lavoro che m’impedisce tutto.” 
 
Blaine poi ci rifletté  un attimo, ricordandosi che data l’età, James doveva già essere in pensione. Stava per chiedergli spiegazioni quando la porta dietro di sé si chiuse e Juliette gli andò accanto per afferrargli la mano, nascondendosi un po’ dietro di lui e guardando il padre di Elizabeth un po’ titubante, mentre James la guardava senza fiato.
 
“E’-è tua figlia?” Chiese incredulo, chinandosi un po’ sulle gambe per esaminarla meglio. “Ju- Juliette?”
 
“Si, certo che è lei,” rispose lui fiero, spostandosi quanto bastava per far vedere la figlia e poi si girò verso di lei, “Hey, saluta,” la invitò con tono dolce. 
 
“Salve,” farfugliò lei abbassando lo sguardo subito dopo dall’uomo. 
 
“L’ultima volta che l’ho vista, a malapena si reggeva sulla gambe,” continuò James, accarezzandole in viso, non riuscendo ancora a credere ai suoi occhi. “Sembri davvero una principessa come mi dice sempre El.” 
 
“Grazie!” Rispose Juliette sfacciatamente, riconquistando a quelle parole tutta la sua sicurezza, facendo dissipare la timidezza in un nanosecondo “Me lo dice sempre anche papà!”
 
“Oh, ti credo e fa bene,” commentò James, prima d’accarezzarle la gote sinistra un’altra volta e poi raddrizzarsi per guardare  Blaine, “mi chiedo spesso come sarebbero potuti venir su dei figli di El e Cooper.”
 
“Non è troppo tardi,” cercò di tirargli su il morale, vedendo l’espressione triste sul suo viso. “Potrebbero ancora averne.”
 
“No,” controbatté James flebilmente, “lei ha rinunciato a diventare madre una quindicina di anni fa, e pure io.” Si schiarì la gola per recuperare il noto deciso e poi si avvicinò ancora di più a Blaine per non farsi sentire dalla piccola. “E detto francamente tra noi: non è che mi fidi molto di tuo fratello.”
 
Blaine scoppio a ridere, scuotendo la testa; aveva sempre trovato James un uomo davvero divertente, con un umorismo tutto suo a volte anche difficile da comprendere e con l’eccezionale dote di riuscir a passare da un ragionamento importante o delicato o sentimentale, a uno puramente comico e divertente. 
 
“Purtroppo su questo non posso darle torto.” 
 
“Oh, vecchio mio, e perché mai dovresti darmi torto? Sappiamo tutti che è la verità: di lui non si ci può fidare.”
 
E tutti sapevano anche  che a James, Cooper, non era mai andato a genio. Non era il semplice astio iniziale che si ha verso il fidanzato della figlia ai primi tempi, perché vorrebbe mettere le mani sulla loro “bimba;” No, James non lo digeriva nemmeno un po’, ma per l’amore di sua figlia cercava di trattenersi il più possibile. Era sempre stato così: non gli era mai piaciuto. Lo trovava stupido, insipido, egocentrico e molte altre cose che erano vere, ma che tutti alla fine riuscivano a sorvolarci su; invece lui no. Blaine notava sempre un pizzico di odio in quelle iridi verdi ogni volta che guardava suo fratello. 
 
“Papà, dov’è la zia?” Li interruppe Juliette, con voce flebile ma abbastanza decisa da richiamare l’attenzione dei due uomini su di lei. Arrossì e abbassò lo guardo. 
 
James a quel punto, anziché rispondere alla domanda della bambina, la fissò un lungo istante, prima di tornare a rivolgersi al moro, come se non avesse dare alcuna risposta; “Hai anche un maschietto, mi pare.”
 
“Si,” rispose lui, un po’ accigliato da quella constatazione. “Verrà più tardi direttamente in chiesa con Sebastian.”
 
“Non vedo l’ora di vederlo,” disse James, sorridendo, prima di rivolgersi a Juliette. “Elizabeth è in camera da letto, sta finendo di prepararsi, andate pure.” 
 
“Lei non viene con noi?” Chiese Blaine restando fermo immobile, nonostante la figlia avesse iniziato a ridargli la mano per andare nella camera degli zii. 
 
“Oh, no. Elizabeth mi ha assolutamente vietato d’entrare. Dice che vuole che la veda quando sarà pronta.”
 
Blaine fece una piccola risata annuendo, sapeva benissimo quando la sua migliore amica tenesse a quelle cose, così non disse niente. Rimproverò Juliette con lo sguardo che ancora gli tirava la mano, facendola smettere, e poi si congedò da James cordialmente, dicendogli che si sarebbero visti più tardi. 
 
Camminò per il corridoio a passo svelto, notando che in salone c’era già il fotografo con la propria troupe che stava montando tutto il necessario per montare le foto prima del matrimonio. Arrivato davanti alla camera di suo fratello, che aveva la porta chiusa, si fermò e guardò sua figlia. Poi sorrise alla suo piano fantastico.
 
Bussò due volte alla porta e subito sentì delle voci femminili diventare isteriche, poi qualcosa cadere a terra e un momento dopo la serratura scattò e la porta si aprì; Blaine si ritrovò faccia a faccia con il viso di una ragazza che lo guardava con sospetto. 
 
“Sono Blaine, sono-“ Non riuscì nemmeno a finire di parlare, che la voce acuta e nervosa di Elizabeth lo interruppe da dentro la stanza.
 
“Blaine! Dove diamine eri finito? Sono tre ore che ti cerchiamo. Jessica, lascialo passare.” 
 
Immediatamente la ragazza si spostò e aprì di più la porta per lasciarlo entrare. Lui fece un passo in avanti dentro la stanza e ancora sulla soglia teneva Juliette nascosta dietro di sé, nascondendola il più possibile.
 
All’interno, c’erano cinque donne: Jessica, Emily, Marika, la zia di Elizabeth e lei. Le quattro erano tutte nervose, tranne El che invece gli dava tranquillamente le spalle, guardandolo nel riflesso dello specchio che aveva di fronte; indosso aveva soltanto una sottoveste bianca e i gioielli. I capelli erano tutti raccolti in un cignon ed erano impreziositi da dei piccole forcine con dei punti luce. L’abito che lei stessa aveva disegnato a suo piacimento, era disteso sul letto in tutta la sua bellezza. 
 
“Il fotografo è già qui e per di più non mi rispondevi nemmeno al telefono!” Lo rimproverò El, guardandolo dritto negli occhi del suo riflesso. “Ad ogni modo, adesso sei qui e quindi è acqua passata. Le altre damigelle stanno per arrivare, chiamale e Juliette dov-“ Spalancò gli occhi all’improvviso, guardando verso il flesso della nipote. “Cos’è quell’obbrobrio?” Chiese alterata, alzandosi in piedi e Blaine poté vederle la tranquillità scivolarle di dosso. 
 
“L’ha detto a me?” Sussurrò Juliette al suo fianco, un po’ perplessa. 
 
Elizabeth si girò a guardarli faccia a faccia, anche se a tre metri di distanza. “E’ orribile!”
 
“Papà, te lo dico io che ce l’ha con me.” Continuò la piccola, facendo scivolare lo sguardo dal padre alla zia. 
 
“Non si può guardare!”
 
“Hey!” Juliette rimproverò Elizabeth, mettendo su anche un gran broncio, “Io sono bella!” 
 
“Penso ce l’abbia col vestito.” spiegò Blaine impassibile alla figlia. Poi parlò direttamente con la migliore amica, “Che c’è che non va?”
 
“Che c’è che non va?” Ripeté sarcastica la donna, facendo un passo verso di lui. “Tua figlia ha un vestito rosso. Rosso! E le mie damigelle ce l’hanno rosa pesca!  Rosa pesca!  Come farà a starle vicino senza uccidere il buon gusto?” 
 
“F-forse” azzardò Marika, nella speranza di dare una mano, ma si zittì immediatamente quando El le rivolse un occhiataccia. 
 
“Hai scelto tu la stoffa, il modello e tutto quanto,” gli fece notare, abbassandosi a guardare la figlia come se fosse davvero innocente. “Il colore le dona, anche.”
 
“Il problema qui, non è se il colore le dona o meno,” gli spiegò Elizabeth, iniziando a gesticolare nervosamente, prima di avvicinarsi a lui con passo deciso e quando gli fu difronte, Blaine dovette alzare il capo perché lei indossava già le scarpe col tacco. “ma è: pensavi davvero di riuscire a fregarmi?” 
 
“Come scusa?” Blaine spalancò gli occhi e dischiuse le labbra, non riuscendo a credere alle sue orecchie. 
 
“Oh Blaine, hai capito benissimo,” rispose lei con un tono misto tra acido e adorante, poi si allontanò. Si diresse all’armadio e lo aprì, “Ho aspettato tanto per questo matrimonio, niente potrà rovinarmelo. Pensavi che non avrei messo in considerazione una tua eventuale vendetta?” Uscì fuori un vestito identico a quello che aveva indosso Juliette, solo di color rosa pesca, come avrebbe dovuto essere fin dal principio. “La sarta mi ha detto ciò che volevi fare e così ho rimediato subito. Mi dispiace.”
 
Le altre donne, che per tutto il tempo avevano seguito la conversazione in silenzio, scoppiarono in una piccola risata e Blaine si sentì un vero idiota. Insomma: essere previdente era da El, doveva aspettarsela una cosa del genere.
 
Provò ad aprire la bocca per ribattere, ma Emily, la migliore amica di Elizabeth e sua collega, lo zittì alzando l’indice destro mettendo in mostra le unghie smaltate della la stessa gradazione di celeste del vestito che indossava. Gli occhi color nocciola in quelli verdi cangianti di Blaine. “No, non dire qualsiasi sciocchezza tu voglia dire; risparmiati anche questa umiliazione e torna dal tuo maritino.” 
 
Blaine andò in escandescenza. Quella donna non gli era mai andata giù nemmeno un poco, avevano sempre avuto dei battibecchi e idee contrastanti, per non parlare che aveva sempre mostrato una brutta influenza su Elizabeth, a parer suo; non prendendo in considerazione delle mille storie che si raccontavano su di lei, tutte negative. 
 
Decise di non rispondere come avrebbe voluto, non voleva dare un brutto esempio a sua figlia, ma fu proprio lei a sorprenderlo, parlando al posto suo. 
 
“Almeno lui un marito ce l’ha, tu invece sei sola e l’altro giorno piangevi al telefono con la zia!” Disse freddamente con tanto di linguaccia al seguito. 
 
Blaine e le altre sorrisero, Elizabeth si permise perfino di trattenere una risata. Emily, offesa, non fece una piega, soltanto si limitò a voltarsi dall’altra parte per prendere un bracciale sul comodino. 
 
“Ci vediamo in chiesa, ok principessa?” Disse Blaine alla figlia dopo un attimo di silenzio imbarazzante, si chinò di poco e le baciò la fronte, lei lo abbraccio; poi salutò tutti e prima d’uscire dalla stanza sorrise e mostrò i pollici verso l’alto alla sposa.
 
 
*
 
 
Elizabeth non era mai in ritardo. Era come se avesse dentro di sé un orologio biologico che le permetteva d’arrivare sempre puntuale a un qualsiasi appuntamento anche quando pareva impossibile. Se le si dava un orario o una data di scadenza, ecco che lei riusciva a rispettarle senza troppi problemi, non arrivando mai in anticipo e mai in ritardo, ma proprio all’orario esatto. A volte, pareva che si materializzasse lì.
 
Eppure, quel giorno, fece aspettare tutti gli invitati al suo matrimonio per ben venticinque minuti. 
 
Tutti si chiesero come fosse possibile una cosa del genere, ma Blaine capì che sicuramente non era stata la confusione per strada o non trovava più il bouquet: Elizabeth arrivò in ritardo di proposito, decidendo di fare un ulteriore giro con la macchina. Perché si sa, non è un vero matrimonio se la sposa non arriva almeno con dieci minuti di ritardo. E lei ci teneva troppo alla sua cerimonia, per potersi permettere di non rispettarla. Poteva osare di più con un’attesa più lunga, ma per una persona sempre puntuale come lei, andava più che bene. 
 
Avevano scelto di celebrare il matrimonio nel giardino di una grande villa, che poi avrebbe fatto da ristorante. Gli sposi sarebbero stati sotto a un arco bianco abbellito con degli arrampicanti che partivano da terra e ne coprivano quasi tutta la superficie; rialzato affinché tutti gli invitati potessero vederli dalla loro sedie disposte qualche metro più indietro, decorate con dei nastri bianchi e fiori dello stesso colore. 
 
Quando Elizabeth arrivò, Blaine stava chiacchierando con Cooper per tentare di calmarlo senza alcun successo, mentre Sebastian parlava con Grant e ogni tanto si immischiava anche lui nella conversazione. Immediatamente tutti gli invitati andarono a sedersi ai propri posti e gli unici alzati restarono i due fratelli Anderson che aspettavano l’arrivo della sposa. 
 
La prima a camminare era Juliette, che sorridente lasciava dei petali di rose colorate sul tappeto che era stato disposto affinché le donne con i tacchi alti non affondassero nel terreno; dietro di lei altre due bambine e poi Elizabeth che stringeva forte la mano di suo padre che la portava a braccetto, entrambi con due sorrisi sulle labbra. 
 
Cooper in quel momento rimase immobile, con gli occhi spalancati. Blaine ebbe la paura che potesse svenire lì davanti a tutti, infatti gli si fece anche un po’ più vicino per poterlo prendere in tempo nel caso fosse caduto all’indietro. Fortunatamente dopo un attimo, il fratello sorrise raggiante alla sposa e le lacrime di gioia iniziarono a riempirgli gli occhi. 
 
Blaine gli diede una pacca sulla spalla e poi tornò composto, mentre El arrivava da loro. James si fermò davanti a Cooper e lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, facendolo deglutire e sorridere Blaine; poi si addolcì un poco e abbozzò anche un piccolo sorriso alzando un angolo della bocca. 
 
Dopo un sorriso complice dei due sposi, la cerimonia ebbe inizio. 
 
Blaine si commosse circa tre parole dopo che il prete aprì la bocca per parlare, continuando ad asciugarsi gli occhi con il fazzoletto di stoffa che fortunatamente Sebastian gli aveva infilato nella tasca dei pantaloni prima d’uscire di casa.  Juliette, nonostante i rimproveri di tutti, si sedette sul prato guardando adorante gli zii che non facevano altro che scambiarsi sguardi fugaci. James si mantenne composto per quasi tutta la cerimonia, ma quando ci volle poco allo scambio delle promesse, lacrime silenziose lasciarono il suoi occhi, facendo fare una smorfia mezza annoiata e mezza schifata a Sebastian, che seduto accanto a lui non faceva altro che alzare gli occhi al cielo ogni qualvolta che Blaine singhiozzava un po’ più forte. 
 
Il momento in cui ripeterono le promesse di matrimonio, fu il più imbarazzante per Sebastian in assoluto: tutte la prima fila iniziò a piangere;  Il signor Anderson continuava ad asciugarsi gli occhi ancor prima che le lacrime potessero lasciar le sue ciglia lunghe, la moglie continuava a tirar su col naso e tossicchiare cercando di camuffare i singhiozzi, Grant si soffiò il naso e provò in tutti i modi di reprimere le lacrime con un discreto successo. I parenti di Elizabeth, che Sebastian non ricordava mai i nomi, erano tutti lì lì pronti a piangere; Emily che faceva da testimone a Elizabeth, lasciò che solo una lacrima gli rigasse le guance, prima di asciugarsi tutte le altre con il dorso della mano cercando di non sbavarsi troppo il trucco. Juliette si alzò da dov’era seduta e andò ad abbracciare Sebastian piangendo disperatamente sulla sua spalla. 
 
Di Blaine tra poco non ne sarebbe più rimasta traccia, Sebastian ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Aveva gli occhi rossi, pieni di lacrime, le labbra gonfie, il fazzoletto zuppo. 
 
Era imbarazzante. Sexy, ma dannatamente imbarazzante. 
 
Fortunatamente, a far riprendere un po’ tutti per qualche istante, Juliette e Grant si alzarono e con la mano si diressero fino agli zii, soltanto che ad un certo punto Juliette iniziò a correre, trascinandosi dietro il fratello, inciampò e il cuscinetto con le fedi gli volò di mano, mentre Grant invece la sosteneva per non farla cadere. Il cuscinetto colpì il cappellino di una vecchia zia di Blaine, facendoglielo volare, e poi venne preso al volo da Cooper. 
 
Dopo quel piccolo momento comico, le lacrime continuarono a scorrere sui visi dei parenti quando i testimoni presero in mano le due fedi e il prete si schiarì la gola. 
 
“Cooper Jay Anderson, vuoi tu prendere la qui presente Elizabeth Aurora Cristin come tua sposa, in salute e in malattia, per amarla e onorarla finché morte non vi separi?” 
 
Cooper strinse un po’ di più la mano di El tra le sue, poi le sorrise e mentre con la voce rotta dall’emozione disse “Si, lo voglio.”
 
Lei si fece scappare un singhiozzo misto a una risata, poi prese un respiro profondo nel momento in cui lo sposo si girò verso il fratello per farsi dare la fede e poi rimase in apnea mentre Cooper la faceva scorrere attorno al suo anulare sinistro per poi sistemarlo.
 
“E vuoi tu, Elizabeth Aurora Cristin prendere in matrimonio il qui presente Cooper Jay Anderson, come tuo sposo, in salute e malattia, finché morte non vi separi?”
 
“Si, si, si lo voglio!” dette queste parole, Elizabeth si gettò tra braccia di Cooper per abbracciarlo e nonostante sapesse che la dinamica dei fatti non doveva essere quella, lui ricambiò la stretta comunque. 
 
Tutti gli invitati la rimproverarono e scoppiarono a ridere. “Prima devi mettergli l’anello, zia!” Le disse Juliette e lei si allontanò dal marito e si girò verso Emily per farsi dare la fede. 
 
Poi prese la mano sinistra di Cooper, se la portò alle labbra e le diede un bacio lasciandogli la stampa rosso chiaro del rossetto, mentre lui si scioglieva a quel gesto. Poi piano, gli fece scivolare l’anello al dito. 
 
“Adesso, puoi baciare la sposa.” 
 
Cooper non se lo fece ripetere due volte, prese la mano di Elizabeth e la tirò a sé, costringendola a spalmarsi quasi sopra di lui, poi le mise l’altra su un fianco e un secondo dopo le loro bocche erano unite in un bacio appassionato ma dolce, labbra che non smettevano mai di cercarsi e lingue che si rincorrevano.
 
Una serie di fischi si alzò dagli invitati, delle risate dai parenti e degli applausi. James farfugliò anche un “esibizionista,” prima di scoppiare a ridere anche lui. 
 
Cooper sorrise del bacio ed Elizabeth non fece niente per fermarlo e allontanarsi.
 
Perché potevano concederselo per una volta: erano appena diventati marito e moglie.
 
E lei aveva finalmente realizzato uno dei suoi sogni più grandi. 
 
 
*
 

A fine cerimonia, Blaine era un completo disastro e rimase al fianco di suo fratello per firmare gli ultimi documenti. Per tutta la messa non si era voltato nemmeno una volta a guardare gli altri invitati, fatta eccezione per l’arrivo di Elizabeth e Juliette e Grant che portavano le fedi. 
 
Non si era accorto di chi fosse presente o meno, e chi i ritardatari. Quel giorno, per di più sembrava non riuscire a pensar altro al di fuori del matrimonio, tanto che si scordò pure di cercare John tra le sedie fin quando i suoi occhi non lo trovarono tra le ultime file, mentre tutti si alzavano seguendo la sposa per poi dirigersi dall’altra parte della villa per andare al ristorante. 
 
Per un attimo entrò nel panico, non sapeva cosa fare. Eppure era semplice ciò che voleva: spiegazioni. O forse in realtà non ne voleva, forse voleva solo scusarsi per non essersi più fatto sentire dopo la festa di fidanzamento. 
 
Non sapeva bene cosa dire, un “ciao John, perché non mi hai detto che partivi?” non gli sembrava proprio il caso, anche se era la domanda che gli premeva di più; ma forse non era pronto a sentirne la risposta. 
 
Blaine si mosse verso la direzione del biondo senza nemmeno accorgersene, infondo era sempre stato un uomo impulsivo; si rese conto di ciò che stava facendo nel momento esatto in cui si ritrovò a soltanto cinque metri di distanza e i loro occhi si incrociarono. Non si accorse nemmeno di Juliette che lo superava per correre dalla zia e di Sebastian che lo fissava da sotto l’ombra di un albero lontano abbastanza da non poter sentire quello che avrebbero detto. 
 
“Blaine,” Esordì John quando furono abbastanza vicini, alzandosi dalla sedia dove accanto sedevano due bambini di colore intenti a giocare tra loro e una coppia di sposini. 
 
“Ciao John,” rispose cordialmente, fermandosi in mezzo al giardino per aspettare che fosse lui ad avvicinarsi. 
 
“Come stai?” Gli chiese il biondo, poi con due falcate lo raggiunse lasciando più di mezzo metro di distanza tra loro, cosa che Blaine non poté non notare. 
 
“Bene. Adesso che si sono sposati mi sento più leggero di venti chili,” Scherzò, facendo ridere entrambi.
 
“Ci credo e dalle lacrime che hai versato, forse li hai persi veramente, tutti questi chili.” 
 
“L’hai notato allora,” Commentò Blaine, portandosi una mano a grattarsi la nuca, sentendosi un po’ a disagio. L’idea che tutti l’avessero visto commuoversi lo faceva sentire un po’ un cretino, lui non aveva fatto proprio niente per darsi del contegno, sul momento non gli era importato, adesso iniziava ad avere ripensamenti. 
 
“Penso che l’abbiano notato tutti,” ribatté John, prendendolo in giro con tono scherzoso, prima di accennare una risata. 
 
I due bambini, che per un momento non avevano smesso di parlare tra loro nemmeno un attimo, si alzarono e dopo averli superati, iniziarono a rincorrersi per il giardino e la coppia che gli sedeva accanto si alzò a sua volta. 
 
Tra i due uomini calò un attimo si silenzio, dove entrambi sviarono lo sguardo. Blaine si mordicchiò il labbro e John l’interno guancia. Poi entrambi fecero per parlare, ma quando le loro voci vibrarono nell’aria nello stesso momento, tacquero di nuovo. 
 
“Parla prima tu.” Lo incoraggiò John, sorridendogli gentile.
 
“Grazie,” Blaine gli sorrise a sua volta, poi si mise le mani nelle tasche. “Come..Com’è andata in Sud Africa?”
 
“Benissimo,” rispose prontamente, con un luccichio di felicità negli occhi e il sorriso un po’ più ampio. “Mi ha cambiato letteralmente la vita; Non..non credevo che in così pochi mesi tutto sarebbe cambiato, che io sarei cambiato. E’ stato tutto un cambiamento.” John parlava con fierezza, credeva davvero in quello che diceva.
 
A Blaine invece sembrava lo stesso John che aveva conosciuto, soltanto un po’ più abbronzato, niente barba sul viso e più felice. 
 
“Si può capire da tutte le volte che hai utilizzato la parola “cambiamento” in tre frasi.” 
 
John scoppiò in una risata, “Perdonami, non volevo sembrare ripetitivo. Però.. ecco, è stato magico. Sapere d’aver salvato delle povere vite con quello che per noi è poco, ma tanto per loro, ti riempie di orgoglio. Ridare il sorriso a dei bambini che forse lo avrebbero perso per sempre, credo che non abbia prezzo e vale la pena di rinunciare ai comfort possibili e inimmaginabili che abbiamo qui negli USA.”
 
Blaine faceva piacere sentirlo parlare con così tanto entusiasmo, e più lui parlava, più gli veniva voglia di ascoltarlo. Continuò a fargli domande, perché quello che diceva lo trovava interessante e lui gli raccontò a grandi linee la sua esperienza, per sintetizzare il tutto. 
 
I due bambini continuavano a rincorrersi; loro nel frattempo erano rimasti soli lì, nessuno era più seduto e nessuno poteva udirli. Sebastian, con le mani intrecciate al petto, li guardava silenziosamente, cercando di capire se dover staccare di netto la testa di John o restare lì.
 
Dopo dieci minuti di conversazione, si ritrovarono a parlare delle usanze di quei luoghi e quando arrivarono a quelle del rapporto di coppia, Blaine non ce la fece e sbottò prima che riuscisse a capire d’averlo fatto.
 
“Perché non mi hai detto che partivi?”
 
John si bloccò a metà frase, abbassò lo sguardo sull’erba e strinse le labbra prima di inumidirle, lasciò andare le mani lungo i fianchi. Fece un piccolo sospiro quasi triste. Si aspettava quella domanda. 
 
“Blaine, tu sei tornato insieme al tuo ex marito,” alzò le spalle timidamente. Non si era preparato la risposta, però. “I-io non lo so.. non lo credevo necessario.” 
 
“Non lo credevi necessario? Avrei voluto saperlo, eravamo amici infondo,” il moro fece una pausa. “O no?”
 
“Blaine, noi eravamo amici” John annuì, “ma sono sempre stato onesto con te: tu mi piacevi. E tu sei tornato con il tuo ex-marito che non è mai stato un’ex.” Fece un gesto convesso con la mano destra. “Tu lo ami.”
 
“E questo ci impedisce di rimanere amici?” Chiese Blaine che non capiva. 
 
“Si e no,” John gli sorrise e la cosa lo irritò un pò; era sempre gentile anche quando non doveva. “Pensavo che tagliando i rapporti definitivamente sarebbe stato meglio. Ed è stato così, adesso entrambi siamo felici, tu con la tua famiglia e io con la mia.” 
 
“Io con la mia?” Blaine ripeté le ultime quattro parole di John con tono interrogativo. Forse le troppe lacrime gli avevano annacquato il cervello. 
 
John rise, “ perdonami, non te l’ho detto, ma pensavo si fosse capito. Sono un grandissimo maleducato.” Poi si girò e si rivolse ai due bambini che ancora correvano lì vicino a loro. “Selehe, Sesen, venite qui, Blaine vi vuole conoscere.” 
 
“Li hai adottati.”
 
“Si,” rispose lui dolcemente, guardando i due bambini correre verso di loro. “Sono restati orfani cinque anni fa, quando la femminuccia aveva soltanto quattro anni e il maschietto sei. Erano venuti per fare un vaccino, ma sbagliarono tenda e finirono nella mia. Iniziarono a venire ogni giorno lì da me, mi hanno chiesto loro di adottarli.”
 
I due bambini arrivarono lì da loro e subito  Selehe si mise davanti a John e le gli mise una mano sulla spalla, così come al fratello. Blaine gli sorrise e li guardò attentamente, trovandoli bellissimi. 
 
La bambina aveva soltanto un anno in più di Juliette, ma era molto alta per la sua età. Aveva i tipici ricci neri e cespugliosi  delle ragazze di colore, tenuti ordinati da delle forcine rosa; indossava un vestito bianco che le faceva sembrare la pelle più scura di quanto fosse in realtà; la labbra erano carnose, il naso a patata e gli occhi erano neri come la pece, con un taglio un po’ a mandorla, la guance erano paffutelle. 
 
Il fratello maggiore le assomigliava moltissimo, ma aveva dei lineamenti un po’ più decisi, le labbra un po’ meno carnose e le guance meno paffute. Gli occhi erano uguali. 
 
“Piacere di conoscerti,” dissero in coro.
 
“Il piacere è tutto mio,” disse afferrando una alla volta le due mani che gli vennero porse. Poi si rivolse a John: “Sono bellissimi.”
 
“Di questo non ho merito.” 
 
“Papà, andiamo di là?” Sesen interruppe la conversazione dei due uomini, guardando verso dove erano spariti tutti gli invitati.
 
“Certo,” Gli rispose lui. Tolse le mani dalle loro spalle e loro si spostarono per fargli spazio.
 
“E’ un addio?” lo precedette Blaine, prima ancora di farlo parlare.
 
“E’ un addio.” Confermò John, annuendo. 
 
Il moro sentì qualcosa alla bocca dello stomaco; gli dispiaceva, ma era la cosa migliore. Gli porse la mano, non sapendo bene come sarebbe stato meglio salutarsi e dopo un attimo di terrore per essere sembrato un idiota, John ricambiò la stretta per poi lasciarla andare.  
 
Selehe prese quella stessa mano, intrecciando le dita, ma lui sembrò non accorgersene nemmeno; infatti dopo un attimo si esitazione, portò la mano sinistra tra i capelli del moro, che per la sorpresa alzò di scatto la testa verso di lui. John si piegò in avanti e proprio nel momento esatto in cui Blaine pensò che stesse per baciarlo, il biondo gli poggiò le labbra sulla fronte, fece una leggera pressione e gli scoccò un bacio. 
 
Doveva aspettarselo, John non l’avrebbe mai mancato di rispetto baciandolo sulle labbra e nemmeno sulla guancia, perché sarebbe sembrato troppo intimo; invece aveva optato per un bacio sulla fronte, qualcosa di intimo e distaccato allo stesso tempo, dolce ed elegante.
 
John si tirò indietro, gli lasciò un ultimo sorriso e senza aggiungere parole che sicuramente sarebbero state futili, si girò e prese anche la mano della bambina e la famiglia Garrent se andò. 
 
Blaine li guardò sorridendo teneramente, a cuor leggero da ogni peso.
 
 
 
Sebastian guardò quella scena sentendo un prurito fastidiosissimo alle mani e tanta voglia di picchiare John. Non aveva capito niente della conversazione, ma pareva che i due bambini fossero venuti al matrimonio con John. Comunque, si erano detti cose noiose, ne era sicuro.
 
Vide il marito incamminarsi per dirigersi sicuramente dal fratello e decise di affiancarlo. Si scostò dal tronco del albero su cui era appoggiato e andò da lui. Blaine lo vide e si fermò ad aspettarlo, sorridendogli.
 
“Hey,” gli disse prendendogli la mano e ricominciando a camminare.
 
“Ti ho visto con riccioli d’oro.” Esordì, cercando di mantenere un tono calmo.
 
Blaine abbassò lo sguardo sulle scarpe e sbuffò una risata, “Sei geloso?”
 
Sebastian aggrottò le sopracciglia un attimo; voleva dire di si, ma non sarebbe stato vero; non era geloso.. solo.. lo avrebbe ucciso volentieri, quello lì. “Diciamo che vedervi insieme non mi aggrada, ecco.”
 
Il moro fece una piccola risata, iniziando ad accarezzare la mano del marito col pollice. Una volta tornato serio, guardò Sebastian di sottecchi e chiese: “Allora sei arrabbiato?”
 
“No, non potrei mai essere arrabbiato con te e poi ti ha solo dato un bacio sulla fronte. L’avrei preso a calci, ma so che tu sei mio.”
 
“Sono tuo,” affermò, poggiandogli la testa sulla spalla mentre camminavano e Sebastian abbassò la testa per baciarlo teneramente sulle labbra, stando attenti a non inciampare tra i loro stessi piedi.
 
“Blaine, sai cosa stavo pensando? Che se ritardassimo di una mezz’oretta non se ne accorgerebbe nessuno..” gli sussurrò languido a fior di labbra, prima di ritornare a baciarlo con passione.
 
“Ummm. Oh. No..” gemette il moro staccandosi da lui, per poi mettere un po’ di distanza tra loro. “Non mi convincerai a fare niente del genere.” 
 
“Dai, tutti si concedono una sveltina ai matrimoni.” 
 
“Non al matrimonio del proprio fratello."
 
“Veramente-“
 
“Non mi interessa ciò che hai fatto tu a quello di Stefan.” Lo interruppe subito Blaine, infastidito. E Dio, com’era carino quando diventava geloso. 
 
Sebastian sorrise, ma non disse niente o era sicuro che nel giro di qualche minuto lo avrebbe preso di peso per portarlo in un posto appartato. Quando Stefan si sposò, lui e Blaine avevano cominciato a uscire da qualche settimana e non erano ancora una coppia, quindi nessuno dei due si sentì d’andare lì insieme, così Sebastian era partito per Parigi da solo e il moro glielo fece sempre un po' pesare. 
 
Continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto. Blaine controllò l’orologio per vedere che ore fossero e Sebastian fece lo stesso, per constatare che mancasse ancora abbastanza tempo prima della cena e che Cooper ed Elizabeth fossero ancora a fare le foto. Subito dopo, il cellulare nella sua tasca vibrò e lo sfilò per leggere il messaggio che gli era arrivato.
 
Da: Grant 
 
E’ tutto pronto. Vi aspettiamo qui.
 
 
“Chi è?” Gli chiese Blaine incuriosito, cercando di sbirciare lo schermo del cellulare.
 
“Grant, dice che dobbiamo tornare di là.” Rispose, fermandosi e facendo dietro front, mentre il marito lo guardava confuso.
 
“Perché?”
 
“Vedrai, è una sorpresa,” Sebastian gli circondò le spalle con un braccio, per fargli capire di restare in silenzio, perché non avrebbe risposto a nessuna domanda.
 
Il viso di Blaine si illuminò come quello di un bambino in procinto di scartare i regali la mattina di natale. Nella sua mente iniziò a farsi duemila ipotesi, gongolando silenziosamente. 
 
Ritornarono nel luogo esatto in cui era stato volto il matrimonio di Cooper ed Elizabeth e Blaine si fermò di scatto quando vide Grant e Juliette in piedi sotto all’arco, nello stesso punto in cui prima c’era stato il prete e con dei fogli in mano.
 
“Sebastian, ma cosa..?”
 
“Benvenuto al nostro non divorzio.” Rispose lui trattenendo una risata. “E’ stata un’idea dei ragazzi, non potevo non appoggiarli.” 
 
“Cosa sarebbe un...” Blaine arricciò il naso, cercando di ricordare la parola che aveva utilizzato Sebastian, “..non divorzio?”
 
“Non ne ho idea, in realtà, qualcosa di simile al matrimonio” Sebastian scrollò le spalle, “ma ormai che siamo qui, ci conviene farlo o Juliette col muso e piagnucolante te la sopporti tu.” 
 
Blaine rise e si umettò le labbra, “Che dobbiamo fare?”
 
“Dammi la mano.”
 
Sebastian tolse il braccio dalle sue spalle per essere affianco a lui e Blaine gli prese la mano, facendo intrecciare le loro dita. Juliette allora mise la marcia nuziale col telefono del fratello che teneva tra le mani e i due genitori iniziarono a camminare verso di loro seguendo il ritmo, fin quando non si fermarono proprio davanti a loro. 
 
“Le mani libere qui sopra,” gli ordinò subito Grant con tono che non ammetteva repliche, riferendosi a un cofanetto in velluto che aveva tra le mani e loro ubbidirono immediatamente, Blaine mettendo la destra e Sebastian la sinistra. “Adesso a uno ad uno ripeterete ciò che sto per dire.”
 
“No, io voglio dirlo!” 
 
“Juliette, abbiamo detto che lo dicevo io, non rompere!”
 
“Noo! Uffa io! Il giuramento glielo faccio ripetere io !” 
 
“No, glielo faccio ripetere io! Tu sei piccola.”
 
“Io non sono piccola! Tu sei solo alto!”
 
“Ma avevamo detto che glielo facevo ripetere io!” 
 
“No, io!”
 
“Facciamo che poi tu li fai baciare, va bene?!” 
 
“Siiiiiiiiii che bello! Li faccio baciare io i miei papà!” 
 
Blaine e Sebastian scoppiarono a ridere al battibecco dei loro figli che erano sempre i soliti. Juliette a quel punto li guardò sorridendo e un attimo dopo Grant richiamò la loro attenzione su di sé schiarendosi la gola.
 
“Prima tu,” disse riferito a Sebastian. “dì: Io, Sebastian Mattew Smythe, giuro di non voler più divorziare da mio marito Blaine Devon Anderson, perché prometto di non commettere più idiozie, andare a vedere tutte le partite di mio figlio Grant e lasciarlo giocare quanto vuole al pc e alla xbox.”
 
“Io, Sebastian Mattew Smythe, giuro di non voler più divorziare da quella perfezione che è mio marito Blaine Devon Anderson, perché ha un sedere perfetto ed è super sexy in qualsiasi cosa faccia; e prometto inoltre di non commettere più idiozie e se proprio vuole acconsentirò a fargli i massaggi prima e dopo. Prometto pure d’andare a guardare ogni partita di mio figlio Grant e prenderlo a calci nel didietro ogni volta che lo vedrò al pc o alla xbox perché sembra un cretino.”
 
Grant lo guardò per un attimo, poi senza dir niente si girò verso l’altro padre. “Io, Blaine Devon Anderson, giuro di non voler più divorziare da mio marito Sebastian Mattew Smythe, perché ho capito che sono uno scemo.”
 
“Io, Blaine Devon Anderson, giuro di non voler più divorziare da mio marito Sebastian Mattew Smythe,  perché ho capito di star per commettere l’errore più grande della mia vita, perché lo amo da morire quando mi sorprende sempre con una delle sue e che è un ottimo padre e compagno meraviglioso.”
 
“Ecco, tenete,” Disse Juliette, porgendogli gli stessi fogli che Blaine vide in mano a Grant qualche minuto prima.
Sciolsero le loro mani intrecciate e afferrarono ciò che la figlia gli stava passando; Sebastian ghignò e a Blaine ci volle un attimo per capire che quelli erano i documenti del divorzio già firmati dal marito. 
 
“Tre.. due.. uno..” entrambi li strapparono nello stesso momento e poi li gettarono sul prato, sapendo che entro quella stessa sera gli addetti avrebbero pulito l’intero giardino.
 
“Posso baciarlo?” Chiese Sebastian febbricitante ai figli, guardando Blaine che si mise a ridere.
 
“Aspetta papà!” lo rimproverò Juliette, “Prima dovete scambiarvi le fedi.”
 
“Quali vedi?”
 
“Queste,” rispose Grant, aprendo il cofanetto che aveva ancora tra le mani per mostrargli due fedi d’oro bianco con un brillantino. Erano uguali a quelle che avevano già al dito. 
 
Sebastian ne prese una, quella di circonferenza più larga che era sicuramente quella di Blaine dato che aveva le dita più tozze, e poi guardò la figlia.
 
“Vuoi tu, papà, continuare ad amare papà Blaine fino alla fine dei vostri giorni, per darvi sempre tanti bacini, coccolarvi sul divano, dormire nello stesso letto, cucinare insieme e dirmi che sono la vostra principessa, finché io e tu non ci sposiamo?”
 
“Si, lo voglio,” rispose Sebastian, sfilando a Blaine la fede che aveva già per mettergli quella nuova e fu in quel momento che lui si accorse che all’interno, al posto della data con i nomi degli sposi, c’era la scritta “ti amo come Juliette ama i baci.
 
“Vuoi tu, papà, continuare ad amare papà Sebashian, senza fare più lo scemo?” 
 
“Si, lo voglio.” Rispose orgoglioso come la prima volta che lo disse al loro vero matrimonio. Prese l’altra fede e perse un attimo a leggere l’incisione che c’era all’interno, come l’altra era piccolissima per farla entrare: “Ti amo come Grant ama il calcio.”
 
“Posso baciarlo adesso?” Chiese di nuovo Sebastian. Grant si girò di spalle e poi diede il suo consenso. 
 
Blaine gli gettò le braccia al collo e un attimo dopo le loro bocche erano unite in un bacio dolce e intenso. Le mani di Sebastian andarono, come al solito, sui suoi fianchi per tirarlo un po’ più a sé e non farlo stancare troppo mentre stava in equilibrio sulle punte. 
 
Si diedero un bacio e poi un altro e poi un altro ancora, perdendosi l’uno nelle labbra dell’altro, sorridendo e mordicchiandosi per fino le labbra. Non era da loro baciarsi in quel modo davanti ai bambini, soprattutto Juliette che continuava sempre a fissarli adorante e poi gli faceva sempre un mucchio di domande e complimenti. Ma infondo era il loro non-divorzio, no?
 
“Sto per vomitare.” 
 
Blaine e Sebastian scoppiarono a ridere mentre ancora le loro labbra erano unite e fu solo allora che decisero a staccarsi. Juliette sorrise e li abbracciò, “vieni pure tu Grant, facciamo un abbraccio di famiglia!” 
 
“E va bene,” borbottò Grant sbuffando, per poi unirsi anche lui, abbracciando tutti. Blaine gli mise una mano sulla schiena per stringere ancora di più il piccolo cerchio che si era formato e Sebastian gli poggiò il mento sulla testa e fu in quel momento che si accorse di essere accanto a lui. Sorrise, perché il suo vecchio papà era veramente e definitivamente tornato. 
 
Si staccò da Blaine e si scostò da Sebastian per guardarlo negli occhi, “Ti voglio bene, papà” disse, prima di gettarsi tra le sue braccia e poggiare la guancia contro il suo petto. 
 
“Ti voglio bene anch’io,” rispose lui sorridendo a trentasei denti, prima di baciargli i capelli.
 
 
 
 
 

 
 
Adesso prendete James, abbracciatelo forte forte e amatelo. Dopo fategli pure una statua d'oro. 
Forse vi starete chiedendo "ma perché non c'è alcuna descrizione dell'abito di El?" o forse no.. però la risposta comunque è "Perché così ognuno se lo può immaginare come più gli aggrada!" Io di matrimoni non ne capisco (e si vede) quindi ho deciso di lasciare questo dettaglio molto "free". 
"tutto" il matrimonio è stato ispirato a una storia vera; sì, siamo strani di famiglia. E so benissimo che delle frasi così lunghe non riuscirebbero mai a stare in delle fedi, ma: Lasciatemi sognare!
 
Prima di andare vi dico che voglio fare un video per ringraziarvi tutti e che sarà anche un piccolo """Q&A""", dove potrete chiedermi la qualsiasi cosa. Cliccami per farmi delle domande.
 
Ultima cosa: Vi interesserebbe il pdf?
 
Ok, vado a dormire che è pure tardi e parlo sempre un casino!
 
Allora prossima settimana con l'epilogo! 
 

 

 

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Capitolo 18
*** Epilogo ***






Epilogo
 

Sebastian mugugnò qualcosa infastidito, sentendo il braccio destro formicolargli e dei riccioli fargli il solletico sulla spalla. Sentì una mano prendergli la sua e poi venire appoggiata contro della pelle calda. D’istinto spalancò gli occhi, non capendo bene tutta quella situazione, col cuore in gola per la paura d’averne combinata un’altra delle sue. 
 
Si tranquillizzò nell'istante in cui, girando la testa di lato, una massa informe di riccioli gli solleticò il naso e riconobbe la schiena che gli era rivolta. Blaine stava dormendo su un lato e gli dava le spalle, con la testa sulla sua spalla e le loro mani intrecciate premute contro il petto, probabilmente per il freddo che sentiva. 
 
Rise piano tra sé e sé, tornando a fare silenzio quando il marito si mosse di poco perché infastidito da quel suono. Guardò la sua nuova fede al dito, fiero di sé stesso, prima di decidere di svegliare Blaine. 
 
Si sistemò anche lui su un fianco, facendo attenzione a non essere troppo brusco nei movimenti, facendo scivolare la testa del marito sul suo braccio, prima di spostarsi leggermente e chinarsi sulla sua spalla scoperta per lasciarci una serie di baci. 
 
“Humm-humm” mugugnò Blaine, spostando la spalla di poco. 
 
Sebastian sorrise contro la sua pelle, e continuò a baciarla, salendo sempre più su, fino ad arrivare al collo e dietro l’orecchio, “sveglia.”
 
Blaine per tutta risposta lasciò andare la sua mano, portando la propria sul cucino, spostandosi di poco per poter continuare a dormire. 
 
Sebastian ridacchiò piano contro il suo orecchio, prima di continuare a baciargli il collo. Con l’altra mano libera, iniziò ad accarezzargli il braccio con i polpastrelli, facendo su e giù, mentre il marito non dava più segni di vita. 
 
A quel punto ghignò, facendo scendere la mano verso il basso, sempre più in basso.. stava per scostare il lenzuolo quando la porta si aprì di scatto e Juliette entrò parlando a voce alta al telefono, concentrata sulla conversazione, portando a far gelare sul posto il padre. 
 
“Papà Blaine, c’è lo zio Cooper al telefono!” Urlò la bambina, non degnando i genitori nemmeno di uno sguardo mentre continuava a parlare. 
 
Sebastian stava per rispondergli e dirle che stava dormendo, quando Blaine con naturalezza si mise a sedere, non sfregandosi nemmeno gli occhi. “Passamelo, chissà che avrà combinato.”
 
Juliette si arrampicò sul letto e camminando a quattro zampe passò il telefono al moro, poi si buttò sulle braccia dell’altro padre che guardava ancora il marito esterrefatto. 
 
Allora era sveglio. 
 
Blaine intanto aveva iniziato a parlare senza sosta con suo fratello, ridendo e facendo facce preoccupate. Ad un certo punto, come se nulla fosse, fece per alzarsi dal letto, ma Sebastian fece in tempo e trattenerlo per spalla mentre lui lo guardava interrogativo. 
 
“Le mutande,” gli sussurrò e il moro alzò le sopracciglia, ricordandosi che si era addormentato completamente nudo. Annuì e Sebastian attirò completamente l’attenzione della figlia su di sé, affinché Blaine potesse recuperare i boxer che la sera prima erano finiti sotto al letto e infilarli. 
 
Juliette si voltò verso il papà riccioluto nel momento esatto in cui si alzò dal letto con le mutande addosso e si diresse verso la porta per andare a parlare in corridoio. Tornò a guardare Sebastian e piegò la testa di lato, “Perché tu sei senza maglietta e papà è in mutande?” Prima di lasciargli il tempo di rispondergli, si chinò su di lui e gli annusò l’incavo del collo. “Perché puzzi così tanto di papà?”
 
Sebastian strabuzzò gli occhi, “Sparisci!” 
 
“Torno a fare colazione con Grant, allora,” replicò la piccola, prima di fargli una linguaccia e sgattaiolare giù dal letto. L’uomo la guardò andare via, cercando di capire cosa dovesse fare, poi decise che sarebbe rimasto a letto; Grant sapeva cucinare la colazione. 
 
 
 
Blaine tornò in camera una quindicina di minuti dopo; poggiò il telefono sul comodino e poi si distese di nuovo sul letto, accanto a Sebastian che lasciò subito perdere il libro che stava leggendo per voltarsi a guardarlo. 
 
“Potevi dirmelo che eri sveglio.” 
 
“E perché? Mi stavi facendo le coccole per una volta,” ridacchiò lui, abbracciandolo prima di lasciargli un bacio sulle labbra. 
 
“Coccole,” ripeté Sebastian arricciando il naso, voltandosi su un fianco per potersi guardare negli occhi, “io volevo andare a parare in qualcos'altro, in realtà.”
 
“E dov'è la novità?” scherzò Blaine, portandogli una mano sul viso per accarezzargli lo zigomo, mentre Sebastian gli portava una mano su un fianco per avvicinarlo ancora di più.
 
“Grazie,” gli soffiò sulle labbra, prima di catturarle tra le sue.
 
“Per..mm.. c-asdfgfd-osa?” chiese Blaine tra un bacio e l’altro, mentre Sebastian cercava avido la sua lingua. Infine cedette e ricambiò senza troppi indugi, portandogli una mano tra i capelli a tirandoglieli fin quando il marito non fu sopra di lui, con le braccia ai lati della sua testa. 
 
“Per essere tornato a vivere qui,” esordì Sebastian scendendo a baciargli il petto, “e per avermi dato un’altra possibilità.”
Blaine rimase a bocca aperta a quelle parole; non si aspettava una cosa del genere. Arricciò il naso e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. 
 
Lui non voleva che lo ringraziasse, per quando la cosa potesse recargli piacere. In amore non c’è bisogno dei “grazie”, perché non si fanno favori o si vuole qualcosa indietro, le cose si fanno e basta; e la maggior parte delle volte si fanno per puro egoismo. 
 
Ci sono delle cose di cui non possiamo fare a meno, anche se ci fanno male. Sebastian, per Blaine, era così. Lui sapeva che poteva ferirlo in ogni momento, anche con un piccolo gesto, eppure non poteva accettare di vivere senza lui. Blaine aveva bisogno di Sebastian; perché lui lo rendeva migliore e peggiore allo stesso tempo. Lo faceva arrabbiare, diventare pazzo, egoista, cattivo, menefreghista; lo faceva sorridere, sentire pieno di vita, gli faceva venir voglia di migliorarsi, gli dava coraggio, sicurezze e incertezze. 
 
Lo faceva sentire umano. 
 
Blaine gli sorrise e gli lasciò un bacio delicato sulle labbra. “Ti amo, Sebascian.
 
“Ti amo, Blaine.”



-THE END-







Ebbene sì, adesso è finalmente finita! E io gongolo come non mai perché era ora LOL 
Per il PDF, che farò perché ho promesso, dovrete pazientare un pochino perchè devo rileggere tutta la ff per sistemarla e mi annoia tantissimo al momento, forse per metà settembre muahah. E con esso arriverà anche il video che non ho ancora avuto il tempo di fare x) 

Nel frattempo vi annoierò qui: 
Vorrei ringraziarvi tutti per aver dato una possibilità a questa mia prima long e avermi sostenuta tantissimo inconsapevolmente. Vedere che siete stati costanti e non mi avete abbandonato lungo i capitoli mi riempie di gioia immensa ed è una cosa che non mi aspettavo minimamente; così come le persone che hanno messo questa fanfiction tra le preferite/ricordate/seguite e chi mi ha fatto sapere ciò che pensava nei capitoli tramite una recensione! Grazie di cuore, perché per me siete numerosissimi! 
Un bacione e un ringraziamento speciale però vanno a Black_eyes e Ninni che mi hanno betato sicuramente degli orrori imbetabili; a _zia cla_ che mi dava la carica per i Blohn e mi ha sostenuta in questa ship LOL E poi per ultima, ma non per ultima ma perché i grandi vanno alla fine (?), vorrei fare una statua d'oro e di pietre preziose alla mia Alice! Che mi ha sopportato in chat con i miei complessi più di chiunque altro e mi ha fatto delle minip e fanart pucciosissime che se la prendo la spupazzo. 
 
Ok, ho finito con il delirio e non mi resta altro che salutarvi sperando di rileggerci presto! 
 
Un bacione,

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